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Archive for gennaio 2009

La Jornada – Sabato 31 gennaio 2009

Jaime Martínez Veloz

L’EZLN E LA POLITICA SOCIALE

Le attività realizzate dall’EZLN per commemorare i 15 anni dell’insurrezione armata sono state una verifica di quanto conquistato e di quanto ancora c’è da fare. Nello stesso tempo sono state uno spazio per aprire il dibattito su temi di portata nazionale.

Con precisione, il comandante David ha segnalato: “Il malgoverno ha tentato di convincere e comprare la coscienza delle nostre basi di appoggio promettendo loro migliori condizioni di vita per dimenticare i loro morti e le loro giuste richieste. Purtroppo ci sono fratelli indigeni che sono caduti nelle trappole del malgoverno credendo di migliorare le loro condizioni di vita senza lottare”.

La Sedeso ha risposto che “i programmi per la lotta alla povertà non fanno parte dei piani di contrainsurgencia sociale” e che “dall’anno 2000 c’è stato l’impegno del governo federale per risarcire i danni derivati dall’oblio, dall’emarginazione e dall’esclusione in cui si tenevano le comunità indigene del Chiapas”. Sono documentati decine di esempi in cui enti federali hanno realizzato azioni che non hanno risolto i problemi strutturali derivati dalla povertà, ma hanno invece contribuito alla frattura del tessuto sociale comunitario.

L’utilizzo delle risorse governative per la cooptazione ed il clientelismo è la costante della maggioranza dei governi, a tutti i livelli e di tutti i partiti. La politica sociale si è ridotta a forme selvagge di assistenzialismo grossolano e sono scarsi i programmi sociali che promuovono l’organizzazione ed il lavoro comunitario. Per questo la critica dell’EZLN ha una connotazione che trascende anche lo zapatismo, e la realtà è sotto gli occhi di tutti. Gli indici di sviluppo umano nel paese non sono sostanzialmente cambiati ed ogni giorno sono sempre di più i messicani che sprofondano nella povertà. Quello che dicono sia politica sociale, non riesce ad assistere i poveri che genera la politica economica.

Per ignoranza o per convinzione, esiste il rifiuto tra gli apparati governativi a concedere potere alle comunità. Si è optato per l’elargizione invece dell’organizzazione, la formazione, la produttività ed il lavoro comunitario. La pianificazione regionale o locale è un’entelechia. Si fa quello che sembra meglio all’autorità di turno. A volte l’azzeccano, ma più spesso si diluisce l’impatto sociale o l’efficacia del lavoro governativo.

Per questo la politica sociale intesa come la politica di Stato, deve trascendere l’ambito temporale e funzionale dell’amministrazione pubblica, coinvolgendo gli altri livelli di governo, i partiti, le organizzazioni sociali e l’insieme della società.

Davanti alla sfida della povertà, la disuguaglianza ed il deterioramento delle condizioni di vita della cittadinanza che minacciano il nostro futuro, è necessaria una politica sociale di lungo respiro.

La politica sociale può contribuire ad ottenere una nuova governabilità che sbarri il passo alla violenza come linguaggio politico; allo scetticismo come atteggiamento della società di fronte alle istituzioni; al pettegolezzo come agente corrosivo della coesione e del rispetto sociale.

Nessun sforzo in materia di politica sociale ha futuro se non è volto a modificare le tendenze attuali che assegnano ad una piccola percentuale della popolazione una grande quantità della ricchezza, mentre un’enorme massa di cittadini affronta povertà, disoccupazione, bassi salari, abitazioni inadeguate, insufficienti servizi urbani, bassi livelli di istruzione e crescenti deficienze in materia di salute ed alimentazione.

Nella misura in cui la società potrà contare sulla dovuta attenzione alle sue istanze ed i suoi bisogni saranno risolti, l’autorità avrà maggiori margini di governabilità per il compimento della sua missione.

L’intera politica sociale deve partire dal fatto tangibile che la lotta alla povertà è solo un aspetto dell’azione dello Stato, e che deve incidere sul cambiamento dell’attuale distribuzione della ricchezza e, di conseguenza, in aspetti come posti di lavoro, salario e sviluppo regionale.

A questo rispetto, maggiori livelli di partecipazione e vigilanza sociale, in un clima di piena democrazia, aiuterebbero a raggiungere una politica sociale più efficiente. Gli errori od omissioni in materia sociale, così come in politica ed economia, colpiscono i migliaia che aspettano una risposta alla loro situazione.

Trasformare la politica sociale in un compito di Stato richiede democratizzare la sua concezione ed applicazione, convocare a discutere ampie e plurali forze politiche e sociali affinché cooperino nella sua attuazione, valutazione e correzione. Quanto detto implica generare nuove forme di articolazione tra la società ed il governo, che spingano l’organizzazione e la partecipazione comunitaria e generino migliori livelli di convivenza civica.

Molto di quanto qui esposto ha a che vedere col rifiuto dello Stato messicano di rispettare quanto concordato a San Andrés, in quanto a “riconoscere le comunità come entità di interesse pubblico”, in base ai quali i cittadini smetterebbero di essere “oggetto” e si trasformerebbero in individui delle politiche pubbliche.

Per questo il comandante David, dalla trincea zapatista, ha aperto un tema che richiede un atteggiamento trattamento strutturale da parte dello Stato messicano che trascenda la congiuntura e definisca nuovi modi di relazione tra il governo e la società, includendo, ovviamente, lo zapatismo.

(Traduzione “Maribel”  Bergamo)

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Denuncia da La Garrucha.

CARACOL DE RESISTENCIA HACIA UN NUEVO AMANECER

GIUNTA DI BUON GOVERNO EL CAMINO DEL FUTURO

CHIAPAS, MESSICO

22 gennaio 2009

Ai compagni e compagne della Sesta Internazionale.

Ai compagni e compagne dell’Altra Campagna nazionale ed internazionale.

Ai compagni e compagne dei media alternativi.

Ai fratelli e sorelle del Messico e del Mondo.

Alle organizzazioni non governative dei diritti umani.

I FATTI:

La Giunta di Buon Governo denuncia all’opinione pubblica gli abusi dei tre livelli del malgoverno, federale, statale e municipale.

I fatti si stanno svolgendo nella proprietà San Antonio Toniná e El Carmen Toniná, di proprietà del compagno Alfonso, Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruíz membri dell’organizzazione zapatista del Municipio Autonomo Francisco Gómez appartenente al caracol di La Garrucha.

Si tratta di un problema nella zona archeologica che si trova dentro la proprietà del compagno Alfonso.

INDAGINI DELLA GIUNTA DI BUON GOVERNO

DEL GIORNO 16 GENNAIO 2009

1. – il giorno 16 gennaio 2009 la Giunta di Buon Governo ha visto personalmente che il Personale della sicurezza non permetteva il passaggio per visitare il rancho Toniná, di  proprietà del nostro compagno Alfonso.

2. – La Giunta di Buon Governo ha inoltre notato che esiste un accampamento dentro la proprietà del compagno Alfonso. Ed il compagno Alfonso Cruz Espinosa paga le imposte relative al suo rancho ed ha le ricevute di pagamento del passaggio di proprietà dal 2008 al 2009.

3.- Il compagno sta pagando le tasse anche per il progetto delle rovine elaborato dall’archeologo Juan Yadeum.

4. – Da anni il governo federale, statale e municipale stanno approfittando delle entrate provenienti dai turisti nazionali ed internazionali che visitano la rovina. E delle tasse che paga il proprietario.

5.-Ciò che stanno facendo i tre livelli del malgoverno, CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA è un chiaro abuso che può vedere anche un cieco.

6. – I tre livelli del malgoverno sfruttano da anni la riscossione delle imposte e la riscossione dei biglietti di ingresso alle rovine che si trovano dentro la piccola proprietà.

7.- La giunta di Buon Governo dichiara che questi tre livelli del malgoverno, CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA, stanno invadendo la piccola proprietà del nostro compagno base di appoggio zapatista.

8.- La Giunta di buon governo esige da questi tre livelli del malgoverno che ritirino l’accampamento che si trova dentro la proprietà del compagno Alfonso Cruz.

9.- La giunta di buon governo esige che il malgoverno paghi per il terreno che occupa il basamento della zona archeologica secondo un prezzo di vendita concordato con il proprietario.

10. – Se i tre livelli del malgoverno non accettano di pagare il terreno che occupa il basamento della zona archeologica, la Giunta di buon governo si assumerà la responsabilità e l’amministrazione della rovina facendo valere il diritto stabilito dalla legge, non vogliamo invasori dentro la proprietà di una base di appoggio zapatista.

11. – Chiediamo inoltre che Juan Yadeum e la direttrice del Museo Julisa Camacho si dimettano dal loro incarico nella rovina di Toniná perchè non se ne stanno prendendo cura, ma al contrario provocano problemi senza rispettare il padrone della proprietà.

12.- I tre livelli del malgoverno hanno fatto pressioni su questo compagno per obbligarlo a firmare un accordo il giorno 14 gennaio che per dare attuazione al provvedimento No. 401-3-112 datato 9 gennaio, ma questa firma è una falsificazione come sempre fanno i malgoverni di CALDERON, SABINES E LEONEL SOLORZANO ARSIA.

Il nostro compagno Alfonso dichiara di non aver firmato nessun accordo col malgoverno.

E non accetterà nessun documento che non sia un atto di compra-vendita del terreno che occupa il basamento della rovina e si fissi un prezzo concordato.

Confermiamo che abbiamo le ricevute di pagamento prediali e di passaggio di proprietà, quindi che sia chiaro a questi malgovernanti che paghino o ce lo riprendiamo.

Distintamente

Le Autorità della Giunta di Buon Governo

SEFERINO GUZMAN SANCHEZ,PEDRO GUTIERREZ GUZMAN,FLORITA LOPEZ PEREZ

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 16 gennaio 2009

Jaime Martínez Veloz

A 15 anni dall’insurrezione zapatista

15 anni fa la nazione messicana si destò alla notizia di un sollevamento armato in diversi municipi dello stato del Chiapas. L’azione portata avanti dalle forze ribelli si caratterizzò per la sua sincronia, disciplina e l’efficacia dei suoi propositi.

Dopo i primi giorni di combattimento, la società messicana chiese la sospensione delle ostilità ed obbligò le parti in conflitto a cercare un’uscita negoziata che rispondesse ai giusti reclami che sollevava lo zapatismo. I successivi processi di negoziazione risultarono complessi, ma si realizzarono nonostante le evidenti provocazioni promosse da chi, dentro lo Stato, sono risultati essere i beneficiari degli scontri sociali. Per questi la guerra è un affare, la pace non lo sarà mai.

In questo contesto, si formò una commissione legislativa paritetica che poi sarebbe stata nota come la Commissione di Concordia e Pacificazione, di cui ho fatto parte. La decisione di parteciparvi non fu semplice: a quel tempo ero deputato federale per Tijuana ed occuparmi di un tema distante in termini geografici non risultava un compito semplice. Tuttavia, le caratteristiche e la portata nazionale delle rivendicazioni zapatiste costituiscono un avvicinamento ad uno dei temi del Messico profondo ancora irrisolto.

Questo fatto mi ha permesso da allora di conoscere da vicino una realtà complessa, inedita e rinnovata di giorno in giorno da fatti e nuove circostanze. Il Chiapas è, in sé, un’università della vita.

La costruzione di ponti tra il governo e lo zapatismo, nelle prime tappe del processo di negoziazione svolto nell’ambito della Legge per il Dialogo, la Negoziazione e la Pace Degna in Chiapas, non fu esente da atteggiamenti ostili, o quanto meno scettici, di chi, dalle istituzioni dello Stato, ha sempre rifiutato di ammettere l’esistenza di un paese che non ha concluso la sua tappa di consolidamento democratico. L’EZLN, attraverso la sua lotta, ha dimostrato che le istituzioni del nostro paese non includono ampi settori della società messicana, tra questi, ed in maniera particolare, gli indigeni messicani.

Il Chiapas di oggi è molto diverso da quello che c’era all’inizio del conflitto. Lo stato possiede un’infrastruttura stradale, portuale ed aeroportuale che può stimolare lo sviluppo e la crescita; è avvenuta una ridistribuzione del potere politico; sono finiti i tempi del partito unico. Tuttavia, i ritardi sociali, principalmente nelle comunità indigene, sono ancora presenti. La sfida è enorme.

Al margine della soluzione di fondo che richiede l’agenda nazionale presentata dallo zapatismo, la cui realizzazione dipenderà da una nuova correlazione di forze nel Congresso dell’Unione e da un rinnovato atteggiamento dell’Esecutivo di fronte a questa problematica, è indispensabile l’avvio di una serie di misure che evitino tensioni non necessarie e riducano al minimo qualsiasi azione di confronto.

La tentazione di alcuni comandi militari, attraverso un’interpretazione distorta dell’Iniziativa Mérida, firmata dal Messico col governo statunitense, per intervenire in territorio zapatista sulla base di presunte azioni contro la coltivazione di stupefacenti, deve essere respinta perché non ha la minima veridicità e perché rappresenta una grave e pericolosa provocazione.

In un paese che ha permesso che molte delle sue istituzioni siano state infiltrate dal narcotraffico, l’unica regione che ha impedito la presenza di questo flagello è il territorio dove si trova lo zapatismo.

La realizzazione del Festival della Degna Rabbia è stato luogo di incontro di molteplici voci di paesi e realtà diverse unite nello stesso proposito di cambiare le ingiuste condizioni vita di milioni di cittadini del Messico e del mondo. L’organizzazione dell’incontro è stata una nuova dimostrazione della capacità creativa dello zapatismo, della validità delle sue domande e l’espressione di un movimento che, nonostante gli anni, conserva una struttura ed una capacità che non possono essere sottovalutate.

Si può essere d’accordo o no con quanto dicono gli zapatisti, ma nessuno può negare la giustezza delle sue domande e la capacità di tenere alti i sogni, aneliti ed ideali dei membri e simpatizzanti dello zapatismo in un momento in cui la società messicana è assediata dal consumismo, dalla narco-cultura e dai nuovi stereotipi nati da un modello che vuole trasformare in merce tutto ciò che tocca. Per questo, quanto realizzato dagli zapatisti ha un grande valore in mezzo alle tante carenze economiche ed in un contesto dominato dal consumismo e dalla frivolezza.

Per questo, la capacità di sognare, di criticare, di dire la loro verità a modo loro e nel loro stile, continuerà ad essere la costante del dire e fare degli zapatisti. C’è a chi da fastidio, perfino alcuni che si presume siano di sinistra vorrebbero il silenzio permanente dello zapatismo. C’è a chi danno fastidio gli argomenti dell’EZLN, ma poco fanno per costruire un’uscita dal conflitto. Concordano con la destra nella strategia secondo cui “il conflitto finirà per usura o esaurimento dello zapatismo; pertanto, meno si fa e si dice sull’argomento, meglio è”. Niente è più lontano dalla verità. La fermezza, la capacità organizzativa, lo spirito di combattimento e la validità delle sue domande, oggi sono attuali più che mai.

Congratulazioni per i 15 anni dall’apparizione pubblica dell’EZLN ed i 25 della sua formalizzazione come organizzazione combattente.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ecoturismo come contrainsurgencia.

La Jornada – 14 gennaio  2009

I PROGETTI “ECOTURISTICI” GENERANO CONFLITTI IN CHIAPAS

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 13 gennaio. Una cascata di conflitti collegati ai cosiddetti “centri ecoturistici” si succede nel tragitto tra Ocosingo e Palenque, dove i governi federale e statale hanno grandi progetti di sviluppo turistico. La determinazione delle comunità indigene di recuperare i loro diritti territoriali sta facendo compiere passi avanti ai coloni di Agua Clara, Misol Há, Agua Azul ed altre località.

Reagiscono così ad autorità statali e gruppi locali che, appoggiati da queste autorità, sono ostili mentre monopolizzano l’usufrutto di cascate, fiumi e località di proprietà pubblica. In generale, militanti del PRI affiliati all’Organizzazione per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic) che si mimetizzano sotto altri nomi o sotto società cooperative turistiche.

D’altra parte, l’Organizzazione dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha acuito le sue dispute con i municipi autonomi per le terre recuperate dopo l’insurrezione dell’EZLN nel 1994. Questo accade vicino ad Ocosingo, in aree dove il governo statale vuole acquisire dei poderi per il passaggio di un’eventuale autostrada San Cristobal de las Casas-Palenque, come ha denunciato la giunta di buon governo di Morelia alcuni giorni fa.

Il turismo è la panacea dove c’è qualcosa di “bello” da sfruttare, per mascherare da “sviluppo” l’esproprio e la predazione privata. È la scommessa più ambiziosa dell’amministrazione statale, e federale, per quanto possibile. Il governo di Juan Sabines Guerrero investe grandi somme per “promuovere” le virtù turistiche del Chiapas.

Gli esempi abbondano. Le troupe di attori e vedette di Televisa e Tv Azteca si alternano nelle ore di maggior ascolto, sempre a carico all’erario. Panem et circenses. A volte li portano lì a passeggio, altre ad incoronarli o a portare e distribuire giocattoli ai poveri. Si investe anche in giornalisti di lusso del mondo intero. A dicembre è venuto a farci il favore di un reportage il “viaggiatore ozioso” del The New York Times, ma il meglio sono gli inviti, come ai giornalisti della Svizzera: “Il governatore dello stato del Chiapas invita i giornalisti del Club Stampa Svizzero a visitare il paese tra il 10 ed il 22 febbraio 2009. Tutte le spese in loco (visite, trasferimenti, alloggio) saranno a carico del governo del Chiapas. Solo il biglietto aereo per il Messico, andata e ritorno, sarà a carico dei partecipanti”.

Poi si descrive il Trip to Chiapas con tutti i dovuti “luoghi comuni”, con allettanti promesse come la vita notturna di una vera little New York, perché adesso sembra che Tuxtla Guitiérrez “è meglio conosciuta come la ‘piccola New York’ per la sua vita notturna, mentre San Cristóbal de las Casas è la ‘nuova Soho’. Venite e scoprirlo”. Alla gastronomia locale si attribuisce “uno dei menù più prelibati del mondo”.

La passeggiata comprende “risorse naturali (petrolio, elettricità, settore minerario); cultura (maya, popoli indigeni, artigianato, intellettuali ed artisti); economia (investimenti stranieri diretti, come gli investimenti svizzeri nella pesca, piantagioni di cacao e nell’industria turistica); politiche di inclusione (avanzamenti democratici, migrazione) e la presenza delle Nazioni Unite (agenzie ONU che lavorano congiuntamente nell’agenda per lo sviluppo)”.

Mentre si diffonde tanta bellezza, le autorità ejidali e comitati di difesa dell’ejido San Sebastián Bachajón (Chilón), aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN nella regione autonoma San José en Rebeldía, che sono stati perseguitati dalla Opddic, il 28 dicembre scorso hanno fermato quattro assalitori di turisti e automobilisti sulla strada Palenque- Incrocio di Agua Azul-Xahanil ed Ocosingo, “nel tratto dei 7 chilometri del centro ecoturistico di Agua Azul”. I fermati avevano appena fatto una rapina di fronte alla comunità Salto de Tigre. Si tratta di un problema ricorrente di cui si dà la colpa ai contadini autonomi o indipendenti, con l’intenzione di criminalizzarli.

Sulla base di testimonianze oculari, gli ejidatari hanno fermato Gaspar Silvano López, Juan Pérez Hernández, Sebastián López Hernández e Nicolás Guzmán López. “Sul luogo del fermo sono stati trovati molti oggetti appartenenti a turisti e persone che erano state derubate”. Gli ejidatari hanno poi deciso di consegnare i fermati al Ministero di Giustizia di Palenque.

Intanto, ejidatari indipendenti di Ruiz Cortines, a Misol Há, e basi di appoggio dell’EZLN ad Agua Clara, si oppongono ai piani turistici portati avanti nonostante l’opposizione delle comunità, piani che qualificano “di sviluppo ingiusto per noi come indigeni”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 11 gennaio 2009

Appoggiati da uffici del governo “montano” provocazioni e false denunce

Priisti chiapanechi attizzano il conflitto contro i simpatizzanti dell’EZLN

HERMANN BELLINGHAUSEN

Municipio autonomo Comandanta Ramona, Chis. 10gennaio. Il luogo dove, proveniente dal fiume Agua Azul, Agua Clara dà il nome ai dintorni e ad uno stabilimento balneare che normalmente era abbandonato, alcuni mesi fa era stato occupato dagli zapatisti della comunità dando avvio ad un’esperienza turistica semplice ed innovativa. “Occupato” è un modo di dire. Tutte queste terre erano state recuperate dopo l’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Lo stabilimento balneare e le terre circostanti erano di proprietà di un certo Coutiño, di Tuxtla Gutiérrez. Zapatisti ed indigeni di altre organizzazioni “recuperarono” la proprietà e la terra bastava per tutti. Erano contadini, non guide turistiche, cosicché lo stabilimento balneare rimase semi-abbandonato.

Ma non è un posto qualsiasi. È uno dei più bei luoghi nel bacino degli spettacolari fiumi Tulijá, Aga Azul e Bascán che scendono nella selva e sono loro stessi selvaggi. Agua Clara è di quegli alvei azzurro-smeraldo con tronchi sommersi che sembrano incrostazioni d’ambra, soprattutto in inverno.

I turisti hanno continuato ad arrivare. Nel sessennio foxista, la Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CD), spinse la costruzione di una pensione con alcune stanze ed aggiustò strade e palapas, anche se le rive sono rimaste naturali ed intatte. Se ad Agua Azul questi investimenti così come nel lontano hotel Las Guacamayas dei Montes Azules, qui no.

