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Archive for agosto 2010

La Jornada – Mercoledì 25 agosto 2010

I genitori dell’attivista finlandese Jyri Jaakkola chiedono giustizia

Carolina Gómez Mena

A quattro mesi dall’omicidio dell’attivista per i diritti umani finlandese Jyri Antero Jaakkola, che faceva parte di una carovana umanitaria che si dirigeva a San Juan Copala, Oaxaca, i suoi genitori, Eeva-Leena e Raimo Jaakkola, esortarono le autorità messicane a punire i colpevoli (…) e chiedono aiuto al presidente (Felipe Calderón).

Dal 21 agosto i genitori di Jaakkola si trovano in Messico per chiedere chiarimenti sulla morte del figlio e dell’attivista sociale Alberta Cariño, che hanno perso la vita il 27 aprile scorso, quando la carovana che portava viveri alla comunità indigena triqui subì un imboscata dei “gruppi paramilitari” che “sono legati alle autorità statali”, e tengono “sotto assedio” questa zona da quasi nove mesi, precisa Amnesty International (AI), sezione Messico.

In conferenza stampa Eeva e Raimo erano accompagnati da Alberto Herrera, direttore esecutivo di AI Messico; David Peña, dell’Associazione Nazionale Avvocati Democratici, ed Omar Esparza Zárate, vedovo di Bety Cariño.

Eeva ha informato che nel pomeriggio (di ieri) avrebbero incontrato funzionari della Procura Generale della Repubblica e che oggi avranno un incontro col governatore eletto di Oaxaca, Gabino Cué. Inoltre ha comunicato che resteranno a Oaxaca una settimana per “incontrare amici ed amiche di Jyri”.

Ha precisato che l’unica informazione ufficiale ricevuta sull’assassinio del figlio è stata una relazione “molto generale” ricevuta a luglio scorso dall’ambasciata del Messico in Finlandia, nella quale “non ci sono dettagli, dicono di aver indagato, ma non dicono molto su come è morto Jyri”.

Raimo Jaakkola ha espresso anche la sua preoccupazione che quanto accaduto a suo figlio e a Bety Cariño possa succedere ad altri difensori dei diritti umani, per questo ha chiesto alle autorità di “risolvere questi casi e garantire la sicurezza” ai difensori delle garanzie individuali.

Eeva ha detto: “Come madre di Jyri sono solidale con le donne triquis che hanno perso i loro figli. Speravamo di poter incontrare alcune di loro che dovevano venire a Città del Messico da San Juan Copala, ma sappiamo che la carovana è stata annullata per tre nuovi omicidi.

“Amábamos a Jyri. No hay nada peor que perder un hijo. Estamos orgullosos de su manera de pensar y vivir; su entendimiento de la solidaridad era compartir la vida con las alegrías y tristezas, pero también con los riesgos. Queremos justicia para él, pero también para la gente con quienes vivía y trabajaba. Es muy importante que se resuelva el caso de Jyri y Bety (…) Esperamos que la solución de sus asesinatos sea un paso para cambiar la cultura de impunidad y garantizar la seguridad para los pueblos indígenas y los defensores de los derechos humanos”.

Herrera ha criticato che in Messico il governo non instauri “meccanismi di protezione per gli attivisti a rischio ed un protocollo di indagine per evitare che gli attacchi restino impuniti”, ed ha chiesto: “Quante altre raccomandazioni di istanze internazionali ci vogliono per adottare provvedimenti efficaci?”. Ha sollecitato il titolare di Governo, Francisco Blake, ad occuparsi della questione.

Peña ha affermato che lo Stato messicano “non ha coscienza del valore del lavoro” degli attivisti dei diritti umani ed ha dichiarato che non solo genera provvedimenti di controllo, ma “aggredisce gli attivisti”. Esparza ha annunciato la nascita di una piattaforma che lavorerà per la giustizia in questi casi e perché il 27 aprile sia commemorato come il giorno del difensore dei diritti umani.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Liberi gli assassini di Acteal.

La Jornada – Mercoledì 25 agosto 2010

Vogliono liberare altri responsabili del massacro di Acteal

Hermann Bellinghausen

L’organizzazione civile Las Abejas, del Chiapas, denuncia che prosegue la campagna per liberare altri paramilitari responsabili del massacro di Acteal avvenuto nel dicembre del 1997. “Con le nostre campagne contro l’impunità non pensiamo solo a noi stessi”, sostengono. “Pensiamo a tutti i messicani, affinché non si ripeta da nessuna parte un altro Acteal”. Invece, chi vuole liberare i paramilitari “favorisce l’impunità, approfondisce le divisioni, diffonde l’inganno e la menzogna e in questo modo prepara il terreno per altri Acteal ed affinché il popolo possa essere più facilmente spogliato del suo territorio e delle sue risorse”.

