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Archive for agosto 2013

La Escuelita zapatista

Miguel Concha

La Escuelita zapatista è stata colma di esperienze, saperi e speranze confermate. Sono stati momenti per generare nuovi stimoli in un’epoca che sembra perdere riferimenti di lotta e trasformazione. La vita in comunità ed il lavoro collettivo hanno permesso a 1.700 persone, venute da diverse parti della Repubblica e del mondo, di riconoscersi nel forte desiderio di collaborare nella costruzione di un mondo dove stiano tutti i mondi.

L’invito fatto al Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria OP AC, ed il vissuto di due giovani compagni di questa organizzazione, esortano a diffondere alcune riflessioni al riguardo. Innanzitutto si ringraziano gli zapatisti per l’invito a un così importante esercizio di riflessione e formativo. E si ringraziano le migliaia di famiglie zapatiste che hanno accolto gli allievi. Si riconosce inoltre che questa convocazione è arrivata in un momento in cui i movimenti, collettivi ed organizzazioni sociali hanno bisogno di intessere le rispettive conoscenze con quelle dei popoli che resistono di fronte ad un sistema di morte che sfrutta ed esclude. Lo zapatismo è la dimostrazione che un altro mondo è possibile e, contrariamente a quello che il malgoverno dice, è un riferimento che ispira a continuare nelle lotte per un mondo più degno e giusto. Da quando i popoli zapatisti sono riapparsi il 21 dicembre scorso, si era percepito che c’era un messaggio profondo per il paese e per il mondo. Nei primi mesi dell’anno hanno poi invitato ad incontrarli. E così si è potuto condividere quello che hanno costruito in questi quasi 20 anni, e come lo hanno fatto. Una settimana di incontri è servita affinché i partecipanti si rendessero conto che la lotta zapatista non è mai stata endogamica, ma è partecipata con tutti i popoli del mondo, perché come ben dicono, per tutti tutto, per noi niente.

La pedagogia impiegata è stata quella dell’accompagnamento, dell’attenzione e dell’umiltà. Ogni partecipante è sempre stato accompagnato da una persona che lo ha guidato nella comunità e gli ha comunicato le sue conoscenze sullo zapatismo: il Votán. I popoli zapatisti li hanno accolti con amore, speranza e senza distinzione alcuna. Fin dal primo momento si sentiva l’allegria e il giubilo non solo dei nuovi arrivati, ma anche di tutte le persone che vivono nel territorio autonomo. Al mattino si condividevano il caffè, il mais ed i fagioli che le stesse comunità producono per la loro alimentazione. Poi si stava insieme a svolgere le attività quotidiane nella comunità: pulire la piantagione di caffè, fare tortillas, mettere i fagioli a cuocere, mietere mais tenero per i tamales, andare per legna o fare il pane. Tutto in maniera collettiva. Ed era durante queste attività che si imparava quello che le comunità zapatiste volevano insegnare. Mentre si era nella milpa, o si macinava il mais per le tortillas, erano chiaramente spiegati i sette principi dello zapatismo e le forme di organizzazione dei caracol. Gli allievi hanno compreso cosa implica il comandare ubbidendo, e stando in comunità, con domande ricorrenti, col passare dei giorni hanno conosciuto la libertà secondo gli zapatisti. A poco a poco si sono sentiti parte di quel processo di autonomia e liberazione. Gli zapatisti hanno raccontato come il malgoverno li attacca ripetutamente, ed hanno ascoltato le esperienze degli allievi, quello che il malgoverno fa nei luoghi da dove sono arrivati. Sono stati momenti propizi per capire che le esperienze del basso sono sorelle, perché hanno uno stesso nemico da sconfiggere: il potere oppressore, capitalista, coloniale e patriarcale. Nel pomeriggio tutti si partecipava ad una riunione per chiarire i dubbi.

Le domande si facevano in castigliano; le risposte erano in tzeltal o tzotzil. Tutta la comunità partecipava, e dopo un cenno i Votán spiegavano agli allievi le risposte della comunità. Il Votán era individuale, ma anche collettivo; cioè, tutta la comunità ha insegnato ed accompagnato in maniera unita. Non ci sono mai stati discorsi complicati o discussioni ideologiche. Ha predominato la conversazione amichevole: uno scambio di prospettive ed esperienze.

Questo è stato la Escuelita zapatista, un vissuto molto particolare per chi vi ha partecipato. Verso la fine della settimana sono stati tutti festeggiamenti. Le comunità hanno salutato gli allievi con musica e cibo, con balli e sorrisi. Dopo aver imparato, non restava che ringraziare per la vita e la speranza dei popoli zapatisti. Trent’anni dalla clandestinità e 20 dall’insurrezione sono sufficienti per comprendere le forti radici presenti nel territorio autonomo. Ma, a loro dire, ne mancano ancora molti, fino a che tutte e tutti siano liberi. Dai villaggi, gli allievi sono tornati nei caracol. Le conversazioni tra le e gli allievi al loro rientro erano piene di emozione: erano frastornati da tutto quello che il cuore della comunità aveva dato loro. Le autorità zapatiste hanno spiegato i particolari della loro organizzazione politica ed economica. Hanno descritto cosa e come è organizzata la struttura delle giunte di buon governo e dei municipi autonomi, e com’è che rendono concreto che il popolo comandi ed il governo ubbidisca. Si è esortato a tornare nei luoghi di origine e condividere quanto appreso, ma anche che è dalle proprie azioni che si costruiscono la libertà e l’autonomia. E si cambia il malgoverno. Dai caracol, gli allievi sono tornati al Cideci. Lì si è svolta la cattedra Tata Juan Chávez Alonso. Più di 200 delegati dei popoli indigeni si sono incontrati per condividere le loro lotte. All’unisono hanno denunciato il saccheggio dei loro territori ed i modi in cui il governo e le multinazionali distruggono la vita, la storia e la cultura. Ed hanno riconosciuto ed incoraggiato le lotte per l’autonomia e la libera determinazione dei popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/31/opinion/017a2pol

(Traduzione “Marbel” – Bergamo)

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Principi e modi zapatisti

Neil Harvey *

La escuelita zapatista che si è svolta in Chiapas tra il 12 e 16 agosto ha avuto una doppia funzione: da una parte, si è rivolta agli studenti arrivati da fuori come parte di una nuova iniziativa politica dell’EZLN iniziata con la marcia silenziosa del 21 dicembre 2012. La scuola è lo sforzo degli zapatisti di fare conoscere, dalla loro stessa analisi e testimonianza, la loro esperienza nella costruzione dell’autonomia comunitaria, municipale e di zona, allo scopo che queste lezioni possano essere utili in altri spazi.

Rappresenta in parte la continuazione delle relazioni presentate nell’Incontro dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo, del 2007, ma con maggiore profondità e con nuovi metodi di organizzazione. L’assegnazione di un uomo o una donna delle basi di appoggio ad ogni studente come propri custodi, ha fatto sì che l’interazione fosse più diretta ed arricchente, mentre le presentazioni e sessioni di domande e risposte hanno dimostrato la disponibilità di condividere non solo i progressi, ma anche limitazioni, errori e, soprattutto, nuovi modi di correggerli.

Nello stesso tempo, la escuelita ha avuto impatto all’interno delle comunità zapatiste promuovendo la discussione e l’elaborazione di quattro libri e due dvd sui governi autonomi, l’autonomia e le donne, e la resistenza, lasciando a disposizione un importante strumento per l’educazione autonoma e la nuova generazione di giovani zapatisti. Nel processo si va consolidando la centralità dei sette principi di governo zapatista: ubbidire e non comandare; rappresentare e non sostituire; scendere e non salire; servire e non servirsi; convincere e non vincere; costruire e non distruggere, e proporre e non imporre.

La scuola dunque è uno spazio di dialogo, un’opportunità per conoscere e condividere non unicamente i principi zapatisti, ma anche le sue pratiche o modi. Ma, che cosa sono i modi zapatisti? Sebbene resistano alla definizione, è possibile valutare il modo in cui questi sono espressi nelle decisioni e nelle azioni dei membri dell’EZLN.

Detti modi si manifestano nella pratica, cioè, nella capacità di rispondere in maniera includente e creativa ai problemi che si presentano. Attraverso la loro pratica, gli zapatisti danno significato ai sette principi già menzionati.

Durante la escuelita sono stati affrontati cinque temis: governo autonomo, donne, resistenza, giustizia e democrazia. In ognuno, le pratiche rivelano diversi processi di analisi, consultazione e riflessione che sostentano questo modo zapatista di rispondere a nuove sfide e problemi. 

Per esempio, la creazione delle giunte di buon governo (JBG) su scala regionale ha risposto ai problemi di squilibrio tra i municipi autonomi che si erano presentati alla fine del 1994. Il risultato di questa riorganizzazione, è una migliore distribuzione di aiuti solidali tra tutte le comunità e municipi zapatisti.

In quanto alla partecipazione delle donne, nelle JBG si è conseguita una rappresentanza più equa (per esempio, la composizione della JBG di La Realidad è passata da una a 12 donne tra il 2003 e il 2011), pur tuttavia esistono limitazioni dovute al machismo in molte comunità, che non permettono la partecipazione piena del settore femminile nelle attività organizzative. Gli zapatisti stanno tentando di cambiare questo atteggiamento insegnando che il machismo non viene dalla cultura indigena, bensì dai colonizzatori, e che furono i padroni ed i finqueros ad imporre l’idea che la donna non ha gli stessi diritti degli uomini, di modo che ora sconfiggere il machismo non implica andare contro i costumi indigeni, ma combattere insieme, uomini e donne, contro questo tipo di dominazione e costruire nuove forme di convivenza.

L’autonomia si costruisce anche nella resistenza alle molte strategie contrainsurgentes scatenate in Chiapas. Esempi notevoli sono la decisione di ricostruire cinque Aguascalientes dopo la distruzione dell’Aguascalientes di Guadalupe Tepeyac da parte dell’Esercito nel 1995, ed il modo in cui si affrontano i problemi economici attuali attraverso la creazione di nuove banche zapatiste che permettono di far fronte ad elevate spese mediche ad un tasso di interesse del 2 percento, o promuovere nuove attività collettive che permettono ai giovani di rimanere nelle proprie comunità e così evitare l’emigrazione.

In quanto alla giustizia, gli zapatisti prevedono la riabilitazione come miglior modo di stabilire condizioni reali di maggior sicurezza ed impedire la corruzione associata al pagamento di multe, come avviene nel sistema ufficiale. La riabilitazione molte volte si consegue col lavoro collettivo e l’apprendimento di un mestiere che permette la reintegrazione nella comunità invece della continuazione dei reati. È importante anche segnalare che le autorità zapatiste vogliono che le parti in conflitto giungano ad accordi per evitare problemi più grandi. 

Infine, il modo zapatista di praticare la democrazia persegue la più ampia partecipazione possibile. Per esempio, la JBG di La Garrucha conta su 24 autorità elette con voto segreto. Il suo mandato è di tre anni, ma il lavoro si spartisce tra tre gruppi di otto persone che si alternano ogni 10 giorni. La democrazia non si limita alle elezioni, ma è qualcosa che si promuove in ogni spazio e tempo. Per esempio, le proposte delle JBG per implementare qualsiasi progetto devono essere presentate e discusse nelle assemblee di ogni comunità della zona. Lì si possono modificare le proposte ed includere altre considerazioni.

I modi zapatisti si manifestano così nei modi di governare e creare alternative vitali. Sono le pratiche quelle che mantengono aperti gli spazi necessari affinché tutti possano partecipare come uguagli nella discussione e nell’applicazione dei diversi progetti, e così continuare a costruire, correggere e progredire. Questi sono i modi zapatisti. 

*Professore-ricercatore dell’Università Statale del New México, campus Las Cruces

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/018a2pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Appunti del corso La libertà Secondo l@s Zapatistas

Gilberto López y Rivas

E’ stato un privilegio assistere come alunno al corso di primo grado La Libertà Secondo l@s Zapatistas che si è svolto parallelamente in diversi territori dei governi autonomi, e nel Centro Indigeno di Formazione Integrale – Unitierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dal 12 al 17 agosto. 

Per i suoi molteplici significati politici, strategici, programmatici e tattici nella tragica attualità di un paese devastato dal governo di tradimento nazionale e da suoi soci corporativo-repressivi (includendo il crimine organizzato), il corso impartito da indigeni delle diverse etnie che formano i governi autonomi zapatisti costituisce un appello urgente alla coscienza nazionale, agli uomini e alle donne con dignità e interezza ad organizzarsi, resistere e lottare per un mondo migliore dove si comandi ubbidendo ai popoli a partire da sette principi: 1. Servire e non servirsi. 2. Rappresentare e non sostituire. 3. Costruire e non distruggere. 4. Ubbidire e non comandare. 5. Proporre e non imporre. 6. Convincere e non vincere. 7. Scendere e non salire; e sulla base della massima etica che guida l’EZLN: Per tutti, tutto, per noi, niente, è questo il codice di condotta opposto a quello con cui agisce la classe politica messicana.

In questa settimana memorabile, accompagnati dal nostro Votán, il tutore o cuore-guardiano del popolo e della terra, e dei nostri libri di testo di lettura-consultazione-discussione, noi allievi ci siamo addentrati nello studio della storia del governo autonomo. Si sono ricordati gli anni difficili della clandestinità, con l’arrivo delle Forze di Liberazione Nazionale nella selva Lacandona, il 17 novembre 1983; i 10 anni di preparazione che precedono la dichiarazione di guerra; il processo lento ma diffuso di presa di coscienza sul ruolo da giocare quando ogni tanto sorgono uomini e donne che pensano agli altri, che si ribellano per esigere terra e libertà.

Si è ricordato l’insediamento dei 38 municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), una volta consumato l’inadempimento degli accordi di San Andrés e, successivamente, i maestri e le maestre hanno descritto le condizioni ed i problemi che hanno portato alla creazione delle cinque giunte di buon governo, l’8 agosto 2003. Noi allievi abbiamo imparato come si organizza il governo negli ambiti comunitari, municipali e zonali. Con giri linguistici ed una grande capacità di sintesi e concettualizzazione, i nostri mentori hanno illustrato il percorso di costruzione e rinvigorimento della loro autonomia attraverso la pratica collettiva di uomini, donne, bambini ed anziani, con successi ed errori, scartando quello che non funziona e cambiando il necessario. Se qualcosa viene male, noi lo miglioriamo, sono passati solo 19 anni da quando abbiamo cominciato a costruire la nostra autonomia, contro 520 anni di oppressione!

Nella conduzione, partecipazione e contenuto tematico del corso, si sono evidenziate le conquiste delle donne nei governi autonomi, nelle commissioni di educazione, salute, progetti produttivi, nei cambiamenti nella quotidianità, nei lavori domestici e nella cura dei figli, come nello sport e negli eventi pubblici. Anche qui le maestre hanno ricordato come nella clandestinità sia iniziata l’integrazione delle donne nelle milizie, nelle file degli insorti, rendendo manifesto la parità di genere attuale nei tre livelli di governo. I maschilisti, ce ne sono, si scontrano ora con le autorità autonome, con le assemblee e col diritto delle donne di denunciare qualunque maltrattamento. Se la donna ricopre un incarico, il compagno deve prendersi cura dei figli, cucinare, fare il bucato, mi diceva il mio Votán.

Un altro tema importante delle lezioni è stato la resistenza, perché il malgoverno non ha lasciato in pace gli zapatisti un solo giorno. Sanno bene che i media sono potenti strumenti di propaganda che mentono sempre; per questo hanno creato i propri mezzi di comunicazione. Definiscono i partiti politici di ogni colore come strumenti di divisione e manipolazione che promuovono gli attacchi contro i popoli zapatisti ed i loro governi. Ma in questo conflitto gli zapatisti adottano una politica di non scontro che è tornata a loro beneficio: abbiamo cercato di non alterarci per evitare la violenza. Non alterandoci, ne siamo usciti vincitori. Con la nostra pazienza, siamo riusciti a risolvere molti problemi. La nostra forza è la nostra organizzazione, senza aggredire chi ci fa del male. I maestri raccontano che i fratelli dei partiti sono diventati dipendenti da aiuti e programmi governativi, che abbandonano i lavori produttivi e vendono la terra, mentre gli zapatisti, in maniera collettiva, lavorano nei terreni recuperati e contano sulle proprie risorse e risparmi. Paradossalmente, molti aderenti ai partiti finiscono per chiedere aiuto agli zapatisti, vengono nelle loro cliniche, dove li trattano come esseri umani, e ricorrono ai loro governi per l’applicazione della giustizia e risoluzione rapida dei conflitti. La resistenza ci ha dato ci ha dato la forza di costruire l’autonomia. Dal 1994 il malgoverno ci ha sempre attaccato; ha tentato tutti i modi per attaccarci, ma oggi, siamo qui! Fa la sua politica e noi ci organizziamo e lottiamo per tutti. Così, i nostri educatori ci hanno mostrato come resistono nell’ambito ideologico, economico,  politico, culturale, che è il modo di vivere; hanno dimostrato che né eserciti né paramilitari hanno impedito lo sviluppo delle loro autonomie”. 

Sono stati trattati molti altri argomenti, tutti con profondità, senso dell’umorismo e franchezza, con orgoglio per le conquiste, ma con modestia. Al termine del corso è arrivato il momento di salutare maestr@ e Votán, con un nodo alla gola e pianto aperto di molti. Per gli egresados della escuelita, il mondo non potrà più essere lo stesso. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 agosto 2013

Rischio di massacro nella colonia Puebla, come ad Acteal, avvertono Las Abejas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 agosto. I membri dell’organizzazione della società civile Las Abejas, della colonia Yaxgemel (municipio di Chenalhó), ritengono pericolosa la tardiva presenza della polizia nella colonia Puebla, dove la situazione è allarmante, e citarono le parole di Javier Hernández Cruz, aggressore del parroco di Chenalhó la settimana scorsa, che avrebbe detto: È necessario  far prendere aria e scaldare le munizioni, perché sono chiuse da da anni e si sono raffreddate, in riferimento alle armi che lui e tutti i paramilitari di Puebla hanno conservato dopo il massacro di Acteal.

Lo stesso individuo ha minacciato di morte un catechista di Yaxgemel, mentre altri elementi hanno minacciato uno degli autisti che hanno portato gli sfollati a San Cristóbal de las Casas.

Pronunciandosi contro la violenza sistematica nella località vicina, affermano: 

“A noi che abbiamo subito nella carne lo sgombero forzato del 1997, indigna e deprime psicologicamente lo sfollamento dei nostri fratelli e familiari di Puebla, perché il modo in cui si è sviluppato questo conflitto e la violenza sono identici al processo che portò alla guerra sporca“. Nella colonia Puebla sono nati i primi paramilitari che estesero il conflitto ed incitarono al paramilitarismo in varie comunità di Chenalhó nel 1997.