Gestito da gruppi filogovernativi di Santa Clara, noti come priisti dell’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), il progetto cadde nell’abbandono e le strutture del CDI morirono.

Nel 2008 le basi zapatiste decisero di pulire lo stabilimento balneare e ristrutturarlo e, con l’accordo dei commissari della parte ejidale di Agua Clara (i priisti), rimase a carico della giunta di buon governo (JBG) di Morelia. Oggi, consigliati dal Partito Rivoluzionario Istituzionale dello stato, i primi hanno disonorato l’accordo, assumendo atteggiamenti ostili, montando provocazioni e false denunce con l’appoggio degli uffici stampa governativi e dei media filogovernativi.

In possesso di La Jornada c’è una copia dei verbali firmati da priisti e zapatisti il passato 14 ottobre nell’ejido Santa Clara, municipio Salto de Agua: “Le autorità della JBG, consigli municipali e le autorità di questo ejido riunite nella scuola primaria per redigere un verbale di accordo con gli ejidatari e consiglieri del municipio Comandanta Ramona per il fatto che nell’ejido sopraccitato si trova una struttura ecoturistica”.

Il documento, con firme e timbri in calce dei rappresentanti ejidali ed autonomi, dice: “Entrambe le autorità manifestano concordi che quell’area sarà controllata con la JBG. Si concorda inoltre che questo avverrà conformemente alle indicazioni della Legge Rivoluzionaria dell’EZLN. Successivamente saranno rese note le aree delimitate dalle organizzazioni. Sono 19 mila 215 ettari”.

Ci sono le firme di Pascual Pérez Gómez, Santiago Deara Gómez e Jacinto Hernández Moreno, commissario, consigliere di vigilanza ed agente ausiliare ejidali, rispettivamente, e tre membri del consiglio autonomo Comandanta Ramona. Ed i timbri di ognuno.

Ciò nonostante, da dicembre i priisti sono diventati ostili accusando gli zapatisti di quello che loro stessi facevano. Hanno parlato di aggressioni e del presunto arrivo di zapatisti armati. Quelli che sono arrivati sono gruppi di autonomi della regione Tzot’z choj per fare la guardia e partecipare alla ristrutturazione del luogo.

Oggi, quando esistono due “caselli” di pedaggio, uno dei priisti ed un’altro degli autonomi, il conflitto è attizzato dagli ejidatari di La Concordia (sic) che chiedono al Congresso ed al governo dello stato di “risolvere un problema di convivenza” con “presunti zapatisti”. Ed i priisti di Agua Clara, guidati da Pascual Hernández, vessano gli abitanti ed hanno inventato “sparizioni” ed aggrediscono i turisti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Irruzione della ORCAO

La Jornada – Sabato 10 gennaio 2009

TENSIONE NEL CARACOL PER L’ARRIVO DI 220 ELEMENTI DELLA ORCAO

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ejido Morelia, Chis. 9 gennaio. Provenienti da Sibacá (Ocosingo), alle 8 circa sono arrivate 50 persone dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) a bordo di tre camion fino ai cancelli del caracol zapatista e, colpendoli, hanno cercato di entrare con la forza. Non sono riusciti a rompere la catena ed hanno desistito. Nelle ore successive sono arrivati altri veicoli. Alle 11 erano orami 220 persone e 19 tra camion e furgoni. Tra grida e minacce, guidati dal dirigente José Pérez Gómez, chiedevano di entrare per parlare con la giunta di buon governo (JBG).

In realtà, la JBG aveva accettato di discutere con la Orcao la proprietà del podere Chijtal, terre recuperate dalle basi zapatiste nel 1994 nella regione autonoma Che Guevara del municipio Lucio Cabañas, e che reclama l’organizzazione di coltivatori di caffè, di filiazione perredista.

“Loro si sono spaccati e le terre sono rimaste nelle mani dell’EZLN. Le terre recuperate sono già state misurate ma c’è stato un accordo per aprire una discussione con i fratelli della Orcao”, ha detto la JBG a La Jornada.

La JBG aveva acconsentito a ricevere 15 rappresentanti della Orcao, ma questi insistevano per 30, adducendo che era il numero di comunità presenti, anche se quelle dichiarate sono solo 12, come risulta dal documento, completo di timbri e firme, lasciato in terra fuori del caracol. Il clima era teso. Minacciavano di irrompere nella sede autonoma. Presto sono iniziati ad arrivare veicoli con basi di appoggio zapatiste delle comunità della regione Tzot’z choj che sono entrati direttamente nel caracol, senza scontrarsi con i contadini tzeltales, che si sono dichiarati perredisti o priisti.

Col gruppo dell Orcao c’erano anche Nicolás López Gómez, Leticia Sántiz López e María Cleopatra Carrillo Cabrera, rappresentanti di Unorca e dela denominata Commissione delle Donne. Hanno accusato la JBG di “non avere buona volontà non ricevendo la commissione proposta”. Più tardi, la stessa JBG dichiarava che “la commissione proposta” era una provocazione, ma non si sono mai rifiutati di ricevere quelli della Orcao. “Li stavamo aspettando per una riunione”. In realtà, Orcao aveva mancato ad un appuntamento precedente.

Un altro problema era nell’aria, benché non in relazione con quanto si doveva discutere. Data lo scorso 26 novembre, quando Juan Urbina, dipendente di una ditta costruttrice di Macuspana (Tabasco), con un contratto del costruttore López Flores, di Yajalón (Chiapas), distrusse col suo macchinario la tubatura che porta l’acqua nella comunità Patria Nueva, vicino a Sibacá e sede della regione Primero de Enero del municipio autonome Lucio Cabañas, dove abitano zapatisti e “orcaisti”.

Il dipendente e l’impresa si erano impegnati a riparare il danno sia sulla tubatura che sulle strade del villaggio. Patria Nueva è da un mese e mezzo senza acqua. Non l’hanno fatto. Neanche “il problema non è nemmeno con la Orcao, ma con la compagnia”, ha spiegato  più tardi un membro della JBG circondato dai suoi compagni.

Dopo settimane di proteste, la mattina di ieri gli zapatisti hanno fatto venire Urbina al caracol. Non avendo risolto il problema, è stato trattenuto dalla JBG fino alla mattina di oggi, quando ha rinnovato il suo impegno di ripristinare la tubatura distrutta e se n’è poi andato a bordo della sua auto.

Da parte sua, e “approfittando del viaggio”, quelli della Orcao volevano oggi discutere con la JBG la questione di Chijtal ed altre faccende sulle quali non ci sono impegni: i diverbi per la strada Patria Nueva-San Marcos edil tratto  la parentela Corazón de María-Ojo de Agua. Inoltre, in quest’ultima località la Orcao ha bloccato il passaggio ed impedisce alle basi zapatiste di trasportare legno per costruire nuove strutture nella scuola autonoma di Primero de Enero.

Il concentramento di “orcaisti” è durato fino alle 13:30. Prima di ritirarsi hanno insultato e minacciato gli osservatori internazionali che si trovavano nel caracol, provenienti da cinque paesi.

Quelli della Orcao “gridavano insulti, come è loro abitudine”, ha raccontato la JBG. Se ne sono andati gridando “morte all’EZLN” e “che muoiano di sete”, riferendosi alla tubatura rotta a Patria Nueva).

“La provocazione è stata della Orcao”, ha dichiarato la JBG. Nel pomeriggio nel caracol c’erano diverse centinaia di indigeni zapatisti. “I compagni sono venuti a proteggere, non a scontrarsi”.

Questi fatti avvengono nel contesto di molti conflitti nella regione avvenuti nei giorni scorsi sui quali ci sono state informazioni confuse, false o contraddittorie, ma che prefigurano una situazione potenzialmente esplosiva. Dall’attacco di Orcao agli zapatisti a Bosque Bonito, il giorno 5, a seguito del quale si era detto falsamente che c’erano 14 morti, fino alle divergenze tra priisti e zapatisti nello stabilimento balneare Agua Clara, dove si era parlato di tre desaparecidos, risultato falso.

Oggi è stato comunicato, con molta imprecisione, un altro scontro tra contadini filogovernativi e presunte basi zapatiste nellejido Agua Azul, nella gola di Taniperlas (niente a che vedere con le cascate di Agua Azul a Tumbalá). Deve essere confermato. Una settimana prima, un altro scontro a Palenque era stato falsamente attribuito agli zapatisti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Quinto Vento: Una degna e femminile rabbia.

Buona sera a tutte e tutti.

Compagne e compagni dell’Altra Campagna e della Sesta Internazionale.

Fratelli e sorelle del Messico e del Mondo.

Compagni e compagne, fratelli e sorelle che siete qui a questo Primo Festival della Degna Rabbia.

A nome delle mie compagne e compagni basi di appoggio, delle e degli insurgentes e miliziani, delle e dei responsabili locali e regionali del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, delle Giunte del Buon Governo, dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e delle e dei compagni che prestano servizio nelle diverse attività dentro ai territori Zapatisti.

A nome loro faccio uso della parola. Vi racconterò del lavoro, la partecipazione e l’organizzazione delle donne nei territori zapatisti.

Come gia sapete, da quando è nata  la nostra organizzazione zapatista si sono promosse la partecipazione e l’organizzazione delle donne. Si è fatto in modo che siano uguali agli uomini nella partecipazione a qualsiasi tipo di attività: politica, economica, sociale e militare.

Quando abbiamo dato il posto che spettava alle donne affinché potessero lavorare all’interno dell’organizzazione, all’inizio è stato difficile sia per gli uomini che per le donne, perché avevamo nel cuore e nella testa che quello non era il nostro lavoro. Il nostro lavoro di donne era solo stare a casa, badare ai figli, aspettare il marito e altre cose che a noi tocca fare.

Ma grazie a quelli che diedero inizio e vita alla nostra organizzazione, che diedero importanza alle donne, noi abbiamo iniziato a chiamarci compagne in lotta. In questo modo diedero nome, vita e volto alle donne. Ma soprattutto, per le donne indigene, perché siamo noi quelle che più subiamo lo sfruttamento, il disprezzo, l’umiliazione e l’abbandono a tutti i livelli della vita.

Per questo diciamo grazie all’organizzazione zapatista che ci ha permesso di nascere nuovamente, tanto agli uomini come alle donne. Ci hanno dato la luce, ci hanno dato speranza e ci hanno dato la vita. In maniera tale che un giorno fiorirà quello che speriamo: cioè che le donne abbiano gli stessi diritti e siano considerate in tutto e per tutto uguali.

Per questa ragione abbiamo avuto donne degne e ribelli, quelle che ci diedero la vita e il lavoro affinché la nostra organizzazione potesse crescere. Durante questi 15 anni di lotta e resistenza ci sono state donne che hanno potuto prestare la loro opera e partecipazione a tutti i livelli.

Per esempio, in politica, ci sono state donne nella dirigenza della nostra organizzazione come Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Come responsabili locali e regionali e anche sono state nominate compagne per essere supplenti del CCRI. Le donne ormai partecipano alle assemblee dei villaggi. Partecipano alla discussione politica o nelle assemblee generali per eleggere le proprie autorità, come per esempio: le autorità municipali, le Giunte di Buon Governo, agenti municipali, comissari ejidali e comitati di educazione. E come responsabili locali, anche per elegere i propri “comandanti” politici nelle comunità.

Inoltre, ci sono compagne che già fanno parte di queste autorità. E ci sono compagne che si sono organizzate per trovare il modo di resistere e lottare ed anche per trovare soluzioni alle proprie necessità e per questo si sono organizzate per lavorare collettivamente in settori quali: panificazione, allevamento di animali, produzione e vendita di artigianato, orti per il consumo collettivo. Questi sono i lavori che stanno provando a portare avanti nei territori zapatisti. Inoltre ci sono donne che si stanno formando come promotrici di salute e di educazione autonoma. Questo perché poi possano condividere le proprie conoscenze e prestare i propri servizi gratuitamente nei villaggi.

Ci sono donne che si stanno preparando per conoscere ed usare le piante medicinali. E le compagne si stanno preparando per essere levatrici e hueseras (che aggiustano le ossa – n.d.t.), proprio come si curavano i nostri vecchi. Per questo è importante e necessario che riscattiamo quello che ci hanno lasciato i nostri antenati.

Sia nell’ambito della salute che dell’educazione, ci sono compagne che sono riuscite ad occupare il posto di coordinatrici generali in questi due settori.

Ci sono inoltre donne che nelle comunità zapatiste fanno attività come operatrici di radio di comunicazione, annunciatrici di Radio FM, e ci sono ragazze che si stanno preparando per essere fotografe.

Oltre a tutto questo ci sono compagne che sono arrivate ad essere miliziane ed insurgentes. E sono arrivate ad essere comandanti militari nel nostro Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Tutte queste mansioni e attività che le donne svolgono nelle cinque zone zapatiste sono per esercitare i nostri diritti, il nostro dovere come zapatiste. Benché non sia stato facile per noi, stiamo facendo e faremo sforzi e sacrifici per applicare quello che prevede la Legge Rivoluzionaria delle Donne.

Ma dobbiamo ringraziare anche i compagni che hanno capito l’importanza della partecipazione delle donne. Ma, soprattutto, i compagni che ormai lasciano uscire le loro compagne per andare a lavorare. Anche se per i compagni non è facile, stanno facendo quello che chiede la nostra organizzazione. Per questo noi donne non dobbiamo farci più da parte. Dobbiamo prepararci sempre di più. Per poter continuare ad andare avanti e progredire il più possibile a tutti i livelli di lavoro.

Perché dobbiamo farlo noi donne che siamo in questo mondo, che è un mondo dove ancora le donne non hanno volto, nome né voce per i capitalisti e neoliberisti. Per questo è ora di esercitare e far valere i nostri diritti. Ma, per fare tutto questo, bisogna avere volontà, decisione, forza e ribellione. E non dobbiamo chiedere permesso a nessuno.

Quello che sto facendo e dicendo non è un’invenzione, né immaginazione. Ma è una realtà. Lo abbiamo dimostrato nel Terzo Incontro che si è svolto nel Caracol di La Garrucha, un anno fa. Lì abbiamo parlato e spiegat i nostri lavori come donne.

Ma voglio anche essere sincera e dirvi, fratelli e sorelle, compagni e compagne, che ancora in alcuni villaggi e regioni in territorio zapatista manca il’opera e la partecipazione delle donne. È che i compagni e le compagne non hanno ancora capito con chiarezza l’importanza della partecipazione delle donne. Ma lotteremo ancora per riuscire a compiere quello che è essere zapatiste e rivoluzionari.

Ma durante questi 25 anni dalla nascita dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, e 15 anni dalla nostra insurrezione armata, abbiamo fatto importanti progressi. Soprattutto, la partecipazione delle donne è a quasi tutti i livelli. È che 25 anni fa non c’erano comunità zapatiste. C’era solo ignoranza, schiavitú e oblio.

Quindici anni fa non c’era donne che nella dirigenza politica. Ma in questi 15 anni di lotta e resistenza ci siamo inserite a poco a poco nei differenti livelli di attività.

E ci siamo rese conto che possiamo pensare e decidere. Possiamo occupare incarichi come i compagni. Ma il poco che siamo riuscite a fare in questi quindici anni non è sufficiente. C’è ancora molto da fare.

Ora, i nostri popoli, la nostra patria che è il Messico, ed il nostro pianeta Terra, hanno bisogno che gli uomini, le donne, i bambini, le bambine, i ragazzi e le ragazze, gli anziani e le anziane, si ribellino e lottino ed abbiano dignità e rabbia.

Dobbiamo avere nella nostra mente e nel nostro cuore queste due cose importanti, che sono ciò che ci fa andare avanti, fino ad ottenere quello che vogliamo.

Infine, vogliamo rivolgere un appello a tutte le donne del Messico e del mondo a che uniamo le nostre forze, la nostra voce, la nostra ribellione e la nostra rabbia. Che lottiamo per i nostri diritti, per la nostra autonomia e per costruire un mondo dove possiamo stare tutti.

Democrazia, libertà e giustizia.

Molte grazie.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Comandante Hortencia

Chiapas, Messico, 4 gennaio 2009

(Traduzione a cura Andrea e Annamaria)

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Aggressione a Bosque Bonito.

La Jornada – Venerdì 9 gennaio 2009

L’aggressione a Bosque Bonito è avvenuto per interferire con il Festival de la Digna Rabia

ZAPATISTI: I MALGOVERNI SONO COMPLICI DEGLI ABUSI DELLA ORCAO

Hermann Bellinghausen

Ejido Morelia, Chis., 8 gennaio. “I compagni non hanno usato violenza né armi. Gli unici aggressori sono quelli della”, dice il comandante Zebedeo, accompagnato dai contadini zapatisti aggrediti lo scorso lunedì a Bosque Bonito dai elementi dell’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao); tra loroi ci sono tre feriti con le bende e le medicazioni in testa e in faccia. Diego Sántiz López ha una vistosa fasciatura che gli copre la guancia.

Con ironia Zebedeo si riferisce alla “doppia maschera” sul viso di Diego: “quella della ferita e quella che lo identifica zapatista”, e è il motivo – ha detto – “della nostra indignazione” davanti al tentativo di quelli della Orcao di “interferire” nel Festival della Degna Rabbia che finiva a San Cristobal de las Casas lo stesso giorno dei fatti di Bosque Bonito.

“Questo dà ragione a quello che stiamo dicendo a proposito della rabbia. Quello che i compagni vogliono è una vita dignitosa, il buon esercizio, libero e autonomo, dei popoli indigeni”.

Cede la parola ai suoi compagni, circa 15 contadini tzeltales. Raccontano praticamente diffuso ieri dalla giunta di buon governo (JBG) dal caracol Torbellino de nuestras palabras, in cui denunciava, inoltre, che “i cosiddetti governi non fanno niente contro questa gente della Orcao, e la Segreteria della Riforma Agraria si rende complice perché queste persone che occupano la terra, poi la cominciano a vendere e la trasformano in commercio. Quando non ne hanno più nemmeno un pezzettino da lavorare per vivere, tornano ad occupare un altro terreno”.

Bisogna ricordare che dopo la rottura – sette anni fa – dell’accordo collettivo con le basi zapatiste nella comunità Moisés Gandhi, quelli della Orcao costruirono un caseggiato ai bordi della strada e lo chiamarono “Jetjá”. In tutti questi anni, il caseggiato, su terre  “concesse” dal governo di Pablo Salazar Mendiguchía, è rimasto semideserto.

Le autorità autonome hanno dichiarato ieri: “Non ci sarà nemmeno un millimetro di terra per loro e sappiano che questo lo pagheranno molto caro, perché il sangue non si compra né si vende. Nella proprietà dove lavoriamo collettivamente, quelli della ORCAO sono venuti a disboscanre ed il governatore Juan Sabines non fa niente”.

La Orcao, “organizzazione che si definisce indipendente” che la JBG identifica come “lopezobradorista”, ha causato “caos” sulla strada San Cristobal-Ocosingo facendo dei posti di blocco. “Ad ogni utente chiedono da 50 a 200 pesos; fanno questi blocchi per fare pressione sul suo papà governo perchè gli assegni altri progetti, e siccome la risposta dei malgoverni è negativa, chiudendo le porte anche alle briciole, i leccapiedi si offendono e estorcono soldi agli utenti che sono anche loro poveri, ma a loro non importa perché il leader della Orcao, José Pérez ed i suoi complici, hanno imparato bene dalle corruzioni del presidente municipale (di Ocosingo, Leonel Solórzano), dei governi statale e federale”.

Citano come prova che il lunedì scorso “il problema si stava placando ed hanno subito fatto un blocco nello stesso posto chiedendo 50 pesos per automobile senza che  Juan Sabines facesse qualcosa” perché “presto avrà bisogno dei loro voti”.

I giornalisti che nella notte sono arrivati all’incrocio di Cuxuljá hanno trovato ubriachi ed aggressivi i tizi che facevano il blocco, ed è stato meglio evitarli.

Secondo la JBG, nelle azioni di questa organizzazione si vedono chiaramente i piani dei grandi impresari per tenerli sono controllo, istruiti a dovere, trasformati in fannulloni ed addomesticati con i soldi facili; insegnando agli indigeni a trasformare in un affare le risorse naturali, e con i pesos, li stanno allontanando dal lottare per esercitare i loro diritti come indigeni, e non parliamo di cercare una vita migliore.

“Ci spezza il cuore vedere indigeni farsi complici dei malgoverni nel vendere la sovranità del nostro paese ad impresari stranieri. Nei nostri territori zapatisti della zona Tzot’z choj ci sono diverse miniere che sono disposti a vendere ad impresari stranieri, ed i venditori e distruttori della natura e della nostra madre terra sono questa coppia di asini di Felipe Calderón e Juan Sabines. Loro non pensano mai di consultare gli indigeni, anche se questi sono dentro il PRI, il PAN ed il PRD; non li prendono nemmeno in considerazione, e tanto meno noi”.

La JBG ritiene che quelli della ORCAO sono dentro questo gioco senza rendersene conto”. E sottolinea: “La grossa minaccia alla nostra salute, tranquillità, cultura e risorse naturali in questa zona è l’apertura dell’autostrada San Cristobal-Palenque, non perché porta benessere e sviluppo agli indigeni, al contrario, ci porterà la morte, il disprezzo ed il totale saccheggio dei nostri beni.

