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Archive for febbraio 2012

La Jornada – Sabato 25 febbraio 2012

Una delegazione spagnola della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) visita i detenuti zapatisti e dell’Altra campagna

Hermann Bellinghausen

Dopo la visita in Chiapas ai detenuti zapatisti e dell’Altra Campagna, una delegazione spagnola della Confederazione Generale del Lavoro (CGT) ha dichiarato di aver constatato il loro eccellente stato d’animo, nelle circostanze in cui sopravvivono, e la loro ferma determinazione collettiva di continuare a resistere alla loro ingiusta detenzione che si inserisce nei progetti predatori del governo di Juan Sabines Guerrero.

La delegazione della CGT ha visitato le prigioni numero 5 e 14, a San Cristóbal de las Casas e Cintalapa, dove hanno trovato impressa l’impronta del professor Alberto Patishtán Gómez, prelevato all’alba del 20 ottobre 2011 in pieno sciopero della fame per essere trasferito nella prigione federale di Guasave, Sinaloa, ad oltre 2 mila chilometri dal Chiapas. Questo fatto, che rappresenta un grave attentato alla libertà di espressione di Patishtán ed una violazione della legislazione vigente, non ha sconfitto la sua resistenza.

Gli attivisti spagnoli rilevano che, mentre i compagni della prigione 5 li ricevevano per festeggiare il terzo compleanno di Leonardo, figlio di Rosa López Díaz ed Alfredo López Jiménez, nella prigione 14 è stato permesso loro di parlare con i detenuti solo in parlatorio.

Nella stessa prigione 5 hanno incontrato Francisco Santiz López, base di appoggio zapatista, e Lorenzo López Girón, simpatizzante zapatista ferito da pallottole ed ospedalizzato in carcere. Francisco e Lorenzo hanno espresso alla delegazione la speranza che il loro caso si risolva, ma sempre inserendolo nel contesto ampio della guerra contro le comunità zapatiste. Entrambi sono stati arrestati lo scorso 4 dicembre sulla base di prove false, dopo un’aggressione di priisti a Banavil (municipio di Tenejapa).

I detenuti hanno incentrato le loro recenti denunce sull’allarmante negligenza medica delle autorità. Oltre al costante attentato alla salute, sono in condizioni di sovraffollamento e subiscono continui abusi che restano impuniti, e che sono proprio i detenuti e gli attivisti sociali a combattere questo stato di cose.

La delegazione ha visitato anche la prigione 14 (El Amate) per solidarizzare con Enrique Gómez Hernández, Solidario de la Voz del Amate, e Miguel Demeza Jiménez, aderente all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, che insieme a Miguel Vázquez Deara, nella prigione 16 di Ocosingo, è protagonista de conflitto turistico ed agrario di Bachajón. Ma le coordinate di guerra non si interrompono lì, perché quella che Sabines ha scatenato in Chiapas vuole spegnere i focolai di resistenza in tutti gli strati della società, in particolare vuole minare l’autonomia zapatista. E riferiscono che, come hanno detto gli stessi zapatisti, i fatti della propaganda governativa sono solo immondizia. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/25/politica

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 23 febbraio 2012

Il professor Patishtán chiede al governatore Sabines di mantenere la parola data di liberarlo e ritiene il suo trasferimento nel carcere di Sinaloa “la punizione per aver chiesto giustizia”

Hermann Bellinghausen

Il professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez, prigionieri politico della Voz del Amate e aderente all’Altra Campagna dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), in carcere da 12 anni –e che qualche mese fa è stato trasferito dal Chiapas al Carcere No. 8, chiamato Norponiente, a Guasave, Sinaloa–, accusa il governatore del Chiapas, Juan Sabines Guerrero, di non mantenere il suo impegno di intervenire per la sua liberazione presso le autorità federali.

“A quasi due anni da quando il governatore del Chiapas dichiarò pubblicamente la mia innocenza e si impegnò a liberarmi, questo impegno è rimasto solo nelle parole e non nei fatti”, sostiene il prigioniero di coscienza e difensore dei diritti umani della popolazione carceraria.

