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La Jornada – Martedì 23 luglio 2013

Frayba denuncia un pestaggio da parte di esponenti evangelici ai danni di tre tzotzil arrestati in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Dei tre coloni tzotzil dell’ejido di Puebla (municipio di Chenalhó) Chiapas, arrestati arbitrariamente sabato da un gruppo di evangelici, due di loro risultarono essere basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández. Il terzo, Juan López Méndez, di confessione battista, è stato fermato per aver espresso il suo disaccordo per la cattura degli zapatisti.

Il Centro dei Diritti Umani Frayba ha potuto documentare che i tre sono feriti da percosse ricevute dagli evangelici, guidati dal commissario ejidale Agustín Cruz Gómez e da altri correligionari dell’ex sindaco priista Jacinto Arias Cruz, già condannato per la partecipazione nel massacro di Acteal e liberato recentemente dalla Suprema Corte di Giustizia della Nazione.

Il Frayba precisa che gli arrestati, “accusati falsamente dalle autorità dell’ejido di avvelenare l’acqua”, sono stati portati verso le 0:30 del giorno 21 negli edifici della Procura Specializzata per la Giustizia Indigena, a San Cristóbal de Las Casas. Alle due del mattino sono stati rinchiusi nelle celle della Procura. 

Testimoni citati dal Frayba affermano che tutti presentano ferite da percosse e che Juan López Méndez, è stato fermato e picchiato solo per essere in disaccordo con le decisioni prese dalle autorità dell’ejido.

Il Frayba ha denunciato la Procura Indigena per ostruzione alla difesa dei diritti umani ed ha dichiarato che, visto il contesto di violenza, il suo personale domenica si è recato alla Procura, ma la pubblico ministero titolare della Sezione numero 4, Socorro Gómez Santiz, non ha permesso loro di verificare la situazione fisica e psicologica dei detenuti, dato che diversi testimoni confermano che sono feriti. 

Ciò nonostante, il commissario Agustín Cruz Gómez domenica stessa ha presentato al Pubblico Ministero le denunce contro i detenuti. Le autorità hanno permesso questo, malgrado l’accusatore sia anche l’esecutore del pestaggio. Tutto indica che sono stati adottate le abituali procedure in Chiapas per incolpare e punire indigeni innocenti. Di questi sono piene le prigioni dello stato, come ha denunciato Alberto Patishtán Gómez dalla sua cella.

Finalmente, questo lunedì gli avvocati sono riusciti a visitare i detenuti, ma il Pubblico Ministero ha impedito che si stimasse il loro stato fisico.

Secondo informazioni raccolte dal Frayba, la popolazione dell’ejido di Puebla si trova senza acqua, poiché le autorità hanno svuotato le cisterne che forniscono la comunità, situazione che sta colpendo gli abitanti e creando disagio. Il clima di provocazione è evidente, le autorità statali non hanno fatto niente per impedirlo e gli ispettori sanitari non hanno confermato la presenza di sostanze tossiche.

Secondo le testimonianze dei coloni, “durante gli arresti del 20 luglio, il commissario ejidale ha accusato la Società Civile Las Abejas di Acteal di dirigere e provocare la situazione di instabilità che si vive nell’ejido a causa della costruzione della nuova cappella. I principali accusati sono Macario Arias Gómez ed il catechista Francisco López Santiz. 

Il Frayba esprime estrema preoccupazione e chiede al governo federale, come a quello del Chiapas, di affrontare i problemi, rilasciare immediatamente Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández, basi zapatiste, e Juan López Méndez, e che sia fornita loro assistenza medica immediata.

Chiede inoltre che si garantisca l’integrità fisica e psicologica dei detenuti e dei membri di Las Abejas di Acteal, in particolare Macario Arias Gómez e Francisco López Santiz.

Il Frayba infine chiede, che il governo affronti la situazione di conflitto nell’ejido di Puebla attraverso il dialogo e che si dia priorità ad accordi tra le parti in conflitto.

Il pomeriggio di lunedì, come riferito dalla Colonia Puebla, il clima era molto teso. Sono stati riportati atti di ostilità contro i cattolici ed alcuni casi di isteria collettiva per la paura del presunto avvelenamento, cosa che acutizza le tensioni.

Al tramonto è giunta comunicazione che due membri dell’organizzazione Azione Sociale Samuel Ruiz (già Caritas Chiapas), il consigliere parrocchiale Pedro López Arias e Gilberto Pérez, che portavano provviste ed acqua alle famiglie aggredite, sono stati fermati a Puebla dai priisti ed alla chiusura della presente edizione del giornale non sono ancora stati liberati. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/23/politica/015n1pol

DENUNCIA DELLA JBG DI OVENTIC 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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NUOVE DATE DELLA ESCUELITA, INFORMAZIONI SU VIDEOCONFERENZE ED ALTRO

Luglio 2013

Per: Le compagne ed i compagni della Sexta e studenti della Escuelita Zapatista.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagne e compagni.

Di seguito mando alcune informazioni sulla Escuelita Zapatista:

Primo.- Informazione per le/i compagn@, uomini, donne, bambini ed anziani, che non hanno trovato posto in questo primo avvio della scuola zapatista nel mese di agosto 2013. Le comunità zapatiste hanno compiuto un ulteriore sforzo estendendo il numero degli iscritti a 1700 studenti ma siamo al completo un’altra volta. Cioè, è stato fatto posto per altri 200 che erano in lista e che sono stati avvisati. Ma ce ne sono molti altri e altre che vogliono venire. Bene, a questi diciamo di non rattristarsi, né di arrabbiarsi per via dei posti esauriti.

Le compagne ed i compagni maestri hanno deciso che le lezioni proseguiranno alla fine dell’anno, ovvero a dicembre 2013 e gennaio 2014. In concreto:

Date della seconda sessione della escuelita:
Iscrizioni il 23 e 24 dicembre 2013.
Lezioni dal 25 dicembre fino al 29 dicembre di quest’anno.
Partenza il giorno 30.

E per chi vuole restare per la festa del 20° anniversario dell’insurrezione zapatista per festeggiare e ricordare l’alba del 1° gennaio del 1994, festa il giorno 31 dicembre e 1° gennaio.

Poi , niente riposo, perché è già deciso che dopo la festa riprenderà il lavoro, cioè la escuelita:

Date della terza sessione della escuelita:
Festa il 31 dicembre 2013 e 1° gennaio 2014.
Iscrizioni il 1° e 2 gennaio 2014.
Lezioni dal 3 gennaio al 7 gennaio 2014.
Partenza per i propri luoghi di origine il giorno 8 gennaio 2014.

ATTENZIONE: Per chiedere l’invito e la clave de registro per la seconda e terza sessione della scuola, anche se già l’avete chiesta attraverso la pagina web o per email, dovete mandare la vostra domanda al seguente indirizzo di posta elettronica (anche a partire da oggi stesso):

escuelitazapDicEne13_14@ezln.org.mx

Abbiamo deciso di procedere in questo modo per organizzare tutto al meglio ed avvisarvi per tempo.

Secondo.- Vi ricordiamo che la festa dei 10 anni dei Caracol e delle Giunte di Buon Governo è aperta a tutt@. La festa incomincia l’8 e prosegue il 9 e 10. I giorni 9 e 10 ci saranno dei concerti ed esibizioni di gruppi artistici di molte parti del Messico e del mondo. Ci sarà un concerto anche al CIDECI il giorno 11 agosto, che è il giorno della registrazione. Poi vi manderemo il programma.

Terzo.- Vi ricordiamo che, per la prima sessione della scuola ad agosto di qust’anno:

– La registrazione, con clave ed un documento di identità, avverrà nei giorni 10 e 11 agosto 2013 presso il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

.- Dovrete versare $100.00 (cento pesos messicani = 7,00 Euro) per il costo del pacchetto di studio composto da 4 libri di testo e 2 dvd (20 pesos ogni libro e 10 pesos ogni dvd).

.- Quando vi registrerete vi daranno il vostro cartellino identificativo, il vostro pacchetto scolastico e vi diranno in quale Caracol siete destinati. Se avete un mezzo proprio vi diranno come raggiungere la destinazione ed a che ora partirà una carovana con un auto che farà da guida. Se non avete un mezzo proprio, vi diranno quali autobus o camion prendere per viaggiare in gruppo. Se avete l’auto, potete archeggiarlo nel Caracol.

.- La partenza per i Caracol è lo stesso giorno 11, mano a mano che si riempiono auto e camion. Se si farà molto tardi, si partirà anche il giorno 12 mattina presto.

.- Le lezioni iniziano il giorno 12 agosto e finiscono il giorno 16, e le partenze con i mezzi sono sono il giorno 17 agosto con destinazione il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Lì se volete potete fermarvi per assistere alla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” che terranno dirigenti di diversi popoli originari del nostro paese.

.- Tempi di percorrenza:

I Caracol più lontani sono: La Realidad e Roberto Barrios, in carovana ci vogliono dalle 8 alle 9 ore senza soste e senza perdersi e senza guasti ai mezzi.
Segue: Il Caracol di La Garrucha, 5 o 6 ore senza soste.
Poi segue: Il Caracol di Morelia, da 4 a 5 ore senza soste.
Per ultimo: Il Caracol deiOventik, da 1 ora e mezza a due ore.
Tutti partendo da San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, dal CIDECI.

Un’altra volta vi comunico gli orari delle lezioni, ma prima il SupMarcos vi deve raccontare come funziona tutto questo.

Quarto.-Vogliamo anche dire, avvisare i nostr@ compagn@ della Sexta che non possono frequentare la scuola in agosto, che la possono seguire attraverso i media, perché le lezioni saranno trasmesse in videoconferenza da una squadra speciale di compas zapatisti che spiegheranno e risponderanno a tutti i dubbi sulla faccenda delle “chat“.

Per questo ci aiuteranno i compas dei media liberi Koman Ilel e di altri media liberi.

Di questo vi parleremo in un comunicato a parte. Ma vi anticipo che le videoconferenze saranno i giorni 12, 13, 14, 15 e 16 agosto 2013. E ha almeno in 2 orari: uno affinché possa cominciare alla sera in America e l’altro sarà dopo alcune ore affinché si possa vedere la sera in altri continenti. Si è pensato alla sera perché probabilmente rientrate dal lavoro e potete seguire le lezioni, o seguirle di giorno se lavorate la sera.

Per poter entrare in videoconferenza serve una password che sarà data a coloro che hanno chiesto di seguire le lezioni con questa modalità. Se volete seguire le lezioni in videoconferenza e non avete l’invito, per favore scrivete al seguente indirizzo email, chiedendo di essere inseriti nella videoconferenza:

video@ezln.org.mx

  E sarà inviata la password per entrare in internet. Anche i compagni che organizzano la sessione della videoconferenza nelle proprie sedi in tutto il mondo devono mandare la loro registrazione per coloro che inviteranno presso di loro. Questo per darci un’idea del numero delle persone che seguono le lezioni con questa modalità.

Questo è quanto, compagn@ della Sexta.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, luglio 2013
:::::::::::::::::::::::::::::::::::::
Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Canzone “Soy el Sol en Movimiento”, del gruppo “El Problema del Barrio”. Parole di Orlando Rodríguez, Musica di Miguel Ogando.  Disegni di Juan Kalvellido. Edizione video: Orlando Fonseca. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=E4AQ7S1T550

Rock! Il gruppo spagnolo “Ilegales” con lil pezzo “Tiempos Nuevos, Tiempos Salvajes”. Edizione de video: Zenodro1000 http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=cJrnJ0n2P9g

Reagge, dalla Costa d Marfil, Africa, con Tiken Jah Fakoli e questo pezzo dal titolo “Plus Rien Ne M’étonne” (“Più nulla mi spaventa”).  Ediczione video: Ben Magec. http://www.youtube.com/watch?v=pj0Y41La43Y&feature=player_embedded

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Circolare relativa al trasferimento dei condiscepoli della Escuelita Zapatista 

A TUTT@ NOSTR@ CONDISCEPOLI DELLA ESCUELITA ZAPATISTA 

COMPAGN@: 

E’ SEMPRE PIU’ VICINA LA DATA DELL’INIZIO DELLA SCUOLA ZAPATISTA E VI INFORMIAMO CHE SU INIZIATIVA DI ALCUNI COLLETTIVI E COMPAGN@ SONO STATE FATTE LE SEGUENTI PROPOSTE PER IL TRASFERIMENTO DA CITTA’ DEL MESSICO-CHIAPAS-CITTA’ DEL MESSICO.

1) PARTENZA 8 AGOSTO ALLE 17:00, PER INIZIATIVA DEI COMPAS DELLA RED MyCZ, CON TRE OPZIONI:

A) VIAGGIO BREVE SOLO PER PARTECIPARE ALLA FESTA DELL’ANNIVERSARIO DEI COMPAGNI ZAPATISTI, PARTENZA 8 E RITORNO 11/12 AGOSTO: COSTO $850 (51,00 euro, circa).

B) VIAGGIO DALL’8 AL 18/19 AGOSTO PER FESTEGGIARE L’ANNIVERSARIO, FREQUENTARE LA SCUOLA E LA CATTEDRA, COSTO $950 (57,00 euro circa).

C) C’E’ ANCHE UN VIAGGIO DALL’8 AL 17/18 AGOSTO: COSTO $ 950 (57,00 euro circa).

CHI FOSSE INTERESSATO SI METTA IN CONTATTO CON I COMPA CLAUDIA TORRES (CEL 5554353824) E/O ALBERTO CORIA (CEL 5532591338) EMAIL: ctroux@me.com, redmyczapatista@gmail.com alberto.coriajimenez@gmail.com

2) POTREBBERO ESSERCI ALTRE PARTENZE IL 10 AGOSTO ALLE 17:00, PER ESSERE AL CIDECI PRIMA DEL GIORNO 11 AGOSTO PER L’ISCRIZIONE E LA PARTENZA NELLE COMUNITA’, CON RITORNO IL 17/18 AGOSTO. IL COSTO E’ DI $900 A PERSONA (54,00 euro). INTERESSATI TELEFONARE AI NUMERI 55780775 E 55784711 E/O SCRIVERE ALL’EMAIL: laescuelitava@gmail.com

URGE SAPERE QUANTI RICHIEDERANNO QUESTO SERVIZIO. POSSIAMO NOLEGGIARE I BUS NECESSARI PER TUTTI. L’UNICO REQUISITO È METTERSI IN CONTATTO CON I RESPONSABILI E PAGARE IL COSTO DEL TRASPORTO PER NOLEGGIARE I BUS. PER NOLEGGIARE UN BUS SONO NECESSARI ALMENO 40 PASSEGGERI.

LE PARTENZE AVVERRANO DALLA SEDE DI UNÍOS IN VIA DR. CARMONA Y VALLE #32, COLONIA DOCTORES, AD UN ISOLATO E MEZZO DALLA STAZIONE DELLA METROPOLITANA CUAUHTÉMOC (LINEA ROSA).

INOLTRE, I COMPAGN@ STUDENTI CHE ARRIVANO A CITTA’ DEL MESSICO POSSONO PASSARE NELLA SEDE DI UNÍOS PER LASCIARE LE PROPRIE COSE, LAVARSI E PERFINO PERNOTTARE. VI CHIEDIAMO SOLO DI INFORMARCI IN ANTICIPO AI NUMERI DI TELEFONO 55780775 E 55784711 E/O EMAIL: laescuelitava@gmail.com

 FRATERNAMENTE,

CONTRO IL SACCHEGGIO E LA REPRESSIONE, LA SOLIDARIETA’!

RED CONTRA LA REPRESIÓN Y POR LA SOLIDARIDAD (RvsR)


¡CONTRA EL DESPOJO Y LA REPRESIÓN: LA SOLIDARIDAD!
Red Contra la Represión y por la Solidaridad
Correo electrónico: redcontralarepresion@gmail.com
Página: http://www.redcontralarepresion.org/
facebook.com/redcontralarepresion

Telefono: 55 78 07 75 y 55 78 47 11
Indirizzo: Dr. Carmona y Valle # 32, colonia Doctores, Del. Cuauhtémoc, México Città del Messico. C.P. 06720

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La Jornada – Mercoledì 17 luglio 2013s

I profughi tzeltal di Tenejapa chiedono l’attenzione del governo

Hermann Bellinghausen.

Famiglie filo-zapatiste sfollate dal 4 dicembre 2011 della comunità tzeltal di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, hanno denunciato che, dopo avere vissuto da profughi per 1 anno e 7 mesi in condizioni precarie a in San Cristóbal de las Casas, il governo non le considera. La loro espulsione, dopo un attacco armato di priisti di questa e di altre comunità, ha comportato la sparizione del patriarca della famiglia López Girón, Alonso López Luna, e tutto indica che fu assassinato allora. In quell’occasione morì uno degli aggressori, Pedro Méndez López. In relazione al fatto, e con accuse false, Francisco Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, è rimasto in carcere per un anno.

Chiediamo al governo di Manuel Velasco Coello ed al presidente Enrique Peña Nieto che risolvano al più presto possibile i nostri problemi; fino a quando ci ignoreranno?, hanno dichiarato gli indigeni sfollati.

Inoltre chiediamo giustizia, riguardo i responsabili della sparizione di nostro padre Alonso López Luna, e che ci dicano dove hanno nascosto i suoi resti. I responsabili sono liberi. Il pubblico ministero, Cristóbal Hernández López è loro complice, per questo non ha fatto giustizia, sostengono Lorenzo, Miguel, Petrona ed Amita López Girón. Infine chiedono che al compagno Alberto Patishtán Gómez sia liberato il prima possibile.

Quel 4 dicembre, una cinquantina di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) aggredirono con le armi quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e li cacciarono dalle loro case e dal villaggio. Ci furono sei feriti. Inizialmente fu arrestato uno dei loro componenti, Lorenzo, oltretutto ferito da una pallottola, con l’accusa di lesioni aggravate. Poco dopo, Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, fu arrestato benché non si trovasse sul posto al momento dei fatti, ma qualcuno doveva pagare la morte di Méndez López, perché tutto indica che questa sarebbe stata provocata dallo sparo dei suoi stessi compagni.

López Luna scomparve ma 20 giorni dopo, nell’ejido Mercedes, che confina con Banavil, fu trovato un braccio. La famiglia riconobbe una cicatrice che corrispondeva al padre. Poliziotti statali, il giudice municipale ed il Pubblico Ministero lasciarono passare molti giorni prima di recarsi sul luogo del ritrovamento e non trovarono più niente. 

Per questi fatti, a gennaio del 2012 il Frayba denunciò: Le false accuse e la violenza generata dal gruppo di cacicchi del PRI degli ejidos Banavil, Mercedes e Santa Rosa, a Tenejapa, hanno provocato lo sgombero forzato di quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e la morte di un membro del PRI. 

L’organizzazione sottolineava allora le continue e sistematiche aggressioni contro le basi zapatiste ed i simpatizzanti dell’EZLN, e chiedeva al governo del Chiapas di trovare López Luna, fare luce sulla morte di Méndez López, misure cautelari per il ritorno degli sfollati, una vera investigazione dei fatti, e di disarmare il gruppo di cacicchi. Niente di tutto questo è avvenuto.

Le vessazioni contro i simpatizzanti zapatisti che si oppongono agli arbitri dei cacicchi risalgono al 2009: esproprio di terre, disboscamento illegale, riscossione di imposte senza fondamento, furti, aggressioni fisiche e negazione del diritto all’istruzione. Da allora le autorità non hanno nemmeno tentato di fare giustizia. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/17/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN con gli Yaqui.

Comunicato del CCRI-CG dell’EZLN e del Congresso Nazionale Indigeno in solidarietà con la Tribù Yaqui

 Alla Tribù Yaqui,

Al Popolo del Messico,

Alla Sexta nazionale e Internazionale,

Ai governi del Messico e del Mondo.

Come Popoli indigeni, Nazioni e Tribù che compongono il Congresso Nazionale Indigeno, inviamo il nostro messaggio dal territorio ribelle zapatista nelle montagne del sudest messicano. Con esso inviamo un fraterno saluto di forza e solidarietà ai membri della Tribù Yaqui e al loro Governo e alla Guardia Tradizionale, sperando che stiate tutti bene.

Salutiamo la capacità storica della Tribù Yaqui di difendere la propria esistenza e territorio, che negli ultimi 40 giorni si è manifestata con la creazione di un accampamento di resistenza sulla Strada Internazionale a Vicam, Sede Principale della Tribù Yaqui, contro il furto dell’acqua da parte del governo attraverso la realizzazione dell’Acquedotto Indipendenza, che non riguarda solo gli Yaqui ma l’intero sud di Sonora. Tutto questo nonostante la Tribù Yaqui abbia seguito e vinto tutti i percorsi legali necessari per fermare questo furto, ma che il governo non ha rispettato. La vostra lotta, compagni, è nostra. Noi, come voi, crediamo che la terra è nostra madre e che l’acqua che scorre nelle sue vene non è in vendita, perché da essa dipende la vita che è un diritto, non una cosa concessa dai malgoverni o dagli imprenditori.

Chiediamo l’immediata cancellazione dei mandati di arresto e delle false accuse contro i membri della Tribù Yaqui e condanniamo la criminalizzazione della loro lotta, e diciamo ai malgoverni emanati dai partiti politici, che il fiume Yaqui è storicamente portatore della continuità ancestrale della cultura e del territorio Yaqui, e a nome del Congresso Nazionale Indigeno ribadiamo che un attacco contro uno, è un attacco contro tutti, per cui risponderemo di conseguenza ad ogni tentativo di reprimere questa lotta e qualsiasi altra lotta.

Infine, rivolgiamo un appello alla comunità internazionale e ai nostri fratelli e sorelle della Sexta Internacional affinché vigilino sugli eventi in territorio Yaqui e di unirsi in solidarietà con la Tribù Yaqui e le sue istanze.

Distintamente

7 luglio 2013

Dal Caracol Zapatista numero 2 – Resistencia y Rebeldía por la Humanidad, di Oventic, Chiapas

Mai più un Messico senza di noi

Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comandancia Generale dell’EZLN

Congresso Nazionale Indigeno

Link Comunicato Originale

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Los de Abajo

Inettitudine politica

Gloria Muñoz Ramírez 

Sebbene il governo del Chiapas abbia voluto trarre vantaggio politico dalla scarcerazione di nove detenuti filo-zapatisti dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, la sua inettitudine politica ha provocato un ritardo ingiustificato lasciandoli tre giorni in più dietro le sbarre in attesa che il governatore Manuel Velasco Coello si liberasse dai suoi impegni e potesse recarsi personalmente a liberarli.

Dalla scorsa domenica erano iniziate a correre le voci sulla loro liberazione. Il mercoledì è arrivata la notifica formale e per due volte hanno firmato i verbali di scarcerazione, che però non è avvenuta perché il governo statale preparava un evento politico per la loro consegna, come se fosse una concessione e non un atto con il quale si ristabilisce il diritto violato.

I nove detenuti aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona sono innocenti. Lo sono sempre stati, come lo sono il professore tzotzil Alberto Patishtán ed Alejandro Díaz Sántiz, che restano però in prigione ingiustificatamente. Il deliberato ritardo del tribunale con sede a Tuxtla Gutiérrez, nel risolvere il caso Patishtán, non fa altro che alimentare la sfiducia nelle istituzioni e la possibilità che vogliano risolvere il caso con una soluzione politica che implichi il perdono presidenziale, e non il riconoscimento di innocenza, che è ciò che dev’essere.

La dignità e l’interezza con le quali i nove indigeni sono usciti di prigione hanno mostrato il frutto della loro organizzazione. Nessuno di loro era attivista né militante prima di essere arrestato. Sono diventati simpatizzanti zapatisti in prigione, al passaggio dell’Altra Campagna. E, senza dubbio, è stata determinante la mano del professor Patishtán nella loro politicizzazione. Oggi è l’organizzazione a rimetterli in libertà, e questo è un chiaro messaggio per il resto dei carcerati dello stato.

È la loro trasformazione da vittime a individui attivi in lotta per i propri diritti ciò che pone i loro familiari in un’altra logica, ciò che convoca la solidarietà internazionale, ciò che, insomma, li libera ancor prima di uscire di prigione. In questo senso, l’Altra Campagna di allora (oggi conosciuta solo come La Sexta), segna un altro successo, invisibile come la maggioranza dei risultati ottenuti.

Qui non vedo croci, ci disse alcuni mesi fa Alfredo, ed usciremo vivi. Questo venerdì è stato il giorno. E, in strada, oltre a ribadire la loro decisione di continuare a lottare per la libertà di Patishtán e del resto dei loro compagni; hanno ringraziato le persone ed i gruppi nel resto del mondo per aver fatto dei loro casi una causa comune per la giustizia.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 5 luglio 2013

Liberati nove indigeni in Chiapas; Patishtán resterà in prigione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 luglio. È la terza volta che Alberto Patishtán Gómez vede uscire i suoi compagni di prigione, dopo una lunga e dolorosa lotta insieme per riacquistare non solo la libertà, ma la dignità rubata, gli anni persi senza motivo né colpa. È la terza volta che resta dentro. 

Infine, questo pomeriggio sono stati liberati nove detenuti aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dopo tre giorni in attesa che si realizzasse la decisione del governo statale. Erano da molti anni in lotta pacifica, uno sciopero della fame, numerose notti di solitudine e disperazione. Per la loro liberazione (o meglio una correzione del sistema di giustizia imperante in Chiapas, una chiamata dall’erta), hanno dovuto ancora aspettare. Da martedì avevano un piede nella staffa, ma niente. Fuori, sotto la pioggia o il sole, hanno aspettato per due giorni le loro madri, mogli, figli, con irrefrenabile incredulità.

Il governatore Manuel Velasco Coello è arrivato via terra da Tuxtla Gutiérrez, alle 18:15, fino al carcere di Los Llanos, nella zona rurale di San Cristóbal, per consegnare agli indigeni i verbali di scarcerazione, dopo essere entrato nella prigione ed aver parlato con ognuno di loro.

Poi, il professor Alberto Patishtán Gómez, che resterà in prigione insieme ad Alejandro Díaz Sántiz, ha varcato per qualche metro le porte della prigione per ”consegnare” ai loro familiari i compagni scarcerati: ”Vi consegno i compagni; io resto ancora qui, ma non bisogna perdere la speranza”, ha detto sorridente e fiducioso, prima di voltarsi e tornare in prigione, accompagnato dal governatore e da un nugolo di funzionari e guardaspalle.

Le persone che questo giovedì hanno lasciato la prigione statale numero cinque, sono: Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Juan Díaz López, Rosa López Díaz, Alfredo López Jiménez, Juan López González y Benjamín López Díaz. Una volta fuori, Pedro López Jiménez ha dichiarato: “Questa è la vittoria di tutti, non solo nostra o vostra”‘, rivolgendosi alle famiglie indigene ed ai simpatizzanti solidali della società civile che liaspettavano. Alcuni di loro sono stati vicni per anni ai detenuti.

“Continueremo a lottare. Non ci fermeremo, né abbandoneremo il compagno Alberto che resta dentro”, ha aggiunto Pedro ai piedi di un masso dove striscioni e voci gridavano “libertà per i prigionieri politici”. Alcune decine di persone hanno abbracciato e salutato in lacrime gli otto uomini e Rosa, l’unica donna del gruppo scarcerato, che a causa delle torture subite durante il suo arresto nel 2007, ha perso un figlio, tra altre cose.

Rosario Díaz Méndez, della Voz del Amate, ha detto: “Continueremo a lottare fino ad ottenere la liberazione del compagno Alberto e di tutti i compagni in carcere”. Anche lui esce riconosciuto innocente. Otto anni dopo il “l’errore”‘ giudiziario che lo aveva condannato a 30 anni per due gravi delitti (mai commessi). Sua moglie non smetteva di abbracciarlo. Sono la coppia più grande, gli altri sono più giovani. 

I nove hanno lasciato la prigione come risultato di uno sforzo collettivo di anni, in molti paesi, soprattutto di loro stessi dentro le prigioni, dove la Voz del Amate e Solidarios de la Voz de Amate sono diventati difensori dei diritti della popolazione carceraria. Nel caso di Los Llanos, con il loro pacifico coraggio civile hanno trasformato la vita dentro la prigione. Se mancherà loro qualcuno, saranno gli altri carcerati. 

È stato un evento politico. Una vittoria degli indigeni che, la maggioranza alla mercé degli avvocati d’ufficio, hanno dimostrato di avere ragione (lo conferma la loro liberazione) sui poliziotti che li hanno arrestati ed anche torturati, sugli agenti del Pubblico Ministero che li hanno consegnati pur sapendoli innocenti, sui giudici che li hanno condannati, sui politici che hanno cavalcato la protesta di questi tzotzil e tzeltal di diverse provenienze.

A sera, gli indigeni liberati si sono recati nella cattedrale di San Cristóbal, come avevano promesso, per visitare la tomba del vescovo Samuel Ruiz García, il loro Tatic. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/05/politica/009n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Alberto Patishtán Gómez risponde all’invito alla Escuelita Zapatista 

Carcere No. 5, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 30 giugno 2013 

FRATELLI SUBCOMANTES INSURGENTES
MARCOS E MOISES 

            Da questo luogo della nostra trincea, mando il mio saluto combattente, e nello stesso tempo Dio vi benedica.

            Compagni è un onore per me il privilegio di ricevere l’invito alla scuola, perché ne abbiamo davvero bisogno per continuare a camminare insieme, grazie di questa grande opportunità che sarà molto utile. Come sapete non c’è strada migliore dell’Amore. L’Amore unifisce, condivide, dispone al servizio, è compassionevole, persegue il bene comune, è sincero, onesto, sa ascoltare, è paziente, dice sempre la verità, aborre la bugia, gioisce della giustizia, parla poco e quando parla, parla fino a far tremare i contrari, si dimentica di sé stesso, infine l’Amore scaccia la paura. Bene fratelli, grazie per le vostre lezioni ed anche per il poco che ho vissuto arricchisco le mie conoscenze per continuare a combattere il nemico; tutto questo ci fa uno solo, e tutti siamo uno nel reclamare la giustizia. Compagni, Dio vi benedica e tanti saluti dai miei fratelli della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate. 

FRATERNAMENTE.

Prigioniero politico della Voz del Amate

Aderente alla Sexta

Alberto Patishtán Gómez 

Link alla lettera originale

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La situazione in Messico

da: LaPirata http://lapirata.indivia.net/

Messico Attuale – Prima Parte

Messico Attuale – Seconda Parte

Il ritorno al potere del dinosauro PRI, partito onnipresente nella storia post-rivoluzionaria del Messico rappresentato da un presidente dal passato oscuro erede della classe politica che da Carlos Salinas de Gortari in poi ha consegnato il paese nelle mani delle imprese straniere, intrappolandolo nelle maglie del neoliberismo. Enrique Peña Nieto ha preso il potere il primo di dicembre, giornata in cui ci sono state enormi proteste contro il colui che fu il mandante della repressione di Atenco del 2006, proteste violentemente represse, specchio di una “nuova” strategia politica che tende a dividere la gente tra buoni e cattivi, giustificando così repressioni spietate

Seconda parte: Pacto por Mexico, una serie di accordi sottoscritti dai tre maggiori partiti per articolare una lunga serie di riforme tese ad un discutibile modello di sviluppo. Tra le varie riforme messe in atto quella che al momento sta sollevando maggiori proteste è quella della scuola: in tutta la federazione maestri e studenti si sono mobilitati; in questa analisi si riporta brevemente quanto avvenuto nel DF e nello stato di Guerrero.

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La Jornada – Mercoledì 3 luglio 2013

Indigeni tzeltal bloccano la strada Ocosingo-Palenque 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Sebastián Bachajón, Chis., 2 luglio. Centinaia di uomini e donne – vestite secondo l’usanza tzeltal, con fiori ricamati sulla blusa e nastri colorati sulle gonne – sotto il sole e sotto la pioggia bloccano con tre grandi striscioni la strada Ocosingo-Palenque, a pochi metri dalla deviazione per le cascate di Agua Azul. Anche di persona bloccano la strada e danno informazioni; e se non bastasse, hanno posto rami e bastoni sull’asfalto.

La protesta che causa lunghe code di veicoli fermi, è sintetizzata nel più semplice degli striscioni: “Il malgoverno è responsabile della morte del compa Juan Vázquez Guzmán. No all’esproprio delle nostre terre. Libertà immediata dei nostri prigionieri Antonio Estrada Estrada e Miguel Demeza Jiménez. Libertà immediata per Alberto Patishtán e gli altri prigionieri politici in Chiapas”. Siglano con Evviva ai popoli in resistenza ed i caracoles zapatisti.

“Lasciamo passare i malati e le emergenze”, spiega uno degli ejidatarios incaricati della mobilitazione – nel proprio territorio ejidal – degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Ogni due ore fanno passare auto bus. Ad intervalli gli indigeni leggono al megafono il loro manifesto nel quale chiedono giustizia per l’omicidio del loro leader, rispetto per la loro integrità territoriale e libertà per i compagni in prigione.

Non è l’unico blocco stradale del giorno. Da Tuxtla Gutiérrez a San Cristóbal de las Casas, Ocosingo e Palenque, elementi della Alianza Mexicana de Organizaciones de Transportistas (AMOTAC) bloccano le strade del Chiapas con grossi camion messi di traverso. Ma solo il blocco stradale degli ejidatarios tzeltal è un meeting politico in situ: queste stesse sono le terre che stanno difendendo. 

Approfittando della coda di veicoli che aspettano di passare, bambine e donne dei paraggi vendono frutta, cibi fritti e bibite. Aire fresco, aire fresco [Aria fresca, aria fresca, – n.d.t.] offre una ragazzina, e visto il caldo di mezzogiorno non sembra una brutta idea. Ma la realtà è che i tzeltal non pronunciano la lettera erre, e la bambina vuole dire: Hay refresco, hay refresco [Bibite, bibite – n.d.t.] ed il secchio che porta lo conferma.

Su un volantino con il volto del dirigente assassinato in aprile, da un lato in castigliano e l’altri in inglese imperfetto, gli ejidatarios insistono nella liberazione di Antonio e Miguel, sequestrati in prigione, ed informano la gente (ci sono turisti di diverse nazionalità, e popolazione locale) che dal febbraio del 2011 il governo si è impadronito illegalmente delle loro terre comunali per imporre i suoi progetti capitalisti.

Lo stesso giorno, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) si è unito alla richiesta di giustizia per Juan Vázquez Guzmán ed alla lotta di Bachajón, con questa dichiarazione: Juan, insieme a migliaia di ejidatarios di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione, si è distinto per la lotta in difesa del territorio nonostante le rappresaglie del governo.

Il Frayba rileva che il suo omicidio ha reciso un ramo del grande albero della lotta cosciente e degna del popolo chol e tzeltal della regione; tuttavia, questo ramo ha lasciato orme e percorsi, ha spianato il processo e rinasce in altre ed altri compagni che si uniscono alla difesa del loro popolo nella costruzione dell’autonomia e della libera determinazione. 

L’organizzazione civile esorta il governo del Messico ad adottare immediatamente ed urgentemente le misure necessarie per garantire il diritto alla vita, all’integrità ed alla sicurezza personale, ai membri dell’ejido di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione, così come ai difensori dei diritti umani che svolgono il loro lavoro a beneficio del territorio e della vita. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/03/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 1° luglio 2013

Settimana mondiale in memoria dello zapatista assassinato a Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 giugno. In solidarietà con la lotta degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, comincia oggi, e fino a martedì prossimo, una settimana mondiale in memoria del rappresentante indigeno Juan Vázquez Guzmán, assassinato in aprile, e perché la lotta di Bachajón prosegue.

Nella capitale della Nuova Zelanda, il Wellington Zapatista Group ha realizzato una veglia con candele e fiori di fronte alla missione diplomatica del Messico e consegnato all’ambasciatrice Rosaura Leonora Rueda Gutiérrez una petizione al governo di Enrique Peña Nieto: affinché gli assassini di Guzmán compaiano davanti alla giustizia e si ponga fine agli abusi flagranti dei diritti delle comunità tzeltal di San Sebastián Bachajón, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Collettivi di Parigi e Tolosa, Francia, hanno annunciato il loro sostegno alla lotta dell’ejido contro il progetto turistico di Agua Azul sul loro territorio e l’esproprio delle loro proprietà. Denunciano la violenza dispiegata dai gruppi paramilitari collusi con le autorità.

Rispetto a Juan, riconoscono che ha dedicato la vita alla difesa del suo territorio e che il suo è chiaramente un omicidio politico sotto il comando del malgoverno. Sostengono che il crimine non fermerà la resistenza e la determinazione di fronte all’attacco del governo, burattino delle multinazionali.

Venerdì, gli indigeni aderenti alla Sesta hanno ringraziato in particolare il Movimento del Barrio di New York, promotore di questa settimana di protesta. Simultaneamente si sono svolti eventi di solidarietà in Colombia, Inghilterra (Dorset e Londra), Germania (Berlino) e Stati Uniti, e in diverse parti del Messico (Puebla, Veracruz, Michoacán e Distrito Federal).

Gli attivisti neozelandesi nella loro lettera dicono al governo messicano: “Abbiamo seguito con preoccupazione le risposte dei governi federale, statale e municipale (di Chilón) alla resistenza civile degli ejidatario di San Sebastián in difesa delle proprie terre.

Dal 2007 subiscono violenze e repressione da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e organizzazioni paramilitari. La loro resistenza all’esproprio di terre tradizionalmente tzeltal per progetti transnazionali, in particolare nel sito delle cascate di Agua Azul, li ha collocati sulla linea di fuoco di chi vuole le loro terre con fini di lucro.

I tentativi combinati di dissolvere la comunità e la sua resistenza sono iniziati nel 2009, con la detenzione di otto ejidatarios e l’aggressione contro il loro avvocato in un posto di blocco paramilitare. Due anni più tardi, 117 ejidatarios sono stati catturati dalla polizia per un tentativo di sgombero del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul, e una decina di loro sono rimasti in carcere senza alcun fondamento”.

La lettera continua: Repressione e violenza sono state accompagnate da abusi legali e giudiziali, condanne della Corte, negazione dei diritti ed arresti e sgomberi per tutto il 2011, favorendo la presa di controllo delle terre, di proprietà collettiva, da parte delle autorità.

I continui assalti all’autonomia di Bachajón sono culminati la notte del 24 aprile 2013 con l’omicidio di Vázquez Guzmán sulla porta di casa. Il segretario generale dei tre centri abitati dell’ejido è stato crivellato con sei colpi d’arma da fuoco, e nessuno è stato accusato.

I solidali neozelandesi chiedono la tutela delle terre di proprietà collettiva degli indigeni, così come l’indagine esaustiva sulla morte di Vázquez Guzmán e la liberazione di Antonio Estrada Estrada, in carcere a Playas de Catazajá, e Miguel Demeza Jiménez, recluso a El Amate, anch’essi aderenti alla Sesta dell’ejido. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/01/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 Los de Abajo

Patishtán, causa mondiale

Gloria Muñoz Ramírez

Oggi nessuno può negare la sua innocenza. Sono state presentate tutte le prove che avallano la sua estraneità all’imboscata in cui morirono sette poliziotti e due risultarono feriti; è stato dimostrato il cumulo di irregolarità nel suo processo. Il suo caso concentra la discriminazione, l’oltraggio e l’autoritarismo della giustizia in Messico, in particolare quando si tratta di indigeni.

Si dice che il professore tzotzil Alberto Patishtán, detenuto da 13 anni a scontare una condanna a 60 anni, in queste settimane sia di fronte all’ultima opportunità di uscire libero. Ma l’ultima opportunità non è per il difensore dei diritti indigeni in Chiapas, ma per il sistema di giustizia messicano, in concreto, del tribunale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, istanza che ha accolto il caso dopo il rifiuto della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN).

Originario della comunità di El Bosque, municipio di Simojovel, negli Altos del Chiapas, il professore è stato condannato per i reati di criminalità organizzata, omicidio aggravato, porto d’armi di uso esclusivo dell’Esercito e lesioni aggravate. La mancanza di traduttori durante il processo, le bugie dimostrate dei testimone, l’assenza di prove ed un’infinità di irregolarità giuridiche, hanno provocato l’indignazione internazionale. Oramai il suo caso non appartiene più al Messico, ma è una causa mondiale.

E proprio per la sua internazionalizzazione, la Confederazione Generale del Lavoro (CGT), dello Stato spagnolo, ha presentato un amicus curiae alle istanze messicane, nel quale concludono che il professor Patishtán è stato condannato ingiustamente, senza salvaguardia delle minime garanzie e diritti secondo la legislazione internazionale e nazionale, concludendo che in presenza di tutti gli elementi concomitanti non resta che stabilire che Alberto Patishtán è stato condannato senza il dovuto rispetto delle norme di applicazione per il suo caso, in violazione dei suoi diritti umani, e secondo diritto non resta che la revoca della sua condanna e la sua conseguente messa in libertà.

Il riconoscimento di innocenza è il giusto procedimento nel caso Patishtán, e di conseguenza la sua immediata liberazione. Il tribunale collegiale, senza dubbio, ha l’ultima opportunità di dimostrare che i processi servono a qualcosa in questo paese. Alberto Patishtán è innocente ed il suo caso non si vede perché dovrebbe avere una soluzione politica, cioè, l’indulto presidenziale, perché? Di che cosa lo perdonano? Non è, dunque, compito del Potere Esecutivo, bensì del Potere Giudiziale, metterlo in libertà.

http://desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI V.

LE/GLI STUDENT@.

Giugno 2013 

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista: 

Compagni, compagne e compagnei: 

Vi mando qui qualche dato per darvi un’idea del tipo di plebe… err, di persone che saranno i vostri condiscepoli, o compagn@ di studio, nella Escuelita Zapatista. Ecco:

– Inviti spediti: circa 3 mila.

– Hanno accettato l’invito: circa 2500.

– Non hanno ancora risposto: circa 500.

– Hanno respinto l’invito: 1.

– Di coloro che hanno compilato il modulo di iscrizione, poco più della metà sono maschi, poco meno della metà sono femmine (cioè, gli uomini vincono – nota del Supmarcos che, come si dice, fornisce una “prospettiva di genere”-), oltre ad un numero imprecisato di altr@ che si rivendicano tali.

– Gli alunn@ che frequenteranno la scuola in comunità nelle date di agosto 2013, sono 1.500. Più della metà sono maschi (ehm, ehm), meno della metà sono femmine e 9 si rivendicano altr@.

Di quest@ 1.500 studenti, più di 60 sono bambini e bambini minori di 12 anni. Di questi oltre 60 bambini, 19 hanno meno di 4 anni. Attenzione al seguente dato: Per ogni bambina, ci sono 2 bambini: Ovvero, anche tra i minorenni vinciamo noi – nuovo commento di “prospettiva di genere” del Supmarcos -.

Degli oltre 1.400 adulti che verranno in comunità, più di 200 hanno più di 50 anni.

– Circa 200 persone, nel mese di agosto 2013, frequenteranno il corso presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

– Più di 200 persone parteciperanno al corso in videoconferenza.

– Più di 130 persone hanno chiesto i materiali perché non possono frequentarlo in comunità.

– Circa 500 persone hanno chiesto l’iscrizione al corso per dicembre-gennaio prossimi. Attenzione: se non vi è arrivato l’invito, è a causa dell’esaurimento dei posti, ma ve lo manderemo. Potete mandare una email alla pagina web affinché siate registrati, se ci è sfuggito, nella lista per il corso successivo.

– Ci saranno studenti dei 5 continenti. Questi, alcuni dei paesi di origine degli studenti al corso La Libertad según l@s Zapatistas: Argentina, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, Stati Uniti, Honduras, Nicaragua, Panama, Perù, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Uruguay, Venezuela, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Slovenia, Spagna, Francia, Grecia, Olanda, Italia, Paesi Baschi, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Corea del Sud, India, Iran, Sri Lanka, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Canarie.

Il luogo d’origine più lontano degli studenti è lo Sri Lanka, ad oltre 17 mila chilometri dal territorio zapatista. Seguono: India (più di 15 mila chilometri); Australia (più di 13 mila chilometri) e Nuova Zelanda (più di 11 mila chilometri).

– Gli studenti più grandi hanno più di 90 anni.

– Gli studenti più piccoli compiranno 11 mesi ad agosto 2013. E sono, of course, 2 maschi. I loro nomi: Brian e Eduardo.

– Tra coloro che parteciperanno come studenti, almeno 34 hanno una laurea in diversi campi: filosofia, sociologia, storia, antropologia, letteratura, scienze politiche, fisica, matematica, psicologia, economia, urbanistica, e teologia.

– Più di 50 studenti sono professori-ricercatori universitari.

– Divers@ studenti hanno vinto tornei di Mortal Kombat alle macchinette. Non diciamo i nomi né “nicknames” per proteggere gli innocenti (cioè i maschi, ed anche qui siamo in maggioranza. Amen).

– Alcune delle istituzioni di Scuola Superiore dove alcuni dei compas, adesso studenti della escuelita zapatista, studiano, hanno studiato, lavorano o sono stati professori-ricercatori:

Escuela Normal Superior.

Universidad Nacional Autónoma de México, Messico.

Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales, Messico.

Escuela Nacional de Antropología e Historia, Messico.

Universidad Nicolaíta de Michoacán, Messico.

Universidad Autónoma de Puebla, Messico.

Universidad de Ciencias y Artes de Chiapas, Messico.

Centro de Estudios de México y Centroamérica, Messico.

Universidad Autónoma Metropolitana, Messico.

Instituto Nacional de Antropología e Historia, Messico.

Universidad Iberoamericana, Messico.

Universidad Autónoma de Chiapas, Messico.

Instituto Tecnológico de Monterrey (TEC-Monterrey), Messico.

Universidad Autónoma de Sonora, Messico.

Universidad de Chapingo, Messico.

Universidad de la Tierra Chiapas, Messico.

Universidad de la Tierra Oaxaca, Messico.

Universidad Autónoma de la Ciudad de México (UACM), Messico.

Universidad Autónoma de Zacatecas (UAZ), Messico.

Universidad Autónoma de Aguascalientes (UAA), Messico.

Instituto Politécnico Nacional (IPN), Messico.

Escuela Superior de Guerra, Messico.

Instituto Maurer, Messico.

University of Cambridge, Inghilterra.

University of Oxford, Inghilterra.

École Nationale de Sciencie Politique, Parigi, Francia.

Università delle Nazioni Unite, dell’UNESCO.

University of California, Berkeley, USA.

Stanford University, Calfornia, USA.

University of Chicago, USA.

University of Maryland, USA.

Columbia University, New York, USA.

Yale University, USA.

National Humanity Center, Carolina del Norte, USA.

Université de Toulouse, Francia.

Universidad Nacional Mayor de San Marcos de Lima, Perù.

State University of New York at Binghamton: Fernand Braudel Centre, USA.

Centro ‘Juan Marinello’ de La Habana, Cuba.

Columbia’s Institute for Scholars at Reid Hal, Parigi. Francia.

Universidad de Antioquia, Colombia.

Claremont Graduate University, California, USA.

City University of New York, USA.

Smith University, USA.

Mount Holyoke College, USA.

University of Massachusetts Amherst, USA.

New Hampshire University, USA.

Humanities Research Institute de la Universidad de California, USA.

Drew University, USA.

Harvard University, USA.

Univerza V Ljubljana, Slovenia.

University of California Riverside, USA.

University of Utah, USA.

Universidad de La Habana, Cuba.

CIMI, Brasilia, Brasile.

University of Edimburgo, Gran Bretagna.

McGill University, Canada.

Duke University, USA.

École des Hautes Études en Sciences Sociales, Parigi, Francia.

University of New Mexico, USA.

Universidade Federal do Río de Janeiro, Brasile.

Université Paris- Sorbonne, Francia.

Universidad del País Vasco, Paesi Baschi.

Universidad de la Laguna, Canarie.

– Alcun@ di quest@ ora studenti della scuola zapatista hanno i loro scritti tradotti in: Tedesco, Catalano, Cinese, Coreano, Spagnolo, Francese, Galiziano, Greco, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Rumeno, Russo e Turco.

– Console videogiochi su cui alcuni dei nostri imbattibili compas hanno vidimato la loro supremazia con la combo “mega-super-duper-hiper fatality-machoman” (ecco!, niente angry birds e cose da bambine): Macchinette del bar del quartiere, Atari, Sega, Xbox, GameCube, GameBoy, Xbox360, PSP, PS1, PS2, PS3, PS4, PS5… eh?… non c’è la PS5?… ok, ok, ok, errore di stampa. Proseguo: PSVita. Nintendo 64, Wii, WiiU, Nintendo 3DS.

– Più di 100 studenti sono attori, attrici, direttori, musicisti, promotori, pittori, caricaturisti, fotografi, promotori culturali, scrittori, editori, politici, avvocati, sindacalisti e attivisti sociali.

– In generale, dopo un’attenta analisi con le più pre-moderne squadre di intelligence, riguardo agli studenti vi posso dire che un numero non precisato di persone che frequenteranno la scuola – bisogna vederli per contarli – sono sporche, brutte e cattive.

Indipendentemente dalla loro età, credo, colore, peso, cervello e sesso, si sono comportati per tutta la loro vita con assoluta irresponsabilità di fronte al Potere in ogni sua forma; hanno ricevuto il ripudio dei rispettivi circoli sociali per il loro ostinato anticonformismo; hanno scandalizzato le coscienze belle ed i poliziotti del comportamento; hanno reiterato la loro ribellione e la loro passione per la libertà nonostante le circostanze; ed hanno militato secondo la propria coscienza e non secondo le mode. In sintesi: non si sono venduti, non hanno claudicato, non si sono arresi.

Vi avverto perché poi non vi lamentiate che si parli male di voi perché frequentate “brutte compagnie”.

Ah, vero, l’immensa maggioranza delle persone che parteciperanno come studenti sono uomini, donne, bambini, bambine, anziani, anziane, ragazzi e ragazze, che hanno qualcosa di straordinario di cui noi, zapatisti e zapatiste, ringraziamo: sono nostr@ compas.

E non ho scritto tutte e tutti, perché non manca mai qualche infiltrata o infiltrato che viene a vedere se per caso stiamo facendo addestramento militare, invece di insegnare il nostro cuore. 

Bene. Salute e che sia benvenuto il cuore generoso che ci apre le sue finestre. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, Giugno 2013

P.S. CHE FESTEGGIA. – Festeggiare che, per la prima volta in quasi 20 anni di vita pubblica zapatista, i maschi superano le femmine… eh?… ok, ok, ok, le superiamo solo in quantità… per adesso… Che cosa? Certo che non ho barato! Non sono capace… No, i conti li ha fatti una donna della squadra di appoggio… eh?… No, nella squadra di appoggio le donne non sono in maggioranza… o sì?… Beh, non è questo il tema, il punto o la questione.

Proseguo: per celebrare questo fatto che conferma la superi… eh?… ok, ok, ok… per celebrare che l’equità di genere ci favorisce ai punti, abbiamo istituito il premio “I PAPERI SPARANO AI FUCILI”, che può essere vinto solo dai maschietti… eh?… ok, ok, ok… da bambini e bambine minori di età cronologica (perché ho visto la lista e ce ne sono diversi di età mentale infantile). Il premio consiste in un coupon che i bambini… ok, anche le bambine,… possono scambiare con uno dei maestri… già,… o maestre della scuola. Con questo coupon potranno punire le loro mammine… cosa?… anche i papini?… ma se le punizioni te le danno sempre le mamme!, e questo è un buono, come dire?, per una rivincita, “una de cal por las que van de arena”, “tú te lo queres, tú te lo ten” [modi di dire messicani “una vendetta per ogni volta che sei stato punito”, “te la sei voluta, allora prenditi questa” – n.d.t.], ecc. Va bene, anche i papini… ma con le attenuanti… ok, ok, ok, senza attenuanti. Infine, che il maestro… o la maestra, punirà le mamme dei bambini che vincono il premio. Perché? Per essersi comportati male. Sì, anche se non si sono comportati male, perché a volte ci puniscono senza che ci siamo comportati male… e poi ci sculacciano, da innocenti. Sì, noi maschi, perché le bambine sono sempre colpevoli. Eh? Non interrompetemi perché devo finire questo comunicato per spedirlo.

Per vincere il premio, i bambini devono scegliere una delle risposte seguenti relative al video che viene dopo e che si chiama “Carlitos Lechuga y el Drama del Globito“. La domanda è:

Di chi è la colpa se Carlitos Lechuga perde il suo palloncino?

a).- Il globo, ovvero la globalizzazione neoliberale.

b).- Le donne.

c).- La televisione ed i malgoverni.

Il bambino che risponderà correttamente (senza copiare e senza chiedere aiuto a nessuno) riceverà un coupon di “I PAPERI SPARANO AI FUCILI”, valido solo in territorio zapatista e solo una volta nel periodo dal 12 al 17 agosto 2013 (autorizzazione della Giunta di Buon Governo numero 696969). Alle bambine, indipendentemente dalla loro risposta, verrà dato un ceffone… Nah, è uno scherzo, non saranno picchiate ma, invece del coupon, verrà dato loro un grafico, dimensione poster, dove si vede che i bambini sono maggioranza… sì, per aiutarle nella loro formazione, come si dice, “di genere”.

Attenzione mammine, papini e tutori: non vale barare (niente “la C mijo la C”); né scambiare il coupon con un altro che esime dal mangiare la zuppa di zucca.

Ho detto tutto.

Per equità di genere con punteggio 2-1 a beneficio di noi maschi, cioè i veri maschi.

El SupMarcos

Diploma per Corrispondenza di Pilota Aviatore e Nuoto Sincronizzato (per la Forza Aerea Zapatista), promosso con i più alti onori accademici del Machist Institute Apology Research (MIAR, la sigla in inglese), con sede nelle montagne del Sudest Messicano, ultimo bastione di resistenza contro la dominazione della donna nel mondo mondialmente mondiale. Il sopraccitato (cioè, io medesimo) attualmente insegna nel prestigioso istituto, alla facoltà: “Il problema è cominciato quando nostra madre Eva ha manipolato nostro padre Adamo…” Iscrizioni aperte, numero illimitato. Lo slogan del MIAR è “Riprenderemo il controllo, anche fosse solo quello del telecomando della televisione o Ni hablar mujer, traes puñal”. Eh? L’inno? Hai indovinato se pensi a “Che ti ha dato quella donna”, di Gilberto Parra Paz, interpretata da Pedro Infante nel film dello stesso titolo. Allora! Cantate o vi spappolo! Evvaiii!

In fede… eh?… ma sta piovendo!… ok, ok, ok,… dopo aver lavato i miei vestiti, in fede… eh eh eh, eh, non ho detto che avrei lavato la mia roba tenendola addosso, ma improvvisamente si è messo a piovere?.. mmm… è utile che mi bagni, così risparmio il sapone…

Eh? No, se vedono che mi nascondo… poi mi trovano. Haiga cosa. ¡Arriba elnorti, jijiñor!

Ora sì: in fede.

Io medesimo.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Dal miglior telegiornale al mondo, “31 Minutos”, il pezzo “Carlitos Lechuga y el Drama del Globito”. Attenzione bambini al di sotto dei 12 anni: è indispensabile guardare questo filmato per concorre al premio “I Paperi Sparano ai Fucili”. http://www.youtube.com/watch?v=iXR61NpZ2JM&feature=player_embedded

Pedro Infante e Luis Aguilar cantano, di Gilberto Parra Paz, “Che ti ha dato quella Donna”, inno del MIAR, nel film con lo stesso titolo, anno1951: http://www.youtube.com/watch?v=F382KLKKDEE&feature=player_embedded

Di Manuel Esperón “Mi Cariñito”, con Pedro Infante nel film “Dicen que soy mujeriego” (bugia, se non è parlato, non ci credono). Canzone dedicata alla nonna degli zapatisti, María Luisa Tomassini (che ha detto che viene), alle nostre stimate Nonne di Plaza de Mayo e a tutte le madri dei desaparecid@s e prigionier@ politic@. Guardate bene la Tucita quando è d’accordo a “que sufra el condenado” (Visto?, le educano male fin da piccole): http://www.youtube.com/watch?v=oAtvcN-5oSI&list=PL73DF32B5E99B0F5B&feature=player_embedded

Ok, non sono riuscito a fare la combo fatality, ma qui si vede dove sono arrivato come, of course, “Sub-Zero”: http://www.youtube.com/watch?v=daMpHPIdYCQ&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=jXY3Y27FLEU 

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI IV.

NON CI SARANNO I NOSTRI MAESTRI.

 Giugno 2013 

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista: 

Compagni, compagnei, compagne: 

Credo davvero che avrete come compagn@ di scuola quanto di meglio al mondo.

Ma sicuramente, quando sarete in queste terre in resistenza, mancherà la presenza di chi è stato, ed è, molto importante per noi zapatisti. Chi ci ha sempre accompagnato e guidato e insegnato col suo esempio. Chi, come molti altre ed altri in ogni angolo del mondo, non è dell’EZLN. Alcuni sono della Sexta, altri del Congresso Nazionale Indigeno, molti altri hanno costruito proprie case, tuttavia, percorrono la nostra stessa strada. Tutti loro, in un modo o nell’altro, sono compartecipi dei nostri successi, per grandi o modesti che siano.

Dei nostri errori e fallimenti, che non sono né pochi né piccoli, siamo noi i soli responsabili.

Perché forse vi domanderete chi o come ci ha insegnato a resistere, lottare, perseverare.

E, soprattutto, vi domanderete perché non sono seduti al vostro fianco come altri studenti, i popoli originari del Messico e del Mondo, in particolare dell’America Latina.

La risposta è semplice: perché loro sono stati, e sono, i nostri maestri.

Dunque, non ci saranno i primi, coloro sul cui sangue e dolore si è costruito il mondo moderno: i popoli originari.

Non saranno vostri condiscepoli i popoli indigeni né le loro organizzazioni più rappresentative.

Non li abbiamo invitati alla scuola.

Forse vi chiederete se siamo impazziti, o se è una sporca manovra, tipo politici di sopra, per soppiantare i popoli indios e presentare noi stessi come IL popolo indigeno per eccellenza.

No, non li abbiamo invitati semplicemente perché non abbiamo niente da insegnare loro.

Potremmo insegnare ai popoli indios cosa significa essere trattato da estraneo nelle terre che furono nostre, prima ancora che il mondo iniziasse l’ingannevole conto della storia di sopra, e nel nostro cielo si imponessero bandiere straniere?

Insegneremmo loro cosa si prova ad essere oggetto di scherno per l’abbigliamento, per la lingua, per la cultura?

Insegneremmo loro cosa significa essere sfruttati, spogliati, repressi, disprezzati per interi secoli?

Cosa potremmo insegnare noi ai fratelli della Tribù Yaqui e Mayo Yoreme su cosa rappresenta il furto delle risorse naturali e la necessaria resistenza di fronte al saccheggio?

Che cosa al Kumiai, al Cucapá, al Kikapú, al Pame, su cos’è vedersi perseguitato fin quasi allo sterminio e, comunque, persistere?

Che cosa al Nahua, le sue terre invase da compagnie minerarie e funzionari corrotti e, sprezzante della persecuzione e della morte, continuare la lotta per cacciare gli invasori con la bandiera del denaro?

Che cosa al Mazahua ed al Ñahñu su cosa si prova ad essere deriso per l’abbigliamento, il colore, il modo di parlare e, invece di vergognarsi, riempire il vento di suoni e colori?

Che cosa insegneremmo ai Wixaritari sulla distruzione e l’esproprio della cultura con l’alibi del “progresso”, e resistere, con la guida dei vecchi saggi?

Insegneremmo al Coca, al Me´hpaa, al Teneke a non arrendersi?

All’Amuzgo a lottare per i suoi diritti?

Ai Maya insegneremmo cos’è l’imposizione, con la forza, il furto e la criminalizzazione, di una cultura estranea che soggioga l’originale?

Al Purépecha parleremmo del valore della vita della cultura indigena?

Al Popoluca, Zapoteco, Mixteco, Cuicateco, Chinanteco, Chatino cosa rappresenta continuare a lottare avendo tutto contro?

Al Rarámuri cos’è la fame mal repressa e la dignità imbattibile?

E nella dolorosa America Latina:

Potremmo insegnare qualcosa ad uno dei nostri saggi fratelli, al popolo Mapuche, su cos’è resistere alla continua guerra di saccheggio e sterminio? A sopravvivere al lungo elenco di bugie, oltraggi e scherni, dipinti di tutti i colori politici di sopra?

E ad ognuno dei popoli originari del Messico, d’America, del Mondo, che cosa potremmo insegnare noi zapatiste e zapatisti, i più piccoli?

Che cosa imparerebbero da noi?

A resistere?

La loro sola esistenza dimostra che possono dare lezioni alla gran scuola del Mondo, non riceverle.

No, non invitiamo i popoli originari alla scuola per la semplice ragione che, nella nostra storia, siamo noi ad essere stati pessimi alunni di questi giganti.

Indubbiamente invieremo loro i materiali. Ma…

Insegneremmo loro com’è vivere in una comunità, sentire com’è avere un’altra cultura, un’altra lingua, un altro modo?

A lottare?

Ad immaginare e creare resistenze?

Nemmeno per sogno.

In ogni caso, dai popoli indios, noi zapatisti abbiamo ancora molto da imparare.

Quindi, loro verranno dopo e noi continueremo ad imparare.

E, quando verranno all’incontro speciale che faremo con loro, suoneranno le nostre migliori note, i più diversi e vividi colori adorneranno il loro passaggio, ed il nostro cuore tornerà ad aprirsi per accogliere i nostri saggi fratelli, i più grandi, i migliori.

Perché onorare chi insegna, è anche onorare la terra.

Verranno nelle nostre case, con loro condivideremo cibo e memorie.

Li eleveremo su di noi.

Eretti sulle nostre spalle, saranno ancora più in alto.

E domanderemo loro che cosa vedono.

Chiederemo loro che, coi loro occhi, ci insegnino a guardare più lontano, più in largo, più in profondità, più in alto.

Che ci arrivi la loro parola e che ne beviamo.

Che ci aiutino a crescere ed essere migliori.

Per loro c’è stato, c’è e ci sarà sempre il nostro miglior abbraccio.

Dunque, non ci saranno i nostri Maestri.

Ma non temete. È certo che questi popoli che sono riusciti a resistere fino ad oggi ad ogni tipo di attacco, sapranno essere generosi e, al momento opportuno, vi apriranno il cuore, come ora facciamo noi.

Perché loro ci hanno insegnato a non guardare i rumori che assordano e accecano.

Perché loro ci hanno insegnato a non ascoltare i colori dell’inganno e del denaro.

Perché loro ci hanno insegnato a guardarli e guardarci, ad ascoltarli e ascoltarci.

Perché loro ci hanno insegnato che essere indigeno è avere la dignità per casa e destino.

Perché loro ci hanno insegnato a non a cadere, ma a sollevarci.

Perché loro ci hanno insegnato il valore di essere il colore che siamo della terra.

Perché loro ci hanno insegnato a non avere paura.

Perché loro ci hanno insegnato che per vivere, moriamo.

 

Bene. Salute e silenzio per ascoltare il passo che viene dal più profondo dei mondi che sono e sono stati nel mondo. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, giugno 2013 

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo. 

Sub-verso, insieme a Portavoz, con il pezzo “Quello che non dirò”, con onore e saluti.  Lunga vita al Popolo Mapuche: http://www.youtube.com/watch?v=1Lm00GF5Faw&feature=player_embedded 

In memoria di Juan Vázquez Guzmán, indigeno tzeltal membro del CNI e aderente alla Sexta, assassinato ad aprile del 2013, in Chiapas, Messico.  Ricordato qui dai suoi compagni dell’Ejido San Sebastián Bachajón, e da tutt@ noi: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=CTaGeF98GEw 

Aho Colectivo, con Venado Azúl, Rubén Albarrán (Café Tacvba), Poncho Figueroa (Santa Sabina), Roco Pachukote (Sonidero Meztizo), Lengualerta, Hector Guerra (Pachamama Crew), Moyenei Valdés (Sonidero Meztizo), Valle González-Camarena, Memo Méndez Guiu e Moi Gallo nella parte musicale, Marcoatl, el Gallo, Benjamin Ramauge, Gaby Fuchs, Damian Mendoza y Jose Matiella, dejando claro que ¡WIRIKUTA NO SE VENDE, WIRIKUTA SE DEFIENDE! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=YQcyxH9q55c 

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 24 giugno 2013

Si chiede giustizia per il leader assassinato a Bachajón

Hermann Bellinghausen 

Gli ejidatarios tzeltal aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, chiedono giustizia e non impunità per l’assassinio del loro leader Juan Vázquez Guzmán, avvenuto il 24 aprile sulla porta di casa; omicidio legato direttamente col suo ruolo nell’opposizione al progetto di “megaturismo” alle cascate di Agua Azul e nella difesa della porzione di territorio di San Sebastián occupata dalla forza pubblica con interventi  illegali e la complicità delle autorità dell’ejido.

Chiedono inoltre la liberazione di tre loro compagni (Antonio Estrada, Miguel Vásquez e Miguel Demeza) in carcere con accuse ridicole che mettono a nudo lo stato della giustizia chiapaneca, in particolare dei pubblici ministeri e dei governi municipali (in questo caso, che non è l’unico, quelli di Chilón ed Ocosingo).

La Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) ha recentemente notificato agli ejidatarios che, a fronte della loro richiesta di misure cautelative inviata il 26 maggio, ha inviato al governo messicano una richiesta di informazioni sull’esproprio dell’ejido, sulle aggressioni e le minacce.

Il prossimo martedì è prevista l’udienza del ricorso 274/2011 davanti al giudice di Tuxtla Gutiérrez per decidere per la seconda volta sull’esproprio delle terre del villaggio di Bachajón, dopo che la prima sentenza è stata dichiarata illegale dal Terzo Tribunale Collegiale, con revisione 118/2013.

Questo lunedì a Cumbre Nah Choj, sede degli aderenti alla Sesta di San Sebastián, si svolgerà una cerimonia in omaggio a Vázquez Guzmán a due mesi dal suo assassinio politico. Il 25 giugno avrebbe compiuto 33 anni. Quel giorno comincerà la campagna mondiale Juan Vázquez Guzmán Vive, La Lotta di Bachajón Prosegue, convocata dal Movimento per la Giustizia del Barrio di New York e da gruppi solidali del Regno Unito, Calcutta (India), Alisal (California) e Messico, a cui si sono unite altre organizzazioni come il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità. 

Sono previste attività solidali in Sudafrica, Filippine, Perù, Australia, Italia, Uruguay, Porto Rico, Canada, Brasile, Ecuador, Austria, Nuova Zelanda, Inghilterra, Scozia, Colombia e Germania.

Dal Perù, Hugo Blanco, direttore della rivista Lucha Indígena, ha dichiarato: Fino ad oggi non c’è stato alcun progresso nelle indagini che permetta di trovare gli autori materiali del crimine; al contrario, vessazioni e persecuzioni sono una costante. Ad alcuni giorni dall’omicidio di Vázquez Guzmán, Jorge Luis Llaven Abarca, segretario di Sicurezza e Protezione Cittadina del Chiapas, ha annunciato i corsi di formazione che il Ministero della Difesa di Israele terrà alla polizia locale. 

I tre livelli di governo, assicura, avevano interesse a fermare il lavoro del compagno. C’è un’indagine preliminare in corso ma nessun arresto. L’autore materiale è fuggito. Sono state persone che conoscono il luogo, che avevano una via di fuga ben definita e molto probabilmente la protezione dell’alto. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/24/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 24 giugno 2013

Las Abejas: Per il massacro di Acteal non si è fatta giustizia

Hermann Bellinghausen 

Il tavolo direttivo dell’organizzazione Las Abejas, che sostiene essere la vera organizzazione Las Abejas di Acteal, questo sabato ha dichiarato che non si è fatta realmente mai giustizia per il massacro avvenuto il 22 dicembre 1997, e l’impunità derivante continua a colpire la vita e la coesistenza comunitaria nel municipio tzotzil di Chenalhó, in Chiapas.

Las Abejas ricordano: “Dopo il massacro di Acteal e grazie all’appoggio della società civile nazionale e internazionale, il governo dovette cedere un po’ alla domanda di giustizia e mise in prigione un gruppo di 87 persone, gli autori materiali del massacro. Questo è tutto quello che ha fatto il governo, ma quelli non erano tutti i paramilitari, ce n’erano molti colpevoli di furti, incendio di case, minacce, aggressioni, che furono la causa delle migliaia di sfollati, ma che non andarono mai in prigione né furono puniti in nessun modo, perché il governo non volle indagare su quello che successe prima del 22 dicembre.

Alcuni di quei paramilitari che non andarono in prigione, sono quelli che ora provocano problemi ai cattolici della colonia Puebla e si sentono sicuri perché la Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha liberato i loro compagni. Neanche il governo ha voluto indagare sugli autori intellettuali, ed era chiaro che non lo facesse, perché era lui stesso.

Pallottole di zucchero per chiudere la bocca

Per Las Abejas, il piano del governo è reprimere chi non è d’accordo con le sue idee di neoliberalismo, chi difende i diritti dei popoli originari, i diritti della madre terra ed i diritti del popolo del Messico.

Questo piano, aggiungono, “ha due facce: le ‘pallottole di piombo’, come quelle usate ad Acteal, Aguas Blancas, Chavajeval, Atenco, e contro tutti quelli che osano protestare, e le ‘pallottole di zucchero’ che comprano organizzazioni e leader con aiuti economici, opere pubbliche, incarichi nel governo ed altre elemosine, a condizione che chiudano la bocca”.

Ora, sostiene l’organizzazione, con Enrique Peña Nieto le pallottole di zucchero sono fornite con la Crociata Nazionale contro la Fame, appoggiata dalle stesse multinazionali che si portano via le nostre ricchezze e che sono la causa della fame nel paese. Dal 2008 si è lasciato cooptare su questa linea un gruppo di Las Abejas che si è alleato con i gruppi che assassinarono i loro familiari 16 anni fa.

Chiedono giustizia al governo federale. Ed al presidente municipale di Chenalhó, José Arias Vázquez ed alle altre autorità competenti, che non ripetano la storia del 1997, che ascoltino gli appelli dei cattolici di Puebla e compiano il proprio dovere di difendere la giustizia ed il diritto affinché la violenza non torni ad impadronirsi del nostro municipio. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/24/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI III.

NON SONO STATI, NE SONO, NE SARANNO…

invitat@.

Giugno 2013

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista:

Compagni, compagnei, compagne:

Non saranno vostri compagn@ di classe, perché non li invitiamo, i seguenti:

I parlamentari che formarono la Commissione di Concordia e Pacificazione (COCOPA) nel periodo 1996-1997. Anche se gli sarebbe servito per rendersi conto che non si sbagliavano con la loro iniziativa per il riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura indigeni, iniziativa tradita poi da tutti i partiti politici, dal potere legislativo, esecutivo e giudiziario.

I legislatori della COCOPA attuale. Anche se li avrebbe aiutati a conoscere dove sta la porta per la ripresa del dialogo con l’EZLN.

I segretari dei partiti politici ufficiali (PRI, PAN, PRD, PVEM, PT, MC e NA). Perché non abbiamo antiacido a sufficienza per alleviare la rabbia che gli monterebbe nell’evidenza di quello che si può fare, non solo senza i partiti politici, ma nonostante loro.

I presidenti dei tavoli direttivi delle camere legislative ed i coordinatori dei gruppi parlamentari. Anche se gli sarebbe servito constatare quello che la loro controriforma di legge indigena non è riuscita ad impedire.

Il Ministero della Difesa Nazionale, Il Ministero della Marina, il CISEN, la PGR, la Commissione Nazionale per la Sicurezza, il Ministero dello Sviluppo Sociale, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione. Anche se avrebbero potuto confermare i loro rapporti di intelligence che dicono che sta migliorando significativamente il livello di vita delle comunità indigene zapatiste nonostante le loro attività contrainsurgentes, il loro appoggio ai gruppi paramilitari ed il trattamento poliziesco che riservano ad una lotta giusta e legittima. Inoltre, avrebbero potuto constatare, di prima mano, il persistere di quello che hanno tentato di distruggere con tanto impegno: l’autonomia indigena.

Il Dipartimento di Stato Nordamericano, la CIA, l’FBI. Anche se li avrebbe aiutati a capire i loro ripetuti fallimenti… e quelli che verranno.

Le diverse agenzie di spionaggio che languiscono di noia a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, e la cui unica occupazione è alimentare i pettegolezzi che pullulano tra le ONG coletas.

Il Capo, colui che realmente dirige tutti loro, di fronte al quale si chinano e che adulano. Anche se si sarebbe spaventato al solo vedere che l’incubo ricorrente che lo perseguita, è realtà.

Non sono stati, né sono, né saranno nostri ospiti.

Invece, sono stati, sono e saranno i nostri persecutori, quelli che cercano il modo di distruggerci, di piegarci, di comprarci, di farci arrendere.

Ci spieranno, ci controlleranno, sempre maledicendoci, come oggi, come ieri, come 10, 20, 30, 500 anni fa.

Non li invitiamo non solo perché il nostro piano di studi non include gruppi con zero preparazione, o per non incoraggiare il “bullismo” del quale sarebbero oggetto da parte degli altri studenti (già, questo sì è un vero peccato), o perché abbiamo modi migliori di perdere il tempo.

Non li invitiamo perché, così come noi non smettiamo di resistere e di lottare, loro non smettono di disprezzarci, di volerci sfruttare, di reprimerci, di cercare di spogliarci di quello che è nostro, di farci sparire.

Così come noi non impareremo mai la lingua del denaro, loro non impareranno mai a rispettare il diverso.

E, soprattutto non li invitiamo, perché loro e chi in realtà li comanda, non capiranno mai perché, invece di morire, viviamo.

-*-

Dunque, tra i vostri condiscepoli non ci saranno tali “illustri” personaggi. Pertanto, non uscirà niente sui giornali della carta stampata, in radio e televisione, né ci saranno tavole rotonde, né profonde analisi. Ovvero, come si dice, l’aria sarà pulita. E la terra, che ci ha visto nascere e ci ha alimentato fino a farci crescere, gradirà il degno passo che la percorre: il vostro.

Bene. Salute e libertà, che il passo di quell@ in basso sia il benvenuto, com’è benvenuto il vostro cuore.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, Giugno 2013

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Acolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Oscar Chávez e los Morales che denunciano le sanguisughe che, come si sa, sono gli stessi di sempre: http://www.youtube.com/watch?v=gzzBc92Ta0o&feature=player_embedded

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Breve spiegazione della strategia contratrainsurgente del governo messicano e dell’uso dei gruppi paramilitari: http://www.youtube.com/watch?v=LVbYjJRA8to&feature=player_embedded

……………………………….

Guillermo Velázquez e Los Leones de la Sierra de Xichú, insieme ad Oscar Chávez in questa lunga “Disputa tra il peso e il dollaro”: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=etdCf4qURGU

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI II.

Mancano:

LE/I PRIGIONIER@ POLITIC@ 

Giugno 2013 

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista: 

Compagne, compagni, compagnei: 

Oltre a@ caduti nella lotta ed a@ desaparecid@s, non ci saranno, ma ci accompagneranno nella Escuelita Zapatista, le/i prigionier@ politic@ che, con diversi inganni giuridici, si trovano nelle prigioni del mondo o in situazione di asilo politico.

Sono migliaia in tutto il mondo e la nostra piccola parola non riesce a raggiungere tutte, tutti. Anche se ci appoggiamo a@ nostr@ compagn@ della Rete Nazionale Contro la Repressione e per la Solidarietà per cercare di arrivare a quanti più possibile, ne mancheranno sempre.

Per questo abbiamo mandato l’invito, tra gli altr@, ad alcune, alcuni, che simboleggiano non solo l’assurdità di voler rinchiudere la libertà, ma anche, e soprattutto, la degna resistenza e la perseveranza di chi non è sconfitto da guardie, pareti e sbarre.

Tra loro ci sono:

Alberto Patishtán Gómez Condannato a 60 anni di prigione, questo 19 giugno sono 13 anni dietro le sbarre. Il suo crimine: essere messicano, chiapaneco, indigeno, professore e simpatizzante zapatista. Malgrado sia stata dimostrata la sua ingiusta carcerazione, le autorità giudiziarie ritardano la sua liberazione. Queste le parole di un funzionario governativo: “Se liberassimo Patishtán sarebbe doppiamente un brutto segnale: dimostreremmo che il sistema giudiziario è una merda, ed alimenteremmo la lotta per la liberazione di altri detenuti. È qualcosa che non ci conviene da nessun punto di vista. Meglio aspettare che quelli che fanno tanto chiasso per questo caso si stanchino“. Qui sappiamo bene che il sistema giudiziario in Messico è una merda, e che chi lotta per la libertà de@ prigionier@ politic@ non si stancherà… mai.

Leonard Peltier – Da 37 anni in prigione. Il suo crimine: appartenere al popolo originario Sioux Chippewa (Anishinabe-Lakota) e lottare per i diritti dei popoli originari negli Stati Uniti. È stato arrestato nel 1976 e condannato a due ergastoli consecutivi (forse perché i suoi boia volevano assicurarsi che non uscisse né vivo né morto). È stato accusato di aver ucciso due agenti del FBI. Il fatto avvenne a Pine Ridge, territorio sacro del popolo Sioux, in Dakota del Sud, USA, dove erano stati scoperti giacimenti di uranio e carbone.

È stato condannato senza prove e malgrado ci sia un fascicolo di oltre 10 mila pagine che provano la sua innocenza. L’accusa del FBI può riassumersi così: “Qualcuno deve pagare”. Robert Redford realizzò un documentario sul caso [Incidente a Oglala – 1991 – n.d.t.], che però non fu mai proiettato nei cinema nordamericani. Nel frattempo, i “ragazzi” e le “ragazze” del FBI, così ben dipinti nelle serie TV, hanno assassinato 250 indigeni Lakota. Nessun’indagine è stata aperta su questi crimini.

Questo, in un paese costruito sul saccheggio dei territori appartenenti ai popoli originari di quella zona del continente americano.

Mumia Abu Jamal – Statunitense. Prigioniero da più di 30 anni. Il suo crimine, essere un giornalista ed attivista per i diritti dei discriminati per il colore della pelle negli Stati Uniti. Inizialmente condannato alla pena di morte, ora sconta l’ergastolo. Accusato da bianchi di aver ucciso un bianco, l’ha giudicato una giuria di bianchi, l’hanno condannato i bianchi, l’avrebbero mandato a morte i bianchi, l’hanno in custodia i bianchi.

Questo, in un paese costruito sullo sfruttamento del sudore e del sangue degli schiavi portati dall’Africa… che, certo, non avevano la pelle bianca.

Edward Poindexter e Mondo We Langa Statunitensi. Il loro crimine: lottare per i diritti della popolazione afroamericana degli Stati Uniti. Vittime del Programma di Controspionaggio (CONTELPRO) del FBI, nel 1970 furono accusati della morte di un poliziotto, per l’esplosione di una valigetta riempita di dinamite. Nonostante aver ottenuto la confessione del vero assassino, l’FBI manovrò e seminò prove contro questi due militanti dell’organizzazione delle Pantere Nere. Numerose prove dimostrano l’innocenza di entrambi.

Sono ancora in prigione nel paese che si vanta della probità e imparzialità del suo sistema giuridico.

Julian Paul Assange – Originario dell’Australia e cittadino del mondo. Attualmente rifugiato politico. Il suo crimine: divulgare a livello mondiale, tra altre cose, il marciume della politica estera nordamericana.

Assange è perseguito attualmente dai governi britannico e statunitense, i due paesi presunti “paladini” della giustizia e della libertà.

Bradley Manning – Soldato scelto dell’esercito nordamericano. Il suo crimine: aver diffuso un video dove, da un elicottero dei soldati gringo ammazzano alcuni civili in Iraq. Tra gli assassinati ci sono due giornalisti. È anche accusato di avere trafugato documenti sulla barbarie nordamericana in Afghanistan e Iraq. L’accusa principale contro Bradley Manning, che potrebbe significare la pena di morte, è quella di “aiutare il nemico”, cioè, aiutare a conoscere la verità.

Questo, in un paese che si regge sulla menzogna di una costante minaccia esterna (musulmani, asiatici, latini, ecc., cioè, il mondo intero) e, secondo “l’operazione dei servizi” recentemente scoperta – in realtà si tratta di spionaggio – anche gli statunitensi sono una minaccia.

Antonio Guerrero Rodríguez, Fernando González Llort, Gerardo Hernández Nordelo, Ramón Labañino Salazar e René González Sehwerert – La patria di queste cinque persone è Cuba, primo territorio libero in America. Anche conosciuti come “i 5 cubani”. Il loro crimine: aver fornito informazioni sui piani di gruppi terroristici con base sul territorio degli Stati Uniti. Nel giugno del 1998 Cuba consegnò all’FBI nordamericana un rapporto redatto dai 5 cubani. Il rapporto comprendeva centinaia di pagine di notizie, video e audio sulle attività di gruppi terroristici negli Stati Uniti.

Invece di smantellare le cellule terroristiche, l’FBI arresta i 5 cubani che, di fatto, avevano salvato la vita a decine di persone, principalmente turisti, che sarebbero stati il bersaglio degli attacchi. Antonio è ingegnere, Fernando è diplomatico, Gerardo è caricaturista, Ramón è economista e René pilota aereo. Sono in carcere per il reato di spionaggio, in quanto, nel processo contro di loro, gli stessi accusatori attestarono che il materiale che avevano raccolto non colpiva la sicurezza nazionale degli Stati Uniti e che Cuba non rappresentava una minaccia.

Tutto questo nel territorio di chi dice di combattere il terrorismo internazionale.

Maria Alyójina, Yekaterina Stanislávovna Samutsévich e NadezhdaTolokónnikova Russe, componenti del gruppo rock punk “Pussy Riot”. Il loro reato: aver denunciato l’imposizione di Vladimir Putin con la complicità dell’alto clero della Chiesa Ortodossa russa. Sono state arrestate per aver suonato musica punk in una chiesa. Nella canzona si chiedeva alla madre di dio di cacciare Putin dal governo. Sono state condannate a due anni di prigione per avere “minato l’ordine sociale”.

Questo nel paese che si vanta di essersi liberato dalla “tirannia comunista”.

Gabriel Pombo da Silva Anarchico nato ovunque e in nessun luogo. Da quasi 30 anni è stato in più di 20 diverse prigioni di Spagna e Germania. Il suo crimine: essere coerente. Ai suoi persecutori ha detto: “Non c’è niente di più deplorevole di uno schiavo contento… un individuo spogliato di memoria e dignità… è preferibile essere condotto al patibolo per essersi ribellato che vivere cento anni in ‘libertà condizionale’ e condizionata dalle paure e dalle menzogne che ci hanno venduto, indottrinato…” Riguardo alla sua condizione di prigioniero politico è stato chiaro: “Mi consta che per me (come per molti altri), non esiste la possibilità di uscire di prigione sulla base delle vostre leggi… perché la vostra legalità richiede la rinuncia alla mia identità politica… Ed ovviamente chi rinuncia alla propria identità politica non tradisce solo sé stesso, ma tutti quelli che ci hanno preceduto in questa lunga marcia per la dignità e la libertà. Non c’è niente di eroico né di ‘martire’ (di questi i cimiteri ne sono pieni) in questa considerazione. Lo credo sinceramente e con tutto il mio cuore e per questo sono pronto ad accettare di ‘pagare il tributo’ per essere coerente con me stesso per quanto penso/sento…”

(…)

Perché vi parlo di quest@ prigionier@ politic@ così simbolici e così diversi tra loro? Perché per le zapatiste, gli zapatisti, la libertà non è patrimonio di un credo, un’ideologia, una posizione politica, una razza. Nei video vedrete a che cosa ci riferiamo e vi aiuteranno ad ascoltare, che è il modo per cominciare a capire. Sono 15 minuti che aiutano ad affacciarsi ai molti mondi che sono nel mondo.

Così come loro, centinaia di prigionieri politici sono stati invitati alla Escuelita Zapatista. A tutt@ loro abbiamo mandato una lettera come quella che ora allego. Speriamo che la ricevano, così come i libri e audio e video dove raccontiamo la nostra storia. Speriamo che accettino l’invito, non perché pensiamo di potergli insegnare qualcosa, ma affinché conoscano com’è che qui si chiama la libertà.

Eccolo:

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO 

Maggio 2013 

Per: ___________________________

Da: Le donne, uomini, bambini e anziani zapatisti.

Oggetto: Invito Speciale per partecipare alla Escuelita Zapatista.

Compagn@:

   Saluti dai bambini, bambine, anziani, donne e uomini dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

   Le scriviamo perché vogliamo invitarla in particolare a partecipare alla scuola zapatista “La Libertà Secondo Gli Zapatisti”.

   Sappiamo che forse le sarà impossibile partecipare personalmente in quest’occasione. Ma sappiamo che arriverà il giorno in cui le porte delle prigioni si apriranno per chi, come lei, è tenuto prigioniero dall’ingiustizia fatta governo. E queste stesse porte resteranno aperte quanto basta affinché ci entrino i banchieri e i loro servi.

   Nel frattempo, troveremo il modo di farle arrivare il materiale. Sono testi con le parole delle nostre compagne e compagni zapatisti, prevalentemente indigeni maya, che raccontano la propria storia di lotta. Una storia, sicuramente simile alla sua, piena degli alti e bassi della lotta per la libertà, dei dolori che la colmano, della speranza di cui trabocca e della continua ostinazione, come lei, di non tentennare, non vendersi, non arrendersi.

   Forse non le arriveranno per il momento. È molto probabile che i suoi carcerieri e boia confischino il materiale, sostenendo che il pacchetto contiene materiale pericoloso. Il fatto è che la sola parola “libertà”, quando è vissuta dal basso e a sinistra, è uno dei molti orrori che popolano gli incubi di chi sta sopra a costo del dolore degli altri.

   Sia come sia, l’aspettiamo qua, presto o tardi. Perché se il nostro impegno è la libertà, uno dei nostri tratti distintivi è la pazienza.

   Bene. Salute e che la libertà sia quello che deve essere, cioè, patrimonio dell’umanità.

   A nome di tutt@ gli zapatisti dell’ EZLN. 

Subcomandante Insurgente Moisés                   Subcomandante Insurgente Marcos

                                                  Messico, maggio 2013

 

(fine della lettera-invito per le/i prigionier@ politic@s

(…)

Ora conoscete quest@ altr@ invitat@ a partecipare alla Escuelita insieme a voi.

Niente paura. Non sono loro i criminali, ma lo sono quelli che li tengono prigionieri.

Salute e che possiamo trovare la libertà nell’unico modo possibile, cioè, con tutt@ loro.

(Continua…) 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Giugno 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Il vescovo Raúl Vera, sempre dalla parte di chi sta in basso, parla del prigioniero politico Alberto Patishtán: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=HFyjuBmCUis

Il silenzio e la parola secondo il popolo originario Lakota: http://www.youtube.com/watch?v=wsN9HiGr8nM&feature=player_embedded

Il gruppo “The Last poets”, con “True Blues”, un viaggio nella storia, a ritmo di blues, attraverso l’oppressione della popolazione afroamericana: http://www.youtube.com/watch?v=o5ilSn1r7HM&feature=player_embedded

Gli attori nordamericani Danny Glover e Peter Coyote solidali con i 5 cubani prigionieri politici negli Stati Uniti: http://www.youtube.com/watch?v=avD1E2EizFA&feature=player_embedded

Il gruppo punk Pussy Riot nell’esibizione in cui contestano Vladimir Putin: http://www.youtube.com/watch?v=ALS92big4TY&feature=player_embedded

Il gruppo punk “Espina Negra” con la canzone “El primer Anarquista”: http://www.youtube.com/watch?v=MYdto1HhKLA&feature=player_embedded

 Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI I.

Prima i primi:

LE/I DESAPARECID@S

Giugno 2013

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista:

Compagnei, compagne, compagni:

Come certamente non sapete, la prima fase del primo corso “La Libertà Secondo Gli Zapatisti” si è conclusa.

I materiali di supporto ci sono; le maestre ed i maestri sono pronti; il numero degli iscritti è al completo; le famiglie indigene zapatiste che vi accoglieranno fanno il conto di quanti gliene toccheranno e preparano i locali, le stoviglie per il vitto, sistemano i posti dove dormirete; i choferólogos [da chofer=autista – n.d.t.], come li chiama il Sub Moisés, affinano i motori ed agghindano i veicoli per trasportare le/gli alunn@ nelle loro scuole; l@s insurgent@s fanno e disfano articoli artigianali; i suonatori preparano i loro pezzi migliori per allietare la festa dei 10 anni, quella di benvenuto degli studenti, quella di fine di corso; un salutare clima di isteria collettiva comincia a diffondersi tra chi aiuta con l’organizzazione; si controllano gli elenchi per vedere chi manca… o se c’è qualcuno di troppo; al CIDECI, sede della Unitierra a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, si avanza nei preparativi per la scuola e per la cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”.

E, come c’era d’aspettarsi, i governi federale e statale riattivano i paramilitari, incoraggiano chi provoca scontri, e fanno di tutto per impedire che voi (ed altr@ attraverso di voi) constatiate il progresso nelle comunità zapatiste ed il marcato contrasto con le comunità e le organizzazioni che si riparano sotto il sottile velo dell’assistenzialismo del governo.

Tutto prevedibile. Tanto di manuale di contrainsurgencia, così inefficace, quanto inutile. La stessa cosa di 10, 20, 500 anni fa. PRI, PAN, PRD, PVEM, PT, tutti i partiti politici, con impercettibili variazioni nel discorso, che fanno la stessa cosa… e reiterano il loro fallimento.

Chi avrebbe detto che i governi di tutto lo spettro politico temessero tanto che il livello di vita degli indigeni migliorasse. Comprendiamo il loro nervosismo, il loro panico mal dissimulato, perché il messaggio che esce da questa parte è chiaro ed estremamente pericoloso nel suo doppio filo: non sono necessari… e danno fastidio.

Totale: molto movimento, dentro e fuori, da loro e da noi.

E tutto, visto dall’alto di questa ceiba, somiglia ad un ordinato disordine (stavo scrivendo “casino”, ma mi dicono che, quelli che generosamente ci aiutano nella traduzione in altre lingue, si lamentano dell’abbondanza di “localismi” impossibili da tradurre). E potrei aggiungere che tutto si muove “a caso”, soprattutto per quei ritmi di ballata-corrido-ranchera-cumbia dei suonatori, che sono la colonna sonora di tutto questo, e che hanno un suono, a dir poco, sconcertante.

Insomma, tutto gira.

Ora a me tocca parlarvi di chi saranno i vostri condiscepoli. Donne, uomini ed altr@ di tutte le età, di differenti angoli dei 5 continenti, di storie diverse.

Sono salito sulla ceiba non solo per la paura di essere aggredito da uno scarabeo impertinente, presunto cavaliere errante, o per i tristi racconti del gatto-cane… va bene, sì, anche per questo, ma soprattutto perché, per parlarvi de@ prim@ invitat@, è necessario guardarsi nel cuore, che è come noi zapatisti, zapatiste, diciamo ricordare, fare memoria.

Le prime ed i primi nella lista degli invitati erano, sono, saranno chi ci ha preceduto ed accompagnato in questo infinito cammino verso la libertà, le cadute ed i caduti e desaparecid@s nella lotta.

A tutte loro, a tutti loro, mandiamo una lettera-invito come quella che ora qui allego. Gliel’abbiamo inviata non da non molto: ieri, un mese fa, un anno fa, 10, 20, 500 anni fa.

Per comprendere la missiva non solo sarà necessario guardare ed ascoltare i video che l’accompagnano, è anche necessaria una certa dose di memoria… e di degna rabbia.

Dunque, procediamo:

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

A tutt@ le/i cadut@ e desaparecid@s nella lotta per la libertà:

Compagna, compagno, compagnao:

Saluti da…

Mmm…

Sì, forse hai ragione. Forse qualcosa c’entrano le lettere di Gieco, Benedetti, Heredia, Viglietti, Galeano, la tenacia delle nonne e delle madri di plaza de mayo, il coraggio dignitoso senza prezzo delle signore di Sinaloa e Chihuahua, il dolore trasformato in ostinata ricerca dei familiari di migliaia di desaparecidos in lungo e in largo di questo continente. Infine, tutta questa gente così ostinata… ed ammirevole.

Può essere. Il fatto è che pensando a chi poteva essere interessato a guardarci ed ascoltarci in questo mostrarci che chiamiamo “la scuola zapatista”, i primi a venirci in mente siete stati voi. Tutte, tutti. Perché, malgrado non conosciamo molti nomi, sapere di te, di lei, di lui, è sapere di tutti, di tutte.

Quindi, se bisogna cercare un responsabile di queste righe, questo è la memoria, quella continua e tenace impertinente che non ci lascia in pace, sempre a dar battaglia, sempre a dar fastidio.

Che bello, diciamo noi, indigeni, maya, zapatisti. Che bello che questa guerra contro l’oblio non cessi, che prosegua, che cresca, che diventi mondiale.

Sì, può essere anche perché qui tutt@ siamo un po’, o molto, come mort@, come desaparecid@s, a bussare ancora una volta alla porta della storia, a reclamare un posto, uno piccolo, come siamo noi. Chiedendo la memoria.

Ma ci sembra, dopo aver pensato e ripensato sull’argomento, che la colpevole è la memoria.

Eh?

Certo, anche l’oblio.

Perché è l’oblio che minaccia, attacca, conquista. Ed è la memoria che vigila, che difende, che resiste.

Per questo motivo, questa lettera-invito.

Dove la mandiamo? Sì, era un problema. Ci abbiamo pensato molto, non crediate.

Sì, forse per questo pensi che qualcosa c’entri León Gieco e la sua canzone “Nel paese della libertà”.

Per questo, cioè, per te, per voi, abbiamo chiamato il corso “La Libertà Secondo Gli Zapatisti”? Per avere un indirizzo al quale mandare l’invito? Beh, non ce n’eravamo accorti, ma ora che lo dici… sì, può essere. Ci eviteremmo così tutto il trambusto di cercare indirizzi, uffici postali, indirizzi di posta elettronica, blog, pagine web, nicknames, reti sociali, e tutto quello di cui la nostra ignoranza è enciclopedica.

Sai? Qui ci sono stati, e ci sono, non pochi momenti difficili. Momenti in cui tutto e tutti sembrano mettersi contro. Momenti in cui migliaia di ragioni, a volte con la mortale veste del piombo e del fuoco, e a volte vestite gentilmente dei comodi argomenti del conformismo, ci hanno attaccati su tutti i fronti per convincerci della bontà di tentennare, di venderci, di arrenderci.

E se siamo riusciti a non soccombere, non è perché fossimo potenti ed avessimo un grande arsenale (di armi e di dogmi, a seconda del caso).

È stato perché siamo abitati da voi, dalla vostra memoria.

Già sai della nostra ossessione per i calendari e le geografie, quel nostro modo tanto molto altro di capirci e capire il mondo.

Perché qui la memoria non è questione di effemeridi di un giorno che servono solo da alibi per l’oblio durante il resto dall’anno. Non è cosa di statue, monumenti, musei. È, come dirti?… qualcosa di meno chiassoso, senza pompa e circostanza. Qualcosa di più silenzioso, appena come un sussurro… ma costante, tenace, collettivo.

Perché qui, un altro modo di dire che non perdoniamo né dimentichiamo è non tentennare, non vendersi, non arrendersi. È resistere.

Sì, diciamolo che è “poco ortodosso”, ma che farci. Fa parte dei nostri modi… o “ni modos“, a seconda.

Bene, ti aspettiamo qua, vi aspettiamo.

Rimettiamo la presente al “paese della libertà”, l’unica nazione senza frontiere ma con tutte le bandiere… o nessuna (che non è la stessa cosa ma è uguale), ed alla quale è più difficile arrivare… forse perché l’unica strada per arrivarci è la memoria.

Sappiamo dell’impossibilità attuale di venire nelle nostre comunità, e che mandarti i materiali è problematico. Ma sia come sia, ora, come ieri e come domani, da noi hai un posto speciale.

Sì, forse ci incontreremo prima senza volerlo… o volendo… bussando a qualche porta o affacciandoci ad una finestra, ma sempre aprendo un cuore.

Nel frattempo, neanche tu dimentica che, quando le zapatiste e gli zapatisti dicono “siamo qui”, includiamo anche voi.

Bene. Salve e che la memoria resista, ovvero, che viva.  Perché vivi vi hanno presi e vivi vi vogliamo.

A nome di tutt@ le/gli zapatisti dell’EZLN.

Subcomandante Insurgente Moisés                         Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, maggio 2013

(Fine della lettera-invito per le/i caduti e desaparecid@s nella lotta per la libertà).

(…)

Dunque sai chi ci sarà tra i tuoi condiscepoli.

Saranno qui. No, non spaventeranno nessuno. Beh, a meno che qualcuno tema la memoria e venga a cercare l’oblio. Ma come credo non sia il tuo caso, o cosa, a seconda, non hai di che preoccuparti.

Forse, senza volerlo, ti imbatterai nella grande ceiba madre, l’albero che sostiene il mondo. Se hai la pazienza e l’immaginazione necessarie, guarda il suo tronco e fai una domanda. Forse la ceiba madre, con quest@ condiscepol@ tanto altr@ come compagnia, te risponderà dalle aride rugosità del suo tronco. Domanda quello che vuoi, ma soprattutto, chiedi la cosa più importante:

Chiedi: Con chi tutto questo?  E ti risponderanno: Con te.

Chiedi: Per chi questo lavoro?  E ti diranno: Per te.

Chiedi: Chi l’ha reso possibile?  E, forse con un leggero tremore, sentirai: Tu.

Chiedi: Perché questo cammino?

Ed allora la ceiba madre, la terra, il vento, la pioggia, il cielo che sparge luce, tutt@ i nostri caduti, i nostri desaparecid@s, ti risponderanno:

  Libertà… Libertà!… LIBERTÀ!

Ora lo sai: se, quando sarai in queste montagne del sudest messicano pioverà, soffierà vento, il cielo coprirà o scoprirà la sua luce, e la terra si inumidirà, sarà perché ai piedi della ceiba madre, la sostenitrice del mondo, qualcuno sta facendo delle domande… e, soprattutto, sta ricevendo risposte.

Cosa viene dopo?  Beh, mi sembra che questa storia dovrete raccontarla voi.

Bene. Salve e che la memoria, né cada né scompaia.

(Continua…)

Da un angolo della memoria.

SupMarcos

Messico, Giugno 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

Mario Benedetti, sempre il benvenuto, insieme a Daniel Viglietti, cantano, o meglio, gridano de@ desaparecid@s, sui desaparecid@s, con i desaparecid@s. Dedicato alle madri e nonne che non tentennano, non si arrendono, non si vendono: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=dO_JZxRRbc4

Di nuovo Mario Benedetti che sottolinea con la sua voce, l’impossibilità dell’oblio. Dedicato a chi non dimentica: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=tHEVtFim6Ws

León Gieco canta, di sua composizione, “La Memoria”, l’ostinata, implacabile, feroce memoria di chi non c’è, ma non se n’è andato, né se ne andrà… finché ci sarà qualcuno che non dimentica: http://www.youtube.com/watch?v=_bC9mqsGeJQ&feature=player_embedded

León Gieco con la sua canzone “El País de la Libertad”, indirizzo al quale si rivolge la memoria: http://www.youtube.com/watch?v=uB_b_kfnc3M&feature=player_embedded

Víctor Heredia spiega perché “Ancora cantiamo”, ovvero, perché non dimentichiamo: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=mCp47R83Lqs

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 18 giugno 2013

A causa dell’impunità persistente potrebbe riprendere la violenza ad Acteal, denunciano Las Abejas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 17 giugno. Per l’organizzazione Las Abejas, la liberazione di praticamente tutti i paramilitari in carcere per il massacro di Acteal (ne restano sei la cui scarcerazione è attesa entro poco), rappresenta non solo un’ingiustizia sufficiente a far perdere la fiducia nella Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), e la conferma che gli autori intellettuali, tra i quali citano l’ex presidente Ernesto Zedillo e l’attuale ministro della Pubblica Istruzione, Emilio Chuayffet, rimarranno impuni. Rappresenta, innanzitutto, un nuovo rischio di violenza nelle loro comunità. 

L’organizzazione indigena fa menzione alla campagna di ripulitura di questi paramilitari intrapresa dai mezzi di comunicazione evangelici internazionali, mentre sulla CNN México sono stati presentati recentemente come vittime e senza terra.

Non sono nessuna delle due cose, perché nonostante le promesse dei governi federale e statale, stanno già tornando nelle proprie comunità, ed agendo. Las Abejas riferiscono che secondo la CNN México, “i paramilitari liberati dicono di non poter vedere le famiglie perché non possono tornare a Chenalhó. Questo non è vero. La maggioranza sono già qui, stanno costruendo case, seminando i campi come quelli della colonia Miguel Utrilla Los Chorros, Acteal Alto, Yibeljoj, Pechiquil, La Esperanza, C’anolal; come se quello che hanno fatto nel 1997 non fosse grave”.

Aggiungono che c’è ancora gente male informata della causa vera del massacro e citano due pagine internet di evangelici italiani (Evagelici Net) e francesi (Portes Ouvertes) che sostengono che sono innocenti, e che sono stati in prigione solo per essere evangelici e seguire Gesù. 

Per il resto, segnalano Las Abejas, “i malgoverni di Enrique Peña Nieto e Manuel Velasco, e gli autori intellettuali del massacro non vogliono ascoltare il risuonare della nostra memoria, ma è nostro dovere non dimenticare. Chi può rimanere in silenzio davanti a tanto oltraggio e menzogna? Chi può accettare un’impunità come quella seminata dai ministri della suprema corte di ‘ingiustizia’?”

Restano da scarcerare solo sei paramilitari, “forse per vergogna non li hanno ancora, o lo faranno di nascosto, come hanno fatto con un comandante dei paramilitari, Roberto Méndez Gutiérrez, uno degli assassini confessi di Acteal che ora se la spassa tranquillamente ubriacandosi a Los Chorros e Yibeljoj”.

Spiegano che nel 1997 i paramilitari  si affiliarono ai partiti politici Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e Fronte Cardenista; appartenevano “a diverse religioni – presbiteriana, pentecostale, battista, cattolica -; se gli evangelici sono stati in prigione, è stato per la loro partecipazione al massacro, non perché evangelici”. Alcuni pastori evangelici di Chenalhó e di altre parti del mondo lo riconoscono, e si vergognano che i loro fratelli abbiano preso la strada oscura per uccidere i propri fratelli, per diventare paramilitari e partecipare alla guerra di contrainsurgencia orchestrata dallo Stato Messicano.

Las Abejas confermano che nella loro organizzazione la maggioranza sono cattolici, ma ci sono presbiteriani. I nostri fratelli non sono stati massacrati per la loro fede religiosa, ma per appartenere ad un’organizzazione pacifista che lotta per la rivendicazione dei diritti dei popoli originari e contro il sistema capitalista neoliberale, ed anche per appoggiare le istanze dell’EZLN per la libera determinazione e l’autonomia.

Ricordano che la loro organizzazione ha optato sempre per la lotta non violenta. Ora che l’ex sindaco di Chenalhó, Jacinto Arias Cruz, è uscito di prigione, ha detto alla CNN México che i sopravvissuti hanno voluto associarsi con le persone alle quali non piace vivere in pace. Prima di tutto quello noi vivevamo tranquilli. Las Abejas ricordano ad Arias Cruz, che dice di essere innocente, che esistono molti elementi che confermano la sua responsabilità nella paramilitarizzazione del municipio e nel massacro. 

Las Abejas ed i sopravvissuti di Acteal concludono: non ci fermeremo fino a quando porteremo a giudizio, e saranno condannati, Zedillo, Chuayffet e tutta la loro banda di criminali. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/18/politica/012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Messico

Giugno 2013 

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli invitat@ alla scuola zapatista:

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagne e compagni della Sexta ed alunn@ della scuola:

Un saluto a tutti e tutte dalle zapatiste e dagli zapatisti. Vogliamo informarvi su come sta andando la preparazione della nostra scuola.

Bene, ci sono cattive notizie e buone notizie: 

Prima le cattive notizie:

Non ci sono più posti disponibili per i corsi nelle comunità nelle date dal 12 al 16 agosto 2013. E stanno anche per esaurirsi i posti per il corso presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Sono molti i compagni e le compagne che vogliono frequentare i corsi nelle nostre comunità zapatiste. Molti più di quanti ci aspettavamo. Ed ancora di più di quello che credevano le persone che dicono che gli zapatisti non sono più di moda, che le loro iniziative ormai non tirano più, e tutte quelle sciocchezze che dicono quelli che non hanno niente da fare.

Dunque, vi informiamo che è stato raggiunto il numero massimo di coloro che frequenteranno i corsi nelle comunità in agosto, tutte le aule sono piene, non ci sta più nessuno, non c’è più posto per altri alunni. Perché non si tratta solo di ricevervi, dobbiamo anche provvedere a che siate ben alloggiati e nutriti, chiaramente secondo le nostre umili possibilità.

Eravamo preparati a ricevere nelle comunità zapatiste 500 studenti. Ma si è subito raggiunto il numero. Quindi abbiamo allargato a 1000 studenti, ma non è bastato. Ora abbiamo fatto spazio per 1500 studenti e si è già riempito. E per questo turno di corsi non possiamo fare altro perché vogliamo assistervi adeguatamente e che siate contenti.

Ma non siate tristi, né scoraggiati, al contrario, perché stiamo valutando altre date, in un altro mese, per quelli che non potranno frequentare la scuola in comunità questa volta. Vi faremo sapere le nuove date. La cosa quasi certa è che potrebbe essere per dicembre-gennaio prossimi.

Ed ora le buone notizie:

Le nostre compagne zapatiste e compagni zapatisti, che saranno le maestre e i maestri, stanno finendo la loro preparazione.

Sì, stanno finendo la loro preparazione, perché tutte le comunità zapatiste parteciperanno a questa scuola. Voi avrete 3 squadre di maestre e maestri: le compagne ed i compagni delle comunità che vi accoglieranno, ospiteranno e nutriranno; le compagne ed i compagni che vi accompagneranno in ogni momento e si prenderanno cura di voi, cioè le guardiane ed i guardiani, il vostro VOTAN; e poi le vostre maestre e maestri a scuola. 

