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Archive for novembre 2018

Comunicato al Popolo Mapuche

Al popolo mapuche

Al popolo cileno

Ai popoli originari d’America

Alla Sexta Internazionale

 

Fratelli e sorelle del degno popolo mapuche,

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri che componiamo il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’EZLN abbracciamo solidalmente la famiglia del compagno mapuche Camilo Catrillanca, che è stato assassinato durante un’operazione di un gruppo tattico di Carabineros del Cile, avvenuta il 14 novembre 2018 nella comunità di Temucuicui nella regione dell’Araucania. Conosciamo la lotta centenaria che il degno popolo mapuche ha condotto per difendere i suoi boschi e fiumi, così come la repressione e le montature che i corpi di polizia del malgoverno cileno effettuano sui territori mapuche per spegnere la difesa della vita.

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri del CNI, del CIG e dell’EZLN condanniamo il vile attacco del malgoverno cileno e delle sue forze poliziesche. Esigiamo che cessi la repressione e criminalizzazione contro i villaggi mapuche che difendono i loro territori. Esigiamo anche che la morte del comunero mapuche Camilo Catrillanca non resti impunita. Al popolo mapuche reiteriamo il nostro rispetto e solidarietà. Salutiamo la sua degna lotta per la difesa della vita e del territorio.

 

CORDIALMENTE

Novembre 2018

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione a cura Associazione Yabasta Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/11/24/comunicado-al-pueblo-mapuche/

https://mapucheit.wordpress.com/2018/11/22/cile-onu-chiede-inchiesta-per-uccisione-giovane-mapuche/#more-2110

 

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Invito alle celebrazioni del 25° Anniversario dell’Insurrezione Zapatista e ad un Incontro di Reti

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

17 novembre 2018

 

Alle/agli individui, gruppi, collettivi, e organizzazioni delle Reti di Appoggio al CIG:

Alle reti di Resistenza e Ribellione o come si chiamano:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

 

Considerando che:

È l’alba.

Considerando che:

Fa Freddo.

Considerando che:

In quello spazio di tempo, dove non è né giorno né notte, né dentro né fuori, né ombra né luce, ti scopri senza sogno, in quella spiacevole veglia che ti rende vulnerabile ai ricordi, alla memoria pungente di ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto, al lungo resoconto delle mancanze, e a quello breve di quanto realizzato.

Considerando che:

Vi chiederete, certo non senza ragione, perché tutto questo…

Perché state ancora cercando di assimilare quel “Tutto è impossibile il giorno prima” che sentite e leggete in quello snervante nano-mini-micro cortometraggio autoproclamato “cinema da leggere”. Un film (?) rimasto per 30 anni in scatola (letteralmente: in una scatola di sardine) e presentato al cinema impossibile, firmato da uno scarabeo altrettanto sconcertante con arie da cavaliere errante, il cui titolo (del film) (?): “La 69a legge della dialettica” non è neanche molto razionale. Un film senza immagine o suono e composto da una singola frase. Scaricando tutto il peso all’immaginazione di chi assiste alla proiezione?

Insomma, qui tutto sembra assurdo… ma dove diavolo è “qui”? Ma non hai molto tempo per orientarti, perché ti mettono fretta:

“Andiamo, dai” dice la bambina.

Tu pensi che ormai ci si possa aspettare qualunque cosa… ma alla fine esci dall’assurda sala di questo cinema impossibile, sempre tenendo la mano della bambina. Anche se adesso ti circonda una banda di bambini in cui, ovviamente, la maggior parte sono femmine, con le loro gonne e camicie colorate ed i loro inutili ferma capelli, in quella capigliatura così ribelle.

Vi avviate risalendo il pendio naturale della montagna.

Sassi, un po’ di fango, nebbia, la strada, sempre la strada.

Ora intuisci che, dai piedi del muro macchiato da manifesti e graffiti logori, hai percorso una sorta di spirale. Come se il percorso tracciato ti portasse dentro una chiocciola… o fuori. Ogni passo una stazione. La stessa falsa felicità della felice famiglia felice, quella della simulazione del Gran Finale, della provocazione dello schermo come ponte impossibile.