“Questo è avvenuto durante la sua visita all’Ospedale Vida Mejor dove ero ricoverato a causa del mio glaucoma”. Il fatto fu ampiamente reclamizzato dallo stesso governo chiapaneco. Nonostante questa dichiarazione – aggiunge il docente indigeno – “e la mia malattia agli occhi, sono stato vittima di un trasferimento a Guasave dopo che i detenuti della Voz del Amate e Solidarios de la Voz del Amate abbiamo dichiarato lo sciopero della fame, digiuno e presidio allo scopo di chiedere giustizia per la nostra ingiusta detenzione”. Ovvero, è stato punito per aver protestato.

Patishtán, portavoce della protesta durata 39 giorni tra settembre e novembre 2011, ha subito un “trasferimento violento” il 20 ottobre. “Attualmente, dopo quattro mesi dal mio trasferimento, il medico del carcere e le autorità hanno ignorato la mia malattia e l’assistenza e la situazione ora è critica e rischio di perdere la vista da un momento all’altro”, e ritiene responsabili anche le autorità federali.

Inoltre, chiede loro “di prendere posizione” ed esorta il presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, a concedergli “la libertà immediata e incondizionata, congiuntamente con i detenuti solidali della Voz del Amate, ingiustamente detenuti”.

Il professore, accusato falsamente di aver compiuto da solo un massacro di poliziotti nel municipio di El Bosque, Chiapas, nel 2000, fatto per il quale è stata pienamente provata la sua innocenza, nonostante la condanna, dichiara: “Le morti di innocenti, le sparizioni e le ingiuste detenzioni in Messico non cessano; attualmente vediamo solo le innumerevoli violazioni dei diritti umani da parte delle autorità federali e statali, e la cosa più triste, deplorevole, crudele e inumana è quando vengono violati i diritti di un detenuto innocente ed ammalato”.

La sventura di Patishtán è che è servito da capro espiatorio per non indagare a fondo su quei gravi fatti avvenuti sulla strada El Bosque-Simojovel. Se sarà liberato, le autorità dovranno indagare nuovamente sui veri colpevoli di quel massacro; questo metterebbe in dubbio l’ex governatore Roberto Albores Guillén, allora mandatario del Chiapas ed attualmente alleato politico di Sabines Guerrero. Sarebbe evidente che questo è un crimine non risolto e dal quale non sono mai state chiaramente definite le responsabilità delle autorità statali di allora. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/23/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 22 febbraio 2012

Comunicato Stampa No. 02

La Suprema Corte di Giustizia della Nazione, il cinismo dell’impunità per il Massacro di Acteal

  •  La Suprema Corte di Giustizia della Nazione ordina la scarcerazione di altre sei persone riconosciute come autori materiali del Massacro di Acteal
  • La Suprema Corte di Giustizia della Nazione, di fatto, nega che il Massacro di Acteal sia mai avvenuto

Di fronte alle recenti scarcerazioni di sei autori materiali del Massacro di Acteal, questo Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) conferma la complicità della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) nel proteggere chi è stato protagonista nel nostro paese di crimini di lesa umanità. In questo modo, le sentenze emesse dalla SCJN affrontano requisiti di forma senza indagare il caso, perpetuando l’impunità per i responsabili materiali e intellettuali di questo crimine di Stato avvenuto il 22 dicembre 1997.

Le sei persone rimesse in libertà lo scorso 1° febbraio con il riconoscimento di innocenza, hanno ricorso in appello che la SCJN ha concesso senza discutere né tenere in considerazione che le persone erano state indicate come autori materiali del massacro, fatti per i quali erano state condannate a 36 anni di prigione, secondo l’atto di procedura penale No. 224/1997, per i reati di Omicidio Aggravato, Lesioni Aggravate, Porto d’Armi senza licenza e di uso esclusivo dell’Esercito e Forza Aerea; i rilasciati sono: Juan Sántiz Vázquez, Lorenzo Gómez Jiménez, Mariano Pérez Jiménez, Agustín Pérez Gómez, José Ruiz Tzucut e Bartolo Luna Pérez. Con questa azione, degli 87 processati come autori materiali, la SCJN ha ordinato, fino ad ora, la liberazione di 50 responsabili, solo 28 persone restano in prigione poiché altre sei erano state assolte dall’inizio dei processi dai giudici federali, due liberate per ragioni umanitarie ed una deceduta durante il processo.