La nuova violenza è iniziata pretestuosamente come un problema religioso ma è la strategia ed il mascheramento dei malgoverni, ed in fondo un attacco diretto ai nostri compagni, affermano Jacobo Hernández Gómez, Diego Guzmán Gómez e Lázaro Arias Gómez. Il modo in cui si è sviluppato il problema è di carattere contrainsurgente, l’abbiamo già vissuto e sappiamo riconoscere la natura dei conflitti. 

La violenza avrebbe potuto essere risolta senza sgomberi se le autorità avessero la volontà e la capacità di fornire una soluzione pacifica e immediata. Tuttavia, è stato il contrario, come logico, perché tutte le autorità competenti fanno parte degli artefici del conflitto.

Complicità del governo

La complicità dei governi è stata confermata quando nel pomeriggio del giorno 22 gli ora esiliati, rinchiusi e minacciati di morte, hanno chiesto la protezione della forza pubblica per andarsene, ma è stata loro negata. Ciò nonostante, quando le persone minacciate erano già andate via, le autorità della colonia Puebla, i responsabili delle aggressioni, hanno chiesto l’intervento della forza pubblica, che gli è stato concesso. Ora, la polizia si è insediata lì insieme ai responsabili della violenza. 

La presenza della polizia a Puebla sarebbe per fornire protezione, ma in realtà serve a militarizzare le nostre comunità, sostengono i rappresentanti tzotzil. Temiamo un altro massacro; sappiamo che i poliziotti possono addestrare i paramilitari, che sono attivi, e la violenza estendersi ad altre comunità. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/29/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Permetteremo un altro massacro come ad Acteal?

da Medianoche

Mercoledì 28 agosto 2013 21:51 

Il massacro di Acteal nel 1997 ebbe come preludio una serie di provocazioni identiche a quella di oggi nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove ci sono già centinaia di persone sfollate.  I responsabili delle provocazioni di oggi sono i figli dei paramilitari del 1997. 

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 28 agosto 2013.- C’è chi ancora ricorda che l’escalation che portò al massacro di Acteal dove furono assassinate 45 persone, tra le quali bambini, bambine e donne incinta, cominciò con provocazioni ed aggressioni come quelle viste in questi giorni nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove già centinaia di persone sono sfollate. Malgrado nella memoria collettiva rimangano frasi come “Mai più Acteal”, oggi chi lotta ed il pubblico in generale reagiscono poco di fronte alla nuova escalation che può finire in un nuovo massacro. Mentre alcune cronache sui media liberi in questi giorni raggiungono livelli di lettura storici, le notizie sulla escalation delle aggressioni hanno pochissime letture, e la raccolta di viveri a San Cristóbal del las Casas è insignificante. Come società civile nazionale e internazionale e come persone impegnate, permetteremo un altro Acteal a Chenalhó, Chiapas?

La colonia Puebla a Chenalhó, Chiapas, è uno dei due luoghi da dove partirono i paramilitari che eseguirono il massacro di Acteal, salvo un’autorità, il resto degli autori materiali non andò mai in prigione, diversamente dai paramilitari dell’altro luogo da dove partirono: Los Chorros, che furono processati ed imprigionati e che poco tempo fa sono stati rilasciati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione. Dopo la liberazione di questi ultimi, e di fronte all’impunità chiamata giustizia è iniziata l’escalation a Puebla, Chenalhó. Se un gruppo può assassinare impunemente 45 persone, e la Corte Suprema di Giustizia della Nazione lo libera, vuol dire che l’impunità si è fatta legge, la massima legge della nazione. Le famiglie paramilitari della zona agiscono di conseguenza e mandano i loro figli, molti dei quali bambini, a minacciare, perseguitare e lapidare le famiglie non affiliate. Ripetutamente le autorità municipali e statali hanno negato le misure cautelari chieste dalle organizzazioni dei diritti umani in favore delle famiglie minacciate ed aggredite, oggi molte di loro sfollate.

I pretesti per queste aggressioni sono stati diversi e puramente inventati. In questi giorni diverse cronache e notizie riassumono la situazione, qui ne indichiamo quattro: 

 Invitiamo a vigilare e seguire le informazioni, a fare memoria storica, a non permettere un altro Acteal, ad appoggiare con contributi e provviste e a non permettere che l’impunità prenda il nome di Giustizia ancora una volta di fronte al silenzio della società civile e di chi lotta. 

E se volete fare memoria e ricordare i meccanismi di contrainsurgencia in Chiapas ancora attuali, qui ci sono gli articoli di Bellinghausen con il racconto dei precedenti ed il contesto del massacro di Acteal pubblicato nel 2007, poi diventato un libro: A (quince) diez años de Acteal

http://www.kaosenlared.net/america-latina/item/66761-¿permitiremos-otra-matanza-como-la-de-acteal-en-chenalhó-chiapas?.html

Fonte: Centro de Medios Libres 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La falsa battaglia di Puebla

Hermann Bellinghausen

Un dejá vú. È il 2013, non il 1997. Quello che accade nell’ejido (già colonia) Puebla, ai confini di Chenalhó, in Chiapas, che si è voluto presentare come un conflitto religioso, in realtà è la manifestazione esplosiva del risentimento covato nelle famiglie dei paramilitari che all’improvviso accende una voce contagiosa e malintenzionata: Hanno avvelenato l’acqua! Chi? I cattolici, Las Abejas. Contro chi si scaglia inizialmente la turba? Contro le basi di appoggio zapatiste. Ne catturano tre, li legano, torturano e consegnano alla polizia. Poche settimane fa. Ora un centinaio di indigeni, in maggioranza donne e bambini, che non sono neanche zapatisti, percorrono le stazioni dolorose di un per nulla metaforico esodo, sotto l’impavido e declaratorio sguardo del governo statale che si comporta come se il conflitto si potesse dirimere ad un tavolo di dialogo dove le parti si riconcilino e così via.

Siamo alla stele del massacro di Acteal. Non siamo qua perché lo vogliamo, ma perché ci perseguitano. Ci vogliono ammazzare, si sono organizzati per farlo, ed il governo non fa niente, dice questo sabato, sull’orlo del pianto, ma con coraggio, Rosa Sánchez Arias, madre di famiglia che non parla spagnolo e sta fuggendo. Noi non avveleniamo l’acqua. Io dichiaro davanti a voi che non abbiamo fatto niente, sostiene in una spoglia conferenza stampa prima di lasciare la scuola Nueva Primavera a San Cristóbal de las Casas, dove gli sfollati hanno pernottato e si sono lavati, per partire poi verso la scuola parrocchiale di Yabteclum (il vecchio villaggio di Chenalhó), dove arrivano nella notte con l’intenzione di proseguire lunedì fino ad Acteal. Un luogo, ed un altro, ed un altro, Rosa riassume e si duole. L’hanno deciso la notte del 22 e di buon mattino, furtivamente, le famiglie perseguitate sono partite. Sono scese fino alle fattorie di Tenejapa, si sono infangate, disperse, ammalate ed hanno sofferto molto prima di essere localizzate dalle brigate civili che le stavano cercando.

Il 20 agosto, mentre un centinaio di giovani e bambini, autorizzati a fare bullismo, impedivano ai primi profughi di Puebla di avvicinarsi, nella stessa comunità molti altri raccoglievano pietre e circondavano i cattolici che aspettavano i profughi. Hanno distrutto il cibo che avevamo preparato, rubato le pentole e bruciato tutto. Hanno preso una bambina che volevano picchiare. Hanno detto molto brutte parole mentre distruggevano tutto. Hanno bruciato la casa, aggiunge Rosa. Decine di persone, circondate e rinchiuse in una capanna, sentivamo il fumo ed il calore dell’incendio. I bambini erano terrorizzati, quelli di fuori ridevano.

Juan, un altro sfollato: “Alcuni pastori (evangelici) stanno con i gruppi violenti. Hanno fatto correre la voce che quando ritorneremo ci finiranno. Dicono di fare tutto questo perché hanno la parola di Dio e ci vogliono obbligare a perdonarli. Non vogliono giustizia. Parlano di ‘riconciliazione’, e con loro il governo. Dimenticano che hanno delle responsabilità”. Loro hanno torturato, bruciato, oltraggiato il parroco, minacciato di morte. Ed il governo dice che per il ritorno, manca solo la nostra risposta alle sue proposte, omettendo di vedere che dalla sua parte ci sono i delinquenti e che ci stanno aspettando.

Da Puebla e los Chorros si organizzò il gruppo paramilitare che devastò Chenalhó nel 1997 che raggiunse il culmine nell’accampamento di profughi di Acteal quel 22 dicembre. Le polveri della recente liberazione dei paramilitari condannati (sicuramente non quelli di Puebla, perché nessuno andò in prigione, eccetto l’allora sindaco Jacinto Arias Cruz) sono tornate a rivoltare quel fango. Con un candore che non si vedeva dal governo di Julio César Ruiz Fierro prima del massacro, quello di Manuel Velasco Coello spera che i cattolici accettino un accordo che non garantisce giustizia né protezione, e già si è visto che la polizia non riesce a fare niente o sta con gli altri.

La faccenda delle voci fatte circolare è chiave. Come racconta un abitante di Yaxjemel, non lontano da Puebla, settimane prima “il gruppo aggressore di Agustín Cruz non aveva sufficiente sostegno nella sua crociata contro i ‘cattolici’ (anche se alcuni non lo erano), fino alla voce dell’avvelenamento dell’acqua”. Non ha contato nulla che il delegato regionale della Sanità, il poeta Ulises Córdova, negasse l’esistenza di casi di intossicazione d’acqua inquinata in tutta la zona, ma sul posto la cosa ha funzionato. Dando motivo per una vendetta. Come le Torri Gemelle.

Ma non c’è da sorprendersi. Con dignità e ordine impressionanti, gli sfollati nella notte arrivano al rifugio di Yabteclum tra incensi e sussurri. I locali che li accolgono ascoltano le loro testimonianze. Ondate di preghiere in cinguettio tzotzil. Poi offrono fagioli, da un immenso comal pieno di mani di donna escono tortillas senza fine, ed i bambini che due notti fa piangevano terrorizzati ora ridono, mangiano e giocano. Domani proseguirà il loro peregrinare. Gli incubi della mala giustizia generano mostri. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/26/opinion/a11a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Las Abejas rifiutano l’accompagnamento di una commissione governativa a protezione degli sfollati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 agosto. Questo lunedì, l’organizzazione della società civile Las Abejas ha respinto la pretesa di una commissione del governo statale di accompagnare il trasferimento dei rifugiati della colonia Puebla che in mattinata hanno lasciato Yabteclum per stabilirsi nell’accampamento di Acteal, nel municipio di Chenalhó. “Abbiamo detto a questi messaggeri del malgoverno che non accettiamo la loro presenza. Com’è possibile che vogliano ‘accompagnare’ gli sfollati, se sono complici del loro sgombero?”.

Poco prima di partire da Yabteclum, raccontano Las Abejas, è arrivata una commissione di funzionari formata da un delegato della Segreteria di Governo, della Commissione Statale dei Diritti Umani, della Protezione Civile e dal segretario municipale di Chenalhó. Erano accompagnati da persone a noi ben note come spie del malgoverno, che ci scattavano fotografie. La commissione governativa diceva di, “venire per ‘accompagnare’ e dare ‘protezione’ ” agli sfollati.

A quasi quattro mesi dallo scoppio del conflitto per il terreno della Chiesa cattolica nella colonia Puebla, e dopo le denunce pubbliche, è avvenuto lo sgombero forzato. Questo lunedì 26 a mezzogiorno, ad Acteal abbiamo accolto 95 persone di 13 famiglie cattoliche e due di religione battista, vittime dello sgombero e dell’impunità creata e favorita dal malgoverno, insiste l’organizzazione tzotzil. 

Prima dello sgombero, il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó ha fatto di tutto per trovare una soluzione giusta e pacifica al conflitto, ma le autorità della colonia, in complicità col municipio e col governo statale, invece di applicare la giustizia hanno agito come loro abitudine e come indicato dal manuale di guerra irregolare dell’Esercito messicano: generare e favorire la violenza, e concedere impunità agli aggressori. (…). http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Martínez Veloz: La liberazione di Patisthán è d’importanza vitale per il dialogo con l’EZLN

Elio Enríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 27 agosto. Il delegato per il Dialogo con i Popoli Indigeni del Messico, Jaime Martínez Veloz, questo martedì ha visitato Alberto Patishtán nella prigione di San Cristóbal, perché la sua liberazione è fondamentale per generare quei livelli minimi di fiducia con l’EZLN che permettano la riconfigurazione delle condizioni per il compimento degli Accordi di San Andrés. 

Martínez Veloz è arrivato a mezzogiorno nella prigione, e dopo aver parlato con Patishtán Gómez, accompagnato da Sandino Rivero, membro della squadra di avvocati dell’imputato, è tornato a San Cristóbal per tenere una conferenza stampa. Alberto Patishtán sta scontando una condanna a 60 anni di prigione per l’accusa di aver partecipato ad un’imboscata a dei poliziotti che provocò sette morti e due feriti, il 12 giugno del 2000. 

Alla domanda diretta, ha risposto che non si vuole l’indulto per Patishtán Gómez, perché si spera che il verdetto che emetterà prossimamente il primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez sia favorevole, per non dovere ricorrere ad un’altra istanza, ma faremo tutto quanto umanamente possibile e lotteremo per la libertà del professore presso ogni ordine di giudizio e su tutti i fronti. 

Martínez Veloz ha riferito che il colloquio con l’indigeno tzotzil è stato molto buono, e non sarà l’ultimo di un rapporto che possiamo costruire dentro e fuori la prigione. Ha aggiunto che inviterà anche gli altri membri della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) a visitare Alberto Patishtán in prigione, affinché incomincino a conoscere da vicino l’insieme dei problemi che girano intorno al processo di pace. 

Ha ricordato che fin dall’inizio del suo incarico come delegato, ha esposto al segretario di Governo, Miguel Osorio Chong, la necessità di avanzare su cinque aspetti basilari per riprendere la via del dialogo in Chiapas: volontà politica unilaterale, la conformazione della Cocopa, la nomina del delegato per il dialogo, la liberazione di Patishtán Gómez, così come la riproposizione dell’iniziativa di legge che contiene gli Accordi da San Andrés. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Allarme rosso a Chenalhó

Magdalena Gómez

Solo tre settimane fa sostenevo con preoccupazione che non era disattivato il conflitto nellejido Puebla, municipio di Chenalhó, in Chiapas, dove evangelici priisti in alleanza con i paramilitari – liberati dalla Corte Suprema  di Giustizia per presunte mancanze nel processo dove erano stati condannati per la loro partecipazione nel massacro di Acteal – reclamavano presunti diritti sul terreno di una cappella cattolica. Quell’episodio violento ha provocato lo sfollamento di diverse famiglie. Nuovamente ci troviamo di fronte al cocktail esplosivo della presunta componente religiosa che ha causato gravissimi danni in quella zona. 

Il governo dello stato l’8 agosto aveva aperto un tavolo di dialogo dove era stato firmato un accordo di civiltà, distensione e mutuo rispetto tra aggressori ed aggrediti, per questo le famiglie sfollate si erano preparate a ritornare martedì 20 agosto, accompagnate dal rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, e da una pattuglia della polizia statale. Tuttavia, un gruppo di circa 100 giovani ha impedito loro di avanzare. Il giorno dopo, è stato sequestrato e brutalmente picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, insieme ad un rappresentante del governo statale e ad un altro del governo municipale, da elementi delle chiese evangelica e presbiteriana. I fatti descritti sono stati denunciati dal centro Frayba e, come possiamo osservare, sono gravi di per sé ed ancora di più perché il riferimento del contesto precedente al massacro di Acteal non solo è inevitabile, ma ci obbliga a non abbassare la guardia.

Ma ci sono altri elementi che dobbiamo considerare, come il fatto che le prime aggressioni sono avvenute quando stavano per iniziare le attività politiche e pacifiche dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: l’anniversario dei caracol e la Escuelita zapatista che ha visto la partecipazione di circa 2 mila persone provenienti da molti paesi, e la cattedra Tata Juan Chávez Alonso, convocata dalla comandancia zapatista e dal Congresso Nazionale Indigeno, il cui profilo di denuncia di espropri in tutto il paese e di organizzazione per la difesa del territorio dei popoli è stato molto alto. Tutti questi sono stati un messaggio chiaro della forza politica ed organizzativa seguita alla dimostrazione del dicembre dello scorso anno con l’impressionante silenzioso spiegamento di forze.

Quindi, ci domandiamo se è un caso che, una volta conclusa la presenza solidale internazionale nella zona, siano riprese le ostilità a Chenalhó. Ovviamente, l’autonomia di azione non è nell’essenza del paramilitarismo. Quali forze ci sono dietro le aggressioni nell’ejido Puebla? E non possiamo smettere di domandarci se la denuncia del comandante Tacho nella settimana della Escuelita dei voli radenti di elicotteri nella zona, ha una qualche relazione con questa provocazione e minaccia. A dicembre del 2012 si arrivò a dire che in un gesto di volontà politica l’Esercito si era ritirato e non aveva interferito nell’uscita e negli spostamenti verso San Cristóbal delle basi zapatiste. Non sarà il caso di domandarci come valuta l’Esercito l’evidente rinvigorimento dello zapatismo? Se non ampliamo lo sguardo per analizzare questi segnali esecrabili a Chenalhó, possiamo incorrere, senza volerlo, nella visione di conflitto intracomunitario.

D’altra parte, dobbiamo anche domandarci se le autorità statali hanno agito con genuino spirito di mediazione, quando questo compito spetta in ogni caso a spazi civili, mentre a loro, come ha detto l’organizzazione Las Abejas, spetta l’applicazione della legge. Giustamente hanno denunciato che martedì scorso si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, (in riferimento alla cucina comunitaria) a tracciare un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, hanno aggiunto. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono dialoghi tra sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con bugie e violenza”.

E’ strano che il governo dello stato non abbia emesso un bollettino ufficiale riguardo a questi fatti, e che non l’abbia fatto neanche il Sottosegretariato agli Affari Religiosi; senza dubbio bisogna porsi questa domanda. Certamente il movimento sociale e politico progressista in questo momento affronta lotte cruciali, come il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori della Scuola, sottoposto ad un feroce linciaggio mediatico per aver occupato strade ed edifici pubblici, ed un’altra serie importante di forze si sta organizzando per fermare la riforma energetica; dovrebbero guardare al Chiapas ed ai popoli indigeni che anche loro difendono la nazione di fronte al neoliberismo. Nel frattempo, lo Stato né li vede né li sente. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/27/opinion/020a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Ejidatarios di Chilón presentano alla Corte Suprema la rivendicazione del loro territorio

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. Gli ejidatarios deiSan Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno deciso di presentare alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) le loro rivendicazioni per la difesa del territorio contro le imposizioni del governo del Chiapas, appoggiate da enti federali, che hanno implicato l’esproprio di territori degli indigeni, ubbidendo a piani di sfruttamento turistico in favore del vicino ejido di Agua Azul, dove si trovano le famose cascate.