Ma di tutto questo, delle 3 squadre di maestri e maestre, e della scuola, vi spiegherà più in dettaglio il SupMarcos in altri comunicati dopo questo. Lui dice che il suo computer è quasi pronto.

Ci saranno maestre e maestri in videoconferenza, e stanno ormai finendo la registrazione della lezione su DVD.

I libri di testo sono pronti e manca solo di metterli col DVD dove si potrà vedere quello che i nostri stessi compagni e compagne dei media zapatisti hanno filmato di quello che abbiamo fatto qui in tutti gli angoli zapatisti del Chiapas. 

Ricordo che ci saranno videoconferenze o che si possono richiedere i materiali.

Stiamo anche pensando di mandare, poi, una squadra di maestri e maestre in altre parti dove ci sia gente che voglia conoscere la nostra lotta per la libertà. Chiaro, solo se sono invitat@.

In un altro scritto, il SupMarcos fornirà alcuni dati che riguardano le/gli studenti. Vi anticipo solo che in maggioranza sono giovani.

Ne approfitto per dirvi dell’invito generale a chiunque voglia venire alla festa dei 10 anni delle Giunte di Buon Governo.

Inoltre vi ricordo La Cattedra Tata Juan Chávez Alonso, che è aperta a chiunque voglia assistere, che si celebrerà nel CIDECI di San Cristobal de Las Casas, Chiapas, iniziando il giorno 17 agosto, che è quando usciranno anche tutt@ le/gli studenti dalle comunità, cosicché anche quelli che sono in comunità potranno assistere ed ascoltare la parola di altri popoli originari del Messico che lottano per i diritti e la cultura indigeni. Precisamente nel mese di luglio, ci sarà una riunione della Commissione Organizzatrice, cioè dei convocanti all’omaggio per il nostro caro compagno Don Juan Chávez Alonso. 

Per ora è tutto. Vi aspettiamo.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Giugno 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Canzone “El anarquista”, dei Paradoxus Luporum.  Dedicata ai compagni anarchici, il nuovo grande nemico della “sinistra” istituzionale: http://www.youtube.com/watch?v=2IMwyttjOqQ&feature=player_embedded

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Mario Benedetti, recita “Cosa resta da fare ai giovani?”, per i giovani: http://www.youtube.com/watch?v=_PzzJH1A5sg&feature=player_embedded

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Per impratichirsi con i balli per la festa dei 10 anni dei Caracoles e delle JBG: http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=7T_3dZVcj-g 

Link Comunicato Originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 13 giugno 2013

Gli zapatisti denunciano gli abusi del sistema giudiziario chiapaneco

Hermann Bellinghausen

La resistenza delle comunità zapatiste e aderenti alla Sesta dichiarazione della selva Lacandona, e le proteste di altre organizzazioni come la OCEZ, hanno mostrato il profondo arbitrio con cui il sistema giudiziario opera in Chiapas. I casi dei loro compagni in prigione non sono più isolati, ed in complesso rivelano quanto è iniqua l’applicazione della giustizia e la moltitudine di labirinti formali che devono percorrere per recuperare la libertà della quale non avrebbero mai dovuto essere privati. 

Nei prossimi giorni, Miguel Demeza Jiménez, aderente alla Sesta di San Sebastián Bachajón, affronterà l’udienza d’appello 1478/2012 davanti al giudice di Tuxtla Gutiérrez, Ricardo Alfonso Morcillo Moguel, contro l’atto di arresto dettato da un giudice di Cintalapa di Figueroa per il presunto reato di furto aggravato avvenuto il 30 settembre 2012.

Ancora una volta, come nei casi di Alberto Patishtán, Rosario Díaz Méndez (e dello zapatista Francisco Sántiz López, liberato a gennaio), si tratta della vendetta, e capro espiatorio, delle autorità locali (di El Bosque, Huitiupán e Tenejapa, in questi casi, di Ocosingo e Chilón in quello di Demeza Jiménez, detenuto a El Amate, anche lui accusato di reati che non ha commesso). 

Questo mercoledì, come ricordato a La Jornada per telefono Patishtán Gómez, sono 13 anni dall’impune massacro di poliziotti nel municipio di El Bosque, per il quale è in prigione per vendetta dell’allora sindaco priista Manuel Gómez Ruiz. La sua malattia è l’espressione degli immensi sforzi che rappresenta la lotta per la libertà di questi indigeni, vittime di numerose discriminazioni legali, culturali, politiche, e del kafkiano e tortuoso processo a carico loro, delle loro famiglie, comunità ed organizzazioni, senza ignorare la corruzione istituzionale che permette le trappole ministeriali. 

A partire dall’udienza costituzionale per Demeza Jiménez, che si svolgerà il prossimo 18 giugno, il giudice emetterà la sentenza. La difesa intende rimarcare le gravi violazioni commesse in contro di lui dalla Procura Generale di Giustizia del Chiapas.

Demeza Jiménez, 32 anni, è un contadino tzeltal, muratore e padre di famiglia. Secondo il suo avvocato Ricardo Lagunes Gasca, è stato arrestato ad Ocosingo menti mangiava in un locale in compagnia di suo cugino Jerónimo, senza mandato di cattura, il 7 ottobre 2010, sequestrato e torturato dall’Unità Speciale Antisequestro, dipendente dalla Procura Speciale Contro il Crimine Organizzato dello Stato, e successivamente portato a El Amate come probabile responsabile di furto aggravato alla Ferramenta Coxito, avvenuto il 18 settembre 2010, ed inoltre probabile responsabile del sequestro di un minorenne ad Ocosingo, lo stesso 7 ottobre. 

Il furto era avvenuto tre settimane prima. Il direttore di Coxito, Emilio Adiel Argueta Ruiz, denunciò i fatti due giorni dopo. Disse che durante la rapina si trovava in negozio con un’impiegata ed un certo signore Jorge; che non riconobbe gli assalitori, e che lo colpirono alla testa con tale forza che rimase incosciente e si risvegliò solo dopo che gli assalitori erano fuggiti. Non ricordava altro.

Il 15 ottobre, lo stesso Argueta Ruiz fu portato da elementi della Polizia davanti al pubblico ministero dell’unità antisequestro poiché il suo numero di cellulare era legato a quello del suo amico Rubén Aníbal Ramírez Monge, col quale fu operato il riscatto del sequestro di un minorenne il 7 ottobre. In questa seconda dichiarazione, Argueta Ruiz cambiò radicalmente la sua denuncia di settembre ed introdusse nuove testimoni oculari, tra essi Ramírez Monge, e dichiaro che quel giorno gli rubarono il cellulare. Nella sua prima dichiarazione non menzionò nessun cellulare, e tanto meno che il suo amico fosse presente sul posto. Tuttavia, Ramírez Monge è ora l’unica persona che dice di riconoscere l’indigeno di San Sebastián come partecipante alla rapina.

Il Pubblico Ministero mostrò al negoziante, al suo amico ed ai suoi testimoni, una fotografia di Demeza affinché l’accusassero del furto e del sequestro, cosa che fecero. Così, malgrado esistessero maggiori elementi per indagare su Argueta Ruiz e Ramírez Monge per la loro probabile partecipazione al sequestro, furono liberati ed imputarono, in maniera illegale e malintenzionata, la responsabilità a Demeza. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/13/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 11 giugno 2013

Centro Frayba: La liberazione dei paramilitari scatena aggressioni a Chenalhó

Hermann Bellinghausen

Nella città tzotzil di Chenalhó, Chiapas, il ritorno dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal e liberati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, sembra essere dietro i recenti attacchi contro la comunità cattolica, in particolare nella colonia Puebla, insediamento originale del gruppo aggressore. 

La liberazione dei paramilitari ha inviato il segnale a quei gruppi (mai smantellati) o ad alcuni che ne hanno fatto parte, che possono agire impunemente ed aggredire chi non si piega alla loro volontà. Questo potrebbe essere il caso della colonia Puebla, di dov’è originario uno dei paramilitari recentemente liberati e già indicato come il leader del gruppo che eseguì il massacro di Acteal, sostiene oggi il Frayba.

Nei giorni scorsi, il parroco Manuel Pérez Gómez ed il consiglio parrocchiale hanno diffuso una dettagliata denuncia dei fatti recenti che hanno allarmato la popolazione. Oggi hanno ratificato questa denuncia a San Cristóbal de las Casas.

I cattolici di San Pedro Chenalhó, attraverso proprie autorità e rappresentanti hanno denunciato il furto del terreno dove si trovano la cappella ed il materiale da costruzione, eseguito dalle autorità della colonia, di fronte al silenzio o la complicità delle autorità municipali, agrarie e dei diritti umani. Dopo essersi rivolti ripetutamente a queste per denunciare prima le minacce, e poi il compimento delle stesse, gli atti di abuso ed esproprio continuano. 

I querelanti sostengono che, “protetti dall’inazione delle autorità, nell’ultima ‘assemblea’ ejidael, il commissario Agustín Cruz Gómez, principale istigatore dell’aggressione, ha dichiarato di avere il consenso delle autorità municipali, statali ed agrarie ed ha perfino affermato  che il governo dello stato, la Commissione Nazionale dei Diritti Umani e l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia ‘ci hanno detto che quello terreno è nostro e possiamo cominciare a lavorare'”.

L’invasione, realizzata da 140 persone con machete e motoseghe, è iniziata il 29 aprile e si è aggravata in maggio. In giugno, il gruppo invasore ha compiuto diverse aggressioni contro la minoranza cattolica di Puebla. 

La sottrazione di terre di cui siamo vittime è arbitraria e le giustificazioni che brandiscono sono solo pretesti, affermano il parroco ed il consiglio parrocchiale. Sostengono che le vittime mantengono un atteggiamento pacifico e si sono rivolte alle autorità che dovrebbero fare qualcosa per difendere i loro diritti: il presidente municipale, il giudice municipale, la Procura di Giustizia Indigena, la Procura Agraria (che sta cercando di fissare una data per affrontare il problema con le parti), le commissioni nazionale e statale dei Diritti Umani, con l’unico risultato fino ad ora che gli aggressori continuano tranquillamente a perpetrare le aggressioni.

Ed aggiungono: Sembra si stiano ripetendo i tragici avvenimenti del 1997 che culminarono col massacro di Acteal. Uno dei focolai dove cominciò tutto fu proprio la colonia Puebla. Agustín Cruz Gómez, commissario e pastore presbiteriano, è lo stesso che, nel 1997, già pastore, guidò l’aggressione contro i membri de Las Abejas, molti di loro feriti e quasi tutti sfollati. Agustín Cruz è uno del pastori tristemente celebri che benedì le armi dei paramilitari. 

L’aggressione coincide con la scarcerazione degli accusati e condannati per il massacro di Acteal. “Se in Chiapas è stato dimostrato qualcosa, è che l’impunità genera altra violenza. I fatti di Puebla sono avvenuti a pochi giorni dalla scarcerazione di Jiacinto Arias Cruz, originario di quella comunità ed ex presidente municipale, indicato a suo tempo dalla PGR come il principale promotore del gruppo armato che compì il massacro. Nell’assemblea del 29 aprile, il commissario Cruz Gómez annunciò che benché Jiacinto non fosse fisicamente presente, ‘egli è con noi, è bello che sia uscito, chiedo un applauso per lui’”.

Intanto, hanno dichiarato oggi le vittime, in altre parti di Chenalhó i paramilitare liberati stanno creando disordini e minacciano le persone che sono state testimoni contro di loro. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/11/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 7 giugno 2013

“Senza fondamento” condannato a 20 anni di prigione l’indigeno tzotzil della Voz del Amate

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il detenuto tzotzil Rosario Díaz Méndez, membro della Voz del Amate e aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, già da 8 anni in prigione a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, martedì è stato condannato a 20 anni con l’accusa di sequestro. Ingiustificatamente, secondo numerose prove che Jacqueline Ángel, giudice di prima istanza di Simojovel, non ha preso in considerazione. 

“L’ingiustizia continua”, scrive Díaz Méndez dalla sua cella. La nuova condanna, con procedimento 333/2005, è “per il reato prefabbricato di sequestro, nonostante le vittime dichiarino di non conoscermi e chiedono la mia libertà, ed i miei testimoni a discarico nemmeno vengono citati”, perché “l’autorità è cieca e sorda”. Aggiunge che l’origine della sua persecuzione giudiziaria è per aver guidato circa 300 coloni di Huitiupán contro “la cancellazione dei contatori dell’acqua potabile nel mio villaggio guidato dalla giunta di Hernal González López”. Il funzionario nel 2005 “coinvolse” delle persone che lo accusarono di sequestro. Su Rosario pesa anche un’accusa di presunto omicidio, per il quale è già stato condannato a 25 anni e la cui sentenza d’appello è prevista nelle prossime settimane.

Díaz Méndez chiede al governatore Manuel Velasco Coello di “porre fine a questa ingiusta detenzione”, e lo esorta a “rispettare quanto ha dichiarato il 18 aprile”, quando “si è impegnato a liberarci” (i detenuti della Sesta).

Intanto, la Red contra la Represión ha chiesto l’assoluzione di Díaz Méndez per l’omicidio del quale è accusato (procedimento 47/2005) ed ha invitato ad organizzare manifestazioni di protesta nei diversi paesi in cui la Sesta gode di simpatizzanti che chiedono la sua scarcerazione.

Il 24 gennaio scorso, il tribunale di Simojovel ha emesso la condanna per omicidio “nonostante le prove evidenti della sua innocenza”, sostiene la Red. Il tribunale penale di Tuxtla Gutiérrez aveva ordinato la revisione del procedimento per l’esame di prove rilevanti a favore del detenuto. In aprile si aspettava che il suo caso arrivasse al tribunale di San Cristóbal, ma “è arrivato incompleto” ed è quindi ritornato a Simojovel. “Per la giudice Ángel non è importante che si continui a perpetrare questa ingiustizia, e fa pensare che sia un modo di boicottare il compagno per coprire funzionari del municipio implicati nell’elaborazione di prove false”.

La Rete ricorda che Díaz Méndez è stato accusato di aver partecipato ad un assalto  il 4 di aprile 2005 a Huitiupan, nel quale morì Maurilio Madrigal Rodríguez, commerciante di Tabasco che, insieme ad altre quattro persone, vendeva prodotti di plastica. “Il pubblico ministero di Simojovel ha omesso in maniera negligente e deliberata lo svolgimento delle procedure che avrebbero permesso di conoscere con maggior precisione i fatti ed i responsabili”. Tre mesi dopo, il PM simula il confronto tra due altre persone che sarebbero state presenti ai fatti. L’agenzia statale di investigazione il 6 giugno di quell’anno presentò una relazione dove si assicurava di aver interrogato questi testimone. Questi deboli elementi sono la base dell’accusa e delle decisioni giudiziarie.

Al momento dell’assalto, Díaz Méndez si trovaba a Playa del Carmen, Quintana Roo, a lavorare come muratore insieme ai figli. I quattro sopravvissuti all’assalto “non hanno mai ammesso di aver visto Rosario partecipare al delitto” e quando nel 2008 hanno avuto un confronto con lui, non lo hanno riconosciuto come uno degli aggressori”. 

Il PM ha dovuto così basare la sua accusa su altri due presunti testimoni, Rogelio Gómez García e Juan Gómez Cortez, che avrebbero dichiarato di aver visto i fatti e identificato l’accusato. Ma entrambi vivevano lontano dal luogo dei fatti ed è poco probabile che fossero presenti. Il secondo era gravemente malato e sarebbe morto 12 giorni dopo la sua presunta dichiarazione. Il primo, in un confronto faccia a faccia realizzato nel 2012, ritrattò la dichiarazione nella quale accusava Díaz Méndez. “Ci troviamo di fronte ad una classica montatura giudiziaria per vendette politiche e favori personali dei quali Rosario è vittima e non carnefice”, conclude la Rete. http://www.jornada.unam.mx/2013/06/07/politica/015n1pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CATTEDRA ITINERANTE “TATA JUAN CHÁVEZ ALONSO”

Giugno 2013

“Siamo indios, siamo popoli, siamo indios. Vogliamo
continuare ad essere indios; vogliamo continuare ad
essere popoli; vogliamo continuare a parlare la nostra lingua;
vogliamo continuare a pensare come pensiamo;
vogliamo continuare a sognare i nostri sogni; vogliamo continuare
ad amare i nostri amori; vogliamo essere quello che siamo;
vogliamo il nostro posto; vogliamo la nostra storia, vogliamo
la verità
”.  Juan Chávez Alonso. Discorso al Congresso dell’Unione,
Marzo 2001. Messico.

Fratelli e sorelle:

Compagne e compagni:

Questa è la parola di un gruppo di organizzazioni indigene, popoli originari e dell’EZLN. Con essa vogliamo portare al nostro fianco la memoria di un compagno.

Ad un anno dalla sua assenza, in compagnia del suo ricordo, facciamo un altro passo nella lunga lotta per il nostro posto nel mondo.

Juan Chávez Alonso è il suo nome.

Del suo passo siamo stati e siamo il cammino.

Con esso, il purépecha si fece viandante dei popoli che diedero origine e sostengono queste terre.

Tata fu, ed è, uno dei ponti che con altri abbiamo lanciato per guardarci e riconoscerci per quello che siamo e dove siamo.

Il suo cuore fu ed è l’alto scranno da dove i popoli originari del Messico guardiamo anche se non siamo guardati, parliamo anche se non siamo ascoltati, e resistiamo, che è il modo in cui noi percorriamo la vita.

Il suo passo e la sua parola hanno sempre cercato di farsi eco e voce dei dolori e degli oltraggi del Messico del basso.

Il Congresso Nazionale Indigeno è una delle grandi case che le sue mani hanno aiutato a costruire.

La lotta per il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni ha in lui, nella sua memoria, ragione e motore per perseverare. 

Lungi dal cordoglio passeggero e dal veloce oblio di fronte alla sua assenza, un gruppo di organizzazioni e popoli originari hanno cercato il modo di allungare il suo passo con noi, di levare la sua voce con la nostra, di ingrandire il cuore che siamo con lui.

Noi, il collettivo colore della terra che siamo, abbiamo concordato nel nostro cuore e pensiero, di costruire, insieme al nome ed alla storia di questo fratello e compagno, uno spazio nel quale sia ascoltata, senza intermediari, la parola dei popoli originari del Messico e del Continente che chiamano “americano”.

Ed abbiamo pensato di battezzare questo spazio “Cattedra Tata Juan Chávez Alonso”, per sottolineare quanto hanno da insegnare i nostri popoli originari nei calendari di dolore che scuotono tutte le geografie del mondo. Qui potremo ascoltare le lezioni di dignità e resistenza dei popoli originari d’America.

Pensata come la continuazione del Primo Incontro dei Popoli Indigeni d’America, celebrato nel mese di Ottobre del 2007 a Vicam, Sonora, nel territorio della Tribù Yaqui, la cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” svolgerà le sue sessioni in diversi punti dell’America originaria in tutto il continente, secondo la geografia e il calendario che decideranno i suoi organizzatori e chi vi aderirà in sua occasione.

Il suo obiettivo non è altro che erigere una tribuna dalla quale i popoli originari del continente siano ascoltati da coloro che abbiano un ascolto attento e rispettoso della loro parola, la loro storia e la loro lotta di resistenza.

Organizzazioni indigene, rappresentanti e delegati di popoli, comunità e borghi originari, saranno coloro i quali prenderanno la parola.

Ad inaugurazione di questa tribuna, si realizzerà la

PRIMA SESSIONE

DELLA CATTEDRA ITINERANTE “TATA JUAN CHÁVEZ ALONSO”

Nella quale diverse organizzazioni, comunità e popoli originari parleranno con voce propria delle loro storie, sofferenze, speranze e soprattutto della loro lotta di resistenza.

Sulle basi seguenti:

1.- La prima sessione della Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” si svolgerà a partire da sabato 17 e domenica 18 agosto 2013, nelle installazioni del CIDECI a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

2.- Le organizzazioni convocanti si costituiscono fin da ora nella Commissione Organizzatrice per invitare a partecipare altri popoli originari e per concordare tutto quanto riguarda questa prima sessione.

3.- La Commissione Organizzatrice inviterà in particolare organizzazioni, gruppi e persone che hanno accompagnato in maniera costante la lotta dei popoli originari.

4.- In questa prima sessione parteciperanno con la loro parola i convocanti e le organizzazioni e popoli originari del Messico e del continente americano invitati dalla Commissione Organizzatrice.

5.- Le sessioni sono aperte al pubblico.

6.- Ulteriori informazioni sul calendario e orari di partecipazione saranno opportunamente fornite dalla Commissione Organizzatrice.

Nella stessa cornice della Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” e col suo sguardo come orizzonte, le organizzazioni indigene e popoli originari partecipanti si riuniranno a parte per proporre, con una convocazione ancora più ampia, il rilancio del Congresso Nazionale Indigeno in Messico, e rivolgere un appello congiunto ai popoli originari del Continente per riannodare i nostri incontri.

Per il riconoscimento ed il rispetto dei diritti e della cultura indigeni.

CONVOCANO:
Nación Kumiai.
Autoridades Tradicionales de la Tribu Yaqui.
Tribu Mayo de Huirachaca, Sonora.
Consejo Regional Wixárika en Defensa de Wirikuta.
Comunidad Coca de Mezcala.
Radio Ñomndaa de Xochistlahuaca, (Pueblo Amuzgo), Guerrero.
Comunidad Zoque en Jalisco.
Organización de Comunidades Indígenas y Campesinas de Tuxpan (Pueblo Nahua), Jalisco.
Comunidad Nahua en Resistencia de La Yerbabuena, en Colima.
Colectivo Jornalero de Tikul (Pueblo Maya Peninsular), Yucatán
Comunidades Purépechas de Nurío, Arantepacua, Comachuén, Urapicho, Paracho, Uruapan, Caltzontzin, Ocumicho.
Comuneros Nahuas de Ostula.
Comunidad Nahua Indígena de Chimalaco, en San Luis Potosí.
La Otra indígena Xilitla (pueblo Nahua).
Comunidad Mazahua de San Antonio Pueblo Nuevo, Edomex.
Comunidad Ñahñu de San Pedro Atlapulco, Edomex.
Centro de Producción Radiofónica y Documentación Comunal de San Pedro Atlapulco (Pueblo Ñahñu), Edomex.
Comunidad Nahua de San Nicolás Coatepec, Edomex.
Ejido Nahua de San Nicolás Totolapan, DF.
Comuneros Nahuas de San Pedro Atocpan, DF.
Mujeres y Niños Nahuas de Santa Cruz Acalpixca, DF.
Mazahuas en el DF.
Centro de Derechos Humanos Rafael Ayala y Ayala (Pueblos Nahua y Popoluca), de Tehuacán, Puebla.
Asamblea Popular Juchiteca (Pueblo Zapoteco), Oaxaca.
Fuerza Indígena Chinanteca “KiaNan”.
Consejo Indígena Popular de Oaxaca-Ricardo Flores Magón, (Pueblos Zapoteco, Nahua, Mixteco, Cuicateco), Oaxaca.
Comité de Bienes Comunales de Unión Hidalgo, (Pueblo Zapoteco) Oaxaca.
Unión Campesina Indígena Autónoma de Río Grande (Pueblo Chatino y Afromestizo), Oaxaca.
La Voz de los Zapotecos Xichés en Prisión, Oaxaca.
Temazcal Tlacuache Tortuga de la comunidad de Zaachilá, (Pueblo Zapoteco), Oaxaca.
Colonia Ecológica la Minzita, (Pueblo Purépecha), Morelia, Michoacán.
Colectivo Cortamortaja de Jalapa del Marqués (Pueblo Zapoteco), Oaxaca.
Radio Comunitaria Totopo de Juchitán (Pueblo Zapoteco), Oaxaca
CIDECI-UNITIERRA, Chiapas.
CCRI-CG del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (Pueblos Tzeltal, Tzotzil, Chol, Tojolabal, Zoque, Mame y Mestizo), Chiapas. 

Messico, 2 giugno 2013 

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: 

In memoria di Don Juan Chávez Alonso. Realizzato dalla Cooperativa de Condimentos para la Acción Cinematográfica. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=1MTFfyJ0D24 

Il Comandante Guillermo, presenta Don Juan Chávez Alonso al Festival della Digna Rabia, presso il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=96zTk3ng5rM 

Ballo tradizionale “Los Viejitos”, interpretato dagli allievi della Casa dello Studente Lenin, di Michoacán, Messico. http://www.youtube.com/watch?v=t–pTZj8FPY&feature=player_embedded

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/06/02/organizaciones-indigenas-y-el-ezln-crean-la-catedra-tata-juan-chavez-alonso-en-el-primer-aniversario-de-su-ausencia/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 28 maggio 2012

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón riprendono la battaglia legale in difesa del loro territorio

Hermann Bellinghausen

L’ejido chiapaneco di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, questa settimana riprende la battaglia legale che sostiene da più di tre anni in difesa del suo territorio e del diritto all’autodeterminazione comunitaria. Questo lunedì, i rappresentanti della comunità tzeltal si sono recati presso il Consiglio della Magistratura Federale (CJF) e l’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, per chiedere la devoluzione di una parte del suo territorio, della quale si sono arbitrariamente impossessate le autorità federali e del Chiapas il 2 febbraio 2011.

Abbiamo presentato un nuovo scritto al presidente del CJF, Juan Silva Meza, affinché garantisca imparzialità e indipendenza nella soluzione del ricorso presentato nel 2011, ha comunicato Ricardo Lagunes Gasca, rappresentante legale degli ejidatarios che accompagna i delegati indigeni. Il 30 gennaio scorso, il giudice settimo di Tuxtla Gutiérrez ha decretato l’archiviazione del ricorso, ritenendo che l’ejidatario autorizzato dalla comunità, Mariano Moreno Guzmán, non avesse i requisiti di Legge per essere rappresentante dell’ejido. D’altra parte, avevano chiesto che si prendesse in considerazione il carattere apocrifo del verbale di assemblea presentato a loro volta dalla Segretaria Generale di Governo chiapaneco e dal commissario ejidale al suo servizio, Francisco Guzmán Jiménez.

Verbale apocrifo

Il giudice lo ha ritenuto però valido stabilendo che l’ejido aveva dato il suo consenso per l’installazione del botteghino unico di ingresso alle cascate di Agua Azul, avallando così che il governo lo gestisse, anche se il documento non presentava le firme degli ejidatarios né la comunicazione della convocazione di assemblea.

Gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona avevano presentato appello contro la sentenza n. 118/2013, che è stato risolto il 16 maggio scorso. La decisione di un tribunale in Chiapas, pubblicata il giorno 22, revoca la sentenza del 30 gennaio considerandola illegale ed ordina di “depositare il procedimento affinché si notifichi all’assemblea generale il ricorso presentato da Moreno Guzmán, come avrebbe dovuto avvenire il 4 marzo 2011, e non due anni dopo”.

Gli indigeni, ha dichiarato il loro avvocato, hanno detto al ministro Silva Meza che si aspettano che il caso si risolva in conformità con i diritti dei popoli indigeni e le riforme del 10 giugno 2011; che garantisca che il giudice non decida sul tema solo dalla prospettiva del diritto agrario (più restrittivo e meno protettivo delle norme internazionali) e che si garantiscano i più alti standard di protezione dei diritti dei popoli rispetto a territorio, diritto alla consultazione e consenso libero, previo e informato.

Inoltre, le autorità autonome aderenti alla Sesta hanno inviato una petizione alla Commissione Interamericana de Diritti Umani a Washington, in relazione al saccheggio  del loro territorio, alla repressione e criminalizzazione della loro organizzazione da parte del governo del Chiapas.

Intanto, il Movimiento por Justicia del Barrio di New York, il Grupo de Solidaridad con Chiapas del Dorset ed i comitati La Palabra Verdadera ad Alisal e Calcuta, hanno convocato La Settimana di Azione Mondiale a favore di questa lotta, dal 25 giugno al 2 luglio. Puntualizzano che l’iniziativa, appoggiata dagli ejidatarios, è in risposta al selvaggio assassinio di Juan Vázquez Guzmán, dirigente della Sesta a San Sebastián Bachajón, il 24 aprile. Rilevano che le comunità tzeltal sono attaccate dalle forze del capitalismo e dalle imprese transnazionali presenti in ogni angolo del mondo. 

Qui ambiscono alle cascate di Agua Azul per trasformarle in una destinazione turistica di lusso, sostengono. Gli ejidatarios, che hanno ereditato queste terre che preservano, sono un ostacolo, e quindi sono oggetto di minacce, aggressioni, detenzioni arbitrarie, sparizioni, arresti, tortura ed attacchi da parte di forze governative e gruppi paramilitari. http://www.jornada.unam.mx/2013/05/28/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – 23 maggio 2013

In Chiapas continua il paramilitarismo

Fernando Camacho Servín

 Con l’obiettivo di ” seminare il terrore ” e smantellare le organizzazioni popolari, i successivi governi dello stato del Chiapas hanno creato e finanziato diversi gruppi paramilitari, i quali hanno commesso decine di omicidi, sparizioni e furti, oltre a provocare lo sfollamento forzoso di migliaia di persone, hanno denunciato membri del Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo (FNLS).

In conferenza stampa, gli attivisti hanno segnalato che ” il paramilitarismo si è distinto come politica di Stato” mediante la quale i funzionari ” finanziano e strutturano questi gruppi in tutto il paese per tentare di minare gli sforzi del popolo per difendere le conquiste sociali”, mentre nel frattempo sfuggono alle proprie responsabilità nei fatti.

Nel caso dell’ejido El Carrizal, del municipio di Ocosingo, Chiapas, le organizzazioni che compongono il FNLS sono state intimidite ed aggredite da gruppi armati sotto il controllo di Javier Ortega Villatoro – tra questi Los Petules ed il CMPECH – che hanno ”terrorizzato” agli abitanti con omicidi e sparizioni.

Nello stesso modo, aggiugnono, i comuneros della località indigena di Venustiano Carranza sono stati vittime di una serie di omicidi ed arresti ingiustificati che le autorità locali descrivono come semplici ”conflitti interni” tra contadini, per coprire i veri responsabili di queste azioni.

Nel frattempo, nella comunità di Petalcingo, municipio di Tila, gruppi di paramilitari affiliati ai partiti Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e Verde Ecologista del Messico (PVEM) si scontrano tra loro ed accusano degli atti di violenza i membri del FNLS. 

Carmen Hernández Pérez, abitante di Venustiano Carranza e membro dell’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata, ha denunciato che negli ultimi anni ci sono stati almeno 36 omicidi a carico di gruppi armati, senza che nessuna autorità abbia mai indagato.  

Da parte sua, Francisco Santiz, della comunità di Río Florido, ha sottolineato che i paramilitari dell’ejido El Carrizal, giorni fa hanno tentato di compiere sparizioni forzate ed omicidi nel centro della città di Ocosingo. http://www.jornada.unam.mx/2013/05/23/politica/007n2pol

 

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La Jornada – Giovedì 2 maggio 2013

Valanga di manifestazioni di appoggio dopo l’assassinio di Juan Vázquez Guzmán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis. 1º maggio. In Chiapas seguono a cascata i pronunciamenti di organizzazioni e comunità per la morte di Juan Vázquez Guzmán, dirigente della Sesta dell’ejido San Sebastián Bachajón, e per ripudiare la violenza e le minacce contro le basi di appoggio zapatiste a San Marcos Avilés, e l’urgente domanda di libertà di Alberto Patishtán Gómez, che doveva già essere risolta martedì 30 aprile.

L’ejido di Tila, nella zona chol a nord dello stato, segnala come il vero responsabile della morte del dirigente tzeltal il governo dello stato, insieme alla Segreteria Generale di Governo, perché da anni sta cercando di distruggere l’organizzazione degli aderenti alla Sesta di San Sebastián e la loro difesa della terra e del territorio delle cascate di Agua Azul. I contadini di Tila affermano: “Loro chiamano leader corrotti e malviventi per offrire programmi e soldi condizionati a provocare scontri contro chi è organizzato e si oppone al loro progetto di morte.” Ricordano che nel dicembre del 2011 volevano mettere in prigione Juan ma non ci riuscirono, per questo ora l’hanno fatto ammazzare.

Questo vigliacco omicidio è perché il governo ci vuole intimorire e distruggerci per mezzo delle sue mafie. Non vuol vedere crescere la nostra lotta, ma noi lottiamo per i nostri figli, come hanno fatto i nostri genitori e nonni, ed andremo avanti nonostante tutto”.

Il Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa ha chiesto al Tribunale Superiore di Giustizia dello Stato l’immediata liberazione del professor Patisthán Gómez, accusato di reati che non ha commesso, com’è stato pienamente dimostrato, perché sappiamo che il 30 aprile era il termine ultimo del tribunale per dettare la sentenza.

Il consiglio condanna l’assassinio di Vázquez Guzmán a Bachajón e chiede la punizione dei responsabili materiali e intellettuali. In particolare, l’organizzazione della costa, da Tonalá, Pijijiapan, Mapastepec e Jiquipilas dichiara: Condanniamo le aggressioni e gli attacchi dei malgoverni contro i nostri fratelli e sorelle zapatiste di San Marcos Avilés, ed esigiamo la sospensione degli attacchi.

Le ejidatarios di Tila aderenti alla Sesta, che non hanno mai smesso di mobilitarsi per la restituzione delle loro terre, usurpate per abuso storico del governo chiapaneco con la complicità permanente dei tribunali federali e delle successive legislature statali, si sono detti tristi e addolorati per la morte di Juan, perché col cuore in mano ha difeso il territorio ed imparato a lottare appoggiando i suoi compagni. Vázquez è caduto nella difesa della terra e del territorio, dichiarano, e si identificano con gli ejidatarios aderenti alla Sesta di San Sebastián: Ci siamo rispecchiati nella stessa lotta come popoli tzeltal e chol, condividiamo la stessa storia con gli stessi oppressori che sono i mal governi, i latifondisti ed i grandi impresari che condividono l’ambizione di essere padroni delle nostre terre e della nostra gente.

Da parte sua, la decina di organizzazioni della Red por la Paz Chiapas ha sottolineato che dal 2007 il leader ucciso partecipava alla difesa del suo ejido, situazione per la quale aveva in corso una causa, e riferiscono che lo scorso 17 aprile, gli ejidatarios di San Sebastián hanno reso pubbliche nuove minacce da parte di autorità dell’attuale governo del Chiapas.

Infine, la Red contra la Represión denuncia “gli interessi delle grandi compagnie alberghiere e di turismo ‘ecologico’ per saccheggiare la zona e spogliare del loro territorio agli abitanti originari”, perché esistono impegni tra questi capi del capitalismo, chiamati pomposamente impresari, ed i governi federale e locali. Le istanze governative faranno il possibile per mantenere impunito il crimine contro Juan Vázquez. Sappiamo che il governatore Manuel Velasco Coello preferirebbe che gli indigeni lo portino in spalla per le strade, come successo a metà di aprile ad Oxchuc. http://www.jornada.unam.mx/2013/05/02/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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DESINFORMEMONOS

In Chiapas si scatena la violenza antizapatista

Hermann Bellinghausen

29 aprile 2013 

San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Soffiano venti allarmanti di violenza politica antizapatista nella regione tzeltal di Chilón, dove il governo ufficiale, come quello dello stato, appartiene al Partito Verde Ecologista (PVEM), nel caso questo significhi qualcosa. Nell’ejido di San Marcos Avilés, individui identificati come appartenenti ai diversi partiti politici (che da queste parti finiscono sempre di puzzare di PRI), hanno scatenato le ostilità, in atto comunque da oltre due anni, contro le famiglie zapatiste della comunità. Il tutto con minacce reiterate di morte e violenza, furti, avvelenamento dell’acqua e degli animali domestici, minacce con armi da fuoco, distruzione di appezzamenti ed il rischio di essere sgomberati violentemente, come già successo nel 2010.

E così, senza motivo apparente, il noto dirigente degli aderenti della Sesta nell’ejido di San Sebastián Bachajón, a Chilón, Juan Vázquez Guzmán, viene assassinato con cinque precisi colpi di pistola sulla porta di casa da sconosciuti fuggiti a bordo di un veicolo di colore rosso e poi persi per le strade dell’impunità chiapaneca. Questo, la notte di mercoledì 24, alle ore 23:00.

Nell’ejido di Jotolá, vicino a San Sebastián Bachajón, le famiglie aderenti alla Sesta sono minacciate di essere presto spogliate delle loro terre dal gruppo filogovernativo, con precedenti penali, della stessa comunità.

Il segnale di allarme che girava da varie settimane, è risuonato forte sabato 20 aprile quando la Giunta di Buon Governo dell’EZLN, nel caracol di Oventik, ha emesso un comunicato che dettagliava una ventina di aggressioni, alcune gravi, a San Marcos Avilés, in questo anno e nei due precedenti. Quello stesso giorno è arrivata a San Marcos una missione civile della Red por la Paz en Chiapas, composta da 10 centri per i diritti umani ed organismi indipendenti, per realizzare un’osservazione diretta di carattere umanitario.

Quella notte, i gruppi filogovernativi del PRI, PVEM e PRD minacciavano di espellere gli osservatori e sequestrare i loro veicoli, “perché scorrerà il sangue”. Ciò nonostante, domenica 21 aprile la Carovana Civile di Osservazione ha compiuto la sua missione e giovedì 25 ha diffuso un rapporto che conferma, con vivide testimonianze delle donne zapatiste dell’ejido, quanto denunciato dalla JBG.

Appena alcune ore prima avevano assassinato Juan Vázquez, fermo difensore del territorio del suo popolo contro il giogo governativo a favore dello sfruttamento turistico delle cascate di Agua Azul, nel municipio di Tumbalá, attigue a San Sebastián Bachajón.

Le nuove denunce di San Marcos Avilés hanno un denominatore comune con tutte le precedenti: si tratta degli stessi autori materiali. Dietro ad ogni aggressione ci sono i loro nomi. Che si sappia, nessuno è stato indagato. Piuttosto il contrario, lavorano fianco a fianco con la giunta comunale di Chilón e da vari anni con il sostegno diretto del governo statale, con una persistenza ormai ultrasessennale.

La JBG di Oventic “accusa direttamente” Lorenzo Ruiz Gómez ed Ernesto López Núñez, ed i figli del primo, Sócrates e Ismael Ruiz Núñez. TAnche i priisti Cruz Hernández, Santiago Cruz Díaz, Vicente Ruiz López, Manuel Vázquez Gómez e José Hernández Méndez, oltre ai “verdi” Rubén Martínez Vásquez, Manuel Díaz Ruiz, Victor Núñez Martínez, Victor Díaz Sánchez ed altre 30 persone. Questi aggressori “non lasciano vivere in pace” le basi zapatiste che sono già state sfollate nel 2010.

La JBG ricorda che ha denunciato “gli atti vergognosi di queste persone legate ai partiti” che provocano problemi tra indigeni della stessa comunità, organizzati dai governatori Juan Sabines Guerrero e Manuel Velasco Coello”. E sottolinea: “La risposta alle nostre denunce sono state volgarità, scherno e nuove minacce”.

Il comunicato descrive più di 20 aggressioni contro le famiglie zapatiste dal luglio 2011 fino al passato 18 aprile, quando ad uno zapatista è stata sottratta una proprietà dal sindaco di Chilón che il 17 aprile “ha mandato una ruspa per abbattere un casale di 32,25 metri quadri di proprietà di Javier Ruiz Cruz, che ha lavorato protetta da 120 persone dei differenti partiti”. “Il nostro compagno non ha potuto fare niente per difendere la sua proprietà”. Il 29 gennaio scorso, Ruiz Cruz aveva informato la JBG che il terreno, sulle rive di una laguna, “era circondato dagli aggressori”, che “vociferavano della costruzione di un accampamento militare”.

 

Dal 2011 minacce e vessazioni non sono mai cessate, “guidate” abitualmente dall’agente di polizia municipale e militante del PVEM, Lorenzo Ruíz Gómez. La JBG racconta di diverse aggressioni contro le famiglie autonome. Già nel marzo del 2012, il priista Ernesto López Núñez ostentava “che quelli del partito hanno un nuovo piano” per sgomberare gli zapatisti, e che ci sarebbe stata una “seconda tappa per togliere loro i diritti sulle terre”.

Il 3 marzo di quest’anno, “aggressori ed autorità del PVEM si sono riunite col principale capoccia”, il menzionato Ruiz Gómez, che avrebbe detto “che non resta altro che assassinare i figli dei nostri compagni” e poi ha chiesto ai suoi complici di “uccidere Juan Velasco Aguilar e gli altri zapatisti”; i suoi accoliti, secondo la JBG, si sono dichiarati “pronti” a farlo e di avere “armi sufficienti”.

La Red por la Paz informa

La Red por la Paz en Chiapas giorni dopo ha dichiarato: “La fonte dell’aggressione principale è l’esproprio delle terre coltivate dalle basi zapatiste da parte di membri dei partiti PRI, PVEM e PRD”. La relazione privilegia le testimonianze delle donne dell’EZLN di San Marcos Avilés, che si dichiarano costantemente minacciate dai partidistas: “Dicono che se usciamo da sole ci violentano. Due anni fa è morta di crepacuore mia figlia di 10 anni, perché continuavano a dirle che l’avrebbero violentata”, ha dichiarato una donna. Bambini e bambine “chiedono costantemente perché non possono uscire a giocare, e sentono la preoccupazione dei genitori”. Le conseguenze psicologiche “sono forti”, sostiene la relazione. Secondo un’altra testimonianza, “non dormiamo più per il rischio di subire violenza”. La discriminazione e l’esclusione contro gli zapatisti “è marcata”, e le provocazioni “costanti”.

Sono state documentate molte minacce di morte. “Per esempio, il 27 marzo le autorità ejidali e municipali si sono riunite in un luogo privato per condividere informazioni su un uomo zapatista e decidere se ammazzarlo. Hanno concordato una volta ucciso, avrebbero fatto lo stesso con le altre basi dell’EZLN”.

Successivamente, la missione civile ha incontrato le autorità ufficiali, ma il consigliere comunale verde Leonardo Rafael Guirao Aguilar ha pensato bene di non presentarsi. Gli osservatori hanno parlato col delegato di Governo Nabor Orozco Ferrer, col sindaco Francisco Guzmán Aguilar ed altri funzionari municipali.

Di fronte alla documentazione delle violazioni dei diritti umani, il sindaco “ha ammesso lo sfollamento e l’esproprio di terre delle basi dell’EZLN dal 2010, commentando che ‘è vero che gli zapatisti hanno comperato le terre, ma le abbiamo sequestrate perché non pagano le tasse, la luce né l’acqua’, ma ha negato l’esistenza di una situazione di violenza”. Il delegato di Governo ha ammesso “che esistono interessi politici dietro questi eventi da parte di alcune persone che starebbero provocando la conflittualità”.

La missione ha rilevato “precarietà alimentare” tra le famiglie dell’EZLN, ed il “rischio imminente” di uno sgombero forzato per azione dei coloni che si dicono affiliati al PRI, PVEM e PRD. Con la sua relazione, la Red por la Paz ha esposto con chiarezza al governo “la gravità ed urgenza della situazione” chiedendo “azioni immediate per evitare danni irreparabili alla vita e integrità personale degli indigeni appartenenti all’EZLN”.

Da agosto 2010

L’inizio della sventura della comunità zapatista di San Marcos Avilés è iniziata con la realizzazione della scuola Emiliano Zapata, parte del Sistema Autonomo Educativo Zapatista, nell’agosto del 2010. I filogovernativi hanno scatenato un’ostilità latente, e dopo poche settimane le famiglie zapatiste hanno dovuto rifugiarsi sulle montagne per 33 giorni. Quando sono tornate, hanno trovato le loro case e campi saccheggiati e distrutti.

Le minacce di espulsione e di morte hanno raggiunto livelli allarmanti a giugno del 2011, data in cui il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) denunciava la responsabilità dello Stato per omissione in queste aggressioni, poiché le autorità non hanno agito per garantire l’integrità e la sicurezza delle basi zapatiste e l’accesso alla terra. Ciò, nonostante le denunce della giunta di buon governo (JBG) di Oventik ed i vari interventi inviati dallo stesso Frayba al governo del Chiapas.

L’organismo, presieduto dal vescovo Raúl Vera, chiede da allora la sospensione delle minacce di morte, della persecuzione e degli espropri contro le basi di appoggio dell’EZLN da parte di membri dei partiti politici dell’ejido, così come di proteggere e garantire la sua vita e la sicurezza, rispettando il loro processo autonomistico che da anni stanno costruendo, nella cornice del diritto alla libera determinazione dei popoli, sancito dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dall’ONU e dallo Stato messicano.

Le 170 persone sfollate da San Marcos Avilés il 9 settembre 2010, sono ritornate il 12 ottobre di quell’anno. In quell’occasione, la JBG di Oventik ritenne responsabile il governo statale per qualsiasi nuova aggressione contro i suoi compagni che erano e sono perseguitati per praticare l’autonomia in maniera pacifica.

A settembre del 2010, la giunta denunciò che 30 persone dell’ejido, membri dei partiti citati, guidate da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, aveva fatto irruzione violentemente, con bastoni, machete ed armi, nelle case degli zapatisti tentando di violentare due donne che però riuscirono a fuggire. Per non rispondere all’aggressione, le basi zapatiste si rifugiarono in montagna. Dopo 33 giorni di allontanamento forzato, senza cibo e protezione, tornarono nelle proprie case.

Il Frayba documentò allora che le abitazioni degli sfollati erano state saccheggiate di tutti i loro beni, incluso i raccolti di mais e fagioli. Le coltivazioni, piantagioni di caffè ed alberi da frutta furono distrutti, e gli animali rubati.

Da allora, il centro ha informato in varie occasioni le autorità sulla situazione in San Marcos Avilés, al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza degli abitanti, e cercare una soluzione al conflitto. A dispetto di ciò, non c’è stata alcuna risposta dal governo.

Anche se la popolazione sfollata decise di tornare, il Frayba ha continuato a documentare minacce persistenti e quotidiane nella comunità, e sostiene che c’è un rischio di sgombero forzato. Il 6 aprile 2012 è stato installato nell’ejido un accampamento civile per la pace i cui osservatori civili sono stati minacciati, un fatto senza precedenti che descrive bene l’escalation delle aggressioni contro le basi zapatiste.

Più avanti, ad agosto dell’anno scorso, nuovamente le basi di appoggio zapatiste denunciarono la pianificazione di un nuovo sgombero contro di loro. I partidistas tenevano assemblee straordinarie per discutere di questi temi, e resero perfino pubblico il piano di sgombero violento. La comunità aggredita riferì che questi partidistas stavano cercando di reclutare persone nelle comunità di Pantelhó, Corralito e La Providencia per aiutarli nel realizzare lo sgombero.

Gli indigeni in resistenza e perseguitati, circa 200 persone, comprarono il terreno 13 anni fa e possiedono gli atti di proprietà. Tuttavia, come in tutto il territorio zapatista, questo non ferma i governi che continuano ad assegnare la terra ad altri in cambio dello sgombero forzato di quello che più temono quelli che stanno sopra: il buon esempio.


http://desinformemonos.org/2013/04/se-desata-violencia-antizapatista-en-chiapas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Aggressioni in Chiapas

Gloria Muñoz Ramírez

Questa settimana, il Chiapas è stato nuovamente scenario di violenza contro indigeni e contadini che difendono la terra e praticano l’autonomia, passati in sordina sui media elettronici, affannati a diffondere immagini di violenza intollerabile – come la definiscono – del corpo insegnante di Guerrero che protesta per l’imposizione della riforma educativa, e degli studenti che occupano il rettorato della UNAM.

Entrambe le aggressioni sono state direttamente contro zapatisti e pro-zapatisti. I primi sono basi di appoggio dell’EZLN della comunità di San Marcos Avilés, municipio di Chilón, appartenenti al caracol di Oventik. I secondi sono protagonista della lotta per la difesa delle loro terre a San Sebastián Bachajón, di dove era originario il dirigente degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, Juan Vázquez Gómez, assassinato con cinque colpi d’arma da fuoco.

Attivo nella difesa della sua comunità dal 2007, lo scorso 17 aprile Juan Vázquez aveva denunciato, insieme ad altri ejidatarios aderenti all’iniziativa zapatista, nuove minacce al suo territorio per un progetto turistico nella regione.

Il clima di violenza in Chiapas, stato in cui si è recato la settimana scorsa il presidente Enrique Peña Nieto per lanciare la sua Crociata Nazionale contro la Fame, si acuisce con minacce e persecuzione diretta contro chi difende il suo territorio. Le aggressioni non sono mai cessate, vero, ma i fatti violenti di questa settimana sono un allarme che non può essere ignorato, perché era da molto tempo che non accadeva un omicidio politico nell’entità.

Neanche le aggressioni a San Marcos Avilés sono nuove, ma proprio ora tornano le ostilità contro le famiglie di questo villaggio che dall’agosto del 2010 – quando aprirono la scuola autonoma Emiliano Zapata – sono minacciate da elementi che loro chiamano ‘quelli dei partiti’. Il tentativo di sottrarre le loro terre è il nodo del conflitto.

In un recente comunicato, la Giunta di Buon Governo con sede ad Oventik, ha dettagliato le violazioni quotidiane che subiscono negli ultimi tre anni ed ha denunciato che i tre livelli dei governi ufficiali non hanno fatto niente per fermare le ingiustizie e la violazione dei diritti umani che vengono commesse contro i nostri compagni basi di appoggio dell’ejido San Marcos Avilés. La risposta sono state volgarità, scherno ed altre minacce contro i nostri compagni.

In Chiapas c’è la minaccia latente di sgombero forzato contro gli zapatisti e di un nuovo omicidio politico.

http://desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 26 aprile

Bachajón, Chiapas: assassinato il dirigente degli ejidatarios pro-zapatisti. Juan Vázquez Gómez ucciso da cinque colpi di pistola davanti a casa sua.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 aprile. Il dirigente degli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona a San Sebastián Bachajón, Juan Vázquez Gómez, è stato assassinato la notte di mercoledì da individui non identificati che l’hanno ucciso con cinque colpi di pistola. I fatti sono avvenuti intorno alle 23 fuori da casa sua, hanno comunicato gli ejidatarios.

Questa mattina, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha condannato l’omicidio del segretario generale degli aderenti alla Sesta a San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón. Vázquez Gómez si è distinto per la sua partecipazione attiva in difesa della terra e del territorio contro l’esproprio governativo delle cascate di Agua Azul e l’imposizione del botteghino di ingresso al sito.

Alcuni vicini, aggiunge il Frayba, riferiscono che Juan è stato aggredito proprio mentre stava entrando in casa; gli aggressori “sono fuggiti a bordo di un camioncino rosso in direzione di Sitalá, sulla strada che collega Ocosingo, Cancuc e Chilón”.

Dal 2007 Vázquez Gómez partecipava attivamente alla difesa del territorio ejidale, per il quale è aperto il ricorso n. 118/2013 attualmente in revisione presso il Tribunale di Tuxtla Gutiérrez.

Bisogna ricordare che il 17 aprile gli ejidatarios aderenti alla Sesta hanno denunciato che il loro territorio è minacciato dalla politica ufficiale di esproprio che prosegue con l’attuale governo dello stato. Il governo precedente si era distinto per la persecuzione degli ejidatarios che si oppongono all’esproprio per, fini turistici, di una parte delle loro terre, con la partecipazione diretta del segretario di Governo, Noé Castañón León, come da ripetute segnalazioni degli ejidatarios tzeltal.

A sua volta, la Rete contro la Repressione in Chiapas ritiene evidente che si tratta di un omicidio politico, per i molti interessi imprenditoriali, politici ed economici nella zona. E dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, i detenuti della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate condannano i fatti e chiedono alle autorità di indagare e punire i responsabili.

In una situazione di crescente tensione nella zona di Chilón, nelle scorse settimane sono state denunciate nuove minacce contro gli aderenti della Sesta dell’ejido di Jotolá. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/26/politica/028n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 24 aprile 2013

Zapatisti denunciano aggressioni da parte di simpatizzanti di PRI e PVEM

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 23 aprile. La giunta di buon governo (JBG) degli Altos, con sede nel caracol zapatista di Oventic, ha denunciato le numerose aggressioni subite nell’ejido San Marcos Avilés (Chilón) dalle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in particolare in questo anno. Gli aggressori sono identificati come appartenenti a PRI e PVEM. 

Il comunicato è stato diffuso proprio quando questa domenica la missione civile della Rete per la Pace del Chiapas è stata minacciata durante la sua visita nella comunità tzeltal per documentare le costanti violazioni dei diritti delle basi zapatiste. Il Frayba, una delle 10 organizzazioni partecipanti, ha denunciato che “i partiti hanno minacciato la ‘Carovana Civile di Osservazione’ di sequestrare i veicoli”, avvertendo che se non li avessero consegnati con le buone, sarebbe corso il sangue. Le minacce non si sono concretizzate ma danno l’idea del clima che si respira a San Marcos Avilés. La carovana si è conclusa senza incidenti ed ha annunciato una relazione per i prossimi giorni.

Intanto, la JBG ricorda che ha sempre denunciato tutti gli atti vergognosi di queste persone dei partiti politici che provocano problemi tra gli indigeni della stessa comunità; sono organizzati dai governatori Juan Sabines Guerrero e, ora, da Manuel Velasco Coello. I tre livelli di governo non hanno fatto niente per fermare le ingiustizie che si commettono contro i nostri compagni. E sottolinea: La risposta alle nostre denunce sono state volgarità, scherno ed altre minacce. 

Il comunicato dettaglia più di 20 aggressioni contro le famiglie zapatiste dal luglio del 2011 fino alla settimana scorsa, quando il 17 aprile scorso, ad uno zapatista è stata sottratta una proprietà dal sindaco di Chilón, che ha mandato un trattore per demolire una casa di 32 per 25 metri quadri di proprietà di Javier Ruiz Cruz, protetto da 120 persone dei diversi partiti. Il nostro compagno non ha potuto fare niente per difendere la sua proprietà.

Il giorno seguente il trattore ha continuato a lavorare circondato dallo stesso numero di persone dei partiti e da sette camion a rimorchio per caricare la ghiaia. Prima, lo scorso 29 gennaio, Ruiz Cruz aveva informato la JBG che il terreno, sulle rive di una laguna, era stato circondato dagli aggressori che vociferavano della costruzione di un accampamento militare. 

Dal 2011 non sono cessate le minacce e le vessazioni guidate abitualmente dalla polizia municipale e dal militante del PVEM Lorenzo Ruiz Gómez. La JBG racconta di diverse aggressioni contro le famiglie autonome: sottrazione di terre, furto di coltivazioni ed animali, saccheggio di piantagioni di caffè, minacce di morte, false accuse, sospensione del servizio elettrico ed aggressioni armate e con pietre, insieme ad azioni arbitrarie di funzionari municipali di Chilón apertamente collusi con gli aggressori del PRI e del PVEM di San Marcos Avilés.

Già nel marzo del 2012 il priista Ernesto López Núñez ostentava che quelli del suo partito avevano un nuovo piano per cacciare gli zapatisti e che in un secondo tempo gli avrebbero tolto anche i loro diritti sulle terre. 

Il 3 marzo scorso gli aggressori e le autorità del PVEM si sono riuniti col principale capoccia (il menzionato Ruiz Gómez) che avrebbe detto che non c’è altra soluzione che assassinare i figli dei nostri compagni, e poi avrebbe chiesto ai suoi complici di uccidere Juan Velasco Aguilar e gli altri zapatisti; i suoi compari, secondo la JBG, si sono dichiarati pronti a farlo e con sufficienti armi a disposizione.

La JBG di Oventic accusa direttamente i citati Ruiz Gómez e López Núñez, insieme ai figli del primo, Sócrates e Ismael Ruiz Núñez. Aggiunge i priisti José Cruz Hernández, Santiago Cruz Díaz, Vicente Ruiz López, Manuel Vázquez Gómez e José Hernández Méndez, oltre ai verdi Rubén Martínez Vásquez, Manuel Díaz Ruiz, Victor Núñez Martínez, Victor Díaz Sánchez ed altre 30 persone. Questi aggressori non lasciano vivere in pace le basi zapatiste che erano già state cacciate per un breve periodo nel 2010. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/24/politica/022n2pol

Comunicato originale della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 21 aprile 2013

Cresce la campagna internazionale a favore del professore tzotzil. Su Twitter è diventato trending topic

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 aprile. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas dha diffuso una lista di organizzazioni e collettivi che, dal 20 marzo scorso, si sono pronunciati per la liberazione del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez. Circa 200 organizzazioni su scala nazionale, inclusi i 75 membri – in 22 stati – della Rete Nazionale delle Organizzazioni Civili Tutti i Diritti per Tutte e Tutti. Su scala internazionale, solamente in Germania sono una trentina, più di 20 in Spagna, 17 in Svizzera e 11 in Francia.

La campagna internazionale ha prodotto che l’argomento fosse trending topic su Twitter questo venerdì e si è superato l’obiettivo prefissato di 4 mila 686 lettere per la sua libertà, una per ogni giorno di prigione. Sono state inviate 5 mila 986 lettere ai giudici del primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez ed al ministro Juan Silva Meza, presidente del Consiglio della Magistratura Federale.

Questo venerdì gli attivisti hanno manifestato davanti all’ambasciata del Messico a Madrid, e collettivi britannici hanno consegnato una lettera nella sede diplomatica di Londra; nei giorni scorsi è successo qualcosa di simile nel consolato di New York. Anche decine di organizzazioni di altri paesi (Austria, Brasile, Belgio, Regno Unito, Cile, Colombia, Stati Uniti, Grecia, Argentina, Italia, Canada, Svezia, Danimarca, Norvegia, Nuova Zelanda e Olanda) si sono pronunciate nelle scorse settimane.

Inoltre, solamente del municipio El Bosque ci sono state dichiarazioni dei partiti politici (PRI, PRD, PAN), le chiese, le società cooperative e di produzione, l’attuale giunta (e lo stesso presidente municipale, Juan Manuel Cortés Rodas), la giunta precedente, diversi quartieri e le autorità dei beni comunali e ejidali. Ed infine, in diverse città chiapaneche, tutti gli organismi membri della Rete per la Pace. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/21/politica/017n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 21 aprile2013

Missione Civile in Chiapas per le minacce alle basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 aprile. I membri della Rete per la Pace in Chiapas hanno comunicato che questa domenica e lunedì 22 realizzeranno una missione civile di osservazione e documentazione nella comunità di San Marcos Avilés, nel municipio di Chilón, col fine di raccogliere testimonianze, dopo le recenti minacce di sgombero forzato contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da parte di abitanti dello stesso ejido affiliati a diversi partiti politici.

Le 10 organizzazioni civili che partecipano all’azione, e che hanno manifestato ripetutamente la loro preoccupazione per la popolazione zapatista di questa comunità, hanno detto che sperano anche di incontrare il presidente municipale di Chilón, Leonardo Rafael Guirao Aguilar, ed il delegato di governo della zona, Nabor Orozco Ferrer.

Hanno chiesto inoltre ai difensori dei diritti umani, ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica, di vigilare su quanto potrebbe succedere nell’ambito della missione. Al termine di questa visita alle famiglie tzeltal minacciate, gli osservatori diffonderanno una relazione.

Le minacce

Segnalano l’importanza dell’osservazione e delle riunioni con le autorità per frenare la escalation di minacce e la loro possibile concretizzazione, più ancora considerando che tra agosto e ottobre del 2010, 170 basi zapatiste dell’ejido San Marcos Avilés sono stati già sfollate e che attualmente vivono in situazioni precarie, spogliati delle loro terre di lavoro e sotto la costante minaccia alla loro integrità e sicurezza personale.

La Rete per la Pace in Chiapas, creata nel 2000, si presenta come uno spazio di riflessione ed azione che mantiene un’analisi permanente del contesto locale e nazionale, con azioni puntuali, come pronunciamenti rispetto a fatti gravi o missioni di osservazione. Formano la Rete: Comité de Derechos Humanos Fray Pedro Lorenzo de La Nada, Centro de Derechos Indígenas (Cediac), Servicios y Asesoría para la Paz (Serapaz), Comisión de Apoyo a la Unidad y Reconciliación Comunitaria (Coreco), Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (Desmi), Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), Educación para la Paz (Edupaz), Servicio Internacional para la Paz (Sipaz), Enlace-Comunicación y Capacitación, e Centro de Derechos de la Mujer Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/21/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La patata bollente

Gloria Muñoz Ramírez

 Nonostante le pressioni esercitate su di lui e contro il suo popolo, questo 19 aprile si è svolta la giornata nazionale ed internazionale da dieci anni più grande per chiedere la liberazione di Alberto Patishtán, il prigioniero politico più emblematico del Messico. La visita del presidente Enrique Peña Nieto a Zinacantán, dove ha lanciato la sua campagna contro la fame, non è riuscita a fermare la grande manifestazione nella capitale del Chiapas, benché il governatore Manuel Velasco ci abbia provato per rendere più amichevole il soggiorno dell’Esecutivo federale.

Le mobilitazioni in tutto il mondo sono state organizzate in concomitanza al 42° compleanno del professor Patishtán, 12 dei quali trascorsi in prigione. Nel DF l’appuntamento è stato di fronte al Consiglio della Magistratura Federale, dove sono arrivati membri della Rete contro la Repressione e Solidarietà, del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità ed il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra di Atenco, tra altre organizzazioni.

Il caso Patishtán si è trasformato in una patata bollente per i governi federale e statale. La sua liberazione è nelle mani dei giudici del Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutiérrez ai qualoi si chiede imparzialità, trasparenza, obiettività e impegno sociale.

In questo momento, spiega Sandino Rivero, avvocato di Patishtán, si chiede ai giudici di risolvere l’incidente di riconoscimento di innocenza con la dovuta indipendenza ed imparzialità. Loro stessi si sono impegnati a vigilare che la risoluzione del primo tribunale collegiale sia conforme al rispetto dei diritti umani del professore, garantendo il diritto di accesso alla giustizia e libertà.

Sulla richiesta della sua liberazione questo venerdì è caduta l’ombra delle minacce contro Patishtán e contro la sua comunità, El Bosque, dove sono arrivati personaggi del governo statale per tentare di dissuadere la manifestazione. Non ci sono riusciti, e con una strategia più simile al controllo dei danni che ad una posizione per la giustizia, il governatore e parte del suo gabinetto hanno deciso di fare visita personalmente al professore ed gli altri detenuti appartenenti a La Voz del Amate, tutti simpatizzanti della causa zapatista.

L’erronea e malriuscita intenzione del governo di fermare le mobilitazioni, segnala Víctor Hugo López, direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, è parte di una costante in Chiapas, nella quale funzionari di livello medio minacciano i componenti dei movimenti sociali.

Il Frayba ha informato che è stata superata la meta prevista di 4 mila 686 lettere di appoggio al professore, una per ogni giorno di prigione. Patishtán ha ricevuto 5 mila 986 lettere per la sua libertà.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2013/04/20/opinion/012o1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 19 aprile 2013

Manuel Velasco si impegna ad agire per la libertà di Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 aprile. Il governatore Manuel Velasco alle 16:30 di oggi ha visitato, nel carcere numero 5 di San Cristóbal de las Casas, il professor Alberto Patishtán Gómez ed i detenuti della Voz del Amate e Solidarios e si è impegnato ad agire per la libertà di Patishtán ed una nuova revisione dei casi degli altri detenuti con i quali ha parlato personalmente.

Questo è stato comunicato dallo stesso Patishtán via telefonica a La Jornada.

Accompagnavano il governatore il procuratore generale di giustizia locale, Raciel López Salazar, ed il segretario statale di Pubblica Sicurezza, Jorge Luis Llavén. Ad essi incaricò Velasco Coello ha incaricato loro di occuparsi dei casi dei detenuti che ritengono di essere in prigione ingiustamente.

Davanti a Patishtán, il governatore ha manifestato l’interesse personale per il suo caso dicendosi convinto della sua innocenza e si è impegnato ad esporre al presidente Enrique Peña Nieto la sua situazione durante la visita che il presidente farà questo venerdì in Chiapas.

Tanto Patishtán, come gli organizzatori nel municipio di El Bosque di una peregrinazione di Pueblo Creyente della diocesi di San Cristóbal de las Casas, convocata per la mattina di questo venerdì nella capitale dello stato, avevano ricevuto pressioni per sospendere detta mobilitazione da parte di funzionari statali.

Si presume poiché coincidente con la visita del presidente Peña Nieto in Chiapas, accompagnato dall’ex presidente brasiliano Luiz Inazio Lula da Silva, per rilanciare da Navenchauc, in Zinacantán, non lontano da Tuxtla Gutiérrez, la Crociata Nazionale contro la Fame.

Martedì scorso, il sottosegretario di Governo della regione nord, Moisés Zenteno, aveva intimato al Movimento di El Bosque per la Libertà di Alberto Patishtán di sospendere la manifestazione a Tuxtla Gutiérrez, dando perfino un ultimatum agli indigeni. Ma questi hanno replicato che non era in suo potere fermare la manifestazione.

Successivamente, quella notte, inviati del sottosegretario avevano incontrato Patishtán in carcere per chiedergli sospendere la mobilitazione di Pueblo Creyente e di diverse organizzazioni sociali davanti al Tribunale. Il Profe, come è conosciuto, è da quasi 13 anni in carcere senza altro motivo che la vendetta per una vecchia disputa politica nel suo villaggio.

Sostenendo che il governatore Velasco Coello ha ribadito pubblicamente che, secondo lui, Patishtán dovrebbe essere messo in libertà, gli inviati della segreteria di Governo del Chiapas hanno tentato, infruttuosamente, di compromettere la manifestazione di venerdì. Questa culminerà, come annunciato dagli organizzatori, davanti alla sede del tribunale di Tuxtla Gutiérrez che si pronuncierà nei prossimi giorni sulla richiesta di revisione del caso e riconsiderare la condanna di 60 anni che pesa sul docente tzotzil.

Sembra che il magistero democratico, attualmente riunito per definire le misure rispetto alla riforma del sistema scolastico, si unirà alla peregrinazione per la libertà di Patishtán. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/19/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 16 aprile 2013

Convocata una marcia per la liberazione del professor Alberto Patishtán

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Movimento di El Bosque per la Libertà di Alberto Patishtán Gómez e l’organizzazione Pueblo Creyente della diocesi di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, hanno convocato una particolare “peregrinazione” il prossimo venerdì 19 a Tuxtla Gutiérrez per manifestare di fronte al tribunale in cui, prima della fine di aprile, si deciderà se Patishtán resterà in prigione o gli sarà concessa la libertà che fino ad ora tutte le istanze giudiziarie gli hanno negato. 

Quella che sarà anche una marcia politica partirà dalla fonte di Diana Cacciatrice, nella capitale chiapaneca, per raggiungere la sede del tribunale. Da una dea greca nuda ad un tribunale civile, un percorso particolare per una “peregrinazione” religiosa che festeggia “che il prigioniero politico chiapaneco e professore compie 42 anni” – dei quali più di 12 dietro le sbarre – mentre aspetta la decisione “dell’ultimo spiraglio legale per ottenere la libertà o trascorrere altri 48 anni in prigione accusato di reati che non ha commesso”.

Diversi media liberi delle due città chiapaneche (Koman Ilel, Radio Pozol, Radio Zapatista, Centro de Medios Libres e Chiapas Denuncia Pública) hanno invitato per questa settimana ad “un’azione su twitter” e ad altre manifestazioni pubbliche rivolte al tribunale federale in favore della liberazione di Patishtán: “In Chiapas è normale che centinaia di persone, in particolare indigeni, siano ingiustamente nelle prigioni, torturati, con prove inventate, processi imbrogliati e giudici corrotti. Ci sono anche casi di prigionieri politici, persone imprigionate ingiustamente come punizione illegale per le loro attività politiche per il bene collettivo”, sostengono.

Lo scorso 6 marzo la Corte Suprema di Giustizia della Nazione decise di non assumere la competenza per rivedere il caso di Patishtán, rimettendolo ad un tribunale. Di fronte a questo, “per il terzo venerdì consecutivo” i media liberi invitano “ad un’azione su twitter, nella quale cercheremo di collocare l’hashtag #LibertadPatishtan come trending topic (TT); ci siamo già riusciti una volta ed ora ci riproviamo”. Collocare l’hashtag come TT, sostengono, “permetterà che più persone possano sapere, documentarsi e, forse, agire di conseguenza”.

Propongono di “twittare in massa alla stessa ora”, dalle 10 alle 12, e dalle 16 alle 19, venerdì prossimo 19 aprile: “Forza gente, tirate fuori i vostri migliori 140 caratteri e lottiamo per #LibertadPatishtan”.

In Francia, nella Settimana Internazionale di Solidarietà con le Prigioniere e i Prigionieri Politici, diversi collettivi europei annunciano eventi e pronunciamenti a favore degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona imprigionati in Chiapas ed in altre entità. Oltre a Patishtan e all’oaxaqueño Álvaro Sebastián Ramírez, si tratta di Juan Díaz López, Rosa López Díaz, Alfredo e Pedro López Jiménez, Juan López González, Juan Collazo Jiménez, Benjamín López Aguilar, Alejandro Díaz Sántiz, Antonio Estrada Estrada, Miguel Vásquez Deara, Miguel Demeza Jiménez, Enrique Gómez Hernández , Rosario Díaz Méndez, Máximo Mojica Delgado, María de los Ángeles Hernández Flores, Santiago Nazario Lezma e Braulio Durán.

Dal 14 al 21 di aprile a Parigi si riuniscono diversi collettivi ed organizzazioni solidali con i prigionieri curdi, tamil, palestinesi, saharaui, baschi, mapuche, corsi e irlandesi, così come i gruppi che chiedono la libertà dei noti prigionieri politici Leonard Peltier, Georges Ibrahim Abdallah e Mumia Abu-Jamal. Vi parteciperanno inoltre le ex prigioniere messicane che hanno denunciato il caso Atenco, Bárbara Italia, Georgina Edith Rosales Gutiérrez, María Patricia Romero Hernández, Norma Aidé Jiménez Osorio, Claudia Hernández Martínez, Ana María Velasco Rodríguez, Yolanda Muñoz Diosdada, Cristina Sánchez Hernández, Patricia Linares, Suhelen Gabriela Cuevas Jaramillo e Mariana Selvas.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Firma qui:

http://www.avaaz.org/es/petition/Preso_Politico_Alberto_Patishtan_pide_apoyo_a_sociedad_civil_1/

 Perché è importante

Questo mese un Tribunale in Messico deciderà se il prigioniero politico Alberto Patishtán sarà liberato o rimarrà altri 48 anni in prigione.

Patishtán è professore, indigeno tzotzil, era molto attivo politicamente nella sua comunità quando fu arrestato il 19 giugno del 2000 e condannato ingiustamente a 60 anni di prigione. In prigione ha continuato a lottare per la giustizia organizzando i detenuti per chiedere condizioni umane nelle prigioni del Messico. Il governo messicano ha tentato di frenare la sua lotta trasferendolo in una prigione di massima sicurezza dove ha subito diverse forme di tortura. Grazie all’intervento della società civile dopo un anno è tornato in una prigione vicino alla sua famiglia. Gli è stato conferito il Premio jCanan Lum per la sua lotta per la “trasformazione sociale in maniera pacifica”. La sua comunità continua a chiedere la libertà di Patishtán.
Patishtán soffre di un tumore cerebrale per cui sta perdendo la vista. E’ stato sottoposto ad intervento chirurgico sei mesi fa ma dentro la prigione non ci sono le condizioni sufficienti per il suo recupero.

Patishtán non si è arreso e continua a lottare. Il suo caso è arrivato alla Suprema Corte del Messico dove uno dei giudici ha detto pubblicamente che Alberto Patishtán è innocente e dovrebbe essere liberato immediatamente. Sfortunatamente la Suprema Corte ha trasferito il caso in un altro tribunale dove decideranno in questo mese se può essere liberato. In generale il sistema giudiziario in Messico è discriminatorio, Patisthán è indigeno e per questo è importante il sostegno pubblico.

Attualmente Alberto fa giornate di digiuno in prigione e si appella alla società civile a pronunciarsi per chiedere la sua libertà per ottenere finalmente giustizia.

Firma e condividi questa petizione con tutto il mondo!

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ALBERTO PATISHTAN, UN SIMBOLO DELLA LOTTA, A FIANCO DELL’EZLN, PER LA LIBERTÁ E LA DIGNITÁ DEL POPOLO MESSICANO

Alberto Patishtan è oggi il prigioniero politico più famoso del Messico. Si trova in carcere dal 21 luglio del 2000 dove sta scontando una pena che gli permettererà di tornare in libertà solo nel 2060 quando avrà 89 anni.

E’ accusato dell’omicidio di 8 poliziotti avvenuto la mattina del 12 giugno del 2000 a Las Lagunas de Las Limas, municipio di Simojovel nello stato messicano del Chiapas.

Alberto è un simbolo. Lo è per la sua lotta instancabile per la libertà e la dignità, come per la sua forza incredibile nell’animare i compagni e compagne detenuti a ribellarsi all’abominio delle carceri e alle ingiustizie di Stato; ma Alberto è un simbolo anche perché rappresenta un esempio di come la guerra integrale di sfiancamento combattuta dallo Stato contro i popoli del Chiapas e del Messico in generale usi tattiche e strategie complesse per annichilire i movimenti sociali tutti, in primis ovviamente l’EZLN ma non solo e per imporre il suo nuovo ordine fatto di narcopotere e interessi milionari.

Ripercorriamo la storia che ha portato al suo arresto per chiarire meglio l’emblematicità di cui parliamo.

Al momento del suo arresto Patishtan era un dirigente politico, presidente dell’Organizzazione Tripla SSS di El Bosque.  L’organizzazione aveva come scopo la difesa dei diritti dei più deboli e sfruttati della regione, denunciava la corruzione dell’allora sindaco del Bosque Manuel Gómez Ruiz e stava mobilitando la grande maggioranza degli abitanti del municipio.

Allo stesso tempo era un maestro.  Aveva studiato nell’Università di Valle de Grijalba e poi era tornato nella sua comunità.  E’ stato direttore dell’“albergue escolar” di El Azufre nel municipio di Huiitipan, regione di Bochil.  Nel suo lavoro di educatore si è sempre impegnato affinché anche i bambini delle famiglie indigene più povere e lontane dalla scuola potessero frequentare e apprendessero nella loro lingua di origine, il tzotzil.

Nel giugno del 1998 l’Esercito interviene nella regione occupando le località di Unión Progreso, Chavajeval, Álvaro Obregón e lo stesso El Bosque dove l’EZLN aveva costituito un Municipio Autonomo.  Nell’intervento armato gli zapatisti si difendono ma muoiono 8 compagni base di appoggio.   Il Municipio Autonomo viene smantellato.

Esattamente due anni dopo, il 12 giugno del 2000 si svolge il massacro di cui viene accusato Alberto.   Dieci o quindici individui, con giubbotti antiproiettile e armi di grosso calibro, tende un’imboscata al pick up verde scuro su cui viaggiavano, provenienti da Simojovel, otto poliziotti e l’autista del municipio di El Bosque, minorenne e figlio del sindaco corrotto Manuel Gómez Ruiz. Il giovane Rosemberg Gómez Pérez, che guidava il veicolo con i due comandanti in cabina e l’agente di Pubblica Sicurezza Belisario Gómez Pérez nel rimorchio con i suoi commilitoni, gravemente feriti e creduti morti dagli aggressori, sopravvivono rimanendo gli unici testimoni oculari.

Subito dopo l’Esercito federale invia centinaia di effettivi, occupa il luogo dell’imboscata, la città, le strade e fa incursioni nelle comunità zapatiste. La prima ipotesi della Segreteria della Difesa Nazionale è quella che gli autori apparterrebbero a “una cellula dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR)” ma l’ipotesi appare subito fantasiosa.

Più credibile si presenta l’ipotesi, diffusa lo stesso giorno della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), storicamente presente nella regione: i responsabili dell’imboscata sarebbero “paramilitari” del Mira”.   Il gruppo Mira, temibile e feroce, operava a El Bosque ed era più conosciuto come Los Plátanos, dal nome della comunità in cui i paramilitari si riunivano con poliziotti judiciales e da dove erano partiti, il 10 giugno1998, per partecipare al massacro degli zapatisti a Unión Progreso.

Il giorno dopo l’imboscata, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN emise un breve comunicato: “Secondo i dati raccolti, l’attacco è avvenuto con tattiche da narcotrafficanti, paramilitari o militari. L’uso del cosiddetto ‘colpo di grazia’ è ricorrente in questi gruppi armati. L’attacco è avvenuto in una zona affollata di truppe governative (esercito e polizia), dove è molto difficile che un gruppo armato possa muoversi senza essere scoperto e senza la complicità delle autorità. Il gruppo attaccante possedeva informazioni privilegiate sui movimenti e sul numero di persone imboscate. Una tale informazione può essere ottenuta solo da persone del governo o vicine ad esso”.

Il comando ribelle segnalava: “L’EZLN sta investigando per fare luce sull’identità e sui motivi del gruppo aggressore. Tutto indica che sarebbero del governo (o con il sostegno governativo) le persone che hanno compiuto l’aggressione, poiché in questo modo avrebbero il pretesto per aumentare la militarizzazione in Chiapas e per giustificare l’attacco contro comunità zapatiste o l’EZLN. È da notare che questo fatto rafforza il clima di instabilità che il candidato ufficiale minaccia se non vincerà”.

Nel frattempo il deputato Gilberto López y Rivas, della Cocopa, segnalò che quell’imboscata aveva tutto l’aspetto di “una provocazione dei paramilitari fomentata dal governo dello stato”.  Lo stesso giorno, Victor Manuel Pérez López, dirigente della CIOAC, rivelò che il governo del Chiapas, nel 1997 aveva armato e finanziato “dissidenti del Partito del Lavoro” per combattere il governo municipale di quel partito e la stessa  CIOAC. Una volta raggiunto l’obiettivo di restituire al PRI il comune, “questi si sarebbero dedicati al controllo delle coltivazioni di marijuana, agli assalti e al narcotraffico.  Il dirigente della CIOAC aggiungeva che i paramilitari operavano nella più completa impunità, in pieno giorno, anche se militari e poliziotti realizzavano pattugliamenti frequenti.

La responsabilità dei paramilitari usciva allo scoperto. Urgeva correre ai ripari. Quello stesso giorno a El Bosque, l’Esercito e la Polizia Federale Preventiva catturarono, senza mandato di cattura, il maestro Alberto Patishtán Gómez. Un gruppo di abitanti, membri del PRI, subito protestò e sollecitò l’intervento del Congresso statale, sostenendo che il prigioniero era innocente.

Quel 19 giugno, pronunciandosi rispetto alle imminenti elezioni del 3 luglio 2000, il subcomandante Marcos scrisse: “Nel frattempo qua stiamo tremando. E non perché ‘el croquetas‘ Albores abbia ingaggiato Alazraki per rifarsi l’immagine (probabilmente Albores cerca un posto per promuovere cibo per cani), né per i seicentomila dollari che gli verserà (soldi destinati originalmente a ‘risolvere le condizioni di povertà ed emarginazione degli indigeni chiapanechi’, Zedillo dixit). Neanche per i latrati del ‘cucciolo‘ Montoya Liévano (sempre più nervoso perché si sta scoprendo che sono stati i suoi ‘ragazzi ‘- cioè, i suoi paramilitari – i responsabili dell’attacco alla Pubblica Sicurezza a El Bosque, il 12 giugno scorso). No, stiamo tremando perché siamo zuppi di pioggia. E tra elicotteri e temporali, non si trova un buon riparo”.

Nel frattempo Alberto Patishtán Goméz sequestrato dalla polizia preventiva viene torturato e quindi traferito nel carcere di Cerro Hueco.

Mentre da El Bosque cresce il movimento per la sua liberazione,  Patishtan, nel carcere, organizza la lotta per una vera giustizia con altri detenuti e mentre i sostenitori della sua innocenza manifestavano davanti al palazzo del Governo statale a Tuxtla Gutierrez, Alberto, con altri detenuti si cuce le labbra con del filo in segno di protesta.

Nel carcere fonda una organizzazione politica rivoluzionaria, con il nome “Voz de la Dignidad Rebelde” dei priogionieri politici, che ha lo scopo di far crescere la coscienza politica dei detenuti e la loro lotta per una vera giustizia.

Intanto cambia il governatore e viene eletto Pablo Salazar.  Durante il suo governo, in seguito a un giudizio pilotato e senza tener in conto delle contraddizioni in cui si presentavano le supposte prove (l’unico testimonio a carico era  lo stesso figlio del sindaco corrotto), viene condannato a 60 anni di prigione.

Patishtan viene poi trasferito nel carcere del Amate vicino alla città di Cintalapa de Figueroa, Chiapas.  Nel nuovo carcere, il 5 gennaio del 2006, organizza uno sciopero della fame.    Durante la protesta, insieme ad altri prigionieri fonda l’organizzazione politica “La Voz del Amate”.  L’organizzazione aderisce subito all’appello del Delegato Zero e alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.  Alla protesta si uniscono molti prigionieri basi di appoggio dell’EZLN, indigeni organizzati nel Pueblo Creyente e in altre organizzazioni politiche anticapitaliste.  Nella protesta si esige la liberazione di tutti i prigionieri politici e riceve l’appoggio della società civile fuori dal carcere. Il Delegado Zero, Subcomandante Insurgente Marcos dell’EZLN, che nel frattempo stava girando il Messico per organizzare l’Altra Campagna, si ferma davanti ai cancelli del carcere per esprimere la propria solidarietà alla lotta dei prigionieri.  In seguito alla protesta vengono liberati 135 prigionieri politici.   L’unico che non viene liberato è proprio Alberto Patishtan.

Nel mese di gennaio del 2010 Patishtan si trova nel carcere CERRS n° 5 nei pressi di San Cristobal.    Il  vescovo emerito di San Cristobal Samuel Ruiz si reca personalmente nel carcere per consegnargli il riconoscimento  JTatic Samuel JCanan Lum come apprezzamento del suo impegno per i diritti umani.

Il 29 settembre 2011 insieme ad altri detenuti organizzati nella Voz del Amate e i Solidali de La Voz del Amate, rinchiusi nelle carceri di San Cristobal, del Amate e di Motozintla organizza un nuovo sciopero della fame.   Come risposta le autorità trasferiscono Patishtan nel carcere dello stato di Sinaloa nell’estremo nord del Messico.   Viene rinchiuso nel carcere  di massima sicurezza di Guasave e sottoposto a isolamento e condizioni durissime.    In seguito ad altre proteste nazionali e internazionali e alle denunce dello stesso Patishtan la Corte di Giustizia dello stato del Chiapas riconosce l’illegittimità del trasferimento e quindi viene di nuovo trasferito nel carcere di San Cristobal.

Verso la fine del 2012 un gruppo di avvocati presenta all’Alta Corte di Giustizia, corrispondente alla nostra Corte di Cassazione, una istanza affinché la stessa prenda in esame il processo per verificare l’inconsistenza delle prove con cui Alberto Patishtan venne condannato.   La Corte respinge la richiesta dichiarando che il caso è di competenza della giustizia statale e lo rimanda al Tribunale chiapaneco di Tuxtla Gutierrez.

Attualmente il caso di Alberto Patishtan è in attesa che venga esaminato dagli organi giudiziari dello stato del Chiapas.

Il link per partecipare alla campagna per la liberazione del prigioniero politico Alberto Patishtan inviando petizioni alle autorità giudiziarie messicane è il seguente: https://chiapasbg.wordpress.com/2013/03/22/campagna-patishtan/

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4 de Abril de 2013

Il Frayba denuncia le condizioni inumane degli sfollati di Tenejapa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Vivono in condizioni “precarie e inumane” i 13 indigeni sfollati della comunità Banavil, simpatizzanti dell’EZLN nel municipio Tenejapa, Chiapas, rende noto il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Inoltre, la Procura Speciale di Giustizia Indigena dell’entità “ostacola e nega azioni di giustizia per restituire i diritti a questi sfollati interni”.

Il gruppo di uomini, donne e bambini sfollati dai elementi filogovernativi del PRI che li aggredirono armati il 4 dicembre di 2011, si trova in una pessima situazione sanitaria, alimentare e abitativa, “a causa della situazione di sfollati e delle costanti minacce alla loro libertà in conseguenza della sottrazione delle loro terre, alla sparizione di Alonso López Luna e all’omicidio non chiarito di Pedro Méndez López (uno degli aggressori)”. Il governo statale, per mezzo della citata procura indigena, “ha ritardato in maniera ingiustificata le azioni di giustizia, violando sistematicamente i loro diritti umani”.

Attualmente gli sfollati tzeltal si trovano a San Cristóbal de Las Casas “in condizioni inumane e precarie, vivono in una stanza di 3 metri per 3 di legno e cartone con il tetto di lamiera ed il pavimento di nuda terra”, senza assistenza medica. 

Sulla sparizione di López Luna, la procura, guidata da Cristóbal Hernández López, e l’incaricato del caso, Cesario Cruz Mendoza, “hanno ostacolato le indagini sui fatti occorsi a dicembre del 2011 e si sono rifiutati di eseguire 11 mandanti di cattura contro gli aggressori, tra i quali i funzionari pubblici di Tenejapa, Pedro Méndez López y Manuel Méndez López, indicati come gli autori materiali” aggiunge il Frayba.

Gli aggressori del PRI recentemente hanno sottratto cinque ettari e mezzo di proprietà degli sfollati; una parte se la sono tenuta gli aggressori, ed un’altra parte delle terre sono state vendute. Il Frayba è intervenuto molte volte pubblicamente e in forma privata per sollecitare il governo del Chiapas a rispondere alle richieste degli sfollati. Tuttavia, fino ad ora non c’è stata alcuna risposta, “e così facendo lo Stato non rispetta il suo obbligo di garantire e proteggere i diritti umani dei popoli indigeni in Chiapas”.

La persecuzione del gruppo di cacicchi risale al 2009, “per il fatto di opporsi (gli attuali sfollati) alle azioni arbitrarie commesse dagli stessi cacicchi: esproprio di terre, disboscamento illegale, riscossione di imposte e cooperazioni arbitrarie, perquisizioni, aggressioni fisiche, negazione del diritto all’educazione, tra altri, come ripetutamente denunciato dalle vittime”. Le autorità “non hanno fatto niente”. 

Il Frayba chiede la fine delle minacce e della persecuzione degli sfollati, l’esecuzione dei mandati di cattura contro gli aggressori e che si svolgano indagini “serie, puntuali e rapide” per trovare il corpo di López Luna, e che si garantisca il diritto alla terra ed il ritorno degli sfollati.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 30 marzo 2013

La Corte si pronuncerà sulla richiesta di restituzione delle terre agli indigeni del Chiapas. Sarebbe la prima sentenza sul diritto di quei popoli al territorio

Hermann Bellinghausen

 Questo lunedì, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) si pronuncerà sul ricorso dell’ejido di Tila, nella zona nord del Chiapas, per la restituzione delle terre alienate dal governo del Chiapas mezzo secolo fa. Potrebbe essere la prima volta che la Corte si pronuncia sul diritto dei popoli indigeni a terra e territorio, sostiene Simón Hernández León, avvocato del Centro dei Diritti Umani Miguel Agustín Pro Juárez (Centro Prodh) che segue il caso nella capitale della Repubblica.

In un’intervista con La Jornada, espone la portata di una possibile decisione favorevole: “All’interno della Corte esistono resistenze a considerarla una questione ‘indigena’, perché, temono alcuni giudici, aprirebbe un dibattito politico, non di territorio. Ma in questo caso non si discute di autonomia o autodeterminazione dei popoli”. Certamente, questo è stato il principale scoglio affinché la SCJN accettasse i ricorsi di riconoscimento costituzionale dei precetti autonomistici dei popoli.

Hernández León spiega che il plenum della SCJN inizierà la discussione dell’incidente de inejecución 1302/2010, relativo al ricorso presentato dall’ejido di Tila contro l’esproprio illegale di 130 ettari. Il progetto è stato elaborato dal giudice Olga Sánchez Cordero. Ricorda che l’ejido ha vinto il ricorso contro il decreto 72 col quale il Congresso del Chiapas voleva sottrarre le terre.

La Corte interviene di fronte al rifiuto delle autorità dello stato di applicare la sentenza. Analizzerà le conseguenze della concessione del ricorso e potrà decidere sula sua applicazione. Già il giudice primo di distretto aveva deciso di annullare il decreto 72 e gli atti di esecuzione che implicano la disponibilità materiale della superficie.

La SCJN può stabilire che il ricorso vinto avrà solo effetti declaratori nell’annullare la sentenza, oppure confermare il criterio del giudice che ha considerato anche la restituzione fisica e materiale a favore dell’ejido. Il Prodh sostiene che la Corte deve determinare che la conseguenza della sentenza del ricorso è la restituzione della superficie sottratta. Come tribunale costituzionale può sviluppare il contenuto dei diritti previsti all’articolo 2 costituzionale ed usare i trattati internazionali sui popoli indigeni, i quali hanno rango costituzionale. Il caso mostra il debito storico dello Stato verso i popoli indigeni. Il tribunale e lo Stato devono riconoscere i popoli indigeni come soggetto politico emarginato nel processo storico di costruzione della Nazione, e soggetto collettivo di diritto. Di fronte al colpevole silenzio di decenni, è tempo di rivendicare i diritti dei popoli indigeni.

La decisione della SCJN stabilirebbe un precedente storico e può sviluppare criteri sulla dimensione culturale e la forma particolare in cui i popoli si relazionano e vivono nel territorio. Dovrà, secondo l’organismo, considerare il carattere plurinazionale dello Stato messicano e sotto questa premessa affrontare la risoluzione del caso, considerando gli elementi storici e la particolarità culturale del popolo chol, e garantire la restituzione affinché sia l’ejido, mediante la sua assemblea generale, ad amministrare i beni.

Rodolfo Stavenhagen, ex relatore per i popoli indigeni alle Nazioni Unite, ha presentato alla SCJN un memoriale amicus curiae (amici della Corte) che racconta la storia e la dimensione antropologica dell’ejido e del popolo chol. In un altro amicus curiae, il Prodh ha affrontato il diritto dei ppoli, proponendo la sua incorporazione nella sentenza.

La Corte Interamericana si è riferita alla sua dimensione culturale: Per le comunità indigene la relazione con la terra non è meramente una questione di possesso e produzione, bensì un elemento materiale e spirituale di cui devono godere pienamente, compreso per preservare il loro lascito culturale e trasmetterlo alle generazioni future. La cultura dei membri di queste comunità corrisponde ad una forma di vita particolare di essere, vedere ed agire nel mondo, costituito a partire dalla loro stretta relazione con i loro territori tradizionali e le risorse ivi presenti, non solo per essere questi il loro principale mezzo di sussistenza, ma anche perché costituiscono un elemento integrante della loro cosmovisione, religiosità e, infine, della loro identità culturale.

Il Prodh conclude il suo messaggio alla SCJN: Anche quando i popoli indigeni perdono parziale o totalmente il possesso del territorio, mantengono il loro diritto di proprietà sullo stesso ed hanno un diritto superiore per recuperarlo. La restituzione del pieno godimento ed esercizio di questi diritti deve essere il meccanismo prioritario e non può essere sostituito da un’indennità come dispone la Ley de Amparo. Il Prodh rileva l’insufficienza delle leggi Agraria e di Difesa per tutelare il diritto alla proprietà collettiva dei popoli e comunità indigene e la loro protezione giurisdizionale. La SCJN dovrà interpretarle mediante l’applicazione dei trattati che contemplino i diritti dai popoli indigeni. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/30/politica/007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CFE provoca scontri.

La Jornada – Giovedì 28 marzo 2013

Comunità accusano la CFE di provocare scontri nel nord del Chiapas

Hermann Bellinghausen

Comunità in resistenza e membri dell’organizzazione Pueblos Unidos por la Defensa de la Energía Eléctrica (PUDEE), aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona di Tila, Sabanilla, Tu,balá e Salto de Agua, denunciano il clima di scontro all’interno delle comunità provocato dalla Commissione Federale di Elettricità (CFE) nella zona nord del Chiapas. 

Da gennaio, raccontano, il personale della CFE, guidato da Bruno Herrera Monzón, funzionario per le riscossioni di Yajalón, è stato in tutte le comunità nel tentativo di convincere le autorità ejidali, funzionari rurali e rappresentanti delle comunità in resistenza, a convocare riunioni per informare che a partire da quest’anno cominceranno a pagare i le bollette dell’energia elettrica.

A chi ha debiti da molti anni saranno installati dei contatori per, secondo la CFE, offrire un servizio di qualità. Si offre anche la possibilità all’utente di pagare i suoi debiti in cinque anni. 

La CFE informa di voler installare contatodi digitali e nuove apparecchiature per tenere sotto controllo il servizio elettrico. L’organizzazione PUDEE, che raggruppa proprio le comunità che da anni si oppongono agli abusi dell’ente parastatale ed ai successivi programmi governativi volti a darli desistere dalle loro richieste, dice: ci vogliono controllare e rubare sfacciatamente il servizio.

Le azioni della commissione in alcune comunità provocano degli scontri, perché le autorità ejidali ed i funzionari rurali stanno accettando questi inganni. Diciamo inganni perché non è la prima volta che lo fanno attraverso programmi come Luz Amiga, tarifa de Vida Mejor o Luz Solidaria; ora ci viene a dire che abbiamo cinque anni per saldare i debiti, ma non dicono quanto pagherò e quanto ruberanno. PUDEE sottolinea: i nostri compagni non vogliono pagare finché non saranno attuati gli Accordi di San Andrés Larráinzar. 

Respingendo queste offerte, le comunità e le famiglie in resistenza sono minacciate di perdere la fornitura elettrica. Se non firmeranno l’accordo, saranno sospesi i benefici dei programmi governativi e le ricevute di pagamento delle bollette saranno il requisito indispensabile per sbrigare pratiche amministrative col governo.

Ciò causa dissenso tra chi vuole pagare, che viene manipolato, e chi si oppone. “Ci dicono continuamente che: ‘chi non paga le imposte è un irresponsabile’ ‘e lo è anche chi non paga la luce e l’acqua, e non accetta programmi né vota”‘.

L’organizzazione PUDEE, composta in maggioranza da comunità chol, sostiene: non è più irresponsabile quello che paga le imposte che poi vanno alle imprese straniere che mantengono questo sistema di esclusione e riempiono le pance degli alti burocrati? Non sono più irresponsabili quelli che alimentano col loro voto questa farsa che sono le elezioni? 

Sostiene: in realtà, un cittadino responsabile non vota in queste elezioni, non paga imposte, né luce né acqua. Finché continuiamo a pensare secondo i parametri del sistema, continueremo ad essere schiavi di una banda di miliardari. Viviamo schiavi della falsa informazione, con la quale i media di massa hanno molto a che vedere. La libertà, come gli altri diritti umani, è una questione sociale, di persone.

Infine, avverte che “nella Costituzione non è proibito organizzarsi per difendere questo paese; non bisogna nemmeno chiedere permesso per praticare l’autodeterminazione dei popoli, lottare e resistere. I malgoverni ci hanno forse chiesto il permesso di essere corrotti o per le riforme costituzionali, affinché i governanti siano legati al narcotraffico? Ci hanno forse chiesto il permesso per la firma del Pacto por México? L’unica cosa che ci hanno chiesto è il voto corporativo ed ora che godono del potere non c’è speranza di migliorare le condizioni di vita nelle campagne e nelle città”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/28/politica/010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Frayba: Patishtán a digiuno per la sua libertà.

Dal carcere No. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas Alberto Patishtán prigioniero politico della Voz del Amate annuncia di essere da 4 giorni a digiuno allo scopo di chiedere alle autorità federali del Consejo de la Judicatura federal e del Primer Tribunal colegiado de Vigésimo Circuito de Chiapas, di rilevare e risolvere il suo riconoscimento di innocenza.

Via @chiapasdenuncia: En ayuno Alberto Patishtán por su Libertad hoy lleva 4 días

Lettera di Alberto Patishtán: Link

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La Jornada – Sabato 23 marzo 2013

 

Il Massacro di Simojovel

Cronaca di un massacro di poliziotti (quasi) dimenticato

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 22 marzo. La notorietà raggiunta dalla lotta di Alberto Patishtán Gómez per la libertà ha impedito che il crimine che ha causato la sua personale disgrazia di 12 anni di prigione (e, secondo la sentenza ne mancano altri 48) fosse dimenticato, cosa che sicuramente ha contrariato molte autorità, almeno statali, dal 2000 ad oggi, dopo quattro governatori letteralmente di tutti i partiti. Che cosa successe la mattina del 12 giugno del 2000 a Las Lagunas de Las Limas, Simojovel? Quale il movente? Che cosa stava succedendo in quei giorni da quelle parti?

L’omicidio di sette poliziotti – il comandante Francisco Pérez Morales, cinque agenti ai suoi ordini ed il comandante municipale di El Bosque, Alejandro Pérez Cruz – rappresentava un fatto di enorme gravità. Oggi forse ci siamo abituati a notizie di questo genere, ma allora, perfino nel Chiapas militarizzato e paramilitarizzato, questo risultava un fatto straordinario. Ovviamente, la notizia finì sulle prime pagine di tutti i giornali.

Dopo tre settimane si sarebbero svolte le elezioni nelle quali il PRI avrebbe perso la Presidenza, ed in agosto il governatorato. Il presidente Ernesto Zedillo, storicamente e personalmente coinvolto nella guerra contro gli indigeni del Chiapas in generale, e quelli di El Bosque in particolare, si preparava a visitare l’entità martedì 13 per inaugurare una strada nella Selva Lacandona, ma sospese la visita. Il candidato priista a governatore, Sami David, pensò ai suoi affari. L’Esercito federale inviò centinaia di effettivi, occupò il luogo dell’imboscata, la città, le strade e fece incursioni nelle comunità zapatiste. Tuttavia, la prima ipotesi della Segreteria della Difesa Nazionale fu che poteva trattarsi di “una cellula dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR)” (La Jornada 13/06/2000), cosa che sorprese molto perché né allora né mai l’EPR è stato presente nella zona.

Più credibile sembrò l’ipotesi, diffusa lo stesso giorno, della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), storicamente presente nella regione: potevano essere stati i “paramilitari” del Mira (anche se visto in prospettiva, il gruppo paramilitare a El Bosque, temibile e letale, era conosciuto come Los Plátanos, dal nome della comunità in cui vivevano i suoi membrid, insieme a poiziotti judiciales, da dove erano partiti il 10 1998 per partecipare al massacro di zapatisti a Unión Progreso; a Los Plátanos, io stesso ero stato presente, mesi prima dell’imboscata, ad “una distruzione mediatica” di coltivazioni di marijuana col pretesto, alla fine fallito, di accusare l’EZLN.

La polizia federale inizialmente parlò di narcotrafficanti; non era un mistero il passaggio di marijuana proveniente da Huitiupán.

Il massacro avvenne un lunedì. Il sabato precedente gli zapatisti aveva commemorato il secondo anniversario dei fatti di Unión Progreso e Chavajeval e l’arresto delle autorità autonome di San Juan de la Libertad. Diego Cadenas, allora giovane avvocato del Frayba, il giorno dell’imboscata dichiarò a La Jornada che quel 10 giugno, mentre si stava recando ad Unión Progreso per partecipare alle cerimonie religiose per il secondo anniversario del massacro del 1998, ai posti di blocco di Puerto Caté e San Andrés Larráinzar i militari gli dissero che erano “sospese le garanzie individuali”. Non era così.

Due giorni dopo, un commando di 10 o 15 individui, con equipaggiamento ed armi di grosso calibro, tese un’imboscata al pick up verde scuro su cui viaggiavano, provenienti da Simojovel, otto poliziotti e l’autista del municipio di El Bosque, minorenne e figlio del sindaco Manuel Gómez Ruiz. Il giovane Rosemberg Gómez Pérez, che guidava il veicolo con i due comandanti in cabina, e l’agente di Pubblica Sicurezza Belisario Gómez Pérez nel rimorchio con i suoi commilitoni, gravemente feriti e creduti morti dagli aggressori, sarebbero sopravvissuti e quindi gli unici testimoni oculari.

La Jornada scriveva che nel corso del 2000 questa era “l’ottava imboscata”; gli aggressori avevano già lasciato 20 morti ed un ugual numero di feriti. I poliziotti caduti a Las Lagunas erano Francisco Escobar Sánchez, Rodolfo Gómez Domínguez, Guadalupe Margarito Rodríguez Félix, Arbey Vázquez Gómez e Francisco Pérez Mendoza. Oggi due di loro sono ancora ricordati da due croci di cemento sulla curva dove furono crivellati di colpi. Si contarono 85 colpi di AK-47 e R-15.

L’EZLN si dissocia e indaga

Il giorno dopo l’imboscata, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN emise un breve comunicato: “Secondo i dati raccolti, l’attacco è avvenuto con tattiche da narcotrafficanti, paramilitari o militari. L’uso del cosiddetto ‘colpo di grazia’ è ricorrente in questi gruppi armati. L’attacco è avvenuto in una zona satura di truppe governative (Esercito e polizia), dove è molto difficile che un gruppo armato possa muoversi senza essere scoperto e senza la complicità delle autorità. Il gruppo attaccante possedeva informazioni privilegiate sui movimenti e sul numero di persone imboscate. Una tale informazione può essere ottenuta solo da persone del governo o vicine ad esso”.

Il comando ribelle segnalava: “L’EZLN sta investigando per fare luce sull’identità e sui motivi del gruppo aggressore. Tutto indica che sarebbero del governo (o con il sostegno governativo) le persone che hanno compiuto l’aggressione, poiché in questo modo avrebbero il pretesto per aumentare la militarizzazione in Chiapas, e per giustificare l’attacco contro comunità zapatiste o l’EZLN. È da notare che questo fatto rafforza il clima di instabilità di cui minaccia il candidato ufficiale se non vincerà”.

“Provocazione o no, il fatto violento è già diventato un pretesto per aumentare la presenza militare in tutto lo stato, perfino in zone molto lontane dal luogo dell’aggressione”, aggiunge il comunicato (13/6/2000), dettagliando che “nelle ultime ore si sono rafforzati i quartieri federali di Guadalupe Tepeyac, a Las Margaritas; Cuxuljá, Ocosingo; Caté, a El Bosque, e le città di Simojovel ed El Bosque. Contemporaneamente si è incrementato il numero di aerei da guerra e sorvoli nelle zone Altos, selva e nord”. E infine, “l’EZLN si dissocia da questo atto e rivolge un appello all’opinione pubblica affinché non si lasci ingannare”.

La cattura di Patishtán

Ciò nonostante, il governo statale di Roberto Albores Guillén, attraverso il suo procuratore Eduardo Montoya Liévano, spinse subito l’ipotesi che gli aggressori potessero essere zapatisti, per la presunta vendetta per il massacro contro di loro ordinato dallo stesso Albores Guillén due anni prima, anche se ammise che avrebbero potuto essere degli “assalitori”. Il convoglio attaccato, si disse, pattugliava per “combattere i pistoleros“.

Il senatore Carlos Payán Velver, membro della Cocopa, propose che l’istanza legislativa si recasse sul luogo perché la situazione era “grave e critica”. Il deputato Gilberto López y Rivas, della Cocopa, segnalò che quell’imboscata aveva tutto l’aspetto di “una provocazione dei paramilitari fomentata dal governo stesso dello stato” (La Jornada 14/6/2000).

Nella stessa data, Victor Manuel Pérez López, dirigente della CIOAC, rivelò che il governo del Chiapas nel 1997 armò e finanziò “dissidenti del Partito del Lavoro” per combattere il fugace governo municipale di quel partito e della CIOAC. “Nella zona tutti sanno chi sono”, disse, e che “una volta centrato l’obiettivo” di restituire al PRI il comune, “questi si sarebbero dedicati agli assalti e al narcotraffico”. Agiscono, aggiunse, “in completa impunità, in pieno giorno, anche se militari e poliziotti realizzano pattugliamenti frequenti”.

Allora, in due imboscate precedenti, erano state assassinate quattro persone, secondo la CIOAC “basi zapatiste”. Il 13 gennaio, sulla strada per Chavajeval, fu assassinato Martín Sánchez Hernández da incappucciato armati, e poi, il primo febbraio, Rodolfo Gómez Ruiz, Lorenzo Pérez Hernández e Martín Gómez. Tutti tzotzil.

Deputati del PRD e del PAN accusarono di negligenza il segretario di Governo Mario Lescieur Talavera, e dissero che l’imboscata era il pretesto per l’invio di ulteriori elementi della Polizia Federale Preventiva. I carri armati, gli elicotteri e l’artiglieria dell’Esercito federale erano già arrivati.

L’episodio usciva allo scoperto. Urgeva correre ai ripari. Il governo credette di riuscirci, cosicché il presidente Zedillo il 19 giugno si recò a Marqués de Comillas per inaugurare una strada. Quello stesso giorno a El Bosque, l’Esercito e la PFP catturarono, senza mandato di cattura, il maestro Alberto Patishtán Gómez. Un gruppo di abitanti, membri del PRI, “visibilmente emozionati” (La Jornada, 20/6/2000) sollecitarono l’intervento del Congresso statale sostenendo che il prigioniero era innocente, “si dissociarono dai fatti violenti del 12 giugno” e dichiararono di non essere armati né di appartenere a nessun gruppo paramilitare. Non furono ascoltati, anzi, furono minacciati.

Patishtán rimase illegalmente “in stato di fermo” per un mese nell’hotel Safari di Tuxtla Gutiérrez. I suoi parenti, amici e correligionari occuparono la presidenza municipale e chiesero la liberazione del professore. Neanche il loro stesso partito li appoggiò. E non solo. L’allora deputato priista Ramiro Miceli Maza, compadre del sindaco, cioè padrino di battesimo del giovane Rosemberg, risultò un elemento chiave nello spaventarli ed accusare il maestro e leader comunitario che finì nella prigione di Cerro Hueco.

