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Archive for gennaio 2018

INFORMAZIONI SUL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO. 

(ATTENZIONE: termine ultimo per l’iscrizione delle attività è il 9 febbraio 2018. Il termine per l’iscrizione ad assistere è l’8 marzo 2018).

Compagne, vogliamo condividere come procede la registrazione per l’Incontro che si svolgerà nei giorni 8, 9 e 10 marzo nel Caracol di Morelia, zona Tzotz Choj, Chiapas, Messico.

Abbiamo ricevuto via email 651 iscrizioni di persone di età che vanno dai 5 mesi ai 75 anni. 38 compagne verranno con le/i figl@.

I luoghi del mondo dai quali provengono sono Germania, Andorra, Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Guatemala, Honduras, Inghilterra, Italia, Nazione Mapuche, Nazione Cree e Ojibwa, Nazione Navajo, Svezia, Nicaragua, Paesi Baschi, Paraguay, Perù, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Svizzera, Uruguay, Venezuela, e 27 stati del Messico.

Nell’ambito delle partecipazioni politiche, artistiche e sportive ci sono 202 proposte che abbracciano le discipline di musica, danza, teatro, circo, clown, poesia, racconti, presentazione di libri, disegno, fotografia, cinema, calcio e pallavolo. Ci sono anche laboratori e discussioni con le seguenti tematiche:

Laboratori- Violenza di genere, yoga per bambin@, stencil, argilla, manifesti femministi, giochi di gruppo, valorizzazione ed utilizzo del sangue mestruale, genere, teatro, danza e pittura come mezzo di guarigione, sensibilizzazione, agricoltura sostenibile, violenze correttive come metodo per “curare” le donne lesbiche, tessuti, produzione di articoli per l’igiene personale, sciogliere il corpo, laboratorio sul corpo e resistenze creative, laboratorio di muralismo, femminismo delle donne di colore, decostruire i generi, cyber-femminismo, lavoro con il corpo, laboratorio di automassaggio, reiky, arte astratto-figurativa, scrittura libera, incisione, pittura, creazione di libri a partire dalle esperienze personali, aborto, biocostruzione, danza-terapia, cucina macrobiotica, incisione, umore e genere, aromaterapia, riflessologia.

Dibattiti – Discendenza femminile, il corpo della donna, forme di resistenza, difesa dei diritti umani e promozione della cultura, educazione antimaschilista, esperienze di sopravvissute alla violenza, lotta delle donne in Francia ed Italia, aborto, mestruazione e decostruzione dell’uso dei ruoli, femminicidi, esperienza di lotta del popolo Mapuche, maschilismo nei mezzi di comunicazione, la vista lesbica ai tempi del patriarcato, femminismo a Cuba, l’amore romantico e l’erotizzazione della violenza di genere, la violenza sessuale nel conflitto armato colombiano, la violenza verso la donna, razzismo, lotta contro le miniere, ecofeminismo, femminismi indigeni e neri, economia femminista e sostenibilità, sicurezza umana femminista.

Ci sono ancora molti messaggi email da leggere e vi ringraziamo per la pazienza, vi risponderemo presto.

Vogliamo inoltre comunicarvi che la data ultima per partecipare alle attività è domenica 9 febbraio compreso. Questo per poter organizzare la programmazione delle vostre attività.

Il limite per registrarsi per solo per assistere è l’8 marzo compreso. Dal 7 marzo inizierà la registrazione nel Caracol di Morelia.

L’indirizzo email per registrarsi è: encuentromujeresqueluchan@ezln.org.mx

 

Squadra di supporto al Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano.

25 gennaio 2018

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/01/25/avances-para-el-primer-encuentro-internacional-politico-artistico-deportivo-y-cultural-de-mujeres-que-luchan/

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María de Jesús non parla mai a proprio nome, ma a nome dei popoli che l’hanno scelta come loro portavoce. Non usa l’io, bensì il noi. Nelle riunioni non chiede di votare per lei, invita ad organizzarsi. Non dice lottate, ma lottiamo tutti insieme. Non chiede di essere appoggiata, aiutata o seguita: invita a pensare insieme al Messico che si desidera, a cominciare a camminare insieme e non fermarsi, ad organizzarsi e lottare insieme. 

La parola di Marichuy 

Luis Hernández Navarro 

Non vi portiamo cappellini, magliette od ombrellini, panini, generi alimentari, dice María de Jesús Patricio in alcuni dei suoi eventi nel viaggio che sta compiendo. Ma portiamo la parola che ci hanno mandato a dire.

María de Jesús Patricio – Marichuy la chiamano i suoi – è la dottoressa tradizionale nahua che funge da portavoce e candidata alla Presidenza da parte del Consiglio Indigeno di Governo (CIG). La parola che porta nelle comunità è quella che le mandano a dire i popoli originari che formano il consiglio.

Dal 14 ottobre scorso, Marichuy sta viaggiando in gran parte del paese. Non si ferma. Fino ad ora ha percorso Chiapas, Campeche, Yucatan, Quintana Roo, Tabasco, Veracruz, Puebla, stato del Messico, Morelos, Hidalgo, Colima, Jalisco, Aguascalientes, Zacatecas, San Luis Potosí, Querétaro e Città del Messico. Nella maggioranza di questi stati ha tenuto gli incontri non nelle grandi città, ma nelle comunità remote (molte di difficile accesso) dove le comunità indigene vivono e lottano.

In questi incontri María de Jesús ha parlato, ma anche ascoltato. Il 9 gennaio scorso, a Desemboque, Pitiquito, Sonora, ha riassunto quello che queste altre voci le hanno detto: Abbiamo ascoltato le molte sofferenze che vivono queste comunità, soprattutto quelle del sud del Messico.

La sorprende il gran numero di donne che partecipano, organizzano, dirigono e prendono la parola in questi eventi. La metà del cielo, solitamente invisibile nelle campagne politiche dei partiti istituzionali, occupa uno spazio immenso nel giro della portavoce del CIG. È come se il percorso di Marichuy avesse aperto un’enorme breccia nelle forme tradizionali di fare politica, nella quale si sono inserite le donne organizzate del Messico del basso per prendere il controllo del proprio destino.

María de Jesús non parla mai a proprio nome, ma a nome dei popoli che l’hanno scelta come loro portavoce. Non usa l’io, bensì il noi. Nelle riunioni non chiede di votare per lei, invita ad organizzarsi. Non dice lottate, ma lottiamo tutti insieme. Non chiede di essere appoggiata, aiutata o seguita: invita a pensare insieme al Messico che si desidera, a cominciare a camminare insieme e non fermarsi, ad organizzarsi e lottare insieme.

Perché María de Jesús Patricio ed il CIG partecipano alla congiuntura elettorale se non sono d’accordo con i partiti politici? Perché farlo se ritengono che questi hanno diviso e fatto scontrare le comunità? L’ha spiegato più volte (https://goo.gl/p4DpWi ).

Partecipano alla contesa elettorale non per arrivare al potere né per essere come quelli di sopra, ma perché vogliono che si guardino i nostri popoli indigeni e si ascoltino i loro problemi. Perché cercano di mettere ben in chiaro che le comunità indigene non sono d’accordo con il modo in cui si stanno accordando lassù quelli che hanno il potere e quelli che hanno il denaro. Perché devono denunciare l’imposizione alle comunità indigene dei megaprogetti che hanno portato distruzione e morte, inquinamento e deforestazione. Perché devono prepararsi ad affrontare la guerra che viene dalle imprese, dai governi e dai narcotrafficanti, insieme alla violenza che li accompagna da sempre, che sia dei loro poliziotti, militari o criminali. Perché è urgente fermare gli omicidi, le sparizioni e gli arresti che subiscono per difendere le loro terre, territori e risorse naturali. Perché non vogliono più essere ignorati, abbandonati e umiliati. Perché ci sono comunità sul punto di sparire. Perché da loro dipende che continui ad esserci vita per quelli che verranno dopo.

“Partecipiamo a questo processo – ha detto la portavoce del CIG lo scorso 12 gennaio a Mesa Colorada, territorio guajirio – affinché i media si voltino a guardare e vedano che i nostri popoli stanno soffrendo, che hanno problemi di terra, che hanno problemi di inquinamento delle acque, che hanno problemi con le miniere a cielo aperto che inquinano, con le centrali idroelettriche, i gasdotti, gli impianti eolici che contaminano la terra, con gli ogm che inquinando le nostre coltivazioni, il nostro mais, i nostri fagioli.”

La parola di Marichuy non è rivolta solo ai popoli indigeni, ma anche, ai lavoratori delle campagne e delle città, alle donne, ai giovani, agli studenti, agli operai, ai maestri, perché – spiega – questo sistema capitalista non incombe solo sui nostri villaggi, ma ovunque, in tutto il mondo. In questa lotta proposta dalle comunità indigene – dice – ci stanno tutti quelli che sentono che questo Messico è nostro, e che se ne stanno appropriando in pochi, i pochi che hanno il potere e che hanno il denaro, per i quali noi non serviamo, ma siamo di disturbo.

In pochi paesi dell’America Latina ci sono tante lotte di resistenza quante in Messico. Tuttavia, in maggioranza sono disperse e isolate, come le perle di una collana a cui è stato rotto il filo che le unisce. Nel suo percorso per i villaggi e le comunità in resistenza, Marichuy ed il CIG cercano di infilare nuovamente queste perle perché formino la collana capace di cambiare la rotta della storia.

L’orizzonte della sua proposta – ha insistito Marichuy – non si ferma al 2018, ma va ben oltre. Alla maniera dei popoli indigeni abituati a sognare in altro modo, rivendica un potere che deve stare in basso, capace di dire come devono essere i governanti; un potere che dica al governo quello che deve fare e non il contrario.

In un momento in cui l’insieme dei partiti ufficiali si è spostato a destra, il CIG e la sua portavoce stanno facendo una campagna in basso e a sinistra. Mentre la maggioranza dei candidati parla della disuguaglianza, della corruzione o dell’insicurezza, Marichuy cita a chiare lettere quello che gli altri tacciono: la depredazione, lo sfruttamento, il razzismo e l’oppressione provocati dal capitalismo, e la necessità di organizzarsi e lottare contro di essi. Per questo e perché non porta cappellini, magliette, ombrellini, panini o generi alimentari, ma la parola delle comunità indigene, Marichuy deve esserci sulla scheda elettorale per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Twitter @lhan55

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2018/01/23/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Auguri fraterni agli insurgentes e insurgentas, miliziani e miliziane ed alle basi di appoggio dell’EZLN, a 24 anni della guerra contro l’oblio. Questa guerra genocida che gli zapatisti denunciavano nel 1994 non solo non è cessata, ma si è intensificata fino a fare del Messico il secondo paese più letale, dopo la Siria, secondo l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, che segnala un conflitto armato non riconosciuto, una catastrofe umanitaria dove il protrarsi della violenza omicida dura ormai da più di un decennio con intensità costante.

EZLN: 24 anni di dignità e coerenza etica 

Gilberto López y Rivas 

Il primo gennaio scorso si è celebrato un altro anniversario della sollevazione dei maya zapatisti a seguito della quale fu pubblica l’esistenza di un gruppo insorto formato in maggioranza da indigeni che in base all’articolo 39 della Costituzione dichiarò guerra al malgoverno dell’usurpatore Carlos Salinas de Gortari. A 24 anni da quell’avvenimento dai molteplici significati storici che scosse il Messico e il mondo, è attuale più che mai la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, nella quale l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si rivolge così al POPOLO DEL MESSICO (con le maiuscole): Noi, uomini e donne integri e liberi, siamo coscienti che la guerra che dichiariamo è una misura estrema ma giusta. Da molti anni i dittatori praticano una guerra genocida non dichiarata contro i nostri popoli, e per questo chiediamo la tua decisa partecipazione per appoggiare questo progetto del popolo messicano che lotta per lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, educazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace.

Questa guerra genocida che gli zapatisti denunciavano nel 1994 non solo non è cessata, ma si è intensificata fino a fare del Messico il secondo paese più letale, dopo la Siria, secondo l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, che segnala un conflitto armato non riconosciuto, una catastrofe umanitaria dove il protrarsi della violenza omicida dura ormai da più di un decennio con intensità costante. Nello stesso tempo, le riforme strutturali promosse dai governi di tradimento nazionale che si sono succeduti in questi anni di regime di partiti di Stato che legalizzano la depredazione ri-colonizzatrice e la denazionalizzazione di territori e risorse strategiche, così come la Legge di Sicurezza Interna che legalizza la militarizzazione del paese e la mano dura delle forze armate contro il popolo, fanno sì che le domande per le quali gli zapatisti sono andati in guerra siano sempre più attuali e legittime. Il Messico inizia questo 2018 nel peggiore delle situazioni che si ricordano dal conflitto armato del 1910-1917, che costò la vita ad un milione di persone, quando la popolazione totale era di 16 milioni di abitanti.

In questi 24 anni, l’EZLN ha persistito nel suo progetto di emancipazione e sempre e in diversi modi e con molte iniziative invitano tutti e tutte messicani e messicane, ad unirci al loro progetto di trasformare radicalmente la tragica realtà nazionale. Ricordiamo l’apertura alla società civile dei Dialoghi di San Andrés, la Convenzione Nazionale Democratica, la Marcia del Colore della Terra, gli Incontri Intergalattici, la Escuelita, i seminari per stimolare il pensiero critico tra gli intellettuali, gli artisti e gli scienziati, ed i molti modi di solidarizzare con le lotte di quelli che stanno in basso e a sinistra. La Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona è la sintesi della ricerca permanente dell’EZLN di articolare le lotte libertarie nell’ambito nazionale: “Continueremo a lottare per i popoli indio del Messico, ma non solo per loro né solo con loro, ma per tutti gli sfruttati e diseredati del Messico, con tutti loro e in tutto il paese (…) Ascolteremo e parleremo direttamente senza intermediari né mediazioni con la gente semplice ed umile del popolo messicano e, secondo quello che sentiremo ed apprenderemo, costruiremo insieme a questa gente che è come noi, umile e semplice, un programma nazionale di lotta, ma un programma che sia chiaramente di sinistra, cioè anticapitalista, cioè antineoliberista, cioè per la giustizia, la democrazia e la libertà del popolo messicano”.

Durante tutti questi anni, l’EZLN è stato la coscienza critica incorruttibile di fronte allo Stato ea alla società. È stato lo specchio nel quale la sinistra istituzionale e gli intellettuali di sistema hanno visto la loro perdita di principi morali e convinzioni anticapitaliste, il loro autismo di fronte alla guerra di pulizia sociale contro il popolo, il loro spostamento verso una comoda alternanza che non pone minimamente a rischio il sistema di sfruttamento della forza di lavoro più a buon mercato del pianeta, né la dominazione imperialista esercitata dagli Stati Uniti su un paese in rovina. Da qui l’odio viscerale dei pubblici ministeri d’ufficio antizapatisti di un’intellighenzia che da molto tempo ha rinunciato al pensiero critico; che personifica e proietta le sue frustrazioni e risentimenti nella figura del subcomandante Marcos-Galeano.

In questi anni, i popoli maya raggruppati nell’EZLN hanno dato un esempio di resistenza propositiva costruendo le loro autonomie, rafforzando i loro governi nei quali si comanda obbedendo e nei quali migliaia di donne e uomini si sono preparati per essere le autorità di una democrazia diretta e partecipata. Le bambine e i bambini, giovani di entrambi i sessi sono stati educati e formati in base ai sette principi etici zapatisti: servire e non servirsi, rappresentare e non soppiantare, costruire e non distruggere, obbedire e non comandare, proporre e non imporre, convincere e non vincere, scendere e non salire; una concezione del mondo e della politica, di quel per tutti tutto, per noi, niente, che si situa al polo equidistante del narcisismo individualista della generazione del selfie.

