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Archive for aprile 2013

DESINFORMEMONOS

In Chiapas si scatena la violenza antizapatista

Hermann Bellinghausen

29 aprile 2013 

San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Soffiano venti allarmanti di violenza politica antizapatista nella regione tzeltal di Chilón, dove il governo ufficiale, come quello dello stato, appartiene al Partito Verde Ecologista (PVEM), nel caso questo significhi qualcosa. Nell’ejido di San Marcos Avilés, individui identificati come appartenenti ai diversi partiti politici (che da queste parti finiscono sempre di puzzare di PRI), hanno scatenato le ostilità, in atto comunque da oltre due anni, contro le famiglie zapatiste della comunità. Il tutto con minacce reiterate di morte e violenza, furti, avvelenamento dell’acqua e degli animali domestici, minacce con armi da fuoco, distruzione di appezzamenti ed il rischio di essere sgomberati violentemente, come già successo nel 2010.

E così, senza motivo apparente, il noto dirigente degli aderenti della Sesta nell’ejido di San Sebastián Bachajón, a Chilón, Juan Vázquez Guzmán, viene assassinato con cinque precisi colpi di pistola sulla porta di casa da sconosciuti fuggiti a bordo di un veicolo di colore rosso e poi persi per le strade dell’impunità chiapaneca. Questo, la notte di mercoledì 24, alle ore 23:00.

Nell’ejido di Jotolá, vicino a San Sebastián Bachajón, le famiglie aderenti alla Sesta sono minacciate di essere presto spogliate delle loro terre dal gruppo filogovernativo, con precedenti penali, della stessa comunità.

Il segnale di allarme che girava da varie settimane, è risuonato forte sabato 20 aprile quando la Giunta di Buon Governo dell’EZLN, nel caracol di Oventik, ha emesso un comunicato che dettagliava una ventina di aggressioni, alcune gravi, a San Marcos Avilés, in questo anno e nei due precedenti. Quello stesso giorno è arrivata a San Marcos una missione civile della Red por la Paz en Chiapas, composta da 10 centri per i diritti umani ed organismi indipendenti, per realizzare un’osservazione diretta di carattere umanitario.

Quella notte, i gruppi filogovernativi del PRI, PVEM e PRD minacciavano di espellere gli osservatori e sequestrare i loro veicoli, “perché scorrerà il sangue”. Ciò nonostante, domenica 21 aprile la Carovana Civile di Osservazione ha compiuto la sua missione e giovedì 25 ha diffuso un rapporto che conferma, con vivide testimonianze delle donne zapatiste dell’ejido, quanto denunciato dalla JBG.

Appena alcune ore prima avevano assassinato Juan Vázquez, fermo difensore del territorio del suo popolo contro il giogo governativo a favore dello sfruttamento turistico delle cascate di Agua Azul, nel municipio di Tumbalá, attigue a San Sebastián Bachajón.

Le nuove denunce di San Marcos Avilés hanno un denominatore comune con tutte le precedenti: si tratta degli stessi autori materiali. Dietro ad ogni aggressione ci sono i loro nomi. Che si sappia, nessuno è stato indagato. Piuttosto il contrario, lavorano fianco a fianco con la giunta comunale di Chilón e da vari anni con il sostegno diretto del governo statale, con una persistenza ormai ultrasessennale.

La JBG di Oventic “accusa direttamente” Lorenzo Ruiz Gómez ed Ernesto López Núñez, ed i figli del primo, Sócrates e Ismael Ruiz Núñez. TAnche i priisti Cruz Hernández, Santiago Cruz Díaz, Vicente Ruiz López, Manuel Vázquez Gómez e José Hernández Méndez, oltre ai “verdi” Rubén Martínez Vásquez, Manuel Díaz Ruiz, Victor Núñez Martínez, Victor Díaz Sánchez ed altre 30 persone. Questi aggressori “non lasciano vivere in pace” le basi zapatiste che sono già state sfollate nel 2010.

La JBG ricorda che ha denunciato “gli atti vergognosi di queste persone legate ai partiti” che provocano problemi tra indigeni della stessa comunità, organizzati dai governatori Juan Sabines Guerrero e Manuel Velasco Coello”. E sottolinea: “La risposta alle nostre denunce sono state volgarità, scherno e nuove minacce”.

Il comunicato descrive più di 20 aggressioni contro le famiglie zapatiste dal luglio 2011 fino al passato 18 aprile, quando ad uno zapatista è stata sottratta una proprietà dal sindaco di Chilón che il 17 aprile “ha mandato una ruspa per abbattere un casale di 32,25 metri quadri di proprietà di Javier Ruiz Cruz, che ha lavorato protetta da 120 persone dei differenti partiti”. “Il nostro compagno non ha potuto fare niente per difendere la sua proprietà”. Il 29 gennaio scorso, Ruiz Cruz aveva informato la JBG che il terreno, sulle rive di una laguna, “era circondato dagli aggressori”, che “vociferavano della costruzione di un accampamento militare”.

 

Dal 2011 minacce e vessazioni non sono mai cessate, “guidate” abitualmente dall’agente di polizia municipale e militante del PVEM, Lorenzo Ruíz Gómez. La JBG racconta di diverse aggressioni contro le famiglie autonome. Già nel marzo del 2012, il priista Ernesto López Núñez ostentava “che quelli del partito hanno un nuovo piano” per sgomberare gli zapatisti, e che ci sarebbe stata una “seconda tappa per togliere loro i diritti sulle terre”.

Il 3 marzo di quest’anno, “aggressori ed autorità del PVEM si sono riunite col principale capoccia”, il menzionato Ruiz Gómez, che avrebbe detto “che non resta altro che assassinare i figli dei nostri compagni” e poi ha chiesto ai suoi complici di “uccidere Juan Velasco Aguilar e gli altri zapatisti”; i suoi accoliti, secondo la JBG, si sono dichiarati “pronti” a farlo e di avere “armi sufficienti”.

La Red por la Paz informa

La Red por la Paz en Chiapas giorni dopo ha dichiarato: “La fonte dell’aggressione principale è l’esproprio delle terre coltivate dalle basi zapatiste da parte di membri dei partiti PRI, PVEM e PRD”. La relazione privilegia le testimonianze delle donne dell’EZLN di San Marcos Avilés, che si dichiarano costantemente minacciate dai partidistas: “Dicono che se usciamo da sole ci violentano. Due anni fa è morta di crepacuore mia figlia di 10 anni, perché continuavano a dirle che l’avrebbero violentata”, ha dichiarato una donna. Bambini e bambine “chiedono costantemente perché non possono uscire a giocare, e sentono la preoccupazione dei genitori”. Le conseguenze psicologiche “sono forti”, sostiene la relazione. Secondo un’altra testimonianza, “non dormiamo più per il rischio di subire violenza”. La discriminazione e l’esclusione contro gli zapatisti “è marcata”, e le provocazioni “costanti”.

