Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for novembre 2014

ayotzinapa-fue-el-estado1

Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

Dove vanno i desaparecidos?
Cerca nell’acqua e nella boscaglia.
E perché spariscono?
Perché non tutti siamo uguali.
E quando torna il desaparecido?
Ogni volta che lo porta il pensiero.
Come gli si parla al desaparecido?
Con l’emozione stringendo il nodo dentro.
Dalla canzone “Desaparecidos” di Rubén Blades

Llamas Peña Nieto

“Sembra esistere l’intenzione di destabilizzare il paese e attentare contro il progetto di nazione”, Enrique Peña Nieto, 18 novembre 2014.

“Forze oscure desiderano destabilizzare la nazione”, Gustavo Diaz Ordaz, agosto 1968.

(Di Fabrizio Lorusso – CarmillaOnLine) Il presidente messicano Díaz Ordaz pronunciò queste parole a poche settimane dal massacro della Plaza de las Tres Culturas, Tlatelolco, del 2 ottobre in cui oltre 300 studenti furono assassinati dall’esercito dopo un comizio. Era un messaggio chiaro, minaccioso, contro i manifestanti, le proteste e ogni forma di critica al governo e allo stato. Proprio come succede oggi.

Due mesi dopo

68 mon a la revolucion26 settembre, 26 novembre 2014. Sono passati due mesi dalla strage degli studenti della scuola normale di Ayotzinapa a Iguala, nello stato messicano del Guerrero. Responsabili ufficialmente non ce ne sono. Quest’anno in Messico le tradizionali cerimonie del 20 novembre per ricordare l’inizio della Revolucion del 1910 si sono svolte in un campo militare mentre decine di migliaia di manifestanti scendevano nelle strade per chiedere giustizia e il ritrovamento “in vita” degli studenti della scuola normale di Ayotzinapa, scomparsi lo scorso 26 di settembre. Ma in questa IV Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa non solo “Giustizia!”, non solo “Vivi li han portati via, vivi li vogliamo!” hanno gridato le piazze, ma anche “¡Fuera Peña!” e “Governo assassino”. E il Messico s’infiamma, brucia un enorme pupazzo del presidente nel mezzo dell’enorme piazza centrale, lo zocalo, ed è una pira sacrificale con le fattezze di Peña. L’allegria per l’oceanica manifestazione, la partecipazione, la nuova gran comunità che si sta creando in Messico, si fonde con la rabbia e la tristezza. I familiari dei 43 studenti chiamano a mantenere vivi il movimento e la protesta.

I fatti secondo il procuratore che dice “#YaMeCanse” (mi son stancato) e l’ombra dell’esercito

La notte del 26 settembre tre studenti sono stati uccisi dalla polizia locale. Quel giorno gli alunni normalisti si trovavano a Iguala per raccogliere fondi e poter partecipare al corteo del 2 ottobre a Città del Messico, che si tiene ogni anno per ricordare la strage di studenti di piazza Tlatelolco nel ’68. Un filo rosso di repressione e sangue lega quindi le due stragi. “Crimine di stato”, si legge su striscioni e manifesti per le strade del Messico. Altre tre persone che si trovavano per caso nel luogo della sparatoria sono state ammazzate. Infine altri 43 studenti sono stati sequestrati dagli agenti di Iguala, aiutati da quelli della vicina città di Colula, e poi, secondo le testimonianze dei detenuti per il caso, sono stati consegnati ai membri del cartello della droga dei Guerreros Unidos, collusi con le forze dell’ordine e agli ordini del sindaco di Iguala, José Luis Abarca. I narcos li avrebbero bruciati per 15 ore, disperdendone poi i resti in un fiumiciattolo e nella discarica della spazzatura di Cocula.

ayotzinapa marchaIl 7 novembre il procuratore della Repubblica, Jesús Murillo, ha riferito questa versione, cercando di chiudere il caso, ma, in mancanza di prove scientifiche per sostenerla, non ha potuto dichiarare “morti” gli studenti che restano, quindi,desaparecidos. I resti trovati nel luogo del rogo indicato dai narcos sono in Austria per uno studio del DNA che dovrà confermare o smentire il procuratore. Alla fine della conferenza stampa, irritato dall’insistenza dei giornalisti, il procuratore ha pronunciato la frase “Ya me cansé” (“ormai sono stanco”) che è diventata virale su Twitter ed è ora il tormentone nelle proteste. La società è stanca di menzogne e giustificazioni. Le dimissioni del governatore, l’arresto di Abarca, della moglie e di una sessantina tra narcos e poliziotti e la recente cattura del capo della polizia di Cocula, César Nava, accusato anche lui della sparizione degli studenti, non bastano e non possono di certo emendare una situazione di marciume strutturale.

Le versioni ufficiali e i polveroni sollevati alla fine di ogni conferenza stampa o dopo ogni rivelazione fatta da qualche detenuto o da presunti testimoni oculari e persone della zona potrebbero costituire un enorme specchio per le allodole che aiuterebbe a nascondere altre piste possibili, per esempio quella che punta verso il 27esimo battaglione d’infanteria dell’esercito a Iguala come possibile responsabile. Non è un’ipotesi scellerata. Nel 2011 HRW (Human Rights Watch) aveva denunciato la sparizione di 6 persone in un club notturno di Iguala, avvenuta alle 22:30 del 1 marzo 2010, filmata da una videocamera e infine confermata da alcuni testimoni che descrivono i sequestratori, e le persone al loro seguito, come appartenenti alle forze armate per i loro veicoli e le uniformi. I PM indagarono, ma rimisero il caso alla giurisdizione militare che nei 18 mesi successivi non accusò nessuno del crimine. HRW conclude che ci sono prove che suggeriscono decisamente il coinvolgimento dell’esercito. I sei desaparecidos non sono più tornati a casa.

La IV Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa e gli arresti arbitrari

“E’ stato lo Stato”, “Vivi li han portati via, vivi li vogliamo” sono gli slogan che da due mesi rimbalzano sui social e in tutte le manifestazioni. Il pomeriggio del 20 novembre migliaia di persone in 150 città hanno espresso la loro solidarietà ai familiari dei ragazzi e al Messico intero, immerso in una spirale di violenza che ha fatto oltre 100mila morti e 27mila desaparecidos in 8 anni. Nella capitale messicana oltre 150mila persone hanno sfilato nel centro per cinque ore. I genitori dei 43 desaparecidos sono arrivati nella capitale dopo aver percorso in tre carovane diversi stati del Messico durante una settimana. E tre erano anche i cortei previsti: uno di professori e studenti, in partenza da Tlatelolco, una marcia dei sindacati, con concentrazione al Monumento a la Revolucion, e infine il più grande, quello della società civile e i collettivi che partiva dall’Angel de la Independencia. “Non abbiamo paura, protestiamo anche per l’impunità, la corruzione, i femminicidi, non solo per Ayotzinapa, è ora di muovere il Messico, ma non come dice il presidente”, spiega Mario, padre di famiglia che marcia con suo figlio in braccio.

68 unaDopo il passaggio dei cortei, pacifici e variopinti, e il comizio dei genitori di Ayotzinapa, la polizia ha sgomberato violentemente la piazza, piena di famiglie e dimostranti che si stavano ritirando. L’operazione è arrivata in risposta a un gruppo di circa 50 manifestanti dal volto coperto, che cercavano di forzare le transenne intorno al Palazzo Nazionale e lanciavano molotov e petardi, però s’è diretta disordinatamente contro la folla, facendo un saldo di decine di feriti e 15 arresti, tra cui alcuni giornalisti e studenti. “L’azione della polizia ha mostrato che non hanno dati d’intelligence, né preparazione per definire che azione realizzeranno”, ha spiegato in un’intervista Maria Idalia Gómez, una giornalista ferita negli scontri.

Quattro detenuti sono stati rilasciati nelle prime 24 ore. Invece a 11 prigionieri non solo è stato confermato il fermo, ma sono stati anche attribuiti capi d’accusa gravissimi e surreali – associazione a delinquere, tentato omicidio e sommossa – per cui sono stati rinchiusi in prigioni di massima sicurezza come fossero pericolosi boss. Le tre ragazze accusate dal pubblico ministero sono state mandate a Veracruz, gli otto ragazzi nel settentrionale stato di Nayarit.

Tra di loro anche un cileno, Laurence Maxwell, studente del dottorato in lettere dellaUniversidad Nacional Autonoma de México, che, arrivato in sella alla sua bici per presenziare alla manifestazione, è stato catturato senza motivo in una piazza invasa da fumogeni e celerini. Il ministro degli esteri cileno ha espresso la sua preoccupazione immediatamente e sta circolando un appello per la sua liberazione (in italiano qui). Il ministro degli esteri messicano, José Antonio Meade, in visita in Cile per un convegno sull’Alleanza del Pacifico e il Mercosur, ha avuto una conversazione col padre di Laurence, Alberto Maxwell che, insieme al resto della famiglia, ha denunciato le irregolarità negli arresti del 20 novembre, le interferenze col dovuto processo e la mala fede da parte dell’avvocato d’ufficio, Rafael Omalaya, e, infine, ha chiesto la liberazione anche degli altri detenuti.

famiglia represion zocalo“La polizia è stata gagliarda”

Nonostante i comprovati eccessi delle forze dell’ordine e la violazione di protocolli e diritti umani a profusione, c’è ancora chi, come il responsabile della sicurezza pubblica della capitale, Jesús Rodríguez Almeida, fa i complimenti ai suoi per come hanno agito il 20. “Mi complimento con il mio personale per il lavoro svolto, per il gran coraggio, la gagliardezza, la responsabilità e soprattutto perché hanno ristabilito l’ordine pubblico, che piaccia o no”, ha dichiarato. Malmenare famiglie e innocenti è un atto da valorosi a detta del capo della polizia. Inoltre già dalla mattinata del 20 giravano fotografie di presunti infiltrati della polizia o delle forze armate (esercito? marina?), seduti all’interno di una camionetta. Questi soggetti, più tardi, sono stati immortalati mentre compievano alcuni degli “atti vandalici” che le autorità hanno condannato.

Dal canto suo anche la Commissione dei Diritti Umani di Città del Messico s’era complimentata con la polizia per come ha operato nella riapertura delle strade bloccate dai manifestanti. Questo è l’ambiente in cui si sviluppano le proteste, impuzzolito e falsificato da buona parte dei mass media (vedi quotidiano Milenio) che aspettano la repressione per accaparrarsi fette maggiori di share, elogiare forze dell’ordine allo sbando o aprire con titoli celebrativi e tendenziosi. E intanto i poliziotti possono picchiare impunemente le donne in manifestazione gridando loro: “Fottute puttane perché siete venute a manifestare!”. Ecco i diritti umani in Messico, la costante e volontaria violazione della fosca frontiera tra delinquenza e legalità che annichila lo stato di diritto e la dignità umana.

Forse per spegnere un po’ l’incendio e la crisi politica, il ministro degli Interni, Miguel Ángel Osorio Chong, ha anticipato le prossime mosse del presidente, che annuncerà “misure importanti” in tema di giustizia e stato di diritto che coinvolgeranno la società civile e i tre poteri dello stato per “modificare completamente questo scenario in cui c’è una debolezza dello stato messicano”. Il ministro non ha fornito ulteriori dettagli al riguardo.tlatelolcoIl presidente del Senato, Miguel Barbosa (del PRD, Partido Revolucion Democratica), ha precisato qualcosa, parlando di una Commissione di Stato per elaborare proposte di riforma e affrontare i problemi della violenza e la sicurezza di cui dovrebbero far parte varie personalità della società civile dalla traiettoria e “qualità morali” riconosciute. L’idea è quella di “creare centri di comando unificati affinché i corpi di polizia locale siano controllati da quelli della polizia statale e questa, a sua volta, da quella federale”. Centralizzare per provare a evitare le infiltrazioni della criminalità organizzata. Per ora ci sono soltanto un po’ di suspense e molta incertezza, come in una telenovela a basso costo che serve a sviare l’attenzione.

Il movimento in crescita

Rispetto alle precedenti mobilitazioni è cresciuta la partecipazione non solo dei sindacati, dei lavoratori e degli studenti, uniti nell’Assemblea Interuniversitaria con 114 atenei, ma anche di collettivi di artisti e di tantissime famiglie, cittadini e associazioni che di solito non manifestano. L’asse delle proteste s’è spostato: non si chiede solo il ritrovamento degli studenti, ma anche le dimissioni del presidente e dell’Esecutivo. Prende piede anche l’idea di un movimento costituente o di rinnovamento radicale del paese. Nel breve e medio periodo, almeno, non sembra che le mobilitazioni possano fermarsi. La società civile chiede il conto a tutti i partiti e al governo, non solo alle forze dell’ordine e ai politici locali. Gli sforzi della procura e della diplomazia per far passare, tanto in Messico come all’estero, la mattanza di Iguala come un fatto isolato, locale, provocato da narcos e sindaci corrotti, quindi simile a tanti altri, sono stati vani.

ayotzinapa fue el estadoLa pressione internazionale aumenta ed è senza dubbio un fattore determinante per il successo e la legittimità di un movimento senza leader e in crescita, che coinvolge diversi strati della società e si struttura piano piano su obiettivi più ambiziosi, malgrado debba affrontare inevitabilmente seri problemi di coordinamento e di consolidamento di una massa critica.

Ayotzinapa è la punta di un iceberg che sta mettendo a nudo le menzogne delle riforme strutturali, promosse dal presidente Peña per “muovere il Messico tra i paesi che contano”, e del progetto di governo. “Non ci fermeremo, pare che alcune voci della protesta non vogliano che il paese cresca e non condividono questo progetto nazionale”, ha sostenuto Peña nei giorni precedenti alla protesta globale, parlando altresì di “movimenti di violenza che si nascondono dietro al dolore per protestare”. Una minaccia che s’è puntualmente realizzata. “Il presidente ha definito cortei e critiche come tentativi di destabilizzazione, minacciando l’uso della forza e ignorando la grave crisi dei diritti umani del Messico”, ha replicato il direttore Amnesty International-Messico, Perseo Quiroz. “La strage di Iguala non è un fatto isolato e il governo mostra poca serietà in questa situazione”, ha concluso.

Minacce, come nel ‘68

Il presidente Peña Nieto denuncia complotti e tentativi di destabilizzazione, includendo anche lo scandalo mediatico che è scoppiato sull’acquisto della sua residenza, detta “Casa Bianca”, che è probabilmente il più grave conflitto d’interessi della storia messicana recente. L’argomento del complotto e della destabilizzazione per giustificare la repressione è lo stesso del ’68, già usato da Díaz Ordaz, col sostegno dell’intera classe politica dell’epoca, dopo la gran manifestazione del 27 agosto di quell’anno. Oggi, per fortuna, non è più la maggior parte dei politici a seguire il discorso del presidente e la società civile ha altri strumenti per informarsi e ribellarsi. Il consenso sull’uso della violenza per contrastare le proteste cittadine all’interno delle élite politiche non è unitario, ma ciò non è sufficiente a evitare che la tenaglia, piano piano, si stringa sul dissenso, una volta che il caso Ayotzinapa abbia smesso di far parlare di sé, magari dopo che il governo e la procura avranno offerto un’altra “versione verosimile” dei fatti.

tlatelolco treNon lo possiamo sapere, ma Ayotzinapa e Iguala, senza dubbio, sono momenti di svolta e, affinché questa diventi irreversibile e favorisca un vero cambiamento, non esistono strade tracciate e soluzioni preconfezionate. Ilmovimento per la pace (MPJD) del 2011, preceduto dalle mobilitazioni contro la violenza verso i giornalisti scandite dallo slogan Basta Sangre!, e lo studentesco YoSoy132 del 2012 non sono del tutto spenti e sostengono #AyotzinapaSomosTodos. La loro esperienza e i loro insegnamenti sono preziosi, soprattutto perché sono nati anch’essi in modo spontaneo, grazie alle reti sociali, moltiplicate da una parte dei mediamainstream, e all’associazione di collettivi, individui, gruppi sociali e movimenti preesistenti, e si sono organizzati in modo orizzontale, coinvolgendo ampi strati della società civile che erano inerti.