Las Abejas, aggiungono, “tessiamo la verità e la memoria, il malgoverno e le persone che difendono e proteggono i paramilitari distorcono la nostra parola e preparano strategie politiche per cancellare la memoria”. Ancora molti non hanno nella coscienza e nel cuore che Acteal è il prodotto della guerra di contrainsurgencia perpetrata dallo Stato messicano”. Intanto, denunciano, sui giornali e in TV appaiono “testimonianze di amici dei paramilitari che dicono che quelli liberati l’anno scorso dalla Corte Suprema non rappresentano un pericolo per i sopravvissuti e che è ingiusto che non possano ritornare nelle proprie case a Chenalhó; e così proseguono nella campagna per la liberazione di coloro che massacrarono 45 persone il 22 dicembre 1997”.

Citano le parole “dei rilasciati e di quelli ancora in carcere, i quali dicono di essere in prigione solo perché sono evangelici, o poveri e indigeni”. Ed è vero, ammettono Las Abejas. “Sono tzotziles, stanno male come noi a causa delle politiche del malgoverno, ma non è vero che si trovano in prigione perché sono evangelici. Prima del massacro, avevamo denunciato che nel gruppo paramilitare formato dal PRI e dal Fronte Cardenista era ben chiara la loro consegna quando venivano a minacciarci nelle nostre case. Queste bande, unite per distruggere la lotta dell’EZLN e Las Abejas a Chenalhó, erano composte da gente comune (non appartenente a nessuna religione), cattolici, presbiteriani, pentecostali”.

Ciò nonostante, il governo “con la complicità di pastori evangelici”, cercando “di deviare le indagini sugli autori intellettuali, tentò di liquidare la causa del massacro come ‘conflitto religioso’, e molti paramilitari che non appartenevano a quella religione sono diventati evangelici in prigione”. Con questa “manipolazione” della verità, molti evangelici e laici “sono caduti nella trappola”, senza accorgersi che “è una vecchia tattica dei potenti e degli oppressori presentare le vittime come i carnefici, ed i carnefici come le vittime”. Così, “ora risulta che i paramilitari che hanno rubato ed ammazzato sono le vittime che soffrono per la loro religione evangelica, mentre le vittime e i sopravvissuti del massacro sono i cattivi che vogliono mettere in prigione degli ‘innocenti’”.

Con altre “bugie e manipolazioni”, i paramilitari si “firmano come ‘La Voz de los Mártires’, nei loro video usano le immagini dei sopravvissuti di Acteal e sostengono di non aver avuto niente a che vedere col massacro”. Tuttavia, secondo Las Abejas “esistono testimonianze di familiari e mogli dei paramilitari che non negano quello che successe prima e durante il massacro, che dissero loro di non mettersi nei guai quando incominciarono a rubare i beni e bruciare le case dei nostri fratelli zapatisti”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Comunità contro la CFE.

La Jornada – Martedì 24 agosto 2010

Municipi del Chiapas si oppongono alla CFE

Hermann Bellinghusen

Riuniti nel Forum della Resistenza Civile, che si è svolto nella comunità Señor del Pozo (municipio di Comitán, Chiapas), rappresentanti di 15 municipi, aderenti all’Altra Campagna dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale questo fine settimana hanno deciso di “non negoziare oltre le elevate tariffe dell’energia elettrica”, e sollecitano “tutti i villaggi ad organizzarsi e formare tecnici per resistere alle aggressioni della Commissione Federale di Elettricità (CFE) e delle diverse istanze di governo”. Dunque, non permetteranno l’installazione dei contatori digitali e controlleranno le proprie comunità “attraverso la vigilanza della nostra stessa gente”.

Le comunità si sono dichiarate pronte ad “espellere le multinazionali che arrivino qui a rubare ed abusare”, ed hanno avvertito che non prevedono “nessuna negoziazione col malgoverno”, perché questo “amministra e manipola” i loro diritti.

Si sono pronunciati per un processo organizzativo con tutti quelli che sono in resistenza: “Non pagheremo fino a che non saranno applicati gli accordi di San Andrés e non ci sarà democrazia, giustizia e libertà”, ed anche per un maggiore controllo del loro territorio; la difesa delle risorse naturali; la fine della repressione e della militarizzazione; la libertà dei prigionieri politici e la libertà di espressione; l’autonomia e l’autodeterminazione dei popoli, così come il rispetto dei diritti delle donne e dei loro processi organizzativi.