Sono state documentate molte minacce di morte. “Per esempio, il 27 marzo le autorità ejidali e municipali si sono riunite in un luogo privato per condividere informazioni su un uomo zapatista e decidere se ammazzarlo. Hanno concordato una volta ucciso, avrebbero fatto lo stesso con le altre basi dell’EZLN”.

Successivamente, la missione civile ha incontrato le autorità ufficiali, ma il consigliere comunale verde Leonardo Rafael Guirao Aguilar ha pensato bene di non presentarsi. Gli osservatori hanno parlato col delegato di Governo Nabor Orozco Ferrer, col sindaco Francisco Guzmán Aguilar ed altri funzionari municipali.

Di fronte alla documentazione delle violazioni dei diritti umani, il sindaco “ha ammesso lo sfollamento e l’esproprio di terre delle basi dell’EZLN dal 2010, commentando che ‘è vero che gli zapatisti hanno comperato le terre, ma le abbiamo sequestrate perché non pagano le tasse, la luce né l’acqua’, ma ha negato l’esistenza di una situazione di violenza”. Il delegato di Governo ha ammesso “che esistono interessi politici dietro questi eventi da parte di alcune persone che starebbero provocando la conflittualità”.

La missione ha rilevato “precarietà alimentare” tra le famiglie dell’EZLN, ed il “rischio imminente” di uno sgombero forzato per azione dei coloni che si dicono affiliati al PRI, PVEM e PRD. Con la sua relazione, la Red por la Paz ha esposto con chiarezza al governo “la gravità ed urgenza della situazione” chiedendo “azioni immediate per evitare danni irreparabili alla vita e integrità personale degli indigeni appartenenti all’EZLN”.

Da agosto 2010

L’inizio della sventura della comunità zapatista di San Marcos Avilés è iniziata con la realizzazione della scuola Emiliano Zapata, parte del Sistema Autonomo Educativo Zapatista, nell’agosto del 2010. I filogovernativi hanno scatenato un’ostilità latente, e dopo poche settimane le famiglie zapatiste hanno dovuto rifugiarsi sulle montagne per 33 giorni. Quando sono tornate, hanno trovato le loro case e campi saccheggiati e distrutti.

Le minacce di espulsione e di morte hanno raggiunto livelli allarmanti a giugno del 2011, data in cui il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) denunciava la responsabilità dello Stato per omissione in queste aggressioni, poiché le autorità non hanno agito per garantire l’integrità e la sicurezza delle basi zapatiste e l’accesso alla terra. Ciò, nonostante le denunce della giunta di buon governo (JBG) di Oventik ed i vari interventi inviati dallo stesso Frayba al governo del Chiapas.

L’organismo, presieduto dal vescovo Raúl Vera, chiede da allora la sospensione delle minacce di morte, della persecuzione e degli espropri contro le basi di appoggio dell’EZLN da parte di membri dei partiti politici dell’ejido, così come di proteggere e garantire la sua vita e la sicurezza, rispettando il loro processo autonomistico che da anni stanno costruendo, nella cornice del diritto alla libera determinazione dei popoli, sancito dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, dall’ONU e dallo Stato messicano.

Le 170 persone sfollate da San Marcos Avilés il 9 settembre 2010, sono ritornate il 12 ottobre di quell’anno. In quell’occasione, la JBG di Oventik ritenne responsabile il governo statale per qualsiasi nuova aggressione contro i suoi compagni che erano e sono perseguitati per praticare l’autonomia in maniera pacifica.

A settembre del 2010, la giunta denunciò che 30 persone dell’ejido, membri dei partiti citati, guidate da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, aveva fatto irruzione violentemente, con bastoni, machete ed armi, nelle case degli zapatisti tentando di violentare due donne che però riuscirono a fuggire. Per non rispondere all’aggressione, le basi zapatiste si rifugiarono in montagna. Dopo 33 giorni di allontanamento forzato, senza cibo e protezione, tornarono nelle proprie case.

Il Frayba documentò allora che le abitazioni degli sfollati erano state saccheggiate di tutti i loro beni, incluso i raccolti di mais e fagioli. Le coltivazioni, piantagioni di caffè ed alberi da frutta furono distrutti, e gli animali rubati.

Da allora, il centro ha informato in varie occasioni le autorità sulla situazione in San Marcos Avilés, al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza degli abitanti, e cercare una soluzione al conflitto. A dispetto di ciò, non c’è stata alcuna risposta dal governo.

Anche se la popolazione sfollata decise di tornare, il Frayba ha continuato a documentare minacce persistenti e quotidiane nella comunità, e sostiene che c’è un rischio di sgombero forzato. Il 6 aprile 2012 è stato installato nell’ejido un accampamento civile per la pace i cui osservatori civili sono stati minacciati, un fatto senza precedenti che descrive bene l’escalation delle aggressioni contro le basi zapatiste.

Più avanti, ad agosto dell’anno scorso, nuovamente le basi di appoggio zapatiste denunciarono la pianificazione di un nuovo sgombero contro di loro. I partidistas tenevano assemblee straordinarie per discutere di questi temi, e resero perfino pubblico il piano di sgombero violento. La comunità aggredita riferì che questi partidistas stavano cercando di reclutare persone nelle comunità di Pantelhó, Corralito e La Providencia per aiutarli nel realizzare lo sgombero.

Gli indigeni in resistenza e perseguitati, circa 200 persone, comprarono il terreno 13 anni fa e possiedono gli atti di proprietà. Tuttavia, come in tutto il territorio zapatista, questo non ferma i governi che continuano ad assegnare la terra ad altri in cambio dello sgombero forzato di quello che più temono quelli che stanno sopra: il buon esempio.


http://desinformemonos.org/2013/04/se-desata-violencia-antizapatista-en-chiapas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Aggressioni in Chiapas

Gloria Muñoz Ramírez

Questa settimana, il Chiapas è stato nuovamente scenario di violenza contro indigeni e contadini che difendono la terra e praticano l’autonomia, passati in sordina sui media elettronici, affannati a diffondere immagini di violenza intollerabile – come la definiscono – del corpo insegnante di Guerrero che protesta per l’imposizione della riforma educativa, e degli studenti che occupano il rettorato della UNAM.

Entrambe le aggressioni sono state direttamente contro zapatisti e pro-zapatisti. I primi sono basi di appoggio dell’EZLN della comunità di San Marcos Avilés, municipio di Chilón, appartenenti al caracol di Oventik. I secondi sono protagonista della lotta per la difesa delle loro terre a San Sebastián Bachajón, di dove era originario il dirigente degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, Juan Vázquez Gómez, assassinato con cinque colpi d’arma da fuoco.

