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La (impossibile) geometria del potere in Messico – 18 giugno 2005

Se Carlos Salinas de Gortari fu il governante esemplare esecutore della distruzione neoliberista in Messico, López Obrador vuole essere il paradigma dell’esecutore del riordinamento neoliberista. (…) Questo è il suo progetto. (…) La sua proposta è riempire DALL’ALTO E PER QUELLI IN ALTO il vuoto provocato dall’ecatombe neoliberista.

 

La (impossibile) Geometria? del Potere in Messico.

O geografia? No, la geografia è quella cosa del nord, sud, oriente e ponente. O sarà la geologia? No, questa si occupa delle pietre (tipo “che bel sassolino per inciamparci”). La geometria è quella cosa che ha a che vedere con area, volume, lunghezza e non-siate-malizios@. Mmh… sto già facendo lo spiritoso. Forse perché a molt@ non piacerà quello che diremo. Perché faremo riferimento alla presunta differenza tra la destra, il centro e la sinistra nella politica in alto. E poi ci sono le complicazioni: estrema destra, destra moderata, destra confessionale” sinistra “leale alle istituzioni”, estrema sinistra o radicale, sinistra moderata, centro, centro-sinistra, centro-destra, centro-centro, difesa centrale e centro attaccante. Ma in alto tutti dicono di essere una o l’altra cosa, secondo quanto dice il nuovo indice, cioè, il “rating”. Cosicché, quelli che vediamo un giorno in un posto, l’altro giorno sono all’opposto. Viene perfino mal di testa a guardare come saltano da una parte all’altra. Una baruffa. O una geometria impossibile.

Per cercare di capire questa geometria, secondo la nostra opinione, bisogna considerare che il capitalismo nella globalizzazione neoliberista sta realizzando una vera guerra mondiale, in ogni luogo e in tutti i modi. Questa guerra non solo distrugge, tra altre cose, le relazioni sociali. Cerca anche di riordinarle secondo la logica del vincitore. Tra le macerie prodotte da questa guerra di riconquista, giacciono le basi materiali, economiche, dello Stato-Nazione tradizionale. Ma non solo, sono distrutti, o hanno subito gravi danni, anche gli apparati e le forme di dominazione tradizionali (le relazioni dominante/dominato, dominante-dominante, e dominato-dominato). Pertanto, la distruzione riguarda anche la classe politica tradizionale, la sua costituzione, le sue relazioni interne, le sue relazioni col resto della società (non solo con i dominati) e le sue relazioni con le classi politiche di altre nazioni (le cosiddette relazioni internazionali). Così facendo, la guerra neoliberista ha sfigurato la politica tradizionale e la fa marciare al ritmo di uno spot pubblicitario, e la distruzione provocata dalla bomba neoliberista nella politica messicana, è stata così efficace che, anche secondo il nostro modesto punto di vista, là in alto non c’è niente da fare. Caso mai, programmi comici. Si suppone che là in alto, per esempio, ci siano centro, sinistra e destra. Ma in periodi elettorali tutti si ammucchiano al centro. Cioè, come se la geometria si contraesse e tutti si ammucchiassero al centro gridando: “SONO IO” …

“Sono io”, dice il Partito di Azione Nazionale.

Il PAN, il partito della nostalgia per la lotta democratica, Gómez Morín e “l’umanesimo politico”. La nostalgia per l’OPUS DEI, il MURO, la ACJM e Canoa. La nostalgia per la guerra dei cristeros, la sacra sindone ed il Cerro del Cubilete. La nostalgia per le buone coscienze, le buone abitudini, la gente perbene. La nostalgia per il trionfo culturale e la sezione degli affari sociali sui giornali (quando era diversa dalla sezione di cronaca poliziesca). La nostalgia per Massimiliano, Carlotta, Elton John e i tempi quando eravamo un Impero. La nostalgia per l’aspirina domenicale somministrata dal pulpito del pederasta, il “ring side” nella visita dell’o al Papa ed i ritiri spirituali di “salviamo il mondo dal diavolo comunista, siamo soldati di dio”. La nostalgia per i pomeriggi del bridge, il tè-canasta, i Cavalieri di Colombo. La nostalgia per l’incendio delle schede elettorali del 1988 e del co-governo con il PRI. La nostalgia per un calendario in cui non ci furono. La nostalgia per “la Patria, mio bene, è la storia reclusa in un convento”.

Così come l’attuale governo federale, il PAN oggi è guidato dall’organizzazione di estrema destra “El Yunque”. Sotto il suo peso giace il PAN storico e la sua nostalgia per le famiglie avvolte nei mantelli azzurri. Ed è “El Yunque” quello che (chi l’avrebbe detto) cerca di convincerci che il PAN adesso è un’organizzazione politica di centro. E ci presenta come possibili candidati presidenziali, una costellazione di mediocri, dove, rendiamo merito, primeggia il grigio “coupier” Santiago Creel Mirando (mi sembra, non sono sicuro, che fu segretario di governo nell’intinerato di Fox-Sahagún – oggi lo si può incontrare mentre piange sulla spalla della Coyote Fernández de Cevallos -). Una lista di precandidati nella quale non compare l’unica con reali possibilità di competere …. non ancora. Ma lei già sta muovendo i pezzi che El Yunque le fornisce per accodarsi.

Primo, per ottenere un posto che le assicuri l’impunità (quella già promessa da AMLO senza che nessuno glielo chiedesse – beh, almeno non pubblicamente -), poi, quando si sarà sgonfiato il fugace pallone Creel, accedere al clamore che nelle catacombe della destra le chiede, la implora, la supplica, le impone di essere candidata alla presidenza del Messico. Candidata di centro, ovviamente.

“Sono io”, dice il PRI, il Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Il PRI, il partito dello “sviluppo stabilizzatore”. Il creatore del Sistema del Partito di Stato, messo a nudo a suo tempo dalle analisi di José Revueltas, Adolfo Gilly, Daniel Cosío Villegas, Pablo González Casanova. Quello di “Mister Amigou”. Quello della repressione dei medici, dei ferrovieri, degli elettricisti. Quello dei massacri del 2 ottobre del ’68 e del 10 giugno del 1971. Quello della guerra sporca negli anni ’70 e ’80. Quello delle svalutazioni. Quello delle frodi elettorali. Quello dei “ratones locos”, le “casillas zapato”, la “operación tamal”, la democrazia elettorale sintetizzata nello slogan “fischietti e berretti, bibite e panini”. Quello del furto, il saccheggio, la frode, l’assassinio di operai, contadini, studenti, insegnanti, impiegati. Quello di Fidel Velásquez, Rodríguez Alcaine, Jonguitud, Elba Esther Gordillo. Quello della Colina del Perro. Quello di Absalón Castellanos. Quello della frode elettorale dell’88. Quello del Clan Salinas de Gortari. Quello della controriforma all’articolo 27 della Costituzione. Quello della mancata entrata nel Primo Mondo. Quello del massacro nel mercato di Ocosingo. Quello del solitario Aburto e dell’ancor più solitario Colosio. Quello del tradimento del febbraio del ’95. Quello dell’IVA. Quello di Acteal, El Charco e Aguas Blancas. Quello dell’inizio dell’incubo a Ciudad Juárez. Quello del “firmo un accordo e non lo rispetto”. Quello di “non ho contanti”. Quello dell’interruzione violenta dello sciopero studentesco della UNAM, nel 1999. Quello della storia come propaganda elettorale. Quello dell’imposizione delle politiche neoliberiste che hanno distrutto le fondamenta del Messico. Quello della privatizzazione delle imprese statali e parastatali. Quello del voto per l’esautoramento. Quello del crimine organizzato in partito politico. Quello di “la-patria-mio-bene-è-una-prostituta-che-governa-il-più-abominevole-ovvero-proprio-io”.