Le vittime e sopravvissuti del Massacro di Acteal hanno ripetutamente denunciato che le persone beneficiate dalla decisione della SCJN – i cui appelli sono stati sostenuti dal Centro di Ricerche e Docenza Economiche (CIDE) – sono tornate gradualmente nei loro luoghi di origine causando tensione, insicurezza nella comunità e re-vittimizzazione delle persone colpite, quale visibile realtà che contrasta con le azioni reclamizzate dal governo dello stato del Chiapas circa la prevenzione del possibile ripetersi di tali atti.

D’altra parte, si conferma che i governanti in Messico hanno procurato ed approfondito l’impunità per i fatti del Massacro di Acteal, poiché hanno impedito di denunciare i responsabili intellettuali del massacro, tra i quali figurano, l’ex Presidente della Repubblica Ernesto Zedillo Ponce de León che per le sue funzioni di Comandante in Capo delle Forze Armate Messicane, [1] aveva la responsabilità di organizzare, equipaggiare, addestrare e gestire le Forze Armate come stabilito dalla relativa legislazione [2]. Inoltre questo significa che la SCJN nega ed occulta, nei fatti, che il Massacro di Acteal sia avvenuto come parte della diffusa strategia di contrainsurgencia che dal 1994, realizza azioni in Chiapas.

Ernesto Zedillo, in qualità di Comandante in Capo delle Forze Armate, guidava la catena di comando e sotto i suoi ordini agivano altre autorità coinvolte, pertanto ribadiamo che, trattandosi dell’esecuzione di una strategia di guerra, è innegabile che fosse a conoscenza e fosse responsabile delle diverse operazioni militari contro la popolazione civile.

In questi anni, le persone sopravvissute al Massacro di Acteal, l’Organizzazione Società Civile Las Abejas di Acteal e questo Centro dei Diritti Umani, hanno chiesto indagini e la punizione degli autori materiali ed intellettuali, tuttavia, a 14 anni e due mesi da questo crimine di lesa umanità, è evidente l’insabbiamento da parte dei diversi poteri dello Stato messicano che tergiversano ed impediscono di far luce sui fatti affinché si conosca la verità storica e siano applicati i principi etici di giustizia in questo paese.

Infine, il Frayba conferma il suo impegno di continuare ad accompagnare i popoli e le organizzazioni che nella memoria storica costruiscono alternative di giustizia e risarcimento, che ricostituiscono il tessuto sociale delle comunità che sono state violentate dalle politiche di Stato.

 

Seguiamo l’esempio dell’Organizzazione Società Civile Las Abejas di Acteal sulla strada che hanno percorso costantemente per consentire che la verità, la giustizia e la pace siano possibili e costruite da e per i popoli contro la complicità delle strutture dello Stato messicano in questa strategia di guerra contro la popolazione civile organizzata, oggi generalizzata.

——

1 Art. 89 sezione VI della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani; Art. 11, 13 e 17 Legge Organica dell’Esercito e Aereonautica dell’Esercito Messicano.

2 Manuale di contrainsurgencia Piano della Campaña Chiapas ’94 della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena).

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Gubidcha Matus Lerma
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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Honduras: Solidarietà e unità di lotta nel Bajo Aguán

Positivo l’Incontro Internazionale per i Diritti Umani e contro il modello di sfruttamento

di Giorgio Trucchi – Rel-UITA
Martedì, 21 Febbraio 2012

Con l’obiettivo di denunciare e dare visibilità alla grave situazione di violenza e violazione dei diritti umani e impunità nel paese e nel Bajo Aguán, solidarizzare con le vittime della repressione e scambiare esperienze per trovare strategie comuni di lotta, dal 16 al 20 febbraio la città di Tocoa, Colón, ha ospitato l’Incontro Internazionale per  diritti umani in solidarietà con Honduras, convocato dall’Osservatorio permanente dei diritti umani ad Aguán e da un nutrito gruppo di organizzazioni nazionali ed internazionali.

