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Archive for marzo 2013

La Jornada – Sabato 30 marzo 2013

La Corte si pronuncerà sulla richiesta di restituzione delle terre agli indigeni del Chiapas. Sarebbe la prima sentenza sul diritto di quei popoli al territorio

Hermann Bellinghausen

 Questo lunedì, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) si pronuncerà sul ricorso dell’ejido di Tila, nella zona nord del Chiapas, per la restituzione delle terre alienate dal governo del Chiapas mezzo secolo fa. Potrebbe essere la prima volta che la Corte si pronuncia sul diritto dei popoli indigeni a terra e territorio, sostiene Simón Hernández León, avvocato del Centro dei Diritti Umani Miguel Agustín Pro Juárez (Centro Prodh) che segue il caso nella capitale della Repubblica.

In un’intervista con La Jornada, espone la portata di una possibile decisione favorevole: “All’interno della Corte esistono resistenze a considerarla una questione ‘indigena’, perché, temono alcuni giudici, aprirebbe un dibattito politico, non di territorio. Ma in questo caso non si discute di autonomia o autodeterminazione dei popoli”. Certamente, questo è stato il principale scoglio affinché la SCJN accettasse i ricorsi di riconoscimento costituzionale dei precetti autonomistici dei popoli.

Hernández León spiega che il plenum della SCJN inizierà la discussione dell’incidente de inejecución 1302/2010, relativo al ricorso presentato dall’ejido di Tila contro l’esproprio illegale di 130 ettari. Il progetto è stato elaborato dal giudice Olga Sánchez Cordero. Ricorda che l’ejido ha vinto il ricorso contro il decreto 72 col quale il Congresso del Chiapas voleva sottrarre le terre.

La Corte interviene di fronte al rifiuto delle autorità dello stato di applicare la sentenza. Analizzerà le conseguenze della concessione del ricorso e potrà decidere sula sua applicazione. Già il giudice primo di distretto aveva deciso di annullare il decreto 72 e gli atti di esecuzione che implicano la disponibilità materiale della superficie.

La SCJN può stabilire che il ricorso vinto avrà solo effetti declaratori nell’annullare la sentenza, oppure confermare il criterio del giudice che ha considerato anche la restituzione fisica e materiale a favore dell’ejido. Il Prodh sostiene che la Corte deve determinare che la conseguenza della sentenza del ricorso è la restituzione della superficie sottratta. Come tribunale costituzionale può sviluppare il contenuto dei diritti previsti all’articolo 2 costituzionale ed usare i trattati internazionali sui popoli indigeni, i quali hanno rango costituzionale. Il caso mostra il debito storico dello Stato verso i popoli indigeni. Il tribunale e lo Stato devono riconoscere i popoli indigeni come soggetto politico emarginato nel processo storico di costruzione della Nazione, e soggetto collettivo di diritto. Di fronte al colpevole silenzio di decenni, è tempo di rivendicare i diritti dei popoli indigeni.

La decisione della SCJN stabilirebbe un precedente storico e può sviluppare criteri sulla dimensione culturale e la forma particolare in cui i popoli si relazionano e vivono nel territorio. Dovrà, secondo l’organismo, considerare il carattere plurinazionale dello Stato messicano e sotto questa premessa affrontare la risoluzione del caso, considerando gli elementi storici e la particolarità culturale del popolo chol, e garantire la restituzione affinché sia l’ejido, mediante la sua assemblea generale, ad amministrare i beni.

Rodolfo Stavenhagen, ex relatore per i popoli indigeni alle Nazioni Unite, ha presentato alla SCJN un memoriale amicus curiae (amici della Corte) che racconta la storia e la dimensione antropologica dell’ejido e del popolo chol. In un altro amicus curiae, il Prodh ha affrontato il diritto dei ppoli, proponendo la sua incorporazione nella sentenza.

La Corte Interamericana si è riferita alla sua dimensione culturale: Per le comunità indigene la relazione con la terra non è meramente una questione di possesso e produzione, bensì un elemento materiale e spirituale di cui devono godere pienamente, compreso per preservare il loro lascito culturale e trasmetterlo alle generazioni future. La cultura dei membri di queste comunità corrisponde ad una forma di vita particolare di essere, vedere ed agire nel mondo, costituito a partire dalla loro stretta relazione con i loro territori tradizionali e le risorse ivi presenti, non solo per essere questi il loro principale mezzo di sussistenza, ma anche perché costituiscono un elemento integrante della loro cosmovisione, religiosità e, infine, della loro identità culturale.

Il Prodh conclude il suo messaggio alla SCJN: Anche quando i popoli indigeni perdono parziale o totalmente il possesso del territorio, mantengono il loro diritto di proprietà sullo stesso ed hanno un diritto superiore per recuperarlo. La restituzione del pieno godimento ed esercizio di questi diritti deve essere il meccanismo prioritario e non può essere sostituito da un’indennità come dispone la Ley de Amparo. Il Prodh rileva l’insufficienza delle leggi Agraria e di Difesa per tutelare il diritto alla proprietà collettiva dei popoli e comunità indigene e la loro protezione giurisdizionale. La SCJN dovrà interpretarle mediante l’applicazione dei trattati che contemplino i diritti dai popoli indigeni. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/30/politica/007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CFE provoca scontri.

La Jornada – Giovedì 28 marzo 2013

Comunità accusano la CFE di provocare scontri nel nord del Chiapas

Hermann Bellinghausen

Comunità in resistenza e membri dell’organizzazione Pueblos Unidos por la Defensa de la Energía Eléctrica (PUDEE), aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona di Tila, Sabanilla, Tu,balá e Salto de Agua, denunciano il clima di scontro all’interno delle comunità provocato dalla Commissione Federale di Elettricità (CFE) nella zona nord del Chiapas. 

Da gennaio, raccontano, il personale della CFE, guidato da Bruno Herrera Monzón, funzionario per le riscossioni di Yajalón, è stato in tutte le comunità nel tentativo di convincere le autorità ejidali, funzionari rurali e rappresentanti delle comunità in resistenza, a convocare riunioni per informare che a partire da quest’anno cominceranno a pagare i le bollette dell’energia elettrica.

A chi ha debiti da molti anni saranno installati dei contatori per, secondo la CFE, offrire un servizio di qualità. Si offre anche la possibilità all’utente di pagare i suoi debiti in cinque anni. 

La CFE informa di voler installare contatodi digitali e nuove apparecchiature per tenere sotto controllo il servizio elettrico. L’organizzazione PUDEE, che raggruppa proprio le comunità che da anni si oppongono agli abusi dell’ente parastatale ed ai successivi programmi governativi volti a darli desistere dalle loro richieste, dice: ci vogliono controllare e rubare sfacciatamente il servizio.

Le azioni della commissione in alcune comunità provocano degli scontri, perché le autorità ejidali ed i funzionari rurali stanno accettando questi inganni. Diciamo inganni perché non è la prima volta che lo fanno attraverso programmi come Luz Amiga, tarifa de Vida Mejor o Luz Solidaria; ora ci viene a dire che abbiamo cinque anni per saldare i debiti, ma non dicono quanto pagherò e quanto ruberanno. PUDEE sottolinea: i nostri compagni non vogliono pagare finché non saranno attuati gli Accordi di San Andrés Larráinzar. 

Respingendo queste offerte, le comunità e le famiglie in resistenza sono minacciate di perdere la fornitura elettrica. Se non firmeranno l’accordo, saranno sospesi i benefici dei programmi governativi e le ricevute di pagamento delle bollette saranno il requisito indispensabile per sbrigare pratiche amministrative col governo.

Ciò causa dissenso tra chi vuole pagare, che viene manipolato, e chi si oppone. “Ci dicono continuamente che: ‘chi non paga le imposte è un irresponsabile’ ‘e lo è anche chi non paga la luce e l’acqua, e non accetta programmi né vota”‘.

L’organizzazione PUDEE, composta in maggioranza da comunità chol, sostiene: non è più irresponsabile quello che paga le imposte che poi vanno alle imprese straniere che mantengono questo sistema di esclusione e riempiono le pance degli alti burocrati? Non sono più irresponsabili quelli che alimentano col loro voto questa farsa che sono le elezioni? 

Sostiene: in realtà, un cittadino responsabile non vota in queste elezioni, non paga imposte, né luce né acqua. Finché continuiamo a pensare secondo i parametri del sistema, continueremo ad essere schiavi di una banda di miliardari. Viviamo schiavi della falsa informazione, con la quale i media di massa hanno molto a che vedere. La libertà, come gli altri diritti umani, è una questione sociale, di persone.

Infine, avverte che “nella Costituzione non è proibito organizzarsi per difendere questo paese; non bisogna nemmeno chiedere permesso per praticare l’autodeterminazione dei popoli, lottare e resistere. I malgoverni ci hanno forse chiesto il permesso di essere corrotti o per le riforme costituzionali, affinché i governanti siano legati al narcotraffico? Ci hanno forse chiesto il permesso per la firma del Pacto por México? L’unica cosa che ci hanno chiesto è il voto corporativo ed ora che godono del potere non c’è speranza di migliorare le condizioni di vita nelle campagne e nelle città”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/28/politica/010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Frayba: Patishtán a digiuno per la sua libertà.

Dal carcere No. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas Alberto Patishtán prigioniero politico della Voz del Amate annuncia di essere da 4 giorni a digiuno allo scopo di chiedere alle autorità federali del Consejo de la Judicatura federal e del Primer Tribunal colegiado de Vigésimo Circuito de Chiapas, di rilevare e risolvere il suo riconoscimento di innocenza.

Via @chiapasdenuncia: En ayuno Alberto Patishtán por su Libertad hoy lleva 4 días

Lettera di Alberto Patishtán: Link

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La Jornada – Sabato 23 marzo 2013

 

Il Massacro di Simojovel

Cronaca di un massacro di poliziotti (quasi) dimenticato

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 22 marzo. La notorietà raggiunta dalla lotta di Alberto Patishtán Gómez per la libertà ha impedito che il crimine che ha causato la sua personale disgrazia di 12 anni di prigione (e, secondo la sentenza ne mancano altri 48) fosse dimenticato, cosa che sicuramente ha contrariato molte autorità, almeno statali, dal 2000 ad oggi, dopo quattro governatori letteralmente di tutti i partiti. Che cosa successe la mattina del 12 giugno del 2000 a Las Lagunas de Las Limas, Simojovel? Quale il movente? Che cosa stava succedendo in quei giorni da quelle parti?

L’omicidio di sette poliziotti – il comandante Francisco Pérez Morales, cinque agenti ai suoi ordini ed il comandante municipale di El Bosque, Alejandro Pérez Cruz – rappresentava un fatto di enorme gravità. Oggi forse ci siamo abituati a notizie di questo genere, ma allora, perfino nel Chiapas militarizzato e paramilitarizzato, questo risultava un fatto straordinario. Ovviamente, la notizia finì sulle prime pagine di tutti i giornali.

Dopo tre settimane si sarebbero svolte le elezioni nelle quali il PRI avrebbe perso la Presidenza, ed in agosto il governatorato. Il presidente Ernesto Zedillo, storicamente e personalmente coinvolto nella guerra contro gli indigeni del Chiapas in generale, e quelli di El Bosque in particolare, si preparava a visitare l’entità martedì 13 per inaugurare una strada nella Selva Lacandona, ma sospese la visita. Il candidato priista a governatore, Sami David, pensò ai suoi affari. L’Esercito federale inviò centinaia di effettivi, occupò il luogo dell’imboscata, la città, le strade e fece incursioni nelle comunità zapatiste. Tuttavia, la prima ipotesi della Segreteria della Difesa Nazionale fu che poteva trattarsi di “una cellula dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR)” (La Jornada 13/06/2000), cosa che sorprese molto perché né allora né mai l’EPR è stato presente nella zona.

Più credibile sembrò l’ipotesi, diffusa lo stesso giorno, della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), storicamente presente nella regione: potevano essere stati i “paramilitari” del Mira (anche se visto in prospettiva, il gruppo paramilitare a El Bosque, temibile e letale, era conosciuto come Los Plátanos, dal nome della comunità in cui vivevano i suoi membrid, insieme a poiziotti judiciales, da dove erano partiti il 10 1998 per partecipare al massacro di zapatisti a Unión Progreso; a Los Plátanos, io stesso ero stato presente, mesi prima dell’imboscata, ad “una distruzione mediatica” di coltivazioni di marijuana col pretesto, alla fine fallito, di accusare l’EZLN.

La polizia federale inizialmente parlò di narcotrafficanti; non era un mistero il passaggio di marijuana proveniente da Huitiupán.

Il massacro avvenne un lunedì. Il sabato precedente gli zapatisti aveva commemorato il secondo anniversario dei fatti di Unión Progreso e Chavajeval e l’arresto delle autorità autonome di San Juan de la Libertad. Diego Cadenas, allora giovane avvocato del Frayba, il giorno dell’imboscata dichiarò a La Jornada che quel 10 giugno, mentre si stava recando ad Unión Progreso per partecipare alle cerimonie religiose per il secondo anniversario del massacro del 1998, ai posti di blocco di Puerto Caté e San Andrés Larráinzar i militari gli dissero che erano “sospese le garanzie individuali”. Non era così.

Due giorni dopo, un commando di 10 o 15 individui, con equipaggiamento ed armi di grosso calibro, tese un’imboscata al pick up verde scuro su cui viaggiavano, provenienti da Simojovel, otto poliziotti e l’autista del municipio di El Bosque, minorenne e figlio del sindaco Manuel Gómez Ruiz. Il giovane Rosemberg Gómez Pérez, che guidava il veicolo con i due comandanti in cabina, e l’agente di Pubblica Sicurezza Belisario Gómez Pérez nel rimorchio con i suoi commilitoni, gravemente feriti e creduti morti dagli aggressori, sarebbero sopravvissuti e quindi gli unici testimoni oculari.

La Jornada scriveva che nel corso del 2000 questa era “l’ottava imboscata”; gli aggressori avevano già lasciato 20 morti ed un ugual numero di feriti. I poliziotti caduti a Las Lagunas erano Francisco Escobar Sánchez, Rodolfo Gómez Domínguez, Guadalupe Margarito Rodríguez Félix, Arbey Vázquez Gómez e Francisco Pérez Mendoza. Oggi due di loro sono ancora ricordati da due croci di cemento sulla curva dove furono crivellati di colpi. Si contarono 85 colpi di AK-47 e R-15.