Il 20 agosto scorso, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona del citato ejido tzeltal, ed il suo rappresentante legale, Ricardo Lagunes Gasca, hanno chiesto alla SCJN “che eserciti le sue funzioni per decidere sulla richiesta di revisione presentata contro la sentenza del 22 luglio emessa dal giudice settimo di distretto in Chiapas, nel caso 274/2011, nella quale si stabilisce che gli atti di esproprio del 2 febbraio 2011 da parte delle autorità dello stato e federali non colpiscono i diritti collettivi del popolo tzeltal di Bachajón”.

Il precedente yaqui

La petizione alla Suprema Corte è stata appoggiata dal commissario e dal consiglio di vigilanza autonomi degli aderenti alla Sesta di San Sebastián Bachajón, che si sono rivolti al presidente della SCJN, Juan N. Silva Meza, affinché “si prenda in considerazione la trascendenza e rilevanza sociale e giuridica del caso affinché sia accolto dalla Corte e si sviluppino precedenti importanti beneficio dalla protezione dei territori indigeni e della loro cultura”.

Citano come precedente la sentenza a favore della tribù yaqui, di Sonora, nel ricorso 631/2012, relativo al progetto Acueducto Independencia, imposto dai governi dello stato e federale per sottrarre l’acqua del fiume Yaqui ai popoli indigeni del sud di Sonora.

L’avvocato Lagunes Gasca ritiene che “l’accoglimento del caso di Bachajón da parte della SCJN aprirebbe la possibilità di definire criteri di giurisprudnza sui diritti dei popoli indigeni come la consultazione ed il consenso libero, previo e informato”, prima dell’adozione di misure che coinvolgano il loro diritto alla terra ed al territorio, l’identità culturale, l’autonomia e la libera determinazione. Ciò, “a maggiore tutela legale delle comunità indigene del paese che sono o possono essere colpite da progetti governativi e privati all’interno dei loro territori”. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n1pol.htm

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Operazione pulizia religiosa a Chenalhó collegata ai paramilitari

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. “Di fronte al rischio imminente in cui si trovavano le famiglie cattoliche dell’ejido Puebla, municipio di Chenalhó, all’alba di venerdì sono sfollate 14 famiglie, in maggioranza donne e bambini” ha comunicato ieri il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) dopo l’arrivo degli indigeni nei suoi uffici.

Tuttavia, nel pomeriggio di oggi gli sfollati (che sono già più di 80), dopo aver trascorso la notte nella scuola di Nueva Primavera, e vista l’inutilità della mediazione governativa, hanno deciso di dirigersi a Yabteclum, più vicino alla loro comunità, anche se non c’è alcuna certezza del loro ritorno sicuro. Alcuni sono malati, quindi è anche emergenza sanitaria.

Il “sgombero forzoso” di questi tzotzil di diverse organizzazioni, che in comune hanno la professione della religione cattolica e non appartengono ai partiti politici ufficiali, si deve, secondo il Frayba “al clima di violenza in cui si trova la zona e per le aggressioni, minacce e persecuzioni” avvenute nelle scorse settimane.

Attualmente, riferisce l’organizzazione presieduta dal vescovo di Saltillo, Raúl Vera, “nell’ejido Puebla sono a rischio le famiglie cattoliche (23 persone) di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, e le famiglie battiste e pentecostali che sono rimaste nell’ejido anche se minacciate”.

Il centro dei diritti umani “esige che si garantisca il diritto all’integrità personale e si offra tutta l’assistenza necessaria alle persone sfollate, e si garantisca l’integrità e la sicurezza personale” delle famiglie che rimangono nella tormentata comunità. Anche che si applichi “la normativa internazionale, in specifico i principi regolatori degli sgomberi interni, firmati e ratificati dallo Stato messicano.”

Questi indigeni si sommano alle cinque famiglie dello stesso villaggio che, sfollate a luglio, avevano tentato di tornare questa settimana, ed un centinaio di persone, in maggioranza ragazzi, avevano impedito loro in maniera aggressiva, perfino di avvicinarsi all’ejido Puebla. Il problema nasce da un conflitto, apparentemente religioso, creato dalle autorità ejidali, tutti membri di chiese evangeliche e presbiteriane.

Sotto l’apparenza di contendersi la proprietà dove da quarant’anni si trova la appella cattolica, i filogovernativi hanno scatenato una virulenta operazione di “pulizia religiosa”, molto politica, collegata al ritorno dei paramilitari che parteciparono al massacro di Acteal, che condannati, sono stati polemicamente liberati negli anni e mesi recenti su decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione. A Puebla si aggredisce nello stesso modo l basi di appoggio zapatiste, Abejas, Pueblo Creyente, e perfino i seguaci di altre chiese cristiane. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n2pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 24 agosto 2013

La violenza religiosa obbliga 12 famiglie di Chenalhó ad abbandonare le proprie case

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 agosto. Questo pomeriggio 12 famiglie (70 persone, alcune malate) sono sfollate dalla colonia Puebla, a Chenalhó, a cusa alla violenza contro i cattolici da parte di gruppi presbiteriani ed evangelici guidati dalle autorità ejidali. Alla stessa ora, il segretario di Governo dello stato, Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, in un ristorante a ponente di questa città, condceva un tavolo di dialogo tra le parti per evitare lo sgombero e le ostilità.

Poco prima, il Frayba aveva informato che il parroco Manuel Pérez Gómez, sequestrato mercoledì a Puebla, “dopo cinque ore di degradanti maltrattamenti, è stato obbligato a firmare che ‘non avrebbe informato i media delle aggressioni’ e ‘non avrebbe sporto denuncia’.”

Il sacerdote, “alla presenza del commissario ejidale Agustín Cruz Gómez e dell’agente rurale municipale Lorenzo Gutiérrez Gómez, per cinque lunghi minuti è stato colpito selvaggiamente su schiena, viso e gambe da circa dieci persone, accompagnate da altre cento o forse più, e rinchiuso in piedi in una latrina, senza acqua né cibo. Cinque ore dopo l’hanno portato nella piazzuola della scuola, circondato da un migliaio di persone che gli gridavano: ‘Tu sei qui come rappresentante di Gesù Cristo ma andrai comunque all’inferno ‘”. Il Frayba affermava: La situazione è fuori controllo per la debolezza e le omissioni del governo, cosa che mette ancor più a rischio le persone che stanno per lasciare le case.

Questo è già accaduto. Gruppi di civili sono srrivati oggi ad accogliere gli sfollati che a piedi hanno abbandonato la comunità. Nell’ejido restano altri 23 cattolici, le famiglie di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, così come famiglie battiste e pentecostali anch’esse minacciate.

L’organizzazione Las Abejas giovedì ha dichiarato ad Acteal: E’ ormai accertata la riattivazione dei paramilitari nell’ejido Puebla e la possibilità di un massacro di famiglie cattoliche. Torna a confermarsi, ha aggiunto, la negligenza e la complicità del governo nel conflitto. Siccome questo è parte della sua guerra di contrainsurgencia, lascia che agiscano i paramilitari.

Il sequestro del parroco è un reato grave. Ragazzi e bambini lo insultavano con odio e scherno; la maggioranza sono figli dei paramilitari che agirono nel 1997. Tra i loro genitori e le autorità che non fanno niente per impedirlo, si sta creando un nido di piccoli paramilitari che minaccia di avvelenare la vita del nostro municipio.

Las Abejas denunciano: Il commissario e l’agente municipale sono responsabili dell’aggressione alla carovana il giorno 20. Il consigliere comunale José Arias Vásquez ed il sindaco potevano fermare l’aggressione. Hanno lasciato che crescesse la tensione ed ora non riescono a risolvere il problema o sono alleati con le autorità dell’ejido, come nel 1997, quando era sindaco Jacinto Arias Cruz. I paramilitari sono stati scarcerati un poco alla volta; l’ultimo gruppo ad aprile di quest’anno; in questo gruppo c’era Arias Cruz, unico paramilitare di Puebla finito in prigione. Dopo pochi giorni sono cominciati i problemi.

Las Abejas denunciano che questo martedì si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, come un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, aggiungono. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono di sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con le bugie e la violenza”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/24/politica/012n1pol

http://www.frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130823_au_04_desplazados_chenalho.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Sequestrato l’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie

da Media Liberi

Venerdì 23 agosto 2013

 Gaudencio

22 agosto 2013.- All’alba di oggi un gruppo di persone armate hanno fatto irruzione nella casa dell’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie nello stato di Jalisco, portandolo via insieme ad altre due persone, che fino ad ora risultano scomparse. Da tempo le società minerarie che saccheggiano la regione organizzano gruppi armati che agiscono contro la popolazione che si oppone al saccheggio. Gaudencio Mancilla era appena tornato dalla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”, che si è svolta il 17 e 18 agosto a San Cristóbal de las Casas, convocata dal Congresso Nazionale Indigeno e dall’EZLN, e solo questo 17 agosto don Gaudencio diceva nel suo intervento alla Cattedra: “per questo chiedo a tutti i fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno di vigilare, Perché vigilare? Perché succederà qualcosa, la comunità oserà fermare i minatori e non sappiamo cosa succederà”.

All’alba a bordo di 5 furgoni, un gruppo di uomini armati che non si sono identificati hanno fatto irruzione nella casa di Gaudencio Mancilla Roblada, nell’ejido di La Guayaba. Gaudencio è il leader del consiglio dei Mayores della comunità Nahua di Ayotitlán, sulla Sierra di Manantlán, nel municipio di Cuautitlán, Jalisco. Portato via con violenza, ora risulta desaparecido insieme a suo fratello Bonifacio Mancilla Roblada, e con Gerónimo Flores Elías, vicino della comunità Tierras Negras. Le sparizioni sono avvenute malgrado don Gaudencio Mancilla godeva di misure cautelari concesse dalla Commissione Statale dei Diritti Umani di Jalisco (CEDHJ).

Solo nell’ottobre del 2012, Celedonio Monroy, un altro membro del consiglio dei Mayores, era stato privato della libertà e fino ad oggi risulta ancora desaparecido. Nel luglio scorso, un commando aveva fatto la stessa irruzione nella sua casa, in quell’occasione Gaudencio riuscì a fuggire verso la montagna, don Gaudencio è uno strenuo oppositore al disboscamento clandestino ed miniere illegali nella sua comunità.

Il Consorzio Minerario Peña Colorada è una delle compagnie che compiono aggressioni contro le comunità indigene nahua e otomí della regione, fomentando un conflitto che abbraccia territori negli stati di Jalisco e Colima. Una proprietà di 810 ettari in concessione a questa impresa, è uno dei centri del conflitto. Lo sfruttamento di questa proprietà ha provocato l’inquinamento e la perdita delle sorgenti della zona, ed il blocco di strade. Diverse comunità nahua ed otomí delle vicinanze della zona sono state colpite: El Mameyito, San Antonio, Changavilán, Las Maderas, Rancho Quemado, Los Potros, Puertecito de las Parotas e La Piedra, le cui popolazioni sono state parzialmente sgomberate negli anni scorsi.

Il compagno nahua Gaudencio Mancilla, aveva partecipato il fine settimana scorso alla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” (convocata dall’EZLN), ed alla riorganizzazione del Congresso Nazionale Indigeno, dove aveva descritto la grave situazione della sua comunità e le persecuzioni che subiscono.

Fonte: http://www.megafono.lunasexta.org/node/2050

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Le escuelitas del basso

Raúl Zibechi 

Ci sarà un prima e un dopo la scuola zapatista. Di quella recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento, diffuso, che si farà sentire in alcuni anni ma che segnerà la vita di quelli in basso per decenni. Quella che abbiamo vissuto è stata un’educazione non istituzionale, dove la comunità è il soggetto che educa. Autoeducazione faccia a faccia, imparando con l’anima e col corpo, come direbbe il poeta.

Si tratta di una non pedagogia ispirata alla cultura contadina: selezionare i semi migliori, spargerli su suoli fertili ed irrigare la terra affinché si produca il miracolo della germinazione, che non è mai sicura né si può pianificare.

La scuola zapatista, per la quale siamo passati in più di mille allievi nelle comunità autonome, è stato un modo differente di apprendistato e di insegnamento, senza aule né lavagne, senza maestri né professori, senza curricula né voti. Il vero insegnamento comincia con la creazione di un clima di fraternità tra una pluralità di individui prima che con la divisione tra l’educatore, tra potere e sapere, ed allievi ignoranti ai quali si devono inculcare conoscenze.

Tra i molti insegnamenti, impossibili da riassumere in poche righe, voglio sottolineare cinque aspetti, forse influenzato dalla congiuntura che stiamo attraversando nel sud del continente.

Il primo è che gli zapatisti hanno sconfitto le politiche sociale contrainsurgentes, che sono il modo usato da quelli in alto per dividere, cooptare e sottomettere i popoli che si ribellano. Vicino ad ogni comunità zapatista, ci sono altre comunità affini al malgoverno con le loro casette di mattoni, che ricevono sussidi e quasi non lavorano la terra. Migliaia di famiglie hanno ceduto, cosa comune da tutte le parti, ed hanno accettato i regali dall’alto. Ma, la cosa notevole, la cosa eccezionale, è che altre migliaia vanno avanti senza accettare niente.

Non conosco un altro processo, in tutta l’America Latina, che sia riuscito a neutralizzare le politiche sociali. Questo è il più grande merito dello zapatismo, ottenuto con fermezza militante, chiarezza politica ed un’inesauribile capacità di sacrificio. Questo è il primo insegnamento: è possibile sconfiggere le politiche sociali.

L’autonomia è il secondo insegnamento. Anni fa si sono sentiti discorsi sull’autonomia dai più diversi movimenti, certamente qualcosa di coraggioso. Nei municipi autonomi e nelle comunità che formano il caracol di Morelia, posso testimoniare che hanno costruito autonomia economica, di salute, di educazione e di potere. Cioè, un’autonomia integrale che abbraccia tutti gli aspetti della vita. Non ho alcun dubbio che ciò avvenga anche negli altri quattro caracol.

Un paio di parole sull’economia, o la vita materiale. Le famiglie delle comunità non toccano l’economia capitalista. Sfiorano appena il mercato. Producono tutti i loro alimenti, inclusa una buona dose di proteine. Comprano quello che non producono (sale, olio, sapone, zucchero) nei negozi zapatisti. Le eccedenze familiari e comunitarie le investono in bestiame, in base alla vendita del caffè. Quando c’è bisogno, per la salute o per la lotta, vendono alcuni capi di bestiame.

L’autonomia nell’educazione e nella salute risiede nel controllo comunitario. La comunità sceglie chi insegnerà ai propri figli e figlie e chi si occuperà della salute. In ogni comunità c’è una scuola, nell’ambulatorio convivono levatrici, hueseras [aggiusta-ossa – n.d.t.] e chi si specializzerà nelle piante medicinali. La comunità li sostiene, come sostiene le proprie autorità.

Il terzo insegnamento si riferisce al lavoro collettivo. Come ha detto un Votán: I lavori collettivi sono il motore del processo. Le comunità hanno terre proprie grazie all’esproprio degli espropriatori, primo ineludibile passo per creare un mondo nuovo. Uomini e donne svolgono rispettivi lavori ed hanno propri spazi collettivi.

I lavori collettivi sono una delle fondamenta dell’autonomia, i cui frutti generalmente si traducono in ospedali, cliniche, educazione primaria e secondaria, nel rafforzare i municipi e le giunte di buon governo. Niente di tutto quello che si è costruito sarebbe stato possibile senza il lavoro collettivo di uomini, donne, bambini, bambine ed anziani.

La quarta questione è la nuova cultura politica che si definisce nelle relazioni familiari e sfuma poi in tutta la società zapatista. Gli uomini collaborano al lavoro domestico che continua a ricadere sulle donne, badano ai figli quando queste escono dalla comunità per svolgere le mansioni di autorità. Il rapporto tra genitori e figli è di affetto e rispetto, in un clima generale di armonia e buonumore. Non ho visto un solo gesto di violenza o aggressività in casa.

L’immensa maggioranza degli zapatisti sono giovani o molto giovani, e ci sono tante donne quante gli uomini. La rivoluzione non la possono fare altri che i giovani, e su questo non si discute. Quelli che comandano, ubbidiscono, e non sono parole. Ci mettono il corpo, un’altra delle chiavi della nuova cultura politica.

Lo specchio è il quinto punto. Le comunità sono un doppio specchio: nel quale possiamo guardarci e dove possiamo vederle. Non uno o l’altro, ma le due cose contemporaneamente. Ci guardiamo guardandole. In questo andare e venire impariamo lavorando insieme, dormendo e mangiando sotto lo stesso tetto, nelle stesse condizioni, usando le stesse latrine, calpestando lo stesso fango e bagnandoci nella stessa pioggia.

È la prima volta che un movimento rivoluzionario realizza un’esperienza di questo tipo. Fino ad ora l’insegnamento tra rivoluzionario riproduceva i modelli intellettuali dell’accademia, con un sopra e un sotto stratificati, e congelati. Questa è un’altra cosa. Impariamo con la pelle e i sensi.

Infine, una questione di metodo o di forma di lavoro. L’EZLN è nato nel campo di concentramento che rappresentavano le relazioni verticali e violente imposte dai latifondisti. Impararono a lavorare famiglia per famiglia ed in gran segreto, innovando il metodo di lavoro dei movimenti antisistema. Quando il mondo somiglia sempre di più ad un campo di concentramento, i loro metodi possono essere molto utili a chi continua ostinatamente a cercare di creare un mondo nuovohttp://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 23 agosto 2013

Liberato il parroco e i funzionari sequestrati e picchiati nell’ejido Puebla. Il sacerdote obbligato a firmare un documento per la cessione di un podere

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 22 agosto. Il parroco di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, sequestrato il pomeriggio di ieri, legato e minacciato di morte nell’ejido Puebla, è stato liberato alle 23:30 di mercoledì, come riferito dagli abitanti della comunità tzotzil.

Fonti governative hanno informato della liberazione anche di Javier García Mendoza, rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religios, del sindaco di Chenalhó, Andrés Gómez Vázquez e del delegato di governo Alonso Jiménez Gómez.

(…) Dall’ejido, per via telefonica hanno raccontato che Pérez Gómez, legato e picchiato, è stato obbligato a firmare un documento per la cessione ai suoi sequestratori presbiteriani ed evangelici della proprietà della cappella cattolica, la cui disputa ha gravemente minato la convivenza nella colonia Puebla.

E’ anomalo per questi tempi che un sacerdote della diocesi di San Cristóbal de las Casas sia aggredito in questo modo, anche se altri in passato hanno corso seri pericoli, a cominciare dallo scomparso vescovo Samuel Ruiz García. La sfida del gruppo paramilitarizzato mette in serio dubbio la capacità del governo chiapaneco di risolvere il conflitto.

Il fatto, insieme all’aggressione contro gli sfollati che cercavano di tornare avvenuta martedì, incrementa la tensione nell’ejido scatenata a partire dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal, e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó, nota come la culla dei paramilitari che nel 1997 perpetrarono decine di crimini ed espulsioni fino a culminare col massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno.

