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Archive for aprile 2010

La Jornada – 30 aprile 2010

 ONG diffonderanno su scala mondiale la condanna dell’attacco contro gli osservatori

Alma Muños

Organizzazioni civili in Messico, rappresentanti di ambasciate europee – come quella della Spagna – ed istanze per la difesa delle garanzie civili hanno deciso di diffondere su scala internazionale la condanna per l’attacco subito dalla missione di osservatori dei diritti umani a Oaxaca mentre si stava dirigendo a San Juan Copala, col proposito di fare pressione sul presidente Felipe Calderón per risolvere il caso ed adottare adeguati provvedimenti nell’entità.

La Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha chiesto al governo di Oaxaca che applichi misure cautelari affinché giornalisti ed attivisti possano svolgere il loro lavoro.

“Per la CNDH lo Stato messicano non può rinunciare al suo ruolo di garante dello stato di diritto, deve investigare in maniera efficace sui fatti di violenza e punire i responsabili”, ha dichiarato in un comunicato.

Decine di accademici di diverse istituzioni universitarie (UNAM, Flacso, Uia, CIDE, INAH, UAM, ITAM, CIESAS) hanno manifestato la loro “netta condanna” dei fatti avvenuti martedì scorso perché “sono intollerabili in uno stato di diritto.

“Manifestiamo la nostra massima preoccupazione per il clima crescente di violenza che predomina nella regione dovuto alla proliferazione di gruppi civili armati, ed esigiamo che le autorità responsabili garantiscano integrità piena a familiari, difensori dei diritti umani e società civile che si trovano nella zona.”

Chiedono che si indaghi a fondo e si puniscano i responsabili e si adottino misure per fermare la violenza incluso il disarmo dei gruppi armati, e che si aprano canali di dialogo per diminuire la tensione nell’area, rispettando i diritti all’autonomia e alla libera determinazione di popoli e comunità indigene.

Rappresentanti di gruppi sociali, ambasciate ed istanze come l’ufficio in Messico dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani ed Amnesty International, si sono riuniti ieri per decidere un piano per dare seguito alla condanna di quanto accaduto e chiedere giustizia. 

Hanno annunciato che questo venerdì a mezzogiorno si svolgerà una mobilitazione davanti alla rappresentanza del governo di Oaxaca a Città del Messico e si è deciso che le organizzazioni si uniscano per elaborare una strategia comune. 

Amnesty International si è impegnata a trattare l’attacco contro la carovana con le autorità federali.

Sani e salvi gli europei della carovana

Georgina Saldierna

La Segreteria degli Affari Esteri (SRE) ha comunicato che gli europei presenti nella carovana aggredita nelle vicinanze di San Juan Copala, Oaxaca, sono sani e salvi ed hanno preso contatto con le rispettive ambasciate.

In un comunicato ha aggiunto che si è formato un gruppo di lavoro al quale partecipano enti federali e rappresentanti delle missioni  diplomatiche di Germania, Belgio, Finlandia, Italia e Spagna, col proposito di localizzare gli stranieri.

La SRE ha confermato la morte della messicana Beatriz Alberta Cariño e del finlandese Jyri Jaakkola durante i fatti avvenuti a San Juan Copala il 27 aprile ed ha dichiarato che, insieme al governo di Oaxaca, fornirà tutto il supporto peri l recupero ed il trasferimenti del Corpo del giovane finlandese. (…)

El consigliere dell’ambasciata Della Germania in Messico, Hans Günther Walter Mattern, ha detto che una volta che si avrà conferma che gli europei sono liberi, coopereranno nelle investigazioni del caso.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Recuperati i giornalisti.

Contralínea

Venerdì 30 aprile 2010

 I giornalisti Erika Ramirez e David Cilia sono stati recuperati ed ora sono in ospedale. Si aspetta il rapporto medico.

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Ancora provocazioni a Mitzitón.

La Jornada – Venerdì 30 aprile 2010

L’Ejército de Dios vuole recintare dei terreni ad uso collettivo a Mitzitón

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis., 29 aprile. L’assemblea comunitaria di Mitzitón ha dichiarato di temere un nuovo attacco di elementi del gruppo evangelico Ejército de Dios, segnalati come paramilitari. Questi minacciano di recintare nuovamente i terreni ejidales ad uso collettivo sui quali si presume passerebbe l’autostrada San Cristóbal-Palenque, promossa dal governo e decisamente respinta dagli abitanti.

Il giorno 26, riferiscono gli ejidatarios, “abbiamo saputo che i paramilitari ed il gruppo di Francisco Gómez Díaz vogliono mettere un’altra volta il filo spinato”, e riteniamo responsabile di questo il “comandante paramilitare” Esdras Alonso González ed il suo subalterno Carmen Díaz López, che sono “quelli che danno gli ordini per provocarci”.

Gli indigeni, aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN, sostengono: “Le nostre terre non si vendono; si preservano e si proteggono”, e ricordano che a luglio del 2009 lo stesso gruppo aggressore aveva recintato le proprietà. Il giorno 19 di quel mese gli ejidatarios avevano rimosso la recinzione collocata da “persone al servizio di Carmen Díaz, dirigente del gruppo evangelico”.

Il 21 luglio, aggiunge l’assemblea, “quando mandammo 20 ‘incaricati’ a vedere quegli appezzamenti, il gruppo di delinquenti era già pronto per aggredire i nostri compagni; è lì dove hanno ucciso Aurelio Díaz Hernández e ferito altri cinque compagni”. Uno di loro soffre ancora delle conseguenze dell’investimento criminale di cui è stato oggetto, mentre i responsabili “sono ancora impuniti perché il malgoverno li protegge”.

Il podere che Díaz López ed i suoi seguaci vogliono recintare ora “è lo stesso dell’anno scorso”, con lo stesso scopo perché “non vivono più nella comunità, vengono solo a provocare; questa volta dicono che sono ancora più protetti dal governo e che ci saranno altri morti”.

L’assemblea di Mitzitón chiede al governo il suo intervento per evitare nuovi fatti di violenza e denuncia come “i principali provocatori” il citato Carmen Díaz López, Pablo Díaz López e Santo Jiménez Díaz (già denunciati come trafficanti di clandestini), così come Francisco Gómez Díaz, Gregorio Gómez Jiménez e Celestino Pérez Hernández.

Questi fatto si sommano ad altri successi e già denunciati nel mese di aprile. Il giorno 18 ci sono stati due tentativi di violenza. Nel primo, cinque donne stavano pascolando i loro agnelli quando un gruppo di uomini vestiti di nero ed incappucciati hanno tentato di aggredirle. Le donne sono riuscite a fuggire. Giorni prima, nello stesso prato, le donne avevano identificato sei membri dell’Ejército de Dios che facevano pratica di tiro.

Quello stesso giorno 18, una giovane di 21 anni è stata aggredita a Tzimtikalbhó da Roberto Jiménez Heredia che l’ha picchiata “tentando di violentarla; la ragazza ha gridato e si è difesa, per questo lui l’ha picchiata ancora di più lasciandola con ferite e lividi, ma lei è riuscita a scappare”, raccontano le autorità comunitarie. L’aggressore “è conosciuto come elemento dell’Ejército de Dios, trafficante di fratelli migranti e provocatore nella comunità”.

Il 3 aprile, Carmen Díaz Jiménez (padre di Aurelio Díaz, il giovane assassinato nel luglio scorso) ha trovato la sua casa in fiamme. Grazie ai vicini è riuscito a spegnere il fuoco, “ma ormai tutte le sue cose erano bruciate: letto, coperte, vestiti”. Giorni dopo, Carmen Jiménez Jiménez e Jesús Jiménez Heredia si vantavano di essere i responsabili del sinistro.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Localizzati i giornalisti.

PROCESO – 29 aprile

 Localizzati gli attivisti e giornalisti victime dell’imboscata a Oaxaca

Gloria Leticia Díaz

MÉXICO, DF, 29 aprile (apro).- I giornalisti della rivista Contralínea, David Cilia e Érika Ramírez, scomparsi da martedì scorso quando i paramilitari hanno imboscato la carovana umanitaria che si stava dirigendo a San Juan Copala, Oaxaca, sono stati localizzati in vita e non in pericolo di morte. 

Così hanno confermato l’attivista David Venegas e Noé Bautista chi facevano parte della carovana ed erano nascosti insieme ai giornalisti. 

David e Noé sono riusciti a fuggire dall’assedio dei paramilitari e raggiungere la città di Juxtlahuaca ed hanno mostrato un video nel quale i giornalisti testimoniano il loro stato e chiedono aiuto per il loro riscatto.

Qui il video con la testimonianza dei giornalisti:  http://contralinea.info/archivo-revista/index.php/2010/04/27/grupo-armado-ataca-caravana-de-paz-en-oaxaca/#pruebadevida

 Gli attivisti dei diritti umani avvertono che “se moriranno sarà di fame o sete, perché le autorità del governo di Oaxaca non hanno cacciato i paramilitari”. 

Hanno raccontato che Érika Ramírez non è ferita, mentre David Cilia presenta una ferita di pallottola nel piede sinistro ed un’altra di striscio all’altezza della vita. 

Miguel Badillo, direttore di Contralínea, ha anticipato che questo venerdì cercheranno di compiere incursioni via aerea nella zona per cercare i giornalisti:

“Ci troviamo a Huajuapan de León con altri sei giornalisti più ed il padre di uno dei desaparecidos, ma non andremo tutti, solo alcuni”, ha precisato Badillo.

Da parte sua Il Ministero degli Esterni dell’Italia ha informato che l’internazionalista italiano David Casinori, anche lui dato per disperso a Oaxaca, è stato localizzato sano e salvo.

L’italiano ha confermato che il convoglio umanitario cui partecipava è stato attaccato martedì da individui armati nelle vicinanze della località indigena di San Juan Copala. 

Ha riferito che gli incappucciati hanno cominciato a sparare e che i partecipanti alla Carovana della Pace sono fuggiti nella selva.

Nella sparatoria sono morti Beatriz Cariño, del Centro de Apoyo Comunitario Trabajando Unidos (CACTUS), ed il cittadino finlandese Jyri Antero Jaakkola, membro della Zezta. 