Attivo nella difesa della sua comunità dal 2007, lo scorso 17 aprile Juan Vázquez aveva denunciato, insieme ad altri ejidatarios aderenti all’iniziativa zapatista, nuove minacce al suo territorio per un progetto turistico nella regione.

Il clima di violenza in Chiapas, stato in cui si è recato la settimana scorsa il presidente Enrique Peña Nieto per lanciare la sua Crociata Nazionale contro la Fame, si acuisce con minacce e persecuzione diretta contro chi difende il suo territorio. Le aggressioni non sono mai cessate, vero, ma i fatti violenti di questa settimana sono un allarme che non può essere ignorato, perché era da molto tempo che non accadeva un omicidio politico nell’entità.

Neanche le aggressioni a San Marcos Avilés sono nuove, ma proprio ora tornano le ostilità contro le famiglie di questo villaggio che dall’agosto del 2010 – quando aprirono la scuola autonoma Emiliano Zapata – sono minacciate da elementi che loro chiamano ‘quelli dei partiti’. Il tentativo di sottrarre le loro terre è il nodo del conflitto.

In un recente comunicato, la Giunta di Buon Governo con sede ad Oventik, ha dettagliato le violazioni quotidiane che subiscono negli ultimi tre anni ed ha denunciato che i tre livelli dei governi ufficiali non hanno fatto niente per fermare le ingiustizie e la violazione dei diritti umani che vengono commesse contro i nostri compagni basi di appoggio dell’ejido San Marcos Avilés. La risposta sono state volgarità, scherno ed altre minacce contro i nostri compagni.

In Chiapas c’è la minaccia latente di sgombero forzato contro gli zapatisti e di un nuovo omicidio politico.

http://desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 26 aprile

Bachajón, Chiapas: assassinato il dirigente degli ejidatarios pro-zapatisti. Juan Vázquez Gómez ucciso da cinque colpi di pistola davanti a casa sua.

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 aprile. Il dirigente degli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona a San Sebastián Bachajón, Juan Vázquez Gómez, è stato assassinato la notte di mercoledì da individui non identificati che l’hanno ucciso con cinque colpi di pistola. I fatti sono avvenuti intorno alle 23 fuori da casa sua, hanno comunicato gli ejidatarios.

Questa mattina, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha condannato l’omicidio del segretario generale degli aderenti alla Sesta a San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón. Vázquez Gómez si è distinto per la sua partecipazione attiva in difesa della terra e del territorio contro l’esproprio governativo delle cascate di Agua Azul e l’imposizione del botteghino di ingresso al sito.

Alcuni vicini, aggiunge il Frayba, riferiscono che Juan è stato aggredito proprio mentre stava entrando in casa; gli aggressori “sono fuggiti a bordo di un camioncino rosso in direzione di Sitalá, sulla strada che collega Ocosingo, Cancuc e Chilón”.

Dal 2007 Vázquez Gómez partecipava attivamente alla difesa del territorio ejidale, per il quale è aperto il ricorso n. 118/2013 attualmente in revisione presso il Tribunale di Tuxtla Gutiérrez.

Bisogna ricordare che il 17 aprile gli ejidatarios aderenti alla Sesta hanno denunciato che il loro territorio è minacciato dalla politica ufficiale di esproprio che prosegue con l’attuale governo dello stato. Il governo precedente si era distinto per la persecuzione degli ejidatarios che si oppongono all’esproprio per, fini turistici, di una parte delle loro terre, con la partecipazione diretta del segretario di Governo, Noé Castañón León, come da ripetute segnalazioni degli ejidatarios tzeltal.

A sua volta, la Rete contro la Repressione in Chiapas ritiene evidente che si tratta di un omicidio politico, per i molti interessi imprenditoriali, politici ed economici nella zona. E dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, i detenuti della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate condannano i fatti e chiedono alle autorità di indagare e punire i responsabili.

In una situazione di crescente tensione nella zona di Chilón, nelle scorse settimane sono state denunciate nuove minacce contro gli aderenti della Sesta dell’ejido di Jotolá. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/26/politica/028n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 24 aprile 2013

Zapatisti denunciano aggressioni da parte di simpatizzanti di PRI e PVEM

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 23 aprile. La giunta di buon governo (JBG) degli Altos, con sede nel caracol zapatista di Oventic, ha denunciato le numerose aggressioni subite nell’ejido San Marcos Avilés (Chilón) dalle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in particolare in questo anno. Gli aggressori sono identificati come appartenenti a PRI e PVEM. 

Il comunicato è stato diffuso proprio quando questa domenica la missione civile della Rete per la Pace del Chiapas è stata minacciata durante la sua visita nella comunità tzeltal per documentare le costanti violazioni dei diritti delle basi zapatiste. Il Frayba, una delle 10 organizzazioni partecipanti, ha denunciato che “i partiti hanno minacciato la ‘Carovana Civile di Osservazione’ di sequestrare i veicoli”, avvertendo che se non li avessero consegnati con le buone, sarebbe corso il sangue. Le minacce non si sono concretizzate ma danno l’idea del clima che si respira a San Marcos Avilés. La carovana si è conclusa senza incidenti ed ha annunciato una relazione per i prossimi giorni.

Intanto, la JBG ricorda che ha sempre denunciato tutti gli atti vergognosi di queste persone dei partiti politici che provocano problemi tra gli indigeni della stessa comunità; sono organizzati dai governatori Juan Sabines Guerrero e, ora, da Manuel Velasco Coello. I tre livelli di governo non hanno fatto niente per fermare le ingiustizie che si commettono contro i nostri compagni. E sottolinea: La risposta alle nostre denunce sono state volgarità, scherno ed altre minacce. 

Il comunicato dettaglia più di 20 aggressioni contro le famiglie zapatiste dal luglio del 2011 fino alla settimana scorsa, quando il 17 aprile scorso, ad uno zapatista è stata sottratta una proprietà dal sindaco di Chilón, che ha mandato un trattore per demolire una casa di 32 per 25 metri quadri di proprietà di Javier Ruiz Cruz, protetto da 120 persone dei diversi partiti. Il nostro compagno non ha potuto fare niente per difendere la sua proprietà.

Il giorno seguente il trattore ha continuato a lavorare circondato dallo stesso numero di persone dei partiti e da sette camion a rimorchio per caricare la ghiaia. Prima, lo scorso 29 gennaio, Ruiz Cruz aveva informato la JBG che il terreno, sulle rive di una laguna, era stato circondato dagli aggressori che vociferavano della costruzione di un accampamento militare. 