Il sacerdote cattolico questa mattina si è recato in procura per la deposizione. La negoziazione per liberare i sequestrati è avvenuta con l’appoggio di un centinaio di poliziotti statali guidati dal sottosegretario di Governo della regione Altos, l’ex sindaco coleto Mariano Díaz Ochoa. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

L’Ambasciata del Canada complice dell’omicidio dell’attivista chiapaneco

Ciro Pérez

I familiari di Mariano Abarca Robledo, assassinato il 29 novembre 2009 per essersi opposto alla società mineraria canadese Black Fire, a Chicomuselo, Chiapas, hanno denunciato che l’ambasciata del Canada in Messico, lungi dal provvedere che le sue imprese rispettino le normative ambientali messicane, le assistono per uscire impuni da tutte le violazioni e illegalità. 

In una manifestazione di fronte alla sede della rappresentanza canadese in Polanco, organizzazioni civili, guidate da Otros Mundos Chiapas, hanno chiesto nuovamente giustizia per Mariano Abarca Robledo, minacciato dai dirigenti della Black Fire, imprigionato su richiesta di questi, e fatto assassinare.

L’ambasciata del Canada in Messico era a conoscenza del conflitto e delle irregolarità della società mineraria. Mio marito si incontrò su questo stesso marciapiede, sula quale mi trovo ora, con rappresentanti della delegazione canadese per raccontare loro quello che stava succedendo e per denunciare loro che la sua vita era in pericolo. Ma non l’hanno ascoltato, denuncia Mirna Montejo, moglie di Mariano. 

Afferma che per questo motivo l’ambasciata ed i suoi rappresentanti sono complici dell’assassinio del leader sociale. 

Fuori dalla rappresentanza diplomatica è stato eretto un altare in memoria dell’attivista chiapaneco, mentre diversi oratori hanno sollecitato una risposta dai funzionari dell’ambasciata.

I dipendenti di questa rappresentanza diplomatica, fanno gli interessi dei cittadini o quello delle imprese minerarie assassine? E’ stato più volte chiesto, ma la domanda è rimasta senza risposta. 

La presenza di organizzazioni sociali che denunciano le pratiche irregolari delle società minerarie canadesi è una costante nell’ambasciata di questo paese nordamericano. 

Da Morelos, Chiapas ed altri stati sono arrivate proteste e denunce, ma né le autorità messicane né quelle canadesi hanno offerto una soluzione ai problemi sollevati dalle comunità coinvolte. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

Centro Frayba: Gli evangelici sequestrano e minacciano di morte il parroco di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 21 agosto. Questo mercoledì, alle 13:30 circa, nell’ejido Puebla, è stato sequestrato e picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez. 

Il sacerdote è stato fermato da un gruppo di persone della chiesa evangelica e presbiteriana, portato nella scuola dove è stato legato per diverse ore e minacciato di essere bruciato con la benzina. Sono stati sequestrati anche un rappresentante del governo statale ed un altro del governo municipale. 

Pérez Gómez si trovava lì con le autorità del governo del Chiapas per la firma di un documento relativo al processo di distensione con le autorità dell’ejido, riferisce il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), il quale, di fronte alla gravità della situazione ha chiesto la liberazione immediata del parroco. 

Questa notte, fonti governative hanno assicurato che i sequestrati sono stati liberati dall’intervento di funzionari dello stato, ma non ci sono conferme che ciò sia avvenuto. 

Il fatto incrementa la tensione generata dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó (Puebla, Los Chorros, Quextic).

Nell’ejido Puebla la situazione della minoranza cattolica è allarmante, sia quella delle famiglie sfollate un mese fa sia di quelle che rimangono nella comunità che, secondo le ultime informazioni, si trovano a rischio di subire violenza dopo che martedì è stato impedito il ritorno degli sfollati da decine di giovani provocatori ed aggressivi che si erano appostati sul tragitto della carovana. 

Ieri sera il Frayba ha diffuso un’azione urgente rivolta ai governi federale e statale, per chiedere di garantire le condizioni affinché gli sfollati possano tornare e sollecitare un’indagine seria dei fatti e la punizione dei responsabili della violenza.

Situazione grave

Alle 15:00 di ieri la situazione era grave. Le famiglie riunite nella cappella cattolica avevano comunicato telefonicamente che il gruppo di aggressori li aveva circondati minacciandoli di bruciarli con la benzina. Alle 18:45 confermavano l’incendio dell’edificio in cui si trova la cucina comunitaria. Si teme per la sicurezza delle famiglie, sottolinea il Frayba, e chiede alle autorità i provvedimenti adeguati per salvaguardare la vita e l’integrità della comunità cattolica e di impedire lo sgombero forzato di altri 70 indigeni.

Funzionari e poliziotti statali testimoni ieri dell’aggressione contro gli sfollati e la carovana civile che li accompagnava, non hanno impedito la violenza. Secondo le testimonianze della carovana, erano presenti il sottosegretario per gli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, ed una pattuglia della Polizia Statale Preventiva; vicino all’ejido, la pattuglia era andata in avanscoperta ed era tornata dicendo che tutto era tranquillo. Proprio allora sono comparsi circa 100 ragazzi con fare aggressivo ed armati di pietre, che hanno bloccato il passaggio e chiedevano che fossero loro consegnati Macario Arias Gómez e Francisco López Sántiz, due degli sfollati. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

In Chiapas, nessuna risposta

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis., 21 agosto. Nessun progresso né alcuna risposta hanno incontrato oggi i circa 300 indigeni degli Altos che sono andati nella capitale chiapaneca a chiedere la liberazione di Alberto Patishtán Gómez, ed hanno manifestato davanti alla sede del palazzo di giustizia federale. 

I rappresentanti dei manifestanti sono stati ricevuti dal tribunale incaricato del’istanza di riconoscimento di innocenza numero 4/2012, presentata dalla difesa del professore tzotzil in prigione da 13 anni per scontare una condanna a 60 anni, accusato di reati che è stato ormai dimostrato non aver mai commesso. 

Nonostante il tempo trascorso, è stato comunicato agli attivisti che non è ancora stato designato il magistrato che presenterà il caso ai giudici dell’istanza. Per questo ci vorranno almeno 10 giorni, o più, come sta succedendo da mesi, da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione non ha accolto l’istanza trasferendola a questo tribunale. 

In un documento indirizzato al governatore Manuel Velasco Coello, l’organizzazione Pueblo Creyente chiede che dall’alto della sua carica parli col ministro Juan Silva Meza, presidente del Consiglio della Magistratura Federale, affinché, insieme ai magistrati del primo tribunale, si comportino, come si crede lo faranno, con la dovuta imparzialità, obiettività, professionalità, trasparenza, umanità e impegno sociale. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 agosto 2013

Impedito ai profughi di tornare nella propia comunità 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Yaxjemel, Chis., 20 agosto. Il ritorno degli sfollati cattolici della colonia Puebla (municipio di Chenalhó) è stato impedito da decine di giovani, alcuni di loro quasi bambini, ad alcuni chilometri da questa comunità. 

Si è poi saputo che all’interno della colonia c’erano altri ragazzi tenuti sotto minaccia che aspettavano la carovana che accompagnava il fallito ritorno di cinque famiglie tzotzil che da un mese vivono fuori dalle proprie case. A nulla è servita la presenza da una pattuglia della Polizia Statale Preventiva che non si è neppure avvicinata al luogo in cui si è svolto il fatto, e di una pattuglia della polizia municipale che, di fronte all’atteggiamento aggressivo dei ragazzi (che hanno anche lanciato pietre e inseguito i veicoli della carovana), ha prontamente abbandonato il posto.

Non è servita nemmeno la presenza dall’assessore del sottosegretariato degli Affari Religiosi della Segreteria di Governo, Javier García Méndez, che ha rilevato come la situazione sia stata predisposta dai leader presbiteriani ed evangelici, che a loro volta sono autorità comunitarie. 

Almeno sei individui con taglio di capelli militare aizzavano i ragazzi per aggredire i profughi ed i componenti della carovana. Colpivano le parole di odio pronunciate da bambini di non più di 12 anni, apparentemente preparati alla violenza. 

La carovana degli indigeni del municipio ed alcuni osservatori civili che accompagnava gli esiliati di Puebla, prima di ritirarsi hanno recitato alcune preghiere. Gli aggressori stavano su un pendio sopra al luogo in cui si pregava, mostrando atteggiamenti sempre più aggressivi ed insultando le donne. 

Tutto questo nonostante l’accordo firmato l’8 agosto scorso tra i cattolici, le riluttanti autorità della comunità ed il governo statale. Come si ricorderà, il conflitto nella colonia Puebla è sorto per la presunta disputa sulla cappella cattolica. A Luglio furono catturati con violenza tre indigeni, due di loro basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Brutalmente picchiati e minacciati di essere cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Erano stati falsamente accusati di avvelenare l’acqua; furono portati dal Pubblico Ministero Pubblico a San Cristóbal de Las Casas e rimasero in prigione per due giorni. 

Di fronte all’inefficienza del governo, c’è molta paura per l’integrità delle famiglie cattoliche che rimangono nell’ejido completamente indifese. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/21/politica/013n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
20 agosto 2013
 
AU No. 03
 
Azione Urgente
 
Impedito il ritorno degli sfollati dell’ejido Puebla ed aggredita la carovana civile
Agenti del governo del Chiapas e polizia statale assistono all’aggressione senza impedire la violenza
 
Oggi alle ore 11:00 un gruppo di persone appartenenti ad organizzazioni della società civile e mezzi di comunicazione, erano partiti da San Cristóbal de Las Casas per l’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, per accompagnare il ritorno delle persone che, più di un mese fa, erano state costrette a fuggire per le minacce di morte da parte delle autorità comunitarie. Giunti all’ingresso della comunità, a dieci minuti dalle prime case, la carovana è stata aggredita. E’ durato 30 minuti il tentativo di entrare per ricongiungersi con le famiglie cattoliche che aspettavano nella chiesa comunitaria.

_______________________________________________
Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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Indios contro mostri

Hermann Bellinghausen

Sarà che ormai è già troppo tardi, perfino per i segnali di allarme? Che il disastro nazionale si è già verificato mentre si annunciava? La gente che governa il Messico, quella che si arricchisce esponenzialmente sulle sue spalle, quella che lo domina con la forza e la miseria, quella che assalta le nostre leggi da tutte le parti, incominciando dal Congresso dell’Unione, quella gente non ci dà tregua. E’ così convinta, decisa, ostinata, soddisfatta di amministrare la decomposizione sociale. La disintegrazione del territorio. Il deterioramento dell’educazione. La prostituzione della giustizia. E ci ha dichiarato una guerra feroce. Ci attaccano in basso. E sopra, e ai lati. La riunione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) a San Cristóbal de las Casas questo fine settimana, è uno specchio, di più, una testimonianza assordante da più di cento fronti di resistenza negli stati del Messico e Michoacán. Oaxaca, Guerrero, Chiapas, Sonora, Jalisco, San Luis Potosí, Chihuahua, Puebla, Morelos, Distrito Federal, Yucatán e altri. Non sono nemmeno più denunce, benché alcune siano state pronunciate con un inoccultabile grido di aiuto da mazahuas, nahuas, mixtecos. Parti di guerra nei luoghi dove il combattimento è più cruento, impari e definitivo, ma anche dove l’avidità degli aggressori incontra la maggiore resistenza contro i suoi propositi che, se uno li considera razionalmente non può non trovarli irrazionali, suicidi, stupidi.

Una dopo l’altra, decine di testimonianze, dichiarazioni, pronunciamenti, comunicati, proclami, richieste dei popoli indigeni messicani qui rappresentati documentano invasioni, espulsioni, estorsioni, saccheggi, attacchi, assassini, persecuzioni in nome della legalità, o per cortesia del crimine organizzato. Questo succede di solito sul terreno melmoso (direbbe Raúl Zibechi) dove Stato e criminali si confondono. E sembra che pensino seriamente di consultare gli interessati.

È così doloroso quello che si sente. Un glossario eloquente delle esperienze di quelli in basso (gli ultimi, i più piccoli e dimenticati) dentro il disastro in cui quelli di sopra hanno imbarcato il Messico; che hanno fatto della Nazione moneta di scambio e la giocano irresponsabilmente e goffamente nel casinò dei più grandi squali del pianeta in  liquidazione (il pianeta). Fate le vostre scommesse. Si sono scatenate bande di ladri di bestiame dal collo bianco e mani insanguinate. Bande di banchieri, magnati mediatici, investitori, partiti politici. Fanno lo stesso i formali malviventi, i cattivi. I loro discorsi su sviluppo, creazione di posti di lavoro, incorporazione al dio Mercato, occultano il vero disastro (perdita di identità personale e collettiva, territorialità, spiritualità, memoria, solidarietà), dal quale questi popoli indigeni sono riusciti a salvarsi, o no, ma non si sono arresi.

La sola reiterata enumerazione annoierebbe se non implicasse un’immensa devastazione nella quale l’ultima cosa è il benessere e la libertà dei popoli messicani. Miniere (migliaia di concessioni paramilitarizzate), industrie petrolifere, eoliche, industrie agro-alimentari, costruttrici, catene commerciali, industrie alimentari, trafficanti professionisti dell’acqua e dell’energia elettrica. Chi se ne rende conto? Coloro che la subiscono. Non la popolazione che crede alla stampa ubbidiente e alla televisione. Lo sconvolgimento lottizza, crea scontro, annulla. Se si perde la lotta nell’Ajusco si perde tutto, può dire un comunero di, sì, del Distrito Federal, la bella città dove i capi delle delegazioni di sinistra sono allegramente prevaricatori quanto i governatori di dovunque si voglia, o gli innumerevoli presidenti municipali. Anche il sud capitolino è terreno di lotta, come i suoi immediati vicini Morelos e México. E il resto. La strada. La centrale idroelettrica. Lo sviluppo immobiliare. Il megaprogetto turistico. Il supermercato. La città rurale. Il parco eolico. La raffineria. La miniera. I pozzi. Gli acquedotti (Independencia uno: non risparmiano nemmeno lo humor).

I mezzi di comunicazione di massa non riferiscono di questa umanità, come fosse carne morta o terminale. O di minacciosi gruppi armati che applicano la loro legge (realmente) per indotto timore delle belle coscienze ostaggio delle bugie mediatiche. Nemmeno lo sanno. Questi popoli sono invisibili. Taciuti. Si sterminano sotto la linea del radar.

Ancora una volta l’effetto rivelatore dello zapatismo è servito a dar voce a tutto questo nella Cátedra Tata Juan Chávez Alonso, corroborata dall’esperienza propria di resistenza affermata e liberatrice nelle comunità dell’EZLN. Migrazione, sgomberi, fame, timore-e-paura, inquinamento, saccheggio, diseducazione, corruzione, divisione comunitaria, progetti di morte. Che cosa fare contro i mostri? Resistere e non tacere, costruire, riunirsi. Questo hanno raggiunto la Escuelita e il CNI, che da tempo non si riuniva per i pericoli nel paese. I popoli hanno rotto il cerchio e sono venuti a pronunciarsi. E Poi? http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/a12a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Pronunciamento della Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”

Ai popoli e governi del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Alle allieve e allievi della Escuelita Zapatista.

Come è nel tempo e nella nostra storia della madre terra; i popoli, nazioni e tribù indigene Yaqui, Mayo, Náyeri, Wixárika, Rarámuri, Odam, Nahua, Purépecha, Nañu o Ñuhu, Mazahua, Popoluca, Tzotzil, Chol, Tzeltal, Tojolabal, Zoque, Totonaco, Coca, Mame, Binnizá, Chinanteco, Ikoot, Mazateco, Chontal, Ñu Saavi, Chatino, Triqui, Afromestizo, Mehpa, Nancue Ñomndaa, Ñhato e Maya Peninsular degli stati di Sonora, Chihuahua, Veracruz, Durango, Nayarit, Jalisco, Michoacán, Querétaro, San Luis Potosí, Morelos, Estado de México, Guerrero, Distrito Federal, Puebla, Tlaxcala, Oaxaca, Tabasco, Yucatán e Campeche; insieme ai popoli Ixil, Quiche, Quechua e Nasa di Guatemala, Perù e Colombia con i quali abbiamo camminato vicini e rispettosi, come figli e figlie della madre terra, ci siamo incontrati i giorni 17 e 18 agosto 2013 a San Cristobal de las Casas, Chiapas, nella sede del CIDECI- Unitierra, per ricordare ed agire conseguentemente con la parola viva del nostro fratello Tata Juan Chávez Alonso che ci insegna, ci guida e la cui memoria ad un anno dalla sua assenza si trasforma in speranza e forza per i popoli che abbiamo rifondato e ricostituito perché abbiamo deciso di continuare ad essere gli indios che siamo, continuare a parlare la lingua che parliamo, continuare a difendere il territorio in cui viviamo.

Ci riconosciamo nella lotta per il rispetto del nostro modo di vita ancestrale, lotta che abbiamo intrapreso insieme e durante la quale abbiamo parlato, abbiamo chiesto e siamo stati ripetutamente traditi dai malgoverni.

In questo percorso di lotta abbiamo imparato che i potenti non hanno alcun rispetto per la parola, la tradiscono e la violentano in lungo e in largo di questo paese che si chiama Messico, dal non riconoscimento degli Accordi di San Andrés Sakamchén de Los Pobres, la controriforma indigena del 2001 e gli innumerevoli tradimenti dei nostri popoli delle diverse regioni e lotte in un Messico indio che è vivo, fiero e con un solo cuore che si fa grande, tanto grande quanto il nostro dolore e la speranza per la quale lottiamo, nonostante la guerra di sterminio diventata più violenta che mai.

Ci riconosciamo nel percorso della nostra storia e dei nostri antenati che sono presente, futuro e specchio dell’autonomia esercitata nei fatti, come unica via per il futuro della nostra esistenza e che diventa la nostra vita comunitaria, assemblee, pratiche spirituali, culturali, autodifesa e sicurezza, progetti educativi e di comunicazione propri, rivendicazioni culturali e territoriali nelle città dei popoli sfollati o invasi con una memoria storica viva.

Siamo indios, decisi a ricostituirci in un altro mondo possibile.

Quello specchio profondo, antico e nuovo sono le nostre lotte per le quali ci pronunciamo con un solo cuore ed una sola parola.

1. Chiediamo l’immediata liberazione dei prigionieri politici del nostro paese, in particolare  del nostro compagno indigeno Totzil Alberto Patishtán da 13 anni ingiustamente carcerato a scontare una condanna a 60 anni. Chiediamo inoltre la liberazione di sei nostri fratelli Nahua della comunità di San Pedro Tlanixco, ingiustamente detenuti da 10 anni nella prigione di Almoloya per aver difeso l’acqua della propria comunità. Si tratta dei nostri fratelli Pedro Sánchez, condannato a 52 anni, Teófilo Pérez, condannato a 50 anni, Rómulo Arias, condannato a 54 anni e dei compagni Marco Antonio Pérez, Lorenzo  Sánchez e Dominga González attualmente sotto processo; chiediamo altresì la cancellazione dei mandati di cattura contro Rey Perez Martinez e Santos Alejandro Álvarez, di Tlanixco; la liberazione dei compagni detenuti della comunità tzeltal di Bachajón, Chiapas, Miguel de Meza Jiménez e Antonio Estrada Estrada; dei compagni Loxicha Eleuterio Hernández García, Justino Hernández José, Zacarías Pascual García López, Abraham García Ramírez, Fortino Enríquez Hernández, Agustín Luna Valencia ed Alvaro Sebastián Ramírez, detenuti nel CEFERESO numero sei di Huimanguillo, Tabasco; così come di de Pablo López Álvarez di San Isidro Aloapan, Oaxaca, rinchiuso nel carcere di Villa de Etla.