Condanna internazionale

Intanto organizzazioni dei diritti umani della Germania hanno condannato energicamente l’aggressione armata perpetrata contro la Carovana di Appoggio al municipio autonomo di San Juan Copala.    In un documento le organizzazioni Initiative Mexiko, di Amburgo; Ufficio Ecumenico per la Pace e la Giustizia, di Monaco, ed il Gruppe B.A.S.T.A, di Münster, denunciano che “questa aggressione armata è il prodotto delle condizioni di violenza istituzionale ed impunità della quale godono i gruppi paramilitari in quella regione dello stato di Oaxaca”.   Nello stesso tempo ritengono che questo fatto è frutto della “violenza istituzionale contro le diverse espressioni della lotta sociale a Oaxaca e, in particolare, contro la costruzione dei processi di autonomia”.   Inoltre, deplorano l’atteggiamento del governo di Oaxaca che nega le sue responsabilità in questi fatti, dopo che il conflitto nella regione triqui avviene con la copertura dei governi federale e statali poiché poco hanno fatto per risolvere la problematica; al contrario, “la sua strategia è stata quella di alimentare i rancori e così approfittarsi della situazione di instabilità”.    Respingono anche il tentativo del segretario generale di Governo di Oaxaca, Evencio Nicolás Martínez Ramírez, di declinare le proprie responsabilità per la sicurezza dei membri della carovana.    Ricordano che il governo statale è responsabile di garantire l’integrità di tutte le persone che abitano e transitano nel suo territorio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 aprile 2010

Centro Las Casas: Responsabile dell’aggressione è lo Stato messicano

Hermann Bellinghausen

Condannando l’imboscata subita martedì dai membri della Carovana di Appoggio e Solidarietà col Municipio Autonomo di San Juan la Copala, a Oaxaca, nella quale hanno perso la vita due aderenti all’Altra Campagna dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (CDHFBC) ha dichiarato che l’attacco “è responsabilità dello Stato messicano, per non compiere i suoi obblighi di prevenire e proteggere il diritto alla vita non offrendo protezione adeguata e non creando le condizioni per sradicare le aggressioni da parte di agenti statali o di privati contro i difensori dei diritti umani”.

Il Centro Las Casas esige “un’investigazione esaustiva, efficace ed imparziale, la punizione delle autorità responsabili per azione o omissione in questi atti”, così come degli autori materiali dell’attentato, identificati come membri del gruppo priista “di stampo paramilitare” Unión de Bienestar Social para la Región Triqui (Ubisort).

Prima dell’imboscata, che è l’attacco paramilitare più grave dal massacro di Acteal nel 1997, il dirigente di Ubisort, Rufino Juárez, aveva annunciato in conferenza stampa e con dichiarazioni ad una radio commerciale che le sue milizie avrebbero impedito il transito della carovana. Nessuna autorità ha evitato l’attacco. Questo mercoledì, tuttavia, Ubisort ha negato la sua responsabilità chiedendo la presenza dell’Esercito federale ed ha dichiarato che sarebbe stato un “autoattentato” delllo stesso municipio autonomo i cui membri “hanno voluto fare i martiri per richiamare l’attenzione della società”. Simile argomento avevano usato le autorità oaxaqueñas tre anni fa per distorcere l’assassinio del giornalista statunitense Brad Will.

Il CDHFBC denuncia che, secondo la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), “il rispetto per i diritti umani in uno Stato democratico dipende in gran parte dalle garanzie di cui godono i difensori nel libero svolgimento delle loro attività”, e che è opportuno “prestare speciale attenzione alle azioni che limitino od ostacolino” il loro lavoro.

A sua volta, Enlace Zapatista, il portale che diffonde le informazioni del movimento dell’EZLN del Chiapas e dell’Altra Campagna, ha rivendicato i due attivisti caduti come aderenti alla Sesta Dichiarazione Della Selva Lacandona. Si tratta di Beatriz Alberta Cariño Trujillo, del Centro de Apoyo Comunitario Trabajando Unidos (Cactus), e di Tyri Antero Jaakkola, originario della Finlandia, aderente della Zezta Internacional e collaboratore da tre mesi del collettivo VOCAL (Voces Oaxaqueñas Construyendo Autonomía y Libertad), anch’esso dell’Altra Campagna nazionale.

Il CDHFBC sottolinea che “la carovana si stava dirigendo a San Juan Copala per dare copertura ai maestri che tornavano a fare lezione, portare generi alimentari alla popolazione accerchiata dal gruppo paramilitare Ubisort, e documentare le violazioni dei diritti umani che subiscono le comunità”.

Chiede al governo del Messico di “garantire misure precauzionali per proteggere la vita, l’integrità e la sicurezza” dei membri della carovana; chiede “azioni urgenti per ritrovare le persone ferite o scomparse” e porre fine “all’accerchiamento armato che vive il municipio”. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/29/index.php?section=politica&article=007n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Reazioni all’imboscata.

La Jornada Giovedì 29 aprile 2010

 Senatori del PRD, accademici e ONG chiedono di far luce sull’aggressione a Oaxaca. I legislatori affermano che manca la volontà del governo di risolvere il problema ancestrale a San Juan Copala

David Cilia, padre del fotografo desaparecido della rivista Contralínea, con lo stesso nome, ha raccontato di aver visto ieri a Santiago Juxtlahuaca  le grù Della polizia statale che trasportavano i quattro veicoli colpiti dagli spari, una Suburban bianca con il logo del Frente Nacional Indígena y Campesino, “aveva molto sangue al suo interno”.  Ha raccontato che i numeri di telefono che gli avevano fornito per avere informazioni corrispondevano alla delegazione della Procura Generale della Repubblica in Tabasco, e quando poi è riuscito a mettersi in contatto con la delegazione della PGR d Oaxaca gli hanno risposto che ignoravano i fatti. “A 40 minuti da La Sabana, dove è avvenuta l’aggressione, c’è un quartiere dell’Esercito e non hanno fatto niente per fermare gli aggressori. La polizia statale passeggia per le strade di Juxtlahuaca come se non fosse successo niente. Si vede che gli assassini hanno agito nell’impunità e questo dimostra che lo stato ammette che il territorio è dei paramilitari”. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/29/index.php?section=politica&article=008n1pol

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Reazione di Amnesty Internacional e dell’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani in Messico.  Condanna internazionale dell’imboscata alla missione di osservazione nella zona triqui.  http://www.jornada.unam.mx/2010/04/29/index.php?section=politica&article=007n1pol

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 Ulises Ruiz dice che è strana la partecipazione di stranieri in una zona dove esistono problemi

Agustín Galo Samario. Oaxaca, Oax., 28 aprile. Il governatore Ulises Ruiz Ortiz ha respinto qualsiasi responsabilità del governo statale nell’attacco di martedì scorso contro una carovana di osservatori internazionali che si dirigeva al municipio autonomo di San Juan Copala, nella mixteca, nel quale sono state uccise due persone, un’altra ferita ed un numero indeterminato di desaparecidos.   Per Ruiz Ortiz si è trattato di “uno scontro” col gruppo di attivisti i cui membri non “sappiamo chi sono realmente; sappiamo che ci sono stranieri, ma, non so se siano turisti, se sono di passaggio o se svolgono un lavoro di attivismo”. 

Il mandatario ha aggiunto che le indagini della Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) sicuramente stabiliranno “che tipo di qualifica migratoria hanno questi stranieri che partecipano ad un evento dove si è verificato uno scontro”.

Sebbene ammetta che tra i partecipanti c’erano membri di organizzazioni oaxaqueñas, ha deplorato che “una carovana con gente straniera” abbia deciso unilaterlamente di andare” in quella località ed ha insistito: “Non so in qualità di cosa stanno qua a Oaxaca. Mi è molto strano, non sono accreditati, non sapevamo che degli stranieri stavano andando in una comunità dove ci sono problemi”. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/29/index.php?section=politica&article=005n2pol

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Ancora desaparecidos a Copala.

La Jornada – Giovedì 29 aprile 2010

Ancora disperse diverse vittime dell’imboscata a Copala. Il gruppo aggressore impedisce le operazioni della polizia nella zona

Octavio Vélez Ascencio. Oaxaca, Oax., 28 aprile. L’Agenzia Statale di Investigazioni (AEI) ha raccolto i cadaveri del finlandese Tyri Antero Jaakkola e della messicana Beatriz Alberta Cariño Trujillo, membri della carovana civile internazionale che si dirigeva a San Juan Copala che è stata aggredita a colpi d’arma da fuoco da un gruppo di paramilitari appartenenti all’organizzazione priista Unión de Bienestar Social para la Región Triqui (Ubisort). Tuttavia, la polizia non è ancora riuscita a localizzare diverse persone scomparse, tra queste alcuni europei – si pensa si siano rifugiati sulla montagna per sfuggire agli spari – perché il gruppo paramilitare che controlla la zona ha permesso loro l’accesso solo per poche ore.   I poliziotti hanno riferito a Miguel Badillo, direttore della rivista Contralínea – chi si trova nelle vicinanze di San Juan Copala per cercare i due giornalisti di questa pubblicazione che sono scomparsi – che il gruppo paramilitare ha minacciato di “attaccarli” se non si ritiravano dal posto. Hanno promesso che questo giovedì, “con la luce del giorno”, riprenderanno le incursioni in montagna, previo accordo di tregua col gruppo armato. Badillo ha chiesto l’intervento della Segreteria di Governo affinché le autorità riprendano il controllo della zona e si possano cercare i dispersi.    Alla carovana partecipavano 25 persone, tra attivisti e giornalisti. Solo cinque dei dispersi sono stati identificati: Érika Ramírez e David Cilia, giornalista e fotografo di Contralínea; Noé Bautista Jiménez e David Venegas Reyes, attivisti dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca (APPO), e Martín Sautan, un osservatore tedesco. I veicoli sono stati recuperati oggi dalla polizia statale. Il Dodge azzurro chiaro, con targa 4761 TMD dello stato di Quintana Roo su cui viaggiavano i reporter presenta 25 fori di pallottola. Anche una Suburban ed il resto delle auto sono danneggiati da decine di colpi d’arma da fuoco.   In un comunicato, il governo statale ha informato che il pubblico ministero di Santiago Juxtlahuaca, appoggiato da periti e poliziotti preventivi e della AEI, si sono recati nella località Los Pinos dove hanno trovato i cadaveri di due persone in un’auto bianca con l’insegna del Frente Nacional Indígena y Campesino AC, e presentavano ferite prodotte da proiettile di arma da fuoco.   Le persone uccise sono state identificate come Tyri Antero Jaakkola, finlandese membro dell’organizzazione Uusi Tuuli Ry, e Beatriz Alberta Cariño Trujillo, moglie di Omar Esparza Zárate, coordinatore del Centro de Apoyo Comunitario Trabajando Unidos. I corpi sono stati trasferiti a Huajuapan de León per l’autopsia di legge.   Mónica Citlalli Santiago Ortiz, studentesse Della Facoltà di Diritto e Scienze Sociali dell’Università Autonoma Benito Juárez de Oaxaca, è ricoverata presso l’Ospedale dell’IMSS di Santiago Juxtlahuaca, e le sue condizioni sono stabili.   La Ubisort si è dissociata dai fatti ed ha attribuito la sparatoria ad un “autoattentato”. Ha precisato che “quelli del MULTI (Movimiento de Unificación y Lucha Triqui Independiente) hanno cercato il modo di passare per martiri per richiamare l’attenzione della società; loro uccidono e poi accusano noi”.   Alberto Quezadas Jiménez, commissario di Pubblica Sicurezza dello stato, ha riferito alla stampa che la polizia non è entrata nella zona a ristabilire l’ordine perché non ci sono le condizioni favorevoli. “Non posso entrare ed affrontarli perché ci sarebbero molti morti”, ha affermato.   Da parte sua, Gabriela Jiménez Rodríguez, consigliere della APPO e sopravvissuto all’attacco, ha detto che la carovana è stata attaccata martedì scorso intorno alle 14:50 da uomini incappucciati provvisti di armi lunghe nelle vicinanze di Los Pinos, a circa 10 chilometri da La Sabana, villaggio vicino a San Juan Copala.  “Uscendo da una curva – ha raccontato – abbiamo trovato la strada bloccata da alcuni massi; allora l’autista del furgone ha deciso di tornare indietro e in quel momento i paramilitari hanno iniziato a spararci addosso. In qualche modo siamo scesi dalle auto ed alcuni sono corsi verso la montagna, ma sfortunatamente due compagni sono stati raggiunti dalle pallottole. Le due vittime sono state colpite alla testa.”   Ha spiegato che insieme ad altre persone è salito sulla montagna e poco dopo sono stati intercettati dagli uomini incappucciati che si sono identificati come membri dell’Ubisort, legata al PRI, e del MULT, base sociale del Partito Unità Popolare, partito locale, che li hanno riportati sul luogo dell’aggressione.     “Ci hanno detto che lì non succedeva niente, che era il loro territorio; uno ci ha perfino detto che ci avrebbero ammazzato ma un altro ci ha detto che ci lasciava in vita e che potevamo andarcene. Durante il tragitto un uomo ci ha portato fino a Santiago Juxtlahuaca”.   Carlos Beas Torres, coordinatore della Unión de Comunidades Indígenas de la Zona Norte del Istmo, ha detto che Noé, l’autista del furgone su cui sono morti l’attivista finlandese e Cariño Trujillo, è arrivato all’alba a Santiago Juxtlahuaca ed ha confermato di aver visto i cadaveri di altri attivisti. Ha affermato che altri sopravvissuti arrivati a Juxtlahuaca hanno raccontato la stessa cosa e ritiene che forse i corpi siano stati fatti sparire dai paramilitari per la gravità dei fatti.