Le pressioni su Peña Nieto e sua moglie Angelica Rivera arrivano anche dal presunto conflitto d’interessi rivelato da un’inchiesta del portale Aristegui Noticias la quale rivela che sua moglie possiede una villa lussuosissima, la “Casa Blanca”, in un quartiere esclusivo della capitale, in cui vive anche il presidente, e che questa è stata costruita da un’impresa del gruppo Higa, una compagnia che ha vinto decine di appalti milionari quando Peña era governatore del Estado de México, regione limitrofa di Città del Messico, e anche ora che è a capo dell’esecutivo e decide sulle “grandi opere”. Nelle ultime due settimane le relazioni tra business e politica, soprattutto per quanto riguardo il cosiddetto “gruppo della città di Atlacomulco”, legato da anni all’amministrazione del Estado de Mexico e alle correnti del PRI e del mondo imprenditoriale che sostengono Peña, sono state messe a nudo, il che ha generato aspre critiche e perdita di fiducia nei confronti della coppia presidenziale.

enrique y angelicaOsorio Chong, ministro degli interni, ha detto il 22 novembre che la “violenza non sarà mai la strada per ottenere giustizia”. Non si capisce se stia parlando della violenza della polizia messicana o di altri apparati dello stato, sinceramente. Ma ancora più paradossali sono state le dichiarazioni del 21 del presidente: “Ci sono persone interessate a guastare la libertà e questo non lo permetteremo”. Starà parlando di se stesso o del medesimo governo? Pare proprio di sì. Per essere precisi la frase è questa: “Non lo permetteremo perché è un obbligo dello Stato messicano nel suo insieme assicurare che le manifestazioni cittadine non siano sequestrate da coloro che agiscono con la violenza e il vandalismo”, in riferimento al gruppo di una cinquantina di incappucciati che hanno lanciato petardi e molotov contro i poliziotti.

La repressione del #20NovMx

Verso le ore 21 del 20 novembre la piazza è effervescente, il corteo è stato un successo. Alla fine dei comizi iniziano a partire molotov e petardi da un gruppo circoscritto di persone, relativamente inoffensivo e minoritario rispetto alla massa ancora presente nellozocalo, sicuramente controllabile dai 500 celerini che erano schierati e che avrebbero potuto incapsularli e fermarli. Invece no, si decide di attaccare alla rinfusa tutti, di torturare, invadere e fermare i dimostranti a casaccio, come sempre più spesso accade dal primo dicembre 2012, data dell’insediamento di Peña e del “nuovo” PRI che fu segnata dalla militarizzazione della capitale e da decine di arresti. Il copione è sempre quello: manifestazione pacifica, piccolo gruppo, spesso non identificabile e fuggevole, di infiltrati,incappucciati, black bloc, anarchici (secondo le cambianti e fumose definizioni della stampa e dei portavoce ufficiali) e poi repressione violenta con aggressioni contro fotografi, reporter e difensori dei diritti umani, con decine di arresti indiscriminati che, spesso, non possono nemmeno essere confermati per mancanza di prove da parte degli inquirenti. All’arresto, inoltre, segue sempre una lunga serie di abusi e umiliazioni.

zocalo 68Sempre il 20 novembre, durante le manifestazioni e i blocchi stradali realizzati da circa 5-600 dimostranti la mattina, finiti con 16 arresti, sono stati aggrediti ben 18 giornalisti, secondo l’organizzazione per la difesa della libertà d’espressione Article19, mentre nel pomeriggio, nello zocalo, il corrispondente e fotografo cileno dell’agenzia AP, è stato arrestato, e quasi subito rilasciato non prima di vedersi rubare le attrezzature, ed è stato ferito Eduardo Molina, fotografo del settimanale Proceso e autore della foto che apre quest’articolo, diventata il simbolo della IV Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa. Molina è stato colpito da un agente che gli ha scagliato addosso un pezzo di una transenna metallica, per cui ha dovuto farsi ricoverare. Brucia il pupazzo raffigurante il presidente e brucia il Messico, di rabbia e protesta per l’inettitudine e gli inganni delle autorità. E poi arriva la vendetta, la “coreografia infernale”, come l’ha definita lo scrittore Tryno Maldonado in una terrificante e veritiera cronaca dei fatti.

“Nelle azioni della polizia, che conosco bene per aver coperto molte situazioni come questa, si nota che non hanno informazioni d’intelligence, si nota che non hanno una preparazione previa per definire qual è l’azione o operazione che realizzeranno, basta vedere come hanno agito la sera del 20 novembre”, spiegava, ancora scioccata, in un’intervista radiofonica, Maria Idalia Gómez, giornalista di Eje Central, portale informativo di stampo conservatore.

Violenza e negazione

Stava provando a raccontare cosa è successo alla fine di un’enorme e pacifica manifestazione a Città del Messico, quando una cinquantina di incappucciati e indignati hanno cominciato a muovere le transenne protettive e a lanciare petardi e molotov in direzione dei poliziotti che presidiavano il portone del Palacio Nacional, sede del potere presidenziale. C’erano ancora migliaia di persone in piazza e per le strade del centro, una parte dell’ultimo corteo, quello che arrivava dall’Angel de la Independencia, doveva ancora fare il suo ingresso nella piattaforma dello zocalo. Il piazzale era stipato di famiglie, bambini, dimostranti, cittadini, persino turisti e passanti, ma la vendetta poliziesca, perché di vendetta è giusto parlare, è arrivata comunque.

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=rz3ygBi0qcc

Comincia l’attacco, la farsa del mantenimento dell’ordine dove l’ordine c’era già. Azioni indiscriminate, ripetute, anche contro chi non aveva partecipato al corteo o comunque non era nel gruppo che aveva provocato i primi scontri. Un’ora di repressione pura della polizia federale e dei granaderos (corpi antisommossa di Città del Messico), attaccando le famiglie alla rinfusa, cercando di catturare gli aggressori che, però, sfuggono, strisciano via. Reati di stato, violazioni ai diritti umani, e nessuno che lo possa negare. Ciononostante c’è chi ci prova, comunque.infiltrados22Come Juan José Gómez Camacho, ambasciatore del Messico in Belgio e presso l’Unione Europea, che il 25 novembre s’è visto costretto a dare udienza a un centinaio di messicani, belgi e cileni, accompagnati da Amnesty International e altre organizzazioni. I presenti l’hanno messo alle corde criticandolo per la sua posizione estremamente “diplomatica” di fronte all’emergenza che vive il paese (video). “Il Messico non ha fatti isolati, in 20 mesi col signor presidente ci sono più di 50mila morti…”, lo increpa una donna.

“No”, la interrompe l’ambasciatore. E lei continua: “Io so che il governo attuale sta lavorando, ma stanno ammazzando molta gente e stanno sparendo in tanti. Mi scusi, ma molti di noi sono qui perché non possiamo stare in Messico, quale sarà la posizione di un Ambasciatore che è indignato e che deve dire ‘stop’ perché in Messico ci sono atti di lesa umanità, crimini di lesa umanità?”. “Non lo condivido”, risponde secco il funzionario mentre i presenti alzano la voce stizziti. Gomez Camacho nega persino le violenze e aggressioni del 20 novembre sostenendo che la polizia ha agito per controllare la violenza. “Io non ho visto nessun incappucciato in arresto”, grida un giovane. “Non so cosa ha visto lei”, risponde il diplomatico. E il giovane ribatte: “Non ho bisogno ormai delle sue parole, ho bisogno delle sue dichiarazioni sul giornale, in cui dice che il Messico non va bene”. Clamando “Rinuncia, rinuncia”, la gente si ritira e il dialogo finisce.

Lo stato vittimizza ripetutamente e il mondo reagisce

“Dai, così vi viene voglia di ritornare”, gridavano i poliziotti mentre picchiavano uomini e donne, anziani e passanti. Scudi contro corpi, sfollagente su ossa e teste. Random. Hanno addirittura tirato sedie addosso ai commensali di alcuni ristoranti coi tavolini all’aperto. ¡Bienvenidos! Tra gas lacrimogeni, inseguimenti perversi, urla e manganellate, arresti arbitrari di cittadini e giornalisti, insulti e torture, le “forze dell’ordine” hanno mostrato la loro impotenza e hanno violentato, ancora una volta, la società e il diritto d’espressione e libera manifestazione, mostrando il vero volto del nuovo autoritarismo messicano, mascherato da riformismo paternalista e modernismo straccione. Il video dell’arresto dello studente Atzín Andrade (Video Link 20 sec) parla da solo.

MOV2 DE OCTUBRE DE 1968 INFORMACION MOVIMIENTO  ESTUDIANTIL EN TLATELOCOPaura, sorpresa, incertezza, violenza e, come è successo a tutti i 31 arrestati del 20 novembre e ai 23 di loro che sono stati trattenuti, la negazione della scelta dell’avvocato difensore e l’impossibilità di comunicare col mondo esterno per molte ore, tra le varie violazioni ai diritti umani subite. Le responsabilità di quanto accaduto deve partire dai corpi di polizia che hanno partecipato allo sgombero ma soprattutto deve arrivare fino ai loro capi.

L’importante, quindi, non è prendere gli eventuali responsabili delle violenze o i colpevoli dei reati, sempre che ne siano stati commessi per davvero, ma instillare la paura, diffondere un messaggio chiaro: se manifesti, può succedere anche te, e non ci interessa che cosa stavi facendo, il manganello colpisce tutti solo per il fatto di essere lì in quel momento. Proprio come la narco violenza che non massacra solamente i trafficanti e i sicari della criminalità organizzata, come cercano di farci credere da 8 anni a questa parte, ma può colpire tutto e tutti, in qualunque momento, su un autobus di linea o in un campeggio, fuori da un bar o in un parco, dentro alla metro o in una festa in piazza.

Ovunque, sempre, anche se non ce ne accorgiamo e se ci ripetono che i “mafiosi” si sparano solo tra di loro. Sì, e i poliziotti invece picchiano e trattengono, torturano e sequestrano solo i delinquenti, non i cittadini “decenti”. Per un po’ volevano farci credere questa favoletta anche nel caso della mattanza degli studenti Iguala. “Le vittime erano dei guerriglieri”, dicevano alcuni. “Ordine è stato fatto”, “Erano legati ai narcos rivali deiGuerreros Unidos, ai Los Rojos”, facevano eco altri, tra giornalisti venduti, pessimi rappresentanti della “legge” e politici in mala fede.

Sprad the news presos 20NLa parola “decente”, contrario di indecente o sconcio, è stata utilizzata anche nella riforma educativa, proprio nella legislazione, per descrivere il tipo di lavoro che “finalmente” potranno ottenere i maestri messicani, come se fino ad oggi fossero stati sconvenienti, immorali, e la riforma, approvata l’anno scorso dal parlamento su proposta presidenziale e contestata duramente dai sindacati dissidenti degli insegnanti, venisse a salvarli dalle loro bassezze. Perversioni del linguaggio e d’una certa classe politica. Il presidente ha sottolineato come ci sia stato un “coordinamento tra le forze federali e quelle della capitale per far rispettare la legge durante le mobilitazioni di giovedì”. Ci vuole davvero del cinismo.

Il discorso ufficiale dice una cosa, però la realtà, ritratta da migliaia di foto e video lo smentisce. Ma la TV ha un potere ancora maggiore delle reti sociali ed ecco che la repressione dello zocalo del 20 novembre deve iniziare e finire prima del telegiornale più seguito, quello delle 22.30. Così si potrà raccontare come la polizia federale e quella della capitale hanno agito per salvare la patria da alcuni facinorosi, 100 o 200mila facinorosi che, tornando a casa, non possono far altro che gridare “Governo assassino!” e “Fuori Peña!” e darsi appuntamento per il prossimo corteo o la prossima assemblea. Il foro globale per Ayotzinapa, formato all’estero da oltre 60 istituzioni e organizzazioni per aumentare la pressione internazionale, per denunciare la situazione e creare iniziative, raccolte dal blog https://ayotzinapasomostodos.wordpress.com/, sta promuovendo un appello Contro la repressione e la criminalizzazione della protesta civile in Messico. La lettera si può firmare a questo LINK.

Che cosa raccoglie un paese che semina corpi?

unam 68Il compositore di salse e ballate panamense Ruben Blades canta e si chiede: “Dove vanno i desaparecidos?”. Alcuni hanno il privilegio di finire nella memoria collettiva, pochi ricompaiono, altri restano con le loro famiglie, come ombre e ricordi della vita che avevano e che lo stato gli ha portato via. Alcuni finiscono sulle foto appese ai muri nelle stazioni della metropolitana e la maggior parte confluisce in una statistica incerta, traballante, come quelle che da un lustro rimbalzano sui media e sui siti governativi del Messico. Paese di fosse comuni, paese di bellezze naturali, deserti, oceani a est, a ovest, e coste infinite, come le piantagioni di papavero da oppio e marijuana. Territorio ricco di tradizioni, tragedie e arti senza eguali, tra i primi esportatori di auto straniere e metanfetamine. Paese di desaparecidos, 22mila, 27mila, 30 mila, nessuno lo sa. Ma si sa che sono tanti.

Come tanti sono i 43 studenti della scuola normale “Isidro Burgos” di Ayotzinapa, sequestrati dai poliziotti di Iguala e Cocula, nello stato del Guerrero, la notte del 26 settembre e consegnati, per ordine del sindaco di Iguala, José Luis Abarca, a una banda di narcotrafficanti dal nome ridicolo e terribile: i Guerreros Unidos. Lo stato c’era, ma non ha agito. La polizia statale e quella federale non sono intervenute. Il 27esimo battaglione dell’esercito, di stanza nella zona, non solo non ha impedito l’uccisione di tre studenti e di altre tre persone, non solo “non ha avvertito” sparatorie e inseguimenti durati ore nella sua zona di competenza, lavandosene le mani, ma i soldati hanno addirittura vessato e maltrattato gli studenti che s’erano rifugiati in un ospedale per chiedere aiuto e soccorso. Li ha chiamati dottore dell’ospedale. Perché?

Sapeva che questi l’avrebbero fatta pagare cara ai “rivoltosi” alunni della normale? Pare proprio di sì. Li ha chiamati perché chi comanda realmente là sono loro? Forse sì. Non il sindaco, corrotto fino all’osso e colluso coi narcos al punto da utilizzarli come braccio armato per tutti i suoi lavoretti, in alleanza con la polizia locale controllata dal suocompadre Felipe Flores. Non sua moglie, sorella di quattro narcotrafficanti e connessione logica tra gli affari sporchi del marito e quelli della sua famiglia d’origine. Non l’ex governatore Aguirre, ora dimissionario ma sempre in attesa di tornare sulla scena politica grazie al sostegno indefesso dei suoi compagni di partito del PRD. O almeno non solo loro.

pri diaz ordaz peña nietoOltre alle zoppicanti versioni della procura stanno circolando altre ipotesi che attribuiscono la responsabilità dei fatti di Iguala all’esercito, come sostengono l’ex Generale Francisco Gallardo, intervistato da Federico Mastrogiovanni per la rivista Variopinto, e un comunicato del gruppo guerrigliero EPR (Esercito Popolare Rivoluzionario). Entrambi denunciano come fino ad oggi l’esercito abbia condotto nella regione una sorta di guerra permanente di bassa intensità contro studenti e contadini, gruppi insorti e sindacati, che, oltre a rappresentare le voci più critiche a livello politico, s’oppongono allo sfruttamento delle risorse da parte delle multinazionali del settore minerario. A un’ora da Iguala, infatti, c’è la miniera d’oro più importante dell’America Latina e nella zona s’estraggono anche argento, piombo, ferro, rame e zinco.

Forze armate messicane, neoliberalismo e riformismo presidenziale

L’esercito mantiene la sua buona fetta di potere, ingrassato economicamente e potenziato nelle sue funzioni dalla politica di narco-guerra di Calderón (2006-2012) e mantenuto da Peña Nieto, forse impantanato tra la tentazione di ridimensionarne il budget e la presenza sul territorio e l’impossibilità concreta di farlo. Più facile ordinare alle TV amiche e al corpo consolare in tutto il mondo la propagazione di campagne mediatiche e offensive diplomatiche per nascondere i problemi endemici del paese, molto più “strutturali” del pacchetto di riforme costituzionali che sono dette, appunto “strutturali” e sono state approvato in fretta e furia nel 2013 dai partiti del Patto per il Messico, le grande intese alla messicana tra PRI, PRD e PAN (Partito Acción Nazional).