2. Denunciamo che i malgoverni e le multinazionali si sono avvalse di gruppi paramilitari per imporre megaprogetti estrattivi mediante lo sfruttamento illegale di minerali e legni preziosi, in particolare sulla costa Nahua e sulla meseta purépecha di Michoacán e nella comunità nahua di Ayotitlán, sulla sierra di Manantlán, Jalisco.

3. Chiediamo giustizia per la comunità nahua di Santa María Ostula, sulla Costa di Michoacán, dove i malgoverni, collusi coi cartelli del narcotraffico, hanno favorito il furto delle terre ancestrali della comunità ed il saccheggio delle risorse naturali da parte di gruppi della criminalità organizzata, e la sanguinosa repressione dell’organizzazione comunale che ha provocato uccisioni e sparizioni.

4. Salutiamo la lotta storica della comunità di Cherán, Michoacán ed il degno esercizio del diritto all’autodifesa che è sorto tra il popolo Purépecha in difesa della propria vita, le proprie famiglie, la propria cultura e territorio minacciato dalla complicità dei malgoverni con gruppi paramilitari e narco-paramilitari, i cui bisogni sono la sicurezza, la giustizia e la ricostituzione del territorio.

5. Così pure salutiamo la difesa dei saperi tradizionali e della coltivazione del mais nativo da parte delle comunità e dei quartieri indigeni.

6. Ripudiamo la repressione del popolo Ikoot di San Mateo del Mar e San Dionisio de Mar, così come del popolo binniza di Juchitán e della colonia Álvaro Obregón; chiediamo la liberazione immediata di Alejandro Regalado Jiménez ed Arquímedes Jiménez Luis, e l’immediata cancellazione dei corridoi eolici delle imprese spagnole Endesa, Iberdrola, Gamesa ed Unión Fenosa che nella regione dell’Istmo invadono e distruggono le terre comunali ed i siti sacri dei popoli sopracitati.

7. Chiediamo che si fermi la repressione contro la comunità di San Francisco Xochicuautla dello Stato di México, e la cancellazione definitiva del progetto denominato autostrada privata Toluca-Naucalpan, nello stesso tempo appoggiamo la richiesta al Sistema Interamericano dei Diritti Umani di misure cautelari per gli abitanti di detta comunità.

8. Chiediamo al malgoverno federale la cancellazione della costruzione dell’Acquedotto Independencia che sottrae alla Tribù Yaqui l’acqua del fiume Yaqui che storicamente difende da sempre, e ribadiamo la nostra parola che agiremo di conseguenza di fronte a qualunque tentativo di repressione dell’accampamento di protesta installato sulla strada internazionale all’altezza di Vícam, prima capitale della Tribù Yaqui.

9. Chiediamo che cessi la repressione ed il ritiro della forza pubblica dalla comunità di Huexca, Morelos, per la costruzione di una centrale termoelettrica; la cancellazione dell’acquedotto e l’estrazione dell’acqua dal fiume Cuautla che colpirà 22 ejidos del municipio di Ayala, egualmente la sospensione della persecuzione contro 60 comunità di Morelos, Puebla e Tlaxcala minacciate di saccheggio ed esproprio dall’installazione di un gasdotto, tutto questo come parte del Proyecto Integral Morelos, con il quale si vuole distruggere la vita contadina di questi territori per trasformarli in zone industriali ed autostrade e chiediamo il rispetto del sacro guardiano: il vulcano Popocatépetl, altrettanto depredato dallo smodato disboscamento clandestino dei suoi boschi.

10. Siamo solidali con la lotta della comunità Coca di Mezcala, in Jalisco, per il recupero del proprio territorio e chiediamo la cancellazione dei mandati di cattura contro i comuneros il cui delitto è difendere la propria terra.

11. Chiediamo il rispetto del territorio comunale e dell’assemblea generale dei comuneros di Tepoztlán, e ci uniamo alla richiesta della cancellazione dell’autostrada La Pera-Cuautla, e respingiamo la campagna di menzogne e inganni verso l’opinione pubblica da parte del governo di Morelos per giustificare il saccheggio.

12. Denunciamo l’attacco senza precedenti ai pilastri sacri del mondo, riconosciuti e sostenuti dai popoli originari, che con fierezza difendono in nome della vita dell’Universo, come i territori sacri di Wirikuta e Hara Mara negli stati di San Luis Potosí e Nayarit, minacciati da progetti capitalisti minerari e turistici con la complicità dei malgoverni nazionali e statali, e facciamo nostra la richiesta di cancellazione totale delle concessioni minerarie e turistiche in detti territori e nella totalità dei territori indigeni. Ripudiamo la campagna di scontro portata avanti dalla società mineraria First Majestic Silver e dal malgoverno municipale di Catorce, San Luis Potosí. Salutiamo il degno popolo contadino di Wirikuta che ha deciso di far sentire la propria voce in difesa dalla propria terra, acqua, salute ed ambiente e la fratellanza col popolo Wixárika.

13. Nello stesso senso avvertiamo che non ci terremo al margine del tentativo di distruzione del luogo sacro di Muxatena e di altri 14 luoghi sacri del popolo Náyeri, attraverso il progetto di costruzione della Diga di Las Cruces sul fiume San Pedro Mezquital, nello stato di Nayarit.

14. Denunciamo le invasioni delle imprese agroindustriali nei territori indigeni e contadini che deliberatamente alterano le piogge a proprio beneficio e distruggendo la vita contadina, come nel caso della comunità nahua di Tuxpan, Jalisco e dell’Altopiano Potosino nel territorio sacro di Wirikuta.

15. Chiediamo la cancellazione delle concessioni minerarie nel cuore della sierra di Santa Marta, in territorio Popoluca e denunciamo il tentativo di invasione delle terre comunali di San Juan Volador nel municipio di Pajapan, dell’impresa eolica Dragón, nel sud di Veracruz.

16. Chiediamo la cancellazione del progetto stradale Tuxtepec-Huatulco, il cosiddetto corridoio turistico Chinanteco nel territorio Chinanteco, così come la cancellazione delle riserve ecologiche nella regione nord di Oaxaca.

17. Chiediamo la cancellazione dell’acquedotto promosso dal malgoverno di Guerrero che vuole sottrarre l’acqua del fiume San Pedro, sulla costa Chica di Guerrero, ai popoli Na savi, Nancue Ñomndaa ed Afromestizo.

18. Ripudiamo il tentativo di inondazione dei luoghi sacri del popolo Guarijio di Alamo; Sonora, attraverso la costruzione della diga Pilares, così come la deviazione del fiume Sonora a danno della nazione Komkaak, da 4 mesi privata dell’acqua per favorire i grandi proprietari terrieri agricoli della costa di Sonora.

19. Denunciamo la politica di sterminio da parte del governo del Distrito Federal nei confronti delle comunità e popoli della sierra dell’Ajusco, attraverso l’esproprio e la devastazione dei territori ejidali e comunali di San Miguel Xicalco e San Nicolás Totolapan, appoggiamo e riconosciamo i delegati comunitari in resistenza di San Miguel e Santo Tomas Ajusco.

20. Salutiamo la lotta della Comunità Autonoma di San Lorenzo Azqueltán, nello stato di Jalisco e riconosciamo le sue autorità autonome, e siamo vigili e solidali con la loro lotta per il riconoscimento del loro territorio ancestrale.

21. Salutiamo e riconosciamo il rinnovo delle autorità della comunità autonoma Wixárika di Bancos de San Hipólito, Durango, ugualmente appoggiamo la sua lotta per il riconoscimento territoriale ancestrale che rivendicano da oltre 45 anni.

22. Riteniamo responsabili i funzionari pubblici della delegazione politica di Xochimilco delle minacce al compagno Carlos Martínez Romero del villaggio di Santa Cruz Acalpixca, per aver difeso l’acqua ed il territorio.

23. Ci uniamo agli appelli delle decine di comunità nahua e totonaca della Sierra Norte di Puebla per chiedere la cancellazione delle concessioni alle imprese minerarie e dell’implementazione di progetti idroelettrici, così come la cancellazione delle concessioni minerarie sulla Sierra Sur e Costa di Oaxaca della società Altos Hornos di México.

24. Appoggiamo la lotta della comunità di Conhuas en Calakmul, Campeche, in difesa del territorio e del proprio degno lavoro, contemporaneamente chiediamo la cessazione delle aggressioni contro la comunità da parte del governo di questo Stato.

25. Chiediamo il riconoscimento delle terre comunali di San Pedro Tlaltizapán sulle rive del Chignahuapan, Stato di México, e la sospensione dei progetti immobiliari sui terreni comunali.

26. Chiediamo il rispetto delle terre recuperate dalla Unión Campesina Indígena Autónoma di Río Grande, Oaxaca, e salutiamo il suo accampamento in resistenza.

27. Chiediamo altresì il rispetto del funzionamento della Radio comunitario Ñomndaa, voce del popolo amuzgo di Xochistlahuaca, Gueriero, ed il rispetto di tutte le radio comunitarie nei diversi territori indigeni del paese.

28. Ribadiamo la richiesta allo Stato messicano di garantire le condizioni di sicurezza a Raúl Gatica del Consiglio Indigeno e Popolare di Oaxaca-Ricardo Flores Magón.

29. Chiediamo il rispetto delle economie comunitarie che funzionano in maniera autonoma ed a margine del mercato libero che impone il capitalismo, com’è il caso dell’uso del tumin [valuta basata sul principio del baratto – n.d.t.] nel territorio indio totonaco di Papantla, Veracruz, e del Consiglio del Baratto nelle comunità del municipio di Tianguistenco, nello Stato di México.

Riconosciamo, appoggiamo ed incoraggiamo le lotte per l’autonomia e la libera determinazione di tutti i popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno, dalla Penisola dello Yucatan fino alla Penisola della Bassa California.

Questo siamo, la nostra parola e la nostra lotta irrinunciabile, siamo il Congresso Nazionale Indigeno e nostro è il futuro dei nostri popoli. 

18 agosto 2013

Dal CIDECI- UNITIERRA, San Cristobal de las Casas, Chiapas.

Per la ricostituzione integrale dei nostri popolis

Mai Più Un Messico Senza Di Noi 

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO 

Pronunciamento originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 agosto 2013

Las Abejas denunciano la riattivazione dei paramilitari a Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 agosto. Las Abejas, portando le croci dei loro morti, hanno denunciato la riattivazione dei gruppi paramilitari nelle comunità di Chenalhó. AA quattro anni da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) ha inizato a rilasciare i paramilitari che perpetrarono il massacro di Acteal, l’organizzazione della società civile dichiara: “Per noi è la ‘Suprema Corte dei ricchi e criminali’ che ha scarcerato dal 12 agosto 2009 fino a questo anno, 69 paramilitari (tra di loro molti rei confessi), e in prigione ne restano solo sei”. I paramilitari, puntualizza la direzione di Las Abejas, si sono già riattivati sparando le loro armi e causando sfollamenti come nel 1997.

I tzotzil riferiscono che quando avevano saputo che la SCJN avrebbe rilasciato gli assassini, avevano cercato di parlare con i giudici; tuttavia, non hanno voluto ascoltarli perché la scarcerazione dei paramilitari era progettata dalla presidenza della Repubblica ed Acteal è un crimine di Stato.

Menzionano come una delle attività recenti della loro violenza, quanto accaduto nella colonia Puebla (insieme a Los Chorros è una delle principali culle dei paramilitari), col pretesto di una proprietà della Chiesa cattolica. Quanto accaduto ha le stesse caratteristiche e tattiche della guerra di contrainsurgencia del Plan Chiapas 94, diretto dall’allora presidente Ernesto Zedillo. Grazie alla mancanza di giustizia i paramilitari scarcerati e soprattutto quelli che non sono mai andati in prigione, oggi aggrediscono e vessano impunemente, perché è stato dimostrato loro che per massacrare donne, uomini e bambini, invece di punizioni si ricevono premi.

Un’altra prova del ritorno dei paramilitari è che alla fine di luglio un gruppo guidato da Agustín Cruz Gómez, commissario e pastore presbiteriano a Puebla, ha realizzato un presidio nello Zócalo di Città del Messico. In un comunicato stampa chiedevano l’intervento della Federazione, dell’Esecutivo, dei poteri Legislativo e Giudiziario, per risolvere la terribile situazione dal 1997.

Questo gruppo, dicono Las Abejas, si prende gioco della verità. Si presentano come vittime e ci accusano di essere provocatori ed assassini. Al presidio di Città del Messico erano presenti il paramilitare scarcerato “Roberto Méndez Gutiérrez, comandante paramilitare, assassino reo confesso per il massacro, ed abitant di Los Chorros, e Jiacinto Arias Cruz (di Puebla)”, che come sindaco di Chenalhó, nel 1997 forniva armi alle comunità paramilitari.

Méndez Gutiérrez è stato liberato in gran segreto, non è mai stato reso si pubblico, ed ora “è alleato del gruppo di Agustín Cruz, e si firma nel comunicato di Città del Messico come ‘liberato e reo confesso'”. Da parte sua, Arias Cruz nega di essere coinvolto nel conflitto di Puebla, ma siè smascherato da solo perché ha firmato il citato comunicato stampa, dove si lanciano anche accuse contro il Frayba e La Jornada.

Un altro elemento della ripresa paramilitare a Chenalhó, è stata la presenza al presidio di Manuel Anzaldo Meneses, coordinatore della Sociedad de Trabajadores Agrícolas de los Altos de Chiapas, conosciuto molto bene nel 1997 come leader del Partito Cardenista i cui militanti, insieme ai priisti, perpetrarono il massacro di Acteal. Las Abejas sostengono che “dietro il’attuale conflitto di Puebla ci sono quelli che nel 2007 hanno organizzato la campagna di liberazione dei paramilitare – il Centro de Investigaciones y Docencias Económicas, Héctor Aguilar Camín, un gruppo di pastori evangelici e Manuel Anzaldo Meneses, tra gi altri – “.

Las Abejas dicono agli autori intellettuali del massacro e di altri crimini: Anche se protetti dalla giustizia e crediate di non poter essere giudicati, non siete liberi. La nostra memoria e quella del popolo del Messico e del mondo vi giudicherà. Avrete sempre sulla coscienza il sangue di Acteal. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/13/politica/016n1pol

Comunicato di Las Abejas

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La Jornada – Lunedì 12 agosto 2013

Partiti per i caracol i 1.700 alunni della Escuelita zapatista

Moises

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 11 de agosto. I quasi 1.700 alunni che frequenteranno la Escuelita zapatista a partir e da questo lunedì, coordinati dalla Comandancia General dell’Esercito Zapatista di LiberazioneNazionale (EZLN), sono partiti per i cinque caracol nel pomeriggio di domenica.

La partenza dal Centro Indígena de Capacitación (Cideci) Las Casas è stata coordinata da una decina di comandanti, tra i quali, David, Tacho, Zebedeo, Felipe, Ismael, Bulmaro, Miriam, Susana, Hortencia e Yolanda, ma nessuno ha rilasciato dichiarazioni.

Gli alunni, provenienti di diversi stati del Messico e da altre nazioni, hanno cominciato a partire in carovana dalle ore 15 di domenica su auto, furgoni e camion verso i caracol di La Realidad, municipio di Las Margaritas; La Garrucha, Ocosingo; Roberto Barrios, Palenque; Morelia, Altamirano e Oventic, di San Andrés.

Tra gli invitati speciali che saranno esonerati dalla frequenza, oggi sono arrivati al Cideci l’ex rettore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), Pablo González Casanova; l’attrice Julieta Gurrola; gli intellettuali ed accademici Gustavo Esteva, Sylvia Marcos e Paulina Fernández, così come i rockers Mastuerzo e Rocko, tra altri. (…)

La presenza festosa dei circa 1.700 alunni di diversi paesi ha riportato alla mente molti altri incontri, tra i quali, gli incontri contro il neoliberismo realizzato dall’EZLN negli anni ’90 negli aguascalientes, ora diventati caracol.

Fin dall’alba centinaia di persone di collettivi, organizzazioni ed in forma individuale hanno raggiunto la sede del Cicedi ed al pomeriggio c’erano circa duemila persone tra invitati e basi di appoggio zapatiste che li avrebbero portati nei caracol.

Con il volto coperto dai passamontagna, muniti di radio e telefoni cellulari, i comandanti –Tacho e David, principalmente– hanno iniziato la supervisione e l’organizzazione della partenza dei veicoli a partire dalle ore14:00. Si sono formate lunghe file di alunni in attesa di salire sui veicoli.

Alle ore 20:00 tutti i grupi diretti nei cinque caracol erano partiti, ad eccezione di circa 300 persone in arrivo dall’aeroporto vicino di Tuxtla Gutiérrez, il loro arrivo era previsto per la notte o l’alba di lunedì. Nel pomeriggio e la sera si sono svolti concerti nell’auditorium del Cideci.

Prima di partire, nel Cideci, sede anche dell’Università della Terra Chiapas, a tutti gli alunni che frequenteranno le lezioni di libertà e autonomia nelle comunità indigene zapatiste dal 12 al 17 di questo mese, sono stati consegnati i libri ed l materiale scolastico. Il materiale didattico è composto da due dischetti, quattro libri illustrati con immagini a colori delle basi di appoggio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/12/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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APPRENDERE AD APPRENDERE

Gustavo Esteva

E’ arrivato il momento di apprendere. Questa settimana nei caracoles si effettuerà l’inaugurazione e nella prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. Giungeranno, da molte parti del Messico e del mondo, quanti sono stati espressamente invitati al soggiorno di apprendimento nelle comunità zapatiste. Le feste nei caracoles, dall’8 al 10 di agosto, e gli atti della cattedra Tata Juan Chavez1, il 17 e il 18, saranno aperti a quanti desiderino avvicinarsi a noi.

I lettori de La Jornada hanno potuto seguire, a partire dal 21 dicembre scorso, la serie di comunicati che hanno portato a questi eventi2. E’ anche possibili assistervi in collegamento diretto.

Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere.

Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.

Questa parola origina un riferimento immediato a coloro che la hanno persa e genera solidarietà con quanti sono incarcerati. Non vi è dubbio che ci si debba occupare e preoccupare di costoro: una loro parte consistente è innocente. Si deve lottare per loro e rendere palese la profonda ingiustizia del fatto che li si incarcerino mentre i veri colpevoli dell’orrore che ci circonda passeggiano impunemente nelle strade.