Dal 2011 non sono cessate le minacce e le vessazioni guidate abitualmente dalla polizia municipale e dal militante del PVEM Lorenzo Ruiz Gómez. La JBG racconta di diverse aggressioni contro le famiglie autonome: sottrazione di terre, furto di coltivazioni ed animali, saccheggio di piantagioni di caffè, minacce di morte, false accuse, sospensione del servizio elettrico ed aggressioni armate e con pietre, insieme ad azioni arbitrarie di funzionari municipali di Chilón apertamente collusi con gli aggressori del PRI e del PVEM di San Marcos Avilés.

Già nel marzo del 2012 il priista Ernesto López Núñez ostentava che quelli del suo partito avevano un nuovo piano per cacciare gli zapatisti e che in un secondo tempo gli avrebbero tolto anche i loro diritti sulle terre. 

Il 3 marzo scorso gli aggressori e le autorità del PVEM si sono riuniti col principale capoccia (il menzionato Ruiz Gómez) che avrebbe detto che non c’è altra soluzione che assassinare i figli dei nostri compagni, e poi avrebbe chiesto ai suoi complici di uccidere Juan Velasco Aguilar e gli altri zapatisti; i suoi compari, secondo la JBG, si sono dichiarati pronti a farlo e con sufficienti armi a disposizione.

La JBG di Oventic accusa direttamente i citati Ruiz Gómez e López Núñez, insieme ai figli del primo, Sócrates e Ismael Ruiz Núñez. Aggiunge i priisti José Cruz Hernández, Santiago Cruz Díaz, Vicente Ruiz López, Manuel Vázquez Gómez e José Hernández Méndez, oltre ai verdi Rubén Martínez Vásquez, Manuel Díaz Ruiz, Victor Núñez Martínez, Victor Díaz Sánchez ed altre 30 persone. Questi aggressori non lasciano vivere in pace le basi zapatiste che erano già state cacciate per un breve periodo nel 2010. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/24/politica/022n2pol

Comunicato originale della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 21 aprile 2013

Cresce la campagna internazionale a favore del professore tzotzil. Su Twitter è diventato trending topic

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 aprile. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas dha diffuso una lista di organizzazioni e collettivi che, dal 20 marzo scorso, si sono pronunciati per la liberazione del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez. Circa 200 organizzazioni su scala nazionale, inclusi i 75 membri – in 22 stati – della Rete Nazionale delle Organizzazioni Civili Tutti i Diritti per Tutte e Tutti. Su scala internazionale, solamente in Germania sono una trentina, più di 20 in Spagna, 17 in Svizzera e 11 in Francia.

La campagna internazionale ha prodotto che l’argomento fosse trending topic su Twitter questo venerdì e si è superato l’obiettivo prefissato di 4 mila 686 lettere per la sua libertà, una per ogni giorno di prigione. Sono state inviate 5 mila 986 lettere ai giudici del primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez ed al ministro Juan Silva Meza, presidente del Consiglio della Magistratura Federale.

Questo venerdì gli attivisti hanno manifestato davanti all’ambasciata del Messico a Madrid, e collettivi britannici hanno consegnato una lettera nella sede diplomatica di Londra; nei giorni scorsi è successo qualcosa di simile nel consolato di New York. Anche decine di organizzazioni di altri paesi (Austria, Brasile, Belgio, Regno Unito, Cile, Colombia, Stati Uniti, Grecia, Argentina, Italia, Canada, Svezia, Danimarca, Norvegia, Nuova Zelanda e Olanda) si sono pronunciate nelle scorse settimane.

Inoltre, solamente del municipio El Bosque ci sono state dichiarazioni dei partiti politici (PRI, PRD, PAN), le chiese, le società cooperative e di produzione, l’attuale giunta (e lo stesso presidente municipale, Juan Manuel Cortés Rodas), la giunta precedente, diversi quartieri e le autorità dei beni comunali e ejidali. Ed infine, in diverse città chiapaneche, tutti gli organismi membri della Rete per la Pace. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/21/politica/017n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 21 aprile2013

Missione Civile in Chiapas per le minacce alle basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 aprile. I membri della Rete per la Pace in Chiapas hanno comunicato che questa domenica e lunedì 22 realizzeranno una missione civile di osservazione e documentazione nella comunità di San Marcos Avilés, nel municipio di Chilón, col fine di raccogliere testimonianze, dopo le recenti minacce di sgombero forzato contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da parte di abitanti dello stesso ejido affiliati a diversi partiti politici.

Le 10 organizzazioni civili che partecipano all’azione, e che hanno manifestato ripetutamente la loro preoccupazione per la popolazione zapatista di questa comunità, hanno detto che sperano anche di incontrare il presidente municipale di Chilón, Leonardo Rafael Guirao Aguilar, ed il delegato di governo della zona, Nabor Orozco Ferrer.

Hanno chiesto inoltre ai difensori dei diritti umani, ai mezzi di comunicazione e all’opinione pubblica, di vigilare su quanto potrebbe succedere nell’ambito della missione. Al termine di questa visita alle famiglie tzeltal minacciate, gli osservatori diffonderanno una relazione.

Le minacce

Segnalano l’importanza dell’osservazione e delle riunioni con le autorità per frenare la escalation di minacce e la loro possibile concretizzazione, più ancora considerando che tra agosto e ottobre del 2010, 170 basi zapatiste dell’ejido San Marcos Avilés sono stati già sfollate e che attualmente vivono in situazioni precarie, spogliati delle loro terre di lavoro e sotto la costante minaccia alla loro integrità e sicurezza personale.

La Rete per la Pace in Chiapas, creata nel 2000, si presenta come uno spazio di riflessione ed azione che mantiene un’analisi permanente del contesto locale e nazionale, con azioni puntuali, come pronunciamenti rispetto a fatti gravi o missioni di osservazione. Formano la Rete: Comité de Derechos Humanos Fray Pedro Lorenzo de La Nada, Centro de Derechos Indígenas (Cediac), Servicios y Asesoría para la Paz (Serapaz), Comisión de Apoyo a la Unidad y Reconciliación Comunitaria (Coreco), Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (Desmi), Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), Educación para la Paz (Edupaz), Servicio Internacional para la Paz (Sipaz), Enlace-Comunicación y Capacitación, e Centro de Derechos de la Mujer Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/21/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La patata bollente

Gloria Muñoz Ramírez

 Nonostante le pressioni esercitate su di lui e contro il suo popolo, questo 19 aprile si è svolta la giornata nazionale ed internazionale da dieci anni più grande per chiedere la liberazione di Alberto Patishtán, il prigioniero politico più emblematico del Messico. La visita del presidente Enrique Peña Nieto a Zinacantán, dove ha lanciato la sua campagna contro la fame, non è riuscita a fermare la grande manifestazione nella capitale del Chiapas, benché il governatore Manuel Velasco ci abbia provato per rendere più amichevole il soggiorno dell’Esecutivo federale.