68 dueOggi la “coalizione” per le riforme è fallita, ma ha lasciato una bella eredità al Messico: riforme neoliberali e frettolose in quasi tutti i settori dell’economia e del mondo del lavoro, dall’energia all’istruzione, dalle telecomunicazioni al fisco. Mentre il debito cresce quasi come ai tempi d’oro del vecchio PRI del secolo scorso, non si prevedono le coperture per rimpiazzare la rendita petrolifera generata dalla compagnia statale PEMEX che, asfissiata dai sindacati cooptati dal governo e dal fisco che si porta via a priori i 2/3 del suo fatturato, è in caduta libera. Le entrate statali per gas e crudo verranno presto ulteriormente compromesse dall’ingresso delle multinazionali energetiche straniere, assetate di idrocarburi e forza lavoro capace, disciplinata, ricattabile e iper-flessibile. L’Europa pare seguire il “modello socio-economico messicano” e il Messico lo radicalizza per dare il buon esempio e farsi bello dinnanzi agli investitori europei, cinesi, americani e giapponesi.

Di fronte alla ritirata dello stato e del welfare e all’avanzata del fondamentalismo di mercato, dell’insicurezza fisica, della disuguaglianza economica e dell’incertezza sociale, una risposta logica e spietata sembra essere l’uso delle forze armate come strumento di contenzione, offesa, controllo e stabilizzazione. Ad ogni modo non è un segreto che i militari restino il pilastro della strategia di sicurezza attuale, anche se, fino a poco tempo fa e per un paio d’anni, non se n’è parlato. Ayotzinapa rappresenta in questo senso un doloroso ma formidabile spartiacque, la rottura dei sogni di gloria del dinosauro PRI (Partido Revolucionario Institucional), tornato al potere dopo 12 anni di digiuno.

firme ayotzinapaIn genere le milizie, per continuare a essere determinanti, hanno bisogno delle emergenze e del conflitto, sia esso, nel contesto messicano, tra narco-cartelli o tra diversi livelli di governo (locale, statale e federale), ovvero tra gli apparati dello stato e i trafficanti, se non tra il proprio paese e altri stati. E hanno la necessità di mantenere alto il livello di scontro, inteso anche come guerra di bassa intensità e conflitto sociale, condotti contro i gruppi dissidenti come gli studenti e i maestri delle normali o i sindacati non cooptati dal governo e i campesinos, per proseguire nella gestione di affari e territori, di carriere interne ed equilibri politici locali e, perché no, nazionali. Occorre giustificare ad libitum la propria esistenza e l’aumento delle proprie competenze e risorse. Non tutti la pensano così negli ambienti castrensi, tant’è che nelle elezioni presidenziali del 2012 esistevano settori delle forze armate che sostenevano il candidato di centro-sinistra Andrés Manuel López Obrador perché aveva promesso il ritorno dei militari nelle caserme e la fine della narco-guerra militarizzata.

Guerrero guerrigliero e tradizioni stragiste

A parte le diverse “correnti di pensiero”, c’è anche da considerare che la situazione del Guerrero è peculiare: tra gli stati più poveri della repubblica messicana, è da decenni focolaio di insurrezioni armati e guerrigliere, polizie comunitarie e dissidenze sociali combattive e radicali che hanno nell’esercito il principale nemico, insieme ai governatori di turno e ai vari corpi di polizia. Lo stesso Angel Aguirre, nel marzo 1996, divenne governatore sostituto del cacicco del PRI, Rubén Figueroa, dopo la strage di Aguas Blancasdel 28 giugno di quell’anno, in cui 17 contadini furono ammazzati dalla polizia statale e 21 furono feriti durante un’imboscata pianificata dalle autorità e, presumibilmente, dallo stesso Figueroa. Verso la fine del suo mandato ad interim, fu a sua volta indicato come responsabile del massacro de El Charco del 13 giugno 1998, in cui un battaglione di soldati sparò e uccise 11 presunti guerriglieri disarmati. La mattanza de El Charco è stata considerata come un precedente di quanto avvenuto a Iguala due mesi fa da alcuni giornalisti.

68 centroPer capire le logiche del potere nel Guerrero, basta menzionare il fatto che a Iguala c’è un’intera zona cittadina dedicata alla moglie di Ruben Figueroa, chiamata “colonia Silvia Smutny de Figueroa”, codice postale 40010. Il padre del politico, Rubén Figueroa Figueroa, fu governatore del Guerrero tra il 1975 e il 1981, durante gli anni più duri della guerra sucia (guerra sporca) del governo contro i gruppi guerriglieri e ogni tipo di dissenso sociale. Il leggendario guerrigliero, fondatore del Partido de los Pobres, Lucio Cabañas era un maestro diplomato alla scuola normale di Ayotzinapa, ma soprattutto era un acerrimo nemico di Figueroa. Infatti, il Partido aveva rapito il politico nel maggio 1974 e poi rilasciato tre mesi dopo.

Quando Lucio venne ucciso dall’esercito il 2 dicembre di quell’anno, Figueroa, non soddisfatto, si vendicò su sua moglie Isabel. Una volta eletto governatore, fece liberare lei, sua figlia e sua suocera, che erano detenute in una caserma militare da anni. Con l’inganno indusse Isabel, solo sedicenne, ad andare nel suo ufficio e la violentò. La ragazza perse il figlio del suo aggressore, prodotto di quella violenza, in seguito a un aborto spontaneo pochi mesi dopo. Storie, antiche e odierne, di baroni, eserciti, governanti e popoli in lotta nel Messico profondo. Ne parla la giornalista Laura Castellanos,in Mexico Armado 1943-1981 (Ed. Era, Messico, 2007). Il caso Ayotzinapa ha risvegliato le cellule guerrigliere. Solo il mese scorso i quattro gruppi principali della regione – Ejército Popular Revolucionario (EPR), Ejército Revolucionario del Pueblo Insurgente (ERPI), Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP), le Milicias Populares e le Fuerzas Armadas Revolucionarias-Liberación del Pueblo, hanno emesso 13 comunicati.

Calle 13 e Pepe Mujica

calle13 con papa ayotzinapaSabato 22 novembre, al Palacio de los deportes di Città del Messico c’è stato un concerto particolare. Siccome la costituzione messicana impedisce agli stranieri di realizzare attività politiche nel paese, il “Residente” René Pérez, cantante della band portoricana Calle 13, ha deciso di dare uno spazio ai familiari dei desaparecidos di Ayotzinapa. Il padre dello studente César Manuel González, ha parlato di fronte a 18mila spettatori: “Noi non siamo stanchi, abbiamo camminato e non vi immaginate quanto, ma siamo ancora più forti perché anche se ci dicono che ci sono tombe e fosse, vedrete che raschiando in questo Stato troverete migliaia di morti, non sono solo 43”. Negli ultimi giorni i genitori dei ragazzi hanno continuato a cercare, a esplorare, a scavare nei dintorni di Iguala e hanno trovate sette nuove fosse clandestine, con dentro altri cadaveri e resti da identificare, altri desaparecidos senza identità. “Tutte le cause sociali sono importanti, ma il caso di Ayotzianapa mi pare che vada oltre la politica: trascende il piano dei diritti umani, va oltre il Messico, è una cosa più grande, perché è una situazione molto forte, è una disgrazia”, ha concluso Pérez.

Il presidente uruguayano, José “Pepe” Mujica, in un’intervista per Foreign Affairs ha parlato del Messico come di “una specie di stato fallito, in cui i pubblici poteri sono totalmente fuori controllo, in marcimento”. La cancelleria messicana ha reagito esprimendo “sorpresa e rifiuto”. Mujica ha anche detto che “la parte migliore del Messico è obbligata, cada chi debba cadere, faccia male a chi debba far male, indipendentemente dalle conseguenze, a chiarire questa questione, perché a partire da questo episodio sono sorte cose collaterali, come la scoperta di tombe che non c’erano prima. Vuol dire che ci sono più morti che non sono nemmeno rivendicati. Allora la vita umana vale meno di quella di un cane”.

In chiusura segnalo un ottimo video realizzato dal Centro Universitario di Studi Cinematorgrafici (CUEC) della UNAM, Universidad Nacional Autonoma de México, per descrivere la IV Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa e la mega-marcia nella capitale messicana per protestare contro la sparizione dei 43 studenti normalisti e chiedere la renuncia del presidente Peña Nieto al grido di “¡Fue el Estado!”. 

Link Orignale Vimeo

Lettera/ Petizione per Laurence Maxwell e gli 11 detenuti politici del #20NOVMX

I reportage su Carmilla:

  1. 1. La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica
  2. Il Messico e Ayotzinapa gridano: 43 con vida ya!
  3. Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado
  4. Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

Ultime narrazioni di Andrea Spotti su Radio Onda d’Urto:

  1. 1. Messico, un 20 novembre di lotta e repressione
  2. Ayotzinapa Somos Todos: IV giornata di Azione Globale

Due documentari di Vice:

Prima parte: The missing 43: Mexico’s disappeared students

Seconda Parte: The search continues: Mexico’s desappeared students

Altri Link Utili:

GlobalProject – Cronaca della IV Giornata Globale per Ayotzinapa e altri articoli

A cosa sono servite per ora le proteste: Infografica

Radiografia delle organizzazioni criminali nel Guerrero

Video dell’intervento della deputata Heinke Hänsel al parlamento tedesco su Ayotzinapa e i Messico.

Video Sgombero Zocalo di Eje Central

https://www.youtube.com/watch?v=2eEOJIkllb0

Video Sgombero by Subversiones

https://www.youtube.com/watch?v=rz3ygBi0qcc

Video IV Jornada de Acción Global Ayotzinapa 20 novembre 2014 di Subversiones

https://www.youtube.com/watch?v=xh96O6pMIC4

 guerrero ayotzinapa crac7

¿Adónde van los desaparecidos?
Busca en el agua y en los matorrales.
¿Y por qué es que se desaparecen?
Porque no todos somos iguales.
¿Y cuándo vuelve el desaparecido?
Cada vez que los trae el pensamiento.
¿Cómo se le habla al desaparecido?
Con la emoción apretando por dentro.”

Da “Desaparecidos” di Rubén Blades

Read Full Post »

securedownload

PRIMO FESTIVAL MONDIALE DELLE RESISTENZE E DELLE RIBELLIONI CONTRO IL CAPITALISMO

 PROGRAMMA GENERALE

INAUGURAZIONE. COMUNITA’ DI SAN FRANCISCO XOCHICUAUTLA, MUNICIPIO DI LERMA, ESTADO DE MÉXICO.

Sabato 20 dicembre 2014:

  • Ore 16:00 Inizio delle registrazioni e ricevimento dei delegati.

Domenica 21 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Proseguimento delle registrazioni e colazione.
  • Ore 13:00-14:00 Pranzo.
  • Ore 14:00-16:00 Inaugurazione del Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni Contro il Capitalismo.
  • Ore 16:00-21:00 Evento culturale.

Nota:

  • Ore 18:00 partenza di delegati e delegate per Amilcingo.
  • Ore 21:00 arrivo ad Amilcingo ed inizio delle iscrizioni de@ delegat@ per questa sede della condivisione.

PRIME CONDIVISIONI A SAN FRANCISCO XOCHICUAUTLA E AMILCINGO.

San Francisco Xochicuautla, Municipio di Lerma, Estado de México.

Lunedì 22 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Cena.

Martedì 23 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Chiusura dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:30 Cena.

Amilcingo, Municipio di Temoac, Morelos.

Lunedì 22 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Benvenuto da parte dei compagni di Amilcingo.
  • Ore 9:30 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Cena.

Martedì 23 dicembre 2014:

  • Ore 8:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 14:00-15:00 Pranzo.
  • Ore 15:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:00 Chiusura dei lavori della Condivisione.
  • Ore 19:30 Cena.

 

GRANDE FESTIVAL CULTURALE A CITTA’ DEL MESSICO 24, 25 E 26 DICEMBRE 2014. Lienzo Charro, Cabeza de Juárez. Av. Guelatao, No 50, Colonia Álvaro Obregón. Delegación Iztapalapa

Nota:

  • 27 dicembre 2014. Partenza dei delegati e delegate del CNI e della Sexta per la sede di Candelaria, Campeche.

TERZA CONDIVISIONE. MONCLOVA, MUNICIPIO DI CANDELARIA, CAMPECHE.

Sabato 27 dicembre 2014:

  • Ore 16:00 Inizio iscrizioni delle e dei delegati a Monclova.

Domenica 28 dicembre 2014:

  • Ore 7:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Benvenuto da parte dei compagni della Península.
  • Ore 9:30 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 12:00 Pausa e pozol.
  • Ore 12:30 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 16:00-17:00 Pranzo.
  • Ore 17:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 20:00 Chiusura.

Lunedì 29 dicembre 2014:

  • Ore 7:00 Colazione.
  • Ore 9:00 Inizio dei lavori della Condivisione.
  • Ore 12:00 Pausa e pozol.
  • Ore 12:30 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 16:00-17:00 Pranzo.
  • Ore 17:00 Continuazione dei lavori della Condivisione.
  • Ore 20:00 Chiusura.

Nota:

Martedì 30 dicembre 2014. Partenza di delegati e delegate del CNI e della Sexta per Oventic.

FESTA DELLA RIBELLIONE E DELLA RESISTENZA ANTICAPITALISTA NEL CARACOL DI OVENTIC, CHIAPAS.

31 dicembre 2014 e Primo gennaio 2015.

PLENARIA CONCLUSIVA, ACCORDI E DICHIARAZIONI. CIDECI, SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS.

2 gennaio 2015:

  • Riassunti delle relazioni di ogni Condivisione.
  • Proposte risultanti.

3 gennaio 2015:

  • Accordi e compiti.
  • Dichiarazioni.

CHIUSURA.

_______________________________________________________________

REGISTRAZIONE ED ISCRIZIONE DEI DELEGAT@.

Potranno registrarsi ed iscriversi per partecipare come delegat@:

  1. Popoli, comunità ed organizzazioni membri del CNI.
  2. Gli aderenti alla Sexta Nazionale ed Internazionale.
  3. Popoli, comunità ed organizzazioni indigene local e regionali invitati direttamente dalle sedi delle condivisioni in accordo con la Coordinación Provisional del CNI.
  4. Le organizzazioni social in resistenza invitate dal Congresso nazionale Indigeno e dall’Esercito Zapatista di Liberazione nazionale.

Potranno registrarsi come stampa:

  1. I media liberi e alternativi aderenti alla Sexta.

Per la registrazione ed iscrizione de@ delegat@ viene costituita una COMISIÓN ÚNICA DE REGISTRO formata dalla Coordinación Provisional del CNI, delegat@ di ognuna delle sedi delle condivisioni ed una commissione della Sexta Nazionale.

  • La registrazione de@ delegat@ del Congresso Nazionale Indigeno avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica catedratatajuan@gmail.com fino a prima del 15 dicembre 2014 specificando chiaramente nella mail il nome de@ delegat@, il popolo di appartenenza (lingua), comunità o organizzazione, municipio e stato. SI DOVRA’ INOLTRE INDICARE A QUALE TAPPA DEL FESTIVAL SI INTENDE PARTECIPARE O SE SI INTENDE PARTECIPARE A TUTTO IL FESTIVAL.
  • La registrazione de@ delegat@ della Sexta Nazionale ed Internazionale e dei media liberi ed alternativi avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica comparticionsexta@gmail.com fino a prima del 15 dicembre 2014 specificando chiaramente nella mail il nome de@ delegat@, organizzazione e/o collettivo o se in forma individuale, stato e paese. SI DOVRA’ INOLTRE INDICARE A QUALE TAPPA DEL FESTIVAL SI INTENDE PARTECIPARE O SE SI INTENDE PARTECIPARE A TUTTO IL FESTIVAL.
  • La registrazione de@ delegat@ direttamente invitati avverrà tramite l’indirizzo di posta elettronica catedratatajuan@gmail.com o direttamente presso le sedi delle condivisioni secondo i tempi definiti nel programma del Festival.

I popoli, comunità ed organizzazioni membri del CNI e della Sexta che desiderino presentare un evento culturale o vendere prodotti durante il GRANDE FESTIVAL CULTURALE A CITTA’ DEL MESSICO dovranno rivolgersi all’indirizzo di posta elettronica comparticioncultural@gmail.com fornendo tutte le informazioni necessarie.

Messico, novembre 2014

DISTINTAMENTE

PER LA RICOSTRUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIU’ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

 Traduzione “Maribel” -Bergamo

Testo originale

Read Full Post »

105_6405105_6430 105_6422

Autostrada San Cristóbal-Palenque: “Un’opera che arricchirà chi possiede di più, e resterà ben poco ai popoli originari”

Pubblicato da: POZOL COLECTIVO

Chiapas, Messico. 25 novembre. “In questi mesi abbiamo chiesto alle nostre comunità se vogliono o no che si costruisca l’autostrada Palenque-San Cristóbal e la loro risposta è stata che si tratta di un’opera che distrugge madre natura. È un’opera che arricchirà chi più possiede, e poco resterà per i popoli originari di queste terre”, affermano popoli maya e meticci che hanno manifestato in migliaia a Tumbalá, San Cristóbal de las Casas, Yajalón, Huixtán, Cancúc, Tenejapa, Oxchuc, Ocosingo, Altamirano, Salto de Agua, e Bachajón.