Sul PRI non c’è molto da aggiungere a quanto detto e subito da lui. Il PRI, sorto dalla rivoluzione messicana del 1910 è, attualmente, il partito con le più altre probabilità di provocare una nuova rivoluzione in tutto il paese. Il PRI non ha legami con il crimine organizzato, esso è nella direzione dei cartelli del narcotraffico, dei sequestri, della prostituzione, del traffico di persone. Il cinismo col quale i suoi dirigenti scacciano la memoria, li porta a parlare ed agire come se non fossero 70 anni che stanno abusando del potere e lucrando nel suo esercizio. Le precampagne e campagne del PRI sono il miglior veicolo per provocare l’indignazione della gente… e la sua ribellione.

Qualche esempio? Enrique Jackson finanzia la sua campagna elettorale con denaro del crimine organizzato, cioè, il narcotraffico, la prostituzione ed i sequestri. Quello usato per pubblicità televisiva, l’ottiene dai riscatti del sequestro di membri delle famiglie benestanti alle quali ora promette “ordine” in prima serata. Da parte sua, Roberto Madrazo, un gangster senza scrupoli, trama l’eliminazione dei suoi avversari e provvede alla sua sicurezza per non essere assassinato (benché il portare come cagnolino da compagnia il “Croquetas” Albores non lo protegge affatto). Da parte loro, Montiel, Yarrington e Martínez, nel frattempo, passano la lista ai loro pistoleri, e la Paredes sospira, cioè, spia. Nella migliore tradizione priista, la candidatura si risolverà nelle cloache del potere politico (cioè che Elba Esther deciderà). La violenza criminale che affligge il paese non è altro che la lotta tra i cartelli per la candidatura presidenziale del PRI. Quelli che perderanno se ne andranno, insieme ai loro capi priisti, non in prigione,… ma nel PRD. Chi rimarrà ci dirà che è di centro.

“Sono io”, dice il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica.

Il PRD, il partito degli “errori tattici”. L’errore tattico, con i suoi patti elettorali, di fomentare gli affari di famiglie mascherate da partiti. L’errore tattico di allearsi con il PAN in alcuni stati e con il PRI in altri. L’errore tattico della controriforma indigena e dei paramilitari di Zinacantán. L’errore tattico di Rosario Robles ed i video scandalo. L’errore tattico di perseguire e reprimere il movimento studentesco della UNAM nel 1999. L’errore tattico della “legge Ebrard” e la “legge Monsanto”. L’errore tattico di cedere lo Zocalo di Città del Messico ai monopoli dello spettacolo. L’errore tattico di fare squadra con i salmisti. L’errore tattico della importata “tolleranza zero” e di perseguire giovani, omosessuali e lesbiche per il “crimine” di essere diversi. L’errore tattico di tradire la memoria dei suoi morti, candidare i loro assassini e riciclare gli espulsi dalle candidature priiste. L’errore tattico di trasformare movimenti popolari in burocrazie di partito e di governo. L’errore tattico di strumentalizzare le morti di Digna Ochoa e Pável González per lusingare la destra. L’errore tattico di non dichiararsi rispetto ai movimenti di resistenza e liberazione di altri paesi, di abbassare la testa davanti al potere nordamericano e di cercare di ingraziarsi i potenti. L’errore tattico delle sue lotte intestine e delle frodi nelle elezioni interne. L’errore tattico dell’alleanza con il narcotraffico nel DF. L’errore tattico di chiedere denaro alla gente mentendo e dicendole che è per aiutare, “sotto sotto”, gli zapatisti. L’errore tattico del vergognoso corteggiamento dei settori più reazionari del clero. L’errore tattico di usare i morti nella lotta come certificato di impunità per rubare, saccheggiare, corrompere, reprimere. L’errore tattico di correre al centro, pazzo di gioia, col suo carico di errori tattici. L’errore tattico di “la Patria, mio ben, non è altro che un bilancio in discussione”.

E nel centro del PRD… -“Sono io, dice AMLO, Andrés Manuel López Obrador.

Contro AMLO si era lanciata la (a volte felice) coppia presidenziale, sfoderando la PGR in una mano, la Suprema Corte di Giustizia nell’altra, il Congresso dell’Unione in gabbia, ed i mezzi di comunicazione per compensare la perdita di “rating” del suo “reality show” e della sua striscia comica. Il processo di esautoramento è stato, oltre ad una commedia dai risvolti tragici, un indicatore dello scontento popolare (no mio caro, non ci si può più prendere gioco della gente come prima) e, soprattutto, un’insuperabile spinta elettorale… per l’esautorato.

Contro AMLO si lancia Cárdenas Solórzano accusandolo di dichiararsi da subito di centro e di non seguire la sua tradizione di cominciare dichiarandosi di sinistra… e correre poi al centro man mano che procede la campagna elettorale. Criticandolo di mantenere il controllo del PRD e farne un uso discrezionale… dopo che Cárdenas ha fatto la stessa cosa per tanti anni. Gli rinfaccia le alleanze strette, dimenticando che a quelle fatte da Cárdenas si deve l’arricchimento di famiglie (come il Partito della Società Nazionalista, dei Riojas) e la lega del PRD con il sinarquismo [setta francomassonica -n.d.t.] – la stessa che incappucciò la statua di Juárez (il Partito di Azione Sociale), quando accettò la candidatura da quei due partiti nel 2000. López Obrador. AMLO proiettato ai vertici della democrazia “moderna” (cioè, le inchieste) dall’assurda e ridicola campagna della coppia presidenziale. Colui che ha trasformato la mobilitazione cittadina contro l’autoritarismo dell’esautoramento in un atto di promozione personale e di lancio elettorale. Colui che, nella mobilitazione contro l’esautoramento, non ha pronunciato la frase che avrebbe forse dovuto dire, “nessun dirigente ha il diritto di guidare un movimento intorno ad una causa giusta, per poi, alle spalle della maggioranza, sottometterlo al suo progetto personale di ricerca del Potere e negoziarlo per questo”. Colui che convoca una marcia del silenzio e, invece di rispettarlo, la usa per parlare al Potere, imponendo a tutti la parola di uno solo. Quello dell’alchimia che trasforma unmilione seicento mila silenzi nella voce di Don Porfirio che, nonostante i fischi (quelli sì “storici”), è stata ascoltata dall’interlocutore di quella marcia: il Potere. Colui che ha mutato (e svalutato) il trionfo popolare della marcia del 24 aprile e lo ha trasformato in un successo personale nella sua corsa presidenziale. L’ex esautorato. Colui che ha accusato il Potere di arbitrio e poi ha scambiato con esso mutue scuse. Colui che denunciava “complotti” che poi elogia come “statisti” coloro accusati di ordirli. Colui che vanta, come suoi primi “comitati di appoggio” indigeni in Chiapas, i caciques e paramilitari di Zinacantán, gli stessi che aggredirono la marcia zapatista il 10 aprile del 2004. Colui che si vede già avvolto nella fascia presidenziale. Colui che, tra le sue prime promesse di governo, garantiva l’impunità a chi ha assassinato e fatto sparire gli attivisti sociali, chi ha gettato il Messico nella miseria e si è arricchito sul dolore di tutti. Colui che, con le sue azioni, dice alla gente “vi disprezzo smisuratamente”. [“desaforadamente” – in spagnolo, gioco di parole con il termine “desafuero” – n.d.t.].