E il muro onnipresente, indistruttibile, indiscutibile, che insiste che è vietato pensare. Che tutto è già fatto. Che non ti resta altro che sistemarti come puoi in qualche modo. Che l’eternità è questo, eterna. Il presente cambia, ma la sua logica frivola e superficiale resta. Altro è impossibile. Ma non solo, è impossibile per te pensare, immaginare, sognare che non sia impossibile altrimenti.

Camminate. E tu ricordi:

La ragazza ha chiesto se i film che nessuno guarda piangono, che non è altro che un modo di interrogarsi sui dolori e le rabbie ignorate – visto che il muro impone cecità e sordità nei confronti dell’altro. A chi verrebbe in mente di chiederlo? Sì, chiedere questo ed altre cose. Ad esempio, mettere in discussione l’esistenza del muro. Il muro. Lo guardi attentamente. Fino a dove arriva la tua vista, o la tua lunga vista. Così grande che non vale neanche la pena misurarlo – per cosa? -. La sua solida costruzione. Il suo aspetto impeccabile… beh, non poi così tanto…

Prendendo un po’ di distanza, il muro si riempie di graffiti e di crepe. Il più delle volte senza che si possano distinguere gli uni dalle altre. Come se la solidità del muro dipendesse dalla vista corta. Perché per essere in grado di leggere quella magnifica scritta che ferisce la ruvida facciata, bisogna allontanarsi un poco.

“Anche se la strada sarà lunga… noi andremo avanti”, dice la bambina che legge la scritta sul muro che non dice nulla, muto, rassegnato al fatto che i prossimi amministratori manderanno squadre di lavoratori contro quel graffito per cancellarlo, coprirlo, silenziarlo, sterminarlo.

“Non l’avevo visto”, ti scusi.

“Ovviamente”, risponde la bambina, ed aggiunge: “ma andremo avanti“.

“Quanta distanza ci vuole per vedere?” Credi di averlo solo pensato, ma la bambina risponde: “Lontano”.

“Ma quanto?” Insisti.

“Più di 500 anni”, risponde ammiccando la bambina.

E come per caso, un rap ritma i passi di quella banda di bambini che ti accompagna: 

Siamo venuti da così lontano

In tutti i sensi, così lontano

In silenzio portiamo una forza

Così lontano, ognuno porta il peso del proprio cammino.

Cantando la luce tra le rovine di un mondo bruciato. (*)

Questo suono viene da dentro o da fuori? È questa la colonna sonora di questo tuo viaggio anacronistico, assurdo, irrimediabile?

-*-

Ora tu, un po’ per vergogna e un bel po’ per curiosità, presti più attenzione a quei graffiti.

Uno recente, con lettere piccole e frettolose recita:

Lezioni elementari di Economia Politica:

Uno.- Il capitale non sa leggere, non frequenta i social network, la stampa, i sondaggi, i voti, le consultazioni, i video, i programmi governativi, le buone o cattive intenzioni, le lezioni di morale, le leggi, la ragione. Il capitale sa solo sommare, sottrarre, moltiplicare, dividere, calcolare percentuali, tassi di interesse, probabilità.

Due.- Il capitale si occupa solo del profitto, il più grande e il più veloce possibile. Come i predatori, il capitale ha un buon olfatto per il sangue e la distruzione, perché significano soldi, molti soldi. La guerra è un business, il migliore.

Tre.- Il capitale ha i suoi giudici, poliziotti ed esecutori. Nel mondo del muro questi inquisitori si chiamano “mercati”.

Quattro.- I mercati sono i segugi del grande cacciatore: il capitale. Nel mondo del muro, il capitale è dio e i mercati i suoi apostoli. I suoi fedeli seguaci sono la polizia, gli eserciti, le prigioni, le fosse comuni, il limbo delle sparizioni forzate.