Quel 19 giugno, pronunciandosi rispetto alle imminenti elezioni del 3 luglio 2000, il subcomandante Marcos scrisse: “Nel frattempo qua stiamo tremando. E non perché ‘el croquetas‘ Albores abbia ingaggiato Alazraki per rifarsi l’immagine (probabilmente Albores cerca un posto per promuovere cibo per cani), né per i seicentomila dollari che gli verserà (soldi destinati originalmente a ‘risolvere le condizioni di povertà ed emarginazione degli indigeni chiapanechi’, Zedillo dixit). Neanche per i latrati del ‘cucciolo‘ Montoya Liévano (sempre più nervoso perché si sta scoprendo che sono stati i suoi ‘ragazzi ‘- cioè, i suoi paramilitari – i responsabili dell’attacco alla Pubblica Sicurezza a El Bosque, il 12 giugno scorso). No, stiamo tremando perché siamo zuppi di pioggia. E tra elicotteri e temporali, non si trova un buon riparo”.

Ora contro gli zapatisti

Il 10 luglio seguente, passate le elezioni federali, un mese dopo l’imboscata, la polizia statale fermò a Bochil due basi di appoggio dell’EZLN residenti ad Unión Progreso, con l’accusa di aver partecipato al crimine. Questo, anche se la Procura Generale della Repubblica sostenesse che gli attaccanti erano un gruppo di priisti dissidenti, tra i quali Patishtán; queste due basi zapatiste da mesi lanciavano accuse al sindaco Manuel Gómez Pérez per la sua scandalosa corruzione.

La Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) seguiva le proprie linee di indagine. “Ricorrendo alla polizia distaccata a Los Plátanos, al corrente dei fatti, le autorità hanno raccolto prove del delitto a carico di due indigeni di Unión Progreso” (La Jornada, 15/7/2000). Uno di loro, Salvador López González, torturato e interrogato senza traduttore, firmò una confessione ad hoc e fu imprigionato. In prigione si trovò col suo coimputato: Patishtán. Senza nemmeno conoscersi, i due si portavano addosso tutto il peso dell’imboscata.

La Jornada scrisse da Unión Progreso: “Il distaccamento di polizia che ha fermato gli zapatisti ha avuto sotto gli occhi, per lungo tempo, le coltivazioni di marijuana che ci sono a Los Plátanos. La violenza interna in quel villaggio, controllato da un noto gruppo paramilitare, è sempre servita da pretesto per accusare ed attaccare i vicini zapatisti. Secondo il rappresentante di Unión Progreso, ‘ci accusano di quello che fanno loro’. L’Esercito federale è entrato a Los Plátanos per distruggere queste coltivazioni, le uniche scoperte nella regione. Almeno in due occasioni, e senza arrestare nessuno”.

Salvador e suo fratello Manuel “furono fermati” il 10 luglio; i loro familiari dichiararono: “Quelli della Pubblica Sicurezza (SP) li hanno denudati e picchiati fino a ridurre Salvador senza conoscenza”. Con gli arrestati c’erano un bambino (“che piangeva molto”) ed un adolescente che “ci vennero ad avvisare che avevano portato via i compagni”.

Siccome quelli della SP non erano di Bochil ma di El Bosque, “affittarono la prigione “. Poi i fermati furono portati a Cerro Hueco. “Quelli della SP gli misero addosso un pugno di marijuana e delle pallottole” e rubarono 28 lattine di bibite. Manuel sarebbe poi stato rilasciato.

Esattamente un mese prima, il 10 giugno, ore prima del massacro dei poliziotti, la SP acquartierata a Los Plátanos intercettò un camioncino di Unión Progreso. L’autista era lo stesso Salvador. Lo interrogarono “su una lista di nomi. Da quel momento volevano accusare i compagni”, dichiarò un rappresentante della comunità: “Non sappiamo quanti ce ne sono nella lista. Forse siamo accusati tutti”. (Curiosamente, quasi con le stesse parole avevano espresso lo stesso timore i correligionari di Patishtán quando questi fu arrestato).

Con due capri espiatori così simbolici come Alberto e Salvador, il caso cominciava ad essere “risolto”, o almeno dimenticato dai media nazionali.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
21 marzo 2013

Comunicato stampa No. 08

Lottando per la #LibertadPatishtan, festeggiamo il suo compleanno

9 aprile, 4 mila 686 giorni in prigione

Lo scorso mercoledì 20 marzo 2013, nella sede di questo Centro dei Diritti Umani, il Professor Alberto Patishtán (d’ora in avanti Patishtán), prigioniero politico in Chiapas, ha convocato per via telefonica una nuova tappa nella ricerca della giustizia e richiesta della sua libertà.

Dopo la sfortunata decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) di non rilevare il caso, questo ora passerà al Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutierrez nel mese di aprile. Per tale motivo, la famiglia di Patishtán, Organizzazioni Civili, Collettivi e Persone riteniamo importante realizzare azioni per esigere la sua libertà.

Per questo invitiamo ad unirvi a questa iniziativa chiamata: Luchando por la #LibertadPatishtan, festejemos su cumpleaños.

Per questo proponiamo le seguenti azioni:

  1. Vogliamo raggiungere l’obiettivo di inviare 4 mila 686 lettere dal 21 marzo al 15 aprile, una lettera per ogni giorno che Patishtán ha trascorso in prigione, indirizzate al Presidente del Consiglio della Magistratura Federale, Juan N. Silva Meza ed ai giudici del Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutierrez (qui sotto trovate i modelli di lettera da inviare).

Potete inviare le vostre lettere ai seguenti indirizzi:

  1. Ministro Juan N. Silva Meza (modello lettera a Silva Meza)

Consejo de la Judicatura Federal

2.- Ai giudici del Primer Tribunal Colegiado del Vigésimo Circuito

(modello lettera ai giudici)

Inviare copia delle vostre lettere all’indirizzo: presoschiapas@gmail.com

Invitiamo inoltre a realizzare azioni attraverso le reti sociali:

  1. Su Facebook a partire da venerdì 23 marzo chiediamo di sostituire la foto sul vostro profilo con quella per la libertà di Alberto Patishtán. (l’immagine la trovate sulla Facebook di Alberto Patishtán www.facebook.com/alberto.patishtan) e vi invitiamo ogni venerdì ad invitare i vostri amici ad unirsi in questa azione.
  2. Su Twitter ogni venerdì vogliamo arrivare a 4 mila 686 Retwit per la #LibertadPatishtan; Iniziando questo 23 marzo, e continuando ogni venerdì, 29 marzo e 5, 12 e 19 aprile, fai un Retwit #LibertadPatishtan

Proponiamo che il # dell’iniziativa sia: #LibertadPatishtan

  1. Un’altra delle azioni proposte è che dal 21 marzo al 15 aprile inviamo una foto, una poesia, un pensiero, un disegno, un cartellone, eccetera, per la libertà di Patishtán, in commemorazione del suo 42° compleanno. Potete inviarli all’indirizzo presoschiapas@gmail.com o se volete, potete consegnarli materialmente al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, calle Brasil No. 14 Barrio de Mexicanos, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México, C.P. 29240.

Quello che manderete sarà esposto durante le mobilitazioni da realizzare il 19 aprile e poi consegnato a Patishtán come dimostrazioni di solidarietà e affetto.

  1. Per il 19  aprile, giorno del compleanno di Patishtan, invitiamoa ad azioni di mobilitazione pacifiche, in forma simultanea a livello nazionale ed internazionale, per chiedere la libertà di Patishtán.

Sarebbe importante consegnare fisicamente le lettere quel giorno negli spazi dedicati:

A Città del Messico (D.F) presso il Consejo de la Judicatura Federal, che controlla l’operato di magistrati e giudici in Messico, indirizzo: Insurgentes Sur No. 2417, San Ángel. Álvaro Obregón. C.P. 01000, México D.F.

A Tuxtla Gutiérrez al Primer Tribunal Colegiado del Vigésimo Circuito, nel Palazzo di Giustizia Federale edificio “C”, planta baja, ala “A”, Boulevard Ángel Albino Corzo N0. 2641.

A livello mondiale, si può manifestare e consegnare le lettere presso le ambasciate ed i consolati del Messico.

Vi chiediamo di informarci delle azioni che realizzerete il 19 aprile e di mandarci una foto e/o videoc all’indirizzo presoschiapas@gmail.com per informare i media nazionali ed il professor Patishtán di tutte le dimostrazioni di appoggio per la sua libertà.

Per maggiori informazioni sulla situazione del Professor Alberto Patishtán invitiamo a consultare il sito http://www.albertopatishtan.blogspot.mx dove si possono trovare informazioni sul suo caso e sulle azioni per la sua liberazione.

Audio di Patishtán nella Conferenza Stampa del 20 marzo 2013: http://www.goear.com/listen/176cb99/conferencia-nueva-etapa-acciones-libertad-patishtan-alberto-patihtan-

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, AC
BRASIL 14, BARRIO MEXICANOS, CP 29240. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, MÉXICO.
TELEFAX + 52 (967) 678 3548, 678 3551, 678 7395, 678 7396
www.frayba.org.mx,  frayba@frayba.org.mx

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La Jornada – Giovedì 21 marzo 2013

Nuova campagna internazionale per la liberazione di Patishtán

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 marzo. “La Suprema Corte di Giustizia della Nazioneión (SCJN) non si aspettava la reazione di indignazione generale suscitata dal suo rifiuto di rilevare il caso di Alberto Patishtán Gómez”, ha affermato oggi il suo avvocato Leonel Rivero Rodríguez. La Corte “ha mentito” nel giustificare il suo verdetto, e questo è un fatto che si verifica “molto raramente”. Oltre al fatto orami noto che è “innocente”, ha aggiunto durante la conferenza stampa nella quale è stata annunciata la nuova campagna internazionale per la liberazione del docente tzotzil.

Il collettivo Ik, che accompagna i prigionieri politici e di coscienza, a sua volta ha sottolineato che “appoggiano la sua liberazione il governatore Manuel Velasco Coello ed il vescovo di San Cristóbal Felipe Arizmendi e l’EZLN attraverso il subcomandante Marcos, oltre a tutto un movimento sociale nel municipio di El Bosque”, formato da persone di diversi partiti, e tutte le chiese lì presenti (cattolici, presbiteriani, testimoni di Geova, evangelici, pentecostali). “Si è mai vista prima una coincidenza simile tra voci tanto diverse?”.

Questo, “mentre non esiste polemica, nessun settore si oppone alla sua liberazione né vi sono dubbi sulla sua innocenza”, rileva Rivero Rodríguez. 

Dal carcere numero cinque, per via telefonica, lo stesso Patishtán ha convocato “una nuova tappa di mobilitazioni” a partire da oggi fino al 17 aprile, davanti ad ambasciate e consolati del Messico all’estero, simultanee a quelle che realizzerà a El Bosque, Tuxtla Gutiérrez e Città del Messico il movimento indigeno del suo municipio che da 12 anni chiede la sua liberazione e riceve solo disprezzo. Oggi stesso si è svolta una protesta di fronte all’ambasciata di Londra.

“Nonostante questa nuova ingiustizia, non mi fermerò mai per il bene della giustizia e della libertà”. Nel suo appello si rivolge a collettivi, chiese, studenti, operai, comunità, e chiede anche la liberazione dei suoi compagni Solidarios della Voz del Amate.

Dodici anni in carcere, accusato dell’omicidio di sette poliziotti in un’imboscata nel giugno del 2000, una volta condannato non si è più indagato, sempre ammesso che si indagò prima di chiudere il caso che si è poi coperto da un velo di sospetto, mistero e oblio. O almeno contava su questo chi ha voluto mantenere Patishtán rinchiuso in cinque prigioni diverse, compresa quella di massima sicurezza in Sinaloa.

Il professor Martín Ramírez, portavoce del movimento civico di El Bosque, ha dichiarato: “Se si fossero applicati gli accordi di San Andrés firmati dal governo con l’EZLN, Patishtán sarebbe libero, perché ci sarebbe una giustizia migliore per gli indigeni. Non capiamo perché continuano con le stesse pratiche di 200 anni fa. Siamo nel XXI° secolo e si continua con la tortura e il disprezzo, come ha fatto ora la SCJN. Alberto è un prigioniero politicoper avere lottato a favore della gente” ed aver denunciato pubblicamente la corruzione della giunta priista di El Bosque di allora. “O è un reato essere contro l’ingiustizia?”, ha chiesto.

Rivero Rodríguez ha esposto la sua interpretazione del disinteresse esplicito della SCJN di fronte alla richiesta di rilevare il caso: “Ha solo deciso di non rilevarlo; non ha respinto il ricorso. E’ stata una decisione che ha diviso i magistrati”. La Corte “non è stata all’altezza della sfida” che gli presentava questo “audace” ricorso. Come ha detto uno dei giudici che ha votato contro: “non spetta alla SCJN scoperchiare il vaso di Pandora”.

Ciò nonostante, esistono ancora possibilità che si faccia giustizia, sostiene Rivero. “Il caso deve andare al Primo Tribunale Collegiale, a Tuxtla Gutiérrez, e questo si pronuncierà se abbiamo ragione. Le prove di 10 anni fa, quando fu condannato, dal 2009 non sono più valide, il procedimento è stato reinterpretato ed attualmente quelle ‘prove’ risultano illegali”. 

Ha inoltre ipotizzato altre alternative oltre alla decisione del primo tribunale (“che potrebbe prendersi qualche giorno se c’è la volontà”), come un indulto presidenziale. Al riguardo, ha detto, non possiamo pronunciarci perché sarebbe come ammettere colpevolezza e non lo faremo, ma questo spetta al Presidente della Repubblica, che può farlo in maniera unilaterale senza andare oltre le sue facoltà né violare la Costituzione”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/21/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 20 marzo 2013

Rapporto del Frayba sulle violazioni dei diritti individuali e collettivi. Nel sessennio passato, in Chiapas tortura e militarizzazione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 marzo. El Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha diffuso il suo rapporto Entre la política sistémica y las alternativas de vida [Informe_Frayba], un accurato resoconto delle violazioni delle garanzie individuali e collettive in Chiapas durante il passato sessennio, quando i governi federale e statale hanno implementato i progetti neoliberisti volti alla sottrazione del territorio ed hanno cercato di frenare i processi autonomistici.

Il Frayba sottolinea la legalità dell’espropriazione rappresentata dal Proyecto de Integración y Desarrollo de Mesoamérica, “serie di progetti infrastrutturali, di ecoarcheoturismo, lotta alla povertà e ‘sviluppo’, volti alla sottrazione del territoriale ed al genocidio, che hanno approfondito la divisione” tra le comunità che si oppongono. Di fronte a ciò, i popoli organizzati difendono il territorio come parte della loro autonomia, struttura simbolica, spirituale e materiale.

Senza grande difficoltà, il Frayba colloca il sistema di giustizia apertamente al servizio dello Stato, come provano la strategia di sicurezza nazionale, la repressione, la criminalizzazione di organizzazioni, avvocati e giornalisti. In Chiapas i detenuti subiscono un sistema carcerario inefficiente e che viola i diritti. Si sottolinea l’insistente uso della tortura come metodo di indagine da parte dei funzionari, dei diversi corpi di polizia e dalle istituzioni di applicazione della giustizia, e si documentano 105 casi di tortura in 18 città durante il governo di Juan Sabines Guerrero.

Il documento è stato presentato da Abel Flores, dell’organizzazione Pueblo Creyente, Marina Pagés e Michael Chamberlin (coordinatori rispettivamente di Sipaz e Inicia), la ricercatrice Mercedes Olivera e Víctor Hugo López, direttore del Frayba.

Il conflitto armato, secondo il rapporto, è stato continuamente contrassegnato dalla contrainsurgencia in una guerra di usura prolungata che il governo, con la sua doppia faccia e azione mediatica, ha implementato per distruggere i processi di resistenza, in particolare quelli delle Giunte di Buon Governo (JBG) e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Nei governi di Felipe Calderón e Sabines, in nome della sicurezza sono stati usati strumenti di terrore e controllo attraverso la militarizzazione, la tortura come metodo di indagine, le sparizioni, gli omicidi. La lotta alla criminalità organizzata continua ad essere il pretesto perfetto. In questo senso, i mezzi di comunicazione al servizio dello Stato rappresentano i diritti umani come un ostacolo per la sicurezza nazionale.

Le prigioni in Chiapas confermano la routinaria violazione dei diritti nel sistema penitenziario. La maggioranza degli internati sono poveri, indigeni o immigrati, in situazione vulnerabile. La criminalizzazione della protesta, la persecuzione dei leader sociali e degli avvocati parlano di uno Stato repressore che cambia i discorsi ma non i metodi, il cui presunto rispetto delle comunità autonome e delle JBG è falso e vuoto di contenuto.

Nel sessennio che si è chiuso, la forbice tra i diritti riconosciuti dei popoli indigeni e l’esercizio di questi si è sempre più allargata. La sottrazione legale di territorio è proseguita attraverso progetti che contemplano elementi di sicurezza nazionale e protezione degli investimenti di imprese legate ai governi che hanno interessi in questi territori colmi di ricchezze naturali. Il modello economico neoliberale ha maggiore impatto sulle comunità indigene, poiché le imprese stanno occupando i loro territori per entrarne in possesso.

Ciò nonostante, le comunità in resistenza continuano nella difesa dei territorio e delle terre come indicato negli Accordi di San Andrés, a 17 anni dalla loro mancata applicazione.

Tra il 2006 ed il 2012 il conflitto armato in Chiapas è stato caratterizzato dalla continua presenza militare nelle comunità, soprattutto nella zona di influenza dell’EZLN. La strategia contrainsurgente è stata indirizzata all’applicazione di progetti sociali insieme alle agenzie delle Nazioni Unite, nel contesto degli Objetivos de Desarrollo del Milenio.

Infine, il rapporto sostiene che la memoria, nel contesto sociale e comunitario, è una risorsa ancestrale di riconoscimento dei popoli. La ricercatrice Mercedes Olivera ha sottolineato il ruolo delle donne nella lotta contro l’oblio, perché sono loro le costruttrici della memoria.

http://www.jornada.unam.mx/2013/03/20/politica/026n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Date ed altre informazioni sulla scuola zapatista 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2013

Compagne e compagni, sorelle e fratelli, della Sexta:

Su visite, carovane e progetti.

Sapete che stiamo preparando i corsi nelle diverse scuole e ci stiamo concentrando su questo affinché riescano bene e preparino buone e buoni studenti.

E noi, insieme alle autorità, pensiamo che ci sono situazione che non possiamo sostenere per non distrarci, come per esempio: rilasciare interviste, scambiare esperienze o accogliere carovane o brigate di lavoro, o discutere l’idea di un progetto. Dunque, non sprecate un viaggio a vuoto, perché né la Giunta di Buon Governo, né le autorità autonome, né le commissioni incaricate dei progetti vi potranno assistere.

Se qualcuno, gruppo o collettivo, pensa di venire con una carovana di aiuti per le comunità, chiediamo il favore di aspettare che arrivi il momento opportuno per questo, o se avesse già organizzato il viaggio, allora per favore di rivolgersi al CIDECI, dal Dottor Raymundo, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Non diciamo che questo sarà per sempre, ma per adesso NO, perché vogliamo concentrarci sulla scuola. Vogliamo avvisarvi per evitare malintesi sul perché non potremo assistervi per le situazioni sopra descritte.

Vogliamo dirvelo perché non programmiate il vostro viaggio con lo scopo di incontrare le nostre autorità, perché non potremo soddisfarvi per la semplice ragione che tutti i nostri sforzi sono ora per la nostra scuola, per voi, per il Messico e il mondo.

Dunque, nelle Giunte di Buon Governo dei 5 Caracoles non potremo assistervi. Ma i Caracoles si potranno sempre visitare.

E così per i progetti in corso nelle 5 giunte ci sono cose che non potremo fare, e potremo occuparci solo di quello che sarà alla nostra portata e che non implichi incontri o spostamenti della nostra gente. In caso contrario, ci sarà un’altra occasione.

Vogliamo che capiate che per noi non è il momento di carovane, progetti, interviste o scambio di esperienze e cose così. Per noi zapatiste e zapatisti è il momento di prepararci per la scuola. Non abbiamo tempo per altre cose, a meno che il malgoverno non voglia combinarci un casino e allora le cose cambiano.

Compagne e compagni, sorelle e fratelli, siamo sicuri di avere tutta la vostra comprensione.

Sulla scuola.

Di seguito le prime informazioni sulla scuola, affinché cominci a prepararsi chi vorrà frequentare i corsi.

1. – Alla festa dei Caracoles sono invitati tutte e tutti coloro che si sentono invitati. La festa è nei 5 Caracoles così potrete andare dove più vi piace. L’arrivo è l’8 agosto, la festa sarà nei giorni 9 e 10; l’11 la partenza. Attenzione: La festa per i 10 anni dei Caracoles non ha niente a che vedere con la scuola. Non confondetevi.

2. – Con questa festa le basi di appoggio zapatiste celebrano il decimo compleanno delle Giunte di Buon Governo, ma non solo.

3. – In quei giorni inizierà la nostra piccola scuola, molto altra, dove le/i nostr@ cap@, cioè, le basi di appoggio zapatiste, terranno le lezioni su qual’è stato il loro pensiero e la loro azione nella libertà secondo lo zapatismo, i loro successi, i loro errori, i loro problemi, le loro soluzioni, i progressi, quanto ancora in sospeso e quanto ancora da fare, perché c’è sempre qualcosa che manca fare.

4.- Il primo corso (ne faremo molti, secondo il numero dei partecipanti) di primo livello è di 7 giorni, compreso arrivo e partenza. Arrivo 11 agosto, le lezioni iniziano il 12 agosto 2013 e finiscono il 16 agosto 2013. Partenza il 17 agosto. Chiunque, una volta completato il corso, voglia restare più tempo, potrà visitare gli altri Caracoles. Il corso è lo stesso in tutti i Caracoles ma potete andare a conoscere caracoles diversi da quello dove avete frequentato il corso, ma per conto vostro.

5. – Ora vi spieghiamo come funziona l’iscrizione alla scuola della libertà secondo le zapatiste e gli zapatisti, ma vi diciamo già che è laica e gratuita. La preiscrizione avverrà tramite le Squadre di Appoggio della Commissione Sexta, nazionale e internazionale, dalla pagina web di Enlace Zapatista e via posta elettronica. L’iscrizione degli studenti avverrà presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Gli inviti saranno inviati, secondo le nostre possibilità, a partire dal 18 marzo 2013.

6.- A scuola non potrà entrare chiunque, ma solo chi riceverà direttamente il nostro invito. Ai compagni che riceveranno l’invito forniremo assistenza, il vitto, un posto per dormire pulito e comodo e metteremo a disposizione il proprio guardiano o guardiana, cioè un proprio “Votán”, che si preoccupi che stiano bene e che non soffrano troppo a scuola, solo un po’, ma sempre solo un pochino.

7.- Le alunne e gli alunni dovranno studiare molto. Il primo livello comprende 4 temi: Governo Autonomo I, Governo Autonomo II, Partecipazione delle Donne nel Governo Autonomo, e Resistenza. Ogni tema ha il proprio libro di testo. I libri di testo hanno tra le 60 e 80 pagine ognuno e quello che vi ha già illustrato il SupMarcos è solo una piccola parte di ogni libro (3 o 4 pagine). Abbiamo calcolato che la realizzazione di ogni libro di testo ha un costo di 20 pesos.

8.- Il corso di primo livello dura 7 giorni e secondo il tempo a disposizione del compa e della compa, perché sappiamo che ha anche il suo lavoro, la famiglia, la lotta, i suoi impegni, cioè che ha un suo calendario e geografia.

9.- Il primo corso è solo di primo grado, ne mancano molti altri, cioè la scuola non finisce subito, ma ha una sua durata. Chi supera il primo livello potrà passare al secondo livello.

10.- Il costo: il viaggio per arrivare al CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, e per tornare a casa propria, è a carico del e della compa. Dal CIDECI si parte per la scuola assegnata e al termine del corso si torna al CIDECI, e da lì si va dove si vuole. Una volta a scuola, nel villaggio, non preoccupatevi perché alla vostra tavola non mancherà il vostro piatto di fagioli, tortillas e verdura. Cioè, le spese per ogni studente sono coperte dagli zapatisti. Ogni studente o studentessa vivrà con una famiglia indigena zapatista. Per tutta la frequenza ai corsi, quella sarà la famiglia dell’alunna o alunno. Con quella famiglia mangerà, lavorerà, riposerà, canterà, ballerà e sarà accompagnato nella scuola assegnata, cioè al centro di educazione. Ed il “Votán”, ovvero il guardiano o guardiana, l’accompagnerà sempre. Cioè, ci occuperemo di ogni studente o studentessa. E nel caso si ammalasse, lo cureremo o, in casi gravi, lo porteremo in ospedale. Ma su quello che gli resterà o meno in testa non possiamo fare niente, perché riguarda il compagno o compagna quello che farà di ciò che vedrà, ascolterà e imparerà. Cioè, si insegnerà la teoria e la pratica ognuno se la vedrà nei luoghi dai quali arriva.

11.- Per coprire i costi dei corsi, ci penseremo noi. Magari organizzeremo un festival musicale, o una mostra di pittura o artigianato, non preoccupatevi, troveremo il modo e, inoltre, c’è sempre gente buona che appoggia le cose buone. Per chi volesse lasciare una donazione per la scuola, metteremo una cassetta presso l’ufficio delle iscrizioni al CIDECI, dai compas dell’Università della Terra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Chi vorrà, potrà mettere lì il suo contributo senza che nessuno sappia chi e quanto ha donato, così nessuno si sentirà triste se ha donato meno di un altro. Non sarà permesso lasciare soldi o regali nelle scuole, nei caracoles o alle famiglie in cui si alloggerà. Questo per non creare disparità tra chi potrebbe riceverli e chi no. Tutto quello che si vorrà donare dovrà essere lasciato al CIDECI, ai compagni dell’Università della Terra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Lì si raccoglierà tutto e, se ci sarà qualcosa, sarà suddiviso in parti uguali tra tutt@. Se no, non importa, quello che importa siete voi.

12.- Ci saranno altri modi di frequentare i corsi della scuola zapatista. Chiediamo l’aiuto dei compagni dei media liberi, libertari, autonomi e di chi ne sa di videoconferenze. Perché sappiamo che molti non potranno venire per i propri motivi di lavoro o personali o di famiglia. Ed anche che ci sono persone che non capiscono lo spagnolo ma hanno voglia di imparare com’è che le zapatiste e gli zapatisti hanno fatto quello che hanno fatto e come hanno disfatto quello che hanno disfatto. Quindi ci sarà un corso speciale che sarà ripreso in video da trasmettere dove ci sia un gruppo di alunn@ volenteros@ e pronti con il loro libro di testo a seguire il corso, e via internet potranno fare le loro domande sulla lezione che stanno facendo le maestre e i maestri, le basi di appoggio zapatiste.

Per decidere questo, inviteremo ad una riunione particolare alcuni media alternativi per metterci d’accordo su come fare per le videoconferenze e le foto e i video dei posti in cui si svolgono i corsi, affinché tutt@ possano vedere se è vero o no quello che stanno insegnando le professoresse ed i professori.

Ed un altro modo è che faremo copia dei corsi in dvd affinché chi non può andare da nessuna parte e può studiare solo a casa sua, lo possa fare e così imparare.

13.- Per poter frequentare la scuola zapatista, si dovrà sostenere un corso di preparazione dove verrà spiegato com’è la vita nelle comunità zapatiste e le loro regole interne. Affinché non si incorra in reati. E quello che si deve portare. Per esempio, non si devono portare quelle “tende da campeggio” che, oltre a tutto, non servono a niente; perché sarete sistemati presso le famiglie indigene zapatiste.

14.- Una volta per tutte diciamo che è PROIBITO produrre, commerciare, scambiare e consumare qualunque tipo di droga e alcool. E’ proibito anche detenere ed usare qualunque tipo di arma, sia da fuoco o “bianca”. Chi chiederà di entrare nell’EZLN o qualunque cosa militare, sarà espulso. Non si sta reclutando né promuovendo la lotta armata, bensì l’organizzazione e l’autonomia per la libertà. E’ anche proibita la propaganda di qualunque tipo, politica e religiosa.

15.- Non c’è limite di età per frequentare la scuola; ma se siete minorenni, dovete essere accompagnati da un adulto che sarà responsabile del minore.

16.- All’atto dell’iscrizione, dopo essere stati invitat@, vi chiediamo di specificare se siete altr@, maschi o femmine per potervi sistemare adeguatamente, perché ogni individu@ sarà rispettat@ e assistit@. Qui non ci sono discriminazioni di genere, preferenza sessuale, razza, credo, nazionalità. Qualunque atto di discriminazione sarà punito con l’espulsione.

17.- Se qualcuno ha qualche malattia cronica, abbia cura di portare tutti i suoi medicinali e di comunicarlo al momento dell’iscrizione affinché possiamo assisterlo al meglio.

18.- Al momento dell’iscrizione, dopo essere stati invitat@, vi chiediamo di specificare la vostra età fisica e le vostre condizioni di salute per sistemarvi adeguatamente in una delle scuole dove non dobbiate soffrire più di quanto già non patirete.

19.- Se siete invitat@ e non potete partecipare nella prima data, non temete. Comunicateci solo quando potete e noi organizzeremo il corso quando potrete esserci. Se qualcuno non può concludere il corso o non può arrivare anche se già iscritto, non c’è problema, può completarlo successivamente. Anche se è bene ricordare che può assistere alle videoconferenze o ai corsi che si terranno fuori dal territorio zapatista.

20.- In altri scritti spiegherò altri dettagli e chiarirò i dubbi che potranno sorgere. Ma queste sono le cose basilari.

Per ora è tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés
Rettore della Escuelita Zapatista
Messico, Marzo 2013

P.S. – Ho incaricato il SupMarcos di inserire in questo testo qualche video a tema.

Francisco Gabilondo Soler, Cri Cri, con una canzone ormai diventata un classico: “Caminito de la escuela”. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=djk3hrPKAV4

Las Ardillitas de Lalo Guerrero con “Vamos a la escuela” e le scuse di Pánfilo per non andaré a scuola. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=DxFHF3SMvCA

Le lagne della scuola a ritmo di ska, con la Tremenda Korte e questa canzone “Por Nefasto”. http://www.youtube.com/watch?v=pGN6bL8AWg0&feature=player_embedded

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/17/fechas-y-otras-cosas-para-la-escuelita-zapatista/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII. – Le/i più piccol@ 7 e ultimo.

7. – Dubbi, ombre ed il riassunto in una parola.

Marzo 2013

I Dubbi.

  Se dopo avere letto i frammenti della parola delle compagne e dei compagni dell’EZLN sostenete ancora che gli indigeni zapatisti sono manipolati dalla mente perversa del supmarcos (ed ora anche del subcomandante insurgente Moisés) e che dal 1994 non è cambiato niente nel territorio zapatista, allora siete irrecuperabili.

Non vi diciamo di spegnere la televisione, o di smettere di credere che l’intellettualità di solito si distribuisce tra i suoi parrocchiani, perché restereste con la mente vuota. Continuate a credere che la recente legge sulle telecomunicazioni democratizzerà l’informazione, che eleverà la qualità della programmazione e che migliorerà il servizio di telefonia mobile.

Ma, se la pensate così, non sareste arrivati fino a questa parte della saga “Loro e Noi”, quindi, è una supposizione, diciamo che siete una persona con coefficiente intellettuale medio e cultura progressista. Con queste caratteristiche è molto probabile che pratichiate il dubbio metodico riguardo a tutto, cosicché sarebbe logico supporre che dubitiate di quello che avete qui letto. E dubitare non è qualcosa da condannare, è uno degli esercizi intellettuali più sani (e più dimenticati) dell’umanità. E di più quando si tratta di un movimento come quello zapatista o neo-zapatista, sul quale si sono dette tante cose (la maggior parte senza nemmeno essersi avvicinati a quello che siamo).

Mettiamo da parte un fatto, accertato perfino dai grandi mezzi di comunicazione: decine di migliaia di indigeni zapatisti che prendono, in forma simultanea, 5 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas.

Dunque, già avanzando dubbi, se non è cambiato niente nelle comunità indigene zapatiste, perché continuano a crescere? Non avevano detto tutti che era qualcosa del passato, che gli errori dell’ezetaelene (ok, ok, ok, di marcos) erano costati la sua esistenza (“mediatica”, ma questo non l’hanno detto)? La dirigenza zapatista non era allo sbando? L’EZLN non era sparito e di lui rimaneva solo l’ostinata memoria di chi, fuori dal Chiapas, sente e sa che la lotta non è qualcosa soggetta ai viavai della moda?

Ok, rimediamo a questo fatto (l’ezetaelene è cresciuto in maniera esponenziale nei tempi in cui non era di moda), ed abbandoniamo il tentativo di instillare questi dubbi (che serviranno solo perché i vostri commenti sulla stampa nazionale siano pubblicati o siate bannati “per sempre”).

Riprendiamo il dubbio metodico:

E se le parole apparse in queste pagine come quelle di uomini e donne indigeni zapatisti, in realtà fossero paternità di Marcos?

Cioè, e se fosse stato Marcos a simulare che erano altr@ quell@ che parlavano e sentivano quelle parole?

E se le scuole autonome in realtà non esistessero?

E se gli ospedali, le cliniche, i rendiconti, le donne indigene con incarichi di responsabilità, le terre coltivate, la forza aerea zapatista, e…?

Sul serio: e se niente di quello che dicono quelle indigene, quegli indigeni esistesse realmente?

In sintesi, e se tutto non fosse nient’altro che una monumentale bugia di marcos (e Moisés, già che ci siamo) per consolare con chimere quell@ di sinistra (sporch@, brutt@, cattiv@, irriverenti, non dimenticate) che non mancano mai e che sono sempre pochi, pochissimi, una disprezzabile minoranza? E se il supmarcos si fosse inventato tutto questo?

Non sarebbe bene confrontare questi dubbi ed il vostro sano scetticismo con la realtà?

E se fosse possibile che voi vedeste direttamente queste scuole, queste cliniche ed ospedali, questi progetti, queste donne e questi uomini?

E se voi poteste ascoltare direttamente quegli uomini e quelle donne, messicani, indigeni, zapatisti mentre si sforzano di parlarvi in spagnolo per spiegarvi, raccontarvi la loro storia, non per convincervi o per reclutarvi, ma solo affinché possiate capire che il mondo è grande e che al suo interno ci sono molti mondi?

E se voi poteste concentrarvi solo a guardare ed ascoltare, senza parlare, senza pensare?

Accettereste questa sfida o continuereste a rifugiarvi nello scetticismo, quel solido e magnifico castello di ragioni per non fare niente?

Vorreste essere invitato ed accettereste l’invito?

Frequentereste delle lezioni nelle quali le e gli insegnanti sono indigeni la cui lingua madre è classificata come “dialetto”?

Avreste voglia di studiarla a scopo antropologico, psicologico, del diritto, esoterico, storiografico, per realizzare un reportage, fare loro un’intervista, dire loro la vostra opinione, dare loro consigli, ordini?

Li guardereste, cioè, li ascoltereste?

 -*-

Le ombre.

A lato di questa luce che ora brilla, non si nota la forma irregolare delle ombre che l’hanno resa possibile. Perché un altro dei paradossi dello zapatismo è che non è la luce che produce le ombre, bensì è da queste che la luce nasce.

Donne e uomini di angoli lontani e vicini di tutto il pianeta hanno reso possibile non solo quello che si vede, ma con i loro sguardi hanno arricchito il cammino di questi uomini e donne, indigeni e zapatisti, che ora innalzano di nuovo la bandiera di una vita degna.

Individui, gruppi, collettivi, organizzazioni di ogni tipo, e a livelli diversi, hanno contribuito alla realizzazione di questo piccolo passo delle/dei più piccoli.

Dai 5 continenti sono arrivati gli sguardi che, dal basso e a sinistra, hanno offerto rispetto ed aiuto. E con queste due cose, non solo si sono fatte scuole ed ospedali, si è anche sollevato il cuore indigeno zapatista che, così, si è affacciato a tutti gli angoli del mondo attraverso queste finestre sorelle.

Se c’è un luogo cosmopolita in terre messicane, forse è la terra zapatista.

Di fronte a tale appoggio, è corrisposto uno sforzo di uguale grandezza.

Credo, crediamo, che tutta quella gente del Messico e del mondo può e deve condividere come propria questa piccola gioia che oggi cammina con viso indigeno nelle montagne del sudest messicano.

Sappiamo, so, che non l’aspettate, né lo chiedete, ma vi mandiamo un grande abbraccio, che è il modo in cui gli zapatisti, le zapatiste, si ringraziano tra compagn@ (ed in particolare abbracciamo chi ha saputo essere nessuno). Forse senza volerlo, voi siete stati e siete, per tutte e tutti noi, la migliore scuola. Inutile dire che non smetteremo di sforzarci di fare in modo che, senza badare al vostro calendario e alla vostra geografia, rispondiate sempre affermativamente alla domanda se ne vale la pena.

A tutte (mi dispiace dal profondo della mia essenza maschilista, ma le donne sono la maggioranza quantitativa e qualitativa), a tutti: grazie.

(…)

Ma, ci sono ombre e ombre.

E le più anonime e impercettibili sono alcune donne e uomini di bassa statura e di pelle del colore della terra. Hanno lasciato tutto quello che avevano, anche se poco, e sono diventati guerriere e guerrieri. In silenzio e nell’oscurità hanno contribuito e contribuiscono, come nessun’altro, a che tutto questo sia possibile.

Sto parlando delle insurgentas e degli insurgentes, i miei compagni.

Vanno e vengono, vivono, lottano e muoiono in silenzio, senza far rumore, senza che nessuno, se non noi stessi, ne tenga il conto. Non hanno volto né vita propria. I loro nomi, le loro storie, vengono forse alla memoria di qualcuno quando si sono sfogliati molti calendari. Allora, forse intorno a un fuoco, mentre il caffè bolle in una vecchia teiera di peltro e si accende il fuoco della parola, qualcuno o qualcosa saluta la loro memoria.

E non importerà, perché quello di cui si trattava, di cui si tratta, di cui si è trattato sempre, è contribuire a costruire le parole con le quali normalmente iniziano i racconti, gli aneddoti e le storie, reali e fittizie, delle zapatiste e degli zapatisti. Proprio com’è cominciato quello che ora è una realtà, cioè con un:

“Ci sarà una volta…”

Salve, e che non manchino mai né l’ascolto né lo sguardo.

(non continua più)

A nome delle donne, degli uomini, dei bambini, degli anziani, delle insurgentas e degli insurgentes del

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2013 

P.S. CHE ANTICIPA. – Continueranno ad uscire gli scritti, non gioite in anticipo. Principalmente saranno del compagno Subcomandante Insurgente Moisés, e riguarderanno la scuola: date, luoghi, inviti, iscrizioni, documenti, regolamenti, livelli, divise, materiale scolastico, voti, consulenze, dove ritirare gli esami superati, etc. Ma se volete sapere quanti livelli sono ed in quanto tempo si arriva al diploma, vi diciamo: noi ci stiamo da 500 anni e non abbiamo ancora smesso di imparare.

P.S. UN CONSIGLIO PER FREQUENTARE LA SCUOLA – Eduardo Galeano, un saggio nella difficile arte di guardare ed ascoltare, ha scritto nel suo libro “I Figli dei Giorni“, nel calendario di marzo:

“Carlos e Gudrun Lenkersdorf erano nati e vissuti in Germania. Nell’anno 1973, questi illustri professori arrivarono in Messico. Ed entrarono nel mondo maya, in una comunità tojolabal, e si presentarono dicendo:

  – Veniamo ad imparare.

  Gli indigeni tacquero.

  Poi, qualcuno spiegò il silenzio:

  – È la prima volta che qualcuno ci dice questo.

  Per anni, Gudrun e Carlos restarono lì ad imparare.

  Dalla lingua maya impararono che non c’è gerarchia che separi il soggetto dall’oggetto, perché io bevo l’acqua che mi beve e sono guardato da tutto quello che guardo, ed impararono a salutare così:

  – Io sono un altro tu.

  – Tu sei un altro io.”

Ascoltate Don Galeano. Perché è sapendo guardare ed ascoltare, che si impara.

P.S. CHE SPIEGA QUALCOSA SU CALENDARI E GEOGRAFIE. – I nostri morti dicono che bisogna saper guardare ed ascoltare tutto, ma che al sud ci sarà sempre una ricchezza speciale. Come si sarà accorto chi ha guardato i video (ne sono rimasti ancora molti, magari in un’altra occasione) che accompagnavano gli scritti di questa serie di “Loro e Noi”, abbiamo cercato di far passare diversi calendari e geografie, ma c’è stata una prevalenza per il nostro rispettato sud latinoamericano. Non solo per l’Argentina e l’Uruguay, terre sagge in ribellione, anche perché, secondo noi, nel popolo Mapuche non c’è solo dolore e rabbia, ma anche interezza nella lotta ed una profonda saggezza per chi sa guardare ed ascoltare. Se c’è un luogo al mondo dove bisogna tendere ponti, è il territorio Mapuche. Per quel popolo, e per tutt@ le/i desaparecid@s e prigionier@ di questo sofferente continente, la memoria è viva. Non so dall’altro lato di queste lettere, ma da questo lato sì: né perdono, né oblio! 

P.S. SINTETICA. – Sì, lo sappiamo, questa sfida non è stata né sarà facile. Si profilano pesanti minacce, colpi di ogni tipo e da tutte le parti. Così è stato e sarà il nostro cammino. Cose terribili e meravigliose compongono la nostra storia. E così sarà. Ma se ci domandano come possiamo riassumere tutto in una parola: i dolori, le scoperte, le morti che ci fanno male, i sacrifici, il continuo andare contro corrente, le solitudini, le assenze, le persecuzioni e, soprattutto, questo testardo ricordare chi ci ha preceduto ed ora non c’è più, è qualcosa che unisce tutti i colori che sono in basso e a sinistra, senza badare al calendario o alla geografia. E, più che una parola, è un grido: 

Libertà… Libertà!… LIBERTÁ! 

Bene.

Il sup che ripone il computer e cammina, cammina sempre.

————————————————————-

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo:

Un poema di Mario Benedetti (che risponde alla domanda perché, nonostante tutto, cantiamo), con la musica di Alberto Favero. Qui nell’interpretazione di Silvana Garre, Juan Carlos Baglietto, Nito Mestre. ¡Ni perdón ni olvido! http://www.youtube.com/watch?v=g6TVm-MuhL8&feature=player_embedded

Camila Moreno interpreta “De la tierra”, dedicata all’attivista Mapuche, Jaime Mendoza Collio, assassinato alla schiena dai carabineros. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=SSVgl8QE8L0

Mercedes Sosa, la nostra, di tutt@, di sempre, che canta, di Rafael Amor, “Corazón Libre”. Il messaggio è terribile e meraviglioso, mai arrendersi. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gwlii20ZZd8

Link allo scritto originale: LINK

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Un premio per “rompere il silenzio” su Dení Prieto

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Nella foto Gloria Muñoz Ramírez e Beatriz Zalce

Città del Messico. 13 marzo 2013. Il nome dell’exguerrillera Dení Prieto Stock è risuonato oggi al Premio Nazionale di Giornalismo conferito a Beatriz Zalce, giornalista di Desinformémonos, per la sua intervista “Dení Prieto, un seme dell’EZLN“, pubblicata il 13 maggio 2012 nella sezione culturale di questa rivista elettronica. Il riconoscimento a questa storia significa “rompere quel silenzio imposto”, dice Zalce, oltre “all’impegno, alla presa di coscienza di ciò che può e si deve fare”.

Il lavoro che mostra una profonda conoscenza ed empatia con la storia di María Luisa – il nome in clandestinità di Dení, integrante delle Forze di Liberazione Nazionale – parte da un’intervista collettiva ad Ayari Prieto, sorella di Dení; e a Luisa Riley, regista del documentario “Fiore in Otomí“, sulla vita della giovane donna rivoluzionaria.

Il Club dei Giornalisti da 62 anni consegna un riconoscimento al lavoro giornalistico più rilevante, avallato dalla propria categoria e non dal potere. Si tratta di un premio indipendente e autonomo che non consiste in gratificazioni economiche, bensì in un diploma per il lavoro compiuto. 

Nell’intervista premiata, Ayari Prieto ricrea passaggi della vita con sua sorella; mentre la cineasta Luisa Riley parla del significato del suo documentario – una testimonianza dopo un silenzio durato 38 anni -, ed entrambe esplorano l’impegno politico e vitale della giovane assassinata dall’esercito messicano il 14 febbraio 1974. 

Per Zalce, docente alla Facoltà di Studi Superiore Acatlán, “il premio è evidentemente a Desinformémonos che è la prova provata che i sogni diventano realtà a patto che si uniscano molte forze, molti cuori e l’impegno”. Il premio è stato consegnato il 13 marzo 2013 nella sede del Club dei Giornalisti, nel centro di Città del Messico.

Beatriz Zalce insiste nell’affermare che “il premio è per Desinformémonos e forse io non sono altro che un canale”. Riguardo a questa rivista elettronica, Zalce aggiunge che anche qui “molta gente chiede, come si chiama? Perché questo nome? E’ già una rivista abbastanza letta e – come ha detto Hermann Bellinghausen, è un miracolo che ha più collaboratori, corrispondenti ed inviati che la Reuters -, è straordinario che così giovane e così grande, riceva questo premio.” 

“Bisogna continuare a rompere il silenzio perché proprio in questi momenti stanno accadendo cose che dobbiamo scrivere e pubblicare su Desinformémonos”, conclude Beatriz.

 http://desinformemonos.org/2013/03/un-premio-por-romper-el-silencio-sobre-deni-prieto/

Video della premiazione http://www.youtube.com/watch?v=0sihhzBZgsA

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La Jornada – Martedì 12 marzo 2013

La Corte Suprema potrebbe porre fine al conflitto di 30 anni per l’ejido Tila

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 marzo. Nel caso di una sentenza favorevole della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) alla richiesta di restituzione delle terre nell’ejido di Tila, nella zona nord, sarebbe restituito ai choles il controllo sulla totalità del territorio che secondo i documenti ufficiali iniziali compete loro, sostiene il Servizio Internazionale per la Pace (Sipaz) in una relazione sull’argomento.

Si chiuderebbe così una lunga disputa tra ejidatarios ed autorità municipali e statali, si aggiunge nel documento. Esistono molti elementi giuridici a suo favore. La riforma della Costituzione in materia di diritti umani nel 2011, ha armonizzato la Legge Suprema con i trattati internazionali firmati dal Messico. La SCJN ha ora nelle sue mani l’opportunità di far valere questa riforma.

Sipaz segnala che esiste la possibilità che il Potere Legislativo federale decida di approvare la proposta di riforma inviata a novembre scorso dall’allora presidente Felipe Calderón che si propone di abbreviare i procedimenti per la privatizzazione delle terre di proprietà collettiva, cosa che potrebbe acuire la già difficile situazione dei contadini e dare avvio alla disintegrazione sociale del settore e significherebbe una retrocessione storica delle conquiste della Rivoluzione Messicana.

Di fronte al pericolo di accelerare la privatizzazione della proprietà collettiva, una sentenza favorevole della SCJN darebbe un segnale di protezione di un settore vulnerabile e riconoscerebbe i diritti collettivi dei popoli. Per il resto, sarebbe una sentenza nel senso degli Accordi di San Andrés, riconosciuti recentemente da una parte della classe politica come un debito verso i popoli originari, renderebbe giustizia ed aprirebbe la porta del sistema di giustizia messicano agli altri popoli indigeni del paese che lottano contro il saccheggio delle terre e per il diritto al loro territorio.

La relazione di Sipaz rileva che nelle terre indigene sono aumentate le lotte per la difesa del territorio contro le concessioni minerarie e diversi progetti energetici, turistici o di infrastrutture che minacciano le diverse forme legittime di proprietà collettiva.

In questo contesto la SCJN ha rimesso in agenda per la sua discussione il caso delle terre dell’ejido di Tila, 130 ettari che le autorità statali hanno espropriato più di 30 anni fa per uso privato. I magistrati discuteranno le coperture che  la giustizia offre all’ejido che nel 1980 ha vinto un ricorso contro un decreto di esproprio. Nel 2009 gli ejidatarios hanno ripreso la lotta politica e legale iniziata mezzo secolo fa. Ora la SCJN ha nelle sue mani la decisione sulla restituzione dei diritti, o manifestare l’impossibilità di dar luogo alla restituzione di terre compensandole con denaro.

Sipaz ricorda che tra il 1995 ed il 1997 si verifica uno degli episodi più sanguinosi della strategia dello Stato per affrontare l’EZLN attraverso la formazione di gruppi paramilitari. Si crea il gruppo Desarrollo, Paz y Justicia e si militarizza la regione chol. Gli ejidatarios denunciano che quelli di Paz y Justicia hanno sottratto loro le terre e non vogliono che lottino per difenderle.

E’ giusto ricordare che il Santuario del Signore di Tila rappresenta l’entrata di risorse economiche important, fino ad oggi a beneficio del governo municipale. Inoltre, col tempo si sono stabiliti dei commercianti senza diritti ejidali che sono stati sempre alleati del municipio. Tuttavia, gli ejidatarios non hanno nessuna intenzione di cacciarli se recupereranno le loro terre, sottolinea Sipaz.

Dopo la sollevazione zapatista, sulle terre dell’ejido è stato installato un accampamento militare. Nella regione di Tila “è in corso il processo di costruzione dell’autonomia dell’EZLN e la presenza dell’Esercito funziona come elemento di controllo della popolazione in resistenza. Nel caso le terre vengano recuperate dall’ejido, questo potrebbe comportare la partenza dell’Esercito”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/12/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII. – Le/i più piccol@ 6.

6.- La Resistenza.

Marzo 2013

NOTA: I frammenti che seguono parlano della resistenza zap… un momento!… esiste una Forza Aera Zapatista?! Il sistema di salute zapatista è migliore di quello del malgoverno?! Durante questi quasi 20 anni, le comunità zapatiste hanno resistito con ingegno, creatività ed intelligenza proprie a tutte le variabili della controinsurrezione. La cosiddetta “Crociata”contro la Fame” dei capoccia priisti di turno, non fa altro che rieditare la fallace supposizione che ciò che gli indigeni chiedono è l’elemosina, e non Democrazia, Libertà e Giustizia. Questa campagna di controinsurrezione non arriva da sola, ma accompagnata da quella mediatica (la stessa che oggi in Venezuela ripropone la sua vocazione golpista contro un popolo che saprà tirar fuori la forza dal suo dolore), dalla complicità dell’insieme della classe politica (in quello che dovrebbe chiamarsi “Patto contro il Messico”) e, chiaramente, una nuova escalation militare e di polizia: nei territori zapatisti si ringalluzziscono i gruppi paramilitari (col consenso del governo statale), le truppe federali aumentano i pattugliamenti provocatori “per localizzare la dirigenza zapatista”, le agenzie di “intelligence” si riattivano, ed il sistema di giustizia ripropone la sua ridicolaggine (vedi il caso Cassez) e nega al professor Alberto Pathistán Gómez la libertà, condannandolo per essere indigeno nel Messico del secolo XXI. Ma il professore resiste, per non parlare delle comunità indigene zapatiste…

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Buongiorno compagni, buongiorno compagne. Il mio nome è Ana, della Giunta di Buon Governo attuale, della quarta generazione 2011-2014, del Caracol I di La Realidad. Vi parlerò un po’ della resistenza ideologica, ve ne parleremo in due, io e il compagno. Vi parlerò dell’ideologia del malgoverno. Il malgoverno utilizza tutti i mezzi di comunicazione per controllare e disinformare il popolo, per esempio la televisione, la radio, le telenovelas, cellulari, giornali, riviste e perfino lo sport. Per televisione e radio trasmette molti spot commerciali per distrarre la gente, le telenovelas per incantare la gente e far credere che quello che succede in TV può succedere a tutti. Nell’ambito dell’educazione il sistema del malgoverno, ideologicamente, a quelli che non sono zapatisti li manipola affinché i loro figli vadano a scuola ogni giorno ben vestiti e ordinati, senza badare se imparano a leggere o scrivere, ma solo per mettersi in bella mostra. Fornisce loro anche borse di studio per avere un titolo di studio ma alla fine dei conti le uniche ad avvantaggiarsene sono le aziende che vendono tutti gli accessori per la scuola o quelle divise. Come resistiamo a tutti questi mali dell’ideologia del governo nel nostro Caracol? La nostra arma principale è l’educazione autonoma. Nel nostro Caracol ai promotori si insegna la vera storia che riguarda il popolo affinché sia trasmessa ai bambini e alle bambine, facendo conoscere anche le nostre richieste. Si è anche cominciato a fare corsi di politica ai nostri giovani affinché siano svegli e non cadano facilmente nell’ideologia del governo. Nelle comunità si stanno facendo anche dei corsi sulle tredici domande, i corsi sono tenuti da persone locali di ogni villaggio. Questo è quello che posso dirvi ed ora vi parlerà il compagno.

(…)

-*-

(…)

C’è anche la questione dei programmi, dei progetti del governo. Il governo introduce dei progetti affinché i fratelli credano di ricavarci qualcosa e credano che questo è bene e si dimentichino dei loro lavori. Affinché i fratelli non dipendano più da loro stessi, ma siano dipendenti dal malgoverno.

Che cosa facciamo noi per opporci a queste cose? Ci organizziamo per svolgere lavori collettivi, come già hanno raccontato alcuni compas, nel villaggio, nella regione, nei municipi e perfino nella zona. Questi lavori soddisfano le nostre necessità ed è così che resistiamo per non cadere nella trappola dei progetti del malgoverno e per dipendere da noi stessi e non dal malgoverno.

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C’è un ospedale abbastanza grande in una comunità che si chiama Guadalupe Tepeyac e adesso se ne sta costruendo uno molto vicino, a mezz’ora, un’ora di strada, a La Realidad, un ospedale infantile. Ma che cosa succede, come funziona quell’ospedale a Guadalupe Tepeyac? Il governo lì ha fornito tutte le attrezzature, e arriva gente da ogni comunità, dai diversi municipi, e che cosa succede se devono fare degli ultrasuoni, per esempio, o un’analisi di laboratorio? I medici di lì sanno, perché è molto vicino, che noi abbiamo l’Ospedale-scuola “Los Sin Rostro de San Pedro” che si trova in una comunità molto vicina, e loro non possono fare determinate analisi in quell’ospedale di governo perché non hanno personale qualificato, ci sono le macchine ma non c’è il personale, allora loro visitano e poi li mandano al nostro ospedale, all’Ospedale-scuola zapatista. Si eseguono gli esami – pensate a che livello siamo arrivati, compagni – e chiaramente ci sono anche delle regole da seguire in questo ospedale che prevedono il versamento di una quota per chi viene da fuori per sottoporsi ad esami.

Quindi la gente si rende conto, si stupisce, che in un ospedale governativo non c’è quello che ci si aspetta, cioè la soluzione del suo problema, allora viene nel nostro ospedale a sottoporsi a visite ed esami di laboratorio. All’ospedale di Guadalupe c’è un tecnico di laboratorio, ma ci sono molte cose che questo tecnico non sa fare, allora lo mandano al nostro ospedale-scuola. Lì abbiamo un compagno qualificato che ha formato già molti altri compagni ed esegue diverse analisi. Ma non solo, il vantaggio che non c’è nell’ospedale ufficiale, dove si eseguono solo gli esami e basta e poi mandano il paziente da un altro dottore perché riceva assistenza, è che questo compagno dell’ospedale, quando gli arriva qualcuno mandato dai medici dell’ospedale di Guadalupe, gli fa gli esami e contemporaneamente gli dà la ricetta, la cura per la sua malattia, perché lui ha acquisito molta conoscenza in quel laboratorio.

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(…)

Per completare un po’ quanto detto sulla città rurale [realizzata, con il plauso mediatico, dal governo di “sinistra” del corrotto Juan Sabines Guerrero], all’inizio si sono costruite le case. Secondo quello che ci raccontano i compagni, le costruzioni, cioè i materiali da costruzione, sono del tipo triplay, molto mingherlini, non come le tavole di legno che usiamo noi. Attualmente le costruzioni si gonfiano come palloncini quando c’è vento forte e quando è la stagione del caldo e della pioggia, perché i materiali con cui sono costruite le case sono già rovinati. È così. Lì, in quel municipio, sono andate a vivere per alcuni giorni delle famiglie, e secondo le notizie dei giornali, c’è una cucina che misura 3×3, ben piccola, una camera e una sala. Ma lì non si può fare niente perché come si fa in quello spazio ad accendere il fuoco? Non si può.

Attualmente non funzionano, le famiglie ci sono state per pochi giorni ma poi hanno dovuto tornare nella loro comunità. Alcune altre famiglie sono ancora lì ma vivono in cattive condizioni. Ci dicono che lì c’è una collina, e in cima dove ci sono le costruzioni hanno costruito un serbatoio per l’acqua che però non funziona, compagni, non stanno funzionando. Dicono che lì c’è una banca per investire denaro, non so se è una banca mondiale, statale, municipale, non so, ma non sta funzionando. Lì ci sono solo dei gusci vuoti e a pezzi. Non è come dicono una ‘città rurale’, un nome molto bello, in realtà lì non c’è niente. Per questo, come dicevano i compagni, perché credere nei progetti e cose così? Sono solo bugie.

(…)

Come dicevano i compagni, è parte della guerra del nemico, per questo alcuni compagni di questa zona si sono lasciati convincere da quelle e sono andati lì, e non è perché hanno una vita più degna. In molti posti ci sono quelli che escono dall’organizzazione o quelli che stanno nei partiti, ma i compagni basi di appoggio hanno una vita migliore. Quello che dicono delle città rurali sono solo bugie.

Per far capire la manipolazione ideologica del malgoverno a Santiago El Pinar, alle donne avevano promesso di realizzare dei pollai per la vendita delle uova. Le galline da uova hanno bisogno di molto mangime, e fornirono molte galline che all’inizio fecero molte uova, ma il governo non procurò anche il canale di mercato attraverso cui venderle. Le galline facevano molte uova ma che fare? Non si poteva entrare in competizione con i grandi negozi alimentari dove si vendono le uova. Allora i fratelli ci hanno raccontato che si spartirono le uova, ma il governo non fornì più il mangime e le galline cominciarono a deperire e smettere di fare uova. Ed allora le donne dissero ‘che cosa facciamo? Dobbiamo cooperare. Ma come facciamo se non ci sono più uova? Dove troviamo i soldi?’. Le galline morirono e quello che aveva detto il malgoverno non aveva dato risultati. Tutto questo è stato solo per mandare lì le telecamere a filmare la consegna delle galline, quanto era bello ecc. Ma nel giro di tre mesi tutto questo era finito.

Tra altre cose, come ha detto il compa che le case si gonfiano come rospi, c’è un altro problema. Le donne sono abituate a fare le tortillas sul fuoco, ma il pavimento è di legno, triplay, e non si può accendere un fuoco lì. Hanno fornito delle bombole di gas che però non sanno usare e che non durano neanche un mese, e così ci sono cumuli di bombole, c’è la stufa e non serve a niente. Nella nostra vita di contadini, indigeni, dietro la tua casetta c’è la verdura, la canna, ananas, banane, quello che c’è, com’è il nostro stile di vita, ma lì non c’è, c’è semplicemente una casa e punto. Non sanno cosa fare ma devono tornare a lavorare sul terreno che hanno lasciato, e questo comporta altre spese per andare e venire.

La politica del malgoverno è distruggere la vita in comune, la vita comunitaria, che tu abbandoni la tua terra o la venda, e così sei fregato. È una politica di ingiustizia, è creare altra miseria. Tutti i milioni che il malgoverno statale, municipale e federale riceve dall’ONU, che è l’Organizzazione delle Nazioni Unite, viene usato per organizzare chi provoca i problemi nelle comunità soprattutto contro di noi basi di appoggio.

È la continuazione della politica, quello di cui si parlava molto, adesso non vogliono più che se ne parli, sui media non compare più: è il Piano Puebla-Panama. Ora hanno trovato un altro nome perché il Piano Puebla-Panama è stato molto criticato, ma è la stessa cosa, hanno solo cambiato nome per continuare a portare l’individualismo nelle comunità, per distruggere quanto di comune ancora resta.

(…)

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La resistenza si sta facendo più o meno come la raccontiamo. A volte i compagni lavorano nella milpa o nella piantagione di caffè, o se hanno del bestiame a volte vendono un animale per avere un po’ di soldi, siccome il malgoverno ci attacca con i suoi progetti di pavimenti di cemento, di case moderne e con altre cose così che i fratelli priisti, dei partiti e di altre comunità accettano.

E sembra che ormai loro si sono abituati ai soldi, stanno sempre più col governo perché arrivi con altri soldi ed altri progetti, come hanno spiegato alcuni compagni di La Garrucha, e così sta accadendo nel Caracol di Morelia. A volte a questi fratelli vendono i tetti di lamiera, cosa che fa parte di un progetto del governo, il governo pensa di migliorare il suo partito ma succede il contrario grazie al frutto del lavoro dei compagni in resistenza.

Per esempio, un foglio di lamiera in un negozio di ferramenta costa sui 180 pesos, ma arrivano a venderla a 100 pesos, 80 pesos; ed arrivano mattoni da costruzione che nelle ferramenta costano 5, 6 o 7 pesos, ma loro li vendono a 3 pesos, 2 pesos. Ed i compagni, noi, siccome siamo in resistenza, non siamo abituati a spendere il frutto del nostro lavoro, sono loro quelli che comprano, e forse un giorno vedrete in qualche nuovo insediamento della lamiera colorata, ma è venuta dal lavoro dei compagni. È questo che sta succedendo anche là.

Ma il governo si è accorto dove va a finire il suo progetto. Non sta beneficiano i partiti, i priisti, ma se ne stanno approfittando gli zapatisti, dove manda i materiali da costruzione c’è già il muratore. All’arrivo del materiale c’è già il muratore e lì gli zapatisti migliorano le loro case, e per questo sta cambiando modi, come hanno fatto in molte forme i malgoverni che si sono succeduti dal ’94 ad oggi.

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Bene compas, spiegherò di nuovo la resistenza militare, come già spiegato dalla compagna. A me tocca raccontare quello che è successo nel 1999 nell’ejido Amador Hernández, municipio General Emiliano Zapata.

A quel tempo, un giorno 11 di agosto, sono arrivati i militari, e noi compagne e compagni ci siamo opposti all’arrivo dei militari. Volevano prendere la comunità ed occuparono una sala da ballo e le compagne li affrontarono; li cacciarono da quella comunità. Ma la cosa andò avanti, si fece un presidio. Al presidio parteciparono tutti quelli della zona, del Caracol La Realidad. In quella situazione di resistenza arrivarono anche quelli della società civile e tutta quella resistenza riuscì perché era tempo di chaquiste [piccolo insetto che punge anche attraverso gli indumenti – n.d.t.], tempo di fango, stagione di pioggia. Non siamo caduti nelle loro provocazioni, non ci siamo scontrati militarmente, ma li abbiamo affrontati pacificamente.

Al presidio si organizzavano dei balli, ballavamo davanti ai militari. E si tenevano cerimonie religiose, si svolgevano eventi dei compas, facevamo dimostrazione politica della lotta.

Cosa fecero i militari? Cominciarono a temere che li convincessimo perché stavamo faccia a faccia con loro, allora i comandi militari dell’esercito installarono degli altoparlati perché non sentissero le nostre parole e li fecero allontanare un poco.

Che cosa successe? I compagni al presidio, avendone sentito parlare, si inventarono di fare degli aeroplanini di carta che lanciavano ai soldati. È così che è nata la prima forza aerea dell’Esercito Zapatista ad Amador Hernández, ma è solo di carta.

(…)

Tutto questo, compas, è successo in quella resistenza militare, li abbiamo affrontati a spintoni, compagni e compagne ed i militari su due file, e c’era un compa… un piccoletto, che quando i militari ci spingevano coi loro scudi e manganelli, il compa gli pestava i piedi e i militari anche lo calpestavano. Un soldato più grosso vide la scena e cominciò a ridere perché il compa e i soldati si pestavano i piedi a vicenda. Il soldato rideva ed il compa piccoletto gli dice: “che ti ridi piccoletto?”, ma il soldato era grosso, era il compagno ad essere piccoletto.

(…)

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Questo è quello che ho visto e sto vedendo. Il risultato è lì. Non abbiamo mangiato tostadas per niente, e la tostada dà forza e saggezza. Si è fatto molto uso del collettivismo, perché parlo in questo modo, compagni? Scusate le parolacce, compagne, le abbiamo imparate dai compagni in ogni villaggio, in ogni municipio, per affrontare i dannati saldati che sono dentro i nostri luoghi e che ci perseguitano. Lì le compagne hanno imparato a difendersi, non so, con le bastonate li devono cacciare i soldati, l’hanno fatto con la forza, con le pietre o con le grida e con mentaderas [insulti]. Così si sono organizzate le compagne, io l’ho visto ed ho presente quando le compagne si convinsero ad affrontarli e dimostrarono che le compagne sono capaci di farlo.

(…)

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Anche le autorità hanno cominciato ad alternarsi ed accogliere le nostre necessità che presentiamo in municipio da ogni villaggio, ogni regione ed ogni centro. Così abbiamo lavorato e a poco a poco siamo progrediti. Po abbiamo avviato il progetto di salute ed educazione e, come ha detto la compagna, nel municipio abbiamo la clicnica “Compañera María Luisa” [nome di lotta di Dení Prieto Stock, caduta in combattimento il 14 febbraio 1974 a Nepantla, Stato del Messico, Messico] e nell’ejido San Jerónimo Tulijá la clinica “Compañera Murcia-Elisa Irina Sáenz Garza”, una compagna che ha lottato ed è morta nel rancho El Chilar [nella Selva Lacandona, Chiapas, Messico, nel febbraio dl 1974], viviamo vicini a dove è morta, per questo la nostra clinica porta il suo nome.

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marialuisa        irina murcia

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(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

 Messico, Marzo 2013

TOP SECRET. Addestramento della Forza Aerea Zapatista (FAZ) in qualche luogo delle montagne del Sudest Messicano. http://www.youtube.com/watch?v=BliFqcIgdqs&feature=player_embedded

Un’altra dimostrazione dell’animo guerriero inculcato a bambini e bambine nelle comunità indigene zapatiste in resistenza: leggendo “L’Ingegnoso Hidalgo Don Quijote de la Mancha”, di un certo Miguel de Cervantes Saavedra, che deve essere un consulente militare straniero sovietico… non c’è più l’URSS? No gli dico, una dimostrazione in più che questi indigeni sono disperatamente pre-moderni: leggono i libri! Sicuro lo fanno perché sovversivi perché con Peña Nieto leggere libri è un reato. http://www.youtube.com/watch?v=zlQJTI1p47k&feature=player_embedded

Canto di dolore e rabbia di una madre Mapuche per la perdita del figlio assassinato dai carabinero in Chile. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=5MA-Dt6tDn8

Canzone per i Caracoles dell’EZLN, di Erick de Jesús. All’inixzo del video, le parole delle donne zapatiste. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=EYdSJVQP0ug

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/08/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-6-la-resistencia/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 marzo 2013

Alberto Patishtán: Siamo governati dall’ingiustizia

HERMANN BELLINGHAUSEN

“Siamo governati dall’ingiustizia”, ha dichiarato Alberto Patishtán Gómez dal carcere numero 5 di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dopo la comunicazione del rifiuto dei giudici della prima sezione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) di accettare il suo caso, adducendo che questo non conta su elementi sufficienti affinché il tema meriti la loro attenzione.

“Era un’opportunità per mostrare che in Messico c’è giustizia”, ha affermato via telefonica il professore tzotzil originario di El Bosque, ed ha aggiunto: “Noi ingiustamente carcerati continueremo a lottare contro l’ingiustizia e la corruzione del sistema giudiziario”.

Ha riconosciuto l’operato dei due giudici che hanno votato a favore della sua causa, Olga Sánchez Cordero e Arturo Saldívar. “Loro erano disposti a conoscere la verità. Gli altri non vedono le cose come devono essere”.

I membri della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate hanno dichiarato “siamo indignati con questi giudici che avevano nelle loro mani la possibilità di dare la libertà con un un atto di giustizia, ma niente”. A nome loro, Patishtán ha affermato: “Siamo particolarmente decisi a lottare per quanto sia necessario. Non ci scoraggiamo”.

Intanto, nel blog dedicato al professore si sottolinea “la costernazione e la rabbia per il risultato negativo”, degli avvocati Leonel Rivero e Gabriela Patishtán, figlia del prigioniero di coscienza più importante del paese, all’uscita dall’udienza nella Prima Sezione della SCJN (http://www.albertopatishtan.blogspot.mx/2013/03/los-ministros-de-la-suprema-corte-de.html).

Ora il caso torna alla corte di Tuxtla Gutiérrez. “C’è ancora razzismo nella giustizia messicana”, sostiene la difesa. Il procedimento arriverà fra tre settimane al tribunale di Tuxtla Gutiérrez che presumibilmente “deciderà” sul ricorso per il riconoscimento della sua innocenza.

Patishtán è in prigione dal 2000, accusato dell’uccisione di sette poliziotti sulla strada Simojovel-El Bosque. Il fatto, senza movente e mai provato in maniera soddisfacente né investigato, ha permesso che il grave crimine restasse impunito, cosa che evidenzia la protezione politica di cui gode l’ex governatore priista Roberto Albores Guillén e gli altri membri del suo governo dell’epoca, almeno per omissione. 

Ancora una volta, come hanno detto oggi i detenuti indigeni in Chiapas, “la giustizia non ha fatto il suo dovere”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 marzo 2013

I profughi di Banavil chiedono l’intervento di Peña Nieto

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le famiglie sfollate più di un anno fa da Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, hanno chiesto al governatore Manuel Velasco Coello ed al presidente Enrique Peña Nieto di intervenire affinché possano tornare a breve nella loro comunità. Hanno inoltre chiesto  almeno il corpo di Alonso López Luna, rapito, scomparso e probabilmente ucciso da alcuni coloni di Banavil e Las Mercedes.

Ricordano che il 4 dicembre 2011 furono aggredite da persone affiliate al PRI di queste comunità. Lorenzo López Girón, allora ferito gravemente e unico arrestato racconta: “Sono entrati nella cucina di casa ed hanno preso nostro padre che è tuttora desaparecido, ma il pubblico ministero non ha fatto niente, è complice degli aggressori e si rifiuta di cercare il suo corpo”.

Denunciano che il funzionario Cristóbal Hernández López, “ci ha mentito riguardo alle indagini e sulla cattura degli assassini che vigliaccamente l’hanno aggredito, fatto sparire, squartato e nascosto il corpo”.

A causa dei fatti fu imprigionato a Tenejapa per 14 mesi Francisco Sántiz López, base di appoggio zapatista, senza ragione alcuna, ma con l’accusa di aver ucciso uno degli aggressori, quando non si trovava nemmeno sul posto al momento dei fatti. Le accuse sono cadute dopo un’intensa campagna internazionale.

Le quattro famiglie López Girón, rifugiate a San Cristóbal de las Casas e ritenute simpatizzanti zapatisti, sostengono: “Siamo stati derubati delle nostre terre e non abbiamo potuto tornare. Chiediamo al governo federale e statale di applicare la legge e di fare giustizia, perché conoscono i responsabili che sono liberi, per loro non c’è stata punizione , e si stanno impadronendo di nostri terreni che vogliono suddividere in ejido tra Santa Rosa e Banavil.”

Ancora una volta identificano gli aggressori: Antonia López Pérez, Lucía López Ramírez e Antonia Girón Gómez, e Alonso López Ramírez, Diego, Pedro e Manuel Méndez López, Agustín Méndez Luna, Alonso e Agustín Guzmán López, Diego Guzmán Méndez, Antonio e Alonso López Méndez e Pablo López Intzín.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 marzo 2013

Si aggrava la minaccia contro le basi di appoggio delle’EZLN a San Marcos Avilés, Chiapas.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 5 marzo. Si aggrava di giorno in giorno la situazione di minaccia, persecuzione e tensione contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nell’ejido di San Marcos Avilés (municipio di Chilón), da parte di seguaci del PRI, del PRD e del Partito Verde Ecologista del Messico, i cui capi hanno perfino minacciato di arrestare la giunta di buon governo (JBG) di Oventic nel caso questa intervenisse.

Secondo informazioni fidate, il Centro dei Diritti umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) riferisce che questa situazione si è acuita dal 23 febbraio, quando i partiti si sono incontrati con un deputato locale del Chiapas non identificato nella Ranchería Yoc’ja, Chilón. “Dopo questa riunione si è svolta un’assemblea a San Marcos Avilés, dove i partiti hanno dichiarato: Ci sarà la guerra contro le basi di appoggio perché non c’è altro modo di risolvere il problema”.

Il giorno 24 sono corse voci di uno sgombero, per cui la comunità delle basi zapatiste è entrata in allerta.

Il giorno 26, alle ore 20:00, il commissario ejidale Ernesto Pérez Núñez annunciava con un megafono la convocazione di un’assemblea per il giorno dopo, alla quale avrebbero partecipato i 70 ejidatari ed i coloni che non lo sono. Il commissario inoltre avvertiva: ‘Nessuno proveniente da altri luoghi avrà il diritto di intervenire nei problemi dell’ejido, e se vengono quelli della JBG li arresteremo’..

Dal 27 febbraio ad oggi, le famiglie zapatiste vivono in una situazione di grave tensione,  persecuzione e diretta minaccia di sgombero forzato da parte dei partiti.

Il Frayba sente l’urgenza di rispondere alla situazione di persecuzione che sta causando gravi violazioni dei diritti umani in relazione all’integrità e sicurezza della persona, alla stabilità ed al libero transito, tra altri. Oltre a colpire la convivenza e l’armonia nella comunità e nella famiglia, si ripercuote in una potenziale crisi umanitaria con possibili conseguenze di difficile soluzione in caso si verifichi per la seconda volta uno sgombero forzato contro le basi zapatiste, come già successo nell’aprile del 2010.

La nuova escalation di violenza contro le famiglie autonome era stata già denunciata nei giorni scorsi (La Jornada, 24/2/13). Le autorità statali hanno brillato per il loro immobilismo nello congiurare la possibile violenza contro gli zapatisti della comunità tzeltal.

 

Amicus curiae per Patishtán

 

L’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, ha presentato alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) una risoluzione di amicus curiae (amico della corte) nelal quale si sostiene che nel caso di Alberto Patishtán fin dall’inizio le prove dovevano essere considerate nulle, in quanto ottenute in maniera illecita e violando con questo i suoi diritti fondamentali, che esistevano da prima della pubblicazione delle nuove tesi e della giurisprudenza della SCJN. Lo Stato messicano era obbligato a proteggere e garantire i diritti del detenuto.

La difesa di Patishtán ha convalidato le argomentazioni sviluppate nello scritto (in un amicus curiae, degli esperti indipendenti esprimono la loro opinione rispetto ad un caso particolare, apportando elementi che possano risultare trascendenti nella decisione del tribunale). Questo, sostiene elementi giuridici per i quali la SCJN deve assumere la competenza ed affrontare il tema di fondo della questione delle violazioni delle garanzie e della protezione giudiziale, diritti che sono stati ignorati durante tutto il procedimento penale.

Nel frattempo, anche i Solidarios de la Voz del Amate, membri della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, reclusi nella prigione di San Cristóbal de las Casas, si sono pronunciati al riguardo: ‘Dopo quasi 13 anni di carcere ingiusto al nostro compagno Alberto, è arrivato il momento di rivelare le anomalie e le irregolarità nel suo caso. Questo mercoledì ci sarà l’udienza per discutere la riassunzione di competenza della SCJN; confidiamo che quando i giudici scopriranno tutte le bugie nel caso del nostro fratello, detteranno la sua liberazione immediata.

http://www.jornada.unam.mx/2013/03/06/politica/033n1pol

(Traduzione “Maribel” – bergamo)

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LORO E NOI

VII. – LE/I più piccol@ 5.

5.- I Soldi.

Marzo 2013

NOTA: I Soldi, il denaro, la grana, il money, l’economia, le finanze, ecc. La questione economica non riguarda solo da dove arrivano le risorse (la morbosità di qualcun@ sarà soddisfatta a scuola, non preoccupatevi), ma riguarda anche come si gestiscono (le autorità percepiscono uno stipendio? Si fa la “cresta” a beneficio personale? ecc.) e, soprattutto, come si presenta il rendiconto? Un momento! Gli zapatisti hanno un proprio sistema bancario?! Bene, scandalizzatevi pure perché, come è risaputo, questo fanno le zapatiste, gli zapatisti, disturbano le anime belle. Questi sono frammenti della condivisione sull’economia delle Giunte di Buon Governo:

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Fino ad ora non c’è stato compenso con denaro [per le autorità della JBG], perché pensiamo che non è col denaro che si può fare il lavoro dell’autonomia o svolgere l’attività di governo. Nessuno sta lavorando sulla base dei soldi. Chiaramente alcuni, per il lavoro che fanno, ricevono un aiuto dal loro villaggio con generi di prima necessità, secondo quanto concordato tra la comunità, ma niente soldi. E’ così che abbiamo lavorato in questi nove anni nella Giunta di Buon Governo.

(…)

Come si trasferiscono nel loro Caracol i membri della Giunta?

 

Se c’è un mezzo di trasporto si usa quello, altrimenti ci si va a piedi. Il costo del viaggio è a carico delle poche risorse a disposizione della Giunta, ma solo per questo. Se il viaggio costa 20 pesos, allora riceverà 20 pesos, nient’altro.

I compagni e le compagne che svolgono incarichi di autorità, come già detto, lo fanno per coscienza, per volontà, ma questi compagni inoltre vivono in villaggi dove ci sono molti altri compagni che svolgono lavori comunali, organizzativi per organizzare la resistenza. Per cui alcuni di questi compagni hanno il diritto di svolgere il loro lavoro nel tempo libero, perché questi compagni non possono partecipare al lavoro di carattere collettivo ed ai lavori comunali.

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All’interno del governo autonomo si gestiscono le diverse aree di lavoro come educazione, commercio, salute, comunicazione, giustizia, agricoltura, trasporti, progetti, campamentisti, BANPAZ (Banca Popolare Autonoma Zapatista), BANAMAZ (Banca Autonoma delle Donne Zapatiste) ed amministrazione. Queste sono le aree di lavoro che si amministrano dentro il governo autonomo. All’inizio, quando sono nate le Giunte di Buon Governo, siccome si era in pochi, ogni compagno aveva da tre a quattro aree da gestire. In un secondo periodo, nella Giunta si è arrivati a dodici compagni ed il carico di lavoro è stato riequilibrato ed ogni compagno doveva gestire da due a tre aree di lavoro.

In questo terzo periodo di vita della Giunta di Buon Governo siamo ormai in 24 ed il lavoro si è equilibrato. In queste diverse aree di lavoro operano compagne e compagni, in due squadre che formano la Giunta di Buon Governo, siamo in 24 e copriamo la Giunta per 15 giorni al mese. In ogni area di lavoro operano due compagni e due compagne, è così che funziona la Giunta di Buon Governo. È tutto, compagni. Adesso parlerà l’altro compagno.

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(…)

Stavamo commentando coi compagni che abbiamo un po’ di conoscenza della zona, e che nei villaggi ci sono coltivazioni collettive di fagioli, di mais, ci sono allevamenti collettivi di bestiame, negozi collettivi, allevamenti collettivi di polli. Ci sono piccoli commerci, non è che siano negozi permanenti che stanno lì tutto il tempo, a volte si fanno piccoli eventi e lì ci vanno i compagni col loro piccolo commercio. Ci diceva la compagna che in un villaggio della sua regione avevano avviato un allevamento di polli, polli nostrani, e di tanto in tanto uccidevano un pollo o due e facevano i tamales che poi vendevano, e a poco a poco hanno messo insieme un fondo che ha permesso loro di comprare una macina per preparare il nixtamal [tipica base per le tortillas – n.d.t.], e così hanno creato la loro attività.

Un altro compagno conosce un villaggio dove arriva molta gente da altre comunità e lì le compagne si sono organizzate per aprire una tortillería, ma non perché si erano comprate una macchina di quelle che si vedono in città, da dove escono a catena le tortillas. Le compagne hanno una piccola pressa e fanno le tortillas a mano che poi la gente compera, e questo è un altro lavoro collettivo.

In questo modo nei villaggi si organizzano molte altre cose. A cosa serve tutto questo? Serve perché, per esempio, al compagno di quel villaggio, se è promotore di educazione, o promotore di salute che deve andare a fare il suo lavoro, possano pagare il viaggio, per dargli per qualcosa che possa servirgli dove svolge il suo lavoro.

(…)

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Qui nel Caracol II di Oventic arrivano visitatori da altri paesi, nazionali e internazionali. Molti vengono solo a visitare il Caracol, ma alcuni lasciano una piccola donazione per appoggiare le comunità. Le donazioni che lasciano qui alla Giunta sono piccole, ma si accettano e la Commissione di Vigilanza rilascia una ricevuta. Una copia della ricevuta è per il donatore, una copia è per la Commissione di Vigilanza, una copia va ai compagni del CCRI e l’originale resta alla Giunta. Le donazioni si mettono insieme e la Giunta le gestisce. Queste donazioni vengono usate per le spese nel Caracol, perché queste donazioni sono molto piccole, sui quaranta, cinquanta, cento pesos. Ma di queste spese non è al corrente solo la Giunta, ma mensilmente la Giunta redige un rendiconto, ogni mese facciamo una relazione di fine di mese.

La Giunta fa la sua relazione insieme a tutti i 28 membri, dove ci sono alcuni compagni del CCRI, affinché insieme vediamo come vengono spesi i soldi qui nel Caracol, o come la Giunta di Buon Governo amministra le risorse.

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Un altro degli obblighi del governo autonomo è amministrare con sincerità ed onestà tutte le entrate e le uscite economiche di ogni istanza di governo, per tutti i beni e materiali che sono per la comunità, così come ho spiegato un momento fa, anche per le risorse che donano i compagni solidali, perché la Giunta non gestisce come vuole le risorse.

Ogni istanza di governo nei municipi, nella Giunta, redige mensilmente la sua relazione, e le relazioni le facciamo molto dettagliate, anche se si tratta di 50 pesos bisogna dettagliare per che cosa sono stati spesi quei 50 pesos, è così che facciamo la nostra relazione, come ho detto prima, non la fanno solo due membri, ma la facciamo tutti 28 membri della Giunta, riuniti insieme ai compagni del CCRI; è così che lavoriamo qui nel Caracol.

(…)

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Bene, c’è anche el Comisión de Fondo, qui nella nostra zona abbiamo un piccolo fondo e, come la compagna ci ha raccontato, ci sono tre aree di competenza delle donne, per esempio le erboriste, le hueseras[che curano lussazioni, fratture, contusioni – n.d.t.] e le levatrici, e in quest’area di lavoro una volta è stato realizzato un progetto, non in specifico per le hueseras, erboriste, levatrici, ma per la clinica centrale, cioè nell’area di salute, includendovi i tre gruppi o tre aree di hueseras, erboriste, levatrici; per quel progetto è stato fatto un bilancio per prevedere le spese per il vitto, che era di 50 pesos al giorno, ed il corso era di tre giorni, quindi il corso costava 150 pesos per il vitto, e poi si è calcolata anche una quota per il viaggio di trasferimento delle compagne. Allora, tutte le autorità regionali e i consigli autonomi della zona hanno analizzato il progetto ed hanno ritenuto importante creare un fondo.

Si concordò di non spendere tutto per il vitto, ma di chiedere solo un piccolo contributo di 10 pesos per ogni compagna, e siccome il corso era di tre giorni, si sarebbero spesi 30 pesos, quindi avanzavano dei soldi, e quello che restava, secondo l’accordo dell’assemblea delle autorità, si sarebbe conservato come fondo della zona, non della regione, ma della zona. Anche per le spese di viaggio si concordò un 50% dal fondo e un 50% dal contributo del villaggio, quindi il 50% restava per il fondo della zona.

Perché si è fatto così? Perché qui nella nostra zona le risorse economiche del villaggio sono sempre molto scarse, per questo è stato deciso di conservare come un fondo la somma che sarebbe avanzata. Così è stato creato il fondo della zona, e per questa ragione è nata la Comisión de Fondo, Commissione di Risparmio. Non so se ho risposto alle vostre domande.

(…)

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Chi controlla che non ci siano trucchi tra il rendiconto e la relazione generale?

 

Noi lavoriamo tutti insieme, in Giunta non c’era chi controllava la relazione, ma tutta la squadra della Giunta. Ma ad ogni alternanza di Giunta si passa copia di tutte le relazioni delle spese all’ufficio Informazione; e così per tutti gli acquisti decidiamo con l’ufficio Informazione quali generi alimentari comprare o se fare alcune commissioni. Decidiamo tutti insieme con l’ufficio Informazione, alla presenza anche degli addetti alla vigilanza; i tre uffici si riuniscono e lì si concorda che cosa comprare o quanto costerà una commissione che, al suo ritorno, informerà la Giunta delle spese fatte. Ad ogni cambio di turno si presentano i conti e si elegge un segretario e un tesoriere che ha in mano i soldi ed il controllo. Per esempio, gli si affidano 10 mila pesos da amministrare per dieci giorni, e quel compagno è incaricato di controllare l’economia, le spese, di fare il segretario e il tesoriere. Alla fine dei conti vediamo quanto è stato speso, e se per caso mancano cento o duecento pesos, questi restano a debito del compagno, perché è lui l’incaricato di gestirli bene per i 10 giorni dell’incarico. Ad ogni cambio di turno in Giunta si controlla se quadrano i conti, ed abbiamo controllato se quadravano i 10 mila pesos affidati nei 10 giorni di turno. Ma gli acquisti si fanno sempre su accordo dei tre uffici.

La domanda è, come si fa ad essere sicuri che quei compagni dicono la verità, che non stanno sbagliando. Su quali dati si basano?

 

Compagni, ci si basa sulle ricevute. Metti che ci sono 50 mila pesos che vengono affidati al compa che arriva di turno; come ha detto il compagno, quei 50 mila pesos devono essere gestiti per 10 giorni, quindi se spende tremila o quattromila pesos deve dare informazione delle spese attraverso le ricevute delle uscite, o nel caso delle commissioni per cui non ci sono state spese, delle ricevute per il vitto, e poi deve far quadrare i conti. E si vede se realmente quadrano perché, non solo l’amministratore o chi sta tenendo i conti, ma anche la Vigilanza e l’ufficio Informazione hanno la situazione della somma di denaro che si sta gestendo.

E se non fornisce le ricevute, come può provare le spese?

Il fatto è che tutto il denaro in entrata deve avere una ricevuta perché se un fratello solidale viene a dare una donazione, questa deve essere accompagnata da una ricevuta, perché anche lui la deve poi consegnare al suo collettivo o alla sua organizzazione. Quindi, la copia di questa ricevuta resta alla Giunta e all’ufficio Informazione, per questo non ci sono falle nel denaro in entrata. E le uscite le gestisce la Giunta attraverso la commissione che ora sta facendo la pratica per consegnare i conti.

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(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/04/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-5-la-paga/

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Zapatista” del gruppo Louis Lingg and the Bombs, di Parigi, Francia. Rock Punk Anarchico. Il pezzo è nel disco “Long Live The Anarchist Revolutionairies”. Prendono il nome da Louis Ling, nato in Germania ed emigrato negli Stati Uniti alla fine del secolo XIX (1885), condannato alla forza, Louis dichiarò ai rappresentanti della legge capitalista: “Vi disprezzo; disprezzo il vostro ordine, le vostre leggi, la vostra forza, la vostra autorità. IMPICCATEMI!”. Dedicato a tutt@ le/i compas anarchici della Sexta. http://www.youtube.com/watch?v=XkJ73JBlcRc&feature=player_embedded

Il gruppo Zamandoque Tarahum, da Chicago, Illinois, USA, con questo rock dal titolo “Zapatista”. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=AgO1_8IZAz4

Dal Sudafrica, il Movimento degli Abitanti delle Case di Cartone (Abahlali BaseMojondolo)che lotta per la terra e la casa, manda un saluto alle comunità indigene zapatiste tramite i nostr@ compas del Movimiento por Justicia del Barrio, nell’altra New York, USA. La resistenza e la ribellione affraternano Messico-Stati Uniti-Sudafrica in basso e a sinistra. http://www.youtube.com/watch?v=TMmwS4ju1PU&feature=player_embedded

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ejido Tila.

La Jornada – Venerdì 1 marzo 2013

Gli indigeni chol di Tila esigono la fine del furto delle terre che dura da oltre 50 anni

HERMANN BELLINGHAUSEN. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 febbraio. Gli abitanti chol dell’ejido Tila, nella zona nord, hanno comunicato che nei prossimi giorni la Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) dovrà risolvere il caso del loro territorio e sperano che finisca “il saccheggio e l’ingiustizia che subiamo da oltre 50 anni”. Esigono la “restituzione totale ed il pieno rispetto delle terre ejidali.

“Finalmente è giunto il momento in cui si deciderà sul rispetto della terra e del territorio dell’ejido”, sostengono gli indigeni, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e membri del Congresso Nazionale Indigeno.

“La presidenza municipale protetta dal governo dello stato, con un decreto illegale del 1980 ha venduto e si è appropriata delle nostre terre. La denuncia dice chiaramente che le terre appartengono all’ejido e che il decreto è illegale. Si volevano impadronire di 130 ettari, 52 occupati dal villaggio di Tila e 78 di terre coltivate. Vogliono privatizzare ed arricchirsi e proseguire nella loro azione di corruzione e furto nel nostro villaggio. Questa è la radice del problema e la sua ingiustizia”.

Gli ejidatari puntualizzano: “Colpevoli di questa malvagità e furto sono le persone appartenenti al gruppo paramilitare Paz y Justicia, che hanno portato violenza e massacri a Tila ed in altri municipi per assecondare i piani del governo federale contro l’EZLN” (1995-1998). Non solo “vivono nell’impunità”, ma “hanno sono dentro i partiti politici, il municipio ed altri enti del governo” e la presidenza “ha ingaggiato ex soldati che fanno le spie”.

L’amministrazione municipale “rappresenta la menzogna e la falsità”, quando sostiene che “non può consegnare le terre perché già vendute illegalmente, e che se la SCJN ci restituisce le terre, ‘siccome siamo indigeni distruggeremo le case, faremo scappare gli abitanti e genereremo conflitto sociale’. Mentono, affinché la corte non ci restituisca le terre. Mentono, perché a vivere nel villaggio sono in maggioranza le nostre stesse famiglie, anche se altra gente è venuta da fuori”. Ora si deciderà sul fatto che non vogliono rispettare il ricorso presentato nel 1982, contro il decreto di esproprio del 1980, che abbiamo vinto nel 2008; un secondo tentativo di esproprio, perché il primo tentativo è del 1966.

“Noi chol abbiamo fondato il villaggio di Tila. Questa terra appartiene legittimamente al nostro popolo; da tempi immemorabili era abitato dai nostri nonni e nonne. Prima che questo fosse territorio messicano. Abbiamo subito la colonizzazione, l’invasione e la dominazione. Abbiamo visto nascere questo paese e siamo stati spogliati e sfruttati dai proprietari terrieri alla fine del 1800 per colpa del malgoverno che consegnò le nostre terre ad impresari stranieri.

“Grazie alla rivoluzione di Emiliano Zapata abbiamo potuto legalizzare le nostre terre, perché i padroni delle fincas erano scappati. La risoluzione presidenziale del 1934 dice chiaramente che abbiamo il possesso delle terre, che non fu una donazione, ma riconoscimento del possesso”.

Gli indigeni hanno confermato con verbali d’assemblea che “riconoscono il diritto di tutti, indigeni e non indigeni, come abitanti, ma è su proprietà ejidale che vivono, e non privata, come per anni ha detto, ingannando, il municipio”. L’assemblea generale ha amministrato queste terre secondo i nostri usi e costumi; abbiamo donato la terra per scuole e servizi; amministriamo il parco centrale, il cimitero, l’acqua, il commercio, le feste e ci prendiamo cura dei luoghi sacri”.

La SCJN “dimostrerà se la sua sentenza sarà a favore dell’illegalità e l’impunità, o se ordinerà la piena restituzione delle terre all’ejido e rispetterà la Legge Agraria, il nostro ricorso ed i trattati internazionali” in materia. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/01/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 4.

4.- Le Compagne: ricoprire incarichi.

Febbraio 2013

Non c’è niente di più sovversivo e irriverente di un gruppo
di donne del basso che dice, si definisce: “noi”.
Don Durito de La Lacandona

NOTA: Altri frammenti della condivisione delle compagne zapatiste riguardanti il loro lavoro ed i problemi attuali negli incarichi di direzione, applicazione della giustizia e gestione delle risorse, insieme ad alcune riflessioni sullo spinoso tema “dell’equità di genere” nella costruzione di un mondo che si propone includente e tollerante, un mondo dove “nessuno è di più, nessuno è di meno”.

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(…)

Sì, ci siamo occupate di casi del genere. Vi racconterò di un caso che ci è capitato una volta, quando io e l’altra compagna eravamo appena entrate in Giunta e ci avevano messo a capo di una squadra, e ci è capitato il caso di una compagna che è venuta da noi a lamentarsi per suo marito che la maltrattava. Per noi due fu incredibile e davvero molto brutto, e la compagna ci disse:

– Voglio separami da mio marito – ma quell’ex compa aveva già due mogli.

Allora convocammo i figli della prima e della seconda moglie per vedere come sistemare la situazione. Ci volle un po’ di tempo per questo, e la questione era veramente brutta per quell’uomo, e chiedemmo alla compagna:

– Che cosa è successo? – pensavamo che l’avesse solo picchiata.

No, il collerico marito aveva appeso per i piedi la compagna e lì l’aveva picchiata, e così insieme agli altri due dei suoi figli. Quindi abbiamo dovuto sistemare la faccenda. Come? La compagna chiedeva la separazione, e così è stato ed abbiamo suddiviso i beni dell’uomo tra la prima moglie con i figli che l’uomo aveva pesantemente offeso, e la seconda moglie che anche lei aveva un figlio grande, all’uomo non abbiamo lasciato niente, ma abbiamo dato una parte dei beni al figlio. Abbiamo suddiviso tutti i suoi beni, così abbiamo risolto la questione, riconoscendo i diritti di quella compagna che era venuta a lamentarsi da noi.

(…)

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 Quaderno donne

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Yolanda: Continuiamo parlando un po’ della questione della legge. Come ormai risaputo, questa legge è stata emessa proprio per la situazione in cui vivevano le compagne. Per questo è nata questa legge perché, come abbiamo sentito le compagne avevano sofferto tanto e questo non doveva più ripetersi. Questa legge è ben presente e visibile in tutti i cinque i caracol.

(…)

In ogni caso è molto importante che noi studiamo bene la legge perché se noi non capiamo realmente quello che ci dice, se non analizziamo un poco se in questa zona possono sorgere le stesse situazioni che si sono presentate nella storia passata, che la donna è colei che dà la vita. Se al contrario non capiamo bene questa legge che abbiamo noi zapatiste, torna a succedere come una volta.

Questa legge è stata fatta non perché le donne possano comandare, non perché le donne dominino sul marito, sul compagno, non è per questo. Bisogna studiare bene questa legge, perché è una cosa che si costruisce per far sì che non si ripeta la stessa storia di adesso, che comandano i compagni che sono maschilisti. Ma se la interpretiamo male, succederà lo stesso che comandano le compagne ed i poveri compagni sono vessati, ma non vogliamo che succeda questo.

Vogliamo costruire un’umanità, è questo che vogliamo cambiare, vogliamo un altro mondo. È una lotta di tutti, uomini e donne, perché come abbiamo sentito, non è una lotta né delle sole donne né dei soli uomini. Quando si parla di rivoluzione, la si fa insieme, tutti, uomini e donne, è così che si fa la lotta.

Non può essere che i compagni dicano stiamo lottando, stiamo facendo la rivoluzione, e solo i compagni ricoprano tutti gli incarichi e le compagne stanno a casa. Questa è una lotta per tutti. Quello che si vuole è per tutti, uomini e donne, è questo che si vuole.

Diciamo chiaramente che siamo ancora un poco confuse con questa prima legge, perché la pura verità è che come compagne ci è ancora difficile assumere l’impegno di ricoprire un incarico, qualunque incarico.

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(…)

Avete detto che c’è una commissione di onore e giustizia. Qual’è il suo lavoro o che ruolo hanno lì le compagne? 

Nel municipio, nella commissione onore e giustizia, in questioni che riguardano le compagne, si alternano due consigliere e due consiglieri, per esempio, se una compagna ha un problema, se si tratta di violenza sessuale, deve parlarne con la compagna della commissione onore e giustizia, la quale si coordina con gli uomini che fanno parte della commissione di modo che la compagna non sia in imbarazzo. È così che opera la commissione di onore e giustizia.

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(…)

A livello di zona abbiamo un altro esempio di lavoro che hanno realizzato in particolare le compagne donne. Si tratta della realizzazione di una mensa-negozio, cioè hanno la loro mensa ed un negozio di generi alimentari. Hanno cominciato con un prestito di 15 mila pesos ed è nata quest’idea. L’iniziativa è partita dalle compagne della regione, dalle responsabili locali e in coordinamento con la Giunta affinché le aiutassimo per i tavoli, gli utensili da cucina, con tutto quello che poteva servire per una mensa. E’ avvenuto tutto in coordinamento ma l’idea, il lavoro, l’organizzazione e la gestione, sono delle compagne.

Hanno cominciato con 15 mila pesos, hanno la loro dirigenza, a livello di zona lavorano a turno per preparare il cibo, e le compagne responsabili locali ci hanno detto che con le vendite del primo negozio hanno incassato 40 mila pesos. Con questi 40 mila pesos hanno restituito il prestito di 15 mila pesos, ed hanno così guadagnato 25 mila pesos netti.

Si sono poi accorte che mancavano ancora alcune cose. La Giunta le ha aiutate, come ho detto, per gli utensili da cucina, i tavoli, ma le donne hanno pensato che con i guadagni potevano migliorare, allora hanno usato quei guadagni per prepararsi meglio. Adesso lavorano così, hanno la loro dirigenza, le compagne lavorano con turni a rotazione ed ogni anno cambia la dirigenza. Vendono con il controllo della comunità e ci hanno informato che attualmente hanno 56.176 pesos in contanti dopo l’ultima uscita di cassa.

Queste sono attività che stiamo portando avanti a livello di zona, con l’obiettivo di distribuire i piccoli fondi che si vanno generando, per essere preparati a qualsiasi necessità che possa presentarsi nella zona, per cose che ci siano di aiuto nella lotta.

(…)

Si sa che nella zona Selva Tzeltal ci sono compagne che sono commissarie, che sono agenti, raccontaci, condividi come funziona con le compagne commissarie ed agenti. Funzionano le compagne autorità locali? Come fanno? Come lavorano le compagne? Perché ci sono compagni che sono commissari ed agenti, e quello che vogliamo qui è condividere come si insegna, come ci si aiuta, come ci si prepara. In questo caso in particolare per le compagne, come lavorano le compagne autorità nei villaggi? 

Cosa fanno le compagne nella loro comunità come commissarie, come agenti?

Come agenti, per esempio, nel mio villaggio controllano la comunità, si occupano di alcuni problemi come questioni tra persone, animali che fanno dei danni, danneggiamenti, in questi casi l’agente è incaricata di risolvere quel tipo di problemi. Fanno anche riunioni per dare suggerimenti su come non avere problemi con l’alcool o tossicodipendenza. In ogni riunione le compagne dannno informazioni per cercare di evitare questi gravi problemi. Anche le commissarie tengono riunioni per parlare della terra, dell’attenzione ai confini e pertinenze, dell’uso dei prodotti chimici in agricoltura. Attraverso questi compiti che abbiamo esposto, le commissarie e le agenti svolgono il controllo nei villaggi.

Domanda: le compagne che sono diventate agenti con l’incarico di risolvere i problemi nella comunità, possono risolverli da sole o con l’aiuto dei compagni? 

Nella mia comunità le compagne a volte chiedono l’aiuto di un’autorità locale, un responsabile, per sentire se stanno agendo bene, chiedere alcune cose. Molte volte succede, ma altre volte fanno tutto da sole. Per esempio, nella mia comunità c’è una donna agente, una compagna, e così la supplente, ed entrambe hanno risolto da sole i problemi, avendo già visto un paio di volte come fare, l’hanno preso come esempio e così agiscono per trovare le soluzioni.

(…)

I 60 membri, sono metà compagne e metà compagni?

Sì, compagno, siamo la metà, nessuno è di più, nessuno è di meno.

(…)

-*-

(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febrario 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

“Tierra y Libertad”, del gruppo “FUGA”.  Il pezzo inizia con un frammento delle parole dell’EZLN al Congresso messicano per chiedere il compimento degli Accordi di San Andrés, una donna indigena zapatista ha portato lì la nostra parola. I gruppo FUGA è composto da Tania, Leo, Kiko, Oscar y Rafa. Il pezzo fa parte del disco “Rola la lucha zapatista” http://www.youtube.com/watch?v=jjE19gvwVAw&feature=player_embedded

Donne Mapuche in resistenza contro le imprese minerarie predratrici. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bSzYeTNxhYA

Donne zapatiste con incarichi nella Giunta di Buon Governo, a La Realidad, Chiapas, nel 2008. http://www.youtube.com/watch?v=rzK8mDe7jkQ&feature=player_embedded

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.

 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, 22 febbraio 2013

Azione Urgente No. 1 

Rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés

Secondo informazioni documentate da questo Centro de Diritti Umani, nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, esiste il rischio imminente che per la seconda volta si verifichi lo sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) da parte di abitanti dell0 stesso ejido affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), al Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

(…) info: https://chiapasbg.wordpress.com/2013/02/24/rischio-san-marco-aviles/

Questo Centro dei Diritti Umani manifesta la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza delle persone, BAEZLN, abitanti dell’ejido di San Marcos Avilés, a seguito delle minacce di morte e persecuzione aumentate nel corso delle ultime settimane; oltre allo sgombero forzato e sottrazione delle terre necessarie al loro sostentamento, dal 9 aprile del 2010 non possono lavorare e questa situazione li ha portati ad una crisi alimentare e minacce costanti contro il loro processo di autonomia. 

Facciamo notare la responsabilità del governo del Chiapas che per omissione deliberata, perché non ha agito per garantire l’integrità e la sicurezza personale delle BAEZLN e l’accesso alla terra nonostante i diversi interventi inviati da questo Centro dei Diritti Umani; 

Pertanto esigiamo che il governo messicano adotti tutte le misure necessarie per:

– Proteggere e garantire la vita, l’integrità e la sicurezza delle BAEZLN

– Rispettare e garantire il diritto alle libertà fondamentali della libera espressione e pensiero nella comunità San Marcos Avilés  

– Rispettare e garantire il diritto alle terre appartenenti alle BAEZLN  

– Rispettare e garantire il processo autonomistico che stanno costruendo nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli stabilito nel Trattato No. 169 Sui Popoli Indigeni e Tribali in Paesi Indipendenti e sulla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli indigeni, così come negli Accordi di San Andrés. 

– Indagare e sanzionare i responsabili dello sgombero forzato, dell’esproprio, delle minacce e vessazioni contro le BAEZLN.

 *-*

Poi firmare l’Azione Urgente a questo link: http://www.redtdt.org.mx/d_acciones/d_visual.php?id_accion=258&utm_medium=email&utm_campaign=Acci%C3%B3n+Urgente%3A+Riesgo+de+desplazamiento+…&utm_source=YMLP&utm_term=click+aqu%26iacute%3B

_______________________________________________
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LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 3.

3.- Le Compagne. Il lungo camino delle zapatiste.

Febbraio 2013

NOTA: Di seguito, alcuni frammenti della condivisione delle donne zapatiste, che fanno sempre parte del quaderno di testo “Partecipazione delle donne nel governo autonomo”. In questi frammenti le compagne parlano di come vedono la propria storia di lotta come donne ed abbattono alcune delle idee sessiste, razziste ed antizapatiste presenti in tutto lo spettro politico sulle donne, sulle indigene e sulle zapatiste.

-*-

 Quaderno - Donne

 -*-

   Buongiorno a tutte e tutti.  Mi chiamo Guadalupe, il mio villaggio è Galilea, nella regione Monterrey, come avete sentito, ci sono regioni che non hanno un municipio autonomo, io vengo da una regione dove non c’è un municipio autonomo. Il mio incarico è di promotrice di educazione e rappresento il Caracol II “Resistencia y rebeldía por la humanidad”, della zona Altos del Chiapas. Per incominciare farò una breve introduzione per introdurvi in argomento.

   Sappiamo che fin dall’inizio della vita le donne hanno svolto un ruolo molto importante nella società, nelle comunità, nelle tribù. Le donne non vivevano come ora, erano rispettate, erano le più importanti per la conservazione della famiglia, erano rispettate perché danno la vita come noi rispettiamo ora la madre terra che ci dà la vita. A quel tempo la donna aveva un ruolo molto importante ma col trascorrere della storia e con l’arrivo della proprietà privata quel ruolo è cambiato.

  Con l’arrivo della proprietà privata, la donna è stata relegata su un altro piano ed arrivò quello che chiamiamo il “patriarcato” con la cancellazione dei diritti delle donne, con a sottrazione della terra. E’ stato con l’avvento della proprietà privata che hanno cominciato a comandare gli uomini. Con la proprietà privata sono arrivati tre grandi mali, lo sfruttamento di tutti, uomini e donne, ma più delle donne, e come donne siamo sfruttate anche da questo sistema neoliberale. E’ arrivata anche l’oppressione degli uomini sulle donne in generale e di questi tempi subiamo inoltre la discriminazione per essere donne indigene. Questi sono i tre grandi mali, ce ne sono altri ma di questi non parleremo ora.

   Con l’organizzazione, vista la mancanza di diritti per le donne, è stato necessario lottare per l’uguaglianza di diritti tra uomini e donne, ed è così che è nata la nostra Legge Rivoluzionaria delle Donne. Sappiamo che qui nella Zona Altos forse non abbiamo visto grandi progressi, ci sono stati piccoli avanzamenti, sono lenti ma continuiamo ad avanzare, compagne e compagni.