L’ultima delle iniziative sorte in seno ai maya zapatisti è la proposta assunta dal Congresso Nazionale Indigeno di formare un Consiglio Indigeno di Governo la cui portavoce, María de Jesús Patricio Martínez, Marichuy, sia inserita nella sceda elettorale delle elezioni presidenziali di questo anno. Di nuovo, ci invitano ad organizzarci per affrontare l’idra capitalista, il malgoverno e la partitocrazia che lo sostiene. La società civile messicana, i lavoratori, gli intellettuali, la gioventù, principalmente, saranno preparati a questa sfida che gli zapatisti ed il CNI ci lanciano? Lasceremo passare l’opportunità di unirci per lottare contro il malgoverno, per la giustizia, la democrazia e la libertà dei popoli della patria-matria messicana?

Auguri fraterni agli insurgentes e insurgentas, miliziani e miliziane ed alle basi di appoggio dell’EZLN, a 24 anni della guerra contro l’oblio. http://www.jornada.unam.mx/2018/01/12/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Radio Onda d’Urto intervista  Maria de Jesus Patricio Martinez, più conosciuta come Marichuy, la portavoce del Consiglio Nazionale Indigeno che le popolazioni native, insieme all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, hanno deciso di candidare alle elezioni presidenziali del Messico in calendario nel 2018 http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2018/01/chiapas-marichuy-intervista.mp3

523 comunità appartenenti a 25 stati del Messico, in rappresentanza di 43 popoli originari, hanno così designato Marichuy come la propria candidata. “La nostra lotta non è per il potere, non lo stiamo cercando. Chiediamo ai popoli orginari e alla società civile di organizzarsi per fermare questa distruzione, rafforzarci nelle nostre lotte di resistenza e ribellione, ossia nella difesa della vita di ogni persona, di ogni famiglia, collettivo, comunità o quartiere. Di costruire la pace e la giustizia, per riannodare i legami dal basso, dove siamo quello che siamo”, hanno detto in una nota congiunta il Cni e l’EZLN. Da diversi mesi Marichuy sta percorrendo tutto il Messico per spiegare il percorso nato nel gennaio del 2017 con la costituzione del Congresso Indigeno di Governo e la necessità di raccogliere ben un milione di firme, il numero previsto dalla legge messicana per rendere effettiva la candidatura.

Andrea Cegna, della nostra redazione, ha intervistato Marichuy durante una tappa della raccolta firme a Città del Messico, la capitale federale messicana. Ascolta o scarica qui.

Messico, intervista a Marichuy: «Una candidatura dal basso e femminista»

Messico. Intervista a Marichuy proposta alla presidenza del Messico dagli zapatisti, durante il suo tour per raccogliere le firme necessarie.

Andrea Cegna, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Dicembre 2017.

Il viaggio senza sosta di Marichuy, iniziato a metà novembre alla ricerca delle firme necessarie per rendere reale la sua candidatura a presidentessa del Messico, si è fermato solo a inizio gennaio.

Una pausa solo «spaziale» perché i giorni a Città del Messico sono serviti per riunioni di verifica, valutazione e coordinamento tra i delegati del «Congreso Nacional Indígena», la società civile e gli intellettuali che supportano il percorso.

Tra una riunione e l’altra Marichuy ha dialogato con la stampa nazionale e internazionale. Sono quasi un milione le firme necessarie per rendere reale e «sostanziale» una candidatura fuori dai partiti; si tratta di un numero molto alto che mostra lo iato tra la democrazia apparente e reale del sistema politico messicano. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Marichuy per capire il significato del percorso intrapreso dal CNI sulla spinta dell’EZLN arrivata ormai un anno fa.

Una parte della sinistra messicana ha paura che porterete via voti a MoReNa (vedi scheda) e alla possibilità di un cambio di governo che rompa la dicotomia Pan/Pri, se potessi rispondere alle loro paure cosa diresti?
Che noi non toglieremo voti a nessuno. Credo che la gente sappia cosa vuole votare. Quello che stiamo chiedendo per ora è una firma per rendere effettiva la candidatura, non un voto. Firmare ora per me non implica votare per me a luglio. Non sappiamo nemmeno se raccoglieremo le firme necessarie. La nostra proposta è stata chiara dall’inizio: si tratta di una proposta organizzativa. Chi voterà ha chiaro chi appoggiare alle elezioni. Noi abbiamo sempre sostenuto la nostra sfiducia in coloro che governano ogni sei anni. Nelle comunità non abbiamo visto alcun cambiamento, la situazione nei villaggi è sempre peggio. La nostra proposta è diversa: attraverso l’organizzazione dal basso il popolo avrà il potere nelle sue mani e il governo deve ascoltare il popolo organizzato. Starà alla gente decidere.

Cos’è il femminismo per te, e perché oggi è fondamentale in Messico e nel mondo?
Quando una donna decide di partecipare, non c’è nulla che può fermarla. Ancor di più in questi tempi segnati da un numero esorbitante di femminicidi, non solo in Messico ma nel mondo. Le strutture patriarcali costruite non facilitano la partecipazione delle donne. Dobbiamo quindi partecipare con più decisione, senza paura. Se come hanno fatto tante donne, riusciremo anche noi a modificare le relazioni di forza, lottando, e se riusciremo a metterci d’accordo e così facendo costruire dal basso ciò che vogliamo, è chiaro che otterremo un altro mondo. Lottiamo anche per chi verrà dopo di noi. Come Congresso Nazionale Indigeno dobbiamo partecipare insieme, gli uomini valgono quanto le donne. Noi donne dobbiamo partecipare con più decisione e coraggio, dobbiamo essere forti per continuare a costruire l’autonomia.

Tu sei donna e indigena e i tuoi messaggi al riguardo sono molto chiari. Per chi non è donna e indigena, quindi, puoi spiegarci cosa significa vivere questa condizione in un paese come il Messico?
Essere donna significa essere considerata di seconda categoria. Essere donna e indigena significa essere considerata di terza categoria. Significa non essere mai prese in considerazione. La donna è considerata unicamente capace di fare figli e stare a casa per occuparsi della famiglia. Questo dovrebbe essere il suo compito per i più. La nostra proposta si basa sulla partecipazione delle donne. Tante donne hanno preso parte con ruoli importanti alla nostra lotta pur senza essere prese in considerazione. Quindi crediamo in un’organizzazione dal basso che, senza la partecipazione delle donne, non sarebbe per niente completa.

Il percorso elettorale si basa anche sui «numeri» se non raggiungerete l’obiettivo delle firme cosa può succedere? Si rischia di dare un segnale di debolezza? Se invece raccoglierete le firme sarà una prova di forza?
Abbiamo detto che avremmo partecipato nel processo elettorale e abbiamo assunto il compito di raccogliere le firme per poter apparire sulla scheda elettorale a luglio, ma allo stesso tempo pensiamo che il nostro percorso non si fermerà se non raggiungeremo questo risultato. La partecipazione al processo elettorale ha uno scopo organizzativo: se non raccogliamo le firme, ma riusciamo a creare un’organizzazione forte, dal basso, che duri, questa sarebbe una vittoria. Metteremo tutto le energie necessarie per nella raccolta delle firme necessarie e continueremo a creare e rafforzare la rete che stiamo creando giorno dopo giorno.

Il Messico è un paese magico e meraviglioso e nonostante le lotte sociali sta perfino peggiorando. La violenza è una forma di controllo, e con la scusa della guerra ai narcos si danno pieni poteri all’esercito. Come pensi che sia cambiato il tuo paese negli ultimi 20 anni?
Proprio adesso che è stata approvata la legge di sicurezza interna noi vediamo una minaccia. Nel caso di una manifestazione o di qualsiasi iniziativa contro qualunque ingiustizia la risposta sarà la repressione. Nessuna legge emanata negli ultimi anni fa gli interessi delle comunità o dei lavoratori o delle lavoratrici o di chi soffre povertà e discriminazioni. Difendono unicamente gli interessi di chi sta in alto, degli alleati del sistema capitalista che porta solo morte e distruzione e cammina mano nella mano con la polizia e l’esercito. Niente di tutto quello che viene dall’alto serve veramente ai popoli. La distruzione viene sempre accompagnata dalla repressione dello stato. Il prezzo lo pagano i poveri che si vedono saccheggiati di tutto.

La proposta del CNI non si rivolge solo al mondo indigeno. Come spiegheresti il senso politico della vostra proposta anche a chi indigeno non è?
È una proposta che viene dai popoli indigeni per il Messico. Che vuol dire questo? Noi popoli indigeni che abbiamo partecipato al CNI abbiamo visto i danni che i mega progetti del sistema capitalista hanno generato portando solo distruzione, inquinamento, e deterioramento della natura. L’impatto su tutti e tutte, non solo sui popoli indigeni. Se l’acqua è contaminata, è contaminata per tutte e tutti. Anche per gli alberi, così si modifica l’intero ciclo della vita. Guardiamo come viene distrutta la terra, come viene contaminata. Quando la terra morirà, moriremo insieme a lei. Proprio per questo la nostra è una proposta rivolta a tutte le persone che soffrono e vivono in Messico e nel mondo. Questo processo di organizzazione è per la difesa della vita, perché vogliamo che la vita continui ad esistere per tutte e tutti. Non solo per i popoli indigeni, non solo fino a luglio.

Che differenza c’è tra la «otra campaña» del 2006 (lanciata dagli zapatisti per coordinare la sinistra radicale e internazionale, con un tour che partì in motocicletta – ndr) e il tuo percorso per il Messico?
La vediamo come una continuazione. Questa volta attraverso la partecipazione diretta al processo elettorale. È la sua naturale continuazione nella costruzione dal basso di qualcosa di nuovo, una maniera per rafforzare l’autonomia in ogni comunità, in ogni quartiere, in ogni zona delle città e di tutto il mondo.
Un’ultima domanda, come funziona il Consiglio Indigeno di Governo(CIG)?
I CIG sono formati da sorelle e fratelli che hanno ricevuto il mandato dalle proprie comunità e dai propri popoli per partecipare al processo elettorale. Visto che alla presidenza della repubblica non si può candidare un gruppo di persone è stata scelta una portavoce, in questo caso la sottoscritta. Il CIG è la nostra proposta di governo: dove il popolo comanda e il governo esegue. Se il governo non obbedisce al popolo, il popolo lo può destituire. Molte comunità già si governano così. È quello che vogliamo proporre, ma più in grande, per tutto il Messico. Con l’organizzazione dal basso quindi vigilare l’operato del governo. Come ho già detto la nostra è una proposta diversa.

Pubblicato da il Manifesto edizione del 13.01.2018  https://ilmanifesto.it/edizione/il-manifesto-del-13-01-2018/

 

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In questi 24 anni abbiamo costruito la nostra autonomia, sviluppato le nostre diverse aree di lavoro, consolidato le nostre tre istanze di governo autonomo, formalizzato i nostri sistemi di salute ed educazione, creato e rafforzato i nostri lavori collettivi, ed in tutti questi spazi di autonomia conta la partecipazione di tutti e tutte, donne, uomini, giovani e bambin@. E così stiamo dimostrando che noi popoli originari abbiamo la facoltà e la capacità di governarci da soli, non abbiamo bisogno dell’intervento di nessun partito politico che solo inganna, promette e divide le nostre comunità e non accettiamo nessun tipo di aiuto dai governi ufficiali. Non accettiamo nemmeno che qualcuno ci venga a dire che cosa possiamo o non possiamo fare. 

Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia General dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, 1° gennaio 2018. 

24° Anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. 

 

BUONA NOTTE, BUON GIORNO:

COMPAGNI, COMPAGNE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE.

COMPAGNI, COMPAGNE RESPONSABILI LOCALI, REGIONALI ED AUTORITÀ DELLE TRE ISTANZE DI GOVERNO AUTONOMO.

COMPAGNI E COMPAGNE PROMOTORI E PROMOTRICI DELLE DIVERSE AREE DI LAVORO.

COMPAGNE E COMPAGNI MILIZIANE E MILIZIANI.

COMPAGNI E COMPAGNE INSURGENTES E INSURGENTAS OVUNQUE SIATE.

COMPAGNI, COMPAGNE DELLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE.

COMPAGNI, COMPAGNE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO.

COMPAGNI, COMPAGNE DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E LA SUA PORTAVOCE MARIA DE JESUS PATRICIO MARTINEZ DOVUNQUE CI ASCOLTIATE.

FRATELLI E SORELLE DI TUTTI I POPOLI ORIGINARI DEL MONDO CHE CI ASCOLTATE.

FRATELLI E SORELLE SCIENZIATI E SCIENZIATE DEI MOLTI PAESI CHE CI ACCOMPAGNATE.

FRATELLI E SORELLE DEL MESSICO, DELL’AMERICA E DEL MONDO CHE OGGI CI ACCOMPAGNATE O CI ASCOLTATE OVUNAUE SIATE.

FRATELLI E SORELLE DEI MEDIA LIBERI E ALTERNATIVI, NAZIONALI E INTERNAZIONALI.

Oggi, 1º gennaio 2018 celebriamo il 24° anniversario della nostra sollevazione armata contro il malgoverno e il sistema capitalista neoliberale causa di ogni tipo di morte e distruzione.

Come popoli originari, da più di 520 anni ci hanno sottomessi attraverso lo sfruttamento, l’emarginazione, l’umiliazione, il disprezzo, l’oblio e la depredazione delle nostre terre e ricchezze naturali in tutto il territorio messicano.

Per questo il 1° Gennaio 1994 abbiamo detto BASTA! di vivere in così tanta ingiustizia e morte, e così abbiamo fatto conoscere al popolo del Messico e al mondo le nostre domande di Democrazia, Libertà e Giustizia per tutti, terra, lavoro, abitazione degna, alimentazione, salute, educazione, indipendenza, democrazia, libertà, giustizia e pace.

Ed ora la violenza è diffusa ovunque e si uccidono donne e bambini, anziani e giovani e perfino madre natura ne è vittima.

Per questo diciamo che la nostra lotta è per la vita, per una vita degna.

Mentre il capitalismo è il sistema della morte violenta, della distruzione, dello sfruttamento, del furto, del disprezzo.

Questo è quello che manca a tutti i popoli originari ed alla stragrande maggioranza degli abitanti di questo paese, il Messico, e di tutto il mondo.

Perché, vi chiedo, Chi ha una vita degna? Chi non vive l’angoscia di poter essere assassinata, derubato, deriso, umiliato, sfruttato?

Se c’è chi è tranquillo e non se ne preoccupa, bene, queste parole non sono per te.

Ma forse vedi e senti che tutto sta andando sempre peggio.

Non solo c’è che il lavoro è malpagato e non basta per poter vivere dignitosamente.

Ora c’è anche che i gruppi criminali, soprattutto quelli che sono governi, rubano o, peggio, ci uccidono, perché solo così stanno bene.

Dunque, se pensi che succede così perché così vuole il tuo dio, o perché è per sfortuna, o perché è il destino che ti è toccato, allora queste parole non sono nemmeno per te.

Le nostre domande sono giuste e, come abbiamo detto pubblicamente 24 anni fa, non sono solo per noi popoli originari o indigeni, ma chiunque non sia criminale o stupido, o le due cose, sa che sono istanze giuste e sempre più necessarie e urgenti.

Ma la risposta dei malgoverni è stata: hai l’elemosina, quindi accontentati, perché se continui a pretendere ho qui i miei eserciti, i miei poliziotti, i miei giudici, le mie prigioni, i miei paramilitari, i miei narcotrafficanti, e tu hai solo il tuo cimitero.

Allora noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo detto loro: non chiediamo elemosine, vogliamo rispetto per la nostra dignità.

E i malgoverni hanno risposto che non sanno che cos’è la dignità. Che questa parola è maya o è di un altro pianeta, perché non c’è nei loro dizionari, né nella loro mente, né nella loro vita.

È così tanto tempo che sono servi e leccaculi dei ricchi, che hanno ormai dimenticato cos’è la dignità.

Siccome questi malgoverni sono abituati ad arrendersi, a vendersi, a cedere, pensano che tutti siano così, che tutto il mondo sia così, che non ci sia chi parli, pensi, lotti, viva e muoia senza arrendersi, vendersi, cedere.