Cinque.- Il capitale non è domabile o educabile, non si può riformare né sottomettere. Bisogna ubbidirgli… o distruggerlo.

Sei.- Ergo, ciò di cui questo mondo ha bisogno sono eretici, streghe, maghi, stregoni. Con il pesante fardello del loro peccato originale, la ribellione, il muro sarà distrutto.

Sette.- Anche così, resterà in sospeso quanto segue: se, come successore, si innalzerà un altro muro; o se invece, al suo posto, si apriranno porte e finestre, che sono i ponti di cui il mondo ha bisogno e che merita”.

Continuano i graffiti, le crepe e questa continuità sale e scende dalle colline, dalle valli, dai ruscelli. La chiocciola si ritrae nel suo guscio. Villaggi, comunità sempre più piccole, poche case sparse si affacciano sulla strada.

Un segnale avverte: “Sei in territorio zapatista. Qui il popolo governa e il governo obbedisce”.

E ti chiedi:

Cosa mantiene in vita queste persone se hanno avuto ed hanno tutto contro? Non sono forse gli eterni perdenti, quelli che giacciono mentre altri glorificano i propri governi, i musei, le statue, i “trionfi storici”? Non sono le vittime di tutte le catastrofi, la carne da macello di tutte le rivoluzioni fatte per “salvarli” da loro stessi? Gli stranieri nella terra che li ha visti nascere? Oggetto di scherno, disprezzo, elemosina, carità, programmi governativi, progetti “sostenibili”, linee guida, proclami e programmi rivoluzionari? Non sono gli incorreggibili analfabeti da educare, dirigere, ordinare, comandare, soggiogare, sottomettere, dominare, c-i-v-i-l-i-z-z-a-r-e?

Perché non obbediscono quando gli si dice cosa dire e come dirlo; cosa devono guardare e come; cosa dovrebbero pensare o non pensare; cosa dovrebbero essere e smettere di essere?

E perché non abbassano lo sguardo di fronte a tutte queste minacce – quelle che gli promettono l’annientamento o la salvezza, che sono la stessa cosa?

E perché sorridono?

E perché a te danno, come guida, un gruppo di bambini indigeni?

E dove ti portano adesso, dopo questo tortuoso viaggio lungo il muro? Ti portano a quello che ha reso possibile queste risate infantili, e cioè queste vite? Qualche scritta risponde: “Guarda come stanno le cose, per essere visti, ci siamo coperti il volto; per essere nominati, ci siamo tolti il nome; abbiamo scommesso sul presente per avere un futuro; e per vivere… siamo morti”.

Cosa costruiscono qui?

Dov’è l’ansia, l’angoscia, la sconfitta, l’amarezza di sapersi inferiori?

Perché questa ossessione per la terra, per difenderla, curarla, preservarla?

E perché i balli, il trambusto, la musica, i colori, il via vai di sguardi, questo impegno nel campo della scienza e delle arti, questi modi o non modi?

Non vi rendete conto che avete perso?

Aspetta, perso? Chi? Non queste persone, chiaramente.

“Andiamo avanti” conferma il graffito che la realtà incide sulla parete.

– * –

Ed eccoti qui, con un piede in una realtà e l’altro in un’altra, – quella che si erge nelle montagne del sud-est messicano con l’inquietante bandiera della libertà -.

Quella che costruiscono queste persone così piccole, così normali, così gente, come ogni altro, altra, altroa.

Così senza prezzo e così inestimabili.

“Comunità zapatiste”, si chiamano, si autodefiniscono, si conoscono.