L’EZLN si dissocia e indaga

Il giorno dopo l’imboscata, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN emise un breve comunicato: “Secondo i dati raccolti, l’attacco è avvenuto con tattiche da narcotrafficanti, paramilitari o militari. L’uso del cosiddetto ‘colpo di grazia’ è ricorrente in questi gruppi armati. L’attacco è avvenuto in una zona satura di truppe governative (Esercito e polizia), dove è molto difficile che un gruppo armato possa muoversi senza essere scoperto e senza la complicità delle autorità. Il gruppo attaccante possedeva informazioni privilegiate sui movimenti e sul numero di persone imboscate. Una tale informazione può essere ottenuta solo da persone del governo o vicine ad esso”.

Il comando ribelle segnalava: “L’EZLN sta investigando per fare luce sull’identità e sui motivi del gruppo aggressore. Tutto indica che sarebbero del governo (o con il sostegno governativo) le persone che hanno compiuto l’aggressione, poiché in questo modo avrebbero il pretesto per aumentare la militarizzazione in Chiapas, e per giustificare l’attacco contro comunità zapatiste o l’EZLN. È da notare che questo fatto rafforza il clima di instabilità di cui minaccia il candidato ufficiale se non vincerà”.

“Provocazione o no, il fatto violento è già diventato un pretesto per aumentare la presenza militare in tutto lo stato, perfino in zone molto lontane dal luogo dell’aggressione”, aggiunge il comunicato (13/6/2000), dettagliando che “nelle ultime ore si sono rafforzati i quartieri federali di Guadalupe Tepeyac, a Las Margaritas; Cuxuljá, Ocosingo; Caté, a El Bosque, e le città di Simojovel ed El Bosque. Contemporaneamente si è incrementato il numero di aerei da guerra e sorvoli nelle zone Altos, selva e nord”. E infine, “l’EZLN si dissocia da questo atto e rivolge un appello all’opinione pubblica affinché non si lasci ingannare”.

La cattura di Patishtán

Ciò nonostante, il governo statale di Roberto Albores Guillén, attraverso il suo procuratore Eduardo Montoya Liévano, spinse subito l’ipotesi che gli aggressori potessero essere zapatisti, per la presunta vendetta per il massacro contro di loro ordinato dallo stesso Albores Guillén due anni prima, anche se ammise che avrebbero potuto essere degli “assalitori”. Il convoglio attaccato, si disse, pattugliava per “combattere i pistoleros“.

Il senatore Carlos Payán Velver, membro della Cocopa, propose che l’istanza legislativa si recasse sul luogo perché la situazione era “grave e critica”. Il deputato Gilberto López y Rivas, della Cocopa, segnalò che quell’imboscata aveva tutto l’aspetto di “una provocazione dei paramilitari fomentata dal governo stesso dello stato” (La Jornada 14/6/2000).

Nella stessa data, Victor Manuel Pérez López, dirigente della CIOAC, rivelò che il governo del Chiapas nel 1997 armò e finanziò “dissidenti del Partito del Lavoro” per combattere il fugace governo municipale di quel partito e della CIOAC. “Nella zona tutti sanno chi sono”, disse, e che “una volta centrato l’obiettivo” di restituire al PRI il comune, “questi si sarebbero dedicati agli assalti e al narcotraffico”. Agiscono, aggiunse, “in completa impunità, in pieno giorno, anche se militari e poliziotti realizzano pattugliamenti frequenti”.

Allora, in due imboscate precedenti, erano state assassinate quattro persone, secondo la CIOAC “basi zapatiste”. Il 13 gennaio, sulla strada per Chavajeval, fu assassinato Martín Sánchez Hernández da incappucciato armati, e poi, il primo febbraio, Rodolfo Gómez Ruiz, Lorenzo Pérez Hernández e Martín Gómez. Tutti tzotzil.

Deputati del PRD e del PAN accusarono di negligenza il segretario di Governo Mario Lescieur Talavera, e dissero che l’imboscata era il pretesto per l’invio di ulteriori elementi della Polizia Federale Preventiva. I carri armati, gli elicotteri e l’artiglieria dell’Esercito federale erano già arrivati.

L’episodio usciva allo scoperto. Urgeva correre ai ripari. Il governo credette di riuscirci, cosicché il presidente Zedillo il 19 giugno si recò a Marqués de Comillas per inaugurare una strada. Quello stesso giorno a El Bosque, l’Esercito e la PFP catturarono, senza mandato di cattura, il maestro Alberto Patishtán Gómez. Un gruppo di abitanti, membri del PRI, “visibilmente emozionati” (La Jornada, 20/6/2000) sollecitarono l’intervento del Congresso statale sostenendo che il prigioniero era innocente, “si dissociarono dai fatti violenti del 12 giugno” e dichiararono di non essere armati né di appartenere a nessun gruppo paramilitare. Non furono ascoltati, anzi, furono minacciati.

Patishtán rimase illegalmente “in stato di fermo” per un mese nell’hotel Safari di Tuxtla Gutiérrez. I suoi parenti, amici e correligionari occuparono la presidenza municipale e chiesero la liberazione del professore. Neanche il loro stesso partito li appoggiò. E non solo. L’allora deputato priista Ramiro Miceli Maza, compadre del sindaco, cioè padrino di battesimo del giovane Rosemberg, risultò un elemento chiave nello spaventarli ed accusare il maestro e leader comunitario che finì nella prigione di Cerro Hueco.

Quel 19 giugno, pronunciandosi rispetto alle imminenti elezioni del 3 luglio 2000, il subcomandante Marcos scrisse: “Nel frattempo qua stiamo tremando. E non perché ‘el croquetas‘ Albores abbia ingaggiato Alazraki per rifarsi l’immagine (probabilmente Albores cerca un posto per promuovere cibo per cani), né per i seicentomila dollari che gli verserà (soldi destinati originalmente a ‘risolvere le condizioni di povertà ed emarginazione degli indigeni chiapanechi’, Zedillo dixit). Neanche per i latrati del ‘cucciolo‘ Montoya Liévano (sempre più nervoso perché si sta scoprendo che sono stati i suoi ‘ragazzi ‘- cioè, i suoi paramilitari – i responsabili dell’attacco alla Pubblica Sicurezza a El Bosque, il 12 giugno scorso). No, stiamo tremando perché siamo zuppi di pioggia. E tra elicotteri e temporali, non si trova un buon riparo”.

Ora contro gli zapatisti

Il 10 luglio seguente, passate le elezioni federali, un mese dopo l’imboscata, la polizia statale fermò a Bochil due basi di appoggio dell’EZLN residenti ad Unión Progreso, con l’accusa di aver partecipato al crimine. Questo, anche se la Procura Generale della Repubblica sostenesse che gli attaccanti erano un gruppo di priisti dissidenti, tra i quali Patishtán; queste due basi zapatiste da mesi lanciavano accuse al sindaco Manuel Gómez Pérez per la sua scandalosa corruzione.

La Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) seguiva le proprie linee di indagine. “Ricorrendo alla polizia distaccata a Los Plátanos, al corrente dei fatti, le autorità hanno raccolto prove del delitto a carico di due indigeni di Unión Progreso” (La Jornada, 15/7/2000). Uno di loro, Salvador López González, torturato e interrogato senza traduttore, firmò una confessione ad hoc e fu imprigionato. In prigione si trovò col suo coimputato: Patishtán. Senza nemmeno conoscersi, i due si portavano addosso tutto il peso dell’imboscata.

La Jornada scrisse da Unión Progreso: “Il distaccamento di polizia che ha fermato gli zapatisti ha avuto sotto gli occhi, per lungo tempo, le coltivazioni di marijuana che ci sono a Los Plátanos. La violenza interna in quel villaggio, controllato da un noto gruppo paramilitare, è sempre servita da pretesto per accusare ed attaccare i vicini zapatisti. Secondo il rappresentante di Unión Progreso, ‘ci accusano di quello che fanno loro’. L’Esercito federale è entrato a Los Plátanos per distruggere queste coltivazioni, le uniche scoperte nella regione. Almeno in due occasioni, e senza arrestare nessuno”.

Salvador e suo fratello Manuel “furono fermati” il 10 luglio; i loro familiari dichiararono: “Quelli della Pubblica Sicurezza (SP) li hanno denudati e picchiati fino a ridurre Salvador senza conoscenza”. Con gli arrestati c’erano un bambino (“che piangeva molto”) ed un adolescente che “ci vennero ad avvisare che avevano portato via i compagni”.

Siccome quelli della SP non erano di Bochil ma di El Bosque, “affittarono la prigione “. Poi i fermati furono portati a Cerro Hueco. “Quelli della SP gli misero addosso un pugno di marijuana e delle pallottole” e rubarono 28 lattine di bibite. Manuel sarebbe poi stato rilasciato.

Esattamente un mese prima, il 10 giugno, ore prima del massacro dei poliziotti, la SP acquartierata a Los Plátanos intercettò un camioncino di Unión Progreso. L’autista era lo stesso Salvador. Lo interrogarono “su una lista di nomi. Da quel momento volevano accusare i compagni”, dichiarò un rappresentante della comunità: “Non sappiamo quanti ce ne sono nella lista. Forse siamo accusati tutti”. (Curiosamente, quasi con le stesse parole avevano espresso lo stesso timore i correligionari di Patishtán quando questi fu arrestato).

Con due capri espiatori così simbolici come Alberto e Salvador, il caso cominciava ad essere “risolto”, o almeno dimenticato dai media nazionali.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
21 marzo 2013

Comunicato stampa No. 08

Lottando per la #LibertadPatishtan, festeggiamo il suo compleanno

9 aprile, 4 mila 686 giorni in prigione

Lo scorso mercoledì 20 marzo 2013, nella sede di questo Centro dei Diritti Umani, il Professor Alberto Patishtán (d’ora in avanti Patishtán), prigioniero politico in Chiapas, ha convocato per via telefonica una nuova tappa nella ricerca della giustizia e richiesta della sua libertà.

Dopo la sfortunata decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) di non rilevare il caso, questo ora passerà al Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutierrez nel mese di aprile. Per tale motivo, la famiglia di Patishtán, Organizzazioni Civili, Collettivi e Persone riteniamo importante realizzare azioni per esigere la sua libertà.

Per questo invitiamo ad unirvi a questa iniziativa chiamata: Luchando por la #LibertadPatishtan, festejemos su cumpleaños.

Per questo proponiamo le seguenti azioni:

  1. Vogliamo raggiungere l’obiettivo di inviare 4 mila 686 lettere dal 21 marzo al 15 aprile, una lettera per ogni giorno che Patishtán ha trascorso in prigione, indirizzate al Presidente del Consiglio della Magistratura Federale, Juan N. Silva Meza ed ai giudici del Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutierrez (qui sotto trovate i modelli di lettera da inviare).

Potete inviare le vostre lettere ai seguenti indirizzi:

  1. Ministro Juan N. Silva Meza (modello lettera a Silva Meza)

Consejo de la Judicatura Federal

2.- Ai giudici del Primer Tribunal Colegiado del Vigésimo Circuito

(modello lettera ai giudici)

Inviare copia delle vostre lettere all’indirizzo: presoschiapas@gmail.com

Invitiamo inoltre a realizzare azioni attraverso le reti sociali:

  1. Su Facebook a partire da venerdì 23 marzo chiediamo di sostituire la foto sul vostro profilo con quella per la libertà di Alberto Patishtán. (l’immagine la trovate sulla Facebook di Alberto Patishtán www.facebook.com/alberto.patishtan) e vi invitiamo ogni venerdì ad invitare i vostri amici ad unirsi in questa azione.
  2. Su Twitter ogni venerdì vogliamo arrivare a 4 mila 686 Retwit per la #LibertadPatishtan; Iniziando questo 23 marzo, e continuando ogni venerdì, 29 marzo e 5, 12 e 19 aprile, fai un Retwit #LibertadPatishtan

Proponiamo che il # dell’iniziativa sia: #LibertadPatishtan

  1. Un’altra delle azioni proposte è che dal 21 marzo al 15 aprile inviamo una foto, una poesia, un pensiero, un disegno, un cartellone, eccetera, per la libertà di Patishtán, in commemorazione del suo 42° compleanno. Potete inviarli all’indirizzo presoschiapas@gmail.com o se volete, potete consegnarli materialmente al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, calle Brasil No. 14 Barrio de Mexicanos, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México, C.P. 29240.

Quello che manderete sarà esposto durante le mobilitazioni da realizzare il 19 aprile e poi consegnato a Patishtán come dimostrazioni di solidarietà e affetto.

  1. Per il 19  aprile, giorno del compleanno di Patishtan, invitiamoa ad azioni di mobilitazione pacifiche, in forma simultanea a livello nazionale ed internazionale, per chiedere la libertà di Patishtán.

Sarebbe importante consegnare fisicamente le lettere quel giorno negli spazi dedicati:

A Città del Messico (D.F) presso il Consejo de la Judicatura Federal, che controlla l’operato di magistrati e giudici in Messico, indirizzo: Insurgentes Sur No. 2417, San Ángel. Álvaro Obregón. C.P. 01000, México D.F.

A Tuxtla Gutiérrez al Primer Tribunal Colegiado del Vigésimo Circuito, nel Palazzo di Giustizia Federale edificio “C”, planta baja, ala “A”, Boulevard Ángel Albino Corzo N0. 2641.

A livello mondiale, si può manifestare e consegnare le lettere presso le ambasciate ed i consolati del Messico.

Vi chiediamo di informarci delle azioni che realizzerete il 19 aprile e di mandarci una foto e/o videoc all’indirizzo presoschiapas@gmail.com per informare i media nazionali ed il professor Patishtán di tutte le dimostrazioni di appoggio per la sua libertà.

Per maggiori informazioni sulla situazione del Professor Alberto Patishtán invitiamo a consultare il sito http://www.albertopatishtan.blogspot.mx dove si possono trovare informazioni sul suo caso e sulle azioni per la sua liberazione.