Per questo non capiscono lo zapatismo. Per questo non comprendono i mille nomi che la resistenza e la ribellione assumono in molti angoli del Messico e del mondo.

Il sistema è così, compagna, compagno, fratello, sorella, quello che non capisce lo fa perseguire, imprigionare, assassinare, sparire.

Perché vuole un mondo domo, come se le persone fossero bestie da soma che devono obbedire a quello che dice il padrone, il prepotente, e se non obbediscono, botte, bastonate, reclusione, fucilate.

Per il capitalismo la resistenza e la ribellione sono una malattia che lo assale, gli dà mal di testa, gli dà un calcio nei coglioni, gli sputa in faccia. Gli fa male.

E la medicina del capitalismo per questo sono i poliziotti, le prigioni, gli eserciti, i paramilitari, i cimiteri se hai fortuna, se no, chissà dove ti buttano.

Ed è così anche se non c’è resistenza e ribellione, anche se stai tranquillo e sei un buon cittadino che vota per il Trump di turno nel tuo calendario e nella tua geografia.

E magari critichi e ti lamenti di quelli che protestano e si ribellano. E dici “andate a lavorare e smettetela di lamentarvi” quando si protesta per Acteal, o per l’Asilo ABC, o per Atenco, o per Ayotzinapa, o per i Mapuche, o per qualsiasi nome abbia la disgrazia che si abbatte.

Tu credi che tutto questo succeda lontano da casa tua, dalla tua strada, dal tuo paese o quartiere, dal tuo lavoro, dalla tua scuola, dalla tua famiglia, e invece no. Tutto questo che si sa e molti orrori di cui non sappiamo, succedono proprio vicino a te.

Perché anche se credi che non ti tocchino, invece sì che ti toccano, a te o a qualcuno vicino a te.

Perché il sistema e i suoi governi hanno oramai perso il controllo, sono impazziti, sono ubriachi di denaro e di sangue e travolgono tutto e tutti e, soprattutto, tutte e todoas.

Dunque, sorella, fratello, compagno, compagna, se tu pensi che la situazione è molto difficile e che non è più sopportabile, allora bisogna sapere che cosa farai.

Se pensi che qualcuno, un leader, un partito, un’avanguardia risolva tutti i problemi e che devi solo mettere una crocetta su una scheda, così facilmente, ok, pensa pure che sia così.

Allora, queste parole non sono per te. Resta tranquillo o tranquilla in attesa della nuova presa in giro, la nuova frode, il nuovo inganno, la nuova bugia, la nuova delusione. Che non sono nuove, sono le stesse di sempre, cambiano solo di data nel calendario.

Ma, forse pensi che si possa fare qualcosa di più. E ti domandi se si può, o se la lotta, la resistenza, la ribellione stiano solo nelle canzoni, nelle poesie, sui cartelli e nei cimiteri.

Allora ti diciamo che noi, zapatiste e zapatisti, ci siamo chiesti tutto questo 24 anni fa quando siamo andati a morire per le strade e le piazze delle tue città.

E così ci hai visto. E così ci hanno visto anche coloro che si credono grandi dirigenti rivoluzionari che prima ci hanno disprezzato, come ci disprezzano ora, quando sono venuti a conoscenza della nostra lotta mentre cenavano e ridevano nei loro festeggiamenti di fine anno, mentre noi, zapatiste e zapatisti dell’EZLN ci mettevamo la vita e la morte dove loro mettono i musei.

Allora abbiamo reagito. Abbiamo detto, vediamo se si può vivere con dignità senza i malgoverni, senza dirigenti e senza leader e senza avanguardie piene di Lenin e Marx, ma assolutamente che non stanno con noi, zapatiste, zapatisti. Molto parlare di quello che dobbiamo o non dobbiamo fare, ma niente di concreto. E dagli con l’avanguardia, e il proletariato, e il partito, e la rivoluzione, e fatti una birra, un calice di vino, un arrosto in famiglia.

Niente da fare, abbiamo pensato, l’avanguardia rivoluzionaria è troppo occupata a provarsi abiti e parole per la vittoria, e quindi dobbiamo fare a modo nostro, come indigeni zapatisti.

Che non sono molti gli indigeni, e gli zapatisti sono ancora meno, perché non è da tutti essere zapatista.

E così abbiamo iniziato quello che ora si conosce come l’autonomia zapatista, ma che noi chiamiamo la libertà secondo noi, zapatiste e zapatisti, senza padroni, né capoccia, né leader, né dirigenti, né avanguardie.

In questi 24 anni abbiamo costruito la nostra autonomia, sviluppato le nostre diverse aree di lavoro, consolidato le nostre tre istanze di governo autonomo, formalizzato i nostri sistemi di salute ed educazione, creato e rafforzato i nostri lavori collettivi, ed in tutti questi spazi di autonomia conta la partecipazione di tutti e tutte, donne, uomini, giovani e bambin@.

E così stiamo dimostrando che noi popoli originari abbiamo la facoltà e la capacità di governarci da soli, non abbiamo bisogno dell’intervento di nessun partito politico che solo inganna, promette e divide le nostre comunità e non accettiamo nessun tipo di aiuto dai governi ufficiali. Non accettiamo nemmeno che qualcuno ci venga a dire che cosa possiamo o non possiamo fare. Qui discutiamo e concordiamo tutto collettivamente.

Per questo a volte ci mettiamo tanto tempo, ma quello che viene fuori è del collettivo. Se riesce bene, è merito collettivo. Se riesce male, è demerito collettivo.

Questo è il nostro modo, e se va bene o male, è lì da vedere; paragonate le vostre povertà con le nostre, le vostre morti con le nostre, le vostre malattie con le nostre, le vostre assenze con le nostre, le vostre sofferenze con le nostre, e vi accorgerete di paragonare i vostri incubi con i nostri sogni.

Stiamo vivendo e lottando con il lavoro individuale e collettivo di tutti noi zapatisti, ma ammettiamo anche che c’è ancora molto da fare, è necessario organizzarci di più come popoli, ancora abbiamo molte difficoltà per sviluppare bene le nostre diverse aree di lavoro, abbiamo anche sbagliato e commesso errori come ogni essere umano, ma ci siamo corretti e andiamo avanti.

Perché la nostra organizzazione siamo noi stessi. Nessuno che non sia uno svergognato, gaudente e bugiardo può dire il contrario. E non abbiamo paura di ammettere quando facciamo male, e di essere contenti di quello che facciamo bene. Perché il brutto e il buono che siamo è opera nostra. A noi, ci valuta la nostra stessa gente. Anche se poi c’è chi se ne va a spasso per l’Europa a mangiare e bere e dire che ha fatto tanto e perfino si inventa la propria “Frida Sofía” [la falsa notizia della bambina ‘Frida Sofia’ intrappolata tra le macerie del terremoto a Città del Messico – N.d.T.] per raccogliere attenzione e soldi ed offrire denaro per comprare coscienze e crede che la lotta si fa a parole e non con l’impegno reale, e si allea con i narcotrafficanti per attaccarci. Ma questi sono solo svergognati e bugiardi.

Perché, usando questi cosiddetti rivoluzionari ed i loro paramilitari, i malgoverni vogliono distruggere la nostra lotta, la nostra resistenza e ribellione attraverso la guerra economica, politica, ideologica, sociale e culturale, distribuendo come strategia nei territori dove ci sono zapatisti, briciole ed elemosine agli affiliati ai partiti, a volte aiuti economici, abitazioni e generi alimentari e progetti, a volte come governi, a volte come partito e a volte come presunte organizzazioni dei diritti umani, ed inoltre usano tutti i mezzi di comunicazione per diffondere le loro bugie, le loro cattive idee, le loro promesse, i loro inganni ben camuffati; tutto questo con l’obiettivo di indebolire la resistenza degli zapatisti allo scopo di dividere, far scontrare e comperare le coscienze della gente indigena e povera.

Noi, zapatiste e zapatisti, non siamo mendicanti ma siamo popoli con propria dignità, determinazione e consapevolezza per lottare per vera democrazia, libertà e giustizia, noi siamo sicuri che da lassù non verrà mai niente di buono per i popoli, non possiamo aspettare che la soluzione dei nostri problemi e bisogni arrivi dai malgovernanti.

E sappiamo chi è stato davvero vicino a noi zapatiste e zapatisti fin dal principio, quel primo di gennaio, e in questi 24 anni di resistenza e ribellione.

Il malgoverno, gli avanguardisti paramilitari e i ricchi non ci lasceranno mai vivere in pace, cercheranno mille modi per distruggere l’organizzazione e le lotte del popolo, perché in questi ultimi anni sono cresciuti a dismisura i crimini, la persecuzione, le sparizioni, gli incarceramenti ingiusti, le repressioni, gli sgomberi, torture ed assassini, come San Salvador Atenco, Guerrero, Oaxaca, Ayotzinapa, ecc., solo per citarne alcuni, e tra comunità e municipi hanno provocato divisioni e scontri e fanno in modo che i problemi non si risolvano con le buone maniere ma solo con la violenza, per questo sostiene, protegge e addestra i gruppi paramilitari, perché i malgoverni vogliono che ci ammazziamo tra fratelli.

Tutto quello che sta succedendo dimostra che non c’è più un governo nei nostri villaggi, municipi, stati e nel nostro paese.

Quelli che si dicono di governare, sono ormai solo ladri che ingrassano alle spalle del popolo, sono criminali ed assassini, sono capoccia, servi e caporali dei padroni che sono i grandi capitalisti neoliberali.

Sono buoni difensori degli interessi dei loro padroni nel saccheggiare le ricchezze naturali del nostro paese e del mondo, come la terra, i boschi, le montagne, l’acqua, i fiumi, i laghi, le lagune, l’aria e le miniere che sono conservate nel seno della nostra madre terra, perché il padrone considera tutto una merce e così ci vogliono distruggere completamente, cioè, vogliono annientare la vita e l’umanità.

Per questo come popoli originari di questo paese che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno, abbiamo deciso di compiere un passo e formare il Consiglio Indigeno di Governo e la nostra portavoce María de Jesús Patricio Martínez, che convoca, che informa, che infonde coraggio ed invita tutti i lavoratori della campagna e della città ad organizzarci, ad unirci e a lottare insieme con resistenza e ribellione nei nostri villaggi e nei nostri luoghi di lavoro, nei nostri calendari e geografie affinché così possiamo difenderci dall’idra capitalista che incombe su di noi.

Ma i governi e i padroni che sono i grandi capitalisti, impongono la Ley de Seguridad Interior, cioè, la militarizzazione delle nostre strade, dei nostri villaggi e di tutto il paese.

Ed ancora ci vogliono far credere che è per combattere il crimine organizzato quando in realtà è per tenerci sotto controllo, farci stare zitti, sentirci minacciati, con altra violenza e altra impunità.

Per questo noi zapatiste e zapatisti diciamo che non bisogna assolutamente fidarsi di questo sistema capitalista, perché da centinaia di anni subiamo tutte le sue malvagità senza distinzione di persone né di partito.

Dobbiamo organizzarci e unire tutti i lavoratori delle campagne e delle città, indigeni, contadini, insegnanti, studenti, casalinghe, artisti, commercianti, impiegati, operai, medici, intellettuali e scienziati del nostro paese e del mondo, l’unica strada che ci rimane è quella di unirci di più, organizzarci meglio per costruire la nostra autonomia, la nostra organizzazione come popoli e lavoratori, perché è questa che ci salverà dalla tormenta che si avvicina o che già è su di noi e che spazzerà via tutti e tutte.

In questo compleanno, a 24 anni dalla nostra sollevazione armata sul pianeta terra, oggi vogliamo parlare alle nostre compagne della sexta nazionale e internazionale.

Vogliamo parlare anche alle sorelle del Messico e del mondo.

Quindi, compagne e compagni della sexta nazionale e internazionale.

Sorelle e fratelli del mondo.

Quando diciamo che sono 500 anni di sfruttamento, repressione, disprezzo e depredazione, non stiamo mentendo.

Abbiamo già subito le guerre dei malgoverni e dei ricchi.

Non ci possono dire che è una bugia. Sono stati le nostre trisnonne e trisnonni a versare il proprio sangue e le proprie vite per sfuggire al potere degli sfruttatori che sono i trisnonni di quelli che ora sono al potere. Non ci possono dire che è una bugia, è qui da vedere. Sono i colpevoli che ora stanno distruggendo noi ed anche madre natura.

Non smetteremo di lottare, fino alla morte se è necessario.

Ed oggi abbiamo ancora più voglia di lottare, con le nostre compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

Sosteniamo la nostra compagna Marichuy e le compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

Che vi piaccia o no.

L’abbiamo detto chiaro fin dall’inizio. Ricordo che alla Convenzione Nazionale Democratica, nel 1994 a Guadalupe Tepeyac, abbiamo detto: “Ci facciamo da parte se ci mostrate che c’è un’altra strada per sconfiggere il nostro essere armati”.

E fino ad oggi non ci hanno mostrato un’altra strada per sconfiggere il sistema di morte e distruzione che è il capitalismo.

Quelli che ci stanno mostrando la strada sono le compagne e i compagni del Congresso Nazionale Indigeno, con la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo. E li sosteniamo senza smettere di essere quello che siamo.

E non abbiamo vergogna di appoggiarli. Perché sappiamo che non cercano il Potere o le poltrone, ma il loro compito è portare il messaggio che bisogna organizzarci per la vita. È chiaro.

Indubbiamente c’è qualche bugiardo e bugiarda che va dicendo che ormai siamo per la via elettorale. È una vile menzogna e sono persone che sanno leggere e scrivere il castigliano, ma che non leggono o fanno i loro bugiardi inganni. Che peccato, che pena che non hanno comprendonio e nemmeno vergogna.

Nessuno ci toglierà quello che siamo, forse solo quando saremo morte e morti o quando saremo liberi.

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo, non fatevi ingannare.

In Messico non c’è più un luogo in cui camminare tranquilli, dovunque ti prendono e ti ammazzano.

Ci sono tante malvagità del capitalismo qui in Messico e nel mondo.

Davvero tante, come ci dicono le compagne del Congresso Nazionale Indigeno e la sua portavoce Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Ci deridono dicendo che la compagna Marichuy non sa governare, non ci porta a niente. Sorelle e fratelli, a cosa vi hanno portato i governi del PRI e del PAN? Non hanno forse compiuto massacri, corruzioni, cattive decisioni? Dove sta scritto che solo quelli che hanno studiato sanno governare? Non riuscite a vederlo?

Questo è ciò che vuole dirvi la compagna Marichuy quando dice di organizzarci nelle campagne e nelle città, e che ci uniamo indigeni e non indigeni, perché vediamo che cosa ci è successo con questi malgoverni.

Che cosa vi ha dato questo imbecille che ora è al governo? Peña Nieto è il peggior cinico, inetto e svergognato che si ripara dietro altri come lui.

Come fate a non vedere che a loro non succede niente, mentre il popolo sfruttato paga tutto con la propria vita?

Perché vi muovete solo quando accade il peggio? Perché, quelli a cui non succede e si comportano come se non vedessero e non fanno niente, ma poi quando gli capita allora vengono fuori e gridano aiuto, aiutami?

E quando parla la compagna Marichuy, dite che non sa parlare. Ma questo Consiglio Indigeno di Governo non sa niente, così dite.

Il Consiglio Indigeno di Governo vi dice la verità. Non volete la verità? Forse non vi piace. Si vuole che parli di cose belle e regali promesse? Ma quando il dolore busserà alla tua porta, gli risponderai con le promesse?

Sorelle e fratelli indigeni e non indigeni, nessuno lotterà per noi, assolutamente nessuno, ma solo noi stessi.

Svegliamo gli altri popoli sfruttati e svegliamo anche quelli che dicono di avere studiato. Aiutiamo ed appoggiamo la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Organizziamoci affinché la Compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo possano compiere il loro viaggio nel paese, anche se non raggiungerà il numero di firme per essere candidata. Perché non è la firma che lotta, non è quella che ci organizzerà, siamo noi che dobbiamo ascoltarci, conoscerci e da lì si può partire a pensare come organizzarci meglio e che strada seguire.