Galleria fotografica martiri del Aguán
Galleria fotografica repressione militare
Galeria fotografica apertura dell’Incontro

Per quattro giorni gli oltre 1.200 delegati e delegate provenienti da tutto il territorio honduregno e da diversi paesi del mondo, hanno potuto conoscersi, analizzare ed effettuare scambi sulla crisi dei diritti umani che vive il paese, in modo particolare il Bajo Aguán.

Hanno inoltre condivisero le strazianti testimonianze delle vittime della persecuzione e della repressione, così come le diverse forme di lotte delle organizzazioni contadine che chiedono l’accesso alla terra e il diritto alla sicurezza alimentare rispetto al modello della monocoltura predatore e sfruttatore, finanziato dagli organismi finanziari internazionali.

“La solidarietà internazionale ha risposto in massa all’appello. Ora ci resta la sfida di continuare a tessere questa articolazione solidale ed avanzare fino ad arrivare ad un movimento internazionale contro il golpismo, la violazione dei diritti umani e l’impunità”, ha detto a Sirel, Bertha Cáceres, coordinatrice del Consiglio Civico delle Organizzazioni Popolari e Indigene dell’Honduras (COPINH).

Durante l’Incontro, in alcuni insediamenti contadini si sono svolti laboratori tematici di genere, sull’infanzia e popoli indigeni e discendenti afro.

“Il risultato ha superato ogni aspettativa. La presenza di un centinaio di delegati e delegate internazionali e più di trenta giornalisti stranieri ci incoraggia e ci dà molta speranza per il futuro”, ha dichiarato Caceres.

Ci sono stati anche momenti molto commoventi, come per esempio l’omaggio reso alle vittime e martiri del Bajo Aguán e le testimonianze dei sopravvissuti. In poco più di due anni sono 45 i contadini organizzati che hanno perso la vita nell’ambito del conflitto agrario in questa regione.

“E’ stato un momento straziante. Sui volti dei parenti delle vittime si percepiva la necessità di giustizia ed il senso di impotenza. La sfida ora è canalizzare e trasformare il dolore in lotta”, ha affermato la dirigente indigena.

Per Esly Banegas, dirigente del Coordinamento delle Organizzazioni Popolari dell’Aguán (COPA), l’Incontro ha permesso di smascherare l’ipocrisia del regime.

“Vogliono far credere a livello internazionale che, solo per avere firmato accordi con qualche gruppo di contadini, il conflitto nel Bajo Aguán sia risolto. Sappiamo che non è così e che il regime continua la sua politica di violenza e terrore.

Dobbiamo continuare a dare visibilità a quello che sta succedendo nella regione, moltiplicando la solidarietà, combattendo l’impunità, promuovendo l’unità”, ha detto la presidentessa della sezione di Tocoa del SITRAINA, che ha ringraziato la presenza della Rel-UITA all’Incontro e la copertura garantita al conflitto nel Bajo Aguán.

A conclusione delle attività, il comitato organizzatore ha reso nota la Dichiarazione Finale l dell’Incontro, nella quale si chiede, tra le altre cose, una soluzione definitiva del conflitto agrario nel Bajo Aguán “senza negoziati indegni di compravendita della terra”.

Si chiede inoltre la libertà immediata del prigioniero politico del Movimento Contadino dell’Aguán (MCA), José Isabel Morales, l’archiviazione delle denunce contro più di 500 contadini e la smilitarizzazione del territorio, la fine dell’impunità ed il rafforzamento dell’Osservatorio permanente internazionale dei diritti umani nell’Aguán.

Infine, i delegati e delegate nazionali ed internazionali hanno deciso di promuover varie azioni il cui risultato sarà monitorato da una Commissione ad hoc.