Inviterò ancora una volta all’incontro il poeta John Berger. Un tempo ci disse: se mi vedessi costretto ad impiegare una parola per esprimere ciò che accade nel mondo, penserei alla prigione. In essa stiamo, incluso noi tutti che affermiamo di essere liberi. Si tratta di apprendere cosa è la libertà per gli zapatisti e forse, con questo apprendimento, imparare a vedere le nostre sbarre.

Sempre di libertà parla , inevitabilmente, un comunicato opportuno e necessario che annuncia per il 19 di giugno l’apertura de ‘La casa di tutte e di tutti’ a Monterrey. Si tratta della volontà di essere liberi e dei principi e della morale come fondamenti di un atteggiamento rivoluzionario.

Non può dirsi che sia la famosa casa del dottor Margil, quella che più di 4 decadi or sono vide nascere le Forze di Liberazione Nazionale. Distrutta da vandali alcuni mesi or sono, è ora sotto restauro. Annuncia una pagina, www.casadetodasytodos.org, nella quale verranno via via pubblicati comunicati e materiali di questa organizzazione.

Sappiamo assai poco di questa organizzazione. Il nome è circolato come primogenitura dell’EZLN, però poco ci ha detto della propria storia, della sua gestazione, della sua finalità. Il n. 20 di Contrahistorias, ora in circolazione, pubblica una serie di interviste di quadri dell’EZLN nelle quali si fa riferimenti alle Forze di Liberazione Nazionale. Ma sono solo appunti frammentari dell’organizzazione.

Lo splendido documentario di Luisa Riley, Flor en Otomí, che è stato presentato a Città del Messico il 19 aprile 2012 e da allora circola nei circuiti alternativi, ci ha consentito di spiare la vita di Dení Prieto e l’orrore della casa di Nepantla ma ha accresciuto il desiderio di saperne di più e non di placarlo. E’ bello sapere che ora avremo, dalla fonte originaria, il materiale che consentirà di vincere questa battaglia della memoria contro l’oblio.3

Due ingredienti del comunicato in cui si dà notizia dell’apertura della Casa di tutte e di tutti mostra la continuità con ciò che avverrà nei prossimi giorni. Con riferimento al primo comunicato delle Forze di Liberazione Nazionale del 2 agosto 1971, che circolò in copie fatte con la carta carbone fra i membri dell’organizzazione per dare notizia del primo scontro armato con lo Stato, si evidenzia con tutta chiarezza quanto oggi è in primo piano: che si trattava, già allora, di una lotta per la libertà e che, sempre da allora, i principi, la morale erano il fondamento di ogni comportamento, di ogni azione politica.

Questi comportamenti hanno segnato la differenza, durante quattro decadi, rispetto alle classi politiche, ai governi, ai partiti, e anche a molte forze politiche clandestine con pretese rivoluzionarie. E’ la differenza che oggi più che mai è necessario continuare a sostenere.

Traduzione di A.Z.

1 Trattasi di una cattedra itinerante recentemente creata dall’EZLN, dedicata all’indigeno puerepecha Tata Juan Chavez Alonso (ndt)
2 Reperibili su enlacezapatista.ezln.org.mx. In particolare il testo Ellos y nosotros e il testo Votan.

3 Luisa Riley, autrice del documentario, da adolescente era stata amica di Dení Prieto Stock, una giovane che a 19 anni entrò a far parte di una organizzazione guerrigliera –Fuerzas de Liberación Nacional-. Quattro mesi dopo, il 14 febbraio 1974, Dení venne uccisa assieme a 4 compagni in un assalto dell’Esercito Messicano alla casa dell’organizzazione situata a Neplanta. Il documentario ricostruisce la sua vita a partire dal diario conservata dall’amica Jana.

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Debito storico.

La Jornada – Sabato 10 agosto 2013

Frayba: Il riconoscimento dei diritti indigeni è un debito storico dello Stato

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 agosto. Un debito storico, permanente e pendente dello Stato messicano, è il riconoscimento sancito nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, sostiene oggi il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Ciò nonostante, a livello ufficiale li si strumentalizza per promuovere l’industria del turismo, realizzare festival e mostrare un folclore anacronistico della realtà nazionale.

Nel contesto del Giorno Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo, deciso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1994, e nel decimo anniversario delle giunte di buon governo (JBG) create dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale negli Altos, Zona Nord e nella Selva Lacandona nel 2003, il Frayba sottolinea che in Chiapas si esercita la resistenza e l’autonomia in difesa della terra e del territorio.

Il centro dei diritti umani ha reiterato il debito dello Stato verso i popoli non riconoscendo i loro diritti, dando priorità ad interessi economici ed azioni che violano i diritti collettivi e individuali, come lo sfruttamento minerario, l’imposizione di centrali idroelettriche, progetti eolici, costruzione di autostrade, privatizzazione delle risorse naturali, tra altri, che colpiscono la terra e il territorio in cui vivono da tempi ancestrali i popoli.

Nel paese, e nel caso specifico in Chiapas, chi si organizza per la difesa e l’esercizio dei propri diritti collettivi e differisce dall’interesse patronale neoliberista è criminalizzato, represso, aggiunge il Frayba. Le politiche dei governi mercificano le risorse naturali e l’intera vita nei territori ancestrali in cui vivono i popoli indigeni, in una logica di sfruttamento e mancato riconoscimento delle loro espressioni culturali, con altri sistemi di vita che hanno le proprie radici a prima della colonizzazione e sono parte della diversità che sostenta l’umanità.

I territori indigeni possiedono la biodiversità più ricca del Chiapas ed hanno sempre attirato interessi nazionali e internazionali che i governi federale e statale vogliono imporre, a detrimento dei diritti umani e contro il loro obbligo di promuoverli, rispettarli e garantirli. A proposito, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha stabilito che gli Stati devono adottare misure speciali e specifiche destinate a proteggere, favorire e migliorare l’esercizio dei diritti umani dei popoli indigeni.

Il Frayba segnala in particolare la partecipazione delle donne indigene in Chiapas, protagoniste rilevanti nel processo sociale di difesa del diritto alla terra ed al territorio. Sono rimaste invisibili nelle esperienze condivise di lotta per il territorio. Tuttavia, uno dei pilastri della rivendicazione del loro diritto alla libera determinazione e all’esercizio dell’autonomia, è nell’uso e nello sfruttamento delle risorse naturali, oltre al riconoscimento del loro lavoro e al diritto di vivere una vita libera dalla violenza. L’organizzazione richiama l’attenzione sulla situazione dei bambini indigeni, oggetto di politiche assistenziali, e mai soggetti che partecipano all’esercizio dei loro diritti.

Di fronte al rifiuto del governo di riconoscere il processo di rivendicazione e le lotte dei popoli in Messico, il Frayba conclude che, ciò nonostante, ora i diritti collettivi sono una realtà attraverso l’esercizio degli Accordi di San Andrés, come testimoniato dai dieci anni dei caracol e delle JBG dell’EZLN, dimostrazione esemplare dell’autonomia dei popoli nella costruzione dei propri diritti. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/politica/010n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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OJARASCA N. 196 – Agosto 2013

 

ZAPATISTI: CON LA LIBERTÀ NEGLI OCCHI


Foto: Gildardo Magaña

Da più di vent’anni, nelle montagne dei popoli maya del Chiapas corre la libertà. Molte volte, soprattutto con l’insurrezione nel 1994, sono stati visti con morbosità o paura; il più delle volte non sono visti né nominati dalla “opinione pubblica”. Come se con questo smettessero di esistere. Anche da allora ammirati con empatia, speranza, solidarietà ed anche partecipazione da organizzazioni, gruppi e persone di tutto il Messico e decine di paesi nei cinque continenti. E lì tra loro, non dimentichiamolo, estrassero le armi della comunicazione globale istantanea, oggi tanto comuni. Erano libertà che si incontravano.

Con una concreta autonomia territoriale e di governo, in contruzione dal dicembre del 1994 —e immediatamente colpita con la brutale occupazione militare nel febbraio del 1995—, l’esperienza di governo e autogestione zapatista si è evoluta senza tregua. Nell’agosto del 2003 sono state create le Giunte di Buon Governo, ed i cinque centri di incontro conosciuti prima come Aguascalientes, sono diventati sede di governo regionale, o Caracoles.

L’arduo compito collettivo di costruire una vita diversa e possibile ha occupato i giorni e gli anni di centinaia di popoli campesinos ancestrali, antichi, moderni o appena creati, di tsotsil, tseltal, tojolabal, chol, mam, zoque. Municipi e regioni autonome dove hanno messo in moto sistemi alternativi di salute, educazione, produzione e commercializzazione, giustizia, dibattito e decisione collettiva di governo. In poche parti del mondo qualche comunità – e qui sono centinaia di villaggi – può dire la stessa cosa.

Molte volte hanno nascosto il volto, ma mai i loro occhi, in un cammino verso la libertà che non è iniziato il primo gennaio del 1994. I tempi dello schiavismo, acasillamiento e della manipolazione politica e religiosa sono stati gettati alle spalle. Si sono sollevati perché erano liberi, invocando la liberazione nazionale.

Sono trascorsi gli anni, atroci e traditi in tutto il paese. La corruzione, la violenza, l’ingiustizia, il razzismo, l’illegalità come forma di governo, la devastazione, il saccheggio, le espulsioni e la cessione della sovranità al migliore offerente rappresentano una sfida definitiva alla nostra libertà come messicani, come cittadini, come esseri umani. Negli occhi degli indio zapatisti, nei loro piedi piantati in terra in maniera così potente e distintiva, è viva la risposta. Loro sì hanno reso possibile la possibilità, e sono liberi.

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/oja-ojos.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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A SCUOLA NELLE ESCUELITAS ZAPATISTE

Sono trascorsi quasi 20 anni dall’insurrezione armata degli indigeni zapatisti del Chiapas (1 gennaio 1994) e 30 dall’arrivo, nelle cañadas di Ocosingo, di un esiguo gruppo di militanti cittadini scampati alla guerra sucia: <<un gruppo di illuminati che arriva dalla città per liberare gli sfruttati si trova, più che illuminato, messo a confronto dalla realtà delle comunità indigene […] Quanto tempo ci abbiamo messo per renderci conto che dovevamo imparare ad ascoltare e, dopo, a parlare? Non sono sicuro, sono passate già non poche lune, però io calcolo per lo meno due anni. Cioè, ciò che nel 1984 era una guerriglia rivoluzionaria di tipo classico (sollevazione armata delle masse, presa del potere, instaurazione del socialismo dall’alto, molte statue e nomi di eroi e martiri dappertutto, purghe, eccetera, infine, un mondo perfetto), per il 1986 era già un gruppo armato, indigeno in modo imbarazzante, che ascoltava con attenzione e balbettava appena le sue prime parole con un nuovo maestro: i popoli indios>>. [da Chiapas: La tredicesima stele del Subcomandante Marcos].

Un altro anniversario: l’8 di agosto nei territori zapatisti nascevano i caracoles, la forma di autogestione più radicale che si conosca oggi nel mondo. Nei caracoles appunto questa settimana si sono aperti i festeggiamenti per il ricevimento degli oltre 1800 invitati in Chiapas dove <<nella settimana prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. […] Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere. Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.>> (G. Esteva, Apprendere ad apprendere, www.comune-info.net).

L’insurrezione zapatista riapriva la storia grazie a un pugno di insumisos e ciò avveniva in un angolo sperduto delle montagne del sudest messicano per mano degli ultimi fra gli ultimi, gli indigeni maya, mai definitivamente sottomessi, contrariamente alla storiografia che li descriveva come selvaggi, indolenti, incapaci, falsi, antropofagi (C. Montemayor) tanto che la parola indio, frutto dell’errore geografico di Colombo, divenne nelle società coloniali un feroce insulto.

20 anni or sono, al momento dell’insurrezione e dopo, per vari anni, l’interesse fu vivo nel mondo italiano dei movimenti dove si leggevano e discutevano animatamente i comunicati del “subcomandante” oltre a quelli, più rari e contenuti, della comandancia del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Per molti fu la rinascita di una speranza, per altri, più riflessivi, fu l’inizio di una rigenerazione del pensiero dopo un lungo letargo ideologico.

Il lemma dell’Incontro Intergalattico che gli zapatisti organizzarono due anni dopo, a fine luglio 2006, nella Selva Lacandona, fu esemplare: “Per l’umanità, contro il neoliberismo”. E molti loro slogan -che slogan non erano bensì lunghi ripensamenti condensati e tradotti in norme di comportamento- aiutarono molti di noi a riflettere. “Un mondo capace di contenere molti mondi diversi” proponeva una alternativa alla globalizzazione omogeneizzante. “Per noi nulla, per tutti tutto” era un programma politico preciso, alternativo alla logica dominante. “Parlare e ascoltare” era una norma basica senza il cui rispetto non esiste dialogo alcuno. “Avanzare domandando” era l’antidoto contro le onnisapienti avanguardie “progressiste” e “illuminate”. Ma soprattutto “comandare obbedendo” era una nuova concezione del potere distillata nelle comunità indigene durante 5 secoli, 3 di colonia prima e 2 di colonialismo interno dopo.

Oggi qui in Italia molti che allora si infiammarono si sono dimenticati degli zapatisti. Molti pensano che siano scomparsi. Alcuni degli ‘illuminati’ ritengono l’esperienza zapatista superata, marginale, vana. E’ certo che il Chiapas non fa più “notizia” come allora, e le nuove leve dei movimenti neppure forse conoscono i fatti. Eppure nel dicembre del 98 eravamo in molte migliaia a Roma –chi scrisse 40 mila, ma anche la metà sarebbe stato un numero notevole- per manifestare contro la strage avvenuta nel villaggio di Acteal.

Un giorno forse qualcuno scriverà la storia del movimento “zapatista” in Italia e probabilmente indicherà, fra i vari motivi dell’oblio, come è stato affossato, inseguendo logiche tradizionali di cooptazione politica da parte di sinistre politiche radicali e sconclusionate, aduse all’usa e getta, sempre alla ricerca affannosa e confusa di idee e di miti per rimpolpare le esangui file. O di movimenti “disobbedienti” incapaci di concepire altro che la propria “leadership”. Ma scriverà anche di quello che magari anonimamente è passato di positivo nel pensiero e nei comportamenti di singoli o gruppi.

Ma legami con gli zapatisti, accompagnati da un pensiero critico sempre in ricerca, continuano seppur ridotti, tenuti accesi da piccoli nuclei, una radio comunitaria là, un sito costantemente aggiornato qua, un flusso ridotto ma non spento, di viaggiatori con destinazione i punti di osservazione internazionale nelle zone dove la sicurezza è più critica. Così in questi giorni molti hanno accettato l’invito ad andare a ‘ri-apprendere ad apprendere’, nelle escuolitas zapatiste, cosa siano la dignità, l’autogestione, la libertà. E ci auguriamo che al ritorno ci raccontino e rianimino un dibattito, dibattito che certamente tornerà a riaccendersi a dicembre, in occasione del XX anniversario dell’insurrezione.

PS I Testi del sup Marcos e del sub Moisés riguardanti le modalità e il s9ignificato delle visite alle escolitas sono leggibili sul blog https://chiapasbg.wordpress.com

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La Jornada – Venerdì 9 agosto 2013

Gli zapatisti festeggiano i 10 anni delle giunte di buon governo in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 8 agosto. 10 anni fa, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) annunciava la creazione di cinque giunte di buon governo (JBG), un’innovativa forma di governo autonomo che si mise immediatamente in funzione, anche se per essere precisi, queste attività erano già in corso nei nei municipi ribelli dal 1995 e 1996, contemporaneamente ai dialoghi di San Andrés tra il governo messicano e la comandancia zapatista, accompagnata da rappresentanti della maggior parte dei popoli e tribù indigene del paese.

Come allora, in questi giorni di agosto nei cinque caracol si sono riunite migliaia di basi di appoggio zapatiste. Col passare del tempo, la loro esperienza (ed esperimento) di governo autogestito e libero non ha fatto altro che consolidarsi, e con esso consolidare l’autonomia controcorrente. Se nel 2003 le JBG rappresentavano la risposta esplicita al tradimento finale del governo di Vicente Fox, del Congresso e della Corte Suprema di Giustizia della Nazione agli accordi firmati nel 1996 (e disconosciuti poi dal governo di Ernesto Zedillo, per voce dell’allora segretario di Governo, Emilio Chuayffet), oggi sembrano dimostrare che gli accordi firmati si possono praticare concretamente. E la cosa più strana: possono funzionare. Non è poco in un paese dove le forme di governo legali sono ogni giorno sempre più disfunzionali ed inefficienti.

Siamo forti per lottare

Dieci anni fa, ad Oventic, dove furono presentate le JBG ed i caracol, la comandante Rosalinda disse con disarmante naturalezza: Stiamo dimostrando ancora una volta che siamo forti per lottare. Resistiamo da 10 anni e siamo proti a proseguire. Sì, possiamo farlo. Altri dieci anni, e qua sono avvenuti cambiamenti tangibili e sostanziali nella qualità di vita delle nuove generazioni ribelli delle comunità del Chiapas. Le parole della comandante nel 2003 suonano attuali: I municipi ribelli sono belli e chingones perché sappiamo resistere. Il malgoverno non ci ha sconfitti perché non può. Non scoraggiatevi. Non spaventatevi delle minacce e delle persecuzioni dei malgoverni. La nostra lotta è cresciuta molto.

Bisogna ricordare che poco tempo fa, il 21 dicembre 2012, quarantamila basi di appoggio dell’EZLN hanno sfilato in cinque città. In impressionante silenzio.

Sono comunità dove, per esempio, la medicina preventiva (passata di moda su scala nazionale e globale) si applica con il minimo e produce risultati spettacolari nel controllo delle malattie che prima li uccidevano. Dove, senza il governo organizzato dei territori autonomi, per il malgoverno (come tenacemente lo chiamano lì le JBG ed i consigli municipali autonomi dove il popolo comanda ed il governo ubbidisce) non ci sarebbe governabilità. Lo hanno ammesso pubblicamente gli ultimi tre governatori del Chiapas.

Accompagnano sempre gli zapatisti nella loro lotta, i popoli del CNI. Nel 2003 risposero affermativamente alla decisione di applicare gli Accordi di San Andrés come legge legittima per i popoli indio del Messico. Continuano a farlo. Mentre chi sosteneva che l’autonomia indigena avrebbe balcanizzato il paese, è riuscito esattamente a balcanizzarlo per distruggere i popoli.