Nessun altro dirà le parole che pronunciano il Consiglio Indigeno di Governo e la portavoce Marichuy.

Se non ascolterete, sentirete solo rumore, lo stesso rumore di sempre, e poi seguirà la stessa delusione di sempre.

Non permettiamo che ci dicano “poveri indios, aiutiamoli con quello che avanza” proprio come fanno i malgoverni.

Solo con l’organizzazione del popolo della campagna e della città ci saranno libertà, giustizia e democrazia. Se non c’è, avremo solo un mondo come una FINCA CAPITALISTA e questo è già cominciato.

Se c’è qualche donna o uomo che pensa e crede che sia una bugia quello che diciamo dell’idra capitalista, beh, che ce lo spieghi, che ci dica chiaramente dov’è la bugia, perché per quanto vediamo e conosciamo, le cose stanno così. O forse, quello che si vede è che è difficile lottare, organizzare, ma non c’è altra strada.

Sappiamo che è difficile quello che diciamo, ma per caso è lieve e dolce quello che succederà con l’idra capitalista?

No, sorelle, fratelli, sarà orribile, terribile.

Per questo le compagne basi di appoggio zapatiste invitano per l’8 Marzo le compagne del Congresso Nazionale Indigeno e tutte le donne che lottano, le donne che non hanno paura, anche se ce l’hanno ma che bisogna controllare perché sennò è ancora peggio.

Perché loro, le donne zapatiste, le donne del CNI, le donne della Sexta e le donne che lottano in tutte le parti del mondo, ci dicono che dobbiamo organizzarci, ribellarci, resistere.

E questo è quello che ci dicono anche la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Dunque, avanti compagna Marichuy, cammina, galoppa, e se necessario corri e fermati e poi continua, non c’è altro modo.

Andate avanti compagne del Consiglio Indigeno di Governo

Avanti compagne del Congresso Nazionale Indigeno.

Siamo sicuri che se i popoli si organizzeranno e lotteranno, otterremo ciò che vogliamo, quello che meritiamo, cioè la nostra libertà. E la forza principale è la nostra organizzazione, la nostra resistenza, la nostra ribellione e la nostra parola vera che non ha limiti né frontiere.

Non è il momento adesso di tirarci indietro, di scoraggiarci o di essere stanchi, dobbiamo essere ancora più fermi nella nostra lotta, mantenere ferme le nostre parole e seguire l’esempio dei compagni e compagne che sono ormai morti: non arrendersi, non vendersi e non cedere.

DEMOCRAZIA

LIBERTÀ

GIUSTIZIA

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comandancia General dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés

Da Oventik Caracol II zona Altos de Chiapas, Messico

1 gennaio dell’anno 2018

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

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Difesa Zapatista considera il suo obiettivo come qualcosa da compiere in collettivo e non concepisce il suo ruolo come leader o capa, perché ha scelto la posizione meno brillante che  ci sia, quella di difesa, e lo fa per aiutare il cavallo orbo che sta in porta. Il suo lavoro è cercare e trovare chi si unisce, chi lavora in squadra e, nello stesso tempo, è parte della squadra, il ponte per incorporarsi ad essa. E quando considera sullo stesso piano posizioni come quella di raccattapalle, o il cagnolino o gatto-cane che corre storpio, e pone come unico requisito quello di voler giocare, questo è il suo modo di dire “voler lottare”. 

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE.

CHE NARRA DI COME SI INCONTRARONO I DUE PIÙ GRANDI DETECTIVE, UN FRAMMENTO DI QUELLO DI CUI ELÍAS CONTRERAS ED IL SUPGALEANO PARLARONO RIGUARDO AL CASO DELLA NON PIÙ MISTERIOSA SPARIZIONE DELLE BRIOCHE, E DI QUANDO DIFESA ZAPATISTA FECE A PEZZI LA SCIENZA DEL LINGUAGGIO, COSì COME DI ALCUNE OZIOSE RIFLESSIONI DEL SUP CHE CASCANO A PROPOSITO.

30 dicembre 2017

Buoni e reiterati giorno, pomeriggio, notte, mattino.

Prima di tutto, vogliamo mandare un abbraccio al popolo Mapuche che continua ad essere aggredito dai malgoverni dei paesi chiamati Cile ed Argentina. Ora, con le loro trappole giuridiche, sono tornati a sottoporre a giudizio la Machi Francisca Linconao, insieme ad altre ed altri mapuche. Un’altra dimostrazione che, nel sistema che ci opprime, quelli che distruggono la natura sono i buoni, mentre quelli che resistono e difendono la vita sono perseguiti, assassinati ed imprigionati come se fossero criminali Ma, nonostante questo, o proprio per questo, basta una sola parola per descrivere la lotta del popolo Mapuche e di tutti i popoli originari di questo continente: Marichiweu, dieci, mille volte, vinceremo sempre.

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Ieri, uno degli scienziati ci ha informati che c’è un concorso per il messaggio che una navetta spaziale trasporterà verso un altro pianeta, e che il premio è di un milione di dollari.

Il messaggio che proponiamo, e che sicuramente vincerà è: “Non permettete che noi ci stabiliamo nel vostro mondo. Se non abbiamo risolto i problemi che noi abbiamo provocato, ripeteremo gli stessi errori. E quindi non arriveremo soli, con noi arriverà un sistema criminale. Per il vostro mondo saremo un Alien apocalittico, il temuto ottavo passeggero che cresce e si riproduce grazie alla morte e alla distruzione. La spinta per conoscere altri mondi dovrebbe essere la sete di conoscenza, il bisogno di imparare e il rispetto per il diverso, e non la ricerca di nuovi mercati per la guerra, né il rifugio per l’assassino fatto sistema”.

Per favore, depositare il milione di dollari sul conto corrente dell’associazione civile “Llegó la hora del florecimiento de los pueblos” che appoggia il Consiglio Indigeno di Governo.

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Quella che leggerò doveva essere il nostro contributo al tavolo di ieri ma, come al Pedrito, mi hanno applicato la “equità di genere”, ceffone compreso e, tanto per cambiare, hanno vinto le “donne in quanto donne”. Proseguiamo, dunque:

Il dottor John Watson si guarda allo specchio preoccupato. Si pettina su entrambi i lati, davanti e dietro. Si guarda di fronte, di profilo destro, sinistro e, con l’aiuto di altro specchio in mano, dietro. Mentre è così curiosamente indaffarato mormora tra sé:

Capelli di tortilla… perché dice “capelli di tortilla?” … sarà per il colore? … per la pettinatura… forse i capelli bianchi che ormai competono per numero con i capelli scuri… o sarà per la pettinatura? … capelli di tortilla… dannata bambina…”.

In quel mentre, Sherlock Holmes, consulente investigativo, si alza di scatto dall’amaca in cui, sdraiato, strappava al violino alcune note malinconiche. Sistemandosi con cura l’impermeabile, Sherlock sollecita il dottore:

Svelto Watson, non abbiamo molto tempo”.

E dove dovremmo andare, Holmes? Il freddo punge e dalla Giunta dicono che peggiorerà”, protesta Watson uscendo dalla capanna che le autorità autonome gli hanno assegnato per il loro soggiorno nelle montagne del sudest messicano.

Holmes non si cura nemmeno di rispondere. A grandi falcate avanza sulla strada principale della comunità e si dirige alla casetta sulla cui facciata ci sono un cartello dove si legge “Commissione di Vigilanza” ed un murale dai colori vivaci che sfida l’umidità. Al suo interno una giovane indigena osserva attenta il monitor di un computer.

“Te´ oyot Tzeb”, (ti saluto “jóvena”) dice nel suo miglior tzotzil Sherlock Holmes, al quale, apparentemente, sono bastati pochi giorni per imparare l’indispensabile per farsi capire nelle lingue maya di quelle zone.

Watson lo guarda divertito quando la donna che sta di commissione di vigilanza gli risponde in perfetto inglese: “Good Afternoon” (“buon pomeriggio”). Benché il suo accento, più che britannico, a Watson suoni più vicino a quello di Dublino.

Holmes ignora lo sguardo sarcastico di Watson e in impeccabile spagnolo chiede:

Dónde me pueden dar razón de una persona con la que quiero hablar?” (“Cosa mi puoi dire di una persona con cui voglio parlare?”).

La donna, una giovane indigena, piccoletta, con lunghe trecce e vivaci occhi neri, sembra molto divertita e risponde in perfetto tedesco: “Und wie heißt diese Person?” (“e come si chiama questa persona?”).

Holmes immediatamente capta la faccenda e, in un francese da migrante “sans papiers” risponde:

Je ne connais pas son nom, mais sa profession est un enquêteur privé” (“Non conosco il suo nome, ma di professione è investigatore privato”).

Non capisco niente”, dice la giovane indigena in un italiano di quartiere rabbioso e indomito.

Il dottor John Watson sembra divertito delle difficoltà di Holmes, ma guarda preoccupato la strada con il timore che appaia la bambina.

Sherlock Holmes sta pensando a come si dice “investigatore privato” o “detective” in russo, quando i timori di Watson si confermano.

Come un piccolo uragano, la bambina che dice di chiamarsi Difesa Zapatista scende di corsa dalla strada piena di pozzanghere ed entra intempestivamente nella casetta mentre Watson istintivamente si sistema i capelli e Sherlock si chiede se sia meglio usare il cinese mandarino o il polacco.

Difesa Zapatista abbraccia Sherlock gridando “Jol-mes, testa di scopa!”.

Beh, abbracciarlo non è la parola esatta. Le rispettive altezze di Holmes e della bambina fanno sì che il detective riceva l’abbraccio intorno alle ginocchia.

Il detective consulente è sconcertato. La statura minima delle persone con le quali ha avuto a che fare a Londra è di 1 metro e 75 centimetri, mentre in terre zapatiste ha dovuto abbassare il suo standard al metro e mezzo. Rispetto ai bambini, beh, oltre a prendere le dovute distanze ogni volta che ne vede uno e mostrarsi infastidito se ne sente il pianto, la sua esperienza era zero. Ma, per qualche strana ragione, il più grande dei detective provava simpatia per Difesa Zapatista.

La bambina si volta e salta al collo dell’egregio Dottore e blogger John Watson con un “Waj-tson, capelli di tortilla!” che non fa per nulla felice l’ex medico militare.

Difesa Zapatista prende i due per mano e li trascina fuori: “Svelti, che arriviamo tardi!”.

La giovane donna della Commissione di Vigilanza, delusa dal repentino finale del suo internazionalismo linguistico, chiude le 7 finestre del browser aperte sul traduttore di google e torna al blog che informa sulle attività della portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, María de Jesús Patricio Martínez.

Holmes non ha bisogno di correre, per ognuna delle sue falcate la bambina deve fare molti passi. Sherlock nella mano destra tiene il bastone con cui è uso frugare tra i cespugli alla ricerca di insetti. Watson ritarda di proposito quando vede che il cosiddetto “gatto-cane” morde l’orlo dei pantaloni di Holmes. Sicuramente per costringerlo a ridurre la sua falcata e così camminare-correre al pari della bambina.

All’improvviso la bambina si ferma di colpo ed esclama sollevata: “Siamo arrivati”.

Sono nel campo utilizzato come pascolo collettivo del bestiame, per le partite di calcio delle squadre che si alternano per allargare ed approfondire la crepa nel muro (è riportato nel racconto precedente dove credo si comprenda che cosa rappresenta e forse non c’è bisogno di una nota esplicativa), per feste, balli e festival, oltre ad essere il campo di allenamento per l’incompleta squadra di Difesa Zapatista.

Watson, che non si è ancora orientato nel villaggio dove trascorrono la maggior parte del tempo, con disappunto riceve la conferma che si tratta di un pascolo quando sotto la suola delle scarpe avverte la presenza di una molle e tiepida merda bovina.

Difesa Zapatista dice “Voi aspettate qui, vado a prendere il cavallo orbo”, e se ne va correndo con dietro il gatto-cane.

Allora, un uomo indigeno di indefinibile età si avvicina alla coppia di britannici.

Sherlock Holmes lo guarda avvicinarsi e, con l’acutezza che gli ha dato fama, comincia a costruirsi un profilo dell’indigeno ma, prima che la completi, il personaggio gli dice:

Buongiorno signor Jol-mez, signor Waj-tson. Non si preoccupi, dice rivolgendosi a Sherlock, il suo sarto di Londra rimedierà senza problemi allo strappo. Credo anche che nella calzoleria zapatista potrà trovare degli stivali del suo numero. Qui succede così, a volte sembra che non ci sia niente da fare, ma dovrebbe cercare di non fumare così tanto la pipa, è dannoso per la sua salute. Le raccomando il violino invece della pipa per far passare la giornata. E non le consiglio di parlare male delle donne da queste parti, perché si arrabbiano, soprattutto Difesa Zapatista”.

Sherlock Holmes ammutolisce attonito, e Watson lo guarda curioso. Sembra che il detective abbia ricevuto il fatto suo.

Holmes passa dallo stupore all’ammirazione ed applaude “Bravo! Ha indovinato quasi tutto, benché mi permetta di dissentire dall’accusa di misoginia”.

Watson, come sempre, non capisce niente.

È l’indigeno che glielo spiega, mentre Holmes annuisce ad ogni affermazione:

Elementare, mio caro “Capelli di Tortilla”: Il signore ha indossato frettolosamente il suo costoso impermeabile e, senza volerlo, ha strappato leggermente il polsino sinistro. Uno che si veste così deve stare molto attento a ciò che indossa, cosicché si spera che tra i suoi pensieri ci sia anche quello di andare dal sarto per sistemare l’impermeabile. Che il sarto sia a Londra è facile, siccome porta l’impermeabile semiaperto, si riesce a leggere l’etichetta.

Le macchie di nicotina alla base del dito indice e su parte del palmo della mano, indicano che fuma molto la pipa, perché sono segni che lascia il tabacco che esce dal fornelletto. Per quanto riguarda gli stivali, gli scarponcini che indossa qui non dureranno molto e c’è da sperare che abbiate pensato di procurarvi degli stivali come quelli che usiamo noi, che sono fatti da calzolai insurgentes e che si comperano nel negozio dei compas.

Naturalmente, mi sono dimenticato di dire che il signor Jol-mes è destrimano, tiene la pipa con la sinistra perché usa la destra, per esempio, per suonare il violino.

Il violino, beh, il modo in cui tiene la bacchetta è lo stessa del Pablito, dei mariachi zapatisti, quando suona il violino alle feste, e il rossore del collo sul lato sinistro è perché suona il violino o perché l’ha punta qualche insetto… o perché le hanno fatto un succhiotto. Il parlare male delle donne è stato solo per vedere se ci azzeccavo, ma è in compagnia di un uomo, quindi, o pensa male delle donne o preferisce gli uomini”.

Holmes applaude di nuovo. L’insinuazione di omosessualità fatta dall’indigeno non lo turba affatto. Ma Watson è molto geloso della sua eterosessualità e tenta di spiegare:

“Mi scusi, ma Holmes ed io non siamo una coppia. Voglio dire, sì siamo una coppia ma non nel senso di un succhiotto, ma, beh, cioè, diciamo, è una relazione…professionale”.

L’indigeno lo interrompe: “Non ti preoccupare Waj-Tson, qui ognuno fa come gli pare e si rispetta”.

“Lo so”, dice Watson, “ma non è quello che sembra, certo, non è che io condanni le relazioni di quel tipo, solo voglio chiarire che…”.

Ora è Holmes che lo interrompe e si inchina con rispetto dicendo:

Se non erro, lei deve essere Elías Contreras, commissione di investigazione”.

A sua volta con rispetto, Watson si toglie la bombetta con cui, inutilmente, cerca di nascondere i suoi “capelli di tortilla”, e saluta.

Holmes aggiunge: “Solo qualcuno come Elías Contreras potrebbe infilare questa catena di osservazioni, ragionamenti e deduzioni ad una velocità che mi supera”.