Ha precisato che i desaparecidos della APPO, David Venegas Reyes e Noé Bautista Jiménez, hanno comunicato via radio a Santiago Juxtlahuaca ma poi non si è più saputo niente. Alla carovana partecipavano attivisti di Italia, Belgio e Germania chi sono fuggiti sulla montagna e “fino ad ora” non abbiamo loro notizie, ha detto.    Azael Santiago Chepi, segretario generale della sezione 22 del SNTE, ha accusato dell’attacco il governatore Ulises Ruiz per la sua “indifferenza” per fermare la violenza e per il “supporto” della sua amministrazione all’Ubisort.    In serata diplomatici di Finlandia, Germania, Belgio e Italia si sono recati al palazzo di governo dello stato per raccogliere informazioni sui loro connazionali. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/29/index.php?section=politica&article=005n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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FINLANDESE E MESSICANA LE VITTIME DELL’AGGRESSIONE A OAXACA

Tyri Antero Jaakkola, un finlandese di circa 25 anni, Giusto tre mesi fa nello stato di Oaxaca per lavorare un anno con Vocal, è stata la prima vittima dell’aggressione “paramilitare”.

L’attivista apparteneva all’organizzazione finlandese Uusi Tuuli Ry, che fa parte anche dell’Altra Campagna, movimento simpatizzante dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Nell’attacco è morta anche Alberta Cariño, 35 anni, attivista del Centro de Apoyo Comunitario Trabajando Unidos (Cactus).   

Due giornalisti del settimanale Contralínea ed un altro dell’agenzia locale, così come un membro di Vocal risultano desaparecidos, ha dichiarato Omar Esparza, marito Della donna messicana uccisa.   http://www.jornada.unam.mx/ultimas/2010/04/28/un-finlandes-y-una-mexicana-las-victimas-mortales-en-ataque-a-caravana-en-oaxaca-ong

ANCORA DESAPARECIDOS I GIORNALISTI DI CONTRLINEA

Érika Ramírez r David Cilia, giornalisti del settimanale Contralínea, ed altre due persone (David Venegas, dell’organizzazione VOCAL, e Noé Bautista) sono scomparsi nei dintorni della comunità autonoma San Juan Copala, municipio di Juxtlahuaca, Oaxaca.  http://contralinea.info/archivo-revista/index.php/2010/04/27/grupo-armado-ataca-caravana-de-paz-en-oaxaca/

ALTRE INFO: http://www.chiapas.indymedia.org/

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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico 
28 aprile 2010 
 
Comunicato Stampa No. 05  

Confermata l’uccisione dell’attivista dei diritti umani.  

Questo Centro dei Diritti Umani si dispiace dell’assassinio dell’attivista dei diritti umani Beatriz Alberta Cariño, Direttrice del Centro di Aiuto Comunitario Lavorando Uniti (Cactus).   

Secondo le informazioni fornite nel pomeriggio di oggi da Cactus, l’omicidio è avvenuto durante l’attacco alla Carovana di Appoggio e Solidarietà col Municipio Autonomo di San Juan Cópala, Oaxaca, perpetrato ieri nella località conosciuta come La Sabana, vicino a San Juan Cópala.   

Secondo le informazioni ricevute l’attacco è stato perpetrato dal gruppo di stampo paramilitare “Unidad y Bienestar Social de la Región Triqui” (Ubisort), che con le armi tiene accerchiati i coloni del Municipio Autonomo San Juan Cópala; durante l’attacco è stato ucciso anche l’attivista dei diritti umani Jyri Antero Jaakkola di origine finlandese, oltre ad altre persone ferite e scomparse, come già comunicato con il precedente Comunicato Stampa No. 4.   

Esprimiamo le nostre sentite condoglianze alla famiglia di Beatriz Cariño e di Jyri Antero Jaakkola, ed alle compagne e compagni del Centro di Appoggio Comunitario Lavorando Uniti (CACTUS).   

Al governo messicano chiediamo che si svolga un’indagine esaustiva, efficace ed imparziale affinché si puniscano le persone e le autorità responsabili per azione e/o omissione per l’assassinio di Beatriz Alberta Cariño e Jyri Antero Jaakkola, difensori dei diritti umani.   

In Messico le attiviste e gli attivisti dei diritti umani affrontano costantemente aggressioni, minacce, vessazioni, vigilanza, perquisizioni delle abitazioni, restrizioni all’informazione, campagne di diffamazione ed azioni penali come metodo per intralciare ed ostacolare il loro lavoro. 

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
medios@frayba.org.mx
http://www.frayba.org.mx

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La Jornada – Giovedì 22 aprile 2010

Onorare gli Accordi di San Andrés, chiedono in un forum del del Senato

Víctor Ballinas e Andrea Becerril

Legislatori, vescovi, intellettuali, studiosi, rappresentanti di organizzazioni non governative ed indigeni hanno chiesto il compimento degli accordi di San Andrés.

Sostengono che nonostante la riforma del 2001 che ha inserito nella Costituzione i diritti indigeni, questi non godono ancora di tutte le garanzie, “sono discriminati, esclusi, sfruttati, spogliati delle loro risorse e territori; non si è fatta loro giustizia e non hanno educazione e salute”.

I vescovi Raúl Vera e Felipe Arizmendi; il sacerdote Miguel Concha Malo; gli intellettuali Rodolfo Stavenhagen e José del Val Blanco; gli indigeni Adelfo Regino, Abundio Marcos e Valentín de Rosa; il ricercatore Emilio Álvarez Icaza, così come l’ex ministro e deputato Juventino Castro y Castro, tra altri, hanno rilevato che “lo Stato deve riconoscere il loro diritto alla libera determinazione e all’autonomia, perché i popoli indigeni non vogliono costituire un altro Stato, bensì essere considerati uguali”.

Partecipando ieri al Senato al forum Gli Accordi di San Andrés, questione irrisolta, organizzato dalla Commissione Bicamerale di Concordia e Pacificazione, Juventino Castro y Castro ha dichiarato: “Molti credono che la riforma costituzionale del 2001 che ha introdotto all’articolo secondo della Magna Carta i diritti indigeni, sia la continuità degli Accordi di San Andrés. Non è così: si somigliano, ma questi continuano ad essere la questione irrisolta”.

Per questo, ha sollecitato a “riprendere le idee di San Andrés Larráinzar. Il concetto di libera determinazione non è equivalente ad autonomia. La libera determinazione è un principio di uguaglianza, questo è fondamentale. Il secondo articolo costituzionale è un articolo fallito; fa credere che i popoli possono nominare le autorità, che hanno dei privilegi, ma la legge non è stata realizzata, per questo bisogna rivitalizzare gli accordi di San Andrés”.

Rodolfo Stavenhagen, ex relatore dell’ONU per i diritti dei popoli indigeni ha affermato: “si deve riconoscere il diritto collettivo dei popoli indigeni alla libera autodeterminazione. Ricordo che quando discutevamo di questo concetto, un settore del governo ci diceva che gli indigeni volevano stabilire un altro paese. Niente di più falso: vogliono la libera autodeterminazione per partecipare alle decisioni che riguardano il loro sviluppo”.

Del Val Blanco, direttore del Programma Universitario Nazione Multiculturale della UNAM, ha insistito che gli accordi di San Andrés continuano ad essere una questione irrisolta, “io “direi che è una materia bocciata. Questa è la terza legislazione che affronta la sfida”. Ha sottolineato che quello che succede è che “c’è ignoranza del significato di autonomia e libera autodeterminazione”.

Ha chiesto che si riformi la Legge di Consultazione Indigena, perché “ci sono ancora enormi territori delle popolazioni native, e se non si agisce subito queste possono esserne private, come succede costantemente. Ci sono investitori stranieri e transnazionali che le spogliano del loro territorio e saccheggiano le loro risorse naturali. Bisogna legiferare subito in materia per frenare questa situazione”.

Il vescovo Felipe Arizmendi ha detto: “I 12 milioni di indigeni continuano a subire attacchi alla loro identità, non viene fatta loro giustizia, non li si consulta per costruire opere sulle loro terre, non hanno scuole né servizi sanitari; bisogna riprendere gli accordi di San Andrés Larráinzar”.

Il suo omologo di Saltillo, Raúl Vera, ha dichiarato: “fin dal primo giorno dei negoziati dopo l’insurrezione del primo gennaio 1994, il Comitato Clandestino e la Comandancia General, così come i gruppi che rappresentavano gli zapatisti ci dettero questa istruzione: dite al governo che non vogliamo delle cose, vogliamo il nostro posto in questo paese”.

Miguel Concha, presidente del Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria, ha denunciato che “la riforma all’articolo secondo della Costituzione a livello teorico parla dell’autonomia dei popoli indigeni dentro lo Stato nazionale, benché a livello operativo la consideri come qualcosa che attenta alla sovranità”. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/22/index.php?section=politica&article=021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Blog contrainsurgente.

GOVERNO STATALE, CISEN E PSEUDO GIORNALISTI CREANO UN BLOG CONTRAINSURGENTE

Chiapas Indymedia 2010.04.18

Marzo 2010 si crea un Blog di carattere contrainsurgente allo scopo di proseguire nella strategia di disinformazione che lo Stato messicano, i suoi organismi di “intelligence” e la stampa asservita stanno realizzando contro le organizzazioni non governative e la società civile.