Un’altra esatta descrizione è quella del dottor Pablo González Casanova l’11 settembre di quell’anno: “Quello dei caracol è un progetto di popoli-governo che si articolano tra loro e cercano di imporre strade di pace in tutto quanto sia possibile, senza disarmare moralmente o materialmente i popoli-governo, tanto meno in momenti e regioni dove gli organi repressivi dello Stato e le oligarchie seguono le orme sempre più aggressive, crudeli e ignoranti del neoliberismo di guerra che includono la fame, l’insalubrità e ‘l’ignoranza obbligata’ dell’immensa maggioranza dei popoli, per indebolirli e perfino decimarli o distruggerli, se è necessario”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/09/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della Comunità di Candelaria el Alto 

Comunicato della Comunità di Candelaria el Alto 

Al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba)

Alla Rete Contro la Repressione e la Solidarietà

Ai Difensori dei Diritti Umani ONG

Alla Commissione di Riconciliazione Comunitaria (CoReCo)

Al Servizio di Consultazione per la Pace (Serapaz)

A tutte le Donne e tutti gli Uomini che vogliono la Giustizia

Agli Aderenti alla Sexta

Al tutto il Popolo del Messico 

Noi, bambini, giovani, uomini e donne della Comunità di Candelaria el Alto, Aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN, siamo una comunità indigena del Municipio di Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.

La nostra comunità da tre anni non può coltivare le proprie terre a causa del conflitto con Nuevo San José La Grandeza appartenente all’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Region Carranza (OCEZ-RC). In tutti questi anni abbiamo cercato di trovare una soluzione al conflitto per vivere degnamente e lavorare la terra che ci spetta, così da dare cibo alle nostre famiglie. La nostra Comunità ha presentato denunce al Governo ed alle Organizzazioni dei Diritti Umani, ma al governo non ha mai importato nulla fino ad oggi e tutta la comunità si trova in una grave situazione di scarsità alimentare e sta soffrendo la fame. 

Noi siamo una comunità dignitosa che non chiede appoggio al governo per risolvere il problema della mancanza di cibo. Agli inizi del 2013 abbiamo aperto un tavolo di dialogo con Nuevo San José La Grandeza per cercare una soluzione definitiva e vivere in pace e dignità e poter lavorare la nostra terra. Al tavolo di dialogo ci accompagnano e assistono i fratelli del Frayba, CoReCo e Serapaz.

Intanto che il dialogo avanza, noi della comunità di Candelaria el Alto non possiamo lavorare le terre pertanto non abbiamo i nostri generi alimentari di base, come mais e fagioli, e non abbiamo la possibilità di procurarci quello di cui le nostre famiglie hanno bisogno. 

Per questa ragione chiediamo l’appoggio e la solidarietà delle organizzazioni sopra menzionate e di tutte e tutti quelli che si vogliano unire per far fronte all’emergenza umanitaria e alimentare che stiamo soffrendo inviandoci quello che possono come mais, fagioli, riso o aiuti economici.

2 agosto 2013 

Comunità Candelaria el Alto – Municipio diVenustiano Carranza – Chiapas – Messico

Aderente alla Sexta

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/06/denuncia-de-la-comunidad-de-candelaria-el-alto/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Votan IV

Meno 7 Giorni.

Dove si rivela quello che il cuore zapatista ammira in altr@, si avvisa che ci sono esonerat@ e si danno consigli oziosi che nessuno osserverà.

Agosto 2013

Bene, manca poco. Mi riferisco ai giorni che mancano alla scuola, non a quello che dobbiamo e vogliamo dire.

Se cercate una scuola che assegni un maestro, una maestra, ad ogni singolo studente, 24 ore al giorno, che sia gratuita e laica, e che i fornisca vitto e alloggio mentre imparate-insegnate, vi auguriamo buona fortuna.

Come sapete, la scolarità dei partecipanti va dalla materna fino al dottorato all’estero (e per “estero” non ci riferiamo ad altri paesi diversi dal nostro, ma all’essere alieno, straniero, e molte istituzioni educative nel nostro paese sono straniere). Ed i calendari si allungano dai mesi di vita fino agli oltre 90 anni. Tutte e tutti saranno accolti nel nostro cuore collettivo, indipendentemente che vengano in comunità, o gli tocchi andare al CIDECI, o in un’altra geografia per videoconferenza, o che ricevano il materiale scolastico, o che aspettino il loro turno.

Forse vi sarete resi conto dello sforzo organizzativo che la scuola rappresenta per i popoli zapatisti.

Ma non domandatevi perché e come un gruppo di comunità indigene decide di ospitare, nutrire, convivere e condividere le sue conoscenze con un gruppo di stranieri, di diversi, di altr@. O com’è che l’oggetto dell’elemosina, della compassione, della pena e degli altri nomi dietro i quali si nasconde il razzismo, la discriminazione e il disprezzo, cioè, gli indigeni zapatisti, commettono l’audacia di dichiarare che hanno qualcosa da insegnare e per questo costruiscono, come prima una nave assurda in piena selva, ora una scuola così grande da abbracciare il mondo intero.

Oppure sì, ma domandatevi anche com’è possibile che persone dei 5 continenti, di ogni nazionalità (questo trucchetto di bandiere, frontiere e passaporti), di grandi o piccole conoscenze, decide che ha qualcosa da imparare da persone che nei grandi libri e nei discorsi governativi sono catalogate come “ignoranti”, “arretrate”, “emarginate”, “povere”, “analfabete”, e gli eccetera che potete trovare negli “studi” dell’INEGI, nei manuali di antropologia, e nelle parole e nei gesti di schifo di chi dice di governare il mondo.

Perché gente di fama o senza nome, si prende del tempo e lo usa per ascoltare, e nella maggioranza dei casi anche per viaggiare, per imparare dai popoli zapatisti?

A noi zapatisti non meraviglia il nostro continuo e persistente sali e scendi nella lotta per la vita, cioè, per la libertà. Quello che davvero ci sorprende è che esistano persone come voi che, potendo scegliere destinazioni più gradevoli, comode e invitanti, decidono di portare il loro cuore nelle montagne ribelli del sudest messicano per illuminare con un lampo, insieme a noi, un agosto nell’ultimo angolo di mondo, nel più piccolo.

Perché? Sarà perché per caso intuiscono, sanno, conoscono, che la luce non viene dall’alto, ma nasce e cresce dal basso? Che non è il prodotto di un leader, capo, caudillo, saggio, ma della gente comune? Sarà che nei loro conti, il grande comincia piccolo e ciò che ogni tanto scuote il mondo inizia con un mormorio, sommesso, basso, quasi impercettibile? O forse immaginano com’è il rumore di un mondo quando si sgretola. Forse sanno che i mondi nuovi nascono con i più piccoli.

Infine, ciò che in realtà deve sorprendere, siete voi qua e con noi, da questa parte. E credo sia chiaro che non mi riferisco né al calendario né alla geografia.

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LE/GLI ESONERATI

Noi zapatiste, zapatisti, abbiamo avuto la fortuna di contare sull’ascolto, la parola e la mano compagna di uomini e donne che guardiamo dal basso per la loro levatura morale. Alcuni/e di loro non hanno detto niente direttamente su di noi, né a favore, né contro. Ma le loro parole su come gira il mondo, lo fanno.

E ci sono persone che potrebbero ben stare dall’altra parte, con quelli di sopra, o con chi da parti diverse vede in noi un concorrente, un ostacolo, un fastidio, un nemico, un animale impossibile da domare e addomesticare. Là, da quella parte, potrebbero ricevere onori e corteggiamenti, omaggi e complimenti. Per ottenerli, bastava prendere le distanze dal nostro passo o unire il loro silenzio a quello complice di altre, di altri.

Alcune di queste persone hanno accettato l’invito alla scuola zapatista per generosità. Nel lungo percorso del loro degno cammino, hanno sempre mantenuto i ponti verso lo scalino più piccolo, più dimenticato, il nostro.

Ci sono stati anche altri, altre, che prima ci hanno appoggiato? Sì, molti, molte, e poi, sulla cresta dell’onda di turno, ci hanno chiesto sottomissione e soggezione alla nuova casacca che indossavano i nostri persecutori di sempre, ma ora di “sinistra”. Ci hanno chiesto che, prostrati, ringraziassimo per il loro aiuto tacendo di fronte alle ingiustizie di sempre, abbellite di false parole. Come il Prepotente, ci hanno chiesto obbedienza. Come al Prepotente, gli abbiamo risposto con la ribellione.

Ma queste altre persone compas, uomini e donne di differenti calendari e geografie, non ci hanno mai chiesto né sottomissione né di tentennare. E benché non poche volte il loro sguardo sia stato e sia critico riguardo il nostro cammino, è sempre stato ed è compagno. Loro sono la prova che appoggio non è subordinazione (qualcosa che la sinistra mondiale ancora non riesce a capire).

Abbiamo invitato tutti/e loro. Ma non come alunni. Secondo noi, loro capiscono bene che cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti. Li abbiamo invitati per renderli partecipi della gioia di vedere che il nostro passo, benché lento e sconcertante, prosegue e va verso un solo destino, che è anche il loro.

Riporto alcuni nomi. Non ci saranno tutte, tutti. Ma nominandoli, nominandole, nominiamo chi dovrebbe apparire al nostro fianco, ed anche, chi non c’è perché la morte si è presentata sul suo cammino. Ma sono nella nostra memoria, l’unica cosa e la migliore che abbiamo come arma e scudo. Ci mancheranno, per esempio: l’instancabile attivismo della compagna sorella Chapis; la fermezza della compa Rosa di Querétaro; lo sguardo-ponte di Beverly Brancroft; l’allegra risata di Helena, l’ostinata lotta di Martha de Los Ríos, la limpida parola di Tomás Segovia; il saggio ascolto di José Saramago, i sentimenti fraterni di Mario Benedetti, il genio di Manuel Vázquez Montalbán, la serena coerenza di Adolfo Sánchez Vázquez, la profonda conoscenza di Carlos Montemayor, l’abbraccio fraterno di Andrés Aubry e Angélica Inda, tra molti@ altr@.

Tutti loro, e qualche altr@, anche se inclusi nella lista degli invitat@ come alunn@, non lo sono. Sono, per usare il gergo scolastico, esonerati.

Sarà bene accoglierli con un abbraccio, qui o nella geografia dalla quale, generosi, ci guardano e ascoltano. Che vengano o no, saranno con noi per quello che sono: le nostre compagne e compagni.

Ora riporto il nome di pochi/e. Ce ne sono di più. A tutte e tutti loro faremo arrivare, insieme al nostro abbraccio, rinnovati ammirazione e rispetto, la lettera di esonero che è solo una prassi accademica per far loro sapere la nostra gratitudine. Quindi, ecco alcuni degli esonerati, con onore, dal corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”:

.- Nuestras queridas abuelas y madres, las Doñas de Chihuahua y de Sinaloa, en el México de abajo y a la izquierda.
.- Nuestras abuelas y madres de Plaza de Mayo, en la Argentina digna.
.- María Luisa Tomasini, nuestra abuela en Chiapas.
.- Pablo González Casanova.
.- Luis Villoro.
.- Adolfo Gilly.
.- Paulina Fernández C.
.- Óscar Chávez.
.- John Berger.
.- Carlos Aguirre Rojas.
.- Antonio Ramírez Chávez.
.- Domi.
.- Vicente Rojo.
.- Immanuell Wallerstain.
.- Gilberto López y Rivas.
.- Noam Chomsky.
.- María Luisa Capella.
.- Ernesto Cardenal.
.- Neus Espresate Xirau.
.- Marcos Roitman.
.- Arturo Anguiano.
.- Gustavo Esteva Figueroa.
.- Jorge Alonso Sánchez.
.- Hugo Blanco Galdós.
.- Miquel Amorós.
.- Neil Harvey.
.- John Holloway.
.- Malú Huacuja del Toro.
.- Armando Bartra.
.- Michael Hardt.
.- Greg Ruggiero.
.- Raúl Zibechi.
.- Eduardo Galeano.
.- Daniel Viglietti.
.- León Gieco.
.- Sylvia Marcos.
.- Jean Robert.
.- Juan Villoro.
.- Mercedes Olivera.
.- Bárbara Jacobs.
.- Mayor insurgente honorario Félix Serdán.
.- María Jesús de la Fuente Viuda de O’Higgins.
.- Inés Segovia Camelo.
.- Obispo Raúl Vera.
.- Bárbara Zamora.
.- El Mastuerzo.
.- Rocko Pachukote.
.- Francisco Segovia.
.- Zach de la Rocha.
.- Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas.
.- Juan Carlos Mijangos Noh.
.- Sindicato Mexicano de Electricistas (SME), México.
.- Ignacio Del Valle.
.- Confederación General de Trabajadores, Estado Español.
.- Víctor Flores Olea.
.- Magdalena Gómez.
.- Brigada Callejera “Elisa Martínez”.
.- la banda tuitera.
.- la banda de medios alternativos.

-*-

Consigli oziosi (perché so che non mi darete retta).

Su scacchi e incubi.

Se, per esempio, vi tocca la scuola nella zona del Caracol di La Realidad. Dopo una giornata convulsa, con le fiacche su mani e piedi, ma con quel piacevole dolore che solo dà l’apprendere, sedetevi fuori dalla capanna. Accendetevi una sigaretta ed osservate come la luce del pomeriggio cede alle ombre della sera. Guardate come tutto intorno a voi sembra muoversi al rallentatore. Cala il silenzio sulla giornata quotidiana, cosa che ora vi permette di apprezzare l’ostinato frinire dei grilli, la lucina giocosa delle lucciole, lo zzzzzzzzz delle zanzare. Allora decidete di tirare fuori la vostra scacchiera portatile. State sistemando i pezzi, quando si avvicina un bambino o una bambina (calcolate: tra gli 8 e i 10 anni) che vi si siede accanto, coccoloni. Il bambino-bambina guarda con curiosità quello che state facendo e vi chiede, con un’innocenza al di sopra di ogni sospetto: “cos’è quello?” Vi sentite lusingati di avere l’opportunità di insegnare qualcosa, soprattutto dopo che da quando siete arrivati non ricevete altro che correzioni dal vostro Votán e dalla famiglia con la quale ora vivete. Quindi, tirate una boccata dalla sigaretta e dite: “Ah, è un gioco, si chiama scacchi”. E qui arriva il momento decisivo. Avete la tentazione di dire quello che non dovete dire. Pensate che, dopo tutto, è solo un bambino-bambina e che sarà divertente insegnargli quel gioco misterioso di intelligenza, tattica e strategia. Allora dite le parole maledette: “Vuoi che ti insegni a giocare?”. Già. La vostra sorte è segnata. Il bambino-bambina dirà con innocenza, “va bene, vediamo se riesco”. Poi: l’incubo. Dopo le prime spiegazioni “questo si chiama pedone”, “questo alfiere”, “questo cavallo” e così via, il bambino-bambina, si siederà davanti a voi. Passerete tutta la sera e parte della notte a sentirvi ripetere “scaccomatto”. Più tardi, poco prima che il sogno sognato occupi il posto del sogno reale, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa, attingerò al mio pacchetto di biscotti a forma di animaletti e penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho sentito maledire in decine di lingue diverse i “maestri” di scacchi bastonati da@ bambin@ della zona di La Realidad. Dopo tutto, mica per niente questo posto è chiamato “La Realidad”, no?Su scacchi e incubi.

Sul Calcio.

Se, per esempio, vi tocca la zona del Caracol di La Garrucha. Stessa situazione della precedente. Adesso è un bambino che giocherella con le mani con un pallone. Vi dice-domanda-sfida con un “Nel villaggio da dove vieni sapete giocare a calcio?”. Sentite subito scorrervi nelle vene Pelé e Garrincha, Maradona e Cruyff, Ronaldo e Messi (non in una Table Dance, si capisce), Puskas e Di Stéfano (sono andato troppo indietro nel calendario?), o chi vi piace nella vostra geografia e calendario. Io vi consiglio solo di sorridere e di mettervi a discorrere del tempo o di altro, ma… cominciate a vedere rosso e, beh, ho sempre pensato che lo sciovinismo sportivo sia ben tollerato perfino nella sinistra più radicale, cosicché, senza ascoltare il mio consiglio, vi sistemate gli stivali-anfibi-scarpe da tennis-pantofole-dita, vi alzate con un “Se sappiamo giocare a calcio nel villaggio da dove vengo? Adesso vedi. Andiamo”. La notte, quando sarete nel dormiveglia del buon riposo, farete la conta dei danni e vi direte che ha sbagliato il portiere, la difesa, il mediano, l’attaccante, l’arbitro, il campo impervio, il fango e la cacca del bestiame, che dopo tutto i gol subiti non erano tanto male, che ci sarà la rivincita. Ma, con l’ultimo sbadiglio, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa e rilassandomi penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho visto squadre internazionali di autentici “assi” del calcio soccombere sui “campi di calcio” del Caracol di La Garrucha. In quella zona, perfino le mucche conoscono la magia del pallone.

Il Pozol Agrio.

In qualunque zona vi toccherà di ognuno dei 5 Caracoles. “C’è festa!” sentite che dicono. Vi alzate, anche se tutto il corpo vi duole come se aveste passato tutto il giorno a cercare di prendere un autobus nell’ora di punta della vostra geografia. Vi avvicinate alla folla. Allora sentite che gridano con giubilo “pozol agrio!”. Ascoltatemi: girate sui tacchi e tornate nella vostra capanna. Se qualcuno ve lo offre, scusatevi con un “grazie, ma sono pieno” e toccatevi la pancia con soddisfatta enfasi. Ma, due a uno che forse vi direte “Beh, sono venuto per condividere, quindi devo condividere anche l’allegria che sembra provocare quello che chiamano pozol agrio”, e ne chiedete un bicchiere-tazza. Mentre passerete l’intera notte alla latrina, sentirete il bisogno di accendere una sigaretta, anche se non fumate, e alla debole luce dell’accendino penserete: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, non tanto vicino ma sì lontano, accenderò la pipa e mentre mi dirò “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”, mi allontanerò ancora di più perché, credetemi, non c’è tabacco che copra quella puzza.

Il Cibo.

Se pensate che qualcosa può farvi male, o sapete che vi fa male, o non vi va, non lo mangiate. Non sentitevi obbligati a mangiare quello che non riuscite. Non vi guarderanno male, né sarete espulsi dalla scuola, né vi criticheranno, niente di tutto questo. Invece vi daranno medicinali per la pancia e vi domanderanno che cosa potete mangiare che non vi faccia male. Perché noi sappiamo bene che ciò che rallegra e nutre del cibo, è la parola che lo condisce. E sì, potete portare quello che vi piace mangiare, a patto che lo condividiate.

E non mi riferisco al fatto di darne una porzione a ciascuno, ma di condividere come si prepara, come si mangia, qual’è la sua storia. E no, condividere il mal di pancia non fa parte della vita comunitaria.

Il Tempo Libero.

Sì, potete portare un pallone, una chitarra, un’opera teatrale, un film, una storia da raccontare. Ricordate solo: tutto collettivo. No, non il collettivo col quale arrivate, ma il vostro collettivo qua: la vostra famiglia ed il vostro Votán. Se sentite qualcuno che dice “che allegra quella tonelada”, non pensate che si riferisca al peso della catasta di legna o del bidone d’acqua. È solo una di quelle bizzarre traduzioni che qua abbondano: con “tonelada” vogliono dire “tonada” [canzonetta – n.d.t.]. Di niente.

Gli slogan.