Le mobilitazioni in tutto il mondo sono state organizzate in concomitanza al 42° compleanno del professor Patishtán, 12 dei quali trascorsi in prigione. Nel DF l’appuntamento è stato di fronte al Consiglio della Magistratura Federale, dove sono arrivati membri della Rete contro la Repressione e Solidarietà, del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità ed il Fronte dei Popoli in Difesa della Terra di Atenco, tra altre organizzazioni.

Il caso Patishtán si è trasformato in una patata bollente per i governi federale e statale. La sua liberazione è nelle mani dei giudici del Primo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutiérrez ai qualoi si chiede imparzialità, trasparenza, obiettività e impegno sociale.

In questo momento, spiega Sandino Rivero, avvocato di Patishtán, si chiede ai giudici di risolvere l’incidente di riconoscimento di innocenza con la dovuta indipendenza ed imparzialità. Loro stessi si sono impegnati a vigilare che la risoluzione del primo tribunale collegiale sia conforme al rispetto dei diritti umani del professore, garantendo il diritto di accesso alla giustizia e libertà.

Sulla richiesta della sua liberazione questo venerdì è caduta l’ombra delle minacce contro Patishtán e contro la sua comunità, El Bosque, dove sono arrivati personaggi del governo statale per tentare di dissuadere la manifestazione. Non ci sono riusciti, e con una strategia più simile al controllo dei danni che ad una posizione per la giustizia, il governatore e parte del suo gabinetto hanno deciso di fare visita personalmente al professore ed gli altri detenuti appartenenti a La Voz del Amate, tutti simpatizzanti della causa zapatista.

L’erronea e malriuscita intenzione del governo di fermare le mobilitazioni, segnala Víctor Hugo López, direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, è parte di una costante in Chiapas, nella quale funzionari di livello medio minacciano i componenti dei movimenti sociali.

Il Frayba ha informato che è stata superata la meta prevista di 4 mila 686 lettere di appoggio al professore, una per ogni giorno di prigione. Patishtán ha ricevuto 5 mila 986 lettere per la sua libertà.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2013/04/20/opinion/012o1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 19 aprile 2013

Manuel Velasco si impegna ad agire per la libertà di Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 aprile. Il governatore Manuel Velasco alle 16:30 di oggi ha visitato, nel carcere numero 5 di San Cristóbal de las Casas, il professor Alberto Patishtán Gómez ed i detenuti della Voz del Amate e Solidarios e si è impegnato ad agire per la libertà di Patishtán ed una nuova revisione dei casi degli altri detenuti con i quali ha parlato personalmente.

Questo è stato comunicato dallo stesso Patishtán via telefonica a La Jornada.

Accompagnavano il governatore il procuratore generale di giustizia locale, Raciel López Salazar, ed il segretario statale di Pubblica Sicurezza, Jorge Luis Llavén. Ad essi incaricò Velasco Coello ha incaricato loro di occuparsi dei casi dei detenuti che ritengono di essere in prigione ingiustamente.

Davanti a Patishtán, il governatore ha manifestato l’interesse personale per il suo caso dicendosi convinto della sua innocenza e si è impegnato ad esporre al presidente Enrique Peña Nieto la sua situazione durante la visita che il presidente farà questo venerdì in Chiapas.

Tanto Patishtán, come gli organizzatori nel municipio di El Bosque di una peregrinazione di Pueblo Creyente della diocesi di San Cristóbal de las Casas, convocata per la mattina di questo venerdì nella capitale dello stato, avevano ricevuto pressioni per sospendere detta mobilitazione da parte di funzionari statali.

Si presume poiché coincidente con la visita del presidente Peña Nieto in Chiapas, accompagnato dall’ex presidente brasiliano Luiz Inazio Lula da Silva, per rilanciare da Navenchauc, in Zinacantán, non lontano da Tuxtla Gutiérrez, la Crociata Nazionale contro la Fame.

Martedì scorso, il sottosegretario di Governo della regione nord, Moisés Zenteno, aveva intimato al Movimento di El Bosque per la Libertà di Alberto Patishtán di sospendere la manifestazione a Tuxtla Gutiérrez, dando perfino un ultimatum agli indigeni. Ma questi hanno replicato che non era in suo potere fermare la manifestazione.

Successivamente, quella notte, inviati del sottosegretario avevano incontrato Patishtán in carcere per chiedergli sospendere la mobilitazione di Pueblo Creyente e di diverse organizzazioni sociali davanti al Tribunale. Il Profe, come è conosciuto, è da quasi 13 anni in carcere senza altro motivo che la vendetta per una vecchia disputa politica nel suo villaggio.

Sostenendo che il governatore Velasco Coello ha ribadito pubblicamente che, secondo lui, Patishtán dovrebbe essere messo in libertà, gli inviati della segreteria di Governo del Chiapas hanno tentato, infruttuosamente, di compromettere la manifestazione di venerdì. Questa culminerà, come annunciato dagli organizzatori, davanti alla sede del tribunale di Tuxtla Gutiérrez che si pronuncierà nei prossimi giorni sulla richiesta di revisione del caso e riconsiderare la condanna di 60 anni che pesa sul docente tzotzil.

Sembra che il magistero democratico, attualmente riunito per definire le misure rispetto alla riforma del sistema scolastico, si unirà alla peregrinazione per la libertà di Patishtán. http://www.jornada.unam.mx/2013/04/19/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 16 aprile 2013

Convocata una marcia per la liberazione del professor Alberto Patishtán

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Movimento di El Bosque per la Libertà di Alberto Patishtán Gómez e l’organizzazione Pueblo Creyente della diocesi di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, hanno convocato una particolare “peregrinazione” il prossimo venerdì 19 a Tuxtla Gutiérrez per manifestare di fronte al tribunale in cui, prima della fine di aprile, si deciderà se Patishtán resterà in prigione o gli sarà concessa la libertà che fino ad ora tutte le istanze giudiziarie gli hanno negato. 

Quella che sarà anche una marcia politica partirà dalla fonte di Diana Cacciatrice, nella capitale chiapaneca, per raggiungere la sede del tribunale. Da una dea greca nuda ad un tribunale civile, un percorso particolare per una “peregrinazione” religiosa che festeggia “che il prigioniero politico chiapaneco e professore compie 42 anni” – dei quali più di 12 dietro le sbarre – mentre aspetta la decisione “dell’ultimo spiraglio legale per ottenere la libertà o trascorrere altri 48 anni in prigione accusato di reati che non ha commesso”.