López Obrador. Colui che ha paragonato se stesso a Francisco I. Madero… dimenticando che la similitudine con Madero non finisce con il democratico imprigionato da Porfirio Díaz, ma continua con il Madero che formò la sua squadra di governo con gli stessi porfiristi (e che fu tradito da uno di loro). Con il Madero che, voltando le spalle alle richieste dei diseredati, si dedicò a mantenere la stessa struttura economica di sfruttamento, saccheggio e razzismo costruita dal regime porfirista. AMLO e gli uccelletti che gli volteggiano intorno “hanno dimenticato” questi dettagli.

E, soprattutto, “hanno dimenticato” che, di fronte a Madero, gli zapatisti impugnarono il Piano di Ayala. Quel piano a proposito del quale Madero disse, parola più, parola meno, “pubblicatelo, che tutti sappiano che quel Zapata è pazzo”. Ma, basta storia passata e confronti. Siamo agli inizi del XXI° secolo non del XX° secolo, in una successione anticipata dalla sfacciata ambizione di una donna.

Per sapere qual è il progetto di chi aspira al Potere, non bisogna ascoltare quello che dice rivolgendosi in basso, ma quello che dice rivolgendosi in alto (per esempio, nelle interviste ai quotidiani nordamericani New York Times e Financial Times). Bisogna ascoltare quello che promette a chi in realtà comanda.

La promessa centrale del programma presidenziale di AMLO non è vivere nel Palazzo Nazionale e trasformare Los Pinos nella nuova sezione del Bosco di Chapultepec. È “stabilità macroeconomica”, cioè, “guadagni crescenti per i ricchi, miseria e privazioni crescenti per i diseredati, ed un ordine che controlli lo scontento di questi ultimi.”

Quando si critica il progetto di AMLO non si tratta di criticare un progetto di sinistra, perché non lo è, così ha dichiarato e promesso López Obrador al Potere là in alto. Egli è stato chiaro e non lo vede solo chi non vuole vedere (o non gli conviene vedere) e continua a sforzarsi di vederlo e presentarlo come un uomo di sinistra. Quello di AMLO è un progetto, come lui stesso lo ha definito, di centro.

Ed il centro non è altro che una destra moderata, la porta della clinica di chirurgia plastica che trasforma gli attivisti sociali in despoti e cinici, una macroeconomia stabilizzata dei secondi piani e conferenze stampa mattutine.

Noi abbiamo visto ed analizzato da vicino il governo di AMLO nel DF. Non sulla stampa, nei circoli esclusivi o ai secondi piani, ma dal basso, per strada. Crediamo che lì si annidi il germe di un autoritarismo ed un progetto personale ultrasessennale. L’immagine di Carlos Salinas de Gortari costruita da AMLO è, in realtà, un specchio. Per questo la formazione della sua squadra. Per questo il suo programma è così vicino a quello del “liberalismo sociale” del salinismo. Ho detto “vicino”? Piuttosto, la continuazione di quel programma. Questo è ancora nascosto dalla servile stupidità dell’ultradestra (che sembra un caprone in una cristalleria) e dallo stesso caos ideologico che regna nella classe politica messicana, ma non tarderà a rendersi evidente. Forse a causa di questo occultamento, alcun@ intellettuali, oltre a distint@ attivist@ sociali, forniranno il loro caldo alito all’uovo del serpente che oggi si annida nel governo di Città del Messico.

Davanti a López Obrador non ci troviamo di fronte ad un leader nostalgico del passato nazionalista rivoluzionario, ma a qualcuno con un progetto molto chiaro di presente… e di futuro. AMLO non sta pensando di realizzare il suo progetto in un solo sessennio (per questo la sua squadra è la stessa di quel celebre che disse “governeremo per molti anni”). E, contrariamente a quanto pensa qualcuno, López Obrador non promette di ritornare al passato populista che tanto atterrisce il potere economico. No, AMLO promuove una mediazione ed un’amministrazione “moderne” (cioè, finire quanto lasciato in sospeso da Salinas de Gortari). Ed ancora: offre di creare le basi di un Stato “moderno”, per questo si sforza di differenziarsi da Lula, Chávez, Castro e Tabaré. E l’offerta non la fa a quelli che stanno in basso o a quello che rimane della Nazione messicana, ma a chi comanda in realtà: il potere finanziario internazionale. La sua non sarà un’amministrazione neoliberista con la mano sinistra (Lula in Brasile, Tabaré in Uruguay, Kirchner in Argentina), né un governo socialista (Castro a Cuba), né un nazionalismo popolare (Chávez in Venezuela), ma IL NUOVO MODELLO DI STATO NON-NAZIONALE (l’embrione della guerra neoliberista) in America Latina.

Se Carlos Salinas de Gortari fu il governante esemplare esecutore della distruzione neoliberista in Messico, López Obrador vuole essere il paradigma dell’esecutore del riordinamento neoliberista. Questo è il suo progetto. Sempre che gli sarà permesso farlo.

Non ci dedicheremo a criticare AMLO (di questo si occuperà, con insuperabile efficienza, il PRD – soprattutto nella lotta per la candidatura al governo del DF -), ma riteniamo nostro dovere avvertire, definire e definirci. È necessario perché, nel gattopardismo dell’alto, una definizione non chiara diventa un appoggio esplicito: “se non sei contro di noi, allora sei con noi”. La definizione davanti (e non di fianco) a quello che rappresenta AMLO è imprescindibile. La sua proposta (ed in questo non c’è nessuna differenza con quella di Cárdenas nel PRD, né con quella di qualunque precandidato di qualsiasi partito nel sovrappopolato “centro” politico del Messico di metà 2005) è riempire DALL’ALTO E PER QUELLI IN ALTO il vuoto provocato dall’ecatombe neoliberista.

In sintesi, in alto regnano l’indecenza, la sfacciataggine, il cinismo, la sfrontatezza.