Nella “Giornata Internazionale Contro la Violenza e lo Sfruttamento delle Donne”, i membri di Pueblo Credyente della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas, in diverse manifestazioni in tutto lo stato hanno detto “basta alle diverse forme di corruzione del governo ed alla violenza contro il popolo”. Hanno solidarizzato con le “sorelle colpite fisicamente e psicologicamente, escluse, sfruttate, picchiate, violate, discriminate”, e si sono impegnati “a rispettarle e difenderle di quelle istituzioni o persone che violano i loro diritti, cominciando a casa nostra”.

I cortei si sono svolti anche “in solidarietà con le oltre centomila vittime del crimine organizzato ed in particolare con le famiglie dei giovani morti e dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa, Iguala, Guerrero, e con le vittime di Acteal alle quali il governo non ha fatto giustizia”. Hanno inoltre manifestato il loro appoggio alla comunità di Simojovel: “nella loro lotta per la vita, contro la corruzione e con coloro che sono stati minacciati di morte, come il Professor Marcelo Pérez Pérez ed altre persone del consiglio parrocchiale”.

COMUNICATO E FOTO DELLE MANIFESTAZIONI: http://espoirchiapas.blogspot.mx/2014/11/miles-marchan-en-san-cristobal-contra.html

Read Full Post »

6Lettera Internazionale per #Ayotzinapa

Il nostro dolore e la nostra rabbia

Come proseguire in questa nuova tappa?

Dal 26 settembre 2014 il Messico ha visto se stesso e il mondo è tornato a vedere una realtà ormai inoccultabile che si è palesata nella forma più terribile. Iguala è il luogo nel quale il Messico del dolore e della morte non ha più potuto evadere dalla sua realtà, il luogo che ha riempito d’indignazione il mondo intero, il luogo nel quale il segreto di Pulcinella si è convertito in un grido di dolore e rabbia.

43 studenti scomparsi, tre studenti assassinati, due giovani sportivi assassinati, una donna assassinata. Tutti assassinati e fatti scomparire a Iguala, tutti assassinati e fatti scomparire dallo Stato. Tutti assassinati e fatti scomparire per il patto di impunità della classe politica.

Ma stavolta risulta insufficiente parlare di impunità perché le istituzioni che dovrebbero esercitare la giustizia non solo non lo fanno, ma oltretutto si proteggono dai propri delitti: in realtà siamo dinanzi a un sistema che trova sempre come e chi castigare in maniera esemplare e spettacolare (colpevole o innocente che sia) per poter mantenere intatti l’enorme affare della corruzione e le brutali strutture di potere che tengono l’intero paese sommerso nella violenza.

In Messico il sistema non è corrotto, la corruzione è il sistema. Non è che nello Stato si stiano aprendo dei vuoti, è che quelli che sembrano dei vuoti sono pieni della nuova mutazione dello Stato Messicano: il Narco-Stato. La coppia Abarca è una terribile dimostrazione del vincolo tra governo e crimine organizzato, ma la cosa più terribile è che non ne sono l’unica né la peggiore dimostrazione, ma precisamente proprio di ciò che sono oggi le istituzioni in Messico. Iguala, i morti, i 43 studenti di Ayotzinapa sono la prova evidente che le azioni di questo Narco-Stato non sono soltanto controinsurrezionali, non solo ricercano la criminalizzazione della protesta, bensì ricercano il controllo attraverso il terrore, ricercano il genocidio della speranza.

In questo Messico distrutto, sicurezza significa vivere atterriti e circondati di militari e polizia, costantemente sotto controllo. In questo Messico distrutto, gli apparati di diritti umani si utilizzano per assicurarsi che i veri aggressori sfuggano alla giustizia e possano continuare ad aggredire.

In questo Messico distrutto, si accusa l’ex-sindaco di Iguala, José Luis Abarca, di vari delitti, ma non di ciò che implica il riconoscimento della responsabilità dello Stato, le sparizioni forzate.

In questo Messico, distrutto, si danno 40 giorni di detenzione preventiva a Maria de los Angeles Pineda, e si lascia in libertà Noemi Berumen Rodriguez, che ha coperto la coppia accusata, mentre chi si oppone al sistema, chi difende la terra, chi esige giustizia, chi solidarizza con le famiglie dei 43 studenti fatti sparire dallo Stato, chi prorompe in indignazione viene immediatamente incarcerato.

In questo Messico distrutto il potere si scandalizza quando qualcuno brucia una porta di legno, ma per le centinaia di migliaia di morti, per le migliaia di scomparsi, per gli sfollati, ci sono solo montature mediatiche, lunghi procedimenti burocratici e false condoglianze, ma mai giustizia.

Il messaggio che sta dietro al modo con il quale è stato orchestrato tutto quanto a Iguala, dietro le migliaia di morti e scomparsi in tutto il Messico, è che nessuna vita ha valore, che da queste “nuove istituzioni” la morte è la forma di governo.

Pertanto, dopo che il mondo ha aspettato una risposta a proposito di dove siano finiti i 43 normalisti scomparsi, che venisse da un’indagine rigorosa, causa indignazione e dolore che gli incaricati a svolgerla non solo si stiano dimostrando incompetenti, ma stiano anche dimostrando un’impressionante mancanza del benché minimo rispetto verso i familiari delle vittime e attraverso di loro verso la società intera, perché il loro unico fine è depistare le indagini per occultare la realtà.

L’indignazione ha continuato a crescere, traboccando dalle piazze, crescendo di settimana in settimana. Le manifestazioni, le azioni, gli scioperi, dimostrano che al di là delle menzogne, le montature, le calunnie e lo scherno da parte del “Governo Messicano”, sempre assente quando si tratta di dare risposte, il popolo del Messico e di altri luoghi del mondo ha fatto sua la parola d’ordine “vivi se li sono presi, vivi li rivogliamo!”. Si stanno facendo passi importanti in molti luoghi dentro e fuori dal Messico, secondo le nuove grida che risuonano: #NoLesCreemos, #FueElEstado, #YaMeCanse, #AyotzinapaSomosTodos.

A Iguala si è resa visibile la logica politica che ha fatto sì che nel paese si debbano soffrire più di 150mila morti e che continuiamo ad aspettare più di 20mila desaparecidos.

Oggi, ci associamo alla rabbia attiva dei padri e delle madri degli studenti scomparsi, oggi diciamo che stiamo aspettando che i 43 tornino a casa, e che non crediamo alla farsa con la quale pretendono di insabbiare questa indignazione e rabbia globale. Ayotzinapa è l’inizio di qualcosa, che sta crescendo nelle aule e nelle strade.

In queste ultime settimane è avvenuta la gestazione di un movimento che ha ben chiaro chi sono lorsignori, in questo nuovo processo si sta perdendo la paura, diventa impossibile far da spettatori e si apre la possibilità di chiedersi: come fare in modo che questa energia sociale riesca ad aprire un cammino che permetta alla società, dal basso, di imporre al governo la verità con tutte le sue conseguenze? Come continuiamo a camminare in questa nuova tappa?

Ayotzinapa non duole solo al Messico, duole al mondo.

Firme Individuali:

CANADA: Naomi Klein;

STATI UNITI: Noam Chomsky; Michael Hardt; Hugo Benavides (Fordham University);

URUGUAY: Raúl Zibechi;

STATO SPAGNOLO: Manuel Castells; Carina Garcia Sanagustin;

BOLIVIA: Oscar Olivera;

ARGENTINA: Nico Falcoff; COLOMBIA: Dora Muñoz; Constanza Cuetia;

GERMANIA: Sebastian Wolff (Istituto di Ricerche Sociali, Francoforte/Germania);

BRASILE: Kathy Faudry; Jeferson Zacarias; Denise Lopes; Edila Pires; Liliane Bites; Walter Bites;

PAESI BASCHI: Juan Ibarrondo (scrittore);

ITALIA: Adele Vigo; Andrea Paletti; Franco Frinco;Carlotta Mariotti; Filipppo Marzagalli;

MAROCCO: Josiane Pastor Rodriguez;

FRANCIA: Valentin Gaillard; Mathieu Meyer; Talia Rebeca Haro Barón (PhD Erasmus Mundus Dynamics of Health and Welfare, Scuola di Alti Studi in Scienze Sociali), Michèle Blossier; Patrice Ratheau; PaulVictor Wenner; Myriam Michel; Hilda Leslie Alcocer Martinez; Louise Ibáñez Drillières; Crystel Pinçonnat; Janie lacoste (professoressa); Michel Puzenat; Pierre Banzet; Régine Piersanti; Dominique Mariette; Nathalie Todeschini; Stéphane Lavignotte- pastore (Movimento del cristianesimo Sociale); Farid Ghehioueche (Fondatore/Portavoce dell’organizzazione Cannabis Sans Frontières); Emmanuel Maillard; Myriam Mérino; Ariane Chottin; Valérie Guidoux; Olivier Vendée; Pierre Picquart (Dr in Geopolitica Università di PARIS-VIII) ; Antinea Jimena Pérez Castro; Yann Bagot; Emmanuel Rodriguez; Marie Ibanez; Amparo Ibanez; Gilbert Rodriguez; Marie Ibanez; Jacqueline Henry; Catherine Cassaro; Catherine Bourgouin; Susanna Iglioranza;Sylvie Gauliard; Alain Martinez; Colette Revello; Fatiha Mekeri; Dominique Poirre; Laura Binaghi; Jérôme Bauduffe; Nadia Thomas; Matthieu Texier;Paul Obadia; Vincent Robin; Michel Ibañez; Lise Piersanti; Alain Delprat;Catherine Drillières; Colette Revello; Didier Collot; Marianne Petit; Janine Leroy; Suzy Platiel; Aude Lalande; Mansour Chemali; Corinne Mazel;Celia Ibañez; Pauline Delprat; Michel Contri; Ali Abadie; MercedesCruceyra; José Griault; Annick Laurent; Gérard Henry; Georges Gottlieb; Janie Lacoste; Michel Ibañez; Pilar Sepulveda; Rafael Sepulveda; Pascal Ibañez; Patrick Derrien ; Hélène Derrien ; Lia Cavalcanti (direttrice dell’associazione Espoir Goutte d’Or); Catherine Faudry (Respondabile del progetto “Collectivités Territoriales” Institut Français); Camille Baudelaire;

MÉXICO: Álvaro Sebastián Ramírez (Prigioniero Politico e di Coscienza della Regione Loxicha); Francisco Barrios “El Mastuerzo”; Oscar Soto; Raquel Gutiérrez Aguilar; Mariana Selvas Gómez; Guillermo Selvas Pineda; Rosalba Gómez Rivera; Martha Nury Selvas Gómez; María Josefina Perez Arrezola; María José Pérez Castro; José Cervantes Sánchez (studente ICSyH BUAP); Rosalba Zambrano; Ana María Sánchez; Tamara San Miguel; Eduardo Almeida; Enrique Ávila Carrillo; Ingrid Van Beuren; Leticia Payno; Cecilia Oyorzál; Ignacio Rivadeneyra; María del Coral Morales; Oscar Gutiérrez; Gilberto Payno; Celiflora Payno; Víctor Payno;Patricia Emiliano; Beatríz Acevedo; Francisco Sánchez; Agustina Álvarez;Mariana García; Miguel Ortigoza; José Antonio León; Sergio Cházaro; José Hugo Estrada Zárate; Iliana Galilea Cariño Cepeda; Pablo Reyna;Guillermina Margarita López Corral; Ana María Corro; Lorena Diego yFuentes; Enrique González Ruiz; Ignacio Román; Cecilia Zeledón; Berta Maria Rayas Camarena; Judith Arteaga Romero (docente di Difesa e Promozione dei Diritti Umani UACM); Aurora Furlong; José Luis SanMiguel; Alma Ugarte; Juan Manuel Gutiérrez Jiménez

Organizzazioni:

STATO SPAGNOLO: CGT; ASSI (Acción Social Sindical Internaciolalista); Associació Solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai – Barcelona; Centro de Documentación sobre Zapatismo (CEDOZ);

COLOMBIA: Pueblos en el Camino;

GERMANIA: Gruppe B.A.S.T.A., Munster;

BRASILE: CSP-Conlutas –Brasil;

BELGIO: Casa Nicaragua-Liège; CafeZ –Liège;

CORSICA: CorsicA Internaziunalista;

PAESI BASCHI: La Federación Anarquista Ibérica de Euskal Herria (FAI);

ITALIA: Associazione Ya Basta! –Milano; Centro Sociale CasaLoca – Milano; Associazione Ya Basta – Padova; Nodo Solidale (Italia e Messico); Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo;

FRANCIA:Les trois passants– Paris; Caracol Solidario – Besançon; Colectivo Grains de sable; Union local de la Confédération Nationale du Travail (CNT31-Toulouse);Secrétariat international de la CNT – Francia; Tamazgha, asociacion berbères-Paris; Comité de solidarité avec les Indiens des Amériques (CSIA-Nitassinan); Groupe de soutien à Leonard Peltier (LPSG-Francia); La Fédération des CIRCs – Paris; Comité Tierrra y Libertad de Lille; Réseau latino-américain de Lille; Émission Torre Latino/Radio Campus – Lille; Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha(CSPCL), Paris; Espoir Chiapas – Montreuil; Mut Vitz 13 de Marseille;

REGNO UNITO: UK Zapatista Solidarity Network; Dorset Chiapas Solidarity Group; Edinburgh Chiapas Solidarity Group; Kiptik (Bristol); London Mexico Solidarity Group; Manchester Zapatista Collective; UK Zapatista Translation Service; Zapatista Solidarity Group – Essex;

MESSICO:Enlace Urbano de Dignidad; Nodo de Derechos Humanos; Unidad Obrera y Socialista (¡UNIOS!); Unión de Vecinos y Damnificados “19 de Septiembre” (UVyD-19); La Voz de losZapotecos Xiches en Prisión; Colectivo La Flor de la Palabra; Comité de Solidaridad con Mario González, DF; Colectivo de Profesores de la Sexta; Frente del Pueblo; Serpaj; Colectivo “pensar en voz alta”; UniTierra Puebla; Colectivo Utopía Puebla; Colectivo de Salud adherente a la Sexta; Grupo “Salud y Conciencia”

INTERNAZIONALI: La Internacional de las Federaciones Anarquistas (IFA); Federación Anarquista francófona (Francia, Belgio, Svizzera); RED EUROPEA DE SINDICATOS ALTERNATIVOS Y DE BASE: Confederación General del Trabajo, CGT– Stato spagnolo; Union syndicale Solidaires- Francia; Confederazione Unitaria di Base, CUB – Italia; SUD Vaud, Suiza; ConfederacionIntersindical – Stato spagnolo; Unione Sindicale Italiana, USI – Italia; Intersindical Alternativa de Catalunya, IAC –Catalogna; Confederazione Italiana di Base, UNICOBAS – Italia; Confédération Nationale des Travailleurs Solidarité Ouvrière, CNT-SO – Francia; Transnational Information Exchange , TIE – Alemania; Associazione per i Diritti dei Lavoratori Cobas, ADL COBAS – Italia; Solidaridad Obrera, Estado Español; Confédération Nationale du Travail, CNT –Francia; Sindacato Autorganizzato Lavoratori Cobas, SIAL COBAS – Italia; Sindacato Intercategoriale CobasLavoratori Autorganizzati, SI COBAS – Italia; ESE –Grecia; Union Syndicale Etudiante Fédération Générale du Travail de Belgique, USE –Belgio; Ogólnopolski Zwi?zek Zawodowy Pielegniarek i Poloznych, OZZ PIP –Polonia; Ogólnopolski Zwi?zek Zawodowy Inicjatywa Pracownicza, OZZ PIP – Polonia; ORGANIZACIONES ESTUDIANTILES: Solidaires Étudiant-e-s, Francia; Union Syndicale Étudiante, Belgio; SUD étudiants et précaires, Svizzera.

Read Full Post »

Liberateli. Subito.

portada

Los de Abajo

Liberateli. Subito.