La campagna contro il movimento dell’EZLN e la società civile nazionale e internazionale continua, ed ora anche con la creazione di un Blog http://realchiapas.blogspot.com e http://chiapasreal.blogspot.com in cui si riportano le notizie redatte dagli uffici della Comunicazione Sociale di Governo dello Stato; e nel modo di Noé Farrera alias Victor del Monte padrone del quotidiano Péndulo de Chiapas.    

In questo blog si chiede di applicare l’articolo 33 contro gli stranieri che vengono in Chiapas e solidarizzano col movimento dell’EZLN, mostra foto senza l’autorizzazione di coloro che vi compaiono proponendo detenzioni, accusa e diffama in maniera calunniosa il Frayba incolpandolo ed accusandolo di molte cose di cui spero abbiano le prove, perché se non ne hanno sono loro a commettere dei reati. 

È importante che questo tipo di blog per qualche azione solidale non stiano più in rete. http://chiapas.indymedia.org/article_174244

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Gli USA in Chiapas.

La Jornada – Lunedì 19 aprile 2010

La breccia chiapaneca

Carlos Fazio

Nel contesto della strategia di occupazione a spettro totale (full spectrum) che stanno portando avanti gli Stati Uniti in Messico, per le sue caratteristiche particolari il Chiapas occupa un posto centrale nella mappa del Pentagono. La geografia chiapaneca fa parte della “breccia” (the gap) nella quale si trovano le zone di pericolo sulle quali il protagonista egemone del sistema capitalista mondiale deve avere una politica aggressiva di prevenzione, di dissuasione, controllo ed imposizione di norme di funzionamento affini agli interessi corporativi con casa madre nella nazione imperiale, ma anche di persecuzione, disarticolazione ed eliminazione di dissidenti o ribelli, considerati nemici.

Bisogna ribadire che non si può comprendere e spiegare il sistema capitalista senza il concetto di guerra. La guerra è la forma essenziale di riproduzione dell’attuale sistema di dominazione; la guerra è connaturata all’attuale fase di conquista e riconquista neocoloniale di territori e spazi sociali. Ma è anche un affare, un modo di imporre la produzione di nuove merci e aprire mercati allo scopo di ottenere profitti. In questo contesto la breccia chiapaneca si colloca in un’area a intensa in biodiversità, dove esistono grandi risorse acquifere, petrolio e minerali di uso strategico, tutto quello che dà senso pratico redditizio alla sua appropriazione territoriale e dello spazio.

Con un’aggiunta: lontano dal chiasso mediatico del momento, il Chiapas, ed in particolare l’area sotto il controllo delle autonomie zapatiste, è una zona creativa e di resistenza civile pacifica al progetto neoliberale. Un’area dove si sperimentano nuove forme di emancipazione, di costruzione della libertà nel collettivo da parte di diversi soggetti sociali e movimenti antisistemici che manifestano un pensiero critico, etico, anticapitalista, controegemonico. Forze che operano al margine delle regole del gioco e degli usi e costumi del sistema e gli danno battaglia sul campo culturale, dove sono radicate la memoria storica, le cosmovisioni e le utopie. Si tratta di un nuovo soggetto storico che non crede più alle toppe né alle riforme all’interno del sistema e, alieno alle vecchie e nuove forme di assimilazione e cooptazione, sperimenta un’altro modo di “fare politica” e di costruire un potere alternativo dal basso. Un vero potere popolare, autogestito, plurale, di autentica democrazia partecipativa con le sue giunte di buon governo, i suoi municipi autonomi e le sue autorità comunitarie.

Per tutto questo, l’EZLN, le sue basi di appoggio e gli alleati sono un pericolo reale, una sfida strategica per Washington e le grandi corporazioni dei settori militare, petrolifero, minerario, biotecnologico, agroalimentare, farmaceutico, alberghiero, dell’imbottigliamento e del falso ecoturismo che oggi scatenano una sordida guerra per la terra ed il territorio chiapaneco. Chi si trova negli spazi e nei territori dove esistono acqua, boschi, conoscenze ancestrali, codici genetici ed altre “merci” sono, lo si volia o no, nemici del capitale. Per questo assistiamo ad un’offensiva conservatrice che, nella forma di una guerra integrale occultata, asimmetrica, irregolare, prolungata e di logoramento, vuole disciplinare, piegare e/o eliminare la resistenza dei contadini indigeni ribelli per realizzare la ristrutturazione del territorio secondo gli interessi e le ingiunzioni monopoliste classiste. Si tratta di una guerra di privatizzazione, di svuotamento territoriale e predazione sociale che si serve della militarizzazione e paramilitarizzazione del conflitto, della repressione dei movimenti sociali e della criminalizzazione della protesta per facilitare la libera accumulazione capitalista delle multinazionali e dei loro alleati vernacolari, mediante un aggressivo modello dominante di agricoltura e dello spazio rurale; un modello di morte a beneficio del grande capitale.

In quella che forse è stata la sua ultima apparizione pubblica, nel dicembre del 2007, il subcomandante Marcos avvertì sulla ripresa delle aggressioni militari, poliziesche e paramilitari nella zona di influenza zapatista. Disse: “Chi ha fatto la guerra sa riconoscere i modi in cui si prepara ed avvicina. I segnali di guerra all’orizzonte sono chiari. La guerra, come la paura, ha odore. Ed ora si comincia già a sentire il suo fetido odore nelle nostre terre”. Annunciò allora che l’EZLN entrava in una nuova fase di silenzio e che si preparava a resistere da solo – abbandonato dall’intellighenzia progressista e di sinistra davanti all’ipotesi di “basso rating mediatico e teorico” dello zapatismo – alla difesa della terra e del territorio recuperato dal 1994 e sotto il controllo delle autonomie, davanti alla nuova offensiva che stava preparando l’emulo di Victoriano Huerta, Felipe Calderón, col suo capitalismo da caserma.

Da allora, come parte della stessa strategia di occupazione a spettro totale studiata dal Pentagono, la geografia chiapaneca si è riempita di posti di blocco e veicoli militari blindati; sono ricomparsi gli operativi di dissuasione e intelligenza, i pattugliamenti ed i sorvoli in zone considerate pericolosi focolai, e l’Esercito è stato riposizionato in comunità con precedenti di resistenza civile, mentre le autorità locali e federali realizzavano sgomberi violenti e ricollocamenti forzati di comunità indigene nella Riserva della Biosfera dei Montes Azules e di altre aree, come parte di una strategia di svuotamento e controllo territoriale che, mascherata da “spirito conservazionista” vuole spostare la popolazione per facilitare l’appropriazione e la mercificazione della terra e delle risorse naturali da parte del grande capitale. Questo spiega anche perché, articolati dalla sede della 31a Zona Militare di Rancho Nuevo, gruppi paramilitari come la OPDDIC (Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini) ed il cosiddetto Ejército de Dios (sotto travestimento evangelico) stiano perseguitando e distruggendo le comunità zapatiste. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/19/index.php?section=opinion&article=025a2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 16 aprile 2010

Gilberto López y Rivas

Contrainsurgencia e servizi di intelligence 

Sono molte le interpretazioni sulla manovra mediatica alla quale si è prestato il giornale Reforma alla fine di marzo, quando ha pubblicato un documento consegnato da un presunto “disertore” dell’EZLN, nel quale si fanno “rivelazioni” – già rese note un’infinità di volte – sulla struttura dell’organizzazione, armi, collocazione territoriale dei suoi comandanti e le sue presunte fonti di finanziamento, tra le quali ce ne sarebbe una dei Paesi Baschi che in forma manichea si presenta come proveniente da ETA.

E’ stato talmente grossolano tutto il circo propagandistico montato dai cosiddetti servizi di intelligence, in questo caso, la seconda sezione dell’Esercito, che non hanno tardato ad arrivare le smentite e le confutazioni: la fotografia del presunto subcomandante Marcos senza cappuccio, che il disertore-senza-nome-né-volto dovrebbe conoscere molto bene, è risultata essere quella di un cooperante italiano.

Qualsiasi giornalista mediamente informato e senza collegamenti con Sedena conosce l’incandescente polemica epistolare che intercorse tra il portavoce dello zapatismo ed ETA all’inizio del 2003, nella quale quest’ultima affermava: “Abbiamo seri dubbi sulla vera intenzione della proposta di dialogo nell’isola canaria di Lanzarote che lei ha fatto. Ci sembra piuttosto una manovra disperata per attirare l’attenzione internazionale strumentalizzando per questo l’eco di tutto quello che ha a che vedere col conflitto basco, in particolare nello Stato spagnolo. La forma pubblica, senza previa consultazione con cui lei ha lanciato questa proposta riflette una profonda mancanza di rispetto verso il popolo basco e verso tutti quelli che dalle loro organizzazioni lottano in un modo o in un altro per la libertà”.

Marcos rispose: “Vedo che avete senso dell’umorismo e che ci avete scoperto: noi zapatisti, che non abbiamo mai avuto l’attenzione della stampa nazionale ed internazionale, volevamo ‘usare’ il conflitto basco che, come è evidente, ha copertura stampa in eccesso. Inoltre, dal giorno in cui abbiamo fatto pubblicamente riferimento alla lotta politica in Euskal Herria, i commenti positivi sugli zapatisti, per strada e sulla stampa nazionale ed internazionale sono aumentati. Rispetto al fatto di non voler far parte di nessun tipo di ‘pantomima’ o ‘operetta’, lo capisco. Vi piacciono di più le tragedie… Inoltre non abbiamo né i mezzi né l’interesse né l’obbligo di ‘consultare’ ETA prima di parlare. Perché gli zapatisti hanno conquistato il diritto di parola: di dire quello che vogliamo, su quello che abbiamo voglia e quando ci ne viene voglia. E per fare questo non dobbiamo consultare né chiedere permesso a nessuno. Né ad Aznar né al re Juan Carlos né al giudice Garzón né a ETA…

“Sul fatto di aver mancato di ‘rispetto al popolo basco’ è qualcosa di cui ci ha accusato anche Garzón (il quale, di conseguenza, deve autodichiararsi illegale, per coincidere con ETA nei suoi progetti) e tutta la destra ispanica e basca. Deve essere perché proporre di dare un’opportunità alla parola contravviene agli interessi di chi, da posizioni apparentemente contrarie, ha fatto della morte della parola il suo affare ed il suo alibi. Perché il governo spagnolo uccide la parola quando attacca la lingua basca o la lingua navarra, quando perseguita ed imprigiona i giornalisti che ‘osano’ parlare della questione basca includendo tutti i punti di vista, e quando tortura i detenuti affinché confessino quello che serve alla ‘giustizia’ spagnola. Ed ETA uccide la parola quando uccide chi la attacca con le parole, non con le armi”.