Diversi media liberi delle due città chiapaneche (Koman Ilel, Radio Pozol, Radio Zapatista, Centro de Medios Libres e Chiapas Denuncia Pública) hanno invitato per questa settimana ad “un’azione su twitter” e ad altre manifestazioni pubbliche rivolte al tribunale federale in favore della liberazione di Patishtán: “In Chiapas è normale che centinaia di persone, in particolare indigeni, siano ingiustamente nelle prigioni, torturati, con prove inventate, processi imbrogliati e giudici corrotti. Ci sono anche casi di prigionieri politici, persone imprigionate ingiustamente come punizione illegale per le loro attività politiche per il bene collettivo”, sostengono.

Lo scorso 6 marzo la Corte Suprema di Giustizia della Nazione decise di non assumere la competenza per rivedere il caso di Patishtán, rimettendolo ad un tribunale. Di fronte a questo, “per il terzo venerdì consecutivo” i media liberi invitano “ad un’azione su twitter, nella quale cercheremo di collocare l’hashtag #LibertadPatishtan come trending topic (TT); ci siamo già riusciti una volta ed ora ci riproviamo”. Collocare l’hashtag come TT, sostengono, “permetterà che più persone possano sapere, documentarsi e, forse, agire di conseguenza”.

Propongono di “twittare in massa alla stessa ora”, dalle 10 alle 12, e dalle 16 alle 19, venerdì prossimo 19 aprile: “Forza gente, tirate fuori i vostri migliori 140 caratteri e lottiamo per #LibertadPatishtan”.

In Francia, nella Settimana Internazionale di Solidarietà con le Prigioniere e i Prigionieri Politici, diversi collettivi europei annunciano eventi e pronunciamenti a favore degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona imprigionati in Chiapas ed in altre entità. Oltre a Patishtan e all’oaxaqueño Álvaro Sebastián Ramírez, si tratta di Juan Díaz López, Rosa López Díaz, Alfredo e Pedro López Jiménez, Juan López González, Juan Collazo Jiménez, Benjamín López Aguilar, Alejandro Díaz Sántiz, Antonio Estrada Estrada, Miguel Vásquez Deara, Miguel Demeza Jiménez, Enrique Gómez Hernández , Rosario Díaz Méndez, Máximo Mojica Delgado, María de los Ángeles Hernández Flores, Santiago Nazario Lezma e Braulio Durán.

Dal 14 al 21 di aprile a Parigi si riuniscono diversi collettivi ed organizzazioni solidali con i prigionieri curdi, tamil, palestinesi, saharaui, baschi, mapuche, corsi e irlandesi, così come i gruppi che chiedono la libertà dei noti prigionieri politici Leonard Peltier, Georges Ibrahim Abdallah e Mumia Abu-Jamal. Vi parteciperanno inoltre le ex prigioniere messicane che hanno denunciato il caso Atenco, Bárbara Italia, Georgina Edith Rosales Gutiérrez, María Patricia Romero Hernández, Norma Aidé Jiménez Osorio, Claudia Hernández Martínez, Ana María Velasco Rodríguez, Yolanda Muñoz Diosdada, Cristina Sánchez Hernández, Patricia Linares, Suhelen Gabriela Cuevas Jaramillo e Mariana Selvas.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Firma qui:

http://www.avaaz.org/es/petition/Preso_Politico_Alberto_Patishtan_pide_apoyo_a_sociedad_civil_1/

 Perché è importante

Questo mese un Tribunale in Messico deciderà se il prigioniero politico Alberto Patishtán sarà liberato o rimarrà altri 48 anni in prigione.

Patishtán è professore, indigeno tzotzil, era molto attivo politicamente nella sua comunità quando fu arrestato il 19 giugno del 2000 e condannato ingiustamente a 60 anni di prigione. In prigione ha continuato a lottare per la giustizia organizzando i detenuti per chiedere condizioni umane nelle prigioni del Messico. Il governo messicano ha tentato di frenare la sua lotta trasferendolo in una prigione di massima sicurezza dove ha subito diverse forme di tortura. Grazie all’intervento della società civile dopo un anno è tornato in una prigione vicino alla sua famiglia. Gli è stato conferito il Premio jCanan Lum per la sua lotta per la “trasformazione sociale in maniera pacifica”. La sua comunità continua a chiedere la libertà di Patishtán.
Patishtán soffre di un tumore cerebrale per cui sta perdendo la vista. E’ stato sottoposto ad intervento chirurgico sei mesi fa ma dentro la prigione non ci sono le condizioni sufficienti per il suo recupero.

Patishtán non si è arreso e continua a lottare. Il suo caso è arrivato alla Suprema Corte del Messico dove uno dei giudici ha detto pubblicamente che Alberto Patishtán è innocente e dovrebbe essere liberato immediatamente. Sfortunatamente la Suprema Corte ha trasferito il caso in un altro tribunale dove decideranno in questo mese se può essere liberato. In generale il sistema giudiziario in Messico è discriminatorio, Patisthán è indigeno e per questo è importante il sostegno pubblico.

Attualmente Alberto fa giornate di digiuno in prigione e si appella alla società civile a pronunciarsi per chiedere la sua libertà per ottenere finalmente giustizia.

Firma e condividi questa petizione con tutto il mondo!

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ALBERTO PATISHTAN, UN SIMBOLO DELLA LOTTA, A FIANCO DELL’EZLN, PER LA LIBERTÁ E LA DIGNITÁ DEL POPOLO MESSICANO

Alberto Patishtan è oggi il prigioniero politico più famoso del Messico. Si trova in carcere dal 21 luglio del 2000 dove sta scontando una pena che gli permettererà di tornare in libertà solo nel 2060 quando avrà 89 anni.

E’ accusato dell’omicidio di 8 poliziotti avvenuto la mattina del 12 giugno del 2000 a Las Lagunas de Las Limas, municipio di Simojovel nello stato messicano del Chiapas.

Alberto è un simbolo. Lo è per la sua lotta instancabile per la libertà e la dignità, come per la sua forza incredibile nell’animare i compagni e compagne detenuti a ribellarsi all’abominio delle carceri e alle ingiustizie di Stato; ma Alberto è un simbolo anche perché rappresenta un esempio di come la guerra integrale di sfiancamento combattuta dallo Stato contro i popoli del Chiapas e del Messico in generale usi tattiche e strategie complesse per annichilire i movimenti sociali tutti, in primis ovviamente l’EZLN ma non solo e per imporre il suo nuovo ordine fatto di narcopotere e interessi milionari.

Ripercorriamo la storia che ha portato al suo arresto per chiarire meglio l’emblematicità di cui parliamo.