Invece di ringraziare, Elías Contreras sorride beffardo e dice:

Nah, il fatto è che il SupGaleano ha qualche libro che parla di voi due e che racconta i vostri modi, la pipa, il violino e quelle cose lì, e nell’ufficio di vigilanza ho visto i vostri nomi tra la lista dei visitatori e, siccome siete gli unici cittadini qui nel villaggio, beh…”.

Watson, con disappunto, si calca in testa la bombetta. Ma Holmes sorride ed è lieto di imbattersi nel per nulla famoso detective, quello che chiamano “commissione di investigazione dell’ezetaelene”.

Ha ragione mio caro Elías Contreras, o devo chiamarla in un altro modo?”, dice mentre gli tende calorosamente la mano.

Basta Elías”, risponde lo zapatista offrendogli una sigaretta da rollare, che entrambi cordialmente rifiutano. Sherlock riprende la parola:

“Lo sa? Mi succedeva qualcosa di simile con Sir Arthur, che mi dava da leggere le bozze della deplorevole cronaca dei miei ritrovamenti che poi attribuiva inspiegabilmente al dottor Waj-tson, qui presente”.

Watson tenta di protestare, ma ci ripensa e si cala in testa il cappello.

“Vedevo che Sir Arthur adornava, in maniera superflua a parer mio, il lavoro che faceva. E dico che era ozioso perché quello facevo era applicare la scienza per risolvere i crimini.

E la scienza e le sue spiegazioni, mio caro Elías, sono ben lontane dal fascino che le attribuiscono i romanzieri ed in generale la gente.

Oltre al fatto che non è esente da errori, dalla continua e spossante sperimentazione e dallo studio profondo e sistematico dei progressi che, a vari titoli, avvengono in tutti gli angoli del mondo; la scienza e la sua applicazione sono difficili.

Il rigore scientifico trasforma il suo esercizio in qualcosa di arido e lo contrappone alla pigrizia intellettuale che si ritrova di continuo nelle opinioni, nei commenti e nelle superstizioni comuni. Per lo stesso motivo, quando hanno l’opportunità di studiare, alcune persone normalmente optano per le mal denominate scienze sociali, o per quelle umanistiche in generale che, a loro intendere ed erroneamente, non richiedono il rigore, la minuzia e la complessità delle conoscenze scientifiche.

Le arti, e quello che si riferisce ad esse, non richiedono rigore nel senso dell’esattezza ma, a differenza delle scienze esatte, naturali ed umanistiche, possono immaginare non solo altre realtà, ma possono inoltre meravigliare con le forme, i suoni e i colori con cui plasmano quell’immaginario.

Forse per questo le arti sono più vicine alle scienze esatte e naturali. A differenza delle scienze cosiddette umanistiche.

La scioltezza che la storia immaginaria richiede, per fare un esempio, nel caso della scienza sarebbe un’imperdonabile irresponsabilità ed una e una vera e propria violazione del codice etico che ogni scienziato deve includere nella sua pratica.

Ma un problema che presto o tardi si deve affrontare è che, il fatto di imporsi una rigida disciplina e possedere solide conoscenze, fa sì che chi fa della scienza la sua professione, non poche volte assuma un atteggiamento pedante e miserabile verso la gente comune.

Tendono ad essere arroganti e, non di rado, giustificano una certa frivolezza e mancanza di buon senso riguardo alle questioni quotidiane. Come se la vita reale fosse una faccenda solo per noi gente comune, e che loro, ellos, ellas, elloas(*), fossero al di sopra di tutto questo.

Ma a volte, nonostante gli scienziati stessi, è innegabile che le scienze naturali e quelle dure sono indispensabili. Qualsiasi possibilità reale e praticabile di uscire dall’incubo infido che è l’attuale sistema globale omogeneo, dovrà avere le scienze naturali e dure come fondamento principale. E se così non fosse, dovremo continuare a consolarci con la fantascienza”.

Watson guarda sorpreso Holmes mentre pensa “Incredibile, Sherlock Holmes si sta descrivendo con toni di disapprovazione”.

Holmes avverte lo sguardo di Watson e, rivolgendosi a lui, chiarisce:

“Ti sbagli, Watson, non sono autocritico. Ovviamente questo monologo non è mio ma mi è stato assegnato da quel tale SupGaleano, perché gli zapatisti pensano che il riconoscimento e un lieve rimprovero saranno meglio accolti dalla comunità scientifica se provengono da uno dei migliori detective della storia mondiale piuttosto che se provengano da un naso mascherato che usa ancora il modello del danese Niels Henrik David Bohr in riferimento all’atomo e che, per descriverlo, usa espressioni come “è una pallina formata da tante palline attaccate tra loro, intorno alle quali girano altre palline”.

Sherlock Holmes rabbrividisce. Un po’ per la scandalosa descrizione dell’atomo e un po’ perché sembra che finalmente sia stato liberato dal monologo che lo zapatismo gli ha imposto, supportato da quella che viene chiamata “licenza poetica”.

Elías Contreras, commissione di investigazione dell’ezetaelene, interviene solo con un “mmh”.

Quello che è successo dopo lo sappiamo perché il dottor John Watson ha preso nota di ciò che è stato detto lì, anche se non con l’intenzione di pubblicarlo, ma solo per l’interesse che la conversazione aveva suscitato. In seguito, Holmes gliene sarebbe stato grato, perché ciò che Elías Contreras disse continua ad essere rivelatore.

Sherlock Holmes prese da parte Elías, mentre il dottor Watson seguiva a prudente distanza. La ragazzina, accompagnata dai latrati-miagolii del cane-gatto, era impegnata a cercare di convincere il cavallo orbo ad occupare la sua posizione in porta.

“Adesso facciamo qualche tiro libero”, Watson sentì dire dalla bambina, e vide che un bambino si accomodava, beffardo, sotto la traversa di quella che sembrava essere una porta.

Sherlock Holmes sussurrò:

“Mio caro Elías, sono venuto da lei per sapere se non ha per le mani un caso che richieda l’ausilio della mia abilità di detective. Certo, prometto di essere discreto e di non reclamare per me alcun credito nell’ipotesi che abbiamo successo”.

Elías Contreras si fermò e disse nello stesso tono confidenziale:

“Beh, in effetti sì. Tuttavia, la problema che stiamo esaminando è piuttosto ampio e tutto ciò che abbiamo è la nostra mente per cercare di capirlo e affrontarlo. E poi, beh, di quello che mi viene in mente posso parlare più tardi con i compagni e le compagne del comitato”.

“Eccellente!”, esclamò Sherlock Holmes. “La riflessione astratta richiede uno sforzo extra che costringe il cervello a sublimare. Faccia attenzione Watson, perché ora, credo, stiamo per affrontare la più grande sfida per qualsiasi detective: risolvere un crimine con solo gli strumenti della logica e della conoscenza scientifica”.

Holmes era molto eccitato. Watson non ricordava di averlo visto così dal caso di “Uno Studio in Rosso” che ha dato nome e prestigio mondiale al detective.

Sherlock Holmes non fece fretta ad Elías Contreras. Accese la sua pipa, sì, ma più per accompagnare Elías che stava rollando una sigaretta, piuttosto che per il desiderio del gusto tagliente del fumo del tabacco in bocca.

Elías Contreras cominciò:

“Va bene: il problema è grande ma semplice. Cioè, conosciamo l’assassino, la vittima, l’arma usata, i tempi e la collocazione della cosiddetta “scena del crimine”, cioè, dove è stato compiuto il fattaccio e quando. Quindi, come dice il Sup, abbiamo il calendario e la geografia.

Ma la problema è grande perché è tutto confuso. Ma non so se è realmente stravolto di suo, o se è il mio modo di pensare ad essere confuso.

In questo caso, il crimine è già stato commesso, ma è anche in corso e verrà ulteriormente compiuto. Cioè, non è solo un casino che è già accaduto e basta, o che sta accadendo ora, ma è anche qualcosa che succederà”.

Holmes si mostrò ancora più interessato, ma non interruppe Elías Contreras, che proseguì:

“Quindi dobbiamo scoprire cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa deve ancora accadere in modo che possiamo impedire che accada, perché se succede, sarà una tragedia così grande che non si può nemmeno immaginare”.

Sherlock Holmes approfitta dell’impasse aperta dalla commissione di investigazione per arrischiare:

Credo di capire: dobbiamo conoscere il crimine commesso per capire il crimine che si sta commettendo ed evitare così che si commetta l’altro crimine: il peggiore e più grande crimine nella storia dell’umanità”.

Elías Contreras annuisce e prosegue:

“Il criminale non si nasconde, al contrario, si mostra e si vanta di quello che ha fatto. Dice che è stato un bene il suo crimine di ammazzare, distruggere e rubare per farsi conoscere. Io penso che proprio lì, quando è nato come criminale, quando ha preso le sue modalità, è lì che possiamo imparare per sapere come sta facendo il suo casino e come lo farà”.

“Il criminale non si nasconde; al contrario, si mostra e si vanta di ciò che ha fatto. Dice che il suo crimine andava bene e che ha ucciso, distrutto e rubato per farsi conoscere. Penso che sia lì, quando è nato come criminale, cioè quando ha sviluppato il suo modo di fare, che possiamo sapere come si sviluppa il suo casino e come lo farà”.

Vero”, interrompe Holmes, “è necessario ricostruire la genealogia del crimine che, in questo caso e se ho ben capito, è anche la genealogia del criminale. Ma, prego prosegua”.

“Bene”, prosegue Elías, “da lì vediamo che il criminale si è modernizzato, cioè è un criminale ma sta attento che nessuno lo scopra, e si traveste da buono, come se non stesse tramando nulla, come se niente fosse”.

“Poi, ha i suoi complici, cioè i suoi compari nel crimine. E questi complici si incaricano di essere la faccia buona del criminale. Ma siccome si vede chiaramente che è una fregatura, allora questi compari del male inventano un colpevole. Cioè, il loro lavoro è gettare la colpa su qualcun altro.

Così vanno a cercare qualcuno da incolpare per la tragedia. A volte sono le donne che sono colpevoli di non obbedire, si dice, perché vanno in giro con abiti succinti, o perché studiano e lavorano, o anche perché vogliono autogestire il proprio corpo, la loro vita, essere autonome, perché pensano come un municipio autonomo ribelle.

Ma altre volte incolpano quelli che hanno la pelle di un colore diverso, o che hanno un altro modo di essere, come la Magdalena che è morta combattendo contro il male ed il maligno e che era una donna ma come dicono, dio si è incasinato e le ha dato un corpo di uomo e la Magdalena, beh, lei non si è nascosta né si è adattata, ma se n’è fregata di quello che gli altri pensavano e lei era altra, e dal momento che aveva quell’altro corpo era otroa(*). E lei, o lui, o elloa(*) ha combattuto per essere quello che era.

Molto coraggiosa la Magdalena, non si è mai arresa”, dice Elías e gli occhi si inumidiscono al ricordo di colei che, a modo suo, ha amato ed ancora ama.

Holmes e Watson restano in rispettoso silenzio.

Elías si ricompone e prosegue: “e poi danno la colpa anche a noi indigeni del fatto che le cose non funzionano perché non siamo civilizzati; dicono che non permettiamo che il progresso avanzi e si installino le miniere nei luoghi dove ci sono boschi e sorgenti. E risulta che noi popoli viviamo dove ci hanno buttato, perché ci hanno derubato e cacciato da dove vivevamo prima, e ci hanno imprigionato e anche ammazzato, ma comunque sia, noi resistiamo. E il criminale, queste terre prima non le voleva nemmeno, ma ora sì, le vuole perché sono merce, dicono che l’acqua si può comprare e vendere e che la terra, l’aria, il sole, gli alberi, gli animali, perfino i più piccoli, e beh, perfino quello di cui è fatto il pozol(**) sono merce.

Questo è ciò che fa questo criminale, trasforma tutto in merce, persino le persone, le donne, i bambini, gli uomini, la loro dignità, e se qualcosa non può essere mercificato, allora il criminale non è interessato perché non può essere comprato o venduto. Ma la problema non è esattamente questo, ma piuttosto che il criminale può fare tutto questo casino perché ha un’arma chiamata proprietà privata dei mezzi di produzione con cui gestisce l’intero piano. Quindi il problema non è che le cose vengono prodotte, ma piuttosto che ci sono alcuni che hanno la proprietà di quello che viene usato per costruire quelle cose, e tu hai solo il tuo lavoro per il quale sei pagato, male, come una merce. Quindi il criminale distrugge e uccide grazie alla sua arma che è la proprietà privata, e allo stesso tempo fa di tutto affinché non gli portino via quest’arma.

Beh, non so come spiegarlo, anche se lo capisco bene non conosco le parole per dirlo in castigliano o nelle vostre lingue.

Ma è più o meno come l’ho detto, ossia c’è il criminale, c’è la vittima fatta passare come colpevole per rubare ed ingannare altri, e c’è l’arma. E la scena del crimine è tutto il mondo. Penso che tutto è stravolto perché la sistema capitalista mondiale ci mette tutto: mette la vittima e lui stesso è l’assassino, l’arma che uccide e distrugge, e la scena del crimine.

Di questo abbiamo parlato col SupGaleano quando ha commesso il reato delle mantecadas per il quale è stato punito ed ora a suo carico c’è un altro reato perché ha preso il cellulare del SupMoy, e credi che il SupMoy non se ne accorga? Bene, dobbiamo continuare a pensare al problema perché se non fermiamo il criminale tutto il mondo sarà la vittima e non solo le persone, ma tutto, anche gli animali, le piante, le pietre, l’acqua, tutto.

E la problema è anche che non c’è dove imprigionare il criminale, quindi l’unica maniera per fermare il crimine è distruggere la sistema capitalista.

Certo, non vi sto dicendo tutto ciò di cui abbiamo parlato, voglio dire, non è tutto il discorso, ma se vi dico tutto allora quelli che stanno ascoltando e leggendo e guardando questa storia inizieranno a scervellarsi per pensare a cosa indossare per ballare alle feste di domani, perché un anno sta finendo e un altro inizia, e forse pensano che il cambiamento nel calendario cambierà le cose, ma non è così; per cambiare le cose dobbiamo lottare, molto, ovunque e sempre, senza tregua”.

Holmes e Watson rimasero in silenzio fino a quando Elías li salutò dicendo: “Devo andare, state attenti e non vergognatevi degli altri amori, se c’è un domani sarà anche per elloas, con elloas”.

E rivolgendosi a Watson aggiunse: “Se non hai la chiave dell’armadio, sfonda la porta [gioco di parole in spagnolo: romper el closet significa “fare coming-out” – N.d.T.]. Bisogna venire fuori senza paura, come la Magdalena. O con paura ma controllandola”.

Watson avrebbe voluto di nuovo chiarire che lui e Sherlock non erano quello che sembravano, ma Elías Contreras, commissione di investigazione dell’ezetaelene era già per strada e il pomeriggio sfumava sotto le ombre della notte che già si prometteva fredda.

-*-

Ci sono stati giorni, non molte lune fa, in cui la bambina Difesa Zapatista decise di esprimersi verbalmente solo con i colori. E non con espressioni del tipo “questo è azzurro” o “mi sento arancio” o cose del genere, ma solo nominando i colori.

Tutte le teorie sul linguaggio e sul discorso sono state messe in scacco dall’impertinenza di una bambina indigena zapatista.

Un giorno, è entrata nella capanna del SupGaleano e ha detto: “giallo”.

Il Sup non ha nemmeno sollevato gli occhi dal computer ed ha risposto: “nel giubbotto, tasca destra”.

Difesa Zapatista è andata dove era appeso il giubbotto e dalla tasca destra ha estratto un pacchetto di mantecadas ed è poi uscita di corsa esclamando allegra: “violetto”.

Contrariamente a quanto si possa pensare, ogni colore non aveva un significato preciso. Per capire Difesa Zapatista bisognava considerare il suo tono di voce, il contesto in cui lo diceva, dove guardava, l’espressione del suo viso, i gesti e la postura.

Una volta ha detto “giallo” mentre stava andando a scuola come se fosse diretta al patibolo.