Questo è quello che pensiamo della geometria politica del Messico di sopra. Dire un’altra cosa sarebbe mentire e cercare di ingannare chi non abbiamo mai ingannato: in primo luogo noi stessi, ma anche la gente in generale. Ci fa rabbia e indignazione vedere quello che vediamo e lotteremo per impedire che questi svergognati l’abbiano vinta.

Perché è l’ora di incominciare a lottare affinché tutti quelli che dall’alto disprezzano la storia e ci disprezzano, rendano conto, e paghino.

Bene. Salute e attenzione, che in basso l’orologio segna l’ora sesta.

Dalle montagne del Sudest Messicano
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, nel Sesto mese dell’anno 2005

P.S. SUL CHIAPAS – Se in precedenza le Giunte di Buon Governo hanno comunicato di avere qualche rapporto con il governo statale, adesso informano che, da dicembre dell’anno scorso, queste si sono interrotte per l’inadempimento del governo nei pochi impegni presi. Non ha risarcito, né regolarizzato, né fatto giustizia nei pochi casi per cui era stato interpellato. Non ha adempiuto perché in fondo è razzista come chiunque. E’ assorbito dall’autoritarismo e dalla superbia, la giustizia locale è dedita all’affare del traffico di persone, i bilanci spesi in signorine che si offrono dagli annunci sui giornali locali o che lavorano nella zona Galáctica, il denaro dissipato in campagne mediatiche, ridicole e svergognate, di discredito degli avversari (come quella intrapresa contro il movimento degli insegnanti di alcune settimane fa) e di promozione del culto della personalità. Ni modos.

(traduzione del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo) 18 giugno 2005 http://chiapas.meravigliao.it/2005/200605co.htm

 

 

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Il secolo di Zapata

di Gustavo Esteva – 28 Aprile 2019

Quando entra trionfante a Città del Messico, insieme a Pancho Villa, ad Emiliano Zapata viene offerta la poltrona presidenziale. Emiliano Zapata rifiuta: “Non combatto per questo, combatto per le terre, perché le restituiscano”, spiega. Poi torna nello Stato di Morelos, dove insieme ai contadini, dà vita alla Comuna, una straordinaria esperienza di auto-governo fondata su un potere municipale e su una sperimentazione di democrazia diretta che attua la riforma agraria attraverso l’esproprio dei latifondi e apre scuole popolari. Zapata fa ancora paura e per questo viene ucciso su mandato dell’élite nazionale e di Venustiano Carranza, il primo presidente del Messico post-rivoluzionario. Cento anni dopo, soprattutto grazie agli indigeni col passamontagna del Chiapas, la sua lotta per la terra e la libertà, è più viva che mai, in Messico e altrove. Il mondo nuovo che sognava Zapata vive nell’affermazione della dignità di chi si batte per un’esistenza non asservita al potere del denaro e dei suoi strumenti più fedeli: i mercati internazionali e gli Stati.

 

La storia inizia con un regolamento di conti. Gli storici registrano il tradimento di Madero e addebitano il crimine a Carranza. Però il tradimento, il crimine e il compito ancor più grave di assassinare la memoria di Zapata devono essere attribuiti ai rivoluzionari del 1910, ai governi della Rivoluzione fino a quello di José López Portillo e a tutti i suoi successori, fino ad oggi, come pure alle élite di cui sono stati a servizio.

Una maniera semplice di cominciare il regolamento dei conti è farlo con l’ejido [N.d.t. – Proprietà rurale di uso collettivo, diffusa soprattutto nelle comunità indigene]. Lo zapatismo cercava di recuperare gli spazi in cui le comunità esercitavano i loro modi di vivere e di governarsi. Nella ‘comuna’ di Morelos (così si chiamò quella notevole esperienza), le varie comunità ricevettero pieno riconoscimento, e per l’eternità, delle loro terre e acque, dei loro ejidos. Le leggi che Zapata fece valere nel 1916 e 1917 garantivano loro autonomia e forme di governo proprie. Lo Stato si formava passo dopo passo come comunità di comunità locali, di natura anticapitalista.

A partire da quello di Carranza (che governò il Messico attorno al 1915, ndt), i governi invece hanno solo cercato di realizzare e amministrare secondo le forme politiche della civiltà capitalista, per la sua espansione, adattandosi alle mode e alle esigenze degli ultimi 100 anni. A questo scopo dovevano assassinare Zapata e liquidare o corrompere lo zapatismo. Scesero a compromessi  con molte e svariate fazioni. Nessun  compromesso fu possibile con lo zapatismo. Era una cosa che non rientrava in quel progetto.

Per quanto la Costituzione del 1917 rappresentasse una formula di compromesso, in essa restò una ingannevole formula  antizapatista. Oltre a rivendicare che la terra è della nazione, si afferma che essa può divenire proprietà privata con il trasferimento del suo possesso a privati. Si afferma inoltre che coloro che non hanno terra a sufficienza hanno il diritto di esserne dotati, e che quanti ancora vivessero secondo il sistema dell’uso comunale della terra hanno il diritto di sfruttare in comune le loro terre, però il tutto è assoggettato alla legge del 6 gennaio 1915, di Carranza. In quella legge si affermò espressamente che non si trattava di rivitalizzare le antiche comunità, né di crearne altre simili, ma unicamente di concedere terre alla popolazione più misera che ne era priva. In questo modo lo spirito antizapatista restò impresso nella Costituzione e passò in tutte le leggi agrarie formulate da allora in poi.

Poiché la nazione acquista esistenza reale solo nel governo, tutto ciò che riguarda le terre e le acque in questi 100 anni è rimasto nelle mani di un gruppo sempre più incompetente e corrotto, costantemente al servizio del capitale. Per un secolo le popolazioni hanno dovuto subire ogni sorta di soprusi e affrontare ogni sorta di ostacoli per difendere i loro diritti originari, quelli che possedevano molto prima che la nazione acquistasse una forma di esistenza legale, diritti che lo zapatismo aveva pienamente riconosciuto.

La rivendicazione attuale non significa ritornare al 1992, allorché venne liquidato il regime agrario della Rivoluzione e si pose fine all’anomalia, in una società capitalista, di una parte della terra che restava al di fuori del mercato e della proprietà privata. La riforma liberò l’ejido carranzista dal ferreo controllo statale, però solo per sottometterlo a quello del mercato. Ciò di cui oggi c’è necessità è smontare il delirio antizapatista che dura da 100 anni e che, subordinando i popoli allo Stato o al mercato, subordina tutto al capitale. Il punto di riferimento non è il 1917 o il 1992, né gli anni precedenti alla riforma salinista (quella del 1992, ndt). È lo zapatismo di Zapata, la Comuna del Morelos.