Gloria Muñoz Ramírez

Il 20 novembre sarà ricordato come un giorno storico, quando si sono svolte più di 500 mobilitazioni in Messico e nel mondo per chiedere di riavere in vita i 43 studenti di Ayotzinapa, Guerrero, dopo più di 50 giorni in cui sono stati vittime di sparizione forzata e tre dei loro compagni assassinati. La richiesta, anch’essa centrale, delle dimissioni del presidente Enrique Peña Nieto è risuonata contemporaneamente in Corea del Sud, Nuova Zelanda, India ed in centinaia di città di Stati Uniti ed Europa. Ed ovviamente, in tutto il territorio messicano. Il grido di “Andatevene tutti!” è stato certamente sentito dalla classe politica messicana di tutti i colori, i cui membri non osano nemmeno più frasi vedere in queste manifestazioni. Non si salva nessuno.

Questa storica giornata non si è conclusa con atti vandalici, come hanno riferito le grandi catene televisive, e l’irruzione della Polizia Federale e dei granatieri del DF. La carica di un gruppo di agenti in uno Zócalo semivuoto, quando il corteo ancora stava arrivando per avenida Madero, è stata la conclusione di una mobilitazione stracolma di simboli contro il potere.

Dalla notte di giovedì all’alba di venerdì erano iniziate a circolare le immagini che hanno smontato le versioni ufficiali secondo le quali gruppi di attivisti avrebbero attaccato i manifestanti. Una dopo l’latra le testimonianza compongono la realtà di tre ore di cariche e botte della polizia e detenzioni arbitrarie.

Julián Rodrigo Simón accusa: “Erano le 9:15 circa quando abbiamo sentito uno di loro dire agli altri: ‘chínguenselos‘. E subito ci sono stati addosso. Ci hanno preso a calci, a me e le mie due sorelle”.

Le immagini dei video mostrano una donna nella stazione Pino Suárez della Metro, seduta in terra con la figlia tra le braccia, in segno di pace di fronte a centinaia di stivali di poliziotti intorno a lei. Un uomo si siede accanto a lei, e poi un altro, ed un altro ed un altro ancora. Così a formare un cordone di persone sedute in resistenza pacifica che sconcerta gli agenti.

Uno dei video è stato girato dall’hotel Majestic, su di una piazza semivuota che in pochi minuti viene sgomberata. Dalla terrazza si fissano i colpi contro i manifestanti. Gli ospiti, molti turisti stranieri, si affollano alla ringhiera e, mentre uno filma, il resto grida disperatamente: Figli di puttana! Li state massacrando!

Gli arrestati nella mobilitazione devono essere liberati. Subito.

losylasdeabajo@yahoo.com

Testo originale

 

Read Full Post »

Ayotzinapa, la storia che non finisce di Gloria Muñoz Ramirez

da Ojarasca, supplemento mensile del quotidiano La Jornada novembre 2014

20/11/2014

Pubblichiamo la traduzione (curata dalla redazione di GlobalProject) di questo articolo tratto da Ojarasca (articolo originale), supplemento mensile del quotidiano messicano La Jornada di Gloria Muñoz Ramirez, Direttrice di Desinformémonos, editorialista de La Jornada ed editrice di Ojarasca (scarica Ojarasca novembre 2014).

Nel secondo mese di una delle crisi di Stato più gravi degli ultimi tempi, la complicità tra i differenti livelli di governo e del crimine organizzato è chiara. “È stato lo Stato”, è la parola d’ordine della terza giornata globale che esige che i 43 studenti della Escuela Normal Rural “Isidro Burgos” tornino a casa e le dimissioni del presidente Enrique Peña Nieto.

Centinaia di migliaia di persone sono scese nelle strade questa settimana. La richiesta di punire i colpevoli dell’omicidio di tre studenti non è ancora stata accolta e niente pare indicare che ciò avverrà. I più di 50 arrestati, tra polizia municipale, appartenenti al crimine organizzato e la coppia “del male” composta dal sindaco di Iguala, José Luis Abarca e sua moglie María de los Ángeles Pineda Villa, non attenua l’indignazione. L’operazione mediatica un giorno prima della grande manifestazione di Città del Messico non ha ridotto l’entità della mobilitazione.

Il messaggio dei compagni dei giovani uccisi e dei 43 detenuti e scomparsi tra il 26 e il 27 settembre in un attacco della polizia di Iguala è chiaro: “Denunciamo che il governo federale sta cercando di insabbiare il problema di Ayotzinapa come è stato fatto con moltissimi casi nel nostro paese. Denunciamo che il Procuratore di Giustizia, il presidente Enrique Peña Nieto e Miguel Ángel Osorio Chong, tutto il Governo, e con loro tutti i partiti politici, vogliono far credere all’opinione pubblica che i nostri compagni sono morti”, comincia il giovane Omar, del Comité Estudiantil de la Normal. “Non lasciateci soli”, gridano i genitori che, uno a uno, alzano il tono delle loro proteste.

Poche volte di fronte al Palacio Nacional si sono ascoltati messaggi tanto forti. Si succedono insulti alla figura presidenziale. “Fuori Peña Nieto”, grida la moltitudine all’unisono nella piazza più grande di questo paese.

La percezione del mondo sul Messico è cambiata, e questo lo riconosce perfino il segretario delle finanze, Luis Videgaray. “Non accettiamo gli esiti delle vostre ricerche”, dice una delle madri dopo l’annuncio dell’arresto della coppia Abarca.

Certamente questo arresto non è sufficiente. Tutto questo è un teatro armato per dare la colpa a qualcuno, per dare la responsabilità a queste persone e niente più, quando il responsabile è lo Stato, che sta cercando di nascondere ciò che è successo realmente. Purtroppo temiamo il peggio, ma questo è un crimine di Stato, non è un crimine di questa coppia”, dice il pittore Gabriel Macotela in una delle tante mobilitazioni. Nelle sue parole si rispecchia la Nazione. Nessuno ci crede.

Ayotzinapa cambia volto

Nell’enorme sala d’aspetto nella quale si è trasformato il campo da basket di questo villaggio di campagna costruito nel 1926, si è formata una comunità che fa vedere qual è l’altra faccia della tragedia. La solidarietà mostra il suo volto con collette alimentari, coperte, materassi, decine di divise di organizzazioni sociali, appoggio economico e centinaia di visite giornaliere, soprattutto da parte di giovani studenti provenienti da tutto il paese, che offrono spalle e mani per quello che serve.

Novembre. Sull’altare dei morti nel patio non ci sono solo i volti di Daniel Solís Gallardo, Julio César Mondragón e Julio César Ramírez Nava, i tre studenti uccisi dalla polizia di Iguala il 26 settembre. “Non sono solo tre o quattro quelli che sono stati assassinati dal governo”, segnala un giovane normalista, che ha condiviso le proteste con Daniel Solis, e che invoca che questi omicidi “non rimangano impuniti”. Ci sono anche Gabriel Echeverrìa e Alexis Herrera Pino, “quelli della mattanza di Ángel Aguirre”, anche loro morti con esecuzione extragiudiziale il 12 dicembre del 2011, durante lo sgombero di una protesta nell’Autopista del Sol. La fotografia di uno di loro, lo mostra a cavallo di un piccolo asino, giocando, mentre l’altro sorride nella cornice.

Le madri e i padri sembrano esausti. Non hanno un minuto di respiro e soprattutto devono incontrare la stampa e le organizzazioni che arrivano per appoggiarli. “Non è che non voglio parlare. Sappiamo che è importante. Però non ce la faccio più. Non sono stanca, è solo che non ce la faccio a parlare di mio figlio”, dice, come scusandosi, una di loro. È che hanno ripetuto fino allo sfinimento la loro storia. Le telecamere dei media nazionali ed internazionali fanno la guardia in queste installazioni di due ettari di territorio assediato dalla Segreteria di Educazione Pubblica, i governi statali in turno, il crimine organizzato, le transnazionali minerarie e i partiti politici. Nessuno nega i litigi interni e le distinte correnti che influenzano questa scuola-convitto, però oggi la tragedia li unisce.

Omar Garcìa, uno dei volti noti degli studenti di fronte ai media, lo stesso che denunciò gli abusi dall’inizio, che chiese aiuto all’Esercito durante gli attacchi e a cui nessuno fece caso, è chiaro quando segnala che non si aspettavano questo appoggio, perché, in primo luogo “mai ci saremmo aspettati che una cosa del genere potesse capitare a noi”. La solidarietà dice, è arrivata soprattutto dai familiari e dai contadini di Tuxtla. Poi sono arrivati gruppi di universitari da molte parti del Messico, tanto che la “nostra scuola, che prima ci sembrava enorme, oggi ci sembra piccola, non abbiamo spazio per tanta gente”.

Non ci sono mai stati tanti giovani insieme nella struttura. Oggi, dice Omar, “il potere e lo Stato non riescono nemmeno ad immaginarlo, come fanno questi ragazzi di 19 o 20 anni a organizzare tanta gente? Che continuino a chiederselo.”

La solidarietà studentesca dietro le quinte è evidente. “Pensiamo ai sacrifici che stanno facendo per stare con noi. Ci domandiamo cosa hanno dovuto dire nei propri posti di lavoro, nelle loro scuole, nei loro luoghi di origine. Con che pretesto sono partiti per venire a trovarci, con che pretesto la signora ha lasciato al marito la cura della casa, o il marito è venuto qui trascurando la famiglia. Con che pretesto il contadino abbia detto, ascolta moglie, dobbiamo portare un chilo di fagioli a questi ragazzi. Tutto questo ce lo domandiamo. Con che coraggio il contadino ha detto, abbiamo poco però bisogna portare cento pesos ai ragazzi per il loro movimento”.

Appena tre giorni prima di questa intervista con Ojarasca, Omar ha parlato di fronte a 200 mila persone in una piazza piena quasi da scoppiare a Città del Messico. Lì ha fatto appello alle organizzazioni per una Carovana Nazionale di Indignazione, che permetta di articolare un “movimento nazionale e se Enrique (Peña Nieto) se ne va, che se ne vada, e preferibilmente che non torni, perché quando torna troverà un altro paese… il fatto che tutto il mondo si sia indignato per quello che è successo il 26 settembre rispecchia chiaramente che non siamo solamente noi gli indignati, come studenti di Ayotzinapa, ma è tutto un paese che ha sofferto per molti anni questi abusi. E non si tratta solo di indignazione per tanta delinquenza ed insicurezza, ma c’è indignazione anche quando vediamo il contadino senza lavoro, l’operaio senza lavoro, lo studente che dopo aver svolto il suo percorso formativo non ha uno sbocco lavorativo… Ogni indignazione della popolazione deve arrivarci fino in fondo, non solo quando si uccide o spariscono 43 studenti. Le cifre qui non importano, siamo migliaia nel paese, siamo migliaia di infelici e calpestati, quotidianamente, e questo è il problema”. http://www.globalproject.info/it/mondi/ayotzinapa-la-storia-che-non-finisce-di-gloria-munoz-ramirez/18248

Read Full Post »

Breve documentario sulla Escuela Normal Rural di Ayotzinapa

24/11/2014

Il massacro e la sparizione degli studenti di Ayotzinapa ha riportato al centro del dibattito pubblico messicano la vicenda delle Normales Rurales.

Si tratta di scuole create dal governo messicano a partire dagli anni ’20 del secolo scorso con l’obbiettivo di preparare giovani provenienti da comunità contadine per fare i maestri nelle zone rurali del paese. Per il tipo di formazione e per la composizione dei giovani che vi hanno studiato, queste scuole hanno sempre rappresentato degli ambiti molto critici e politicizzati, con l’aspirazione di rappresentare uno strumento importante per l’emancipazione delle comunità povere del paese.

Per questo motivo da alcuni decenni le Normales Rurales sono state combattute aspramente dai vari governi che si sono succeduti, molte sono state chiuse e soprattutto negli ultimi anni si è generata una criminalizzazione da parte di politici e media che ha prodotto un terreno di legittimità per il massacro del 26 di settembre scorso. Oltre a tutto ciò, le riforme dell’educazione in senso neoliberista e funzionali alla globalizzazione capitalista che sta promuovendo in questi anni il governo messicano vedono in queste scuole, in cui l’insegnamento è gratuito e rivolto ai piccoli produttori agricoli di comunità povere, un ostacolo da combattere.

Vi proponiamo un breve documentario curato dal Centro per i diritti umani Tlachinollan (Guerrero) che spiega l’organizzazione, il funzionamento e la lotta de la Escuela Normal Rural de Ayotzinapa.

http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=xqTBEb4B1SU

http://www.globalproject.info/it/mondi/breve-documentario-sulla-escuela-normal-rural-di-ayotzinapa/18275

Read Full Post »

NI VIVOS NI MUERTOS

Documentario sui desaparecidos in Messico  di Federico Mastrogiovanni e Luis Ramírez Guzmán

Read Full Post »

cideciIl Comandante Javier porge il benvenuto alla carovana di Ayotzinapa nel caracol di Oventik, il 15 novembre 2014

Sorelle e fratelli genitori dei 43 studenti desaparecidos, Studenti ed Insegnanti della scuola Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, dello stato di Guerrero.

Buona sera a tutti e tutte.

A nome delle nostre migliaia di compagni e compagne basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, vi diamo il più cordiale benvenuto in questo umile Caracol II di Oventik, Resistencia y Rebeldía por la Humanidad, della Zona Altos del Chiapas, Messico.

Siamo qui quali rappresentanti dei nostri popoli zapatisti per accogliervi a braccia aperte ed ascoltare le vostre parole.

Non siete soli! Il vostro dolore è il nostro dolore! La vostra rabbia è la nostra degna rabbia! E vi sosteniamo nella richiesta di riavere in vita i 43 studenti desaparecidos per l’azione criminale dei malgoverni; accomodatevi, siete a casa vostra, questo è il posto di tutte e tutti coloro che lottano.

Grazie.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

Il Comandante Tacho apre l’incontro dell’EZLN con la carovana di Ayotzinapa, il 15 novembre 2014

Compagne e compagni:

Padri e madri dei giovani studenti desaparecidos della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, stato di Guerrero, Messico.

Agli studenti ed a tutti quelli che accompagnano questa carovana e a tutti i presenti.

A nome dei bambini, bambine, ragazzi, ragazze, uomini, donne, anziani ed anziane dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, benvenuti nel caracol di Oventik, Caracol II Resistencia y Rebeldía por la Humanidad.

Compagne e compagni:

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale vuole ascoltare le vostre parole di dolore e rabbia, che sono anche nostre.

Noi non vogliamo sapere dei municipi bruciati, né delle auto bruciate, né di porte, né di palazzi.

Noi vogliamo ascoltare il vostro dolore, la vostra rabbia e la vostra angoscia di non sapere dove si trovano i vostri ragazzi.

Vogliamo anche dirvi che noi zapatisti vi abbiamo accompagnati nelle proteste e mobilitazioni che si sono svolte in Messico e nel mondo, anche se sui mezzi di comunicazione prezzolati non appaiono le nostre azioni di dolore e rabbia, ma vogliamo dirvi che vi abbiamo accompagnati con fatti reali e veri.

Per questo vogliamo che ci parliate e noi vogliamo ascoltarvi.

Se avessimo saputo del vostro arrivo qualche giorno prima, oggi ad accogliervi ed ascoltarvi saremmo stati molto più numerosi.

Noi oggi siamo qui in rappresentanza di tutti per accogliervi con tutto il cuore ed ascoltare il vostro dolore e la vostra rabbia.

È tutto.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

Parole del Comando Generale dell’EZLN, per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, al termine dell’incontro con la carovana di familiari di desaparecidos e studenti di Ayotzinapa, nel caracol di Oventik, il giorno 15 novembre 2014.

Madri, Padri e Familiari dei nostri fratelli assassinati e scomparsi a Iguala, Guerrero:

Studenti della Scuola Normale “Raúl Isidro Burgos” di Ayotzinapa, Guerrero:

Fratelli e sorelle:

Ringraziamo di tutto cuore per averci portato la vostra parola.

Sappiamo che per portarci questa parola diretta, senza intermediari, senza interpretazioni estranee, avete dovuto viaggiare molte ore e soffrire la stanchezza, la fame, il sonno.

Sappiamo anche che per voi questo sacrificio è parte del dovere che vi sentite.

Il dovere di non abbandonare i compagni fatti scomparire dai malgoverni, di non venderli, di non dimenticarli.

E’ a causa di questo senso del dovere che avete iniziato la vostra lotta fin da quando non si faceva alcun caso a essa, e i fratelli oggi scomparsi erano catalogati come “capelloni”, “novellini”, “futuri delinquenti che se lo meritavano”, “picchiatori”, “radicali”, “tamarri”, “agitatori”.