Il Sup dice che fino ad allora sapeva che Difesa zapatista era una bambina normale e non un organismo cibernetico creato dalla mente perversa del SupMarcos per farci impazzire. L’eredità maledetta di un Moriarty(***) dal naso impertinente, un interrogatorio continuo e tedioso avvolto nell’apparente innocenza di una bambina alta solo poche spanne da terra. Un robot la cui fonte di energia non è solare o atomica, ma sono le mantecadas.

Un pomeriggio qualsiasi, il SupGaleano spiegava a Elías Contreras:

“È una bimba, senza ombra di dubbio. È la cosa più normale del mondo che una bambina che va a scuola lo faccia malvolentieri, con l’angoscia e la disperazione di chi va alla schiavitù di lettere, numeri, nomi e date. Nessuno potrebbe esprimere meglio di lei cosa significa andare a scuola e credo che portare con sé il gatto-cane, anche se nascosto nello zainetto, sia il modo di aggrapparsi al mondo di Difesa Zapatista, che non ho idea che cosa o chi sia, ma lei è felice in quel mondo ed è felice nel suo compito di completare la squadra che, forse, è il suo modo di dire “cambiare il mondo”.

Perché lei non sogna di essere una super eroina, con super poteri o con una katana per fare a pezzi i suoi nemici che, se fai attenzione, sono sempre maschi. Non parla mai del goal che ha segnato con una tecnica sorprendete e che ha suscitato le più disparate spiegazioni. Invece, il defunto SupMarcos ricordava sempre, e la maggior parte delle volte a sproposito, che quando era alla secondaria aveva segnato un goal. Certo, dimenticando di dire che lui era sempre in panchina e che solo una volta è entrato in campo e solo perché all’allenatore mancava un uomo e che l’ha segnato scivolando e, senza volerlo, come si dice, “ha buttato la palla in rete”.

E neppure assume la parte della principessa sperduta che aspetta la salvezza dall’immagine della mascolinità in sella ad un baldo destriero. In realtà, credo che la sua relazione col Pedrito sia precisamente l’inverso: lei deve aiutare, orientare e riscattare il Pedrito, anche se forse il suo metodo di menare ceffoni non sia il più adeguato.

No, Difesa Zapatista assume il suo obiettivo come qualcosa da portare avanti collettivamente e non concepisce se stessa come un capo o una capa; in effetti ha scelto la posizione meno brillante che potrebbe esserci, la difesa, e lo fa per aiutare il cavallo orbo che sta in porta. Il suo compito è quello di cercare e trovare chi vuole unirsi, chi giocherà come una squadra e non solo come un membro della squadra, ma anche un ponte per far partecipare gli altri. E quando apprezza posizioni altrettanto importanti come il raccattapalle, o il cagnolino o gatto-cane che corre storto, e pone come unico requisito il desiderio di giocare, questo è il suo modo di dire “voler lottare”.

In Difesa Zapatista non troviamo un mondo nuovo, è vero, ma forse qualcosa di ancora più terribile e meraviglioso: la sua possibilità.

E quando parla a colori, forse sta provando nuove forme di comunicazione per quel mondo che neppure immaginiamo, ma che lei assume già come in arrivo, non senza la lotta necessaria e urgente per realizzarlo, dovunque si trovi, in questa nostra dolorosa realtà.

Non immagino niente di più zapatista di quanto sintetizzato nell’azione di questa bambina.

Di questo parlava il SupGaleano ad un Elías Contreras silenzioso e attento. In quel mentre, sulla porta della capanna apparve Difesa Zapatista che, col pallone in una mano ed il gatto-cane nell’altra, chiese: “rosa?”.

“Adesso arriviamo, poi ti raggiungiamo”, rispose il Sup. Difesa Zapatista annuì solo con un “nero” e se ne andò di corsa.

Elías Contreras chiese al Sup: “Ma, cosa ha detto?”.

“Non ne ho idea”, gli rispose il Sup, mentre decideva se indossare la maglia dell’Inter di Milano (che, mi dicono, sembra abbiano comprato i cinesi) o quella dell’Atalanta (che sta in quel mercato di giocatori che si chiama UEFA), o quella dei Jaguares de Chiapas (che chi lo sa dove stanno messi) che aveva trovato nel baule dei ricordi del defunto. Alla fine si mise la maglia dell’EZLN con la quale, nel 1999, una squadra di basi di appoggio zapatiste debuttò allo stadio “Palillo Martínez” nella Cittadella dello Sport di Città del Messico, in una partita dove segnarono solo un goal e che il defunto SupMarcos sintetizzò così: “non abbiamo perso, è che non abbiamo avuto abbastanza tempo per vincere”.

“La verità è che tento di indovinare quello che vuole dire. A volte ci riesco, a volte sbaglio. Cioè, come dire, applico il metodo scientifico di tentativi ed errori. Forza Elías, credo che dobbiamo andare al campo perché c’è una squadra da completare. Presto si allargherà sì, ed un giorno saremo di più”, aggiunse a sua giustificazione il SupGaleano.

Sul campo c’erano già il cavallo orbo che masticava con perseveranza la stessa bottiglia di plastica, il Pedrito che discuteva di qualcosa con la bambina, il gatto-cane che tentava invano di mordere il nuovo pallone che il buon Vlady ha regalato a Difesa Zapatista, e due figure assurde che stavano ai bordi del presunto campo da calcio.

Nessuno lo notò, ma tra Testa di Scopa, Capelli di Tortilla, Elías Contreras e il SupGaleano ci fu uno scambio di sorrisi complici ed un cenno di saluto.

Difesa Zapatista rideva, mentre il gatto-cane le saltellava intorno cercando di prenderle il pallone.

Il freddo si era attenuato ed il pomeriggio si stava scaldando.

E ciò che qui ho narrato è accaduto in un qualsiasi calendario, ma in una geografia precisa: le montagne del sudest messicano.

In fede:

Il gatto-cane.

Guao-miao.

Dal CIDECI-UniTierra.

SupGaleano.

Messico, dicembre 2017

 

(*) elloa, elloas, otroa, otroas: Traduzione letterale “egliella, altrei”, desinenze coniate dagli zapatisti per includere anche nella terminologia tutti i generi: maschile, femminile, transgender e altri generi che non sono maschile, femminile, transgender.

(**) Il pozol, dal Nahuatl “pozolli” è un cibo/bevanda ottenuto da una massa di mais cotto e fermentato.

(***) Il Professor Moriarty è un personaggio di Arthur Conan Doyle presente nel ciclo di Sherlock Holmes.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/30/participacion-de-la-comision-sexta-del-ezln-en-la-clausura-del-conciencias-por-la-humanidad-del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro-supgaleano/

 

 

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…il defunto SupMarcos insisteva che il sistema capitalista non poteva essere compreso senza il concetto di guerra. Chiaro, supponendo che sia un concetto. Egli diceva che la guerra era in primo luogo il motore che aveva permesso, per prima cosa, l’espansione del capitalismo e poi il suo consolidamento come sistema mondiale, oltre che a ricorrervi per fare fronte ai suoi appellanti ed alle crisi profonde…… cos’altro ci si può aspettare da un soldato? Devo però segnalare, per rassicurarvi, che il SupMarcos non considerava come guerra solo quella militare… 

TRUMP, IL RASOIO DI OCCAM, IL GATTO DI SCHRÖDINGER E IL GATTO-CANE. 

28 dicembre 2017

Di nuovo buongiorno, buon pomeriggio, buona sera,

Forse qualcuna, qualcuno, qualcunoa, ricorda che il defunto SupMarcos insisteva sul fatto che il sistema capitalista non poteva essere capito senza il concetto di guerra. Ovviamente, ammettendo che si tratti di un concetto. Diceva che la guerra era il motore che aveva permesso, prima, l’espansione del capitalismo, poi la sua consolidazione come sistema mondiale, oltre ad essere lo strumento per affrontare concorrenti e profonde crisi.

Eh, lo so, cos’altro ci si può aspettare da un soldato? Devo però segnalare, per rassicurarvi, che il SupMarcos non considerava come guerra solo quella militare. Magari una rilettura della sua corrispondenza con Don Luis Villoro Toranzo del 2010, resa pubblica a inizio 2011, potrebbe aiutarci a capirlo. Nel primo di questi scambi pubblici, viene sgretolata l’inefficacia apparente della cosiddetta “guerra al narcotraffico” inaugurata dall’affezionato ai videogiochi bellici, Felipe Calderón Hinojosa. E parlo di “inefficacia apparente” perché, in effetti, visti i risultati, è stata ed è tuttora inefficace per combattere il crimine organizzato, ma è stata efficace per mettere i militari a governare di fatto in varie regioni di questo paese chiamato “Messico”.

Lo menziono qui perché, a differenza del defunto, a mio modo di vedere il capitalismo può essere studiato come un crimine.

Affrontarlo così richiederebbe la conoscenza scientifica di materie che potrebbero sembrare lontane da quelle che sono conosciute tradizionalmente come “scienze sociali”.

Insomma, catalogate pure come volete questa divagazione teorica, forse prodotto di un corso inconcluso, per corrispondenza, da detective privato, in quell’epoca lontana in cui la posta non faceva riferimento a conti elettronici e nickname, e che, quando si scriveva l’indirizzo, si metteva la zona postale e non l’IP o il protocollo di internet; un’epoca in cui si poteva studiare, anche per corrispondenza, da un corso da fabbro fino a uno da pilota di aerei, passando, chiaramente, da “come avere un corpo come quello di Charles Atlas senza il bisogno di andare in palestra e in poche settimane”, che non ho avuto bisogno di seguire perché è evidente che le mie gambe sono già sufficientemente belle e tondeggianti (riiiiiiso al latte).

Insomma, mettetemi nell’archivio di alcuni di quegli “ismi” a portata di mano sulle reti sociali, ed evitate di concluderne che le scienze sociali continueranno ad essere incomplete finché non includeranno la criminologia tra i loro strumenti, oltre che, ammesso che si tratti di un crimine, la cosiddetta scienza forense.

-*-

Ma continuerò a parlare di un crimine. Un crimine spiegato da diverse prospettive.

Prendiamo un esempio recente: i terremoti e le disgrazie che hanno causato.

Potremmo fare domande sulle condizioni delle strutture. Ammettiamo che ci sia stato e che ci sia uno studio scientifico del sottosuolo, calcoli sulla resistenza dei materiali e cose del genere. Quelli che hanno fatto della scienza la propria vocazione, la propria professione e la propria vita, possono dirci che le cose stanno così. Che le scienze possono darci gli elementi per evitare o almeno per ridurre il rischio che gli edifici collassino.

Vale a dire, in una zona sismica e con precedenti di terremoto, ci sarebbe da aspettarsi che gli edifici vengano costruiti prendendo in considerazione tutto ciò. Non sarebbe affatto serio che venissero realizzate delle costruzioni per poi pregare affinché non arrivino terremoti a buttarle giù.

Non so, magari gli scienziati potrebbero rispondere alla domanda chiave, che tra l’altro non è perché avvengono i terremoti, ma perché muoiono persone sotto le macerie di edifici che avrebbero dovuto essere costruiti per resistere ai terremoti.

Ma a quanto pare, secondo gli studi oggi di moda, tutto dipende.

Quindi, come ha detto il neo filosofo della scienza, “l’intellettualmente formidabile” (secondo la stampa che l’ha fatto suo), il cittadino senza partito José Antonio Meade Kirubreña, “passeremo a uno schema in cui la domanda non avrà senso”. Vale a dire, non chiederemo chi sono i responsabili, per commissione o per omissione, del fatto che questi edifici siano crollati e siano morte centinaia di persone. No, quel che chiederemo è perché c’è stato il terremoto. Ci limiteremo a questo, seguendo sempre questo intellettuale organico postmoderno, con un’altra domanda: Perché ci sono i terremoti o i sismi, o come si dice quando la terra abbandona la sua rassegnazione apparente e si muove?

No, se sperate in una spiegazione scientifica, state aspettando in vano. Le spiegazioni valide sono quelle che hanno più followers, ascoltatori, simpatizzanti e militanti. È da tempo ormai che la scienza perde ogni concorso di popolarità.

Quindi dipende dallo schema in cui sono date le spiegazioni.

Prendiamone una, quella del signor Alberto Villasana, che si autodefinisce, con modestia esemplare, “Teologo cattolico, Filosofo, Analista internazionale. Esperto di relazioni Chiesa-Stato. Autore di 12 libri. 3 volte Premio Nazionale di Giornalismo”, il che spiegherebbe, di fronte alla fede, i suoi 15,6 mila seguaci su twitter.

Non ridete, questo numero supera di gran lunga quello degli assistenti, partecipanti e presenti a questo incontro.

Riguardo al terremoto del 19 settembre 2017, l’illustre e illustrato Villasana ha scritto: “Questo è senza dubbio un avvertimento di Dio, una grazia molto speciale per il Messico, per prepararci a tutto quel che verrà…”.

Come l’ha saputo? Beh, pare che Villasana assicura che, al momento del terremoto, stavano celebrando un esorcismo a qualcuno posseduto da 4 demoni. “Durante l’esorcismo, gli infestanti hanno dichiarato che il terremoto del 19 settembre fa parte degli avvertimenti di Dio prima del grande castigo”, ha pubblicato nel suo articolo. Oltre ai terremoti, ci saranno uragani ed eruzioni vulcaniche. Secondo il teologo, questi castighi sarebbero “per aver approvato l’aborto nella stessa città in cui la Madre di Dio apparse nel 1531”. Secondo gli argomenti di Villasana, il sisma sarebbe un avvertimento per i messicani. Sul suo conto di Twitter, ha pubblicato l’immagine delle macerie del monumento alla Vergine: “Il collasso del monumento alla madre è significativo: proprio nella città dove è stato approvato l’aborto”.

Malgrado la sua sapienza indiscutibile, Villasana non è molto originale. A novembre 2016, i giornali italiani hanno segnalato che il sacerdote Giovanni Cavalcoli, conosciuto per la sua carriera da teologo, ha fatto le seguenti dichiarazioni la domenica del 30 ottobre, lo stesso giorno che un sisma di magnitudo 6,5 ha scosso la regione centrale dell’Umbria: la scosse sismiche sono un “castigo divino per l’offesa alla famiglia e alla dignità del matrimonio, soprattutto per colpa delle unioni civili omosessuali”.

Lo schema da cui dipende questa spiegazione, ha numerosi seguaci.

Giusto un paio di settimane fa, a dicembre di quest’anno, il cardinale emerito Juan Sandoval Iñíguez ha responsabilizzato le donne e loas otroas della violenza del crimine organizzato, dei terremoti e delle inondazioni.

Come tribuna per fornire questa spiegazione così scientifica, Sandoval Iñíguez ha convocato un certo “Grande Atto di Espiazione” che, per quel che ho capito, è tipo un incontro delle IncoScienze per la Deità, ma con più potere di convocatoria di questo a cui partecipiamo. L’evento si è svolto nello Stadio Azzurro, a Città del Messico che, tra l’altro, è ubicato meglio del CIDECI.

Tanto per cambiare, anche lì c’erano degli incappucciati. A differenza di chi ci convoca, però, che si dedicano a parlare male del capitalismo, gli incappucciati di Sandoval Iñíguez si sono flagellati a sangue. Quelle sì che sono frustate, non come quelle che si accumulano sulle reti sociali.

Tra una frustata e l’altra, ma facendo attenzione che non schizzasse sangue, il cardinale emerito ha dichiarato che il diritto di decidere e la diversità sessuale sono peccati, e che la violenza del narcotraffico e i terremoti sono il castigo per questi peccati: “Signore e nostro Dio, prima che arrivi un castigo più grande, ci mandi dei castighi provvisori o delle correzioni paterne tramite la natura che è la tua opera ed è governata dalla tua provvidenza. Saranno una casualità due 19 settembre in questa città?

L’evento “Grande Atto di Espiazione” è stato convocato da una specie di associazione che potrebbe anche essere chiamata “È giunta l’ora che marciscano le peccatrici e i peccatori”. Che sarebbe il contrario di quel che dicono coloro che sostengono il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce.