Fonte: Rel-UITA

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 9 febbraio 2012

Ejidatarios cedono alle pressione del governo e cominciano a vendere le terre

Hermann Bellinghausen. Inviato. Estación Catorce, SLP, 8 febbraio. Ha suscitato forte emozione in tutta la regione dell’Altopiano potosino la mobilitazione dei popoli wixaritari, conclusasi questo martedì sul monte El Quemado. Già da giorni prima, mentre i pellegrini “huicholes” iniziavano il loro viaggio verso Wirikuta, in questi villaggi ed ejidos, fino alle lontate città di Matehuala e Saltillo, la notizia correva di bocca in bocca, per radio, nei sermoni nelle parrocchie, e alle vigilia, nei notiziari. Tutti sapevano il motivo dell’arrivo degli indigeni. Per protestare e difendere le terre del deserto.

I conflitti sono iniziati quando a Santa Gertrudis l’intrusione del Progetto Universo, di un’importante impresa mineraria canadese, Revolution Resources, sta provocando sgomberi violenti, incursioni dell’Esercito federale per reprimere ed espellere i coloni. Uno dei leader è stato fermato dalla polizia statale ed ora si trova in carcere. sembra che proprio sotto il villaggio passi una grande vena d’oro che percorre il deserto all’estremità di ponente.

A differenza dei wixaritari che hanno convissuto con questo deserto per secoli e di questi ejidos stabiliti qui da oltre un secolo che si oppongono in blocco allo sfruttamento minerario e all’industria agroalimentare del pomodoro, molti ejidatarios hanno ceduto alle pressioni del governo e delle imprese e stanno affittando o vendendo le loro terre senza opporre resistenza. Molti di loro sono agricoli ed allevatori di capre, soli e scoraggiati  come le donne, spesso senza marito perché andato “al nord”.

Meglio che arrivino le imprese minerarie a dare lavoro che morire di sete, senza lavoro né soldi. I huicholes non ci danno lavoro, e se tutto questo è per il loro peyote, le terre sono nostre e basta – dice una commerciante in questa stazione ferroviaria dove una volta c’era la vita quando passava il treno del nord.

Pochi ejidos si sono rifiutati di vendere, come Las Margaritas e San Antonio el Coronado. Nelle città, l’opposizione alle miniere viene repressa. A Charcas, che è un insediamento  minerario ma presenta zone rurali, le case degli oppositori, a sud del deserto, sono state incendiate. Mentre all’estremo nord, a Cedral, presunti narcotrafficanti hanno minacciato chi si oppone all’industria dei pomodori, l’altro invasore e devastatore dell’altopiano.

La presenza di gente armata e gruppi dediti all’estorsione hanno fatto sì che a Vanegas ci sia ormai un accampamento militare, ed un paio di mesi fa c’è stato uno scontro a fuoco con inseguimenti che ha raggiunto l’acciottolato che sale a Real de Catorce, dove dopo un nuovo scontro sono morti due presunti criminali. Parlandone in giro, tutti li chiamano Zeta. Questo dicono di essere.

Qui i contadini vivono del taglio e lavorazione dell’agave lechuguilla, allevano capre, sono agricoltori. Ma quest’anno il mais non è cresciuto nemmeno di 20 centimetri. Si tratta di una regione colpita da quelle calamità oggi così diffuse in Messico: siccità cronica, povertà, disoccupazione, settore minerario su vasta scala, abbandono del governo, criminalità organizzata, crescente militarizzazione, delusione e paura tra la popolazione.

Sia gli ejidatarios che i wixaritari dicono che si devono trovare soluzioni che portino beneficio agli agricoltori ed ai commercianti del deserto, che fermino l’emigrazione e si possa avere qui un buon livello di vita, sfruttando questo territorio che è duro, ma è stato anche generoso fino a poco tempo fa. Gli interessi economici sono sul punto di devastarlo.