Poi, senza nemmeno rendertene conto, sei di fronte ad una insegna che sembra vecchia, o nuova, o senza tempo:

Benvenuti a La Realidad

-*-

Considerando quanto sopra esposto (cioè, negli ultimi 25 anni), si invitano la Sexta Nazionale e Internazionale, il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo, chi ha appoggiato, appoggia e appoggerà il CNI e il CIG a:

Primo.- Un incontro di Reti per la Resistenza e Ribellione, di appoggio al CIG, o come si chiamano. Da tenersi al Centro “Impronte della Memoria. Subcomandante Insurgente Pedro cumplió”, (in terra recuperata nelle vicinanza della comunità di Guadalupe Tepeyac, MAREZ San Pedro de Michoacán) dal 26 al 30 dicembre di questo 2018. Con il seguente programma

  • Risultato della consulta interna nata dall’incontro del mese di agosto 2018.
  • Analisi e valutazione della situazione attuale nel mondo.
  • Cosa seguirà?

 

Arrivo e registrazione: 26 dicembre 2018

Tavoli di analisi e discussione: 27, 28 e 29 dicembre 2018

Chiusura: 30 dicembre 2018

 

L’indirizzo mail per registrarsi e partecipare è:

redesdic18@enlacezapatista.org.mx

 

Secondo.- La celebrazione del 25° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio: 31 dicembre 2018 e 1° gennaio 2019 a La Realidad zapatista, sede del caracol “Madre de los caracoles del mar de nuestro sueños”, zona Selva Fronteriza.

La mail per registrarsi come partecipante alla celebrazione del 25° anniversario dell’insurrezione zapatista è:

aniversario25@enlacezapatista.org.mx

 

Vi aspettiamo perché, anche se il cammino è ancora lungo, andremo avanti.

 

Dalle montagne del Sud-Est Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés        Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, a 17 giorni dal mese di novembre dell’anno 2018

 

(*) Keny Arkana. “Lejos”, en L’esquisse 3.

 

 Traduzione a cura di #20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/11/17/invitacion-a-la-celebracion-del-25-aniversario-del-alzamiento-zapatista-y-a-un-encuentro-de-redes/

 

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Cinema in stile zapatista

Cooperazione Rebelde Napoli  14 novembre 2018

Una maratona con ottanta film tra cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari, cinema sperimentale ma anche tante chiacchierate e una grande festa finale: quattromila tra donne, uomini e bambini hanno partecipato a modo loro per una settimana al primo festival promosso dalle comunità indigene zapatiste in Messico. La loro straordinaria lotta senza prendere il potere e la loro ostinata voglia di costruire ogni giorno un mondo che contenga tanti mondi hanno messo sottosopra l’idea tradizionale di cinema e quella di festival: l’arte, come dimostrano gli zapatisti, può essere un’alternativa al tempo di morte che viviamo, occasione per ripensare il mondo con uno sguardo e un pensiero critico, spazio per immaginare e creare altri mondi possibili. Cronaca di un festival necessario e impossibile

Sono passati più di trentacinque anni da quando, come si racconta, un gruppetto di sei persone fece un viaggio verso il sud est del Messico ed arrivò in Chiapas. Erano partiti con una idea, comune a tanti in quegli anni, di fare una rivoluzione. Avevano vicino ma non solo geograficamente, la Cuba di Fidel e il Nicaragua Sandinista, il Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti di El Salvador e la storica guerriglia guatemalteca, avevano la prospettiva immaginata dai cento fuochi di guerriglia, sparsi per l’America Latina, di Ernesto Che Guevara. Nella Selva Lacandona entrarono in contatto con le comunità indigene, con le loro pratiche e la loro cultura: gli ci vollero dieci anni per cambiare la loro idea di rivoluzione ed arrivare a lottare per non prendere il potere, pensare di costruire un mondo che contenga altri mondi, e adesso dopo quasi venticinque anni dal levantamiento del primo gennaio del 1994 per la prima volta nei Caracol è stato organizzato un festival del cinema; la cosa non era per niente scontata né tanto meno usuale e rimanda alla modernità di un pensiero che ha le sue radici profonde nell’incontro con gli indigeni di tantissimi anni fa:

“Abbiamo realmente subito un processo di rieducazione, o di rinnovamento. Come se ci avessero disarmato. Come se avessero smantellato tutto ciò di cui noi eravamo fatti – marxismo, leninismo, socialismo, cultura urbana, poesia, letteratura – tutto ciò che era parte di noi e cose che non sapevamo neppure di avere. Ci hanno disarmato e riarmato, ma in modo diverso”.