  Qui spieghiamo come abbiamo progredito nella Zona Altos a tutti i livelli, nelle varie aree, nei differenti posti dove lavoriamo. Raccontiamo come, prima di venire qui, abbiamo analizzato, tra uomini e donne, la situazione rispetto ad ogni punto della Legge Rivoluzionaria delle Donne. Perché è molto importante che in quest’analisi non partecipino solo le donne, devono partecipare anche gli uomini, per sentire quello che pensiamo, quello che diciamo. Perché se parliamo di lotta rivoluzionaria, la lotta rivoluzionaria non la fanno solo gli uomini né solo le donne, è compito di tutti, è compito del popolo e del popolo fanno parte bambini, bambine, uomini, donne, ragazzi, ragazze, adulti, adulte, anziani ed anziane. Tutti abbiamo un posto in questa lotta e per questo tutti dobbiamo partecipare in quest’analisi e nei compiti che dobbiamo svolgere.

(…)

-*-

(…)

Compagni, compagne, mi chiamo Eloísa, e vengo dal villaggio Alemania, municipio San Pedro Michoacán, ho fatto parte della Giunta di Buon Governo del Caracol I “Madre de los caracoles. Mar de nuestros sueños”. Dobbiamo parlare delle compagne ed io vi racconterò un po’ della partecipazione delle compagne prima del ‘94 e di come ci siamo un poco emancipate dopo il ‘94.

   Nella nostra zona, all’inizio noi compagne non partecipavamo, le nostre compagne di allora non avevamo idea che noi compagne potevamo partecipare. Pensavamo che noi donne eravamo buone solo per la casa o per la cura dei figli, per cucinare; forse sarà per l’ignoranza imposta dal capitalismo che avevamo in testa questa cosa. Ma anche noi come donne avevamo paura di non essere capaci di fare altre cose al di fuori della casa, così come non avevamo spazio da parte dei compagni.

   Inoltre non avevamo la libertà di partecipare, di parlare, siccome si pensava che gli uomini fossero superiori a noi. Eravamo sotto il dominio dei nostri padri, i nostri genitori non ci davano la libertà di uscire ed era molto forte il machismo. Forse i compagni erano così non perché lo volessero davvero, ma perché avevano quell’idea che il capitalismo o il sistema ci hanno messo in testa. Anche perché il compagno non è abituato a sbrigare le faccende dentro casa, a prendersi cura dei figli, a fare il bucato, a cucinare ed è difficile per il compagno occuparsi della casa o prendersi cura dei figli affinché la compagna possa uscire a svolgere il suo lavoro.

  Come ho detto prima, le compagne che vivono sotto il dominio dei genitori o vivono ancora con i genitori, siccome abbiamo rispetto per i genitori, i genitori dicono se possiamo lavorare oppure no, se possiamo andare oppure no dove dobbiamo svolgere il lavoro. Ma, se i nostri genitori a volte ci dicono di no, a volte obbediamo, perché abbiamo in testa il rispetto per i nostri genitori. Ci sono delle volte che i nostri padri non ci lasciano andare, perché pensano che una volta fuori di casa non andiamo al lavoro ma facciamo altre cose e ci mettiamo in guai che creano problemi che i nostri padri dovranno poi sistemare. A volte è questa l’idea che si fanno i nostri genitori, o i mariti, o i partner, cioè, a volte è questo che pensano i compagni.

(…)

-*-

   Compagni e compagne buon pomeriggio a tutti voi che siete qui. Il mio nome è Andrea, il mio villaggio è San Manuel, municipio Francisco Gómez del Caracol III “La Garrucha”. Vengo in rappresentanza delle compagne della zona di La Garrucha, e ci esprimiamo con poche parole perché la maggioranza di noi parla in lingua tzeltal.

   In primo luogo comincerò a raccontarvi di prima del ’94 quando molte compagne avevano sofferto molto. C’erano umiliazioni, maltrattamenti, violenze, ma al governo non importava, il suo lavoro è solo quello di distruggerci come donne. Non gli importava se una donna si ammalava o chiedeva aiuto, a lui non importa.

   Noi donne, adesso, non possiamo mollare, dobbiamo andare avanti. A quei tempi abbiamo sofferto, così hanno raccontato le compagne. A quei tempi c’erano molte umiliazioni, e cosa facevano il malgoverno e i proprietari terrieri? Il fatto è che non prendevano affatto in considerazione le compagne.

   Cosa facevano i proprietari terrieri? Trattavano i compagni come servi, le compagne si alzavano all’alba a lavorare e le povere donne lavoravano duramente come gli uomini. C’era schiavitù ma, compagni, non ne potevamo più e così è cominciata la nostra partecipazione come compagne. A quel tempo non c’era partecipazione, ci tenevano come ciechi, senza poter parlare. Ma adesso vogliamo che la nostra autonomia funzioni, vogliamo partecipare come donne, non dobbiamo farci indietro. Andremo avanti affinché il malgoverno veda che non ci lasciamo più sfruttare come ha fatto con i nostri antenati. Non lo vogliamo più.

  E da lì fino all’anno ’94 quando si seppe che c’era la nostra legge delle donne. Che bello, compagni, che abbiamo partecipato. Da quell’anno ci sono state manifestazioni e le compagne vi partecipavano, per esempio alla Consulta Nazionale sono andate anche le donne. Anch’io allora ho partecipato alla Consulta Nazionale, avevo 14 anni. Allora non sapevo neanche parlare, ma ho fatto quel che ho potuto, compagni.

   Hanno lottato, manifestato, e il governo si è accorto che le donne non si arrendevano più, ma andavano avanti. Ho detto che vogliamo che la nostra autonomia funzioni, ed ora che sono chiari i nostri diritti come donne, quello che dobbiamo fare è costruire, lavorare, è nostro dovere andare avanti.

   Ho una domanda, non so che qualcuna delle compagne qui presenti sa chi ha fatto questa legge rivoluzionaria. Se qualcuno vuole, può rispondere, perché qualcuno ha lottato per questo e qualcuno l’ha difesa per noi. Chi ha lottato per noi, compagne? La Comandante Ramona è stata colei che ha fatto questo sforzo per noi. Non sapeva né leggere né scrivere, né parlare in castigliano. E perché noi allora, compagne, non facciamo questo sforzo? Questa compagna è un esempio. E’ l’esempio che seguiremo per fare molto di più, per dimostrare quello che sappiamo fare nella nostra organizzazione.

-*-

   Rappresento le 5 compagne che partecipano sul tema delle donne. Buona sera a tutti. Il mio nome è Claudia. e vengo dal Caracol IV di Morelia. Sono base appoggio del villaggio Alemania, regione Independencia, municipio autonomo 17 de Noviembre. Leggerò un pezzo prima di entrare in argomento. Lo leggo perché parlando qui, davanti a tante persone, non voglio dimenticarmi niente.

   Molti anni fa soffrivamo per i maltrattamenti e la discriminazione, la disuguaglianza in casa, nella comunità. Soffrivamo sempre e ci dicevano che eravamo un oggetto, che non servivamo a niente, perché così ci dicevano le nostre nonne. Ci insegnavano solo a lavorare in casa, nei campi, a prenderci cura dei bambini, degli animali e servire il marito.

   Non avevamo l’opportunità di andare a scuola, per questo non sapevamo leggere né scrivere, tanto meno parlare in castigliano. Ci dicevano che una donna non ha il diritto di partecipare né di protestare. Non sapevamo difenderci né sapevamo cosa sono i diritti. Così sono state educate le nostre nonne dai loro padroni, i rancheros.

  Alcune di noi hanno ancora quest’idea di lavorare solo in casa, e così è stata questa sofferenza fino ad arrivare ad ora. Ma dopo il dicembre del 1994 si formarono i municipi autonomi ed è lì che abbiamo cominciamo a partecipare, a sapere come lavorare, grazie alla nostra organizzazione che ci ha dato lo spazio di partecipazione come compagne, ma anche grazie ai nostri compagni, ai nostri padri che hanno capito che abbiamo il diritto di svolgere il nostro lavoro.

 (…)

 -*-

 Compagna Ana. Nuovamente è il turno della Zona Nord, qui ci sono i partecipanti che parleranno dei temi analizzati nel nostro caracol. Comincio con un’introduzione.

  Molti anni fa c’era uguaglianza tra uomini e donne perché non esisteva che uno era più importante dell’altro. A poco a poco è iniziata la disuguaglianza con la divisione del lavoro, quando gli uomini uscivano a coltivare i campi per il cibo, uscivano a caccia per procurarsi la carne per le proprie famiglie e le donne rimanevano a casa a svolgere le faccende domestiche, come la filatura, la confezione dei vestiti e la fabbricazione di utensili da cucina, come pentole, bicchieri, piatti di coccio. Poi c’è stata un’altra divisione del lavoro con l’avvento dell’allevamento. Il bestiame prima serviva come forma di denaro per scambiare i prodotti. Col tempo quest’attività diventò la più importante, ancor di più col nascere della borghesia che comprava e vendeva bestiame per accumulare i guadagni. Tutto questo lavoro lo facevano gli uomini, per questo erano gli uomini a comandare in famiglia, perché solo loro portavano i soldi in casa ed il lavoro delle donne non era ritenuto importante, per questo erano inferiori, deboli, incapaci di svolgere un lavoro autonomo.

  Così erano i costumi, lo stile di vita che portarono gli spagnoli quando vennero a conquistare i nostri popoli, come già abbiamo detto, erano i frati che ci educavano ed istruivano nei loro costumi e conoscenze. Ci insegnavano che la donna doveva servire l’uomo e obbedirgli sempre ad ogni suo ordine, e che le donne dovevano coprire la testa con un velo quando andavano in chiesa e che dovevano tenere testa ed occhi bassi. Si ritenevano che erano le donne a far cadere nel peccato gli uomini e per questo la chiesa non permetteva alle donne di andare a scuola o di rivestire cariche.

  Noi popoli indigeni abbiamo assorbito culturalmente il modo in cui gli spagnoli trattavano le loro donne, per questa ragione nelle comunità è nata la disuguaglianza tra uomini e donne che prosegue fino ad ora, come questi esempi.

  Alle donne non era permesso andare a scuola e se una ragazza studiava era malvista dalla comunità. Alle bambine non era permesso giocare con i bambini né toccare i loro giocattoli. L’unico lavoro che le donne dovevano fare era in cucina e allevare i figli. Le ragazze celibi non erano libere di uscire né di passeggiare nella comunità né in città, dovevano essere rinchiuse in casa, e quando si sposavano venivano scambiate con alcool ed altre merci, senza che la donna potesse dire qualcosa, perché non aveva il diritto di scegliere il suo compagno. Quando erano sposate non potevano uscire da sole né parlare con altre persone, tnato meno se uomini. C’erano maltrattamenti sulle donne da parte dei mariti e nessuno applicava giustizia, questi maltrattamenti aumentavano quando gli uomini bevevano. Così dovevano vivere tutta la sua vita, tra sofferenze e abusi.

  Un’altra delle cose che facevano le mamme, era istruire le figlie a servire il pranzo ai fratelli, affinché più avanti potessero vivere bene con il marito senza ricevere maltrattamenti, perché si credeva che una delle ragioni dei maltrattamenti sulla donna era perché non imparavano a servire il proprio marito e fare tutto quello che l’uomo voleva.

  Anche i nostri nonni e nonne avevano le loro buone abitudini, che continuano a praticare, e non c’era preoccupazione in caso di malattie, perché conoscevano le piante medicinali e sapevano molto su come curare la salute. Non si preoccupavano per la mancanza di denaro, perché tutto quello di cui avevano bisogno per mangiare lo coltivavano, per questo le donne di allora erano forti, lavoratrici, perché si confezionavano i propri vestiti, la calhidra (*), anche se non conoscevano i loro diritti sono riuscite ad andare avanti.

(…)

-*-

(Continua…)

In Fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febbraio 2013

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(*) idrossido di calcio -n.d.t.]

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo: VIDEO 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Lunedì 25 febbraio 2013

Minaccia paramilitare contro sette famiglie tzeltal sfollate da Busiljá

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 febbraio. Nove organizzazioni civili del Chiapas denunciano che un gruppo di famiglie tzeltal, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e sfollate dall’ejido Busiljá, Ocosingo, vivono una situazione drammatica causata da paramilitari filogovernativi della stessa comunità. Una minorenne è stata rapita e fatta sparire dai paramilitari, uno degli ejidatari si trova ingiustamente in carcere nella prigione di Playas de Catazajá, e su tutti i membri delle famiglie pendono mandati di cattura “per non aver abbandonato le loro terre né aver accettato i progetti del governo”.

Questa situazione critica è iniziata nel 1997, “e per 16 anni ha lasciato una scia di morti, feriti, imprigionati, sfollati e desaparecidos” nel nord di Ocosingo, denunciano con un comunicato congiunto centri e comitati per i diritti umani come il Frayba, Diritti Indigeni (Cediac) e Fray Pedro Lorenzo de Nada.

“La situazione delle sette famiglie sfollate da Busiljá esprime una profonda crisi umanitaria e mette in dubbio la volontà e l’efficacia degli strumenti istituzionali di applicazione della giustizia nel nostro stato, rendendo evidente l’impunità delle persone e gruppi che hanno perpetrato i reati ed i fatti che costituiscono grave e continuata violazione dei diritti umani da parte delle autorità statali e con effetti deplorevoli che perdurano fino ad oggi”.

Per questo invitano le istituzioni statali a “manifestare concretamente la volontà di raggiungere una risoluzione giusta, garantendo il risarcimento dei danni causati e la non reiterazione dei reati”.

Le organizzazioni firmatarie solidarizzano con le famiglie indigene attualmente rifugiate ad Ocosingo, e sollecitano “l’applicazione pronta, seria ed imparziale di misure avviate alla soluzione giusta e a norma di legge della situazione che li colpisce”, tra le quali “l’applicazione delle misure cautelari previste dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, con risoluzione MC-485-11 del 16 maggio 2012, a favore della bambina Gabriela Sánchez Morales, figlia di Elena Morales Gutiérrez”.

Facendo eco alle richieste delle famiglie sfollate, le organizzazioni si sono pronunciate anche per la liberazione di Elías Sánchez Gómez (figlio), “ingiustamente recluso nel Carcere N.17 di Playas de Catazajá, e che nel frattempo gli sia garantito un trattamento dignitoso e umano”.

Contemporaneamente, sollecitano la cancellazione dei mandati di cattura contro Elías Sánchez Gómez, Pablo Sánchez Gómez, José Sánchez Gómez, Nicolás Sánchez Gómez, Felipe Sánchez Gómez, Timoteo Sánchez Gómez, Fausto Sánchez Gómez, Luis Sánchez Gómez e Felipe Sánchez Gómez (figlio), in relazione al procedimento N. 331/2011.

Chiedono di indagare e sanzionare i membri del PRI dell’ejido Busiljá per la loro partecipazione, “in complicità con la Polizia Statale”, negli eventi denunciati, oltre a punire i responsabili delle minacce, delle persecuzioni, degli arresti illegali, delle torture, delle violenze sessuali, degli sgomberi e delle sparizione ai danni delle famiglie che fanno parte del Frente de Ejidos en Resistencia “Genaro Vázquez Rojas”, aderenti alla Sesta. Infine, chiedono di creare le condizioni affinché le famiglie sfollate possano fare ritorno nelle proprie case.

Il comunicato è firmato inoltre da Servicios y Asesoría para la Paz (Serapaz), Comisión de Apoyo a la Unidad y Reconciliación Comunitaria (Coreco), Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (DESMI), Educación para la Paz (Edupaz), Enlace, Comunicación y Capacitación, e Voces Mesoamericanas-Acción con Pueblos Migrantes.

http://www.jornada.unam.mx/2013/02/25/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 24 febbraio 2013

Il Frayba avverte sul rischio imminente di espulsioni dall’ejido di San Marco Avíles. Militanti dei partiti e poliziotti esigono dagli zapatisti il pagamento dell’imposta prediale. 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Enviado. San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 febbraio. Esiste l’imminente rischio di espulsione delle famiglie zapatiste dell’ejido San Marcos Avilés, nel municipio di Chilón, da parte di abitanti dello stesso ejido affiliati ai partiti Rivoluzionario Istituzionale (PRI), della Rivoluzione Democratica (PRD) e Verde Ecologista del Messico (PVEM). Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), ha diffuso oggi un’Azione Urgente per chiedere al governo federale e statale le garanzie per gli indigeni minacciati.

Lo scorso 19 febbraio, autorità ejidali e poliziotti della comunità, in maniera aggressiva, hanno consegnato un documento alle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), esigendo il pagamento dell’imposta prediale. I civili zapatisti sostengono le loro ragioni per non partecipare in nessuno spazio dei governi statale e federale: “Abbiamo sofferto molto a causa di tutte le aggressioni di questi gruppi dei partiti, ed il governo non ha fatto niente. Ora non è il momento di pagare perché siamo in resistenza ed esigiamo il rispetto del diritto alle nostre terre. Se non riceviamo niente dal governo, non paghiamo le imposte.

Le autorità ejidali hanno risposto che devono pagare, perché questo è l’ordine del presidente municipale e del Ministero delle Finanze. In caso contrario saranno sgomberati ed hanno dichiarato che li arresteranno loro stessi e li porteranno davanti alle autorità e taglieranno loro luce e acqua.

Il giorno 20 i partiti si sono riuniti per concordare le azioni contro le basi dell’EZLN. Questi, secondo le testimonianze raccolte dal Frayba, hanno redatto un verbale in cui si concorda che si cercherà il modo di cacciarli, oltre a rivolgersi ai governi municipale e statale per cercare strategie per lo sgombero degli zapatisti dalla comunità. 

Il giorno 21 i partiti sono partiti molto presto da San Marcos Avilés con l’obiettivo di eseguire quanto messo a verbale e parlare col presidente municipale e la Procura Agraria di Ocosingo per attivare lo sgombero, ed hanno inviato inoltre delle lettere ai governi municipale, statale e federale.

Le basi dell’EZLN riferiscono che le autorità ejidali li hanno informati di questo. Quella notte, intorno alle 21:00, gli ejidatari filogovernativi hanno minacciato gli zapatisti, sostenendo che il sindaco di Chilón aveva dato l’ordine di sgombero e che il prossimo lunedì 25 febbraio avrebbero sollecitato l’intervento del governo dello stato di Tuxtla Gutiérrez.

Il centro Frayba esprime la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale delle basi zapatiste di San Marcos Avilés, a seguito delle minacce di morte e persecuzione che sono aumentate nelle ultime settimane.

A questo si aggiungono lo sgombero forzato e l’esproprio delle loro terre iniziato il 9 aprile del 2010, situazione che li ha portati ad una crisi alimentare ed alla minaccia costante contro il loro processo di autonomia.

Il centro Frayba sottolinea la responsabilità del governo del Chiapas che, per omissione deliberata, non ha agito per garantire l’integrità e la sicurezza personale delle basi zapatiste e l’accesso alle loro terre, nonostante i diversi interventi del Frayba che chiedevano al governo messicano le misure necessarie per garantire l’integrità e la sicurezza personale degli indigeni minacciati, così come il diritto alle libertà fondamentali di libera espressione e pensiero, ed il loro diritto alle terre alienate ed al processo autonomistico in corso nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli.

Bisogna ricordare che il 9 settembre 2010 la Giunta di Buon Governo di Oventic denunciò lo sgombero forzato dall’ejido di 170 uomini, donne e bambini zapatisti dopo che nell’agosto di quell’anno gli zapatisti avevano costruito nell’ejido la prima scuola autonoma.

Quel giorno, 30 persone dell’ejido, guidate da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, entrarono di forma violenta, con bastoni, machete ed armi nelle case degli zapatisti e cercarono di violentare due donne che riuscirono a scappare. Per non rispondere all’aggressione, le famiglie zapatiste si rifugiarono in montagna. Dopo 33 giorni di sfollamento, le 27 famiglie sono tornate nella comunità il 12 ottobre. Per più di due anni hanno vissuto in condizioni precarie, spoglatii delle loro terre e sotto costanti minacce che ora potrebbero concretizzarsi. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/24/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 2.

2.- Come si fa?

 

Febbraio 2013

Nota: Compas, in un’altra occasione (se ci sarà l’opportunità) spiegheremo com’è organizzato il nostro EZLN. Ma adesso non vogliamo distrarvi dalla “Condivisione“. Vi diciamo solo che incontrerete una cosa come “Commissione di Informazione”. Questa Commissione è formata da compagne e compagni, comandanti (il CCRI o Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno) che verificano i lavori dell’autonomia, supportano le Giunte di Buon Governo e tengono informate le basi di appoggio zapatiste su come va tutto l’insieme.

Ecco, dunque, altri frammenti della “condivisione” zapatista:

 -*-

(…)

  Noi lavoriamo così. Qualcuno ha chiesto: come si risolvono i problemi? Sì, ci sono stati problemi nel municipio. Problemi di terra, problemi di minacce, problemi di luce, i problemi ci sono e credo che ce ne siano in tutti i villaggi, perché non ci siamo soltanto noi basi di appoggio, e ce ne sono di più quando viviamo in villaggi filo-governativi dove ci sono i nemici, quelli che governano, dove ci sono i paramilitari, a causa di questi ci sono problemi. Ma dobbiamo trovare il modo di governare, anche se imparare è davvero duro perché, come dicevano alcuni compagni, non ci sono istruzioni. Non c’è un manuale scritto cui riferirsi, ma dobbiamo ricordare come facevano i nostri antenati che non erano nominati dagli organi ufficiali, ma dal popolo che loro servivano senza alcuno stipendio. La corruzione, il malaffare sono cominciati quando è arrivato lo stipendio.

   Per il poco che sono stato nel mio villaggio, nel mio municipio, è in questo modo che ho potuto servire benché, come ho detto, abbiamo ancora molto da imparare, indipendentemente dall’età. Continuiamo ad imparare con tutti e tutte. Credo che questo riguardi tutti i livelli, così come i commissari, gli agenti hanno la loro funzione da svolgere ma devono ancora imparare come risolvere un problema. Sì, non siamo preparati, perché noi contadini siamo esperti della campagna, la nostra legge è il machete, la lima e il pozol. Non so se faccio male a dirlo, compagni, ma questo è quello che voglio condividere con voi.

(…)

-*-

(…)

  Abbiamo fatto tante riunioni e preso molti accordi, non solo una volta, e ci siamo resi conto che è un lavoro pesante, non è facile farlo. Perché? Perché, come ho detto poco fa, non abbiamo un manuale, non abbiamo un libro da seguire; abbiamo lavorato col nostro popolo.

-*-

(…)

  Compagni, è di questo che stiamo parlando e non mi manca molto per concludere. Dicevamo del modo in cui vogliamo svolgere il lavoro. Molte volte non lo può fare solo la Giunta, anche e abbiamo in testa come fare, deve essere svolto in coordinamento con i consigli, comitati [CCRI], affinché ci si possa fare l’idea di quello che abbiamo in mente, perché è così che abbiamo visto è meglio fare in alcuni casi.

   Per esempio, parliamo degli incarichi, delle responsabilità, qui abbiamo visto le difficoltà di svolgere determinati lavori. Quando io ho avuto degli incarichi, ho visto che a volte nella Giunta mancavano le persone per tutto il lavoro da svolgere; per esempio, a quel tempo non c’erano autisti per la clinica, ogni membro della Giunta doveva essere anche autista, cuoco, doveva andare a cercare legna, c’era parecchio da fare e bisognava svolgere anche i lavori d’ufficio, dovevamo studiare le questioni in sospeso, i lavori in attesa o le questioni del municipio che non si erano potute risolvere per mancanza di tempo. Adesso mi rendo conto, e c’era passato per la testa, che c’era bisogno di un aiuto, di un autista dedicato, perché a volte a noi della Giunta toccava trasportare un malato urgente in piena notte e tornare poi alle tre o alle quattro del mattino. Ci avevamo pensato ma non eravamo in grado di risolvere quel problema.

   Un esempio: quando fu il mio turno di diagnosticare la malattia più frequente nei municipi e non fu possibile definirlo nella Giunta, né avere l’informazione. Dovetti chiedere se si poteva fare o no ed ottenni l’appoggio del comando, che è quello che si vuole; si chiesero le informazioni ai municipi ed alcuni municipi non risposero, altri fornirono l’informazione, consultarono le comunità sulla malattia più frequente, perché c’era un focolaio di febbre tifoidea, ma non riunirono i consigli. Allora tutto va bene quando tutto funziona, è come una macchina. Quando in una macchina non funziona un pistone o un cilindro, la macchina non riesce ad andare in salita, non ha potenza. Questo è quello che succede, anche se la Giunta pensa o vuole fare la sua proposta da approvare in l’assemblea, molte volte non si riesce e tutto resta lì.

   A quel tempo, in quell’anno, c’era molto lavoro perché non c’era un autista. Adesso per le cliniche si stanno alternando degli autisti che non lavorano nella Giunta, ma si occupano dell’auto, dei suoi pneumatici, della benzina.

  Si sta migliorando un po’ su questo aspetto e credo che a poco a poco si migliori, a patto abbiamo ben presenti quali sono le necessità che si presentano, perché il lavoro della zona o del municipio aumenta sempre. Poco alla volta partecipano sempre più compagne perché aumenta il lavoro. Vediamo che è molto importante il coordinamento tra tutti e la considerazione ti tutti per ricavare le proposte e le idee nuove su come lavorare.

   L’importante è non perdere il contatto con il popolo perché di questi tempi sento che ci sono cose che si erano fatte consultando il popolo ed ora invece si possono fare senza consultare il popolo, si possono cambiare alcune lettere senza che il popolo lo sappia, e questo diventa un problema, perché quando al popolo insegniamo, spieghiamo e poi improvvisamente lo escludiamo, il popolo parla, discute.

   Questo può provocare dissenso o che si parli male delle autorità, e molte volte è necessario dare spiegazioni, come dicevamo oggi, la Giunta deve aver ben chiari i sette principi. [Si riferisce ai 7 principi del “comandare ubbidendo”, guida delle Giunte di Buon Governo, che sono: Servire e non Servirsi; Rappresentare e non Sostituire; Costruire e non Distruggere; Ubbidire e non Comandare; Proporre e non Imporre; Convincere e non Vincere; Scendere e non Salire].

  Bisogna convincere il popolo e non vincere con la forza, un’autorità deve spiegare la ragione di modificare alcuni regolamenti o alcuni accordi, deve spiegarlo al popolo; perché se sono un’autorità e non spiego il perché di una cosa, come gli arriva al popolo? Può portare a un dissenso anche se il popolo lo capisce, ma dando spiegazioni si tratta di convincere e non vincere con la forza, affinché il popolo non si scoraggi e non si disperda. Perché da lì nascono i dissensi e il popolo si demoralizza, per come l’ho visto io, questo è il problema.

   Bisogna stare sempre molto vicino al popolo.

   Ci sono anche comunità che vogliono fare una cosa senza la maggioranza, allora anche a loro bisogna spiegare che non si può, perché è già successo. Ci sono persone che vengono nei nostri uffici e protestano contro le autorità ma non possiamo accettarlo perché dipende dalla maggioranza. Su questo bisogna essere chiari, ma bisogna spiegarlo alla gente e cercare di convincerla, fargli capire la ragione del perché si fanno queste cose. Io la penso così, compagni, e questo è quello che cerco di spiegare dei sette principi, è quello che ho inteso, quello che ho imparato un po’. Non ho imparato molto perché ho lavorato solo tre anni e me ne sono reso conto poco a poco, sul momento non si riusciva a svolgere facilmente il lavoro perché eravamo nuovi senza aiuto, ma adesso ci sono compagni che sono rimasti anche un anno ad accompagnare ed aiutare le nuove autorità.

   Ma quando abbiamo cominciato non era così, c’era solo l’aiuto dei comitati [CCRI] che ci aiutavano e a poco a poco noi imparavamo. Questo è quello che posso raccontarvi, compagni.

(…)

  Come venivano nominati?

   Attraverso l’assemblea, per esempio come facciamo ora. In ogni municipio si convocava un’assemblea di tutta la base e in maniera diretta si sceglieva quel determinato gruppo di compagni per fare il lavoro dell’autonomia.

   Di che lavoro si trattava? Cosa dovevano fare quei compagni? Praticamente non avevamo nessuna conoscenza, forse alcuni sì, ma la maggioranza non aveva conoscenze, che cosa dovevamo fare? Lavoravamo per l’autonomia, per autogovernarci, ed è sorta la domanda: cos’è che dobbiamo fare? Nessuno aveva la risposta, ma col passare del tempo, quando quelle autorità erano insediate, arrivavano i problemi. C’erano tanti problemi in ogni nostra comunità, in ogni municipio.

   Quali sono i problemi che a quel tempo hanno dovuto affrontare le autorità?

   Allora il problema principale era l’alcolismo, questioni familiari, problemi tra vicini ed alcuni problemi agrari.

   E cosa facevano quindi quei compagni quando si presentava un problema?

   Loro ne discutevano; prima sentivano quello che aveva qualche problema di cui lamentarsi, lo si ascoltava, poi si sentiva l’altra parte, si ascoltavano le due parti. Quello che facevano quel gruppo di compagni era ascoltare, sentire dai propri fratelli quale fosse il problema e contemporaneamente sentire le ragioni. Quando si vedeva che uno dei due aveva ragione, allora si doveva parlare con l’altro fratello col quale aveva il problema.

   Quello che facevano le autorità a quel tempo era dare delle idee, cioè convincere le parti ad arrivare ad una soluzione pacifica senza tanto chiasso.

   E’ questo che facevano le autorità anche per altri tipi di problemi, nelle questione agrarie facevano così, convincevano i fratelli a non litigare per un pezzo di terra; se ad un fratello stanno togliendo la sua terra bisogna sentire anche l’altro che la sta togliendo e digli che non deve essere così, quello che è, è.

(…)

 -*-

(…)

  Sì, questo sì, ma allora si deve fare un regolamento, allora chi propone l’idea? Da dove nasce l’idea di come dovrebbe essere un regolamento? Chi dice ‘propongo questo’? Poi, come si fa per raccogliere la voce del popolo, perché se viene dalla Giunta, si accetta così o deve essere sostenuta dai compagni della Commissione di Informazione? Oppure, chi è che dice che bisogna fare un regolamento?

 Risposta di un altro compagno: Non esiste ancora che ci sia un’iniziativa di compagne autorità, l’iniziativa di fare un regolamento, così solo dalle compagne che svolgono incarico di autorità. Avviene tra compagne e compagni.

   No, compa, la mia domanda è come Giunta di Buon Governo, non come compagne. Come Giunta di Buon Governo è solo per fare un esempio, non si tratta in particolare di regolamento o di legge. Quando vedete che c’è una necessità o c’è un problema, per questo faccio l’esempio di un regolamento, perché questo richiede una relazione, perché la Giunta di Buon Governo non impone una legge, allora vorremmo sapere com’è che fate. Perché qui entra in gioco la democrazia, vorremmo capire, perché, come ci avete detto, i comandanti ribelli non staranno qui sempre, e capiamo che non ci sarà per sempre anche la Commissione di Informazione, cioè il CCRI [Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno]. Allora voi, Giunta di Buon Governo, come fate a soddisfare una necessità, sia una legge, sia un problema, qualche questione che è necessario mandare avanti, un progetto o quello che sia. Come si relazionano Giunta di Buon Governo, MAREZ [Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti], autorità e poi le comunità?

 

  Cioè, come si fa la democrazia.

(…)

-*-

(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febbraio 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/22/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-2-como-se-hace/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI 

VII.- Le/I più piccol@ 1. 

1.- Imparare a governare e governarci, ovvero, a rispettare e rispettarci.

Febbraio 2013

Nota: i quaderni di testo che sono parte del materiale di supporto del corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”, sono il risultato delle riunioni realizzate dalle basi di appoggio zapatiste di tutte le zone per valutare i lavori dell’organizzazione. Compagne e compagni tzotzil, chol, tzeltal, tojolabal, mam, zoque e meticci, provenienti dalle comunità in resistenza dei 5 caracol, si sono posti tra loro domande e risposte, hanno scambiato le proprie esperienze (che sono diverse da zona a zona), hanno criticato, hanno fatto autocritica ed hanno valutato i progressi e quello che c’è ancora da fare. Le riunioni sono state coordinate dal nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés e sono state registrate, trascritte ed elaborate per la redazione dei quaderni di testo.

Poiché in queste riunioni le/i compagn@ hanno condiviso i loro pensieri, le loro storie, i loro problemi e le possibili soluzioni, loro stessi hanno battezzato questo processo: “la condivisione”.

Questi sono alcuni frammenti estratti dalla condivisione zapatista:

-*-

(…)

  Siamo qui per condividere le nostre esperienze, una delle quali, come zapatisti, è come governiamo insieme, governiamo collettivamente. Che esperienza si può condividere del modo in cui si governa insieme, collettivamente?

  Il modo in cui stiamo lavorando è non separarsi dal popolo. Così come facciamo sempre in questioni di regolamenti o di pianificare le attività, il lavoro, l’informazione deve arrivare alle persone, le autorità devono essere presenti nel pianificare le attività, nel fare le proposte.

(…)

  Stiamo lavorando su alcune cose e riteniamo, come parte degli obblighi del governo autonomo, suo dovere assistere ogni persona che si presenti nei suoi uffici per varie questioni, che si risolva o no il suo problema, la persona deve essere ascoltata. Che sia, zapatista o non zapatista, così lavoriamo, a patto che non sia gente del governo o mandata dal governo, perché queste persone non sono accolte né assistite. Se non sono del governo, ma di qualsiasi organizzazione sociale, allora sono assistite. Lavoriamo sempre attenti a rispettare i sette principi del “comandare ubbidendo”, perché pensiamo che dobbiamo farlo così, è un dovere, per non commettere gli stessi errori che commettono le istanze del malgoverno e non riprodurre le loro stesse modalità, quindi, quello che ci guida sono i sette principi.

-*-

  Nel primo Aguascalientes costruito a Guadalupe Tepeyac la nostra organizzazione fece il primo passo nel nostro modo di far valere i nostri diritti. Questo Aguascalientes era un centro culturale, politico, sociale, economico, ideologico, ed Ernesto Zedillo pensò che col suo smantellamento, a seguito dell’offensiva scatenata dopo il suo tradimento, avrebbe distrutto politicamente la nostra organizzazione. Ma è stato il contrario, perché in quello stesso 1994 furono aperti altri cinque Aguascalientes.

(…)

-*-

  Una volta stabilita la sede nei municipi, si sono cercati i nomi da dare loro. Il primo municipio autonomo è La Garrucha e si chiama Francisco Gómez; l’altro municipio è San Manuel, che è Las Tazas; Taniperlas si chiama Ricardo Flores Magón; San Salvador, Francisco Villa. Tutti i nomi sono stati scelti in onore dei compagni: Francisco Gómez, che tutti conosciamo perché è il compagno che ha dato la vita per la causa per cui ci battiamo, di cui ci ha parlato il compagno morto in combattimento ad Ocosingo il primo gennaio. San Manuel in onore del compagno Manuel, fondatore della nostra organizzazione. Ricardo Flores Magón, perché sappiamo che è stato un attivista sociale passato alla storia. E Francisco Villa, perché è il rivoluzionario che tutti conoscono. Una volta formati i nostri municipi, gli accordi sono stati tutti presi in un’assemblea comunitaria ed i loro nomi sono stati decisi nell’assemblea regionale. Compas, adesso altri compagni e compagne spiegheranno altre cose.

(…)

-*-

  I problemi si sono presentati fin dal principio, [incomprensibile], come il problema dell’alcolismo: com’è questo problema adesso nella vostra zona?

  Compagno, a quei tempi, all’inizio del 1994, appena iniziata la guerra, alcuni avevano molta paura. Con la guerra tutti ci siamo messi assieme per partecipare alla guerra. Alcuni l’hanno fatto coscientemente ma altri l’hanno fatto per paura, e chi l’ha fatto per paura non faceva bene il suo lavoro, e allora cosa faceva? Anche se avevamo l’ordine di non bere, c’era chi lo faceva di nascosto. Cosa facevamo? Noi non lo punivamo, per questo c’era la commissione degli anziani, incaricati di parlargli e spiegargli il danno che provoca a sé stesso. Allora, praticamente chi ubbidisce va avanti e chi non ubbidisce viene cacciato. Questa è la risposta.

(…)

-*-

 Quaderno 3

-*-

  Compagni e compagne, buon pomeriggio a tutti. Io vengo da un villaggio che si chiama ____, che appartiene al municipio Francisco Villa. Rappresento la Giunta di Buon Governo, sono stato Consigliere dal 2006 al 2009. Vi spiegherò le cause che hanno portato al nostro impegno, ancora non tocca a me spiegare quando abbiamo cominciato nell’anno 1994, vi racconterò un po’ come abbiamo cominciato poco prima del 1994. Prima, ’91, ’92, qual’è stata la causa della sollevazione armata? La causa è stata la dominazione, l’emarginazione e l’umiliazione, le ingiustizie e le norme o leggi dei malgoverni e dei proprietari terrieri sfruttatori. I nostri genitori e nonni non erano considerati, soffrivano e non avevano terra da coltivare per mantenere i figli. Così le comunità zapatiste hanno cominciato ad organizzarsi ed hanno detto “basta con questa umiliazione”. Allora si sono sollevate in armi, incuranti del buio e della fame.

  Così ci siamo andati formando ed abbiamo visto che organizzati, uniti, potevamo e possiamo fare di più. Poi, dopo la nostra sollevazione, abbiamo studiato come andare avanti ed abbiamo formato le nostre autorità autonome in ogni municipio. Per questo siamo qui riuniti tutti insieme per parlare e condividere come abbiamo cominciato a far funzionare i nostri governi autonomi; perché vi parlo di questo? Perché credo che è da lì che abbiamo cominciato e progredito fino ad arrivare fino a dove siamo adesso. E per parlarvi di dove siamo adesso do la parola al compagno ___ che spiegherà come lavoriamo oggi nei nostri municipi e nelle Giunte di Buon Governo. È tutto, compagni.

  Compagni, come ha detto il compa, ora ci parlerà il compagno ____, che è stato il fondatore del nostro governo autonomo nel Caracol III, a La Garrucha, insieme a coloro che sono state le prime autorità. Ora condivideranno con noi come hanno fatto, come erano, come hanno cominciato e come siamo adesso che siamo arrivati fino a qui.

-*-

(…)

  Come mi è capitato già di raccontarvi, più o meno un mese dopo l’inizio delle nostre funzioni un’organizzazione che si chiama CIOAC [di filiazione perredista] ha sequestrato un compagno con il suo camion, e ci siamo quindi visti obbligati a denunciarlo, ma non avevamo idea di come scrivere una denuncia. Membri della Giunta di Buon Governo e consiglieri municipali abbiamo messo insieme le nostre parole, una o due parole, per fare questa denuncia, in squadra, ognuno con le sue parole, e così abbiamo formulato una denuncia. E così abbiamo svolto lavori come segretario, come cuoco, come spazzino, perché dovevamo fare le pulizie nei nostri uffici e in tutta la nostra zona di lavoro, e non c’è chi svolge in particolare questi compiti, e così li facciamo tutti noi e così continuiamo a fare.

(…)

-*-

 Quaderno 4

-*-

 (…)

  Così abbiamo lavorato e siamo arrivati al 2003, con la formazione delle Giunte di Buon Governo. Siamo arrivati alle giunte di buon governo in questa zona, ma allora non sapevamo se il direttivo dell’associazione dei municipi un giorno sarebbe diventato autorità e governo. Ma nel 2003, quando nascono le Giunte di Buon Governo, il popolo e l’associazione dei municipi decidono che quegli otto compagni, membri del Direttivo dell’Associazione dei Municipi, sarebbero diventati autorità della Giunta di Buon Governo. E quegli otto compagni sono quelli che entrano in carica nella Giunta di Buon Governo, nel primo periodo della Giunta di Buon Governo, che è andato dal 2003 al 2006.

  Così sono nate le giunte, nelle stesse condizioni e senza una sede adeguata. Giorni prima che fosse resa pubblica la nascita delle Giunte di Buon Governo, le comunità costruirono nel centro del Caracol, in tutta fretta, una sede per la Giunta di Buon Governo ed una sede per ognuno dei municipi autonomi. Sono state costruite con il materiale disponibile in quei momenti, si è cominciato con legno usato, lamiere usate ed in meno di una settimana sono state tutte realizzate. Così si comincia, gli uffici sono pronti, arriva l’agosto del 2003 e diventano pubbliche; dopo la loro pubblicizzazione, le comunità si riuniscono, orgogliose di aver creato una nuova istanza di governo autonomo. Con una grande festa stabiliscono formalmente il nuovo governo autonomo, consegnando gli uffici col materiale a disposizione.

  Possiamo dire che non era molto, ma la comunità ha dato alla Giunta di Buon Governo un tavolo e due sedie, questo era tutto il materiale, ed un locale un po’ più piccolo di questo in cui ci troviamo ora. Giorni dopo, qualcuno ha regalato una macchina da scrivere vecchissima e con quella si è cominciato a lavorare. Partendo da un locale vuoto abbiamo avviato delle iniziative di lavoro e sistemato lo spazio.

(…)

-*-

  Come potete vedere, nella zona in cui lavoriamo esistono diversi modi di essere, di vestire, differenti colori, diverse credenze, differenti modi di parlare, ma si rispetta il compagno e la compagna, indipendentemente da com’è. L’unica cosa che ci interessa è la volontà di lavorare e le sue capacità, e non ci importa di com’è.

(…)

-*-

(continua…)

                                                                                                               In fede.
                                                                             Dalle montagne del Sudest Messicano
                                                                              Subcomandante Insurgente Marcos
                                                                                       Messico, Febbraio 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: testo e video

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ELLOS Y NOSOTROS

VII – Le/I più piccol@

 Introduzione

Febbraio 2013

Diversi anni fa, mentre nella politica dell’alto si contendevano il bottino di una Nazione ridotta a pezzi, mentre i mezzi di comunicazione tacevano o mentivano su quello che accadeva sotto questi cieli, mentre i popoli originari passavano di moda e tornavano relegati nel luogo dell’oblio: le loro terre saccheggiate, i suoi abitanti sfruttati, repressi, defraudati, disprezzati…

I popoli indigeni zapatisti,

accerchiati dall’esercito federale, perseguiti dalle polizie statali e municipali, aggrediti dai gruppi paramilitari addestrati ed equipaggiati dai diversi governi di tutto lo spettro politico del Messico (PRI, PAN, PRD, PT, PVEM, MC e le molte sigle adottate dai parassiti della classe politica messicana), vessati dagli agenti delle diverse centrali di spionaggio nazionali e straniere, vedendo i propri uomini e donne, basi di appoggio dell’EZLN, colpit@, defraudat@ e incarcerat@…

I popoli indigeni zapatisti,

senza clamore,

senza altro imperativo del dovere,

senza manuali,

senza altri leader se non noi stess@

senza altro riferimento che non fosse il sogno dei nostri morti,

solo con le armi della storia e della memoria,

guardando vicino e lontano nei calendari e geografie,

con la guida di Servire e non Servirsi / Rappresentare e non Sostituire / Costruire e non Distruggere / Ubbidire e non Comandare / Proporre e non Imporre / Convincere e non Vincere / Scendere e non Salire.

I popoli zapatisti, gli indigeni zapatisti, le indigene zapatiste, le basi di appoggio dell’ezetaelene, con un nuovo modo di fare politica,

abbiamo costruito,

costruiamo,

costruiremo,

la libertà.

LA LIBERTÁ

LA NOSTRA LIBERTÁ!

 -*-

Nota esplicativa:

I testi che appariranno in questa settima ed ultima parte di “Loro e Noi” sono frammenti estratti da “Quaderno di Testo di Primo Livello del Corso di Libertà secondo le/gli Zapatist@. Governo Autonomo I” e “Quaderno di Testo di Primo Livello del Corso di Libertà secondo le/gli Zapatisti. Governo Autonomo II”, versione in spagnolo SOLO per i compas della Sexta (speriamo ci sarà la versione nelle lingue originarie che stabilirà il Congresso Nazionale Indigeno, così come in inglese, italiano, francese, portoghese, greco, tedesco, euzkera, catalano, arabo, ebraico, galiziano, curdo, aragonese, danese, svedese, finlandese, giapponese ed altre lingue, in base all’appoggio dei compas della Sexta nel mondo che si occupano delle traduzioni). Questi quaderni fanno parte del materiale di appoggio per il corso che le basi di appoggio zapatiste daranno ai compas della Sexta in Messico e nel mondo.

Gli autori di tutti i testi sono uomini e donne basi di appoggio zapatiste, ed esprimono non solo parte del processo di lotta per la libertà, ma anche le loro riflessioni critiche e autocritiche sui nostri passi. Cioè, così noi zapatiste e zapatisti vediamo la libertà e le nostre lotte per ottenerla, esercitarla, difenderla.

Come ha spiegato il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés, le/i nostr@ compas basi di appoggio zapatiste condivideranno quel poco che abbiamo appreso della lotta per la libertà, e le/i compas della Sexta giudicheranno cosa può essere utile oppure no per le loro lotte.

 Quaderno I   Quaderno II

La lezione scolastica zapatista, ora lo sapete, si chiama “La Libertà secondo le/gli Zapatist@”, e sarà tenuta direttamente dai compagni e dalle compagne basi di appoggio dell’ezetaelene che hanno svolto i diversi incarichi di governo, vigilanza e rivestito cariche di diversa responsabilità nella costruzione dell’autonomia zapatista.

Per frequentare la scuola, oltre ad essere invitat@, le/i compas della Sexta e invitat@ speciali, dovranno frequentare alcuni corsi preparatori, o propedeutici (o come si chiami il livello prescolastico o scuola materna), prima di passare al “primo livello”. Questi corsi saranno impartiti da compas delle squadre di appoggio della Commissione Sexta dell’EZLN ed hanno il solo scopo di fornire gli elementi base della storia del neo-zapatismo e della lotta per la democrazia, libertà e giustizia.

Nelle geografie dove ci sono compas della squadra di appoggio, si farà arrivare il programma affinché le/gli invitat@ si preparino.

Le date e località, cioè, i calendari e le geografie in cui si svolgeranno i corsi tenuti dalle basi di appoggio zapatiste, saranno rese note al momento opportuno, sempre tenendo in considerazione la situazione di ogni invitat@ individuale, gruppo o collettivo.

Tutte le invitate e gli invitati al corso potranno frequentarlo indipendentemente che possano venire oppure no in terre zapatiste. Stiamo studiando il modo di arrivare ai vostri cuori indipendentemente dal vostro calendario e geografia. Quindi, non temete.

Bene. Salute, e preparate i vostri cuori, già, ma anche il quaderno e la penna.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos
Messico, Febbraio 2013

 P.S. LEZIONE DI BUONA EDUCAZIONE – Questa settima ed ultima parte della serie “Loro e Noi” consta, a sua volta, di diverse parti ed è SOLO per i compas della Sexta. Insieme alla parte V (che, come indica la sua numerazione si intitola “La Sexta”) ed al finale della parte VI.- Guardare 6: “Él Somos”, fa parte della corrispondenza particolare che l’EZLN, attraverso i suoi portavoce, dirige ai suoi compas della Sexta. In quelle parti, ed in questa, è indicato chiaramente il destinatario.

A chi non è compas e vuole scherzare, polemizzare, criticare o replicare, ricordiamo che leggere e commentare la corrispondenza altrui è roba da pettegol@ e/o da polizia. Dunque, vedete voi in che categoria rientrare. Per il resto, con i loro commenti riflettono solo un volgare razzismo (ripetono solo i cliché della TV), si esprimono in una forma pessima e dimostrano la loro mancanza d’immaginazione (conseguenza della mancanza di intelligenza… e della pigrizia di leggere). Benché, chiaro, ora dovranno ampliare la cantilena: “marcos no, ezln sì” e passare a “marcos e moisés no, ezln sì“; poi “CCRI-CG no, ezln sì“.Quindi, se arriveranno a conoscere le parole dirette delle basi di appoggio zapatiste (ma ne dubito molto) dovranno dire “ezln no, nemmeno ezln“, ma sarà ormai troppo tardi.

Oh, non siate tristi, quando metteremo i video di Ricardo Arjona, Luis Miguel, Yustin Bibier o Ricky Martín, potrete sentirvi convocati. Nel frattempo aspettate comodi, continuate a guardare il calendario dell’alto (3 o 6 anni passano velocemente), spostatevi un po’ più a destra (siete abituati) e fatevi da parte, non vorremmo calpestarvi…

Ehilà gente! Venite a ballare!

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

“La Estrella del Desello” con Eulalio González El Piporro. La canzone appare in una versione ridotta nel film “La Nave dei Mostri” (1959, di Rogelio A. González). Non fa alcun riferimento all’ezetaelene, lo metto solo così, per salutare i compas del nord e non rattristatevi, anche se siete lontani, vi guardiamo. ¡Ajúa! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ticsxPf3-3c

 “La Despedida” con Manu Chao e Radio Bemba, in una comunità indigena zapatista. http://www.youtube.com/watch?v=Co-XQm9NDd0&feature=player_embedded

“Brigadistak” con Fermín Muguruza. La lotta contro il Potere non ha frontiere! Marichiweu! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sVB0M5RgvWs&list=PL_836k-Dgy4-OrmJCZOezrl3DJQE6NaT-

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/19/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Subcomandante Moisés

Gloria Muñoz Ramírez

Un uomo aperto, visionario politico, stratega militare e, soprattutto, organizzatore di popolo, sono alcune delle caratteristiche del nuovo subcomandante dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Conosciuto nei primi giorni del gennaio del 1994 come mayor Moisés, nel 2003 era stato nominato teniente coronel. Oggi viene presentato dal subcomandante Marcos, capo militare, come il nuovo subcomandante delle forze ribelli.

Il subcomandante Moisés è entrato nell’organizzazione zapatista nel 1983, come egli stesso ha raccontato. Di origine tzeltal, all’inizio andò a vivere in città durante la sua preparazione e lì, in una casa clandestina, conobbe il subcomandante Pedro, che sarebbe stato poi il suo comandante, e del quale sarebbe diventato il braccio destro. Moisés è uno di quelli che visita le comunità della valle tojolabal di Las Margaritas. Si reca di villaggio in villaggio, di famiglia in famiglia, a spiegare i motivi della lotta. Di bassa statura e grande cuore e visione politica, sempre con indosso il suo cappello militare nero, con un senso dell’umorismo che fa onore alla sua etnia tzeltal più profonda, Moisés è testimone di uno degli ultimi incontri tra i subcomandantes Marcos e Pedro, il suo secondo al comando militare. Moisés narrò che i due comandanti discutevano perché entrambi volevano partecipare attivamente alla guerra. E i due dicevano che l’altro doveva restarne fuori, perché se uno moriva, l’altro doveva sostituirlo e andare avanti. Tutti e due scesero in guerra, il primo nella presa di San Cristóbal de Las Casas ed il secondo a Las Margaritas, dove fu ucciso in combattimento quella stessa mattina. In quel momento, con la mancanza di controllo delle truppe insorte, il nuovo subcomandante assunse il comando ed il controllo delle operazioni nella regione.

Nei primi anni di guerra, Moisés si presenta come l’interlocutore di buona parte della società civile nazionale ed internazionale; concede interviste alla stampa spiegando gli inizi della lotta zapatista, il contenuto e le ragioni delle sue iniziative politiche e pacifiche e, più avanti, il funzionamento delle giunte di buon governo, delle quali è promotore fin dal loro primo precedente, l’Associazione dei Municipi Autonomi. Nel 2005, con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dalla comandancia generale viene incaricato dei temi internazionali, in una commissione conosciuta come L’Intergalattica. Durante quel periodo, mentre il delegato Zero percorre il paese con L’Altra Campagna, l’allora teniente coronel riceve le visite internazionali. Noto per la sua pazienza e disponibilità, nel 20° anniversario dell’EZLN, dichiarò: Noi prima facciamo la pratica e poi facciamo la teoria. E così è stato dopo il tradimento, quando partiti politici e governo hanno respinto il riconoscimento dei popoli indio.

Senza dubbio Moisés può sottoscrivere le sue parole: “Io penso che se bisogna essere rivoluzionario, bisogna esserlo fino all’ultimo, perché non vale se uno non arriva fino alle ultime conseguenze o abbandona la gente. Noi attivisti dobbiamo assumerci questo impegno fino in fondo…. “. E lui l’ha assunto.

lasylosdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 16 febbraio 2013

Oggi si compiono 17 anni dalla firma degli Accordi di San Andrés, tuttora incompiuti

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 15 febbraio. Con la rinnovata richiesta che siano rispettati e nel mezzo della nuova tappa politica interna che comprende la promozione da tenente colonnello a subcomandante dell’indigeno tzeltal Moisés, gli accordi di San Andrés compiono oggi 17 anni dalla loro firma tra il governo federale e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Per il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel i trattati firmati il 16 febbraio el 1996 contengono molte proposte che dovrebbero essere integrate nella nostra legislazione per garantire la vita degna dei popoli originari del Messico.

 

Juan Roque Flores, che è stato membro della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), ha dichiarato che mentre il governo insiste nella sua politica paternalista ed assistenzialista, i popoli e le comunità zapatiste continuano a costruire la propria autonomia affinché il loro esempio si moltiplichi.

Víctor Hugo López, direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, sostiene che gli accordi hanno stabilito un precedente per diversi strumenti relativi ai diritti umani come la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’ONU. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/16/politica/015n2pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VI – Guardare 6.

 

6.- ÉL SOMOS [lui-siamo].

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

 

14 febbraio 2013

 

A: le e gli aderenti alla Sexta in tutto il mondo.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

   Il tempo è giunto e così il suo momento. Come il tempo di tutti gli esseri umani, siano essi buone o cattive persone, un@ nasce, arriva e muore, e se ne va. Così è il tempo. Ma c’è un altro tempo in cui un@ può decidere verso dove andare, quando è ormai il tempo di guardare il tempo, cioè quando puoi comprendere la vita, come la vita deve essere qui in questo mondo, e che nessuno può essere padrone del mondo.

   Noi siamo nati indigeni e siamo indigeni, arriviamo su questa terra e sappiamo che faremo ritorno, com’è legge. Nel corso della nostra vita ci hanno dato ad intendere che noi indigeni non andiamo bene, abbiamo visto quello che è successo ai nostri tris-trisavol@ negli anni 1521, 1810 e 1910, siamo sempre gli abusati che hanno dato la vita per far salire al potere altri, affinché tornassero a disprezzarci, a derubarci, a reprimerci, a sfruttarci.

   Ed abbiamo trovato un terzo tempo. È il luogo dove stiamo, ed è già un bel po’ di tempo che camminiamo, corriamo ed impariamo, lavoriamo, cadiamo e ci solleviamo. Un@ deve riempire il suo nastro da registrare, per riprodurre poi più vite di altri tempi. Sì, a noi hanno lasciato lo zaino pieno di nastri, benché alcuni non ci siano più. Rimane chi va avanti e così avviene ciò che avviene, e manca quello che manca, fino ad arrivare alla fine, e cominciare un altro lavoro di costruzione, dove comincia un’altra nascita di un altro mondo, dove non si permette più che tornino a fotterci e ci sia l’oblio per noi popoli originari, non lo permettiamo più, abbiamo imparato. Vogliamo vivere bene in uguaglianza sia in campagna che in città, dove il popolo della campagna e della città comandino ed obbedisca chi sta al governo, e se non ubbidisce è fuori e si mette un altro governo.

   Sì, siamo indigeni, coltiviamo la madre terra, sappiamo usare gli strumenti per ricavare il cibo che dà la madre terra. Siamo di diverse comunità con differenti lingue. La mia lingua madre è il tzeltal, ma capisco anche tzotzil e chol, ed ho imparato il castigliano nell’organizzazione, con le mie compagne e compagni. Ed ora sono quello che siamo e insieme ai miei compagni ho imparato quello che vogliamo per vivere in un mondo nuovo.

 -*-

  Sto scrivendo a nome di tutte e tutti gli zapatisti, mentre il sup ha rotto il suo computer, l’ho visto che andava a sistemarlo e gli ho chiesto cos’era successo al suo PC, e lui mi ha risposto che il PC era saltato, ah, gli ho detto, e lui aveva in mano uno scalpello ed un martello di 5 chili. Gli ho detto che non si sarebbe aggiustato. Allora mi ha detto che parlassi io a voi affinché conosciate chi si incarica di stare sulla porta, e noi impariamo a conoscervi attraverso quello che scrivete e dite da tutte le parti, e quello che ci raccontate e ci hanno raccontato come compagne e compagni che siamo della Sexta.

   So battere un po’ sulla tastiera del PC e tempo fa me ne hanno dato uno perché imparassi. Ora sto scrivendo, ma ho paura che mi succeda come al sup che ha rotto il suo PC, ma io ho la soluzione immediata, un bel colpo d’accetta, e via di penna e quaderno. Problema risolto.

   E comunque devo dirvi che il compito di affacciarsi alla finestra, che tocca al supmarcos, ancora non è finito. Cioè c’è ancora bisogno di qualcosa, ma presto si risolverà il problema del sup col suo PC.

   Sì, al sup tocca guardare dalla finestra e che ci vedano quelli che dicono di essere “i buoni” che lottano per il popolo e che hanno guidato il popolo e non hanno ottenuto risultati, perché dicono che il popolo non capisce e che loro capiscono come fare, ma nessuno li segue. Perché? Questo è quello che non capiscono, né capiranno mai, perché pensano e vogliono guardare dall’alto e salire per arrivare più su.

   Bene, tutto questo e molte altre cose sono compiti del sup perché gli tocca curarsi della finestra, come il telaio di una finestra.

   Gli tocca anche vedere e sapere che cosa succede con quell@ che non seguono quelli che guardano solo in alto, perché sono così, che cosa pensano, come pensano, pensiamo che probabilmente pensano come noi zapatisti, che deve essere legge che il popolo comanda e il governo ubbidisce.

   E gli tocca anche prendersi le critiche e gli insulti e i commenti, come dice lui, e gli scherzi di quelli che stanno fuori. Ma lui non si preoccupa di questi insulti e bugie, se ne ride, perché l’abbiamo preparato a questo, l’abbiamo reso inossidabile. E non gli fa male, beh, a volte sì, a volte gli fa male la pancia dal tanto ridere che gli fanno le cose che gli dicono.

   E mi dice che presto prenderanno in giro anche me, o che gli toccherà farsi vedere. E’ così, presto vedrò le mie caricature o mi insulteranno o si burleranno di me perché sono indigeno, come scherzano lui perché è quello che è. Ma a noi importa solo la gente che vuole lottare per sconfiggere l’ingiustizia, e finché non ci sganciano addosso bombe e pallottole non c’è problema. E se ce ne sganciano, nemmeno, perché ci sono già altri compagni e compagne pronti per il compito che sarà e che è sempre quello di lottare. Cioè, siamo pronti a tutto e non abbiamo paura.

   In questi anni, mi dice il sup, a molta gente hanno oscurato la vista dalla finestra, ma si vede subito chi sono quelli che somigliano a noi e che ha voluto contare quant@ sono quell@, ma si è perso il conto e fa a modo nostro, cioè come siamo noi indigeni, siamo un sacco. Quanti, gli dico. Molti, molte, mi ha detto. Ah, ho detto. E questo ci conferma che ce ne sono molt@ come no@ e che un giorno con loro ci diremo “siamo questo”, non importa se siamo indigeni o non indigeni.

   Noi ci organizziamo così, alcuni fanno alcune cose ed altri ne fanno altre. Per esempio ora tocca al supmarcos la finestra e a me tocca la porta, e ad altri toccano altre cose.

   E’ che adesso ci ricordiamo di un compagno indimenticabile per tutt@ noi zapatisti, il SubPedro, che negli ultimi giorni di dicembre del 1993 ci disse, imparate compagni, perché un giorno toccherà a voi. Lotteremo con opera@, contadin@, giovani, bambini, donne, uomini, anziani del Messico ed anche del mondo. Era vero ed è vero, ormai senza di lui. E’ la verità della verità quando si lotta per il popolo.

   Bene compas, ora sapete che sono io l’addetto alla porta, l’incaricato di osservare il nuovo modo di lavorare con le/i compagn@ che verranno ad apprendere quello che hanno costruito negli anni i miei compagn@ zapatisti, e quello che siamo ora.

 -*-

   Perché crediamo e ci fidiamo del popolo ed è ormai ora di fare qualcosa contro quello che abbiamo visto in tanti anni e del male che abbiamo subito e che subiamo, ed è ora di unire il pensiero ed imparare e poi elaborarlo, organizzarlo. E possiamo già farlo grazie alle numerose esperienze che abbiamo fatto e questo ci guida a non proseguire negli stessi modi in cui ci obbligano.

   Finché non agiamo secondo il pensiero dei popoli, i popoli non ci seguono. E per non cadere negli stessi errori, bisogna solo guardare i nostri predecessori. Costruire qualcosa di nuovo che in realtà sia parola e pensiero e decisione e analisi, proposta del popolo, che sia studiato dal popolo e alla fine decisione del popolo.

   Per 10 anni abbiamo lavorato in clandestinità, e non ci conoscevate. “Un giorno ci conosceranno”, ci dicevamo e così abbiamo continuato a lavorare durante quegli anni. Ed un giorno abbiamo deciso che era ora che ci conosceste. Ora ci conoscete da 19 anni, direte voi se è male o bene quello che stiamo facendo. I miei compagn@ ci dicono che vivono meglio con i loro governi autonomi. Loro si rendono conto di cos’è la vera democrazia che vivono nelle loro comunità e che non si fa la democrazia ogni 6 o 3 anni. La democrazia si fa in ogni villaggio, nelle assemblee municipali autonome e nelle assemblee delle zone che formano le Giunte di Buon Governo, e si fa democrazia nell’assemblea quando si riuniscono tutte le zone che controllano le Giunte di Buon Governo, cioè la democrazia si fa tutti i giorni di lavoro in tutte le istanze del governo autonomo ed insieme alle comunità, donne e uomini. Trattano con democrazia tutti i temi della vita, sentono che la democrazia è loro, perché loro discutono, studiano, propongono, analizzano e alla fine decidono sulle questioni.

   Loro ci dicono, domandando, come sarebbe questo paese e questo mondo se ci fossimo organizzati con gli altri fratelli e sorelle indigeni, ed anche con i fratelli e le sorelle non indigeni? Il risultato è un grande sorriso, perché i risultati del lavoro che stanno facendo, li hanno nelle proprie mani.

   Sì, è così, ci vuole solo che i poveri della campagna e della città si organizzino senza che nessuno ci guidi se non noi stessi e quelli che nominiamo, non quell@ che vogliono solo arrivare al potere, e che poi al potere ci relegano nell’oblio e poi ne arriva un altro che dice che ora cambieranno davvero le cose ma poi seguono gli stessi inganni. Non mantengono la parola, ormai lo sappiamo, lo sapete, è superfluo che ve lo scriva, ma è così che avviene in questo paese. Ed è esasperante e logorante, orribile.

   Noi poveri sappiamo qual’è il miglior modo di vivere che vogliamo, ma non ce lo permettono, perché sanno che faremo sparire lo sfruttamento e gli sfruttatori e costruiremo la vita nuova senza sfruttamento. Sappiamo bene come deve essere il cambiamento, perché tutto quello che abbiamo sofferto richiede cambiamento. Le ingiustizie, le sofferenze, le tristezze, i maltrattamenti, le disuguaglianze, le manipolazioni, le brutte leggi, le persecuzioni, le torture, le prigioni e molte altre cose brutte che subiamo, sappiamo che non rifaremo cose per farci lo stesso male. Come diciamo qua noi zapatisti, se ci sbagliamo, siamo capaci di correggerci, non come adesso che uno la fa e gli altri pagano, cioè quelli che ora la fanno sono le/i deputat@, senator@ ed i malgoverni del mondo, ed i popoli pagano.

   Non ci vuole una laurea, né si deve saper parlare bene il castigliano, né si deve leggere troppo. Non diciamo che non serva, ma ne serve quanto basta per il lavoro, serve perché ci aiuta a lavorare con ordine, cioè è uno strumento di lavoro per comunicare tra noi. Quello di cui stiamo parlando, è il cambiamento, noi sappiamo fare il cambiamento, non c’è bisogno che qualcuno salti fuori a fare la sua campagna per dirci che lui o lei sarà il cambiamento, come se noi le/gli sfruttat@ non sapessimo come dovrebbe essere il cambiamento che vogliamo. Mi capite, sorelle e fratelli indigeni e popolo del Messico, sorelle e fratelli indigeni del mondo, sorelle e fratelli non indigeni del mondo?

   Quindi, sorelle e fratelli indigeni e non indigeni poveri, scendete in lotta, organizzatevi, guidatevi da voi stessi, non lasciatevi guidare o controllate bene che chi volete che vi guidi faccia quello che decidete voi e vedrete che le cose prenderanno strade simili alle nostre di noi zapatisti.

   Non smettete di lottare, così come gli sfruttatori non smettono di sfruttare, ma arrivate fino al fine, cioè alla fine dello sfruttamento. Nessuno lo farà per noi, se non noi stessi. Prendiamo le redini, afferriamo il volante e portiamo il nostro destino dove vogliamo andare, andiamo dove il popolo comanda. Il popolo è la democrazia, il popolo si corregge e va avanti. Non come ora, che 500 deputati e 228 senatori la fanno, e milioni che subiscono questa peste che porta alla morte, cioè i poveri e il popolo del Messico, la pagano.

   Sorelle e fratelli operai e lavoratori, vi abbiamo ben presenti, abbiamo lo stesso odore di sudore per lavorare per le/gli sfruttator@. Ora che i miei compagni zapatisti aprono la porta, se ci capite, entrate nella Sexta a conoscere il governo autonomo de@ nostr@ compagn@ dell’EZLN. E se ci avete compreso, anche voi sorelle e fratelli indigeni del mondo e sorelle e fratelli non indigeni del mondo.

   Siamo i principali produttori della ricchezza di quelli che sono già ricchi, ora basta! Sappiamo che ci sono altr@ sfruttat@, vogliamo organizzarci con loro, lottiamo per il popolo del Messico e del mondo, che è nostro, non dei neoliberali.

   Sorelle e fratelli indigeni del mondo, sorelle e fratelli non indigeni del mondo, popoli sfruttati. Popoli d’America, popoli d’Europa, popoli dell’Africa, popoli dell’Oceania, popoli dell’Asia.

   I neoliberali vogliono essere padroni del mondo, così diciamo noi, cioè vogliono trasformare in loro proprietà tutti i paesi capitalisti. I loro capoccia sono i governi capitalisti sottosviluppati. Così ci vogliono, se non ci organizziamo tutte e tutti noi lavoratori.

   Sappiamo che nel mondo c’è sfruttamento. Non ci deve far sentire lontani la distanza che ci separa in ogni parte del nostro mondo, dobbiamo avvicinarci, unendo i nostri pensieri, le nostre idee e lottare da noi stessi.

   Lì dove siete c’è sfruttamento, subite le stesse cose come noi.

   Subite repressione come noi.

   Venite derubati, come fanno a noi da più di 500 anni.

   Vi disprezzano, come continuano a disprezzarci.

   Così stiamo, così ci tengono e così sarà se non ci prendiamo per mano gli uni con gli altri.

   Abbondano le ragioni per unirci e far sì che nasca la nostra ribellione per difenderci da questa bestia che non vuole togliersi di dosso e non se ne andrà mai se non lo facciamo noi stessi.

   Qui nelle nostre comunità zapatiste, con i governi autonomi ribelli e con l’unione de@ compagn@, affrontiamo giorno e notte il capitalismo neoliberale e siamo pronti a tutto.

   Questi sono fatti, i compag@ zapatisti sono organizzati così. C’è solo bisogno di decisione, organizzazione, lavoro, pensiero e di mettere in pratica e poi correggere e migliorare senza fermarsi, e se ci si ferma, è per raccogliere le forze e andare avanti, il popolo comanda e il governo ubbidisce.

   Sì, si può, sorelle e fratelli poveri del mondo, qui c’è l’esempio dei vostri sorelle e fratelli indigeni zapatisti del Chiapas, Messico.

   È ormi ora che davvero facciamo il mondo che vogliamo, il mondo che pensiamo, il mondo che desideriamo. Noi sappiamo come. È difficile, perché c’è chi non vuole ed è esattamente chi ci sfrutta. Ma se non lo facciamo, il nostro futuro sarà ancora più duro e non ci sarà mai la libertà, mai più.

   Così la vediamo noi, per questo vi stiamo cercando, vogliamo incontrarvi, conoscerci, apprendere tra noi.

   Speriamo possiate venire e se no, cercheremo altri modi per vederci e conoscerci.

   Vi aspettiamo su questa porta di cui mi tocca occuparmi, per entrare nell’umile scuola dei miei compagn@ che vogliono condividere il poco che abbiamo imparato, per vedere se può servire nei vostri luoghi di lavoro dove vivete, e siamo sicuri che quelli che avevano già aderito alla Sesta verranno, oppure no, ma sia come sia, potrete venire nella scuola dove spieghiamo cos’è la libertà per le/gli zapatist@, e così vedere i nostri progressi ed i nostri difetti, che non nascondiamo, ma in maniera diretta e con i migliori maestri che esistano: i popoli zapatisti.

   La scuola è umile, ma ora per le/i compagn@ zapatisti c’è la libertà di fare quello che vogliono e di pensare a una vita migliore.

   La migliorano sempre di più, perché vedono i bisogni e la pratica dimostra come migliorare, cioè la pratica è il miglior modo di lavorare per migliorare. La teoria ci dà le idee, ma ciò che dà forma, è la pratica, il come governare autonomamente.

   È come abbiamo sentito dire: “Quando il povero crede nel povero, possiamo cantare vittoria”. Solo che questo, non solo l’abbiamo ascoltato, ma lo stiamo facendo nella pratica. Questo è il frutto che vogliono condividere le/i nostri@ compagn@. E’ la verità, perché per quanta malvagità contro di noi hanno scatenato i malgoverni, non sono riusciti e non riusciranno mai a distruggerlo, perché quanto costruito è del popolo e per il popolo. I popoli lo difenderanno.

   Vi posso raccontare molto altro, ma non è la stessa cosa che sentirlo, vederlo o guardarlo direttamente e porre a voce le vostre domande ai miei compagni e compagne basi di appoggio. Anche se con difficoltà, risponderanno in castigliano, ma la miglior risposta è la pratica de@ compagn@, che è lì da vedere e che stanno vivendo.

   È piccolo quello che stiamo facendo, ma sarà grande per i poveri del Messico e del mondo. Siccome siamo molto grandi, cioè siamo molti i poveri del Messico e del mondo, dobbiamo costruire noi il mondo in cui vivere. Si vede come funziona quando i popoli si mettono d’accordo, rispetto a quando c’è un gruppo che dirige e i popoli non si mettono d’accordo. Si è capito veramente cos’è rappresentare, si sa come metterlo in pratica, cioè i 7 principi del comandare ubbidendo.

   All’orizzonte già si vede com’è, secondo noi, il nuovo mondo e potrete vedere e imparare e far nascere il mondo differente che voi immaginate là dove vivete, condividendo i saperi e creare i nostri mondi differenti da come sono ora.

   Vogliamo vederci, ascoltarci ed è una cosa molto grande per noi, ci aiuterebbe a conoscere altri mondi ed il miglior mondo che vogliamo.

   C’è bisogno di organizzazione, decisione, accordo, lotta, resistenza, difesa e lavoro, pratica. Se manca qualcosa, aggiungetelo voi compagni e compagne.

   Bene, per ora ci stiamo mettendo d’accordo su come dovrebbe essere per voi la scuola, e vedere quanto spazio c’è. Ci stiamo preparando perché il compagno o la compagna che vorrà e che invitiamo, possa vedere e sentire direttamente, e se non potrà venire fino a qua, penseremo come fare.

   Vi aspettiamo compagne e compagni della Sexta.

   Ci stiamo preparando a ricevervi, assistervi e servirvi come vostri compagn@, come nostr@ compagn@ che siete. Ed anche affinché la nostra parola arrivi a coloro che non possono venire a casa nostra, ma noi andremo da loro col vostro aiuto.

   Chiaramente ci vorrà del tempo, ma, come dicono i nostri fratelli del popolo Mapuche, una, dieci, cento, mille volte vinceremo, vinceremo sempre.

   E per finire, vi parlerà ancora il compagno Subcomandante Insurgente Marcos quando sarà il suo turno, e continueremo ad alternarci lui ed io per spiegarvi tutto, perché vi sarete accorti che, anche se faccio questo lavoro da molti anni, questa è la prima volta che mi tocca firmare pubblicamente come qui sotto…

 

Dalle montagne del sudest messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

 

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Febbraio 2013

P.S.- Approfitto per dirvi che la password per le successive parti della finestra che tocca al supmarcos, è “nosotr@s“. Già, perché nella scuola della lotta non si può copiare dal compa, ma ognuno fa la propria lotta rispettandoci come compagni.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

http://www.youtube.com/watch?v=UBzGfWymOnM&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=6izcABVqsBk&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=ZWgQniV0pcg&feature=player_embedded

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VI – Guardare 5.

5.- Guardare la notte in cui siamo.

(Dalla luna nuova al quarto di luna crescente)

Molte lune fa: luna nuova, appena spuntata, affacciata per guardare le ombre di sotto, ed allora …

Arriva él-somos [lui-siamo]. Senza bisogno di documenti da consultare o d’appoggio, la sua parola disegna gli sguardi di chi comanda e di chi ubbidisce. Alla fine, guardiamo.

Il messaggio dei popoli è chiaro, breve, semplice, contundente. Come devono essere gli ordini.

Noi, soldat@, non diciamo nulla, guardiamo soltanto e pensiamo: “È una cosa molto grande. Questo non è più solo nostro, né solo dei popoli zapatisti. Nemmeno è soltanto di questo luogo, di queste terre. Appartiene a molti luoghi, di tutti i mondi”.

Bisogna prepararlo – diciamo todas-somos [tutte-siamo], e sappiamo che parliamo di quello, ma anche di él-somos [lui-siamo].

Verrà bene… ma bisogna prepararsi perché riesca male, come di solito facciamo noi – diciamo todos-somos [tutti-siamo].

Dunque, bisogna prepararla – ci diciamo todas-somos [tutte-siamo],averne cura, farla crescere.

– ci rispondiamo todos-somos [tutti-siamo].

Bisogna parlare con i nostri morti. Loro ci indicheranno il tempo e il luogo – diciamo, ci diciamo todas-somos [tutte-siamo].

Guardando i nostri morti, in basso, li ascoltiamo. Portiamo loro la pietruzza. La portiamo ai piedi della loro casa. La guardano. Li guardiamo guardarla. Ci guardano e portano il nostro sguardo molto lontano, dove non arrivano né i calendari né la geografia. Guardiamo quello che il loro sguardo ci mostra. Tacciamo.

Torniamo, ci guardiamo, ci parliamo.

– Bisogna occuparsene a lungo, preparare ogni passo, ogni precauzione, ogni dettaglio… richiederà tempo.

– Bisognerà fare qualcosa perché non ci vedano e poi perché ci vedano.

– Di per sé non ci vedono, o vedono quello che credono di vedere.

– Ma bisogna fare qualcosa… E’ il mio turno.

 – Che él-somos [lui-siamo] si curi di ciò che è dei popoli. Todos-somos [tutti-siamo] ci occupiamo di ciò su cui vigilare, per bene, sommessamente, in silenzio, come si deve.

-*-

  Poche lune fa, pioveva …

Già fatto? Pensavamo che ci avresti messo più tempo.

Vero, ma è andata così.

Ora però stai bene attento a quello che ti chiediamo: Vogliono che tornino a guardarli?

Lo vogliono, si sentono forti, sono forti. Dicono che questo è di tutti, di tutte, di nessuno. Sono pronti, sono pronte, dicono.

Ma, ti rendi conto che non ci guarderanno solo quelli che sono come siamo, ma anche i Prepotenti di ogni parte che odiano e perseguono quello che siamo?

Sì, lo mettiamo in conto, lo sappiamo. E’ il nostro turno, il tuo turno.

Bene, mancano solo il luogo e la data.

Qui – e la mano indica il calendario e la geografia.

Lo sguardo che provocheremo con questo non sarà più di pena, di compassione, di carità, di elemosina. Ci sarà allegria in coloro che sono come siamo, ma rabbia e odio tra i Prepotenti. Ci attaccheranno con ogni mezzo.

Sì, gliel’abbiamo detto. Si sono guardati ma hanno detto: “Vogliamo guardare e guardarci con quelli che siamo, anche se non sappiamo né sanno che sono quello che siamo. Vogliamo che ci guardino. Siamo preparati, siamo preparate per i Prepotenti, siamo pronti, siamo pronte”.

Allora, quando, dove? – si mettono sul tavolo calendari e mappe.

 – Di notte, quando si avvicina l’inverno.

Dove?

Nel loro cuore.

Tutto pronto?

Sì, pronto.

Ok.

Ognuno al suo posto. Solo una stretta di mani. Non c’è stato bisogno d’altro.

-*-

  Alcune notti fa, la luna svelata e slavata …

Ya estáYa están lo que miramos.  La parte que sigue le va a tocar a otras miradas.  Te toca – le decimos a él-somos.

Ecco. Ci sono quello che guardiamo. La parte successiva toccherà ad altri sguardi. Tocca a te – diciamo a él-somos [lui-siamo].

Sono pronto – dice él-somos [lui-siamo].

Todos-somos [tutti-siamo] assentiamo in silenzio, come facciamo di solito.

Quando?

Quando i nostri morti parlano.

Dove?

Nel loro cuore.

-*-

Febbraio 2013. Notte. Luna crescente. La mano che siamo scrive:

“Compagnie, compagne e compagni della Sexta:

  Vogliamo presentarvi uno dei molti lui(él) che siamo, il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés. Egli vigila la nostra porta e con la sua parola parliamo anche i tutti e tutte che siamo. Vi chiediamo di ascoltarlo, cioè, di guardarlo e così guardarci. (…)

 (continua…)

 Da qualunque luogo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S. CHE AVVERTE E FORNISCE QUALCHE PISTA: Il testo che apparirà nella pagina elettronica di Enlace Zapatista il 14 febbraio, giorno in cui noi zapatisti, e zapatiste onoriamo e salutiamo le/i nostr@ mort@, è principalmente per i nostri compagni, compagne e compagnie della Sexta. Il testo completo potrà essere letto solo con una password (per la quale sono state fornite diverse piste e che può essere facilmente dedotta) che è già stata inviata per posta elettronica a chi abbiamo potuto. Se non l’avete ricevuta e non indovinate la soluzione, la si può trovare leggendo con attenzione questo testo ed il precedente – “Guardare e comunicare” -), dovete solo mandare una e-mail dalla pagina web, ed al mittente sarà inviata la password. Come abbiamo già spiegato in precedenza, i media liberi sono liberi di pubblicare o no il testo completo secondo il proprio giudizio autonomo e libertario. La stessa cosa vale per ogni compagna, compagno e compagnie della Sexta di qualunque geografia. Il nostro desiderio non è altro che farvi sapere che è a voi che ci rivolgiamo e, in maniera molto particolare, a chi di voi vuole mettersi sull’altro lato del ponte del nostro sguardo.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/13/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-5-mirar-la-noche-en-que-somos-de-la-luna-nueva-al-cuarto-creciente/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Frayba: Giustizia negata agli ejidatari di San Sebastián Bachajón per l’esproprio delle loro terre.

Trasmettiamo la denuncia degli ejidatari aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón contro il rifiuto del ricorso presentato per l’esproprio delle loro terre da parte del governo dello Stato. Trasmettiamo inoltre la dichiarazione dei loro avvocati:

Ejidatarios/as de SSB denuncian a autoridades y su impartición de justicia

Comunicato-Avvocat@-Bachajon

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LORO E NOI

VI – GUARDARE 4.

4.- Guardare e comunicare.

Vi racconto qualcosa di molto segreto, ma non andate a spifferarlo in giro… oppure sì, insomma, vedete voi.

Nei primi giorni della nostra insurrezione, dopo il cessate il fuoco, giravano molte voci sull’ezetaelene. Ovviamente, si era sollevato il circo mediatico che la destra normalmente scatena per imporre silenzio e sangue. Alcuni degli argomenti usati allora sono gli stessi utilizzati adesso, il che dimostra quanto poco moderna sia la destra e quanto paralizzato il suo pensiero. Ma non è questo l’argomenti di adesso, e nemmeno lo è quello della stampa.

Vi dico che all’epoca si disse che quella dell’EZLN era la prima guerriglia del XXI° secolo (già, noi che per seminare usavamo ancora la zappa, che della coppia di buoi – senza offendere – sapevamo solo per sentito dire, e che avevamo visto il trattore solo in fotografia); che il supmarcos era il guerrigliero cibernetico che, dalla selva lacandona, lanciava nel cyberspazio i proclami zapatisti che facevano il giro del mondo; e che utilizzava la comunicazione satellitare per coordinare le azioni sovversive che si realizzavano in tutto il mondo.

Sì, si dicevano queste cose, ma… compas, già alla vigilia della sollevazione, il “potere cibernetico zapatista” che avevamo era un computer con ancora gli enormi floppy disk con sistema operativo DOS versione meno uno punto uno. Imparammo ad usarlo con un vecchio tutorial, non so se ancora ne esistono, che ti diceva che tasto premere ed una voce, con accento madrileno, ti diceva “Molto bene!“; e se sbagliavi ti diceva “Molto male, idiota, ritenta!“. Oltre ad usarlo per giocare a pacman, l’abbiamo utilizzato per la “Prima Dichiarazione della Selva Lacandona”, che abbiamo riprodotto con una di quelle vecchie stampanti a punto d’inchiostro che faceva più rumore di una mitragliatrice. La carta era a flusso continuo e si inceppava in ogni momento, ma avevamo la carta carbone e riuscivamo a stamparne 2 ogni qualche ora. Abbiamo fatto un sacco di stampe, credo 100. Sono state distribuite ai 5 gruppi di comando che, ore dopo, avrebbero preso le 7 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas. A San Cristóbal de Las Casas, che toccò a me prendere, la piazza arresa alle nostre forze, abbiamo incollato ai muri col nastro adesivo le nostre 15 copie. Sì, lo so che i conti non tornano e che sarebbero dovute essere 20, ma le 5 mancanti chissà dov’erano finite.

Bene, quando ci ritirammo da San Cristóbal, all’alba del 2 gennaio 1994, la nebbia umida che copriva il nostro ripiego, staccò i proclami dai freddi muri della superba città coloniale ed alcuni restarono sparsi per le strade.

Anni dopo qualcuno mi raccontò che mani anonime avevano strappato alcuni di questi proclami che conserva gelosamente.

Poi vennero i Dialoghi della Cattedrale. Io allora avevo uno dei quei computer portatili e leggeri (pesava 6 chili senza la batteria), marca La Migaja, 28 ram, voglio dire 128 kilobyte di ram, hard disk da 10 mega, cioè poteva contenere t-u-t-t-o, ed un processore velocissimo che, quando lo accendevi, potevi andare a preparare il caffè, tornavi ed ancora potevi riscaldare per 7 volte il caffè prima di poter cominciare a scrivere. Una figata di macchina. In montagna, per farla funzionare usavamo un trasformatore di corrente collegato alla batteria di un’auto. Poi, il nostro dipartimento di alta tecnologia zapatista progettò un sistema che faceva funzionare il computer con batterie “D”, ma pesavano più del computer e, sospetto, centrino qualcosa con la morte del PC dopo una fiammata, quella sì molto vistosa, ed un fumo che scacciò le zanzare per 3 giorni di seguito. Il telefono satellitare col quale il Sup comunicava con “il terrorismo internazionale“? Un walkie-talkie con portata massima di 400 metri su terreno piano (dovrebbero esserci ancora delle foto del “guerrigliero cibernetico“, già!). Internet? Nel febbraio del 1995, quando l’esercito federale ci inseguiva (e non esattamente per un’intervista), il PC portatile finì nel primo torrente che guadammo, ed i comunicati di quell’epoca si facevano con una macchina da scrivere meccanica prestataci dal commissario ejidale di una di quelle comunità che ci proteggevano.

Questa era la potente attrezzatura ad alta tecnologia che possedevano allora i “guerriglieri cibernetici del XXI° secolo“.

Mi dispiace davvero se, oltre al mio già malconcio ego, distruggo alcune illusioni che sono poi nate da lì, ma era così, proprio come ve lo sto raccontando.

Infine, poco dopo, venimmo a sapere che…

Un giovane studente del Texas, USA, forse un “nerd” (come direste voi), aprì una pagina web che chiamò solo “ezln“. Quella fu la prima pagina web dell’ezln. E questo compa cominciò a “caricare” tutti i comunicati e le lettere che venivano diffusi sulla stampa scritta. Persone di altre parti del mondo che sapeva della sollevazione attraverso foto, immagini video registrate, o attraverso notizie giornalistiche, cercavano lì la nostra parola.

Non abbiamo mai conosciuto quel compa. O forse sì.

Forse qualche volta è venuto in terre zapatiste, come uno dei tanti. Se ci è venuto, non ha mai detto: “sono quello che ha fatto la pagina dell’ezln“. Neanche: “grazie a me sanno di voi in molte parti del mondo“. Tanto meno: “sono qui affinché mi ringraziate ed a prendere omaggi“.

Avrebbe potuto farlo, ed i ringraziamenti sarebbero stati sempre pochi, ma non l’ha fatto.

Forse non lo sapete, ma c’è anche gente così. Gente buona che fa le cose senza chiedere niente in cambio, senza farsi pagare, “senza chiasso”, come diciamo noi zapatist@.

Poi il mondo ha continuato a girare. Sono arrivati compas che ne sapevano di computer e sono state fatte altre pagine web fino a quelle di adesso. Cioè col maledetto server che non funziona come dovrebbe, neanche se gli cantiamo e balliamo “quella del moño colorado” a ritmo di cumbia-corrido-ranchera-norteña-tropical-ska-rap-punk-rock-ballata-popolare.

Anche noi senza tanto chiasso, ringraziamo quel compa: che gli dei tutti e/o il supremo nel quale crede o dubiti o diffidi, lo benedicano.

Non sappiamo che cosa sia stato di questo compa. Forse è un Anonymous. Forse continua a navigare in rete cercando una nobile causa da appoggiare. Forse è disprezzato per il suo aspetto, forse è diverso, forse i suoi vicini, i suoi colleghi di lavoro o di studio lo guardano male.

O forse è una persona normale, una delle milioni che percorrono il mondo senza che nessuno se ne accorga, senza che nessuno le guardi.

E forse questa persona riesce a leggere quello che sto raccontando, e leggere quello che ora le scriviamo:

Compa, ora qua ci sono scuole, dove prima cresceva solo l’ignoranza; c’è cibo, poco ma dignitoso, dove sulle tavole era la fame la sola invitata quotidiana; e c’è sollievo dove l’unica medicina per il dolore era la morte. Non so se te l’aspettavi. Forse lo sapevi. Forse hai visto qualcosa nel futuro in quelle parole che hai rilanciato nel cyberspazio. O forse no, forse l’hai fatto solo perché sentivi che era tuo dovere. Ed il dovere, noi zapatiste e zapatisti lo sappiamo bene, è l’unica schiavitù che si abbraccia per volontà propria.

 Noi abbiamo imparato. E non mi riferisco ad imparare l’importanza della comunicazione, o conoscere le scienze e le tecniche dell’informatica. Per esempio, al di fuori di Durito, nessuno di noi è riuscito nella scommessa di fare un comunicato twit. Di fronte ai 140 caratteri non solo sono un incapace, cadendo e ricadendo nelle virgole, (le parentesi), i puntini di sospensione… ci metto un sacco di tempo e non mi bastano i caratteri. Credo che sia improbabile che un giorno ci riesca. Durito, per esempio, ha proposto un comunicato che al limite del twit dice:

123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 1234567890

 Ma il problema è che il codice per decifrare il messaggio occupa l’equivalente di 7 tomi dell’enciclopedia “Le Differenze”, che l’umanità intera sta scrivendo da quando ha iniziato il suo doloroso cammino sulla terra, e la cui edizione è stata vietata dal Potere.

 No. Quello che abbiamo imparato è che là fuori, lontano o vicino, c’è gente che non conosciamo, che forse non ci conosce, che è compa. E lo è non perché ha partecipato ad una marcia di appoggio, ha visitato una comunità zapatista, porta un paliacate rosso al collo, o ha firmato un appello, una lettera di adesione, un carnet da membro, o come si chiami.

  Lo è perché noi zapatiste, zapatisti, sappiamo che così come sono molti i mondi che abitano il mondo, molte sono le forme, i modi, i tempi e i luoghi per lottare contro la bestia, senza chiedere né aspettarsi niente in cambio.

  Ti mandiamo un abbraccio, compa, dovunque tu sia. Sono sicuro che puoi risponderti alla domanda che uno, una, si fa quando comincia a camminare: “ne vale la pena?”.

  Sappi che in una comunità o in un quartiere, un ufficio di computer zapatista si chiama “él”, così, con le minuscole. Sappi che, quando qualche persona invitata, entrando nell’ufficio e notando il cartello chiede chi sia questo “lui”, noi rispondiamo: “non lo sappiamo, ma lui sì”.

Bene. Saluti e, sì, credo ne sia valsa la pena.

Da eccetera, eccetera.

Noi, zapatiste, zapatisti dell’ezetaelene punto com punto org punto net o punto come si chiami”.

-*-

 E tutto questo capita a proposito, perché forse avete capito che confidiamo molto sui media liberi e/o libertari, o come si chiamino, e sulle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno i propri modi per comunicare. Persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno le proprie pagine elettroniche, i loro blog, o come si chiamino, che danno spazio alla nostra parola e, ora, alle musiche e alle immagini che l’accompagnano. E persone o gruppi che forse non hanno nemmeno un computer, ma anche conversando, o con un volantino, o un periodico murale, o tracciando un graffito o un quaderno o su un autobus, o in un’opera teatrale, un video, un compito scolastico, una canzone, una danza, un poema, una tela, un libro, una lettera, guardano le lettere che il nostro cuore collettivo disegna.

Se non ci appartenete, se non siete nostri organici, se non vi diamo ordini, se non vi comandiamo, se siete autonomi, indipendenti, liberi (vuol dire che vi comandante da sol@), o come si dica, allora, perché lo fate?

Forse perché pensate che l’informazione è un diritto di tutt@, e che ognuno ha la responsabilità di cosa fare o disfare di questa informazione. Forse perché siete solidali e sentite l’impegno di appoggiare in questo modo chi lotta, anche se con altri modi. Forse perché sentite il dovere di farlo.

O forse per tutto questo ed altro.

Voi lo sapete. E sicuramente l’avete scritto nella vostra pagina web, nel vostro blog, nella vostra dichiarazione di principio, nel vostro volantino, nella vostra canzone, sulla vostra parete, nel vostro quaderno, nel vostro cuore.

Cioè, parlo di chi comunica e con altri comunicano quello che sentono nel nostro cuore, ovvero, ascoltano. Di chi ci guarda e si guarda pensandoci e si fa ponte ed allora scopre che le parole che scrive, canta, ripete, trasforma, non sono degli zapatisti, delle zapatiste, che non lo sono mai state, che sono sue, e di tutti, e di nessuno, e che sono parte di uno spartito che chissà dov’è, ed allora scopre o conferma che quando ci guarda mentre l@ guardiamo, sta toccando e parlando di qualcosa di più grande per cui non c’è ancora definizione nel vocabolario, e che non appartiene ad un gruppo, collettivo, organizzazione, setta, religione, o come si chiami, ma comprende che la tappa per l’umanità ora si chiama “ribellione“.

Forse, prima di fare “click” e decidere di mettere nei vostri spazi la nostra parola vi domandate: “ne vale la pena?”. Forse vi domandate se non starete contribuendo a far stare marcos su una spiaggia europea a godersi il clima mite di quei calendari in quelle geografie. Forse vi domandate se non sarete al servizio di un’invenzione della “bestia” per ingannare e simulare la ribellione. Forse vi rispondete da sol@ che la risposta alla domanda “ne vale la pena?” devono darla le/gli zapatist@, e che facendo “click” sulla tastiera, sulla bomboletta spray, sulla matita, la chitarra, il cidi, la macchina fotografica, ci state impegnando a rispondere ““. Ed allora fate “click” su “upload” o “subir” o “caricare” o sull’accordo iniziale o sul primo passo-colore-verso, o come si chiami.

Forse non lo sapete, anche se credo sia evidente, ma ci fate un favore. E non lo dico perché la nostra pagina a volte “cade”, come se si lanciasse nel vuoto da un ponte e non ci fosse nessuna mano amica ad alleggerire la caduta che, se sul cemento, fà molto male qualunque sia il calendario e la geografia. Lo dico perché riguardo alla nostra parola ci sono molti che non sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono altrettanti che non sono d’accordo ma non si prendono il disturbo di dirlo; ci sono pochi che sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono di più di questi pochi che sono d’accordo e non lo dicono; e c’è una grande, immensa maggioranza che non ne sa niente. E’ a questi ultimi che vogliamo parlare, cioè, guardare, cioè, ascoltare.

-*-

 Compas, grazie. Lo sappiamo. Ma siamo sicuri che, anche se non lo sapevamo, voi lo sapete. E, noi zapatist@ crediamo, si tratta esattamente di questo, di cambiare il mondo.

(continua…)

 Da qualunque angolo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S.- Sì, forse nella lettera a lui, c’è una pista per la prossima password.

P.S. CHE CHIARISCE ANCHE SE SUPERFLUO. – Non abbiamo un account di twiterfacebook, né posta elettronica, né numero telefonico, né casella postale. Quelli che appaiono nella pagina elettronica sono della pagina, questi compagni ci appoggiano e ci mandano quello che ricevono, così come loro mandano quello che inviamo. Per il resto, siamo contrari al copyright, cosicché chiunque può avere il suo twiter, il suo facebook, o come si chiami, ed usare i nostri nomi, benché sia chiaro che non siamo noi né ci rappresentano. Ma, come mi hanno detto, la maggioranza di questi chiarisce che non sono chi si suppone sia. E la verità è che ci diverte immaginare la quantità di insulti e commenti che hanno ricevuto e riceveranno, originalmente diretti all’ezetaelene e/o a chi scrive ora.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/11/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-4-mirar-y-comunicar/

Dal Giappone, la canzone e coreografia “Ya Basta”, di Pepe Hasegawa. Si suppone presentato nella prefettura di Nagano, Giappone, nel 2010. La verità è che non so assolutamente cosa dicano le scritte.

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Dalla Svezia, ska con il gruppo Ska´n´ska, di Stoccolma. La canzone si chiama “Ya Basta” e fa parte del loro disco “Gunshot Fanfare”.

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Dalla Sicilia, Italia, il grupoo Skaramanzia con la canzone “Para no olvidar”, parte del disco “La lucha sigue”.

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Dalla Francia.- “Ya basta – EZLN” con il grupo Ska Oi. Del disco “Lucha y fiesta”

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Intervista a Nataniel Hernández dopo il suo rilascio

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LORO E NOI

VI – GUARDARE 3.

3.- Qualche altro sguardo.

uno: Un sogno in questo sguardo.

 Una strada, una milpa, una fabbrica, una valle, un bosco, una scuola, un negozio, un ufficio, una piazza, un mercato, una città, un campo, un paese, un continente, un mondo.

Il Capo è gravemente ferito, la macchina rotta, la bestia esausta, il selvaggio rinchiuso.

A niente sono serviti i cambi di nome e di bandiere, le botte, le prigioni, i cimiteri, il flusso di denaro attraverso le mille arterie della corruzione, i “reality show“, le feste religiose, gli annunci a pagamento, gli esorcismi cibernetici.

Il Capo chiama il suo ultimo scagnozzo. Gli mormora qualcosa all’orecchio. Lo scagnozzo esce ed affronta la folla.

Dice, domanda, chiede, esige:

Vogliamo parlare con lui …”

Un dubbio, la maggioranza di chi gli sta di fronte sono donne.

Si corregge:

Vogliamo parlare con la …

Altro dubbio, non è piccolo il numero di altr@ che si trova davanti.

Si ricorregge:

Vogliamo parlare con chi è al comando”.

Nel silenzio generale si avvicinano un@ anzian@ ed un bimb@, si fermano di fronte a lui e, con voce innocente e saggia, dicono:

Qui tutte e tutti comandiamo”.

Lo scagnozzo trema, come trema la voce del Capo nel suo ultimo grido.

Lo sguardo si sveglia. “Che strano sogno“, dice tra sé. E, senza che importi il calendario e la geografia, la vita, la lotta, la resistenza proseguono.

Dello strano sogno ricorda solo alcune parole:

Qui tutte e tutti comandiamo”

due: Un altro sguardo da un altro calendario e un’altra geografia.

(frammento di una lettera ricevuta nel quartiere generale dell’ezetelene, senza data)

   “Saluti Compas.

 (…)

   La mia opinione è che è stato tutto una figata. Ma, non nego che tutto questo è in retrospettiva. Sarebbe molto facile dire che capii perfettamente il silenzio e che nulla mi sorprese. Falso, anch’io mi sono spazientito del silenzio (naturalmente non ha niente a che vedere con quello che si dice che gli zapatisti non parlvano, io ho letto tutte le denunce). La questione è che alla luce dei fatti avvenuti, e che stanno avvenendo, naturalmente la conclusione è logica: siamo nel mezzo dell’iniziativa più audac, degli zapatisti, per lo meno dall’insurrezione. E questo riguarda tutto, non solo con la situazione nazionale, ma io credo anche internazionale.

   Permettimi di raccontare quello che io ho capito di quello che, secondo me, è stato il fatto più significativo dell’azione del 21 [di dicembre 2012]. Ci sono naturalmente molte cose: l’organizzazione, lo sforzo militante, la dimostrazione di forza, la presenza dei giovani e delle donne, etc. Ma, quello che più mi ha impressionato è stato che avevano delle tavole di legno e una volta arrivati nelle piazze installavano dei palchi. Intanto si raccontava quello che succedeva, molti media privati, ed alcuni dei media liberi, speculavano sull’arrivo dei leader zapatisti. E non si rendevano conto che i leader zapatisti erano lì. Che erano le persone che salivano sul palco e dicevano, senza parlare, siamo qui, siamo questi, e questi saremo.

Il palco è toccato a chi doveva starci. Nessuno ha notato, credo, che è proprio lì, in questo fatto, in una noce, il significato profondo di un nuovo modo di fare politica. Che rompe con tutto il vecchio, l’unico modo veramente nuovo, l’unico che vale la pena di avere [illeggibile nell’originale] “secolo XXI”.

   L’anima plebea e libertaria di quello che nella storia sono stati momenti congiunturali, qui si è costruito senza grandi voli teorici. Piuttosto con una pratica sotterranea. Ha già troppi anni per essere considerata solo un evento. È ormai un processo storico sociale lungo e solido sul terreno dell’auto organizzazione.

   Alla fine, hanno rimosso il loro palco, tornato ad essere tavole di legno, e tutti dovremmo provare un po’ di vergogna ed essere più modesti e semplici e riconoscere che qualcosa di inaspettato e nuovo sta di fronte ai nostri occhi e che dobbiamo guardare, tacere, ascoltare ed imparare.

 Un abbraccio a tutt@. Spero che, per quanto possibile, stiate bene.

 El Chueco.” 

tre: “Istruzioni su cosa fare nel caso che … vi guardino”

 Se qualcuno vi guarda, e vi accorgete che…

Non vi guarda come se foste trasparenti.

Non vuole convincervi per il sì o per il no.

Non vuole cooptarvi.

Non vuole reclutarvi.

Non vuole guidarvi.

Non vuole giudicarvi-condannarvi-assolvervi.

Non vuole usarvi.

Non vuole dirvi cosa potete o non potete fare.

Non vuole darvi consigli, raccomandazioni, ordini.

Non vuole rimproverarvi perché non sapete, neanche perché sapete.

Non vi disprezza.

Non vuole dirvi quello che dovete fare o non dovete fare.

Non vuole comprarvi la vostra faccia, il vostro corpo, il vostro futuro, la vostra dignità, la vostra volontà.

Non vuole vendervi qualcosa…

(un tempo condiviso, un televisore lcd in 4D, una macchina super-ultra-iper-moderna con pulsante di emergenza istantaneo (attenzione: non confondetevi col pulsante di espulsione, perché la garanzia non comprende amnesia per ridicoli mediatici), un partito politico che cambia ideologia ad ogni cambiar di vento, un’assicurazione sulla vita, un’enciclopedia, un ingresso vip allo spettacolo o rivoluzione o sfilata di moda, un mobile a piccole rate, un piano di telefonia mobile, un’iscrizione esclusiva, un futuro regalato dal leader generoso, un alibi per arrendersi, vendersi, tentennare, un nuovo paradigma ideologico, etc.).

Dunque…

Primo. – Escludete che si tratti di un depravato o depravata. Potete essere la/il più sporc@, brutt@, cattiv@ e volgare che ci sia, ma, ognuno possiede quel tocco sexy e provocante che può risvegliare le più basse passioni di chiunque. Mmh… bene, sì, una pettinata non sarebbe male. Se non si tratta di un(a), depravat@, non scoraggiatevi, il mondo è rotondo e gira, e andate sotto (in questa lista, si capisce).

Secondo. – Siete sicuri che guarda proprio voi? Non starà guardando il cartellone pubblicitario dei deodoranti alle vostre spalle? O, non sarà che sta pensando (chi vi guarda, si capisce): “E’ così che sono quando non mi pettino?”. Se avete scartato anche questo, proseguite.

Terzo. – Ha la faccia da poliziotto che deve racimolare la mazzetta da portare al suo superiore? Se sì, correte, siete ancora in tempo a non farvi prendere. Se no, passate al punto successivo.

Quarto. – Restituitegli lo sguardo, con piglio severo. Uno sguardo misto a collera, mal di pancia, fastidio e look da assassin@ seriale può essere utile. No, così sembrate stitic@. Ritentate. Ok, passabile, ma continuate a fare esercizio. Ora, non fugge spaventat@?, non distoglie lo sguardo?, on vi si avvicina esclamando “ehi@! Non ti avevo riconosciuto!  Ma con quella faccia…”? No? Ok, continuate.

Quinto. – Ripetete i passi primo, secondo, terzo e quarto. Possono esserci delle falle nel nostro sistema (è fatto in Cina). Se arrivate sempre a questo punto, passate al punto seguente:

Sesto. – Avete molte probabilità di esservi imbattuti in qualcuno della Sexta. Non sappiamo se congratularci o farvi le condoglianze. In ogni caso, è su vostra decisione e responsabilità quello che seguirà a questo sguardo.

quattro: Uno sguardo in una postazione zapatista.

(calendario e geografia imprecisati)

 Il SupMarcos: Sbrigati perché il tempo sta finendo.

La insurgenta di sanità: Senti Sup, il tempo non finisce, finiscono le persone. Il tempo viene da molto lontano e segue la sua strada fino láaaaaa, dove non riusciamo a vederlo. E noi siamo come pezzetti di tempo, cioè, il tempo non può procedere senza di noi. Noi facciamo che il tempo proceda, e quando noi finiamo arrivo un altro che lo manda avanti, fino che si arriva dove si deve arrivare, ma non vediamo dove arriva ma altri lo vedranno se arriva con tutto a posto o se improvvisamente non ha avuto la forza di arrivare ed allora bisogna spingerlo un’altra volta, fino a che arrivi giusto.

(…)

La capitana di fanteria: Perché ci hai messo tanto?

La insurgenta di sanità: Stavo facendo lezione di politica al Sup, lo stavo aiutando a spiegare bene che bisogna guardare lontano, fino a dove non arriva né il tempo né lo sguardo.

La capitana di fanteria: Ah, e allora?

La insurgenta di sanità: Mi ha punito perché mi sono attardata coi lavori e mi ha mandato in posta.

 (…)

 cinque: Estratto da “Appunti per guardare l’Inverno”.

 (…)

E sì, tutt@ sono saliti sul palco col pugno in alto. Ma non hanno guardato bene. Non hanno guardato lo sguardo di quegli uomini e donne. Non hanno visto che, quando erano lì sopra, volgevano lo sguardo in basso e guardavano le loro decine di migliaia di compagni. Cioè, si sono guardati. Là in alto non hanno visto che ci guardavamo. Là in alto non hanno capito, né capiranno niente.

(…)

sei: Inserite qui il vostro sguardo (o il vostro pensiero).

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(continua…)

 Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Messico, Febbraio 2013 

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-3-algunas-otras-miradas/ 

Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
7 febbraio 2013

 Nota Informativa URGENTE

ARRESTATO ATTIVISTA DEI DIRITTI UMANI

Secondo informazione ricevute da questo Centro dei Diritti Umani, oggi, intorno alle ore  13:30, nella città di Tonalá, Chiapas, è stato arrestato Nataniel Hernández Núñez, Direttore del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, AC 1.

Nataniel si trovava in una riunione con funzionari del Governo dello Stato del Chiapas, tra i quali Benigno Hernández Hidalgo, Sottosegretario di Governo della Regione IX Istmo Costa del Chiapas. La riunione si svolgeva nell’ambito delle mobilitazioni a livello nazionale convocate dalla Rete Nazionale di Resistenza Civile Contro le Alte Tariffe dell’Energia Elettrica.

Secondo le informazioni ricevute, circa 20 poliziotti federali e della Procura Generale della Repubblica sono entrati nel luogo dove si stava svolgendo la riunione ed hanno trattenuto Nataniel. Fino ad ora non si sa dove si trovi.

Questo Centro dei Diritti Umani manifesta la sua preoccupazione per il fermo di Nataniel Hernández, difensore dei diritti umani, e sollecita le autorità del Messico a comunicare il luogo in cui si trova ed il motivo della sua detenzione.

Seguiamo inoltre con attenzione le notizie che inviano le diverse organizzazioni e comunità che partecipano a questa Giornata di Mobilitazioni a livello statale e nazionale.