Audio di Patishtán nella Conferenza Stampa del 20 marzo 2013: http://www.goear.com/listen/176cb99/conferencia-nueva-etapa-acciones-libertad-patishtan-alberto-patihtan-

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, AC
BRASIL 14, BARRIO MEXICANOS, CP 29240. SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, MÉXICO.
TELEFAX + 52 (967) 678 3548, 678 3551, 678 7395, 678 7396
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La Jornada – Giovedì 21 marzo 2013

Nuova campagna internazionale per la liberazione di Patishtán

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 marzo. “La Suprema Corte di Giustizia della Nazioneión (SCJN) non si aspettava la reazione di indignazione generale suscitata dal suo rifiuto di rilevare il caso di Alberto Patishtán Gómez”, ha affermato oggi il suo avvocato Leonel Rivero Rodríguez. La Corte “ha mentito” nel giustificare il suo verdetto, e questo è un fatto che si verifica “molto raramente”. Oltre al fatto orami noto che è “innocente”, ha aggiunto durante la conferenza stampa nella quale è stata annunciata la nuova campagna internazionale per la liberazione del docente tzotzil.

Il collettivo Ik, che accompagna i prigionieri politici e di coscienza, a sua volta ha sottolineato che “appoggiano la sua liberazione il governatore Manuel Velasco Coello ed il vescovo di San Cristóbal Felipe Arizmendi e l’EZLN attraverso il subcomandante Marcos, oltre a tutto un movimento sociale nel municipio di El Bosque”, formato da persone di diversi partiti, e tutte le chiese lì presenti (cattolici, presbiteriani, testimoni di Geova, evangelici, pentecostali). “Si è mai vista prima una coincidenza simile tra voci tanto diverse?”.

Questo, “mentre non esiste polemica, nessun settore si oppone alla sua liberazione né vi sono dubbi sulla sua innocenza”, rileva Rivero Rodríguez. 

Dal carcere numero cinque, per via telefonica, lo stesso Patishtán ha convocato “una nuova tappa di mobilitazioni” a partire da oggi fino al 17 aprile, davanti ad ambasciate e consolati del Messico all’estero, simultanee a quelle che realizzerà a El Bosque, Tuxtla Gutiérrez e Città del Messico il movimento indigeno del suo municipio che da 12 anni chiede la sua liberazione e riceve solo disprezzo. Oggi stesso si è svolta una protesta di fronte all’ambasciata di Londra.

“Nonostante questa nuova ingiustizia, non mi fermerò mai per il bene della giustizia e della libertà”. Nel suo appello si rivolge a collettivi, chiese, studenti, operai, comunità, e chiede anche la liberazione dei suoi compagni Solidarios della Voz del Amate.

Dodici anni in carcere, accusato dell’omicidio di sette poliziotti in un’imboscata nel giugno del 2000, una volta condannato non si è più indagato, sempre ammesso che si indagò prima di chiudere il caso che si è poi coperto da un velo di sospetto, mistero e oblio. O almeno contava su questo chi ha voluto mantenere Patishtán rinchiuso in cinque prigioni diverse, compresa quella di massima sicurezza in Sinaloa.

Il professor Martín Ramírez, portavoce del movimento civico di El Bosque, ha dichiarato: “Se si fossero applicati gli accordi di San Andrés firmati dal governo con l’EZLN, Patishtán sarebbe libero, perché ci sarebbe una giustizia migliore per gli indigeni. Non capiamo perché continuano con le stesse pratiche di 200 anni fa. Siamo nel XXI° secolo e si continua con la tortura e il disprezzo, come ha fatto ora la SCJN. Alberto è un prigioniero politicoper avere lottato a favore della gente” ed aver denunciato pubblicamente la corruzione della giunta priista di El Bosque di allora. “O è un reato essere contro l’ingiustizia?”, ha chiesto.

Rivero Rodríguez ha esposto la sua interpretazione del disinteresse esplicito della SCJN di fronte alla richiesta di rilevare il caso: “Ha solo deciso di non rilevarlo; non ha respinto il ricorso. E’ stata una decisione che ha diviso i magistrati”. La Corte “non è stata all’altezza della sfida” che gli presentava questo “audace” ricorso. Come ha detto uno dei giudici che ha votato contro: “non spetta alla SCJN scoperchiare il vaso di Pandora”.

Ciò nonostante, esistono ancora possibilità che si faccia giustizia, sostiene Rivero. “Il caso deve andare al Primo Tribunale Collegiale, a Tuxtla Gutiérrez, e questo si pronuncierà se abbiamo ragione. Le prove di 10 anni fa, quando fu condannato, dal 2009 non sono più valide, il procedimento è stato reinterpretato ed attualmente quelle ‘prove’ risultano illegali”. 

Ha inoltre ipotizzato altre alternative oltre alla decisione del primo tribunale (“che potrebbe prendersi qualche giorno se c’è la volontà”), come un indulto presidenziale. Al riguardo, ha detto, non possiamo pronunciarci perché sarebbe come ammettere colpevolezza e non lo faremo, ma questo spetta al Presidente della Repubblica, che può farlo in maniera unilaterale senza andare oltre le sue facoltà né violare la Costituzione”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/21/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 20 marzo 2013

Rapporto del Frayba sulle violazioni dei diritti individuali e collettivi. Nel sessennio passato, in Chiapas tortura e militarizzazione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 marzo. El Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha diffuso il suo rapporto Entre la política sistémica y las alternativas de vida [Informe_Frayba], un accurato resoconto delle violazioni delle garanzie individuali e collettive in Chiapas durante il passato sessennio, quando i governi federale e statale hanno implementato i progetti neoliberisti volti alla sottrazione del territorio ed hanno cercato di frenare i processi autonomistici.

Il Frayba sottolinea la legalità dell’espropriazione rappresentata dal Proyecto de Integración y Desarrollo de Mesoamérica, “serie di progetti infrastrutturali, di ecoarcheoturismo, lotta alla povertà e ‘sviluppo’, volti alla sottrazione del territoriale ed al genocidio, che hanno approfondito la divisione” tra le comunità che si oppongono. Di fronte a ciò, i popoli organizzati difendono il territorio come parte della loro autonomia, struttura simbolica, spirituale e materiale.

Senza grande difficoltà, il Frayba colloca il sistema di giustizia apertamente al servizio dello Stato, come provano la strategia di sicurezza nazionale, la repressione, la criminalizzazione di organizzazioni, avvocati e giornalisti. In Chiapas i detenuti subiscono un sistema carcerario inefficiente e che viola i diritti. Si sottolinea l’insistente uso della tortura come metodo di indagine da parte dei funzionari, dei diversi corpi di polizia e dalle istituzioni di applicazione della giustizia, e si documentano 105 casi di tortura in 18 città durante il governo di Juan Sabines Guerrero.

Il documento è stato presentato da Abel Flores, dell’organizzazione Pueblo Creyente, Marina Pagés e Michael Chamberlin (coordinatori rispettivamente di Sipaz e Inicia), la ricercatrice Mercedes Olivera e Víctor Hugo López, direttore del Frayba.

Il conflitto armato, secondo il rapporto, è stato continuamente contrassegnato dalla contrainsurgencia in una guerra di usura prolungata che il governo, con la sua doppia faccia e azione mediatica, ha implementato per distruggere i processi di resistenza, in particolare quelli delle Giunte di Buon Governo (JBG) e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Nei governi di Felipe Calderón e Sabines, in nome della sicurezza sono stati usati strumenti di terrore e controllo attraverso la militarizzazione, la tortura come metodo di indagine, le sparizioni, gli omicidi. La lotta alla criminalità organizzata continua ad essere il pretesto perfetto. In questo senso, i mezzi di comunicazione al servizio dello Stato rappresentano i diritti umani come un ostacolo per la sicurezza nazionale.

Le prigioni in Chiapas confermano la routinaria violazione dei diritti nel sistema penitenziario. La maggioranza degli internati sono poveri, indigeni o immigrati, in situazione vulnerabile. La criminalizzazione della protesta, la persecuzione dei leader sociali e degli avvocati parlano di uno Stato repressore che cambia i discorsi ma non i metodi, il cui presunto rispetto delle comunità autonome e delle JBG è falso e vuoto di contenuto.

Nel sessennio che si è chiuso, la forbice tra i diritti riconosciuti dei popoli indigeni e l’esercizio di questi si è sempre più allargata. La sottrazione legale di territorio è proseguita attraverso progetti che contemplano elementi di sicurezza nazionale e protezione degli investimenti di imprese legate ai governi che hanno interessi in questi territori colmi di ricchezze naturali. Il modello economico neoliberale ha maggiore impatto sulle comunità indigene, poiché le imprese stanno occupando i loro territori per entrarne in possesso.

Ciò nonostante, le comunità in resistenza continuano nella difesa dei territorio e delle terre come indicato negli Accordi di San Andrés, a 17 anni dalla loro mancata applicazione.

Tra il 2006 ed il 2012 il conflitto armato in Chiapas è stato caratterizzato dalla continua presenza militare nelle comunità, soprattutto nella zona di influenza dell’EZLN. La strategia contrainsurgente è stata indirizzata all’applicazione di progetti sociali insieme alle agenzie delle Nazioni Unite, nel contesto degli Objetivos de Desarrollo del Milenio.

Infine, il rapporto sostiene che la memoria, nel contesto sociale e comunitario, è una risorsa ancestrale di riconoscimento dei popoli. La ricercatrice Mercedes Olivera ha sottolineato il ruolo delle donne nella lotta contro l’oblio, perché sono loro le costruttrici della memoria.

http://www.jornada.unam.mx/2013/03/20/politica/026n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Date ed altre informazioni sulla scuola zapatista 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2013

Compagne e compagni, sorelle e fratelli, della Sexta:

Su visite, carovane e progetti.

Sapete che stiamo preparando i corsi nelle diverse scuole e ci stiamo concentrando su questo affinché riescano bene e preparino buone e buoni studenti.

E noi, insieme alle autorità, pensiamo che ci sono situazione che non possiamo sostenere per non distrarci, come per esempio: rilasciare interviste, scambiare esperienze o accogliere carovane o brigate di lavoro, o discutere l’idea di un progetto. Dunque, non sprecate un viaggio a vuoto, perché né la Giunta di Buon Governo, né le autorità autonome, né le commissioni incaricate dei progetti vi potranno assistere.

Se qualcuno, gruppo o collettivo, pensa di venire con una carovana di aiuti per le comunità, chiediamo il favore di aspettare che arrivi il momento opportuno per questo, o se avesse già organizzato il viaggio, allora per favore di rivolgersi al CIDECI, dal Dottor Raymundo, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Non diciamo che questo sarà per sempre, ma per adesso NO, perché vogliamo concentrarci sulla scuola. Vogliamo avvisarvi per evitare malintesi sul perché non potremo assistervi per le situazioni sopra descritte.

Vogliamo dirvelo perché non programmiate il vostro viaggio con lo scopo di incontrare le nostre autorità, perché non potremo soddisfarvi per la semplice ragione che tutti i nostri sforzi sono ora per la nostra scuola, per voi, per il Messico e il mondo.

Dunque, nelle Giunte di Buon Governo dei 5 Caracoles non potremo assistervi. Ma i Caracoles si potranno sempre visitare.

E così per i progetti in corso nelle 5 giunte ci sono cose che non potremo fare, e potremo occuparci solo di quello che sarà alla nostra portata e che non implichi incontri o spostamenti della nostra gente. In caso contrario, ci sarà un’altra occasione.

Vogliamo che capiate che per noi non è il momento di carovane, progetti, interviste o scambio di esperienze e cose così. Per noi zapatiste e zapatisti è il momento di prepararci per la scuola. Non abbiamo tempo per altre cose, a meno che il malgoverno non voglia combinarci un casino e allora le cose cambiano.

Compagne e compagni, sorelle e fratelli, siamo sicuri di avere tutta la vostra comprensione.

Sulla scuola.

Di seguito le prime informazioni sulla scuola, affinché cominci a prepararsi chi vorrà frequentare i corsi.

1. – Alla festa dei Caracoles sono invitati tutte e tutti coloro che si sentono invitati. La festa è nei 5 Caracoles così potrete andare dove più vi piace. L’arrivo è l’8 agosto, la festa sarà nei giorni 9 e 10; l’11 la partenza. Attenzione: La festa per i 10 anni dei Caracoles non ha niente a che vedere con la scuola. Non confondetevi.

2. – Con questa festa le basi di appoggio zapatiste celebrano il decimo compleanno delle Giunte di Buon Governo, ma non solo.

3. – In quei giorni inizierà la nostra piccola scuola, molto altra, dove le/i nostr@ cap@, cioè, le basi di appoggio zapatiste, terranno le lezioni su qual’è stato il loro pensiero e la loro azione nella libertà secondo lo zapatismo, i loro successi, i loro errori, i loro problemi, le loro soluzioni, i progressi, quanto ancora in sospeso e quanto ancora da fare, perché c’è sempre qualcosa che manca fare.

4.- Il primo corso (ne faremo molti, secondo il numero dei partecipanti) di primo livello è di 7 giorni, compreso arrivo e partenza. Arrivo 11 agosto, le lezioni iniziano il 12 agosto 2013 e finiscono il 16 agosto 2013. Partenza il 17 agosto. Chiunque, una volta completato il corso, voglia restare più tempo, potrà visitare gli altri Caracoles. Il corso è lo stesso in tutti i Caracoles ma potete andare a conoscere caracoles diversi da quello dove avete frequentato il corso, ma per conto vostro.

5. – Ora vi spieghiamo come funziona l’iscrizione alla scuola della libertà secondo le zapatiste e gli zapatisti, ma vi diciamo già che è laica e gratuita. La preiscrizione avverrà tramite le Squadre di Appoggio della Commissione Sexta, nazionale e internazionale, dalla pagina web di Enlace Zapatista e via posta elettronica. L’iscrizione degli studenti avverrà presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Gli inviti saranno inviati, secondo le nostre possibilità, a partire dal 18 marzo 2013.

6.- A scuola non potrà entrare chiunque, ma solo chi riceverà direttamente il nostro invito. Ai compagni che riceveranno l’invito forniremo assistenza, il vitto, un posto per dormire pulito e comodo e metteremo a disposizione il proprio guardiano o guardiana, cioè un proprio “Votán”, che si preoccupi che stiano bene e che non soffrano troppo a scuola, solo un po’, ma sempre solo un pochino.