Invitano “a lottare per una nuova Costituzione, un congresso costituente ed un piano nazionale di lotta per esercitare i nostri diritti come cittadini” con un governo “che comandi obbedendo al popolo e non agli impresari ed ai ricchi”.

Hanno partecipato al forum rappresentanti delle regioni Frontiera, Altos, Sierra, zona Nord e dello stato di Campeche. “In tutti i municipi del Chiapas sopportiamo elevate tariffe dell’energia elettrica; noi popoli in resistenza per oltre 15 anni abbiamo firmato accordi e patti col governo dello stato ma nessuno è mai stati applicato”.

Denunciano che ora “il governo ci sta sottraendo le nostre risorse naturali attraverso il Programma di Certificazione dei Diritti Ejidali e Assegnazione di Casolari Urbani ed il Fondo di Aiuti per i Nuclei Agrari senza Regolarizzare, dove cerca zone strategiche con potenziale di risorse che ci sottrae per consegnarle ad imprese straniere e gruppi di potere che governano il Messico”.

Denunciano che il Chiapas “si sta trasformando in un grande centro commerciale”, invaso dai grandi magazzini. Le comunità subiscono “l’esproprio di spazi nei mercati, spazi sportivi e naturali”.

I partecipanti al forum sostengono: “il governo implementa progetti che favoriscono le multinazionali, pregiudicando villaggi e comunità. Le economie contadine sono in crisi perché non sono competitive rispetto alle grandi imprese”, mentre i prodotti essenziali “sono ogni giorno sempre più cari, le tasse più alte, l’educazione e la salute più carenti e privatizzate ed i salari più bassi”.

Avvertono: “allo scopo di tenerci buoni ed impedire che ci organizziamo, il governo distribuisce progetti e si aprono bar e locali per favorire l’alcolismo, la tossicodipendenza, la divisione, la prostituzione, la delinquenza e tutto questo porta come conseguenza un clima di insicurezza”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 11 agosto 2010

Organizzazioni indigene se oppongono alla costruzione di una città rurale a Chenalhó

Hermann Bellinghausen, inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 10 agosto. Di fronte alle ripetute voci secondo le quali il governo dello stato vorrebbe costruire una nuova città rurale nel municipio di Chenalhó, le organizzazioni indigene indipendenti hanno manifestato il suo rifiuto: “Ci preoccupa che il progetto venga imposto senza consultare il popolo, e nel caso di consultazione, questa si basi su bugie ed omissioni”, dichiara l’organizzazione Pueblo Creyente, della parrocchia di San Pedro Chenalhó.

A fine luglio, la Sociedad Civil Las Abejas di Acteal aveva denunciato l’esistenza del progetto, “che sebbene ufficialmente negato dal malgoverno statale e municipale si sa che è previsto a Chenalho”.

Bisogna ricordare che a Santiago El Pinar, municipio situato tra Chenalhó e San Andrés, sta per terminare la costruzione di una città rurale molto pubblicizzata dal governo statale, e che è stata denunciata come azione “contrainsurgente” da analisti ed organizzazioni ambientaliste.

Las Abejas sostenevano: “Sappiamo che fa parte del Proyecto Mesoamericano, che non ha iniziato il malgoverno di Felipe Calderón né di Juan Sabines, ma di Carlos Salinas de Gortari quando firmò il Trattato di Libero Commercio, che causò l’insurrezione armata dei nostri fratelli zapatisti nel 1994”.

Da parte sua, nel bollettino più recente del Centro di Ricerche Economiche e Politiche di Azione Comunitaria (CIEPAC), la ricercatrice Mariela Zunino rileva: “La nuova ondata di appropriazione dello spazio comune e del territorio del Proyecto Mesoamérica procede in senso contrario alla costruzione dell’autonomia dei popoli e comunità indigene. In Chiapas, gli spazi gestiti autonomamente dall’EZLN avanzano verso la costruzione di una nuova territorialità, dove i piani e progetti neoliberali non hanno spazio” (21 luglio).