Cito per esteso queste argomentazioni per calibrare la smemoratezza indotta o l’ignoranza politica dei redattori del rapporto-del-disertore, che prima di collegare le due organizzazioni non hanno svolto il loro compito affinché quanto filtrato avesse una parvenza di realtà. Ma se gli organismi di intelligence castrensi non hanno svolto adeguatamente il loro lavoro, neppure minimamente come avevano cercato di fare i loro omologhi colombiani per il caso dei computer miracolosi del defunto Raúl Reyes, i lettori si aspettano che quel documento dell’assente disertore, ora passato ad ex dirigente, fosse stato verificato dai dirigenti di Reforma in quanto alla sua origine reale, congruenza della sua argomentazione, verifica delle fonti, opinioni di analisti “indipendenti” ed anche dei “vicini allo zapatismo”, eccetera; cioè, un lavoro giornalistico professionista ed etico, che, certamente, è molto chiedere in questi giorni.

Ciò nonostante, la cosa importante nel denunciare questa complicità media-servizi di intelligence poggia sulle domande: che propositi ci sono dietro questa messa in scena? Uno ovvio ed evidente è identificare l’EZLN dentro le organizzazioni legate al “terrorismo”, e di conseguenza intensificare la guerra di logoramento contro le comunità zapatiste impegnate nei processi autonomistici di comandare obbedendo, e particolarmente, giustificare politicamente incursioni militari contro la dirigenza zapatista.

Questi stratagemmi mediatici coincidono con l’aumento dell’azione paramilitare e di intelligence in Chiapas, inerenti alla contrainsurgencia, e con la complicità e protagonismo del governo statale in questa persecuzione denunciata innumerevoli volte dalle autorità autonome zapatiste.

Ma si sbaglino: oggi, come ieri, gli zapatisti non sono soli; soprattutto in un contesto di deterioramento totale delle istituzioni, di una presidenza usurpata e responsabile della peggiore crisi generalizzata che abbia sofferto la Repubblica dal porfiriato; con la guerra sporca e la violenza generalizzata nelle strade, posti di blocco e strade sulle quali si uccide impunemente, mentre il poco che rimane del paese finisce all’asta pubblica dai venditori della patria che affermano di governare. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/16/index.php?section=opinion&article=018a2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La rivista Contralìnea è una delle poche pubblicazioni in Messico di giornalismo d’inchiesta ad essere impegnata con le organizzazioni, collettivi ed individui che denunciano gli abusi del potere pubblico e privato.
Si è cercato più volte di farla tacere attraverso diverse strategie che hanno portato a sollevare denunce civili, penali, vessazioni e minacce di morte. Il lavoro giornalistico di Contralíea si differenzia molto dalla maggioranza dei mezzi di comunicazione tradizionali, come Reforma, per etica, professionalità e veridicità.
Se volete conocerla visitate la pagina : http://www.contralinea.com.mx/
 
Equipo Frayba.
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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 13 de abril de 2010 

Bollettino 03   

Effrazioni e furto nella sede della rivista Contralínea.   Ancora una volta lo Stato messicano è incapace di proteggere la libertà di espressione.

Tra sabato 10 aprile e domenica 11 è stata fatta irruzione nella sede della rivista Contralínea. Questa volta i delinquenti hanno divelto le porte di accesso di tutti gli uffici editoriali e amministrativi, hanno sottratto documentazione contabile e giornalistica, computer e cellulari. Questa irruzione si somma alla serie di persecuzioni subite dal giornale dal 2007.   L’effrazione avviene nel contesto in cui la rivista Contralìnea è oggetto di cause civili e penali per il suo lavoro di denuncia di temi relazionati con la sicurezza nazionale, la corruzione del governo, i crimini dei colletti bianchi, narcotraffico, riciclaggio di denaro sporco, così come temi sociali legati alla povertà, all’emarginazione ed alla guerriglia.   Queste azioni potrebbero essere tentativi di censurare il suo lavoro e pertanto attentati contro la libertà di espressione sancita dall’Articolo 13 della Convenzione Americana sui Diritti Umani; l’articolo 6 e 7 della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani.     È importante ricordare allo Stato messicano che deve rispettare quanto stipulato nella Dichiarazione di Principio sulla Libertà di Espressione della Corte Interamericana dei Diritti Umani al paragrafo 13: “(…) I mezzi di comunicazione sociale hanno diritto di svolgere il proprio lavoro in maniera indipendente. Pressioni dirette o indirette volte a tacitare il lavoro di informare dei comunicatori sociali sono incompatibili con la libertà di espressione“.  

Sulla base di quanto sopra, questo Centro dichiara quanto segue: 

La nostra totale solidarietà e sostegno al lavoro degno e responsabile che svolgono i membri della rivista Contralínea, chiediamo pertanto allo Stato messicano: 

– L’indagine immediata ed efficace dei fatti e l’arresto immediato dei responsabili materiali ed intellettuali dell’irruzione negli uffici di Contralínea.

– Che si offrano misure cautelari efficaci ai membri della rivista Contralínea che permettano loro di svolgere il proprio lavoro senza mettere a rischio l’integrità e la sicurezza personale. 

Precedenti:  

Il furto nella sede di Contralínea si somma alla serie di persecuzioni che i giornalisti di questo giornale subiscono dal 2007 derivanti dalla loro attività professionale, minacce e diffamazioni che comprendono l’irruzione nei suoi uffici in tre occasioni (tra il 2007 e 2009) e l’arresto del suo direttore, Miguel Badillo Cruz, il 16 gennaio 2009, ed il mandato di arresto contro la giornalista Ana Lilia Pérez.    Attualmente i giornalisti di questo giornale sono soggetti a misure cautelari dettate dalla Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) e misure precauzionali stabilite dalla Commissione dei Diritti Umani del Distrito Federal.   Dal 2007 questa testata riceve minacce di morte ed intimidazioni da parte di aziende private appaltatrici della Petróleos Mexicanos come Zeta Gas, Oceanografía e Blue Marine. Queste società hanno in corso sei cause civili ed una penale contro Miguel Badillo, Ana Lilia Pérez, Nancy Flores e Jorge Meléndez.    

L’ultima irruzione e furto a danno della rivista Contralínea avviene a sette mesi da quando la CNDH ha emesso la raccomandazione 57/2009 – il 14 settembre 2009 – nella quale ha stabilito che i poteri federali Esecutivo e Giudiziale hanno violato i diritti umani dei giornalisti della testata.

 Comunicación Social
Área de Sistematización e Incidencia / Comunicación
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548; Fax +52 (967) 6783551
medios@frayba.org.mxwww.frayba.org.mx 

((Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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In memoria di Emiliano Zapata.

La Jornada – Sabato 10 aprile 2010

Los de Abajo

In memoria di Emiliano Zapata

Gloria Muñoz Ramírez

Oggi si compiono 91 anni dall’assassinio a tradimento di Emiliano Zapata, anniversario luttuoso occasione per organizzare il secondo Incontro Nazionale per la Riarticolazione del Movimento Indigeno, riunione dalla quale il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) si è dissociato perché, segnala, la convocazione proviene da “persone ed organizzazioni inserite nel governo federale o nei governi degli stati”.  Il CNI, spazio di riflessione in rete convocato nel 1996 dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), è riuscito a riunire il ventaglio più ampio del movimento indigeno nazionale. L’organizzazione precedente il CNI fu il Forum Nazionale Indigeno ed i negoziati di San Andrés Sakamch’en de los Pobres che diedero luogo agli accordi di San Andrés, documento che il CNI rivendica come la vera Costituzione dei popoli indios. Dal tradimento della classe politica messicana nel 2001, che negò l’inserimento degli accordi nella Costituzione messicana, i popoli indios in resistenza hanno deciso di renderli effettivi nella pratica, col rafforzamento e la costruzione delle autonomie e la difesa del territorio. Il CNI, “la casa dei popoli indios”, continua a percorrere questa strada e “difenderà ad ogni costo l’autonomia e l’indipendenza del movimento indigeno e del Congresso Nazionale Indigeno rispetto a qualunque governo e partito politico”. Dunque, che nessuno si confonda con l’incontro che si svolge a Città del Messico in questi giorni. Il CNI prosegue anche negli obiettivi dell’Altra Campagna, come ratificato nel Quarto Congresso Nazionale Indigeno, nella comunità San Pedro Atlapulco, a maggio del 2006. Nei giorni scorsi, nela comunità wixárika di Bancos de San Hipólico, in Durango, i popoli wixárika, cora, odam, coca, nahua, purhépecha, triqui, ñahñu, tzotzil y mixteco di Durango, Nayarit, Jalisco, Michoacán, stato di México, Distrito Federal, San Luis Potosí, Chiapas, Puebla, Guerreroe Tlaxcala, hanno respinto “l’attuale elaborazione di diverse iniziative di legge indigene statali in Chiapas, Sonora, Puebla, Michoacán e Distrito Federal”. I popoli, nazioni, tribù e quartieri che continuano la loro riflessione dentro il CNI onorano oggi la memoria di Emiliano Zapata opponendosi ai progetti autostradali, turistici, immobiliari, minerari, agroindustriali, delle piantagione di semi transgenici, di costruzione di dighe e campi eolici in tutti i territori… e dichiarano che nell’esercizio dell’autodifesa indigena “impediranno l’esecuzione di questi progetti nelle terre dei nostri popoli”. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/10/index.php?section=opinion&article=006o2pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://www.desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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Italia, 9 aprile 2010

Denunciamo il rozzo tentativo di criminalizzare l’EZLN ed il movimento zapatista, così come coloro che sostengono la lotta delle comunità indigene in resistenza del Chiapas, orchestrato attraverso il quotidiano messicano Reforma con la pubblicazione di una notizia palesemente falsa e costruita.

Questo altro non è che un’ulteriore aggressione nell’escalation di attacchi, persecuzioni, abusi e violenze scatenata negli ultimi mesi contro le comunità indigene in resistenza del Chiapas e contro gli attivisti dei diritti umani. E non ci stupisce l’azione codarda di criminalizzare, diffamare e isolare il movimento zapatista colpendo la solidarietà internazionale.

La nostra solidarietà non è occulta e da sempre è aperta e alla luce pubblica.

Noi, come molti altri nel mondo sosteniamo, e continueremo a farlo, le comunità zapatiste nello sviluppo del loro Sistema Autonomo di Educazione, di Salute, di Formazione, di Produzione. E così come denunciamo questa nuova aggressione, continueremo a denunciare ogni violazione dei diritti dei popoli ed ogni attacco al movimento zapatista.

Oggi più che mai proclamiamo apertamente la nostra solidarietà e appoggio all’EZLN, alle sue comunità ed alle vittime della repressione dei malgoverni e dei loro alleati.

Oggi più che mai, gli zapatisti non sono soli!