Ho letto da qualche parte che, tra quelli che l’hanno convocato, ci sono “personaggi pubblici” come Esteban Arce, Manuel Capetillo e Alejandra Rojas. Non ho idea di quanto siano veramente pubbliche queste persone, so solo che la signora madre di Esteban Arce dev’essere ricordata da tutta la comunità otroas.

Nell’atto, che ora sappiamo non era per esorcizzare la squadra di calcio che ha questo stadio come sede (non c’è modo, “ogni croce azzurra del passato è stata meglio”), il neoscienziato Sandoval Inníguez ha proclamato: “Questo è un atto di espiazione, in cui veniamo a confessare le nostre colpe, a riconoscere i nostri peccati di fronte al Signore e a chiedergli misericordia e perdono. Veniamo a dirgli: Signore, abbiamo peccato contro di te e commesso il male che aborrisci; perdona il tuo popolo e dacci il castigo che meritiamo. Abbiamo peccato contro di te con il crimine più tremendo, più grave e più crudele, quello dell’aborto praticato in lungo e in largo nella nostra patria, a volte persino con il consenso di leggi ingiuste, a volte in modo occulto, furtivo, ma sempre con crudeltà, deliberatezza e vantaggio contro l’innocente, l’indifeso.

Secondo rapporti della stampa, molto vicino a dove si frustavano le “fratellanze di penitenti crocifissi e flagellanti di Taxco” (così si autodefiniscono), venivano raccolte le firme per sostenere l’espansionista Margarita Zavala e il suo progetto di candidatura indipendente alla presidenza della repubblica.

Contro corrente, con uno schema diverso rispetto alle recenti disgrazie, Papa Francesco ha annunciato: “Penso che il Diavolo castiga con rabbia il Messico perché non gli perdona che lei (indicando un’immagine della Vergine di Guadalupe) abbia mostrato lì suo figlio. È una interpretazione personale. Cioè, il Messico è privilegiato nel martirio per aver riconosciuto e difeso sua madre.

Ecco dunque il castigo divino o il castigo diabolico. Scegliete voi il vostro criterio di spiegazione di questa realtà.

“Sono solo opinioni”, direte voi o gli influencers più vicini alla vostra lunghezza d’onda.

Ok, ok, ok. Ma il problema è che le decisioni vengono prese in base a queste opzioni: c’è chi chiede il perdono divino o accoglie il dolore come martirio privilegiato… e c’è chi si organizza per chiedere verità e giustizia.

Non vi appesantirò con la croce portata dalla signora Margarita Ester Zavala Gómez del Campo de Calderón (quella che in modo irrispettoso e lontano da ogni correttezza politica gli zapatisti chiamano “la Calderona” e da cui io, che mi sono sempre distinto per la mia buona educazione e per essere politicamente corretto, mi allontano).

E chiarisco che è “Gómez del Campo” per ricordarvi l’assassinio dei bambini dell’Asilo nido ABC, avvenuto il 5 giugno 2009 nello stato di Sonora, ordinato, tra gli altri, da Marcia Matilde Altagracia Gómez del Campo Tonella, esonerata in quanto parente della Calderona. La memoria di questo crimine non si spegne, grazie al fatto che i loro famigliari continuano ad esigere verità e giustizia.

E la chiamo “de Calderón” perché chiamarla con il suo cognome da nubile equivarrebbe a dire che vive in concubinato con lo psicopatico. E, per quanto mi permettano i miei studi limitati di diritto canonico, il concubinato è un peccato. Ergo, questo causerebbe altri terremoti per castigarci per colpa di quelli che firmano per sostenere la sua candidatura.

Farò invece un breve riferimento al principale sabotatore della sua carriera politica, (il suo concubino, se diamo retta a chi si infuria per il fatto che è stata scelta per via del suo cognome secondo le leggi cattoliche, apostoliche e romane), Felipe Calderón Hinojosa.

Il signor Calderón Hinojosa, 10 anni fa, era titolare del potere esecutivo federale in Messico. “Presidente” mi pare lo chiamassero. Beh, 10 anni fa, in occasione delle inondazioni che distrussero lo stato del Tabasco, l’allora comando supremo dell’esercito, della forza aerea e marittima, dichiarò che la responsabilità del fatto che più di 125 mila persone avessero perso le proprie case e avessero dovuto rifugiarsi in alberghi era… della luna e di un fronte freddo.

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Il Partito d’Azione Nazionale compete con il Partito Rivoluzionario Istituzionale, non solo per quanto risultino ridicoli i suoi pre-candidati. No, il Partito d’Azione Nazionale, ora con una zavorra chiamata Partito della Rivoluzione Democratica, compete anche lui con il PRI per la complicità nel crimine.

Se notate nello sguardo di Ricardo Anaya, pre-candidato del PAN-PRD-MC, un luccichio demente, non attribuitelo a un potenziale problema nella zona del cervello responsabile della decenza (ammesso che esista chiaramente). È il prodotto di una formazione partitica di quattro dirigenti. Ricardo Anaya fa parte di quella generazione di quadri partitici che sono cresciuti in mezzo alla corruzione, al cinismo, al tradimento, al fanatismo, all’intolleranza, alla superbia, al nepotismo, all’ignoranza, al cretinismo… ok, credo che sto descrivendo più di un pre-candidato, ma adesso faccio riferimento a quello dell’alleanza tra il PAN, il PRD e MC chiamata “Per il Messico, al fronte”… va beh, al fronte c’è un abisso. Vedete voi.

Oltre ad Acteal e Ayotzinapa, un altro nome ci riporta al crimine impune: l’Asilo nido ABC, a Hermosillo, Sonora, Messico.

Durante il sessennio di quel considerevole pensatore chiamato Vicente Fox, il PRI, il PAN e il PRD si sono alleati per il crimine chiamato “Atenco”, nel maggio 2016, che vide, altre all’assassinio, l’aggressione sessuale di varie donne.

Tutto pare dunque indicare che il grande elettore, a cui sicuramente non serve l’Istituto Nazionale Elettorale, chiede prove di criminalità per decidersi. Sul suo altare, queste proposte partitiche offrono il sangue delle donne, dei bambini, dei giovani, degli anziani… e di otroas.

Per confermarlo, proposte politiche dalla destra più rancida arrivano ai vari impieghi da sicari che il sistema politico mondiale promette periodicamente.

Nonostante ci siano esempi in Argentina, Cile, Brasile, Regno Unito, lo Stato Spagnolo, Israele, Honduras, Nicaragua, Russia e aggiungete voi la geografia che volete, ce n’è uno che sintetizza la fatidica era che verrà: Ronaldo Trump.

Oltre alla sua innegabile abilità e capacità di gestire il suo conto di Twitter, Ronaldo Trump ha definito con una chiarezza diafana la vittima da immolare: le donne, otroas, bambine, migranti, l’ambiente, e potrei continuare a dare dettagli specifici ma, alla fine, arriverete alla mia stessa conclusione: la vittima è il pianeta intero, inclusa l’umanità che lo abita.

Nonostante Ronaldo Trump abbia dimostrato di avere seri problemi mentali, ha risolto l’equazione basica che ogni governante deve affrontare: cosa devo fare per continuare a detenere il potere? Occam gli è stato utile e ha optato per la risposta più semplice: una guerra.

Per ottenere una guerra propone muri, spostamenti di ambasciate, provoca incidenti diplomatici, supplicando e implorando: “vi prego, datemi una guerra! Ovunque sia, non importa. E più grande è, meglio è.” Quindi, tornando indietro di qualche secolo, Ronaldo Trump prende la lira di Nerone e canta: “Non vogliamo scontrarci, ma per Jingo, se lo facciamo, abbiamo navi, uomini e anche soldi.”

Sì, una guerra. O un crimine, dipende.

Una guerra o un crimine, una disgrazia mai vista prima nella storia dell’umanità.

Come se il mondo così come lo conosciamo crollasse.

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Visto che abbiamo fatto riferimento ai videogiochi, immaginiamo di avere il sogno di qualunque video-dipendente: un’interfaccia cibernetica che ci permetta, simultaneamente, di avere la prospettiva strategica, la tattica e quella in prima persona. Tipo una combinazione della strategia in tempo reale, il role playing, la prima persona o first person shooter, e l’altra che non so come si chiama, ma che è in terza persona. Insomma, se un giorno vorrete, non dimenticatevi di contribuire economicamente ai diritti d’autore intellettuali.

Ora ammettiamo che siate rinchiusi in una stanza sferica ideale. La superficie interna della sfera, quella che potete vedere, è un grande schermo curvo, con tecnologia %K, omled o come si dice, in cui, simultaneamente e con una velocità vertiginosa, vi vengono presentati dei pacchetti informativi. Non solo immagini, anche suoni, odori, sensazioni tattili e gustative. E anche, per non discriminare gli esoterici, percezioni extrasensoriali.

Voi potete pensare, con un alto grado di certezza, che siete nel mondo reale, che vivete in questo mondo, che nascete, crescete, vi riproducete e, dio non voglia, ma è una situazione ipotetica, morite.

Lì siete felici o infelici. La macchina è talmente efficiente che fornisce persino dei parametri per definire la felicità e l’infelicità. Non solo, offre anche una spiegazione di questo mondo e, se lo desiderate, si un mondo spirituale, una consolazione per il giorno in cui, ho già detto che dio non voglia?, doveste morire.

Quindi state lì, nella macchina che chiameremo, con un prudente calcolo impresariale, “la macchina del gatto-cane” (tutti i diritti riservati).

Si tratta di questo, di simulare di essere vivi (perché la macchina fornisce anche i criteri per distinguere ciò che è “reale” nella macchina dal “virtuale” che la stessa macchina produce per darvi un punto di riferimento).

Beh, ammettiamo che in una temporalità qualunque all’interno della macchina, stiate facendo quel che che in teoria dovreste fare. A un certo punto, non si sa bene da dove, appare una persona che non ha nulla a che vedere. Voi, ovviamente siete persone moderne, comprensive dei limiti tecnologici e attribuite questa irruzione a un’irregolarità nel complicato software della macchina o nel suo complesso hardware. Aspettate pazientemente che l’irregolarità trovi una soluzione, vale a dire che cercate il bottone “reset”, ma la persona è ancora lì e, quando meno ve lo aspettate, dice:

Un momento, non toccate niente, non uscite. Questa è la scena di un crimine.”

Avete dubbi, non sapete se lamentarvi o mettere nel microonde un pacchetto di popcorn, che magari è un nuovo episodio di “Law and Order, Special Victims Unit” (musica di sottofondo).

Ma qualcosa non torna, perché non è la detective ad apparire, ma un’altra donna. Sì, la macchina le ha dato il modello che indica: “donna”. Ma porta una borsa ricamata, la sua statura è inferiore alla media che la macchina le ha inculcato come “statura media”, la sua carnagione è scura, diciamo del colore della terra. a macchina le dà le informazioni che ha a disposizione: “indigena, o anche autodefinita “originaria”, la sua ubicazione geografica è nella regione centrale del Nord America chiamata Messico, livello di studi scolastici nullo o minimo, accesso a mezzi tecnologici tra 0 e 0,1, monolingue anche se ci sono casi in cui se la cava in due o più lingue, tasso di mortalità molto più alto della media, speranza di vita molto più bassa della media; persistenza culturale, secoli; per la stessa ragione, età indefinita.

Con queste informazioni, iniziate a scrivere il rapporto, ovviamente, mentre vi rimpinzate di popcorn, perché non si può sprecare la salsa Valentina di cui sono ricoperte:

“Gentili programmatori, vi prego di trovare una soluzione a questo problema. Perché non è possibile che uno, una, unoa, stia riempiendo al meglio le funzioni che gli sono state assegnate, e di colpo appaia qualcosa di così premoderno. Sbrigatevi che sta per cominciare la nuova stagione di “A destra, il migliore dei mondi possibili” ed è già iniziata la pubblicità. Firma”

L’irruzione femminile in questione ha il cattivo gusto di cambiare la battuta di moda “vengo dal futuro e…” seguito da qualcosa di ingegnoso. Non preoccupatevi, la macchina dice anche cos’è e cosa non è “ingegnoso”. La donna chiamata originaria ora dice: “vengo dal passato e questo film non è un film e l’ho già visto”. Vi accorgete quindi che la donna non è sola, che ce ne sono altre che le assomigliano, anche se adesso che vi obbligano a guardarle vedete che sono uguali ma diverse. Ci sono anche uomini, maschi insomma. E non manca chi non è né l’una né l’altro.

Senza rispettare la programmazione, questi esseri strani, anacronistici e, non serve dirlo, irriverenti, cominciano ad annusare e c’è persino chi ha tirato fuori, chissà da dove, una lente d’ingrandimento. Siete sul punto d’applaudire, perché pensate che la macchina si sia aggiornata e ora potete produrre una realtà virtuale all’interno della realtà virtuale, ma la donna che adesso la macchina etichetta come “indigena” senza alcuna sfumatura, vi sta studiando in dettaglio. Chiaramente, avete ragione a sentirvi a disagio quando, dopo avervi messo la lente sugli occhi, sentenzia: “Un’altra vittima, che la squadra relatrice prenda appunti”.

“Sì, hanno una squadra relatrice, il che suggerisce un qualche tipo di forma organizzativa non catalogata”, vi dice la macchina, un po’ per essere utile, un po’ per darsi il tempo di correggere la propria programmazione.

Il gruppo di indigene che, vi rendete conto adesso, sono una minoranza ma fanno baccano come se fossero maggioranza, si riunisce per deliberare e, dopo un lasso di tempo che la macchina non sa contabilizzare, né può offrire un parametro di comparazione, decretano:

Ecco tutto:  la vittima, l’assassino, l’arma del delitto e la scena del crimine.”

Quindi vi rendete conto che lo schermo sferico assomiglia più a un muro concavo, e guardate, non senza allarmarvi, una ragazza accompagnata da un essere strano che la macchina è incapace di identificare e quindi lo adatta alla figura di un “gatto-cane; essere mitologico di origine sconosciuta; non c’è nessun dato che conferma la sua esistenza reale, o meglio virtuale, però reale nella macchina, cioè, lei mi capisce vero?  Beh, dipende; habitat probabile: le montagne del sud-est messicano”. Cf: “Ci sarà una volta”, edizioni  in spagnolo, italiano, inglese, greco, tedesco, portoghese, ect.”

Bene, quello che spaventa è che una ragazza e l’essere catalogato come “gatto-cane” segnalano una crepa nella macchina, o meglio la sfera, o meglio il muro.

Ora avete dei dubbi, una cosa che la macchina ha evitato finora, non sapete se andare a controllare le condizioni di garanzia o correre ad affacciarvi alla crepa.

Perché risulta che la crepa, così come il fatto che possa esistere, interroga non solo la programmazione della macchina, ma la sua stessa esistenza.

La macchina vi collega rapidamente a Wikipedia e lì potete leggere:

Erwin Schrödinger propone un sistema formato da una scatola chiusa e opaca che contiene un gatto, una bottiglia di gas velenoso e un dispositivo che contiene una singola particella radioattiva con una probabilità del 50% di disintegrarsi in un tempo dato, di modo che se la particella si disintegra, il veleno è sprigionato e il gatto muore. Quando finisce il tempo previsto, la probabilità che il dispositivo si sia attivato e il gatto sia morto è del 50%, e la probabilità che il dispositivo non si sia attivato e quella che il gatto sia vivo hanno lo stesso valore.”

Certo, voi non seguite più la parte sulla meccanica quantistica, perché sentite un leggero tremore percorrervi il corpo.

“Terrore” vi dice la macchina così che possiate identificare questa sensazione.  Perché la macchina ha già un’etichetta per quella percezione sensoriale, ma sempre, almeno finora, le era parsa estranea: il terrore era sempre appartenuto all’altro.

Tutte le evidenze, tutte le cose solide che a voi davano certezze, valori, ragione, giudizio, cominciano a dissiparsi.