Al momento del suo arresto Patishtan era un dirigente politico, presidente dell’Organizzazione Tripla SSS di El Bosque.  L’organizzazione aveva come scopo la difesa dei diritti dei più deboli e sfruttati della regione, denunciava la corruzione dell’allora sindaco del Bosque Manuel Gómez Ruiz e stava mobilitando la grande maggioranza degli abitanti del municipio.

Allo stesso tempo era un maestro.  Aveva studiato nell’Università di Valle de Grijalba e poi era tornato nella sua comunità.  E’ stato direttore dell’“albergue escolar” di El Azufre nel municipio di Huiitipan, regione di Bochil.  Nel suo lavoro di educatore si è sempre impegnato affinché anche i bambini delle famiglie indigene più povere e lontane dalla scuola potessero frequentare e apprendessero nella loro lingua di origine, il tzotzil.

Nel giugno del 1998 l’Esercito interviene nella regione occupando le località di Unión Progreso, Chavajeval, Álvaro Obregón e lo stesso El Bosque dove l’EZLN aveva costituito un Municipio Autonomo.  Nell’intervento armato gli zapatisti si difendono ma muoiono 8 compagni base di appoggio.   Il Municipio Autonomo viene smantellato.

Esattamente due anni dopo, il 12 giugno del 2000 si svolge il massacro di cui viene accusato Alberto.   Dieci o quindici individui, con giubbotti antiproiettile e armi di grosso calibro, tende un’imboscata al pick up verde scuro su cui viaggiavano, provenienti da Simojovel, otto poliziotti e l’autista del municipio di El Bosque, minorenne e figlio del sindaco corrotto Manuel Gómez Ruiz. Il giovane Rosemberg Gómez Pérez, che guidava il veicolo con i due comandanti in cabina e l’agente di Pubblica Sicurezza Belisario Gómez Pérez nel rimorchio con i suoi commilitoni, gravemente feriti e creduti morti dagli aggressori, sopravvivono rimanendo gli unici testimoni oculari.

Subito dopo l’Esercito federale invia centinaia di effettivi, occupa il luogo dell’imboscata, la città, le strade e fa incursioni nelle comunità zapatiste. La prima ipotesi della Segreteria della Difesa Nazionale è quella che gli autori apparterrebbero a “una cellula dell’Esercito Popolare Rivoluzionario (EPR)” ma l’ipotesi appare subito fantasiosa.

Più credibile si presenta l’ipotesi, diffusa lo stesso giorno della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), storicamente presente nella regione: i responsabili dell’imboscata sarebbero “paramilitari” del Mira”.   Il gruppo Mira, temibile e feroce, operava a El Bosque ed era più conosciuto come Los Plátanos, dal nome della comunità in cui i paramilitari si riunivano con poliziotti judiciales e da dove erano partiti, il 10 giugno1998, per partecipare al massacro degli zapatisti a Unión Progreso.

Il giorno dopo l’imboscata, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN emise un breve comunicato: “Secondo i dati raccolti, l’attacco è avvenuto con tattiche da narcotrafficanti, paramilitari o militari. L’uso del cosiddetto ‘colpo di grazia’ è ricorrente in questi gruppi armati. L’attacco è avvenuto in una zona affollata di truppe governative (esercito e polizia), dove è molto difficile che un gruppo armato possa muoversi senza essere scoperto e senza la complicità delle autorità. Il gruppo attaccante possedeva informazioni privilegiate sui movimenti e sul numero di persone imboscate. Una tale informazione può essere ottenuta solo da persone del governo o vicine ad esso”.

Il comando ribelle segnalava: “L’EZLN sta investigando per fare luce sull’identità e sui motivi del gruppo aggressore. Tutto indica che sarebbero del governo (o con il sostegno governativo) le persone che hanno compiuto l’aggressione, poiché in questo modo avrebbero il pretesto per aumentare la militarizzazione in Chiapas e per giustificare l’attacco contro comunità zapatiste o l’EZLN. È da notare che questo fatto rafforza il clima di instabilità che il candidato ufficiale minaccia se non vincerà”.

Nel frattempo il deputato Gilberto López y Rivas, della Cocopa, segnalò che quell’imboscata aveva tutto l’aspetto di “una provocazione dei paramilitari fomentata dal governo dello stato”.  Lo stesso giorno, Victor Manuel Pérez López, dirigente della CIOAC, rivelò che il governo del Chiapas, nel 1997 aveva armato e finanziato “dissidenti del Partito del Lavoro” per combattere il governo municipale di quel partito e la stessa  CIOAC. Una volta raggiunto l’obiettivo di restituire al PRI il comune, “questi si sarebbero dedicati al controllo delle coltivazioni di marijuana, agli assalti e al narcotraffico.  Il dirigente della CIOAC aggiungeva che i paramilitari operavano nella più completa impunità, in pieno giorno, anche se militari e poliziotti realizzavano pattugliamenti frequenti.

La responsabilità dei paramilitari usciva allo scoperto. Urgeva correre ai ripari. Quello stesso giorno a El Bosque, l’Esercito e la Polizia Federale Preventiva catturarono, senza mandato di cattura, il maestro Alberto Patishtán Gómez. Un gruppo di abitanti, membri del PRI, subito protestò e sollecitò l’intervento del Congresso statale, sostenendo che il prigioniero era innocente.

Quel 19 giugno, pronunciandosi rispetto alle imminenti elezioni del 3 luglio 2000, il subcomandante Marcos scrisse: “Nel frattempo qua stiamo tremando. E non perché ‘el croquetas‘ Albores abbia ingaggiato Alazraki per rifarsi l’immagine (probabilmente Albores cerca un posto per promuovere cibo per cani), né per i seicentomila dollari che gli verserà (soldi destinati originalmente a ‘risolvere le condizioni di povertà ed emarginazione degli indigeni chiapanechi’, Zedillo dixit). Neanche per i latrati del ‘cucciolo‘ Montoya Liévano (sempre più nervoso perché si sta scoprendo che sono stati i suoi ‘ragazzi ‘- cioè, i suoi paramilitari – i responsabili dell’attacco alla Pubblica Sicurezza a El Bosque, il 12 giugno scorso). No, stiamo tremando perché siamo zuppi di pioggia. E tra elicotteri e temporali, non si trova un buon riparo”.

Nel frattempo Alberto Patishtán Goméz sequestrato dalla polizia preventiva viene torturato e quindi traferito nel carcere di Cerro Hueco.

Mentre da El Bosque cresce il movimento per la sua liberazione,  Patishtan, nel carcere, organizza la lotta per una vera giustizia con altri detenuti e mentre i sostenitori della sua innocenza manifestavano davanti al palazzo del Governo statale a Tuxtla Gutierrez, Alberto, con altri detenuti si cuce le labbra con del filo in segno di protesta.