Così li hanno chiamati molti di quelli che ora si affollano attorno alla vostra degna rabbia per moda o convenienza, benché allora volessero incolpare della disgrazia la Normale Raúl Isidro Burgos.

C’è ancora chi tenta di farlo da là sopra, con l’intenzione di distrarre e nascondere il vero colpevole.

Per questo senso del dovere avete iniziato a parlare, a gridare, a spiegare, a raccontare, a usare la parola con coraggio, con degna rabbia.

Oggi, nel marasma di parole vane che uno o l’altro sparge sulla vostra degna causa, litigano ora per stabilire chi ha fatto in modo che foste conosciuti, ascoltati, compresi, abbracciati.

Forse non ve l’hanno detto, ma siete stati voi, i familiari e compagni degli studenti morti e scomparsi, a ottenere, con la forza del vostro dolore, e di tale dolore convertito in rabbia degna e nobile, che molte e molti, in Messico e nel Mondo, si sveglino, facciano domande, pongano in questione.

Per questo vi ringraziamo.

Non solo per averci onorato con l’aver portato la vostra parola perché la potessimo ascoltare, umili come siamo: senza rilevanza mediatica, senza contatti con i malgoverni, senza capacità né conoscenze per potervi accompagnare, spalla a spalla, nell’incessante andirivieni di ricerca dei vostri cari, che ormai lo sono anche per milioni di persone che non li hanno conosciuti; senza le parole sufficienti a darvi consolazione, sollievo, speranza.

Anche e soprattutto, vi ringraziamo per il vostro eroico impegno, la vostra saggia caparbietà di nominare i desaparecidos di fronte ai responsabili della loro disgrazia, di domandare giustizia di fronte alla superbia del potente, di insegnare ribellione e resistenza di fronte al conformismo e al cinismo.

Vogliamo ringraziarvi per gli insegnamenti che ci avete dato e ci state dando.

E’ terribile e meraviglioso che familiari e studenti poveri e umili che aspirano a diventare maestri, si siano convertiti nei migliori professori che abbiano visto i cieli di questo paese negli ultimi anni.

Fratelli e sorelle:

la vostra parola per noi è stata ed è una forza.

E’ come se ci abbiate dato un alimento pur essendo lontani, pur non conoscendoci, sebbene ci separassero i calendari e le geografie, cioè il tempo e la distanza.

E vi ringraziamo anche perché ora vediamo, ascoltiamo e leggiamo che altri cercano di zittire la vostra parola dura, forte, quel nucleo di dolore e rabbia che ha messo in moto tutto.

E noi vediamo, ascoltiamo e leggiamo che ora si parla di porte che prima non importavano a nessuno.

Dimenticando che da tempo tali porte sono servite a indicare a quelli di fuori che non erano affatto tenuti in considerazione nelle decisioni che prendevano quelli all’interno.

Dimenticando che ora tali porte sono parte soltanto di un baraccone inservibile, dove si simula sovranità e ci sono solo servilismo e sottomissione.

Dimenticando che tali porte danno soltanto su un grande centro commerciale al quale non accede il popolo che sta fuori, e nel quale si vendono i rottami di quel che in qualche tempo è stata la Nazione messicana.

A noi non interessano queste porte.

Né ci interessa se le bruciano, se le adorano, se le vedono con rabbia, o con nostalgia, o con desiderio.

A noi importano di più le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

Perché là fuori si parla, si discute, si chiosa su violenza e non violenza, lasciando da parte che la violenza si siede tutti i giorni a tavola con la maggioranza delle persone, cammina con loro al lavoro, a scuola, torna con loro a casa, dorme con loro, diventa incubo che è sogno e realtà indipendentemente dall’età, dalla razza, dal genere, dalla lingua, dalla cultura.

E noi ascoltiamo, vediamo e leggiamo che là fuori si discutono colpi di mano di destra e di sinistra, ovvero chi mandiamo via per vedere chi mettiamo al suo posto.

E si dimentica così che l’intero sistema politico è marcio.

Che non è tanto il fatto di avere relazioni con il crimine organizzato, con il narcotraffico, con le molestie, le aggressioni, gli stupri, le botte, le carceri, le sparizioni, gli omicidi, bensì che tutto questo è già parte della sua essenza.

Perché non si può più parlare della classe politica e differenziarla dagli incubi che soffrono milioni di persone in queste terre.

Corruzione, impunità, autoritarismo, crimine organizzato e disorganizzato, sono già negli emblemi, negli statuti, nelle dichiarazioni di principi e nella pratica di tutta la classe politica messicana.

A noi non importano i perché e percome, gli accordi e disaccordi che quelli di sopra imbastiscono per decidere chi si incarica ora della macchina di distruzione e morte in cui si è convertito lo Stato messicano.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

E noi vediamo, leggiamo e ascoltiamo che là fuori si discutono calendari, sempre i calendari di sopra, con le loro date ingannevoli che nascondono le oppressioni che oggi patiamo.

Perché si dimentica che dietro Zapata e Villa si nascondono quelli che sono rimasti, i Carranza, Obregón, Calles e la lunga lista di nomi che, sul sangue di chi è stato come noi, prolunga il terrore fino ai nostri giorni.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

E noi leggiamo, ascoltiamo e vediamo che là fuori si discutono tattiche e strategie, i metodi, il programma, il che fare, chi dirige chi, chi comanda e verso dove è orientato.

E si dimentica che le domande sono semplici e chiare: devono ricomparire in vita tutti e tutte, non solo quelli di Ayotzinapa; devono essere puniti i colpevoli di tutto lo spettro politico e di tutti i livelli; e si deve fare il necessario perché non si torni mai più a ripetere l’orrore contro chiunque in questo mondo, anche se non si tratta di una personalità o di qualcuno di prestigio.

A noi importano le vostre parole.

La vostra rabbia, la vostra ribellione, la vostra resistenza.

Perché nelle vostre parole noi ascoltiamo anche noi stessi.

In queste parole ci sentiamo dire e dirci che nessuno pensa a noi, i poveri di sotto.

Nessuno, assolutamente nessuno pensa a noi.

Fanno solo finta di esserci per vedere cosa cavarne, quanto possono crescere, guadagnare, raccogliere, fare, disfare, dire, tacere.

Molti giorni fa, nei primi giorni di ottobre, quando appena appena si iniziava a comprendere l’orrore di ciò che era avvenuto, vi mandammo alcune parole.

Piccole, come da tempo sono di per sé le nostre parole.

Poche parole perché il dolore non trova mai parole sufficienti che lo dicano, che lo spieghino, che lo allevino, che lo curino.

Allora vi dicemmo che non siete soli.

Ma con ciò vi dicemmo non soltanto che vi appoggiavamo e che, seppure lontani, il vostro dolore era nostro, come nostra è la vostra degna rabbia.

Sì, vi dicemmo questo ma non solo questo.

Vi avevamo detto anche che nel vostro dolore e nella vostra rabbia non eravate soli perché migliaia di uomini, donne, bambini e anziani conoscono sulla propria pelle quell’incubo.

Non siete soli sorelle e fratelli.

Cercate le vostre parole anche nei familiari dei bambini e delle bambine assassinati nell’asilo nido ABC nel Sonora; nelle organizzazioni per i desaparecidos nel Coahuila; nei familiari delle vittime innocenti della guerra, persa fin dall’inizio, contro il narcotraffico; nei familiari dei migliaia di migranti eliminati nell’intero territorio messicano.

Cercatele nelle vittime quotidiane che, in ogni angolo del nostro paese, sanno che l’autorità legale è chi picchia, annichila, ruba, sequestra, estorce, stupra, incarcera, uccide, a volte sotto le vesti di organizzazione criminale e a volte come governo legalmente costituito.

Cercate i popoli originari che, da prima che il tempo fosse tempo, serbano la saggezza necessaria a resistere e che conoscono più di chiunque altro il dolore e la rabbia.

Cercate lo Yaqui e si troverà in voi.

Cercate il Nahua e vedrete che la vostra parola sarà accolta.

Cercate il Ñahtó e lo specchio sarà mutuo.

Cercate coloro che hanno innalzato queste terre e con il loro sangue hanno partorito questa Nazione fin da prima che la chiamassero “Messico”, e saprete che di sotto la parola è ponte che attraversa senza timore.

Perciò ha forza la vostra parola.

Nelle vostre parole si sono visti riflessi in milioni.

Molti lo dicono, anche se la maggior parte lo tace ma fa suo il vostro reclamare e dentro di sé ripete le vostre parole.

Si identificano con voi, con il vostro dolore e la vostra rabbia.

Sappiamo che molti vi richiedono, vi esigono, vi domandano, vi vogliono portare da una parte o dall’altra, vi vogliono usare, vi vogliono comandare.

Sappiamo che è molto il frastuono che vi scagliano contro.

Noi non vogliamo aggiungere frastuono al frastuono.

Noi vogliamo solo dirvi di non lasciar cadere la vostra parola.

Non lasciatela cadere.

Non affievolitela.

Fatela crescere perché si elevi al di sopra del frastuono e della menzogna.

Non abbandonatela perché in lei prosegue non solo la memoria dei vostri morti e desaparecidos, ma cammina anche la rabbia di chi oggi è di sotto perché gli altri siano di sopra.

Sorelle e fratelli:

Noi pensiamo che forse sapete già che può succedere che rimaniate soli, e che siate preparati.

Che può succedere che quelli che ora si affollano su di voi per usarvi a proprio beneficio, vi abbandonino e corrano altrove alla ricerca di un’altra moda, di un altro movimento, di un’altra mobilitazione.

Noi vi parliamo di ciò che conosciamo perché è già parte della nostra storia.

Fate conto che siano 100 quelli che ora vi accompagnano nelle vostre richieste.

Di questi 100, 50 vi sostituiranno per la moda che verrà al prossimo giro di calendario.

Dei 50 che resteranno, 30 compreranno l’oblio che fin d’ora si offre a pagamenti rateali e si dirà di voi che ormai non esistete, che non avete combinato nulla, che siete stati una farsa per distrarre da altre cose, che siete stati un’invenzione del governo affinché non facesse progressi il tal partito o il tal personaggio politico.

Dei 20 rimanenti, 19 fuggiranno impauriti al primo vetro rotto perché le vittime di Ayotzinapa, di Sonora, di Coahuila, di qualsiasi geografia, restano nei mezzi di comunicazione solo un momento e possono scegliere di non vedere, di non ascoltare, di non leggere, girando pagina, cambiando canale o stazione, ma un vetro rotto è, in cambio, una profezia.

E allora, di 100 vedrete che ne resterà solo uno, una, unoa.

Ma questa una o uno o unoa, si è scoperta nelle vostre parole; ha aperto il suo cuore, come diciamo noi, e in quel cuore si sono seminati il dolore e la rabbia della vostra indignazione.

Non soltanto per i vostri morti e desaparecidos, ma anche per quell’uno, una, unoa tra cento, dovete andare avanti.

Perché quell’una o uno o unoa, come voi, non si arrende, non si vende, non zoppica.

Come parte di quell’uno per cento, magari la più piccola, stiamo e staremo noi zapatiste e zapatisti.

Ed allora, vedrete che dei 100 ne resterà solo uno, una, unoa.

Ma non solo.

Ci sono molte, molti, moltei di più.

Perché risulta che i pochi sono pochi finché si incontrano e si scoprono in altri.

Allora accadrà qualcosa di terribile e meraviglioso.

E quelli che si credevano pochi e soli, scopriranno che siamo la maggioranza in tutti i sensi.

E che sono quelli di sopra a essere pochi, in verità.

E allora bisognerà ribaltare il mondo perché non è giusto che i pochi dominino i molti, le molte.

Perché non è giusto che ci siano dominatori e dominati.

Sorelle e fratelli:

Tutto questo diciamo noi, secondo i nostri pensieri che sono le nostre storie.

Voi, nelle vostre storie, ascolterete molti altri pensieri, così come ora ci fate l’onore di ascoltare i nostri.

E voi avete la saggezza per prendere ciò che ci trovate di buono e disfarvi di ciò che vedete di male in tali pensieri.

Noi come zapatisti pensiamo che i cambiamenti che importano davvero, che sono profondi, che creano altre storie, sono quelli che iniziano con i pochi e non con i tanti.

Però sappiamo che voi sapete che sebbene passerà di moda Ayotzinapa, che sebbene falliranno i grandi piani, le strategie e le tattiche, che sebbene passeranno le congiunture e diverranno di moda altri interessi e altre forze, che sebbene se ne andranno quelli che oggi si agglomerano su di voi come animali da carogna che prosperano sul dolore altrui; sebbene tutto questo passerà, voi e noi sappiamo che c’è in ogni luogo un dolore come il nostro, una rabbia come la nostra, un impegno come il nostro.

Noi come zapatisti che siamo vi invitiamo ad andare da questi dolori e queste rabbie.

Cercateli, incontrateli, rispettateli, parlateci e ascoltateli, scambiate i vostri dolori.

Perché noi sappiamo che quando dolori differenti si incontrano non germinano in rassegnazione, tristezza e abbandono, bensì in ribellione organizzata.

Sappiamo che nel vostro cuore, indipendentemente dalle vostre credenze e dalle vostre ideologie e organizzazioni politiche, ad animarvi è la richiesta di giustizia.

Non spezzatevi.

Non dividetevi, a meno che non sia per arrivare più lontano.

E soprattutto, non dimenticate che non siete soli.

Sorelle e fratelli:

Con le nostre piccole forze ma con tutto il nostro cuore abbiamo fatto e faremo il possibile per appoggiare la vostra giusta lotta.

Non è stata molta la nostra parola perché abbiamo visto che ci sono molti interessi, dei politici di sopra in prima fila, che vi vogliono usare a proprio gusto e convenienza, e non ci sommiamo né ci sommeremo al volo rapace degli opportunisti svergognati ai quali non importa nulla che ricompaiano in vita quelli che mancano ora, bensì importa portare acqua al mulino della loro ambizione.

Il nostro silenzio ha significato e significa rispetto perché la dimensione della vostra lotta è gigante.

Perciò i nostri passi sono stati in silenzio, per farvi sapere che non siete soli, perché sappiate che il vostro dolore è il nostro e nostra è anche la vostra degna rabbia.

Perciò le nostre piccole luci si sono accese dove nessuno, a parte noi, ne teneva conto.

Chi vede come poca cosa o ignora questo nostro sforzo, e reclama ed esige che parliamo, che dichiariamo, che aggiungiamo rumore al rumore, è un razzista che disprezza ciò che non appare di sopra.

Perché è importante che voi sappiate che vi appoggiamo, ma è importante anche che noi sappiamo di appoggiare una causa giusta, nobile e degna, così come lo è quella che ora anima la vostra carovana per tutto il paese.

Perché questo, sapere che appoggiamo un movimento onesto, per noi è alimento e speranza.

Sarebbe un male se non ci fosse alcun movimento onesto, e che in tutto il grande sotto che siamo si fosse replicata la farsa grottesca di sopra.

Noi pensiamo che chi punta su un calendario di sopra o su una scadenza, vi abbandonerà quando apparirà una nuova scadenza all’orizzonte.

Avendo fiutato una congiuntura per la quale nulla hanno fatto e che all’inizio hanno disprezzato, aspettano che “le masse” gli aprano la strada al Potere e che un uomo supplisca a una altro uomo di sopra mentre sotto non cambia niente.

Noi pensiamo che le congiunture che trasformano il mondo non nascono dai calendari di sopra, ma sono create dal lavoro quotidiano, tenace e continuo di coloro che scelgono di organizzarsi invece di unirsi alla moda di turno.

Certo, ci sarà un cambiamento profondo, una trasformazione reale in questo e in altri territori dolenti del mondo.

Non una ma molte rivoluzioni dovranno scuotere il pianeta.

Ma il risultato non sarà un cambio di nomi e di etichette per cui quello di sopra continui a stare di sopra a spese di chi sta sotto.

La trasformazione reale non sarà un cambio di governo, ma di relazione, per la quale il popolo comandi e il governo obbedisca.

Per la quale essere governo non sia un affare.

Per la quale essere donne, uomini, altri, bambine, bambini, anziani, giovani, lavoratori o lavoratrici della campagna e della città, non sia un incubo o un trofeo di caccia per il piacere o l’arricchimento dei governanti.

Per la quale la donna non sia umiliata, l’indigeno disprezzato, il giovane desaparecido, il diverso dipinto come un diavolo, l’infanzia resa una merce, la vecchiaia accantonata.

Per la quale il terrore e la morte non regnino.