“La trappola – aggiunge – è che stanno ottenendo l’apertura dell’autostrada negoziando persona per persona, mano a mano che avanzano i lavori, per passare su terreni ejidali senza tenere in considerazione la decisione delle assemblee, e forse parleranno con i commisari dell’ejido ma che condividendo l’osso che gli sta allungando Calderón e Sabines”.

La situazione “da brivido” di esproprio di terre nella zona “e maggiormente il programma del malgoverno di privatizzare le nostre ricchezze naturali, sono la ragione della nostra resistenza, e soprattutto la virtù della degna rabbia che è nazionale, la ragione per unirci ed unire le nostre voci perché è necessario per evitare i saccheggi ed i furti che perpetrano ricchi”.

La JBG avverte: “Sappiamo bene che quando noi denunciamo le trappole dei malgoverni a loro non piace e cercano di reprimerci”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ondata di aggressioni.

La Jornada – Giovedì 8 gennaio 2008

L’ondata di aggressioni è cominciata lunedì

DENUNCIATE NUOVE AGGRESSIONI DELLA ORCAO

Hermann Bellinghausen

Bosque Bonito, Chis. 7 gennaio. La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arco iris de la esperanza ha denunciato l’aggressione di elementi dell’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) contro basi di appoggio zapatiste della comunità Moisés Gandhi, nella regione zapatista Tzotz’choj, vicino alla crocevia di Cuxuljá.

L’aggressione, avvenuta lunedì, ha lasciato sul terreno tre zapatisti feriti. Quel giorno ed i seguenti, elementi della Orcao ed il governo dello stato sostenevano il contrario davanti alla stampa, e senza fare chiarezza sull’episodio, riferivano di cinque “feriti lievi” della Orcao, che sarebbero stati gli aggrediti. Quello stesso giorno si diffuse per radio, a Città del Messico, la versione di “14 morti”, che ovviamente non ci sono stati.

In quei momenti si concludeva a San Cristobal de las Casas il Festival della Degna Rabbia, convocato dall’EZLN. I fatti sono avvenuti a Bosque Bonito, un terreno recuperato dopo la sollevazione armata del 1994.

Il pomeriggio di oggi sono tornati a circondare la proprietà circa 30 membri della Orcao, alcuni armati. A meno di un chilometro, verso Abasolo, si sono appostati diversi veicoli della Polizia Statale Preventiva e Stradale. Al tramonto, entrambi i gruppi si sono ritirati.

I problemi sono cominciati il 2 gennaio. Basi zapatiste che coltivano il podere hanno trovato tagliato il recinto del pascolo ed una mucca era sparita. La JBG riferisce: “Sono andati a cercarla ed a controllare il recinto ed hanno scoperto che quelli della Orcao avevano tagliato nove tratti del recinto”. Lo stesso giorno “quelli della Orcao di Cuxuljá hanno tagliato 35 alberi di caffè di proprietà del nostro compagno Pedro López Sántiz”. Gli zapatisti assicurano che “spesso vengono a fare danno nel nostro raccolto”.

Domenica 4 i contadini hanno trovato la mucca “ferita da machete nella zampa destra” e verso le cinque del pomeriggio sono arrivate circa 30 persone della Orcao, “con parole volgari e minacciando di toglierci la terra con le buone o con le cattive, perché noi zapatisti non contiamo più niente e non esistiamo più, e che il nostro compagno subcomandante insurgente Marcos si è venduto ai neoliberisti”.

Secondo la JBG, i loro compagni non hanno risposto alla provocazione. Mentre si ritiravano, “il gruppo della Orcaoè rimasto sul posto minacciando col machete e colpendo il palo della luce che si trova sul terreno. Più tardi i nostri compagni sono tornati sul posto ed hanno scoperto il recinto di filo di ferro che circonda il pasolo, tagliato in 16 punti”.

Il giorno 5 gli zapatisti si sono organizzati per aggiustare quello che avevano tagliato quelli della Orcao”. Sono arrivati alle 7:30 “con l’intenzione di lavorare, senza nessuna intenzione di farsi risarcire il danno”.

La testimonianza raccolta dalla JBG spiega: “Stavamo lavorando tranquillamente pulendo il prato, quando 60 elementi della Orcao si sono avvicinati attraversando un ruscello e con la totale intenzione di colpirci con machete, bastoni, lanciasassi e pietre, ma per lo più hanno usato dei bastoni appuntiti lanciandoli contro di noi.

“Mentre quelli della Orcao avanzavano, i nostri compagni sono retrocessi di 100 metri, ma loro continuavano a venire avanti”. Trovandosi a 15 metri dagli aggressori, Diego Sántiz Gómez, base zapatista, è stato raggiunto da un bastone trasformato in lancia che gli ha provocato una profonda ferita alla bocca. “Nicolás Sánchez López si è avvicinato al nostro ferito e, mentre lo soccorreva, è stato raggiunto da un bastone che lo ha ferito in fronte. Anche Jacinto López Sántiz, di 60 anni, è stato picchiato brutalmente ed ha ferite in testa e nella schiena”.

Un gruppo di circa 60 basi zapatiste presenti all’aggressione “si sono di nuovo ritirati di altri 100 metri ed un’altra volta quelli della Orcao sono avanzati continuando a minacciare ed i nostri compagni, vedendosi raggiunti, hanno risposto con gli stessi bastoni scagliati da quelli della Orcao, e questi si sono messi a piangere”.

La JBG “afferma” che “sono stati quelli della Orcao a provocare questo scontro perché i nostri compagni non hanno risposto agli insulti ed alle minacce”. Hanno identificato alcune delle persone armate: “Marcos López Gómez aveva una pistola di calibro sconosciuto; Joaquín López Gómez aveva una pistola di calibro sconosciuto; Antonio López Sántiz aveva una carabina 22 a 16 colpi”. Un altro, non identificato, aveva un’altra carabina 22.

Gli aggressori, perredisti conosciuti come “lopezobradoristas”, sono abitanti di Cuxuljá, Campo Virgen e Abasolo (municipio ufficiale Ocosingo). In precedenza avevano già occupato il podere Gracias a Dios “e Marcos López Gómez lo vendette”. Quello della Orcao ci hanno sottratto altri lotti”. Sono le stesse persone che nel 2000 hanno tentato di bruciare il negozio collettivo di zona a Cuxuljá, all’incrocio Altamirano-San Cristobal-Ocosingo. “Adesso vogliono toglierci la nostra terra”, aggiunge la JBG.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 7 gennaio 2009

Essere in tanti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, dichiara a chiusura del festival

Marcos ai sostenitori dell’EZLN: “Non facciamo della nostra forza una debolezza”

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 6 gennaio. “Vogliamo dirvi, chiedervi, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere in tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina e creare qualcosa di nuovo. Vogliamo chiedervi che anche questo nuovo sia differente”. Con queste parole il subcomandante Marcos ha riassunto ieri sera il messaggio principale della delegazione zapatista a chiusura del primo Festival della Degna Rabbia.

“Voi e noi abbiamo visto e sentito questa rabbia accumulata”, ha detto davanti ai presenti che affollavano le sale dell’Università della Terra fino all’ultima sessione dell’evento.

“A noi non preoccupa chi, o come, o con che cosa si dirigerà questa rabbia. Non ci preoccupa la velocità del sogno. Abbiamo imparato a fidarci delle persone. Non hanno bisogno di chi li guidi. Si dotano delle proprie strutture per lottare e vincere. Prendono nelle proprie mani i loro destini, e lo fanno meglio dei governi che vengono imposti da fuori”.

Invece, “ci preoccupa la direzione e la destinzione”, ha detto. E che “il mondo che partorirà la nostra rabbia somigli a quello che oggi subiamo”. Ha ammesso che “l’EZLN ha avuto la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità”. Ma “i popoli ci hanno insegnato che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto”. Con L’Altra Campagna non ci siamo proposti di organizzare e guidare tutto il Messico”.

Riprendendo un concetto del pensatore Jean Robert, ha dichiarato: “Riconosciamo i nostri limiti, le nostre possibilità, la nostra ‘dimensione’ “. Si è pronunciato “per mettere in relazione le nostre rispettive dimensioni, affinché il paese che ne risulti, il mondo che verrà, sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato”.

Nella prima parte del suo intervento intitolato “Alcuni morti degni e rabbiosi”, Marcos ha risposto, senza citarne i nomi, alle domande di Jesusa Rodríguez e Liliana Felipe pubblicate questo lunedì da La Jornada:

“Due persone che amiamo e rispettiamo, forse con loro dispiacere, ci domandano cosa givi al movimento zapatista il fatto che Marcos denigri il movimento lopezobradorista. E che ogni volta che compaio davanti ai media lo faccio, tra le altre cose, per insultare AMLO. Bene, non sono davanti ai media, sono passati i tempi, ma sto ascoltando persone che lottano e pensano in diversi angoli del pianeta”.

C’è stato tempo per spiegare come il CCRI-CG dell’EZLN organizza il suo lavoro. Ha spiegato che i popoli zapatisti formano zone. Ognuna “ha una struttura organizzativa, ora parallela a quella di autorità autonoma” dove c’è “un comando collettivo organizzativo”. Non militare, ha sottolineato.

Tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques, mames e meticci “hanno i loro problemi e ‘modi’ di affrontarli o risolverli”. L’EZLN è “un ponte di unione tra le zone”. Inoltre, “gli tocca” rappresentarli all’esterno.

Così, “anche se è comandante negli Altos, Hortensia non parla a voi degli Altos, per sua voce parla la voce dell’EZLN”. Lo stesso è per “chiunque” del CCRI-CG. “Quando Marcos o chiunque di noi parla in pubblico”, non lo fa “a titolo personale”.

Ha ricordato che nel 2006, durante la carovana dell’AltraCampagna e “nei giorni più vergognosi” della repressione ad Atenco, “siamo stati insultati ed aggrediti in atti pubblici e riunioni da parte del movimento lopezobradorista. Se abbiamo resistito 500 anni di tentativi di dominazione ed annichilimento, 25 nelle montagne, 15 di assedio militare, non vediamo perché non potremmo resistere alle grida isteriche, alle calunnie, alle bugie, alle denigrazioni ed ai veti giornalistici del lopezobradorismo”.

I partiti politici, ha detto, “possono dire una cosa e fare il contrario”. Questo si constata “in qualsiasi posto in cui sono al potere”, perché “il loro criterio di congruenza è un altro. Per loro è la quantità che possono mobilitare, non importano i metodi”. Invece, “noi pensiamo che ognuno deve essere responsabile di quello che dice e fa”. L’EZLN è sempre stato responsabile, e ci mette la vita”.

Ha sfidato a che “ci dicano chi dei nostri ‘alleati’ sono persecutori, discriminatori ed assassini di indigeni. Noi sì abbiamo detto chi dei loro dirigenti e ‘alleati’ lo sono. Chi perseguita, vessa e taglia l’acqua ai nostri compagni zapatisti di Zinacantán sono quelli della CND lopezobradorista”. Ha affermato che “dentro e fuori” del suo territorio “sono simpatizzanti di AMLO; chiaro, oltre al governo federale, statale, municipale, i mezzi di comunicazione (ora tutti) l’Esercito, la polizia statale, la AFI, il Cisen, la CIA e gli amici che li sostengono”.

Marcos ha chiesto a cosa è servito al lopezobradorismo “allearsi coi Núñez, Monreal, Muñoz Ledo, Sabines, Albores, Kanter, Iruegas, gli ex funzionari indigeni di Fox e quelli che votarono contro gli Accordi di San Andrés”. Dove sono al governo “sgomberano, espropriano, reprimono, sfruttano, discriminano, corteggiano il potente e consegnano le ricchezze naturali allo straniero”.

Che cosa serve al movimento lopezobradorista, domanda, “non vedere né sentire i morti che sono di sua responsabilità. Possono dire che questo non è AMLO”. Ciò nonostante, ha detto, “un dirigente deve essere responsabile di quello che dice e fa lui ed il suo movimento. E così anche i membri di un movimento”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Si chiude il Festival

La Jornada – Martedì 6 gennaio 2009

Il Movimento Sin Tierra denuncia che il Messico è il laboratorio sperimentale del capitalismo

“IL MONDO PER IL QUALE LOTTIAMO NON È UNICO NÉ INDIVISIBILE”, SOSTIENE MARCOS

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 gennaio. Con le parole del comandante David si è chiuso questa notte il primo Festival Mondiale della Degna Rabbia, in una sessione in cui hanno parlato anche Pablo González Casanova ed il subcomandante Marcos, che ha sostenuto che per gli zapatisti “il mondo per il quale lottiamo non è unico né indivisibile.

“Non abbiamo scartato la possibilità di sbagliarci in qualcosa, in molto, o in tutto”, ha ammesso davanti ai relatori che hanno ribadito in diversi modi il loro rispetto, ammirazione e gratitudine alla lotta degli zapatisti.

González Casanova, fedele sostenitore del movimento zapatista (“sempre con umiltà”, ha riconosciuto Marcos) ha dichiarato che due momenti trascendentali della sua vita sono stati la rivoluzione a Cuba e l’insurrezione dei maya di Chiapas, e dopo aver ribadito il suo rispetto, riconoscimento ed identificazione con l’EZLN, si è pronunciato per avanzare nella “pedagogia dell’emancipazione” come percorso per i movimenti del presente e del futuro. Ha inoltre affermato che “la dignità non è negoziabile”, alludendo all’esperienza zapatista.

In riferimento ai contenuti del festival, il comandante David ha dichiarato: “Ascoltandovi, ci è chiaro quello che sta succedendo in altre parti, e si vede che non c’è molta differenza con quello che succede qui”. Le persone e i movimenti riuniti nell’Università della Terra, ha aggiunto, “desiderano fare qualcosa” ed ora “sappiamo che un’altra politica, un’altra strada, un’altra cultura, un altro tutto è possibile”.

Al festival questo è stato il giorno della terra. Nel suo significato più ampio: il suolo che calpestiamo. Chiaro, si dirà, oggi hanno parlato principalmente indigeni e contadini; oppure intellettuali legati alla “sporca terra”, come John Berger. Quella dove “tutti vivono”, come ha detto questa mattina il tenente colonello Moisés. Ma non solo per questo.

In un trepidante messaggio, il Movimento di Lavoratori Sin Tierra (MST) del Brasile ha esortato a difendere la terra, l’acqua, i semi. Dando una svolta tipicamente zapatista, Moisés ha spiegato che per gli indigeni del Chiapas la campagna è solo una parte della terra, e così le città, gli ospedali. Ed invitò a pensare “a che cosa serve tutto quello che si costruisce sopra la nostra madre Terra”.

Il senso di urgenza del festival (presente negli interventi precedenti sull’America Latina, a partire da quelli dei movimenti, che degli analisti, dirigenti sociali ed artisti) questo lunedì ha assunto il suo profilo definitivo: la lotta è per il mondo e l’umanità, non in maniera declaratoria, bensì letterale. Per la Terra.

Tra le altre cose, il MST ha denunciato che il Messico è “il laboratorio del capitalismo”, dove si sperimentano le politiche che poi si cercano di estendere ad altri paesi. Da Sao Paulo, in accordo con i suoi compagni di tavolo e di lotta, il dirigente Joao Pedro Stadile ha affermato che i principali nemici dei popoli sono le multinazionali, i loro organismi finanziari e commerciali, i gruppi di governo dei paesi ricchi.

Il MST ha auspicato “lotte di massa” contro quei nemici che vogliono tutto. “Ognuno avrà le sue tattiche da usare contro di loro, sicuramente anche in Messico”. Sono tempi, ha detto, “in cui bisogna continuare a seminare: la rabbia, l’indignazione, la speranza e l’unità latinoamericana”. Non è ancora tempo “di raccogliere”.

Parole più, parole meno, hanno sostenuto la stessa cosa Carlos Marentes, del Sindacato Agricolo di Frontiera “dell’altro lato” (nella “zona zero della migrazione mondiale”); Alberto Gómez, di Vía Campesina in Messico; Dolores Sales, rappresentante mam del Coordinamento Nazionale Indigeno e Contadino del Guatemala, e Juan Chávez, rappresentante purépecha del Congresso Nazionale Indigeno.

Le loro testimonianze e le informazioni, una sorta di summa del pianeta realmente esistente, sono state impressionanti. E stimolanti nella loro semplicità. América Millaray Painemal Morales, mapuche dell’Associazione Nazionale delle Donne Rurali ed Indigene del Cile, e Juan Chávez hanno portato dei semi. La prima come offerta simbolica; il secondo come dichiarazione di principio. Hanno dimostrato che un seme dice più di mille parole.

Tutti i problemi sono urgenti nell’attuale congiuntura storica. Nel festival convocato dall’EZLN sono stati affrontati inevitabilmente molti temi, perché oggi tutto è simultaneo: rischiano i semi, l’aria, il clima, la libertà, l’alimentazione, la natura, la dignità delle persone, la vita stessa. Ci sono crisi economica globale, guerre di conquista, stati agonizzanti. C’è bisogno di “un’altra politica” per fermare il disastro.

Sabato, il pensatore svizzero-messicano Jean Robert aveva espresso qui una convinzione: “La plausibilità di un altro presente passa per la difesa del territorio”. Il capitalismo è un “grande deterritorializzatore“, ha detto. Le resistenze risultano, inevitabilmente, riappropriazioni e riscoperte della “realtà territoriale”. Pertanto, i movimenti e le lotte non stanno più nelle idee, ma sul terreno.

“Quello che facciamo sopra la madre Terra deve essere a beneficio di tutte e tutti noi”, ha detto il tenente colonello Moisés. Per questo “dobbiamo pensare noi popoli indigeni e non indigeni come convivere sulla terra senza sfruttamento”. Ed organizzarsi, perché senza questo “non si può fare niente”.

Ed ha raccontato, con lampante semplicità, a mo’ di “esempio”, come il conferimento di terre ejidali a dei “proprietari” intrapreso nel paese è stato la via al saccheggio. Ha citato “l’odioso Salinas” che ha ingannato i contadini con la sua controriforma agraria contro quelli che sarebbero “i veri padroni”. Da lì le banche, l’ipoteca, la perdita delle terre. È lì dove la resistenza autonoma ha senso, perché non è caduta nella trappola. I comuneros ed ejidatarios zapatisti non hanno visto i loro figli rubare i documenti per venderli e pagarsi il viaggio verso il sogno americano, come in molte parti.

La resistenza per la vita è nella terra, dovunque essa sia.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Marcos sull’attacco a Gaza.

La Jornada – lunedì 5 gennaio 2009

Per gli zapatisti, “un esercito professionista sta uccidendo una popolazione indifesa”

MARCOS: L’ATTACCO DI ISRAELE CONTRO GAZA È LA “CLASSICA” GUERRA DI CONQUISTA

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis. 4 gennaio. Per gli zapatisti, a Gaza c’è “un esercito professionista che sta uccidendo una popolazione indifesa”, ha detto oggi il subcomandante Marcos dedicando un intervento fuori programma alla nuova guerra in corso.

Il penultimo giorno del Festival Mondiale della Degna Rabbia si è riempito di indignazione per l’attacco contro la Palestina e la repressione a Oaxaca avvenuta poche ore prima con la cattura di 20 persone che partecipavano ad una protesta pacifica contro l’invasione a Gaza davanti al consolato statunitense.

Nelle prime ore di questa domenica centinaia di partecipanti al festival che si tiene alla periferia di San Cristóbal, oltre i sobborghi indigeni di La Hormiga, sono arrivati nel centro della città per protestare contro l’invasione e chiedere la liberazione dei fermati della APPO. Ieri notte si è almeno ottenuta questa liberazione. L’inusuale marcia con le torce proveniente dalla Università della Terra, ha fatto chiudere le porte agli hotel ed ha fatto ricordare ad alcuni coletos [residenti di San Cristóbal – n.d.t.] la prima alba del 1994.

Nel pomeriggio Marcos aveva detto: “Non molto lontano da qui, in un posto chiamato Gaza, un esercito fortemente armato ed addestrato, quello del governo di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione”. Una guerra “classica” di conquista. “Primo un bombardamento massiccio per distruggere postazioni militari nevralgiche e indebolire i punti di resistenza”. Ha ricordato che venerdì, “lo stesso giorno in cui la nostra parola faceva riferimento alla violenza”, Condoleeza Rice dichiarava che quello che sta succedendo a Gaza era “colpa dei palestinesi, per la loro natura violenta”.

Ha affermato che prosegue “il ferreo controllo su tutto quello che si sente e si vede” nel mondo, “esterno al teatro di operazioni”, e “fuoco intenso di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe. Poi l’accerchiamento e assedio alla guarnigione, e l’assalto che conquisti la posizione annichilendo il nemico”.

Sulla base delle foto delle agenzie ha aggiunto, “i ‘punti nevralgici’ distrutti dall’aviazione israeliana sono abitazioni, capanne ed edifici civili”. Allora, “pensiamo che o gli artiglieri hanno una pessima mira o non esistono tali postazioni. Non abbiamo l’onore di conoscere la Palestina, ma supponiamo che in quelle case, capanne ed edifici abita o abitava della gente, uomini, donne, bambini ed anziani, e non soldati”.

Forse, ha sostenuto, “per il governo di Israele quegli uomini, donne, bambini ed anziani sono soldati nemici, e le capanne, case ed edifici dove abitano sono quartieri che bisogna distruggere. Sicuramente i fuochi d’artiglieria che questa mattina cadevano su Gaza erano per proteggere da quegli uomini, donne, bambini ed anziani l’avanzata della fanteria di Israele, e la guarnigione nemica che vogliono sconfiggere non è altro che la popolazione palestinese che vive lì, e che l’assalto cercherà di annichilire”.