“Abbandonate ogni speranza di rima”, dovrebbe essere scritto all’ingresso di una comunità zapatista. Se vicino a voi qualcuno sta cercando di comporre uno “slogan” per la festa di benvenuto o di fine corso, e sentite che dice “non che no, sì che sì, siamo tanti e vinceremo”. Non vi venga in mente di dire che così non va o che manca la rima, perché sarete sommersi da una valanga di “perché? forse non siamo tanti? forse non vinceremo?”. E infine, un “ma si capisce, no?”

-*-

Bene. E non dimenticate di portarvi tre cose importanti: qualcosa per il freddo, qualcosa per la pioggia e qualcosa in cui far tesoro della memoria.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
SupMarcos
Messico, Agosto 2013

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Di Alí Primera, la classica “Non basta pregare” cantata da uno zapatista al Festival della Digna Rabia, in Chiapas, Messico. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0WtBVZ5tobY

Gruppo musicale di compas zapatisti degli Altos del Chiapas. http://www.youtube.com/watch?v=vhR3HEy0i3c&feature=player_embedded

Ballo regionale interpretato da bambine zapatiste in Chiapas, al Festival della Digna Rabia. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oYdUDTThyU0

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Votan IV. Día Menos 7.

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La Jornada – Venerdì 2 agosto 2013

Negato l’appello agli ejidatarios che reclamano le terre di Bachajón

Hermann Bellinghausen 

Un giudice federale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, ha negato il ricorso in appello degli ejidatarios tzeltal di San Sebastián Bachajón che reclamano la restituzione delle terre occupate dal governo due anni fa, contro la volontà dei proprietari e abitanti dell’ejido. 

Questo giovedì, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e rappresentante della comunità, aveva presentanto una richiesta di revisione contro la sentenza del 22 luglio, emessa dal giudice José del Carmen Constantino Avendaño, che aveva determinato l’archiviazione dell’appello 274/2011, ritenendo che gli espropri eseguiti dalle diverse autorità statali e federali il 2 febbraio 2011 erano stati autorizzati dall’assemblea generale degli ejidatarios, e pertanto non costituiscono ragione di querela da parte dell’ejido. 

Secondo l’avvocato degli ejidatarios, Ricardo Lagunes Gasca, la richiesta di revisione dovrà essere inviata nelle prossime settimane al Terzo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutiérrez, per il suo studio e risoluzione. 

Si tratta della seconda sentenza emessa da questo giudice a danno del villaggio tzeltal di San Sebastián, dettata praticamente negli stessi termini della precedente, lo scorso 30 gennaio, revocata successivamente dal Terzo Tribunale Collegiale. (….)

Nonostante la notoria mancanza di imparzialità e indipendenza del giudice, gli ejidatarios avvertono che useranno ogni risorsa legale per proteggere il loro territorio. 

L’avvocato degli indigeni sottolinea la contraddizione tra quanto espresso dal presidente della Suprema Corte di Giustizia della Nazione, Juan N. Silva Culli, sull’importanza dei diritti umani a partire dalla riforma costituzionale e gli impegni assunti con organismi internazionali, “e la pratica dei giudici federali nei luoghi più lontani e poveri, che si conformano agli interessi dei gruppi di potere politico ed economico, eludendo il diritto dei popoli alla protezione del loro territorio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/02/politica/016n1pol 

Comunicato degli ejidatario di Bachajón

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Votán III.

SEZIONE NO FAQ.

Quello che avreste sempre voluto sapere su

le/gli zapatisti, la loro dannata scuola e le conseguenze che può avere frequentarla.

Luglio 2013

Sembra che più o meno si vada chiarendo il panorama riguardo cosa diavolo intendiamo noi zapatisti quando parliamo della scuola.

Ma c’è da sperare che ora abbiate più domande che risposte. Accantonata la preoccupazione per le calzature, restano altri quesiti. Vi viene in mente allora che forse è vero che quella zapatista è una ribellione del XXI° secolo, esperta in tutto quello che ha a che vedere con la cibernetica (hanno perfino un grafitero di muri virtuali). Dunque, andate all’internet caffè più vicino, o accendete il vostro computer e cercate: “Scuola Zapatista, Dubbi, domande frequenti, FAQ, eccetera”.

Sullo schermo apparirà un “elegante effetto cibernetico” per eludere la vigilanza dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale gringa, e sarete introdotti nell’ultra segreto server dei trasgressori della legge: lo ZPS (“Zapatist Pozol Server”, la sigla in inglese). Dopo che sullo schermo appare un convincente “Fuck You XKeyscore”, vi viene chiesta una password per entrare. Voi provate “MARICHIWEU” e lo schermo dice “No”. Provate con “NOSOTR@S” e sullo schermo appare “Neanche”. Tentate con “DURITO” e lo schermo dice “Neanche per sogno”. Irritati/e per gli ostacoli, lasciate un messaggio con una parolaccia rivolta al governo nordamericano e, mentre state mettendo la firma, lo schermo si apre come se fosse una porta in 3D, suono dolby e tutta sta roba, ed appare la scritta “Scuola Zapatista, NO FAQ, -“Domande Non Frequenti. Potete aggiungere la vostra in fondo –”, seguita da un lungo elenco di domande e risposte, come le seguenti:

– Cercate la descrizione che più vi somiglia, collegatela alla domanda e trovate la risposta corrispondente:

– Non ho titolo di studio di scuola superiore / Non sono un artista / Non sono una persona famosa / Non rappresento nessuno / Non sono un dirigente né leader di niente / Sono molto giovane / Sono molto vecchio / Non sono mai andato a scuola / Sono nuovo/a nella conoscenza dello zapatismo e non sono mai stato in una comunità / Non ero ancora nato o ero molto piccolo/a quando voi siete apparsi pubblicamente / Non ne sapevo niente fino al giorno della fine del mondo / L’ho saputo solo poche settimane fa ed ho chiesto l’invito / Non so nemmeno perché mi hanno invitato visto che non mi piacciono gli zapatisti, o meglio gli zapatisti sì mi piacciono, ma il Marcos è un pagliaccio che approfitta dei poveri indios ed io-dirò-loro-di-non-farsi-ingannare-e-li-redimerò / l’eccetera che è di moda / ___________ (il vostro caso particolare)….

Domande:

Mi tratteranno nello stesso modo di chi sa a memoria l’inno zapatista, di chi ha partecipato a tutte le attività dello/sullo zapatismo, di chi ha una maglietta dell’EZLN, di chi sa recitare bene il ritornello “è un onore essere qui…” – ah no, questo è un altro canale -, di chi indossa dei super scarponi ed un’attrezzatura di alpinismo di alta montagna, di chi è stato molte volte in comunità ed ha aiutato mooolto, ma mooolto gli indigeni? È importante tutto questo per la scuola? Questo può essere un impedimento per frequentarla o per chiedere che mi invitino?

Risposte (secondo l’ordine delle domande):

Sì. No. No.

Domanda:

Posso restare a vivere in una comunità zapatista?

Risposta:

No.

Domanda argomentata:

Ma ci ho pensato bene e sono molto convinto/a, Sì?

Risposta ribadita:

No.

Insistenza enfatica:

Per favore? Per favore? Per favore? Sì?

Risposta ugualmente enfatica (secondo l’ordine delle domande):

No. No. No. No.

Domanda:

Posso versare più di 100 pesos per il materiale scolastico, come dimostrazione di solidarietà con le comunità indigene zapatiste?

Risposta:

Sì, ma né noi né altri sapranno la somma, né chi l’ha donata. Registrandovi, passerete davanti ad un contenitore o una scatola (non so esattamente cosa metteranno) e lì potrete depositare i vostri cento pesos o quello che vorrete. Solo voi saprete se avrete versato solo 100 pesos, o di più, o di meno, o se avete messo una carta di credito, o un biglietto della metro, o un insulto. Completate le registrazioni, i compas incaricati vuoteranno il contenitore o la scatola e consegneranno il contenuto ad una commissione della Scuola Zapatista. Così nemmeno noi sapremo chi né quanto ha versato. Così nessuno potrà reclamare o esigere un trattamento particolare o V.I.P perché “tu non sai chi sono io, né tutti gli incarichi e premi che ho avuto, né quanto, ma veramente quanto ho aiutato le comunità / e non mi umilieranno mettendomi insieme a gente che non è mai stata in comunità, / a me non hanno nulla da insegnare, invece, mi devono ringraziare, / l’unica immagine di indigeno che mi va giù è quella di chi, prostrato, mi adora, l’immagine di indigeni ribelli, cioè, ingrati, non mi va giù” (come ha già fatto una “illustrissima” persona del mondo artistico-culturale).

Domanda:

Posso portare qualcosa da regalare alla famiglia che mi ospiterà?

Risposta:

No.

Indubbiamente sarà naturale instaurare una relazione di affetto con le persone con le quali vivrete. Ma, i “regali” personali creano squilibri nella comunità e spostano una relazione politica verso una personale. Si smette di rapportarsi con una causa e si passa a rapportarsi con una persona, cosa non necessariamente cattiva, ma non venite qua per fare amicizie, ma per imparare. Presso il CIDECI potrete lasciare quello che vorrete donare, sia all’arrivo per la registrazione sia alla fine dei corsi. Quanto donato sarà consegnato alle Giunte di Buon Governo che distribuiranno EQUAMENTE tra tutte le comunità zapatiste quanto ricevuto. Tenete presente che per noi, cioè, per le famiglie che vi ospiteranno, la cosa importante è la persona, non ciò che possiede o dà. Anche per voi la cosa importante sono i popoli zapatisti nel loro insieme, non la famiglia o il Votán con il quale entrerete in rapporto, perché non è un gruppo di persone che vi assisterà, ma tutti i popoli zapatisti organizzati, sintetizzati per voi in una famiglia e in un/a, guardiano/a.

Domanda:

Perché non accettate che io regali qualcosa a chi mi accoglie nella sua casa, mi dà da mangiare, si prende cura di me, mi insegna?

Risposta:

Sentite, ci sono famiglie zapatiste che non ospiteranno nessuno, ma che hanno collaborato e collaborano per il cibo, il materiale, i trasporti. Partecipano tanto quanto la famiglia che ospita. Per queste famiglie non c’è regalo perché non le vedrete? A loro non darete i vostri indirizzi nel caso un giorno venissero nella vostra geografia o perché vi chiamino o vi scrivano? Per quei bambini che non conoscerete non ci saranno dolci, abiti, giocattoli, regali?

Per esempio, ci sono comunità zapatiste sotto la minaccia costante di gruppi paramilitari. Siccome lì le condizioni di sicurezza sono precarie, non hanno potuto accogliere gli studenti della scuola, perché non potremmo prenderci cura dei/delle nostr@ invitat@ in quei luoghi. Ma quelle famiglie si sono ugualmente preparate, hanno aiutato le famiglie che vi ospiteranno, hanno costruito, spazzato, lavato, strofinato, verniciato, cucinato, raccolto legna, cooperato per il cibo che vi verrà offerto. Voi non le conoscete, né le conoscerete a scuola. Se le aggressioni dei paramilitari e della polizia aumentano, dovranno sfollare. Forse ne siete al corrente, oppure no (controllate il numero di aperture-letture dell’ultima denuncia delle JBG), ma per voi non avranno nome né volto.

Saranno invisibili, come centinaia di migliaia di zapatisti. C’è chi li tiene in considerazione, anche se sono invisibili per voi e per gli altri?

Sì, noi, i loro compagni e compagne. Per questo quello che si riceve da fuori, si cerca di distribuirlo equamente: si distribuisce di più e meglio a chi ne ha più bisogno.

Un’altra cosa sul tema delle donazioni. Sappiamo che là fuori domina lo stereotipo che gli indigeni sono oggetto di pena ed elemosina, che bisogna dare loro quello che avanza o dà fastidio, invece di buttarlo via. Una specie di sindrome da “Telethon” generalizzata. Il suo equivalente nella classe politica è il photoshop dell’elemosina (niente che non si possa truccare da campagna “contro la fame”… o con una fotocopiatrice).

“L’aspirina della coscienza” la chiamiamo noi zapatisti, zapatiste.

Negli alti e bassi della nostra lunga lotta, abbiamo visto molte cose. Una di queste è che, nei momenti di disgrazia, chi più ha, dà quello che gli avanza; e chi meno ha, dà quello che gli manca. Qualcuno con soldi e cose, dona le coperte che non usa più, i vestiti che non gli vanno più bene, le scarpe passate di moda, i soldi che non gli sono necessari. E chi deve combattere ogni minuto del giorno per un misero salario per avere qualcosa da mettere sulla tavola, oltre ad una logora tovaglia o nemmeno questa, dà quella moneta di cui ha bisogno per la sua sopravvivenza.

Questo popolo indigeno, il popolo zapatista, non merita la vostra pena. Nonostante il disprezzo ricevuto per essere una moda passeggera o per esserci rifiutati di far parte dei pecoroni del movimento “storico” nella congiuntura di turno, ci siamo ribellati con dignità come 20, 50, 500 anni fa. E continueremo a farlo. Non insultateci con l’elemosina.

Non vi abbiamo chiesto niente che non sia giusto: solo il pagamento del costo del materiale scolastico (cento pesos) e la vostra disposizione ad imparare. Noi vi ospiteremo. Noi vi daremo da mangiare. Non sarà un hotel a 7 stelle né un buffet gastronomico, ma in ogni tortilla, fagiolo, verdura, branda o amaca, mantella di plastica per la pioggia, c’è l’affetto ed il rispetto di tutti noi verso di voi, perché siete la nostra invitata, il nostro invitato, il nostro compagno, la nostra compagna, nuestroa compañeroa.

Non ci dovete nulla né si deve nulla. Dalla scuola non deriva la militanza, l’appartenenza organica, la soggezione al comando, il fanatismo. Quello che verrà dalla scuola è qualcosa che spetta solo a voi decidere… ed agire di conseguenza. Non vi abbiamo invitato per reclutarvi, formarvi o deformarvi, programmarvi o, come si direbbe ora, “resettarvi”. Abbiamo aperto una porta e vi abbiamo invitato ad entrare affinché vediate com’è la nostra casa, quella che abbiamo costruito con l’aiuto di persone di tutto il mondo che, quelle sì, non ci hanno dato i loro avanzi, ma i loro sguardi e ascolti da compagni, ed alle quali non è mai venuto in mente che dobbiamo essere loro eternamente grati, né che li dobbiamo venerare come si venera chi possiede e ordina.

Voi siete come siete, e solo a voi tocca decidere di continuare ad essere così o diversamente.

E per concludere questo frammento della sezione Domande Non Frequenti:

Non siete un’importante personalità? Non avete grandi titoli di studio? Non siete mai stati prima in una comunità zapatista? Non eravate neanche nati quando l’EZLN è apparso pubblicamente? Non ne sapevate niente fino al giorno della fine del mondo, o dopo?

Non preoccupatevi né occupatevi di questo. Qua non si guardano i curriculum accademici, né i calendari di anzianità di vita o di lotta, ma i cuori. Qua verrà gente con diverse lauree e chi non ha nemmeno fatto le elementari; persone con più di 90 anni e chi non è ancora arrivato a sfogliare un intero calendario. Accoglieremo tutte, tutti, todoas, con lo stesso affetto, vi assisteremo al meglio possibile, vi dimostreremo ciò che siamo, e ci occuperemo di voi con la stessa cura.

Quindi lasciate obiezioni, traumi e angustie per la vostra serie TV preferita.

Pensate piuttosto, per esempio, che al vostro ritorno potrete raccontare a parenti, amic@, o mettere sul vostro blog o nel vostro profilo, qualcosa tipo:

Mi ricordo quando il Pablo (González Casanova), il Luis (Villoro), Adolfo (Gilly), Immanuel (Wallerstein), la Paulina (Fernández Christlieb), l’Oscar (Chávez), uno che chiamavamo “el Mastuerzo”, un altro che chiamavamo “el Roco” non so perché, alcuni tipi che cantavano con nomi strani come il Comando Cucaracha, SKA-P e Louis Ling and the Bombs, ed altr@ compas i cui nomi ora non ricordo, studiavamo insieme alla scuola e ci rilassavamo durante la ricreazione, e siamo stati anche puniti per non aver fatto i compiti. E un giorno hanno sorpreso il Toño (Ramírez Chávez) e la Domi (l’unica Domi che c’è) mentre disegnavano graffiti sulla parete che dà verso l’esterno, verso i nostri mondi, e, insieme a loro, ognuno ha preso quello che c’era e ci siamo messi tutt@ a dipingere. Ma in quel momento è arrivato il custode e siamo tutt@ scappati via. Il custode ha guardato la parete, si è allontanato ed è tornato con un secchio di pittura ed un pennello. Pensavano che avrebbe cancellato quello che avevamo disegnato con tante figure e colori. Ma niente. Non ci crederete, ma il custode ha afferrato il pennello e si è messo a passarlo sul muro. Ma la cosa strana era che il portiere aveva disegnato solo una crepa sul muro… e poi era andato via. E la cosa ancora più strana è che ogni giorno, quando passavamo per andare a scuola, la crepa disegnata diventava sempre più reale, poi si è ingrandita ed è diventata più profonda. L’ultimo giorno di scuola, ci siamo messi tutti davanti alla parete a guardare ed aspettare di vedere se la crepa finiva per rompere il muro. Mentre eravamo li, è passata una compa zapatista con un passamontagna di molti colori, che molto divertita ci ha detto “Che cosa fate lì se la scuola è finita? Tornate a casa vostra!”. Così ce ne siamo andati. Ve lo racconto affinché vediate che ho studiato. Cosa? Perché la vernice è in una bomboletta spray? No, niente; stavo solo guardando quella parete là di fronte, dove dall’altra parte vive il Prepotente. Quel muro così grande, così ben tenuto, così solido, così potente, così intimidatorio, così indistruttibile, così grigio. Ci ho pensato e mi sono detto “A quel muro manca qualcosa, manca… una crepa”.

-*-

Bene. Saluti e non comprate colori e pennelli, li avete già nel cuore. Solo cercateli bene. Quello che ci fate, è parte della vostra libertà. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupMarcos

Portiere, custode e spazzino della Scuola Zapatista (non lasciate in giro la spazzatura!).

Messico, Luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo. 

Frammento di una stupenda parodia del Telethon e gli equivalenti festival dell’elemosina. 31 minuti di spot per raccogliere fondi e riscattare l’arcimiliardario Señor Manguera, padrone della televisione. Vi raccomando di guardare il programma completo, non l’ho messo tutto perché è molto lungo. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=J86p8X0GQtw

Sivigliane Indignate, jereziane e andaluse, con umore, grazia, talento ed astuta saggezza. Dedicato a chi non si spaventa. http://www.youtube.com/watch?v=dHCMevzImtE&feature=player_embedded

Eduardo Galeano racconta il mondo, cioè, quelli che ci sono nei mondi, e avverte che… bene, ascoltatelo. http://www.youtube.com/watch?v=9V922yOgsXc&feature=player_embedded

Oscar Chávez (uno di quelli che ci ha meglio guardato, cioè, capito) con “Los Paliacates”, accompagnato da Los Morales. http://www.youtube.com/watch?v=EIWkApDvupw&feature=player_embedded 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/01/votan-iii-seccion-no-faq/

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