7.- Le alunne e gli alunni dovranno studiare molto. Il primo livello comprende 4 temi: Governo Autonomo I, Governo Autonomo II, Partecipazione delle Donne nel Governo Autonomo, e Resistenza. Ogni tema ha il proprio libro di testo. I libri di testo hanno tra le 60 e 80 pagine ognuno e quello che vi ha già illustrato il SupMarcos è solo una piccola parte di ogni libro (3 o 4 pagine). Abbiamo calcolato che la realizzazione di ogni libro di testo ha un costo di 20 pesos.

8.- Il corso di primo livello dura 7 giorni e secondo il tempo a disposizione del compa e della compa, perché sappiamo che ha anche il suo lavoro, la famiglia, la lotta, i suoi impegni, cioè che ha un suo calendario e geografia.

9.- Il primo corso è solo di primo grado, ne mancano molti altri, cioè la scuola non finisce subito, ma ha una sua durata. Chi supera il primo livello potrà passare al secondo livello.

10.- Il costo: il viaggio per arrivare al CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, e per tornare a casa propria, è a carico del e della compa. Dal CIDECI si parte per la scuola assegnata e al termine del corso si torna al CIDECI, e da lì si va dove si vuole. Una volta a scuola, nel villaggio, non preoccupatevi perché alla vostra tavola non mancherà il vostro piatto di fagioli, tortillas e verdura. Cioè, le spese per ogni studente sono coperte dagli zapatisti. Ogni studente o studentessa vivrà con una famiglia indigena zapatista. Per tutta la frequenza ai corsi, quella sarà la famiglia dell’alunna o alunno. Con quella famiglia mangerà, lavorerà, riposerà, canterà, ballerà e sarà accompagnato nella scuola assegnata, cioè al centro di educazione. Ed il “Votán”, ovvero il guardiano o guardiana, l’accompagnerà sempre. Cioè, ci occuperemo di ogni studente o studentessa. E nel caso si ammalasse, lo cureremo o, in casi gravi, lo porteremo in ospedale. Ma su quello che gli resterà o meno in testa non possiamo fare niente, perché riguarda il compagno o compagna quello che farà di ciò che vedrà, ascolterà e imparerà. Cioè, si insegnerà la teoria e la pratica ognuno se la vedrà nei luoghi dai quali arriva.

11.- Per coprire i costi dei corsi, ci penseremo noi. Magari organizzeremo un festival musicale, o una mostra di pittura o artigianato, non preoccupatevi, troveremo il modo e, inoltre, c’è sempre gente buona che appoggia le cose buone. Per chi volesse lasciare una donazione per la scuola, metteremo una cassetta presso l’ufficio delle iscrizioni al CIDECI, dai compas dell’Università della Terra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Chi vorrà, potrà mettere lì il suo contributo senza che nessuno sappia chi e quanto ha donato, così nessuno si sentirà triste se ha donato meno di un altro. Non sarà permesso lasciare soldi o regali nelle scuole, nei caracoles o alle famiglie in cui si alloggerà. Questo per non creare disparità tra chi potrebbe riceverli e chi no. Tutto quello che si vorrà donare dovrà essere lasciato al CIDECI, ai compagni dell’Università della Terra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Lì si raccoglierà tutto e, se ci sarà qualcosa, sarà suddiviso in parti uguali tra tutt@. Se no, non importa, quello che importa siete voi.

12.- Ci saranno altri modi di frequentare i corsi della scuola zapatista. Chiediamo l’aiuto dei compagni dei media liberi, libertari, autonomi e di chi ne sa di videoconferenze. Perché sappiamo che molti non potranno venire per i propri motivi di lavoro o personali o di famiglia. Ed anche che ci sono persone che non capiscono lo spagnolo ma hanno voglia di imparare com’è che le zapatiste e gli zapatisti hanno fatto quello che hanno fatto e come hanno disfatto quello che hanno disfatto. Quindi ci sarà un corso speciale che sarà ripreso in video da trasmettere dove ci sia un gruppo di alunn@ volenteros@ e pronti con il loro libro di testo a seguire il corso, e via internet potranno fare le loro domande sulla lezione che stanno facendo le maestre e i maestri, le basi di appoggio zapatiste.

Per decidere questo, inviteremo ad una riunione particolare alcuni media alternativi per metterci d’accordo su come fare per le videoconferenze e le foto e i video dei posti in cui si svolgono i corsi, affinché tutt@ possano vedere se è vero o no quello che stanno insegnando le professoresse ed i professori.

Ed un altro modo è che faremo copia dei corsi in dvd affinché chi non può andare da nessuna parte e può studiare solo a casa sua, lo possa fare e così imparare.

13.- Per poter frequentare la scuola zapatista, si dovrà sostenere un corso di preparazione dove verrà spiegato com’è la vita nelle comunità zapatiste e le loro regole interne. Affinché non si incorra in reati. E quello che si deve portare. Per esempio, non si devono portare quelle “tende da campeggio” che, oltre a tutto, non servono a niente; perché sarete sistemati presso le famiglie indigene zapatiste.

14.- Una volta per tutte diciamo che è PROIBITO produrre, commerciare, scambiare e consumare qualunque tipo di droga e alcool. E’ proibito anche detenere ed usare qualunque tipo di arma, sia da fuoco o “bianca”. Chi chiederà di entrare nell’EZLN o qualunque cosa militare, sarà espulso. Non si sta reclutando né promuovendo la lotta armata, bensì l’organizzazione e l’autonomia per la libertà. E’ anche proibita la propaganda di qualunque tipo, politica e religiosa.

15.- Non c’è limite di età per frequentare la scuola; ma se siete minorenni, dovete essere accompagnati da un adulto che sarà responsabile del minore.

16.- All’atto dell’iscrizione, dopo essere stati invitat@, vi chiediamo di specificare se siete altr@, maschi o femmine per potervi sistemare adeguatamente, perché ogni individu@ sarà rispettat@ e assistit@. Qui non ci sono discriminazioni di genere, preferenza sessuale, razza, credo, nazionalità. Qualunque atto di discriminazione sarà punito con l’espulsione.

17.- Se qualcuno ha qualche malattia cronica, abbia cura di portare tutti i suoi medicinali e di comunicarlo al momento dell’iscrizione affinché possiamo assisterlo al meglio.

18.- Al momento dell’iscrizione, dopo essere stati invitat@, vi chiediamo di specificare la vostra età fisica e le vostre condizioni di salute per sistemarvi adeguatamente in una delle scuole dove non dobbiate soffrire più di quanto già non patirete.

19.- Se siete invitat@ e non potete partecipare nella prima data, non temete. Comunicateci solo quando potete e noi organizzeremo il corso quando potrete esserci. Se qualcuno non può concludere il corso o non può arrivare anche se già iscritto, non c’è problema, può completarlo successivamente. Anche se è bene ricordare che può assistere alle videoconferenze o ai corsi che si terranno fuori dal territorio zapatista.

20.- In altri scritti spiegherò altri dettagli e chiarirò i dubbi che potranno sorgere. Ma queste sono le cose basilari.

Per ora è tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés
Rettore della Escuelita Zapatista
Messico, Marzo 2013

P.S. – Ho incaricato il SupMarcos di inserire in questo testo qualche video a tema.

Francisco Gabilondo Soler, Cri Cri, con una canzone ormai diventata un classico: “Caminito de la escuela”. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=djk3hrPKAV4

Las Ardillitas de Lalo Guerrero con “Vamos a la escuela” e le scuse di Pánfilo per non andaré a scuola. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=DxFHF3SMvCA

Le lagne della scuola a ritmo di ska, con la Tremenda Korte e questa canzone “Por Nefasto”. http://www.youtube.com/watch?v=pGN6bL8AWg0&feature=player_embedded

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/17/fechas-y-otras-cosas-para-la-escuelita-zapatista/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII. – Le/i più piccol@ 7 e ultimo.

7. – Dubbi, ombre ed il riassunto in una parola.

Marzo 2013

I Dubbi.

  Se dopo avere letto i frammenti della parola delle compagne e dei compagni dell’EZLN sostenete ancora che gli indigeni zapatisti sono manipolati dalla mente perversa del supmarcos (ed ora anche del subcomandante insurgente Moisés) e che dal 1994 non è cambiato niente nel territorio zapatista, allora siete irrecuperabili.

Non vi diciamo di spegnere la televisione, o di smettere di credere che l’intellettualità di solito si distribuisce tra i suoi parrocchiani, perché restereste con la mente vuota. Continuate a credere che la recente legge sulle telecomunicazioni democratizzerà l’informazione, che eleverà la qualità della programmazione e che migliorerà il servizio di telefonia mobile.

Ma, se la pensate così, non sareste arrivati fino a questa parte della saga “Loro e Noi”, quindi, è una supposizione, diciamo che siete una persona con coefficiente intellettuale medio e cultura progressista. Con queste caratteristiche è molto probabile che pratichiate il dubbio metodico riguardo a tutto, cosicché sarebbe logico supporre che dubitiate di quello che avete qui letto. E dubitare non è qualcosa da condannare, è uno degli esercizi intellettuali più sani (e più dimenticati) dell’umanità. E di più quando si tratta di un movimento come quello zapatista o neo-zapatista, sul quale si sono dette tante cose (la maggior parte senza nemmeno essersi avvicinati a quello che siamo).

Mettiamo da parte un fatto, accertato perfino dai grandi mezzi di comunicazione: decine di migliaia di indigeni zapatisti che prendono, in forma simultanea, 5 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas.

Dunque, già avanzando dubbi, se non è cambiato niente nelle comunità indigene zapatiste, perché continuano a crescere? Non avevano detto tutti che era qualcosa del passato, che gli errori dell’ezetaelene (ok, ok, ok, di marcos) erano costati la sua esistenza (“mediatica”, ma questo non l’hanno detto)? La dirigenza zapatista non era allo sbando? L’EZLN non era sparito e di lui rimaneva solo l’ostinata memoria di chi, fuori dal Chiapas, sente e sa che la lotta non è qualcosa soggetta ai viavai della moda?

Ok, rimediamo a questo fatto (l’ezetaelene è cresciuto in maniera esponenziale nei tempi in cui non era di moda), ed abbandoniamo il tentativo di instillare questi dubbi (che serviranno solo perché i vostri commenti sulla stampa nazionale siano pubblicati o siate bannati “per sempre”).

Riprendiamo il dubbio metodico:

E se le parole apparse in queste pagine come quelle di uomini e donne indigeni zapatisti, in realtà fossero paternità di Marcos?

Cioè, e se fosse stato Marcos a simulare che erano altr@ quell@ che parlavano e sentivano quelle parole?

E se le scuole autonome in realtà non esistessero?

E se gli ospedali, le cliniche, i rendiconti, le donne indigene con incarichi di responsabilità, le terre coltivate, la forza aerea zapatista, e…?

Sul serio: e se niente di quello che dicono quelle indigene, quegli indigeni esistesse realmente?

In sintesi, e se tutto non fosse nient’altro che una monumentale bugia di marcos (e Moisés, già che ci siamo) per consolare con chimere quell@ di sinistra (sporch@, brutt@, cattiv@, irriverenti, non dimenticate) che non mancano mai e che sono sempre pochi, pochissimi, una disprezzabile minoranza? E se il supmarcos si fosse inventato tutto questo?

Non sarebbe bene confrontare questi dubbi ed il vostro sano scetticismo con la realtà?

E se fosse possibile che voi vedeste direttamente queste scuole, queste cliniche ed ospedali, questi progetti, queste donne e questi uomini?

E se voi poteste ascoltare direttamente quegli uomini e quelle donne, messicani, indigeni, zapatisti mentre si sforzano di parlarvi in spagnolo per spiegarvi, raccontarvi la loro storia, non per convincervi o per reclutarvi, ma solo affinché possiate capire che il mondo è grande e che al suo interno ci sono molti mondi?

E se voi poteste concentrarvi solo a guardare ed ascoltare, senza parlare, senza pensare?

Accettereste questa sfida o continuereste a rifugiarvi nello scetticismo, quel solido e magnifico castello di ragioni per non fare niente?

Vorreste essere invitato ed accettereste l’invito?

Frequentereste delle lezioni nelle quali le e gli insegnanti sono indigeni la cui lingua madre è classificata come “dialetto”?

Avreste voglia di studiarla a scopo antropologico, psicologico, del diritto, esoterico, storiografico, per realizzare un reportage, fare loro un’intervista, dire loro la vostra opinione, dare loro consigli, ordini?

Li guardereste, cioè, li ascoltereste?

 -*-

Le ombre.

A lato di questa luce che ora brilla, non si nota la forma irregolare delle ombre che l’hanno resa possibile. Perché un altro dei paradossi dello zapatismo è che non è la luce che produce le ombre, bensì è da queste che la luce nasce.

Donne e uomini di angoli lontani e vicini di tutto il pianeta hanno reso possibile non solo quello che si vede, ma con i loro sguardi hanno arricchito il cammino di questi uomini e donne, indigeni e zapatisti, che ora innalzano di nuovo la bandiera di una vita degna.

Individui, gruppi, collettivi, organizzazioni di ogni tipo, e a livelli diversi, hanno contribuito alla realizzazione di questo piccolo passo delle/dei più piccoli.

Dai 5 continenti sono arrivati gli sguardi che, dal basso e a sinistra, hanno offerto rispetto ed aiuto. E con queste due cose, non solo si sono fatte scuole ed ospedali, si è anche sollevato il cuore indigeno zapatista che, così, si è affacciato a tutti gli angoli del mondo attraverso queste finestre sorelle.

Se c’è un luogo cosmopolita in terre messicane, forse è la terra zapatista.

Di fronte a tale appoggio, è corrisposto uno sforzo di uguale grandezza.

Credo, crediamo, che tutta quella gente del Messico e del mondo può e deve condividere come propria questa piccola gioia che oggi cammina con viso indigeno nelle montagne del sudest messicano.