Questo è ciò che lo zapatismo di oggi reclama e che sarebbe stato concordato a San Andrés (nelle trattative fra gli insorti neozapatisti e il Governo, ndt). Nell’identico modo in cui consultazioni manipolate (il riferimento è all’ampio uso che ne sta facendo il governo di AMLO, ndt) pretendono di essere compatibili con norme nazionali e internazionali, oggi si prepara l’attuazione di quegli accordi. È un infame inganno. Invece di rispettare la piena autonomia delle popolazioni e la loro decisione di seguire il proprio cammino, l’amministrazione attuale si è proposta di sottometterli. I suoi progetti stellari, il treno Maya [ndt: il progetto di linea ferroviaria di interesse turistico e commerciale, da Cancun a Palenque] e il Corredor Transistmico [ndt: un corridoio multimodale fra il Pacifico e l’Atlantico, nella regione dell’Istmo di Tehuantepec], hanno una caratteristica precisa:  intendono subordinare la vita della gente del sudest a una logica che le è completamente estranea … Per il suo bene!

Si parla di ecoturismo o di imprese turistiche comunitarie come pretesto. Ormai le grandi imprese turistiche non investono più in hotel, treni o linee aeree: sono le padrone dei turisti e li muovono da un territorio all’altro in funzione degli accordi che impongono alle agenzie locali. Il Corredor vuole sottoporre una delle più ricche zone del paese a una logica del commercio internazionale sulla quale le popolazioni e il governo messicano non avranno più alcun potere di dire o di fare qualcosa.

La tradizione di Emiliano Zapata, che l’EZLN ha attualizzato e rinnovato, guarda oggi a forme di esistenza sociale che rappresentano una innovazione radicale. Circolano per il mondo come baluardi di fronte all’orrore e come possibilità reali di un mondo nuovo. Questo deve essere il secolo di Zapata, quello in cui la gente costruirà la propria vita senza subordinarsi allo Stato o al mercato, cioè al capitale. https://comune-info.net/2019/04/il-secolo-di-zapata/

Fonte: La Jornada – https://www.jornada.com.mx/2019/04/22/opinion/014a1pol

traduzione a cura di Camminar domandando https://camminardomandando.wordpress.com/

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De Zapata a Zapata

@lhan55 Luis Hernández Navarro

L’indigena Teresa Castellanos ha dedicato gli ultimi sei anni della sua vita a difendere la terra della sua gente. È portavoce dell’Assemblea Permanente dei Popoli di Morelos (APPM). Coordina il comitato Huexca in resistenza che difende le vittime del Progetto Integrale Morelos (PIM) e della centrale termoelettrica.

In riconoscimento al suo lavoro le è stato conferito questo anno il premio di diritti umani Sergio Méndez Arceo. Nel 2018, insieme ad Aurora Valdepeña, ha ottenuto il premio alla Creatività 2018 della Donna della Fondazione dal Forum Mondiale delle Donne. Nel 2015 è stata finalista per il Premio Internazionale dei Diritti Umani Front Line Defenders. A causa delle minacce subite, lei e le sue due figlie sono state incluse nel Meccanismo di Protezione per Giornalisti e Difensori de Diritti Umani.

La sua lotta poggia sulla tradizione zapatista ed il movimento jaramillista, profondamente radicati nell’immaginario popolare di questa regione. Da un Emiliano Zapata che poco ha a che vedere con le cerimonie ufficiali in suo onore o con la narrazione di storiografi accademici. Si tratta di uon zapatismo che ha resistito sia alla strumentalizzazione dell’agrarismo delle centrali sindacali campesine, sia ai tentativi dei diversi governi di presentarsi come la sua incarnazione.

Teresa è l’espressione dello zapatismo in carne ed ossa, lontano da quello di carta dei biglietti della Lotteria Nazionale. Intervistata dalla giornalista Daliri Oropeza, ha spiegato le radici e le ragioni della sua lotta. È l’ideale che ci si porta dentro. L’essere nata in terra zapatista è un orgoglio. Ma non solo per avere sangue zapatista, ma per portarne gli ideali. Sapere che ci sono state tante persone che hanno lottato per il bene delle comunità, come il generale Zapata, per terra, acqua, monti, per la libertà. A 100 anni dal suo assassinio, il suo ideale quanè ancora vivo. Continuiamo a resistere. Si è resistito per tutti questi 100 anni, ha detto. Ed ha aggiunto: Ho ammirato moltissimo il generale Emiliano Zapata. Per tutta la mia vita, da quando andavo alle medie, ho ricordato e letto del generale Emiliano Zapata (https://bit.ly/2IfIRAU).

È questo lascito quello che ha fatto dire a Teresa nell’evento di Chinameca, il 10 aprile scorso, dove centinaia di contadini e indigeni hanno commemorato, al margine del governo federale, il 100° anniversario luttuoso dell’assassinio di Emiliano Zapata: Siamo contro AMLO perché lui è contro di noi. Volevamo parlare con lui. Lui si è rifiutato.

La durezza delle sue parole (condivise dai partecipanti all’evento) ha una storia dietro. A maggio del 2014, a Yecapixtla, Morelos, López Obrador durante un incontro disse: Non vogliamo la costruzione del gasdotto o della centrale termoelettrica o le miniere, perché distruggono il territorio ed inquinano le acque. Ed aggiunse: Il Messico non è territorio di conquista, né perché vengono gli stranieri ad appropriarsi di tutto. Pensate che vogliono costruire una centrale termoelettrica ad Anenecuilco, la terra dove è nato il migliore dirigente sociale che ci sia mai stato nella storia del Messico, Emiliano Zapata. È come se andassero a Gerusalemme e costruissero una discarica di rifiuti tossici o una centrale nucleare.

Tuttavia, le parole di López Obrador sono svanite quando è entrato nel Palazzo Nazionale. Il 10 febbraio a Cuautla, il Presidente ha ritrattato la sua parola. Gli oppositori al PIM gli hanno risposto gridando: “Agua sì, termos no!”. López Obrador si è rivolto a loro dicendo: Sentite, radicali di sinistra, per me non sono altro che conservatori, ed ha annunciato la realizzazione di una consultazione, impugnata dalle comunità indigene.

Dieci giorni dopo, l’attivista Samir Flores, figura chiave nella lotta contro la termoelettrica e nell’organizzazione delle comunità di Morelos, viene assassinato a colpi d’arma da fuoco sulla porta di casa. Il mandatario, invece di sospendere la consultazione, è andato avanti.

“L’assassinio del generale fu molto doloroso per tutti, come lo è ora l’omicidio del compagno Samir Flores – ha detto Teresa a Daliri Oropeza -; non so se sia un caso, ma a 100 anni dall’assassinio del generale Emiliano Zapata uccidono un compagno che aveva lo stesso ideale. Anche se non aveva il sangue del generale, né fosse suo parente, egli portava avanti lo stesso ideale e pensava e parlava come lui, e lottava per la libertà dei popoli, e perché questo cambiasse”.

L’11 febbraio, un giorno dopo averli accusati di essere conservatori, la APPM ha inviato una lettera al Presidente in cui gli ha detto: Lei ci ha offeso, ha dedicato gran parte del suo discorso democratico a lanciarci epiteti senza conoscerci o conoscendoci, non sappiamo. Ed ha dichiarato: se non si cancella la centrale termoelettrica a Morelos, non ci saranno omaggi ufficiali a Zapata da parte del governo.