Firmano: Comitato Chiapas “Maribel” di Bergamo. Consolato Ribelle del Messico di Brescia. Progetto Dignidad Rebelde. Associazione Villaggio Terra Roma. Comitato Chiapas di Torino. Comitato Chiapas di Brescia. Associazione Ya Basta Italia. Coordinamento Toscano in Sostegno alla Lotta Zapatista. Fondazione Neno Zanchetta. Gruppo Mani Tese di Lucca. Statunitensi Contro la Guerra Firenze. Dna Alto Milanese. Comitato Chiapas Castellana. Le Case degli Angeli di Daniele ONLUS. Un Ponte Per comitato di Bologna. Associazione Aniep Bologna. PRC Circolo Aziendale Ferrovieri Spartaco Lavagnini di Firenze. Centro Sociale 28 Maggio Rovato BS. CICA Collettivo Italia Centro America. Associazione ‘dalla parte degli ultimi’ di Campobasso. Coordinamento Comasco per la Pace. Comitato Piazza Carlo Giuliani. Coordinamento Associazione Italia-Nicaragua. Gruppo musicale Chichimeca. Cooperativa Morelia Campobasso.



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Esercito e “caschi blu”.

La Jornada – Venerdì 9 aprile 2010

L’ONU presenta un piano per impedire conflitti in Chiapas. Si applicherà a Salto de Agua, Tila, Sabanilla, Tumbalá e Ocosingo

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 aprile. L’ufficio dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) in Messico ha comunicato che le sue quattro agenzie hanno presentato oggi il programma Prevenzione dei Conflitti e Costruzione della Pace in comunità con profughi interni in Chiapas, il cui obiettivo è la riduzione dei conflitti mediante il dialogo e la negoziazione permanenti tra gli sfollati, le comunità di accoglienza e le istituzioni di governo.  Il programma che si applicherà nei municipi di Salto de Agua, Tila, Sabanilla, Tumbalá e Ocosingo, situati nel nord del Chiapas, vuole anche “raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio, e si articola con la politica pubblica del governo statale contribuendo alla riduzione della povertà e delle disuguaglianze nelle comunità con profughi interni”, aggiunge in un comunicato stampa.  Sostiene che “la costruzione della pace nelle società in conflitto è più complessa, particolarmente in quelle comunità che presentano un alto grado di emarginazione e povertà. Questo programma spinge lo sviluppo delle potenzialità locali per costruire consensi ed adattare esperienze di successo di altri conflitti a località in Chiapas, dove le contraddizioni si sono risolte nell’intimidazione e l’aggressione fisica e, in alcuni casi, sono sfociate in violenza”.   Spiega che nell’immediato i responsabili del programma completeranno una diagnosi che permetta di ottenere informazioni dettagliate e precise sul numero di sfollati, la loro ubicazione e situazione in questo momento; così come identificare la fattibilità ed il desiderio di ritornare ai propri luoghi di origine.  Poco prima, diplomatici e membri del gabinetto statale avevano partecipato all’inaugurazione ufficiale dei nuovi uffici delle Nazioni Unite a San Cristóbal de Las Casas. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/09/index.php?section=politica&article=007n2pol

 La Jornada – Giovedì 8 aprile 2010

L’Esercito resterà nelle strade altri 5 o 10 anni, prevede Galván. E’ necessario approvare una “legislazione d’emergenza” che dia più facoltà alle forze armate

Il segretario della Difesa Nazionale, generale Guillermo Galván Galván, ha dichiarato ieri davanti ai deputati che per combattere la criminalità organizzata l’Esercito rimarrà per le strade ancora tra 5 e 10 anni, salvo ordine contrario del Presidente della Repubblica o l’approvazione di un decreto del Congresso dell’Unione.   In una riunione ieri con almeno 24 dei 30 membri della Commissione di Difesa Nazionale della Camera dei Deputati, Galván ha chiesto ai legislatori l’approvazione di una “legislazione d’emergenza” che conceda più facoltà alle forze armate nella lotta al narcotraffico perché, ha ammesso, in questo momento i militari svolgono un compito che legalmente non compete loro.  Per tre ore il segretario della Difesa ha spiegato ai deputati che l’Esercito richiede un diverso ambito giuridico che ampli le sue facoltà nella lotta al narco. Tra queste, ha citato l’ingresso dei soldati nelle case private quando si persegua un delitto in flagranza o si sospetti che potrebbe essere commesso; interrogare detenuti e mantenerli in stato di fermo per 24 ore prima di consegnarli ad un’autorità civile e prenderle perfino le impronte digitali, così come intervenire nel settore delle comunicazioni e sospendere spettacoli o il transito di veicoli.   “Praticamente ci ha chiesto di approvare uno stato di eccezionalità che è inaccettabile per il Congresso”, denunciano i deputati consultati dopo la riunione tenutasi nella sede della Difesa Nazionale. (….) http://www.jornada.unam.mx/2010/04/08/index.php?section=politica&article=005n1pol

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La Jornada – Venerdì 9 aprile 2010

Un’ossessione chiamata Marcos

Jaime Martínez Veloz

Sabato 27 marzo Reforma ha pubblicato in prima pagina un reportage sull’EZLN sulla base di un presunto documento di 83 pagine (sic) consegnato al giornale da un presunto miliziano disertore.

La notizia rivelava due aspetti: la fotografia di un uomo di razza bianca, magro e con la barba che, secondo il presunto disertore, era il subcomandante Marcos senza il suo caratteristico passamontagna; ed il presunto finanziamento da parte di ETA, cosa che collocherebbe gli zapatisti nel novero delle organizzazioni terroriste. Il motivo mal celato della notizia era colpire lo zapatismo. Che altro? Non lo so, ma si può dedurre che quell’informazione aveva le peggiori e più perverse intenzioni del mondo. Più di 100 mezzi di comunicazione, senza eseguire nessun accertamento e dando come certe le fonti della notizia diffusa, hanno riportato nelle prime pagine dei loro giornali titoli come: Si chiede di indagare sul legame tra EZLN ed ETA.

Come secondo atto dell’operetta montata da quel giornale, sono stati intervistati cercando di sorprendere, diversi senatori. Carlos Jiménez, del PRI, cadendo nel tranello, ha parlato della necessità di chiedere una spiegazione al governo spagnolo; il perredista Silvano Aureolos ha dichiarato di non giustificare in alcun modo la lotta armata dell’EZLN, e Felipe González, del PAN, più cauto, ha espresso la sua preoccupazione per la possibilità che detta informazione potesse causare rappresaglie.

Il giorno seguente i legislatori del tricolore della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), Rubén Moreira e Sami David, in maniera misurata hanno messo in dubbio l’informazione diffusa definendola una pura speculazione, causando il primo intoppo di questa nuova macchinazione ordita contro gli zapatisti. Benché il cuore dello scandalo fosse introdurre nell’immaginario collettivo la relazione ETA-EZLN, si è cercato di generare un forte impatto mostrando il volto di una persona che, secondo Reforma, era il subcomandante Marcos senza il suo emblematico passamontagna. In meno di una settimana, il cittadino italiano Leuccio Rizzo ha chiarito in una lettera pubblica che era lui quello della foto e non il dirigente zapatista. Il giornale, sebbene pubblicando il chiarimento nelle pagine interne, è stato scoperto: non ha potuto sostenere la sua offensiva antizapatista, e la provocazione montata contro l’EZLN si è sgonfiata nel più clamoroso ridicolo.

La tentazione di vincolare l’EZLN ad attività di carattere terroristico è stata sconfitta più volte e fa parte di una tappa superata che solo un imbecille può pensare di far rivivere.

Chi ha seguito da vicino il conflitto dal 1994 ha conosciuto le molteplici forme di provocazione ed aggressione contro gli zapatisti, ognuna è inserita nelle pagine della storia di questo movimento. Questo ci ha permesso di conoscere alcune forme e modi del comportamento dei persecutori perché molestati dalla causa e dalle bandiere zapatiste.

La storia ed il contesto spiegano il percorso dell’EZLN e le azioni costruttive che ha realizzato nella tappa successiva all’inadempimento di quanto concordato a San Andrés. Per 16 anni ci sono state una serie di iniziative politiche di carattere nazionale ed internazionale. Dal cessate il fuoco, agli inizi del 1994, l’EZLN non ha realizzato alcun’azione militare, invece, è stato perseguitato da gruppi paramilitari la cui espressione più cruenta e drammatica fu il massacro di Acteal.

Nella Sesta Dichiarazione dl la Selva Lacandona i ribelli hanno definito con chiarezza la loro posizione: L’EZLN mantiene il suo impegno di cessate il fuoco offensivo e non realizzerà alcun attacco contro forze governative né movimenti militari offensivi (…) ed il suo impegno è insistere nella via della lotta politica, con questa iniziativa pacifica, che ora portiamo avanti. Pertanto l’EZLN seguirà nel suo intendimento di non avere nessun tipo di relazione segreta con organizzazioni politico-militari nazionali o di altri paesi. La realtà è la migliore testimone del rispetto di questa decisione zapatista.

Le iniziative politiche zapatiste hanno sempre avuto una rigida logica politica dato il vincolo e la partecipazione di settori sociali diversi. Il tema della pace in Chiapas ha la sua origine nell’inadempimento degli accordi di San Andrés. Nonostante il silenzio governativo, di fronte ai temi di fondo che hanno impedito la soluzione giusta e degna che reclamano i popoli indios del Messico, l’EZLN ha generato meccanismi coraggiosi di lavoro interno con le giunte di buon governo che sono diventate i veri riferimenti di come si può governare obbedendo.

La tentazione di isolare e sminuire lo zapatismo è attraente per chi, dentro e fuori del governo, afferma che l’EZLN si estinguerà per graduale esaurimento, per usura del suo discorso e la fine del suo impatto. Nei fatti ha dimostrato la volontà di trovare una soluzione al conflitto; per quanto riguarda la via politica ha fatto la sua parte, è il governo federale che non ha fatto la sua.

L’espressione più diafana degli errori delle diverse istanze politiche del governo messicano è stata la costante ossessione di conoscere o scoprire il volto di Marcos, invece di assumere l’impegno di fondo di rispondere alle cause strutturali che hanno dato origine al volto della povertà che lacera milioni di famiglie nel nostro paese. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/09/index.php?section=opinion&article=018a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Lunedì 5 aprile 2010

Desencapucharnos

Gustavo Esteva

L’incidente sarebbe banale e ridicolo se non fosse così minaccioso e pericoloso. Non possiamo passarci sopra.

Il 27 marzo il titolo “Desencapuchan al subcomandante Marcos” è apparso sulla prima pagina di Reforma. Firmata dallo staff editoriale, la notizia mostrava fotografie di volti scoperti, uno dei quali sarebbe stato quello del subcomandante Marcos, accompagnate da “informazioni strategiche” sullo zapatismo che un presunto disertore avrebbe consegnato al giornale.

La persona “desencapuchada” è Leuccio Rizzo, un cittadino italiano conosciuto da diverse organizzazioni chiapaneche che ha già denunciato l’irresponsabilità del giornale nell’utilizzo calunnioso della sua faccia. La notizia stessa è un obbrobrio senza capo né coda. Alla grossolana bugia che presenta Leuccio come Marcos si aggiungono il miscuglio di immagini di più di 10 anni fa con alcune recenti, la rivelazione di informazioni ben note come se fossero una novità, e la divulgazione di dati sbagliati che perfino un giornalista principiante avrebbe potuto smascherare.