Nel carcere fonda una organizzazione politica rivoluzionaria, con il nome “Voz de la Dignidad Rebelde” dei priogionieri politici, che ha lo scopo di far crescere la coscienza politica dei detenuti e la loro lotta per una vera giustizia.

Intanto cambia il governatore e viene eletto Pablo Salazar.  Durante il suo governo, in seguito a un giudizio pilotato e senza tener in conto delle contraddizioni in cui si presentavano le supposte prove (l’unico testimonio a carico era  lo stesso figlio del sindaco corrotto), viene condannato a 60 anni di prigione.

Patishtan viene poi trasferito nel carcere del Amate vicino alla città di Cintalapa de Figueroa, Chiapas.  Nel nuovo carcere, il 5 gennaio del 2006, organizza uno sciopero della fame.    Durante la protesta, insieme ad altri prigionieri fonda l’organizzazione politica “La Voz del Amate”.  L’organizzazione aderisce subito all’appello del Delegato Zero e alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.  Alla protesta si uniscono molti prigionieri basi di appoggio dell’EZLN, indigeni organizzati nel Pueblo Creyente e in altre organizzazioni politiche anticapitaliste.  Nella protesta si esige la liberazione di tutti i prigionieri politici e riceve l’appoggio della società civile fuori dal carcere. Il Delegado Zero, Subcomandante Insurgente Marcos dell’EZLN, che nel frattempo stava girando il Messico per organizzare l’Altra Campagna, si ferma davanti ai cancelli del carcere per esprimere la propria solidarietà alla lotta dei prigionieri.  In seguito alla protesta vengono liberati 135 prigionieri politici.   L’unico che non viene liberato è proprio Alberto Patishtan.

Nel mese di gennaio del 2010 Patishtan si trova nel carcere CERRS n° 5 nei pressi di San Cristobal.    Il  vescovo emerito di San Cristobal Samuel Ruiz si reca personalmente nel carcere per consegnargli il riconoscimento  JTatic Samuel JCanan Lum come apprezzamento del suo impegno per i diritti umani.

Il 29 settembre 2011 insieme ad altri detenuti organizzati nella Voz del Amate e i Solidali de La Voz del Amate, rinchiusi nelle carceri di San Cristobal, del Amate e di Motozintla organizza un nuovo sciopero della fame.   Come risposta le autorità trasferiscono Patishtan nel carcere dello stato di Sinaloa nell’estremo nord del Messico.   Viene rinchiuso nel carcere  di massima sicurezza di Guasave e sottoposto a isolamento e condizioni durissime.    In seguito ad altre proteste nazionali e internazionali e alle denunce dello stesso Patishtan la Corte di Giustizia dello stato del Chiapas riconosce l’illegittimità del trasferimento e quindi viene di nuovo trasferito nel carcere di San Cristobal.

Verso la fine del 2012 un gruppo di avvocati presenta all’Alta Corte di Giustizia, corrispondente alla nostra Corte di Cassazione, una istanza affinché la stessa prenda in esame il processo per verificare l’inconsistenza delle prove con cui Alberto Patishtan venne condannato.   La Corte respinge la richiesta dichiarando che il caso è di competenza della giustizia statale e lo rimanda al Tribunale chiapaneco di Tuxtla Gutierrez.

Attualmente il caso di Alberto Patishtan è in attesa che venga esaminato dagli organi giudiziari dello stato del Chiapas.

Il link per partecipare alla campagna per la liberazione del prigioniero politico Alberto Patishtan inviando petizioni alle autorità giudiziarie messicane è il seguente: https://chiapasbg.wordpress.com/2013/03/22/campagna-patishtan/

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4 de Abril de 2013

Il Frayba denuncia le condizioni inumane degli sfollati di Tenejapa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Vivono in condizioni “precarie e inumane” i 13 indigeni sfollati della comunità Banavil, simpatizzanti dell’EZLN nel municipio Tenejapa, Chiapas, rende noto il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Inoltre, la Procura Speciale di Giustizia Indigena dell’entità “ostacola e nega azioni di giustizia per restituire i diritti a questi sfollati interni”.

Il gruppo di uomini, donne e bambini sfollati dai elementi filogovernativi del PRI che li aggredirono armati il 4 dicembre di 2011, si trova in una pessima situazione sanitaria, alimentare e abitativa, “a causa della situazione di sfollati e delle costanti minacce alla loro libertà in conseguenza della sottrazione delle loro terre, alla sparizione di Alonso López Luna e all’omicidio non chiarito di Pedro Méndez López (uno degli aggressori)”. Il governo statale, per mezzo della citata procura indigena, “ha ritardato in maniera ingiustificata le azioni di giustizia, violando sistematicamente i loro diritti umani”.

Attualmente gli sfollati tzeltal si trovano a San Cristóbal de Las Casas “in condizioni inumane e precarie, vivono in una stanza di 3 metri per 3 di legno e cartone con il tetto di lamiera ed il pavimento di nuda terra”, senza assistenza medica. 

Sulla sparizione di López Luna, la procura, guidata da Cristóbal Hernández López, e l’incaricato del caso, Cesario Cruz Mendoza, “hanno ostacolato le indagini sui fatti occorsi a dicembre del 2011 e si sono rifiutati di eseguire 11 mandanti di cattura contro gli aggressori, tra i quali i funzionari pubblici di Tenejapa, Pedro Méndez López y Manuel Méndez López, indicati come gli autori materiali” aggiunge il Frayba.

Gli aggressori del PRI recentemente hanno sottratto cinque ettari e mezzo di proprietà degli sfollati; una parte se la sono tenuta gli aggressori, ed un’altra parte delle terre sono state vendute. Il Frayba è intervenuto molte volte pubblicamente e in forma privata per sollecitare il governo del Chiapas a rispondere alle richieste degli sfollati. Tuttavia, fino ad ora non c’è stata alcuna risposta, “e così facendo lo Stato non rispetta il suo obbligo di garantire e proteggere i diritti umani dei popoli indigeni in Chiapas”.

La persecuzione del gruppo di cacicchi risale al 2009, “per il fatto di opporsi (gli attuali sfollati) alle azioni arbitrarie commesse dagli stessi cacicchi: esproprio di terre, disboscamento illegale, riscossione di imposte e cooperazioni arbitrarie, perquisizioni, aggressioni fisiche, negazione del diritto all’educazione, tra altri, come ripetutamente denunciato dalle vittime”. Le autorità “non hanno fatto niente”. 

Il Frayba chiede la fine delle minacce e della persecuzione degli sfollati, l’esecuzione dei mandati di cattura contro gli aggressori e che si svolgano indagini “serie, puntuali e rapide” per trovare il corpo di López Luna, e che si garantisca il diritto alla terra ed il ritorno degli sfollati.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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