Sappiamo, so, che non l’aspettate, né lo chiedete, ma vi mandiamo un grande abbraccio, che è il modo in cui gli zapatisti, le zapatiste, si ringraziano tra compagn@ (ed in particolare abbracciamo chi ha saputo essere nessuno). Forse senza volerlo, voi siete stati e siete, per tutte e tutti noi, la migliore scuola. Inutile dire che non smetteremo di sforzarci di fare in modo che, senza badare al vostro calendario e alla vostra geografia, rispondiate sempre affermativamente alla domanda se ne vale la pena.

A tutte (mi dispiace dal profondo della mia essenza maschilista, ma le donne sono la maggioranza quantitativa e qualitativa), a tutti: grazie.

(…)

Ma, ci sono ombre e ombre.

E le più anonime e impercettibili sono alcune donne e uomini di bassa statura e di pelle del colore della terra. Hanno lasciato tutto quello che avevano, anche se poco, e sono diventati guerriere e guerrieri. In silenzio e nell’oscurità hanno contribuito e contribuiscono, come nessun’altro, a che tutto questo sia possibile.

Sto parlando delle insurgentas e degli insurgentes, i miei compagni.

Vanno e vengono, vivono, lottano e muoiono in silenzio, senza far rumore, senza che nessuno, se non noi stessi, ne tenga il conto. Non hanno volto né vita propria. I loro nomi, le loro storie, vengono forse alla memoria di qualcuno quando si sono sfogliati molti calendari. Allora, forse intorno a un fuoco, mentre il caffè bolle in una vecchia teiera di peltro e si accende il fuoco della parola, qualcuno o qualcosa saluta la loro memoria.

E non importerà, perché quello di cui si trattava, di cui si tratta, di cui si è trattato sempre, è contribuire a costruire le parole con le quali normalmente iniziano i racconti, gli aneddoti e le storie, reali e fittizie, delle zapatiste e degli zapatisti. Proprio com’è cominciato quello che ora è una realtà, cioè con un:

“Ci sarà una volta…”

Salve, e che non manchino mai né l’ascolto né lo sguardo.

(non continua più)

A nome delle donne, degli uomini, dei bambini, degli anziani, delle insurgentas e degli insurgentes del

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2013 

P.S. CHE ANTICIPA. – Continueranno ad uscire gli scritti, non gioite in anticipo. Principalmente saranno del compagno Subcomandante Insurgente Moisés, e riguarderanno la scuola: date, luoghi, inviti, iscrizioni, documenti, regolamenti, livelli, divise, materiale scolastico, voti, consulenze, dove ritirare gli esami superati, etc. Ma se volete sapere quanti livelli sono ed in quanto tempo si arriva al diploma, vi diciamo: noi ci stiamo da 500 anni e non abbiamo ancora smesso di imparare.

P.S. UN CONSIGLIO PER FREQUENTARE LA SCUOLA – Eduardo Galeano, un saggio nella difficile arte di guardare ed ascoltare, ha scritto nel suo libro “I Figli dei Giorni“, nel calendario di marzo:

“Carlos e Gudrun Lenkersdorf erano nati e vissuti in Germania. Nell’anno 1973, questi illustri professori arrivarono in Messico. Ed entrarono nel mondo maya, in una comunità tojolabal, e si presentarono dicendo:

  – Veniamo ad imparare.

  Gli indigeni tacquero.

  Poi, qualcuno spiegò il silenzio:

  – È la prima volta che qualcuno ci dice questo.

  Per anni, Gudrun e Carlos restarono lì ad imparare.

  Dalla lingua maya impararono che non c’è gerarchia che separi il soggetto dall’oggetto, perché io bevo l’acqua che mi beve e sono guardato da tutto quello che guardo, ed impararono a salutare così:

  – Io sono un altro tu.

  – Tu sei un altro io.”

Ascoltate Don Galeano. Perché è sapendo guardare ed ascoltare, che si impara.

P.S. CHE SPIEGA QUALCOSA SU CALENDARI E GEOGRAFIE. – I nostri morti dicono che bisogna saper guardare ed ascoltare tutto, ma che al sud ci sarà sempre una ricchezza speciale. Come si sarà accorto chi ha guardato i video (ne sono rimasti ancora molti, magari in un’altra occasione) che accompagnavano gli scritti di questa serie di “Loro e Noi”, abbiamo cercato di far passare diversi calendari e geografie, ma c’è stata una prevalenza per il nostro rispettato sud latinoamericano. Non solo per l’Argentina e l’Uruguay, terre sagge in ribellione, anche perché, secondo noi, nel popolo Mapuche non c’è solo dolore e rabbia, ma anche interezza nella lotta ed una profonda saggezza per chi sa guardare ed ascoltare. Se c’è un luogo al mondo dove bisogna tendere ponti, è il territorio Mapuche. Per quel popolo, e per tutt@ le/i desaparecid@s e prigionier@ di questo sofferente continente, la memoria è viva. Non so dall’altro lato di queste lettere, ma da questo lato sì: né perdono, né oblio! 

P.S. SINTETICA. – Sì, lo sappiamo, questa sfida non è stata né sarà facile. Si profilano pesanti minacce, colpi di ogni tipo e da tutte le parti. Così è stato e sarà il nostro cammino. Cose terribili e meravigliose compongono la nostra storia. E così sarà. Ma se ci domandano come possiamo riassumere tutto in una parola: i dolori, le scoperte, le morti che ci fanno male, i sacrifici, il continuo andare contro corrente, le solitudini, le assenze, le persecuzioni e, soprattutto, questo testardo ricordare chi ci ha preceduto ed ora non c’è più, è qualcosa che unisce tutti i colori che sono in basso e a sinistra, senza badare al calendario o alla geografia. E, più che una parola, è un grido: 

Libertà… Libertà!… LIBERTÁ! 

Bene.

Il sup che ripone il computer e cammina, cammina sempre.

————————————————————-

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo:

Un poema di Mario Benedetti (che risponde alla domanda perché, nonostante tutto, cantiamo), con la musica di Alberto Favero. Qui nell’interpretazione di Silvana Garre, Juan Carlos Baglietto, Nito Mestre. ¡Ni perdón ni olvido! http://www.youtube.com/watch?v=g6TVm-MuhL8&feature=player_embedded

Camila Moreno interpreta “De la tierra”, dedicata all’attivista Mapuche, Jaime Mendoza Collio, assassinato alla schiena dai carabineros. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=SSVgl8QE8L0

Mercedes Sosa, la nostra, di tutt@, di sempre, che canta, di Rafael Amor, “Corazón Libre”. Il messaggio è terribile e meraviglioso, mai arrendersi. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=gwlii20ZZd8

Link allo scritto originale: LINK

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Un premio per “rompere il silenzio” su Dení Prieto

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Nella foto Gloria Muñoz Ramírez e Beatriz Zalce

Città del Messico. 13 marzo 2013. Il nome dell’exguerrillera Dení Prieto Stock è risuonato oggi al Premio Nazionale di Giornalismo conferito a Beatriz Zalce, giornalista di Desinformémonos, per la sua intervista “Dení Prieto, un seme dell’EZLN“, pubblicata il 13 maggio 2012 nella sezione culturale di questa rivista elettronica. Il riconoscimento a questa storia significa “rompere quel silenzio imposto”, dice Zalce, oltre “all’impegno, alla presa di coscienza di ciò che può e si deve fare”.

Il lavoro che mostra una profonda conoscenza ed empatia con la storia di María Luisa – il nome in clandestinità di Dení, integrante delle Forze di Liberazione Nazionale – parte da un’intervista collettiva ad Ayari Prieto, sorella di Dení; e a Luisa Riley, regista del documentario “Fiore in Otomí“, sulla vita della giovane donna rivoluzionaria.

Il Club dei Giornalisti da 62 anni consegna un riconoscimento al lavoro giornalistico più rilevante, avallato dalla propria categoria e non dal potere. Si tratta di un premio indipendente e autonomo che non consiste in gratificazioni economiche, bensì in un diploma per il lavoro compiuto. 

Nell’intervista premiata, Ayari Prieto ricrea passaggi della vita con sua sorella; mentre la cineasta Luisa Riley parla del significato del suo documentario – una testimonianza dopo un silenzio durato 38 anni -, ed entrambe esplorano l’impegno politico e vitale della giovane assassinata dall’esercito messicano il 14 febbraio 1974. 

Per Zalce, docente alla Facoltà di Studi Superiore Acatlán, “il premio è evidentemente a Desinformémonos che è la prova provata che i sogni diventano realtà a patto che si uniscano molte forze, molti cuori e l’impegno”. Il premio è stato consegnato il 13 marzo 2013 nella sede del Club dei Giornalisti, nel centro di Città del Messico.

Beatriz Zalce insiste nell’affermare che “il premio è per Desinformémonos e forse io non sono altro che un canale”. Riguardo a questa rivista elettronica, Zalce aggiunge che anche qui “molta gente chiede, come si chiama? Perché questo nome? E’ già una rivista abbastanza letta e – come ha detto Hermann Bellinghausen, è un miracolo che ha più collaboratori, corrispondenti ed inviati che la Reuters -, è straordinario che così giovane e così grande, riceva questo premio.” 

“Bisogna continuare a rompere il silenzio perché proprio in questi momenti stanno accadendo cose che dobbiamo scrivere e pubblicare su Desinformémonos”, conclude Beatriz.

 http://desinformemonos.org/2013/03/un-premio-por-romper-el-silencio-sobre-deni-prieto/

Video della premiazione http://www.youtube.com/watch?v=0sihhzBZgsA

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La Jornada – Martedì 12 marzo 2013

La Corte Suprema potrebbe porre fine al conflitto di 30 anni per l’ejido Tila

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 marzo. Nel caso di una sentenza favorevole della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) alla richiesta di restituzione delle terre nell’ejido di Tila, nella zona nord, sarebbe restituito ai choles il controllo sulla totalità del territorio che secondo i documenti ufficiali iniziali compete loro, sostiene il Servizio Internazionale per la Pace (Sipaz) in una relazione sull’argomento.

Si chiuderebbe così una lunga disputa tra ejidatarios ed autorità municipali e statali, si aggiunge nel documento. Esistono molti elementi giuridici a suo favore. La riforma della Costituzione in materia di diritti umani nel 2011, ha armonizzato la Legge Suprema con i trattati internazionali firmati dal Messico. La SCJN ha ora nelle sue mani l’opportunità di far valere questa riforma.

Sipaz segnala che esiste la possibilità che il Potere Legislativo federale decida di approvare la proposta di riforma inviata a novembre scorso dall’allora presidente Felipe Calderón che si propone di abbreviare i procedimenti per la privatizzazione delle terre di proprietà collettiva, cosa che potrebbe acuire la già difficile situazione dei contadini e dare avvio alla disintegrazione sociale del settore e significherebbe una retrocessione storica delle conquiste della Rivoluzione Messicana.

Di fronte al pericolo di accelerare la privatizzazione della proprietà collettiva, una sentenza favorevole della SCJN darebbe un segnale di protezione di un settore vulnerabile e riconoscerebbe i diritti collettivi dei popoli. Per il resto, sarebbe una sentenza nel senso degli Accordi di San Andrés, riconosciuti recentemente da una parte della classe politica come un debito verso i popoli originari, renderebbe giustizia ed aprirebbe la porta del sistema di giustizia messicano agli altri popoli indigeni del paese che lottano contro il saccheggio delle terre e per il diritto al loro territorio.

La relazione di Sipaz rileva che nelle terre indigene sono aumentate le lotte per la difesa del territorio contro le concessioni minerarie e diversi progetti energetici, turistici o di infrastrutture che minacciano le diverse forme legittime di proprietà collettiva.

In questo contesto la SCJN ha rimesso in agenda per la sua discussione il caso delle terre dell’ejido di Tila, 130 ettari che le autorità statali hanno espropriato più di 30 anni fa per uso privato. I magistrati discuteranno le coperture che  la giustizia offre all’ejido che nel 1980 ha vinto un ricorso contro un decreto di esproprio. Nel 2009 gli ejidatarios hanno ripreso la lotta politica e legale iniziata mezzo secolo fa. Ora la SCJN ha nelle sue mani la decisione sulla restituzione dei diritti, o manifestare l’impossibilità di dar luogo alla restituzione di terre compensandole con denaro.

Sipaz ricorda che tra il 1995 ed il 1997 si verifica uno degli episodi più sanguinosi della strategia dello Stato per affrontare l’EZLN attraverso la formazione di gruppi paramilitari. Si crea il gruppo Desarrollo, Paz y Justicia e si militarizza la regione chol. Gli ejidatarios denunciano che quelli di Paz y Justicia hanno sottratto loro le terre e non vogliono che lottino per difenderle.

E’ giusto ricordare che il Santuario del Signore di Tila rappresenta l’entrata di risorse economiche important, fino ad oggi a beneficio del governo municipale. Inoltre, col tempo si sono stabiliti dei commercianti senza diritti ejidali che sono stati sempre alleati del municipio. Tuttavia, gli ejidatarios non hanno nessuna intenzione di cacciarli se recupereranno le loro terre, sottolinea Sipaz.

Dopo la sollevazione zapatista, sulle terre dell’ejido è stato installato un accampamento militare. Nella regione di Tila “è in corso il processo di costruzione dell’autonomia dell’EZLN e la presenza dell’Esercito funziona come elemento di controllo della popolazione in resistenza. Nel caso le terre vengano recuperate dall’ejido, questo potrebbe comportare la partenza dell’Esercito”. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/12/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII. – Le/i più piccol@ 6.

6.- La Resistenza.