Unendosi a queste denunce, l’assemblea di Pueblo Creyente sostiene: “Le città rurali non sono state inventate dai governi di questo sessennio, ma hanno una storia lunghissima, vengono dalla colonizzazione dell’America; a quel tempo erano note come ‘reducciones‘, con l’obiettivo di rendere più facile ed efficiente il controllo della popolazione per riscuotere tributi, utilizzarla come manodopera nelle miniere, nelle piantagioni, nella costruzione delle città degli spagnoli e, ovviamente, per il controllo politico e militare”. Allora, come adesso, “si diceva che ci sarebbero stati vantaggi, che la concentrazione della popolazione permette ‘l’accesso ai servizi di base’, e serve per combattere la povertà”.

Pueblo Creyente “respinge assolutamente la costruzione delle città rurali, perché questo piano ha lo scopo di farci abbandonare le nostre terre affinché le imprese transnazionali le occupino ed una volta che siamo concentrati possano controllarci ed obbligarci a seminare altre coltivazioni che non siano più mais o fagioli. Sappiamo che il governo offre molti soldi per comprare le terre”.

La storia “no è finita”, aggiunge. “I governanti attuali continuano a spogliare i contadini, come i nostri fratelli di San Salvador Atenco, quando Vicente Fox voleva comprare le loro terre ma i contadini si rifiutarono e le difesero. Il governo per vendicarsi inventò contro di loro dei reati e li condannò alla prigione”.

Come espresso da Las Abejas due settimane fa, le città rurali ed i progetti neoliberali vogliono “aprire la strada alle multinazionali per imporre i loro progetti sul nostro territorio, in complicità con i governi servili del Messico che non rispettano gli accordi di San Andrés ed hanno creato la guerra di contrainsurgencia, culminata col massacro di Acteal”. Il governo di turno, concludevano, “continua la guerra contro di noi, con un’altra faccia, ma con lo stesso obiettivo di usurpazione delle nostre risorse naturali e trattandoci come oggetti e non come individui soggetti di diritto né soggetti della nostra stessa storia”. http://www.jornada.unam.mx/2010/08/11/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 10 agosto 2010

Specialisti: San Cristóbal de las Casas, verso il collasso ambientale

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 agosto. Questa città negli Altos del Chiapas potrebbe trovarsi sull’orlo del collasso ambientale, perché attraversa una crisi di rilevanti dimensioni, concordano decine di organizzazioni e cittadini. Così, le Comunità Ecclesiali di Base delle sette parrocchie del centro di San Cristóbal, oggi denunciano “la situazione triste e dolorosa per il deterioramento e la devastazione delle colline, lo sfruttamento indiscriminato delle cave di sabbia e ghiaia (a Salsipuedes ed altri luoghi), e la concessione di permessi di cambiamento d’uso del suolo per lottizzazioni in zone paludose”.

Solo giovedì scorso, cittadini, reti ed organizzazioni ambientaliste e della società civile, come noti studiosi di Ecosur, Ciesas e della UNAM, “preoccupati per il futuro e la sopravvivenza della nostra bella città ed impegnati nella difesa dell’inalienabile diritto della popolazione sancristobalense alla salute, alla cultura, allo svago e ad un ambiente sano”, hanno dichiarato che la città, dal 1974 Monumento Storico Nazionale, “è sottoposta alla brutale depredazione ambientale e distruzione della sua ricchezza culturale architettonica, realizzata dall’ambizione di potenti catene commerciali che contano sulla complicità delle autorità statali e locali corrotte”.

L’abbandono ufficiale della elementare manutenzione della struttura urbana aggrava il deterioramento ambientale. Le piogge torrenziali hanno reso inservibili strade e ponti, hanno distrutto i sistemi di scolo; grandi aree della città sono soggette a costanti inondazioni ed altre a scarsità di acqua. Il caos nelle strade è permanente.

Ambientalisti, accademici e comunità ecclesiali sono d’accordo nel denunciare i danni che causerebbe la programmata costruzione di un centro commerciale della catena La Soriana, “con l’appoggio del governo statale e del presidente municipale Mariano Díaz Ochoa”, sul viale Juan Sabines, spostando gli stadi municipali di calcio e baseball, palestre ed altre strutture sportive “che per oltre 40 anni servono allo svago e all’esercizio di sportivi e giovani sancristobalensi”.

Le autorità promettono “in cambio” nuovi stadi, molto più piccoli, che verrebbero costruiti nelle paludi del podere La Primavera, “contribuendo così alla scomparsa di questi importanti ecosistemi acquatici che contengono alta biodiversità e contribuiscono in maniera importante all’introduzione di migliaia di metri cubi d’acqua nei manti freatici ed alla regolazione climatica della valle di Jovel”.