Da Zapata a Zapata. Quasi due mesi dopo la missiva, le cronache giornalistiche riferivano che, a Chinameca, mentre centinaia di contadini ricordavano il generalessimo protestando contro il PIM, il palco ufficiale dell’evento per i 100 anni dal suo crimine era vuoto. Andrés Manuel López Obrador ha dovuto realizzare l’evento a Cuernavaca, a 86 chilometri di distanza da dove fu assassinato il Caudillo del Sud.

Twitter:@lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/04/16/opinion/018a2pol

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I malgoverni verranno e se ne andranno, ma il colore della terra persisterà e con esso tutti i colori di quanti nel mondo si negano alla rassegnazione ed al cinismo, che non dimenticano e non perdonano, che presentano il conto di offese, reclusioni, sparizioni, morti, oblio.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Aprile 2019

Ai famigliari ed amici di Samir Flores Soberanes:

All’Assemblea della Resistenza di Amilcingo:

Al Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua Morelos-Puebla-Tlaxcala:

Al Congresso Nazionale Indigeno:

Al Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle Reti di Appoggio al CIG e Reti in Resistenza e Disobbedienza:

A chi lotta contro il sistema capitalista:

Sorelle e fratelli:

Compagni e compagne:

Vi scrive il Subcomandante Insurgente Moisés a nome delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani zapatisti. La parola che vi mandiamo è collettiva e spetta a me scriverla come portavoce dell’EZLN.

Dalle montagne del sudest messicano arriva oggi alle degne terre di Emiliano Zapata e dei suoi successori – come lo era ed è Samir Flores Soberanes, nostro fratello e compagno di lotta in difesa della vita – l’abbraccio che non è solo mio ma di tutti i popoli zapatisti tzotzil, chol, tojolab, zoque, mam, meticci e tzeltal.

Sorelle e fratelli, noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN vi mandiamo questo abbraccio perché vi rispettiamo ed ammiriamo.

Non abbiamo potuto essere presenti lì con voi come avremmo voluto. La ragione è molto semplice ed ha la bandiera del malgoverno. Perché nelle nostre montagne e valli è aumentata la presenza militare, poliziesca, paramilitare, di spie ed informatori. Sono riapparsi i sorvoli di aeroplani ed elicotteri militari ed il passaggio di veicoli blindati, come ai tempi di Carlos Salinas de Gortari, di Ernesto Zedillo Ponce de León, tutore politico dell’attuale titolare dell’Esecutivo, di Vicente Fox Quesada dopo il tradimento degli Accordi di San Andrés, dello psicopatico Felipe Calderón Hinojosa e del ladro in doppio petto Enrique Peña Nieto. La stessa cosa, ma ora con più frequenza e maggiore aggressività.

Pattugliamenti e sorvoli non seguono le rotte del narcotraffico, né quelle delle lente carovane delle sorelle e fratelli migranti che fuggono da una guerra che ci si rifiuta di chiamare col suo nome… per raggiungerne un’altra che si nasconde dietro un governo federale tutto chiacchiere e cialtroneria. No, questa minaccia di morte percorre per aria e terra le comunità indigene che vogliono mantenersi in resistenza e ribellione per difendere la terra, perché in lei sta la vita.

Ora, inoltre, membri dell’Esercito Federale e dell’Aeronautica si addentrano nelle montagne e compaiono nelle comunità dicendo che sta arrivando la guerra e che stanno solo aspettando ordini “dall’alto”. E qualcuno si fa passare per quello che non è e né sarà mai, perché dice di conoscere i presunti “piani militari” dell’EZLN. Forse ignorando che l’EZLN dice quello che fa e fa quello che dice… o forse perché il piano è montare una provocazione e poi incolpare l’EZLN. Lo stesso metodo di Ernesto Zedillo Ponce de León e del suo lacchè Esteban Moctezuma Barragán, oggi incaricato di aggredire il magistero democratico.

Nei fatti, in tutto questo, il malgoverno attuale è come i suoi predecessori. Ma adesso cambia la giustificazione: oggi la persecuzione, le minacce e l’attacco alle nostre comunità è “per il bene di tutti” e si fa sotto la bandiera della cosiddetta “IV Trasformazione”.

Ma non è di questo che vogliamo parlarvi. Dopo tutto, qualunque denuncia viene screditata perché, secondo il Potere Esecutivo Federale, la realtà rientra nella categoria “radicale di sinistra conservatrice” che vuol dire che chiunque non sia prezzolato ed osi criticare il governo supremo (…), sarà impallinato dalle sue milizie sui social network che sono “moderni” solo perché il loro fanatismo è digitale, ma utilizzano gli stessi argomenti di chi applaudiva ed applaude gli eccessi delle varie tirannie nel mondo, ed ai quali si potrebbero ripetere le parole di Emiliano Zapata Salazar: “L’ignoranza e l’oscurantismo in tutti i tempi non hanno prodotto altro che greggi di schiavi per la tirannia”.

Quello che sta succedendo in queste terre chiapaneche, è quello che stiamo subendo da  oltre 25 anni. E ripetiamo quello che abbiamo già detto: là in alto sono la stessa cosa… e sono gli stessi. E la realtà toglie loro il trucco con cui vogliono simulare il cambiamento.

Sorelle e fratelli:

Compagni e compagne:

Quello che vogliamo dirvi, rimarcare, è quanto sia grande la vostra resistenza.

Non solo per innalzarla a simbolo quando quelli di sopra celebrano un tradimento: l’assassinio di una persona di nome Emiliano Zapata Salazar, e che fallì nel tentativo di fermare una causa, quella che oggi vive in molte sigle in tutto il territorio di questo che ancora chiamiamo Messico: lo zapatismo.

Questa causa è di ispirazione per ogni persona onesta nel mondo, perché la lotta è per la vita. Non è una scommessa per denaro, poltrone, regali. È per le generazioni che non verranno se trionferà la superbia del Prepotente e le comunità saranno distrutte.

Per questo la vostra lotta non solo merita di essere salutata ed appoggiata, dovrebbe anche essere replicata in tutti gli angoli del pianeta dove, sotto la bandiera del cosiddetto “ordine e progresso”, si distrugge la natura ed i suoi abitanti.

Ci sono volte in cui le cause si concretizzano in una persona, uomo, donna o otroa. Ed allora questa causa prende nome, cognome, luogo di nascita, famiglia, comunità, storia. Come per Emiliano Zapata Salazar, è il caso anche del fratello e compagno Samir Flores Soberanes che hanno cercato di comprare, farlo arrendere, convincerlo ad abbandonare i suoi ideali. Lui non ha ceduto, per questo l’hanno assassinato. Perché non si è venduto, perché non si è arreso e perché non ha ceduto.

Chi si è sentito sollevato dal suo assassinio e poi ha realizzato una “consultazione” per burlarsi così della tragedia, pensava che tutto sarebbe finito lì; che la resistenza contro il megaprogetto, criminale come tutti i megaprogetti, si sarebbe spenta insieme alle lacrime che l’assenza dal fratello e compagno ha strappato.