Marzo 2013

NOTA: I frammenti che seguono parlano della resistenza zap… un momento!… esiste una Forza Aera Zapatista?! Il sistema di salute zapatista è migliore di quello del malgoverno?! Durante questi quasi 20 anni, le comunità zapatiste hanno resistito con ingegno, creatività ed intelligenza proprie a tutte le variabili della controinsurrezione. La cosiddetta “Crociata”contro la Fame” dei capoccia priisti di turno, non fa altro che rieditare la fallace supposizione che ciò che gli indigeni chiedono è l’elemosina, e non Democrazia, Libertà e Giustizia. Questa campagna di controinsurrezione non arriva da sola, ma accompagnata da quella mediatica (la stessa che oggi in Venezuela ripropone la sua vocazione golpista contro un popolo che saprà tirar fuori la forza dal suo dolore), dalla complicità dell’insieme della classe politica (in quello che dovrebbe chiamarsi “Patto contro il Messico”) e, chiaramente, una nuova escalation militare e di polizia: nei territori zapatisti si ringalluzziscono i gruppi paramilitari (col consenso del governo statale), le truppe federali aumentano i pattugliamenti provocatori “per localizzare la dirigenza zapatista”, le agenzie di “intelligence” si riattivano, ed il sistema di giustizia ripropone la sua ridicolaggine (vedi il caso Cassez) e nega al professor Alberto Pathistán Gómez la libertà, condannandolo per essere indigeno nel Messico del secolo XXI. Ma il professore resiste, per non parlare delle comunità indigene zapatiste…

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Buongiorno compagni, buongiorno compagne. Il mio nome è Ana, della Giunta di Buon Governo attuale, della quarta generazione 2011-2014, del Caracol I di La Realidad. Vi parlerò un po’ della resistenza ideologica, ve ne parleremo in due, io e il compagno. Vi parlerò dell’ideologia del malgoverno. Il malgoverno utilizza tutti i mezzi di comunicazione per controllare e disinformare il popolo, per esempio la televisione, la radio, le telenovelas, cellulari, giornali, riviste e perfino lo sport. Per televisione e radio trasmette molti spot commerciali per distrarre la gente, le telenovelas per incantare la gente e far credere che quello che succede in TV può succedere a tutti. Nell’ambito dell’educazione il sistema del malgoverno, ideologicamente, a quelli che non sono zapatisti li manipola affinché i loro figli vadano a scuola ogni giorno ben vestiti e ordinati, senza badare se imparano a leggere o scrivere, ma solo per mettersi in bella mostra. Fornisce loro anche borse di studio per avere un titolo di studio ma alla fine dei conti le uniche ad avvantaggiarsene sono le aziende che vendono tutti gli accessori per la scuola o quelle divise. Come resistiamo a tutti questi mali dell’ideologia del governo nel nostro Caracol? La nostra arma principale è l’educazione autonoma. Nel nostro Caracol ai promotori si insegna la vera storia che riguarda il popolo affinché sia trasmessa ai bambini e alle bambine, facendo conoscere anche le nostre richieste. Si è anche cominciato a fare corsi di politica ai nostri giovani affinché siano svegli e non cadano facilmente nell’ideologia del governo. Nelle comunità si stanno facendo anche dei corsi sulle tredici domande, i corsi sono tenuti da persone locali di ogni villaggio. Questo è quello che posso dirvi ed ora vi parlerà il compagno.

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C’è anche la questione dei programmi, dei progetti del governo. Il governo introduce dei progetti affinché i fratelli credano di ricavarci qualcosa e credano che questo è bene e si dimentichino dei loro lavori. Affinché i fratelli non dipendano più da loro stessi, ma siano dipendenti dal malgoverno.

Che cosa facciamo noi per opporci a queste cose? Ci organizziamo per svolgere lavori collettivi, come già hanno raccontato alcuni compas, nel villaggio, nella regione, nei municipi e perfino nella zona. Questi lavori soddisfano le nostre necessità ed è così che resistiamo per non cadere nella trappola dei progetti del malgoverno e per dipendere da noi stessi e non dal malgoverno.

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C’è un ospedale abbastanza grande in una comunità che si chiama Guadalupe Tepeyac e adesso se ne sta costruendo uno molto vicino, a mezz’ora, un’ora di strada, a La Realidad, un ospedale infantile. Ma che cosa succede, come funziona quell’ospedale a Guadalupe Tepeyac? Il governo lì ha fornito tutte le attrezzature, e arriva gente da ogni comunità, dai diversi municipi, e che cosa succede se devono fare degli ultrasuoni, per esempio, o un’analisi di laboratorio? I medici di lì sanno, perché è molto vicino, che noi abbiamo l’Ospedale-scuola “Los Sin Rostro de San Pedro” che si trova in una comunità molto vicina, e loro non possono fare determinate analisi in quell’ospedale di governo perché non hanno personale qualificato, ci sono le macchine ma non c’è il personale, allora loro visitano e poi li mandano al nostro ospedale, all’Ospedale-scuola zapatista. Si eseguono gli esami – pensate a che livello siamo arrivati, compagni – e chiaramente ci sono anche delle regole da seguire in questo ospedale che prevedono il versamento di una quota per chi viene da fuori per sottoporsi ad esami.

Quindi la gente si rende conto, si stupisce, che in un ospedale governativo non c’è quello che ci si aspetta, cioè la soluzione del suo problema, allora viene nel nostro ospedale a sottoporsi a visite ed esami di laboratorio. All’ospedale di Guadalupe c’è un tecnico di laboratorio, ma ci sono molte cose che questo tecnico non sa fare, allora lo mandano al nostro ospedale-scuola. Lì abbiamo un compagno qualificato che ha formato già molti altri compagni ed esegue diverse analisi. Ma non solo, il vantaggio che non c’è nell’ospedale ufficiale, dove si eseguono solo gli esami e basta e poi mandano il paziente da un altro dottore perché riceva assistenza, è che questo compagno dell’ospedale, quando gli arriva qualcuno mandato dai medici dell’ospedale di Guadalupe, gli fa gli esami e contemporaneamente gli dà la ricetta, la cura per la sua malattia, perché lui ha acquisito molta conoscenza in quel laboratorio.

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(…)

Per completare un po’ quanto detto sulla città rurale [realizzata, con il plauso mediatico, dal governo di “sinistra” del corrotto Juan Sabines Guerrero], all’inizio si sono costruite le case. Secondo quello che ci raccontano i compagni, le costruzioni, cioè i materiali da costruzione, sono del tipo triplay, molto mingherlini, non come le tavole di legno che usiamo noi. Attualmente le costruzioni si gonfiano come palloncini quando c’è vento forte e quando è la stagione del caldo e della pioggia, perché i materiali con cui sono costruite le case sono già rovinati. È così. Lì, in quel municipio, sono andate a vivere per alcuni giorni delle famiglie, e secondo le notizie dei giornali, c’è una cucina che misura 3×3, ben piccola, una camera e una sala. Ma lì non si può fare niente perché come si fa in quello spazio ad accendere il fuoco? Non si può.

Attualmente non funzionano, le famiglie ci sono state per pochi giorni ma poi hanno dovuto tornare nella loro comunità. Alcune altre famiglie sono ancora lì ma vivono in cattive condizioni. Ci dicono che lì c’è una collina, e in cima dove ci sono le costruzioni hanno costruito un serbatoio per l’acqua che però non funziona, compagni, non stanno funzionando. Dicono che lì c’è una banca per investire denaro, non so se è una banca mondiale, statale, municipale, non so, ma non sta funzionando. Lì ci sono solo dei gusci vuoti e a pezzi. Non è come dicono una ‘città rurale’, un nome molto bello, in realtà lì non c’è niente. Per questo, come dicevano i compagni, perché credere nei progetti e cose così? Sono solo bugie.

(…)

Come dicevano i compagni, è parte della guerra del nemico, per questo alcuni compagni di questa zona si sono lasciati convincere da quelle e sono andati lì, e non è perché hanno una vita più degna. In molti posti ci sono quelli che escono dall’organizzazione o quelli che stanno nei partiti, ma i compagni basi di appoggio hanno una vita migliore. Quello che dicono delle città rurali sono solo bugie.

Per far capire la manipolazione ideologica del malgoverno a Santiago El Pinar, alle donne avevano promesso di realizzare dei pollai per la vendita delle uova. Le galline da uova hanno bisogno di molto mangime, e fornirono molte galline che all’inizio fecero molte uova, ma il governo non procurò anche il canale di mercato attraverso cui venderle. Le galline facevano molte uova ma che fare? Non si poteva entrare in competizione con i grandi negozi alimentari dove si vendono le uova. Allora i fratelli ci hanno raccontato che si spartirono le uova, ma il governo non fornì più il mangime e le galline cominciarono a deperire e smettere di fare uova. Ed allora le donne dissero ‘che cosa facciamo? Dobbiamo cooperare. Ma come facciamo se non ci sono più uova? Dove troviamo i soldi?’. Le galline morirono e quello che aveva detto il malgoverno non aveva dato risultati. Tutto questo è stato solo per mandare lì le telecamere a filmare la consegna delle galline, quanto era bello ecc. Ma nel giro di tre mesi tutto questo era finito.

Tra altre cose, come ha detto il compa che le case si gonfiano come rospi, c’è un altro problema. Le donne sono abituate a fare le tortillas sul fuoco, ma il pavimento è di legno, triplay, e non si può accendere un fuoco lì. Hanno fornito delle bombole di gas che però non sanno usare e che non durano neanche un mese, e così ci sono cumuli di bombole, c’è la stufa e non serve a niente. Nella nostra vita di contadini, indigeni, dietro la tua casetta c’è la verdura, la canna, ananas, banane, quello che c’è, com’è il nostro stile di vita, ma lì non c’è, c’è semplicemente una casa e punto. Non sanno cosa fare ma devono tornare a lavorare sul terreno che hanno lasciato, e questo comporta altre spese per andare e venire.

La politica del malgoverno è distruggere la vita in comune, la vita comunitaria, che tu abbandoni la tua terra o la venda, e così sei fregato. È una politica di ingiustizia, è creare altra miseria. Tutti i milioni che il malgoverno statale, municipale e federale riceve dall’ONU, che è l’Organizzazione delle Nazioni Unite, viene usato per organizzare chi provoca i problemi nelle comunità soprattutto contro di noi basi di appoggio.

È la continuazione della politica, quello di cui si parlava molto, adesso non vogliono più che se ne parli, sui media non compare più: è il Piano Puebla-Panama. Ora hanno trovato un altro nome perché il Piano Puebla-Panama è stato molto criticato, ma è la stessa cosa, hanno solo cambiato nome per continuare a portare l’individualismo nelle comunità, per distruggere quanto di comune ancora resta.

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La resistenza si sta facendo più o meno come la raccontiamo. A volte i compagni lavorano nella milpa o nella piantagione di caffè, o se hanno del bestiame a volte vendono un animale per avere un po’ di soldi, siccome il malgoverno ci attacca con i suoi progetti di pavimenti di cemento, di case moderne e con altre cose così che i fratelli priisti, dei partiti e di altre comunità accettano.

E sembra che ormai loro si sono abituati ai soldi, stanno sempre più col governo perché arrivi con altri soldi ed altri progetti, come hanno spiegato alcuni compagni di La Garrucha, e così sta accadendo nel Caracol di Morelia. A volte a questi fratelli vendono i tetti di lamiera, cosa che fa parte di un progetto del governo, il governo pensa di migliorare il suo partito ma succede il contrario grazie al frutto del lavoro dei compagni in resistenza.

Per esempio, un foglio di lamiera in un negozio di ferramenta costa sui 180 pesos, ma arrivano a venderla a 100 pesos, 80 pesos; ed arrivano mattoni da costruzione che nelle ferramenta costano 5, 6 o 7 pesos, ma loro li vendono a 3 pesos, 2 pesos. Ed i compagni, noi, siccome siamo in resistenza, non siamo abituati a spendere il frutto del nostro lavoro, sono loro quelli che comprano, e forse un giorno vedrete in qualche nuovo insediamento della lamiera colorata, ma è venuta dal lavoro dei compagni. È questo che sta succedendo anche là.

Ma il governo si è accorto dove va a finire il suo progetto. Non sta beneficiano i partiti, i priisti, ma se ne stanno approfittando gli zapatisti, dove manda i materiali da costruzione c’è già il muratore. All’arrivo del materiale c’è già il muratore e lì gli zapatisti migliorano le loro case, e per questo sta cambiando modi, come hanno fatto in molte forme i malgoverni che si sono succeduti dal ’94 ad oggi.

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Bene compas, spiegherò di nuovo la resistenza militare, come già spiegato dalla compagna. A me tocca raccontare quello che è successo nel 1999 nell’ejido Amador Hernández, municipio General Emiliano Zapata.

A quel tempo, un giorno 11 di agosto, sono arrivati i militari, e noi compagne e compagni ci siamo opposti all’arrivo dei militari. Volevano prendere la comunità ed occuparono una sala da ballo e le compagne li affrontarono; li cacciarono da quella comunità. Ma la cosa andò avanti, si fece un presidio. Al presidio parteciparono tutti quelli della zona, del Caracol La Realidad. In quella situazione di resistenza arrivarono anche quelli della società civile e tutta quella resistenza riuscì perché era tempo di chaquiste [piccolo insetto che punge anche attraverso gli indumenti – n.d.t.], tempo di fango, stagione di pioggia. Non siamo caduti nelle loro provocazioni, non ci siamo scontrati militarmente, ma li abbiamo affrontati pacificamente.

Al presidio si organizzavano dei balli, ballavamo davanti ai militari. E si tenevano cerimonie religiose, si svolgevano eventi dei compas, facevamo dimostrazione politica della lotta.

Cosa fecero i militari? Cominciarono a temere che li convincessimo perché stavamo faccia a faccia con loro, allora i comandi militari dell’esercito installarono degli altoparlati perché non sentissero le nostre parole e li fecero allontanare un poco.

Che cosa successe? I compagni al presidio, avendone sentito parlare, si inventarono di fare degli aeroplanini di carta che lanciavano ai soldati. È così che è nata la prima forza aerea dell’Esercito Zapatista ad Amador Hernández, ma è solo di carta.

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Tutto questo, compas, è successo in quella resistenza militare, li abbiamo affrontati a spintoni, compagni e compagne ed i militari su due file, e c’era un compa… un piccoletto, che quando i militari ci spingevano coi loro scudi e manganelli, il compa gli pestava i piedi e i militari anche lo calpestavano. Un soldato più grosso vide la scena e cominciò a ridere perché il compa e i soldati si pestavano i piedi a vicenda. Il soldato rideva ed il compa piccoletto gli dice: “che ti ridi piccoletto?”, ma il soldato era grosso, era il compagno ad essere piccoletto.