Reforma si dà arie di solida capacità professionale. Dice di verificare con rigore quanto pubblica. Questa notizia dimostra il contrario: sembra un pessimo pezzo satirico mercenario. Non contiene solo errori madornali, come quello di confondere i Paesi Baschi con ETA. Ci sono incredibili disinformazioni, contraddizioni flagranti, dati completamente obsoleti. Tutto crolla da sé e svanisce la presunta identificazione del subcomandante Marcos del titolo.

Si possono dire molte cose di Reforma, ma non gli si può attribuire innocenza o ingenuità. Con questa notizia falsa e malevola ha contribuito con entusiasmo ad una manovra sporca che fa sempre di più parte dell’intensa campagna del governo contro gli zapatisti, sia nella forma attiva di aggressioni paramilitari e costanti vessazioni sia nella forma indiretta della continua disinformazione alla quale si sommano ora un centinaio di giornali che in tutto il mondo hanno riprodotto quanto pubblicato da Reforma. Testate importanti, alcune di prestigio, cadono nella manovra irresponsabile da questo giornale, confermata dall’indecente arroganza con la quale ha trattato il chiarimento di Leuccio Rizzo.

Siamo allo stesso livello infame del tradimento di Zedillo, il 9 febbraio 1995, quando insieme ai media organizzò una campagna di sterminio degli zapatisti che la pressione della società civile trasformò nel suo contrario: la Legge per il Dialogo, la Negoziazione e la Pace Degna in Chiapas. Questa legge protegge ancora lo zapatismo, ma i tre livelli di governo la violano continuamente, insieme alla Costituzione, mano a mano che si estende lo stato di eccezionalità non dichiarato in cui viviamo.

È tornato in circolazione in questi giorni un video che risponde puntualmente alle “rivelazioni” di Reforma. Il subcomandante annuncia davanti alla telecamera che mostrerà una sua fotografia senza passamontagna e poi se lo toglierà. Mostra quindi uno specchio – nel quale ci riflettiamo – ed incomincia a togliersi il passamontagna. Una volta sfilato completamente appare il viso di un bambino e dopo di lui, in rapida successione, persone di tutti i colori, dimensioni e gusti che si tolgono il loro passamontagna.

Non è niente di nuovo: circola dal 2008 su http://www.youtube.com/watch?v=qRnoJt7PTDE&feature=player_embedded. Ma è una risposta efficace alla campagna tendenziosa che vuole ridurre lo zapatismo a Marcos e “rivela” la sua “identità” – un nome o un volto. Marcos è nato il primo gennaio 1994 e così nacque l’opportunità che lo fossimo tutti: che tutti potessimo riparare sotto quel nome la nostra dignità e fare di essa la bandiera della trasformazione.

Prima furono gli indigeni, ma siccome io non ero indigeno non mi importava; poi furono i contadini, ma siccome io non ero contadino non mi importava; quindi furono gli operai – minatori, elettricisti, altri – ma siccome io non ero operaio non mi importava; più tardi furono gli omosessuali, ma siccome io non ero omosessuale non mi importava; ora ce l’hanno con me, ma ormai è troppo tardi.

Uso coscientemente questa parafrasi di alcune frasi di Niemöller che sono diventate un classico. Non siamo davanti al tipo di fascismo contro il quale egli le formulò nel 1946, ma quello che abbiamo davanti può essere peggiore. Personaggi senza principi, nei giornali e nel governo, associano i loro “ebrei” a classi intere di persone che considerano inferiori. Vogliono sottomettere tutti con la forza delle armi e dei media. Col pretesto del narcotraffico hanno già militarizzato il paese ed ora preparano l’opinione pubblica per l’estensione finale dello stato di emergenza.

Solo facendoci Marcos possiamo fermarli, prima che sia troppo tardi. http://www.jornada.unam.mx/2010/04/05/index.php?section=opinion&article=016a2pol

gustavoesteva@gmail.com

(Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.wordpress.com )

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Media complici.

La Jornada – Sabato 3 aprile 2010

Los de Abajo

A chi servono i “grandi” media?

Gloria Muñoz Ramírez

A nessuno importa più la verità? Quando e chi porrà un limite alle bugie flagranti dei “grandi” mezzi di comunicazione? Si può mentire impunemente? Si può trascendere dal diffondere apertamente bugie su un movimento, persona o organizzazione? Queste bugie fanno parte dell’aggressione ufficiale contro il movimento o la persona che si sta diffamando? Sono complici alcuni mezzi di comunicazione dello Stato messicano? Per chi lavorano questi media? Saranno mai responsabili delle conseguenze delle bugie pubblicate?

Molte altre domande sorgono dalla grossolana notizia pubblicata ad otto colonne dal giornale Reforma lo scorso 27 marzo. Si è trattato di un’informazione in cui non si è mai messa in dubbio la veridicità di alcune fotografie nelle quali si presumeva apparisse senza cappuccio il subcomandante Marcos, portavoce e capo militare dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). La stessa notizia legava irresponsabilmente l’EZLN con l’organizzazione ETA.

La notizia in questione è stata ripresa da oltre 100 giornali ed agenzie di tutto il mondo. Nessun media, ad eccezione dell’agenzia italiana ANSA, si è preoccupato di mettere in discussione la veridicità delle fotografie e dell’informazione. Nel frattempo, a San Cristóbal de las Casas e in Italia, i parenti ed amici di Leuccio Rizzo, nome del giovane fatto passare per il subcomandante, si allarmavano per la diffusione della bugia e, soprattutto, si preoccupavano per l’integrità di Leuccio, che tutti hanno riconosciuto fin da subito.

Il 1º aprile Leuccio Rizzo dichiara apertamente che è suo il volto presentato come quello del portavoce zapatista. Il suo chiarimento, ovviamente, non ha trovato spazio né sul giornale che ha pubblicato la calunnia né presso le agenzie e media che l’avevano ripresa. Il giorno dopo la smentita, Reforma riporta la dichiarazione nelle pagine interne ed osa dubitare dell’identità di Leuccio che descrive come “un presunto cittadino italiano”.

La cosa preoccupante di tutto ciò è chi ha studiato e messo in moto questa calunnia e dove vuole arrivare. A questo punto delle cose, nessuno si preoccupa più né chiede dell’identità del capo militare zapatista, ma la falsa informazione ha più di un destinatario, tra questi i gruppi e gli individui di altri paesi solidali con la causa zapatista. Nessuno dimentica le campagne xenofobe di anni fa contro di loro, con persecuzioni ed espulsioni in massa. Come neppure dimentica il 9 febbraio 1995, quando la rivelazione della presunta identità di Marcos fu accompagnata dall’incursione di migliaia di soldati nelle comunità zapatiste. Tutti i media che continueranno a mentire saranno complici di quello che accadrà.  http://www.jornada.unam.mx/2010/04/03/index.php?section=opinion&article=011o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.wordpress.com )

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Condividiamo la dichiarazione e replica di Leuccio Rizzo, che è stato mostrato in una foto come il presunto Subcomandante Marcos senza passamontagna sul giornale Reforma, lo scorso sabato 27 marzo, con una notizia dal titolo “Desencapuchan al Sub Marcos”.

Questo Centro dei Diritti Umani conosce Leuccio Rizzo como persona solidale con le comunità e ci preoccupa che il giornale Reforma directo da C. Alejandro Junco de la Vega, si presti a pubblicare información prive di fondamento, che violano le norme Della Convenzione Americana dei Diritti Umani agli articoli 11 e 14, e come strumento di contrainsurgencia dello Stato messicano per segnalare e criminalizzare i difensori dei diritti umani.

 Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C., Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México, Código Postal: 29240 – Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548; Fax +52 (967) 6783551 –medios@frayba.org.mxwww.frayba.org.mx

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C. Alejandro Junco de la Vega. 

Direttore del giornaliera Reforma.  

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico; 31 marzo 2010  

Sulla base del diritto di replica, la sollecito a pubblicare il presente testo nel suo giornale in base alle seguenti considerazioni:    

Lo scorso 27 marzo è stata pubblicata sul vostro giornale la notizia dal titolo “Desencapuchan al Sub Marcos“, nella quale si danno informazioni e si esibiscono fotografie della mia persona assicurando che sia il Subcomandante Insurgente Marcos dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, cosa che causa danno alla mia persona dato a si tratta di un’informazione falsa e calunniosa.    

Riferendo informazioni presumibilmente rivelate da “un autodefinito ex miliziano zapatista” che si presume vi abbia consegnato “un documento di 83 pagine“, dove si assicura che: “… nelle numerose foto che accompagnano il documento elaborato dal disertore si vedono diversi comandanti dell’EZLN, collegamenti e stranieri si presumibilmente membri di ETA. Sono fotografie di volti e corpi interi e nella maggioranza dei casi, le didascalie li descrivono con soprannomi e con i numeri dei telefoni cellulari.”   

Bene, perché risulta che sia la foto che appare sulla prima pagina del suo giornale della persona col volto scoperto, vicino a quella del Subcomandante Insurgente Marcos dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale coperto con il passamontagna, sia le due delle foto che appaiono a pagina 7, con le didascalie nelle quali si legge testualmente:  “Rafael Sebastián Guillen Vicente, meglio conosciuto come il Subcomandante Marcos…”, sono le foto del volto di chi sottoscrive la presente lettera.   

Riconosco la mia solidarietà ed ammirazione incondizionata all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per la difesa che compie dei diritti dei Popoli Indigeni, al Subcomandante Insurgente Marcos come Rivoluzionario, così come alle comunità zapatiste per il loro coraggio e resistenza nel processo autonomistico come Popoli Indigeni.  

Per quanto detto sopra chiedo che si pubblichi il presente chiarimento e che da ora in avanti si astenga dal diffondere informazioni non comprovate come esige l’etica secondo la quale deve agire chi esercita il mestiere di giornalista. La informo, inoltre, che ho avviato i provvedimenti legali per i danni che la notizia citata mi ha causato e mi causerà da ora in avanti. 

Leuccio Rizzo.

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Il Frayba smentisce.

La Jornada – Venerdì 2 aprile 2010

– Azione contrainsurgente del governo, che viola il diritto, dice il Frayba

Il Frayba smentisce che sia di Marcos la foto pubblicata; è Leuccio Rizzo, segnala

Ángeles Mariscal. Tuxtla Gutiérrez, Chis, 1º aprile. La foto che un giornale a tiratura nazionale sabato scorso ha attribuito al subcomandante Marcos corrisponde a Leuccio Rizzo, un italiano “solidale con le comunità indigene”, e non del dirigente dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), organizzazione che lo stesso giornale accusa di ricevere risorse dal gruppo basco ETA, ha comunicato il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé del las Casas.

L’organismo ha affermato che questa accusa non “ha fondamento, è uno strumento di contrainsurgencia dello Stato messicano per segnalare e criminalizzare i difensori dei diritti umani e viola gli articoli 11 e 14 della Convenzione Americana dei Diritti Umani.