-.-
1 Il CDH Digna Ochoa fa parte della Rete Nazionale dei DDHH TdT: http://www.redtdt.org.mx/gruposred.php#CHPS

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/frayba-informa-detienen-a-defensor-de-derechos-humanos/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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All’opinione pubblica
Ai mezzi di comunicazione statale, nazionale e internazionali 
Ai media alternativi
Alla Sexta
Alle organizzazioni indipendenti
Ai difensori dei diritti umani ONG

 Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios del la Voz del Amate, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN detenuti nella prigione numero 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Tutti i prodigi o miracoli di dio sono preziosi e preziosa è la vita che torna alla vita. Il nostro fratello e compagno prigioniero politico Alberto Patishtán Gómez, che stava per perdere la vista a causa del tumore cerebrale che lo ha colpito e che 4 mesi fa ha subito un delicato intervento chirurgico, il giorno 6 febbraio è stato nuovamente trasferito a Città del Messico causa l’evolversi della malattia ed affinché riceva assistenza adeguata per recuperare la vista.

Nello stesso tempo continuiamo ad esigere dal governatore dello stato, Manuel Velasco Coello, che ci liberi immediatamente e incondizionatamente perché siamo in prigione ingiustamente.

Per ultimo invitiamo la società civile, le organizzazioni indipendenti statali, nazionali e internazionale a non abbassare la guardia e vigilare sulla giustizia e le libertà.

Fraternamente,

I prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios del la Voz del Amate.

Prigione numero 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 7 febbraio 2013.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/solidarios-y-la-voz-del-amate-informan-de-nuevo-traslado-de-alberto-patishtan/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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DENUNCIA DEI Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate

 9 febbraio 2013 

All’opinione pubblica 
Ai mezzi di comunicazione statale, nazionale e internazionali 
Ai media alternativi 
Alla Sexta 
Alle organizzazioni indipendenti 
Ai difensori dei diritti umani ONG

Le autorità penitenziarie ci tengono nell’oblio, privati della nostra libertà ed ogni giorno aumenta la negligenza medica, e malattie curabili diventano incurabili per la mancanza di assistenza adeguata. 

Come accade nel caso del compagno professor Manuel Gómez Gutiérrez, al queale più di tre mesi fa sono stati diagnosticati due tumori alla schiena e da allora ha ricevuto solo blandi trattamenti che non sono idonei alla sua malattia, ed ora la situazione si è aggravata tanto che il compagno non muove più la mano sinistra, non parla più, non si alza più dalla branda ed ha perso totalmente la flessibilità del corpo. 

Denunciamo pubblicamente tutto questo e chiediamo che il governo statale di Manuel Velasco Coello intervenga il prima possibile nel caso del compagno malato che ha diritto di essere curato.  

Fraternamente,

Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN detenuti nel carcere n. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/09/denuncia-voz-del-amate-y-solidarios-falta-de-atencion-medica-a-interno/

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LORO E NOI

VI – Guardare 2

2.- Guardare ed ascoltare dal/in basso.

 Possiamo ancora scegliere dove e da dove guardare?  

Possiamo, per esempio, scegliere tra guardare quelli che lavorano nelle catene dei supermercati, lamentando a@ lavorator@ di essere complici della frode elettorale, e fare scherno dell’uniforme arancione che sono obbligati ad indossare le/gli impiegat@, oppure guardare l’impiegata che, dopo avere consegnato il conto…?

/ La cassiera si toglie il grembiule arancione borbottando per la rabbia che le monta nel sentirsi dire di essere stata complice della frode che ha portato al Potere l’ignoranza e la frivolezza. Lei, donna, giovane o donna matura o madre o nubile o divorziata o vedova o madre celibe o in attesa o senza figli o quello che sia, che inizia a lavorare alle 7 del mattino e se ne va alle 4 del pomeriggio, chiaro, se non ci sono straordinari da fare, e senza contare il tempo che ci vuole per arrivare da casa al lavoro e ritorno, e poi occuparsi della scuola o della casa, dei “lavori-propri-del-suo-sesso-che-si-possono-svolgere-con-un-tocco-di-civetteria”, ha letto in una delle riviste che si trovano di fianco alla cassa, un giorno che non c’era molta gente. Lei, che si suppone sia tra quelli che salveranno, è solo questione di un voto e poi, tatàn, la felicità. “Per caso i padroni indossano un grembiule arancione?”, dice tra sé irritata. Lei sistema un po’ il disordine propositivo col quale riesce a lavorare per non farsi riprendere dal direttore. Esce. Fuori l’aspetta il suo compagno. Si abbracciano, si baciano, si toccano con lo sguardo, camminano. Entrano in un internet-caffè o cyber caffè o come si dice. 10 pesos l’ora, 5 la mezz’ora…/

Mezz’ora – dicono, facendo mentalmente i conti di quanto hanno in tasca-tempo-autobus-percorso.

– Fammi credito Roco, non fare lo stronzo – dice lui.

– Va bene, ma quando ti pagano il mese mi paghi, altrimenti il padrone mi licenzia e poi sarai tu a dovermi prestare i soldi

– Va bene, ma non sarà tanto presto perché sono al lavaggio di auto.

– Beh, amico, lavatela – dice Roco.

I 3 ridono.

La 7 – dice il Roco.

Dai, cerca – dice lei.

Lui inserisce un numero.

No – dice lei -, cerca quando è iniziato tutto.

Navigano. Arrivano a quando sono un poco più di 131. Parte il video.

Sono degli snob – dice lui.

Calmati avanguardia rivoluzionaria. Sei fuori di testa se giudichi le persone per il loro aspetto. A me, che ho la pelle chiara, mi chiamano biondina e snob, e non vedono che non arrivo a metà mese. Bisogna guardare la storia di ognuno e quello che fa, stupido – dice lei, accompagnando l’argomentazione con una botta in testa.

Continuano a guardare.

Guardano, non parlano, ascoltano.

Gliele hanno cantate in faccia a Peña Nieto… sono forti, si vede che hanno le palle -, dice lui.

E le ovaie, stupido – e parte un’altra botta in testa.

Ehi, mia regina, ti denuncio per violenza in famiglia.

Sarà violenza di genere, stupido – e giù un’altra botta in testa.

Finiscono di guardare il video.

Lui: – E’ così che cominciano le cose, con pochi che non hanno paura.

Lei: – Oh sì, invece, hanno paura, ma la controllano.

Mezz’ora! – grida Roco.

Sì, andiamo.

Lei sorride.

E adesso perché ridi?

Niente, mi sono ricordata – gli si avvicina di più – di quando hai detto “in famiglia”. Non è che vuoi che siamo una famiglia?

Lui, senza esitazione:

Calma, piccola, poi è tardi, lo faremo, però senza troppe botte, meglio i baci, e più in basso e a sinistra.

– Non prendermi in giro! – un’altra botta – E niente “mia regina”, non siamo contro la dannata monarchia?

Lui, prima della botta di rigore: – Ok, mia… plebea.

Lei ride. Dopo pochi passi, dice:

– Credi che gli zapatisti ci inviteranno?

– Bè, se il Vins è mio amico e ha detto che lui è suo amico del cuore perché l’ha fatto vincere nel mortal kombat, alle macchinette, non dobbiamo fare altro che dire che siamo della banda del Vins e delle streghe – dice lui entusiasta.

E potrei portare mia mamma?

Certo, parlando di streghe, e con un po’ di fortuna potrebbe restare incastrata nel fango la futura suocera – dice ritraendo la testa aspettandosi la botta che non arriva.

Lei, arrabbiata:

E che diavolo ci potranno dare gli zapatisti se sono così lontani? Magari uno stipendio migliore, mi faranno rispettare, faranno smettere gli stronzi di guardarmi il sedere per strada, e il bastardo del padrone di toccarmi con qualsiasi pretesto? Mi daranno i soldi per pagare l’affitto, per comprare i vestiti ai miei figli? Abbasseranno il prezzo dello zucchero, dei fagioli, del riso, dell’olio? Mi daranno da mangiare? Affronteranno la polizia che tutti i giorni molesta e deruba quelli del quartiere che vendono dischi pirata dicendo che è per non denunciarli al signor o signora Sony…?

Non si dice “pirata”, ma “produzione alternativa”, mia reg… plebea. E non prendertela con me che siamo uguali.

Ma lei è ormai partita e niente la ferma più:

E a te, ti restituiranno il lavoro allo stabilimento, dov’eri già qualificato non so in che cosa? A cosa valgono gli studi, i corsi di formazione e tutto il resto, perché poi quello stronzo del padrone si porti via l’impresa non so dove, e il sindacato e lo sciopero, e tutto quello che hai fatto, per poi finire a lavare automobili? O come il tuo amico del cuore, il chompis, che gli tolgono il lavoro e fanno sparire il padrone perché non possa difendersi ed il governo col suo ritornello di sempre che è per migliorare i servizi e il livello mondiale e la madre del morto e per caso hanno abbassato le tariffe, no sono più care, e la maledetta luce che se ne va via in ogni momento e il bastardo di Calderón che fa lezione di senza-vergogna dai gringos, che sono i veri maestri di questo schifo. E mio papà, che dio l’abbia in gloria, che voleva passare dall’altra parte, non per fare il turista, ma per fare un po’ di soldi, di grana, di denaro, un salario per mantenerci quando eravamo bambini e mentre attraversava la linea l’ha preso la migra come fosse un terrorista e non un onesto lavoratore e non ci hanno ridato neanche il corpo e c’è quello stronzo di Obama che sembra avere il cuore del colore del dollaro.

Dai, frena, mia plebea.

– È che ogni volta che mi ricordo mi fa rabbia, tanto darsi da fare e alla fine si prendono tutto quelli che stanno sopra, ci manca che privatizzino le risate, anche se non credo, perché di queste ce ne sono poche, ma le lacrime sì, queste abbondano e loro diventano ricchi… sempre più ricchi. E poi arrivi tu con la storia degli zapatisti di qua e gli zapatisti di là, e in basso e a sinistra e l’ottava…

La Sexta, non l’ottava – la interrompe.

Quello che è, e questi tizi sono lontani e parlano uno spagnolo peggiore del tuo.

Su, non essere cattiva.

Lei si asciuga le lacrime e sussurra: – Maledetta pioggia che mi rovina il trucco, ed io che mi ero sistemata per piacerti.

Ehi, ma tu mi piaci di più senza niente…. addosso.

Ridono.

Lei, seria: – Bene, ok, ma dimmi, questi zapatisti ci salveranno?

No, mia plebea, non ci salveranno. Questo ed altro lo dovremo fare noi.

E allora?

Ci insegneranno.

Cosa ci insegneranno?

Che non siamo soli.

Lei tace per un momento. Poi, improvvisamente:

E né sole, stupido – altra botta in testa.

L’autobus è stracolmo. Vediamo il prossimo.

Fa freddo, piove. Si abbracciano, non per non bagnarsi, ma per bagnarsi insieme.

Lontano qualcuno aspetta, c’è sempre qualcuno che aspetta. E mentre aspetta, con una vecchia matita e in un vecchio e sgualcito quaderno, tiene il conto del guardare in basso che si vede da una finestra.

(continua…)

 Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/07/ellos-y-nosotros-vi-miradas-parte-2-mirar-y-escuchar-desdehacia-abajo/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI VI

LORO E NOI

VI – Guardare

1.- Guardare per imporre o guardare per ascoltare. 

Per una volta potrò dire
Senza che nessuno mi smentisca
Che non è lo stesso chi desidera
Da chi brama qualcosa
Come non sono uguali le parole
Dette per ascoltare
Da quelle dette per essere obbedite
Nemmeno è lo stesso chi mi parla
Per dirmi qualcosa
Da chi mi parla per farmi tacere”.
Tomás Segovia
“Quarta Traccia” in “Tracce ed Altri Poemi”
della casa editrice che ha il buongusto di chiamarsi “Senza Nome”.
Grazie ed un abbraccio a María Luisa Capella, ad Inés e Francisco
(onore al degno sangue che batte nei vostri cuori)
per i libri e le lettere-guida.

 

Guardare è un modo di domandare, diciamo noi zapatisti e zapatiste.

O di cercare…

Quando si guarda nel calendario e nella geografia, per quanto lontano siano l’uno e l’altra, si domanda, si interroga.

Ed è guardare dove l’altro, l’altra, l’altro appare. Ed è guardare dove questo altro esiste, dove si scorge il suo profilo come strano, come alieno, come enigma, come vittima, come giudice e boia, come nemico… o come compagn@.

È guardare dove si annida la paura, ma anche dove può nascere il rispetto.

Se non impariamo a guardare il guardarsi dell’altro, che senso ha il nostro guardare, le nostre domande?

Chi sei?

Qual’è la tua storia?

Dove le tue sofferenze?

Quando le tue speranze?

Ma non solo è importante che cosa o chi si guarda. Ma anche, e soprattutto, è importante da dove si guarda.

E scegliere dove guardare è anche scegliere da dove.

O è la stessa cosa guardare dall’alto il dolore di chi perde i propri amati cari, per la morte assurda, inspiegabile, definitiva, che guardarlo dal basso?

Quando qualcuno in alto guarda quelli in basso e si domanda “quanti sono?”, in realtà si sta chiedendo “quanto valgono?”

E se non valgono niente, che importa quanti sono? Per ovviare a questo inopportuno numero ci sono i grandi mezzi di comunicazione prezzolati, gli eserciti, i poliziotti, i giudici, le prigioni, i cimiteri.

Per il nostro guardare, le risposte non sono mai semplici.

Guardandoci guardare quello che guardiamo, ci diamo un’identità che ha a che vedere con sofferenze e lotte, con i nostri calendari e la nostra geografia.

La nostra forza, se ne abbiamo un po’, sta in questo riconoscimento: siamo quelli che siamo, e ci sono altr@ che sono quelli che sono, e c’è un altro per il quale ancora non abbiamo la parola per nominarlo e, tuttavia, è chi è. Quando diciamo “noi” non stiamo assorbendo, e così subordinando identità, ma risaltiamo i ponti che esistono tra le differenti sofferenze e le diverse ribellioni. Siamo uguali perché siamo differenti.

Nella Sexta, noi zapatiste e zapatisti ribadiamo il nostro rifiuto di ogni tentativo di egemonia, cioè, di ogni avanguardismo, sia che ci tocchi stare davanti oppure, come nel corso di questi secoli, allineati nella retroguardia.

Se con la Sexta cerchiamo i nostri simili per sofferenze e lotte, senza che importino i calendari e le geografie che ci distanzino, è perché sappiamo che non si sconfigge il Prepotente con un solo pensiero, una sola forza, una sola leadership (per quanto rivoluzionaria, conseguente, radicale, ingegnosa, numerosa, potente ed altre cose questa leadership sia).

I nostri morti ci hanno insegnato che la diversità e la differenza non sono debolezza per chi sta in basso, bensì forza per partorire, sulle ceneri del vecchio, il mondo nuovo che vogliamo, di cui abbiamo bisogno, che meritiamo.

Sappiamo che questo mondo non è immaginato solo da noi. Ma nel nostro sogno, questo mondo non è uno, bensì molti, differenti, diversi. Ed è nella sua diversità che risiede la sua ricchezza.

I ripetuti tentativi di imporre l’unanimità, sono responsabili dell’impazzimento della macchina che ad ogni minuto si avvicina al minuto finale della civiltà come conosciuta fino ad ora.

Nella tappa attuale della globalizzazione neoliberale, l’omogeneità non è altro che la mediocrità imposta come divisa universale. E se si differenzia in qualcosa dalla pazzia hitleriana, non è nel suo obiettivo, bensì nella modernità dei mezzi per ottenerla.

-*-

E sì, non solo noi cerchiamo il come, quando, dove, cosa.

Voi, per esempio, non siete Loro. Anche se non sembra abbiate alcun problema ad allearvi con Loro per… ingannarli e sconfiggerli dall’interno? per essere come Loro ma non proprio Loro? per rallentare la velocità della macchina, limare i canini della bestia, umanizzare il selvaggio?

Sì, lo sappiamo. C’è una montagna di argomenti per sostenerlo. Si potrebbero perfino forzare alcuni esempi.

Ma…

Voi ci dite che siamo uguali, che siamo nella stessa barca, che è la stessa lotta, lo stesso nemico… Mmh… no, non dite “nemico“, dite “avversario“. D’accordo, anche questo dipende dall’evenienza di turno.

Voi ci dite che bisogna unirci tutt@ perché non c’è altra strada: o le elezioni o le armi. E voi, che con questo pretesto fallace sostenete il vostro progetto di invalidare tutto quello che non si assoggetti al reiterato spettacolo della politica dell’alto, ci intimate: morite o arrendetevi. Ci offrite perfino l’alibi, perché, sostenete, siccome si tratta di prendere il Potere, ci sono solo queste due strade.

Ah! e noi così disubbidienti: né moriamo, né ci arrendiamo. E, come dimostrato il giorno della fine del mondo: né lotta elettorale né lotta armata.

E se non si tratta di prendere il Potere? O meglio: se il Potere non risiede più in questo Stato Nazione, questo Stato Zombi popolato da una classe politica parassita che pratica la rapina sulle rovine delle nazioni?

E se gli elettori che tanto vi ossessionano (per il fascino delle masse) non fanno altro che votare per qualcuno che altri hanno già scelto, come ogni volta vi dimostrano Loro mentre si divertono con ogni nuovo tipo di trucco?

Sì, vero, vi nascondete dietro i vostri pregiudizi: quelli che non votano? “è per apatia, per disinteresse, per mancanza di educazione, fanno il gioco della destra”… la vostra alleata in tante geografie, in non pochi calendari. Votano ma non per voi? “è perché di destra, ignoranti, venduti, traditori, morti di fame, zombi!

  Nota di Marquitos Spoil: Sì, noi simpatizziamo per gli zombi. Non solo per la rassomiglianza fisica (non abbiamo bisogno di trucco ed anche così sbancheremmo il casting di “The Walking Dead”). Anche e soprattutto perché pensiamo, insieme a George A. Romero, che, in un’apocalisse zombi, la brutalità più folle sarebbe opera della civiltà sopravvissuta, non dei morti che camminano. E se restasse qualche vestigia di umanità, brillerebbe nei paria di sempre, i morti viventi per i quali l’apocalisse inizia alla nascita e non finisce mai. Come succede adesso in ogni angolo di tutti i mondi che esistono. Non c’è film, né fumetto, né telefilm che lo racconti.

Il vostro sguardo è segnato dal disprezzo quando rivolto in basso (anche se allo specchio), e di sospiri d’invidia quando rivolto in alto.

Non riuscite neppure ad immaginare che l’interesse per qualcuno di guardare “in alto” non sia altro che per vedere come toglierselo di dosso.

-*-

Guardare. Dove e da dove. Questo è ciò che ci separa.

Voi credete di essere gli unici, noi sappiamo che siamo uno di più.

Voi guardate in alto, noi in basso.

Voi guardate come sistemarvi, noi come servire.

Voi guardate come guidare, noi come accompagnare.

Voi guardate quanto si guadagna, noi quanto si perde.

Voi guardate quello che è, noi quello che può essere.

Voi guardate numeri, noi persone.

Voi calcolate statistiche, noi storie.

Voi parlate, noi ascoltiamo.

Voi guardate come vi vedete, noi guardiamo lo sguardo.

Voi ci guardate e ci rimproverate dove eravamo quando il vostro calendario segnava le sue urgenze “storiche”. Noi vi guardiamo e non vi chiediamo dove siete stati durante questi più di 500 anni di storia.

Voi guardate come approfittare della congiuntura, noi come crearla.

Voi vi preoccupate dei vetri rotti, noi della rabbia che li rompe.

Voi guardate i molti, noi i pochi.

Voi guardate muri insormontabili, noi le crepe.

Voi guardate le possibilità, noi l’impossibile solo fino alla vigilia.

Voi cercate specchi, noi i vetri.

Voi e noi non siamo uguali.

-*-

Voi guardate il calendario di sopra e ad esso subordinate la primavera delle mobilitazioni, le masse, la festa, la rivolta di massa, le strade colme di canti e colori, slogan, sfide, quelli che sono già molti di più di cento trenta e rotti, le piazze piene, le urne ansiose di riempirsi di voti, e voi accorrete subito perché è-chiaro-che-gli-manca-una-guida-rivoluzianaria-di-partito-una-politica-di-alleanze-ampie-flessibile-perché-quello-elettorale-è-il-loro-destino-naturale-ma-sono-molto-giovani-piccini-“bimb@ bene”-/-e poi-lumpen-quartiere-banda-proletari-numero-di-potenziali-elettori-ignoranti-inesperti-ingenui-rozzi-ostinati, soprattutto ostinati. E vedete in ogni atto di massa il culmine dei tempi. Poi, quando non ci sono più moltitudini ansiose di un leader, né urne, né feste, decidete che è finita, basta, che sarà per un’altra volta, che bisogna aspettare 6 anni, 6 secoli, che bisogna guardare altrove, ma sempre per il calendario di sopra: le liste, le alleanze, i posti.

E noi, sempre con lo sguardo di traverso, rimontiamo il calendario, cerchiamo l’inverno, nuotiamo controcorrente, attraversiamo il torrente, arriviamo alla sorgente. Lì vediamo quelli che cominciano, quelli che sono pochi, i meno. Non ci parliamo, non li salutiamo, non gli diciamo cosa fare, non gli diciamo cosa non fare. Invece li ascoltiamo, li guardiamo con rispetto, con ammirazione. E loro, forse non si accorgeranno mai di questo piccolo fiore rosso, così simile ad una stella, piccolo come un sassolino, e che la nostra mano resta in basso, vicino al loro piede sinistro. Non perché così vogliamo dire loro che il fiore-roccia è nostro, delle zapatiste, degli zapatisti. Non perché prendano questa pietra e la scaglino contro qualcosa, contro qualcuno, anche se non mancano voglia né motivi. Bensì forse perché è il nostro modo di dire loro, a tutt@ loro e a tutt@ nostr@ compagn@ della Sexta, che le case ed i mondi si cominciano a costruire con piccoli ciottoli e poi crescono e quasi nessuno si ricorda di quei sassolini dell’inizio, tanto piccoli, tanto poca cosa, tanto inutili, tanto soli, ed allora arriva una zapatista, uno zapatista, e vede la pietruzza e la saluta e siede al suo fianco e non parlano, perché le piccole rocce, come gli zapatisti, non parlano… fino a quando parlano, e poi secondo il caso, o la cosa, tacciono. No, non tacciono mai, ma succede che non c’è chi senta. O forse perché abbiamo visto più lontano nel calendario e sapevamo, da prima, che questa notte sarebbe arrivata. O forse perché così gli diciamo, anche se non lo sanno, ma lo sappiamo noi, che non sono sol@. Perché è con i pochi che le cose iniziano e ricominciano.

-*-

Voi non ci avete visto prima… e continuate a non guardarci.

E, soprattutto, non ci avete visto guardarvi.

Non ci avete visto guardarvi nella vostra superbia, distruggere stupidamente i ponti, scavare le strade, allearvi con i nostri persecutori, disprezzarci. Convincendovi che quello che non esiste sui media semplicemente non è.

Non ci avete visto guardarvi dire e dirvi che così eravate a riva, che la cosa possibile è sul terreno solido, che tagliavate gli ormeggi di quell’assurda barca di assurdi e impossibili, e che erano quei matti (noi) che andavano alla deriva, isolati, soli, senza rotta, pagando con la nostra esistenza l’essere conseguenti.

Siete riusciti a vedere la rinascita come parte delle vostre vittorie, ed ora la ruminate come un’altra delle vostre sconfitte.

Andate, proseguite per la vostra strada.

Non ascoltateci, non guardateci.

Perché con la Sexta e con le/gli zapatisti non si può guardare né ascoltare impunemente.

Questa è la nostra virtù o la nostra maledizione, dipende dove si guarda e, soprattutto, da dove si solleva lo sguardo.

(continua…) 

Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/06/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 febbraio 2013

Gli ejidatarios di Bachajón accusano il governo di “disprezzare gli indigeni”

HERMANN BELLINGHAUSEN

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas) hanno accusato le autorità del governo e la giustizia di dimostrare “disprezzo per noi indigeni” dopo che un giudice federale ha negato loro il ricorso per recuperare le terre loro sottratte per scopi turistici. Esigerono anche la liberazione di tre loro compagni, attualmente detenuti in diverse prigioni dello stato. 

“I nostri compagni Miguel Vázquez Deara (nel carcere N. 16, El Encino, ad Ocosingo), Miguel Demeza Jiménez (nel carcere N. 14, El Amate, a Cintalapa de Figueroa) ed Antonio Estrada Estrada (nel carcere N. 17, a Playa de Catazajá), sono ingiustamente in prigione per reati montati e continuano a subire l’ingiustizia per la mancanza di imparzialità e indipendenza delle autorità giudiziarie che favoriscono gli interessi del malgoverno”.

Lo scorso 30 gennaio il giudice di Tuxtla Gutiérrez, José del Carmen Constantino Avendaño, “quale lacchè e servo del malgoverno che ruba le nostre terre, ha bocciato il ricorso” promosso dal legale degli ejidatarios, Mariano Moreno Guzmán.

“Dopo la violenza, il gruppo armato che lo stesso governo ha istruito per agire con violenza il 2 febbraio 2011, ne ha approfittato per stabilirsi illegalmente sulle nostre terre solo perché il commissario Francisco Guzmán Jiménez ed il consigliere di vigilanza Melchorio Pérez Moreno, filogovernativo, hanno tradit il loro popolo firmando un accordo, il 13 febbraio, di presunta pace e riconciliazione, ma che autorizza la consegna delle nostre terre senza l’autorizzazione dell’assemblea dell’ejido”.

Gli indigeni denunciano: “Più che pace, è un accordo di esproprio e sopruso ai danni del popolo di Bachajón. E se questo non bastasse, al processo di appello, Guzmán Jiménez ed il segretario di Governo, Noé Castañón León, hanno presentato un presunto verbale di assemblea” redatto “senza convocazione né firma degli ejidatarios; non ha alcuna validità perché quell’assemblea non è mai esistita, e c’è solo la firma dei rappresentanti filogovernativi dell’ejido che autorizzano la donazione delle nostre terre”.

Accusano il giudice Constantino Avendaño di “starsene tranquillamente seduto alla scrivania, con un ricco stipendio, e con un tratto di penna nega la giustizia al nostro popolo”, dimostrando di essere al servizio del potere “senza saggezza né onestà”. Dichiarano: “Andremo avanti con la causa e reresisteremo dal nostro territorio alla repressione dello Stato”. Così i loro antenati hanno difeso il territorio, sostengono, “ed è l’eredità che dobbiamo difendere”. 

Gli ejidatarios di San Sebastián riaffermano il loro impegno con la Sesta “nazionale e internazionale” e invitano “dai molti angoli del mondo e forme di lotte, ad adottare alternative per far fronte al mostro capitalista, sempre più impegnato a derubare chi è dei nostri, la nostra dignità per essere quello che siamo”. 

Infine aveertono: “Non ci zittiranno con la loro Crociata Nazionale contro la Fame, non viviamo di elemosina, stiamo ancora aspettando che si realizzino gli accordi di San Andrés firmati dal governo messicano, che riconoscono i nostri diritti come popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/06/politica/018n1pol

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1° febbraio 2013

Respinto l’appello degli jidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis. 31 gennaio. Un giudice federale ha respinto l’appello presentato dagli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, che da due anni chiedono la restituzione delle terre occupate dalle autorità governative e da gruppi filogovernativi locali. Il 2 febbraio del 2011 gli ejidatarios, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, erano stati spossessati violentemente da civili, con il sostegno della forza pubblica, delle terre ad uso comune, per favorire il progetto turistico delle cascate di Agua Azul, municipio di Tumbalá. Gli avvocati Ricardo Lagunes Gasca e Maribel González Pedro, rappresentanti legali degli ejidatarios, denunciano oggi che le considerazioni arbitrarie del giudice José del Carmen Constantino Avendaño costituiscono inequivocabilmente una mancanza di imparzialità ed indipendenza nella sua funzione giurisdizionale e denotano disprezzo per i popoli indigeni e per le riforme costituzionali della difesa e diritti umani. Oggi, come giudice di distretto, Constantino Avendaño ha reso pubblica la sentenza definitiva, emessa questo giovedì, relativa all’appello presentato dall’indigeno Mariano Moreno Guzmán contro la privazione parziale e definitiva di terre di uso comune di San Sebastián Bachajón, da parte di autorità locali e federali, con la complicità del Commissariato e Consiglio di Vigilanza filogovernativi in usurpazione delle loro funzioni. Secondo Lagunes e González Pedro, questa decisione è paradigmatica nell’evidenziare che alcuni giudici cedono davanti alle pressioni delle autorità che derubano i popoli indigeni dei loro territori, e mostra la grande sfida che deve affrontare  il Potere Giudiziale della Federazione per garantire un cambiamento di mentalità tra i suoi funzionari di tutte le gerarchie che permetta una forma diversa di applicare il diritto dalla prospettiva più ampia, progressista e a protezione dei diritti umani. Moreno Guzmán esibì davanti al giudice l’accordo del 13 febbraio di 2011 in cui le autorità ejidali di San Sebastián, senza autorizzazione né consenso dell’Assemblea, consegnarono delle terre di uso comune. Benché, di fatto, queste terre erano “già in possesso dello Stato dal 2 febbraio, dopo lo sgombero violento degli indigeni aderenti alla Sesta da parte di un gruppo di civili armati”. Durante l’iter del processo d’appello, la Segreteria Generale di Governo ed il presidente filogovernativo del Commissariato Ejidale, Francisco Guzmán Jiménez, hanno consegnato un documento definendolo verbale di assemblea. Questo verbale è stato contestato per tempi e forma non essendo conforme agli standard stabiliti dalla legislazione agraria e dai trattati internazionali in materia di diritti dei popoli indigeni. E’ stato “elaborata per simulare la legalità dell’accordo’ “. A giudizio dei difensori, questi documenti non hanno validità né costituiscono un consenso libero, previo e informato del massimo organo dell’ejido rispetto agli atti di esproprio. Inoltre, il comportamento precedente e successivo dei rappresentanti filogovernativi dimostra che non rappresentano gli interessi collettivi della loro comunità, ma proteggono gli interessi del governo per appropriarsi di quel territorio indigeno e minare il movimento sociale che lo difende. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/01/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SupMarcos: P.S.

P.S. de La Sexta che, come si evince dal suo nome, era la parte quinta di “Loro e noi”

Gennaio 2013

P.S. CHE FORNISCE QUALCHE TIPS PER RAFFORZARE I VOSTRI SOSPETTI:

1.- Se qualcuno…

ha tutte, diverse od alcune delle seguenti aggravanti, come ad esempio: essere donna, essere uomo, essere bambin@, essere giovane, essere studente, essere impiegat@, essere ribelle, essere lesbica, essere gay, essere indigeno, essere operai@, essere colon@, essere contadin@, essere disoccupat@, essere credente, essere lavoratrice del sesso, essere artista, essere collaboratore/trice domestic@ ma non addomesticat@, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.

è diverso e non solo non ne soffre e non si nasconde, al contrario, sfida le coscienze belle, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.

è un’organizzazione, gruppo o collettivo libero e/o libertario, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.  

è qualcuno che non ci sta in una lista che non sia “prescindibili”, allora faccia attenzione, può essere  che sia della Sexta.

è qualcuno che non accetta ordini se non dalla sua coscienza, allora faccia attenzione, può essere  che sia della Sexta.

è qualcuno che non aspetta né vuole salvatori supremi, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.

è qualcuno che semina sapendo che non vedrà il frutto, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.

è qualcuno che, quando gli si spiega pazientemente e in buona maniera (cioè, sull’orlo dell’isteria), che la macchina è onnipotente ed invincibile, sorride, non come se non lo capisse, ma come se non gli importasse, allora faccia attenzione, può essere che sia della Sexta.

P.S. OPZIONE MULTIPLA.

State chiacchierando con un@ vostro@ compa, chiunque sia, in ogni caso, di cose vostre. Proprio quando state dicendo al vostro interlocutore (a): “poi, ci siamo accorti che ci avevano visto, in quel momento arriva un signore con la faccia da “sono-molto-rispettabile-ho-molte-conoscenze”, che vi sfodera davanti una lunga fila di carnet rivoluzionari da analista rivoluzionario di tutte le rivoluzioni passate e da venire, e comincia a spiegarvi, con tono stridulo, che dovete ubbidirgli e fare come lui vi consiglia-suggerisce-ordina. E, quando state dicendo al vostro compa “ma che vuole questo?”, il signore, alzando il tono di voce, dice, mostrando il suo alto livello intellettuale e tappandosi le orecchie, “non sento, non sento, non voglio sentire” e se ne va via arrabbiato. Allora voi:

a).- lo rincorrete per supplicarlo di non abbandonarvi nell’oscurità della vostra ignoranza e che per favore continui ad illuminarvi con la sua luce diafana.

b).- dite tra i singhiozzi, “è vero, sono stato un folle e un ingrato, non lo farò più”.

c).- completate il “ma che vuole questo?” rimasto in sospeso.

d).- dite al vostro compa “hei, accidenti, credevo che da un momento all’altro arrivassero gli sbirri, voglio dire, gli altri sbirri”.

e).- dite a voi stessi “ porca miseria. Questa città sta andando in malora”.

f).- continuate impalati a guardare quel muro così spoglio, solitario, senza macchia, e pensate a come racimolare i soldi per comprare qualche spray perché, pensate, a un muro così non si può negare una firma o un graffito, è questione di mettersi d’accordo con la “crew“, per l’ora e il posto, o, come dice qualcuno, il calendario e la geografia. Inoltre, avete già un’idea di quello che scriverete, sì, quella di Mario Bendetti che dice: “Di due pericoli deve guardarsi l’uomo nuovo: dalla destra quando è destra, dalla sinistra quando è sinistra”.

[gioco di parole in spagnolo tra derecha-destra; lato destro e diestra-malvagia; manipolatrice – izquierda-sinistra; lato sinistro e siniestra-perfida; sinistra – n.d.t.]

g).- tornate a casa, vicolo, capanna, abitazione, quale che sia, e dite al vostro compagno: “Credo che non mangerò più quei panini superimbottiti. Oggi ho sognato che, in mezzo strada, ero nel programma di Laura Bozzo e quando hanno gridato “passi il disgraziato”, mi spingevano e dicevano “dai, forza, è il tuo turno”.

h).- pensate, “miseria, è proprio vero che droga e alcol colpiscono il cervello”.

i).- vi domandate “a chi si riferirà?”.

Se avete risposto a e/o b, avete un futuro, ma vi mancano i dettagli. Per esempio, dovevate offrirvi di portargli i libri. Se non lo fate per servilismo, allora aggiungete alla pila di libri quello di Pascal Quignard dal titolo “Butes” o “Boutés” (adesso è di moda il francese) dell’editore Sextopiso (si chiama proprio così). Affinché il signore lo legga ed impari ad usare con più ingegno l’allegoria delle sirene. Ah, ma lui vi dice di continuare a remare per portare a casa l’eroe.

Se avete risposto ad una delle opzioni c, d, e, f, g, h, allora, compa, non avete scampo ed ovviamente non avrete un posto da VIP nell’inevitabile-rivoluzione-mondiale-che-porterà-l’aurora-alla-massa-abbandonata-guidata-dall’analisi-profonda-e-concreta-della-realtà-concreta dei saggi analisti. Ni pex, ma chi ve lo fa fare di quelle cattive vibrazioni della ribellione, della libertà e dell’autonomia.

Se avete risposto i, non preoccupatevi, non vale la pena.

P.S. CHE VI ORIENTA E VI DICE CHE…

State perdendo tempo se…

1.- Mentre argomentate con qualcuno che “La paura delle altezze è illogica. La paura di cadere, d’altra parte, è prudente ed evoluzionista”, come afferma Sheldon Cooper dando la sua versione del “in basso” sostenendo la convenienza di rimanere sotto, il vostro interlocutore, dopo aver ripassato mentalmente tutti i nomi degli autori rivoluzionari classici ed i nomi di tutti i segretari generali di tutti i partiti, vi domanda “chi diavolo è questo Sheldon Cooper, un altro barbone della Sexta?”.

2.- Se state ripetendo ad alta voce:

C’è sempre una possibilità, seppur piccola. Ci troviamo di fronte ad un lungo e duro viaggio, forse più duro di quanto si possa immaginare. Ma non può essere più difficile del viaggio fatto fino ad ora. Siamo rimasti in pochi. Per questo dobbiamo restare uniti, lottare per gli altri, essere disposti a dare la nostra vita per gli altri se è necessario.”

E qualcuno vi interrompe, irritato,per dirvi:

Smettila di recitare quello che scrive quella testa-di-cavolo. Sono stufo, razza di ingenui. E quella spiegazione della tappa successiva della Sesta non è altro che letteratura a buon mercato del subcomediante marcos. Non ti accorgi che usa gli indigeni solo per farsi i soldi per andare in Europa a passeggio con la Cassez? Perché lo sanno tutti che il “ciuffo” è sceso a patti con quel pagliaccio di marcos per la liberazione della francesina, e che assolveranno il PRI dalla frode elettorale”.

Chi ha parlato così se ne va soddisfatto di avervi illuminato e non riuscite più a spiegargli che è una battuta del personaggio Rick Grimes (interpretato da Andrew Lincoln) nel primo episodio della seconda stagione della serie televisiva “The Walking Dead“, prodotta da Frank Darabont, basata sul fumetto omonimo creato da Robert Kirkman e Tony Moore, e prodotto da AMC.

  Nota di Marquitos Spoil: Sì, anch’io penso che Daryl Dixon (interpretato da Norman Reedus) né Michone (interpretata da Danai Gurira) devono morire, ma forse gli sceneggiatori temono che i due aderiscano alla Sexta, combaciano col profilo.

P.S. CHE CONSIGLIA:

Potete recuperare un po’ del tempo perduto se, dopo i 2 episodi riferiti prima, e dopo averci pensato un po’, vi domandate “Che diavolo è la Sexta?”.

Allora andate sul vostro motore di ricerca preferito: “Sexta” e…

vi appaiono sullo schermo tutti i possibili e impossibili WARNINGS, dal “attento,questo nuoce gravemente alla tua salute mentale”, “url pericolosa” (ah, omaggio involontario di questo programma antivirus, grazie), fino al classico “rilevato virus libertario, non colpisce l’hardware ma fa un casino del software del vostro pensiero”; ed a continuazione: “eliminate il virus immediatamente”, “inseritelo in quarantena tra gli “argomenti da evitare”, “passate alla sezione della cause perse”, “archiviare nelle ingenuità“, etc.

Siete evidentemente contrariate (se no, perché continuate a leggere?) e vi rompe il ca.. (bip di censura), cioè, vi disturba che vi dicano che cosa si può o si deve fare e che cosa no, cosicché date un click e vi pentite quasi immediatamente perché, per dirla in termini non cibernetici, lo schermo diventa un emerito casino, con talmente tanti colori che nemmeno il salvaschermo più aggiornato ha previsto, poi musica (senza offendere i lettori) di ogni tipo. Chiaramente vi state domandando cos’è successo al computer e, già che ci siamo, che non ci siano spie e intercettazioni, e in quel mentre, tatàn, parole, tante parole, che dopo che si sono sistemate riuscite a leggere:

La Sexta“.- Nome con il quale gli zapatisti dell’EZLN si riferiscono alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e/o a chi aderisce a detta dichiarazione. Nome con il quale si autodefinisce un piccolo, molto piccolo, piccolissimo, infimo, gruppo di uomini, donne, bambini, anziani ed altr@ che resistono e lottano contro il capitalismo e si propone di fare un mondo migliore, non perfetto, ma migliore.  Nome con il quale si designa gente sporca, brutta, cattiva, villana e ribelle che vuole costruire un altro modo di fare politica (cioè, che pisciano controvento perché per questo non esiste finanziamento, né incarichi, né prestigio socialmente riconosciuto). Nome con il quale si identifica un numero indeterminato ma disprezzabile di persone e gruppi che si sentono convocati ma non subordinati dagli zapatisti, mantengono la propria autonomia, il proprio calendario e la propria geografia (la maggioranza non è soggetto di credito, pertanto sono perfettamente prescindibili). Ho già detto che sono sporchi, brutti, cattivi, rozzi? Ah, è che lo sono davvero.  Per “zapatisti”, vedere anche “scarpe”, “pantofole”, “calzolai”, “ribelli”, “fastidiosi”, “molesti”, “inutili”, “irriverenti”, “senza tessera elettore”, “non nati”, “volgari, soprattutto volgari”, “sì, anche sporchi, brutti e cattivi”.

P.S. SULLA CITATA (in più di un senso) PASSWORD:

Compas della Sexta e non della Sexta: Ho ricevuto un numero imprecisato (è più elegante che scrivere “un casino”) di messaggi riguardanti la password. Fermi tutti che vi spiego:

Come avete potuto vedere, la nostra pagina scade al settimo click di tentativo. Potrei unirmi alle teorie del complotto e giustificarci con un attacco cibernetico del villano di turno, del supremo governo, del pentagono, del MI6, della DGSE, la CIA o del KGB (non c’è più il KGB? Ecco, avete la prova che siamo nella preistoria), ma la verità è che abbiamo un server, molto alternativo, che funziona a pozol e, quando abbiamo detto ai compas incaricati, “datelo al server”, se lo sono bevuti loro il pozol e non ne è rimasto altro per il server. Ma abbiamo visto che ci sono compas che conoscono queste cose ed hanno i propri media liberi, blogs, pagine web, etc. E sono quelli che catturano gli scritti e, a volte, anche i video. I video sono molto importanti nei testi, tanto che li prepariamo nello stesso modo ed anche meglio delle parole. Per questo li mettiamo nella pagina elettronica “Enalce Zapatista”, perché la sola parola viene meglio se è accompagnata da musica e video che completano la parola, come se fosse un poscritto molto postmoderno, molto di queste parti. Bene, ma stavo dicendo che que@ compas dei media liberi e libertari, gruppi, collettivi, individui, catturano quello che diciamo e lo lanciano più lontano ed in molte parti.

Allora abbiamo fatto delle prove. Sappiamo che per que@ compas non c’è password che tenga e, anche se non sanno qual’è, provano e riprovano e zac!, ecco che leggono il testo. Ed abbiamo pensato, che cosa succede se, per dire, i malgoverni ci oscurano la parola ed i media prezzolati ci puniscono con il loro disprezzo? L’hanno già fatto altre volte, per questo c’è gente che ci dà e ci dà con la litania del perché stavamo in silenzio, e perché fino adesso e bla, bla, bla. Allora abbiamo pensato che se ci oscurano, se questi compas catturano la nostra parola la soffieranno ad altri. Perché a noi interessano come interlocutori anche coloro che si informano attraverso di loro. Allora abbiamo pensato, proviamo se i compas che stanno là, soprattutto quelli che non sanno ancora che sono i nostri compas (nemmeno noi lo sappiamo, ma non è questo l’argomento) bussano per sapere di noi: che cosa fanno? ne cercano altri? o cosa. E questo abbiamo fatto. E questo abbiamo visto: perché quei compas cibernetici hanno beccato o aggirato subito la password ed immediatamente hanno lanciato il testo completo, in maggioranza con video e tutto. (…). Ok, ok, ora sapete, compas, che se non riuscite ad entrare nella pagina web, cercate nelle pagine degli altri compas. Ed a quei compas liberi e/o libertari dei media, blog, pagine, o come si chiamino, davvero, di cuore: grazie. Credetemi quando vi dico che (ne abbiamo passate tante) non è facile per noi, gli zapatisti, le zapatiste, dire questa parola. Perché noi pesiamo molto le parole, tanto che abbiamo fatto una guerra per esse.

Ogni tanto ci saranno parti con password, ma sarà per cose molto concrete e per non annoiare le persone con argomenti che forse non interessano, a quelli della Sexta forse sì, ma non a tutt@, a molto poch@. Per esempio: un invito che per agosto di quest’anno del 2013, quando le Giunte di Buon Governo zapatiste compiranno 10 anni di autonomia libertaria; e che ci sarà una piccola festa nelle comunità zapatiste; e che per quella data pioverà molto, e che qua, oltre alla dignità, la cosa che abbonda è il fango, cosicché quelli che verranno si portino il necessario per non ritrovarsi del colore della terra. Bene, queste cose, compas, lo metteremo con password, perché alla maggioranza non interessa quest’informazione, solo a quell@ della Sexta e a qualche invitat@. E’ così. (…).

D’accordo. Salute e, davvero, scriveteci e leggeremo tutto quello che scriverete, sia positivo che negativo, da ogni parte. Perché sappiamo che il mondo è molto grande, che ha molti mondi, e che l’unanimità esiste solo per le teste dei fascisti di tutto lo spettro politico che vogliono imporre la loro omogeneità.

Da un qualunque angolo di ogni mondo.
SupMarcos
Gennaio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: LINK

(Traduzione “Maribel” – bergamo)

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La Jornada – Lunedì 28 gennaio 2013

Il tribunale di Simojovel può riparare all’ingiustizia di 7 anni

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 27 gennaio. Cresce la richiesta di assoluzione e liberazione di Rosario Díaz Méndez, aderente della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e membro della Voz del Amate, attualmente detenuto nella prigione statale del municipio di San Cristóbal. La soluzione del suo caso ha avuto molti ritardi. Ora esiste una nuova opportunità di rendergli giustizia dopo quasi otto anni di privazione della libertà. 

Per questo, 37 collettivi ed organizzazioni di diversi paesi e vari stati della Repubblica hanno chiesto al tribunale di prima istanza di Simojovel de Allende ed al governo del Chiapas di emettere sentenza di assoluzione per Díaz Méndez riguardo al reato a lui imputato di omicidio.

Dal 10 gennaio, quando si è celebrata l’udienza nel tribunale di Simojovel, decorre un termine di 15 giorni perché venga emessa una nuova sentenza su Díaz Méndez, accusato di un omicidio che non ha mai commesso. Questo, in relazione ai fatti avvenuti il 4 aprile del 2005, quando cinque persone che in auto si dirigevano nel municipio di Huitiupán furono assaltate da quattro individui armati. L’autista morì ed il 23 agosto 2005 Díaz Méndez fu arrestato con l’accusa di aver partecipato all’omicidio. 

Le organizzazioni sostengono: È imprigionato con un’accusa basata su prove insufficienti o fabbricate dal Pubblico Ministero. Secondo le testimonianze raccolte dalle autorità di giustizia, non esiste alcuna prova che confermi la sua colpevolezza.

Come ha già fatto la difesa del detenuto tzotzil, le organizzazioni solidali citano le prove a carico e discarico. Rosario Díaz Méndez si è sempre dichiarato innocente, perché al momento dei fatti si trovava a Playa del Carmen, in Quintana Roo, a lavorare come muratore insieme a due dei suoi figli che sostengono questa versione. I quattro testimoni oculari, vittime dell’assalto, hanno dichiarato di aver visto quattro uomini armati, descrivendo con dettaglio l’evento. Questi testimoni in nessun momento dicono chi erano quegli assalitori, e nessuno di loro ha mai detto di aver visto Rosario partecipare al delitto. Quando nel 2008 c’è stato un confronto con i testimoni, questi non lo hanno riconosciuto come uno degli aggressori, riferisce l’ingiunzione ai giudici.

L’agente del Pubblico Ministero Pubblico si è basato sulla testimonianza di una presunta testimone che nel 2005 ha dichiarato di avere visto i fatti e riconosciuto gli aggressori includendo Díaz Méndez. Tuttavia, il confronto avvenuto il 19 gennaio 2011 tra l’imputato e questo testimone a caricoha dimostrato che questa testimonianza era stata montata dalle autorità, perché il testimone non ha confermato la dichiarazione fatta al pubblico ministero, né riconosce la sua firma né le sue impronte sul documento. Quando la polizia lo catturò nel 2005, Díaz Méndez subì la tortura e multiple violazioni dei suoi diritti umani. 

I collettivi e le organizzazioni ritengono evidente che non ci sono motivi per dichiararlo colpevole, perché non esistono prove sufficienti alla sua condanna. Dunque, il tribunale di Simojovel ha nelle sue mani la possibilità di mettere fine ad un’ingiustizia che dura da oltre 7 anni. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/28/politica/018n1pol

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LORO E NOI

V – LA SEXTA

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Gennaio 2013

Per: le/i compagn@ aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in tutto il mondo.

Da: Le zapatiste, gli zapatisti del Chiapas, Messico.

Compagne, compagni e compañeroas:

Compas della Rete contra la Repressione e per la Solidarietà:

Le donne, gli uomini, i bambini e gli anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i più piccoli tra i vostri compagni, vi mandano il loro saluto.

Abbiamo deciso che la nostra prima parola particolarmente rivolta a@ nostr@ compagn@ della Sesta, sia resa nota in uno spazio di lotta, come lo è quello della Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà.  Ma le parole, i sentimenti ed i pensieri che qui si scorgono hanno come destinatario anche chi non è presente.  Sono, soprattutto, per loro.

-*-

Ringraziamo per l’appoggio che avete dato per tutto questo tempo alle nostre comunità, ai nostri compagni basi di appoggio zapatiste ed ai compas aderenti detenuti in Chiapas.

Nel nostro cuore sono custodite le vostre parole di incoraggiamento e la mano collettiva che si è stretta alla nostra.

Siamo sicuri che uno dei punti da trattare nella vostra riunione sarà, o è già stato, quello di lanciare una grande campagna in appoggio al compa Kuy, per denunciare l’aggressione di cui è stato oggetto e chiedere giustizia per lui e per tutti quelli feriti in quell’occasione, e per chiedere la liberazione immediata di tutti gli arrestati a Città del Messico e a Guadalajara in occasione delle proteste contro l’imposizione di Enrique Peña Nieto quale titolare dell’esecutivo federale.

Non solo, ma è importante anche che quella campagna contempli di chiedere fondi per appoggiare il compa Kuy per le spese di ospedalizzazione e di riabilitazione che le zapatiste e gli zapatisti augurano avvenga presto.

Per appoggiare questa campagna di fondi, stiamo mandando una piccola somma di denaro.  Vi chiediamo che, benché piccola, la sommiate a quella che raccoglierete per il nostro compagno di lotta.  Quando potremo raccoglierne di più, faremo arrivare il nostro contributo a chi nominerete per questo compito.

-*-

Approfittiamo di questa riunione non solo per salutare il vostro impegno, ma anche e soprattutto, per salutare, attraverso voi, tutti i compas in Messico e nel mondo che si sono mantenuti fermi in questo nodo che ci unisce e che chiamiamo la Sesta. 

  Sappiate che è stato un onore avervi come compañeroas.  

  Può sembrare un addio, ma non lo è.  Significa solo che abbiamo dato per conclusa una tappa nel percorso della Sesta, e che pensiamo che bisogna compiere un altro passo.  

  Non sono stati pochi i dispiaceri che abbiamo sofferto, a volte insieme, a volte singolarmente, ognuno nella propria geografia. 

  Ora vogliamo spiegarvi ed informarvi di alcuni cambiamenti che faremo nel nostro percorso sul quale, se siete d’accordo e ci accompagnerete, ritorneremo, ma in un altro modo rispetto al lungo elenco di sofferenze e speranze che prima si è chiamato L’Altra Campagna in Messico e la Zezta Internazional nel mondo, e che ora sarà semplicemente La Sexta.  Ora andremo più in là, fino a… 

Il Tempo del No, il Tempo del . 

Compagne, compagni: 

  Definito chi siamo, la nostra storia passata e attuale, il nostro posto ed il nemico che ci troviamo di fronte, com’è plasmato nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, resta ancora in sospeso definire perché lottiamo. 

  Definiti i “no“, bisogna delineare i ““. 

  Non solo, mancano anche altre risposte ai “come“, “quando“, “con chi“. 

  Tutti voi sapete che il nostro pensiero non è quello di costruire una grande organizzazione con un centro che dirige, un comando centralizzato, un capo, individuo o in collegiale.  

  La nostra analisi del sistema dominante, del suo funzionamento, delle sue forze e debolezze, ci ha portato a dire che l’unità di azione può esserci se si rispettano quelli che noi chiamiamo “i modi” di ognuno. 

  I “i modi” non sono altro che le conoscenze che ognuno di noi, individualmente o collettivamente, possiede della sua geografia e calendario.  Cioè, le sue sofferenze e le sue lotte.  

  Noi siamo convinti che ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. 

  Quando si parla di “unità”, si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo.  

  Sul falso altare della “unità” non si sacrificano solo le differenze, si nasconde anche la sopravvivenza di tutti i piccoli mondi di tirannie e ingiustizie in cui viviamo.  

  Nella nostra storia, la lezione si ripete continuamente.  E in ogni angolo di mondo, per noi il posto è sempre quello dell’oppresso, del disprezzato, dello sfruttato, del derubato.  

  Quelle che chiamiamo le “4 ruote del capitalismo”: sfruttamento, furto, repressione e disprezzo, si sono ripetute per tutta la nostra storia, con differenti nomi dati sopra, ma sotto ci siamo sempre noi. 

  Ma l’attuale sistema è arrivato ad uno stadio di follia estrema.  Il suo affanno predatore, il suo disprezzo assoluto per la vita, il suo diletto per la morte e la distruzione, il suo impegno nell’instaurare l’apartheid per tutti i diversi, cioè, tutti quelli di sotto, sta portando l’umanità alla sua scomparsa come forma di vita sul pianeta.  

  Come qualcuno potrebbe consigliare, possiamo aspettare pazientemente che quelli di sopra finiscano per autodistruggersi, senza pensare che la loro insana superbia porta alla distruzione di tutto. 

  Nella loro smania di stare sempre più in alto, minano le fondamenta. L’edificio, il mondo, finirà per collassare e non ci sarà chi incolpare come responsabile.  

  Noi pensiamo che qualcosa sta andando male, molto male.  Ma che se, per salvare l’umanità e la malconcia casa in cui vive, qualcuno deve andarsene, questo devono essere quelli di sopra.  

  E non ci riferiamo solo alle persone che stanno sopra.  Parliamo di distruggere le relazioni sociali che fanno sì che qualcuno stia sopra a costo di qualcuno che sta sotto.  

  Noi zapatisti e zapatiste sappiamo che linea che abbiamo tracciato sulla geografia del mondo non è per niente un classico.  Questo “sopra” e “sotto” dà fastidio, imbarazza e irrita.  Sì, non è la sola cosa che irrita, lo sappiamo, ma ora ci stiamo riferendo a questo fastidio. 

  Possiamo sbagliarci.  Sicuramente ci sbagliamo. Arriveranno i poliziotti e i commissari del pensiero per giudicarci, condannarci ed eseguire l’esecuzione… magari solo nei loro brillanti scritti e non nascondano la loro vocazione di boia dietro quella di giudici.  

  Ma è così che noi zapatiste e zapatisti vediamo il mondo ed i suoi modi:  

  C’è machismo, patriarcato, misoginia, ecc., ma una cosa è essere donna di sopra ed un’altra completamente differente esserlo di sotto.  

  C’è omofobia, ma una cosa è essere omosessuale di sopra ed una molto diversa è esserlo di sotto. 

  C’è disprezzo per il diverso, ma una cosa è essere diverso sopra, ed un’altra è esserlo sotto.  

  C’è la sinistra come alternativa alla destra, ma una cosa è essere di sinistra sopra e un’altra cosa completamente diversa, ed opposta, aggiungiamo noi, esserlo sotto. 

  Ponete la vostra identità in questo parametro e ve ne renderete conto.  

  L’identità più fasulla, di moda ogni volta che lo Stato moderno entra in crisi, è quella di “cittadinanza”. 

  Il “cittadino” di sopra ed il “cittadino” di sotto non hanno niente in comune ma tutto all’opposto e in contrapposizione. 

  Le diversità sono perseguite, emarginate, ignorate, disprezzate, soffocate, derubate e sfruttate.  

  Ma noi vediamo una differenza più grande che attraversa queste diversità: il sopra e il sotto, quelli che hanno e quelli che non hanno.  

  E vediamo che questa differenza ha qualcosa di sostanziale: quello che sta sopra, sta sopra a quello che sta sotto; quello che ha, possiede perché deruba quelli che non hanno. 

  Sempre secondo noi, il sopra e sotto determina i nostri obiettivi, le nostre parole, i nostri ascolti, i nostri passi, i nostri dolori e le nostre lotte. 

Forse ci sarà un’altra opportunità per spiegare meglio il nostro pensiero al riguardo.  Per ora diremo solo che obiettivi, parole, ascolti e passi di sopra tendono alla conservazione di questa divisione. Chiaramente questo non implica immobilismo. Il conservatorismo sembra essere molto lontano da un sistema che scopre altre e migliori forme di imporre le 4 ferite che il mondo di sotto subisce. Ma queste “modernizzazioni” o “progressi” non hanno altro obiettivo che quello di conservare sopra quelli che stanno sopra, nell’unico modo in cui ciò è possibile, cioè, sopra quelli che stanno sotto. 

  L’obiettivo, la parola, l’ascolto ed i passi di sotto, secondo noi, sono determinati dalla domanda: Perché così?  Perché loro? Perché noi?   

  Per dare risposte a queste domande, o per evitare che le facciamo, si sono costruite cattedrali gigantesche di idee, alcune più o meno elaborate, il più delle volte tanto grottesche che non solo stupisce che qualcuno le abbia elaborate e qualcun’altro ci creda, ma che anche si siano costruite università e centri di studio e analisi sostenute da esse.  

  Ma c’è sempre un guastafeste che rovina la festa al culmine della storia. 

  E risponde a queste domande con un’altra: “potrebbe essere altrimenti?”  

  Forse questa domanda potrebbe essere quella che scatena la ribellione nella sua accezione più ampia.  E può esserlo perché c’è un “no” che l’ha partorita: non deve per forza essere così.  

  Scusate se questa confusa circonvoluzione vi ha irritato. Attribuitela al nostro modo di fare, o ai nostri usi e costumi.  

  Quello che vogliamo dire, compagne, compagni, compañeroas, è che quello che ci ha convocato nella Sesta è stato quel “no” ribelle, eretico, rozzo, irriverente, fastidioso, scomodo. 

  Siamo arrivati qua perché le nostre realtà, le nostre storie, le nostre ribellioni ci hanno portato a quel “ non deve per forza essere così”..

 

  Intuitivamente o riflettendo, abbiamo risposto “sì” alla domanda “potrebbe essere altrimenti?”  

  Bisogna rispondere alle domande che si affollano dopo questo “sì”:  

  Com’è quest’altra maniera, quest’altro mondo, quest’altra società che immaginiamo, che vogliamo, di cui abbiamo bisogno?  

  Che cosa bisogna fare?  

  Con chi? 

  Dobbiamo cercare le risposte a queste domande se non le abbiamo.  E se le abbiamo, dobbiamo farle conoscere tra di noi. 

-*- 

  In questa nuova tappa, ma nello stesso tracciato della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, come zapatisti cercheremo di mettere in pratica qualcosa di quello che abbiamo imparato in questi 7 anni e faremo cambiamenti nel ritmo e nella velocità del passo, sì, ma anche nella compagnia.  

  Voi sapete che uno dei molti e grandi difetti che abbiamo noi zapatiste e zapatisti è la memoria.  Ricordiamo chi c’era quando e dove, che cosa ha detto, che cosa ha fatto, che cosa non ha detto, che cosa ha disfatto, che cosa ha scritto, che cosa ha cancellato.  Ricordiamo i calendari e le geografie. 

  Non fraintendeteci.  Non giudichiamo nessun@, ognuno si costruisce come può il suo alibi per quello che fa e disfà. Il lento corso della storia dirà se è stato un bene o un errore.  

  Da parte nostra, vi abbiamo guardato, vi abbiamo ascoltato, da tutt@ abbiamo imparato. 

  Abbiamo visto quelli che si sono avvicinati solo per trarre un proprio vantaggio politico dall’Altra Campagna, che saltellano da una mobilitazione all’altra, sedotti dalle masse, colmando così la loro incapacità di generare qualcosa da soli. Un giorno sono anti-elettorali, un altro dispiegano le loro bandiere nella mobilitazione di moda; un giorno sono maestri, un altro studenti; un giorno sono indigenisti, il giorno seguente si alleano con finqueros e paramilitari. Incitano il fuoco giustiziere delle masse e poi spariscono quando arrivano i getti d’acqua dei blindati antisommossa. 

  Non torneremo a camminare con loro. 

  Abbiamo visto quelli che arrivano quando ci sono i palchi, i dibattiti, la stampa, l’attenzione, e spariscono quando c’è bisogno di lavorare in silenzio ma necessariamente, come sa bene la maggioranza di chi ascolta o legge questa lettera. In tutto questo tempo il nostro sguardo e il nostro ascolto non sono stati per chi stava sul palco, ma per chi l’ha montato, per quelli che hanno preparato il cibo, spazzato, accudito, organizzato, volantinato, si sono fatti il mazzo, come si dice qua. Abbiamo anche visto ed ascoltato chi si è approfittato degli altri. 

  Non torneremo a camminare con loro. 

  Abbiamo visto i professionisti delle assemblee, le loro tecniche e tattiche per mandare a monte le riunioni in modo che solo loro, e chi li segue, rimangano per approvare le loro proposte. Distribuiscono sconfitte dove arrivano a dirigere tavoli di discussione, mettendo all’angolo i “piccoli borghesi” che non capiscono che all’ordine del giorno si gioca il futuro della rivoluzione mondiale. Quelli che guardano male qualunque movimento che non finisca in un’assemblea condotta da loro. 

  Non torneremo a camminare con loro. 

  Abbiamo visto quelli che si presentano come attivisti per la libertà dei detenuti negli eventi e durante le campagne, ma che ci hanno chiesto di abbandonare gli arrestati ad Atenco e continuare il percorso dell’Altra Campagna perché ormai avevano programmato la loro strategia e gli eventi. 

  Non torneremo a camminare con loro.

-*-

La Sesta è un’iniziativa zapatista. Convocare non è unire. Non pretendiamo di unire sotto una direzione, né zapatista né di qualunque altra filiazione. Non vogliamo cooptare, reclutare, sostituire, dimostrare, simulare, ingannare, dirigere, subordinare, usare. La destinazione è la stessa, ma la differenza, l’eterogeneità, l’autonomia dei modi di procedere sono la ricchezza della Sexta, sono la sua forza. Garantiamo e garantiremo rispetto, e chiediamo e chiederemo rispetto.  Alla Sexta si aderisce senz’altro requisito che il “no” che ci convoca e l’impegno di costruire i “sì” necessari.

-*-

Compañeroas, compagni, compagne: 

  Da parte dell’EZLN vi diciamo:  

1.- Per l’EZLN non ci saranno più una Altra Campagna nazionale ed una Zezta Internazional. A partire da adesso cammineremo insieme a quelli che invitiamo e ci accettano come compas, dalla costa del Chiapas fino alla Nuova Zelanda. 

  Quindi il territorio della nostra azione ora è chiaramente delimitato: il pianeta chiamato “Terra”, ubicato nel cosiddetto Sistema Solare.  

  Saremo ora quello che siamo: “La Sexta”. 

2.- Per l’EZLN, essere della Sexta non richiede iscrizione, quota, originale e/o copia di un documento d’identità, rendiconti, stare al posto del giudice, o della giuria, o dell’accusato, o del boia. Non ci sono bandiere. Ci sono impegni e conseguenze derivanti da questi impegni. Ci convocano i “no”, ci muove la costruzione dei “sì”. 

2.- Chi, con la ricomparsa dell’EZLN si aspettava una nuova stagione di palchi e grandi concentramenti, e le masse affacciate al futuro, e l’equivalente degli assalti al palazzo d’inverno, sarà deluso. È meglio che se ne vada subito. Non perda tempo, e non ci faccia perdere tempo. Il camminare della Sexta è di lungo respiro, non per nani del pensiero. Per azioni “storiche” e “congiunturali” ci sono altri spazi dove sicuramente troverà posto. Noi non vogliamo solo cambiare governo, vogliamo cambiare il mondo. 

3.- Ratifichiamo che come EZLN non ci alleeremo con nessun movimento elettorale in Messico. La nostra concezione è stata chiara nella Sesta e non c’è variazione. Comprendiamo che ci sia chi pensa che è possibile trasformare dall’alto le cose senza diventare uno in più di quelli di sopra. 

4.- La nostra parola con le proposte di iniziative organizzative, politiche e di diffusione sarà ESCLUSIVAMENTE per chi ce lo chiede e che accettiamo, ed inviate per posta elettronica agli indirizzi che abbiamo. Apparirà anche nella pagina di Enlace Zapatista, ma si potrà accedere al contenuto completo solo tramite una password che cambierà continuamente. Faremo arrivare questa password in qualche modo, ma sarà facile da dedurre per chi legge con attenzione quello che scriviamo e per chi ha imparato a decifrare i sentimenti che si fanno lettere nella nostra parola. 

  Ogni individuo, gruppo, collettivo, organizzazione o come ognuno si chiami, ha il diritto e la libertà di passare questa informazione a chi crede opportuno. Tutt@ aderenti alla Sexta avranno il potere di aprire la finestra della nostra parola e della nostra realtà a chi desidera. La finestra, non la porta. 

5.- L’EZLN vi chiede la pazienza di aspettare di conoscere le iniziative che per 7 anni abbiamo maturato, ed il cui principale obiettivo sarà quello di restare in contatto diretto con le basi di appoggio zapatiste nella forma in cui, nella mia umile opinione e lunga esperienza, è meglio, cioè: come alunni. 

6.- Per ora vi anticipiamo solo che chi può e voglia, e che sarà invitato espressamente dalla Sexta-EZLN, metta insieme i soldi per poter viaggiare in terre zapatiste in date da precisare. Più avanti forniremo ulteriori dettagli. 

Per chiudere questa missiva (che, com’è evidente, ha lo svantaggio di non essere accompagnata e completata da un video o una canzone), mandiamo il migliore dei nostri abbracci (e ne abbiamo uno solo) agli uomini, donne, bambini ed anziani, gruppi, organizzazioni, movimenti, o come ognuno voglia definirsi, che in tutto questo tempo non ci hanno allontanato dai loro cuori, hanno resistito e ci hanno appoggiato come compagne, compagni e compañeroas.

Compas:

Siamo la Sesta.

Ci costerà caro.

Non sarà di meno il nostro dolore nell’aprirci a quelli che soffrono nel mondo. La strada sarà più tortuosa.

Combatteremo.

Resisteremo.

Lotteremo.

Forse moriremo.

Ma sempre, una, dieci, cento, mille volte vinceremo sempre.

 

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale

dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

La Sexta-EZLN

Subcomandante Insurgente Marcos

Chiapas, Messico, Pianeta Terra

Gennaio 2013

 P.S.- Per esempio, la password per leggere questo messaggio è, come risulta evidente, “marichiweu“, in minuscolo e partendo da sinistra. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/26/ellos-y-nosotros-v-la-sexta-2/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 27 gennaio 2013

Francisco Sántiz López è libero

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 25 gennaio. Francisco Sántiz López, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), è uscito questo pomeriggio dal carcere di San Cristóbal per insufficienza di prove dopo 13 mesi e mezzo di prigione. 

Padre di otto figli e nonno di 12, contadino e commerciante tzeltal che milita nelle basi zapatiste da più di 20 anni, appena uscito dal carcere ha dichiarato: Continueremo a seguire la lotta nell’EZLN, a seguire la strada, vinceremo.

La richiesta della sua liberazione aveva suscitato un movimento internazionale di solidarietà in circa 30 paesi che hanno manifestato per tutto il 2012 in piazze pubbliche e di fronte a consolati ed ambasciate del Messico nei cinque continenti. In queste mobilitazioni è stata chiesta anche la liberazione di Alberto Patishtán Gómez, aderente dell’Altra Campagna chè è in prigione dal 2000. (….)

La liberazione del civile zapatista è stata accelerata ieri quando il magistrato Leonel Jesús Hidalgo ha ordinato di risolvere in 24 ore la sua situazione giuridica, considerando che non sono state considerate tutte le prove esistenti a beneficio di Sántiz López che indicano che non partecipò agli eventi che gli sono imputati. (….)

http://www.jornada.unam.mx/2013/01/26/politica/019n1pol

 

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LORO E NOI IV

LORO E NOI

IV – Le sofferenze del basso

Gennaio 2013

Quante volte una pattuglia ci ha fermato per strada per il reato di “avere una faccia” sospetta o una cresta e dopo un po’ di botte ci hanno derubato e poi lasciato andare?

“Repressione e Criminalizzazione”, Cruz Negra Anarquista-México. Gennaio/2013

– E i giovani che ora vedono in te un eroe e l’esempio di una persona che è stata ingiustamente punita da un sistema repressore? –

– Eroe, no. Eroe è ognuno di quei giovani che escono ogni giorno in strada ad organizzarsi per cambiare questa società ingiusta e questo sistema economico, politico. E si organizzano, si difendono… Non temano, la paura sarà dall’altra parte –

Alfonso Fernández, detenuto secondo il 14N, nello Stato Spagnolo,
intervistato da Shangay Lily, per Kaos en la Red. gennaio 2013

“È necessario un nemico per dare al popolo una speranza. (…) Ora, il sentimento dell’identità si fonda sull’odio verso chi non è uguale. Bisogna coltivare l’odio come passione civile. Il nemico è l’amico dei popoli. È necessario avere chi odiare per trovare giustificazione della propria miseria. Sempre. L’odio è la vera passione primordiale.”

Umberto Eco. Il Cimitero di Praga.

Dove e quando comincia la violenza?

Vediamo.

Di fronte allo specchio, in qualunque calendario e in qualunque geografia… 

Immagina di essere diverso dalla gente comune. 

Immagina di essere molto altro. 

Immagina di avere un certo colore della pelle o dei capelli. 

Immagina di essere disprezzato e umiliato e perseguitato e imprigionato e ucciso

per questo motivo, per essere diverso. 

Immagina che da quando nasci, tutto il sistema ti dice e ti ripete che sei strano, anormale, malato, che devi pentirti di quello che sei e che, dopo averlo attribuito alla sfortuna e/o alla giustizia divina, devi fare tutto

quanto possibile per modificare questo “difetto di fabbrica”.  

/ Bene, vede, abbiamo proprio un prodotto che fa semplicemente m-e-r-a-v-i-g-l-i-e per i difetti congeniti. Questo pensiero la solleva dalla ribellione e da quel fastidioso lamentarsi sempre di tutto. Questa crema le cambia il colore della pelle. Questa tintura per capelli le dà la tonalità di moda. Questo corso di “come farsi gli amc@ ed essere popolare nella rete” le fornisce quello che serve per essere una persona moderna. Questo trattamento le restituirà la giovinezza. Questo dvd le mostrerà come comportarsi a tavola, per strada, sul lavoro, al letto, nelle aggressioni illegali (ladri), nelle aggressioni legali (banche, governanti, elezioni, imprese legalmente riconosciute), nelle riunioni sociali… come? Oh, non la invitano alle riunioni sociali?… ok, le dice anche come farsi invitare. Infine, da qui conoscerà il segreto di come vincere nella vita. Avrà più follower in twitter di Lady Gaga e yustin biber! Include una maschera a sua scelta. Ne abbiamo di ogni tipo! Anche quella di CSG ok, ok, ok, questo è stato un brutto esempio, ma ne abbiamo una per ogni necessità. Non la guarderanno più schifati! Non le diranno più rozz@, indi@, plebeo, negr@, región 4, zombie, filozapatista! /

Immagina che, nonostante tutti i tuoi sforzi e buone azioni, non riesci a nascondere il suo colore della pelle o dei capelli. 

Ora immagina che si lanca una campagna per eliminare tutt@ quelli come te. 

Non è che ci sarà un evento per dare inizio a questa campagna, o una legge che lo stabilisca, ma ti accorgi che tutto il sistema comincia a rivolgersi contro di te e contro chi è come te. Tutta la società trasformata in una macchina il cui scopo principale è annichilirti. 

Dapprima ci sono sguardi di disapprovazione, schifo, disprezzo. Seguono gli insulti, le aggressioni. Poi ci sono arresti, deportazioni, prigioni. Quindi morti qua e là, uccisioni legali e illegali. Infine, la vera campagna, la macchina in tutta la sua capacità, per far sparire te e tutt@ quell@ come te. L’identità di chi forma la società si regge sull’odio verso di te. La tua colpa? Essere diverso.

-*-

Ancora non lo vedi?

Ok, immagina dunque di essere… (coniuga al maschile, al femminile o altro, secondo il caso).

Un indigeno in un paese dominato da stranieri. Una squadra di elicotteri militari si dirige sulle tue terre. La stampa dirà che l’occupazione del parco eolico impediva la diminuzione dell’inquinamento o che la selva veniva distrutta. “Lo sgombero era necessario per ridurre il riscaldamento globale del pianeta”, segretario di governo.

Un nero in una nazione dominata da bianchi. Un giudice WASP emette la sentenza. La giuria ti ha dichiarato colpevole. Tra le prove presentate dalla procura c’è un’analisi della pigmentazione della tua pelle.

Un ebreo nella Germania nazista. L’ufficiale della Gestapo ti guarda fisso. Il giorno dopo nel rapporto si dirà che la razza umana è stata depurata.

Un palestinese nella Palestina attuale. Il missile dell’esercito israeliano punta sulla scuola, l’ospedale, il quartiere, la casa. Domani i media diranno che si sono abbattuti su obiettivi militari.

Un immigrato dall’altra parte di qualsiasi frontiera. Si avvicina una pattuglia della migra. Il giorno dopo non apparirà niente nei notiziari.

Un prete, una suora, un laico che ha optato per i poveri, in mezzo all’opulenza del Vaticano. Il discorso del Cardinale si rivolge contro chi si immischia nelle cose terrene.

Un venditore ambulante in un centro commerciale esclusivo in una zona residenziale esclusiva. Il furgone della celere staziona. “Difendiamo il libero commercio”, dichiarerà il delegato governativo.

Una donna sola, di giorno o di notte, su un mezzo pubblico pieno di uomini. Una piccola variazione nella percentuale di “violenza di genere”. L’agente di polizia dirà: “è che sono loro a provocare.” 

Un gay solo, di giorno o di notte, su un mezzo pubblico pieno di maschi. Una minima variazione nella percentuale di “violenza omofobica”.

Una lavoratrice del sesso in una strada isolata… si avvicina una pattuglia. “Il governo combatte con efficienza la tratta delle bianche” dirà la stampa.

Un punk, un rasta, uno skater, un cholo, un metallaro, per strada, di notte… si avvicina un’altra pattuglia. “Vogliamo inibire le condotte asociali e il vandalismo”, capo di governo. 

Un grafittaro mentre “scrive” nel World Trade Center… si avvicina un’altra pattuglia. “Faremo tutto il necessario per avere una città bella e attraente per il turismo”, qualsiasi funzionario.

Un comunista in una riunione del partito fascista di destra. “Siamo contro i totalitarismi che tanto danno hanno fatto nel mondo”, il presidente del partito.

Un anarchico in una riunione del partito comunista. “Siamo contro le deviazioni piccolo-borghesi che tanto danno hanno fatto alla rivoluzione mondiale”, il segretario generale del partito.

Un programma del notiziario “31 minutos” nella striscia informativa della CNN. Tulio Triviño e Juan Carlos Bodoque si guardano sconcertati, non dicono niente.

Un gruppo musicale alternativo che cerca di vendere il suo disco ad un concerto di Lady Gaga, Madonna, Justin Bieber, o chiunque altro. La folla si avvicina. I fan gridano arrabbiati.

Un’artista che danza fuori dal grande centro culturale (sì-di-gala-solo-su-invito-spiacenti-signorina-lei-sta-disturbando) dove si sta esibendo il balletto del Bolshoi. La Sicurezza procede a ristabilire la tranquillità.

Un anziano in una riunione presieduta dal ministro giapponese delle finanze Tarò Asó (ha studiato a Stanford e poco tempo fa ha chiesto agli anziani di “sbrigarsi a morire” perché costa molto che continuino a vivere). Altri tagli alla spesa sociale.

Un Anonymus che critica il “copyright” in una riunione degli azionisti di Microsoft-Apple. “Un pericoloso hacker dietro le sbarre“, tuonano i media.

Un giovane Mapuche che in Chile reclama il territorio dei suoi antenati mentre arrivano i blindati e il verde minaccioso dei carabineros. La pallottola che lo ferirà mortalmente alla schiena resterà impunita.

Un ragazzo e/o studente o disoccupato ad un posto di blocco dell’esercito-polizia-guardia civilcarabineros. L’ultima cosa che ha sentito “Sparate!

Un comunero nahua negli uffici di una multinazionale. Uomini in divisa lo sequestrano. “Stiamo indagando”, i rispettivi govierni.

Un dissidente di fronte ai muri di grigio metallo, mentre dall’altra parte della frontiera la classe politica messicana ingoia il rospo di una nuova imposizione. Riceve il colpo di una pallottola di gomma che gli fa perdere un occhio o gli rompe il cranio. “Ci appelliamo all’unità nazionale per il bene del paese. E’ ora di lasciarci dietro le controversie”, prime pagine dei notiziari.

Un contadino di fronte a un esercito di avvocati e poliziotti che si sente dire che la terra che coltiva, dove sono nati e cresciuti i suoi genitori, i suoi nonni, i suoi trisnonni, e così fino a che il tempo si confonde, ora è di proprietà di un’impresa immobiliare e che sta derubando i poveri impresari di qualcosa che legalmente appartiene loro. La prigione.

Un oppositore alla frode elettorale che vede assolti i 40 ladroni e i loro leccapiedi. La beffa: “bisogna voltare pagina e guardare avanti”.

Un uomo o una donna che vanno a vedere il motivo del baccano e improvvisamente sono “incapsulati” dalle forze dell’ordine. Mentre ti spintonano, picchiano e prendono a calci per portarti sul blindato, riesci a vedere che le telecamere di un noto canale televisivo sono puntate dall’altra parte.

Un indigeno zapatista nelle prigioni del malgoverno (PRI-PAN-PRD-PT-MC) da molti anni. Legge sul giornale: “Perché l’EZLN ricompare ora che il PRI è tornato al Potere? E’ molto sospetto.

-*-

Ci segui?

Ora…

Senti la certezza di essere fuori posto?

Senti la paura di essere ignorat@, insultat@, picchiat@, schernit@, umiliat@, violentat@, incarcerat@, assassinat@ solo por essere quello che sei?

Senti l’impotenza di non poter fare nulla per impedirlo, per difenderti, per essere ascoltato?

Stai maledicendo il momento in cui ti sei messo lì, il giorno in cui sei nato, l’ora in cui hai cominciato a leggere questo testo?

-*-

Molti degli esempi sopra riportati hanno un nome, un calendario e una geografia:

Juan Francisco Kuykendall Leal. Il compa Kuy, della Sexta, professore, drammaturgo, direttor teatrale. Cranio spaccato il 1° dicembre 2012 da una pallottola delle “forze dell’ordine”. Voleva realizzare un’opera teatrale su Enrique Peña Nieto.

José Uriel Sandoval Díaz. Giovane studente dell’Università Autonoma di Città del Messico e membro del Consiglio Studentesco di Lotta. Ha perso un occhio nella repressione del 1° dicembre 2012 a causa dell’attacco delle “forze dell’ordine”. Si opponeva all’imposizione di Enrique Peña Nieto.

Celedonio Prudencio Monroy. Indigeno Nahua. Sequestrato il 23 ottobre 2012 dalle “forze dell’ordine”. Si opponeva all’esproprio delle terre nahuas da parte delle compagnie minerarie e dei taglialegna.

Adrián Javier González Villarreal. Studente della Facoltà di Ingegneria Meccanica ed Elettrica dell’Università Autonoma di Nuevo León, Messico, assassinato nel gennaio del 2013 dalle “forze dell’ordine”. Voleva laurearsi ed essere un professionista di successo.

Cruz Morales Calderón e Juvencio Lascurain. Contadini catturati in Veracruz, 2010-2011, dalle “forze dell’ordine”. Si opponevano all’esproprio delle loro terre da parte delle imprese immobiliari. 

Matías Valentín Catrileo Quezada. Giovane indigeno Mapuche, assassinato il 3 gennaio del 2008 in Cile, America Latina, dalle “forze dell’ordine”. Si opponeva all’esproprio della terra mapuche da parte di governo, latifondisti e imprese transnazionali. 

Francisco Sántiz López, indigeno zapatista, arrestato ingiustamente dalle “forze dell’ordine”. Si opponeva alla contrainsurgencia governativa di Juan Sabines Guerrero e Felipe Calderón Hinojosa.

-*-

Dai… non disperarti, abbiamo quasi finito…

Ora immagina di non avere paura, o che ce l’hai ma la controlli. 

Immagina di andare allo specchio e di non nascondere o mascherare la tua differenza, ma di sottolinearla. 

Immagina di fare scudo e arma del tuo essere diverso, di difenderti, di trovare altr@ come te, di organizzarsi, resistere, lottare, e, senza accorgersene, passare dal “sono diverso” al “siamo diversi”. 

Immagina di non nasconderti dietro la “maturità” ed il “buonsenso”, dietro “non è il momento”, “non ci sono le condizioni”, bisogna aspettare”, “è inutile”, “non c’è rimedio”. 

Immagina di non venderti, di non tentennare, di non arrenderti. 

Riesci ad immaginarlo? 

Bene, perché anche se né tu né noi ancora lo sappiamo, siamo parte di un “noi” più grande e ancora da costruire. 

(continua…)

 Da qualche parte di tutti i mondi.
SupMarcos
Pianeta Terra
Gennaio 2013 

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Ascolta e guarda il video che accompagna questo testo: LINK 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 24 gennaio 2013

Le autorità sanno della nostra innocenza, dicono gli indigeni reclusi in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 23 gennaio. E’ trascorso più di un anno dal nostro sciopero della fame ed ancora non c’è risposta alla richiesta del nostro rilascio, né al risarcimento per tutte le irregolarità giudiziarie contro di noi, ha dichiarato Pedro López Jiménez, a nome del gruppo di detneuti dell’Altra Campagna nel Carcere N. 5. Le autorità sanno della nostra innocenza. 

Si tratta di detenuti indigeni che scontano pene basate su montature e irregolarità nei loro processi. I più noti sono Alberto Patishtán, della Voz del Amate, e Francisco Santiz López, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i cui casi sono di competenza federale e, nonostante le promesse dei governi chiapanechi, dormono indebitamente il sonno dei giusti.

Denunciando le condizioni carcerarie degli oltre 500 detenuti nel carcere degli Altos, López Jiménez, del grupo Solidarios de la Voz del Amate, sostiene che il nuovo direttore, Wenceslao Urbina Gutiérrez, “ha limitato molte cose, violando i diritti dei detenuti senza rispettare gli usi e i costumi di tutti noi che siamo in stragrande maggioranza indigeni. 

Chiediamo al governatore Manuel Velasco Coello che intervenga in questa situazione di ingiustizia”, aggiunge. Da lunedì scorso impediscono ai suoi familiari di portargli cibo, come banane, pozol, tortillas. “Siamo poveri, ma le nostre famiglie ci portano cose che compensano il cibo della prigione che non è buono né sufficiente, ed ora ci proibiscono questo diritto”. 

Inoltre, “le autorità del Carcere N. 5 stanno limitando le visite senza giustificazioni e in malo modo. Questa situazione colpisce la totalità della popolazione, non solo chi è organizzato”, dichiara il portavoce tzotzil.

Gli altri detenuti dell’Altra Campagna sono Alfredo López Jiménez, Rosa López Díaz, Juan Collazo Jiménez, Juan López Díaz e Alejandro Díaz Santiz. Tutti hanno documentato detenzione arbitraria, tortura, negazione dell’interprete nella propria lingua, corruzione degli agenti del Pubblico Ministero, confessioni estorte e fabbricazione delle accuse. 

Intanto, Santiz López, base di appoggio zapatista, continua a restare in carcere senza motivo ed il suo caso congelato, più come ostaggio politico che imputato. Anche il professor Patishtán aspetta che la Corte Suprema di Giustizia della Nazione rispetti il suo obbligo di considerare il suo caso, un’altra collezione di irregolarità processuali che l’ha condannano a 60 anni di prigione (ne ha già scontati 12) per un crimine che non ha commesso. 

Infine, in un’altra dilazione inspiegabile, la giudice di Simojovel che deve pronunciarsi sull’invalidità delle accuse contro Rosario Díaz Méndez, membro della Voz del Amate, ha ritardato per settimane il suo intervento, non rispettando i successivi termini legali. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/24/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo=

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LORO E NOI

III – I Capoccia.

In qualche luogo del Messico…

L’uomo colpisce, furioso, il tavolo.

Annientateli!

– Signore, con tutto il rispetto E’ da più di 500 anni che ci proviamo. Gli imperi che si sono succeduti hanno tentato con tutto il potere militare dell’epoca.

– E perché sono ancora lì?

– Emm… stiamo ancora cercando di capirlo – il lacchè guarda con rimprovero il tipo in divisa militare.

Il militare si alza e, sull’attenti, tende il braccio destro, con la mano estesa, e grida con entusiasmo:

Heil…! Scusate, volevo dire, saluto, signore – Dopo aver rivolto un’occhiata minacciosa che zittisce le risatine degli altri commensali, continua:

Il problema, signore, è che quegli eretici non ci affrontano dove siamo forti, ci girano intorno, ci attaccano nelle nostre debolezze. Se fosse una questione di piombo e fuoco, già da tempo quelle terre, con i loro boschi, acqua, minerali, persone, sarebbero state conquistate e così lei avrebbe potuto offrirle in tributo al grande Capo, signore. Quei codardi, invece di affrontarci con i loro eroici petti nudi, o con archi, frecce e lance, e morire da eroi (sconfitti sì, ma da eroi), si preparano, si organizzano, si mettono d’accordo, ci prendono in giro, si nascondono quando si tolgono la maschera. Ma non saremmo in questa situazione se mi avessero coinvolto quando tutto è cominciato – e guarda con riprovazione il commensale sulla cui targhetta sul tavolo si legge “chupa-cabras versione 8.8.1.3“.

Il commensale sorride e dice:

Generale, con tutto il rispetto, non avevamo una bomba atomica. Ed anche se ne avessimo potuta avere una dai nostri alleati (il commensale che ha la targhetta con scritto “ambasciatore” ringrazia per la menzione), saremmo riusciti ad annichilire tutti gli aborigeni, ma avremmo distrutto anche i boschi e l’acqua, oltre a rendere i lavori di esplorazione e sfruttamento di minerali  impossibili per, diciamo, vari secoli.

Interviene un altro dei lacchè:

Abbiamo promesso loro che alla loro morte ci sarebbero state canzoni e poemi in lode al loro sacrificio, corridos, film, tavole rotonde, saggi, libri, opere teatrali, statue, il loro nome in caratteri d’oro. Li abbiamo avvertiti che se si impegnavano a resistere e continuare a vivere, avremmo diffuso voci e dubbi sul perché non sono spariti, perché non sono morti, e che avremmo detto che loro erano una nostra creazione, che avremmo intrapreso una campagna di discredito tale che avrebbero perfino avuto il sostegno di alcuni intellettuali, artisti e giornalisti progressisti – I commensali ai quali allude fanno un gesto di approvazione, benché più di uno si mostri infastidito per così tanti “isti.

L’uomo interrompe impaziente:

E?

Ci hanno risposto così – (il lacchè mostra il pugno col dito medio alzato).

I commensali si agitano indignati e reclamano:

Plebei! Villani! Rozzi! Barboni!

Il lacchè è ancora col dito medio alzato di fronte all’uomo che lo riprende:

Ok, ho capito, abbassa la mano.

Il lacchè abbassa lentamente la mano mentre strizza l’occhio agli altri commensali. Poi continua:

Il problema, signore, è che queste persone non hanno il culto della morte, ma della vita. Abbiamo cercato di eliminare i loro leader visibili, comprarli, sedurli.

Quindi?

Oltre al fatto che non ci siamo riusciti, ci siamo resi conto che il problema maggiore sono i leader invisibili.

Ok, trovateli.

Li abbiamo già incontrati, signore

E?

Sono tutt@, signore.

Come tutt@?

Sì, tutte, tutti. Questo è uno dei messaggi che hanno lanciato il giorno della fine del mondo. Ma siamo riusciti a non far trapelare sui mezzi di comunicazione, e credo che qui possiamo dirlo senza paura che qualcun altro lo sappia, che hanno usato un codice affinché noi capissimo: quello che sta sopra il palco è il capo.

Cosa?! 40 mila capi?

Emm… signore, scusi, questi sono quelli che abbiamo visto, bisognerebbe aggiungere gli altri che non abbiamo visto.

Allora corrompeteli. Immagino che abbiamo denaro a sufficienza – aggiunge rivolgendosi al commensale con la targhetta “cassiere non automatica”.

Il cosiddetto “cassiere” dice balbettando:

Signore, dovremmo vendere qualche bene dello Stato ma ormai non c’è quasi più nulla.

Il lacchè interviene:

Signore, c’abbiamo provato.

E?

Non hanno prezzo.

Dunque, convinceteli.

Non capiscono quello che diciamo. E a dire il vero, anche noi capiamo quello che dicono. Parlano di dignità, di libertà, di giustizia, di democrazia…

Bene, allora facciamo come che se non esistessero. Così moriranno di fame, malattie curabili, con un buon blocco informativo, nessuno se ne accorgerà fino a che sarò troppo tardi. Ok, uccidiamoli di oblio.

Il commensale che somiglia sorprendentemente ad un chupa-cabras fa un segno di approvazione. L’uomo ringrazia per il gesto.

Sì, signore, ma c’è un problema.

Quale?

Anche se li ignoriamo, si ostinano a continuare ad esistere. Senza le nostre elemosine, scusate, volevo dire senza il nostro aiuto, hanno costruito scuole, hanno coltivato la terra, realizzato cliniche ed ospedali, migliorato le abitazioni e la loro alimentazione, abbassato i livelli di criminalità, sconfitto l’alcolismo. Oltre ad aver proibito la produzione, distribuzione e consumo di stupefacenti, elevato la loro speranza di vita quasi equiparandola con quella delle grandi città.

Ah, cioè che continua ad essere più alta nelle città – l’uomo sorride soddisfatto.

No signore, quando dico “quasi” è che la loro è più alta. La speranza di vita nelle città si è ridotta grazie alla strategia del suo predecessore, signore.

Tutti si voltano a guardare con scherno e riprovazione il personaggio con la cravatta blu.

Vuoi dire che quei ribelli vivono meglio di quelli che corrompiamo?

Assolutamente, signore. Ma non dobbiamo preoccuparci di questo, abbiamo predisposto una campagna mediatica ad hoc per rimediare a questo.

E?

Il problema è che né loro né i nostri guardano la televisione, leggono i nostri giornali, non hanno twitter, né facebook, nemmeno il cellulare. Loro sanno di stare meglio ed i nostri sanno di stare peggio.

Si alza la commensale con il cartellino “sinistra moderna”:

Signore, se permette. Con il nuovo programma di Solid… scusi, volevo dire con la Crociata Nazionale…

Il lacchè la interrompe spazientito:

Dai Chayo, non cominciare con i discorsi per i media. Tutti noi concordiamo che il nemico principale sono quei maledetti indios e non l’altro innominabile. Quello l’abbiamo ben infiltrato e circondato da personale del signore qui presente.

Quello con cartellino chupa cabras annuisce con soddisfazione e riceve grato le pacche sulle spalle dei vicini commensali.

Il lacchè continua:

Ma tu ed io, e tutti i presenti, sappiamo che la faccenda dei programmi sociali è una bugia, che non importa quanti soldi si investano, alla fine dell’imbuto non resta niente. Perché ognuno si prende la sua fetta. Dopo il signore, con tutto il rispetto, tu ne prendi una buona parte, e così tutti i presenti, poi i signori governatori, i comandi delle zone militari e navali, le legislature locali, i presidenti municipali, i commissari, i leader, gli addetti, i cassieri, alla fine, resta poco o niente.

L’uomo interviene:

Allora bisogna fare qualcosa, altrimenti il Capo cerca altri capoccia e voi sapete bene, signore e signori, cosa significa: la disoccupazione, lo scherno, forse la prigione o l’esilio.

Il personaggio titolato “chupa-cabras” trema e fa un gesto affermativo.

Ed è urgente, perché se quegli indios zampa-storta… (la figlia del signore fa una smorfia schifata, la signora improvvisamente si sente male e diventa verde). La signora si ritira adducendo qualcosa su una gravidanza.

L’uomo prosegue:

Se quegli stronzi di indios si uniscono, ci troveremmo con grossi problemi perché…

Emm, emm, signore – interrompe il lacchè.

Sì?

Temo che ci sia un problema più grande, cioè, peggiore, signore.

Più grave? Peggiore? Cosa può esserci di peggio degli indios insorti?

Beh, che si mettano d’accordo con gli/le altr@, signore –.

Gli/le Altr@? Chi sono?

Mm… aspetti che guardo… beh, contadini, operai, disoccupati, giovani, studenti, maestri, impiegati, donne, uomini, anziani, professionisti, gay, punk, rasta, skater, rapper, hip-hopers, rocker, metallari, autisti, coloni, ong, ambulanti, bande, razze, villani, plebei…

Basta!, ho capito… credo.

I lacchè si scambiano un sorrisetto complice.

Dove sono i leader che abbiamo corrotto? Dove sono quelli che abbiamo convinto che la soluzione di tutto è diventare come noi?

Sono sempre in meno a crederci, signore. E’ sempre più difficile controllare i loro uomini.

Cercate chi corrompere! Offrite soldi, viaggi, programmi televisivi, seggi, governi! Ma soprattutto soldi, tanti soldi!

Lo stiamo facendo, signore, ma … – il lacchè tentenna.

E? – lo pressa l’uomo.

Ne troviamo sempre di più…

Magnifico! Allora, c’è bisogno di altri soldi?

Signore, voglio dire che ne troviamo sempre di più che non si lasciano corrompere.

E col terrore?

Signore, sono sempre di più a non aver paura, o se ce l’hanno, la controllano.

L’inganno?

Signore, sono sempre di più le persone che pensano con la propria testa.

Allora bisogna distruggerli tutti!

Signore, se spariscono tutti, spariscono anche i nostri. Chi seminerà la terra, chi farà funzionare le macchine, chi lavorerà nei grandi media, chi ci servirà, chi combatterà le nostre guerre, chi ci loderà?

Allora bisogna convincerli che noi siamo necessari quanto loro.

Signore, oltre al fatto che ci sono sempre più persone che rendono contro che non siamo necessari, sembra che il Capo stia dubitando della nostra utilità, e per “nostra” mi riferisco a tutti noi.

Gli invitati al tavolo del signore si agitano nervosamente sulle sedie.

Dunque?

Signore, mentre cerchiamo un’altra soluzione, perché quella del “Patto” non è servita a niente, e visto che bisogna evitare la vergogna di ospitarlo di nuovo in un bagno, abbiamo acquisito qualcosa di più adatto: una “stanza antipanico!”

I commensali si alzano e applaudono. Tutti si affollano intorno alla macchina. L’uomo entra e si mette ai comandi.

Il lacchè, nervoso, avverte:

Signore, faccia attenzione a non premere sul tasto “espulsione”.

Questo?

Nooooooooooooooo!

Truccatori e burattinai corrono a prestare aiuto.

Il lacchè si rivolge ad uno dei cameraman che ha filmato tutto:

Cancella questa parte… E dì al Capo che prepari un fantoccio di scorta. Questo bisogna “resettarlo” ogni volta.

I commensali si aggiustano la cravatta, la gonna, si pettinano, tossicchiano cercano di richiamare l’attenzione. I click delle telecamere e la luce dei flash oscurano tutto…

(continua…)

Da qualche luogo di tutti i mondi.

SupMarcos
Pianeta Terra
Gennaio 2013

Dati ricavati dalla Relazione #69 del Servizio di Intelligenza Autonoma (SIA) su quanto sentito e visto in una riunione ultra-arci-super-iper segreta, realizzata in Messico, D.F. cortile degli Stati Uniti, latitudine 19° 24´ N, longitudine 99° 9´ W. Data: alcune ore fa. Classificazione: solo per i tuoi occhi. Raccomandazione: non rendere pubblica questa informazione perché ci sgamano. Nota: mandate altro pozol perché Elías l’ha finito al grido di “reggetevi che c’è fango!”, e sta ballando ska sul motivo dei Tijuana No, “Trasgresores de la Ley”, nella versione di Nana Pancha. Sì, il pezzo è forte, ma è dura entrare in slam perché Elías indossa scarponi da minatore con punta di acciaio.

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Ascolta e guarda il video che accompagna il testo: Link

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/23/ellos-y-nosotros-iii-los-capataces/

 

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LORO E NOI

II – La Macchina in 2 cartelle

Gennaio 2013

Parla il venditore:

Si chiama “globalizzazione neoliberale versione 6.6.6., ma preferiamo chiamarla “la selvaggia” o “la bestia”. Sì, un appellativo aggressivo, d’impulso, molto grrr. Sì, l’ho imparato al corso di sviluppo personale “Come vendere un incubo” … ma torniamo alla macchina. Il suo funzionamento è molto semplice. È autosufficiente (o “sostenibile”, come poi si dice). Produce guadagni esorbitanti… Che cosa? Investire parte di quei guadagni per ridurre la fame, la disoccupazione, la mancanza d’istruzione? Ma se sono esattamente queste carenze a far funzionare questa meraviglia! Che ne dice, eh? Una macchina che produce contemporaneamente il combustibile di cui necessita per funzionare: la miseria e la disoccupazione.

Certo, produce anche merci, ma non solo. Guardi: supponiamo di produrre qualcosa di completamente inutile, di cui nessuno ne ha bisogno, senza mercato. Bene, questa meraviglia non solo produce l’inutile, ma crea anche il mercato dove questa inutilità si trasforma in un genere di prima necessità.

Le crisi? Certo, prema questo pulsante qui… no, quello no, quello è di “espulsione” l’altro… sì. Bene, prema questo tasto e tatan!, ecco la crisi che serve, completa, coi suoi milioni di disoccupati, i suoi carri armati antisommossa, le sue speculazioni finanziarie, le sue siccità, la sua fame nera, la sua deforestazione, le sue guerre, le sue religioni apocalittiche, i suoi salvatori supremi, le sue prigioni e cimiteri (non per i salvatori supremi), i suoi paradisi fiscali, i suoi programmi assistenziali con sigla musicale e coreografia incluse… certo, un po’ di carità sarà sempre ben vista.

Ma non è tutto, mi permetta di mostrarle questo demo. Quando lo imposta su “distruzione/spopolamento-ricostruzione/riordino” fa miracoli. Guardi questo esempio: vede questi boschi? No, non si preoccupi per quegli indigeni… sì, sono del popolo Mapuche, ma potrebbero essere yaquis, mayos, nahuas, purépechas, maya, guaranì, aymarás, quechúas. Bene, prema il tasto “play” e vedrà che i boschi spariscono (anche gli indigeni, ma non sono importanti), ora guardi come tutto si trasforma in una landa, aspetti… lì arrivano le macchine, e voilá!: ecco il campo da golf che aveva sempre sognato, col suo residence esclusivo e con tutti i servizi. Ah, meraviglioso no?

E’ accompagnato da un software di ultimissima versione. Faccia click qui, dove dice “filtro”, e nella sua tv, radio, giornali, riviste, feisbuc, tuiter, yutub, appariranno solo complimenti e lodi per lei e per i suoi. Sì, elimina ogni commento, scritto, immagine, rumore, tutta la cattiva energia che le viene da quei plebei anonimi, sporchi, brutti e cattivi… e volgari, sì.

Ha il cambio a leva (anche se può passare al pilota automatico con un solo click); eliporto; un biglietto aereo no, perché poi non esiste posto dove fuggire, però sì, un posto sarebbe sulla navetta spaziale più prossima alla partenza; ha anche il suo “mall” super-iper-mega esclusivo; campo da golf; bar; yacht club; un diploma di Harvard già incorniciato; casa di villeggiatura; pista di ghiaccio… sì, lo so, che cosa faremmo senza la sinistra moderna e le sue trovate? Ah, e con questa meraviglia lei potrà stare in “tempo reale” e simultaneamente in qualunque parte del pianeta, è come se avesse il proprio ed esclusivo bancomat globale.

Mmh… sì, include una bolla papale per assicurarsi un posto V.I.P in cielo. Sì, lo so, ma sull’immortalità ci stiamo lavorando. Nel frattempo, possiamo installare come accessorio (costo a parte, chiaro, ma sono sicuro che questo non è un problema per qualcuno come lei): una stanza antipanico! Sì, perché poi a quei vandali vengono delle pretese come quella che “la terra è di chi la lavora”. Oh, ma non c’è da preoccuparsi. Per questo abbiamo governanti, partiti politici, nuove religioni, “reality show”. Ma, è solo una supposizione, e se per caso fallissero? Ovviamente, in questioni di sicurezza nessuna spesa è onerosa. Certo, lasci che prenda nota: “includere Stanza Antipanico”.

Comprende inoltre uno studio TV, uno radiofonico ed un tavolo di redazione. No, non mi fraintenda. Non sono per guardare la televisione, né ascoltare la radio, né leggere giornali e riviste, quello è per porci. Sono per produrre l’informazione e il divertimento di quelli che fanno funzionare la macchina. Non è geniale?

Cosa? Oh… bene… sì… mi temo che questo piccolo problema non sia stato risolto dai nostri specialisti. Sì, se la materia prima, voglio dire, se la moltitudine plebea si ribella non c’è niente da fare. Sì, forse anche la “stanza antipanico” sarebbe inutile in quella situazione. Ma non bisogna essere pessimisti, pensi che quel giorno… o notte… è molto lontano. Sì, l’ottimismo “new age” l’ho imparato sempre nel corso di sviluppo personale. Eh? Come? Sono licenziato?

(continua…)

Da qualche luogo di tutti i mondi.

SupMarcos
Pianeta Terra
Gennaio 2013

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Ascolta e guarda il video che accompagna questo testo: link

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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40web2

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

 21 GENNAIO 2013

Per: Alì Babà e i 40 ladroni (governatori, capo di governo e leccapiedi).

Da: Io

 Non troviamo le parola per esprimere i nostri sentimenti sulla Crociata Nazionale Contro la Fame, quindi, senza parole:

 

P.S. Pessima coreografia e coordinamento. L’applauso degli acarreados era assolutamente fuori tempo, perfino il “precisino” se n’è accorto. Ricordate bene che il principio è la forma (oppure era il contrario?) Mmh… e poi i balbettamenti, oltre agli errori nell’uso del plurale, del singolare, del maschile e del femminile. Bisogna fere più pratica. Mmh… a meno che questo non sia lo stile di governo. Infine, bisogna sforzarsi di più. Infatti nessuno vi crede e poi con quei cartelloni, ancora meno. 

ALTRO P.S. Neta che aspettava la sigla musicale del teleton per estrarre gli accendini e prendersi per mano tutti a cantare “s-o-l-i-d-a-r-i-e-t-à” e poi, certo, “messico clap, clap, clap”, “messico clap, clap, clap”. 

ALTRO P.S. Un consiglio: l’elemosina andate a farla da un’altra parte, qui non vive nessun Gesù di nome Ortega Martínez o Zambrano. O potete farla con il “Pacto por México”. (Ah, le mie carambole sono sublimi, no?)

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Enrique Peña Nieto e l’EZLN

Magdalena Gómez

E’ in atto una strategia governativa mascherata da discorso benevolo che offre una mela avvelenata virtuale all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Due elementi la rivelano chiaramente: il cambio di nome alla commissione per il dialogo e la decisione di intraprendere la campagna nazionale contro la fame a Las Margaritas, territorio in cui morì il comandante Pedro, secondo al comando nell’insurrezione zapatista del 1º gennaio 1994.

Sembrerebbero le risposte ai comunicati dell’EZLN, dove in uno l’arrivo di Peña Nieto è stato definito un colpo di Stato mediatico e in un altro è stato risposto in maniera contundente all’affermazione di Osorio Chong, non ci conoscono. (…).

Lo scorso 14 gennaio in una conferenza stampa, senza comunicato ufficiale, il segretario di Governo ha annunciato, su accordo presidenziale, verbale suppongo, la trasformazione della Commissione per il Dialogo e la Negoziazione in Chiapas in una nuova Commissione per il Dialogo con i Popoli Indigeni del Messico. A sostegno di tale decisione ha pronunciato alcune parole che, ascoltandole, sembrava stesse presentando la sua compaesana Nuria, inserita giorni prima nella Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (alla quale nel 2003 per legge hanno cambiato il nome; si chiamava INI, come dicevano da parte indigena). Senza fare riferimento alla Legge per il Dialogo e la Pace Degna in Chiapas né agli accordi di San Andrés, tanto meno all’EZLN, ha dichiarato che “c’è un debito sociale con i popoli indigeni, per cui si lavorerà con una visione di insieme che dia risposte a domande come quelle dei popoli indigeni… uno dei compiti centrali è generare politiche pubbliche con equità. Quello che si vuole è che i popoli indigeni esercitino nella pratica gli stessi diritti ed opportunità del resto dei messicani, diritto alla giustizia, salute e infrastrutture che risolvano l’ingiusta arretratezza nei loro diritti e chiudano la breccia che ci separa per raggiungere il benessere che meritano… Comunità e popoli indigeni sono uno dei temi più importanti nell’agenda pubblica, poiché dimostrano la loro diversità, quel Messico profondo (ovviamente, non quello illustrato da Guillermo Bonfil) che esige soluzioni, che richiede di risposte immediate; il Patto Per il Messico si riferisce a questo”.

Presentò anche il funzionario che si farà carico della nuova commissione (no comment). Una domanda era emersa fra tutte: “Lei parla di ascoltare tutte le voci sul tema degli indigeni. Vedremo Marcos sedersi al tavolo con voi per risolvere questo problema in Chiapas?”. Risposta: Nel messaggio che ho appena letto ho appena detto che la nuova nomina obbedisce ad una nuova realtà, in particolare nella regione del Chiapas, ma, soprattutto e inoltre, con tutti i popoli indigeni. L’invito è a sederci tutti insieme per risolvere i problemi, è dall’ambito politico che dobbiamo risolverli per dare via allo sviluppo, al rispetto delle comunità indigene. (Fonte: i registratori dei giornalisti).