Con la voce rotta ha dichiarato: “Le nostre grida fermano qualche bomba? La nostra parola salva la vita di qualche bambino palestinese? Pensiamo di sì. Forse non fermiamo una bomba, né la nostra parola si trasforma in uno scudo blindato”, ma probabilmente riesce ad unirsi ad altre e “si trasforma in mormorio, poi in una voce alta e quindi in un grido che si senta a Gaza. Noi zapatisti e zapatiste dell’EZLN sappiamo quanto sia importante che in mezzo alla distruzione e alla morte si sentano parole di incoraggiamento”.

Per il resto, secondo l’analisi di Marcos, “il governo di Israele dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, occulterà al suo popolo la dimensione del massacro ed i produttori di armi avranno ottenuto un guadagno economico”.

Il popolo palestinese resiste, sopravvivere e continuare a lottare, ha detto il portavoce zapatista. “Forse un bambino o una bambina di Gaza sopravvivranno e cresceranno e con loro cresceranno il coraggio, l’indignazione, la rabbia; forse diventeranno soldati o miliziani, forse affronteranno Israele e là in alto scriveranno allora sulla natura violenta dei palestinesi, faranno dichiarazioni di condanna di quella violenza e si tornerà a discutere di sionismo o antisemitismo. Nessuno chieder chi ha seminato quello che sta raccogliendo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Settimo Vento: alcuni morti degni e arrabbiati.

Buona sera.

E con noi oggi, dalla nostra parte, come lo è da 15 anni, il compagno Don Pablo González Casanova.

Non parleremo della sua capacità intellettuale, della brillantezza della sua analisi, della sua posizione dalla parte di chi lotta. Chiunque ha un po’ di memoria o cerchi nel passato, lo sa. Noi lo sappiamo.

A noi, zapatiste e zapatisti, non ha smesso di stupirci la sua semplicità e modestia verso di noi. Spero non si offenda, ma non sembra un intellettuale.

Questo compagno è stato con noi nei momenti buoni, cattivi e nei peggiori. É stato nella Commissione Nazionale di Intermediazione (CONAI) guidata a suo tempo da Don Samuel Ruiz García, dove ha potuto constatare, dal vivo e direttamente, il disprezzo ed il razzismo dei quali faceva sfoggio la delegazione governativa nei cosiddetti Dialoghi di San Andrés. Ha potuto constatare anche, credo, la fermezza e dignità dei miei compagni e compagne comandanti che formavano quella che era la nostra delegazione a quei malriusciti, a causa del governo, dialoghi.

Ve lo diciamo chiaramente, per noi questo uomo è un saggio. E come tale ha tenuto, almeno con noi, un’umiltà ed una semplicità che lo identificano più con i saggi dei popoli indios, che con i superbi “esperti” che, dalla comodità e privilegio dell’accademia giudicano e condannano una realtà alla quale sono sempre stati alieni.

A differenza di molte “grandi teste”, come il nostro Comandante Tacho chiama quelli di grandi idee, Pablo González Casanova, Don Pablo, come lo chiamiamo noi, non ha mai preteso di dirci che cosa dobbiamo fare, “darci la linea”, o darci ordini, o guidarci.

Ci ha detto, a volte personalmente, a volte per iscritto, quello che pensa di un o un’altra cosa. Su molte cose abbiamo coinciso e la sua parola ha arricchito il nostro cuore. Speriamo che la nostra sia servita a qualcosa nella sua saggezza.

Su altre cose abbiamo dissentito ed abbiamo discusso. Ed anche qui ci ha stupiti la sua semplicità ed il senso dell’umorismo, a volte acido come il nostro, con cui imbastisce critiche e osservazioni.

Forse perché una delle cose su cui concordiamo è che il pensiero non deve essere uno, solo, unico ed unanime, e che la critica, la dissidenza e la discussione non significano, il più delle volte, passare dall’altra parte.

Ho detto prima che Don Pablo è un uomo saggio. Come ho spiegato giorni fa, la saggezza, secondo noi zapatisti, non consiste nella specializzazione del pensiero, nel sapere molto di una piccola parte della realtà. Neppure è sapere un po’ di tutto. Secondo il nostro pensiero, la saggezza consiste nel saper leggere quello che segue ed interpretare quello che precede, per capire quello che succede. E così conoscere e rispettare i mondi che ci sono nel mondo.

Questo, che sembra uno di quei giochi di parole tipici degli zapatisti, è quello che, come racconterà il Vecchio Antonio nel settimo dei racconti, ci hanno insegnato i nostri morti. Così ci hanno formato.

Non pretendiamo di dire che questo modo di pensare il mondo e di agire nel mondo e con lui sia il migliore. Probabilmente non lo è. Quello che sappiamo è che non è l’unico. E che, così come noi abbiamo fatto i nostri passi ed avuto i nostri intoppi seguendo questo pensiero, altri, altre, hanno ed avranno altri pensieri e, di conseguenza, hanno fatto altri passi ed avuto altri intoppi.

Salute Don Pablo. Ci creda, non le diamo un passamontagna solo perché, e chi meglio di noi lo può sapere, sappiamo quanto è stato ed scomodo… e lo sarà. E sappia che non poche volte le sue parole e pensieri si sono fatti parole sulle nostre labbra e nel cuore, sempre.

Salute compagno neozapatista Don Pablo González Casanova.

In questi giorni abbiamo chiesto rispettosamente a tre pensatori, tra quelli che sono venuti a condividere, qui ed in Messico, il loro ascolto e le loro parole, di sentirsi tra noi per rimarcare il nostro chiamarli “compagni”. Vogliamo dire che non sono gli unici. Ce ne sono altri, altre. A volte timidamente, chiedendo permesso, a volte con la disinvoltura e l’impertinenza che normalmente c’è tra compagni di lotta, conosciamo, riconosciamo e chiamiamo “compagno”, “compagna”, pensatrici e pensatori.

Non sono nemmeno gli unici con i quali ci sono state, o ci sono, divergenze o chiare discrepanze. Abbiamo chiesto loro, e loro hanno accettato, di aiutarci a lanciare questo messaggio: che il mondo per il quale lottano le zapatiste e gli zapatisti non è uno, unico ed indivisibile. Che la verità non è una, bensì molte. E che, nonostante tutti e tutte, non abbiamo mai scartato la possibilità di sbagliarci in qualche cosa, o in tutto.

Non siamo in territorio dell’EZLN. Stavo dicendo che non siamo in territorio zapatista, ma dopo avere visto questo nuovo grande sforzo delle compagne e dei compagni del CIDECI non sono così sicuro di non essere in territorio zapatista. Grazie a questi compagni e compagne. Spero che il Dottor Raymundo possa trasmettere questo sentimento a tutte e tutti quelli che lavorano qui.

Non siamo in territorio dell’EZLN, dicevo. Il CIDECI ci ha offerto, generosamente ed incondizionatamente, questo spazio per le attività, così come hanno fatto con la stessa generosità e incondizionatamente i compagni e le compagne del Fronte Popolare Francisco Villa Indipendente-UNOPII ed i compagni e le compagne dell’Associazione Charros Los Reyes di Iztapalapa, che noi chiamiamo “gli altri charros” per distinguerli dai leader corrotti che subiscono i movimenti operaio e contadino, ed ai quali esprimiamo la nostra gratitudine e riconoscimento.

Nel calendario che ci ha convocati non bisogna dimenticare la geografia nella quale le nostre rabbie si incontrano: grazie Lienzo Charro di Iztapalapa, grazie CIDECI.

Voi siete stati le nostre ed i nostri invitati. Ed in questo Festival, a nostra volta, noi siamo stati ospiti nel Lienzo e del CIDECI. Come tali, come ospiti, dobbiamo a chi ci riceve e assiste, non solo gratitudine ed ammirazione, ma anche e soprattutto rispetto. Ed altrettanto non possiamo né dobbiamo comportarci come se fossimo nel nostro prato.

Uno degli spiriti che anima la Sesta Dichiarazione e l’Altra Campagna è il rispetto ai “modi” di ogni lotta nel suo territorio. Quando nei nostri viaggi siamo stati nei diversi posti, non ci siamo andati per criticare o giudicare chi non solo ci dava un tetto e cibo, ma anche la medicina della sua lotta. Abbiamo offerto rispetto, sempre.

Ed altrettanto lo abbiamo ricevuto dai nostri compagni e compagne dell’Altra. Chi di voi era nella carovana che ci accompagnava nei giorni più vergognosi della repressione ad Atenco, sa che siamo stati insultati ed aggrediti in eventi pubblici e riunioni, perfino la nostra delegazione a Città del Messico, da parte del movimento lopezobradorista. E sa che il “modo” con cui compagne e compagni ci lanciavano critiche e osservazioni non è sempre stato misurato, ma non poche volte aspro ed acido, ed alcune, poche, una chiara provocazione.

Ieri sera il Comandante Zebedeo raccontava ad un compagno delle aggressioni dei lopezobradoristi (a lui ed alla Comandante Miriam è toccato subirne personalmente) e li distingueva dai “modi” di criticare dei compagni e delle compagne dell’Altra Campagna. Gli diceva che noi zapatisti, zapatiste, abbiamo la pelle dura. Non solo per i 15 anni di guerra di resistenza, ma anche, e soprattutto, per più di 500 anni di guerra di oblio. Gli diceva che ascoltavamo tutto quello che ci dicevano e che, dentro di noi, nel nostro cuore restava il buono, mentre il resto usciva dall’altro orecchio.

Come se le ferite ricevute in tutto questo tempo si fossero cicatrizzate e ci avessero inspessito la pelle rendendola coriacea, dura, resistente. E sì, se abbiamo resistito 500 anni di tentativi di dominazione ed annichilimento, se abbiamo resistito 25 anni nelle montagne, se abbiamo resistito 15 anni di assedio militare, non vediamo perché non potremmo resistere alle grida isteriche, alle calunnie, alle bugie, alle denigrazioni ed ai veti giornalistici del “lopezobradorismo”.

E, molto diverse, sono quelle che ci hanno fatto, fanno e faranno i nostri compagni e compagne dell’Altra in Messico e nel mondo.

Perché risulta che con la Sesta Dichiarazione non li abbiamo invitati a seguirci o ad obbedirci, o ad essere come noi, o ad importare i nostri “modi”, o a subordinare le loro lotte, progetti, sogni, ai nostri.

Li abbiamo invitati a conoscerci ed a conoscersi tra loro, a sapere che non siamo né sono soli, sole, a rispettarci, a sostenersi, affinché il silenzio di fronte alle nostre sofferenze non fosse unanime, li abbiamo invitati ad essere altri, altre.

Non concordiamo con alcuni di loro… bè, con diversi… insomma, con molti…, in realtà non concordiamo con nessuno. Perché se così fosse smetteremmo di essere EZLN e saremmo parte di essi. Ma li riconosciamo come di questa parte e, crediamo che loro, tutte e tutto, ci riconoscono.

E siamo molto orgogliosi che siano nostri compagni, compagne e compagnei.

Ed abbiamo questo vantaggio, o svantaggio, secondo, che stiamo con la Sesta. Chissà che c’è un posto, un lavoro, uno spazio, una lotta, dove si può verificare se quello che si dice è quello che si fa.

In questi giorni, ed anche durante questi 15 anni, si può verificare quello che abbiamo detto su di noi. Inoltre, forse ancora non per molto, si può andare nelle comunità indigene zapatiste (chiedete prima il permesso alla Giunta di Buon Governo, è il nostro modo) e vedere se è vero che ci sono delle donne con incarichi ufficiali o come educatrici o promotrici di salute o come responsabili locali e regionali. Come Comandanti forse non è necessario, perché a meno che non si tratti di un effetto virtuale ottenuto con raggi laser, o che i comandanti maschi abbiano subito la meravigliosa trasformazione che Krishna ci ha mostrato ieri, alcune delle Comandanti sono qui.

Andate e vedere se è vero che ci sono scuole e cliniche, se realmente le Giunte di Buon Governo cercano l’accordo tra le parti quando ci sono conflitti e dispute, se è vero che i maestri e le maestre che fanno lezione alla Lupita e alla Toñita si sono formati con i sistemi di educazione autonoma. Insomma, si può vedere se facciamo quello che diciamo.

E la stessa cosa succede con i nostri compagni, compagne e compagnei dell’Altra. Si può andare nella sede della Brigada Callejera e constatare se fanno quello che ieri ci dicevano; si può andare nei piccoli locali dove lavorano, loro sì in condizioni eroiche, chi fa comunicazione alternativa, o dice di realizzare informazione, od organizzare coloni, contadini, lavoratori della città, popoli indios, o dipingere, o cantare, o quello che ognuno dice di fare.

Qualche tempo fa, prima di venire a morire e nascere in queste montagne del sudest messicano, ero all’Università Nazionale Autonoma del Messico e molte volte sono stato nell’auditorium della Facoltà di Lettere e Filosofia, nell’auditorium conosciuto come “El Che”. Allora erano il rettorato e le autorità amministrative incaricate del “El Che”. Non mento, quello era un letamaio. Ed un letamaio trascurato, perché esistono letamai ben curati.

Tempo dopo, già diventati quello che siamo, come parte del nostro percorso dell’Altra Campagna ho avuto l’opportunità di andare in due occasioni nel Che. Una volta senza conoscere la dimensione della disputa. L’altra, conoscendola e prendendo posizione. Nemmeno ora sto mentendo: era impeccabile, pulito, ordinato, funzionale. La sola cosa che mancava erano le poltrone che, credo, erano state tolte proprio dal Rettore. Lì si svolgevano diversi laboratori, c’era una sala da pranzo, vegetariana purtroppo per noi carnivori e taqueros senza rimedio. C’era lavoro, lotta, vita. Il Che non era l’edificio grigio che si apriva solo per cineforum, assemblee e, molto rari, eventi culturali.

Forse, è un’ipotesi, i compagni e le compagne dell’Okupache l’avevano pulito e sistemato solo perché arrivavo io ed hanno montato una scenografia per dimostrare che fanno quello che dicono. Non credo. Crediamo che è vero che fanno quello che dicono, ma, in ogni caso, è qualcosa che potete verificare visitando il locale di questi nostri compagni e compagne dell’Okupache. Sicuramente, l’abbiamo constatato, hanno “modi” e posizioni che non condividiamo. E sicuramente ci sono altri ed altre, compagni o no, che la pensano al contrario o hanno un’immagine diametralmente opposta di quanto noi abbiamo visto. Sta bene, questa è l’Università Nazionale Autonoma del Messico. Ed ha ragione chi dice che è a questa collettività universitaria, cioè, universale, che compete discutere, analizzare, dissentire, prendere posizione, decidere. E crediamo che forse si potrebbe fare senza grida e senza facili insulti, ma anche senza minacce di sgombero né scontri. Insomma, è li da vedere. Ma non dubitate, noi staremo dalla parte dei nostri compagni e compagne, dalla parte degli aggrediti, come abbiamo fatto qui qualche giorno fa.

I partiti politici dell’alto possono dire una cosa e fare il contrario. Uno può constatare questo in qualsiasi posto dove sono al potere. Questo perché il loro criterio di congruenza è un altro. Per loro è la quantità che possono mobilitare, non importano i metodi ai quali ricorrono, in occasione di una elezione o in una mobilitazione, quello che dà loro il termometro se vanno bene o male o così così.

Noi abbiamo un altro criterio: andiamo bene se quello che diciamo coincide con quello che facciamo, che sia bene o male per gli altri.

Due persone che amiamo e rispettiamo, forse con loro dispiacere, ci domandano a che giova al movimento zapatista che Marcos denigri il movimento lopezobradorista, e perché ogni volta che compaio davanti ai media lo faccio, tra le altre cose, per insultare AMLO.

Bene, io non sto comparendo davanti ai mdia, sono ormai passati i tempi. Noi stiamo parlando ed ascoltando i nostri compagni, compagne e compagnei dell’Alta in Messico e del mondo, ed ascoltando la parola di persone che lottano e pensano in diversi angoli del pianeta.

Concedetemi un momento per spiegarvi come siamo organizzati nel nostro lavoro di CCRI-CG dell’EZLN. Vedete, qui nell’EZLN convergono diversi popoli indios: tzeltales, tzotziles, tojolabales, choles, zoques, mames e meticci.

Questi popoli hanno comunità indigene che formano zone. Ogni zona ha una struttura organizzativa, ora parallela a quella di autorità autonoma. Ed in ogni struttura di zona c’è un comando collettivo organizzativo. Quando dico “comando collettivo organizzativo” non solo dico che è un collettivo, dico anche che non è militare. Questo comando di zona è quello che chiamiamo CCRI di zona. Ed ogni zona ha il suo “modo”. I tzotziles, i tzeltales, i tojolabales, i choles, gli zoques, i mames ed i meticci hanno i loro propri problemi ed i loro “modi” di affrontarli o risolverli. L’EZLN è incaricato di essere il ponte di unione, che va e viene, tra le zone. Quando l’EZLN come tale fa qualcosa, deve avere il consenso e l’accordo di tutte le zone. Quando una zona fa qualcosa, deve comunicarlo alle altre zone, attraverso l’EZLN, affinché sappiano e vedano in che cosa possono essere di aiuto.

Oltre a questo, all’EZLN tocca rappresentare all’esterno, cioè a quelli che non sono zapatisti, tutte le zone come un insieme. Benché sia una Comandante negli Altos, Hortensia non vi parla degli Altos, per sua voce parla la voce dell’EZLN. E quello che racconta delle donne non è solo quello che succede negli Altos, ma quello che raccoglie da tutte le comunità zapatiste. La stessa cosa è quando parlo io o il Tenente Colonello Moisés o il Maggiore Zebedeo o il Maggiore David o chiunque sia del CCRI-Comando Generale.

Quindi, quando Marcos o uno qualsiasi di noi parla in pubblico come in questa occasione, lo fa come EZLN, non a titolo personale.

Noi pensiamo che ognuno deve essere responsabile di quello che dice e fa, come individuo e come collettivo. Credo che l’EZLN si sia sempre reso responsabile di quello che dice e fa, e ci mette la vita in questo. La vita individuale e la vita collettiva.

Allora, a cosa serve ad un movimento dire quello che pensa e sente? Bene, noi ci siamo ribellati in armi anche per questo, per recuperare la nostra parola, per potere dire noi stessi quello che pensiamo e sentiamo.

Che ci dicano chi dei nostri “alleati” sono persecutori, discriminatori ed assassini di indigeni. Noi sì abbiamo detto chi dei loro dirigenti e “alleati” lo sono. Chi perseguita, vessa e taglia l’acqua ai nostri compagni zapatisti di Zinacantán sono quelli della CND lopezobradorista. Chi ci aggredisce dentro e fuori del nostro territorio sono i simpatizzanti di AMLO, chiaro oltre al governo federale, statale, municipale, i mezzi di comunicazione (ora tutti), l’esercito, la polizia statale, la AFI, il CISEN, la CIA ed i loro amici.

Chi ha messo i compagni zapatisti sfollati dai Montes Azules prima in un postribolo abbandonato e poi in uno scantinato erano lopezobradoristi. Funzionari del governo del DF e membri del movimento di AMLO sono venuti in Chiapas per “operare” lo sgombero a fianco del governo che AMLO ha sostenuto. Ho detto in uno scantinato. Gli indigeni hanno sempre denunciato che i dominatori ci trattano come animali. Loro sono andati oltre, ci hanno trattato come cose, come pacchi. Nemmeno gli animali si mettono in uno scantinato. E come questi ci sono altri esempi che abbiamo molte volte denunciato.

So che può essere una via di fuga o una consolazione dire o dirsi che è una mania di Marcos e che le basi zapatiste muoiono dalla voglia di essere trasportate a qualche manifestazione di AMLO, o che ardono dal desiderio di fare proselitismo per le prossime elezioni.

Ma no. Questo è il Festival della Degna Rabbia e, come tutti e tutte, siamo venuti qui ad esprimere la nostra rabbia. Non la rabbia di Marcos, o Moisés, od Hortensia, o Zebedeo, o David. No, la rabbia delle comunità zapatiste che non sono solo aggredite dai malgoverni, ma anche da chi si dice di sinistra e progressista.

E quando parliamo esprimiamo solo la nostra rabbia. Se ascoltassero la rabbia degli altri che non sono dell’EZLN, quella che hanno coltivato anche con aggressioni e persecuzioni, forse capirebbero alcune cose.

D’altra parte, perché non si chiede ad AMLO la ragione per la quale ha preferito allearsi con persecutori ed assassini di indigeni in generale ed indigeni zapatisti in particolare?

Chi di voi è venuto qua a dirci “compagni, veniamo a bastonarvi, ma è per un progetto alternativo di Nazione, sopportate il bastone e non fate chiasso perché è per il bene della Patria. Voi aspettate mentre noi salviamo la Nazione”?

E, a cosa è servito al movimento lopezobradorista allearsi con i Nuñez, i Montreal, i Muñoz Ledo, i Sabines, gli Albores, i Kanter, gli Iruegas, gli ex funzionari indigeni di Fox, quelli che votarono contro gli Accordi di San Andrés “per dimostrare vocazione di governo”, quelli che perseguono ambulanti, giovani, lavoratori e lavoratrici del sesso, lavoratori, contadini, indigeni, quelli che, nei luoghi dove sono al governo, sgomberano, espropriano, reprimono, sfruttano, discriminano, corteggiano il potente e consegnano le ricchezze naturali allo straniero?

E a cosa è servito al movimento lopezobradorista, invece di rispondere con argomenti alle nostre critiche, calunniarci, tergiversare, mentire sfacciatamente, aggredirci verbalmente nelle nostre manifestazioni, chiuderci la stampa, modificare la sua storia?