“Questo centro dei diritti umani conosce Leuccio Rizzo come una persona solidale con le comunità” ed “è preoccupante che si dia informazioni carenti di fondamento”, denuncia il Frayba.

Il pronunciamento è accompagnato da una lettera di Leuccio Rizzo, nella quale dice di essere la persona della fotografia, ma che secondo il diario è del subcomandante Marcos. Ciò “causa danno alla mia persona, dato che questa informazione è falsa e calunniosa”, segnala l’italiano.

Aggiunge che l’unica cosa che ammette è la sua “solidarietà e ammirazione incondizionata all’EZLN per la difesa che fa dei diritti dei popoli indigeni, al subcomandante insurgente Marcos rivoluzionario, così come alle comunità zapatiste per il loro coraggio e resistenza nel processo autonomistico come popoli indigeni”.

L’attivista ha annunciato che come sue facoltà “avvierò provvedimenti legali per i danni che la notizia citata mi ha causato e mi causerà da ora in avanti.”

(Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.wordpress.com )

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Ve lo do io Marcos.

POPOCATÉPETL

La lava del Messico a cura di Gianni Proiettis

Ve lo do io Marcos

Più che una bomba mediatica, la fotografia del finto subcomandante Marcos e i “segreti” divulgati da un ex-guerrigliero zapatista, si sono rivelate una bombetta puzzolente della destra fognaria messicana.
Peccato che ci siano degli informatori così fessi da ripubblicarla.

Il quotidiano Reforma di sabato 27 marzo si decide per lo scoop a tutti i costi: un sedicente disertore dell’Ejercito Zapatista de Liberación Nacional avrebbe consegnato alla redazione del giornale alcune foto con il “vero volto” del leggendario subcomandante insieme a un memoriale di 83 pagine con i dati di una presunta “struttura segreta” dell’Ezln, altre foto di altri capi zapatisti a viso scoperto con tanto di numeri di cellulari e, dulcis in fundo, le “prove”, queste ultime solo verbali, di finanziamenti occulti dell’Eta basca – e di alcuni compagnucci italiani – agli zapatisti per l’acquisto di armi. Bum!
La notizia-Frankenstein era talmente scucita che non ha tardato a cascare a pezzi, a partire dalla testa: è dal 9 febbraio del 1995 che l’identità – e la faccia – del subcomandante Marcos sono note.
Fu lo stesso governo di Ernesto Zedillo, entrato da poco in funzione, a renderle pubbliche, sbattendo il mostro in prima serata televisiva.

Un portavoce della procura smaschera in diretta – c’era anche il rullo di tamburi? – una fotografia del sub Marcos, rimuovendo un lucido con il passamontagna. La faccia che appare è quella di un pallido e barbuto professore di filosofia. Il capo dei ribelli senza volto, un esercito di lillipuziani coperti da passamontagna e paliacates, che sembrano partoriti direttamente dalla Madre Terra, si chiama Rafael Sebastián Guillén Vicente, è nato a Tampico, nello stato del Tamaulipas, il 19 giugno del 1957.

Nella tradizione della lucha libre, un lottatore è smascherato dopo la sconfitta, come ultima umiliazione. Ma nel caso di Rafael Guillén, il tiro gli uscì dalla culatta agli strateghi del governo. Studente modello fin dai tempi delle medie, sempre con un libro sotto il braccio, già da ragazzo paladino donchisciottesco dei deboli e gli oppressi, il futuro subcomandante, secondo la biografia ufficiale, si trasforma in brillante laureato della facoltà di lettere e filosofia della Unam, la prestigiosa università di Città del Messico, poi in professore di comunicazione grafica nella Uam-Xochimilco, un’altra università pubblica della capitale.

Nei primi anni ’80, Rafael molla tutto e va in Chiapas. Né la famiglia a Tampico, né i suoi amici di Città del Messico ne sanno più niente.
Il 17 novembre 1983 è tra i fondatori dell’esercito zapatista nella selva lacandona. Sta imparando tzeltal e tojolabal. Crede ancora che saranno lui e i suoi compagni a indottrinare gli indigeni. Non sospetta affatto che succederà il contrario.

Ma scusate. Mi stavo perdendo in una biografia interessante ma che non viene al caso, almeno ora. Dal 1983, mandiamo la macchina del tempo avanti tutta e torniamo al 9 febbraio 1995, il giorno in cui il governo di Ernesto Zedillo giocò la carta del tradimento, come aveva fatto il generale Guajardo con Emiliano Zapata nel 1919.
Il contesto, alla fine del 1994, quando l’Ezln stava per festeggiare il primo compleanno della sua uscita dalla selva, un debutto che suscitò simpatie e speranze in una sinistra mondiale bastonata e depressa, il contesto, dicevo, si complicò improvvisamente. Il 19 dicembre, dopo la dichiarazione di autonomia di 38 municipi zapatisti del Chiapas – e uno spiegamento dimostrativo delle forze ribelli su tutto il territorio, anche fuori della selva – l’esercito messicano, in risposta, militarizza capillarmente tutto lo stato.
In gennaio però, a bocce ferme, il governo Zedillo opta per la trattativa e manda il giovane ministro degli interni, Esteban Moctezuma, a dialogare con i guerriglieri nella selva. Lo “smascheramento” del 9 febbraio, l’accerchiamento della comunità di La Realidad e il blitz per catturare Marcos – mosse effettuate a sorpresa mentre erano in corso i dialoghi – non diedero i frutti sperati. Il subcomandante riuscì a sfuggire alla cattura, gli sbirri del governo arrestarono con stizza vendicativa alcuni dei mediatori, il parlamento votò un mese dopo la Ley de concordia y pacificación, che sancisce il riconoscimento degli “inconformes” zapatisti, sospende indefinitamente le azioni penali nei loro confronti, concede loro piena libertà di transito sul territorio nazionale – mascherati ma disarmati.

Da allora, 1995, sono passati quindici anni, la violenza dei latifondisti del Chiapas non ha mai smesso di esercitarsi su quegli indios “alzados” che hanno inalberato la bandiera dell’autonomia e della dignità. Attraverso le bande di paramilitari, incoraggiate da successivi governi e addestrate dall’esercito, hanno continuato ad abbaiare – e a volte a mordere rabbiosamente, come nel caso della strage di Acteal, nel dicembre 1997 – a chi ha avuto il coraggio e la forza di dire basta a secoli di oppressione.
In questi anni, le armi degli zapatisti non hanno più sparato un colpo e le comunità si sono strutturate in una rete autonoma che fa capo a cinque Caracoles, ognuno con una sua Junta de Buen Gobierno, in cui, a rotazione, tutti i comuneros si turnano nel “mandar obedeciendo”, l’esercizio del potere come servizio alla comunità.
In questi anni, la solidarietà mondiale ha permesso alle comunità autonome zapatiste di realizzare progetti come scuole e biblioteche di campagna, reti di acqua potabile, cliniche che combinano la medicina tradizionale con l’allopatica occidentale, piccole centrali idroelettriche, forni a basso consumo, radioemittenti in fm e un sacco di altre cose che ne hanno migliorato la qualità di vita.
Con migliaia di giovani europei e nordamericani, che sono venuti come pacifici campamentistas per allontanare lo spettro delle incursioni militari, si è creato un legame di arricchimento reciproco, di solidarietà internazionalista. E’ vero che sono anche circolati dei soldi in questi anni – il più delle volte sottoscrizioni o collette di centri sociali – ma sono sempre serviti a finanziare opere di pace.
Il grande arsenale di cui parla adesso il presunto “pentito” zapatista non è mai esistito. E lo dico con cognizione di causa, per aver visto l’Ezln in azione il 1º gennaio 1994 a San Cristóbal e poi in numerose parate militari nella selva: le armi più efficaci degli zapatisti furono proprio quei finti fucili di legno che, come disse Carlos Fuentes, “fecero centro nel cuore della nazione”.

Il preteso scoop del quotidiano messicano Reforma con le sue “rivelazioni sensazionali” – una novità, dopo tanto tempo di silenzio sullo zapatismo e l’eclisse totale di Marcos -non è indolore né innocuo, somiglia piuttosto a una coda di scorpione che, se non è schiacciata bene, può iniettare un po’ di veleno.
Alcuni deputati stanno già fingendo di credere alla notizia e raccomandano indagini e inchieste sui presunti finanziamenti dell’Eta, di cui nessuno finora ha fornito uno straccio di prova.
Si chiederà l’estradizione di Bertinotti, per aver fatto un video con il subcomandante in tempi di alto rating? Gli Ya Basta non verranno più fatti entrare in Messico, in quanto sospetti finanziatori delle cartucce calibro 12 che adornano il petto del sup?
Verrebbe da ironizzare, se non fosse che nel Chiapas del 2010 l’assedio aggressivo nei confronti delle comunità zapatiste è ripreso, e con un vigore che non si vedeva da tempo. Basta leggere su La Jornada i reportage di Hermann Bellinghausen, che rivela una recrudescenza dei conflitti per le terre in cui le forze militari e di polizia, per non parlare dei giudici, stanno sempre dalla parte degli aggressori, spesso organizzazioni apparentemente legali come la Opddic (Organización para la Defensa de los Derechos Indígenas y Campesinos), ma con un braccio armato foraggiato dallo stato e con mire sulle terre zapatiste.
Chi avanza a grandi passi nello stato sono le compagnie minerarie, ultima frontiera dell’economia neoliberale. Ultima perché, dopo il loro passaggio, non cresce davvero più l’erba. E crescono invece i morti, specie fra i difensori delle comunità, che vogliono proteggere le loro terre e la loro gente.
E’ il caso di Mariano Abarca, un leader della lotta contro la devastazione che portano le compagnie estrattive nello stato. E’ per aver organizzato un movimento popolare che chiedeva il ritiro dell’industria canadese Blackfire che Mariano Abarca è stato ucciso da due sicari il 27 novembre scorso. Non ci sono prove – finora – per accusare direttamente la Blackfire dell’omicidio ma è risultata palese l’omissione delle autorità che, sapendo delle minacce di morte al dirigente campesino, si sono guardate bene dal proteggerlo.
Il governatore del Chiapas, il giovane e opportunista Juan Sabines, che fu eletto con il sostegno di Lopez Obrador ma gli diede le spalle subito dopo per mettersi a disposizione del presidente Calderón, finge di non sapere nulla, se si parla di aggressioni agli zapatisti.
Figuriamoci se sa chi ha pagato per lo scoop di Reforma.
E’ troppo occupato nel piazzare i suoi uomini come candidati alle prossime elezioni. Ai primi di luglio, qui in Chiapas, si rinnova l’intero parlamento locale. Normalmente si sarebbe votato anche per rinnovare i 118 consigli comunali, ma per una riforma legislativa transitoria saranno i nuovi parlamentari a designare le amministrazioni locali. Delle acque torbide ne approfitta il pescatore, recita un vecchio proverbio messicano.

pubblicato il 29 marzo 2010

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