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Questo è quello che ho visto e sto vedendo. Il risultato è lì. Non abbiamo mangiato tostadas per niente, e la tostada dà forza e saggezza. Si è fatto molto uso del collettivismo, perché parlo in questo modo, compagni? Scusate le parolacce, compagne, le abbiamo imparate dai compagni in ogni villaggio, in ogni municipio, per affrontare i dannati saldati che sono dentro i nostri luoghi e che ci perseguitano. Lì le compagne hanno imparato a difendersi, non so, con le bastonate li devono cacciare i soldati, l’hanno fatto con la forza, con le pietre o con le grida e con mentaderas [insulti]. Così si sono organizzate le compagne, io l’ho visto ed ho presente quando le compagne si convinsero ad affrontarli e dimostrarono che le compagne sono capaci di farlo.

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Anche le autorità hanno cominciato ad alternarsi ed accogliere le nostre necessità che presentiamo in municipio da ogni villaggio, ogni regione ed ogni centro. Così abbiamo lavorato e a poco a poco siamo progrediti. Po abbiamo avviato il progetto di salute ed educazione e, come ha detto la compagna, nel municipio abbiamo la clicnica “Compañera María Luisa” [nome di lotta di Dení Prieto Stock, caduta in combattimento il 14 febbraio 1974 a Nepantla, Stato del Messico, Messico] e nell’ejido San Jerónimo Tulijá la clinica “Compañera Murcia-Elisa Irina Sáenz Garza”, una compagna che ha lottato ed è morta nel rancho El Chilar [nella Selva Lacandona, Chiapas, Messico, nel febbraio dl 1974], viviamo vicini a dove è morta, per questo la nostra clinica porta il suo nome.

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marialuisa        irina murcia

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(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

 Messico, Marzo 2013

TOP SECRET. Addestramento della Forza Aerea Zapatista (FAZ) in qualche luogo delle montagne del Sudest Messicano. http://www.youtube.com/watch?v=BliFqcIgdqs&feature=player_embedded

Un’altra dimostrazione dell’animo guerriero inculcato a bambini e bambine nelle comunità indigene zapatiste in resistenza: leggendo “L’Ingegnoso Hidalgo Don Quijote de la Mancha”, di un certo Miguel de Cervantes Saavedra, che deve essere un consulente militare straniero sovietico… non c’è più l’URSS? No gli dico, una dimostrazione in più che questi indigeni sono disperatamente pre-moderni: leggono i libri! Sicuro lo fanno perché sovversivi perché con Peña Nieto leggere libri è un reato. http://www.youtube.com/watch?v=zlQJTI1p47k&feature=player_embedded

Canto di dolore e rabbia di una madre Mapuche per la perdita del figlio assassinato dai carabinero in Chile. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=5MA-Dt6tDn8

Canzone per i Caracoles dell’EZLN, di Erick de Jesús. All’inixzo del video, le parole delle donne zapatiste. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=EYdSJVQP0ug

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/08/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-6-la-resistencia/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 marzo 2013

Alberto Patishtán: Siamo governati dall’ingiustizia

HERMANN BELLINGHAUSEN

“Siamo governati dall’ingiustizia”, ha dichiarato Alberto Patishtán Gómez dal carcere numero 5 di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dopo la comunicazione del rifiuto dei giudici della prima sezione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) di accettare il suo caso, adducendo che questo non conta su elementi sufficienti affinché il tema meriti la loro attenzione.

“Era un’opportunità per mostrare che in Messico c’è giustizia”, ha affermato via telefonica il professore tzotzil originario di El Bosque, ed ha aggiunto: “Noi ingiustamente carcerati continueremo a lottare contro l’ingiustizia e la corruzione del sistema giudiziario”.

Ha riconosciuto l’operato dei due giudici che hanno votato a favore della sua causa, Olga Sánchez Cordero e Arturo Saldívar. “Loro erano disposti a conoscere la verità. Gli altri non vedono le cose come devono essere”.

I membri della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate hanno dichiarato “siamo indignati con questi giudici che avevano nelle loro mani la possibilità di dare la libertà con un un atto di giustizia, ma niente”. A nome loro, Patishtán ha affermato: “Siamo particolarmente decisi a lottare per quanto sia necessario. Non ci scoraggiamo”.

Intanto, nel blog dedicato al professore si sottolinea “la costernazione e la rabbia per il risultato negativo”, degli avvocati Leonel Rivero e Gabriela Patishtán, figlia del prigioniero di coscienza più importante del paese, all’uscita dall’udienza nella Prima Sezione della SCJN (http://www.albertopatishtan.blogspot.mx/2013/03/los-ministros-de-la-suprema-corte-de.html).

Ora il caso torna alla corte di Tuxtla Gutiérrez. “C’è ancora razzismo nella giustizia messicana”, sostiene la difesa. Il procedimento arriverà fra tre settimane al tribunale di Tuxtla Gutiérrez che presumibilmente “deciderà” sul ricorso per il riconoscimento della sua innocenza.

Patishtán è in prigione dal 2000, accusato dell’uccisione di sette poliziotti sulla strada Simojovel-El Bosque. Il fatto, senza movente e mai provato in maniera soddisfacente né investigato, ha permesso che il grave crimine restasse impunito, cosa che evidenzia la protezione politica di cui gode l’ex governatore priista Roberto Albores Guillén e gli altri membri del suo governo dell’epoca, almeno per omissione. 

Ancora una volta, come hanno detto oggi i detenuti indigeni in Chiapas, “la giustizia non ha fatto il suo dovere”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 marzo 2013

I profughi di Banavil chiedono l’intervento di Peña Nieto

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le famiglie sfollate più di un anno fa da Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, hanno chiesto al governatore Manuel Velasco Coello ed al presidente Enrique Peña Nieto di intervenire affinché possano tornare a breve nella loro comunità. Hanno inoltre chiesto  almeno il corpo di Alonso López Luna, rapito, scomparso e probabilmente ucciso da alcuni coloni di Banavil e Las Mercedes.

Ricordano che il 4 dicembre 2011 furono aggredite da persone affiliate al PRI di queste comunità. Lorenzo López Girón, allora ferito gravemente e unico arrestato racconta: “Sono entrati nella cucina di casa ed hanno preso nostro padre che è tuttora desaparecido, ma il pubblico ministero non ha fatto niente, è complice degli aggressori e si rifiuta di cercare il suo corpo”.

Denunciano che il funzionario Cristóbal Hernández López, “ci ha mentito riguardo alle indagini e sulla cattura degli assassini che vigliaccamente l’hanno aggredito, fatto sparire, squartato e nascosto il corpo”.

A causa dei fatti fu imprigionato a Tenejapa per 14 mesi Francisco Sántiz López, base di appoggio zapatista, senza ragione alcuna, ma con l’accusa di aver ucciso uno degli aggressori, quando non si trovava nemmeno sul posto al momento dei fatti. Le accuse sono cadute dopo un’intensa campagna internazionale.

Le quattro famiglie López Girón, rifugiate a San Cristóbal de las Casas e ritenute simpatizzanti zapatisti, sostengono: “Siamo stati derubati delle nostre terre e non abbiamo potuto tornare. Chiediamo al governo federale e statale di applicare la legge e di fare giustizia, perché conoscono i responsabili che sono liberi, per loro non c’è stata punizione , e si stanno impadronendo di nostri terreni che vogliono suddividere in ejido tra Santa Rosa e Banavil.”

Ancora una volta identificano gli aggressori: Antonia López Pérez, Lucía López Ramírez e Antonia Girón Gómez, e Alonso López Ramírez, Diego, Pedro e Manuel Méndez López, Agustín Méndez Luna, Alonso e Agustín Guzmán López, Diego Guzmán Méndez, Antonio e Alonso López Méndez e Pablo López Intzín.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 marzo 2013

Si aggrava la minaccia contro le basi di appoggio delle’EZLN a San Marcos Avilés, Chiapas.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 5 marzo. Si aggrava di giorno in giorno la situazione di minaccia, persecuzione e tensione contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nell’ejido di San Marcos Avilés (municipio di Chilón), da parte di seguaci del PRI, del PRD e del Partito Verde Ecologista del Messico, i cui capi hanno perfino minacciato di arrestare la giunta di buon governo (JBG) di Oventic nel caso questa intervenisse.

Secondo informazioni fidate, il Centro dei Diritti umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) riferisce che questa situazione si è acuita dal 23 febbraio, quando i partiti si sono incontrati con un deputato locale del Chiapas non identificato nella Ranchería Yoc’ja, Chilón. “Dopo questa riunione si è svolta un’assemblea a San Marcos Avilés, dove i partiti hanno dichiarato: Ci sarà la guerra contro le basi di appoggio perché non c’è altro modo di risolvere il problema”.

Il giorno 24 sono corse voci di uno sgombero, per cui la comunità delle basi zapatiste è entrata in allerta.

Il giorno 26, alle ore 20:00, il commissario ejidale Ernesto Pérez Núñez annunciava con un megafono la convocazione di un’assemblea per il giorno dopo, alla quale avrebbero partecipato i 70 ejidatari ed i coloni che non lo sono. Il commissario inoltre avvertiva: ‘Nessuno proveniente da altri luoghi avrà il diritto di intervenire nei problemi dell’ejido, e se vengono quelli della JBG li arresteremo’..

Dal 27 febbraio ad oggi, le famiglie zapatiste vivono in una situazione di grave tensione,  persecuzione e diretta minaccia di sgombero forzato da parte dei partiti.

Il Frayba sente l’urgenza di rispondere alla situazione di persecuzione che sta causando gravi violazioni dei diritti umani in relazione all’integrità e sicurezza della persona, alla stabilità ed al libero transito, tra altri. Oltre a colpire la convivenza e l’armonia nella comunità e nella famiglia, si ripercuote in una potenziale crisi umanitaria con possibili conseguenze di difficile soluzione in caso si verifichi per la seconda volta uno sgombero forzato contro le basi zapatiste, come già successo nell’aprile del 2010.

La nuova escalation di violenza contro le famiglie autonome era stata già denunciata nei giorni scorsi (La Jornada, 24/2/13). Le autorità statali hanno brillato per il loro immobilismo nello congiurare la possibile violenza contro gli zapatisti della comunità tzeltal.

 

Amicus curiae per Patishtán

 

L’Università del Minnesota, negli Stati Uniti, ha presentato alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) una risoluzione di amicus curiae (amico della corte) nelal quale si sostiene che nel caso di Alberto Patishtán fin dall’inizio le prove dovevano essere considerate nulle, in quanto ottenute in maniera illecita e violando con questo i suoi diritti fondamentali, che esistevano da prima della pubblicazione delle nuove tesi e della giurisprudenza della SCJN. Lo Stato messicano era obbligato a proteggere e garantire i diritti del detenuto.

La difesa di Patishtán ha convalidato le argomentazioni sviluppate nello scritto (in un amicus curiae, degli esperti indipendenti esprimono la loro opinione rispetto ad un caso particolare, apportando elementi che possano risultare trascendenti nella decisione del tribunale). Questo, sostiene elementi giuridici per i quali la SCJN deve assumere la competenza ed affrontare il tema di fondo della questione delle violazioni delle garanzie e della protezione giudiziale, diritti che sono stati ignorati durante tutto il procedimento penale.

Nel frattempo, anche i Solidarios de la Voz del Amate, membri della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, reclusi nella prigione di San Cristóbal de las Casas, si sono pronunciati al riguardo: ‘Dopo quasi 13 anni di carcere ingiusto al nostro compagno Alberto, è arrivato il momento di rivelare le anomalie e le irregolarità nel suo caso. Questo mercoledì ci sarà l’udienza per discutere la riassunzione di competenza della SCJN; confidiamo che quando i giudici scopriranno tutte le bugie nel caso del nostro fratello, detteranno la sua liberazione immediata.

http://www.jornada.unam.mx/2013/03/06/politica/033n1pol

(Traduzione “Maribel” – bergamo)

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LORO E NOI

VII. – LE/I più piccol@ 5.

5.- I Soldi.

Marzo 2013

NOTA: I Soldi, il denaro, la grana, il money, l’economia, le finanze, ecc. La questione economica non riguarda solo da dove arrivano le risorse (la morbosità di qualcun@ sarà soddisfatta a scuola, non preoccupatevi), ma riguarda anche come si gestiscono (le autorità percepiscono uno stipendio? Si fa la “cresta” a beneficio personale? ecc.) e, soprattutto, come si presenta il rendiconto? Un momento! Gli zapatisti hanno un proprio sistema bancario?! Bene, scandalizzatevi pure perché, come è risaputo, questo fanno le zapatiste, gli zapatisti, disturbano le anime belle. Questi sono frammenti della condivisione sull’economia delle Giunte di Buon Governo:

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Fino ad ora non c’è stato compenso con denaro [per le autorità della JBG], perché pensiamo che non è col denaro che si può fare il lavoro dell’autonomia o svolgere l’attività di governo. Nessuno sta lavorando sulla base dei soldi. Chiaramente alcuni, per il lavoro che fanno, ricevono un aiuto dal loro villaggio con generi di prima necessità, secondo quanto concordato tra la comunità, ma niente soldi. E’ così che abbiamo lavorato in questi nove anni nella Giunta di Buon Governo.

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Come si trasferiscono nel loro Caracol i membri della Giunta?

 

Se c’è un mezzo di trasporto si usa quello, altrimenti ci si va a piedi. Il costo del viaggio è a carico delle poche risorse a disposizione della Giunta, ma solo per questo. Se il viaggio costa 20 pesos, allora riceverà 20 pesos, nient’altro.

I compagni e le compagne che svolgono incarichi di autorità, come già detto, lo fanno per coscienza, per volontà, ma questi compagni inoltre vivono in villaggi dove ci sono molti altri compagni che svolgono lavori comunali, organizzativi per organizzare la resistenza. Per cui alcuni di questi compagni hanno il diritto di svolgere il loro lavoro nel tempo libero, perché questi compagni non possono partecipare al lavoro di carattere collettivo ed ai lavori comunali.

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All’interno del governo autonomo si gestiscono le diverse aree di lavoro come educazione, commercio, salute, comunicazione, giustizia, agricoltura, trasporti, progetti, campamentisti, BANPAZ (Banca Popolare Autonoma Zapatista), BANAMAZ (Banca Autonoma delle Donne Zapatiste) ed amministrazione. Queste sono le aree di lavoro che si amministrano dentro il governo autonomo. All’inizio, quando sono nate le Giunte di Buon Governo, siccome si era in pochi, ogni compagno aveva da tre a quattro aree da gestire. In un secondo periodo, nella Giunta si è arrivati a dodici compagni ed il carico di lavoro è stato riequilibrato ed ogni compagno doveva gestire da due a tre aree di lavoro.