A cosa serve al movimento lopezobradorista dire continuamente che è l’unico che sta lottando in questo paese, che è l’unico che si oppone a Calderón, che ha “i migliori scrittori ed artisti” dalla sua parte e che nessun’altra organizzazione può dire lo stesso? A cosa gli serve questa superbia di fronte agli umili ed a chi sta in basso?

A che serve al movimento lopezobradorista non guardarci né ascoltarci, né guardare né ascoltare i morti che sono di sua responsabilità?

Possono dire che questo non è AMLO. Sì lo è. Lo è sempre stato, e non lo vede chi non lo vuole vedere. Un dirigente deve essere responsabile di quello che dicono e fanno lui ed il suo movimento. E così pure i membri di un movimento.

Così come gli indigeni zapatisti si rendono responsabili di essere indigeni e di essere zapatisti e proprio per essere responsabili di questo li sgomberano, li perseguitano e li attaccano.

Qualche mese fa è venuta nelle nostre terre una carovana internazionale per dimostrare il suo appoggio alle comunità zapatiste rispetto alle incursioni militari. Come ricordo, venivano da Grecia, Italia, Francia e Stato Spagnolo, tra altri paesi del mondo. Ci siamo stupiti che non ci fosse nessun basco o basca. Probabilmente, abbiamo pensato, non si erano iscritti o non erano stati inseriti nella lista dei partecipanti. Il Teniente Coronel Insurgente Moisés, addetto della Commissione Intergalattica, andò a verificare e, in effetti, c’erano dei baschi, ma dissero, parola più parola meno, “che si erano iscritti insieme agli spagnoli per non creare problemi”. Noi dicemmo loro che non avevamo litigato con mezzo mondo per rendere pubblico il nostro riconoscimento al diritto dei baschi alla loro indipendenza, per poi finire di metterli insieme agli spagnoli “per non avere problemi”. Che abbiamo combattuto con mezzo mondo per poter dire: Gora Euzkera! Gora Euzkal Herria!

Se siamo responsabili della nostra insurrezione, se siamo responsabili della nostra parola, se per questo sfidiamo la forza del governo e dei suoi eserciti e poliziotti, se siamo responsabili dei nostri morti, non vedo perché non dovremmo essere responsabili della nostra rabbia.

Compagne e compagni:

Questa mattina con un piccolo gruppo e questo pomeriggio con tutta la delegazione abbiamo riuniti le compagne e i compagni per decidere quale deve essere il messaggio principale di questo intervento.

Qui in questi giorni a San Cristobal, e prima a Città del Messico, abbiamo ascoltato molte e belle parole. Chiaro, abbiamo sentito anche qualche assurdità.

Quasi tutti hanno fatto riferimento alla crisi mondiale e nazionale ed ai brutti tempi che si avvicinano. C’è stata sincera preoccupazione. Ma c’è stata anche allegria. Come se ognuno, ognuna, individualmente e collettivamente, sapesse che deve fare qualcosa di fronte a queste paure ed orrori. Come se non avessimo più avere paura e pena, ma queste fossero diverse. Come se avessimo preso questa paura e questa pena e le controllassimo, dandogli direzione, destinazione. Come se potessimo fare come ci hanno detto Mariana, Italia e Norma. Come se sapessimo che succederà quello che succederà.

Alcuni di coloro che sono intervenuti in questo Festival, nei loro interventi o posizioni hanno mostrato preoccupazione per chi, o come, o con che cosa guidare questo movimento. Si prospettano strutture, modi, forme, per questo grande movimento che sicuramente dovrà sollevarsi di fronte agli oscuri e perversi tempi. Come sicuramente si solleverà il popolo Palestinese di fronte al crimine che oggi si commette sulle sue terre e contro la sua gente.

Come zapatisti vi dico chiaramente che siamo molto contenti che i dubbi e le domande che vi sorgono non sono più del tipo “Si può fare qualcosa?”, Succederà qualcosa?”.

Voi e noi abbiamo visto e sentito questa rabbia accumulata.

Ma a noi non preoccupa chi, o come, o con che cosa si guiderà questa rabbia. Nemmeno con che quale passo, velocità, ritmo e in compagnia di chi. Non ci preoccupa la velocità del sogno.

Abbiamo imparato a fidarci della gente, del popolo, del nostro popolo. Sappiamo che non ha bisogno di chi li guidi, che si dotano delle proprie strutture per lottare e vincere. Che prendono nelle loro mani i propri destini, e che lo fanno meglio dei governi che si impongono da fuori.

No, a noi non preoccupa la guida del movimento. Ascoltando ora il compagno Carlos González, del Congresso Nazionale Indigeno, capiamo di avere la stessa preoccupazione.

A noi preoccupa la direzione e la destinazione. Ci preoccupa il modo. Ci preoccupa che il mondo che partorisca la nostra rabbia somigli a quello che oggi subiamo.

Permettetemi di dirvelo: L’EZLN ebbe la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità. Non solo dopo l’insurrezione, anche prima. Ci fu la tentazione di imporre modi e identità. Che lo zapatismo fosse l’unica verità. E furono i popoli in primo luogo ad impedirlo, e poi ci insegnarono che non è così, che non si passa da lì. Che non potevamo sostituire una dominazione con un’altra e che dovevamo convincere e non vincere chi era ed è come noi, ma che non è noi. Ci insegnarono che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto.

E non ci riferiamo al rispetto che si esige da noi verso chi ci aggrediscono, ma verso chi ha altri modi ma lo stesso impegno per la libertà, giustizia, democrazia.

Dunque quello che vogliamo dirvi è che questa pluralità tanto simile nella rabbia, e tanto differente nel sentirla, è la direzione e la destinazione che noi vogliamo e vi proponiamo.

Perché qualcuno può fare dichiarazioni contro i partiti e le organizzazioni che, dice, vogliono egemonizzare ed omogeneizzare l’Altra Campagna, ma nel momento che si critica o si dissente da quello che fa, allora partono le grida e gli insulti.

Non tutti siamo zapatisti (cosa di cui qualche volta ci rallegriamo). Nemmeno siamo tutti comunisti, socialisti, anarchici, libertari, punk, ska, dark, o come ognuno chiami la sua differenza.

Deve esserci una parola per quello che vogliamo dirlvi. E ci sembra utile quella usata ieri dal compagno Jean Robert: “proporzionalità”.

Gli zapatisti, le zapatiste, non ci siamo preposti con la Sesta Dichiarazione di organizzare e guidare tutto il Messico, tanto meno tutto il mondo. Nella Sesta noi diciamo: qui siamo, questo siamo, questo vogliamo e così pensiamo che bisogna fare. Ed in questa riconosciamo i nostri limiti, le nostre possibilità, la nostra proporzionalità.

Nella Sesta non diciamo che tutti i popoli indios entrino nell’EZLN, né diciamo che guideremo operai, studenti, contadini, giovani, donne, altri, altre. Diciamo che ognuno ha il suo spazio, la sua storia, la sua lotta, il suo sogno, la sua proporzionalità. E diciamo di stringere un patto per lottare insieme per il tutto e per ognuno. Fare un patto tra la nostra rispettiva proporzionalità ed il paese che ne risulti, che il mondo che nasca sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato.

Che quel mondo sia così variopinto che non ci siano gli incubi che assillano chi sta in basso.

Ci preoccupa che in quel mondo partorito da tanta lotta e tanta rabbia, si continui a considerare la donna con tutte le varianti del disprezzo che la società patriarcale ha imposto; che si continuino a considerare stranezze o malattie le diverse preferenze sessuali; che si continui a presumere che i giovani devono essere addomesticati, cioè, obbligati a “maturare”; che noi indigeni continuiamo ad essere disprezzati e umiliati o, nel migliore dei casi, considerati come i buoni selvaggi che bisogna civilizzare.

Ci preoccupa che quel nuovo mondo non sia un clone di quello attuale, o un transgenico o una fotocopia di quello che oggi ci inorridisce e ripudiamo. Ci preoccupa, dunque, che in quel mondo non ci sia democrazia, né giustizia, né libertà.

Allora vogliamo dirvi, chiedere, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, e ci permetterà di costruire qualcosa di nuovo. Vogliamo dirvi, chiedervi, che quel nuovo sia anche differente.

Questo è il messaggio che volevamo trasmettervi. Questa è la nostra parola.

Molte grazie a tutti, a tutte e tuttie quelli che ci hanno parlato ed ascoltato e, così, ci hanno contagiato e si sono contagiati della degna rabbia.

Libertà e Giustizia per Atenco! Libertà, Giustizia e Liberazione delle Prigioniere e Prigionieri Politici! e Presentazione in vita dei desparecidos politici!

Per gli uomini, le donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 5 gennaio 2009

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Terzo Vento: un degno e arrabbiato colore della terra.

Buona notte. Cercheremo di essere brevi perché la giornata è stata lunga e perché poi la Lupita e la Toñita vi leggeranno alcuni racconti che hanno scritto proprio per voi.

Andiamo dunque:

Di specialisti e specializzazioni.

Sicuramente qualche serio storico potrà dirci del momento in cui sono apparsi gli specialisti e le specializzazioni nella società umana. E forse potrà spiegarci quale fu il primo: la specializzazione o lo specialista.

Perché, nel nostro affacciarci e stupirci del mondo, noi zapatisti abbiamo visto che molte volte qualcuno definisce la sua ignoranza o il suo limitato orizzonte, una specializzazione e si autonomina specialista. E viene lodato e rispettato e pagato bene e omaggiato.

Non lo capiamo, per noi qualcuno con conoscenze limitate è qualcuno che deve sforzarsi di imparare di più. Ma sembra che nel mondo accademico meno si sa più finanziamenti si ricevono.

Il Vecchio Antonio, in alcune di quelle mattine che ci sorprendevano camminando in montagna, rideva di questo che gli raccontavo e diceva che allora i primi dei, quelli che crearono il mondo, erano specialisti in specializzazioni.

Infine, è risaputo che i nostri ostacoli di fronte alla produzione intellettuale sono enciclopedici, cosicché ora vogliamo riferirci brevemente ad una speciale specie di specialisti: i politici professionisti.

In una prossima occasione di questo festival, domani credo, avremo l’opportunità di ascoltare, per voce del Tenente Colonnello Insurgente Moisés, qualche descrizione dell’ambito politico interno nelle comunità zapatiste.

Uno di questi ambiti politici, non l’unico, è il lavoro di governo. C’è anche, per esempio, il lavoro politico delle donne zapatiste, di cui ci parlerà la Comandante Hortensia, e molti altri.

E risulta che questi lavori non solo non ricevono compenso, e non sono nemmeno considerati una specializzazione. Cioè, chi un giorno è presidente municipale autonomo il giorno prima era nella milpa o nella piantagione di caffè, a seminare o raccogliere. Molti dei nostri governanti zapatisti non sono andanti nemmeno a scuola o non sanno parlare spagnolo, ovvero non sono specialisti di niente, tanto meno di politica.

E tuttavia i nostri municipi autonomi hanno fatto molti più progressi in salute, educazione, abitazione ed alimentazione che i municipi ufficiali che sono governati da politici professionisti, cioè, da specialisti della politica.

Infine, aspettiamo gli interventi dei miei compagni per riuscire a capirci. In questo momento voglio solo segnalare alcune delle nostre incapacità di intendere la politica dell’alto, almeno in Messico.

Per esempio, non capiamo come si decide, si accetta e si legifera che un deputato guadagni più di un muratore. Perché il muratore fa qualcosa, lavora, costruisce case, muri, edifici. E sa come fare la malta, come sistemare i mattoni.

Per esempio, questo auditorium nel quale ci troviamo. Qui ci possono stare più persone che nel Teatro della Città di qui, di San Cristóbal de Las Casas e, come mi dicono, è stato costruito, dalla sua progettazione fino alla sua realizzazione, da mani indigene. Il pavimento, i piani, le pareti, porte e finestre, tetto, impianti idraulici ed elettrici sono stati realizzati da non specialisti, oltretutto indigeni, e che sono compagni dell’Altra Campagna.

Bene, per tornare al muratore, lui sì che lavora. Ma il deputato… il deputato… bene, non so se qualcuno può dirci che cosa fa un deputato… o un senatore… o un sottosegretario.

Poco fa abbiamo sentito un sottosegretario dire che la crisi economica, che già si trascinava da anni, non era altro che un raffreddore passeggero.

Ah! Abbiamo pensato, un sottosegretario è come un dottore che diagnostica una malattia. Ma abbiamo anche pensato, perché qualcuno con un minimo di cervello pagherebbe un dottore che gli dice che ha un raffreddore che poi risulta che è polmonite e lui gli prescrive un tè caldo di foglie di limone e poi tornerà come nuovo. Ma sembra che il sottosegretario in questione guadagni bene e che c’è una legge che dice che deve guadagnare molti soldi.

Qualcuno ci dirà che i deputati e i senatori fanno le leggi e che i sottosegretari di Stato fanno piani affinché queste leggi si applichino. E sia. Quanto è costato alla Nazione, per esempio, che si facesse la controriforma indigena che annullò gli Accordi di San Andrés?

Ed alcuni mesi fa un legislatore del PRD, criticato perché aveva votato per una legge assurda ed ingiusta (come la maggioranza delle leggi in Messico) ha dichiarato in sua difesa… che non l’aveva letta!

E quando c’è stata la discussione sul petrolio nel centro nevralgico del paese (cioè, sui mezzi di comunicazione). Il governo di Calderón non ha detto che non si doveva consultare la gente perché era qualcosa che capivano solo gli specialisti? Ed il cosiddetto movimento in difesa del petrolio non agì in maniera simile quando incaricò un gruppo di specialisti di redigere la sua proposta?

Secondo noi la specializzazione è una forma di proprietà privata della conoscenza.

Quello che sa qualcosa lo valorizza complicandolo fino a farlo sembrare qualcosa di straordinario ed impossibile, qualcosa a cui possono accedere pochi, e si rifiuta di condividerlo. Ed il suo alibi è la specializzazione.

Sono come gli stregoni della conoscenza, come gli antichi sacerdoti che si specializzavano per parlare con gli dei. E si crede a tutto quello che dicono.

E questo succede nella società moderna che dice a noi indigeni che siamo noi gli arretrati, gli ignoranti, i non civilizzati.

In nostro lungo giro per il Messico del basso, abbiamo avuto l’opportunità di conoscere direttamente altri popoli originari di questo continente. Dai Maya della penisola dello Yucatan fino ai Kumiai in Bassa California, dai Purépechas, Nahuas e Wixaritari della costa del Pacifico fino ai Kikapus in Coahuila.

Parte di quello che abbiamo visto sarà spiegato meglio dai nostri compagni del Congresso Nazionale Indigeno, Carlos González e Juan Chávez, quando ci accompagneranno in questo tavolo. Io voglio solo fare alcune riflessioni sul tema della conoscenza e i popoli indio.

– Nelle riunioni che precedettero l’Incontro Continentale dei Popoli Indio d’America, incontrandosi, le diverse culture dei capi indio non si contendevano la supremazia o la gerarchia. Senza apparente difficoltà riconoscevano la differenza e si stabiliva una specie di intesa o accordo all’interno del quale si rispettavano reciprocamente.

Invece, quando due concezioni diverse della realtà, due culture, si confrontano tra loro nelle società moderne, normalmente si pone il problema della supremazia di una sull’altra, questione che non poche volte si risolve con la violenza.

Però, si dice che i popoli indio sono i selvaggi.

– Quando il mondo ladino o meticcio si incontra con il mondo indigeno dentro il territorio di quest’ultimo, nel primo si presenta quella che noi zapatisti chiamiamo “la sindrome dell’evangelizzatore”. Non so se è retaggio dei primi conquistatori e missionari spagnoli ma, spontaneamente, il meticcio o ladino tende a prendere la posizione di colui che insegna e aiuta. Per qualche strana logica che non capiamo, si assume come evidente che la cultura ladina o meticcia è superiore, in estensione e profondità di saperi e conoscenze, a quella indigena. Se, invece, questo contatto tra culture avviene in territorio urbano, il ladino o meticcio assume una posizione o difensiva e diffidente, o di disprezzo e schifo di fronte all’indigeno. L’indigeno è l’arretrato o il curioso.

Al contrario, quando l’indigeno si imbatte o si trova di fronte ad una cultura diversa fuori del suo territorio, tende spontaneamente a tentare di capirla e di non pretende di stabilire una relazione di dominante/dominato. E quando è dentro il suo territorio l’indigeno assume una posizione di curiosa sfiducia e gelosa difesa della sua indipendenza.

“Vengo a vedere in che cosa posso essere d’aiuto”, dice normalmente il meticcio quando arriva in una comunità indigena. E può essere una sorpresa per lui che, invece di metterlo ad insegnare o dirigere o comandare, lo facciano andare per la legna, o a prendere acqua o pulire stalle. O non sarà raro che gli rispondano: “E chi ti ha detto che abbiamo bisogno che ci aiuti?”.

Può essere che ci siano casi, ma fino ad ora non sappiamo se qualcuno sia arrivato in una comunità indigena dicendo: “vengo perché mi aiutate”.

– Non poche volte abbiamo trovato in collettivi che appoggiano le comunità indigene una specie di zelo per le loro conoscenze, una costante affermazione che la proprietà del sapere che detengono è loro, di loro proprietà privata.

È noto tra le autorità autonome quanto i gruppi che manipolano tecniche e tecnologie siano restii ad insegnare, cioè, a condividere quello che sanno. Per esempio internet. Ogni volta che nei caracoles si guastano i computer, bisogna aspettare di contattare quello che ne sa, aspettare che arrivi e, quando gli si chiede di insegnare a qualcuno per non dipendere da lui, questi dica che non ha tempo o che questo è roba da “specialisti”. E non parliamo delle apparecchiature delle radio comunitarie.

A volte succede un’altra cosa.

C’è un aneddoto che mi hanno raccontato i compagni comandanti della zona tojolabal, o zona “selva di confine”:

Sembra che, tra tutte le persone di buona volontà che arrivano nelle comunità zapatiste ad aiutare, una volta arrivò un ingegnere agronomo a dare lezioni per migliorare le piantagioni di caffè. Dopo la sua lezione, l’ingegnere si recò insieme ai compagni in una piantagione di caffè per mostrare loro come si doveva fare un taglio nella pianta. L’ingegnere chiese che gli facessero spazio, “dietro la riga che devo lavorare”, tirò fuori tutta la sua attrezzatura scientifica ed incominciò a fare misurazioni per determinare l’angolo esatto di taglio del ramo. Dopo molti e complicati calcoli, determinato l’angolo di taglio, l’ingegnere tirò fuori una bella sega ed incominciò a segare con molto cura. Ci mise molto, mi raccontarono, e, contraddicendo la presunta pazienza indigena ancestrale, i compagni lo presero da parte  e gli domandarono: “Fa vedere, dove vuole tagliare esattamente?”. “Lì”, rispose il brillante ingegnere agronomo, e indicò il posto col dito. Il compagno sguainò il suo machete Acapulco Collins a doppio filo e zac!, fece un taglio impeccabile nel ramo. “Vediamo, adesso misura”, chiese quasi ordinò il compagno. L’ingegnere agronomo, con una specializzazione all’università, tirò fuori il suo strumento per misurare gli angoli. Misurò e rimisurò molte volte, ed ogni volta si grattava la testa. “Che cosa c’è?”, gli domandarono. “Bene, sì”, rispose dispiaciuto: “è esattamente il taglio necessario, nel posto giusto e nell’angolo esatto”. “E allora sup, l’ingegnere cominciò a domandarci un mucchio di cose e continuava a prendere appunti e non so quanti fogli di appunti ha riempito”.

Quindi un’esortazione a chi possiede saperi e conoscenze e sono compagni e compagne: dite no alla proprietà privata della conoscenza, dite sì alla pirateria tra compagni quali siamo.

Altri punti:

– In entrambi, indigeni ed urbani in basso e a sinistra, abbiamo trovato una civiltà umana che non abbiamo riscontrato in quelli in alto. In entrambi se uno ha bisognoso gli danno il meglio che hanno. Quelli in alto non danno o, se danno, danno quello che gli avanza.

Il senso di comunità che è palpabile nelle comunità indigene non è loro esclusiva. Appare anche in settori del basso ed è più sviluppato in chi lotta e resiste.

– La brutale e feroce avanzata della guerra neoliberista di riconquista di territori, sta operando qualcosa che non so se era nei piani dei grandi centri finanziari internazionali: si stanno congiungendo rabbie, in profondità, in estensione e in storia comune.

– Questo congiungimento di sentimenti in quello che il Ruso ha chiamato “la pancia“, non è ancora accompagnato da un congiungimento nei saperi e conoscenze. Ci possono essere dei casi ma, credetemi, nei popoli indio non ho trovato l’avarizia della conoscenza che possiedono.

Infine, non ci idealizziamo come popoli indio, non siamo perfetti e, ovviamente, non pretendiamo che tutti e tutte diventino indigeni. Abbiamo conoscenze ed abbiamo carenze. Credo che possiamo condividere gli uni per risolvere le altre, senza che nessuno di voi perda l’opportunità di diventare ricco perché qualcuno di noi si appropria del brevetto del suo sapere.

Adesso, ogni promessa è debito, ascoltiamo un racconto della Lupita e della Toñita e po io ne racconterò un altro.

Primo tocca a Lupita (…)

Ora è il turno della Toñita (…)

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 4 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Quarto Vento: Una degna rabbia organizzata

INTERVENTO DEL SUBCOMANDANTE MARCOS NELLA SESIONE MATTUTINA DEL 4 GENNAIO 2009.