La commissione che cambia nome viola l’obiettivo della legge vigente per il dialogo, emessa dal Congresso Generale; questa è, in effetti, speciale nell’essenza: definisce lo status dell’EZLN. Nel suo articolo primo dice: Questa legge ha per oggetto stabilire le basi giuridiche che favoriscano il dialogo e la conciliazione per raggiungere, attraverso un accordo di concordia e pacificazione, la soluzione giusta, degna e duratura del conflitto armato iniziato il primo gennaio 1994 nello stato del Chiapas. Agli effetti della presente legge, si intenderà come EZLN il gruppo di persone che si identifica come un’organizzazione di cittadini messicani, in maggioranza indigeni, che si è formata per diverse cause ed è coinvolta nel conflitto al quale si riferisce il paragrafo precedente. Oggi, secondo la logica di Governo, questa forza, farà la fila per il dialogo? Non si è mai equiparato ad un popolo indigeno, ma è stato colui che ha ceduto il tavolo a tutti i popoli affinché le loro istanze fossero incluse negli accordi di San Andrés. Il governo può creare tutte le commissioni di dialogo che vuole e duplicare le funzioni della CDI, ma questa del nuovo delegato per tutti i popoli non è quella che fa riferimento alla legge menzionata. Non dimentichiamo che il dialogo è sospeso per i successivi oltraggi subiti e che si traducono in violazione del principio giuridico pacta sunt servanda. Seconda scena: se l’EZLN ha dichiarato che in territorio zapatista vivono con dignità e producono il cibo che portano sulle loro tavole, ecco che ora arriva la sceneggiata del governo di offrire aiuti nazionali contro la fame. Una sfida? Mera continuità della strategia applicata dal delegato precedente, dividere mediante l’immissione di denaro. Non li hanno visti, non li hanno ascoltati. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/22/opinion/022a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 22 gennaio 2013

Il potere politico al completo saluta la Crociata contro la Fame. Uno scenario ad hoc per un programa antidemagogico

Hermann Bellinghausen. Inviato. Las Margaritas, Chis., 21 gennaio. Anche se sarebbe ingiusto definire un gioco la crociata governativa annunciata oggi – i politici la prendono molto sul serio, a loro sembra prioritaria e questo pomeriggio si dimostravano molto soddisfatti – viene da pparagonarla al film Los juegos del hambre, almeno per la scena dell’atto di presentarsi di persona di fronte, come si ammette, alla sofferenza dei poveri della Federazione.

Lo scenario era montato. C’era buona parte dell’attuale potere politico. I membri chiave del gabinetto presidenziale (in prima fila, Difesa Nazionale, Marina, Procura Generale della Repubblica, Sviluppo Sociale, le Finanze, Economia, Governo), di fianco ad un sorridente Enrique Peña Nieto con la moglie, Angélica Rivera, al governatore Manuel Velasco Suárez e signora madre.

Alle sue spalle, praticamente tutti i governatori, altri membri del suo gabinetto (Pubblica Sicurezza, Educazione, Turismo, i consulenti strategici). Il primo cerchio. Tra i presenti che riempivano un tendone monumentale in una proprietà alla periferia di Las Margaritas, ad un lato del quartiere tojolabal di Sacsalum, le prime file erano occupate da senatori della Repubblica, deputati federali e statali. Inoltre, praticamente tutto il governo del Chiapas.

Le cifre ufficiali più entusiaste hanno parlato di 30 mila presenti, anche se secondo il calcolo dei giornalisti locali non superassero i 15 mila. In ogni caso, un buon numero hanno abbandonato il luogo prima dell’inizio dell’evento perché non hanno trovato posto. Benché buona parte dei presenti fossero indigeni, non è stato un evento propriamente indigeno. Poco sono stati menzionati come tali nei discorsi (salvo nel discorso di César Duarte, di Chihuahua, oratore a nome dei governatori). Si è parlato di povertà, carenze alimentari e cose così. Quello che hanno invece ripetuto tutti gli oratori è stato segnalare la presenza del capo di Governo del Distrito Federal, Miguel Ángel Mancera, come se solo la sua presenza procurasse loro speciale piacere.

C’era la maggioranza dei 122 presidenti municipali ufficiali del Chiapas ed i loro gruppi di accompagnatori. Quelli di Tapachula sono stati molto rumorosi volendo stringere la mano al presidente della Repubblica che è arrivato sul palco con 40 minuti di ritardo, godendosi un bagno di folla contenuta con reti metalliche; si comportavano come veri fan. In generale c’era un clima di festa.

A lato, in seconda fila, un poco più dietro, c’era l’elite del potere indigeno filogovernativo: i lacandoni, Oxchuc, Chamula, Santiago El Pinar, Zinacantán, cacicchi della zona nord e della selva. E dietro, a riempire il vasto auditorium coperto, un miscuglio di indigeni e ladinos (come i primi chiamano i meticci) che mostra il rango filogovernativo degli invitati, in Chiapas sempre di radice priista, anche se le ascrizioni ai partiti sono variabili, come nella stessa Las Margaritas, che negli anni scorsi ha avuto sindaci del PRI, del PRD, del PT ed ora del PVEM.

La segretaria per lo Sviluppo Sociale, Rosario Robles Berlanga, ha parlato di numeri: 7.4 milioni sono la popolazione obiettivo. La cifra, ha spiegato, è il risultato dell’incrocio del numero di coloro che vivono in povertà estrema e quelli che soffrono di carenze alimentari. La Crociata Nazionale contro la Fame quest’anno toccherà 400 municipi. Ha garantito che ci saranno dispositivi antidemagogici ed un esercito di promotori. Ed ha aggiunto che questo municipio era simbolico, ma non ha spiegato perché.

Anche se generali, i numeri sono stati i protagonisti dei discorsi. Cinque dei 10 municipi più poveri del paese sono in Chiapas, ha detto il governatore locale. Il secondo è in Chihuahua, ha detto César Duarte. Si è parlato di località dove tre persone su quattro sono povere, ed una su tre è in povertà estrema. Carenze alimentari, dispersione, luoghi erosi dall’esclusione, sono stati i concetti protagonisti, oltre a povertà estrema e la parola chiave: fame, che sarà affrontata con una strategia di nuova generazione.

Prima e dopo l’evento, è stato frequente l’andirivieni dei grandi elicotteri militari che trasportavano i partecipanti più in vista verso la base militare ed aeroporto di Copalar, a Comitán. E’ stata una significativa mobilitazione del potere politico, anche se non è stato fatto alcun annuncio spettacolare. L’unica cosa spettacolare è stato lo spettacolo stesso. Li ha riuniti qui la fame. La preoccupazione per essa. La determinazione di trasformarla nell’asse di una politica sociale denominata crociata.

Sia il presidente Enrique Peña Nieto sia gli altri oratori (Robles, Duarte Jaques, Velasco Coello) hanno utilizzato un linguaggio affettuoso e concetti vagamente francescani. Non hanno parlato di autonomia, diritti dei popoli, compimento di accordi (si aggirava soddisfatto Emilio Chuayffet), sovranità territoriale o alimentare. Ma siamo giusti: lo selezionata platea (meticcia, contadina e indigena) non se l’aspettava. Sono venuti a dire sì al Presidente, a celebrare la sua firma davanti a loro di un decreto per creare il Sistema Nazionale contro la Fame. Anche se non sanno ancora di che si tratta. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/22/politica/009n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Colpi alla cieca

di GUSTAVO ESTEVA

La frattura tra le classi politiche si allarga continuamente, sia nei confronti della gente che della realtà, ciò che approfondisce il vuoto attorno a loro. Anche se questa mancanza di sostegno sociale e politico rende inevitabile la loro caduta, rappresenta anche un pericolo: stanno cadendo su di noi e devono far ricorso alla forza.

Il discorso quotidiano di queste classi politiche e dei loro intellettuali organici o inorganici, moltiplicato dai media, acquista crescente irrilevanza. Si tratta della proverbiale aspirina contro il cancro, di bambini che fischiano nel buio… Non funziona nemmeno a nascondere il sole con un dito, per simulare… Ma crea una nebbiolina di confusione che aggrava la confusione imperante. Abbiamo bisogno, prima o poi, di ritrovare la prospettiva.

La prima globalizzazione contemporanea, quella dell’espansione commerciale alla fine dell’Ottocento e all’inizio del Novecento, ha provocato un collasso del sistema che ha attraversato tre fasi sovrapposte: la Prima Guerra Mondiale, la Grande Depressione del 1929, la Seconda Guerra Mondiale. Solo nel 1945, dopo 100 milioni di morti e una immesa distruzione, l’economia ha mostrato segnali reali di ripresa.

La seconda globalizzazione, l’attuale, è entrata in crisi da tempo, un tipo di collasso che Wallerstein giudica terminale. Senza voler essere apocalittici, si può sostenere che le conseguenze saranno molto peggiori di quella della prima globalizzazione. Ha già prodotto, questo collasso, una distruzione naturale e sociale senza precedenti e mette a rischio la stessa sopravvivenza del pianeta e della specie umana.

Tradurre tutto questo in termini messicani dà i brividi. Tutte le cifre sono impressionanti: quella dei migranti, la più grande migrazione della storia del paese; quelle dei morti, scomparsi, sequestrati, sfollati, o quelle dei poveri, affamati, disoccupati… Non c’è rifugio. La distruzione ambientale, la minaccia al mais (da parte delle sementi transgeniche, ndt), la vendita di gran parte del territorio, la Walmartiizzazione del paese (allusione alla catena Wal-Mart e alla sua invasione del Messico, fino alla soglia di siti archeologici importanti come Teotihuacan: vedi http://www.democraziakmzero.org/2013/01/12/un-supermercato-a-teotihuacan/ , ndt)…

Lassù in alto… sulla luna, con una visione miope dei propri interessi, c’è chi chiacchiera di riforme strutturali, alleanze e populismi che solo aggravano la crisi … mentre altri giocare la scommessa vaga e lontana della lotteria elettorale. Aggrappate a istituzioni e dispositivi in agonia, le classi politiche non riescono a vedere chiaramente il presente, la drammatica realtà in cui viviamo, tranne quando si tratta di controllare la gente. Con il bastone e la carota cercheranno di vincere ogni resistenza al saccheggio che si cerca di mettere in pratica, utilizzando vecchi padroni del clientelismo, l’introduzione di nuove forme di cooptazione e repressione e trasformando la guerra civile in meccanismo di controllo.

Nell’esaminare le prospettive e nell’irrobustire le condizioni della resistenza, dobbiamo considerare i cambiamenti nel modello di dominio. Dal punto di vista economico, il neoliberismo si fa statalista, vale a dire che si impossessa degli apparati pubblici per organizzare il saccheggio e lo sfruttamento e rimediare agli eccessi e alle assurdità del mercato, cui era stata affidata il governo degli affari sociali. Dal punto di vista politico, l’amministrazione pubblica non solo usa il monopolio della violenza legittima che il patto sociale stato-nazione le attribuisce. Ora i poteri costituiti diventano gli imprenditori di violenza, gli organizzatori e i promotori: sono quelli che mettono in moto la violenza per stabilire il loro comando nella palude in cui affondiamo sempre di più, dove non è più possibile tracciare una linea che separi nettamente il mondo delle istituzioni del mondo criminale.

Una crisi, diceva Gramsci, consiste precisamente nel fatto che il vecchio deve ancora morire e il nuovo deve ancora nascere. A noi tocca organizzare ambedue le cose, dar loro realtà..

Il regime politico ed economico dominante non morirà di morte naturale, sopraffatto dalle famose contraddizioni strutturali. Può tentare anche, il sistema, come a quanto pare sta facendo, forme ancora peggiori di espropriazione e di autoritarismo. L’unico modo per finirla veramente ed evitare l’autoriproduzione che il sistema sta organizzando è fermarlo, smantellarlo. Né tanto meno sarà naturale la nascita del nuovo regime: si fa controcorrente, lottando in primo luogo contro la mentalità dominante che permea i cuori e le teste.

Il 21 dicembre abbiamo avuto l’opportunità di ricordare a noi stessi la via per fare tutto questo (allusione all’apparizione di 40 mila indigeni zapatisti in cinque città del Chiapas, ndt). Un ordine organico autonomo riafferma la sua presenza pubblica e mostra la realtà e praticabilità di un altro modo di fare politica. Smantellare il regime dominante comincia con il rendere inutili le funzioni dei suoi apparati, minando la sua esistenza dalla base. Resistere significa non solo opporsi, dire di no a politiche e azioni pubbliche e private, affrontare con coloro che cercano di aumentare e arricchire il saccheggio. Resistere implica creare un’altra opzione, dare realtà ai sogni. Di questo si tratta oggi.

da La Jornada di Città del Messico di lunedì 21 gennaio 2013

Gustavo Esteva è l’autore di “L’insurrezione in corso”. La recensioen di DKm0 è a questo indirizzo

http://www.democraziakmzero.org/2012/11/15/linsurrezione-in-corso/

gustavoesteva@gmail.com

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Loro e noi. I.- Le (non) ragioni di sopra.

 Gennaio 2013

Parlano quelli che stanno sopra:

“Siamo noi che comandiamo. Siamo più potenti anche se siamo di meno. Non c’importa quello che dici-senti-pensi-fai, basta che stai muto, sordo, immobile. 

Possiamo imporre al governo gente mediamente intelligente (anche se è molto difficile trovarne nella classe politica), ma scegliamo uno che neanche riesce a far finta di sapere che cosa va a fare.

Perché? Perché possiamo farlo.

Possiamo usare l’apparato di polizia e militare per perseguire ed imprigionare veri delinquenti, ma questi criminali sono la nostra parte vitale. Invece scegliamo di perseguire te, picchiarti, catturarti, torturarti, imprigionarti, assassinarti.

Perché? Perché possiamo farlo.

Innocente o colpevole? ¿E chi se ne importa se sei uno o l’altro? La giustizia è solo una prostituta in più sul nostro libro paga e, credici, non è la più costosa. 

Ed anche se fai alla lettera quello che imponiamo, anche se non fai niente, anche se innocente, ti schiacceremo.

E se insisti a chiedere perché lo facciamo, ti rispondiamo: perché possiamo farlo.

Questo è avere il Potere. Si parla molto di soldi, ricchezze, e di queste cose. Ma credici, quello che eccita è questa sensazione di poter decidere sulla vita, la libertà ed i beni di chiunque. No, il potere non è il denaro, è quello che puoi avere grazie ad esso. Il Potere non è solo esercitarlo impunemente, ma anche e soprattutto, farlo irrazionalmente. Perché avere il Potere è fare e disfare senz’altra ragione che il possesso del Potere.

E non importa chi compaia davanti, per occultarci. Destra e sinistra sono solo indicazioni per far parcheggiare l’autista. La macchina funziona da sola. Non dobbiamo nemmeno ordinare che si punisca l’insolenza di sfidarci. Governi grandi, medi e piccoli, di tutto lo spettro politico, oltre ad intellettuali, artisti, giornalisti, politici, gerarchi religiosi, si contendono il privilegio di compiacerci.

Quindi fottiti, marcisci, crepa, disilluditi, arrenditi. 

Per il resto del mondo non esisti, non sei nessuno. 

Sì, abbiamo seminato l’odio, il cinismo, il rancore, la disperazione, il menefreghismo teorico e pratico, il conformismo del male minore, la paura fatta rassegnazione. 

Tuttavia, temiamo che questo si trasformi in rabbia organizzata, ribelle, senza prezzo.

Perché il caos che imponiamo lo controlliamo, lo gestiamo, lo dosiamo, lo alimentiamo. Le nostre forze dell’ordine sono le nostre forze per imporre il nostro caos.

Ma il kaos che viene dal basso …

Ah, quello… non capiamo nemmeno cosa dicono, chi sono, quanto costano.

E poi sono così volgari da non mendicare, sperare, chiedere, supplicare, ma esercitare la loro libertà. Mai vista una tale oscenità! 

Questo è il vero pericolo. Gente che guarda da un’altra parte, che esce dagli schemi, o li rompe, o li ignora.

Sai cosa ci ha dato buoni risultati? Il mito dell’unità ad ogni costo. Intendersi solo col capo, dirigente, leader, caudillo, o come lo si voglia chiamare. Controllare, gestire, contenere, comprare qualcun@ è più facile che comprarne molti. Sì, e più a buon mercato. Le ribellioni individuali. Sono tanto commoventemente inutili.

Quello che invece è un pericolo, un vero caos, è quando qualcuno si mette in collettivo, gruppo, banda, razza, organizzazione, e impara a dire no e a dire sì, e che si mettano poi d’accordo tra loro. Perché questo non punta a chi comandiamo. Eh sì… uff… questo sì è una calamità, immagina che ognuno costruisca il proprio destino, e decida che cosa essere e fare. Sarebbe come rivelare che noi siamo prescindibili, che siamo d’avanzo, che disturbiamo, che non siamo necessari, che dobbiamo essere imprigionati, che dobbiamo sparire.

Sì, un incubo. Vero, ma ora per noi. Ti immagini di che cattivo gusto sarebbe questo mondo? Pieno di indios, di neri, di caffè, di gialli, di rossi, di rasta, di tatuaggi, di piercing, di estoperoles, di punk, di darket@s, di chol@s, di skater@s, di quella bandiera con la A così senza nazione da essere comprata, di giovani, di donne, di put@s, di bimb@, di vecchi, di chicanos, di autisti, di contadini, di operai, di nacos, di proletari, di poveri, di anonimi, di… di altr@. Senza uno spazio privilegiato per noi, “the beautiful people”… la gente per bene che si capisce…. perché si vede da lontano che tu non hai studiato ad Harvard.

Sì, quel giorno per noi sarebbe notte… Sì, tutto esploderebbe. Che che cosa faremmo? 

Mmh… non ci avevamo pensato. Pensiamo, pianifichiamo e realizziamo cosa fare per impedire che accada, ma…… no, non c’avevamo pensato.

Bene, nel caso, dunque… mmh… non so… forse cercheremmo i colpevoli e poi, non so, penseremmo a un piano B. Indubbiamente per allora tutto sarebbe inutile. Credo che allora ricorderemo la frase di quel maledetto ebreo rosso… no, Marx no… Einstein, Albert Einstein. Mi sembra che sia stato lui a dire: “La teoria è quando si sa tutto e non funziona niente. La pratica è quando tutto funziona e nessuno sa perché. In questo caso abbiamo combinato la teoria e la pratica: non funziona niente… e nessuno sa perché”.

No, hai ragione, non riusciremmo neppure a sorridere. Il senso dell’umorismo è sempre stato un patrimonio non espropriabile. Non è una pena? 

Sì, senza dubbio: sono tempi di crisi.

Senti, non scatti qualche foto? Dico, così, per sistemarci un po’ e farci un po’ più decenti. Naah, questo modello l’abbiamo già usato in Hola… ah, ma che ti raccontiamo, si vede che non hai letto il Libro Vaquero (fumetto di storielle ambientate nell’ovest del Messico alla fine del XIX° secolo – n.d.t.).

Ah, non possiamo aspettare di raccontarlo a@ nostr@ amic@ che sono venuti ad intervistarci uno così… così… così… altro. Gli piacerà. E a noi daranno un’aria così cosmopolita…

No, certo che non ti temiamo. In quanto a questa profezia… bah, si tratta solo di superstizioni, così… così… così autoctone… Sì, così di bassa qualità … hahahaha… buona questa barzelletta, prendi nota per quando vedremo i ragazzi… 

Cosa?… non è una profezia?… 

Oh, è una promessa… 

(…) (suono di titutata-tatatatà dello smartphone)

Pronto, polizia? Sì, è venuto qualcuno a trovarci. Sì, pensiamo che fosse un giornalista o qualcosa così. Sembrava così… così… così altro, sì. No, non ci ha fatto niente. No, non si è nemmeno portato via niente. Sì, ora che siamo usciti dal club per incontrare i nostr@ amic@ vediamo che hanno dipinto qualcosa sul portone d’ingresso del giardino. No, le guardie non hanno visto chi è stato. No! certo che i fantasmi non esistono. Sì è di molti colori… No, non abbiamo visto nessun barattolo di vernice qui intorno… Bene, stavamo dicendo che è dipinto in molti colori, così, molto variopinto, molto naif, molto altro, niente a che vedere con le gallerie dove… che cosa? No, non vogliamo che mandi nessuna pattuglia. Sì, lo sappiamo. Ma lo diciamo per vedere se è possibile indagare per capire che cosa vuol dire quello che è dipinto. Non sappiamo se è un codice, o una di quelle strane lingue che parlano i proletari. Sì, è una sola parola, ma non capiamo perché ci fà venire i brividi. Dice:

 MARICHIWEU!” (*)

(continua…)

Da qualche luogo di tutti i mondi.

SupMarcos

Pianeta Terra

Gennaio 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/20/ellos-y-nosotros-i-las-sin-razones-de-arriba/

  (*) parola mapuche che significa “vinceremo sempre!”

(Traduzione “maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 15 gennaio 2013

Il governo crea una commissione per saldare il debito con gli indigeni. Sostituirà la Cocopa e sarà guidata da Martínez Veloz.

In un breve incontro con la stampa il segretario di Governo interrogato sulla possibilità di dialogo con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha così spiegato: “La nomina della nuova commissione ubbidisce ad una nuova realtà, particolarmente nella regione del Chiapas, ma soprattutto ed inoltre, con tutti i popoli indigeni. L’invito è a sederci tutti insieme a risolvere i problemi politici per dare avvio allo sviluppo rispetto alle comunità indigene. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/15/politica/003n1pol

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Los de Abajo

Autodifesa contro la criminalità

Gloria Muñoz Ramírez

Le complicità del crimine organizzato con i diversi livelli di governo ed il saccheggio nelle comunità di molti stati del paese, come Michoacán e Guerrero, per citarne solo due, che sono alla mercé delle bande di delinquenti, li ha portati all’autodifesa e all’organizzazione della sicurezza dei loro villaggi.

La polizia comunitaria della Montaña e Costa Chica di Guerrero dal 1995 è uno delle esperienze più notevoli in quanto all’organizzazione della propria difesa. Nei mesi scorsi si è assistito alla contesa di questo territorio tra i narcos, il governo dello stato ed organizzazioni vicine alle istituzioni governative. L’autonomia, tuttavia, prevale nell’autodifesa.

In Michoacán, nell’aprile del 2011, il villaggio di Cherán fu protagonista di una sollevazione contro i taglialegna ed il crimine organizzato che opprimevano la comunità da tre anni, esperienza che si è diffusa in altri villaggi della meseta purépecha. Urapicho è una di queste comunità. E questa settimana gli abitanti sono tornati sulle barricate.

Urapicho, nel municipio di Paracho, parallelamente alla sua autodifesa, aveva chiesto l’installazione di una Base di Operazioni Miste (BOM) formata da elementi dell’Esercito Messicano, della Segreteria di Pubblica Sicurezza, Polizia Federale e procura statale, la quale si era installata nell’ottobre del 2012, ma è stata ritirata l’8 gennaio 2013, ed i comuneros, in disaccordo, il giorno dopo hanno tenuto in ostaggio per alcune ore i funzionari municipali per esigere il ritorno delle forze di polizia e militari. L’accordo raggiunto prevede che le altre BOM vicine amplieranno la loro azione per comprendere il municipio. Inoltre, il governo statale provvederà alla formazione della polizia municipale ed asegnerà una pattuglia.

Urapicho, Sevina, Comachuén e Turicuaro sono alcuni dei villaggi della meseta purépecha vittime della delinquenza, los malos, come li chiamano in Michoacán, stato nel quale era partito il programma di militarizzazione di Felipe Calderón e dove, lamentano gli abitanti, la criminalità è lungi dal diminuire ma è aumentata in tutti i villaggi.

Ogni popolo che intraprende la sua autodifesa segue storie e dinamiche proprie. Quello che succede a Urapicho non è lo stesso che a Cherán, e tanto meno è uguale a ciò che avviene in Guerrero, anche se le motivazioni siano le stesse. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/12/opinion/015o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx. – http://desinformemonos.org

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SPEGNERE IL FUOCO CON LA BENZINA

(post scriptum alla vignetta) 

11 gennaio 2013

P.S. PER LOR ILLUSTRISSIMI SIGNORI – Cosicché non sapete di chi si parla, forse perché non guardate la televisione? Ok, ok, ok, siete tutt@ molto erudit@ e niente a che vedere con la cultura dei maleducati, ma… non sapete nemmeno chi è Umberto Eco?

P.S. CULTURA SPORTIVA GENERALE – Lionel Messi, argentino; gioca a calcio nella squadra spagnola del Barcellona; quando non fa spot commerciali per pane di marca, come il rimpianto Memín Pingüín è sospettato di avere una gomma da masticare sulla scarpa, perché gli rimane incollato il pallone che si stacca solo quando lo abbattono (Messi, si capisce) o quando il pallone “giace in fondo alla rete”. Cristiano Ronaldo, portoghese; gioca calcio nella squadra spagnola del Real Madrid; noto anche come CR7; quando non fa pubblicità di deodoranti, fa buoni goal. Per maggiori informazioni sul calcio come business e come divertimento (esempio: Pelé contro Garrincha) vedre Eduardo Galeano… mmh… lo sapete chi è Eduardo Galeano? E no, né Barcellona né Real Madrid, io tifo per i Jaguares de Chiapas, in Messico, e per l’Internazionale di Milano, in Italia (leggo che stanno prendendo dei goal, deve essere per colpa della maglietta che usano fuori casa). Ma noi zapatisti siamo fedeli, siamo come i veri simpatizzanti dei Pumas (saluti a la Rebel) che stanno con la squadra sia che vinca sia che perda, ed anche se nella dirigenza c’è gente come Joaquín López Dóriga e Carlos Slim; o come i simpatizzanti dell’America (saluti a La Polvorilla ) che, quando gli dicono che sono odiosi, rispondono “odiami di più”; o come quelli della macchina blu che si mettono delle borse in testa come segno di vergogna ma non smettono di appoggiare la propria squadra; o come quelli che tifano Atlas (saluti Jis e Trino) che continuano sempre costi quel che costi; ecc., ecc. Sì, so che direte che il calcio è l’oppio dei popoli e che promuovo l’alienazione, l’incultura, bla, bla, bla, bla.

P.S. LEZIONI DI GEOGRAFIA – Città del Messico, Distrito Federal, Messico. Luoghi in cui ci si può procurare, a modico prezzo, qualunque serie televisiva (perfino con puntate non ancora trasmesse) o film (in alcuni posti ti offrono i film candidati all’Oscar ancora prima che il comitato dell’accademia delle scienze e delle arti cinematografiche di Hollywood si riunisca), senza dover tradire il vostro principio di non guardare la televisione: Eje Central “Lázaro Cárdenas” (anticamente conosciuto come “San Juan de Letrán”); Pericoapa; Tepito, Calzada de Tlalpan; qualunque uscita/entrata della metro; i corridoi di qualunque facoltà della UNAM; quasi in ogni angolo di ogni colonia popolare; se volete gli originali, a tonnellate nelle Librerie Gandhi (un saluto alla famiglia di Don Mauricio), El Sótano, o El Parnaso… El Parnaso ha chiuso? (un abbraccio da qua per Tony), che peccato. Ok, ok, ok, lo so, ma il mondo ha più angoli che i vostri Mixup preferiti. Attenzione: non sorprendetevi se, andando a procurarvi questi divudì vi capita di vedere la polizia estorcere gli ambulanti o tentare di sloggiarli “perché imbruttiscono la città.” E se vi capita di assistere ad uno scontro non spaventatevi, è normale che gli oppressi resistano.

P.S. CONSIGLIO PER CHI SI RECA AL IFE PER REGISTRARSI – Forse vi andrebbe meglio alle elezioni se invece di dare dei “morti di fame” (è la cosa più carina che vi hanno detto con le carte prepagate) a chi non ha votato per voi, cercaste di capirli. Beh, milioni di messican@ che hanno votato per voi vi possono spiegare chi è ognuno dei personaggi o delle serie menzionati.

P.S. CHE RIVEDE LE AFFERMAZIONI SULL’EZLN SOSPETTO – Buona parte degli argomenti usati quando ci criticano, sono gli stessi che usavano le grandi televisioni, la radio commerciale e la cosiddetta “stampa venduta” dal 1994-95 fino ad oggi.

P.S. CHE SUGGERISCE, INSINUA, O; COME SI DICE, PROPONE UNA SUPPOSIZIONE – Possibile rotta che avrebbe preso il “dibattito caricaturizzato” (chiaro, senza la signorina aiutante di campo che tanto ha impressionato il signor Quadri): gli interessati rispondono con una caricatura dove il Sup è in poltrona, che si gratta, pancia di fuori ad ingozzarsi di cibo spazzatura mentre guarda la televisione (probabilmente col logo di Televisa, perché se ne guardano bene dall’attaccare Tv Azteca – ah, e noi non li accusiamo di essere pagati da Salinas Pliego o Carlos Slim, o che la loro campagna contro i lavoratori di Soriana era pagata da Wal-Mart -), il titolo o un fumetto con qualcosa come “sto preparando il prossimo comunicato”. Il Sup contrattacca con un’altra caricatura dal titolo: “Il Passato Mediato”, dove è sulla sedia a rotelle ed un indigeno di fronte gli dice: “I compas dicono che sono pronti, che ti tocca e che sai cosa fare”. Il Sup risponde: “Ok, devo parlare con Elías Contreras per commissionargli qualche divudì“. I media e gli amic@ che li accompagnano, non pubblicherebbero più la caricatura, ma incomincerebbero con elucubrazioni tipo “Il Sup è invalido; è per questo che non appare pubblicamente?”, seguite da indagini “molto serie” sulle possibili malattie che avrebbero come conseguenza lo stare su una sedia a rotelle.

P.S. LEZIONI DI RAZZISMO NELLA COMUNICAZIONE – Ho letto da qualche parte “ezetaelleenne sì, marcos no” e che vogliono ascoltare gli indigeni zapatisti, non quell’ego maniaco del Sup. Ok, va:

– Ultima volta che il Sup ha sottoscritto un comunicato a nome dell’EZLN: maggio del 2011, in occasione della marcia di appoggio al giusto e degno movimento guidato da Javier Sicilia. Nel comunicato del CCRI-CG dell’EZLN si salutava il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità e la sua lotta per le vittime dell’assurda guerra di Felipe Calderón Hinojosa.

– Tra il 7 maggio 2011 ed il 21 dicembre 2012 ci sono 27 denunce delle Giunte di Buon Governo, cioè, degli indigeni zapatisti SENZA INTERMEDIARI meticci, bianchi e barbuti (e tutti i vari luoghi comuni), tutte twittate e facebookate (o come si dice) dalla pagina web “Enlace Zapatista“. In media, le 27 denunce sono state visitate-lette 1500 volte ognuna, e tutte sono rimaste diversi giorni sulla pagina principale-centrale di questo sito web.

Per esempio, la denuncia della Giunta di Buon Governo di La Realidad del 15 agosto 2012, è rimasta 24 giorni sulla pagina principale del sito web zapatista ed ha ricevuto 1080 visite-letture. Numero di twit (o come si dice) provocati: zero. Numero di giornalisti che hanno “rilanciato” la denuncia: uno. Numero di commenti degli intellettuali nei loro scritti: zero. Numero di retwit (o come si dice): zero. Numero di commenti che accusano l’EZLN di essere un’invenzione di Salinas de Gortari: zero. Numero di elucubrazioni sul perché l’EZLN appare solo in periodi elettorali: zero. Numero di giornali che hanno pubblicato sulla loro edizione stampata la denuncia: zero. Vero, il testo della JBG denunciava l’alleanza tra il governo statale e municipale col PVEM ed il PRD per aggredire le comunità zapatiste.

Numero di visite alla caricatura del Sup che ha tanto offeso le persone colte: più di 5 mila visite in meno di 48 ore (più i twitter – o come si dice -, più i pingback – o come si dice -, i copia incolla, ecc.).

Ora, riguardate il periodo che va da Agosto del 2003, anno in cui si sono formate le Giunte di Buon Governo e sono diventate portavoce dirette dei popoli zapatisti, e controllate quante volte si sono pronunciate con le proprie parole e senza intermediari. Fate il conto di quante volte avete almeno saputo che questa parola esisteva. Ok, ora sì, scrivete sul silenzio “sospetto” degli zapatisti e domandatevi perché gli zapatisti e marcos “appaiono” solo quando il PRI, che non se n’è mai andato, ritorna.

P.S. CHE TWITTA (o come si dice) SULL’EZLN –

Twit 1: “Gli/le zapatist@ sono quell@ che alle corride tifano per il toro”.

Replica 1: “Che ingenui, alla fine uccidono sempre il toro”.

Twit 2: Non sempre”.

Replica 2: I fiori sono sempre per il torero, non per il toro, gli/le zapatist@ sono fuori posto”.

Twit 3: (annullato per aver superato i 140 caratteri): “I partiti politici litigano per vedere chi è il torero: qualcuno dice che è meglio che i picadores ci diano dentro così da facilitare il lavoro; altri che bisogna essere pii ed offrire al toro consolazione spirituale prima di essere sacrificato: altri dicono che quello che bisogna fare è ridurre le spese in modo che l’amministrazione taurina non sia così onerosa; altri dicono “di quanto?”.

Replica 3: (Non c’è perché il 3 non è partito).

Twit 4: Le corride spariranno. Nel frattempo, gli/le zapatist@ applaudono il toro quando, nonostante le ferite, riesce ad abbattere il torero”.

Replica 4: (Non c’è, sono andat@ tutt@ a dormire).

Il PS continua a twittare (o come si dice). Dopo un po’ qualcuno si accorge del twit e replica Perché appare solo in situazioni sospette?”.

Tan-tan?

P.S. CHE ADESSO NON SUPERA I 140 CARATTERI (credo): “Durito: gli zapatisti sono come il Dottor House: indovinano quasi sempre la diagnosi e la cura, ma alla maggioranza non piace il metodo. Del paziente, non parliamone”.

P.S. CHE CHIARISCE – Li abbiamo letti con attenzione. Vediamo come, quando uno dissente dall’altro, si accusano di essere un “pezzo di zombie” o “televiso“, e così via. Noi non pensiamo che le disparità abbiano necessariamente una filiazione politica. Per esempio, quando qualcuno dice “l’EZLN è un’invenzione di Salinas de Gortari”, noi non pensiamo che sia necessariamente un “troll“, un pezzo di zombie, un televiso o un tvazteco (o come si dica per entrambi). Può essere, pensiamo, che si tratti solo di qualcuno con un basso coefficiente intellettivo, troppo pigro per leggere più di 140 caratteri, o che sta tentando di collegarsi con qualcuno che ha già detto questo.

P.S. CHE SFIDA LA GEOMETRIA – Il mondo è tondo, gira, cambia. Ma nel mondo imposto dall’alto, non importa quanti giri faccia, noi restiamo sempre sotto. Anche il mondo che vogliamo noi è tondo, e gira anche, e cambia, ma nessuno sta sopra a costo di quelli che stanno sotto.

P.S. CHE FA UN PO’ DI MEMORIA – Quando una parte della sinistra colta faceva ancora equilibrismi per tentare di dare fondamento teorico alla sfortunata trovata della “dolce repubblica”, e viveva una torrida luna di miele con i grandi media (e spendeva grandi somme di denaro per la pubblicità sui media elettronici e stampati), i giovani studenti di quello che poi si sarebbe conosciuto come “#yosoy132”, già denunciavano il ruolo dei grandi mezzi di comunicazione nella “democrazia” messicana. Poi è successo quello che è successo, e quella stessa sinistra colta ha voluto ergersi a tutore dei giovani ribelli (o “rivoltosi”, come li chiamano ora). Siccome non sono più di moda, si dimenticano di loro e dicono che hanno “perso la loro occasione”, “molto rumore e non hanno ottenuto niente”, “rivoluzionari da Starbucks (o come si dice)”, “non si può cambiare il mondo con uno smartphone (o come si dice)”. Il calendario continuerà a girare e, all’improvviso, risorgeranno, migliori, più forti, di più. E quelli che ora si dimenticano di loro o li criticano, diranno “chiaro, sapevamo che non erano spariti”, oppure “ora gli diciamo cosa devono fare”, ma altri diranno loro “è molto sospetto che voi apparite ogni volta che succede qualcosa”.

P.S. CHE SI MOSTRA COMPRENSIVA – Non c’è veleno, capiamo. Noi siamo “quello” che, nelle vostre case e scuole, susciterebbe la raccomandazione dei vostri genitori, amic@ e di altra gente sensata e decente: “non ti conviene metterti con quella gente, si dicono tante cose di loro”. E del Sup nemmeno parlarne, sarebbe qualcosa come “quell’uomo non ti conviene, non si sa nemmeno chi sia realmente”. O “una cosa è aiutare i poveri piccoli indios e un’altra mischiarsi con quei maleducati che non hanno neppure la linea per il cellulare, per non parlare di uno smartphone, sia pure di marca “la briciola”.

P.S. CHE FA UN GHIGNO – “Nerd is hot”.

P.S. SUI MILIONI CONTRO LE MIGLIAIA, O CENTINAIA, O DECINE, O ALCUNI – L’argomento delle maggioranze contro le minoranze ci annoia e mi fa ricordare un vecchio graffito (o come si dice) che ho visto su un vecchio muro. Tutto a colori, diceva: “Mangia merda. Milioni di mosche non possono sbagliarsi”.

P.S. CHE CONSIGLIA PAZIENZA – Oh, non disperate. Ancora qualche parola (o disegno, audio, video) e potrà ascoltarci solo chi realmente ci interessa avere come interlocutore.

Bene. Salute e, credeteci, lo capiamo: ragioni e non ragioni per basare il cinismo, l’apatia, il menefreghismo, o i sinonimi che volete, sono molte, troppe, tutte. Trovarle per fare qualcosa per cambiare e migliorare è un compito che in pochissimi sono disposti a compiere.

Il Sup che cerca di fare una combofatality” per il testo di fine stagione.
(ma dai… ora se ne esce coi videogiochi).

Testo originale

Ascolta e guarda il video che accompagna questo testo

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 11 gennaio 2013

Il Frayba chiede la liberazione immediata di Francisco Santiz López

Hermann Bellinghausen

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) sostiene che il governo federale non ha elementi per continuare a privare della libertà Francisco Santiz López, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e deve liberarlo immediatamente, considerando che lo scorso 3 gennaio il magistrato del primo tribunale ha concesso protezione e supporto da parte della giustizia federale al commerciante e contadino tzeltal di Tenejapa, Chiapas, la cui liberazione è chiesta da decine di organizzazioni e collettivi e migliaia di persone di 30 paesi e dalla giunta di buon governo di Oventic.

La sentenza riconosce che il giudice primo per i reati penali federali in Chiapas ha trasgredito le garanzie giudiziarie tenendolo in prigione. Secondo il Frayba, per avvalorare il reato di detenzione di armi da fuoco ad uso esclusivo delle forze armate, attribuito all’indigeno, si è basato solo su prove che lo pregiudicavano, senza valutare tutte le altre prove esistenti, come le otto testimonianze che riferiscono testualmente che Santiz López non aveva nessun’arma; esistono anche altre prove che il giudice ha omesso di considerare.

Bisogna ricordare che lo zapatista civile, accusato falsamente di aver partecipato ad un’aggressione di gruppi priisti contro le famiglie di Banavil, municipio di Tenejapa, più di 13 mesi fa, è rinchiuso nel Centro Statale di Reinserimento Sociale N. 5, a San Cristóbal de las Casas, dal 4 dicembre 2011. Sebbene assolto da tutte le accuse pochi mesi dopo il suo arresto, le autorità hanno deciso di tenerlo in prigione con la tardiva accusa di aver posseduto un’arma proibita, accusa che non sono mai riusciti a provare.

Il Frayba sottolinea che, in conseguenza della protezione concessa, si ordina al giudice di determinare la situazione giuridica del detenuto prendendo in considerazione tutte le prove e non solo quelle che lo accusano, come fatto nell’atto di arresto impugnato.

Di fronte a ciò, il citato giudice ha l’opportunità di fare giustizia potendo concedere la libertà immediata all’indigeno. Anche il Frayba ritiene che è una buona opportunità per il governo del Chiapas di fare la cosa giusta per compiere quello che il governatore Manuel Velasco Coello ha dichiarato il primo di gennaio in riferimento alla situazione di Santiz López e del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez, aderente dell’Altra Campagna: Per il governo statale è necessaria la loro pronta scarcerazione.

Non dimentichiamo che il suo predecessore, Juan Sabines Guerrero, fu prodigo di simili dichiarazion e promesse al riguardo che non ha mai mantenuto.

Per il resto, il Frayba chiede di porre fine alle pratiche in cui lo Stato messicano utilizza il sistema giudiziario per criminalizzare le basi di appoggio dell’EZLN. Considera imprescindibile rispettare i progressi nel diritto alla loro libera determinazione, attraverso l’autonomia zapatista, in base agli accordi di San Andrés e suoi riferimenti internazionali: Trattato 169 dell’OIT e la Dichiarazione delle Nazioni Unite dei Diritti dei Popoli Indigeni.

Intanto, Rosario Díaz Méndez, detenuto dell’Altra Campagna e membro della Voz del Amate, negli ultimi tre mesi ha subito i ritardi ingiustificati del giudice di Simojovel. La magistrata ha ripetutamente rimandato la data dell’udienza di revisione del suo caso e quindi dare avvio alla sua liberazione. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/11/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Risposta del Sup ai “critici del cavolo

8 gennaio 2013

Dopo essere ricomparso sulla scena pubblica riattirando l’attenzione di attori politici e dei media, il Subcomandante Marcos si è burlato con una caricatura delle critiche fatte da parte di media, governi e politici.

 cartonmarcos

Link all’immagine: Sup

 Ascolta e guarda il video che accompagna il messaggio: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/09/carta-grafica-del-sup-a-los-criticos-chafas-8-de-enero-del-2013-2/

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Lo zapatismo, Salinas ed il PAN

Luis Hernández Navarro

Ignoranza, perdita di memoria o malafede sono alcune delle ragioni che spiegano l’opinione di chi asserisce che lo zapatismo è una creazione di Carlos Salinas de Gortari, o che ha interrotto la sua lotta durante i governi di Vicente Fox e Felipe Calderón accordandosi con loro. Non c’è un solo fatto che dimostri queste accuse.

Se c’è una forza che ha demolito il progetto di potere di Salinas, quella è stato l’EZLN. Se c’un movimento che ha ammaccato la corona del mandatario che voleva passare alla storia a rulli di tamburo, quello è stato l’insurrezione indigena del sudest. 

Il bilancio che fa lo zapatismo sul modo in cui 12 anni di amministrazioni di Azione Nazionale, in generale, e sei di Felipe Calderón in particolare, hanno affrontato la sfida dell’EZLN non fa concessioni. Il suo giudizio è definitivo: hanno fallito.

Ironie della storia –avverte il subcomandante Marcos–: il Partito Azione Nazionale (PAN) nel gennaio del 1994 chiese di annichilire i ribelli perché minacciavano di sprofondare il paese in un bagno di sangue e, una volta al governo, ha portato il terrore e la morte in tutto il Messico. Ed i suoi legislatori hanno votato contro gli accordi di San Andrés perché significavano la frammentazione del paese, solo per poi consegnare una nazione a pezzi.

L’esatto bilancio dei due sessenni del PAN fatto dai ribelli chiude i 12 anni di resistenza di cui sono stati protagonisti contro di loro. Resistenza che ha combinato mobilitazioni nazionali di grande respiro con la costruzione dell’autonomia nei loro territori senza chiederne il permesso; la denuncia dei governi di Vicente Fox e Felipe Calderón con lo sviluppo di idee precise sul necessario rapporto tra etica e politica, e sulla teoria e la pratica.

È assolutamente falso che gli zapatisti abbiano smesso di lottare in questi ultimi 12 anni. Nel marzo del 2001 hanno realizzato la Marcia del Colore della Terra, la mobilitazione per il riconoscimento dei diritti e della cultura indigeni più importante nella storia del paese. A Los Pinos c’era Vicente Fox ed i suoi portavoce insistevano nel dire che la lotta dell’EZLN non aveva più senso perché si era consumato l’alternanza politica.

In quell’occasione, lungi dal dare soluzione alle domande degli zapatisti ed aprire la porta alla soluzione del conflitto, la classe politica nel suo insieme decise di non dare compimento agli accordi di San Andrés. In cambio, emanò una riforma costituzionale che non riconosce ai popoli indigeni il diritto al territorio, all’uso e sfruttamento collettivo delle risorse naturali, non riconosce le comunità come entità di diritto pubblico, il rispetto dell’esercizio della libera determinazione dei popoli indigeni, e molti altri punti concordati. Mesi dopo, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione si rifiutò di riparare al danno causato.

L’8 agosto del 2003, anniversario del compleanno di Emiliano Zapata, migliaia di indigeni zapatisti e distaccamenti della società civile si incontrarono nella comunità di Oventic per celebrare la nascita delle giunte di buon governo. Lì fu presentata la relazione sul primo anno di attività dei caracoles e delle giunte di buon governo, nel quale si dava conto di come i popoli zapatisti costruiscono la loro autonomia, cioè, si sono dotati di un organo di governo proprio con funzioni, facoltà, competenze e risorse. Hanno ripresero il controllo della loro società e l’hanno reinventata.

Nel 2005 e durante il 2006 l’EZLN ha emesso la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e promosso l’organizzazione dell’Altra Campagna, iniziativa non elettorale, in tempo di elezioni, che si è diffusa in tutto il paese, che ha cercato organizzare la resistenza popolare dal basso e a sinistra. La mobilitazione ha affrontato il clima avverso del potere e di settori della sinistra, e la selvaggia aggressione governativa contro gli abitanti di San Salvador Atenco, uno di suoi aderenti. 

Senza ambiguità alcuna, sia nel 2006 che nel 2012, gli zapatisti hanno denunciato la frode elettorale. Nel loro ultimo comunicato sostengono che Enrique Peña Nieto è arrivato al potere con un colpo di Stato mediatico.

Alla fine del 2008 e l’inizio del 2009 si è svolto il Festival della Degna Rabbia, nel quale sono state anticipate molte delle espressioni di disagio sociale che, da allora, sono nate nei paesi sviluppati. Notevoli sono stati i successivi seminari di analisi sulla realtà internazionale e le esperienze autonomistiche tenuti a San Cristóbal de las Casas, con la partecipazione di intellettuali come John Berger, Immanuel Wallerestein e Naomí Klein, per citarne solo alcuni.

Nel 2011 Marcos ed il filosofo Luis Villoro hanno avuto uni scambio epistolare sulla relazione tra etica e politica. Nella sua prima lettera, il subcomandante scrisse: “Ora la nostra nazione è invasa dalla guerra. Una guerra che non è più lontana da chi era abituato a vederla su geografie o calendari distanti (…) questa guerra ha in Felipe Calderón Hinojosa il suo iniziatore e promotore istituzionale (…) Chi si è impossessato de facto della titolarità dell’Esecutivo federale non si è accontentato del supporto mediatico ed è ricorso a qualcosa di più per distrarre l’attenzione ed eludere la messa in discussione della sua legittimità: la guerra”.

Coerente con questa posizione, il 7 maggio 2011, circa 25 mila zapatisti hanno sfilato per le strade di San Cristóbal a sostegno della Marcia Nazionale per la Pace e la Giustizia e contro la guerra di Calderón guidata dal poeta Javier Sicilia. Si mobilitarono all’appello di chi lotta per la vita, ed ai quali il malgoverno risponde con la morte. Nessun’altra forza politica nel paese è riuscita a portare in strada così tanta gente per affrontare questa sfida.

Nessuno nel paese detiene il monopolio della lotta di resistenza contro il potere. In questa resistenza, gli zapatisti hanno svolto un ruolo centrale. Pretendere di sottovalutarla o falsificarla, suggerendo che la loro esistenza favorisce il PRI o il PAN, non fa altro che favorire i signori del potere e del denaro. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/08/opinion/015a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Gustavo Esteva.

In ebollizione, dispersi

di GUSTAVO ESTEVA

Siamo in ebollizione. Fervono indignazione e malcontento, se non frustrazione e perfino la disperazione, lo stesso accade con iniziative e mobilitazioni. Siamo in ebollizione, ma sconcertati: confusi e senza accordo, senza concertazione.

Non lo siamo solo noi. In mezzo a una delle peggiori crisi della storia, alla fine di un ciclo e forse di un’epoca, il disincanto verso le istituzioni, i governi e le politiche dominanti è sempre più generalizzato. Le loro risposte insensate alla mobilitazione popolare che si allarga continuano ad aggravare la crisi allargando il solco tra quelli che sono in alto e coloro che stanno in basso.

In questo contesto, le iniziative che gli zapatisti stanno prendendo potrebbero risultare ancora più importanti di quella del primo gennaio 1994 (data dell’insurrezione zapatista in Chiapas, ndt). Vi fu allora un risveglio nazionale e mondiale. Loro furono i primi a dire “basta!” di fronte all’ondata letale del neoliberismo, come riconoscono tutti i movimenti anti-sistemici nati dopo quell’appello. In Messico cambiò l’equilibrio politico delle forze e furono spinti alla sconfitta i piani autoritari di Salinas (presidente messicano dell’epoca, ndt).

Dicendo loro che non erano soli, tuttavia, a loro la signora società civile comunicò allora che non voleva più violenza e chiese loro di tentare una vaga via istituzionale. Gli zapatisti obbedirono. Non solo si convertirono in campioni della nonviolenza attiva e fecero della parola e dell’organizzazione i loro principali strumenti di lotta. Essi si impegnarono anche seriamente nel dialogo e nella trattativa con le istituzioni.

Accadde quel che accadde. Sia il governo federale, nelle amministrazioni successive, come i poteri legislativo e giudiziario, i governi locali e tutti i partiti politici tradirono la parola data e gli accordi (gli Accordi di San Andrés, firmati dall’EZLN e dal governo nel 1995, ndt) e isolarono, diffamarono e attaccarono senza sosta gli zapatisti e lo zapatismo.

Contro ogni previsione, cancellati dai media e dalle classi politiche, sistematicamente aggrediti da gruppi paramilitari o politici nonché dalla polizia, gli zapatisti hanno consolidato e approfondito la loro costruzione autonoma. Ora dimostrano che la alternativa non istituzionale che hanno intrapreso è ormai una realtà, un cammino percorribile ed efficace per l’azione politica. Come resistenza organizzata, pone dei limiti all’offensiva dall’alto. Come impegno radicale, mina le basi dell’esistenza del sistema dell’oppressione e procede nella riorganizzazione della società dal basso.

Milioni di persone, in Messico e nel mondo, attraverseranno i ponti che gli zapatisti cominciano a gettare per concertare l’azione. Hanno imparato, con loro, che per resistere all’orrore che è caduto su di noi non basta dire di no, rifiutando radicalmente politiche e azioni dall’alto che si feriscono e ci depredano. Abbiamo anche bisogno della costruzione autonoma che dà senso all’impegno, prende la forma della nuova società e nella stessa lotta stessa prefigura l’esito. E abbiamo bisogno di fare tutto questo insieme, in accordo. Dobbiamo ascoltarci e farci sentire, comporre tra tutti una sinfonia armoniosa.

Gli zapatisti mostrano chiara consapevolezza delle difficoltà che affronteranno e dei rischi che correranno. Non si fermano per questo. Sono ben consapevole della povera condizione umana di coloro che dirigono le istituzioni. Sanno che il famoso patto dei partiti o le promesse di Peña (attuale presidente messicano, ndt) agli indigeni, citate dal ministro degli interni. non sono che nuove minacce: costoro arretrano verso l’indigenismo dell’omologazione e spacciano come sviluppo i saccheggi che stanno pianificando. Gli zapatisti sanno anche che coloro che non possono pensare o agire al di fuori del quadro convenzionale e si rifiutano di riconoscere che il problema è nel sistema stesso dell’oppressione, non solo nei suoi operatori, continueranno a concentrare l’energia su nuove fantasie a proposito del 2018 (anno delle prossime elezioni presidenziali in Messico, ndt). Ma non trattano i primi come nemici né ignorano i secondi.

Già si realizzano tentativi truffaldini di ridurre le iniziative zapatiste alla questione indigena. E’ certamente necessario riattivare il Congresso Nazionale Indigeno (organismo che rappresenta tutti i popoli indigeni del Messico, oltre 50 etnie e oltre und decimo della popolazione del paese, ndt) e tenere il dito sulla piaga della violazione degli accordi di San Andrés, ma non a costo di negare la portata delle attuali iniziative zapatiste che sfidano lo stato delle cose dominante e si propongono, grazie alla sapienza indigena, un cammino di trasformazione che comprende ugualmente indigeni e non indigeni.

Per tutto questo, centinaia di partecipanti al Terzo Seminario Internazionale di riflessione e analisi, che dal 30 dicembre al 2 gennaio dal CIDECI e dalla Universidad de la Tierra, in Chiapas, insieme alle migliaia di persone che lo hanno eguito via internet, hanno celebrato con uno spirito rinnovato l’anniversario della ribellione dell’EZLN. La presenza entusiasta e lucida di collettivi, organizzazioni e movimenti di una dozzina di paesi è servito a dimostrare la rilevanza delle iniziative zapatiste al di là dei nostri confini e per iniziare il lavoro di paziente e serena concertazione della nostra degna rabbia. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/07/opinion/018a1pol

da La Jornada di lunedì 7 gennaio 2013. Tradotto da DKm0.

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Essere zapatista in Spagna

Marcos Roitman Rosenmann

In Spagna ci troviamo con una situazione particolare. La sinistra istituzionale si divide continuamente. Durante l’ultimo anno sono apparsi partiti che si sono staccati da Izquierda Unida, per proseguire, curiosamente, nel suo seno. E’ incomprensibile. Si declama l’unità e la coesione, ma si pratica la divisione. I problemi crescono e le soluzioni non arrivano. Prevale il protagonismo e l’ansia di potere. Si discute solo del nome del prossimo segretario generale o regionale, e non i principi, il progetto e l’obbligo etico e politico di elaborare un programma di azione in basso e a sinistra.

L’ombrello dell’inefficienza è grande; sotto si proteggono le mafie interne. Le mafie scatenano le loro azioni per mantenere ed accrescere, se possibile, il controllo del comando. Un giovane militante riceve un apprendistato nefasto. Per essere protagonista deve crescere nell’organizzazione. Appartenere ad un gruppo, avere padrini e tacere a comando. L’organizzazione sembra campo di battaglia. I suoi affiliati vivono di rissa in rissa. Tutto si negozia al tavolo dei ristoranti, tra caffè e aneddoti. Così si spartiscono la torta. La segreteria generale per me, internazionale per voi, per l’organizzazione vedremo poi. La cosa importante, il finanziamento. Posto chiave: tesoriere. Questa realtà non credo sia molto diversa in Francia, Germania, Cile, Messico o Italia.

Le sinistre che si sono sistemate dentro il sistema hanno deciso di trasformarsi nei cortigiani delle immoralità del capitalismo. Ma hanno rinunciato al sogno di costruire un altro mondo. Un mondo dove stanno tutti i mondi, dove la dignità, l’etica, il senso democratico di comandare ubbidendo sia il principio che apre le porte ad una vita in libertà, giustizia sociale, equità e democrazia. Vogliono semplicemente ottenere una percentuale di sindaci, deputati, senatori. Più sono, meglio è. Così si fa rumore e si conquistano più voti.

Nell’ultimo comunicato dell’EZLN, firmato dal subcomandante Marcos, “Non vi conosciamo?” sono indicati 10 principi dai quali è possibile riconoscere un non zapatista. Tra questi: se vuole una carica, nomina, regali, premi; se ha paura; se si vende, arrende o tentenna; se si prende molto sul serio; se non fa venire i brividi al solo vederlo; se non dà la sensazione di dire più con quello che tace; se è un fantasma che svanisce. Ha davvero ragione. Per questo essere zapatista oltrepassa le frontiere nel campo del pensiero e dell’agire della sinistra il cui obiettivo è distruggere, dico bene, distruggere i meccanismi di dominazione e sfruttamento del capitale che negano la condizione umana.

Nel pieno di un capitalismo che si arroccato, il campo della sinistra istituzionale a pezzi è deserto. In questo contesto, lo ya basta! sollevato nel 1994 mantiene tutta la sua vitalità. E non solo per denunciare il cattivo ed illegittimo governo di Salinas de Gortari, ma per l’impegno espresso in basso e a sinistra. L’EZLN ha superato le frontiere. Non è un modello. Nella storia non esistono, per quanto lo propongano eruditi e manipolatori d’opinione. Dobbiamo accontentarci dell’esplosione di processi politici, sociali e lotte di resistenza nelle strutture di potere di ogni popolo, nazione e Stato. Esiste un colonialismo interno, dipendenza, imperialismo, oligarchie, borghesie dirigenti, traditori e imprese transnazionali. Contro ciò si lotta. Le armi utilizzate sono diverse e rispondono a realtà multiple e dissimili. L’EZLN ha avuto ed ha la virtù di ricreare forme di resistenza ed utilizzare armi potenti: la parola degna, il silenzio, il noi, il comandare ubbidendo e l’etica politica.

Essere zapatista in Spagna non presuppone di riprodurre schemi. Non si tratta di fare solidarietà. È un’attitudine, uno stile di vita, un modo di agire. Un comportamento. Oggi, segno e identità di tutti quanti sono in basso e a sinistra, indignati, con degna rabbia, anticapitalisti, esclusi ed emarginati, popoli originari, che lottano e resistono al capitalismo. Il suo silenzio in Messico è il nostro in Spagna. La sua dignità in Messico, la nostra in Spagna. Le sue speranze in Messico, le nostre in Spagna. Sono la forza contro l’ingiustizia, la corruzione, la vigliaccheria e il tradimento. Niente ci separa, tutto ci unisce. In questo consiste essere zapatista in Spagna.

Ma lo zapatismo è vilipeso da chi si sente il padrone della verità, del mondo e l’unica sinistra possibile. In questo attacco si cerca il suo annichilimento attraverso le aggressioni, le provocazioni e gli atti di sabotaggio. I suoi comandanti sono caricature, diffamati e considerati luogotenenti del subcomandante Marcos, a sua volta demonizzato. Attacchi destinati a provocare scoraggiamento in chi milita nello zapatismo. Puri attacchi vuoti che alla fine si ritorcono contro chi li fomenta. Il loro uso dimostra l’incapacità politica di rispondere alle proposte di autonomia, pace, giustizia sociale, democrazia, dignità e libertà, lanciate dall’EZLN. Non c’è dubbio. Militare nello zapatismo è un orgoglio e un dovere. Bisogna continuare ad essere zapatista. Non si può smettere di esserlo in questo momento. Né rinunciare né scoraggiarsi. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/05/opinion/016a1mun

Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN: più forte che mai

Gilberto López y Rivas

 I maya zapatisti organizzati nell’EZLN sono tornati sui loro passi del 1994, e questa volta senza armi, il 21 dicembre scorso si sono presi simultaneamente le cinque città dell’inizio del loro movimento: San Cristóbal de las Casas, Altamirano, Las Margaritas, Palenque e Ocosingo. In silenzio, in perfetta sincronia, organizzazione e simultaneità, più di 40 mila uomini e donne integrati nei contingenti della multietnicità che ha caratterizzato lo zapatismo, sono arrivati all’alba di questo giorno memorabile, annunciatori di fine del mondo e inizio di una nuova era, per rispettare, ancora una volta, un altro appuntamento con la storia di questo paese d’impunità di governo e di popoli che resistono con la dignità ed il comandare ubbidendo che l’EZLN ha stabilito come effettiva e reale alternativa democratica.

Preceduti sempre dall’azione, prima della vuota parola della classe politica, questa singolare sfilata di colonne dei maya zapatisti che senza eccezione, inclusi i bambini, sono saliti – col pugno alzato – sui palchi collocati di fronte ai palazzi di governo delle città prese e drappeggiati dalla bandiera nazionale e dalla bandiera rossa e nera di questa organizzazione, ratificano con questo atto simbolico chi sono quelli che comandano e che sono protagonisti di questa lotta che compie 19 anni dalla suo ingresso sulla scena pubblica e che ha scosso il mondo dell’emancipazione e delle ribellioni.

La riapparizione dell’EZLN il 21 dicembre in Chiapas ed i comunicati del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale dei giorni successivi, costituiscono una dimostrazione della forza di questo movimento sorto dall’intreccio delle lotte di liberazione nazionale in America Latina – che si sviluppano dopo il trionfo della Rivoluzione Cubana il primo gennaio del 1959 – col mondo indigeno, matrice civilizzatrice della nazione messicana che ha prevalso a dispetto dei tentativi dei poteri oligarchici di tutti i colori politici di cancellarli come popoli con identità, cultura e governi propri. Le esperienze della nuova autonomia che si sono stabilite in territorio ad egemonia zapatista segnano la differenza della nuova era, nella quale i popoli vivono nella dignità di una forma di espressione del potere popolare, senza burocrazie né mediazioni.

I comunicati zapatisti risultano trascendenti e freschi, in questo deserto della politica messicana e globale, con il tratto peculiare impresso dal SCI Marcos ai documenti dell’organizzazione che costituisce, nei suoi termini, la migliore prova in vita di una foto o un video: parole dirette, senza evoluzioni né significati nascosti da agenda elettorale, che mettono a nudo strutturalmente il potere tale e quale è, violento-sfruttatore, senza volto umano e capacità riformabili; precise caratterizzazioni delle forze politiche principali del paese: il panismo, attraverso la “Lettera del SCI Marcos dell’EZLN a Luis Héctor Álvarez Álvarez”, la sinistra istituzionalizzata ed il priismo con la descrizione dei noti personaggi che ora governano, con i suoi assassini, complici del crimine organizzato, e sinistrensi pronti a mettersi all’opera foraggiati dal clientelismo e dal corporativismo dei partiti. Speciale menzione in questi comunicati che stabiliscono la riapparizione zapatista è per chi, dalla limitata sinistra, nelle parole del Sub: “prima ci hanno calunniato e poi hanno cercato di zittirci… Incapaci e disonesti per vedere che in se stessi avevano ed hanno il germe della loro rovina, hanno tentato di farci sparire con la bugia ed il silenzio complice… Sei anni dopo, due cose sono chiare: loro non hanno bisogno di noi per fallire. Noi non abbiamo bisogno di loro per sopravvivere”.

Oltre all’analisi delle forze politiche e la congiuntura che segna questa riapparizione dell’EZLN, sono di interesse primario per le lotte antisistema messicane le azioni da sviluppare da parte della sua dirigenza nel futuro prossimo, delle quali rilevo quella che mi sembra la più strategica, necessaria ed opportuna: riaffermare e consolidare l’appartenenza al Congresso Nazionale Indigeno (CNI), correttamente considerato lo spazio di incontro con i popoli originari del nostro paese. Il CNI fu fondato nell’ambito del dialogo tra l’EZLN ed il governo federale che portò alla firma dei mai rispettati accordi di San Andrés e fu il risultato delle discussioni tra tutte le organizzazioni indigene per dare coerenza nazionale al loro movimento per l’autonomia e le resistenze anticapitaliste. Nell’attuale offensiva delle corporazioni capitaliste contro i popoli, appoggiate dal regime dei partiti di Stato, per spogliarli dei loro territori e risorse, è vitale la presenza dei maya zapatisti al fine di unificare sforzi, condividere esperienze e consolidare strategie comuni.

E’ altresì importante la decisione di riprendere il contatto con gli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in Messico e nel mondo; la costruzione di ponti necessari verso i movimenti sociali che sono sorti e sorgeranno; con individui e gruppi, in Messico e nel mondo, che mantengono ancora vivi la convinzione e l’impegno per la costruzione di un’alternativa non istituzionale di sinistra; il mantenimento della distanza critica dell’EZLN di fronte alla classe politica messicana che, nel suo insieme, non ha fatto altro che crescere a costo delle necessità e le speranze della gente umile e semplice.

Sicuramente, con questa riapparizione arriveranno anche le critiche e le note analisi antizapatiste. Tuttavia, queste sono le azioni e le parole di coloro che non tentennano, non si vendono né si arrendono. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/04/opinion/019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Come stabilito, l’incontro europeo a Parigi il 2 e 3 febbraio 2013 è in marcia. Mai come nel contesto attuale questo incontro acquisisce un significato importante.  Vi informiamo che siamo pronti ad accogliervi a partire dal pomeriggio di venerdì 1° febbraio fino a domenica 3 febbraio (in fondo, il link con indicazioni, mappa e tariffe). Coloro che non potessero essere presenti a questo incontro possono ugualmente condividere con noi idee e suggerimenti. Inviamo questo messaggio per avanzare nell’organizzazione dell’incontro e stabilire con voi il programma.

Vogliamo sottoporvi i temi che ci sembrano interessanti discutere insieme:

  1. Analisi, riflessioni e proposte relativamente agli ultimi comunicati dell’EZLN
  2. Bilancio della solidarietà in Europa e riflessioni sulle possibilità di sviluppare reti di resistenza e solidarietà. Ci sembra molto importante rafforzare le nostre reti, scambiare e coordinare la nostra solidarietà.
  3. Dalla Sesta Dichiarazione ci pare necessario continuare a discutere sui nostri obiettivi, il nostro agire ed i nostri punti di vista. Cioè, come organizzare punti comuni intorno alle nostre solidarietà con tutte le lotte in basso e a sinistra contro il capitalismo e tutto quello che l’accompagna.
  4. Fin dall’inizio, gli zapatisti hanno aperto le porte alle lotte che si svolgono in ogni parte del mondo. Ci sembra necessario un dibattito sulle lotte in corso in Spagna, Grecia o in altre parti, per esempio. Ognuno dei nostri paesi è coinvolto in lotte di fronte alla crisi attuale ed ai grandi progetti inutili. Da parte nostra parte potremmo presentare la lotta contro l’aeroporto in Notre Dame des Landes che fa parte ormai di una rete di lotte al livello europeo.
  5. Purtroppo, sappiamo che questa lotta ha le sue vittime colpite dalla repressione. Non possiamo continuare questa lotta senza organizzare la solidarietà tutti loro.

Insieme a queste proposte, aspettiamo di ricevere le vostre idee su come dovrebbe essere questo incontro.

Fino ad ora hanno risposto 10 collettivi, che ringraziamo. Vi chiediamo per favore di farci sapere il prima possibile se altri parteciperanno ed il numero di persone, così come la data di arrivo e partenza e necessità di alloggio.

Grazie per le vostre proposte e risposte,

CSPCL, Parigi http://cspcl.ouvaton.org/

Acceso Encuentro Paris 2013

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La Jornada – Giovedì 3 gennaio 2013

E’ il tempo della ribelione, messaggio degli zapatisti al seminario

La lezione dell’EZLN: non si può silenziare la storia, affermano Villoro e Navarro a chiusura dell’incontro

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 2 gennaio. Celebrando “il fragore del silenzio dei nostri fratelli zapatisti che hanno svegliato il mondo – anche i più increduli – tornando ad accendere la fiamma della speranza”, i filosofi Luis Villoro e Fernanda Navarro hanno salutato il Terzo Seminario Internazionale di Riflessione e Analisi Pianeta Terra, Movimenti Antisistemici che si è chiuso oggi.

Nel loro messaggio, Villoro e Navarro affermano: Ci hanno dato una nuova lezione: che la storia non si può mettere a tacere. Non molto diverso è quello che sono venuti a dire in questo particolare dialogo interculturale le voci dell’America indigena, da esperienze differenti, cariche dell’energia (newen, la chiamano i mapuche) del divenire della storia.

Nella sessione finale sono risuonate forte le voci dell’intellettuale di lingua mapundungun Luis Cárcamo-Huechante e del dirigente amazzonico dell’Ecuador Severino Sharupi Tapuy. Non sono tempi per procedere lentamente, ha detto il secondo, in rappresentanza dell’importante Confederazione Nazionale Indigena dell’Ecuador (Conaie). Ha esposto una valutazione dell’impatto del movimento indigeno sulla vita del suo paese nei passati 20 anni, non esente da autocritiche, perché ha ammesso che, a dispetto dei risultati, hanno commesso errori legati all’intenzione di prendere il potere (e sono stati vicino a farlo, abbattendo tre presidenti e ottenendo una nuova Costituzione).

Secondo Sharupi, non si è costruito un potere dal basso per l’idea di prendere il potere esistente. Le sue parole risultano urgenti: Non è più il momento di resistere soltanto. È il momento di fare un passo avanti. È il tempo della parola e della ribellione. La consonanza con i messaggi zapatisti che hanno permeato questo seminario internazionale è evidente: Siamo un popolo in costruzione, ha detto, e paradossalmente ha concluso: Come la tartaruga che è lenta, ma, siccome procede sulle sue quattro zampe, non cade.

Il dire facendo/fare dicendo degli ecuadoriani si sposa anche, senza ripeterlo, con l’uso della parola che ha caratterizzato il movimento zapatista del Chiapas nei due stessi decenni in cui la Conaie ha percorso le proprie strade, e non è la prima volta che si incrociano. 

Cárcamo-Huechante, mapuche cosmopolita per l’esilio, ha parlato a nome della Comunità di Storia Mapuche, organizzazione di lotta culturale in Cile che ha trovato nei libri e nella radio strumenti di autonomia. Ha descritto l’esperienza di auto-pubblicarsi, con una visione propria della storia, la geografia, l’interpretazione del territorio e la comprensione della legge.

L’opera collettiva Historia, colonización y resistencia en el País Mapuche è una pietra miliare nell’attuale e contundente risveglio dei popoli di Wall Mapu, in Cile (e Argentina). Continuano ad essere colonizzati dallo Stato cileno, tradizionalmente razzista e che li ha perseguitati e derubati. Dalla dittatura di Pinochet viene loro applicata l’infame legge antiterrorista. 

Ma anche in Ecuador, col suo governo più progressista (ma fondamentalmente favorevole alle estrazioni minerarie, dice Sharupi), si applica una legge simile contro i dirigenti indigeni.

Insieme a queste voci, quelle di Félix Díaz, qarashé della comunità qom dell’Argentina; del mapuche Andrés Cuyul, e quelle del Congresso Nazionale Indigeno del Messico, sentite ieri. Tutti questi interventi sono stati tradotti o commentati in tzeltal e tzotzil, in considerazione del pubblico locale venuto ad ascoltare gli analisti, i dirigenti ed i saggi, come Luis Villoro e Jean Robert.

Fedele al pensiero attivo che ha caratterizzato la sua vita, Robert ha parlato con generosità del mondo contadino, dove risiede la resistenza, ed ha avvertito del pericolo della sua scomparsa di fronte al disastro ecologico che si diffonde nel pianeta. La parola chiave per lui è costruzione. 

Anche Villoro e Navarro, rispondendo all’appello zapatista dichiarano: dietro quel silenzio ci invitano, ci incitano a far camminare la parola, la loro parola, per mostrare quello che loro hanno ottenuto resistendo e costruendo un mondo nel quale tutto quello che ha vita si ama e si rispetta, perché ha cuore. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/03/politica/005n1pol

http://seminarioscideci.org/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 2 gennaio 2013

Il governatore del Chiapas chiede di applicare gli accordi di San Andrés

Si impegna a rispettare i terreni in possesso delle comunità indigene

Velasco Coello dice che sosterrà le iniziative che contribuiscano alla pace giusta e degna

 Dalla Redazione

San Cristóbal de las Casas, Chis. 1° gennaio. Il governatore Manuel Velasco Coello ha chiesto il rispetto degli accordi di San Andrés in materia di diritti e cultura indigeni, come concordati nel febbraio del 1996 dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ed il governo federale.

Nel 19° anniversario dell’insurrezione armata dell’EZLN, Velasco Coello ha reso nota la sua posizione di fronte alla rinascita della lotta zapatista; ha annunciato azioni di governo e manifestato la sua disponibilità e sostegno ad ogni iniziativa che contribuisca alla pace giusta e degna.

Il governo del Chiapas, ha dichiarato, si impegna a rispettare le proprietà zapatiste che oggi sono ad uso e beneficio sociale, nel contesto del rispetto di ogni forma di proprietà della terra. Rispetteremo il diritto alla resistenza e all’autodeterminazione degli zapatisti.

Il governo statale sarà attento alla proposta e implementazione di ogni programma statale di sviluppo nelle comunità con presenza zapatista, ha promesso Velasco.

Non è nostro obiettivo la divisione delle comunità, ma il benessere, lo sviluppo e l’unità di tutti i popoli indigeni del Chiapas, ha affermato.

Manuel Velasco ha dichiarato che il suo governo si adopererà per la difficile e tesa situazione nelle comunità zapatiste Comandante Abel e San Marcos Avilés, nella regione nord, cercando di contribuire ad una soluzione duratura e giusta. In quelle località le basi zapatiste lottano per la loro autonomia.

Sulla richiesta di liberazione del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez e di Francisco Santiz López, originario del municipio di Tenejapa, il governo statale ritiene necessaria la loro immediata scarcerazione.

Il governatore considera che il veemente silenzio dell’EZLN è un’opportunità per costruire un movimento per la pace con giustizia.

Ciò nonostante, il governo del Chiapas ritiene che sono i fatti programmati e coerenti, e non le vaghe dichiarazioni, a poter spianare la strada ad una soluzione giusta e duratura; fatti che, a loro momento, dovranno essere vagliati da parte dell’EZLN e della società nel suo insieme, completando così e continuando il non facile processo di soluzioni ferme e durature.

Le mobilitazioni zapatiste del 21 dicembre scorso non sono passate inosservate dal nuovo governo dello stato, sono un fatto trascendente che deve segnare l’inizio di un processo di soluzioni ferme e durature, ha detto Velasco Coello.

Nel 19° anniversario dell’insurrezione armata, il governatore del Chiapas ha affermato che le ultime parole dello zapatismo sono costruttive, pacifiche, politiche ed arricchiscono la pluralità. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/02/politica/007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 2 gennaio 2013

Lo zapatismo, l’opzione di fronte al dilemma riforma/rivoluzione

Voci dal Seminario di riflessione e analisi: Planeta Tierra

 Hermann Bellinghausen. Inviato.San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º gennaio. Ci troviamo di fronte all’opportunità di organizzare a livello mondiale un’immensa rete di collettivi a difesa del territorio, della terra e della Terra, ha dichiarato Pablo González Casanova davanti a un auditorium strapieno dell’Università della Terra in questa città; ciò, in riferimento alla persistente e crescente costruzione dell’autonomia delle comunità zapatiste. “Questo è il compito fondamentale, se pensiamo alla ‘altra politica’, costruita dal basso”.

La proposta zapatista, ha aggiunto, è una nuova alternativa al vecchio dilemma riforma/rivoluzione che ha caratterizzato il dibattito e le lotte della sinistra nel XX° secolo. Siamo di fronte ad un nuovo momento che cambia la geometria politica, che va oltre l’opposizione destra-sinistra, parlando, come fanno gli zapatisti, del sopra e del sotto.

Crisi ad ampio spettro

González Casanova sostiene che il mondo affronta una crisi ad ampio spettro, più grande di una crisi finanziaria o economica. Non ciclica, né di breve o lunga durata, dovuta al modello di accumulo intrapreso dal capitalismo nella sua fase attuale che mette in rischio la sopravvivenza stessa del mondo.

Ha rimarcato la novità del modo di presentare le alternative rivoluzionarie, lì dove le grandi trasformazioni promulgate da Lenin e Mao sono fallite. Ha origine il sudest messicano, abitato dai popoli maya, e rappresenta un progetto universale, non per una nuova politica indianista o solo indigenista, ma di emancipazione umana che, per quanto possibile, sarà pacifica.

Il sociologo messicano si domanda: che cosa hanno Cuba e la sua rivoluzione per continuare ad esistere dove altre esperienze come quella sovietica o quella del Vietnam hanno portato al tipo di capitalismo che attualmente guida quelle nazioni? È la combinazione di Marx e Martí, ha azzardato. Sostiene che oggi è l’esperienza del Venezuela quella che è arrivata più lontano nel continente, senza ignorare quello che succede in Ecuador, Bolivia ed Uruguay, che pure essendo insufficiente, punta a come può resistere l’attuale fase di ricolonizzazione e saccheggio del capitalismo.

Mentre nei loro cinque caracoles nella selva e sulle montagne del Chiapas migliaia di basi di appoggio zapatiste celebrano a porte chiuse il 19° anniversario dell’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in questa città si svolge il Terzo Seminario di riflessione e analisi Pianeta Terra: movimenti antisistemici, dove questa sera è intervenuto González Casanova.

Uno striscione sul portone del caracol di Oventic, negli Altos, recitava in caratteri rossi e neri: “Lunga vita ai compagni aderenti all’Altra Campagna del Messico e del mondo”. Le guardie incappucciate indicavano ai giornalisti che si poteva riprendere o fotografare solo questo. Su altri due striscioni si leggeva la richiesta di liberazione immediata di Francisco Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, ed Alberto Patishtán Gómez, aderente all’Altra Campagna. Ieri sono giunti nei caracol migliaia di indigeni in numerosi gruppi provenienti dalle diverse comunità.

Autonomia comunitaria

Il terzo seminario internazionale ha fatto da eco al deliberato silenzio della marcia zapatista questo 21 dicembre. Ed anche per riannodare il dialogo della società civile e degli intellettuali che continuano ad essere interlocutori dello zapatismo; ora, dopo il recente comunicato del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comandancia Generale dell’EZLN, e le lettere al governo federale passato e nuovo del subcomandante Marcos. Tutto conferma il vigore e l’urgenza dell’autonomia comunitaria che nelle montagne del Chiapas oggi rappresenta l’esperienza di autogestione più estesa e longeva al mondo, in permanente resistenza.

Il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) si è espresso ampiamente attraverso la voce del dirigente purépecha Salvador Campanur, della comunità autonoma di Cherán, Michoacán, come spazio di riflessione ed incontro di tutti i popoli e nazioni indios disposti a procedere in autonomia, libertà e resistenza. Non a caso la figura ed il nome di don Juan Chávez Alonso, morto mesi fa, è risuonata per bocca di sua figlia Margarita, arrivata qui dalla comunità di Nurío, e di altri suoi compagni.

Erano presenti per salutare e ribadire la loro lotta i wixaritari di Jalisco e la difesa contro le imprese minerarie nel deserto sacro di Wirikuta; gli yaquis che difendono il loro fiume omonimo contro la barbarie del governo panista di Sonora, e gli amuzgos di Suljaá, Gueriero, per voce della sua Radio Ñomndaá. L’Assemblea dei Popoli Indigeni dell’Istmo in Difesa della Terra e del Territorio ha insistito nel denunciare gli abusi colonizzatori delle multinazionali dell’energia eolica che infestano le comunità zapotecas di Unióne Hidalgo e Juchitán, come i popoli ikoot di San Dionisio e San Francisco del Mar, nel sud di Oaxaca. Le spagnole Mareña Renovables, Femosa ed altre, con l’inganno, violando i diritti dei popoli, ed appoggiate dal governo oaxaqueño, hanno causato grandi danni sociali ed ambientali, e minacciano di causarne ancora di più se i popoli non le fermeranno.

Dal suo inizio, il seminario ha adottato come indirizzo di riflessione la condizione dell’ascolto attento: È un nuovo tempo delle lotte dei popoli, ha detto il giorno 30 l’antropologa femminista Mercedes Oliveira, al CIDECI-Università della Terra. Hanno partecipato Jerome Baschet, Xóchitl Léyva e Ronald Nigh, anche come attenti ascoltatori del silenzio e della parola dei ribelli che l’Anno Nuovo del 1994 si sono sollevati in armi contro il malgoverno e quasi due decenni dopo sono ancora presenti e contano. Ora annunciano nuove iniziative ed azioni. Anche Sylvia Marcos ha affermato quello che ha sentito dall’impressionante silenzio e dai corpi dei 40 mila zapatisti che il 21 dicembre hanno sfilato in cinque città del Chiapas, e dopo le più recenti parole dell’EZLN.

Hanno illustrato le loro lotte ed affinità anche Emory Douglas, figura storica del partito delle Pantere Nere statunitensi; Andrés Cuyul, rappresentante del popolo mapuche; la cineasta e nazionalista portoricana Ivonne María Soto, e Juan Haro, del Movimento per la Giustizia del Barrio di New York. Il pensatore belga François Houtart, nella sua interpretazione del disastro capitalista, ha affermato che esiste una resistenza generalizzata contro la disuguaglianza economica ed il sistema che si è costruito nel mondo, e che di fronte alla crisi della logica dello sviluppo dobbiamo trovare alternative e non solo regolamentazioni; bisogna ripensare in maniera completa la realtà della Terra e la realtà umana.

Gustavo Esteva ha parlato di questa crisi all’interno della crisi del capitalismo ed enumerato i dati minimi delle condizioni di disastro sociale, politico, economico, alimentare, ambientale e di vita in cui si trova il Messico, ed ha invitato a consolidare le vie dell’autonomia, l’autosufficienza alimentare, la difesa delle risorse e, soprattutto, il pensiero libero, decontaminato, senza il quale non sarà possibile la costruzione di un mondo diverso.

Poco prima, Silvia Ribeiro aveva tracciato le coordinate dell’imminente appropriazione, da parte di Monsanto e simili, del mais e della vita in Messico, aiutati dall’entusiasmo riformatore dei legislatori di tutti i partiti che spianano la strada alle multinazionali ed alle loro coltivazioni transgeniche, per di più, con diritto di brevetto.

Ben riassume quello che il CNI ed i relatori sono venuti ad esporre in questo seminario internazionale molto partecipato, la gratitudine di Margarita Chávez Alonso a suo padre per avere insegnato il percorso dell’EZLN alle comunità di Michoacán. http://www.jornada.unam.mx/2013/01/02/politica/005n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera a Luis Héctor Álvarez Álvarez

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Novembre – Dicembre 2012

“Quasi tutti gli uomini preferiscono negare la verità
prima di affrontarla.”

Tyrion Lannister a Jon Snow.

“Se non ha niente da temere, un codardo non si distingue in niente da un coraggioso. E tutti facciamo il nostro dovere quando questo non ci costa niente. In questi momenti, seguire il sentiero dell’onore ci sembra molto semplice. Ma nella vita di ogni uomo, presto o tardi, arriva un giorno in cui non è semplice, in cui bisogna scegliere.”

Maestre Aemon Targaryen a Jon Snow.

Per: Luis Héctor Álvarez Álvarez.
In qualche luogo del Messico (spero).

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Chiapas, Messico

 Signor Álvarez… 

Errr… Permetta un momento, signor Álvarez, questa parte è per spiegare da dove vengono le epigrafi: 

Le citazioni sono dal libro: Canción de Hielo y Fuego. Tomo I: Juego de Tronos. 1996. George R.R. Martin. La serie televisiva Games of Thrones, che prende il nome dal primo tomo della saga, non è niente male (Peter Hayden Dinklage, che dà volto e voce a Tyrion Lannister, emerge, paradossalmente, sopra gli altri attori ed attrici; Jon Snow è interpretato da Kit Harington, ed il Maestre Aemon Targaryen da Peter Vaughan) e le prime due stagioni si possono acquistare a modico prezzo dal vostro rivenditore preferito (dite sì alla pirateria).

Il dvd che ho visto è stato un regalo involontario del commercio informale nell’Eje Central, México D.F., (cioè, qualcuno l’ha comprato lì e me l’ha mandato)… ops, il governo di “sinistra” del DF mi applicherà l’articolo 362 (…) (sarebbero l’invidia di Gustavo Díaz Ordaz… oh, oh, quell’articolo è stato proposto nel 2002 dall’allora capo di governo del DF, Andrés Manuel López Obrador, ed approvato dall’ALDF di maggioranza perredista… mmh… questa parte non mettetela… non andate a dire che sono al servizio della destra… sapete che mi ha sempre molto preoccupato quello che si dice di me.)

L’immagine è un po’ pixellata, ma si vede e si sente bene. Buon prezzo, mi dicono; in ogni caso più economico che pagare HBO, e senza l’ansia di dover aspettare una settimana per sapere cos’è successo al piccolo Bran (Isaac Hempstead Wright), o all’abbagliante Daenerys Targaryen (Emilia Clarke). 

Tuttavia, io raccomanderei di leggere anche i libri – sì, lo so che la moda del sessennio non è leggere libri e che è più economico il gel per capelli – ma il vantaggio è che si può fare un corso di filosofia pratica (ah, i paradossi) con i dialoghi di Tyrion Lannister (che, come mi dicono, è una proiezione letteraria del signor George R. R. Martin). Un altro vantaggio è che si possono “spoileare” (o come si dice) a mansalva nei vostri blog preferiti. Anche se vi attirerete l’inimicizia di molt@, i vostri punti, (sebbene negativi) nel postare saliranno in maniera apprezzabile. Questo sì, non abusate, perché se vi capitasse di dire che in “Danza de Dragones”… ok… ok…ok… sto zitto… diciamo no allo spoil.

 Prego.

Distintamente,
Marquitos Spoil.

Ora sì:

Signor Álvarez Álvarez:

La presente non è solo per riaffermare quello che il silenzio moltitudinario del 21 dicembre deve aver detto chiaro a lei, alla classe politica ed al governo di Azione Nazionale, in generale, e a Felipe Calderón Hinojosa in particolare:

Avete fallito.

Oh, nessun dramma. Altri governi c’avevano già tentato prima… e continueranno a tentare.

Ma, signor Álvarez, Non deve cercare in noi il suo fallimento, neppure nella poca professionalità del suo per nulla intelligente servizio di intelligenza (benché ora sappia che sono stati e sono degli svergognati). A chi è venuto in mente che uno zapatista, chiunque di noi, entrerebbe in un governo di criminali per chiedere aiuto se fosse malato? Chi può pensare razionalmente che gli zapatisti sono insorti per denaro?

Solo la mentalità da conquistatore demodé (il cui miglior esempio è Diego Fernández de Cevallos) che inculcano nel suo partito politico, Azione Nazionale, è riuscita a darvela a bere.

E non ci voleva intelligenza, ma solo leggere i giornali o ascoltare i giornalisti di prima: gli imbroglioni che si sono presentati da lei come “amici vicini al Sup Marcos”, sono gli stessi che avevano inscenato la resa e la “consegna delle armi” al nefasto Croquetas Albores nel 1998, fingendo di essere zapatisti, e che sono noti truffatori che non ingannano più nessuno… beh, lei sì. Quanto le hanno chiesto? La differenza è che il Croquetas sapeva che era una pantomima e pagò per questa (e perché i media mostrassero lo stabilimento balneare del Jataté, alla periferia di Ocosingo, come se fosse “nella selva lacandona”), e lei non solo l’hanno ingannata, ma l’hanno perfino messa in un libro.

E come se non bastasse, lei invita alla presentazione di quel libro Felipe Calderón Hinojosa, ubriaco di sangue e alcool, che non solo ha balbettato incoerenze, ma ha anche dato ai media la versione stenografica. Indubbiamente i media sono costati il doppio: non per pubblicarla, ma per non pubblicarla, dato che rendeva palese lo stato di ebbrezza di chi proferiva quelle parole. Credo che ora sia chiaro che Felipe Calderón Hinojosa ha mentito fino all’ultimo minuto, e che è un’invenzione sfacciata ciò che riferisce nella sua ultima relazione di governo. L’unico avvicinamento che il suo governo ha avuto con “rappresentanti e comandi dell’EZLN” è stato quello dei suoi eserciti, poliziotti, giudici e paramilitari.

Ma, bene, ora sa, signor Álvarez, ciò che significa essere disprezzato per quello che impone il calendario implacabile.

Come gli indigeni, gli anziani sono disprezzati. E come simbolo del disprezzo, ecco le monetine dell’elemosina, o, nel suo caso, l’affronto dell’inganno, l’insulto di essere ignorato, lo scherno alle sue spalle.

Ma c’è una differenza, una piccola differenza, ma di quelle che fanno girare la ruota della storia: mentre lei pagava (con soldi non suoi) per essere deriso (facendo perfino un libro); noi, indigeni e zapatisti, punivamo il suo disprezzo col nostro silenzioso e lungo camminare.

Perché sappiamo che le vendono anche l’idea che sarà ricordato per la sua lotta per la democrazia (in realtà, la sua lotta per il potere, ma là in alto usano distorcere entrambi i termini). Anche se poco, potrebbe essere ricordato per essere stato complice (o funzionario, è la stessa cosa) del governo più criminale che, da Porfirio Díaz, questo paese ha subito.

E qua, in terre indigene zapatiste, potrebbe essere ricordato come parte di un altro governo che ha cercato di farci arrendere (o comprarci, è la stessa cosa) e, com’è stato evidente col roboante silenzio di San Cristóbal de Las Casas, Altamirano, Las Margaritas, Palenque e Ocosingo, un altro che ha fallito.

Perché la classe politica e chi vive della sua stupidità, dovranno estinguersi senza che nessuno gli prsenti il conto (semmai, solo per ringraziare di non disturbare più), e non saranno nient’altro che un numero in più nella lunga lista dei sedotti dal sogno di essere “storici”.

E guardi che non mettiamo in discussione la sua moralità. E’ risaputo che ogni banda di criminali, come quella che lei ha servito in questi anni, cerca chi gli dia un volto gentile e buono, affinché, con quel volto come alibi, nasconda la sua identità predatrice.

Credo che già lei lo sappia signor Álvarez. In quel sopra di tutto lo spettro politico, tutti sono uguali. Anche se qualche ingenuo non lo scopre fino a che non subisce l’ingiustizia sulla propria pelle, mentre la ignorava quando quell’ingiustizia veniva distribuita quotidianamente in altre geografie vicine o lontane.

I suoi compagni di partito che hanno lucrato col sangue degli innocenti, ed ora lamentano che sul mercato c’è stato chi ha pagato-incassato di più, tutti, non sono altro che una banda di criminali che ha fatto e fa grottesche contorsioni all’insensato ritmo che i media impongono.

E’ orgoglioso di aver fatto parte di una squadra con un delinquente come Javier Lozano Alarcón, che ha dovuto nascondersi nel Senato per non essere chiamato a fare i conti con la giustizia? Si sente bene per essere stato compagno di Juan Francisco Molinar Horcasitas, un criminale con le mani macchiate del sangue di neonati?

Benché a volte i paradossi siano comici, altri sono tragici.

Il suo partito politico, Azione Nazionale, è stato uno di quelli che dall’alba del 1994 hanno capeggiato le grida isteriche contro di noi, chiedendo che ci annichilissero, perché minacciavamo di sprofondare il paese in un bagno di sangue. Ed è risultato che siete stati voi, fatti governo, ad estendere il terrore, l’angoscia, la distruzione e la morte in tutti gli angoli del nostro già malconcio paese.

E cosa mi dice di quando i membri del suo partito nel Congresso (insieme a quelli del PRI e del PRD) hanno votato contro gli Accordi di San Andrés per i quali lei ha lavorato, avvertendo che quegli accordi significavano la frammentazione del paese. Ed è il suo partito, signor Álvarez, che consegna una Nazione in pezzi.

Ma si consoli, signor Álvarez, l’affanno dei suoi di passare alla storia sarà ricompensato. Avranno una riga, sì, tra i truffati dai burloni.

Ed anche nelle pagine dei libri di storia e geografia, nelle scuole zapatiste, in un paragrafo si leggerà:

“Il malgoverno di Felipe Calderón Hinojosa è conosciuto come quello che ha portato la morte assurda in tutti gli angoli del Messico, ha dato ingiustizia a vittime e carnefici e lasciato, quale sanguinoso omaggio al crimine fatto co-governo, il suo monumento. Se Porfirio Díaz ha lasciato L’Angelo dell’Indipendenza, Felipe Calderón ha lasciato la Stele di Luce. Senza volerlo, entrambi hanno annunciato la fine di un mondo, anche se hanno indugiato, indugeranno, a capirlo”.

Le suggerisco di aggiungere un epilogo al suo libro. Qualcosa come: “Devo ammettere che si può essere un pessimo alunno delle comunità indigene zapatiste. Tuttavia dico, dopo aver ascoltato il loro rombante silenzio, che ho imparato la cosa principale: che non importa che usiamo bombe, pallottole, scudi, botte, bugie, progetti, denaro, che compriamo i media affinché gridino falsità e tacciano verità, il risultato è sempre lo stesso: gli zapatisti non cedono, non si vendono, non si arrendono e… sorpresa!… non spariscono”.

Perché la storia, signor Álvarez, continuerà a ripetersi una ed un’altra volta: riappariranno ribelli in tutti gli angoli e, forse, con loro, appariranno i loro Mario Benedetti, i loro Mario Payeras, i loro Omar Cabezas, i loro Carlos Montemayor. E forse gli Eduardo Galeano di quelle piogge le presenteranno il conto.

E ci saranno anche finestre, con o senza cornici.

E voi, signor Álvarez, continuerete ad affacciarvi, a guardarci senza vederci, e senza rendervi conto che, in quell’affacciarsi al mondo a venire, siete irrimediabilmente fuori.

Credo che non l’abbia messo nel suo libro, ma ricordi che una volta le dissi che noi zapatisti valiamo molto, ma non abbiamo prezzo. E “non bisogna confondere valore e prezzo” (no, questo non l’ha detto Karl Marx, ma Juan Manuel Serrat).

Tuttavia, signor Álvarez, in ricordo dei momenti di dignità che lei ha avuto, e dei quali sono stato testimone quando ha lavorato nella Commissione di Concordia e Pacificazione, può ancora cambiare tutto questo:

Lasci il suo partito e ciò che rappresenta, abbandoni quella classe politica che non ha fatto altro che trasformarsi in un parassita insaziabile. Lei è di Chihuahua. Vada sulla Sierra Tarahumara, chieda di vsitare una delle comunità rarámuris. Forse non le permetteranno di restare, non c’è più l’affettuoso Ronco per chiederglielo. Ma forse le permetterebbero di restare qualche giorno. Lì, con loro, imparerà la cosa fondamentale del cuore indigeno, della lotta e speranza dei popoli originari del Messico. Dopo tutto, non si intitola così il suo libro?

Vada signor Álvarez Álvarez, in quello o qualunque villaggio indigeno che lo accolga dopo aver rinunciato a quello che ora è. Lì sarà rispettato (e non mal tollerato) per la sua età, e, soprattutto, imparerà che, per i popoli indios del Messico, “dignità” è una parola che si coniuga al presente da più di 500 anni… e quelli che mancano.

Vada, forse è questo il giorno in cui bisogna scegliere. E nel suo caso non è affatto semplice, perché si tratta di scegliere tra un mondo o un altro. Non si faccia fermare o mal consigliare dall’età. Ci guardi, abbiamo più di 500 anni ed ancora impariamo.

Se non lo fa, almeno avrà conosciuto da sé stesso la verità racchiusa nelle 17 sillabe dell’Haiku di Mario Benedetti:

“Chi lo direbbe, 
i deboli davvero 
non si arrendono mai” 

D’accordo. Salute e, ha sentito?… ci sono poche cose / tanto assordanti / quanto il silenzio” (sì, anche Haiku ed anche di Mario Benedetti).

Dalle montagne del Sudest Messicano. 
Subcomandante Insurgente Marcos 
Messico, Dicembre 2012

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2012/12/30/carta-a-luis-hector-alvarez-alvarez/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

29 Dicembre 2012 

A chi di competenza là sopra: 

Credete di stare dalla parte del vincente… 

quindi, oltre che traditori, siete idioti.
Tyrion Lannister nella Canción de Hielo y Fuego. Tomo II:
“Choque de Reyes”. George R.R. Martin.

 

” — Un lettore vive mille vite prima di morire — disse Jojen —.
Quello che non legge ne vive solo una

Jojen Reed nella Canción de Hielo y Fuego. Tomo V: “Danza de
Dragones”. George R.R. Martin. (Jojen Reed apparirà

nella terza stagione della serie HBO “Games of Thrones”. Il
personaggio sarà interpretato da Thomas Brodie-Sangster. Nota
di Marquitos Spoil).

 

– Se uno si disegna un bersaglio sul petto 

– disse Tyrion dopo essersi seduto e bere un sorso di vino – 

deve essere cosciente che presto o tardi gli lanceranno delle frecce.

– E’ necessario che si prendano gioco di noi di quando in quando,

Lord Mormont – replicò Tyrion girandosi di spalle -.

Altrimenti, cominceremo a prenderci troppo sul serio.

Tyrion Lannister ai comandanti della Guardia de la Noche. In “Canción
de Hielo y Fuego
”, Tomo I: “Juego de Tronos”.

 

“Basta con i belli / meglio brutto e gioioso / che bello e bavoso ”
Botellita de Jerez.

Signore e signori? 

Quando abbiamo letto la notizia abbiamo pensato ad un pesce d’aprile il 28 dicembre, ma ci siamo accorti che era datata 24 dello stesso mese. 

Dunque, on vi conosciamo? Mmh… mmh… vediamo: 

Enrique Peña Nieto. Non è nato ad Atlacomulco, Stato di México? Non è parente di Alfredo Del Mazo y Arturo “manos largas” Montiel? 

Non è quello che, colluso col governo municipale perredista di Texcoco, ha ordinato lo sgombero dei floricoltori e la cattura del dirigente del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, Ignacio del Valle, nel maggio del 2006? 

Non è quello che ha scatenato il suo cane da caccia e delinquente, Wilfrido Robledo Madrid, per attaccare il villaggio di San Salvador Atenco ordinando ai suoi poliziotti l’aggressione sessuale contro le donne? Non è l’assassino intellettuale di Javier Cortés ed Alexis Benhumea? Non è stata la Corte Suprema di Giustizia della Nazione a dichiarare che i 3 livelli di governo (attenzione: governo federale: PAN; governo statale: PRI; governo municipale: PRD) hanno commesso violazioni gravi delle garanzie individuali della popolazione? 

Non è quello caduto nel tragico ridicolo col caso della bambina Paulette, più noto come “il caso del materasso assassino?”. 

Non è quello che si è vantato della violenza della polizia a San Salvador Atenco e col suo atteggiamento superbo, dimenticando di trovarsi di fronte a dei giovani manifestanti e non ad un set televisivo, dal suo posto di comando nel bagno della Ibero, ha ordinato di calunniare i manifestanti facendo esplodere così poi il movimento giovanile-studentesco conosciuto come #yosoy132? 

Non è quello che, come primo atto di governo, ed ora colluso col governo perredista del DF, ha ordinato la repressione contro le manifestazioni del 1° dicembre di questo anno che sono finite con la detenzione, tortura e carcerazione di innocenti? 

Non è quello che non ha letto bene il teleprompter (suggeritore elettronico – n.d.t.)che l’accompagna ancora prima del colpo di Stato mediatico del 1° luglio 2012? 

Non è quello che ora vuole nascondersi dietro le gonne dalla presunta parentela del reiterato defunto, come se si trattasse di una pessima telenovela? 

Sentite, e già che parliamo di telenovelas, quale sarà la moda del sessennio? Dico, con Echeverría furono le camiciole stile guayaberas; con López Portillo, le acque fresche; con De la Madrid, il grigio topo; con Salinas de Gortari, il prozac; con Zedillo, le brutte barzellette; con Fox, le trovate; con Calderón, il sangue… e con Peña Nietoe? “Veri amori”? Voiiiiii… già. 

Ma, scusate, proseguiamo con la nostra non conoscenza: 

Emilio Chuayffet Chemor. Non è stato il capo di Enrique Peña Niet ed il suo “maestro”? Non è stato Segretario di Governo con Ernesto Zedillo? Non è l’ubriacone che, nel 1996, disse alla Cocopa che il governo federale accettava la sua iniziativa di legge e nei postumi della sbronza ritrattò? Non è stato uno dei responsabili intellettuali del massacro di Acteal nel dicembre del 1997? Non è stato quello che voleva imporre la moda del “ciuffo civettuolo” tra i priisti e l’unico che l’ha assecondato fu il suo allora pupillo Enrique Peña Nieto?

Pedro Joaquín Coldwell. Non era commissario governativo per la pace in Chiapas quando è avvenuto il massacro di Acteal ed è rimasto in silenzio continuando a pagare per non fare niente? 

Rosario Robles Berlanga. Non era a capo del governo del DF per il PRD? Non si è vantata della repressione che la sua polizia ha usato molte volte contro i giovani studenti della UNAM nello sciopero del 1999-2000? Non è quella che, presiedendo il PRD, ha venduto in tutti i sensi il suo partito? Non è ora l’incaricata di contendere ai Bejarano il corporativismo nel DF ed in tutta la repubblica? 

Alfonso Navarrete Prida. Non è quello che prima ha occultato il regolamento di conti del crimine organizzato finito con l’omicidio di Enrique Salinas de Gortari (psss, ve la passate pesante tra di voi ehi?) e poi ha esonerato Arturo “manos largas” Montiel? 

Miguel Ángel Osorio Chong. Non è stato accusato di deviare fondi governativi al PRI? Su di lui non è stata aperta presso la Procura l’indagine numero PGR/SIEDO/UEIDORPIFAM/185/2010 per vincoli con l’organizzazione criminale “Los Zetas“? (Ah, cambiamento di strategia nella lotta al narcotraffico?) 

(Ops, vedo ora che su uno dei fratelli della sottosegretaria della Migrazione, Popolazione e Affari Religiosi, della Segreteria di Governo a carico del signor Osorio Chong, non pende una ma diverse indagini – varie di esse col timbro “cancellata per decesso dell’indiziato”, e poi un altro timbro di “non è sempre morto “, e poi un altro di “sembra che sì è davvero morto”, e così… mmh… per 18 volte. L’ultimo timbro di “dopo questo c’è il condannato” è del 21 dicembre 2012, ed una nota scritta a mano dice “pendente attivazione in corso, aspettare indicazioni della CSG”.… mmh… cosa vorranno dire queste iniziali? Hanno cambiato nome alla Procura? Insomma, avvisate il tampiqueño? no?). 

Chiaro, mi direte che non comandano queste persone, che in realtà è Carlos Salinas de Gortari a dettare a Enrique Peña Nieto quello che si deve fare (ah!, che cosa sarebbe di questo paese se non si fosse inventato il teleprompter?).

Ok, ok, ok. Carlos Salinas de Gortari. Non è quello che ha saccheggiato come nessun altro le ricchezze nazionali durante il suo mandato? (sì, lo so che tutti sono ladri, ma diciamo che ci sono dilettanti e professionisti). Non è quello che ha devastato la campagna messicana con le sue riforme dell’articolo 27 della Costituzione? Non è quello al quale hanno rovinato il brindisi dell’anno nuovo all’alba del 1994? Non è quello che ha visto crollare i suoi sogni dittatoriali per qualche fucile di legno? Non è quello che ha fatto assassinare Luis Donaldo Colosio Murrieta? Non è quello caduto nel ridicolo col suo sciopero della fame nel 1995? Non è quello che, lo scorso 21 dicembre, chiedeva frenetico al telefono rosso: “cosa dicono?, cosa?” mentre un brivido gli scendeva lungo la schiena quando gli hanno risposto: “niente, sono in assoluto silenzio”? 

Tutt@ voi, non siete quelli che hanno sempre scelto la violenza invece del dialogo dialogo? 

Quelli che ricorrono sempre alla forza quando non hanno la ragione? 

Quelli che hanno fatto scuola di corruzione e viltà in tutti i partiti politici? 

Non siete quelli che si sono rifiutati di applicare gli Accordi di San Andrés che significherebbero il riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura indigeni, e la farebbero finita con gli abusi mascherati da miniere, acquedotti, dighe, stabilimenti balneari, strade, centri abitati? 

Non siete voi quelli che, insieme ai vostri compagni della classe politica, somigliate a quegli addetti alla sicurezza nei grandi edifici che tentano di convincere gli inquilini dei piani superiori che non corrono pericolo mentre fanno esplodere con la dinamite i piani di sotto, il pianterreno e la cantina? C’è qualcuno che gli crede? 

Voi, che tante volte mi avete ammazzato, dichiarato morto, estinto, defunto, andato, cadavere, scomparso, sconfitto, vinto, arreso, comprato, annichilito, pensate che qualcuno vi crederà quando sarà vero che, come nell’amore, in corpo ed anima mi consegnerò alla morte e sarà solo un po’ più di terra nella terra? 

Se avete risposto “no” a qualcuna delle domande, allora avete ragione: non vi conosciamo. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Dicembre 2012

 

P.S. CHE RIBADISCE – Lo so che lo sapete, ma conviene ricordarlo: non abbiamo paura di voi. E non siamo gli unici. 

P.S. CHE, GENEROSA, OFFRE AI MALGOVERNI UN MANUALE DI 10 PUNTI (attenzione: di facile lettura, niente paura), PER IDENTIFICARE UNO ZAPATISTA E SAPERE SE SI PUO’ DIRE O NO CHE “SI HANNO CONTATTI CON L’EZLN”:

1.- Se chiede soldi o progetti ad uno qualsiasi dei tre livelli di governo, NON E’ ZAPATISTA.
2.- Se stabilisce un canale di comunicazione diretto senza annunciarlo prima pubblicamente, NON E’ ZAPATISTA.
3.- Se chiede di parlare o parla direttamente con qualcuno dei tre livelli di governo senza annunciarlo prima pubblicamente, NON E’ ZAPATISTA.
4.- Se chiede una carica, nomina, benefit, premi, ecc., NON E’ ZAPATISTA.
5.- Se ha paura, NON E’ ZAPATISTA.
6.- Se si vende, arrende o tentenna, NON E’ ZAPATISTA.
7.- Se si prende molto sul serio, NON E’ ZAPATISTA.
8.- Se quando lo si vede non fa venire i brividi, NON E’ ZAPATISTA,
9.- Se non dà la sensazione di dire molto di più con quello che non dice, NON E’ ZAPATISTA.
10.- Se è un fantasma di quelli che svaniscono, NON E’ ZAPATISTA.
 

P.S. CHE SI SCUSA – Oh, lo so che vi aspettavate qualcosa di più serio e formale. Ma, non è lo stile e il tono di questa missiva la miglior “prova in vita” di una foto o un video, perfino della firma? 

LA P.S. CONSEGNA UN HAIKU DI MARIO BENDETTI AL SUPMARCOS: “non voglio vederti / per il resto dell’anno / ovvero fino a martedì”.