In questo terzo periodo di vita della Giunta di Buon Governo siamo ormai in 24 ed il lavoro si è equilibrato. In queste diverse aree di lavoro operano compagne e compagni, in due squadre che formano la Giunta di Buon Governo, siamo in 24 e copriamo la Giunta per 15 giorni al mese. In ogni area di lavoro operano due compagni e due compagne, è così che funziona la Giunta di Buon Governo. È tutto, compagni. Adesso parlerà l’altro compagno.

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(…)

Stavamo commentando coi compagni che abbiamo un po’ di conoscenza della zona, e che nei villaggi ci sono coltivazioni collettive di fagioli, di mais, ci sono allevamenti collettivi di bestiame, negozi collettivi, allevamenti collettivi di polli. Ci sono piccoli commerci, non è che siano negozi permanenti che stanno lì tutto il tempo, a volte si fanno piccoli eventi e lì ci vanno i compagni col loro piccolo commercio. Ci diceva la compagna che in un villaggio della sua regione avevano avviato un allevamento di polli, polli nostrani, e di tanto in tanto uccidevano un pollo o due e facevano i tamales che poi vendevano, e a poco a poco hanno messo insieme un fondo che ha permesso loro di comprare una macina per preparare il nixtamal [tipica base per le tortillas – n.d.t.], e così hanno creato la loro attività.

Un altro compagno conosce un villaggio dove arriva molta gente da altre comunità e lì le compagne si sono organizzate per aprire una tortillería, ma non perché si erano comprate una macchina di quelle che si vedono in città, da dove escono a catena le tortillas. Le compagne hanno una piccola pressa e fanno le tortillas a mano che poi la gente compera, e questo è un altro lavoro collettivo.

In questo modo nei villaggi si organizzano molte altre cose. A cosa serve tutto questo? Serve perché, per esempio, al compagno di quel villaggio, se è promotore di educazione, o promotore di salute che deve andare a fare il suo lavoro, possano pagare il viaggio, per dargli per qualcosa che possa servirgli dove svolge il suo lavoro.

(…)

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Qui nel Caracol II di Oventic arrivano visitatori da altri paesi, nazionali e internazionali. Molti vengono solo a visitare il Caracol, ma alcuni lasciano una piccola donazione per appoggiare le comunità. Le donazioni che lasciano qui alla Giunta sono piccole, ma si accettano e la Commissione di Vigilanza rilascia una ricevuta. Una copia della ricevuta è per il donatore, una copia è per la Commissione di Vigilanza, una copia va ai compagni del CCRI e l’originale resta alla Giunta. Le donazioni si mettono insieme e la Giunta le gestisce. Queste donazioni vengono usate per le spese nel Caracol, perché queste donazioni sono molto piccole, sui quaranta, cinquanta, cento pesos. Ma di queste spese non è al corrente solo la Giunta, ma mensilmente la Giunta redige un rendiconto, ogni mese facciamo una relazione di fine di mese.

La Giunta fa la sua relazione insieme a tutti i 28 membri, dove ci sono alcuni compagni del CCRI, affinché insieme vediamo come vengono spesi i soldi qui nel Caracol, o come la Giunta di Buon Governo amministra le risorse.

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Un altro degli obblighi del governo autonomo è amministrare con sincerità ed onestà tutte le entrate e le uscite economiche di ogni istanza di governo, per tutti i beni e materiali che sono per la comunità, così come ho spiegato un momento fa, anche per le risorse che donano i compagni solidali, perché la Giunta non gestisce come vuole le risorse.

Ogni istanza di governo nei municipi, nella Giunta, redige mensilmente la sua relazione, e le relazioni le facciamo molto dettagliate, anche se si tratta di 50 pesos bisogna dettagliare per che cosa sono stati spesi quei 50 pesos, è così che facciamo la nostra relazione, come ho detto prima, non la fanno solo due membri, ma la facciamo tutti 28 membri della Giunta, riuniti insieme ai compagni del CCRI; è così che lavoriamo qui nel Caracol.

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Bene, c’è anche el Comisión de Fondo, qui nella nostra zona abbiamo un piccolo fondo e, come la compagna ci ha raccontato, ci sono tre aree di competenza delle donne, per esempio le erboriste, le hueseras[che curano lussazioni, fratture, contusioni – n.d.t.] e le levatrici, e in quest’area di lavoro una volta è stato realizzato un progetto, non in specifico per le hueseras, erboriste, levatrici, ma per la clinica centrale, cioè nell’area di salute, includendovi i tre gruppi o tre aree di hueseras, erboriste, levatrici; per quel progetto è stato fatto un bilancio per prevedere le spese per il vitto, che era di 50 pesos al giorno, ed il corso era di tre giorni, quindi il corso costava 150 pesos per il vitto, e poi si è calcolata anche una quota per il viaggio di trasferimento delle compagne. Allora, tutte le autorità regionali e i consigli autonomi della zona hanno analizzato il progetto ed hanno ritenuto importante creare un fondo.

Si concordò di non spendere tutto per il vitto, ma di chiedere solo un piccolo contributo di 10 pesos per ogni compagna, e siccome il corso era di tre giorni, si sarebbero spesi 30 pesos, quindi avanzavano dei soldi, e quello che restava, secondo l’accordo dell’assemblea delle autorità, si sarebbe conservato come fondo della zona, non della regione, ma della zona. Anche per le spese di viaggio si concordò un 50% dal fondo e un 50% dal contributo del villaggio, quindi il 50% restava per il fondo della zona.

Perché si è fatto così? Perché qui nella nostra zona le risorse economiche del villaggio sono sempre molto scarse, per questo è stato deciso di conservare come un fondo la somma che sarebbe avanzata. Così è stato creato il fondo della zona, e per questa ragione è nata la Comisión de Fondo, Commissione di Risparmio. Non so se ho risposto alle vostre domande.

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Chi controlla che non ci siano trucchi tra il rendiconto e la relazione generale?

 

Noi lavoriamo tutti insieme, in Giunta non c’era chi controllava la relazione, ma tutta la squadra della Giunta. Ma ad ogni alternanza di Giunta si passa copia di tutte le relazioni delle spese all’ufficio Informazione; e così per tutti gli acquisti decidiamo con l’ufficio Informazione quali generi alimentari comprare o se fare alcune commissioni. Decidiamo tutti insieme con l’ufficio Informazione, alla presenza anche degli addetti alla vigilanza; i tre uffici si riuniscono e lì si concorda che cosa comprare o quanto costerà una commissione che, al suo ritorno, informerà la Giunta delle spese fatte. Ad ogni cambio di turno si presentano i conti e si elegge un segretario e un tesoriere che ha in mano i soldi ed il controllo. Per esempio, gli si affidano 10 mila pesos da amministrare per dieci giorni, e quel compagno è incaricato di controllare l’economia, le spese, di fare il segretario e il tesoriere. Alla fine dei conti vediamo quanto è stato speso, e se per caso mancano cento o duecento pesos, questi restano a debito del compagno, perché è lui l’incaricato di gestirli bene per i 10 giorni dell’incarico. Ad ogni cambio di turno in Giunta si controlla se quadrano i conti, ed abbiamo controllato se quadravano i 10 mila pesos affidati nei 10 giorni di turno. Ma gli acquisti si fanno sempre su accordo dei tre uffici.

La domanda è, come si fa ad essere sicuri che quei compagni dicono la verità, che non stanno sbagliando. Su quali dati si basano?

 

Compagni, ci si basa sulle ricevute. Metti che ci sono 50 mila pesos che vengono affidati al compa che arriva di turno; come ha detto il compagno, quei 50 mila pesos devono essere gestiti per 10 giorni, quindi se spende tremila o quattromila pesos deve dare informazione delle spese attraverso le ricevute delle uscite, o nel caso delle commissioni per cui non ci sono state spese, delle ricevute per il vitto, e poi deve far quadrare i conti. E si vede se realmente quadrano perché, non solo l’amministratore o chi sta tenendo i conti, ma anche la Vigilanza e l’ufficio Informazione hanno la situazione della somma di denaro che si sta gestendo.

E se non fornisce le ricevute, come può provare le spese?

Il fatto è che tutto il denaro in entrata deve avere una ricevuta perché se un fratello solidale viene a dare una donazione, questa deve essere accompagnata da una ricevuta, perché anche lui la deve poi consegnare al suo collettivo o alla sua organizzazione. Quindi, la copia di questa ricevuta resta alla Giunta e all’ufficio Informazione, per questo non ci sono falle nel denaro in entrata. E le uscite le gestisce la Giunta attraverso la commissione che ora sta facendo la pratica per consegnare i conti.

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(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Marzo 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/03/04/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-5-la-paga/

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Zapatista” del gruppo Louis Lingg and the Bombs, di Parigi, Francia. Rock Punk Anarchico. Il pezzo è nel disco “Long Live The Anarchist Revolutionairies”. Prendono il nome da Louis Ling, nato in Germania ed emigrato negli Stati Uniti alla fine del secolo XIX (1885), condannato alla forza, Louis dichiarò ai rappresentanti della legge capitalista: “Vi disprezzo; disprezzo il vostro ordine, le vostre leggi, la vostra forza, la vostra autorità. IMPICCATEMI!”. Dedicato a tutt@ le/i compas anarchici della Sexta. http://www.youtube.com/watch?v=XkJ73JBlcRc&feature=player_embedded

Il gruppo Zamandoque Tarahum, da Chicago, Illinois, USA, con questo rock dal titolo “Zapatista”. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=AgO1_8IZAz4

Dal Sudafrica, il Movimento degli Abitanti delle Case di Cartone (Abahlali BaseMojondolo)che lotta per la terra e la casa, manda un saluto alle comunità indigene zapatiste tramite i nostr@ compas del Movimiento por Justicia del Barrio, nell’altra New York, USA. La resistenza e la ribellione affraternano Messico-Stati Uniti-Sudafrica in basso e a sinistra. http://www.youtube.com/watch?v=TMmwS4ju1PU&feature=player_embedded

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ejido Tila.

La Jornada – Venerdì 1 marzo 2013

Gli indigeni chol di Tila esigono la fine del furto delle terre che dura da oltre 50 anni

HERMANN BELLINGHAUSEN. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 febbraio. Gli abitanti chol dell’ejido Tila, nella zona nord, hanno comunicato che nei prossimi giorni la Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) dovrà risolvere il caso del loro territorio e sperano che finisca “il saccheggio e l’ingiustizia che subiamo da oltre 50 anni”. Esigono la “restituzione totale ed il pieno rispetto delle terre ejidali.

“Finalmente è giunto il momento in cui si deciderà sul rispetto della terra e del territorio dell’ejido”, sostengono gli indigeni, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e membri del Congresso Nazionale Indigeno.

“La presidenza municipale protetta dal governo dello stato, con un decreto illegale del 1980 ha venduto e si è appropriata delle nostre terre. La denuncia dice chiaramente che le terre appartengono all’ejido e che il decreto è illegale. Si volevano impadronire di 130 ettari, 52 occupati dal villaggio di Tila e 78 di terre coltivate. Vogliono privatizzare ed arricchirsi e proseguire nella loro azione di corruzione e furto nel nostro villaggio. Questa è la radice del problema e la sua ingiustizia”.

Gli ejidatari puntualizzano: “Colpevoli di questa malvagità e furto sono le persone appartenenti al gruppo paramilitare Paz y Justicia, che hanno portato violenza e massacri a Tila ed in altri municipi per assecondare i piani del governo federale contro l’EZLN” (1995-1998). Non solo “vivono nell’impunità”, ma “hanno sono dentro i partiti politici, il municipio ed altri enti del governo” e la presidenza “ha ingaggiato ex soldati che fanno le spie”.

L’amministrazione municipale “rappresenta la menzogna e la falsità”, quando sostiene che “non può consegnare le terre perché già vendute illegalmente, e che se la SCJN ci restituisce le terre, ‘siccome siamo indigeni distruggeremo le case, faremo scappare gli abitanti e genereremo conflitto sociale’. Mentono, affinché la corte non ci restituisca le terre. Mentono, perché a vivere nel villaggio sono in maggioranza le nostre stesse famiglie, anche se altra gente è venuta da fuori”. Ora si deciderà sul fatto che non vogliono rispettare il ricorso presentato nel 1982, contro il decreto di esproprio del 1980, che abbiamo vinto nel 2008; un secondo tentativo di esproprio, perché il primo tentativo è del 1966.

“Noi chol abbiamo fondato il villaggio di Tila. Questa terra appartiene legittimamente al nostro popolo; da tempi immemorabili era abitato dai nostri nonni e nonne. Prima che questo fosse territorio messicano. Abbiamo subito la colonizzazione, l’invasione e la dominazione. Abbiamo visto nascere questo paese e siamo stati spogliati e sfruttati dai proprietari terrieri alla fine del 1800 per colpa del malgoverno che consegnò le nostre terre ad impresari stranieri.

“Grazie alla rivoluzione di Emiliano Zapata abbiamo potuto legalizzare le nostre terre, perché i padroni delle fincas erano scappati. La risoluzione presidenziale del 1934 dice chiaramente che abbiamo il possesso delle terre, che non fu una donazione, ma riconoscimento del possesso”.

Gli indigeni hanno confermato con verbali d’assemblea che “riconoscono il diritto di tutti, indigeni e non indigeni, come abitanti, ma è su proprietà ejidale che vivono, e non privata, come per anni ha detto, ingannando, il municipio”. L’assemblea generale ha amministrato queste terre secondo i nostri usi e costumi; abbiamo donato la terra per scuole e servizi; amministriamo il parco centrale, il cimitero, l’acqua, il commercio, le feste e ci prendiamo cura dei luoghi sacri”.

La SCJN “dimostrerà se la sua sentenza sarà a favore dell’illegalità e l’impunità, o se ordinerà la piena restituzione delle terre all’ejido e rispetterà la Legge Agraria, il nostro ricorso ed i trattati internazionali” in materia. http://www.jornada.unam.mx/2013/03/01/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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