Buon pomeriggio.

È con noi Don Luis Villoro. Se mi permette, il compagno Luis Villoro.

La sua vicinanza ai popoli indio di questo paese non è successiva al 1994, ma lo precede in vari calendari.

Nel nostro caso, le zapatiste, gli zapatisti, il suo appoggio è stato vitale. Lo dirò chiaramente: più di uno, di una, nelle comunità indigene, è viva, vivo, e lotta grazie all’appoggio di questo uomo. E mai, mai, si insinuò che si aspettasse qualcosa in cambio del suo appoggio, cosa che invece hanno fatto altri, altre.

In lui abbiamo trovato un generoso ascolto e, da quando siamo balzati alla luce pubblica, ha tentato di capirci, ed i suoi pensieri non poche volte sono stati il combustibile del nostro passo. E non sapete quanto sia stato difficile trovare, in questi 15 anni, qualcuno che cerchi di capirci e non di giudicarci.

Con lui, come con altri, abbiamo avuto ed abbiamo divergenze e le nostre discussioni molte volte sono state aspre, come per quanto si riferisce al movimento studentesco che 10 anni fa e dalla UNAM, ci meravigliò e insegnò a noi zapatisti

Con tutte queste differenze, nel nostro cuore non c’è mai stato il minimo dubbio delle sue convinzioni e impegno da questa parte, in basso e a sinistra.

Catalogare “di destra” chi non la pensa come noi, come un orribile e vile striscione dichiarava ieri, è la manifestazione di un atteggiamento di chi vuole imporre fatta, paradossalmente, da chi dice di rivendicare un atteggiamento libertario. Forse non ne so molto, ma per quanto ci arrivo, l’anarchismo libertario non esime dal conoscere. E bisogna conoscere prima di giudicare e condannare.

È un onore, Don Luis, averla oggi dalla nostra parte, come è da 15 anni.

Il mondo che sogniamo non è un mondo con unanimità di pensiero, canche se il nostro, il pensiero zapatista, né con l’egemonia imposta che questa implica.

Salute Don Luis, volevamo solo dirle che lei ha, da lunghi calendari, un posto nel cuore scuro che ci anima.

Si suppone che dopo l’intervento di Moy, del Tenente Colonello Insurgente Moisés, io dovrei leggervi un racconto. Lo farò dopo, ora dobbiamo dire qualcosa d’altro.

Di semine e raccolti.

Forse quello che dirò non c’entra col tema centrale di questo tavolo, o forse sì.

Due giorni fa, lo stesso giorno in cui la nostra parola faceva riferimento alla violenza, Condoleeza Rice, funzionaria del governo nordamericano, dichiarava che quello che sta succedendo a Gaza è colpa dei palestinesi, per la loro natura violenta.

I fiumi sotterranei che percorrono il mondo possono cambiare geografia, ma intonano lo stesso canto.

E quello che ora sentiamo è di guerra e di dolore.

Non molto lontano da qui, in un luogo chiamato Gaza, in Palestina, in Medio Oriente, qui vicino, un esercito fortemente armato ed addestrato, quello del governo di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione.

I passi seguiti fino ad ora sono quelli di una guerra militare classica di conquista: prima un bombardamento intenso e massiccio per distruggere postazioni militari “nevralgiche” (così le chiamano i manuali militari) e per “neutralizzare” le fortificazioni di resistenza; poi il ferreo controllo dell’informazione: tutto ciò che si sente e si vede “nel mondo esterno”, cioè, esterno al teatro delle operazioni, deve essere selezionato con criteri militari; ora fuoco intenso di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe verso nuove posizioni; poi i sarà l’accerchiamento e l’assedio per indebolire la guarnizione nemica; quindi l’assalto che conquisti la posizione annichilendo il nemico, poi la “pulizia” di possibili “sacche di resistenza”.

Il manuale militare della guerra moderna, con alcune variazioni e appendici, viene seguito passo passo dalle forze militari d’invasione.

Noi non sappiamo molto di questo e, sicuramente, ci sono specialisti del cosiddetto “conflitto in Medio Oriente”, ma da questo angolo di mondo dobbiamo dire qualcosa:

Secondo le foto delle agenzie d’informazione, i punti “nevralgici” distrutti dall’aviazione del governo di  Israele sono abitazioni, capanne, edifici civili. Non abbiamo visto nessun bunker, né quartiere o aeroporto militare, o batteria di cannoni, tra quanto distrutto. Allora noi, scusate la nostra ignoranza, pensiamo che o gli artiglieri degli aerei hanno pessima mira o a Gaza non esistono tali punti militari “nevralgici”.

Non abbiamo l’onore di conoscere la Palestina, ma supponiamo che in quelle case, capanne ed edifici abitava gente, uomini, donne, bambini ed anziani, e non soldati.

Non abbiamo visto nemmeno fortificazioni di resistenza, solo macerie.

Fino ad ora abbiamo visto il vano sforzo di assedio informativo ed i diversi governi del mondo dubitare tra scaricare le responsabilità o applaudire all’invasione, ed una ONU, già inutile da tempo, tirare fuori tiepidi comunicati stampa.

Ma aspettate. Ci è vento in mente adesso che forse per il governo di Israele quegli uomini, donne, bambini ed anziani sono soldati nemici e, come tali, le capanne, case ed edifici dove abitano sono quartieri che bisogna distruggere.

Quindi sicuramente i fuochi di artiglieria che questa mattina cadevano su Gaza erano per proteggere da quegli uomini, donne, bambini ed anziani l’avanzata della fanteria dell’esercito di Israele.

E la guarnigione nemica che vogliono indebolire con l’assedio intorno a Gaza non è altro cosa che la popolazione palestinese che vive lì. E che l’assalto cercherà di annichilire questa popolazione. E che qualsiasi uomo, donna, bambino o anziano che riesca a scappare, nascondendosi, dall’assalto prevedibilmente sanguinoso, sarà poi “cacciato” affinché la pulizia sia completa ed il comandante militare al comando dell’operazione possa riferire ai suoi superiori “missione compiuta”.

Scusate di nuovo la nostra ignoranza, forse quello che stiamo dicendo non faccia al caso. E che invece di ripudiare e condannare il crimine in corso, come indigeni e guerrieri quali siamo, dovremmo discutere come e prendendo posizione nella discussione su “sionismo” o “antisemitismo”, o che al principio erano le bombe di Hamas.

Forse il nostro pensiero è molto semplice, e ci mancano le sfumature e postille sempre necessarie nelle analisi ma, per noi, zapatiste e zapatisti, a Gaza c’è un esercito professionista che sta assassinando una popolazione indifesa.

Chi in basso e a sinistra può restare in silenzio?

Serve dire qualcosa? Le nostre grida fermano le bombe? La nostra parola, salva la vita di qualche bambino palestinese?

Noi pensiamo che sì, serve, che forse non fermeremo una bomba né la nostra parola si trasformerà in uno scudo blindato che impedisca che quella pallottola calibro 5.56 mm o 9 mm, con la sigla “IMI”, “Industria Militare Israeliana” stampata alla base della cartuccia, arrivi nel petto di una bambina o un bambino, perché forse la nostra parola riesca ad unirsi ad altre in Messico e nel mondo e forse prima si trasformi in mormorio, poi a voce alta, e quindi in un grido che si senta a Gaza.

Non sappiamo voi, ma noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN sappiamo quanto sia importante che, in mezzo alla distruzione e alla morte, sentire parole di incoraggiamento.

Non so come spiegarlo, ma sembra che le parole da lontano forse non riescono a fermare una bomba, ma sono come se si aprisse una crepa nella nera stanza della morte e si accendesse una piccola luce.

Per il resto, succederà quello che succederà. Il governo di Israele dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, occulterà al suo popolo la dimensione del massacro, i grandi produttori di armi avranno ottenuto un respiro economico per affrontare la crisi e “l’opinione pubblico mondiale”, quell’ente malleabile e sempre a modo, si volterà a guardare da un’altra parte.

Ma non solo. Succederà anche che il popolo Palestinese resisterà e sopravvivrà e continuerà a lottare e continuerà ad avere la simpatia del basso per la sua causa.

E, forse, un bambino o una bambina di Gaza sopravvivranno. Forse cresceranno e, con loro, il coraggio, l’indignazione, la rabbia. Forse diventeranno soldati o miliziani di qualcuno dei gruppi che lottano in Palestina. Forse combatteranno contro Israele. Forse lo faranno sparando un un fucile. Forse immolandosi con una cintura di cartucce di dinamite legata in vita.

Ed allora, in alto, scriveranno sulla natura violenta dei palestinesi e faranno dichiarazioni di condanna di quella violenza e si tornerà a discutere su sionismo o antisemitismo.

E nessuno domanderà chi ha seminato ciò che sta raccogliendo.

Per gli uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 4 gennaio 2009

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO

Sesto Vento: Un’Altra Degna Rabbia.

Buona sera.

Grazie Don Eduardo Almeida per farci da moderatore. È un onore averla con noi.

Dagli inizi della nostra sollevazione, ha richiamato la nostra attenzione la simpatia e l’appoggio che ricevevamo, e che fortunatamente continuiamo a ricevere, dai quattro settori della popolazione: dagli indigeni, le donne, ragazzi e ragazze, da omosessuali, lesbiche, transgenders, transessuali, principalmente, ma non solo, lavoratori e lavoratrici del sesso.

Da allora ci siamo sforzati di trovare le ragioni o i motivi che ci davano questo privilegio.

A poco a poco abbiamo capito, non so ancora se abbiamo indovinato, che è perché abbiamo in comune questo essere “altri”, “altre”, esclusi, perseguitati, discriminati, temuti.

Come se si fosse imposta una normalità o uno standard, con le sue classificazioni e caselle, e tutto quello che non entrava in quelle classificazioni fosse posto in un archivio sempre più grande, contrassegnato dall’etichetta “altro”.

Ovviamente queste classificazioni sono anche qualificazioni, e da queste ne esce una serie di codici culturali e modelli di comportamento ai quali ci si deve conformare.

Una specie di manuale di sopravvivenza che l’essere umano non riceve in blocco, ma lo assimila a dosi, la maggior parte delle volte, brutali, nel lungo o breve tragitto della sua maturazione, cioè, del suo addomesticamento.

Fate conto di vere un opuscolo di “Che fare in caso di…?”

E così, non scritti ma evidenti ed onnipresenti, ci sarebbero opuscoli per “Che fare di fronte ad un indigeno?”, o “Che fare di fronte ad una donna?”, o “Che fare di fronte ad una ragazza o un ragazzo?”, o “Che fare di fronte ad un omosessuale, una lesbica, un transgender o un transessuale?”.

Indubbiamente non sono un progetto editoriale, ma sono così diffusi che la loro pubblicazione renderebbe milionario chiunque. La raccolta si potrebbe chiamare “Essere una persona normale” e si potrebbe acquistare a fascicoli.

Si potrebbe pensare che ognuno di questi manuali di “educazione” o “sopravvivenza nella normalità” abbia le sue specificità, e le ha. Ma hanno anche delle cose in comune:

“Diffida!”, “Disprezza!”, “Discrimina!”, “Aggredisci!”, “Deridi!” sarebbero alcune di queste cose.

E tra le loro specificità potremmo trovare:

L’opuscolo “Che fare di fronte ad un indigeno?” potrebbe indicare in dettaglio, per esempio: “guarda dall’alto in basso, in modo che quella cosa che hai davanti sappia chi comanda e sappia che non siamo tutti uguali, sorridi bonariamente, racconta barzellette sul modo di parlare o di vestire di quella cosa. Il suo valore? Vale meno di un pollo”.

E quello “Che fare di fronte ad una donna?” potrebbe riportare: “Se sei uomo guardala come quello che è, un oggetto, una prostituta con padrone o ancora senza padrone. Se sei donna, fai la stessa cosa. Considerala per le sue possibilità di utilizzo sessuale, forza  lavoro o elemento decorativo. Aggrediscila. Se è bella, toccala, prendila, falla tua, o almeno tentaci, se è necessario l’uso della forza non dubitare, usalo. Che quell’oggetto che hai sappia chi comanda e sappia che non siamo tutti uguali”.

Non bisogna temere di dirlo; questo manuale è diffuso de è praticato con entusiasmo tra gli uomini o maschi che diciamo stare in basso e a sinistra. Tacerlo, nasconderlo, non ci esime dall’essere colpevoli né esorcizza il fantasma che a volte ci rende troppo simili a chi diciamo di combattere.

E l’opuscolo “Che fare di fronte ad una ragazza o un ragazzo?” potrebbe riportare: “In primo luogo pensa di trovarti di fronte ad un delinquente vero o potenziale. Oltre a brufoli e spille, questa cosa ha la tendenza naturale al vandalismo e alla violenza. Considera anche il vantaggio che hai nei calendari, qualcosa che la cosa dovrà capire. Non preoccuparti per la sua ribellione, gli sarà passata quando il calendario, con l’aiuto della polizia, farà il suo lavoro”.

E nell’opuscolo “Che fare di fronte ad un omosessuale, una lesbica, transgender o transessuale?” si potrebbe leggere: “Pensa di stare di fronte ad un criminale malato, quindi allontanati (non è accertato che la putería non sia contagiosa), se ne hai, tieni lontani i tuoi figli. In casi estremi ricorri al tuo confessore di fiducia (nota: in mancanza di questo, un membro del PAN, o di un qualsiasi partito di destra, può servire)”.

Diciamolo: non solo di fronte alle donne, ma anche di fronte alle diverse preferenze sessuali la sinistra è profondamente maschilista.

E gli zapatisti, le zapatiste?

Forse siamo uguali o peggiori. Nel migliore dei casi ci manca ancora molto.

Ma con l’impegno di imparare e, soprattutto, con gli spazi che ci offrono questi apprendistati e con le maestre, i maestri: voi.

Nei racconti che abbiamo diffuso in questi anni, abbiamo tentato di mostrare la nostra realtà, i nostri difetti e carenze, ma anche i nostri “modi” di cercare di superare gli uni e le altre.

Di fronte alle differenze sessuali è stato più facile. Forse perché arriviamo meno addomesticati.

In uno dei percorsi dell’Altra Campagna, abbiamo incontrato i compagni e le compagne della Brigada Callejera (che ci stavano insegnando, ancora senza saperlo, da molto tempo). Avevamo domandato loro del problema della chiocciola “@”. Questa è politicamente corretta, ma include solo il maschile ed il femminile, come se fosse l’unica opzione sessuale, manca l’altro. I compagni e le compagne della Brigada Callejera ci dissero che usavano “compañeric” o “compañerotic”, non ne sono molto sicuro.

Noi abbiamo cercato il nostro modo e siamo arrivati a questo che abbiamo chiamato “compañeroa”.

Bene, il primo racconto descrive l’incontro di Elías Contreras con la Magdalena. La Magdalena era una “compañeroa“. Chi crede che lei, o lui, sia un personaggio letterario si sbaglia. La Magdalena è esistita ed era reale, collocatela nel calendario e nella geografia zapatista, come è collocabile l’avvenimento in cui salvò la vita ad Elías Contreras un indigeno zapatista che si affacciò alla città con quella capacità di stupore e quell’impegno di capire che poche persone possiedono.

Per quanto riguarda le donne siamo ancora molto indietro. Un momento fa, nel pomeriggio, abbiamo ascoltato per voce della Comandante Hortensia i progressi ottenuti dalle donne in lotta.

Lei ha mancato di dire che li hanno ottenuti nonostante la nostra decisa opposizione. Se noi uomini non parliamo molto di questo è perché sarebbe un lungo e penoso resoconto di sconfitte.

Abbiamo molti problemi. Per esempio, nei nostri quartieri le condizioni igieniche non sono ottime, ed è frequente che tra le insurgentas si verifichino malattie come le infezioni alle vie urinarie. La Capitana di Sanità Elena non mi smentirà: si combatte molto per costringere i loro compagni maschi a curarsi, perché poi le infettano di nuovo.

E non solo. Combattiamo anche per l’uso del preservativo. Le nostre compagne insurgentas normalmente sono molto giovani ed hanno problemi di salute per l’uso di anticoncezionali. La pillola e gli altri metodi fanno loro male. Siccome sono molto giovani si insistite sui loro compagni maschi perché usino il preservativo. Ma, come comprenderete, è difficile accertare che questo avvenga, e non possiamo andare in ogni casa a vedere se lo stanno usando. Io ho proposto la mia “pedagogia del machete“, e li minaccio di fargli la vasectomia con la mia abilità chirurgica.

E ci manca ancora molto per quanto riguarda il rispetto della donna. C’è un aneddoto che vi voglio raccontare:

Qualche giorno fa eravamo riuniti dicendo che sarebbe venuta la Comandante Sandinista Mónica Baltodano. Una delle comandanti ha tirato fuori la frase che dicevano le donne sandiniste che dice “non si può fare la rivoluzione senza la partecipazione delle donne”. Io, scherzando, le dissi che tiravo fuori la frase che diceva “si può fare la rivoluzione nonostante le donne”. La comandante mi ha guardato dall’alto in basso e mi ha detto: “Grr, Sup, stiamo facendo una guerra di liberazione. Se ci stiamo mettendo tanto è per colpa di quegli stronzi di uomini”.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 4 gennaio 2009

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/varios/1256

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 3 gennaio 2009

http://www.jornada.unam.mx/texto/009n1pol.htm

Calderón si appoggia ad una banda di narcos per fare guerra all’altra banda, dice

Il subcomandante Marcos denuncia che il crimine organizzato guida la forza dello Stato

“Gli zapatisti, contro la violenza che si scatena quando sono gli altri quelli che ci mettono i morti”

HERMANN BELLINHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 gennaio. Il subcomandante Marcos questa notte ha denunciato che in Messico “il crimine organizzato è quello che dirige la forza dello Stato”, benché si dica “che si usa la forza della violenza contro la criminalità”. Assicurando che il governo di Felipe Calderón Hinojosa “è un passo avanti” a livello internazionale nell’uso della violenza, ha sostenuto che “la sua guerra contro il narcotraffico” è un “sanguinoso fallimento.

“Nel nostro addolorato Messico chi è al primo posto nell’uso ed abuso dell’abusato termine ‘violenza’ sono Felipe Calderón Hinojosa ed i mezzi di comunicazione che lo accompagnano, che sono sempre di meno”, ha detto Marcos nella sua prima apparizione al Festival Mondiale della Degna Rabbia, convocato dall’EZLN.

“Il signor Calderón, affezionato ai giochi di strategia in tempo reale, ha deciso che invece di pane e circo, al popolo bisogna dare violenza”, ora che “il circo già lo fanno i politici professionisti ed il pane è molto caro”, ha proseguito nel suo discorso in cui ha criticato anche la violenza istituzionale del governo perredista a Città del Messico, e quella globale i cui attuali paladini sono Stati Uniti ed Israele contro il popolo palestinese.

“Calderón ha deciso di appoggiarsi ad una banda di narcotrafficanti per fare la guerra all’altra banda e, violando la Costituzione ha messo l’esercito a svolgere compiti di polizia, di pubblico ministero, giudice, carceriere ed esecutore. Che stia perdendo questa guerra lo sa chiunque non sia del suo gabinetto.” E “che la morte del suo partner fu un omicidio lo sanno tutti, anche se non si scrive”, ha aggiunto.

Il capo militare zapatista ha riflettuto ampiamente sulla violenza, i suoi usi e significati secondo il potere ed i suoi affiliati, e secondo quelli che stanno in basso. “Noi zapatisti non appoggiamo il pacifismo che si solleva affinché sia l’altro a porgere l’altra guancia, né la violenza che si scatena quando sono gli altri che ci mettono i morti”.

Ha accusato il governo “di sinistra” della Città del Messico di assassinare i giovani, “adolescenti la maggioranza”, nel silenzio “di un settore dell’intellighenzia progressista”.

Ha ammesso che “sarebbe ingenuo pensare che tutto il buono” che hanno fatto gli zapatisti (“compreso il privilegio di ascoltarvi ed imparare dalle vostre lotte”, ha detto ai presenti) sia stato possibile senza considerare che l’EZLN si è fatto conoscere come esercito armato. “Ci hanno conosciuto in guerra. In guerra siamo rimasti questi 15 anni. In guerra andremo avanti fino a che questo angolo del mondo chiamato Messico faccia suo il proprio destino senza trappole, senza finzioni, senza simulazioni”.

Questa mattina, il tenente colonnello Moisés aveva dato inizio alla fase finale del festival con un appello a “circondare e chiudere il passo al capitalismo che ora vuole circondare il mondo col suo denaro”.

Affollando completamente l’auditorium principale dell’Università della Terra-Cideci ed altri tre saloni con video a circuito chiuso, oggi sono arrivate qui più di 3 mila persone. Come hanno osservato molti presenti, il clima era entusiasta. Una rabbia allegra, per così dire.

“Stiamo qui per conoscere le diverse rabbie che sentono quelli che soffrono in ogni paese, in ogni città, nei luoghi dove ognuno lavora nelle fabbriche, scuole, terra comunale, ejido, colonia”, ha detto Moisés, responsabile zapatista dell’Altra Campagna internazionale (o Intergalattica).

Riuniti per conoscere “le diverse forme di rabbia contro il capitalismo neoliberista”, oltre agli invitati che parleranno o l’hanno già fatto, al festival partecipano 228 collettivi ed organizzazioni di 22 entità federative, ed altri 57 gruppi di 25 paesi.