::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::::

Ascolta l’audio che accompagna questo scritto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2012/12/30/no-los-conocemos/

Basta con i belli”. dei Botellita de Jerez, gruppo formato da Sergio Arau, Armando Vega Gil e Francisco Barrios El Mastuerzo. Ancora governatore dello Stato del Messico, nel febbraio del 2011, Enrique Peña Nieto cancellò violentemente un concerto dei Botellita de Jerez. I Botellos, che portano la penitenza nel nome, non si sono dati per vinti e vanno avanti. Chi come noi è uscito da uno stampo ammaccato, si unisce alla loro battaglia: basta con i belli, “meglio brutto e gioioso, che bello e bavoso”.

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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L’EZLN ANNUNCIA I SUOI PROSSIMI PASSI

COMUNICATO DEL COMITaTO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

30 DICEMBRE 2012

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI E GOVERNI DEL MONDO:

FRATELLI E SORELLE:

COMPAGNI E COMPAGNE:

LO SCORSO 21 DICEMBRE 2012, ALLE PRIME ORE DELL’ALBA, IN DECINE DI MGLIAIA DI INDIGENI ZAPATISTI CI SIAMO MOBILITATI ED ABBIAMO PRESO, PACIFICAMENTE E IN SILENZIO, CINQUE CAPOLUOGHI MUNICIPALI NELLO STATO SUDORIENTALE MESSICANO DEL CHIAPAS.

NELLE CITTÀ DI PALENQUE, ALTAMIRANO, LAS MARGARITAS, OCOSINGO E SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS, VI ABBIAMO GUARDATO ED ABBIAMO GUARDATO NOI STESSI IN SILENZIO.

IL NOSTRO NON E’ UN MESSAGGIO DI RASSEGNAZIONE.

NON E’ DI GUERRA, DI MORTE E DISTRUZIONE.

IL NOSTRO E’ UN MESSAGGIO DI LOTTA E RESISTENZA.

DOPO IL COLPO DI STATO MEDIATICO CHE HA ASSURTO AL POTERE ESECUTIVO FEDERALE L’IGNORANZA MAL DISSIMULATA E PEGGIO CAMUFFATA, CI SIAMO PRESENTATI PER FAR SAPERE CHE SE LORO NON SE NE SONO MAI ANDATI, NEMMENO NOI.

SEI ANNI FA, UN SEGMENTO DELLA CLASSE POLITICA E INTELLETTUALE HA CERCATO IL RESPONSABILE DELLA SUA SCONFITTA. A QUEL TEMPO NOI, IN CITTÀ E NELLE COMUNITÀ, LOTTAVAMO PER LA GIUSTIZIA PER UN ATENCO CHE NON ERA ALLORA DI MODA.

ALLORA, PRIMA CI HANNO CALUNNIATO E POI HANNO VOLUTO ZITTIRCI.

INCAPACI E DISONESTI PER VEDERE CHE IN SE STESSI AVEVANO ED HANNO IL GERME DELLA LORO ROVINA, HANNO TENTATO DI FARCI SPARIRE CON LA BUGIA ED IL SILENZIO COMPLICE.

SEI ANNI DOPO, DUE COSE SONO CHIARE:

LORO NON HANNO BISOGNO DI NOI PER FALLIRE.

NOI NON ABBIAMO BISOGNO DI LORO PER SOPRAVVIVERE.

NOI, CHE NON CE NE SIAMO MAI ANDATI BENCHÉ SI SIANO IMPEGNATI A FARLO CREDERE I MEDIA DI TUTTO LO SPETTRO, RISORGIAMO COME INDIGENI ZAPATISTI QUALI SIAMO E SAREMO.

IN QUESTI ANNI SIAMO DIVENTATI PIU’ FORTI ED ABBIAMO MIGLIORATO SIGNIFICATIVAMENTE LE NOSTRE CONDIZIONI DI VITA. IL NOSTRO LIVELLO DI VITA È SUPERIORE A QUELLO DELLE COMUNITÀ INDIGENE VICINE AI GOVERNI DI TURNO, CHE RICEVONO LE ELEMOSINE E LE DISSIPANO IN ALCOOL ED OGGETTI INUTILI.

LE NOSTRE ABITAZIONI MIGLIORANO SENZA DANNEGGIARE LA NATURA IMPONENDOLE PERCORSI CHE LE SONO ALIENI.

NEI NOSTRI VILLAGGI, LA TERRA CHE PRIMA SERVIVA AD INGRASSARE IL BESTIAME DEGLI ALLEVATORI E DEI PROPRIETARI TERRIERI, ORA È PER IL MAIS, I FAGIOLI ED I VEGETALI CHE IMBANDISCONO LE NOSTRE TAVOLE.

IL NOSTRO LAVORO HA LA DUPLICE SODDISFAZIONE DI FORNIRCI IL NECESSARIO PER VIVERE ONESTAMENTE E DI CONTRIBUIRE ALLA CRESCITA COLLETTIVA DELLE NOSTRE COMUNITÀ.

I NOSTRI BAMBINI E LE NOSTRE BAMBINE FREQUENTANO UNA SCUOLA CHE INSEGNA LORO LA PROPRIA STORIA, QUELLA DELLA LORO PATRIA E QUELLA DEL MONDO, COSì COME LE SCIENZE E LE TECNICHE NECESSARIE PER CRESCERE SENZA SMETTERE DI ESSERE INDIGENI.

LE DONNE INDIGENE ZAPATISTE NON SONO VENDUTE COME MERCE.

GLI INDIGENI PRIISTI VENGONO NEI NOSTRI OSPEDALI, CLINICHE E LABORATORI PERCHÉ IN QUELLI DEL GOVERNO NON CI SONO MEDICINE, NÉ APPARECCHIATURE, NÉ MEDICI, NÉ PERSONALE QUALIFICATO.

LA NOSTRA CULTURA FIORISCE, NON ISOLATA MA ARRICCHITA DAL CONTATTO CON LE CULTURE DI ALTRI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO.

GOVERNIAMO E CI GOVERNIAMO DA NOI STESSI, CERCANDO SEMPRE L’ACCORDO PRIMA DELLO SCONTRO .

TUTTO QUESTO È STATO OTTENUTO NON SOLO SENZA IL GOVERNO, LA CLASSE POLITICA ED I MEDIA CHE LI ACCOMPAGNANO, MA ANCHE RESISTENDO AI LORO ATTACCHI DI OGNI GENERE.

ABBIAMO DIMOSTRATO, ANCORA UNA VOLTA, CHE SIAMO QUELLI CHE SIAMO.

CON IL NOSTRO SILENZIO CI SIAMO PRESENTATI.

ORA CON LA NOSTRA PAROLA ANNUNCIAMO CHE:

PRIMO.– RIAFFERMEREMO E CONSOLIDEREMO LA NOSTRA APPARTENENZA AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, SPAZIO DI INCONTRO CON I POPOLI ORIGINARI DEL NOSTRO PAESE.

SECONDO.– RIPRENDEREMO IL CONTATTO CON I NOSTRI COMPAGNI E COMPAGNE ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA IN MESSICO E NEL MONDO.

TERZO.– CERCHEREMO DI COSTRUIRE I PONTI NECESSARI VERSO I MOVIMENTI SOCIALI CHE SONO SORTI E NASCERANNO, NON PER GUIDARE O SOSTITUIRE, MA PER IMPARARE DA LORO, DALLA LORO STORIA, DALLE LORO STRADE E DESTINAZIONI.

PER QUESTO ABBIAMO OTTENUTO L’APPOGGIO DI INDIVIDUI E GRUPPI IN DIVERSE PARTI DEL MESSICO, FORMATI COME SQUADRE DI APPOGGIO DELLE COMMISSIONI SESTA E INTERNAZIONALE DELL’EZLN, IN MODO CHE DIVENTINO CINGHIE DI COMUNICAZIONE TRA LE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE E GLI INDIVIDUI, GRUPPI E COLLETTIVI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE, IN MESSICO E NEL MONDO, CHE ANCORA MANTENGONO LA CONVINZIONE E L’IMPEGNO DELLA COSTRUZIONE DI UN’ALTERNATIVA NON ISTITUZIONALE DI SINISTRA.

QUARTO.– PROSEGUIRÀ LA NOSTRA DISTANZA CRITICA DALLA CLASSE POLITICA MESSICANA CHE, NEL SUO INSIEME, NON HA FATTO ALTRO CHE ARRICCHIRSI A COSTO DEI BISOGNI E DELLE SPERANZE DELLA GENTE UMILE E SEMPLICE.

QUINTO.– RISPETTO AI MALGOVERNI FEDERALI, STATALI E MUNICIPALI, ESECUTIVI, LEGISLATIVI E GIUDIZIARI, E MEDIA CHE LI ACCOMPAGNANO, DICIAMO QUANTO SEGUE:

I MALGOVERNI DI TUTTO LO SPETTRO POLITICO, SENZA ECCEZIONE ALCUNA, HANNO FATTO IL POSSIBILE PER DISTRUGGERCI, PER COMPRARCI, PER FARCI ARRENDERE. PRI, PAN, PRD, PVEM, PT, CC ED IL FUTURO PARTITO DI RN, CI HANNO ATTACCATI MILITARMENTE, POLITICAMENTE, SOCIALMENTE ED IDEOLOGICAMENTE.

I GRANDI MEZZI DI COMUNICAZIONE HANNO CERCATO DI FARCI SPARIRE PRIMA CON LA CALUNNIA SERVILE ED OPPORTUNISTA, POI CON IL SILENZIO SCALTRO E COMPLICE. COLORO AI QUALI SI SONO ASSERVITI E DEL CUI DENARO SI SONO AMMANTATI ORA NON CI SONO PIU’. E QUELLI CHE ORA LI SOSTITUISCONO NON DURERANNO PIÙ DEI LORO PREDECESSORI.

COM’E’ STATO EVIDENTE IL 21 DICEMBRE 2012, TUTTI HANNO FALLITO.

RESTA DUNQUE AL GOVERNO FEDERALE, ESECUTIVO, LEGISLATIVO E GIUDIZIARIO, DECIDERE SE RICADERE NELLA POLITICA CONTRAINSURGENTE CHE HA OTTENUTO SOLO UNA DEBOLE VISIBILITA’ SOSTENUTA GOFFAMENTE A LIVELLO MEDIATICO, O RICONOSCERE E RISPETTARE I SUOI IMPEGNI ELEVANDO A RANGO COSTITUZIONALE I DIRITTI E LA CULTURA INDIGENI, COME STABILITO DAglI “ACCORDI DI SAN ANDRÉS”, FIRMATI DAL GOVERNO FEdERALE NEL 1996, GUIDATO ALLORA DALLO STESSO PARTITO ORA AL GOVERNO.

RESTA AL GOVERNO STATALE DECIDERE SE CONTINUARE LA STRATEGIA DISONESTA E VILE DEL SUO PREDECESSORE, CHE OLTRE AD ESSERE CORROTTO E BUGIARDO HA UTILIZZATO DENARO DEL POPOLO DEL CHIAPAS PER L’ARRICCHIMENTO PROPRIO E DEI SUOI COMPLICI, E SI E’ DEDICATO A COMPRARE SFACCIATAMENTE VOCI E PENNE SUI MEDIA, MENTRE SPROFONDAVA IL POPOLO DEL CHIAPAS NELLA MISERIA, E CONTEMPORANEAMENTE USAVA POLIZIOTTI E PARAMILITARI PER TENTARE DI FRENARE L’AVANZATA ORGANIZZATIVA DEI POPOLI ZAPATISTI; O, INVECE, CON VERITÀ E GIUSTIZIA, ACCETTARE E RISPETTARE LA NOSTRA ESISTENZA E CONFACERSI ALL’IDEA CHE FIORISCA UNA NUOVA FORMA DI VITA SOCIALE IN TERRITORIO ZAPATISTA, CHIAPAS, MESSICO. FIORITURA CHE ATTRAE L’ATTENZIONE DI PERSONE ONESTE IN TUTTO IL PIANETA.

STA AI GOVERNI MUNICIPALI DECIDERE SE CONTINUARE A FARSI ESTORCERE DENARO DALLE ORGANIZZAZIONI ANTIZAPATISTE O SUPPOSTAMENTE “ZAPATISTE” PER AGGREDIRE LE NOSTRE COMUNITÀ; O INVECE USARE QUESTI SOLDI PER MIGLIORARE LE CONDIZIONI DI VITA DeI LORO GOVERNATI.

STA AL POPOLO DEL MESSICO CHE SI ORGANIZZA IN FORME DI LOTTA ELETTORALE E RESISTE, DECIDERE SE CONTINUARE A VEDERE IN NOI I NEMICI O RIVALI SUI QUALI SCARICARE LA PROPRIA FRUSTRAZIONE PER LE FRODI E LE AGGRESSIONI CHE, ALLA FINE, TUTTI SUBIAMO, E SE NELLA SUA LOTTA PER IL POTERE CONTINUARE AD ALLEARSI CON I NOSTRI PERSECUTORI; O RICONOSCERE FINALMENTE IN NOI UN ALTRO MODO DI FARE POLITICA.

SESTO.– NEI PROSSIMI GIORNI L’EZLN, ATTRAVERSO LE SUE COMMISSIONI SESTA E INTERNAZIONALE, FARÀ CONOSCERE UNA SERIE DI INIZIATIVE, DI CARATTERE CIVILE E PACIFICO, PER CONTINUARE A CAMMINARE INSIEME AGLI ALTRI POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO E DI TUTTO IL CONTINENTE, E INSIEME A CHI, IN MESSICO E NEL MONDO INTERO, RESISTE E LOTTA IN BASSO E A SINISTRA.

FRATELLI E SORELLE:
COMPAGNI E COMPAGNE:

PRIMA ABBIAMO AVUTO LA FORTUNA DI UN’ATTENZIONE ONESTA E NOBILE DI MOLTI MEZZI DI COMUNICAZIONE. NE SIAMO STATI GRATI. MA QUESTO E’ STATO COMPLETAMENTE CANCELLATO DAL COMPORTAMETO SUCCESSIVO.

CHI PUNTAVA SUL FATTO CHE ESISTEVAMO SOLO MEDIATICAMENTE E CHE, CON L’ACCERCHIAMENTO DI MENZOGNE E SILENZIO, SAREMMO SPARITI, SI E’ SBAGLIATO.

QUANDO NON C’ERANO TELECAMERE, MICROFONI, PENNE, ORECCHI ED OCCHI, NOI ESISTEVAMO.

QUANDO CI CALUNNIAVANO, NOI ESISTEVAMO.

QUANDO CI SILENZIAVANO, NOI ESISTEVAMO.

E SIAMO QUI, ESISTIAMO.

IL NOSTRO CAMMINARE, COM’È STATO DIMOSTRATO, NON DIPENDE DALL’IMPATTO MEDIATICO, MA DALLA COMPRENSIONE DEL MONDO E DELLE SUE PARTI, DALLA SAGGEZZA INDIGENA CHE REGGE I NOSTRI PASSI, DALLA FORZA INDISTRUTTIBILE CHE DÀ LA DIGNITÀ IN BASSO E A SINISTRA.

A PARTIRE DA ADESSO, LA NOSTRA PAROLA COMINCERÀ AD ESSERE SELETTIVA NEI DESTINATARI E, SALVO IN DETERMINATE OCCASIONI, POTRÀ ESSERE COMPRESA SOLO DA CHI HA CAMMINATO CON NOI E CAMMINA, SENZA ARRENDERSI ALLE MODE MEDIATICHE E CONGIUNTURALI.

QUA, CON NON POCHI ERRORI E MOLTE DIFFICOLTÀ, UN ALTRO MODO DI FARE POLITICA È GIÀ REALTÀ.

POCHI, MOLTO POCHI, AVRANNO IL PRIVILEGIO DI CONOSCERLA ED IMPARARE DA ESSA DIRETTAMENTE.

19 ANNI FA VI SORPRENDEMMO PRENDENDO COL FUOCO E COL SANGUE LE VOSTRE CITTA’. ORA L’ABBIAMO FATTO DI NUOVO, SENZA ARMI, SENZA MORTE, SENZA DISTRUZIONE.

CI DIFFERENZIAMO COSÌ DA CHI, DURANTE I SUOI GOVERNI, DISTRIBUISCE LA MORTE TRA SUOI GOVERNATI.

SIAMO GLI STESSI DI 500 ANNI FA, DI 44 ANNI FA, DI 30 ANNI FA, DI 20 ANNI FA, DI SOLO QUALCHE GIORNO FA.

SIAMO GLI ZAPATISTI, I PIÙ PICCOLI, QUELLI CHE VIVONO, LOTTANO E MUOIONO NELL’ULTIMO ANGOLO DELLA PATRIA, QUELLI CHE NON TENTENNANO, QUELLI CHE NON SI VENDONO, QUELLI CHE NON SI ARRENDONO.

FRATELLI E SORELLE:
COMPAGNI E COMPAGNE:

SIAMO GLI ZAPATISTI, RICEVETE IL NOSTRO ABBRACCIO.

DEMOCRAZIA!

LIBERTA’!

GIUSTIZIA!

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale
dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico. Dicembre 2012 – Gennaio 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2012/12/30/el-ezln-anuncia-sus-pasos-siguientes-comunicado-del-30-de-diciembre-del-2012/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Contrainsurgencia e resistenza zapatista

Neil Harvey* 

I cortei silenziosi di migliaia di zapatisti in cinque città del Chiapas, il 21 dicembre, hanno ricordato alla società due cose: la capacità organizzativa dell’EZLN e la sua validità politica. Contrariamente a quelli che dicevano che lo zapatismo era cosa del passato, i circa 40 mila indigeni che hanno partecipato alle mobilitazioni hanno dimostrato il fallimento della strategia contrainsurgente che i diversi governi hanno applicato negli ultimi 18 anni. La marcia ha dimostrato inoltre il rinnovamento delle basi del movimento, con la partecipazione di nuovi quadri di giovani uomini e donne che sono cresciuti in questi anni e, nonostante tutte le aggressioni contro le loro comunità autonome, mantengono vive le loro domande. Come in altre occasioni, gli zapatisti hanno scelto un giorno fuori dal calendario dei partiti politici per realizzare queste manifestazioni. Al contrario, hanno celebrato l’inizio di una nuova era maya e nello stesso tempo hanno affermato l’attualità e la validità delle lotte dei popoli indigeni per i loro diritti collettivi e l’autonomia.

Sebbene la mobilitazione dimostri un’altra volta la loro capacità organizzativa, non bisogna dimenticare le conseguenze delle aggressioni contro di loro in questi 18 anni. Lo zapatismo ha dovuto difendersi dall’Esercito Messicano e dai diversi gruppi paramilitari, i quali, all’interno di una politica contrainsurgente implementata dal gennaio 1995, hanno cercato di logorare le basi di appoggio e creare le condizioni favorevoli per generare divisioni all’interno delle comunità e seminare la paura. Anche l’alto grado di organizzazione che gli zapatisti hanno dimostrato il 21 dicembre è stato manifestato quasi in due decenni di resistenza per non cadere nelle provocazioni dei loro oppositori e così continuare a costruire alternative autonome.

Pertanto, è preoccupante che i gruppi paramilitari continuino ad operare nello stato. Durante il 2012 le cinque Giunte di Buon Governo (JBG) zapatiste hanno diffuso molte denunce di aggressioni di gruppi armati che cercano di sottrarre terre o rubare i prodotti del lavoro delle comunità. Un esempio recente è l’aggressione di membri del gruppo Desarrollo, Paz y Justicia contro la comunità Nuevo Poblado Comandante Abel, nel municipio autonomo La Dignidad (ufficialmente, Sabanilla) nella zona nord del Chiapas.

Secondo il Rapporto della Carovana di Solidarietà e Documentazione al Nuevo Poblado Comandante Abel (www.sipaz. org/images/stories/boletines/Informe_Caravana_.pdf), il 6 settembre circa 55 aggressori armati sono arrivati nella comunità sparando per aggredire gli zapatisti. Il gruppo invasore ha costruito il suo accampamento e le trincee sulle rive di un fiume dove si erano posizionati per minacciarli con le armi. In pochi giorni, il numero di questo gruppo è cresciuto a 150 elementi che hanno preso la metà dei 147 ettari della comunità. Gli osservatori della carovana hanno verificato che le pallottole avevano colpito le pareti della scuola autonoma ed i negozi cooperativi. Invece di affrontare gli aggressori, la maggioranza delle basi di appoggio zapatiste sono uscite al villaggio e, dopo avere camminato in montagna per tre giorni, hanno trovato rifugio in un’altra comunità, San Marcos. Durante questo lasso di tempo, le donne ed i bambini hanno sofferto malattie e fame, mentre gli zapatisti rimasti nella comunità non sono riusciti a raggiungere le milpas. Una situazione simile è stata vissuta da quattro famiglie che hanno dovuto lasciare la comunità Unión Hidalgo a causa delle minacce di un gruppo di priisti. Storie come queste erano molto comuni negli anni ’90, soprattutto durante le settimane dopo l’offensiva militare del 9 febbraio 1995, ordinata dall’allora presidente Ernesto Zedillo. Il fatto che queste aggressioni avvengano ancora frequentemente deve richiamare l’attenzione affinché si intraprendano azioni per fermarla e mettere in pratica gli Accordi di San Andrés.

Bisogna segnalare che uno dei risultati delle JBG è stata la creazione di meccanismi autonomi per risolvere i conflitti. Vari studi sull’autonomia zapatista hanno documentato l’importanza di questi spazi affinché i gruppi non zapatisti possano risolvere dispute senza costi e con persone della stessa comunità e posizione socioeconomica. Anche gli zapatisti riconoscono la necessità dell’accesso alla terra di altre famiglie che non fanno parte dell’organizzazione. Un esempio è la fondazione del nuovo villaggio Nuevo Poblado Comandante Abel nel maggio del 2012, quando la comunità di San Patricio decise di ricollocarsi in una proprietà diversa e così evitare maggiori conflitti. Come spiega un comunicato della JBG di Roberto Barrios (11 settembre) la decisione del ricollocamento è stata presa affinché anche loro avessero la loro parte perché anche loro hanno diritto alla vita (enlacezapatista.org.mx).

Tuttavia, come abbiamo detto, le aggressioni continuano a causa degli interessi politici che cercano di logorare le basi di appoggio zapatiste. Ciò nonostante, la resistenza prosegue, come dicono i membri della JBG nella zona nord: quella che ci fa il malgoverno volendo invadere, è la sua maniera di guerra ed usura per farci arrendere. Non abbandoneremo la nostra lotta e non ci arrendiamo; loro pensano di sì, ma non ci arrendiamo. La nostra lotta è per la terra e per la nazione. (Rapporto della Carovana di Solidarietà e Documentazione).

Gli zapatisti, non accettando l’assistenzialismo del governo, hanno dimostrato che è possibile mettere in pratica molti progetti autonomi che rispondano alle necessità sociali, economiche e politiche delle comunità. Per questo i governi hanno tentato di reprimere, ridurre, dividere, cooptare o, davanti all’impossibilità di tutto questo, semplicemente ignorare la loro presenza. Di fronte a questa realtà, le recenti marce dimostrano la vitalità dell’autonomia indigena che, nonostante le aggressioni, continua ad essere un’alternativa con ampio sostegno popolare in Chiapas, in Messico, ed un esempio per il mondo. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/31/politica/012a1pol?partner=rss

*Professore-ricercatore dell’Università Statale del Nuovo Messico, autore del libro La ribellione in Chiapas. 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN: fine e principio

Luis Linares Zapata/ I

 Proprio quando si trastullava nell’illusione di assurgere a personaggio di prestigio mondiale, Carlos Salinas ricevette il colpo che distrusse la sua immagine gonfiata. Là, lontano, apparve l’EZLN, in quella rustica San Cristóbal de las Casas, così folcloristica, e nel truculento mercato di Ococingo, nelle sconosciute Margaritas ed in altre località remote.

Di sorpresa, un’accozzaglia di indios si era sollevata in armi all’alba dal primo giorno del ’94. Gli eventi che seguirono durante quell’anno finirono per abbattere le sue pretese di signorotto globale. E, insieme a lui, cadde il miraggio da trasformare il paese per inserirlo, di soppiatto, nel primo mondo. Quello che in effetti divenne fu un fallimento che oggi ancora si paga.

Da allora Salinas iniziò il suo esilio perseguitato dalla furia dei suoi conterranei e terrorizzato di finire in prigione per i suoi soprusi. Ancora oggi subisce le conseguenze di quella terribile catena di eventi senza che si plachino i suoi sogni di potere.

Sono trascorsi 19 lunghi e pesanti anni affinché un contingente di indigeni del Chiapas, ora in perfetto ordine, in pace e cresciuti di numero, facesse atto di presenza sulla scena nazionale. L’eloquente messaggio, anche se ignorato o sottovalutato, avrà gravi conseguenze sulla vita organizzata, politica e culturale del paese.

Ora, come allora, le basi dell’esercito zapatista, con la sua sola presenza e silenzio, mettono in crisi non solo due amministrazioni di priisti che hanno molto in comune, ma tutta la struttura che li racchiude. Entrambe si innestano all’interno dello stesso modello, condividono perfino collaboratori e pretese di grandezza. Hanno di fronte a sé quell’enorme vuoto che forma la disuguaglianza, la povertà e l’emarginazione, una pesante zavorra per lo sviluppo con giustizia.

Tre sessenni sono trascorsi dalla sua irruzione violenta e le promesse del suo riscatto, le successive crisi di coscienza (tra alcuni funzionari), gli oblii che sanno di criminale negligenza, tradimenti di firmatari, malversazioni di fondi, scoordinamento degli enti, intemperanza del conservatorismo, feroce razzismo di molti ed altre varie cause, hanno portato a rivivere le vecchie e dolorose immagini tristemente note. Lì ci sono quelle migliaia di persone: i dimenticati, i deprivati, quelli che sono rimasti al margine delle fatue storielle dei predetti e, sfortunatamente, fugaci successi messicani.

Così sono apparsi gli zapatisti dando dimostrazione palpabile di umile forza, memoria viva e costanza delle loro richieste. La truffa di Salinas di entrare nel primo mondo, a partire da quell’alba lontana, è crollata senza speranza. Sono crollate le false illusioni di far parte di una generazione di vincitori di classe mondiale. Pazze aspirazioni che cinicamente hanno sparso i complici di quel priismo decadente e corrotto, e che con zelo patriottico hanno diffuso i suoi molti diffusori a contratto.

Nello stesso modo appaiono, in nutrite file, nell’attuale momento dell’insediamento. E l’hanno fatto pochi giorni dopo che Peña Nieto dichiarasse, con entusiasmo, che una nuova era cominciava per il Chiapas e per il Messico. La smentita non può essere più drammatica. Nello stesso modo in cui la sua ribellione mutò il trionfalismo di Salinas, la sua marcia silenziosa oggi apre, di nuovo, la visione dei tanti Messico che procedono simultanei, paralleli, senza toccarsi, selvaggiamente differenti. Gli scenari di speranze prefabbricate, ma senza basi reali, sono sgretolati dall’ostinata realtà.

L’immediata dichiarazione di essere diversi da arte del segretario di Governo (Osorio Chong) per calmare le inquietudini, poco cambierà l’inerzia di una continuità già in piena marcia. Le figure mascherate con i passamontagna sono passate quasi inosservate nello spazio pubblico. La copertura è stata, come ci si aspettava, di portata limitata. I cocciuti indigeni sono tornati nell’oscuro angolo del paese da dove, senza dubbio, tenteranno di nuovo di partecipare alla marcia e orientamento del paese. Il modello economico e di governo semplicemente non li prende in considerazione. Per le cupole e la plutocrazia autoritaria sono un fastidioso gruppo di esseri prescindibili.

Il timido riferimento che si fa nel Patto per il Messico a tale insieme umano rimarrà, come tante altre cose che dovrebbero essere priorità, nell’archivio dei sospesi storici. Il malaticcio governatore del Chiapas appena insediato, passerà ad occupare, come hanno fatto altrettanti simulatori che l’hanno preceduto, il triste posto riservato alla marmaglia locale.

La Federazione tornerà a destinare considerevoli risorse con l’intenzione di placare ire e volontà di cambiamento. Ma la già enorme macchina di mediazione creata in Chiapas assorbirà questo ed altro ancora, come ha fatto negli ultimi 19 malriusciti anni di imminenti salvazioni. Questa volta, purtroppo, non sarà diverso. Gli insegnamenti dei Sabinas, Albores o Mendiguchía si sono impregnati nelle cleptoburocrazie locali come destino manifesto, tanto radicate quanto indelebili. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/26/opinion/015a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Le profezie dei Maya zapatisti

26 dicembre 2012

di CITLALI ROVIROSA-MADRAZO*

 Quando le popolazioni indigene Maya del sud-est del Messico lanciarono una rivoluzione nel 1994, non avevano certo in mente la “fine del mondo”. Se c’era, nell’immaginazione zapatista, una data che evocava un giorno del giudizio, questo poteva essere il primo gennaio 1994, data di inaugurazione dell’Accordo nordamericano di libero commercio (Nafta).

Per gli zapatisti, l’imposizione della globalizzazione economica è stata a dir poco una “condanna a morte”, perché hanno capito che questo avrebbe comportato implicazioni letali per la terra e le antiche tradizioni dei Maya. In quel freddo giorno d’inverno, armati di bastoni, pietre e pochissime armi da fuoco, i ribelli Maya dell’Ejercito Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) hanno inaugurato una nuova era. Ma nuovo non significa migliore: l’insurrezione non ha ottenuto che la Costituzione messicana riconoscesse pienamente i popoli indigeni come soggetti con personalità giuridica.

In effetti, le ripercussioni a lungo termine sia della globalizzazione economica che della rivolta Maya, vennero chiaramente previste dagli zapatisti, che hanno previsto non la fine del mondo, ma il collasso dell’economia capitalista occidentale. Inoltre, le previsioni zapatiste avevano un certo significato di “profezia” – con tutte le connotazioni che la parola ha: nel senso di “insegnamento” e di “predire” o “anticipare”. Quando l’EZLN ha indicato, nella Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, che l’era dei partiti politici era finita, questo non significava solo profetizzare modi alternativi di fare politica – invocando la democrazia diretta (basata, tra l’altro, sulle antiche tradizioni maya, e differente dalla democrazia rappresentativa), ma significava, in realtà, anticipare il collasso di una serie di istituzioni politiche della modernità occidentale.

Nel 1999 e nel 2007 il portavoce dei ribelli Maya, il Subcomandante Marcos, ha anticipato il collasso dei sistemi finanziari e bancari. In effetti, l’EZLN aveva previsto niente di meno che la scomparsa di Lehman Brothers: “Le imprese e gli stati crolleranno nel giro di pochi minuti, non a causa delle tempeste di rivoluzioni proletarie, ma per l’urto di uragani finanziari”. Non erano queste parole palesemente profetiche?

Se non altro, la profezia Maya zapatista poteva essere l’annuncio della fine di un mito: una consapevolezza echeggiata dal movimento Occupy anni dopo. E se i miti si stavano sbriciolando, il Nafta ha segnato l’inizio di una nuova serie di crisi, e gli zapatisti sono stati i primi a capire veramente questo, insieme con la frantumazione delle promesse della modernità.

Per il governo messicano, il Nafta aveva rappresentato il legittimo accesso al futuro, il diritto ad entrare nel club d’élite del mondo emergente delle potenze multinazionali, ma, per gli zapatisti, il Nafta ha significato l’inizio di un’ennesima lunga guerra contro la voracità coloniale e neocoloniale. Per alcuni, i Maya rappresentano una fonte di delusione apocalittica e “una cosa del passato” utile al solo consumo turistico. Ma, affermando che Maya oggi sono estinti, come fanno in molti, non solo mostrano una grottesca ignoranza e un atteggiamento conformista, ma compiono una manovra retorica per convalidare il loro sfruttamento, convenientemente trasformandoli in manodopera a basso costo per servire l’industria turistica miliardaria.

Oggi le sfide abbondano: dalle compagnie minerarie insaziabili più a nord dei Maya, dove gli Huicholes Wixárika lottano contro le compagnie minerarie canadesi, al posizionamento dei paesi emergenti, Cina e Russia, nella disputa egemonica per l’industria turistica, nella penisola dello Yucatan e nella “Riviera Maya”. Ciò che sembra imminente è la battaglia per miniere e turismo, e per l’accesso esclusivo al monopolio e all’eredità della cultura materiale (siti archeologici) e della cultura immateriale (astronomica, botanica e linguistica), con il tentativo di imporre la brevettabilità del patrimonio maya, compreso la sua preziosa, complessa e unica scrittura geroglifica – insieme alla genetica, a brevetti sulla ricca biodiversità della regione, un fenomeno ormai comunemente noto come “biopirateria”.

Più a sud, notevoli sforzi sono stati fatti negli ultimi anni per migliorare la situazione dei Maya del Chiapas – con la più recente introduzione di piani di gestione per affrontare la povertà, nel quadro degli obiettivi di sviluppo del millennio delle Nazioni Unite. Ma ci sono serie preoccupazioni circa la loro efficienza e la legittimità, anche perché il governo non è riuscito a rispettare le disposizioni nazionali e internazionali riguardanti l’obbligo di consultare gli indigeni Maya sul destino delle risorse naturali nella loro terra.

Mentre l’investimento federale per le popolazioni indigene è più che raddoppiato negli ultimi anni, il suo impatto, in termini di riduzione della povertà, è stato trascurabile nelle comunità indigene. Un recente rapporto del Consejo Nacional de Evaluación de la Política de Desarrollo Social (Coneval) ha dimostrato che, mentre la povertà estrema e moderata nel 2010 riguardava il 46,2% della popolazione totale, il suo impatto sulla popolazione indigena era del 79,3%.

Se l’antica civiltà Maya è perita a causa di una catastrofe climatica (come un numero crescente di scienziati tendenzialmente è d’accordo sia avvenuto), la conservazione dei Maya di oggi sta nel proteggere le loro risorse naturali da catastrofi climatiche artificiali, provocata dallo sfruttamento e dalla privatizzazione della loro terra di proprietà comune. Nessuna “fine del mondo” in vista, allora, solo quella dei Maya di oggi, che continuano a far parte di una grande civiltà che si rifiuta di morire.

* Articolo pubblicato sul sito del quotidiano britannico The Guardian (http://www.guardian.co.uk/) venerdì 21 dicembre 2012.

* L’autrice, Citlali Rovirosa-Madrazo, sociologa messicana, è docente alla School of Government and International Affairs alla Durham University, in Gran Bretagna. In Italia è stato pubblicato da Laterza, nel 2011, “Vite che non possiamo permetterci. Conversazioni con Citlali Rovirosa-Madrazo” di Zygmunt Bauman.

(Traduzione http://www.democraziakmzero.org)

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La nuova era.

La nuova era

24 dicembre 2012

di GUSTAVO ESTEVA *

E l’orchestra continuò a suonare.  Il naufragio del Titanic era inevitabile. Ignorarlo era insensato. Ma la banda continuò a suonare.

La sequenza del primo giorno è una illustrazione palese di questo particolare tipo di cecità. Ha mostrato il divario che si è aperto tra le classi politiche e le persone, e ha anche rivelato il suo pericoloso distacco dalla realtà, il modo irresponsabile e miope nel quale occuparsi di interessi mafiosi a breve termine mafioso implica ignorare la gravità della crisi economica, sociale e politica in cui ci troviamo.

Il discorso sul paese (il Messico, ndt) che si fa attualmente mostra i peggiori sintomi dell’autoritarismo populista che viene edificato ad ogni costo. Esso è concepito come un trionfo irresponsabile dell’ottimismo sulla realtà, con l’evidente intenzione di generalizzare questa cecità. La banda continuerà a suonare fino a quando gli strumenti e musicisti si inabisseranno con la nave.

E ‘ particolarmente difficile non sentire il fragore del crollo, che si osserva in tutto il mondo ed è molto bruscamente precipitato in Messico. Coloro che hanno scalato i dispositivi del potere politico, tuttavia, persisteranno in questa sordità interessata… il più a lungo possibile, per il tempo in cui potranno farlo.

Ma noialtri non possiamo continuare a chiudere le orecchie. Abbiamo bisogno di reagire.

Odio dire “ce l’aveva detto”, ma ce lo aveva detto, il subcomandante Marcos, qualche anno fa. In varie occasioni gli zapatisti ci hanno avvertito di quello che sarebbe successo se non avessimo reagito. Non abbiamo reagito. E’ successo. Hanno descritto in diverse circostanze in disastro in cui ci troviamo oggi. Hanno anticipato, prima di chiunque altro, la serie di crisi che si sono succedute e la distruzione che avrebbero provocato nelle classi politiche, nel paese stesso, nel tessuto sociale… Hanno aperto con forza e lucidità possibilità di cambiamento, senza dogmatismi o imposizioni. Non ne abbiamo approfittato.

Il nuovo appello dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (Ezln) deve essere ascoltato da coloro che tentano, dal basso, di resistere all’orrore dominante e di creare un’altra possibilità. Spero lo possano ascoltare coloro che ancora nutrono la fantasia che un colpo di urna elettorale potrebbe essere sufficiente a porre rimedio a tutto, coloro che solo possono pensare e organizzarsi nel quadro dei partiti politici e delle istituzioni e continuano a credere che anticapitalismo sia una brutta parola.

E’ utile mostrare ancora una volta che il re è nudo. Potranno azzardarsi a vederlo e a dirlo ad alta voce anche coloro che credono che sia possibile continuare a negarlo.

Ma, mentre è ormai inevitabile ascoltare lo strepito del crollo del mondo che muore, anche perché il rumore investe tutto e lo si soffre quotidianamente nella propria carne, non accade lo stesso con il frastuono del mondo che risorge. Per ascoltarlo c’è bisogno di altre orecchie.

Non siamo alle prese con una variante di quello che conosciamo. Vi è un altro giro di valzer, una curva su un percorso familiare. È una novità radicale. Le sue profonde radici nel passato non si dedicano a riprodurlo o a realizzare, ancora peggio, il tentativo impossibile di tornare indietro. E’ qualcosa di diverso.

Come è risltato evidente venerdì scorso (quando 40 mila zapatisti hanno riempito le piazze di cinque città del Chiapas, nel giorno della fine di un’era del calendario maya, ndt) , il nuovo mondo si costruisce con la speranza, la gioia e la festa, a partire dalla disciplina che si impara in un proprio ordine, autonomo. Solo così, dalla disciplina organica, quella che si tesse dal basso per propria volontà, è possibile proporsi l’eliminazione del potere e delle autorità coercitive, la condizione in cui viene utilizzata la posizione gerarchica oer imporre una azione.

In tempi bui come questi è una benedizione sapere che contiamo su di loro. Come hanno detto da tempo Chomsky, Wallerstein, Gonzalez Casanova e molti altri, l’iniziativa politica degli zapatisti  è la più radicale del mondo e probabilmente la più importante. Lo è stata ieri, in quella notte del primo gennaio 1994 che ha scatenato un’ondata di movimenti anti-sistemici in tutto il mondo e ci ha svegliati. Continua ad esserlo oggi, quando ancora sono fonte di ispirazione per fare che occorre.

E’ arrivata la fine di un’era. Le prove si accumulano tutti i giorni. Niente può impedire la sua conclusione. Ma prenderà una forma apocalittica, aggravando l’immensa distruzione naturale, sociale e culturale che ha caratterizzato la sua agonia, a meno che non siamo in grado di resistere a un simile orrore. E in tali circostanze, l’unica maniera valida ed efficace di resistere consiste nel creare un’alternativa. Dobbiamo farlo. Ciascuno nel suo luogo e a modo suo. Abbiamo bisogno di dissolvere i rapporti economici e politici che ci intrappolano nel vecchio mondo, coscienti che la crescente dignità di ogni uomo e di ogni donna e di ogni rapporto umano sfida necessariamente tutti i sistemi esistenti. Di questo si tratta oggi.

* Da La Jornada di Città del Messico, lunedì 24 dicembre 2012. Tradotto da DKm0. Gigi Sullo

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Los de abajo

Marcia del silenzio e della dignità

Gloria Muñoz Ramírez

L’EZLN è tornato a parlare in silenzio. I fatti: gli zapatisti hanno realizzato la dimostrazione di forza più grande dei quasi 19 anni da quando si sono fatti conoscere. Si sono radunati in cinque capoluoghi municipali: San Cristóbal de Las Casas, Las Margaritas, Ocosingo, Palenque ed Altamirano, quattro di esse prese il 1º gennaio 1994. In tutte le piazze hanno sfilato in commovente silenzio. Non una parola è uscita dalle loro labbra. Di fronte alle presidenze municipali hanno collocat un palco sul quale hanno sfilato tutti col pugno alzato. Nello stesso pomeriggio sono tornati nei caracoles ai quali appartengono. E poi hanno reso nota la loro parola: È il suono del vostro mondo che crolla. È il nostro che risorge.

I simboli sono molti, perché hano scelto l’ultimo giorno del ciclo maya, quello che doveva essere la fine del mondo per molti e per altri l’inizio di una nuova era, il cambiamento di pelle, il rinnovamento. Durante questi 19 anni il percorso della lotta zapatista è stato pieno di simbolismi e profezie, e questa occasione non fa eccezione.

Dall’annuncio che il Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) avrebbe fatto conoscere la sua parola, l’aspettativa per il contenuto del suo messaggio è andato crescendo. Questo venerdì, tuttavia, quello che si è sentito sono stati i loro passi, il loro camminare silenzioso in cinque piazze, il loro passo degno e ribelle per le strade, il loro pugno alzato, la loro moltitudinaria ed emblematica presenza col volto coperto che, benché non sia un’immagine nuova, continua ad essere impressionante.

Forza, disciplina, ordine straordinario, dignità, interezza, coesione. Non è poco. Sono 19 anni nei quali un’infinità di volte sono stati dati per morti, per divisi ed isolati. Ed ancora una volta escono a dire “siamo qui”. La volta precedente è stato il 7 maggio 2011, in accompagnamento al Movimento per la Pace. In quell’occasione furono in più di 20 mila a manifestare. Oggi sono stati, come minimo, 40 mila. La più grande mobilitazione di tutta la loro storia.

Hanno detto la loro parola, o l’inizio della stessa. L’iniziativa politica più recente è stato il Festival della Degna Rabbia, al quale invitarono lotte e movimenti del Messico e del mondo, nel dicembre del 2008.

Questo venerdì non si sono presentati i membri del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, come fecero nel maggio del 2011. Fu l’ultima volta che si videro Tacho, Zebedeo, Esther, Hortencia, David ed il resto del comando generale, ad eccezione del subcomandante Marcos, che fino ad ora si è tenuto lontano dalla scena pubblica. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/22/opinion/017o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx. – http://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 22 dicembre 2012

Rebeldía viva

Caduta e rinascita nel mondo maya zapatista

Luis Hernández Navarro

Non può riapparire ciò che non se n’è mai andato. Ciò che questo 21 dicembre hanno fatto i ribelli zapatisti Maya occupando pacificamente e in silenzio cinque città del Chiapas non è stato riapparire, ma riaffermare la loro esistenza.

L’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ndt) è qui da oltre 28 anni. Non se n’è mai andato. Per dieci anni è cresciuto sotto l’erba; da più di 18 anni si è fatto conoscere pubblicamente. Da allora ha parlato e osservato il silenzio ad intermittenza, ma mai ha smesso di agire. In un’occasione o l’altra è stata decretata la sua scomparsa o irrilevanza, ma sempre è risorto con forza e con un messaggio.

Quest’inizio del nuovo ciclo dei Maya non ha fatto eccezione. Più di 40 mila “bases de apoyo” (zapatisti civili, distinti dai militari dell’EZLN, ndt) zapatiste hanno marciato sotto la pioggia in cinque città del Chiapas: 20 mila a San Cristóbal, 8000 a Palenque, 8000 a Las Margaritas, 6000 ad Ocosingo, e almeno 5000 altri ad Altamirano. È la più grande mobilitazione dall’emersione dei ribelli nel sud-est del Messico.

L’entità della protesta è un segno che la sua forza interna, lungi dal diminuire nel corso degli anni, è cresciuta. Si tratta di un indicatore del fatto che la strategia anti-insurrezionale, condotta da vari governi, non ha avuto successo. Dimostra che il suo progetto è una genuina espressione del mondo Maya, ma anche di moltissimi contadini poveri meticci (i messicani sono indigeni “puri” o “meticci”, con radici anche spagnole, ndt) in Chiapas.

L’EZLN non ha mai abbandonato la scena nazionale. Guidato dalla sua agenda politica, fedele alla sua coerenza etica e con la forza dello stato contro di esso, ha rafforzato le sue forme di governo autonome, tenuto in vita la sua autorità politica tra i popoli indigeni del paese e attive le reti di solidarietà internazionale. Il fatto che non sia apparso pubblicamente non significa che non sia presente in molte lotte importanti nel paese.

Nelle cinque Giunte di Buon Governo che esistono in Chiapas e nei municipi autonomi le autorità delle bases de apoyo governano se stesse, esercitano la giustizia e risolvono conflitti sul possesso della terra. Nei loro territori, i ribelli hanno fatto funzionare i loro sistemi sanitari e di istruzione al di fuori dei governi statali e federali, organizzato la produzione e la commercializzazione e mantenuto in piedi la loro struttura militare. Hanno risolto con successo la sfida del cambio generazionale nei loro comandi. Come non bastasse, hanno affrontato con efficacia le minacce del narcotraffico, l’insicurezza pubblica e la migrazione. (…)

Gli zapatisti hanno marciato questo 21 dicembre in ordine, con dignità, disciplina e coesione, e in silenzio; un silenzio che si è sentito forte. Allo stesso modo in cui hanno dovuto coprire il loro volto per essere visti, ora hanno interrotto la parola per essere ascoltati. È un silenzio che esprime una feconda capacità di proporre altri orizzonti di trasformazione sociale, una grande potenza. Un silenzio che comunica volontà di resistenza di fronte alla potenza: chi resta in silenzio è ingovernabile, diceva Ivan Illich.

Un ciclo di lotta politica in Messico si è chiuso questo primo dicembre (giorno dell’insediamento del nuovo presidente messicano, Pena Nieto, di destra, accusato di brogli elettorali, ndt), un altro si è aperto. L’EZLN ha molto da dire nella mappa emergente delle lotte sociali che ha cominciato a prendere forma nel paese. La sua mobilitazione può influire in modo rilevante.

(…) Nell’ultimo anno e mezzo sono nati movimenti sociali che sfidano il potere restando fuori dai partiti politici. Non si sentono rappresentati da nessuno di essi. Il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, #YoSoy132, comunità in lotta contro l’insicurezza pubblica e la devastazione ambientale, le proteste degli studenti in difesa della scuola pubblica, tra gli altri, si muovono su sentieri diversi da quelli della politica istituzionale. La simpatia per gli zapatisti da parte di queste forze è reale.

Ma al di là della congiuntura, le marce del 13 Baktun Maya (il ciclo che appunto finiva, secondo il calendario Maya, il 21 dicembre 2012, ndt) sono un nuovo Ya Basta! simile a quello che gli zapatisti pronunciarono nel gennaio 1994, e una versione rinnovata del “Mai più un Messico senza di noi!” formulato nel mese di ottobre del 1996, e che apre nuovi orizzonti. Non chiedono nulla, non domandano nulla. Essi mostrano il potere del silenzio. Annunciano che un mondo crolla e un altro rinasce. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/22/politica/004a1pol

(Traduzione a cura di Gigi Sullo – http://www.democraziakmzero.it)

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La Jornada – Sabato 22 dicembre 2012

 

Rebeldía viva

Si mobilitano più di 40 mila zapatisti in 5 regioni del Chiapas

In silenzio, occupano l piazze centrali di Ocosingo, San Cristóbal de Las Casas, Palenque, Altamirano e Las Margaritas. Poi, ordinatamente, spariscono

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 21 dicembre. Più di 40 mila basi di appoggio zapatiste hanno sfilato silenziosamente questa mattina in cinque città del Chiapas, nella mobilitazione più numerosa di questa organizzazione dall’insurrezione armata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) il primo gennaio 1994.

Provenienti dai cinque caracoles zapatisti nella selva Lacandona, gli Altos e la zona nord, i popoli maya ribelli (tzeltales, tzotziles, choles, tojolabales, mames e zoques) del Chiapas hanno occupato le piazze centrali di Ocosingo, San Cristóbal de Las Casas, Palenque, Altamirano e Las Margaritas. Ovunque, in assoluto silenzio.

Alle 6:30, circa 6 mila indigeni zapatisti, in maggioranza giovani, si sono radunati nelle vicinanze dell’Università della Selva, vicino al sito archeologico di Toniná. Da lì si sono diretti al parco centrale di Ocosingo, dove sono rimasti per tre ore di fronte all’edificio del municipio che 19 anni fa gli insorti ed i miliziani dell’EZLN presero con le armi dichiarando guerra al governo messicano.

In quest’occasione l’azione è stata civile e pacifica e gli unici che hanno parlato sono stati i pugni della mano sinistra alzati di tutti gli zapatisti che hanno sfilato ordinatamente su un palco installato all’uopo. Verso le 10:30 gli ultimi manifestanti hanno lasciato la piazza per tornare nella selva.

Allo stesso modo, nelle altre piazze menzionate, gli zapatisti hanno installato palchi sui quali sono saliti col pugno alzato tutti i partecipanti alla mobilitazione, in una sfilata di impressionante silenzio.

A San Cristóbal de Las Casas hanno sfilato circa 20 mila uomini e donne zapatisti. Secondo le fonti, a Las Margartas si sono radunati almeno 7 mila indigeni, e 8 mia a Palenque. Di Altamirano non si conoscono i numeri. Secondo la testimonianza di un autotrasportatore della zona di Ocosingo, dal caracol di La Garrucha potevano partire più del doppio dagli indigeni che sono arrivati ad Ocosingo, ma non c’erano veicoli sufficienti, per cui sono state trasportate solo 6 mila persone.

Nelle scorse settimane, il portale elettronico di Enlace Zapatista aveva annunciato la parola del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN, e delle commissioni Sesta e Sesta Internazionale. Si pensa che presto si potranno conoscere i loro comunicati, ma ancora non se ne sa nulla.

Nella data in cui molti sprovveduti credevano alla fine del mondo, secondo l’interpretazione opportunista delle profezie (in realtà, calcoli matematici) degli antichi maya, le comunità basi di appoggio dell’EZLN, appartenenti ai popoli maya contemporanei che nelle loro lingue si definiscono uomini veritieri, col volto coperto hanno realizzato una potente dimostrazione di forza e disciplina, perfettamente in riga sotto una costante pioggia (inusuale in quest’epoca dell’anno) che ha accompagnato le mobilitazioni per tutta la mattina nelle diverse località.

Abili nell’apparire all’improvviso, gli indigeni ribelli sono spariti altrettanto rapidamente e silenziosamente così come erano arrivati all’alba in questa città che, a vent’anni dalla traumatica irruzione qui dell’EZLN a capodanno del 1994, li ha accolti con un poco di spavento e curiosità, senza nessuna manifestazione di rifiuto. Sotto i portici del comune che oggi ha sospeso le sue attività, decine di abitanti di Ocosingo sono accorsi per fotografare con cellulari e macchine fotografiche lo spettacolare concentramento di incappucciati che ha riempito il parco come al gioco del Tetris, avanzando tra le siepi in un ordine che sembrava coreografia, per salire sul palco, installato velocemente il mattino presto, alzare il pugno e dire, silenziosamente, siamo qui. Ancora una volta. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/22/politica/002n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Comunicato del Comitato Clandestino Rivoluzionario IndigenoComando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
21 dicembre 2012

A chi di dovere:

Lo avete sentito?
E’ il suono del vostro mondo che crolla, ed è quello del nostro che risorge.
Il giorno in cui fece giorno, fu notte;
e sarà notte il giorno in cui farà giorno.

DEMOCRAZIA
LIBERTA’
GIUSTIZIA

Dalle montagne del Sud-Est Messicano
per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
SUBCOMANDANTE MARCOS

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Messico
Gli ultimi Maya, a 15 anni dalla strage di Acteal
 
Il mondo non finisce il 21 dicembre 2012. Ma il giorno dopo ricorre il quindicesimo anniversario di una barbara strage dimenticata, quella di Acteal. Ne furono vittima 45 indigeni tzotziles (e quindi Maya) del Chiapas, nel Sud-est messicano. Riuniti in preghiera, chiedevano pace, libertad, justicia y dignidad, ma furono crivellati di colpidi Luca Martinelli e Giulio Sensi | L’Altreconomia
http://www.altreconomia.it/site/fr_contenuto_detail.php?intId=3813

Quando vi sveglierete il 22 dicembre, finalmente consapevoli che il mondo “non finiva quel giorno” (cit.), cioè che nessun Maya ha mai detto che il 21 dicembre 2012 la vita degli esseri umani sarebbe scomparsa dal Pianeta, ricordatevi degli ultimi Maya. Quelli che vivono nel Sud-est messicano, e la fine del mondo l’hanno già vista, oltre che annunciata: non era il 21 ma il 22 dicembre, di quindici anni fa.

Il 22 dicembre del 1997 la furia dei gruppi paramilitari si scagliò sulla piccola comunità di Acteal, nella zona degli Altos del Chiapas. Era in corso una “guerra di bassa intensità”: da una parte l’esercito messicano e gruppi paramilitari, dall’altra l’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln), l’esercito indigeno che nel gennaio del 1994 si era sollevato in armi per chiedere dignidad, justicia y libertad per le comunità indigene del Chiapas.

Le vittime del massacro di Acteal, 45 indigeni assassinati senza che nessuna autorità pubblica muovesse un dito, non erano zapatisti, però. Facevano parte di un’associazione pacifista, Las Abejas, nata cinque anni prima, e quasi alla vigilia di Natale erano riuniti in chiesa a pregare per la pace.

Las Abejas è nata seguendo il lavoro della Diocesi guidata dal vescovo Don Samuel Ruiz, il Tatik (padre, in tzeltal) degli indigeni, scomparso quasi due anni fa, e da vent’anni si batte senza armi per gli stessi obiettivi degli zapatisti: la pace con dignità.

Quel 22 dicembre il tempo si fermò. Non solo in Chiapas, non solo nel Messico, ma in tutto il mondo. E anche in Italia, un Paese che era -allora- capace di indignarsi, e di fare qualcosa per le ingiustizie del Pianeta. Se ne discusse alla Camera, con un’interrogazione promossa dall’onorevole Ramon Mantovani. Ne scrissero, quasi immediatamente, i grandi giornali: “Gli squadroni della morte arrivano con il buio. Appena si spegne il sole, dietro le ultime montagne del Chiapas, tra i contadini di molte contrade appollaiate sui monti al confine con il Guatemala, s’ insinua una paura tangibile che si materializza in due parole: la ‘Maschera Rossa’. I gruppi paramilitari della provincia di Chenalho dov’ è accaduto il massacro di Acteal si sono soprannominati così. Da mesi terrorizzano le basi d’ appoggio degli zapatisti con una tecnica molto nota. Con la complicità della notte calano sui villaggi, rassicurati dalle loro uniformi scure e dai loro AK-47, e seminano paura, maltrattano, saccheggiano, rubano ed esigono quell’ assurda ‘tassa di guerra’ che qui gran parte dei campesinos si rifiuta di pagare” scrisse il 6 gennaio ’98 Carlo Pizzati, inviato a San Cristobal de Las Casas per “la Repubblica”. 


La risposta più importante, però, venne dai molti attivisti che reagirono dando corpo a una stagione di solidarietà con gli indigeni del Chiapas oggi ridotta al lumicino: le testimonianze della mattanza mossero la solidarietà, che niente ha potuto di fronte alla mancanza di giustizia: dopo periodi di detenzione troppo brevi, molti dei responsabili della strage girano ancora liberamente per la regione e la loro liberazione ha facilitato il riformarsi di alcune bande paramilitari così utili alla strategia di contro-insurrezione del Governo federale e di quello del Chiapas.

È la stessa impunità che vivono gli autori di altre stragi che insanguinarono la stagione della repressione, come quella della comunità di El Bosque, sempre negli Altos de Chiapas. L’impunità è scesa nell’oblio, la lotta per la giustizia no. 
Per i media italiani, specie quelli mainstream, oggi il Messico “pesa” solo in quanto narco-Stato e per il problema dei femminicidio. È passato in secondo piano il tema dei diritti umani, e in particolare quelli delle popolazioni indigene, che pure dovrebbero essere tutelati anche in virtù dell’Accordo di libero scambio firmato dall’inizio del millennio dal Messico e dai Paesi dell’Unione europea.   

Noi, però, non abbiamo dimenticato Acteal. Non possiamo farlo. Se oggi leggete le nostre firme su “Altreconomia”, o i nostri nomi come animatori di associazioni ed esperienze di movimento, è perché nel dicembre del 1998, un anno dopo, incontrammo un “testimone” della strage, che ci raccontò il peso dell’ingiustizia. E ci spinse a lavorare al suo fianco, per cambiare le regole.

Oggi chiediamo anche a voi di farvene carico: in questi giorni, anche in Italia, ogni mezzo d’informazione e di comunicazione è invaso da articoli che riflettono (a vanvera) della “profetica” scadenza della fine del mondo annunciata dai Maya.

A tutti chiediamo di alzare lo sguardo e guardare ad una vera notizia, l’ingiustizia e l’impunità di chi seminò morte e terrore in un popolo di pace che chiedeva solo rispetto e dignità. Invece che alla “fine del mondo” potremmo contribuire all’inizio di una nuova stagione, per non far inghiottire la giustizia da un enorme buco nero.

 

También el LINyM

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Migliaia di zapatisti arrivano a Ocosingo e San Cristóbal de las Casas
Ocosingo, Chiapas. Migliaia di basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) sono radunati in fila e in silenzio nella piazza di Ocosingo, Chiapas. Più di 6000 ribelli, soprattutto giovani, sono giunti qui ​​fin dalle 6 del mattino e continuano ad arrivare in questo municipio che fu conquistato dai ribelli nel gennaio 1994. C’è anche un raduno di massa a San Cristobal de las Casas, dove dalle 9 del mattino hanno cominciato ad arrivare dal caracol di Oventik sotto una pioggia persistente.
Anche se dal loro arrivo gli zapatisti hanno improvvisato un palco di legno, fino alle 9 del mattino non c’era ancora nessun oratore né si è saputo qualcosa del messaggio che avrebbero inviato. Dal mese di novembre la pagina web di Enlace Zapatista annuncia che presto si sentirà la parola dell’EZLN.
Dal 7 maggio 2011, quando l’organizzazione indigena appoggiò la marcia del poeta Javier Sicilia con una concentrazione di massa a San Cristobal de las Casas, gli zapatisti non si vedevano per le strade delle città in Chiapas.

________________________________________________________
skype: desinformemonos
________________________________________________________
“…desinformémonos hermanos
hasta que el cuerpo aguante
y cuando ya no aguante
entonces decidámonos
carajo decidámonos
y revolucionémonos.”
Mario Benedetti

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Non ci sembra di aver visto traduzioni o articoli riguardo questa notizia del mese scorso, per cui rigiriamo un riassunto della situazione e della denuncia della GBG La Realidad del 23 novembre fatta dal gruppo ELCOR della Rete contro la Repressione Chiapas. Ci sembra grave la situazione: con questo sono tre gli zapatisti attualmente in carcere.

Nodo Solidale

GBG zapatista di La Realidad denuncia l’arresto di due zapatisti e di due loro familiari:
http://www.autistici.org/nodosolidale/news_det.php?l=it&id=2217

San Cristobal de Las Casas, 24 novembre 2012

“…dov’è la giustizia? I nostri compagni Anibal e Carlos  non hanno commesso nessun delitto, sono innocenti, il loro unico delitto è essere zapatisti”

(Parole della denuncia pubblica della Giunta di Buon Governo, 23 novembre 2012)

Da aprile 2011 a novembre 2012 noi, in quanto aderenti all’Altra Campagna, firmatari della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e altre persone solidali di buon cuore, abbiamo ricevuto la SESTA DENUNCIA PUBBLICA dalla zona Selva Fronteriza.

La Giunta del Buon Governo (GBG) “Verso La Speranza” del Caracol 1, La Realidad, Madre dei Caracoles “Mare dei nostri sogni”. Ancora una volta informa sulle ingiustizie delle quali sono oggetto i compagni e le compagne basi d’appoggio zapatiste dell’EZLN del Municipio Autonomo Ribelle Zapatista “Terra e Libertà”, della frazione San Ramon e del villaggio Che Guevara.

Sappiamo bene che prima di fare una denuncia pubblica la Giunta del Buon Governo prova a  risolvere i problemi. Questa volta ci informa quindi dei fatti con cui hanno criminalizzato e violato un’altra volta i diritti compagni.

Innanzitutto la GBG ci informa riguardo i fatti avvenuti il 15 maggio 2011, quando dieci persone (uomini e donne) colpirono brutalmente con pietre e pali, due compagni basi d’appoggio zapatiste: Anibal Lopez Monzon e Carlos Lopez Munzon e un loro fratello, Jacobo Timo Lopez Mònzon, che non è base appoggio zapatista, provando ad ammazzarli. Uno di loro “rimase incosciente, quasi morto”.

Il giorno 20 giugno 2012 vengono nuovamente arrestati gli stessi compagni (le due basi d’appoggio e un loro fratello) e anche un altro componente della famiglia. Attualmente, cioè dopo 5 mesi, sono ancora incarcerate le quattro persone.

La GBG comunica anche i fatti del 17 ottobre di questo anno, data in cui viene sparato il compagno Manuel Barrios Hernandez del villaggio “Che Guevara” dal signor Olegario Roblero Rodriguez. Il motivo era per espropriargli la terra. Coloro che hanno propiziato l’aggressione per appropriarsi delle “terre recuperate” dall’EZLN, in complicità con i tre livelli del mal governo, sono i militanti del Partito Verde Ecologista, Guillermo Pompilio Galvez Pinto e Ilse Galvez, figlio e figlia dell’ex proprietario , già deceduto.

Sono 94 ettari di terra recuperata che nel complesso costituiscono le terre del villaggio “Che Guevara”.  In base ai principi etico – rivoluzionari zapatisti, i compagni lasciarono 60 ettari di proprietà ai figli dell’imprenditore morto e rimasero così 30 ettari di terra in possesso delle basi d’appoggio zapatiste.

Come Spazio di Lotta contro l’Oblio e la Repressione (ELCOR in spagnolo) esigiamo la libertà immediata dei compagni detenuti arbitrariamente dal mal governo e facciamo un appello per diffondere la situazione e sottolineare i nomi dei delinquenti, complici del mal governo, pertanto:

INDICHIAMO COME DELINQUENTI il Comandante Victoriano Lopez Aguirre e i suoi 5 poliziotti ausiliari testimoni del brutale pestaggio del 15 maggio ai danni dei compagni di San Ramon, facendo come se nulla fosse.

INDICHIAMO COME  INETTI GLI AVVOCATI Juan Antonio Gomez Coello e Antonio Lopez de Leon che non hanno fatto altra cosa che dimostrare di avere come clienti dei delinquenti.

INDICHIAMO COME PESSIMI FUNZIONARI QUELLI DEL PUBBLICO MINISTERO di Motozintla, Rodolfo Cruz Martinez, e del Pubblico Ministero di Tapachula (coloro che diedero l’ordine di arrestare il 20 giugno i compagni).

INDICHIAMO COME GENTE DI CUORE CATTIVO, il sig.Guillermo Pompilio Galvez Pinto e Ilse Galvez  i qualid pagano persone senza dignità per usurpare la terra alle basi d’appoggio zapatisti del villaggio “Che Guevara”.

NOMINIAMO GLI STUPIDI CHE NON SANNO GOVERNARE e stanno nei tre livelli di governo: il sindaco Oscar Rene Gonzales Galindo, il governatore Juan Sabines Guerrero e il presidente Felipe Calderon, così come i loro prossimi successori, ugualmente delinquenti che fregheranno ancor di più Chiapas e Messico, Manuel Velasco e Enrique Pena Nieto.

Stop alle aggressioni contro le comunità zapatiste!
Viva la autonomia zapatista!
Contro l’Oblio, la Memoria!
Contro la Repressione, la Solidarietà!

Espacio de Lucha Contra el Olvido y la Represión (ELCOR)

(tradotto da Nodo Solidale)

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La Jornada – Venerdì 14 dicembre 2012

La forza morale ed organizzativa dell’EZLN

Jaime Martínez Veloz

Il prossimo primo di gennaio si compiranno 18 anni dall’insurrezione armata capeggiata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Un paese sulla soglia della modernità fu sorpreso che migliaia di insorti, in maggioranza indigeni, avessero preso le armi, come ultima risorsa, per lottare per una vita migliore per i popoli indigeni e per il paese.

La mobilitazione di migliaia di messicani obbligò lo Stato a negoziare con gli insorti una soluzione degna e giusta. Dopo più di due anni di intensi negoziati, ci fu il primo accordo tra il governo federale e l’EZLN in materia di diritti e cultura indigeni, il quale fu firmato il 16 febbraio del 1996 nel municipio di San Andrés Larráinzar, in Chiapas.

Quando si tentò di inserire tale accordo nella legislazione messicana, mediante un’iniziativa di legge elaborata dalla Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), la reazione dello Stato fu brutale, cinica e crudele. L’iniziativa di legge conteneva i postulati testuali più importanti dall’accordo firmato dal governo federale e l’EZLN; non c’era un solo concetto che non fosse stato concordato dalle parti.

La reazione dell’EZLN di fronte all’iniziativa elaborata dalla Cocopa fu di accettazione, e quella delle autorità fu di scandalo ed ipocrisia. Il presidente della Repubblica ed i gruppi di potere economico del paese accusarono la Cocopa e l’EZLN di voler balcanizzare, dividere e frammentare il paese. Coloro che lanciarono queste accuse sono gli stessi che concessero 25 milioni di ettari alle compagnie minerarie straniere e nazionali, le quali tra il 2005 e 2010 estrassero risorse minerali per un valore di 552 mila milioni di pesos e pagarono solo 6 mila 500 milioni di pesos per i diritti, cioè, 1,18%.

Nel 2002, dopo la trionfante marcia zapatista in diverse parti del paese, l’allora presidente Vicente Fox trasmise l’iniziativa di legge al Congresso dell’Unione, attraverso il Senato della Repubblica, dove fu smantellata ed al suo posto approvarono un obbrobrio legislativo la cui premessa principale era che sarebbe stata la strada per far uscire fuori dall’arretratezza e dall’emarginazione i popoli indigeni messicani. Si stabiliva che il tema dell’arretratezza e dell’emarginazione in materia indigena era una questione di programmi ed aiuti governativi, non di pieno esercizio dei diritti costituzionali, rifiutandosi così di compiere quanto concordato a San Andrés Larráinzar.

A più di 10 anni dalla promessa delle istituzioni messicane agli indigeni di farli entrare in paradiso, in cambio del rifiuto di applicare quanto concordato tra l’EZLN ed il governo federale, la realtà dà ragione agli zapatisti ed evidenza il più grande dei fallimenti dello Stato.

Tra il 2002 e 2012, la spesa federale annuale per i popoli indigeni è passata da 16 mila 663 milioni a 39 mila 54 milioni di pesos. Tuttavia, i dati di povertà ed emarginazione delle stesse agenzie governative non riportano alcun impatto sulla riduzione della povertà indigena; al contrario, questa è aumentata, ed ogni volta in modo più offensivo per una nazione dove dal 1917 tutti i governi ammettono nei discorsi ed in modi diversi il debito del Messico con i suoi indios e si dicono impegnati a sconfiggere le ingiustizie che subiscono.

Secondo i dati del Consiglio Nazionale di Valutazione della Politica di Sviluppo Sociale (Coneval) e i dati su entrate e uscite del 2010, mentre la media nazionale del tasso di povertà estrema e moderata è del 46,2%, nelle comunità e villaggi indigeni è del 79,3%, cioè, quasi il doppio. Otto indigeni su 10 non hanno avuto accesso alla terra promessa che lo Stato messicano ha offerto loro in cambio di non applicare quanto pattuito a San Andrés Larráinzar.

Secondo i dati del Coneval, l’80,3% degli indigeni è al di sotto della soglia di benessere, l’83,5% non ha accesso alla previdenza sociale, il 50,6% non conta su servizi di base nella propria abitazione ed il 40,5% soffre di carenze alimentari. Per questo diciamo che in materia indigena non ha fallito la politica pubblica, bensì la leadership dello Stato; la politica verso gli indigeni è stata di palliativi, perché non ha una visione articolata e progetti di cambiamenti strutturali, com’è contemplato negli accordi di San Andrés Larráinzar.

Dopo l’inadempimento governativo, l’EZLN decise una strategia di resistenza, rafforzando la sua organizzazione con la creazione delle giunte di buon governo, il lavoro collettivo e la solidarietà comunitaria. Negli ultimi anni sono andati avanti in silenzio, lontani dalla propaganda. Alcune persone distratte, o quelli che hanno scommesso sulla scomparsa del conflitto o il suo oblio, diffondono voci o tentano di confondere, sostenendo che l’EZLN non è più un problema, dato che, dalla loro ottica, gli zapatisti non fanno più notizia, quindi non esistono.

I dati qui esposti, che mostrano il fallimento governativo verso questo settore della popolazione, dovrebbero far capire alle élite messicane che perfino il silenzio è una forma di lotta e che non ha niente a che vedere con una presunta debolezza, in questo caso, dell’EZLN. Al contrario, mentre il dispendio ed il fallimento sono sinonimo delle politiche pubbliche, l’organizzazione, il lavoro e la disciplina sono ciò che ha distinto lo zapatismo in questa tappa.

Gli zapatisti vivono, si organizzano e lavorano in una realtà di grandi carenze materiali che suppliscono con creatività e dedizione. Hanno obiettivi chiari che trascendono le generazioni; i loro argomenti sono irrefutabili, la vitalità e la consistenza delle loro convinzioni sono state una scuola di vita per migliaia di messicani. Un abbraccio affettuoso a tutti gli zapatisti che là, nelle loro comunità, lottano ogni giorno per costruire un futuro migliore per il nostro paese. Come dicono da quelle parti: non siete soli! http://www.jornada.unam.mx/2012/12/14/opinion/021a2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia da Toniná.

La Jornada – Martedì 11 dicembre 2012

La JBG denuncia danni al sito archeologico di Toniná e chiede le dimissioni del direttore. Octavio Albores, presidente municipale, distrugge tombe maya per costruire un ponte

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, con sede nel caracol Resistencia hacia un nuevo amanecer, a La Garrucha, Chiapas, ha denunciato la strategia di perseguire ed imprigionare “i nostri compagni innocenti, basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN)”. Questa volta, il perseguito è Alfonso Cruz Espinosa, del villaggio San Antonio Toniná, attiguo alla zona archeologica di Toniná e vicino al capoluogo municipale di Ocosingo.

Le autorità della JBG denunciano i fatti avvenuti nel municipio autonomo Francisco Gómez; “nel nostro territorio”, precisano. “Secondo alcune voci, sul compagno Cruz Espinosa pende un mandato di cattura per il semplice fatto che il municipio autonomo ha aperto un negozio collettivo di artigianato in quel luogo, sul nostro terreno recuperato, a beneficio dei nostri compagni in resistenza”.

La JBG chiede ai tre livelli del malgoverno di rispettare gli accordi firmati il 28 gennaio 2006 nell’ufficio del consiglio autonomo di Francisco Gómez, perché “noi rispettiamo gli accordi”. Sostiene che gli zapatisti rispettano il terreno che coltiva la signora Socorro Espinosa Trujillo e le sue figlie Berenice e Dalia Maribel Cruz Espinosa. Anni fa, i governi statali di Juan Sabines Guerrero e municipale (PAN) di Arturo Zúñiga operarono per provocare un conflitto tra la famiglia Cruz Espinosa ed Alfonso, proprietario legittimo dei terreni che circondano il sito archeologico, allo scopo di sottrarli al territorio autonomo zapatista e destinarli ad usi commerciali.

La JBG inoltre denuncia che l’attuale presidente municipale di Ocosingo, Octavio Albori Cruz (PRI) sta distruggendo tumuli e tombe maya per la costruzione di un ponte a beneficio dell’ex sindaco Zúñiga ed altri allevatori della zona, e si domanda: “Non è un crimine distruggere il patrimonio della nazione?”.

La JBG ed il municipio autonomo Francisco Gómez chiedono le dimissioni dell’archeologo responsabile Juan Yadeum e della direttrice del sito di Toniná, Julissa Camacho Ramírez, come era stato concordato e firmato dai tre livelli del malgoverno il 28 febbraio 2009, perché sono loro a provocare i costanti problemi. Entrambi sono stati denunciati come complici, almeno per omissione, di queste opere illegali che colpiscono e danneggiano il patrimonio archeologico.

La direttrice Camacho Ramírez è stata inoltre denunciata per diverse irregolarità, come usare veicoli ufficiali dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) per trasportare legname – disboscato illegalmente nel podere Campo Alegre – che usa nella costruzione della sua casa di Ocosingo, senza che l’INAH, in Chiapas, intervenga contro Emilio Gallaga Murrieta. Questi stessi veicoli sono usati per trasportare i figli dei militari che risiedono nella base di Toniná.

Le autorità ribelli chiedono ai tre livelli del malgoverno di cancellare immediatamente il mandato di cattura contro Alfonso Cruz, “perché non ha commesso alcun reato. Lo diciamo chiaro: non permetteremo più nessuna ingiustizia contro le basi di appoggio del nostro EZLN, benché i tre livelli del malgoverno cerchino forme e strategie per fregarci e indebolire la nostra lotta e resistenza. Noi andiamo avanti pronti a difenderci da qualunque provocazione contro le nostre basi”. 

La giunta avverte: “Staremo attenti per quanto potrebbe succedere e ne riterremo responsabili direttamente i tre livelli del malgoverno e Julissa Camacho Ramírez, Juan Yadeum, così come María del Socorso Espinosa Trujillo e le sue figlie.

Comunicato originale della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 9 dicembre 2012

Las Abejas accusano il governo di riattivare i gruppi paramilitari per seminare il terrore. Lo proverebbe la scarcerazione in massa dei responsabili del massacro di Acteal

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 8 dicembre. L’organizzazione ella società civile Las Abejas ha denunciato oggi la riattivazione dei gruppo paramilitare Máscara roja nel municipio tzotzil di Chenalhó, e che la transizione governativa di Enrique Peña Nieto ha scatenato una serie de fatti violenti, come strategia di minaccia per fermare le proteste sociali che denunciano la sua imposizione. Ma le azioni “non sono solo contro gli ‘anti-EPN’ “, ma anche contro le organizzazioni che denunciano le ingiustizie e le violazioni dei diritti umani compiute e gestite dai governi con la logica della contrainsurgencia per creare divisione e conflitto comunitario, fino a provocare lo sgombero forzato.

Lo stesso governo amministra i conflitti, come ha fatto il governo statale che oggi ha terminato il suo mandato con le organizzazioni di Tila, San Sebastián Bachajón ed altre regioni autonome, aggiungono Las Abejas. Tale strategia ha permesso la ripresa dei gruppi paramilitari Paz y Justicia nella zona nord e Máscara roja nel municipio di Chenalhó.

Inoltre, la scarcerazione in massa dei paramilitari in carcere per il massacro di Acteal (avvenuto il 22 dicembre 1997) a partire dal 12 agosto 2009, fino alla liberazione di Manuel Santiz Pérez lo scorso 25 settembre, ha favorito questo riaggruppamento “che si manifesta nel loro coordinamento con coloro che non sono stati processati e portano armi per strada, in montagna, sui sentieri verso le milpas e le piantagioni di caffè. Tale dinamica ha fatto sì che nelle comunità di Chenalhó si ostentano le armi ovunque, cosa che induce timore tra i sopravvissuti del massacro, le vittime della guerra di bassa intensità e in tutta la popolazione civile.” Las Abejas riferiscono della recente tragedia del 5 settembre, quando un priista ha sparato alla schiena di Manuel Ruiz Hernández, base di appoggio zapatista, vicino alla piazza di Yabteclum.

L’azione violenta dell’Esecutivo statale non si limita a seminare terrore, ma “prosegue la strategia di logoramento perpetrata dai governi precedenti contro la nostra organizzazione pacifista”. Al governo, aggiungono, non piace accettare la sconfitta del 2008, quando Felipe Calderón Hinojosa e Juan Sabines Guerrero divisero la nostra organizzazione pensando di disarticolarci; ma si sono sbagliati, quello che hanno fatto ci ha rafforzato e ci ha fatto diventare l’organizzazione che siamo ora.

Ciò nonostante, “i predatori non smettono di perseguitare il nostro movimento; ora hanno riattivato i loro emissari, come ad aprile del 2010 quando componenti del tavolo direttivo della (cosiddetta) ‘associazione civile Las Abejas’ con sede a Nuevo Yibeljoj, che usano il nostro nome, hanno fatto visita ai sopravvissuti di Acteal chiedendo i nomi dei loro congiunti morti nel massacro per negoziare un indennizzo”. In quell’occasione, fingendosi sopravvissuti, sono andati nelle case dei paramilitari, dei priisti, da membri dell’associazione civile e dai nostri, invitano a formare un gruppo di sopravvissuti e chiedere programmi assistenziali a nome dei martiri.

L’Organizzazione Società Civile Las Abejas ed i sopravvissuti al massacro di Acteal condannano questa strategia governativa e denunciano chi si spaccia per sopravvissuto ma non lo è: Juan Oyalté Paciencia (paramilitare priista di Tzajaluk’um), Vicente Oyalte Luna (priista della comunità di Acteal), Pedro Vásquez Ruiz e Juan Pérez Pérez (dell”associazione civile Las Abejas’).

L’organizzazione legittima Las Abejas, aderente all’Altra Campagna, sostiene che con questa strategia il governo vuole eludere la richiesta di giustizia per il massacro, e che le persone che fungono da commissioni sono agli ordini e istruiti da delegati del governo, come i paramilitari che hanno ucciso i nostri fratelli su ordine dello Stato e addestrati dall’Esercito. Al governo non è bastato ammazzarci, non ha raggiunto il suo obiettivo, per questo ora vuole comprare la nostra coscienza.

Sappia il governo assassino di non nati, di bambini e bambine, donne, anziani e uomini della popolazione civile sfollata, che non scambieremo mai il sangue dei nostri martiri con denaro né programmi assistenziali. Non permetteremo neppure che si venda la dignità dei nostri fratelli massacrati. Non cesseremo di gridare giustizia contro gli autori materiali e intellettuali del massacro di Acteal, conclude la denuncia. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/09/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 5 dicembre 2012

Basi di appoggio zapatiste inaugurano un negozio di artigianato a Toniná, Chiapas 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Toniná, Chis., 4 dicembre. Centinaia di basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), di diverse comunità del municipio autonomo Francisco Gómez, questa mattina hanno inaugurato un negozio di artigianato adiacente al sito archeologico di Toniná, nella valle di Ocosingo. La cerimonia è avvenuta alla presenza delle delle ricamatrici ed artigiane, in maggioranza tzotziles, i cui lavori saranno venduti nel nuovo negozio.

Dopo alcune turbolenze regionali nelle scorse settimane, diffusione di notizie diffamatorie ed aggressioni della polizia municipale contro il negozio zapatista, questo ha aperto i battenti senza contrattempi. Sulla stampa e radio locali si diceva che si trattava di un posto di blocco, un botteghino illegale di pagamento per l’ingresso alle rovine o un tentativo di ostacolare il turismo (che, però, ogni anno è sempre più numeroso). Qualche giornale statale ha anche fornito versioni più obiettive. E sebbene la polizia di Ocosingo fosse venuta nei giorni scorsi a spargere la sabbia che gli zapatisti stavano usando per la costruzione dei locali, il nuovo presidente municipale, Octavio Albores Cruz, priista di lunga data ma eletto come candidato verde, si è presentato dagli indigeni ribelli per dissociarsi dall’aggressione della polizia e riportare la sabbia.

La situazione conflittuale di deve molto all’ex sindaco panista Arturo Zúñiga Urbina, che prima di lasciare l’incarico si è assicurato di disporre 9 milioni 165 mila pesos per costruire un sentiero turistico Ocosingo-Toniná su terreni di sua proprietà e di due soci, pagati con denaro federale e statale delle amministrazioni di Calderón e Sabinas. Per fare ciò hanno distrutto tumuli e tombe del sito archeologico ed hanno usato pietre dell’antica città maya per fare posto ad un albergo turistico, ristorante, piazza di accesso, ponte, parcheggio, portico e sentieri, secondo la stessa descrizione ufficiale.

Una larga strada asfaltata e con marciapiede si apre nel bel mezzo del paesaggio rurale; si prevede che ospiterà un mercato di artigianato e posti di ristoro controllati dai proprietari delle installazioni ma gestiti dagli indigeni come dipendenti. Oggi sono molto attivi i lavoratori e le macchine di un’impresa privata, proprietà di Manuel Albores Cruz, nipote del nuovo sindaco, ma suo rivale. Suo padre, e fratello del sindaco, Héctor Albores, è stato candidato perdente del PRI nelle passate elezioni.

Così, tutto resta in famiglia, mentre le autorità dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) si astengono dall’intervenire, malgrado il suo direttore regionale, Emilio Gallaga Murrieta, sia a conoscenza della situazione. I lavoratori dello stesso INAH hanno manifestato il proprio dissenso verso queste opere turistiche che privatizzano una zona che è di proprietà della nazione e patrimonio dell’umanità, ed inoltre la danneggiano irrimediabilmente.

Ma oggi le famiglie zapatiste, vivaci e colorate, sono venute alla grande piramide ed hanno dato inizio alla loro impresa su un pezzo di terra recuperata proprio all’ingresso del sito archeologico. Un discreto cartellone di legno con una stella rossa al centro recita: Negozio di artigianato autonomo zapatista, territorio ribelle. EZLN, Caracol III La Garrucha, municipio autonomo Francisco Gómez. Con questo piccolo dettaglio, ed il privilegio della sua collocazione, hanno ricevuto luce rossa dal governo statale ormai alle sue ultime ore di vita. Il negozio sì, il cartello no, hanno intimato i funzionari agli indigeni autonomi, ma questi, come da 18 anni, fanno quello che dicono di fare perché nel loro pieno diritto, argomento che fino ad ora nessun funzionario ha potuto contestare. http://www.jornada.unam.mx/2012/12/05/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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29° Anniversario

L’EZLN, ispirazione dei guardiani indigeni del Messico

Hermann Bellinghausen e Gloria Muñoz Ramírez

Un viaggio in questi 29 anni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), permette di vedere la coerenza e congruenza di un movimento creato da un gruppo di tre indigeni e tre meticci che arrivarono nella Selva Lacandona nell’autunno del 1983. Non tutto è cominciato con la sollevazione armata con la quale si sono fatti conoscere all’alba del primo gennaio 1994. Dieci anni avevano preceduto il momento nel quale si sarebbero presentati al mondo intero e quasi 19 sono trascorsi da quando lanciarono la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona. Di questo processo si è parlato e scritto molto, ma l’anniversario serve a ricordare scampoli della storia di un movimento che si è installato nella vita politica del paese e del mondo, e che continua ad essere un riferimento di organizzazione per molti movimenti che lottano, come loro, per libertà, democrazia e giustizia.

Alcuni anni fa, il tenente colonnello Moisés riassumeva con parole semplici il processo col quale i primi zapatisti si incontrano con le comunità indigene e trasformano la loro visione rivoluzionaria tradizionale, a partire da una semplice formula: ascoltare i popoli: “Dal 1983 al 1993 l’organizzazione trovò il modo di incontrare le persone. Il nostro EZLN seppe adattarsi ai nostri popoli indigeni, cioè l’organizzazione seppe fare i cambiamenti necessari per crescere. Durante il reclutamento non dovevamo comportarci come commissari politici… I compagni hanno un loro proprio stile di vita e andare incontro al loro modo di vivere ci permise di radunare sempre più persone e comunità”.

Intervistato in occasione del 20° anniversario zapatista, il comandante insurgente spiegò allora come si organizzarono con le comunità e come si svolgevano gli incontri politici. “Si dice loro che siamo contro il governo, che lottiamo contro il sistema che ci opprime. Spieghiamo ogni punto del perché lottiamo. Per esempio, quando gli spieghiamo del problema della salute e dell’educazione, loro capiscono che a poco a poco si potranno avere un buon sistema sanitario e buone scuole. Poi si passa a spiegare che la lotta sarà lunga… Gli spieghiamo in che condizioni vivono perché prendano coscienza della loro situazione ed allora ci chiedono che cosa bisogna fare. E noi gli raccontiamo le lotte di Villa, di Zapata, di Hidalgo, e di come si sono ottenute le cose, spieghiamo loro che grazie a quei movimenti si ottennero alcune cose, ma che ne mancano ancora molte.”

L’EZLN spiegò i suoi propositi ed ascoltò i bisogni e le forme di lotta dei popoli. E’ questo il segreto. Saper ascoltare ed agire di conseguenza. Moisés ricordava: “Allora spiegavamo alle comunità il nostro sogno, dicendo loro che la lotta è per una buona educazione, un buon sistema di salute, la casa e per tutto quello per cui lottiamo… L’organizzazione crebbe così tanto che si dovettero creare nuovi meccanismi di comunicazione. Perché prima la comunicazione avveniva a piedi e ci volevano giorni per entrare in contatto, ma quando l’organizzazione è cresciuta si è ricorsi all’uso delle radio per tenere in comunicazione le comunità e loro con noi in montagna”.

La spiegazione che si dava alle comunità 29 anni fa è assolutamente valida oggi e si può applicare ad ognuna delle lotte che si conducono attualmente a Wirikuta, nella Montagna e sulla Costa di Guerrero, nell’Istmo di Oaxaca, tra i popoli della meseta purhépecha o tra la tribù yaqui di Sonora. Raccontava Moisés: “Le comunità capivano che i progetti che il governo elargiva non erano per decisione della gente, a loro non chiedono mai che cosa vogliono. Il governo non vuole soddisfare i bisogni dei popoli, si vuole invece continuare a tenerli in stato di bisogno. E già da qui nasce l’idea che bisogna essere autonomi, che bisogna imporsi, che si deve essere rispettati e che bisogna fare in modo che si prenda in considerazione quello che i popoli vogliono che si faccia. Il governo li trattava come se non sapessero pensare.”

La lotta zapatista, formata in maggioranza da indigeni tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques e mames, non nacque con rivendicazioni puramente indigene. All’inizio, raccontano i ribelli, ci si proponeva una lotta su scala nazionale. Nel 1983 l’EZLN si chiedeva: “Come facciamo a far avere un buon sistema di salute, buone scuole, la casa a tutto il Messico? Questo è un impegno veramente grande. Ma la vedevamo così. In quei primi dieci anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi per organizzarci. E pensavamo, come ci accoglierà il popolo del Messico (non lo chiamavamo società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia perché avremmo lottato e saremmo morti per loro, perché volevamo libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma, contemporaneamente pensavamo, come sarà? Ci accetteranno?”

Poi è arrivata la guerra con tutte le sue sofferenze e l’irruzione civile del popolo del Messico. Sono seguiti poi gli oltre 18 anni di lotta pubblica, di incontri e scontri, di dichiarazioni e presa di posizioni. Il subcomandante Marcos nel 2003 dichiarava che “se non ci fosse stata la sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, molte cose a beneficio dei popoli indios e del popolo del Messico, perfino del mondo, non ci sarebbero state nella forma in cui ora ci sono. Era l’unico modo per cambiare le cose…”. Senza dubbio c’è ancora molto da fare e le sfide sono maggiori, ma le conquiste di 29 anni di organizzazione non si possono né devono essere svendute.

Prima del ‘94…

Nel 1983, quando nella selva Lacandona nasce l’EZLN, il Chiapas è governato dal generale Absalón Castellano Domínguez. Tre anni prima, nella primavera del 1980, quando era capo militare della zona, truppe dell’Esercito federale ai suoi ordini perpetrarono il più grande massacro dei tempi moderni del Chiapas. Golonchán (o Wolonchán) era il nome della comunità distrutta e dispersa nel municipio tzeltal di Sitalá. Sebbene non si conoscano le cifre esatte (“all’epoca non c’erano organizzazioni dei diritti umani che contassero i morti”, si è detto molte volte), le vittime furono molte di più che ad Acteal. E Golonchán non esiste più.

L’operativo del generale Castellanos fu a beneficio dei proprietari terrieri risentiti con le comunità indios, e proseguendo l’inerzia di una società dominante abituata ad abusare degli indigeni in molti modi: come peones, esercitando diritti territoriali, riscuotendo imposte illegali ed uccidendo indiscriminatamente. Nel 1993 gli allevatori potevano ancora dire senza pudore che la vita di una gallina valeva più di quella di un indio. Quello che ripeteva, ancora senza pudore e già nel gennaio del 1994, l’allevatore di Altamirano, Jorge Constantino Kanter.

Quando i fondatori dell’EZLN arrivarono nella selva e formalizzarono la loro esistenza come gruppo armato che lotta per la liberazione nazionale, forse non sapevano quanto erano profonde le sofferenze delle comunità indigene del Chiapas. In esse già germinava quel “Ya Basta!” del 1994. E si ritrovarono con i popoli maya delle montagne che avevano già iniziato il cammino verso la loro liberazione all’interno della selva Lacandona. Popoli giovani di tzeltales, tzotziles, tojolabales e choles, provenienti dalle loro antiche, perfino ancestrali, comunità degli Altos, della zona Nord, di Chilón e Comitán, che si addentravano in quelli che allora erano gli immensi municipi di Ocosingo e Las Margaritas, il “Deserto della Solitudine” dei frati missionari che culminava nel Petén guatemalteco.

La Rivoluzione Messicana aveva solo sfiorato il Chiapas, l’ultimo lembo del paese. Il potere era detenuto da poche famiglie di proprietari terrieri e politici da cui proveniva il generale Castellanos Domínguez, il suo predecessore Juan Sabines Gutiérrez, ed il suo successore, Patrocinio González Garrido, imparentato col potere ovunque. Molto prima c’erano stati Manuel Velasco Suárez, la mummia di Salomón González Blanco, prominente priista (beh, tutti priisti). E più avanti Juan Sabines Guerrero e Manuel Velasco Coello. Nel 2012 sembrerebbe che siano le stesse famiglie a detenere il potere istituzionale e politico in Chiapas. Ma non è più come prima. Quella lenta marcia di liberazione dei popoli indigeni ha finito per creare quella che oggi è la più grande e longeva esperienza di autonomia intranazionale e di resistenza del mondo. Le migliaia di ettari di terre delle vecchie proprietà in possesso di queste e di altre poche famiglie negli anni ’80 del XX° secolo, sono ora nelle mani degli indigeni, gli abitanti ancestrali, che inoltre le governano.

Dalla fine degli anni ottanta la proprietà “caxlana“, incluso la sua presenza, è andata scomparendo nella regione degli Altos, a Bachajón, sebbene abbiano conservato i loro ranchos e latifondi nelle valli e gole di Ocosingo, Las Margaritas, Altamirano, Palenque, Comitán. La liberazione interna dei popoli progressivamente è diventata territoriale, con una notevole componente religiosa attraverso la peculiare diocesi di San Cristóbal de las Casas, guidata da Samuel Ruiz García, e nel marco delle successive esperienze di lotta contadina di ispirazione comunista (le storiche CIOAC, CNPA, OCEZ), del cooperativismo maoista che avrebbe alimentato la ARIC e simili, ed altri fronti di lotta e resistenza, sistematicamente repressi/cooptati ma che non smettevano di sbocciare tra gli interstizi, come formiche. Così si sarebbe proprio chiamata l’ultima espressione pacifica prima dell’insurrezione dell’EZLN, con la marcia degli Xi’Nich (formiche) di Palenque nella capitale della Repubblica nel 1992, l’anno di grazia in cui cadeva la statua del conquistatore Diego de Mazariegos nella piazza di Santo Domingo, a San Cristóbal de las Casas, durante un corteo indigeno di inusitata forza al quale partecipavano, si seppe più tardi, coloro che due anni dopo si sarebbero presentati come zapatisti.

Un segreto era cresciuto nelle montagne del Chiapas. Qualcosa di più di una guerriglia: un esercito contadino, con tutte le sue implicazioni. Qualcosa di più di un’organizzazione politica tradizionale e delle trappole del negoziato/controllo alle quali sono esposte. Qualcosa di più di un effetto della lettura liberazionista del Vangelo cristiano, non esclusivamente cattolico. Un’inedita struttura comunitaria e militare, col suo nucleo nel Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI) dell’EZLN, che invertiva l’abituale organizzazione rivoluzionaria e militare di ispirazione marxista-leninista, per mettere il comando, la Dirigenza, nelle mani degli stessi popoli che, sempre più collettivamente, nella misura in cui l’organizzazione clandestina si estendeva, designava i comandi militari, paradossalmente civili, responsabili della preparazione della guerra e delle date e condizioni per l’insurrezione, alla fine realizzata a capodanno del 1994.

Senza dilungarsi sulla ricchezza simbolica e discorsiva dello zapatismo, abbondantemente riportata, esaminata ed imitata negli ultimi 18 anni in tutto il mondo, bisogna ricordare la cattura, nella valle di Las Margaritas, la prigionia ed il processo pubblico al generale Castellanos Domínguez le settimane immediatamente successive all’insurrezione. Rinchiuso in una delle sue proprietà quell’anno nuovo, l’impresentabile discendente del dottor Belisario Domínguez conobbe un nuovo (antichissimo) tipo di giustizia popolare che lo condannò a sostenere la vergogna per i suoi crimini, e per estensione, per quelli della classe dominante che egli rappresentava in tutta la sua brutalità e limitatezza intellettuale. Prima di essere riconsegnato ai rappresentanti del governo alla vigilia del primo negoziato tra i ribelli e lo Stato, il Mercoledì delle Ceneri del 1994, il generale conobbe l’arma più distruttiva: la dignità dei popoli ed un’etica rivoluzionaria che lo obbligava a sostenere il peso del perdono delle sue vittime.

“Ci parlano con la realtà”

L’alba del 1994 accelera tutto. Mostra, su scala di massa e universale, il trattamento che la Nazione ha riservato ai suoi popoli indigeni. Rivela la profondità delle radici, della convinzione e della determinazione dei popoli insorti. La sua inedita modernità offre una nuova strada e, per la prima volta dalla caduta del socialismo sovietico, parla dell’apparente trionfo del capitalismo neoliberale e della fugace “fine della Storia“, di un altro mondo possibile, dove stanno molti mondi. Mentre “ci parlano con la realtà“, come diceva Carlos Monsiváis, gli zapatisti realizzano un’autentica riforma agraria dal basso recuperando centinaia di migliaia di ettari di terre e distribuendoli in maniera organizzata e puntuale seguendo le loro avanzate leggi rivoluzionarie. Per il resto, l’impatto della ribellione portò molti altri indigeni, perfino filogovernativi (che all’epoca, come oggi, sigla più/sigla meno, erano priisti) a prendere le terre che gli allevatori, cacicchi e proprietari terrieri si erano accaparrati in buona parte dello stato. Un’ironia devastante di fronte all’annuncio del governo nazionale priista secondo cui la redistribuzione agraria, iniziata dopo la Rivoluzione Messicana, era conclusa.

In Chiapas ricominciava, e dava origine ad un nuovo ciclo storico della liberazione: l’autonomia dei popoli indigeni. La lotta è per la terra ed anche per l’autodeterminazione. In un paese ed un mondo dove le funzioni di governo sempre più spesso si trasformano in strutture criminali e illegittime, la ribellione zapatista è la pietra fondante di nuove forme di buon governo che comandano ubbidendo ed esistono per servire e non per servirsi del ruolo, che è un incarico e non un’assegnazione, una responsabilità e non una ricompensa. E si manifesta il paradosso di un esercito (l’EZLN) che permette l’esistenza di governabilità, giustizia e autodeterminazione pacifica. Il mondo delle lotte dal basso scoprì che, parafrasando Sartre, lo zapatismo è umanesimo.

Questo è il lungo viaggio di quella cellula originaria che credeva di andare a fare una rivoluzione ed è finita per farne un’altra: originale, ugualitaria, esemplare, e soprattutto, possibile.

Gli zapatisti non perdono tempo. Nel dicembre del 1994 il subcomandante Marcos annuncia a Guadalupe Tepeyac la creazione di nuovi municipi, ribelli e autonomi. Il governo di Zedillo finge di avere l’intenzione di negoziare ma improvvisamente li tradisce l’8 febbraio 1995 scatenando un’offensiva delle forze armate che militarizza centinaia di comunità che si dichiarano in resistenza. Mesi dopo, a San Miguel, si concordano i dialoghi di pace da tenersi a San Andrés Larráinzar, che già allora era stato ribattezzato dai ribelli San Andrés Sakamchén de los Pobres. Tra pressioni, inganni e miserie, nell’aprile del 1996 si firmano i primi accordi su cultura e diritti indigeni ma Zedillo si ritira poche ore dopo adducendo lo stato di ebbrezza del suo segretario di Governo e sprofondando nel ridicolo i suoi negoziatori.

Gli accordi sono stati una conquista non solo degli zapatisti del Chiapas, ma anche di decine di rappresentanti indigeni di tutto il Messico. Ma saranno gli zapatisti i primi a trasformarli in legge e sulla base di questi costruire un’esperienza autonomistica con cinque Giunte di Buon Governo organizzate in cinque Caracoles e decine di municipi e regioni autonome ribelli. Da allora, contro questa esperienza hanno combattuto i successivi governi federali e statali, con il dispiegamento massiccio di truppe federali, poliziotti e, dove hanno potuto, gruppi civili armati (paramilitari). Un’offensiva scatenata dai comandanti in capo Zedillo, Vicente Fox e Felipe Calderón, aperta anche su altri fronti: economico, propagandistico, diseducativo.

In breve, vale la pena ricordarlo, l’organizzazione autonoma dei popoli zapatisti non parte nel 2003 con la creazione dei cinque Caracoles ubicati in ognuna delle regioni sotto di loro influenza. Neppure con l’annuncio della nuova demarcazione, il 19 dicembre 1994, congiuntamente alla rottura dell’accerchiamento. Già si parlava dell’autonomia e, cosa più importante, già ci si lavorava, dall’arrivo dei primi insorti nei villaggi della selva.

La salute e l’educazione, due dei pilastri dell’autonomia e, soprattutto, il concetto del comandare ubbidendo, principio sul quale si organizzano i governi autonomi, sono elaborati in quel periodo di incontro e conoscenza tra i popoli e la guerriglia. Più avanti prendono forma in una nuova geografia e a partire dal 2003 in governi composti formalmente nelle Giunte di Buon Governo, dove si pratica la democrazia comunitaria, come la chiama il filosofo Luis Villoro.

“Noi avevamo già un territorio controllato ed è stato per organizzarlo che sono stati creati i municipi autonomi”, spiegò allora il maggiore Moisés. “Noi creammo i municipi autonomi e poi pensammo ad una Associazione di Municipi, che è precedente alle Giunte di Buon Governo. Questa Associazione è una pratica, è una prova di come dobbiamo organizzarci. Da qui nasce l’idea di come migliorare e così spunta l’idea della Giunta di Buon Governo. A noi viene un’idea e la mettiamo in pratica. Pensiamo che siano idee buone ma nella pratica vediamo se ci sono problemi, o come risolvere i problemi”.

Anni dopo, il comandante Moisés, appartenente alla zona degli Altos e morto in un incidente, così sintetizzava la storia dell’autonomia: “Noi volevamo dialogare, ma vedete quello che è successo con gli Accordi di San Andrés (firmati a febbraio del 1996 e fino ad oggi incompiuti). Per questo non abbiamo chiesto il permesso ed abbiamo iniziato a costruire. La cosa essenziale è l’organizzazione del popolo e non il denaro, perché il denaro se è in eccesso corrompe, ma l’organizzazione non si corrompe. L’idea che ha per obiettivo la vita non si distrugge con la prigione né con la morte…”

Nel 2012 l’autonomia di questi popoli continua ad essere un riferimento inedito nel mondo. Non c’è un’esperienza paragonabile, e sicuramente non si tratta solo del fatto che esista, ma la sua esistenza è il motore di molte delle lotte in corso in Messico ed in molte parti del pianeta. Oggi, per esempio, una rete di medici e attivisti affrontano la crisi e i tagli in Grecia attraverso l’organizzazione di un ospedale autogestito a Salonicco, che si ispira a questa forma organizzativa. Una foto della clinica La Guadalupana, di Oventik, campeggia su una delle pareti degli ambulatori.

Esempi come il precedente sono molti, soprattutto nei villaggi indios del Messico che attualmente conducono mille battaglie contro l’espropriazione di cui sono oggetto. La resistenza e molte delle sue forme organizzative sono d’ispirazione zapatista e lo si riconosce con orgoglio.

Non potendo essere altrimenti, la sfida degli indigeni zapatisti a partire dal 1994 ha portato il governo alla scommessa criminale di distruggerli. Seguendo i manuali yankee di guerra irregolare e con guerriglieri traditori come consulenti (Joaquín Villalobos di El Salvador, Tomás Borge del Nicaragua ed un pugno di locali ex membri della Liga 23 de Septiembre ed annessi), il governo salinista, e soprattutto quello zedillista, decisero di giocare alla contrainsurgencia, visto che le ricette applicate in Guatemala e Vietnam non servivano a niente di fronte ad un esercito contadino e popolare che per giunta, ascoltando saggiamente la richiesta di pace nel paese, aveva messo a tacere le sue armi e si preparava a difendere le proprie istanze che si generalizzavano tra i popoli ed i movimenti del paese. Per sua voce parlavano i senza voce.

La strategia di contrainsurgencia si attualizzò nella sfera militare, mentre lo Stato inondava il Chiapas di risorse, investimenti e promesse, permettendo l’arricchimento delle stesse famiglie di sempre, ora nel ruolo di amministratrici delle risorse economiche della Federazione. Inoltre, spargeva i semi perversi della divisione, della paramilitarizzazione e della corruzione politica su scala comunitaria. Incapace di vincere la sfida indigena, il governo di Carlos Salinas de Gortari durante i dialoghi di pace mostrò tutta la sua meschinità e lasciò in eredità ad Ernesto Zedillo una ribellione prodiga di sorprese.

I popoli non sono retrocessi. La loro esperienza di governo ha fatto sì che, almeno a parole, i governatori “oppositori” ma priisti, Pablo Salazar Mendiguchía e Juan Sabines, abbiano riconosciuto la probità e l’efficacia dei consigli municipali autonomi e delle Giunte di Buon Governo. Molti popoli indigeni messicani hanno tentato di stabilire autonomie simili (amuzgos, nahuas, mixtecos, purépechas) ed hanno subito criminalizzazione, repressione, prigione e morte senza ottenerle pienamente. L’autonomia di tzeltales, tzotziles, choles, tojolabales, mames e contadini del Chiapas è stata possibile grazie all’estensione del loro territorio e della loro organizzazione e all’esistenza di un esercito proprio, dove gli insorti ed i miliziani sono figli e figlie di quei popoli. Un esercito che, onorando la tregua alla quale si è impegnato con la società civile messicana, non combatte, ma nemmeno depone le armi.

Il nuovo governo priista di Ernesto Peña Nieto si trova con una dichiarazione di guerra tuttora vigente ed eredita la responsabilità di un rosario di crimini e tradimenti governativi contro i popoli ribelli del Chiapas. È l’eredità maledetta di essere un malgoverno, come sostengono ripetutamente gli zapatisti. Affronterà anche la sfida costruttiva, alternativa e fattibile di governi autonomi che presto o tardi condurranno al riconoscimento del Messico come paese plurinazionale e multiculturale, e con un altro dei paradossi che prodiga questa rivoluzione indigena, saranno garanzia del fatto che continuiamo ad essere una Nazione libera e sovrana, e non la tragica commedia in cui oggi il servile neoliberismo governativo lacera il Messico e mette a serio rischio il futuro nazionale.

Il piccolo esercito indigeno del sudest che ha compiuto 29 anni questo 17 novembre continua ad essere difesa e garanzia. Con la sua pratica ed il suo esempio i popoli zapatisti ed il loro esercito ribelle ispirano i guardiani indigeni del Messico in Guerrero, Sonora, Michoacán, Jalisco, Oaxaca ed in molte altre parti.


http://desinformemonos.org/2012/11/el-ezln-inspiracion-de-los-guardianes-indigenas-de-mexico

Fotoreportage: http://desinformemonos.org/2012/11/ezln-29-anos-de-ser-valladar-y-garantia/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

A 29 anni di vita dell’EZLN

Gloria Muñoz Ramírez

17 novembre 2012

 Oggi, 29° anniversario della fondazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in molte e varie forme si celebreranno le gesta della sua nascita. Incontro è la parola che riassume le attività che si svolgeranno in Messico ed in molte parti del mondo, dal Festival della Memoria, promosso dalla Rete dei Media Liberi Chiapas, L’Incontro delle Parole nella città di Querétaro, le giornate di informazione e culturali nello zócalo di Puebla, le attività lanciate dalla Rete Nazionale Contro la Repressione nella piazza del palazzo delle Belle Arti a Città del Messico; i volantinaggi informativi a Fresnillo, Zacatecas. E, nell’ambito internazionale, feste come quella organizzata dalla Piattaforma Basca di Solidarietà con il Chiapas, nella consapevolezza che le basi di appoggio zapatiste sono un esempio di lotta per la trasformazione della propria realtà, e l’EZLN un esempio di sconvolgimento della vecchia tradizione della guerriglia per collocarsi in un nuovo paradigma di fronte alla presa del potere.

Molti diranno che non c’è motivo di far festa mentre i suoi popoli sono continuamente attaccati dai gruppi paramilitari, come recentemente nelle comunità Comandate Abel ed Unión Hidalgo, ma è proprio in queste condizioni nelle quali queste comunità costruiscono la propria autonomia, tra la costante persecuzione, che il festeggiamento è doppio, perché la lotta per la dignità non si vince con le buone e loro non si sono stancati di metterci anima e corpo.