Si sono sbagliati, come si sbagliarono Carranza e Guajardo quando credettero che Zapata finiva a Chinameca.

L’attuale governo federale si sbaglia di grosso quando, ostentando la sua ignoranza della storia e della cultura del paese che dice di “comandare” (il suo libro di testo non è “Chi governa” ma “Chi comanda”), pretende di accostare Francisco I. Madero ad Emiliano Zapata Salazar. Perché, così come Madero volle comprare Zapata, il malgoverno voleva comprare Samir e le comunità che resistono, con aiuti, progetti ed altre menzogne.

Le comunità e Samir hanno risposto con il loro lavoro di resistenza, cosa di cui Emiliano Zapata sarebbe orgoglioso, il quale diceva che non lo si comprava con l’oro e che qui (nelle terre di Morelos) c’erano ancora e ci sono uomini – noi aggiungiamo “e donne ed otroas” – con dignità.

Non sono nuove nemmeno l’ignoranza e la superbia che caratterizzano l’attuale capo del malgoverno. Come non è nuovo che abbia una corte di adulatori. Un gruppo di svergognati che adattano la storia al piacere del tiranno e lo presentano come il meglio di tutti tempi. Lo applaudono e, con ossequio senza riserve, ripetono tutte le sciocchezze che gli escono di bocca. Lui ha decretato la fine del neoliberismo e la sua corte sistema numeri, fatti, progetti per nasconderli dietro lo scenario della cosiddetta “Quarta Trasformazione” che altro non è che la continuazione e acutizzazione della tappa più brutale e sanguinaria del sistema capitalista.

In aggiunta, il gruppo di adulatori che il tiranno attira a sé, si completa con lacchè di ogni tipo e condizione che si prodigano, ed ammazzano, per soddisfare i desideri manifesti o presunti del boss di turno.

Per questo il titolare dell’esecutivo non deve ordinare di uccidere, far sparire, denigrare, calunniare, imprigionare, licenziare, confinare chi non gli mostra adorazione.

Basta che sul palcoscenico o sui mezzi di comunicazione o sui social network eserciti quello che egli chiama “diritto di replica”, perché i lacchè trovino il modo di soddisfare i desideri del loro padrone e signore.

Ma tutti i tiranni tremano quando si innalza una causa che, come la vostra – che è la nostra – è giusta e umana.

Pensano che assassinando leader e volti noti, le cause muoiano con loro.

Non sappiamo chi ha ucciso il compagno Samir. Sappiamo chi lo ha segnalato. Chi, con voce stridula e isterica lo ha indicato affinché poi sicari, ansiosi di piacere al capo delle forze armate federali, compissero la sentenza data dal palcoscenico trasformato in tribunale.

Non c’è stato “diritto di replica” per Samir Flores Soberanes, né c’è per i popoli che si oppongono al progetto di morte chiamato “Proyecto Integral Morelos”, megaprogetto che significherà solo profitti per i grandi capitalisti le cui sedi stanno in Italia e in Spagna a cui si domanda di chiedere perdono per la conquista iniziata 500 anni fa e che ora il malgoverno continua a portare avanti.

Ma questo già lo sapete, sorelle, fratelli, compagni, compagne. Ma lo ripetiamo per la rabbia che ci fa l’assassinio di Samir e la superbia di chi là in alto crede di comandare quando neppure governa.

Ci fa arrabbiare che per quelli di sotto ci sia solo il disprezzo delle elemosine mascherate da programmi assistenziali o le minacce per non piegarsi, e che per quelli di sopra, che sono quelli che poi tradiranno chi oggi accarezzano, ci siano sorrisi, brindisi e dichiarazioni rassicuranti.

Compagni e compagne:

Sorelle e fratelli:

Sappiamo anche che questo, come i precedenti malgoverni, vuole sequestrare l’immagine di Emiliano Zapata Salazar affinché, con la sua morte, muoia anche la difesa della terra che come noi, i popoli originari, invita alla vita.

E sappiamo la cosa più importante, ciò che in realtà conta: noi popoli originari andremo avanti con la ribellione e la resistenza.

Non importa che ci chiamino “conservatori” o, come 100 anni fa gli zapatisti dell’Esercito Liberatore del Sud, “banditi”.

Come i precedenti, il malgoverno attuale ed i suoi “moderni” lacchè possono dirci tutto quello che vogliono.

La nostra parola e silenzio sono più grandi delle sue grida isteriche.

La lotta zapatista continuerà a vivere, i popoli originari continueranno a vivere.

Nelle città e nelle campagne di tutto il pianeta si solleva la lotta anche di gruppi, collettivi ed organizzazioni di donne, coloni, artisti, giovani, scienziati, lavoratori, impiegati, insegnanti, studenti, otroas.

Non importa la sua dimensione, ma la sua fermezza. Con tutti loro, elloas, con rispetto e solidarietà, si solleverà una rete mondiale di disobbedienza e resistenza contro la guerra che, se il capitalismo vincerà, significherà la distruzione del pianeta.

I malgoverni verranno e se ne andranno, ma il colore della terra persisterà e con esso tutti i colori di quanti nel mondo si negano alla rassegnazione ed al cinismo, che non dimenticano e non perdonano, che presentano il conto di offese, reclusioni, sparizioni, morti, oblio.

In questo pensiero e cuore collettivi, rinascerà il mondo oggi agonizzante.

I tiranni di tutti i colori crolleranno insieme al sistema a cui sono asserviti.

E per il mondo ci sarà finalmente vita, come deve essere la vita, cioè, libera.

In attesa di quel momento, non smetteremo di portare in ognuno dei nostri giorni, la vita di lotta di Emiliano Zapata Salazar e di Samir Flores Soberanes.

E nella nostra lotta quotidiana, si farà verità il grido che oggi è la nostra bandiera: Zapata e Samir vivono, e la lotta continua per…

TERRA E LIBERTÀ!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, aprile 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/04/10/comunicado-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-2/

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100 anni di Viva Zapata!

Andrea Cegna – Il Manifesto 10 aprile 2019

 Il 10 aprile 1919 veniva ucciso in Messico il generale rivoluzionario che molto tempo dopo ispirerà l’insurrezione dell’Ezln e le lotte dei movimenti sociali contro lo sfruttamento.

Cent’anni fa, il 10 aprile 1919, a Chinameca, nello stato del Morelos, Jesús Guajardo su mandato del primo presidente del Messico post rivoluzionario, Venustiano Carranza, uccide Emiliano Zapata. Contadino, di umile estrazione, leader dell’Esercito di liberazione del Sud e volto noto, oltre che nobile, della Rivoluzione messicana del 1910. Assieme a Pancho Villa, fu espressione dell’ala più radicale del movimento che ha cacciato Porfirio Díaz e portato alla “democrazia” odierna.