Il comando militare zapatista ha sottolineato: “Degna deve essere la rabbia, perché, se non è così, ci vendiamo, arrendiamo e tentenniamo. Per questo è importante ascoltarci, conoscerci. Non siamo qui per sapere chi ci guiderà nel nuovo mondo che vogliamo, ma affinchè tutti insieme andiamo verso il cambiamento che vogliamo e che ognuno farà quel che deve per cambiare quello che non va al popolo povero”.

Questa riunione non è “per dimostrare chi è il più rivoluzionario”, ha proseguito Moisés. “Voi ci avete dimostrato che la vostra lotta prosegue e proseguirà, ed in questi giorni qui,  state per ascoltare le molte esperienze”.

La delegazione ribelle presente al tavolo, insieme a rappresentanti di movimenti sociali del Messico di questo e dell’altro lato, America del Sud ed Europa, era formata dalle comandanti Miriam, Hortencia e Florencia. Ma siccome “da parte dell’EZLN è sempre ricordata la compagna comandante Ramona, questa è presente a nome della comandante Susana“, ha detto Moisés.

Inoltre c’erano i comandanti David, Zebedeo, Tacho e Guillermo, la capitana insurgente Elena, la “compañera” Everilda, le bambine Toñita e Lupita e, al lato estremo del tavolo, il subcomandante insurgente Marcos.

A questi partecipanti si sommano 90 gruppi musicali, teatrali, di danza, burattinai, cantastorie e di poesia. Nella prima tappa del festival, realizzata a Città del Messico, si è avuta una partecipazione “fluttuante” di almeno 2.500 persone ogni giorno, ha detto Moisés. A San Cristóbal de las Casas il pubblico sembra più numeroso, e meno fluttuante.

Durante il giorno hanno preso la parola rappresentanti dell’Unione Nazionale delle Organizzazioni Politiche di Sinistra Indipendente (UNOPII) e l’Unione Nazionale delle Organizzazioni Sociali (Unios). Justicia para el Barrio, con un documentario, ha presentato l’esperienza dei “due volte profughi”: in Messico e poi negli Stati Uniti.

Il Comitato di Solidarietà con i Popoli del Chiapas in Lotta, di Parigi, ha ricordato con commozione i due grandi uomini che hanno lasciato un’impronta importante nello zapatismo del Chiapas: Amado Avendaño e Andrés Aubry.

Hugo Blanco, leggendario dirigente della Confederación Campesina del Perú, ha assicurato che “tutti i popolo nati da Abya Yala (l’America profonda) sono fratelli e non più solo per una vita giusta, ma per la salvezza del genere umano”.

Hanno anche partecipato i lavoratori disoccupati di Argentina, Ya Basta Italia e la Centrale Generale dei Lavoratori dello Stato Spagnolo. La rivista Alana, Grecia, ha fatto riferimento all’attuale esplosione sociale in più di 50 città del suo paese contro “i simboli della ricchezza e la forza della polizia”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 3 gennaio 2009

Los de Abajo

Gloria Muñoz Ramírez

http://www.jornada.unam.mx/texto/009o1pol.htm

15 ANNI

Piccoli e con tutto contro, degni, rivolti in avanti, liberi in mezzo alla precarietà, resistendo alla persecuzione esterna ed alle mille sfide interne, innalzando i sogni di migliaia di persone in tutto il mondo, i popoli zapatisti del Chiapas compiono i loro primi 15 anni di lotta ed organizzazione, mentre, lo stesso giorno, a poca distanza, una piccola isola dei Caraibi celebra mezzo secolo di rivoluzione. Niente di più ozioso che i paragoni di due casi storici irripetibili. Valga la coincidenza della data per risaltare la grandezza di due insurrezioni che continuano ad essere, benché per diversi motivi, ispirazione e speranza per il mondo che si oppone al capitalismo.

Le strade di Santiago, a est di Cuba, si riempiono di gente di tutto il pianeta. È mezzo secolo dall’entrata vittoriosa dell’esercito ribelle nella città e, come si dirà nell’atto commemorativo, ancora tutto rischia di crollare. Il popolo cubano si aggrappa ai suoi trionfi in salute, educazione, scienza, arte e sport. Quest’anno tre uragani hanno scosso l’isola e l’austerità si avverte ad ogni angolo, ma non c’è posto per la disperazione. E tanto meno nella città si Santiago, culla del son e del rum, tomba di José Martí ed origine di tutte le battaglie indipendentiste di questo paese.

Primo gennaio 1959. Un esercito trionfa a Cuba ed i suoi dirigenti prendono le redini del cambiamento. Primo gennaio 1994. Un esercito ribelle, uno molto altro, si alza in armi nel sudest messicano, dichiara guerra all’Esercito federale ed al governo messicano ed intraprende una strada diversa. Non si pone la presa del potere, ma la presa dei mezzi di produzione e l’esercizio di fare politica in altro modo, includente, dal basso, di sinistra ed anticapitalista.

L’ispirazione del trionfo cubano incoraggia, come in tutta l’America Latina, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), benché l’insurrezione maya costruisca abbondantemente la propria strada. Si sente un affetto molto speciale nelle comunità verso il popolo di Cuba. Nella Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona c’è un messaggio chiaro degli zapatisti: “E vogliamo dire al popolo di Cuba, che resiste da molti anni sulla sua strada, che non è solo e che non siamo d’accordo col blocco che subiscono e che vedremo il modo di mandare qualcosa, magari mais, per la loro resistenza”. La promessa zapatista si realizza ed un carico di mais parte dalla selva verso il porto di Veracruz, e da lì verso l’isola dei Caraibi. Poco si sa dell’accoglienza cubana, ma hanno ricevuto questa piccola dimostrazione di solidarietà dei più poveri che, come loro, non si fermano quando si tratta di fratelli ed offrono quello che hanno e perfino quello che non hanno. Congratulazioni.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Secondo Vento: un degno e arrabbiato impegno.

Di regali e saluti (un po’ di storia ed isterie passate e presenti).

Prima abbiamo segnalato il trucco geografico che il Potere usa per collocare distanze inesistenti tra le sue forme di dominio, da una parte, e le resistenze che incontra, dall’altra.

Il Potere usa i calendari anche per neutralizzare i movimenti che attentano o hanno attentato alla sua essenza, alla sua esistenza o alla sua normalità.

Questo il motivo delle sue date commemorative. Con esse si fissa, si limita, si definisce e si arresta. Per ogni giorno del calendario che l’Alto ammette nella sua cronologia, avviene una presa di controllo sulla storia. In quei giorni si arrestano i movimenti, si danno per finiti in tutti i sensi. Non c’è l’Alto in questa calendarizzazione della storia, niente che renda conto dei processi e dei movimenti che dunque sono ridotti ad un giorno.

Quindi queste date si trasformano in statue. In Messico il 16 Settembre ed il 20 Novembre furono mummificati dagli inizi della lunga era priista. Ogni anno la combriccola di criminali di turno, cioè, nel governo, accorreva a monumenti e sfilate solo per assicurarsi che Miguel Hidalgo, José María Morelos, Vicente Guerrero, Francisco Villa ed Emiliano Zapata continuassero ad essere morti.

Nel calendario dell’alto non c’erano solo le sue date per esorcizzare morti scomodi, ce n’erano anche dove il controllo si corroborava, come i primi di maggio priisti in Messico.

Forse per questo, per rivendicare la sua profonda radice priista, il governo perredista di Città del Messico ha voluto ufficializzare il 2 Ottobre attraverso alcuni dei partecipanti, invecchiati nelle idee, al movimento studentesco del 1968. Come se così volessero prendere il controllo sulla gioventù capitolina degna e arrabbiata.

E sono quasi sicuro che, in ogni punto della variopinta geografia mondiale, il Potere ha eretto statue e punti di controllo nel suo calendario.

Ancora una volta dalla Grecia ci è giunta la parola per dirci che, per cercare di sbollire la rabbia in mobilitazione della gioventù, il governo ha anticipato il periodo di vacanze.

Ma il venticello liberista si è trasformato in uragano neoliberista ed è arrivata la globalizzazione. E con lei lo scricchiolare delle vecchie fondamenta delle classi politiche… e dei suoi usi e costumi.

In Messico il primo di maggio non è più stato lo stesso, cioè, un dilatato ringraziamento al-signor-presidente, da quando gli apparati di controllo sindacale si spaccarono ed i lavoratori trasformarono il corteo che doveva essere di carovane servili, in una marcia di rivendicazioni e proteste. Allora una bomba molotov esplose sui portoni del Palazzo Nazionale. L’anno nel calendario? 1984. Qualche mese dopo io avrei avuto una delle mie morti ed una delle mie nascite sulle montagne del sudest messicano.

L’intermittente sfida dei lavoratori della città, prima circoscritta alla sinistra, raggiunse allora le grandi centrali sindacali. Il grido tornò ad essere mormorio, è vero, ma è sempre latente. Un Fidel Velázquez morto molti anni prima di essere sepolto fu l’avviso per cercare nuove figure di controllo, ovvero, nuove cinghie di trasmissione affinché i disegni di quelli in alto si trasferissero dal dominante al dominato. E nacquero i neocharros, che non erano e né sono così nuovi. Se guardate un leader sindacale filogovernativo di adesso e la foto di uno di quei tempi, vi chiederete allarmati se le date non sono sbagliate.

L’apparato di controllo del Potere sui lavoratori delle campagne e delle città sembrava vivere nel ritratto di Dorian Grey (non so nemmeno se si scrive così) che, nonostante la sua decrepitezza, splendeva sempre magnifico, fresco, reale.

Ma lo specchio si ruppe e l’invecchiamento fu palese.

Quindi le nuove figure di controllo nelle campagne e nelle città, i neocharros del sindacalismo operaio e le centrali contadine, scoprirono che il loro compito non era più ammortizzare… scusate se dico una brutta parola, ammortizzare la lotta di classe fungendo da cuscinetto e amministratore delle istanze operaie e contadine (in Messico il sogno impossibile della UNT e Diálogo Nacional). No, ora si trattava di impiantare le nuove strategie e tattiche del capitalismo selvaggio nelle fabbriche, nel commercio e nelle banche, e nelle campagne. Su questo processo di riorganizzazione della forza lavoro non mi addentrerò oltre, ci sono vari ed eccellenti testi nel nostro paese che rendono conto di questo.

Nelle campagne il gioiello della corona neoliberista è stato la riforma reazionaria dell’articolo 27 della Costituzione, promossa dall’oggi assiduo scrittore di un periodico progressista e sempre un criminale: Carlos Salinas de Gortari.

Benché sempre con sogni di una grandezza che abbia il suo posto memorabile nel calendario degli omaggi, Carlos Salinas de Gortari non ha smesso di essere un impiegato delle forze del capitale internazionale, un amministratore che, in primo luogo, andò al potere con una frode elettorale scandalosa (anche se non tanto, se paragonata a quanto fatto da Felipe Calderón) e poi volle imporre a suoi subalterni, cioè, a suoi governati, un paese virtuale del primo mondo.

Ed ebbe successo… fino a che, un primo gennaio di 15 anni fa un fucile indigeno di legno ruppe lo schermo del suo monitor, la sua tastiera ed il suo mouse e, a giudicare dalle incoerenze che scrive ora, rovinò anche il suo hard disk. E da questo non lo salva nemmeno Bill Gates.

Il crimine della controriforma all’articolo 27 della Costituzione perpetrato con l’avallo legislativo di molti di coloro che oggi sono “paladini” della democrazia e “difensori” del popolo nelle file lopezobradoriste, si tradusse in queste terre indigene nella causa scatenante della crescita quantitativa e qualitativa, in elementi e territorio, di quello che ora il mondo conosce come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Ma di questo abbiamo già parlato.

Le forme e i modi di Salinas de Gortari e dell’impiegato delle multinazionali, Zedillo Ponce de León, somigliavano più a quelli dell’ignorante capo ufficio d’azienda che a quelli dello zelante direttore delle vendite, cosicché il capitale decise di provarne un altro, mediocre come i suoi predecessori, ma che aveva fatto carriera nella Coca Cola, un Vicente Fox che mostrava problemi mentali già in campagna elettorale e che attentò al calendario esorcizzante priista, portando l’usuale ignoranza della storia nazionale di cui fanno sfoggio i membri del Partito Azione Nazionale, alle festività patrie.

Fu così orribile lo svolgimento del suo ruolo di titolare dell’esecutivo, che il PAN e gli amici che lo sostenevano dovettero ricorrere ad un’enorme frode elettorale per disfarsi della presidenza di una Repubblica Messicana ormai agonizzante.

Il governo di Felipe Calderón recentemente ha lanciato una campagna mediatica in cui esorta la cittadinanza a segnalare quale sia lo strumento più inutile.

Noi zapatisti abbiamo la nostra proposta: le elezioni presidenziali sono lo strumento più inutile. Oltre ad essere costose ed al fatto che tutti dobbiamo sopportare le stupidaggini che dicono e ripetono i candidati, è solo un posto in cui si decide chi si siede sulla poltrona.

Ma se il Partito Azione Nazionale esibisce come bandiera la sua ignoranza storica, il movimento lopezobradorista innalza la sua convinzione isterica. Pubblicano la sua storia e quella di chi lo sostiene (poco tempo fa, in occasione della morte di Gustavo Iruegas, presunto incaricato dell’inesistente politica estera del “governo legittimo”, è stata scritta una sua breve biografia con alcune correzioni, perché non comparisse che fu membro della rappresentanza governativa del governo di Zedillo nel sabotato dialogo con l’EZLN, durante il quale disse la frase ormai divenuta un classico tra i media governativi: “Gli zapatisti bisogna picchiarli per farli dialogare” – forse solo così, mutilando la sua storia si può evitare che i seguaci sappiano bene chi sostengono e seguono. E grazie a questa mutilazione della sua storia possono ovviare al fatto che la grande maggioranza di quelli che guidavano il suo movimento si sono arresi e continuano a lasciare prendere per le gambe, politicamente parlando, dai presunti nemici.

Ci accusano di essere settari e intolleranti ma, la verità è che nessun movimento in Messico ha mostrato un tale livello di settarismo, intolleranza ed isterismo quanto quello che oggi, guidato da Andrés Manuel López Obrador, minaccia di salvare il Messico.

E l’isteria si trasforma in vera schizofrenia quando, guardandosi allo specchio, questi intellettuali dicono: “Realmente siamo gli unici a fare qualcosa per questo paese, non vediamo nessun altro”. E nelle loro manifestazioni e mobilitazioni si trovano e dicono: “Sentitemi bene, io credo che a questo movimento faccia molto bene la mia posizione. La mia sola presenza lo rende storico”. In realtà, è storico il numero di volte che questo movimento ha appioppato a quello che fa l’appellativo di “storico”.

Se questi vedovi e vedove del Palazzo Nazionale fanno tutto quello che fanno senza avere il potere federale, immaginatevi voi cosa farebbero se il personaggio fosse arrivato alla poltrona.

Infine, sia come sia, le forme, i modi, gli usi e costumi della classe politica messicana sono ormai in piena crisi. Benché continuino ad esserci specialisti per quella specialità della politica di professione. Ritorneremo su questo in seguito.

In tempi passati abbiamo visto come, con regali, il Potere di uno e dell’altro colore è riuscito ad addomesticare qualcuno di quelli che possono avere una posizione critica nei suoi confronti. Così neutralizzate (“Per dio! Come faccio a criticare chi mi ha dato questa medaglia e/o questo assegno?”) queste personalità, in altri tempi critiche del sistema e dei suoi governi, si trasformano dunque in semplici cinghie di trasmissione della verità di turno.

Prima, ottenere questo richiedeva un’ambasciata o almeno un consolato. Oggi non c’è bisogno di tanto, bastano alcuni corteggiamenti a cene e riunioni, un regalo a carico dell’erario, tagliare il nastro di qualche opera pubblica, alcune notizie giornalistiche, e zac!, ecco che abbiamo un nuovo portavoce dei due governi che attualmente subiamo in Messico.

I regali sono così seducenti per gli intellettuali che alcuni non resistono alla tentazione e, di fronte alla mancanza di ammiratori che glieli offrano, loro stessi si organizzano un omaggio, come ha fatto quell’altro cretino, presunto defraudatore dell’Università in cui lavora, che ispirato dall’alcool si prende il diritto di calunniare, criticare e dare ordini ai movimenti del Messico e del mondo, dalle comode pagine di un giornale e che per ottenere seguaci è arrivato al limite i definire “eroiche” ed “eroici” le “adelitas” e “adelitos” del movimento lopezobradorista in difesa del petrolio.

Ma le corporazioni non sono le uniche cinghie di trasmissione che si esauriscono. La mediazione e l’amministrazione non è solo economica. Lo Stato che ora agonizza ha creato anche i suoi mediatori e amministratori nell’arte e nella cultura, nella comunicazione, nella conoscenza. Primo li ha corteggiati con regali e lodi, poi li ha sedotti con premi e borse di studio, quindi li ha trasformati in suoi dipendenti affinché agissero come mediatori nei riguardi di coloro che, in questi ambiti, si rifiutavano e si rifiutano di farsi addomesticare.

Tutte le istituzioni incaricate della mediazione e della gestione sono già o entreranno in crisi. Il confine tra le bande si è talmente ristretto che bisogna scegliere per una di queste. Così abbiamo organizzazioni contadine amministratrici che ricorrono alla polizia ed ai giudici per reprimere e perseguire altri contadini senza terra; intellettuali e leader sociali che applaudono alla repressione della polizia contro i blocchi che nel DF ed in appoggio ad Atenco realizzò l’Altra Campagna nel maggio del 2006, protetti da quella stessa polizia nel presidio lopezobradorista nel D.F. in agosto-settembre dello stesso anno.

Quindi mettete al sicuro le vostre medaglie, depositate i vostri assegni e fate registrazioni video dei vostri regali, perché il mondo non è più il mondo, né il popolo è lo stesso.

Perché se non mi sbaglio, questo Festival è andato controcorrente rispetto a quei calendari. E ci sono, in questo altro percorso, altri calendari disegnati in basso.

Di questo anno 2009 c’è stato detto fino alla nausea che la globalizzazione è in crisi e che tutti ne pagheremo i costi. Succede così, in momenti di crisi il capitalismo diventa profondamente “democratico”.

Ma ci sono molte cose da festeggiare. Per esempio: i 25 anni di Botellita de Jeréz, i 10 anni dell’inizio del movimento studentesco che difese l’università pubblica e gratuita in Messico, le lezioni che impartiscono gli adolescenti di Grecia, gli insegnamenti dei disoccupati dell’Argentina, l’impegno per la giustizia delle altre e degli altri in suoli newyorkesi, la costanza ribelle nella Francia del basso, la speranza e la lotta della Bolivia indigena in quella bella lezione che ci ha fatto Óscar Oliveira, la pleiade di resistenze in America Latina dell quali ci ha dato conto don Raúl Zibechi, il salutare ed improrogabile compito di riscattare il mio Generale Sandino che rivendica la Comandante, per noi sandinista, Mónica Baltodano, i 50 anni di lezione di dignità che ci impartisce il popolo di Cuba.

Abbiamo parlato di come i regali domano ed addomesticano la critica d’opposizione e quanto sono vulnerabili a quei canti di sirena gli intellettuali ed i giornalisti.

Tuttavia, ce ne sono alcuni che resistono a questi regali con il loro ostinato essere coerenti.

E’ qui con noi il compagno Adolfo Gilly. Ed oso chiamarlo “compagno” non perché sia dell’EZLN o dell’Altra Campagna, ma per la sua lunga storia di lotta dalla parte di quelli che stanno in basso e a sinistra.

Noi zapatisti non facciamo omaggi se non ai nostri morti e non corteggiamo con cibi, premi e medaglie, né invitiamo a tagliare nastri di inaugurazione di secondi piani.

Semplicemente noi salutiamo.

Ed oggi vogliamo salutare questo uomo.

Lo abbiamo sempre considerato un uomo di sinistra coerente, anche se qualche volta, come per Okupache, non siamo stati d’accordo con le sue analisi o posizioni.

Lo salutiamo non solo perché nei tempi in cui l’isteria intellettuale del lopezobradorismo  ci ha attaccato e calunniato, lui è riuscito a farci sapere, a modo suo, che non solo non condivideva le denigrazioni che tanto allegramente si prodigavano a lanciarci contro là in alto, ma che vedeva gli stessi pericoli sui quali noi diamo l’allarme.

Non solo perché in qualcuno dei nostri quartieri si può trovare, rotto e sciupato, come sono i libri che si leggono più volte, il suo libro “La Rivoluzione Interrotta”, la cui introduzione alla prima edizione, scritta nella prigione di Lecumberri dove era detenuto politico, finisce così: “Oggi più che mai è vera la frase di Lenin nell’ultima pagina di “Stato e Rivoluzione”, quando l’ottobre del 1917 gli impedì di completare il suo scritto: “È più bello e proficuo vivere l’esperienza della rivoluzione, che scrivere di essa”.

Inoltre, e soprattutto, lo salutiamo per la sua vita, che è un modo di dire la sua lotta.

Salute, Don Adolfo. Tutto il bene dovunque vada, e dovunque sia sappia che ha un posto nel nostro cuore, cioè, nella nostra storia. Nonostante che proprio qui, alcuni compagni dell’Altra hanno fatto quello che non abbiamo fatto noi quando, sfidando tutte le critiche e le minacce che ci piovevano addosso, li abbiamo sostenuti nell’occupazione Okupache: ci hanno mancato del rispetto che si deve tra compagni. Noi non li rinneghiamo come compagni. E nemmeno rinneghiamo Don Adolfo Gilly come nostro compagno quale è.