Per la quale non ci siano né re né sudditi, né padroni né schiavi, né sfruttatori né sfruttati, né salvatori né salvati, né leader né seguaci, né comandanti né comandati, né pastori né pecore.

Sì, sappiamo che non sarà facile.

Sì, sappiamo anche che non sarà rapido.

Sì, ma sappiamo bene anche che non sarà un cambiamento di nomi e d’insegne nell’edificio criminale del sistema.

Ma sappiamo che sarà.

E sappiamo anche che voi e tutti gli altri troverete i vostri desaparecidos, che ci sarà giustizia, che per tutti quelli che hanno sofferto e soffrono questa pena ci sarà il sollievo di avere risposte al perché, cosa, chi e come, e su queste risposte non solo si costruirà il castigo dei responsabili, ma anche il necessario affinché non si ripeta e che l’essere giovane e studente, o donna, o bambino, o migrante, o indigeno, eccetera, non sia un marchio attraverso il quale il boia di turno identifichi la sua prossima vittima.

Sappiamo che così sarà perché abbiamo ascoltato qualcosa che abbiamo in comune, tra le moltre altre cose.

Perché sappiamo che voi e noi non ci venderemo, non zoppicheremo e non ci arrenderemo.

Fratelli e sorelle:

Da parte nostra vogliamo soltanto che portiate con voi questo pensiero che vi diciamo dal fondo del nostro cuore collettivo:

Grazie per le vostre parole, sorelle e fratelli.

Ma soprattutto, grazie per la vostra lotta.

Grazie perché, sapendo di voi, sappiamo che già si vede l’orizzonte…

Democrazia!

Libertà!

Giustizia!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno- Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, a 15 giorni del mese di novembre 2014, nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale

Read Full Post »

6

Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado

Pubblicato il 8 novembre 2014 · in Osservatorio America Latina ·

di Fabrizio Lorusso

Nel Messico della NarcoGuerra il numero di turisti, paradossalmente, cresce senza tregua. Nel 2013 è stata toccata la cifra record di 24 milioni di visitatori. Le meraviglie in terra azteca sono innumerevoli. A Città del Messico la colonia Roma è una zona rinomata e frequentata, un’isola felice che sta su tutte le guide di viaggio. Si trova a ridosso del centro storico e dalla mattina presto brulica di umanità. I suoi caffè si popolano di avventori autoctoni e stranieri, un flusso ininterrotto che continua fino a sera. Le truppe di spazzini comunali e pepenadores, meticolosi riciclatori di spazzatura che lavorano in proprio, si lanciano per le strade. Il traffico monta. Non è un quartiere chic ma nemmeno decadente, mantiene un sapore antico e un retrogusto genuino di messicanità e una varietà di locali per tutti i gusti. Ti siedi a fare colazione in un merendero. Sul ciglio della strada, a dieci metri dalla caffetteria, c’è un pezzo di carne sanguinolento, ma non te ne accorgi. Sarà un sacco dell’immondizia.

Allucinazioni?

Sono le 10 del mattino del 6 novembre, le piogge non battono più, splenderà il sole fino a maggio. Le vie Anahuac e Quintana Roo si svegliano al ritmo di clacson e strilloni. Arrivano un piatto fumante di uova con chili e pomodori tagliuzzati accompagnato da un succo d’arancia. Guardi in giro e adesso sì, noti qualcosa di strano. Ti alzi, t’avvicini, sei a pochi metri, e ti accorgi che si tratta di un cadavere. Non è intero, è un mezzo corpo, un torso umano, abbandonato senz’anima. Non capisci se è un uomo o una donna, ma di certo è una vittima, un “effetto collaterale” del conflitto interno e della violenza. Ora è un banchetto per i reporter sensazionalisti e per i ratti che si sporgono dai tombini, intimiditi dall’arrivo delle prime pattuglie e dai periti della procura. Ti resta l’immagine impressa, nessuno nei paraggi ha visto niente. Da dove è venuto quel corpo? Oggi decidi di digiunare, paghi e rimandi la colazione a un’altra vita. Pensi alle fosse comuni del Guerrero, del Tamaulipas, di Veracruz, della frontiera statunitense, del centro, del Nord, del Sud, del Messico tutto. Pensi agli oltre 2000 corpi scoperti sottoterra in pochi mesi, alle 250 fosse clandestine ritrovate in meno di un paio d’anni, e alle migliaia di cadaveri ancora sepolti che non saranno mai identificati. Ai familiari che non avranno mai pace.

4

III Giornata Globale per Ayotzinapa

Il 5 novembre il centro della capitale è invaso da una massa animata e sfidante. Il grido di dolore dei genitori delle vittime della strage di Iguala del 26 settembre e dei desaparecidos entra in risonanza con la rabbia di studenti, professori, collettivi, ONG, sindacati, artisti, cittadini e lavoratori. Sfonda il torpore dei mass media, s’espande in mezzo mondo, mette in dubbio il ronzio fastidioso delle menzogne governative e propaga i suoi slogan, innalza i suoi cartelli, portatori di desolanti verità: #AyotzinapaSomosTodos (“Ayotzinapa siamo tutti”) e #Fueelestado (“La colpa è dello stato”) sono hashtag, scritte sui muri e striscioni che significano solidarietà e denuncia. E in effetti, anche se a fasi alterne e con diverse intensità, le proteste e le iniziative in Messico e in tutto il mondo non smettono di far parlare del “caso Iguala” e degli studenti della scuola normale rurale “Raul Isidro Burgos” di Ayotzianapa, la peggiore mattanza di studenti dopo la notte di piazza Tlatelolco a Città del Messico quando, il 2 ottobre 1968, l’esercito sparò sui manifestanti e fece oltre 300 vittime.

Un centinaio di migliaia di manifestanti marcia per le strade della città, dalla residenza presidenziale de Los Pinos al Zocalo, l’enorme piazza centrale, passando per la Avenida Reforma, per esigere al governo il ritrovamento dei 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, stato del Guerrero, sequestrati nella notte del 26 settembre dalla polizia di Iguala e del vicino paese di Cocula e poi consegnati ai narcotrafficanti del cartello locale Guerreros Unidos. I dimostranti chiedono un giusto castigo per i responsabili della mattanza di tre studenti e altre tre persone commessa quella stessa notte e il ritrovamento dei desaparecidos. La terza giornata di azione globale per Ayotzinapa ha mosso coscienze da Torino a Padova, da Zacatecas a Londra e Strasburgo.

Scioperi e denunce

Il governatore dello stato del Guerrero, Angel Aguirre, ha chiesto un “permesso” di sei mesi che il parlamento locale gli ha accordato il 25 ottobre, ma non s’è formalmente dimesso. Diciamo che ha deciso di autosospendersi per un semestre prima di decadere naturalmente, dato che si terranno le elezioni del nuovo governatore nel 2015, e di lasciare l’incarico a Salvador Rogelio Ortega Martinez, segretario generale dell’ateneo Universidad Autonoma de Guerrero e indicato come vicino ai gruppi guerriglieri della regione. Gran parte delle università del paese vota per lo sciopero: gli studenti decretano la sospensione delle attività per tre giorni, da mercoledì 5 a venerdì 7 novembre, in attesa di nuove mosse.

Il movimento d’occupazione dell’IPN, Instituto Politecnico Nacional, continua. L’ateneo è ancora senza rettore. Le negoziazioni col governo per i nuovi regolamenti e la concessione dell’autonomia all’istituto traballano, si rinviano, ma proseguono. “I cittadini devono cominciare a scendere in piazza e a paralizzare il sistema economico pacificamente, obbligandoli puntualmente a cominciare la pulizia dello stato messicano”, sostiene l’accademico, esperto di narcotraffico e sicurezza internazionale, Edgardo Buscaglia. E ribadisce quanto sia necessaria un’azione di azzeramento e “pulizia totale”, l’imposizione di una nuova agenda dal basso contro la corruzione, i narcos, le istituzioni marce e i loro rappresentanti. “Il nuovo patto per la sicurezza non lo deve fare il governo ma la società ne deve dettare i termini”. Il presidente messicano Peña Nieto ha proposto un patto per la sicurezza molto vago, dopo mesi di negazione del problema.

Ogni giorno che passa senza che nulla di sicuro si sappia del destino dei 43 studenti di Ayotzinapa mette sempre più in imbarazzo le autorità che ormai stanno esaurendo tutte le scuse e i colpi mediatici ad effetto per provare a distrarre l’attenzione dal vero problema che, in fondo, è lo stato stesso, il sistema politico corrotto e la penetrazione delle mafie a tutti i livelli, tanto che è ormai legittimo parlare di “Narco-Stato”. Secondo alcune stime, divulgate da Buscaglia, il 67% dei comuni messicani è infiltrato dai narcos e la situazione, quindi, è sfuggita di mano dal livello locale a quelli statale/regionale, nazionale e federale. 6800 soldati, 900 membri della marina e 1870 poliziotti federali sono impegnati nelle ricerche.

Nuovi racconti dei narcos arrestati: li abbiamo bruciati

A sorpresa, nel pomeriggio del 7 novembre, il procuratore generale della repubblica, Jesus Murillo Karam, tiene una conferenza stampa. In mattinata ha incontrato i genitori delle vittime a cui ha comunicato “notizie delicate” in una riunione definita come “tranquilla, dolorosa, molto triste”. Tre membri del cartello Guerreros Unidos hanno confessato di aver ricevuto e giustiziato gli studenti che gli erano stati portati dai poliziotti municipali di Iguala e Cocula il 26 settembre. Patricio Reyes, Jonathan Osorio e Agustín García Reyes, arrestati otto giorni fa, sono i rei confessi. Non è la prima volta che alcuni narcos e poliziotti raccontano i fatti di Iguala dalla prigione. I primi racconti del mese di ottobre sono stati smentiti dai fatti e dalle ricerche per cui anche questi vanno presi con le pinze. Nel paese dei montaggi televisivi e della fabbrica dei colpevoli è saggio aspettare.

Alcuni ragazzi, una quindicina, sarebbero arrivati nelle mani dei narcos già morti, asfissiati. Gli altri, secondo le dichiarazioni, sarebbero stati interrogati e in seguito bruciati per 15 ore nella discarica della spazzatura di Cocula. Un rogo alimentato a turno dai delinquenti con gomme, legna, benzina e plastica per eliminare tutte le tracce della strage. “Li hanno seppelliti con tutto ciò che avevano, li han bruciati con tutti i vestiti”, riporta Karam. “I periti che hanno analizzato il luogo hanno trovato frammenti di resti umani”, specifica.

 

Il pubblico assiste in silenzio alla conferenza, sbigottito, per l’ennesima volta. I video, le mappe della regione di Iguala, le testimonianze e gli interrogatori passano in sequenza sullo schermo controllato dal procuratore. La sua voce è seria, compunta. Uno dei narcos, noto come il “Terco”, il testardo, avrebbe ordinato di fratturare le ossa già calcinate, di raccoglierle in sacchi e scaraventarle giù da un burrone per farle rotolare fino al fiume San Juan. La procura conferma che “sono stati trovati dei sacchetti con resti umani all’interno” che saranno inviati in Austria per realizzare degli studi mitocondriali. Non si sa quando avremo notizie certe, gli studi possono durare giorni, anzi settimane, forse mesi, e sono complicatissimi. Insomma, ufficialmente i 43 normalisti sono ancora desaparecidos.

Queste dichiarazioni potrebbero cambiare il panorama delle indagini e gettano nello sconforto, ma anche nell’incertezza, l’intero paese. Nelle ultime settimane, dopo l’arresto di 36 narco-poliziotti dei comuni di Iguala e Cocula, di 27 narcotrafficanti e dei boss dei Guerreros Unidos, i fratelli Sidronio e Mario Casarrubias, e la rinuncia del governatore, s’è aggiunto anche un altro tassello, senza dubbio importante, ma in fin dei conto poco determinante ai fini delle indagini sugli studenti rapiti dalla polizia. Infatti, il giorno prima della manifestazione, verso le 2 e 30 del mattino del 4 novembre, la polizia federale ha arrestato José Luis Abarca, sindaco di Iguala, e sua moglie María Pineda, presunti autori intellettuali della strage degli studenti di Ayotzinapa e della scomparsa di 43 loro compagni.

L’arresto del sindaco Abarca e di sua moglie

Dopo i primi interrogatori la procura generale della repubblica ha confermato l’incarcerazione all’ex primo cittadino, accusato di omicidio e della scomparsa dei 43 normalisti, mentre la sua consorte rimane agli arresti domiciliari. Ma insieme a loro è stata catturata anche una ragazza. Si chiama Noemì Berumen ed è accusata di averli nascosti e protetti nella casa di suo padre, Salvador Berumen, situata nella zona periferica e labirintica di Iztapalapa, in cui la coppia ha vissuto per alcune settimane. Il padre di Noemì è un imprenditore edile, proprietario della Berumen Gruas (“gru”, in spagnolo) e contrattista del comune di Città del Messico e del partito che lo amministra, il PRD (Partido Revolucion Democratica, centro-sinistra). Grazie a questi scandali e al fatto che il sindaco Abarca e l’ex governatore Aguirre sono proprio del PRD, il partito di governo, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), sta cercando di portare acqua al suo mulino, in vista delle elezioni intermedie (parlamentari e di alcuni governi locali) previste a metà del prossimo anno.

Molti sono i mass media allineati che stanno provvedendo a distruggere l’immagine, già deteriorata dalle faide interne, del principale partito che, a fasi alterne, si può considerare d’opposizione. All’estero, invece, quando se ne parla, la tendenza generale sembra essere quella di emettere condanne “soft” contro il Messico per il suo scarso rispetto dei diritti umani e per il massacro di Iguala, anche se poi questo accadimento non viene contestualizzato ed è considerato alla stregua di un conflitto locale, di un episodio circoscritto e risolvibile, come se il paese non fosse immerso in una delle peggiori crisi di governabilità e sicurezza della sua storia, dopo 8 anni di narcoguerra e militarizzazione.

Narco-Sindaco e Narco-(Aspirante)-Sindachessa

La loro fuga è durata un mese, una settimana e un giorno. La notte del massacro i coniugi Abarca ballavano in una festa, a Iguala, mentre la polizia bloccava i normalisti e li consegnava ai narcos. Non volevano che, durante un evento tra il mondano e il politico organizzato dalla signora Maria Pineda, si ripetesse la brutta figura che avevano fatto nel luglio 2013, quando gli studenti di Ayotzinapa erano accorsi per protestare per gli omicidi degli attivisti della Unidad Popular, organizzazione osteggiata dal sindaco Abarca. Tanto osteggiata che il narco-sindaco, secondo un testimone oculare, aveva sparato a uno di loro, Arturo Hernandez Cardona, uccidendolo a sangue freddo.

Quella sera, l’ordine di fermare gli studenti è arrivata via radio. José Luis Abarca si faceva chiamare A-5, nome in codice. Sei morti, cioè tre studenti, un autista, un giocatore di calcio e una signora che viaggiava su un taxi, non bastavano. Ci voleva una lezione per i normalisti “rivoltosi”. E la polizia esegue, i narcos eseguono, i narcos sono la polizia che è il sindaco, che è il capo degli sbirri, che poi si chiama Felipe Flores Vazquez ed è latitante, e che è lo stato. Con calma, sabato 27 settembre, mentre probabilmente i corpi degli alunni della normale stavano bruciando in un immondezzaio comunale nella vicina località di Cocula, il sindaco si degna di rispondere alla chiamata delle autorità statali e dice che non sa niente di niente.

Il 30 chiede un permesso e se ne va, fugge con la moglie finché entrambi non vengono scovati in una casa della periferia della capitale, il 4 novembre. La signora Pineda-Abarca operava per conto dei narcos dei Gurreros Unidos e gestiva i fondi comunali per lo “sviluppo sociale”. “Quest’associazione mafiosa riceveva dal sindaco 2-3 milioni di pesos regolarmente”, spiega il procuratore capo, “ogni mese, ogni due mesi, ogni semestre, e di questi soldi almeno 600mila pesos erano destinati al controllo della polizia locale e i delinquenti decidevano anche chi poteva entrare a far parte della polizia”. Maria Pineda voleva fare la sindachessa, stava già preparando la sua candidatura insieme al marito. Quante Maria Pineda ci sono in Messico?