“Un centro cerimoniale molto esteso, di oltrei 140 mila ettari”, come lo vede un pellegrino wixárika. Una vera e propria miniera d’oro per gli investitori internazionali. Un luogo senza futuro per molti dei suoi abitanti. Una riserva naturale ineguagliabile, secondo gli scienziati e gli ambientalisti. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/09/sociedad/041n1soc

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 3 febbraio2012

Il Frayba identifica gli aggressori dei simpatizzanti dell’EZLN a Tenejapa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Sulla base di numerose testimonianze, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha identificato gli aggressori delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN dell’ejido Banavil (Tenejapa) Chiapas, avvenute due mesi fa e che hanno provocato un morto, un desaparecido, diversi feriti, quattro famiglie tzeltales sfollate ed un indigeno, base di appoggio zapatista, in prigione senza che fosse stato presente sul luogo dei fatti.

L’aggressione dei priisti è avvenuta il 4 dicembre, ed il Frayba ha emesso un’azione urgente il 19 gennaio, dopo essere venuto a conoscenza ed aver indagato sul caso. Il centro ricorda che in quell’occasione un gruppo armato di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) ha aggredito quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN in un’azione che come risultato ha avuto la morte di Pedro Méndez López ed altri sei feriti, tutti del PRI; la sparizione forzata di Alonso López Luna, simpatizzante zapatista; la detenzione di Lorenzo López Girón, ferito da arma da fuoco ed accusato di lesioni aggravate e “la detenzione arbitraria di Francisco Sántiz López, base di appoggio zapatista”, che al momento dei fatti, “secondo informazioni certe”, non si trovava a Banavil.

Secondo le testimonianze raccolte dal Frayba, gli aggressori identificati sono, tra gli altri, Alonso López Ramírez, che “ha sparato a Lorenzo colpendolo al petto”; Diego Méndez López, che “ha sparato a Lorenzo colpendolo alla gamba”; Alonso López Méndez, della comunità Mercedes, “che aveva una pistola ed era quello che ordinava di ammazzare Alonso che veniva trascinato nella scuola”; quella persona “sa dove tengono Alonso, e  dice che ‘l’hanno mandato al Nord col suo zaino”‘.

Diego Guzmán Méndez, Agustín Méndez Luna, Manuel Méndez López, Alonso e Agustín Guzmán López, tutti di Banavil, hanno picchiato e sequestrato il ferito chi si teme possa essere morto. Le testimonianze aggiungono che Pedro Méndez López ed Alonso López Méndez, entrambi dell’ejido Santa Rosa ed ex consiglieri comunali di Tenejapa, il primo con proprietà a Banavil, sono quelli segnalati come gli organizzatori delle aggressioni.

Per la scomparsa di López Luna, i suoi famigliari hanno presentato una denuncia alla Procura Specializzata in Giustizia Indigena (indagine 698/201), che l’ufficio competente  numero 5 ha classificato come omicidio. “Una grave imprecisione”, sottolinea il Frayba, “poiché ancora non si è trovato il suo recapito né si è proceduto alla sua ricerca”.

Da parte loro, le famiglie che sfollate sono ancora in “situazione critica”, perché vivono in condizioni di affollamento “disumane”.

Sulla detenzione di Sántiz López, base di appoggio dell’EZLN, il Frayba prevede che si procederà con giudizio ordinario, e non immediato come era la prima intenzione del giudice penale”. In questo modo sarà “per molto più tempo” privato della libertà, “senza una giustificazione per questo cambiamento di intenzione del giudice”.

L’organizzazione sottolinea le “continue e sistematiche aggressioni contro basi e simpatizzanti dell’EZLN” in Chiapas, e chiede allo Stato messicano di cercare López Luna, desaparecido già da due mesi. Inoltre, “un’indagine efficace, imparziale, rapida ed esaustiva dei fatti, così come la punizione dei responsabili della morte di Pedro Méndez López”.

Chiede misure precauzionali e cautelari per le quattro famiglie sfollate e garanzie per il loro ritorno sicuro.

Lorenzo López Girón, gravemente ferito ed oggi nel carcere statale n. 5, necessita di assistenza medica e “di uno studio della sua situazione giuridica” affinché venga rilasciato. Il Frayba chiede anche la liberazione immediata del zapatista Francisco Sántiz López. http://www.jornada.unam.mx/2012/02/03/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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