MOLTE SONO LE STORIE legate alla figura di Zapata. Penultimo di dieci figli di una famiglia resa povera dalle politiche del dittatore Díaz, parlava spagnolo e nahuatl. Nel 1909 era sindaco di Anenecuilco e appoggiò Patricio Leyva come governatore dello stato. Leyva perse a discapito di Pablo Escandón. Scoppiarono rivolte contro la continua espropriazione di terre da parte dei latifondisti. E fu così che nel 1910 Zapata cominciò a occupare terre, a combattere i latifondisti e a praticare l’autoridistribuzione.
Dopo aver disconosciuto Díaz con il Plan di Ayala (1911) la Rivoluzione messicana, dove a combattere sono diversi eserciti, sconfigge velocemente il dittatore. Da lì in poi è un susseguirsi di avvicendamenti al governo. Fino al 1914, quando i diversi eserciti rivoluzionari, non trovando una sintesi, si uniscono ad Aguascalientes nel centro del Messico e scrivono una convenzione. Ma la fazione costituzionalista rappresentata da Venustiano Carranza e dal generale Álvaro Obregón ruppe gli accordi.

DOPO LA ROTTURA con Carranza, vicino alla borghesia agraria del nord, in dicembre gli eserciti di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico. Emiliano Zapata si rifiuta di sedere sulla poltrona presidenziale e dichiara «non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano».

Zapata tornò nello stato di Morelos, dove assieme a contadini, intellettuali e studenti sperimentò una forma di democrazia diretta, la comune di Morelos, basata sulla ridistribuzione di terre e sulla diffusione di diritti sociali. La comune di Morelos è una delle esperienze più interessanti del processo rivoluzionario. La figura di Zapata faceva paura. Proprio per la sua pulsione rivoluzionaria e non riducibile al dialogo Emiliano Zapata venne ucciso. Il suo omicidio viene ben raccontato nel film del 1952 Viva Zapata! del regista statunitense Elia Kazan. E come nelle ultime immagini del film muore a testa alta.

IL VOLTO DI ZAPATA ha illuminato le lotte, le notti, gli striscioni e le iconografie dei movimenti sociali, indigeni e campesinos. Zapata è tornato a battere il tempo delle rivoluzioni il 1° gennaio del 1994 con l’inizio dell’insurrezione dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale. L’Ezln che qualche anno fa, nel 1997, dedicò un lungo testo proprio a Zapata, di fatto spiegando il perché a lui si ispirassero. Quello che si faceva chiamare subcomandante Marcos scriveva: «Come ai suoi tempi, Don Emiliano, i governi hanno tentato d’ingannarci. Parlano e parlano e non mantengono nulla, a parte i massacri di contadini. Firmano e firmano carte e niente diviene realtà, a parte gli sgomberi e la persecuzione di indigeni. Ci hanno anche tradito, mio Generale, i Guajardo e le Chinameche non sono mancati, ma risulta che noi non ci siamo fatti ammazzare molto. Come abbiamo appreso, Don Emiliano, stiamo ancora apprendendo. Ma non voglio annoiarla, mio Generale, perché stanno così le cose come già lei sa, perché di per sé noi siamo lei. E vede, i contadini continuano senza terra, i ricchi continuano a ingrassare, e questo sì, continuano le ribellioni contadine. E continueranno, mio Generale, perché senza terra e libertà non c’è pace».

100 ANNI DOPO LA SUA MORTE l’Ezln e i movimenti indigeni hanno convocato due giorni di mobilitazione «ricordando che la lotta guidata dal Generale Emiliano Zapata Salazar e dall’Esercito Libertador del Sur y Centro hanno rappresentato e continuano a rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei nostri popoli e di milioni di sfruttati e sfruttate in Messico e nel mondo» e per ricordare Samir Flores Soberanes, indigeno in lotta contro un gasdotto ammazzato per la sua attività politica un mese fa.

E COSÌ, IERI 9 APRILE, si è svolta un’affollata assemblea generale ad Amilcingo, municipio di Temoac, stato del Morelos. Oggi, proprio dove fu ucciso 100 anni fa Zapata è convocata una mobilitazione nazionale ed internazionale. E come riecheggia nelle manifestazioni da cent’anni, e come riecheggerà tra qualche ora nel Moreles, «la lotta continua e Zapata Vive». Andrea Cegna – Il Manifesto 10 aprile 2019

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COMUNICATO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE SULLA NUOVA SIMULAZIONE DI CONSULTAZIONE PER IMPORRE MEGA PROGETTI NELL’ISTMO DI TEHUANTEPEC

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Alle Reti di Appoggio al CIG

Alle Reti di Resistenza e Disobbedienza

Alla Sexta Nazionale edInternazionale

Ai mezzi di comunicazione

 

Di fronte all’agenda di spoliazione e distruzione dei malgoverni per imporre quello che in alto chiamano “Programma di Sviluppo dell’Istmo di Tehuantepec”, e che per noi popoli originari è l’annuncio della tragedia che vogliono diffondere nei territori dei popoli in tutta la regione dell’Istmo

Noi del CNI-CIG respingiamo e non riconosciamo qualunque simulazione che si proponga l’imposizione dei megaprogetti di morte, come la presunta consultazione che i malgoverni vogliono tenere in diverse comunità dell’Istmo di Tehuantepec nei giorni 30 e 31 marzo.

Denunciamo le pratiche corrotte che i malgoverni realizzano attraverso l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni per cercare dividere, ingannare ed intimidire le nostre comunità, dove offrono programmi e progetti in cambio del sì alle loro presunte consultazioni, come se quello che è in gioco non fossero il territorio e le risorse naturali. 

Noi popoli originari Binizzá, Ikoot, Chontal, Zoque, Nahua e Popoluca che viviamo nell’Istmo di Tehuantepec, negli stati di Oaxaca e Veracruz abbiamo già detto NO ai megaprogetti di morte, respingiamo la distruzione che vogliono portare nei nostri territori e che sta uccidendo la nostra madre terra.

Respingiamo l’invasione delle imprese minerarie che vogliono distruggere i monti, le sorgenti dei fiumi e l’aria, delle imprese eoliche che sottraggono le nostre terre e negoziano col vento. Non vogliamo i loro treni che trasporteranno la morte, né la violenza repressiva militare o paramilitare che aleggia sui nostri territori.

Ribadiamo che la nostra lotta per proteggere la madre terra, le comunità e i territori indigeni non si fermerà per quante simulazioni che il malgoverno capitalista neoliberale voglia fare per imporre, con la guerra, i progetti che puntano sul denaro a costo della morte della natura e dei popoli originari. Al contrario, continueremo ad organizzarci in resistenza e disobbedienza con quelle e quelli in basso.

Di conseguenza, invitiamo i collettivi e le organizzazioni oneste, le reti di appoggio al Consiglio Indigeno di Governo e la Sexta Nazionale e Internazionale a restare vigili e solidali di fronte a questo nuovo tentativo di imposizione e spoliazione.

Distintamente

Marzo 2019

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli 

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/03/29/comunicado-del-cni-cig-y-el-ezln-ante-nueva-situacion-de-consulta-para-imponer-mega-proyectos-en-el-istmo-de-tehuantepec/

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