Distrazione

L’arresto di Abarca e della moglie rischia di diventare un elemento di distrazione, una scusa per non andare a fondo nelle ricerche dei 43 studenti ma soprattutto nello svelamento di quelle reti di connivenza politica delinquenziale che hanno provocato questa e migliaia di altre mattanze negli ultimi anni in Messico. Le decine di cadaveri rinvenute nelle fosse comuni nei dintorni di Iguala e Cocula stanno lì a ricordarci che oltre 100mila morti e 27mila desaparecidos in 7-8 anni non possono venire cancellati dalla martellante propaganda governativa e dallo sforzo diplomatico delle ambasciate messicane nel mondo.

Il giallo della casa in cui sono stati arrestati i coniugi e i loro nessi con la famiglia Bermuden, così come la storia di questo narco-sindaco-pistolero e di sua moglie, sorella di quattro narcotrafficanti, tre assassinati e uno latitante (vedi immagine), e presumibilmente coinvolta negli affari criminosi del marito, costituiscono nuovi tasselli del puzzle, ma oramai il quadro generale è stato rivelato e i nodi vengono al pettine. Le vene aperte del Messico e del caso Iguala/Ayotzinapa non possono confluire semplicemente nello stato del Guerrero ma trasportano il loro sangue fino a tutti gli apparati del sistema della narco-politica e di un narco-stato assuefatto alla violenza come strumento di repressione, controllo e gestione del potere.

E’ stato lo Stato

Tanto le testimonianze degli studenti sfuggiti all’attacco come vari documenti ufficiali, elaborati dalla procura del Guerrero, confermano che alcuni membri dell’esercito, della polizia federale e di quella statale erano presenti quando gli studenti sono stati aggrediti e, prima che venissero rapiti e fatti sparire, non gli hanno prestato aiuto. Anzi, li hanno perquisiti, fotografati, spogliati, ignorati quando chiedevano assistenza medica e accusati di essersela cercata prima di lasciarli in balia dei narcos. Persino i tassisti avevano l’ordine di non aiutare gli studenti. Lo stato c’era, non ha agito e ha addirittura facilitato il lavoro sporco della autorità locali e della criminalità organizzata.

Il direttore per le Americhe di Human Rights Watch (HRW), José Miguel Vivanco ha segnalato in conferenza stampa che gli accadimenti di Iguala sono frutto dell’impunità che regna in Messico da tanti anni e che il presidente ha reagito tardi: “Peña Nieto ha reagito quattro giorni dopo i fatti e l’ha fatto tardi e male perché ha parlato del problema come se si trattasse del Guatemala e invece siamo in Messico. Doveva muovere in quel momento tutti i mezzi e le risorse per impedire quanto successo”. I familiari e le organizzazioni della società civile, insieme ai movimenti sociali, si sono occupate di risvegliare l’attenzione su quanto stava succedendo e di spingere alla ricerca dei desaparecidos e al chiarimento degli eventi. “I diritti umani e la sicurezza pubblica non sono temi prioritari per il governo attuale, infatti sono temi tossici che arrecano un danno all’immagine del paese”, ha spiegato Vivanco.

Volti noti, ma non si interviene

Mario Pineda, El MP, e Alberto Pineda Villa, El Borrado, fratelli di María de los Ángeles Pineda Villa da anni sono volti noti. Sono coinvolti nella operazione pulizia, la Operación Limpieza, condotta nel 2008 dal governo federale in quanto pagatori o operatori finanziari del cartello dei Beltran Leyva, incaricati di versare 450mila dollari al mese a funzionari della procura generale della repubblica, secondo quanto dichiarato dal giornalista esperto di narcotraffico José Reveles. Lo scrittore ha parlato di soldi “per le coperture, per essere avvisati di quando c’erano operazioni di polizia, per essere tenuti informati e protetti”. Anche un documento del 29 luglio 2014 li segnala come alleati de “La Barbie”, il boss Edgar Valdez Villarreal.

I due Pineda Villa avrebbero anche dato 150mila dollari al mese al responsabile della sicurezza dello stato del Morelos, Luis Angel Cabeza de Vaca, secondo quanto riportato dalle conclusioni dell’accusa e dalle testimonianze dello stesso Valdez Villareal. “Il crimine organizzato è arrivato a comprare una franchigia chiamata ‘Comune’”, spiega Reveles. Il sindaco Abarca, tra l’altro, ha sostenuto la campagna elettorale del governatore Aguirre e, insieme a sua moglie, ha costruito un piccolo impero di gioiellerie, negozi e un mini-centro commerciale sparsi tra Iguala e la frontiera con gli USA, il che fa pensare a un business funzionale al riciclaggio di denaro sporco.

Tentativi presidenziali

Il presidente Peña ha presentato l’arresto del sindaco e della moglie come un passo che “contribuirà a chiarire il caso Iguala in modo decisivo” e ha parlato della “cattura dei responsabili”. In realtà non è così. Il caso non è chiuso e le manifestazioni di questi giorni lo dimostrano. Il tassello fondamentale sono i 43 studenti scomparsi che, nonostante le dichiarazioni dei narcos e la conferenza stampa del procuratore, continuano comunque a restare ufficialmente, secondo lo stesso Murillo Karam, “desaparecidos”. Peña ha proposto agli altri partiti e alla società un “patto per la sicurezza”. Lo fa solo ora, dopo aver sottovalutato il problema per quasi due anni, dopo aver tralasciato il tema dell’impunità, del sistema giudiziario viziato e politicizzato e dopo aver nascosto i morti del conflitto interno sotto il tappeto di casa. I familiari hanno incontrato il presidente. Peña li ha ascoltati e ha dialogato. “Gli stessi discorsi di sempre”, “Non ci sono risultati”, hanno detto i genitori deli studenti dopo l’incontro.

 

Alla fine della manifestazione del 5 novembre, durante il comizio finale, i genitori hanno addirittura anticipato l’annuncio del procuratore, annunciando che questi avrebbe presto “risolto il caso” rivelando nuovamente la morte degli studenti e prolungando indefinitamente la raccolta di prove scientifiche che la certificano. “Vogliamo dirvi che non accetteremo che venga fuori il presidente, in una conferenza stampa che sta per annunciare, a dire che nostri figli sono morti”, afferma uno di loro. “Solo vorrei dire al signor Peña Nieto che doveva firmare un accordo per far venire dall’estero dei periti per le ricerche e non l’ha fatto”, dice un altro. E’ un coro di critiche. “In una riunione che abbiamo avuto con il procuratore ci dicono che il sindaco Abarca è innocente perché stava dormendo e non s’è accorto di nulla”, impreca un altro familiare. Una madre conclude: “Facciamo un appello a tutta la cittadinanza affinché non ci lascino soli, rivogliamo vivi i nostri figli, vogliamo giustizia”.

Domande

Di chi sono i 30 cadaveri trovati nelle fosse comuni intorno ad Iguala se, come già dimostrato, non sono quelli degli studenti? Dove sono i responsabili nelle file della polizia che nel 2011 uccisero altri due studenti della normale di Ayotzinapa? Perché, se la procura già nel 2008, nel 2009 e nel 2013 aveva avuto modo di verificare i precedenti criminali di J. L. Abarca e consorte ed era a conoscenza del patto d’impunità in vigore nel Guerrero e a Iguala, non è intervenuta? La strage di Iguala si poteva evitare, così come tante altre. Quanti altri comuni in Messico sono nelle stesse condizioni e nessuno interviene? Quanti sono amministrati dal PRI? Quanti dal PRD o dal PAN (Partido Accion Nacional, di destra)?

Perché le autorità, i militari e gli altri corpi della polizia presenti il 26-27 settembre a Iguala hanno lasciato che i narcos e la polizia locale agissero indisturbati? Perché i narcos imprigionati raccontano versioni diverse ogni due settimane su come e dove avrebbero ucciso gli studenti e nascosto i loro resti? Come mai due importanti personaggi del PRD come Angel Aguirre e René Bejarano sapevano delle reti di narco-politica e non hanno impedito la degenerazione della situazione? La risoluzione di un caso di desaparicion forzata si conclude con la scoperta del luogo in cui si trova, viva o morta, la persona scomparsa, con la definizione completa delle responsabilità e il castigo di tutti i responsabili. Può lo stato messicano processare e punire se stesso? Ayotzinapa #FueElEstado. In tanti l’hanno scritto sulle pareti di decine di città messicane e sull’asfalto delle piazze. E il mondo comincia a crederci e ripete il grido: “¡Vivos se los llevaron, vivos los queremos!”.

http://www.carmillaonline.com/2014/11/08/benvenuti-in-messico-desaparecidos-e-morti-di-ayotzinapa-fueelestado/

Read Full Post »

DF

Dopo la caduta

Gustavo Esteva

Giulio Cesare si trovò improvvisamente di fronte al suo assassino. La sua vita finiva. Non sappiamo se nella sua mente passarono le immagini di suo figlio di soli tre mesi; della sua compagna Marisa; della sua famiglia. Quello che sappiamo è che dal suo cuore sgorgò un impulso incontenibile di coraggio e degna rabbia: gli sputò in faccia. Poco dopo, gli strapparono la pelle dal volto.

Di questa pasta sono fatti quei giovani. Di questa dimensione è il nostro dolore.

La degradazione umana che si rivela in quel furore criminale e quanto fatto ai nostri 43 è atroce. È tanto profonda e grave come la degradazione istituzionale in ogni ordine e grado e che si è mostrata apertamente ad Ayotzinapa. È stato lo Stato, ha detto lo Zócalo.

L’indignazione che è cresciuta tra noi ha creato un momento peculiare, forse senza precedenti. Spuntano come funghi, dappertutto, spazi di riflessione. Stiamo pensando l’impensabile, quello che non riuscivamo o non volevamo pensare.

Ci prendiamo innanzitutto le nostre responsabilità. Ci domandiamo com’è che siamo arrivati a tali estremi di degradazione personale e collettiva. Non è accaduto all’improvviso. È stato un lungo processo di decadenza. Perché l’abbiamo permesso?

Molti hanno alzato le spalle; non hanno sentito che il problema era loro o non sapevano che cosa fare. Ma molti altri ci siamo mobilitati. Ora stiamo riflettendo su quello che forse abbiamo fatto male.

È quasi vergognoso ammettere di aver bussato alle porte sbagliate. Gli olmi non producono pere. Ce lo dissero anni fa quelli di Occupy Wall Street: si presentano richieste al governo solo quando si crede che possa soddisfarle. È inutile farlo con chi rappresenta solo l’uno percento e sono del tipo di quelli che stanno manifestando. Si fa nostro il grido argentino del 2001: ¡Que se vayan todos! [Che se ne vadano via tutti!].

L’abbiamoo ripetuto, ciononostante, dobbiamo rimangiarci le parole. Che cosa accadrebbe se all’improvviso se ne andassero via tutti quanti, per qualche cataclisma istituzionale? C’è chi ha la risposta facile: Mettiamoci i nostri. Se ci fossero, miracolosamente, le dimissioni del Presidente, porterebbero nel 2015 l’illusione del 2018. Ma questa fantasia che fino a poco tempo fa attraeva milioni di persone, trova sempre meno eco. Non è dimostrato che gli altri siano più competenti o meno corrotti. Inoltre, anche attribuendo le più alte qualità immaginabili al leader che guiderebbe questa sostituzione, il ricambio sarebbe pericoloso: creerebbe l’illusione che la questione è risolta, che lui metterebbe le cose a posto.

A questo punto la riflessione arriva dove doveva arrivare, ciò che era impensabile fino a poco tempo fa. Non si tratta solo delle persone, di quelle canaglie. Quello che abbiamo permesso che accadesse è che le istituzioni stesse si degradassero. Per prima cosa hanno smesso di svolgere la loro funzione. Poi hanno cominciato a fare il contrario di quello che devono fare. Ora servono solo a dominare, controllare, rubare, distruggere…

Non basta sostituire dirigenti o realizzare riforme. Licenziare poliziotti, come si fa quotidianamente, moltiplica solo delinquenti. L’alternanza, con cui abbiamo già avuto governanti ed amministrazioni di tutti i partiti, ha dimostrato chiaramente che può essere peggio della continuità.

Quindi? Qui inizia la riflessione che ci mancava. E’ chiaro che dobbiamo smantellare questi apparati, cominciando a sopprimere la necessità che esistano. Affinché non si generi l’impressione che così si produrrebbe un vuoto abissale, dobbiamo definire con chiarezza quello che dovremmo fare.

Viviamo ormai nel caos, nell’incertezza, nel malgoverno, questo fango in cui non riusciamo più a distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni. Si vive ormai, come diceva mia nonna, con Gesù in bocca. Ho appena visto un graffito pertinente: Quando la tirannia è legge, la rivoluzione è ordine. È quello che vogliamo. Poter governare i comportamenti e gli eventi. Poter vivere in pace, in tranquillità, invece di essere continuamente esposti a disastri ed atrocità… Ma abbiamo bisogno che le regole della convivenza non vengano dal governo né dalle corporazioni, che ora sono lo stesso fango, bensì da noi stessi. Non si tratta di sopprimere ogni autorità o liquidare servizi pubblici, ma di portare la democrazia dove sono i cittadini, perché in alto si corrompe e si trasforma nel suo contrario. Si tratta di governarci, di fronte all’evidenza che il regime della rappresentanza è finito nel mondo intero. Per proteggerci, cominciamo ad organizzarci in ogni strada, ogni quartiere, ogni comunità…

Benché questo richieda tutto il coraggio e la degna rabbia di Giulio Cesare, non dobbiamo morire come lui. Di fronte a noi non c’è il nostro assassino. Ci siamo noi stessi. Oggi è richiesto il nostro coraggio, la nostra rabbia, la nostra organizzazione e la nostra immaginazione. Che la nostra rabbia si trasformi in ribellione e libertà.

gustavoesteva@gmail.com

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Read Full Post »

10405593_787172764657751_4247977110812564163_n

Ayotzinapa senza risposte

Gloria Muñoz Ramírez

Mi sono stancato, dice il procuratore, Jesús Murillo Karam. Non lo accettiamo, dicono i genitori dei 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa, dopo l’annuncio ufficiale che sono stati assassinati, bruciati e gettati in un fiume ed in una discarica, ma che continuano ad essere dichiarati desaparecidos.

Il governo federale si è ufficialmente stancato. E non ha risposto agli interrogativi nodali. Perché l’Esercito non è intervenuto di fronte all’emergenza, trovandosi a cinque minuti dal luogo degli attacchi? Dice Murillo Karam: “è un bene che non sia intervenuto… che cosa sarebbe successo se l’Esercito fosse intervenuto, chi avrebbe difeso? Ovviamente l’autorità costituita”. Cioè, è stato un bene che l’Esercito non avesse ricevuto ordini dall’autorità costituita?

“Sono corso verso la strada N. Álvarez, che porta in centro, dove stavano scappando i miei compagni. Quando siamo arrivati, a circa due o tre isolati, c’era l’Esercito che pattugliava. Non la città, il posto, e ci dicevano ‘fate silenzio, ve la siete cercata, volevate fare gli uomini, bene, arrangiatevi ‘. Avevamo paura e rabbia contemporaneamente, perché non potevamo nemmeno ricevere chiamate. Se qualcuno ci chiamava, un militare si metteva lì ad ascoltare e ci diceva quello che dovevamo dire. Volevano nascondersi e ci dicevano di non dire che ci tenevano i militari, di dire che stavamo bene, così dicevano ai compagni che ricevevano chiamate. Poi hanno chiamato un’ambulanza – tra virgolette -, ci hanno fotografato tutti. Perfino al compagno che era ferito, al quale hanno detto che lo fotografavano per mostrare le sue condizioni all’ambulanza che doveva arrivare. Ma l’ambulanza non è mai arrivata”. È la testimonianza del sopravvissuto Omar García, che chiedeva aiuto col suo compagno tra le braccia.

Perché i poliziotti avrebbero consegnato gli studenti ai criminali di Guerreros Unidos? Murillo non dice niente. Solo che poi questo gruppo criminale decise di assassinarli, mutilarli, bruciarli e gettarli nel fiume. Dove sta la spiegazione della complicità delle forze dello Stato, polizia ed Esercito, in questa trama ufficiale? Perché hanno ucciso le prime sei persone? Perché la polizia li ha inseguiti ed uccisi prima di consegnarli ai sicari?

Il presidente Enrique Peña Nieto non poteva reggere il peso dei morti e, soprattutto, dei 43 desaparecidos. Hanno preso tempo e preparato lo show multimediale. “Vogliono che il Presidente dica al mondo che in Messico il problema degli studenti è risolto.”

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2014/11/08/opinion/020o1pol

Copertura completa: https://es-la.facebook.com/Desinformemonos

 

Read Full Post »