E salute a tutte e tutti i ribelli che questo anno innalzeranno il loro degno e arrabbiato impegno.

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 3 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.                              http://enlacezapatista.ezln.org.mx/varios/1229#Marcos

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN esorta all’organizzazione.

La Jornada – Venerdì 2 gennaio 2009

http://www.jornada.unam.mx/2009/01/02/index.php?section=politica&article=009n1pol

Il comandante David ha tenuto il discorso centrale per i tre primi lustri di resistenza

EZLN: IL MALGOVERNO HA DEDICATO 15 ANNI A COLPIRCI, NON A DARCI GIUSTIZIA

L’EZLN ha esortato ad organizzarsi, a sopravvivere, a sostenere la speranza ed a lottare contro il nemico comune

Hermann Bellinghausen

Oventic, Chis. 1º gennaio. “Gli zapatisti, i popoli indigeni che si sono preposti di lottare per un mondo migliore e più umano, sono sempre più perseguitati e colpiti in tutti gli aspetti dai malgovernanti del nostro paese, i potenti ed i partiti politici”, ha denunciato ieri il comandante David nel discorso centrale della celebrazione per i primi tre lustri dell’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

“Per 15 anni abbiamo subito minacce, vessazioni, persecuzioni, attacchi militari e paramilitari. Il malgoverno, i partiti politici ed i loro alleati, benché sia gente povera, non cessano i loro attacchi in molte forme allo scopo di fermare l’avanzata della nostra lotta e distruggere la nostra base rappresentata da tutti i popoli in resistenza”.

Nel caracol Resistencia y rebeldía por la humanidad, e a nome del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’EZLN, i comandanti David e Javier, che parteciparono alla presa di San Cristóbal de lasCasas il 1°gennaio del 1994, hanno letto il messaggio ribelle (in castigliano e tzotzil, rispettivamente) davanti a circa 2 mila basi di appoggio zapatiste della zona Altos, ed a centinaia di collettivi ed individui nazionali e stranieri che partecipano al primo Festival Mondiale della Degna Rabbia che continuerà a partire da questo venerdì a San Cristóbal de las Casas.

“Il malgoverno per 15 anni ha fondato, finanziato ed addestrato i gruppi paramilitari in tutti i villaggi, che hanno il compito di provocare, minacciare e dividere le nostre comunità”, hanno denunciato i comandanti tzotziles. “Per indebolire e distruggere le nostre basi sociali, il malgoverno distribuisce elemosine attraverso i suoi programmi assistenziali alle famiglie affiliate ai partiti politici, col fine di accontentare, zittire e calmare la fame della povera gente”.

Ammettendo che “purtroppo ci sono fratelli indigeni che sono caduti nelle trappole del malgoverno credendo che con questo miglioreranno le loro condizioni di vita senza lottare”, il CCRI dell’EZLN ieri sera ha sostenuto che: “Gli zapatisti non si sono ribellati  in armi per chiedere le briciole o per farsi trattare da mendicanti. Noi lottiamo per una vera democrazia, libertà e giustizia per tutti, per il bene dell’umanità e contro il neoliberismo, per un altro mondo più giusto ed umano, dove stiano tutti quelli che abitano il nostro pianeta”.

Nonostante i successi zapatisti nella costruzione di governi propri nelle comunità, le parole “centrali” della festa, dove c’è stato anche ballo, sport e canzoni, hanno espresso un dolore che non cessa né si arrende: “I malgovernanti, i potenti, quelli che si considerano signori e padroni di tutto, si impegnano a saccheggiare le ricchezze dei nostri popoli, a distruggere la natura e a distruggere l’umanità”.

Ritenendo “necessario ed urgente che tutta la gente buona ed onesta” unisca le sue parole, lotte, resistenza e degna rabbia, gli zapatisti sostengono la speranza “che un altro mondo è possibile”. Hanno invitato i loro “fratelli compagni” ad organizzarsi, unirsi “ai loro popoli” contro un “nemico comune”, e cercare la forma ed i meccanismi per “unire e globalizzare” lotte, resistenze e ribellioni.

Questo “sarà possibile solo se ci proponiamo di camminare e lottare insieme senza che importino i tempi e le distanze”. L’EZLN ha richiamato a fare “forti e grandi” la lotta, la resistenza, la degna rabbia e la ribellione. Come “popoli originari di queste terre” avvertono che proseguiranno, resistendo “con dignità e ribellione ai colpi del malgoverno”.

In questi 15 anni non solo sono stati colpiti. “Abbiamo imparato a resistere e sopravvivere”. Questo, hanno ammesso, “è stato possibile anche grazie all’appoggio ed alla solidarietà di molti fratelli e sorelle del Messico e del mondo. Con sforzo e difficoltà abbiamo tentato di fare qualche passo, ma non è ancora sufficiente a risolvere i problemi e le grandi necessità dei nostri popoli”.

Con il tono autocritico tanto radicato tra gli indigeni zapatisti del Chiapas, i comandanti hanno detto che sebbene le autorità autonome “abbiano tentato di risolvere i problemi dei nostri popoli ed alcune delle loro molte necessità, gran parte dei nostri bisogni non hanno ancora soluzione; la fame, la miseria e le malattie continuano ad aumentare giorno per giorno”.

Nonostante gli inadempimenti ed inganni del governo, gli zapatisti annunciano che andranno avanti, “perché non tradiremo il sangue dei nostri caduti”.

Prima del discorso centrale della comandancia, hanno salutato le carovane del Messico e degli altri paesi i comandanti Domingo e Florencia, rendendo “grazie alla vita e a tutti quelli che ci hanno appoggiati durante questi 15 anni di guerra”, perché così restano “in vita e sul piede di lotta”.

Con una grande bandiera nazionale alle spalle, hanno presieduto la sobria e potente cerimonia decine di autorità autonome della regione, la giunta di buon governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, ed i diversi consigli municipali autonomi degli Altos. “Questa lotta è nostra, vostra e nostra”, ha dichiarato la JBG ai presenti.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SETTE VENTI NEI CALENDARI E GEOGRAFIE IN BASSO.

Primo Vento: una degna gioventù arrabbiata

Buona sera.

Sintrófisa, síntrofe, Ekseyerméni Eláda. Emís, i pió mikrí, apó aftí ti goniá tu kósmu se jeretáme.

Déksu ton sevasmó mas ke ton zavmasmó mas giaftó pu skéftese ke kánis. Apó makriá mazménume apó séna. Efjaristúme.

(Spero di non aver detto qualcosa di sconvenienza, quello che volevo dire è “Compagna, compagno, Grecia ribelle. Noi, i più piccoli, da questo angolo del mondo ti salutiamo. Ricevi il nostro rispetto ed ammirazione per quello che pensi e fai. Da lontano impariamo da te. Grazie”.)

I

Delle violenze e di altre cose.

Da molto tempo il problema dei calendari e delle geografie ha svelato e scoperto il Potere. Negli uni e nelle altre si è visto (e si vedrà) come il suo brillante ingranaggio di dominazione si blocca e scompone. Per questo motivo bisogna fare molta attenzione a maneggiare le geografie ed i calendari.

Nelle geografie può sembrare più chiaro: nel suo rozzo trucco, che questo Festival ha scoperto, la Grecia è molto lontana dal Chiapas. E nelle scuole si insegna che il Messico è separato da un oceano dalla Francia, dai Paesi Baschi, dallo Stato Spagnolo, dall’Italia. E se guardiamo una mappa, possiamo notare che New York è molto a nord del Chiapas indigeno messicano. Qualcosa che qualche ora fa è stato confutato dalle compagne e compagni della Movimento Justicia para el Barrio. E l’Argentina è molto a sud di questa terra, cosa che ha sfidato il compagno di Solano che ha appena parlato.

Ma né sopra né sotto c’è questa separazione. La brutale globalizzazione neoliberista, la IV Guerra Mondiale come la chiamiamo noi zapatisti, ha messo i luoghi più distanti in simultaneità spaziale e temporale per il flusso di ricchezze… e per la loro appropriazione.

Non più i racconti fantasiosi sui presunti eroici scopritori-conquistatori che vincevano con la spada e la croce la debolezza di chi veniva “civilizzato”. Invece delle tre caravelle, una calcolatrice ad alta velocità. Invece di Hernán Cortés, un burattino fatto governo in ogni angolo del pianeta. Invece di spade e croci, un macchinario di distruzione di massa ed una cultura che ha in comune con il “fast food” non solo la sua onnipresenza (McDonalds, come dio, c’è ovunque), ma anche la sua difficile digestione ed il suo inesistente potere nutritivo.

Questa stessa globalizzazione fa sì che le bombe dei governi israeliano e nordamericano cadano su Gaza e nello stesso tempo scuotano il mondo intero.

Con la globalizzazione il mondo intero dell’alto è alla nostra portata… per meglio dire, ai nostri occhi ed alla nostra coscienza. Le bombe che assassinano civili palestinesi sono anche un’avvertenza che bisogna imparare ed assimilare. E la scarpata a Bush in Iraq può essere riprodotta in quasi qualsiasi angolo del pianeta.

E tutto passa dal culto dell’individuale. L’entusiasmo che ha risvegliato tra i benpensanti la scarpata a Bush (che evidenzia solo la pessima mira del giornalista) è plaudire un gesto coraggioso ma inutile e ininfluente per la cosa fondamentale, come settimane dopo dimostra l’appoggio del governo di Bush al crimine che il governo israeliano perpetra in territorio palestinese… e, perdonate se deludo qualcuno che ha acceso le candele ai piedi dell’immagine di Barack Obama, che il successore di Bush appoggia.

E mentre la scarsa mira in Iraq provoca applausi, l’insurrezione in Grecia provoca preoccupazioni: “C’è il pericolo”, allertano ed esorcizzano, “che la ribellione in Grecia si estenda al resto d’Europa”.

Abbiamo sentito e letto quello che ci comunica la gioventù ribelle greca della sua lotta e quello che affronta. La stessa cosa di coloro che in Italia si preparano a resistere alla forza del governo. E la lotta quotidiana de@ nostr@ compagn@ nel nord del nord.

Di fronte a questo tutti là in alto tirano fuori i loro dizionari e cercano la parola “violenza” e la contrappongono a “istituzionalità”. E senza darle contesto, cioè, posizione di classe, accusano, giudicano e condannano.

E ci dicono che è violenta la gioventù greca che fa bruciare la penisola ellenica. Chiaro che si corregge, si mutila, si cancella il fatto che la polizia ha assassinato un ragazzo.

In Messico, nella geografia segnata dalla città con lo stesso nome, un governo di sinistra istituzionale ha assassinato un gruppo di giovani, adolescenti in maggioranza. Un settore dell’intellighenzia progressista ha mantenuto un silenzio complice adducendo che questo è stato per distrarre l’attenzione pubblica, sembra presa nel carnevale in cui si è trasformata la presunta difesa del petrolio. La successiva aggressione sessuale alle giovani donne nei locali della polizia si è persa nel suono delle grancasse che annunciavano una consultazione che poi è stata un fallimento. Invece, non si è condannata la violenza della polizia che, contrariamente a quanto è stato detto, non ha agito in maniera disordinata. Questa polizia da anni è addestrata a reprimere, vessare ed abusare di giovani, venditori ambulanti, lavoratori e lavoratrici sessuali, di coloni e di tutto ciò che dissenta dal governo delle piste di ghiaccio, dei mega spettacoli in stile Fujimori e delle ricette per fare i biscotti. E non bisogna dimenticare che la dottrina che anima questa polizia è stata importata a Città del Messico dall’oggi presidente “legittimo” del Messico quando era capo di governo del DF.

A Città del Messico ed in Grecia i governi assassinano giovani.

Il tandem governativo Stati Uniti-Israele segna ora a Gaza il modello da seguire: è più efficace ucciderli quando sono bambini.

Già prima, in Messico, nel presente calendario saranno ormai 10 anni, giovani studenti della UNAM crearono un movimento che fece impazzire la sinistra benpensante che, isterica come oggi, li calunniò e screditò con ferocia. Ed anche allora si disse che era un movimento violento per distrarre l’attenzione dalla grigia campagna elettorale del grigio candidato presidenziale del grigio partito della rivoluzione democratica. Ora, 10 anni dopo, bisognerebbe ricordare che la UNAM continua ad essere pubblica e gratuita grazie all’impegno di quegli uomini e donne, ragazze e ragazzi chi oggi salutiamo.

Nel nostro addolorato Messico chi è al primo posto nell’uso ed abuso dell’abusato termine ‘violenza’ sono Felipe Calderón Hinojosa ed i mezzi di comunicazione che lo accompagnano (che sono sempre meno). Il signor Calderón, appassionato di giochi elettronici di strategia in tempo reale (il suo gioco preferito, l’ha dichiarato lui, è “L’Epoca degli Imperi”), ha deciso che, al posto di pane e circo, al popolo si doveva dare sangue. Siccome il circo già lo fanno i politici di professione ed il pane è molto caro, Calderón ha deciso, appoggiando una banda di narcotrafficanti, di fare la guerra all’altra banda. Violando la Costituzione ha messo l’esercito a svolgere compiti di polizia, di pubblico ministero, giudice, carceriere ed esecutore. Che stia perdendo questa guerra lo sa chiunque non sia del suo gabinetto. E che la morte del suo partner fu un omicidio lo sanno tutti, anche se non si scrive.

E nella sua guerra, le forze del governo di Calderón hanno nel loro conto l’omicidio di persone che non c’entravano niente, di bambini e di non nati.

Con Calderón alla guida il governo del Messico è un passo avanti a quelli di Stati Uniti ed Israele: lui li uccide quando ancora stanno nel ventre materno.

Ma si è detto, ed ancora lo ripetono annunciatori ed editorialisti, che si sarebbe usata la forza dello Stato per combattere la violenza del crimine organizzato.

E ancora una volta si è visto che è il crimine organizzato a guidare la forza dello Stato.

Forse tutto questo si tratta di un intelligente stratagemma di Calderón ed il suo obiettivo è distrarre l’attenzione della gente. Occupato com’è il pubblico col sanguinoso fallimento della guerra contro il narcotraffico, può essere che non si renda conto del fallimento calderonista in politica economica.

Ma torniamo alle condanne della violenza che arrivano dall’alto.

C’è un’ingannevole trasmutazione, una falsa tautologia: dicono di condannare la violenza ma in realtà condannano l’azione.

Per loro, quelli in alto, il dissenso è un male del calendario o, quando sfida anche questo, una patologia cerebrale che si cura, secondo alcuni, con molta concentrazione mentale, mettendosi in armonia con l’universo e così tutti siamo esseri umani… o cittadini.

Per questi violenti pacifisti tutti sono esseri umani: lo è la giovane greca che alza il braccio con una molotov in mano ed il poliziotto che uccide gli Alexis che sono stati nel mondo e lo saranno; lo è il bambino palestinese che piange al funerali dei suoi fratelli morti per le bombe israeliane ed il pilota dell’aeroplano di combattimento con la stella di David sulla fusoliera; lo è il signor George W Bush ed il clandestino assassinato dalla Border Patrol in Arizona, Stati Uniti; lo è il miliardario Carlos Slim e la cameriera di un Sanborns che deve viaggiare 3 o 4 ore per andare al lavoro e se arriva tardi la licenziano; lo è il signor Calderón che si dice capo dell’Esecutivo federale messicano, ed il contadino privato della sua terra; lo è il signor López Obrador e gli indigeni assassinati in Chiapas che non ha visto né sentito; lo è il signor Peña Nieto, predatore dello Stato del Messico ed il contadino Ignacio Del Valle, del FPDT, arrestato per aver difeso i poveri; infine, lo sono gli uomini e le donne che hanno la ricchezza ed il potere, e le donne e gli uomini che non hanno nient’altro che la loro degna rabbia.

E là in alto chiedono ed esigono: “Bisogna dire no alla violenza, da qualcunque parte venga”… facendo attenzione a porre l’enfasi se la violenza viene dal basso.

Secondo loro tutti e tutte devono mettersi in armonia affinché si risolvano le loro differenze e contrapposizioni e gridino: “anche il popolo armato è sfruttato”, riferendosi a soldati e poliziotti.

La nostra posizione di zapatisti è chiara. Non appoggiamo il pacifismo che si solleva affinché sia un altro a porgere l’altra guancia, né la violenza che si scatena quando sono altri che ci mettono i morti.

Noi siamo come siamo, con tutto il bene ed il male che portiamo dietro e che è nostra responsabilità.

Ma sarebbe ingenuo pensare che tutto il buono che abbiamo fatto, compreso il privilegio di ascoltarvi ed imparare da voi, si sarebbe raggiunto senza la preparazione di un intero decennio affinché sorgesse il Primo Gennaio come sorse 15 anni fa.

Non è stato con una marcia o un documento dei qui-sotto-frmatari che ci siamo fatti conoscere. E’ stato con un esercito armato, con i combattimenti contro le forze federali, con la resistenza armata che ci siamo fatti conoscere dal mondo.

Ed i nostri compagni e compagne caduti, morti e scomparsi, lo sono stati in una guerra violenta che non è cominciata 15 anni fa, ma 500 anni fa, 200 anni fa, 100 anni fa.

Non sto facendo un’apologia della violenza, sto segnalando un fatto verificabile: in guerra ci hanno conosciuto, in guerra siamo rimasti questi 15 anni, in guerra proseguiremo fino a che questo angolo del mondo chiamato Messico faccia suo il proprio destino, senza trappole, senza finzioni, senza simulazioni.

Il Potere nella violenza ha una risorsa di dominazione, ma ce l’ha anche nell’arte e nella cultura, nella conoscenza, nell’informazione, nel sistema di giustizia, nell’educazione, nella politica istituzionale e, ovviamente, nell’economia.

Ogni lotta, ogni movimento, nelle sue particolari geografie e calendari, deve ricorrere a diverse forme di lotta. Non è l’unica e probabilmente non sarà la migliore, ma la violenza è una di queste.

È un bel gesto affrontare con i fiori le canne dei fucili, ci sono perfino fotografie che immortalano il gesto. Ma a volte è necessario fare che quei fucili cambino obiettivo e si dirigano verso l’alto.

L’accusatore e l’accusato.

Ci accusano di molte cose, è vero. E probabilmente siamo colpevoli di alcune, ma ora voglio soffermarmi su una:

Non abbiamo sparato all’orologio del tempo quel primo gennaio, né lo abbiamo trasformato in una festa nostalgica di sconfitta, come hanno fatto col 68 alcun@ di quella generazione in tutto il mondo, come hanno fatto in Messico con l’88 ed ora perfino col 2006. Su questo culto malaticcio per i calendari truccati tornerò poi.

Neppure abbiamo modificato la storia per rinominarla dicendo che siamo o fummo gli unici o i migliori, o entrambe le cose (che è ciò che fa quest’isteria di gruppo che è il movimento lopezobradorista, ma tornerò poi su questo).

C’è stato e c’è chi ci critica per non aver fatto il salto “nella realpolitik” quando i nostri buoni politici, cioè il nostro rating mediatico, offriva un buon prezzo per la nostra dignità sul mercato delle opzioni elettorali (non politiche).

Ci accusano, in concreto, di non aver ceduto alla seduzione del potere, ciò che è riuscita ad ottenere che gente molto brillante di sinistra dica e faccia cose che sarebbero una vergogna per chiunque.

Ci hanno anche accusato di “delirio” o “radicalismo” perché nella VI Dichiarazione denunciamo il sistema capitalista come la causa dei principali mali che angosciano l’umanità. Oggi non insistono più su questo, perché lo dicono perfino i portavoce del capitale finanziario di Wall Street.

Di sicuro, ora che tutto il mondo dice e ridice sulla crisi globale, bisognerebbe ricordare che già 13 anni fa, nel 1996, fu segnalata da uno scarabeo degno e rabbioso. Don Durito de La Lacandona, nella relazione più breve che ho ascoltato nella mia breve età, disse “il problema con la globalizzazione è che poi i globi esplodono”.

Ci accusano di non rintanarci nella sopravvivenza che, con sacrifici e l’appoggio di quelli in basso negli angoli del pianeta, abbiamo costruito in queste terre indie, e di non rinchiuderci in quello che le menti lucide (così si dicono) chiamano “il laboratorio zapatista” o “la comune della Lacandona”.

Ci accusano di venire fuori, sempre, per affrontare il Potere e cercare  altre, altri, voi, che lo affrontate senza false consolazioni né conformismi.

Ci accusano di essere sopravvissuti.

E non si riferiscono alla resistenza che 15 anni dopo ci permette di dire che continuiamo a lottare, non solo a vivere.

Quello che li disturba è che siamo sopravvissuti come altro riferimento della lotta, della riflessione critica, dell’etica politica.

Ci accusano, chi l’avrebbe detto, di non esserci arresi, di non esserci venduti, di non aver tentennato.

Ci accusano, insomma, di essere zapatisti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Oggi, 515 anni dopo, 200 anni dopo, 100 anni dopo, 25 anni dopo, 15 anni dopo, 5 anni dopo, 3 anni dopo, dichiariamo: siamo colpevoli.

E, dato che è il modo neozapatista, non solo lo confessiamo, ma lo celebriamo.

Non immaginavamo che questo avrebbe disturbato qualcuno che là in alto finge progressismo o si veste di una sinistra giallo scolorito o senza nemmeno colore, ma bisogna dirlo:

L’EZLN vive. Evviva l’EZLN!

Molte grazie.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 2 gennaio 2009

P.S. – Sette Racconti per Nessuno.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/comision-sexta/1201#Marcos

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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