No si sa se è vivo o morto, c’è un 50% di probabilità dell’uno o dell’altro, e voi rabbrividite, ma non perché siate sul punto di capire la vostra condizione esistenziale, ma perché la domanda che la crepa propone, come dicono, smuove le carte:

“Un altro mondo è possibile?”

“Lo è”, vi risponde la bambina che adesso porta un pallone sotto il braccio e sulla testa ha qualcosa che potrebbe essere un gatto… o un cane.

Chiaramente, siete persone colte e vi applicate da soli “il rasoio di Occam” interpretato come: la spiegazione più semplice è probabilmente la più corretta. Quindi dite a voi stessi, stesse, stessoe: “sto sognando”

Mentre decidete se siete in un sogno o in un incubo, cosa fate? Vi affacciate alla crepa o continuate a fare quello che stavate facendo quando quel rumore irriverente e indomabile è apparso?

Per questo, quello che in principio era un gruppo di indigeni, adesso è un collettivo più ampio: ci sono persone di tutti i colori, c’è chi impugna un martello e sorride complice quando va verso il muro dove, oh oh, sembra che vogliano ingrandire la crepa.

E laggiù c’è chi balla, chi dipinge, chi immagina una cornice per lo scatto, chi scrive frettolosamente, e più di là cantano, e c’è chi sta soppesando un microscopio per vedere se lo gettano contro il muro sferico o se è meglio il bisturi che qualcosa dovrà pur fare alla crepa.

E, aspetta, da dove viene quella marimba?

E già stanno giocando a calcio e la bambina, per non dover spiegare, si è messa un cartellino che dice: “Difesa Zapatista”, e vi chiede come vi chiamate, e voi allora capite che non vi sta chiedendo il vostro nome-nome, ma la vostra posizione per una supposta squadra che non sembra completarsi mai.

E voi sentite che il terrore si è già impossessato di tutto il vostro essere, perché avete intuito che la bambina in realtà vi sta chiedendo:

E tu?”

Dal CIDECI-UniTierra, Chiapas.

SupGaleano.

Messico, dicembre 2017.

 

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE:

IL MISTERIOSO CASO DELLE MANTECADAS SCOMPARSE

Elías Contreras è un compagno zapatista che lavora per la commissione di investigazione, insomma è un detective. Voglio dire che è come una vedetta. Elías Contreras è defunto, come il SupMarcos ed hanno lavorato insieme alla ricerca del male e del maligno. Adesso Elías a volte collabora con il SupMoy, anche se ogni tanto parla con il SupGaleano.

Questo breve riassunto dovrebbe aiutarvi a capire cosa accadde un pomeriggio di dicembre al Comando Generale dell’EZLN, dove il Subcomandante Insurgente Moisés chiamò il famoso Elías Contreras.

Elías”, disse il SupMoy dopo aver risposto al saluto militare della commissione di investigazione, “c’è un problema”.

Elías Contreras non disse niente, tirò fuori le cartine e qualche briciola di tabacco e si fece una sigaretta mentre ascoltava il SupMoy:

Si tratta del negozio cooperativo della regione. Dicono che manca della merce, che è scomparsa. Mi hanno chiesto se qualcuno li può aiutare. Puoi pensarci tu?”.

Elías Contreras emise solo un suono tipo “mmh”, e uscì senza dire una parola.

Il responsabile del negozio salutò Elías con un semplice cenno, stava facendo i conti del mese.

Dunque, cos’è che è scomparso?”, chiese Elías mentre distrattamente guardava i DVD in vendita, la maggior parte con l’etichetta de “Los Tercios Compas”(*).

Le mantecadas”, rispose il responsabile del negozio senza sollevare gli occhi dal quaderno dei conti che lo facevano dannare.

E come sai che mancano?”, chiese Elías mentre controllava i ripiani del bancone.

Perché nessuno le compra, sono sempre state lì”.

E se nessuno le compra, quale è il problema?”.

Per la commissione di vigilanza”, sospirò il responsabile con rassegnazione, “i conti devono quadrare, altrimenti bisogna metterci i soldi oppure scatta la punizione”.

Elías Contreras sbuffò e si chinò a raccogliere qualche briciola di tabacco nero caduta ai piedi del bancone.

E se ne andò.

Sup”, disse giunto alla porta della capanna del SupGaleano.

Elías”, rispose il Sup senza sollevare lo sguardo dallo schermo collegato ad un vecchio computer portatile.

È fottuto”, ma subito il Sup chiarì, “lo schermo si è rotto, ma il processore e il resto funzionano, quindi l’ho collegato a questo monitor. Gli ho appena collegato la tastiera, ma non trovo il mouse”.

Si girò sulla sedia a rotelle e guardò Elías.

Le mantecadas”, disse quello della commissione di investigazione.

Non ce ne sono più”, disse il Sup, “se le sono mangiate Difesa Zapatista e il suo cane… o gatto… o quello che è”.

Però ho un po’ di pane di pinoli che hanno fatto gli insurgentes. Come so che l’hanno fatto gli insurgentes? Perché è lievitato, quando lo fanno le insurgentas resta piatto”.

Elías si rollò una sigaretta e passò al Sup i fiammiferi per la pipa.

E allora?”, chiese il SupGaleano dopo aver aspettato che Elías Contreras si fosse acceso la sigaretta.

“E allora, adesso ti faranno fare la contabilità per il negozio. Oltre ovviamente a ripagare ciò che è stato preso. Ma non sono venuto qui per questo. C’è un pensiero che voglio discutere con te…”.

Qualche ora dopo, Elías Contreras, della commissione di investigazione dell’EZLN, uscì della capanna del SupGaleano e si fermò un momento per ammirare il pomeriggio trasformarsi nelle ombre della notte.

Con la torcia illuminò il sentiero fino al comando generale dell’ezetaelene. Sulla porta, senza entrare, salutò e disse: “Il Sup, qualche mantecadas”.

Il SupMoy sorrise e disse tra sé: “Bene, qualcuno doveva fare quei conti”.

Nell’assemblea generale al SupGaleano non è andata così male, ma neanche bene. Dopo averlo “auto-criticato” per aver mangiato dolci e non alimentarsi come si deve (gli hanno detto che sono meglio le mantecadas della panetteria del CIDECI), le autorità gli hanno dato la peggiore punizione che attualmente esiste in quella comunità: fare la contabilità delle cooperative.

Il Sup si accese la pipa mentre usciva dall’assemblea e dirigendosi verso la cooperativa “Come donne che siamo”, si disse: “bene, sarebbe potuta andare peggio, in altri tempi mi avrebbero fatto pulire il pascolo”.

Fece i conti velocemente non perché ne sapesse di matematica, ma perché li ha fatti con il cellulare che ha preso “in prestito” dal comando quando il SupMoy lo ha chiamato per sgridarlo. Non era nemmeno un gran cellulare, era uno di quelli “di fascia bassa” che non era in grado nemmeno di raccogliere le firme che l’Istituto Nazionale Elettorale del primo mondo aveva imposto come requisito ad aspiranti candidate del terzo mondo, ma la calcolatrice funzionava per fare addizioni e sottrazioni.

Come d’accordo, trovò Elías ai piedi della Ceiba.

Gli aromi dei loro tabacchi si mischiavano ai silenzi. Un dialogo tra defunti, un dialogo sordomuto.

Nessuno dei due ricorda chi chiese: “Quanto tempo?”, ma tutti e due sanno di aver risposto all’unisono: “poco, molto poco”.

 

In fede:

Il gatto-cane.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/28/trump-la-navaja-de-ockham-el-gato-de-schrodinger-y-el-gato-perro/

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Una rivoluzione è per tutte e tutti?

di Andrea Cegna

2 gennaio 2018

Ventiquattro anni dopo il primo gennaio 1994 l’EZLN continua a parlare, e a far parlare di sé. Chiusa la seconda edizione del ConCiencias por la Humanidad, festival di scienza critica e anticapitalista, si guarda alla festa della donna e al “Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle donne che lottano” che si svolgerà a marzo 2018 nel Caracol di Morelia. Ma si guarda anche al percorso di raccolta firme di Marichuy (candidata indigena alle elezioni presidenziali) e del Consiglio Indigeno di Governo e alle elezioni della prima domenica di luglio

Lo sguardo è ampio, complesso e prospettico e non è certo il punto di vista di chi si sente in difficoltà, ma di chi rilancia e cerca spiragli nel buio. O come direbbero loro «una crepa nel muro».

Ma non è per tutti e per tutte. Ed è il SupMoisés, nel discorso commemorativo dei primi 24 anni di rivolta, a dare alcuni esempi di chi è fuori dalle orbite zapatiste: «Perché vi chiedo, chi ha una vita degna? Chi è che non vive nell’angustia di poter essere assassinat*, derubat*, pres* in giro, umiliat* o sfruttat*? Se tu puoi stare tranquillo e non preoccuparti, bene, queste parole non sono per te». Ma anche «quindi se tu pensi che quello che succede, succede perché lo vuole Dio, oppure è sfortuna, o è il destino che ti spetta, allora questa parole non sono per te».

Una sorta di perimetrazione di classe, che non è né sociale né etnica, ma di parte, condizioni, e prospettiva. Le parole del capo militare e portavoce dell’EZLN sono chiare e dirette. E si sommano a quelle del SupGaleano scandite nei tre interventi del ConCiencias. Il capitalismo è un crimine fatto di tanti crimini, e di questo crimine si può essere complici o oppositori. L’opposizione passa dall’organizzazione, dalla critica, dall’aprire e ingrandire crepe nel muro con cui il capitalismo si protegge e genera distanze. Non è il tempo dell’elemosina, delle concessioni e del gioco dentro le maglie del potere, è il momento di costruire il mondo nuovo. Questo per gli zapatisti e le zapatiste è l’autonomia.

Sembrerebbe esserci un’evidente contraddizione tra queste parole ed il sostegno al percorso elettorale di Marichuy, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo delle popolazioni indigene messicane che si riconoscono nel CNI. Ma Moisés lo dice chiaramente: «Organizziamoci affinché la compagna Marichuy e il Consiglio Indigeno di Governo possa girare per il paese, anche se non raggiungerà l’obbiettivo delle firme per essere candidata. Perché le firme non sono quello per cui sta lottando, non è quello per cui ci stiamo organizzando, siamo noi che dobbiamo ascoltarci, conoscerci e così, capendo come stiamo, possiamo capire come organizzarci in maniera migliore e proseguire il cammino».

Nuovamente un pezzo della proposta viene svelato in maniera ufficiale, formale e facilmente decodificabile: la candidatura serve prima di tutto a creare organizzazione, unire popoli e lotte, creare una rete. Certo non possiamo far finta che, se non si raggiungerà il risultato, il potere farà i suoi conti. Le 870mila firme necessarie sembrano davvero lontane dall’essere raggiungibili. Ad oggi secondo i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale Elettorale il Consiglio Indigeno di Governo e Marichuy hanno raccolto 127.819 firme. Negli ambienti più vicini si parla di circa 150mila. Ma cambia poco. In politica, azione e reazione sono strettamente correlate, il raggiungimento o meno dell’obiettivo metterà in moto venti diversi da parte dei poteri che agiscono in Messico, e così da parte dell’EZLN e del CNI. Mentre scrivo queste righe sono convinto che Marichuy sarà una delle donne che dall’8 al 10 marzo animerà l’incontro internazionalista e femminista di Morelia, e quello sarà uno dei momenti in cui si capirà come proseguirà il percorso iniziato il primo gennaio dell’anno scorso con la scelta di entrare in maniera indipendente dentro la macchina elettorale messicana.

Il tavolo elettorale messicano è più corrotto e viziato della peggior cantina dove si gioca d’azzardo in maniera illegale. A parte il 2000 con la vittoria di Fox e del Pan, è abbastanza esplicito che dal 1988 in poi in Messico non ha governato chi ha vinto davvero le elezioni, anzi chi ha vinto davvero le elezioni è stato colpito da frodi elettorali. Le prove ci sono, ma troppo spesso chi ha subito la frode ha poi deciso di sedersi al tavolo della trattativa. Come fatto da Andrés Manuel López Obrador, nel 2006, che dopo aver lanciato il “governo ombra” e il presidio nello Zocalo di Città del Messico ha poi optato per un dialogo con Calderón. È difficile pensare che la tornata del 2018 sarà diversa. Tra la legge di Sicurezza Interna, che dà all’esercito la possibilità di agire operazioni di ordine pubblico, la violenza dei gruppi di potere che troppo semplicisticamente vengono definiti narcos, ma che sono qualcosa di molto più complesso, radicato, e ramificato, e con le attenzioni nordamericane quello che accadrà la prima domenica di luglio sembra essere deciso ben lontano dalle urne e dalla volontà popolare.

 

In questo scenario Marichuy, il CNI e l’EZLN giocano una partita che ha ben poco a che vedere con lo scacchiere elettorale. L’attenzione non è a chi vota, ma a chi sta fuori dal campo, a chi è escluso e a chi non crede più in quel sistema. E questa partita parla di organizzazione dal basso, resistenza e di ribellione.

A cannone, come si dice l’inno nazionale messicano, torna il SupMoy «Se pensi che qualcuno, un leader, un partito, un’avanguardia risolverà tutti i problemi e devi solamente mettere una x sulla scheda elettorale, così tanto facilmente, pensa bene se davvero è così. Quindi queste parole non sono per te. Stai lì tranquillo, stai lì tranquilla e aspetta una nuova burla, una nuova frode, un nuovo inganno, una nuova menzogna, una nuova disillusione. Che poi non sono nemmeno nuove ma le stesse di sempre, cambiano solo la data e la pagina sul calendario».

La paura e la violenza hanno nomi diversi ma sono lo strumento di controllo di massa del nostro secolo: in Messico si chiama “narcos e guerra alla droga”, in Europa si chiama “terrorismo islamico e migrazioni”, in Medioriente e nel Pacifico si chiama “guerra” ma sono lo stesso perimetro che permette al potere di stringere gli spazi di libertà e a chi vive in quelle geografie di accettare la riduzione di libertà in nome di una sicurezza che non ci può essere.

L’EZLN è ben saldo nella navigazione, nonostante gli attacchi che quotidianamente subisce dal fronte politico messicano e dagli interessi economici che vorrebbero tornare a dominare alcune aree dove l’influenza zapatista impedisce di mettere a valore i territori, ed è nella chiusura del SupMoy la sintesi della proposta attuale, che potrebbe sembrare semplicistica e ingenua e che dice: «Siamo sicuri che se ci sono popoli che si organizzano e lottano saremo in grado di ottenere quello che chiediamo, quello che meritiamo, cioè la nostra libertà. E la forza fondamentale è la nostra organizzazione, la nostra resistenza, la nostra ribellione e la nostra parola di verità che non ha limiti né frontiere. Non è questo il momento di metterci da parte, di disanimarci, di essere stanchi, dobbiamo essere più convinti che mai della nostra lotta, essere fermi nelle nostre parole e continuare con l’esempio che ci hanno dato i compagni e le compagne che sono morti: non arrendersi, non vendersi, non tentennare».

Ventiquattro anni dopo il primo gennaio 1994 le zapatiste e gli zapatisti sembrano citare indirettamente Malcolm X, non tanto con la sua storica «con ogni mezzo necessario», che poi è ciò che fanno da sempre per continuare a costruire una rivoluzione transnazionale, ma soprattutto quando disse «Non mi siederò alla vostra tavola per guardarvi mangiare, davanti a un piatto vuoto e sentirmi chiamare commensale. Sedermi a tavola non fa di me un commensale. Essere in America non fa di me un americano». Se riuscissimo a sostituire “America” e “americano” non con riferimenti a stati nazione ma rendendo universale il concetto, troveremmo una parte di terreno comune su cui costruire il mondo necessario di cui abbiamo bisogno, perché dove viviamo oggi non c’è nulla da riformare. L’immaginazione, il sogno e la dedizione non sono per tutti e tutte, ma per chi agita il suo ingegno e si esibisce da folletto, o si mette un passamontagna, o non accetta che tutto debba essere sempre e solo così. https://www.dinamopress.it/news/rivoluzione-tutte-tutti/

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