Oltre agli eventi culturali, in molti luoghi si celebra la parola zapatista mettendo sul tavolo le battaglie contro il saccheggio in atto in tutto il territorio nazionale, principalmente tra i popoli indigeni, legittimi guardiani delle risorse naturali che numerosi megaprogetti vogliono strappare loro. L’influenza dell’insurrezione del 1994 è così quotidiana che a volte è impercettibile, ma, come riferisce José Carrillo de la Cruz, leader morale della comunità wixárika Mesa del Tirador: dagli zapatisti “abbiamo imparato che non è mai bene con le armi, che ci sono altri mezzi con i quali possiamo difenderci, usando l’intelligenza, con un altro tipo di convinzione. L’abbiamo imparato con loro e quello che ci hanno detto c’è rimasto ben impresso, per questo facciamo le assemblee, come quella in cui ci troviamo ora.

Condividere le nostre esperienze ci fa vedere che dove c’è rapina e saccheggio c’è lotta e che il vincolo e la somma di queste resistenze può far sì che tutti insieme possiamo resistere, difenderci ed uscire affrancati da questa difficile situazione, segnalano da Guadalajara, Jalisco, i popoli di questa entità che celebrano, precisamente in questo giorno, un incontro su e contro l’intensificazione del saccheggio e del furto di terr e risorse. http://www.jornada.unam.mx/2012/11/17/opinion/017o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx. – http://desinformemonos.or

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 17 novembre 2012

A San Cristóbal si celebra la nascita dell’EZLN: 17 novembre 1983

Si festeggia l’anniversario della fondazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Hermann Bellinghausen

Questo sabato 17 novembre, si compiono 29 anni dalla fondazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e si conclude anche una nuova tappa della campagna Eco Mondiale in Appoggio agli Zapatisti, alla quale hanno partecipato collettivi ed organizzazioni sociali in 24 Paesi ed in molte località del Messico. Nella settimana che si chiude si sono svolte azioni di protesta davanti a consolati ed ambasciate del Messico a Londra, Amsterdam, New York, Bilbao e Firenze, tra altre.

Un gruppo di intellettuali latinoamericani nei mesi scorsi ha appoggiato queste campagne a favore degli zapatisti del Chiapas con messaggi ed analisi che, senza volerlo, si sono trasformati in un dialogo pubblico sulla zapatismo attuale. I più perseveranti sono stati Raúl Zibechi, Hugo Blanco, Sylvia Marcos e Gustavo Esteva.

Inoltre, questo sabato a San Cristóbal de las Casas si terrà il Festival della Memoria per commemorare la nascita dell’organizzazione politico-militare dell’EZLN, avvenuta il 17 novembre 1983 nella selva Lacandona, e che a partire dall’apparizione pubblica dell’EZLN, nel gennaio del 1994, si è trasformata in una data memorabile in molte parti del mondo.

La terapeuta e femminista Sylvia Marcos dichiara in occasione dell’anniversario: “Cerco di immaginare il profondo processo creativo attraverso cui sono passati quei primi esseri straordinari che si impegnarono ad incontrare le lotte per la giustizia esistenti nella selva chiapaneca. Non vennero ad ‘insegnare’ come fare la rivoluzione. Neanche ad addestrare alla presa del potere con le armi. Riuscirono a mettere tra parentesi la loro precedente formazione, gli stretti confini di teorie e pratiche di lotta che avevano appreso prima di arrivare lì. Lì, con i maya indomiti e ribelli, si trattava di imparare altre strade”.

Come risultato di questa mutua apertura di guerriglieri e indigeni, ed il successivo incontro con la società civile, “la ricerca della giustizia divenne più complessa, divenne pacifica, si espresse in simboli ed espressioni maya tradotti in spagnolo (per il subcomandante Marcos)”, aggiunge. L’autrice esprime varie domande che definisce laceranti: Perché tanta paura degli zapatisti da parte dei poteri sia governativi che poteri forti? Perché questo accordo tra loro nella smisurata aggressione?

Di fronte al fatto che i paramilitari (in Chiapas) sono armati con l’assenso dei tre livelli del governo, Sylvia Marcos domanda: “Qual’è il pericolo della proposta, della resistenza e della sopravvivenza zapatiste per l’ordine capitalista? Sarà perché dimostrano in maniera positiva che altri modi di vita in giustizia e dignità sono possibili? Che le soddisfazioni della vita e la gioia di essere non devono basarsi sul consumismo e la mercificazione? Che si può ‘vivere bene’, come assicurano le comunità andine in Sudamerica, con altre forme di organizzazione, governo e produzione contadina in cui il miglior modo di vivere non è l’accumulo di beni materiali, ma la solidarietà comunitaria e la condivisione di ciò che si possiede?”

Lo scrittore, giornalista ed analista uruguaiano Raúl Zibechi è sicuro che le aggressioni contro le comunità zapatiste non riusciranno a strappare il loro seme per la fermezza delle comunità che sostengono il loro progetto di vita da decenni, nonostante la repressione, la morte, la fame e l’isolamento.

A sua volta, lo scrittore Gustavo Esteva rileva: “Celebrando un altro anniversario della fondazione dell’EZLN non dobbiamo dimenticare il comportamento straordinario di chi l’ha creato. E’ importante, in particolare, sottolineare il lascito centrale che segna lo zapatismo: fin dal principio è stata una creazione interculturale che si costruisce nell’interazione. Gli zapatisti hanno creato una comunità di apprendistato che si trasforma continuamente collegandosi con altre ed altri.

In questo anniversario che onora la memoria di chi ha perso la vita in questo impegno, dobbiamo sottolineare che le comunità zapatiste richiedono la nostra solidarietà. Mano a mano che si consolidano i loro successi, i malgoverni intensificano le azioni per indebolirli, smantellare le loro istituzioni, sbarrargli il passo. Si impiegano sempre di più gruppi paramilitari che realizzano aggressioni dirette ed appoggiano perfino gruppi locali che tentano di impadronirsi dei beni delle comunità zapatiste, delle loro terre. L’azione di repressione dei governi viene fatta passare falsamente come conflitto tra comunità, conclude Esteva. http://www.jornada.unam.mx/2012/11/17/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 14 dicembre 2012

Il governo persiste nell’inibire i movimenti di resistenza tra le comunità indigene e favorire la riattivazione dei gruppi paramilitari

Hermann Bellinghausen

In Chiapas, gli sfollati interni a causa del conflitto armato e della contrainsurgencia non sono riconosciuti dal governo. Inoltre, la pesante militarizzazione nello stato fa parte degli scenari della strategia dell’Alleanza per la Sicurezza e la Prosperità dell’America del Nord (Aspan), attraverso l’Iniziativa Mérida, e comprende posti di blocco permanenti e volanti che violano il diritto alla libertà di transito, con particolare presenza nella zona di confine e nel territorio zapatista, sostiene il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) in una valutazione del conflitto.

Continuano ad essere militarizzate le comunità nelle zone di influenza dell’EZLN (l’obiettivo da distruggere). A questo si somma l’implementazione di progetti sociali del governo che, insieme ad organismi come il Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (PNUD) e l’ONU, sono stati complici della contrainsurgencia in questi ultimi sei anni, afferma lo studio apparso nel nuovo numero di Yorail Maya, pubblicazione periodica del Frayba.

Il governo vuole inibire i movimenti di resistenza con programmi sociali per dividere le comunità, immobilizzando i popoli mediante l’occupazione militare e le azioni delle autorità in complicità con organizzazioni di stampo paramilitare e gruppi legati al governo di Juan Sabines Guerrero, allo scopo di sconfiggere le comunità in resistenza. Sulla ripresa dei gruppi armati, si identifica un modello di organizzazione filo-governativa con curriculum paramilitare, come Paz y Justicia, che aggredisce le comunità del municipio autonomo La Dignidad.

Nel corso degli anni, le autorità hanno negato lo sfollamento in conseguenza della guerra e l’esistenza di questi sfollati. E’ stato solo per un’azione contraddittoria e utilitarista, su iniziativa del governatore, che il Congresso il 14 di febbraio approvasse una Legge per la Prevenzione e l’Assistenza degli Sfollati Interni nello stato, con l’appoggio del PNUD, con l’intenzione di rispondere a questa problematica storicamente pendente che ha lasciato una ferita aperta, perdite irreparabili e impunità.

Tuttavia, testimonianze raccolte dal Frayba denunciano che il PNUD e l’Unesco hanno causato divisioni comunitarie a causa della continuità di una politica contrainsurgente promossa dai governi federale e statale per favorire lo scontro e l’esclusione degli sfollati interni e degli sfollati che ritornano. Così rispondono le autorità all’esigenza di questi di un’assistenza che rispetti i principi delle Nazioni Unite riguardo i rifugiati.

Nel Censimento di Assistenza agli Sfollati, il PNUD ed il governo del Chiapas calcolano che ci sono da 24 a 30 mila persone in questa situazione. Questo censimento, chiarisce il Frayba, è stato realizzato dal governo con gruppi vicini a lui, ma in realtà bisognosi di terra con una storia di esclusione ed emarginazione diametralmente distinta da chi ha subito lo sgombero forzato dalla contrainsurgencia dello Stato. Le istituzioni coinvolte cercano di tergiversare sui crimini di lesa umanità commessi negli Altos e nella selva del Chiapas e mantenerli impuni.

Tra gli altri, cita come sfollati non riconosciuti i 170 zapatisti di San Marcos Avilés, gli 87 di Comandante Abel e molte famiglie di Unión Hidalgo. Inoltre, quattro famiglie di Banavil, 36 persone di Viejo Velasco Suárez – dove nel 2006 ci fu un massacro -, quattro famiglie di Busiljá ed una minorenne rapita dai paramilitari nonostante le misure cautelari richieste dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani.

Il Frayba sottolinea che questi sfollati non sono mai stati considerati tali, e conclude: Lo sfollamento interno non è un evento isolato, bensì la manifestazione della strategia militare e contrainsurgente applicata in Chiapas, che colpisce direttamente il territorio dei popoli indigeni. http://www.jornada.unam.mx/2012/11/14/politica/023n1pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 9 novembre 2012

Oggi il giudice decide sul ricorso degli ejidatarios contro la sottrazione delle terre a Chilón

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, a Chilón, Chiapas, aspettano per questo venerdì la decisione del giudice di distretto di Tuxtla Gutiérrez sulla restituzione delle terre alienate dal governo statale, cosa che gli indigeni considerano un furto senza basi legali. 

L’udienza dovrà risolvere il ricorso 274 / 2011 presentato dagli ejidatarios dell’Altra Campagna per la sottrazione di una parte delle loro terre da parte di diverse autorità statali e federali, con la complicità del commissario ejidale Francisco Guzmán Jiménez, per controllare l’accesso al centro turistico delle Cascate di Agua Azul (municipio di Tumbalá) e frammentare la loro organizzazione.

Secondo l’avvocato degli ejidatarios, Ricardo Lagunes, le autorità hanno cercato di giustificare le loro azioni in maniera contraddittoria, sostenendo di operare per il passaggio di una via generale di comunicazione sotto amministrazione federale; che la superficie era stata donata al governo dello stato dagli ejidatarios, e che si trovano all’interno dell’Area Naturale Protetta (ANP) Cascate di Agua Azul, come da decreto del 29 aprile 1980, e che la superficie era stata donata dall’assemblea generale dell’ejido San Sebastián Bachajón e dal vicino Agua Azul.

Smentendo ogni pretesto, Lagunes dichiara: “Non si tratta di una via generale di comunicazione, perché né il Registro Agrario Nazionale (RAN), né la Segreteria della Riforma Agraria, né la Gazzetta Ufficiale della Federazione hanno informato il giudice sull’esistenza di un decreto di esproprio della strada o che ci fossero donazioni da parte dell’ejido a tale scopo. Gli ejidatarios che ‘donarono’ la terra al governo dello stato, non contando sulla piena proprietà, secondo il Registro Agrario Nazionale (RAN), non potevano alienare a terzi”. La strada citata, di quattro chilometri, conduce al fiume Agua Azul attraverso San Sebastián; solo lo stabilimento balneare si trova nell’ejido vicino, il quale da anni riscuote il biglietto di ingresso.

Il regime di uso comune di quelle terre, ratificato dai verbali di assemblea ejidale nel dicembre del 2004, rende “nulla e fraudolenta la ‘donazione’, come conferma la perizia indipendente di una squadra interdisciplinare dell’UNAM, la quale ha stabilito che la superficie colpita non sta dentro l’ANP”. Inoltre, il piano ufficiale esibito dalla Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette (Conanp) fu distorto nelle sue coordinate affinché comprendesse la superficie contesa, e pertanto non è valido. Non esiste neppure un verbale di assemblea dell’ejido iscritto al RAN sulla presunta donazione al governo. La Segreteria di Governo statale ed il commissario filogovernativo di San Sebastián mostrarono al giudice un verbale firmato solo da detto commissario e da alcune autorità comunitarie, ma è stata messa in dubbio la sua validità per irregolarità evidenti e per violazioni ai requisiti della Legge Agraria.

Il ricorso agrario, promosso il 3 marzo 2011, chiedeva la sospensione d’ufficio degli atti reclamati trattandosi di diritti collettivi agrari. Il giudice accolse il ricorso, ma negò la sospensione. Per due volte ci si è appellati: la prima contro la Procura Generale della Repubblica, la Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali e la Conanp, e la seconda contro il Consiglio Statale dei Diritti Umani per aver emesso un’infondata misura precauzionale che provocò un nuovo sgombero violento a Bachajón da parte della polizia statale preventiva lo scorso 19 giugno.

Rispetto ai verbali presentati dai coloni di Agua Azul, gli ejidatarios di San Sebastián ne obiettano la validità, poiché, riprendendo le relazioni del governo, Agua Azul è un insediamento irregolare, non conta su titoli di proprietà né piani che ne definiscano il suo possesso, come provano i rapporti del RAN e del Registro Pubblico della Proprietà di Yajalón. Inoltre, è stato dimostrato che la superficie reclamata si trova nell’area in dotazione a San Sebastián e pertanto si trova dentro il suo territorio. http://www.jornada.unam.mx/2012/11/09/politica/018n1pol 

(Traduzione “Maribel” – bergamo)

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La Jornada – Giovedì 1 novembre 2012

Paramilitari filogovernativi derubano le basi di appoggio zapatiste, denuncia la JBG e sostiene che quando si mobilitano gli aggressori, in parallelo lo fanno anche i poliziotti del Chiapas

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, della zona nord del Chiapas, ha denunciato il totale furto di terre e raccolti delle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nelle comunità Comandate Abel ed Unión Hidalgo, perpetrato da paramilitari del municipio di Sabanilla, con l’aperta protezione della pubblica sicurezza, che provvede all’addestramento al combattimento di civili di San Patricio, Unión Hidalgo e di altri villaggi.

Il 21 ottobre i paramilitari  di Unión Hidalgohanno finito di spartirsi il terreno dei nostri compagni che avevano occupato il 6 settembre. Hanno raccolto e rubato 11 ettari di mais. Il giorno 24 sono arrivati i rinforzi di Unión Hidalgo. Il conflitto continua a colpire gli zapatisti della comunità che sono rimasti a badare alle loro case e beni dopo lo sfollamento delle loro famiglie a causa delle minacce, aggiunge la JBG che lo aveva già denunciato l’11 settembre.

All’alba del 16 ottobre, i paramilitari hanno sparato fino alle 3 del mattino; l’ultimo colpo a 150 metri dalla casa di un compagno.

Quella notte si sono risentite le esplosioni, ed il giorno dopo, per continuare con le minacce e la persecuzione, sono arrivati 15 agenti di pubblica sicurezza. Il giorno 25 i paramilitari hanno fatto delle esercitazioni di tipo militare divisi in tre gruppi con armi di grosso calibro, ed hanno mandato una commissione all’accampamento della polizia. Successivamente gli agenti hanno raggiunto gli invasori ed alle 20 hanno sparato tre volte.

La polizia pattuglia quotidianamente da Sabanilla a San Patricio, e pomeriggio e notte da San Patricio al posto occupato dai paramilitari ed a Unión Hidalgo.

Quando gli invasori si mobilitano, lo fanno anche i poliziotti; è evidente che sono una sola forza e che una sola testa guida le loro azioni. La JBG sostiene che l’obiettivo è che, su ordine del presidente Felipe Calderón e del governatore Juan Sabines Guerrero, i poliziotti addestrino gli invasori.

E contraddice la versione governativa del 9 ottobre che sosteneva che i gruppi di San Patricio ed Unión Hidalgo, in presunto comune accordo, avevano chiesto la presenza della polizia e che sono stati rispettati i diritti dei militanti dell’EZLN.

L’autorità autonoma chiede: Che bisogno hanno dei poliziotti questi paramilitari quando loro stessi hanno invaso il terreno dei nostri compagni ed hanno cacciato donne e bambini?

Sgomberano, saccheggiano e rubano in presenza di poliziotti che compiono azioni di intimidazione e provocazione, denuncia la JBG.

La JBG sottolinea: deve provare vergogna il malgoverno nel dire che i suoi poliziotti mantengono l’ordine e la pace mentre davanti ai loro occhi avvengono furti, minacce movimenti paramilitari e spari. Il governo dovrebbe dire chiaro che ha mandato la polizia affinché i suoi paramilitari sgomberino i nostri compagni, e non ha fatto niente per risolvere il conflitto.

Al contrario, manda rinforzi di poliziotti e, invece di cacciare gli invasori dal terreno degli zapatisti, spingono la violenza per imporre il loro progetto di regolarizzazione, nonostante questa terra sia già stata consegnata a chi realmente la vive e la lavora.

La JBG ricorda che il 29 aprile si recò a San Patricio. Abbiamo riunito le due parti, senza trappole, senza soldi per corrompere le autorità o qualcuno che lavorasse per fregare la sua comunità. Riuniti con le autorità e membri della comunità, e in considerazione di quelli che lavorano quelle terre da molti anni, gli zapatisti proposero che i poderi di San Patricio e Los Ángeles restassero ai filogovernativi, e le basi di appoggio si tenessero il podere La Lámpara. E le parti accettarono questo accordo.

Benché ci costasse spostarci, lo abbiamo fatto per evitare scontri, ed abbiamo redatto un verbale di separazione dei membri del nucleo agrario, firmata e timbrata dagli autonomi e dai governativi.

Gli zapatisti affermano: “nella costruzione della nostra autonomia, non riconosciamo la parola ‘regolarizzazione’ delle terre”, lo strumento del governo per manipolare la gente che si fa ingannare con documenti legali, che più tardi serviranno per giustificare un esproprio legale.

Chiedono: Dov’è il diritto dei popoli indio, gli abitanti originari di queste terre, di esercitare il loro autogoverno e la libera determinazione, come stabiliscono gli accordi internazionali e gli accordi di San Andrés? http://www.jornada.unam.mx/2012/11/01/politica/023n1pol

Comunicato completo

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 31 ottobre 2012

La Corte riceve la missiva di Amnesty International in favore di Patishtán

Hermann Bellinghausen

Secondo una nota della prima sezione della Corte Suprema di Giustizia della Nazione, si dà per “protocollata” una lettera di Amnesty International (AI) in favore di Alberto Patishtán Gómez, che fino ad ora non è stata diffusa pubblicamente, ha comunicato Leonel Rivero, avvocato del professore tzotzil condannato a 60 anni di prigione per crimini mai commessi, dei quali ne ha scontati 12.

Patishtán Gómez, membro della Voz del Amate nel carcere di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, è convalescente in un ospedale di Tuxtla Guitérrez dal 18 ottobre scorso, dopo un intervento chirurgico eseguito a Città del Messico per un tumore cranico. “L’operazione gli ha permesso di recuperare la vista. Come ha detto lui stesso, “E’ tornata la luce, non completamente, ma al 70%; posso leggere e scrivere’ “, informa il collettivo Ik, che segue il caso. 

Tuttavia, Alberto non dovrebbe essere più ricoverato, perché ha ricevuto il foglio di dimissioni dal suo medico nell’Istituto Nazionale di Neurologia e Neurochirurgia (INNN), e così il neurologo dell’ospedale Isstech-Vida Mejor nella capitale chiapanecaa.

I gruppi solidali con Patishtán sostengono che la prigione non è un luogo adeguato per il suo recupero. “Sono necessarie persone di sua fiducia che lo curino; egli stesso ha chiesto alle autorità carcerarie di portarlo ‘dai miei amici a San Cristóbal, poiché sono loro che mi hanno curato’ “. il Suo prossimo appuntamento all’INNN è alla fine di novembre. 

Da parte sua, Rosario Díaz Méndez, membro della Voz del Amate ed aderente all’Altra Campagna dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), recluso nella prigione di San Cristóbal, ha denunciato che la soluzione del suo caso è stata nuovamente rimandata dal tribunale di Simojovel, che doveva risolverlo la settimana scorsa.

Riferisce che il giudice Isabella Álvarez Ramos, del tribunale misto di Simojovel de Allende, ha cambiato un’altra volta la data dell’udienza al 7 novembre. Ignoro le loro intenzioni, perché le autorità sanno perfettamente che non ho commesso omicidio; io stesso ho provato la mia innocenza, perché la persona presuntamente offesa, Rogelio Gómez García, ha chiesto la mia libertà. Anche i testimoni a carico hanno segnalato che sono innocente dell’assalto e omicidio a Huitiupán, nel 2005.

Chiede al giudice di dettare la sentenza in favore della sua libertà immediata, ed al governo di Juan Sabines Guerrero che dia istruzioni affinché si compia il suo diritto alla giustizia. 

Nel frattempo, collettivi solidali con le comunità zapatiste in India, Colombia e Inghilterra hanno chiesto ai governi di Felipe Calderón e Juan Sabines Guerrero la liberazione di Francisco Sántiz López, base di appoggio dell’EZLN ed originario di Tenejapa.

Dallo scorso 4 dicembre, Sántiz López è ingiustamente imprigionato con accuse false di avere diretto uno scontro a Banavil, Tenejapa. Benché vari testimoni abbiano dichiarato a favore della sua innocenza, le autorità incaricate di applicare la giustizia si rifiutano di prendere in considerazione queste testimonianze chiave. I testimone confermano che l’accusato non era presente sul luogo dei fatti. La giunta di buon governo del caracol di Oventic ed il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas hanno denunciato l’impunità di cui godono i veri responsabili dell’assassinio e delle aggressioni successe aBanavil. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/31/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Giovedì 18 ottobre 2012

Ritorna la minaccia priista contro le basi di appoggio zapatiste a Jechvó: come nel 2004, con la violenza si nega l’accesso all’acqua

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 17 ottobre. Gruppi priisti del municipio di Zinacantán che fino a non molto tempo fa erano perredisti, sono tornati a minacciare la comunità zapatista di Jechvó, negando l’accesso all’acqua con azioni violente, come fecero nel 2004, ed imprigionando un rappresentante autonomo. La Giunta di Buon Governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, del caracol di Oventic, denuncia: Sono le stesse persone che il 10 aprile del 2004 attaccarono i nostri compagni e compagne, basi di appoggio, mentre andavano a portare acqua ai nostri compagni della comunità di Jechvó, che era stata privata del diritto all’acqua dalle persone dei partiti politici.

Ricordano l’imboscata che quel pomeriggio quasi costò la vita a molti indigeni: In quell’attacco molti compagni furono feriti da razzi, pietre, bastoni ed armi da fuoco per l’unico crimine di andare a portare acqua ai nostri compagni. Le diverse autorità non fecero nulla al riguardo. L’acqua non manca e non c’è ragione per quello che stanno facendo queste persone, aggiunge la JBG. 

Mariano Gómez Pérez, base zapatista della comunità, ha chiesto l’intervento del giudice autonomo e della JBG dopo che i filogovernativi avevano minacciato di tagliargli l’acqua il 30 settembre scorso. Il giudice autonomo ha mandato una lettera di invito all’agente priista e ad alcuni ex zapatisti per trattare il tema il 7 di ottobre. Il giorno 5 la lettera è stata recapitata a mano al priista, ma invece di accogliere l’invito, l’agente e la sua comunità hanno catturato un compagno per provocazione.

Gómez è stato in prigione un giorno intero come rappresaglia alla sua notificazione al giudice autonomo, poi è stato portato davanti alle autorità in un’assemblea di più di 100 persone dove è stato accusarono di vari crimini fabbricati allo scopo. L’hanno portato dal giudice municipale di Zinacantán, e questo ha consigliato ai priisti di non accettare l’invito del giudice zapatista, e li ha apertamente favoriti. 

Davanti a tante ingiustizie, violazione dei diritti umani ed atteggiamenti inumani delle autorità comunitarie e municipali e dei malgoverni statale e federale, la JBG avverte: Non resteremo in silenzio né con le mani in mano, ma difenderemo quello che è nostro, quello che ci appartiene, le nostre risorse ed i nostri territori.

Ed ancora: Quello che è chiaro è l’incubo in cui vivono il cosiddetto governatore Juan Sabines Guerrero ed il cosiddetto presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, per avere  le mani macchiate del sangue di molti compagni innocenti e portarsi dentro gli orrori che hanno commesso. Sabines Guerrero e Calderón Hinojosa sono nomi che infangano la storia della nostra patria, come molti altri vecchi nomi.

Ricordano come dal 2003 le basi zapatiste sono private del diritto all’acqua a Jechvó, Elambó Bajo, Elambó Alto, San Isidro Chaktoj, Jechch’entik ed altre comunità, dalle persone affiliate al Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) con l’obiettivo di farli arrendere. La stessa JBG della zona ha costruito una fonte ed un serbatoio che ora la gente dei partiti, appoggiata dalle autorità ufficiali, vuole sottrarre. Gli aggressori sono le stesse persone, ma ora sono entrate a far parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). 

“Con la propaganda ufficiale tentano di nascondere le loro azioni ingiuste, sui media  pubblicano che il governo è a favore della giustizia, la democrazia, il rispetto e lo sviluppo, e che ‘sono fatti e non parole’, ma nei nostri villaggi si vivono le aggressioni, minacce, sgomberi, detenzioni ingiuste, violazione dei diritti e persecuzioni, e questo sì nei fatti e non a parole” denuncia la giunta zapatista. Per quanto si nasconda, la carne marcia continua a puzzare. Per quanto sia preziosa la carta che l’avvolge, questa non impedirà la sua decomposizione. La JBG conclude esigendo che siano rispettati i diritti delle basi zapatiste. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/18/politica/020n1pol

Comunicato completo

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Lo Stato e il Professore (in appoggio al compagno Alberto Patishtán)
Mumia Abu-Jamal

Negli Stati Uniti gli insegnanti e le insegnanti vengono molto criticati, insultati e, a volte, minacciati con la riduzione degli stipendi.

Già questo è negativo, ma in Messico, un insegnante della scuola primaria, che è anche stato organizzatore della comunità di El Bosque, Chiapas, è stato falsamente incriminato per la morte di 8 poliziotti e deve scontare 60 anni di carcere!

Si chiama Alberto Patishtán, affettuosamente chiamato Il Profe nella sua comunità. Nonostante questa tragedia giuridica, è un professore e leader spirituale ampiamente rispettato e profondamente amato; inoltre è conosciuto per essere un formidabile organizzatore all’interno delle carceri.

Patishtán è incarcerato nonostante i dossier della polizia siano contraddittori e ci siano le dichiariazioni sotto giuramento di 10 testimoni che lo videro in un’altra comunità al momento dell’imboscata.

È in prigione da 12 anni e a causa della pessima assistenza medica ricevuta, incluso una diagnosi errata di “glaucoma”, ha perso quasi del tutto la vista e di recente ha saputo di aver un tumore cerebrale.

La sua famiglia, i suoi amici e compagni tzotziles lottano per la sua libertà – una lotta più cruciale che mai a causa dei suo gravi problemi di salute.

Il Profe Alberto ha un blog: http://albertopatishtan.blogspot.mx/ e può ricevere lettere al seguente indirizzo:

Señor Alberto Patishtán Gómez
CERSS No. 5
Carretera San Cristóbal – Ocosingo, km 20
San Cristobal de las Casas
Chiapas CP 29240 México

Dalla nazione incarcerata, Mumia Abu-Jamal.

©’12 MAJ
Escrito el 2 de octubre de 2012
Audio grabado por Noelle Hanrahan: www.prisonradio.org
Texto circulado por Fatirah Litestar01@aol.com
Traducción Amig@s de Mumia, México

http://amigosdemumiamx.wordpress.com/2012/10/15/el-estado-y-el-profesor/

(traduzione dalla spagnolo a cura di rebeldefc@autistici.org)

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La Jornada – Domenica 14 ottobre 2012

Parte una nuova tappa mondiale della campagna d’appoggio agli zapatisti in Chiapas. A Londra consegnata la richiesta di liberazione di Francisco Santiz López

Hermann Bellinghausen. Inviato. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 ottobre. Nell’ambito elle commemorazioni del giorno della resistenza indigena (o come er abitudine chiamarlo Giorno della Razza o la scoperta dell’America, termini oggi in disuso), un gran numero di città del mondo hanno dato inizio ad una nuova tappa delle azioni in appoggio e in difesa delle comunità zapatiste aggredite dai paramilitari e dai militanti dei partiti politici nelle regioni indigene del Chiapas.

A Londra, gli attivisti hanno consegnato all’ambasciata messicana un pronunciamento firmato da decine di collettivi e organizzazioni sociali di Germania, Argentina, Canada, Stato Spagnolo (Catalogna) Castiglia, Paesi Baschi, Gran Bretagna, Cile, Stati Uniti, Francia, Grecia, Italia, Guatemala, Nuova Zelanda e dal segretariato internazionale del Tribunale dei Popoli in Movimento.

Nelle settimane scorse, sono nati comitati solidali con le comunità zapatiste e dei loro prigionieri politici e dell’Altra Campagna in luoghi simbolo Colombia, India (Calcutta), Brasile (Río Grnde do Sul), Sudafrica (Johannesburg), Regno Unito (Dorset, Bristol, Londra, Edimburgo), Stati Uniti (Portland e New York). Si sono aggiunti anche gruppi di #YoSoy132 di Chihuahua, Puebla, Distrito Federal ed altre entità del paese.

A New York, il Movimento per la Giustizia del Barrio ha diffuso una dichiarazione di sostegno alle comunità zapatiste aggredite Comandante Abel, San Marcos Avilés, Guadalupe Loas Altos, Moisés Gandhi ed Unión Hidalgo.

La dichiarazione consegnata a Londra, e che lo sarà anche in ambasciate del Messico in altri paesi, chiede la libertà immediata di Francisco Santiz López, base di appoggio zapatista a Tenejapa, esprime preoccupazione e chiede la fine delle aggressioni ed intimidazione e degli abusi contro i diritti umani compiuti contro le basi di appoggio zapatiste della comunità San Marcos Avilés (Chilón)..…) http://www.jornada.unam.mx/2012/10/14/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas  informa che Alberto Patishtán, dopo l’intervento chirurgico presso ‘Istituto Nazionale di Neurologia “Manuel Velasco Suárez” di Città del Messico dove si trova attualmente ricoverato, è debole ma sta ricevendo le cure necessarie per un buon recupero.  
   
La sua famiglia schiede che rimaga in questo ospedale, poiché temono che in Chiapas non possa ricevere l’assistenza medica adeguata per il suo recupero post-operatorio. 
 
I suoi figli, Héctor e Gaby Patishtán, ringrazino per le azioni di solidarietà, appoggio e dimostrazioni di affetto verso il loro padre in questi momenti difficili. 
 
Questo Centro dei Diritti Umani ritiene che per la sua totale riabilitazione e per senso di giustizia, Alberto deve essere messo in libertà, poiché per oltre 12 anni è stato ingiustamente in carcere ed ha vsto violati i suoi diritti umani.
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas
12 de octubre de 2012
Nota informativa.

Este Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas recibió información sobre la situación de salud de Alberto Patishtán, después de la intervención quirúrgica en el Instituto Nacional de Neurología “Manuel Velasco Suárez” en la ciudad de México, en donde se encuentra actualmente hospitalizado.
Acompañado por su familia, sabemos que Alberto sigue delicado de salud pero tiene todos los cuidados médicos necesarios y con un pronostico de recuperación positivo; que esta consciente, y al parecer con una mejoría visual.
Si bien los médicos dijeron que no se puede saber con exactitud cuando inició el crecimiento del tumor, informaron que éste puede tener años; un indicador fue que en 2010, Alberto comenzó con dificultades visuales.
Es importante mencionar que su familia solicita que se le siga atendiendo en el hospital, ya que temen que en Chiapas no reciba la atención médica para su recuperación post-operatoria; así también, solicitan que se les proporcione el informe médico por escrito que incluya recomendaciones médicas para tener el criterio que les permita conocer que tipo de seguimiento y rehabilitación médica necesita Alberto, como se ha hecho hasta ahora en el Instituto Nacional de Neurología.
Sus hijos, Hector y Gaby Patishtán tienen altas expectativas de que Alberto se recupera satisfactoriamente, así también manifiestan: “agradecemos todas las acciones de solidaridad, de apoyo, las oraciones y muestras de cariño de todas y todos para con nosotros y sobre todo para mi papá en estos momentos difíciles.”
Este Centro de Derechos Humanos, considera que para su total rehabilitación y en estricto sentido de justicia, Alberto debe de ser puesto en libertad, ya que con más de 12 años preso de forma injusta el Estado esta violando sus derechos humanos.

Comunicate con nosotros vía Skype: medios.frayba
Gubidcha Matus Lerma
Comunicación Social
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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
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Código Postal: 29240
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La Jornada – Sabato 13 ottobre 2012

La JBG Hacia la esperanza esige la liberazione di sei basi di appoggio zapatiste arrestate a Las Margaritas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 12 ottobre. La Giunta di Buon Governo (JBG) Hacia la esperanza della selva di frontiera, con sede a La Realidad, ha denunciato che sei basi di appoggio zapatiste della comunità tojolabal Guadalupe Los Altos (Las Margaritas) sono in arresto da 12 giorni solo per il fatto di essere zapatisti e le loro famiglie sono minacciate di espulsione. Il governo autonomo accusa di questa aggressione i dirigenti della CIOAC Histórica: gli ex deputati perredisti Luis Hernández Cruz e José Antonio Vásquez Hernández.

Sono ripetute le provocazioni contro le basi di appoggio dell’EZLN da parte delle autorità e degli abitanti dell’ejido Guadalupe Loas Altos, che militano nei partiti PRD e PAN, segnala la giunta. Le basi zapatiste sono minacciate da anni, ed alcuni sono stati arrestati già un paio di volte. La prima nell’aprile del 2000, e la seconda nell’aprile del 2010. In entrambi i casi, per essersi rifiutati di partecipare ad azioni che non giudicavano corrette o non coinvolgevano l’ejido.

Il 20 dicembre 2011, i filogovernativi si sono impossessati dei poderi di due ejidatarios. Su uno di questi terreni la comunità stabilì una scuola ufficiale. Gli zapatisti non erano d’accordo perché non volevano avere niente a che fare col malgoverno, inoltre hanno la propria scuola autonoma. Il giorno dell’invasione del terreno catturarono e legarono ad un albero il fratello del proprietario ed il giorno 23 catturarono altri tre zapatisti.

(…) Il 30 settembre scorso sono stati imprigionati cinque zapatisti, ed il 4 ottobre un altro. Autorità e membri della CIOC hanno privato della libertà César Aguilar Jiménez, Armando, Genaro e Delmar Aguilar Santis, Misael e Hipólito Aguilar Vásquez.

La giunta di La Realidad puntualizza che i compagni non sono contrari a cooperazioni per il beneficio della comunità, ma non per progetti del malgoverno. Sostiene che i suoi compagni non hanno commesso nessun reato, ma è solo perchè sono zapatisti in resistenza.

(…)  La JBG esprime preoccupazione per la salute dei detenuti. Date le condizioni insalubri della loro reclusione, quattro di loro si sono ammalati.

Le autorità ejidales coinvole sono Ranulfo Hernández Aguilar, Ruperto Vásquez Santis, Gerardo Aguilar Jiménez, Ciro Vásquez Rodríguez, Margarito Aguilar López, Lucio Vásquez Aguilar, Carmelino Rodríguez Aguilar ed Alejandro Vásquez López, che organizzano queste aggressioni.

La JBG esige l’immediata liberazione dei suoi compagni affinché non non siano costretti a prendere misure più serie, perché difenderanno i loro compagni ad ogni costo. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/13/politica/016n1pol

Comunicato originale della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 10 ottobre 2012 

Rosa, Alfredo, Juan, Enrique e Rosario, storie di ingiustizia e tortura 

Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 ottobre. Il gruppo di detenuti Solidarios de la Voz del Amate è nato nell’ambito della Voz del Amate che dal 2006 diffonde pubblicamente le domande di giustizia dentro le prigioni del Chiapas, e di libertà per quelli che si sentono ingiustamente condannati. Nella sua storia c’è tortura poliziesca, spesso atroce. Fabbricazione grossolana di prove. Vendette private che  corrompono con i soldi poliziotti e pubblici ministeri per catturare, estorcere confessioni sotto tortura ed arrestare innocenti. E le vittime hanno perso più della loro libertà. 

Nel Centro Statale di Reinserimento Sociale dei Condannati (CERSS) numero 5, gli aderenti all’Altra Campagna Solidarios della Voz del Amate sono: Pedro López Jiménez, Rosa López Díaz, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Alejandro Díaz Santis e Juan Díaz López. Inoltre, Enrique Gómez Hernández si trova nel CERSS 14. Dell’organizzazione originaria restano Alberto Patishtán Gómez (acttalmente ricoverato in un ospedale di Città del Messico) e Rosario Díaz Méndez. 

Quattro di loro (Rosa, Alfredo, Juan Collazo ed Enrique) condividono la stessa condanna penale e la loro storia dimostra come in Chiapas la giustizia ha un prezzo, e non molto alto. Sono in prigione per presunto sequestro aggravato (a scopo di riscatto), criminalità organizzata e violenza su una minorenne. La storia la racconta quello che paga, in questo caso il cacicco priista di Mitontic, e fallito candidato a sindaco, Rafael Guzmán Sántiz, padre della giovane Claudia Estefani, che nella primavera del 2009 fuggì col suo fidanzato Juan Collazo, come è frequente nelle comunità indigene quando la famiglia della fidanzata non approva il fidanzato e per evitare la dote, un’abitudine onerosa per molti.

La storia bisogna raccontarla in chiave urbana, anche se si tratta di indigeni. I quattro vivevano a San Cristóbal de las Casas. Rosa e Alfredo, tzotziles originari di questo municipio, erano amici di Collazo e Claudia Estefani, e quando decisero di fuggire (lui l’ha rubata, si dice colloquialmente) i loro amici gli prestarono la casa. Enrique era l’amico del compagno. Sono giovani, ed allora lo erano di più, ragazzi di città o di periferia, come ce ne sono tanti nella valle di Jovel, che per il puro fatto di emigrare in città sfidano i costumi comunitari. In questo caso del municipio tzotzil di Mitontic, uno dei più isolati e poveri degli Altos.

L’indignazione del padre della fidanzata, il signor Guzmán Sántiz, in questo caso ha avuto conseguenze penali non solo eccessive, ma soprattutto è il prodotto della corruzione, la tortura e l’impunità. All’epoca, Rosa era incinta. Fu torturata con ferocia e diede alla luce in prigione un bambino che nacque seriamente malato ed handicappato che sopravvisse pochi anni. Le autorità della prigione accusarono Rosa delle condizioni del figlio. 

Domenica scorsa, durante un incontro de La Jornada con i detenuti organizzati del CERSS N. 5, Rosa era accompagnata dalla documentarista chiapaneca Concepción Suárez, che sta lanciando il documentario su Rosa e l’esperienza dei quattro giovani indigeni coinvolti in questa storia. Alfredo, suo marito, è vivace, come Collazo, e rivela che in prigione hanno completato gli studi. Non perdo tempo. Mi preparo per la libertà.

Guzmán Sántiz, il suocero offeso, raccolse circa 30 mia pesos come prova del riscatto pagato per sua figlia. E il Pubblico Ministero accettò la sua parte per dare seguito alle sue accuse. “Videro che Claudia non era vergine e così ‘provarono’ la violenza. Che cosa si aspettavano? Perché sarebbe fuggita col fidanzato se non proprio per questo?”, dice Alfredo, guardando Juan con ironia. Tutti hanno subito gravi torture che hanno ripetutamente descritto e denunciato. Ora, il loro caso è allo studio sul tavolo del governo per la sua revisione.

Un’altra storia di tortura è quella di Rosario Díaz Méndez (La Jornada 9/10/12) arrestato il 23 agosto 2005 a Huitiupan dalla polizia municipale. I poliziotti non si identificarono e non mostrarono nessun mandato di cattura. Non gli fu nemmeno comunicato il motivo del suo arresto. Lo portarono presso la Procura Indigena nel municipio, e da lì alla procura statale di Tuxtla Gutiérrez. Dopo essere stato picchiato sulle orecchie, una borsa di plastica in testa e spray al peperoncino per asfissiarlo, legato mani e piedi, confessò quello che gli ordinarono di dire i suoi aguzzini. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/10/politica/023n1pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 8 ottobre 2012

Un giudice riconosce la sua innocenza, ma Francisco Santiz è ancora in carcere

Hermann Bellinghausen. Inviato. Los Llanos, Chis., 7 ottobre. Francisco Santiz López è in carcere da quasi un anno, con accuse di crimini che il giudice ha già riconosciuto essere infondate. Se resta in carcere in questa prigione statale numero cinque è evidente  che è per ordini dall’alto. Avrà a che vedere col fatto che è base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale? O perché i cacicchi priisti di Banavil e Tenejapa sono così potenti che possono piegare la giustizia statale e federale con frodi e prove false?

Non sembra esserci altra spiegazione del perché quest’uomo di 54 anni, venditore di frutta nel capoluogo municipale di Tenejapa, dove risiede con la sua famiglia, ed è base di appoggio zapatista (ma non miliziano, precisa) dal 1992, rimanga nel Centro Statale di Reinserimento Sociale per Condannati (CERSS) per rati dai quali è stato assolto sei mesi fa, e pertanto non è un condannato.

Non è che Francisco Santiz sia un carcerato sconosciuto. Conta su simpatizzanti convinti della sua innocenza in più di 20 paesi che vanno dal Sudafrica al Giappone, dall’estremo sud argentino all’estremo nord della Norvegia. Col suo berretto da baseball e il suo compassato silenzio, è un uomo famoso. Fuori dal carcere non è solo. Neanche dentro: fa parte del presidio dei carcerati organizzati dell’Altra Campagna che lottano come lui per la loro liberazione, perché questa sarebbe la cosa giusta. Anche loro sono famosi, almeno nel mondo della solidarietà internazionale, ma non tanto quanto Francisco, che insieme ad Alberto Patishtán (che fino a qualche giorno fa partecipava a questo presidio) è un simbolo della lotta per la giustizia e contro la discriminazione. Entrambi dimostrano in maniera chiara come in Chiapas gli indigeni innocenti finiscono in prigione.

Santiz López a dicembre era stato accusato di aver partecipato a fatti violenti registrati nella comunità di Banavil, dove sono morte due persone. Sei famiglie tzeltales furono espulso ed attualmente sono ospitate a San Cristóbal de las Casas.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), che sta portando avanti il caso, recentemente ha denunciato che nel mandato di arresto il giudice federale in Chiapas non aveva considerato le testimonianze delle autorità né dei testimoni che riferiscono che Francisco non si trovava a Banavil al momento delle aggressioni. Non è stato nemmeno dimostrato che avesse usato un’arma da fuoco.

Attualmente, spiega il Frayba, Francisco è accusato di detenzione di armi ad uso esclusivo dell’Esercito e forze armate, mentre le accuse di omicidio e lesioni sono cadute il 22 marzo, per rinuncia dell’azione da parte del Pubblico Ministero.

Così, a Santiz López era stata notificata la sua liberazione, ma all’uscita dal carcere, in tutta fretta è arrivata una nuova accusa basata su prove fornite dagli stessi cacicchi che avevano testimoniato il falso a dicembre e che sarebbero i provocatori dei due omicidi a Banavil. Accusa giunta opportunamente per far rientrare in cella Francisco proprio mentre metteva piede fuori dal carcere; o piuttosto farlo rientrare nel presidio tra i suoi compagni che oggi, insieme ai visitatori domenicali, accompagnati dalla chitarra gli hanno cantato las mañanitas per il suo compleanno.

Le armi che proverebbero le nuove accuse appartengono ai cacicchi Alonso López Ramírez ed Agustín Méndez Luna (ex presidente municipale di Tenejapa) ed ai loro seguaci. Sarebbero le stesse con che le quali questi aggredirono gli sfollati di Banavil. Il governo statale ha già indennizzato gli aggressori per la morte accidentale di uno dei loro. Del morto degli sfollati è stato ritrovato un braccio, il resto è sparito, ma nessuno indaga su questo crimine. Un braccio non è un sufficiente corpo del reato, hanno detto in tribunale. A differenza dei suoi compagni carcerati, Francisco parla poco ma è convinto che l’hanno fatto a pezzi. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/08/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 6 ottobre 2012

Gruppi del PRI e PVEM invadono villaggi zapatisti ed accendono conflitti agrari.

Agli sgomberi da parte di partiti politici si sommano le aggressioni paramilitari. I simpatizzanti dell’EZLN non hanno svolto le pratiche per la certificazione di proprietà della terra perché sono in resistenza.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 ottobre. Il rispuntare dei paramilitari in Chiapas è accompagnato da un substrato di presunti conflitti agrari, la maggioranza infondati ma attizzati dai politici dei partiti e da funzionari governativi, e rivolti contro le terre recuperate dalle basi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), la maggioranza occupate e coltivate da comunità ribelli da 10 o 15 anni. In particolare, gruppi del PRI, e recentemente PVEM, usandoli come bottino elettorale, invadono o minacciano di farlo, proprietà e perfino interi villaggi zapatisti, approfittando del fatto che questi, essendo in resistenza, non hanno svolto nessuna pratica per ottenere dallo Stato titoli di proprietà agrarie, perché seguono le loro leggi rivoluzionarie attraverso le giunte di buon governo (JBG).

Un’analisi alla quale ha avuto accesso La Jornada documenta questi conflitti ed identifica i gruppi invasori o aggressori: PRI, PVEM, PRD, PAN, oppure organizzazioni come Paz y Justicia (e le sue derivazioni: Uciaf, Opddic), Orcao, Cioac o Aric. In una denuncia molto recente, Las Abejas hanno confermato la riattivazione a Chenalhó di Máscara roja, come erano stati identificati gli esecutori del massacro di Acteal nel 1997. Vengono aggredite anche comunità dell’Altra Campagna (Jotolá, Mitzitón, San Sebastián Bachajón) mediante conflitti religiosi (Ejército de Dios) o divergenze ejidali.

Questo è lo scenario che eredita l’alleanza PVEM-PRI guidata da Manuel Velasco Coello, che tra poco governerà l’entità. La maggior parte di gruppi paramilitari, invasori agrari e governi municipali coinvolti appartengono alle sue fila.

Nell’analisi del ricercatore Arturo Lomelí si identificano i principali luoghi (non gli unici) dove negli ultimi anni si sono verificati reati e crimini non risolti, specialmente dal 2010 al 2012. Si evidenzia che a partire dal 1994 sono stati occupati tra i 250 mila e 750 mila ettari (non ci sono dati definitivi) ad Ocosingo, Chilón, Sitalá, Yajalón, Tila, Tumbalá, Sabanilla, Salto de Agua, Palenque, Altamirano, Las Margaritas e Comitán, tra altri municipi. Sulla scia della ribellione zapatista, OCEZ, Cioac, ARIC, CNPA, OPEZ, Xinich, Orcao e Tsoblej, al fianco degli zapatisti, recuperarono e fondarono nuove località. Nel 2000, quando i dirigenti di queste organizzazioni furono incorporati nel governo statale o municipale, si incaricarono di regolarizzare le proprietà e siccome gli zapatisti non parteciparono ai quei negoziati, le organizzazioni reclamano le loro proprietà. Queste sono bacini elettorali di tutti i partiti – sostiene Lomelí – e la dinamica del tradimento avviata da Pablo Salazar Mendiguchía è proseguita con Juan Sabines Guerrero.

I conflitti comprendono le cinque JBG. Molto attaccata è stata quella di Morelia: la comunità Primero de Enero (municipio autonome Lucio Cabañas), nell’agosto del 2011 è stata invasa da elementi della Orcao che avevano già ottenuto le terre grazie alla sollevazione zapatista; come in altri casi, dopo il 2000 hanno abbandonato l’accordo di recuperare le terre e sono scesi a patti col governo per ricevere aiuti con i programmi statali ed altre terre degli zapatisti. La Orcao ha attaccato anche Los Mártires (Lucio Cabañas).

Altre comunità e poderi zapatisti sotto assedio sono Bolón Ajaw e Santa Rosalía. Ad Agua Clara (municipio autonomo Comandanta Ramona) operano pericolosi criminali addestrati dall’ex militare Carlos Jiménez López. Nel 2010, Nei villaggi di Nueva Virginia, Jalisco e Getzemaní, membri della Cioac e PRD sono entrati sulle terre recuperate di Campo Alegre che sono coltivate dai municipi autonomi Lucio Cabañas, Comandanta Ramona e 17 de Noviembre, come sostiene la JBG. Inoltre, 33 famiglie zapatiste sono state spogliate dei loro diritti ad Aldama, e persistono le aggressioni contro le basi di appoggio di Olga Isabel e K’an Akil anche dai paramilitari della Opddic, che inoltre hanno aggredito il nuovo villaggio 21 de Abril.

La giunta della Garrucha ha denunciato che il barrio Puerto Arturo e San José Las Flores vogliono sottrarre a Nuevo Purísima (municipio autonomo Francisco Gómez) un terreno recuperato di 178 ettari ad Ocosingo. E ancora, aggressioni e detenzione di zapatisti da parte dei paramilitari a Peña Limonar, invasione a Laguna San Pedro, violenza a Casablanca, vessazioni a Toniná. Gruppi di Las Conchitas e P’ojcol (Chilón), così come di Guadalupe Victoria, paramilitari secondo la JBG, membri della Orcao e dei partiti politici, hanno occupato con la violenza le terre recuperate di Nuevo Paraíso (municipio autonomo Francisco Villa).

Nella zona nord il panorama è allarmante, come ha riferito la JBG di Roberto Barrios. L’anno scorso hanno sotratto le terre agli zapatisti di San Patricio (municipio autonomo La Dignidad) i coloni di Ostealukum, El Paraíso, El Calvario e Rancho Guadalupe (Sabanilla). Gli autonomi hanno quindi fondato Comandante Abel, ma nel settembre scorso sono stati espulsi con l’appoggio della polizia e del governo statale, come è avvenuto a Unión Hidalgo. Pochi anni fa, a Choles de Tumbalá (municipio autonomo El TrabaJo) ci sono state case incendiate e minacce da parte di membri dell’organizzazione Xinich ufficiale.

La JBG di La Realidad ha documentato come nell’ejido Monte Redondo (Frontera Comalapa), basa di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Tierra y Libertad sono stati spogliati delle loro milpas e piantagioni di caffè da parte di persone del PVEM, PRD e PRI che hanno perfino venduto i poderi a terzi. Altre aggressioni provengono dall’organizzazione panista Aciac contro la comunità Che Guevara, ed a Espíritu Santo da parte di gente del PRD, Cioac e PRI. Ed a Veracruz contro il magazzino del municipio autonomo San Pedro de Michoacán.

Per ultimo la JBG di Oventic sta affrontando un grave conflitto a San Marcos Avilés (Chilón), dove le sue basi sono state aggredite, espulse o derubate da verdi, perredisti e priisti. Ad El Pozo, Crustón e Ts’uluwits (municipio autonomo San Juan Apóstol Cancuc), così come a Zinacantán, priisti e perredisti non smettono di perseguitare gli zapatisti. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/06/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – bergamo)

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La Jornada – Giovedì 4 ottobre 2012

Il professor Alberto Patishtán trasferito dal Chiapas in una destinazione sconosciuta

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 3 ottobre. I familiari di Alberto Patishtán Gómez, prigioniero indigeno dell’Altra Campagna in Chiapas, hanno informato che nel pomeriggio di oggi, verso le ore 17, il professore è stato portato in ambulanza all’aeroporto Ángel Albino Corzo. Non è stato comunicata la sua destinazione, ma una delle guardie ha commentato che è andato dove voleva andare. Questo fa pensare che si tratti di Città del Messico.

Nei giorni scorsi lo stesso professore indigeno aveva segnalato in una lettera alle autorità governative il suo rifiuto di essere curato nell’ospedale di Tuxtla dove, in un ricevero precedente nel 2010, non ricevette assistenza adeguata e gli fu fatto una diagnosi sbagliata. Chiedeva di essere curato all’Istituto Nazionale di Neurologia Manuel Velasco Suárez, per un tumore cerebrale che gli ha colpito la vista in maniera graduale ed oggi è quasi cieco. 

Patishtán, ce è diventato un importante prigioniero di coscienza e difensore dei diritti umani nelle prigioni del Chiapas, da 12 anni sta scontando una condanna di 60, accusato di aver partecipato all’uccisione di sette poliziotti nel giugno del 2000 sulla strada Simojovel-El Bosque. Convinti della sua innocenza, collettivi ed organizzazioni sociali del Messico e di numerosi Paesi hanno chiesto la sua liberazione, così come personalità come Pablo González Casanova, Luis Villoro, John Berger, Adolfo Gilly e Raúl Zibechi. (…)

Il MPJD – Piattaforma Chiapas del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità – denuncia: È palese che è stato condannato per un omicidio che non ha commesso, ma per motivi politici. Ha scontato 12 anni in diverse prigioni e gliene mancano altri 48. È stato incatenato ad un letto d’ospedale per sei mesi. Al meno in tre occasioni è stato in sciopero della fame con altri compagni e varie volte a digiuno per chiedere il riconoscimento della sua innocenza. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/04/politica/021n1pol

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La Jornada – Martedì 2 ottobre 2012

A causa dell’ondata di violenza, gli indigeni di Unión Hidalgo e Comandante Abel hanno abbandonato le comunità

Accusano il segretario di Governo del Chiapas di organizzare l’escalation paramilitare

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º ottobre. La giunta di buon governo del caracol zapatista di Roberto Barrios, nella zona nord, denuncia la partecipazione diretta del segretario di Governo, Noé Castañón León, nella pianificazione ed avvio dell’escalation paramilitare contro la comunità Comandante Abel e contro le basi zapatiste di Unión Hidalgo, che ha provocato lo sfollamento di 83 indigeni che da tre settimane sono ospitati in altri villaggi.

Contrariamente alla smentita governativa della notizia che agenti di polizia avessero sparato nella comunità Comandante Abel, la JBG ha ribadito che il 18 settembre, a mezzogiorno, poliziotti mandati dal governo statale hanno esploso due colpi per intimorire la popolazione, così come hanno fatto i paramilitari. In un comunicato sostiene che gli attacchi, gli sgomberi, le  minacce, i furti, le intimidazioni e gli spostamenti proseguono. Accusano il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa e quello statale di Juan Sabines Guerrero, di essere attori dell’attacco in corso; la JBG afferma: È un atteggiamento di vigliaccheria utilizzare gente della stessa razza per fare passare tutto questo come conflitto intercomunitario.

Le comunità aggredite appartengono al municipio autonomo La Dignidad, nella regione chol. Il 6 settembre i paramilitari di Unión Hidalgo e San Patricio si sono impossessati della terra ed hanno cacciato i nostri compagni, riferisce la JBG. Il giorno 12 i paramilitari hanno saccheggiato la milpa collettiva, mentre altri erano di guardia con armi di grosso calibro. Lo stesso giorno a San Patricio sono arrivati un totale di 11 veicoli con poliziotti e giudiziali per controllare il posto dove installare il loro accampamento.

La JBG racconta: Il giorno 13 è arrivato nel capoluogo municipale Sabanilla, Noé Castañón, segretario generale di Governo, e Maximiliano Narváez Franco, sottosegretario, per riunirsi con gli invasori di Unión Hidalgo ed i priisti di San Patricio, per confermare loro il possesso delle terre, giustificandolo con i progetti di legalizzazione e impegnandosi a fornire sicurezza inviando pattuglie di polizia per spalleggiare gli invasori ed aiutarli con materiale per costruire le abitazioni, come lamiere, e perfino consegnare provviste ai paramilitari. 

Poi sono iniziati i pattugliamenti sul terreno recuperato. Il giorno 16 la polizia ha distribuito le lamiere per i tetti agli invasori di Unión Hidalgo ed ai priisti di San Patricio che in quel momento hanno preso possesso del terreno recuperato ed hanno immediatamente costruito l’accampamento per la polizia.

Il giorno 26 si è tenuta un’altra riunione a Sabanilla con funzionari statali: hanno steso un verbale di lavoro tra i rappresentanti dei paramilitari di Unión Hidalgo ed i priisti di San Patricio, con oggetto la regolarizzazione a nome dei paramilitari, facendo credere loro che sono loro diritti (sic); li stanno usando per appropriarsi e cacciare dalle loro terre i nostri compagni basi zapatiste. 

Il furto di mais è proseguito e si è intensificato nei giorni 27 e 28. Dall’invasione, sono state perse 22 tonnellate di mais in grani, per un valore di 132 mia pesos, calcolando 6 pesos al chilo. Inoltre denuncia che i loro compagni sfollati da Unión Hidalgo sono pesantemente minacciati dai paramilitari che si stanno organizzando per appropriarsi dei loro appezzamenti.

I furti sono costanti nonostante la presenza della polizia, è evidente che il malgoverno ha pianificato questi atti criminali, dice la JBG. Abbiamo ragione di difendere le vite e l’integrità dei nostri compagni, ed aggiunge, rivolgendosi ai governi federale e statale: Voi siete i veri colpevoli e autori intellettuali dei crimini che subiscono le nostre basi di appoggio; siete i principali responsabili delle conseguenze di questi atti criminali di cui dovrete rispondere ed essere giudicati dalla storia del popolo del Messico. http://www.jornada.unam.mx/2012/10/02/politica/016n1pol

Comunicato della Giunta di Buon Governo

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 28 settembre 2012

Riscontrato tumore cerebrale a Patishtán; l’accusa è di negligenza cronica nel suo caso

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 settembre. Questa settimana è stata confermata la diagnosi di un tumore cerebrale per Alberto Patishtán Gómez, come ha comunicato egli stesso. La negligenza cronica con la quale le autorità statali e federali hanno trattato il suo caso, oltre a dimostrare come si rispettano in Chiapas i diritti dei reclusi, potrebbe significare che la malattia che gli ha danneggiato severamente la vista può costargli la vita.

“In 12 anni di carcere ingiusto per il cattivo sistema di giustizia, mi hanno causato solo disgrazie, la perdita di beni immobili e sofferenza per le nostre famiglie. All’ospedale di Tuxtla Gutiérrez, nel marzo del 2010, mi diagnosticarono un glaucoma. “A maggio del 2011 – continua – mi hanno fatto una TAC, ma non mi hanno mai dato i risultati”. Nel 2011 è stato trasferito nella prigione di Guasave, Sinaloa, dove gli specialisti scartarono il glaucoma e mi diedero delle cure per un’altra malattia (neuropatia ischemica, secondo i medici).

Dopo proteste e pressioni in Messico ed in altri paesi, è stato riportato nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 5, in questa città, dove la sua salute è peggiorata celermente. Martedì scorso è stato ricoverato nell’ospedale di Tuxtla Gutiérrez. Gli specialisti hanno diagnosticato un tumore cerebrale in stato avanzato. “È per questo che denuncio gli oltraggi e le violazioni dei diritti umani ed i medici che hanno giocato con la mia vita; nelle loro mani ho subito imperizia, negligenza e ritardi.

Sembrerebbe trattarsi di un tumore benigno, ma ha già raggiunto quattro centimetri di diametro, spiega il professore tzotzil.

Insiste inoltre nel chiedere la libertà immediata degli indigeni imprigionati ingiustamente; lui ed i suoi compagni carcerati, uno di loro (Francisco Santiz López) base di appoggio dell’EZLN, e gli altri, aderenti dell’Altra Campagna. La sua difesa e la comunità di El Bosque sono riuscite a dimostrare l’innocenza di Patishtán, oltre alla fabbricazione di reati gravi e di false testimonianze (non era sul luogo dei fatti), e la conferma che la condannato a 60 anni di prigione è dovuta a motivi politicil.

Questo episodio del suo calvario giudiziario coincide più con la liberazione di un paramilitare (reo confesso) che parteciò al massacro di Acteal. Questo a causa di irregolarità nel processo e violazioni delle garanzie individuali di Manuel Santiz, originario di Chenalhó, secondo il giudizio della Suprema Corte di Giustizia della Nazione, che però ancora non si pronuncia su Patishtán; neanche ha deciso se rivedrà il caso.

Da parte sua, i carcerati del gruppo Solidarios de La Voz del Amate, da San Cristóbal de Las Casas chiedono che il loro compagno sia curato a Città del Messico, non nell’ospedale di Tuxtla. Tanto Patishtán che la sua difesa chiedono che sia ricoverato nell’Istituto Nazionale di Neurologia Manuel Velasco Suárez, e non a Villahermosa, Tabasco, come è intenzione delle autorità. http://www.jornada.unam.mx/2012/09/28/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La controinsurrezione in Chiapas, decine di famiglie zapatiste sfollate

 Noi che abbiamo combattuto sappiamo riconoscere il passo di ciò che si sta preparando e avvicinando. I segnali di guerra all’orizzonte sono chiari:  la guerra, come la paura, ha odore. E già ora si comincia a respirare il suo fetido odore nelle nostre terre. (Subcomandante Insurgente Marcos, dicembre 2007)

 Nell’anno in corso, il 2012, si continua a respirare giorno per giorno l’odore della guerra che, lo stato messicano, ha scatenato contro le comunità zapatiste.

La politica di controinsurrezione elaborata con l’aiuto del governo USA, dopo l’insurrezione armata dell’EZLN nel 1994 e precisata nel documento denominato “Piano per la Campagna Chiapas 94”, ha fornito la struttura per una nuova forma di guerra contro le popolazioni indigene ribelli.

Negli ultimi mesi, le Giunte del Buon Governo di Morelia e La Realidad hanno denunciato le aggresioni subite dalle Basi di Appoggio del EZLN da parte della ORCAO (Organización Regional Cafeticultores Altamirano Ocosingo) nell’ejido[1] Moises Gandhi e da parte di gruppi affiliati al PRI, al PRD e al PVEM (Partido Verde Ecologista Mexicano). Queste provocazioni si aggiungono a quelle ben note in tutto il territorio zapatista, come nel caso di San Marcos Avilés, assediata dai paramilitari e per questo al centro di una campagna di solidarietà internazionale.

Lo stato messicano è in guerra contro un nemico interno: l’EZLN, contro le comunità zapatiste in resistenza e soprattutto contro l’autonomia, la cultura e la vita dei popoli indigeni che non accettano di essere assimilati al modello di sviluppo capitalista.   Il messaggio che le Giunte del Buon Governo hanno lasciato nelle varie denunce è chiaro: il governo, attraverso menzogne, promesse di terra e finanziamenti, sta rianimando i gruppi paramilitari e armando altre organizzazioni, affinché questi alimentino l’ostilità e le aggressioni contro coloro che si oppongono all’omologazione neoliberista.  La strategia del governo contro la resistenza si sviluppa su due fronti: da una parte la “guerra di bassa intensità” impiegando le formazioni paramilitari così da evitare le ripercussioni internazionali che si avrebbero con l’impiego diretto dell’esercito e dall’altra, la cosiddetta linea morbida, con l’impiego massiccio di progetti assistenzialisti per calmare la fame, creare dipendenza e logorare la resistenza, concentrando i progetti nelle zone dove è più forte la lotta contro il governo.

L’8 settembre la Giunta del Buon Governo Nueva Semilla Que Va a Producir del Caracol V di Roberto Barrios ha denunciato la nuova invasione paramilitare nelle terre del nuovo villaggio Comandante Abel, del Municipio Autonomo La Dignidad, Municipio ufficiale di Sabanilla.   Il 12 settembre una nuova denuncia della stessa Giunta sottolineava la gravità della situazione: 70 donne e bambini sfollati dal nuovo Villaggio Comandante Abel e 14 persone scomparse nella vicina comunità di Union Hidalgo. 

 Gli antefatti

Il nuovo villaggio Comandante Abel si trova in zona oindigena di lingua ch’ol, nelle terre recuperate dall’EZLN nel 1994.

Fino a maggio di quest’anno la popolazione si trovava nella comunità di San Patricio che fin dagli anni 90 ha vissuto resistendo ai persistenti attacchi paramilitari.

Esattamente un anno fa, il 6 settembre 2011, quelle terre furone invase dai paramilitari provenienti dalla vicina comunità di Ostilucum, causando lo sfollamento della popolazione, fame e malattie.   La comunità riuscì a tornare ma ormai si trovava derubata dei raccolti che i paramilitari si erano portati via e per questo dovette dipendere dagli aiuti alimentari organizzati dalla Giunta del Buon Governo della Zona Nord.    Nel frattempo sono continuate le  minacce di una nuova invasione e di un massacro, così che, nel mese di maggio, le famiglie base di appoggio del EZLN hanno preso la decisione di ricostruire la comunità nel vicino predio “La Lampara”, mostrando nei fatti la volontà degli zapatisti di cercare forme pacifiche di risolvere conflitti, con coloro che essi definiscono fratelli ingannati dal  malgoverno.    Nonostante questa, ovviamente sofferta, decisione le minacce sono continuate e il 6 di settembre i paramilitari della località di Union Hidalgo hanno invaso le terre del nuovo villaggio Comandante Abel, sparando contro gli zapatisti e provocando la fuga forzata, verso la montagna, dei bambini e della maggioranza delle donne che non riuscivano a sopportare la situazione, mentre gli uomini e alcune donne rimanevano sul luogo, per difendere la comunità.

Una carovana di Solidarietà e Documentazione

Per rompere l’accerchiamento, mostrare solidarietà e documentare le violazioni ai diritti umani si è organizzata una carovana di Solidarietà e Documentazione a Comandante Abel.    La carovana, organizzata da Organismi dei Diritti Umani, osservatori internazionali, da compagni impegnati nel movimento e nella comunicazione indipendente, è partita da San Cristobal de Las Casas, Chiapas il 18 settembre del 2012. Ha visitato tre comunità: quella assediata – Comandante Abel -, la comunità autonoma di San Marcos e la comunità Zaquitel Ojo de Agua.    Nelle ultime due comunità i partecipanti alla carovana hanno potuto intervistare le donne sfollate di Comandante Abel e gli sfollati di Union Hidalgo.

Testimonianza delle donne sfollate nella Comunità San Marcos

Alla fine della lunga valle che da Sabanilla si estende verso lo stato di Tabasco, si trova la comunità di San Marcos.   La comunità si trova in posizione gradevole, a fianco del fiume Sabanilla che si attraversa passando per un ponte sospeso.   La comunità, ha dimostrato la sua solidarietà nei confronti degli sfollati di Comandante Abel, ospitandoli nella scuola del villaggio e condividendo il loro scarso mais e il cibo.

Le donne e le autorità della comunità hanno ricevuto i carovanieri e quattro donne e due membri della Giunta del Buon Governo hanno dato la loro testimonianza.   Lucia ed Elvira hanno raccontato di quell’8 settembre quando, per la paura e la percezione di non essere in grado di proteggere la vita dei propri bambini, sono fuggite per la montagna, passando per precipizi, dormendo sotto le liane, correndo verso San Marcos, l’unico luogo che sentivano sicuro, in una zona percorsa dai paramilitari di Paz y Justicia già dagli anni 90, da soldati e elementi corrotti della Pubblica Sicurezza.

Nello stato di timore e confusione in cui si trovavano, alcune si sono perdute.  “Arrivate qui eravamo intorpidite dalla paura e non sentivamo i nostri corpi, sentivo che una tigre mi seguiva.  Ci siamo perdute, eravamo spaventate, mi sembrava di non essere più in questo mondo” racconta Lucia.

Un compagno della Giunta spiega: “Le compagne non sopportavano più le sofferenze.   Ma gli zapatisti non piangono.  Torneremo a lavorare per resistere e vivere”.

Quando le donne sono arrivate a San Marcos ne mancavano due con i loro piccoli.   Subito si sono organizzate le ricerche con il timore che fossero state sequestrate dai paramilitari.  Il giorno 11, quattro giorni dopo la fuga dal villaggio, i compagni e le compagne che cercavano gli scomparsi, hanno sentito il pianto di un bambino scoprendo così il loro nascondiglio.  Erano tremanti di freddo e all’estremo per la fame e la stanchezza.   “Abbiamo dato loro pozòl[2], caricati sulle spalle i bambini e siamo ritornati tutti a San Marcos”.

Carmen e Jessica sono i nomi delle due donne che si erano perdute:  “Avevamo molta paura quando siamo fuggite.  Abbiamo faticato ad attraversare il fiume, siamo rimaste indietro e non siamo state in grado di seguire il percorso delle altre.   Abbiamo proseguito ma per la paura di incontrare i paramilitari, ci siamo nascoste sotto una pietra, una specie di caverna.   Lì ci siamo nascoste la prima notte. I giorni seguenti ci siamo fatte largo nel monte cercando di orientarci ma ci siamo perdute.  Abbiamo mangiato erba momo e arance per calmare la fame.   Per la paura di essere individuate dai paramilitari scendevamo al fiume per gettare le bucce”.    Jessica guarda intensamente il suo piccolo che piange perché respinge il seno della mamma.   “La paura mi ha asciugato il seno” – dice – “Mia figlia ha la febbre e non le passa”.

Gli sfollati di Union Hidalgo

Il giorno seguente la carovana ha visitato la Comunità Zaquitel Ojo de Agua, accessibile solo camminando per 3 ore verso la cima del monte che abbraccia la valle Sabanilla.   Si trova in una bella posizione tra monti, grandi alberi chiamati “ceibas” e torrenti.   Come a San Marcos, tra le famiglie di Zaquitel Ojo de Agua, c’è una grande solidarietà.   Da Union Hidalgo si sapeva che c’erano 10 scomparsi e si temeva per la loro vita e, come a San Marcos, gli scomparsi sono stati ritrovati dopo 3 notti, dopo aver affrontato le forti piogge stagionali d’alta montagna.  

Jaime e Auxiliadora raccontano delle minacce subite dai paramilitari di Union Hidalgo.   “Giorno e notte, con altoparlanti ci gridavano che avrebbero mangiato le nostre  carni.  Dicevano che siamo fuori dalla legge e che non abbiamo diritti e non possiamo ricorrere alla giustizia.   Ci trattano  come animali”.   Il racconto è la dimostrazione della strategia psicologica del governo, ancora in vigore in Chiapas, di disumanizzare gli oppositori e legittimare gli attacchi nei loro confronti.

Narrano che le minacce sono cominciate nell’anno 2000, quando le famiglie zapatiste rifiutavano, come tuttora,  i programmi assistenzialistici.  Le minacce venivano dai dirigenti del PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale) della comunità, collegato con il gruppo paramilitare Paz y Justicia.   Nel 2003 hanno saccheggiato il negozietto collettivo delle donne zapatiste.   Armati di bastoni, machete e pietre colpirono una nostra compagna alla testa con una pietra.   Quella volta ci rubarono tutta la merce, le tavole e la lamina del negozietto e  anche 1800 chili di mais”.    Lo sguardo di Auxiliadora mostra indignazione e fermezza.   “Un anno fa le minacce sono peggiorate” racconta.  “Con gli altoparlanti ci dicevano che, se non fossero riusciti a impossessarsi delle terre di Comandante Abel, avremmo subìto noi le conseguenze e ci avrebbero massacrato”.   Jaime e Auxiliadora raccontano che hanno temuto per la loro vita e, insieme ad altre, hanno lasciato il villaggio, lasciando 10 compagni nella comunità, a difendere semenze, animali e casa che sono garanzia di sopravvivienza. “Ci siamo incamminate per la montagna senza una meta precisa – spiegano – finché al terzo giorno abbiamo incontrato le famiglie di Zaquitel Ojo de Agua.   Non sapevamo dove andare.   Abbiamo raccontato loro delle minacce e ci hanno accolto”.   Ora sono alloggiati nella scuola della comunità ma alcuni bambini si sono ammalati per la pioggia e il freddo.

La resistenza nel Nuovo Villaggio Comandante Abel

Nel nuovo villaggio Comandante Abel, 22 compagni e 5 compagne, rimasti a difendere il villaggio, ricevono la carovana in una casa che mostra i segni delle pallottole.  I fori dei proiettili sono la testimonianza della furiosa sparatoria dell’8 settembre, quando, 150 aggressori, guidati da leader paramilitari, hanno tentato di fare un strage tra le famiglie zapatiste del villaggio.    I paramilitari hanno occupato la terra recuperata che si trova dall’altra parte del fiume, prendendosi quella già seminata.  Stanno costruendo case e, nella notte, si avvertono i loro movimenti con armi.   A neanche 400 metri dal villaggio, alcuni elementi della Pubblica Sicurezza, dal 16 settembre, hanno occupato quella che era la scuola autonoma zapatista.  Raccontano che il 18 settembre, da quella postazione di polizia, sono partiti due spari in direzione degli zapatisti.

I viveri stanno per esaurirsi e non è possibile né seminare, né raccogliere legna per il forte rischio di essere attaccati.

Gli aggressori sono ben conosciuti dai compagni.   Sono dirigenti politici del malgoverno di Union Hidalgo. Questi ultimi non agiscono autonomamente. I compagni zapatisti raccontano: “Il 4 settembre sono venuti qui il segretario del governo del Chiapas Noé Castañon accompagnato da due alti funzionari del malgoverno e da membri della pubblica sicurezza statale.  Si sono riuniti con i paramilitari per dir loro che quelle terre erano loro”.   Due giorni dopo si è scatenato l’attacco contro le basi di appoggio del EZLN.

Le Basi di Appoggio Zapatiste non si arrendono

Nonostante le sofferenze provocate da questo attacco del malgoverno nella regione, le donne e gli uomini zapatisti che parlano ai partecipanti alla carovana, danno mostra di essere  più convinti che mai nella loro lotta e resistenza. La richiesta è l’immediato ritiro dei paramilitari. 

Non ci sono dubbi sul far ricadere tutta la responsabilità sul governo messicano. “Non vogliamo scontrarci con coloro che appartengono alla nostra stessa razza indigena anche se appartengono ad altri partiti e si sono venduti al mal governo” spiegano i compagni che resistono nel nuovo villaggio Comandante Abel.

Le donne sfollate a San Marcos dicono a voce alta: “Non ci arrendiamo, non ci lasceremo convincere da progetti  come Oportunidades o Procampo[3]  con i quali il malgoverno cerca di tappare i nostri occhi e comprare le nostre coscienze”.   “Il denaro lo produciamo con il niostro sudore e anche se dobbiamo curare i nostri bambini piccoli sappiamo allevare polli e oche, sappiamo lavorare il mais come gli uomini.   Per quanto non mangiamo come mangiano quelli del governo, chiediamo di poter vivere nelle nostre case e che il governo ritiri i suoi paramilitari”.  Un’altra compagna dichiara ”Resisteremo finché dio ci conserva in vita.  Vogliamo insegnare ai nostri figli come si deve vivere”.

Le BAEZLN di Comandante Abel ricevono la caravana in  una casa e danno la loro testimonianza.

 Parte del terreno invaso dai paramilitari in Comandante Abel

 In questa scuola stanno  dormendo le 73 persone sfollate dal nuovo villaggio Comandante Abel

 Le donne ribelli zapatiste sfollate da Union Hidalgo

  Gli sfollati di Unión Hidalgo danno la loro testimonianza nella stessa scuola dove sono alloggiati


[1] L’ejido è una forma di proprietà comunitaria della terra, tuttora riconosciuta dalla Costrituzione messicana, dai tempi della rivoluzione di Zapata e Villa, nei primi anni del secolo scorso.  La terra viene pure lavorata collettivamente.

[2] Pozòl: bevanda, a base di mais spesso fermentata,  in uso in tutto il Messico.

[3] Oportunidades, Procampo fanno parte della strategia del governo per ridurre l’appoggio indigeno all’EZLN.  Il governo offre appoggi in denaro e prestiti ai campesinos indigeni a condizione che non appoggino l’EZLN ed entrino nelle organizzazioni politiche governative

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La Jornada – Mercoledì 26 settembre 2012

Decine di indigeni chiapanechi in fuga dalle aggressioni paramilitari

A colpi d’arma da fuoco hanno obbligato simpatizzanti dell’EZLN a rifugiarsi in altri villaggi

Hermann Bellinghausen

 Circa un centinaio di indigeni, basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) delle comunità Comandante Abel ed Unión Hidalgo, municipio autonomo La Dignidad, in Chiapas, si sono rifugiati in altri villaggi. La situazione è giudicata grave dal Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba).

Come denunciato dalla giunta di buon governo (JBG) di Roberto Barrios, lo scorso 8 settembre, 73 persone di Comandante Abel sono state cacciate a colpi d’arma da fuoco da un gruppo paramilitare, legato a quello che si conosceva come Desarrollo, Paz y Justicia e col PRI. Dal 6 al 19 settembre, gli aggressori da 55 sono diventati 150 ed hanno costruito un accampamento a 500 metri dalla comunità. Altre famiglie zapatiste sono state costrette ad abbandonare Unión Hidalgo, a Sabanilla. 

Una brigata di osservazione, formata da organizzazioni civili e collettivi dell’Altra Campagna, ha visitato la zona per incontrare gli sfollati ed ha diffuso un approfondito rapporto. Sono stati rilevati diversi colpi di pallottola contro la scuola autonoma ed i negozi cooperativi, e la realizzazione di trincee a 200 metri dal villaggio. Secondo gli stessi profughi, con armi AR-15 gli aggressori dalla trincea puntavano le armi contro il villaggio.

Due giorni prima di iniziare gli attacchi, i paramilitari si erano riuniti a San Patricio con i funzionari Eduardo Montoya, Maximiliano Narváez e Noé Castañón León, quest’ultimo segretario di Governo, ed agenti di Pubblica Sicurezza, si indicane nel rapporto. Poi sarebbero arrivati individui armati e con divise militari. Nella comunità restano meno di 30 abitanti. La metà dei 147 ettari del villaggio è occupata dagli invasori. Alcune donne sono scappate verso il fiume. I bambini sono corsi nella montagna senza sapere come uscirne; gli spari erano molto vicini e ci sfioravano, colpivano i muri della casa, hanno raccontato le donne. Una donna racconta: ero in negozio quando improvvisamente si sono sentiti gli spari e le compagne sono scappate dal negozio. Tre giorni senza mangiare né bere. Un’altra racconta: le compagne si sono nascoste sotto i massi e sotto i tronchi; due compagne erano scomparse ma tre giorni dopo si sono presentate a San Marcos.

Dal giorno 16, all’entrata si trova un posto di controllo della Pubblica Sicurezza Statale che sembra proprio proteggere gli invasori. Il giorno 18, i poliziotti hanno sparato. 

I paramilitari hanno occupato la clinica autonoma. Vogliono cacciare le basi di appoggio; molti campi di mais sono invasi. Gli animali si stanno disperdendo, i paramilitari tagliano i recinti e distruggono i raccolti. Accusano il governo: È la sua maniera di fare la guerra e logorarci per farci arrendere. Non abbandoniamo la nostra lotta e non ci arrendiamo.

Nella comunità autonoma San Marcos, gli osservatori hanno trovato gli sfollati di Comandante Abel in condizioni precarie. Quattro donne sono incinta e c’è il timore di aborti spontanei. Una delle donne scomparse dopo l’attacco, riferisce: le pallottole ci inseguivano e quando siamo arrivate qui stavamo davvero male. Non abbiamo preso il sentiero, ma siamo passate per il burrone. Dietro di me ho avvertito la presenza di un animale, ho avuto paura e mi sono persa, pensavo di morire. Ora sono assistite dai promotori di salute e dalle levatrici di San Marcos.

A Zaquitel Ojo de Agua sono sfollate altre 12 persone di Unión Hidalgo, dove rimangono alcuni ragazzi per prendersi cura di polli, maiali e tacchini, senza poter uscire. Sono minacciati da elementi del PRI chi si nascondono per sparargli addosso. Attraverso un megafono i paramilitari annunciano, “giorno e notte, che ci ‘mangeranno’, perché siamo su un’altra linea, fuori dalla giustizia e dalle leggi”, hanno raccontato. Se i paramilitari non riusciranno a prendere la comunità Comandante Abel, dicono che ci massacreranno. Membri della JBG a loro volta hanno dichiarato: Il governo compra le persone, poi li convince di toglierci la terra. http://www.jornada.unam.mx/2012/09/26/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 22 settembre 2012

Alberto Patishtán è quasi cieco per la mancanza di cure mediche

Hermann Bellinghausen

Mentre il governo federale tiene nel limbo la liberazione del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez in carcere a San Cristóbal de las Casas, il governo del Chiapas continua ad eludere l’obbligo di fornire assistenza medica a questo importante prigioniero di coscienza che a causa di questa mancanza sta perdendo la vista.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha spresso indignazione per l’inefficienza dello Stato messicano nei confronti del prigioniero politico (dopo 12 anni di prigione, la difesa ha dimostrato la sua innocenza, come ha ammesso il governatore Juan Sabines Guerrero un paio di anni fa) che in innumerevoli occasioni ha denunciato le sue condizioni di salute. Lo Stato ha impedito l’assistenza medica adeguata, denuncia l’organizzazione.

Nei giorni scorsi, un oftalmologo di fiducia del docente, attivista dei diritti umani ed aderente all’Altra Campagna, lo ha visitato ed ha riscontrato la perdita progressiva della capacità visiva, poiché ha perso il 90% della funzione. Lo specialista ha dichiarato che la patologia non è oftalmologica, ma ormai è un problema che deve essere risolto urgentemente da un neurochirurgo.

Patishtán non può più svolgere le attività quotidiane. In una testimonianza dice: Dal 6 settembre non solo ho avvertito la perdita della visione laterale, ma sento come se le luci si stessero fondendo. La settimana precedente, aggiunge, “non potevo più leggere la Bibbia né vedere la tastiera con la quale accompagno i canti durante la messa (in carcere é ministro Eucaristico). Non riesco più nemmeno a scrivere”.

Il Frayba sottolinea che nel 2010, dopo una visita superficiale, un medico dell’istituto gli aveva erroneamente diagnosticato un glaucoma. Quello stesso anno fu ricoverato per sei mesi nell’ospedale Vida Mejor, di Tuxtla Gutiérrez ma senza essere stato curato in maniera professionale né efficace. In realtà si era trattato di una misura propagandistica del governo del Chiapas per dimostrare che adempiva ai suoi obblighi.

A maggio del 2011, le autorità vennero a conoscenza che la perdita della vista era dovuta più ad un’atrofia ottica discendente che al glaucoma. Gli fu praticata una TAC il cui esito fu nascosto al medico che lo curava. Poi, a causa del suo trasferimento forzato ed arbitrario nel carcere di Sinaloa, non fu più seguita la cura medica iniziata. Dopo altre denunce di Patishtán, furono eseguiti nuovi esami e gli fu diagnosticato, erroneamente un’altra volta, una neuropatia ottica ischemica.

Il Frayba chiede al governo di applicare senza ulteriori ritardi le misure cautelari concesse quest’anno dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH).

Intanto, nell’ambito della quarta tappa della campagna mondiale per la liberazione di Patishtán e di Francisco Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, è stata diffusa una lettera indirizzata alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) per chiedere la sua libertà immediata. Le organizzazioni dei diritti umani nazionali ed internazionali che sottoscrivono la petizione affermano che relativamente alla condanna a 60 anni di prigione del professore indigeno, chiedono al massimo tribunale di ammettere il ricorso per il  riconoscimento di innocenza presentato dalla difesa.

I firmatari ritengono che per l’interesse suscitato da questo caso su scala nazionale e internazionale, si possono fissare nuovi criteri a partire dalle recenti interpretazioni sulla portata delle garanzie contemplate dalla Magna Carta e dai trattati internazionali ratificati dallo Stato messicano, che il Potere Giudiziario ha sviluppato alla luce della riforma costituzionale in materia di diritti umani. http://www.jornada.unam.mx/2012/09/22/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La riattivazione di Paz y Justicia

Gloria Muñoz Ramírez

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

15/09/2012

Il recente attacco armato contro la comunità Comandante Abel, formata da basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nella zona nord del Chiapas, è parte della ripresa flagrante del gruppo paramilitare Paz y Justicia, sostenuto dal 1995 dai governi di turno, tanto statali come federali, quando fu riconfigurata la mappa della militarizzazione e paramilitarizzazione dello stato, allo scopo di annichilire la resistenza e l’autonomia dei popoli zapatisti.

È importante segnalare che frange importanti di questo gruppo, nato con la copertura, finanziamenti e addestramento del PRI, dell’esercito e dei governi, e che ha cambiato nome o inventato nuove sigle per la sua visibilità, fanno ora parte del Partito Verde Ecologista che fa parte dell’alleanza politica con la quale assumerà il potere il prossimo governatore, Manuel Velasco Coello.

Nonostante le numerose prove della violenza estrema perpetrata da Paz y Justicia, questo gruppo è sempre esistito ed i suoi membri non sono mai stati disarmati, benché alcuni dei suoi leader abbiano varcato i cancelli della prigione agli inizi dello scorso decennio (e non come paramilitari, ma per reati comuni).

Paz y Justicia è nato nella zona nord del Chiapas, nella regione ch’ol, e tra il 1995 ed il 2000, secondo un rapporto del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), la sua attività violenta, appoggiata dall’esercito e dalla polizia, ha provocato migliaia di profughi e decine di desaparecidos, torturati e giustiziati.

Presente nei municipi di Tila, Tumbalá, Sabanilla, Yajalón e Salto de Agua, Paz y Justicia per qualche anno ha mantenuto un relativo basso profilo, ma non è mai stato disattivato. In questo contesto si iscrivono le aggressioni alla comunità zapatista di San Patricio, fondata nel 1995 dentro il municipio autonomo La Dignidad, caracol di Roberto Barrios, su terre recuperate con la sollevazione del 1994.

A causa delle costanti aggressioni, la resistenza zapatista, nel maggio scorso, ha trasferito le basi di appoggio in un’altra proprietà vicina, chiamando il nuovo villaggio Comandante Abel, e la persecuzione armata di Paz y Justicia è arrivata anche lì.

Considerando che si continua a resistere e parallelamente si sta costruendo uno spazio di dignità e ribelle da parte delle basi di appoggio zapatiste, si è aperta una campagna di raccolta di cibo e fondi a San Cristóbal de las Casas. Le persone o le organizzazioni che vivono in altre geografie e vogliono dare il proprio aiuto possono scrivere alla casella di posta elettronica: elcor.chiapas@gmail.com.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 14 settembre 2012

Continuano le aggressioni dei paramilitari contro la comunità zapatista Comandante Abel

Donne, vecchi e bambini sono fuggiti in montagna; ci sono quattro desaparecidos

La situazione delle basi di appoggio è grave, denuncia la JBG Nueva semilla que va a producir

Hermann Bellinghausen

Proseguono le aggressioni dei paramilitari del gruppo Paz y Justicia, sotto la sigla della UCIAF, contro la comunità zapatista Comandante Abel, i cui abitanti hanno dovuto fuggire in montagna per proteggersi dagli spari. La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, del caracol di Roberto Barrios, nella zona nord, definisce grave la situazione delle basi di appoggio di questa comunità e di Unión Hidalgo, nel municipio autonomo La Dignidad.

L’invasione violenta del villaggio è iniziata lo scorso 6 settembre e nonostante le denunce, le autorità non sono intervenute per fermare gli attacchi. Il giorno 8 sono proseguiti gli spari con armi di grosso calibro in direzione della comunità. Bambini, donne ed anziani si sono nascosti tra gli alberi e sono fuggiti in montagna per la paura di essere raggiunti dalle pallottole. Hanno trascorso due giorni e due notti sotto la pioggia e al freddo, poi si è saputo che sono riusciti a raggiungere altre comunità.

La JBG riferisce di due donne scomparse e due bambini malati di febbre, vomito, diarrea e tosse. Sono 70 tra uomini, donne, bambini ed anziani. Alcuni sono rimasti a difendere la terra. Gli invasori hanno costruito due trincee e tre case, mentre anche le basi zapatiste della vicina Unión Hidalgo si sono spostate a causa delle pesanti minacce di essere massacrati dai paramilitari della comunità stessa. Per tre giorni le famiglie si sono rifugiate in montagna. Gli sfollati sono 10 ed un neonato; sono rimasti solo i giovani per difendere le case ed i beni.

Il 9 settembre gli aggressori hanno ampliato il luogo che hanno occupato e dal pomeriggio hanno iniziato a sparare. Nella notte sono arrivati rinforzi armati provenienti da Saquijá, municipio di Sabanilla. Il giorno 11 hanno costruito cinque abitazioni.

La JBG accusa l’ex candidato priista Carlos Cleber González Cabello di finanziare l’acquisto di armi degli invasori. Di tutto quello che sta accadendo e di quello che succederà, la JBG ritiene responsabili i tre livelli del malgoverno quali autori intellettuali che organizzano, finanziano, addestrano, armano e comandano questi gruppi paramilitari e delinquenti attraverso le proprie istituzioni armate. Vedendo che le basi zapatiste non cadono nell’inganno delle elemosine, loro proseguono il loro piano di impadronirsi delle ricchezze del nostro paese. Quindi, mandano ad ammazzare, sgomberare e distruggere le nostre terre. Il governo parla di pace, di difendere le garanzie, di giustizia in Messico, e chiede l’aiuto economico dell’ONU per combattere la povertà, ma quel denaro viene usato solo per finanziare i gruppi armati.

La giunta zapatista chiede: È pace organizzare dei gruppi per ammazzare il proprio fratello? Qual’è il grave crimine che hanno commesso questi compagni: possedere un pezzo di terra per vivere e mantenere la famiglia? Il governo è una vergogna davanti al mondo, dice combattere la criminalità mentre in realtà protegge gruppi e dirigenti che agiscono pubblicamente contro i popoli in resistenza; il malgoverno sa chi sono, dove vivono, ma non fa niente perché è lui il loro capo e li protegge.

La JBG dichiara: Non siamo contro quelli che non sono d’accordo con noi; al contrario, al gruppo filogovernativo che vive a San Patricio abbiamo dato una parte della nostra terra perché anche loro hanno diritto alla vita, e per questo le nostre basi si sono trasferite nel podere di La Lámpara per costruire la loro nuova comunità in onore al nostro compagno scomparso Comandante Abel. http://www.jornada.unam.mx/2012/09/14/politica/026n1pol

Comunicado íntegro de la JBG Nueva semilla que va a producir

Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La JBG Nueva Semilla Que Va a Producir denuncia l’attacco armato dei paramilitari nella comunità autonoma Comandante Abel

 Caracol V Que habla para todos, Roberto Barrios, Chiapas Messico

7 Settembre 2012

 Alla società civile nazionale e internazionale. 

Agli aderenti dell’Altra Campagna. 

Alla Sesta Internazionale. 

Ai media alternativi. 

Agli organismi indipendenti dei diritti umani. 

Alla stampa nazionale e internazionale. 

Compagni e fratelli, 

Denunciamo la situazione che si sta vivendo nella nuova comunità Comandante Abel, già San Patricio, Municipio Autonomo Ribelle Zapatista La Dignidad, Chiapas, Municipio ufficiale di de Sabanilla. 

1.- Il giorno 6 settembre 2012 alle ore 7 del mattino un gruppo di 55 persone armarte sono arrivate a circa 200 metri dalla nuova comunità con l’intento di impossessarsi del terreno dei nostri compagni basi di appoggio.
– Il gruppo proviene dalla comunità Union Hidalgo ed i priisti da San Patricio del municipio ufficiale di Sabanilla. Questo gruppo è venuto con l’obiettivo di invadere e cacciare i nostri compagni dalle loro terre e beni. 

Quando sono arrivati hanno costruito una tettoia e issato una bandiera rossa, ed alle 11 della mattina stessa hanno cominciato a rubare il mais verde dei compagni. 

– Alle ore 12 hanno sparato con armi calibri 22.
-Alle 3 del pomeriggio sono arrivati tre funzionari del malgoverno nel luogo occupato dagli invasori accompagnati da bambini e bambine figli dei priisti della comunità di San Patricio; poi se ne sono andati. Successivamente sono arrivati altri paramilitari fino a raggiungere il numero di 70 invasori. 

– Alle 8 di sera i paramilitari si sono mossi in varie direzioni sparando numerosi colpi (26 spari). 

– A mezzanotte si sono uditi altri due spari di calibro 22 e sono arrivati altri rinforzi dei paramilitari. 

2.- All’alba del 7 settembre i paramilitari erano 150 ed hanno iniziato a distruggere i campi di girasoli e le recinzioni dei pascoli del collettivo dei nostri compagni basi di appoggio. 

– Alle 10:10 del mattino, un compagno è uscito di casa per vedere cosa stava succedendo e 3 elementi del gruppo invasore che indossavano divise militari e passamontagna hanno sparato 30 colpi con armi di grosso calibro (pistole 9 millimetri, AR-15) ed uno dei proiettili ha colpito la casa del compagno. 

– Alle 10:30 del mattino hanno circondato la comunità a circa 150 metri di distanza, tutti con armi di diverso calibro; si sono contate 19 armi.

3.- I dirigenti paramilitari del gruppo armato Paz y Justicia che guidano questa operazione di sgombero, minacce, aggressioni e furti contro i nostri compagni sono: Pedro Ramírez Guzmán judicial segreto dell’ejido Unión Hidalgo municipio ufficiale di Sabanilla, Jesús Ramírez Guzmán commmissario ejidale, Ramiro Encino Gómez consiglio di vigilanza della stessa comunità, Ignacio Gómez Guzmán, Luis Gómez Encino, Oscar Gómez Ramírez, Miguel Encino Gómez, Hipólito Ramírez Martínez, Carlos Clever Gonzales Cabello ex candidato del PRI dirigenti di Paz y Justicia, Rolando Gómez Guzmán ex soldado, Manuel Cruz Guzmán commissario di San Patricio, Gerónimo Ramírez Martínez judicial segreto della stessa comunità di San Patricio, Conrado Gómez Guzmán agente municipale dell’ejido Unión Hidalgo, Javier Guzmán Encino ex funzionario del governo del municipio ufficiale di Sabanilla sono coloro che dirigono queste azioni contro il nostro popolo, su indicasioni dei loro capi del malgoverno. 

4.- Tutto questo fa parte della guerra di contrainsurgencia messa in atto dal malgoverno dei ricco contro la nostra organizzazione ed i nostri popoli in resistenza. Il governo vuole spargimento di sangue e morte, mentre i nostri popoli in resistenza costruiscono le proprie vite con le risorse che madre terra mette a disposizione dove viviamo, per questo non permetteremo che il malgoverno, attraverso i suoi gruppi paramilitari ci tolga le terre recuperate nel 1994 con la vita ed il sangue dei nostri combattenti, perché la terra è nostra, era dei nostri nonni e bisnonni ai quali è stata tolta dai maledetti invasori spagnoli che li hanno uccisi ed hanno sparso il sangue di milioni di originari di queste terre. Per questo diciamo che la terra è nostra e la difenderemo a qualunque costo, perché il governo non ha cuore ma la cosa più triste è vedere che il malgoverno non si scontra direttamente con il popolo, ma strumentalizza e usa il povero della stessa razza per raggiungere il suo obiettivo di rubare, ammazzare e impadronirsi delle ricchezze.

 Di tutti i crimini citati e di tutto quello che può accadere ai nostri compagni, uomini, donne, vecchi e bambini che si trovano in grave pericolo di vita, riteniamo responsabili il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa, il governo dello stato di Juan Sabines Guerrero, il presidente municipale di Sabanilla Genaro Vázquez Pérez e la presidentessa municipale di Tila Sandra Cruz Espinisa.  

Chiediamo ai fratelli ed alle sorelle di buona volontà di vigilare sulla situazione dei nostri compagni basi di appoggio.

 Distintamente

Mandar obedeciendo
Junta de buen gobierno

LA CARTA VIENE CON EL SELLO DE LA JUNTA DE BUEN GOBIERNO SEMILLA QUE VA A PRODUCIR Y FIRMADA POR LOS INTEGRANTES DE LA JUNTA

Enrique Cruz Hernández
Alex Gómez Pérez
Efraín Gómez Pérez
Estrella Sánchez Sanchez

Comunicato originale

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Guerrero: Si mobilitano 800 poliziotti comunitari

http://mexico.nomads.indivia.net/2012/08/29/guerrero-si-mobilitano-800-poliziotti-comunitari/
Fonte: http://desinformemonos.org/2012/08/policia-comunitaria-2/

Messico. Il territorio in cui è presente la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias -Policía Comunitaria (CRAC–PC) di Guerrero, si è dichiarato in allerta massima ed ha mobilizzato più di 800 poliziotti comunitari “per qualunque cosa possa succedere”, ha segnalato Valentín Hernández, consigliere e avvocato della CRAC, in un’intervista con Desinformémonos, dopo che le autorità ufficiali del municipio di San Luis Acatlán hanno arrestato uno dei suoi rappresentanti regionali e, di conseguenza, la assemblea ha deciso la detenzione di cinque funzionari del Comune.

La polizia ministeriale di San Luis Acatlán arrestò il 28 agosto Máximo Tranquilino Santiago, membro e coordinatore della Casa de Justicia della CRAC, accusato di aver privato illegalmente della libertà, mentre usciva da casa sua, nella comunità di Yoloxóchitl e si dirigeva a lavoro a San Luis Acatlán. Poco dopo la assemblea regionale, autorità massima dei villaggi, ordinò ai suoi poliziotti comunitari di arrestare il giudice del carcere, il Ministero Pubblico di San Luis Acatlán ed altri tre funzionari.

Una delle esperienze autonome più notabili in Messico, in quanto a sistema di amministrazione della giustizia comunitaria, la formano più di 80 comunità della Costa Chica e Montaña di Guerrero, che, da quasi 17 anni, si sono fatti carico della propria sicurezza, riuscendo a diminuire la delinquenza fino al 90%.

In questo contesto, Abel Barreda, direttore del Centro di Diritti Umani della Montaña “Tlachinollan”, avverte in un’intervista telefonica che “esiste una volontà chiara di mettere fine al lavoro realizzato dai villaggi della Montaña e tacciare gli integranti della  CRAC come persone che infrangono i diritti umani”.

In un comunicato diffuso dalla CRAC si spiega che “l’agenzia del Ministero Pubblico ed il Giudice di Prima Istanza con sede in questa città, misero in atto un indagine ed una causa penale, contro i compagni coordinatori regionali: Máximo Tranquilino, Pablo Guzmán, Asunción Ponce Ramos, Claudio Carrasco, ed i comandanti regionali Melquiades Simón Santiago, Aureliano Martínez Tomas, Andrés Panuceno Germán e Felicito Clemente Quintero, accusati di aver privato della libertà Silvino Encarnación Gabino, abitante della comunità di Yoloxóchitl, che si trova detenuto ed in processo di rieducazione del sistema comunitario, accusato di aver assassinato un vicino della comunità di Yoloxochitl. Partendo da questa denuncia, il giudice firmò degli ordini di apprensione contro i nostri compagni ed oggi la polizia ministeriale ha arrestato il nostro compagno Máximo Tranquilino Santiago”.

In risposta, la organizzazione della Montaña e Costa Chica ordinò l’arresto di Filomeno Vázquez Espinoza, José Luis Bernabé Fernández, Omar Sandoval León e Napoleón Hernández Garibo, rispettivamente: giudice misto della Prima Istanza, segretario di accordi penali del Juzgado Mixto de Primera Instancia, agente titolare del Ministero Púbblico e l’agente ausiliare del Ministero Púbblico, “per non aver rispettato gli accordi di non aggressione al nostro sistema comunitario, violando il diritto e la cultura dei villaggi e le comunità originarie dello stato di Guerrero”.

“Non esiste l’intenzione di riconoscere l’apporto profondo dei villaggi nel tema della ricerca della giustizia e dei loro sistemi normativi. Ci son sempre dietro l’angolo poliziotti ministeriali o l’esercito per disarticolare quest’esperienza”, spiega Abel Barrara, difensore dei diritti umani della Montaña.

Negli ultimi mesi si sono incentivate le aggressioni ai villaggi della CRAC, e come esempi ci sono l’arresto di Agustín Barrera Cosme, le minacce di morte contro Cirino Plácido Valerio, il non risconoscimento come assessore di Valentín Hernández Chapa; la crescita del conflitto agrario tra Tilapa e Tierra Colorada, che provocò la morte del commisario municipale di Tilapa, Crisóstomo Bruno Peñaloza; la presenza crescente di gruppi della delinquenza organizzata che seminano terrore e insicurezza in tutta la popolazione. “Tutto questo lo leggiamo come parte di una strategia del governo e le imprese minerarie di debilitare i nostri villaggi e così riuscire a consolidare il loro stanziamento nei territori comunitari ed il saccheggio e sfruttamento delle nostre risorse naturali”, si avverte nel comunicato.

Barrera racconta: “si stanno aggiungendo altri attori, come la violenza organizzata, per generare conflitti nelle comunità con il fine che la Policía Comunitaria debba affrontare tali attori armati, spalleggiati dalle autorità statali. La Comunitaria si è dovuta schierare contro il crimine organizzato, quando hanno arrestato delle persone con droga e l’hanno bruciata, negando di consegnarla all’esercito”.

Il recente arresto dell’integrante della CRAC avviene nel momento della prossima integrazione di altre sette comunità della Montaña Alta al sistema de giustizia autonomo, il 2 di settembre, e di altre trenta comunità che sollecitano il loro ingresso. In un recente comunicato la Coordinadora Regional rese pubblico che circa altre 60 comunità stanno sollecitando la entrata nell’organizzazione per quest’anno.

Per Abel Barrera, gli arresti non sono atti isolati, ma “parte di una logica del governo di Ángel Aguirre, di una strategia per cancellare le organizzazioni critiche e indipendenti che difendono i loro diritti con la protesta”.

“E’ la stessa politica del governo del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e del Partito dela Revoluzione Democratica (PRD), vale a dire, offrono una mano tesa da un lato e un pugno con l’altra, con una salutano e con l’altra colpiscono, stabiliscono accordi che poi tradiscono. È un gioco macchiavellico di uno stile di governo” denuncia Barrera.

“Noi sappiamo che con la mobilitazione e l’appoggio solidario delle organizzazioni sociali sorelle possiamo contenere l’offensiva”, segnale da parte sua Valentín Hernández Chapa, assessore della CRAC.

Traduzione de La Pirata
http://lapirata.indivia.net/

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La Jornada – Martedì 28 agosto 2012

Inizia la quarta tappa della campagna “Abbattiamo i muri della prigione”

Hermann Bellinghausen

Questo lunedì è iniziata la quarta tappa della campagna mondiale Abbattiamo i muri della prigione che durerà nove giorni e vuole far risuonare di nuovo la diffusa richiesta di liberazione dei prigionieri politici indigeni del Chiapas, zapatisti e dell’Altra Campagna. Nei mesi scorsi le proteste hanno assediato ed irritato consolati ed ambasciate del Messico negli Stati Uniti, in Francia, Nuova Zelanda, Germania, Spagna, Regno Unito ed altri paesi, su iniziativa del Movimiento por la Justicia del Barrio e dell’Altra Campagna di New York. 

Dalla prigione, Alberto Patishtán Gómez ha salutato questa campagna internazionale il cui scopo è chiedere giustizia e libertà che sono state rubate dai governanti ingiusti che continuano ad operare contro coloro che lottano per la giustizia, ed ha affermato: “Ho sofferto molto quando hanno cercato di uccidermi con quel crudele trasferimento, ma grazie a Dio e a voi per la vostra solidarietà nel chiedere la mia libertà o il ritorno, ora sono qua e sono di nuovo con i compagni solidali della Voz del Amate, gli aderenti all’Altra Campagna ed il compagno Francisco Santiz López dell’EZLN”.

Nel nostro paese si realizzeranno eventi a San Luis Potosí, Città del Messico, Jalapa, Puebla ed in altre città. Da Bogotà, Colombia, questa domenica è giunta una nuova adesione di collettivi che annunciano una giornata informativa e di solidarietà davanti alle costanti aggressioni del malgoverno che hanno colpito la base di appoggio zapatista di San Marcos Avilés, così come la liberazione di Francisco Santiz López, base zapatista di Tenejapa, ingiustamente in prigione.

La comunità di San Marcos, segnalano i gruppi di Bogotà, “è vittima di minacce e violenza da parte di persone che il governo, sotto quello che si conosce nel contesto attuale messicano come ‘guerra di bassa intensità’, compra ed utilizza dentro la stessa comunità per dividere ed aggredire gli zapatisti che si rifiutano di partecipare ai progetti capitalisti del malgoverno perché in questo modo cadrebbe il loro progetto di autonomia che stanno costruendo da quasi 20 anni”. Le aggressioni, specificano, si manifestano con l’incendio dei raccolti di mais e caffè, i furti delle coltivazioni, la minaccia di distruggere la scuola autonoma Emiliano Zapata, tagliare la luce e cacciarli dalla loro comunità, oltre alla paramilitarizzazione dei loro territori.

Intanto, nella zona tzotzil degli Altos del Chiapas il gruppo cattolico Pueblo Creyente “realizzerà azioni durante i ‘9 giorni di azione globale’ in appoggio alla domanda globale di liberazione immediata” di Patishtán, aderente all’Altra Campagna e prigioniero politico per reati che non ha commesso. Il prossimo venerdì si svolgerà un giorno di preghiera e digiuno al quale parteciperanno fedeli di 11 parrocchie della zona. Il 4 settembre ci sarà un pellegrinaggio ed un incontro nella cattedrale di San Cristóbal. 

Nell’ambito dell’eco mondiale in appoggio agli zapatisti sono confermate azioni in India, Portogallo, Panama, Sudafrica, Ecuador, Canada, Argentina, Cile, Austria, Italia, Uruguay, Australia e Brasile. http://www.jornada.unam.mx/2012/08/28/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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