Le comunità di base, rivolgendosi ai governi federale, statale e municipale ed alle giunte di buon governo dell’EZLN, sottolineano che non sono stati consultati i cittadini. “Le autorità agiscono in maniera arbitraria, ignorando i loro obblighi di proteggere, curare e difendere gli spazi decretati come zone di ricreazione e conservazione ecologica”.

Tali opere ubbidiscono ad interessi di imprese “che col pretesto di creare ‘posti di lavoro e sviluppo’ vengono imposte a costo del deterioramento ambientale”, che “porterà conseguenza gravi nel nostro futuro”. Invitano la società in generale ad unirsi “nella difesa delle risorse naturali nei nostri territori” e costruire una fronte comune contro “l’avanzata di progetti multinazionali sostenuti dai governi, che vogliono derubarci”.

Citano come esempio i progetti ecoturistici a San Sebastián Bachajón, Agua Clara, Agua Azul e l’autostrada San Crisóbal-Palenque e Comitán, progetto che “ha causato divisione, morte, minacce ed incarceramento, come nel caso di Mitzitón”. http://www.jornada.unam.mx/2010/08/10/index.php?section=politica&article=014n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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L’istruzione zapatista.

La Jornada – Giovedì 5 agosto 2010

È alternativo a quello ufficiale; la finalità è “condividere, imparare tutti insieme”

GLI ZAPATISTI ESPONGONO IL LORO MODELLO DI ISTRUZIONE

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, 4 agosto. La commissione di educazione della zona del caracol di La Garrucha, nella selva tzeltal, afferma che “stiamo costruendo l’educazione con le idee delle comunità” e a partire dalle loro richieste. Questo, durante un incontro con i membri della brigata europea di solidarietà con gli zapatisti che sono rimasti in Chiapas dopo il viaggio formale della commissione.

In quello che risulta essere la radiografia dal processo educativo autonomo nei quattro municipi zapatisti della zona, promotori e promotrici hanno spiegato che la finalità “è condividere, imparare tutti insieme”.

Bisogna dire che l’esperienza educativa nelle comunità ribelli ha dovuto necessariamente essere sperimentale per tre lustri, costruita controcorrente rispetto all’insegnamento ufficiale, rispetto al quale si pone come alternativa dal versante della resistenza.

Nel 2008, costituendosi a La Garrucha, si è rinnovata la dinamica educativa, “dopo aver lavorato per diversi anni nei quattro municipi”, la scuola autonoma zapatista Semillita del Sol sarà organizzata su tre livelli, dei quali fino ad ora ne funzionano due in tutte le scuole delle comunità.

Al primo livello, ha spiegato la commissione zapatista, “i bambini imparano a scrivere e disegnare; al secondo, a capire le richieste zapatiste, e al terzo si elaborano testi, comunicati, denunce, strategie del governo, la situazione del perché lottiamo e la costruzione dell’autonomia”.

A tutti i livelli, si studiano quattro aree (non “materie”, come le definisce la scuola ufficiale, avvertono i promotori indigeni): la storia, le lingue, vita e media, e matematica.

“Nella nostra storia, gli antenati si prendevano cura della terra, della natura, e si deve insegnare questo affinché queste esperienze non si perdano”, spiegano. E come gli indigeni costruiscono la propria autonomia “tenendo il passo con la storia degli antenati, prendendosi cura della terra e amandola”. Studiano la storia passata e quella attuale, la preservazione delle sementi, il lavoro collettivo, e “come si rafforzano la comunità e la resistenza”.

Si prende in considerazione la lingua materna, che può essere tzeltal (la più parlata nella zona), tzotzil, chol o tojolabal. I contenuti dell’insegnamento includono l’attenzione e la conservazione della terra e la natura, la distruzione e l’inquinamento, la gestione sostenibile della terra. E la matematica si impara “a partire dalle misure degli attacchi ai popoli indigeni, dallo sfruttamento”. Il tema dell’agroecologia è trattato nelle diverse aree e livelli, “poiché è presente nelle richieste delle comunità”.

Come riferisce la brigata europea, “nella scuola autonoma non si danno pagelle, ma si fanno valutazioni, si spiega come va il bambino o la bambina”. Non c’è nemmeno un’età fissa per andare a scuola, “anche agli adulti possono frequentarla”.

La commissione autonoma sostiene che i bambini vanno a scuola “per servire il popolo, non per andare poi a lavorare per il capitalismo”.

La formazione dei promotori si svolge in due centri, uno nel caracol di La Garrucha ed un altro, nella comunità La Culebra.

I contenuti educativi, come in generale l’esistenza quotidiana delle comunità ribelli, sono articolati nel loro stesso processo di lotta.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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