La cronaca di questi otto giorni ci racconta di un festival del cinema senza red carpet, né party esclusivi e “paparazzi” a caccia di star e divi; più che glamour ci sono state emozioni che si sono concentrate davanti agli schermi all’interno del grande auditorio con il tetto di lamiera, dedicato alla Comandanta Ramona, e costruito apposta per questo festival chiamato Puy Ta Cuxlejaltic (Caracol della nostra vita, tradotto dallo tzotzil).

Fin dal giorno dell’inaugurazione più che un festival questo evento culturale nel Caracol di Oventic – Zona Altos de Chiapas – è parso una maratona con i film e i documentari proposti senza soluzione di continuità, alternati a presentazioni, chiacchierate o ringraziamenti ai registi.

Il noto, anche qui in Italia, regista Alfonso Cuarón, fresco vincitore del Leone di Venezia con il film Roma e sicuro aspirante agli Oscar, insieme alla sua equipe ha messo a disposizione, per una prima assoluta nazionale (il film non è ancora nelle sale messicane) del suo lavoro, parte delle attrezzature super professionali necessarie alle proiezioni, mentre le “poltrone”, dove si sono accomodati in questi giorni oltre quattromila zapatisti di tutte le età, erano di duro legno – anche abbastanza scomode – ma che non hanno impedito momenti di commozione, di sonore risate davanti a qualche scena divertente e lacrime senza finzione durante i passaggi più tristi delle proiezioni, come successo per due ragazze prese da un pianto ininterrotto durante una scena di “Roma”.

Ma gli uomini, donne e bambini con passamontagna e paliacates rossi riempiono anche la Multisala Emiliano Zapata – pavimento di terra battuta, capace di accogliere altre due mila persone – e chiamato anche, solennemente, Cine 3D per il fatto che dentro ci sono tre schermi.

Ma non solo sale al chiuso, nel Caracol di Oventic dove le giornate di sole cocente si alternano a giorni di fitta nebbia, non poteva mancare un cinema all’aperto, un drive-in senza auto, il Pie-Cinema Maya, accanto al campo di basket.

Gli ospiti, per la maggior parte persone del mondo del cinema, con alcune eccezioni come lo scrittore Juan Villoro, sono arrivati da soli e a loro spese e nonostante ognuno di loro venga accolto da una delegazioni di cinque bambine che li accompagna negli alloggi a loro riservati girano un po’ spaesati e alla cieca.

L’attenzione e la cura che gli/le zapatiste hanno nei confronti di coloro che fanno loro visita è proverbiale e ci viene confermata, ormai da anni, ogni volta che, con le nostre delegazioni, siamo loro ospiti per sostenere il Sistema di Salute Autonomo o per qualche incontro.

Ma questi sono ospiti “speciali”, per molti o forse tutti è la prima volta che entrano in un Caracol così come è la prima volta che ricevono premi così particolari.

Come in ogni festival che si rispetti ci sono anche ricchi e significativi premi.

Gli zapatisti offrono il loro omaggio agli ospiti consegnando lavagnette – i ciack del cinema dove vengono segnati i dati delle scene – e mele di plastica ma c’è anche un premio speciale, uno diverso, una scultura realizzata dagli zapatisti. Quello, è il più importante, viene assegnato a qualcuno che non è presente: Libo, la domestica che ha cresciuto Alfonso Cuarón e ha ispirato il suo nuovo film. Lo consegna Erika, ufficiale di fanteria dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, una donna che prima di ribellarsi in armi è stata lavoratrice domestica.

Nel programma che andava inizialmente dal 1° al 7 novembre – anche se poi si è concluso il 9, sono stati proiettati ottanta film tra cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari e cinema sperimentale.

Ci sono state produzioni di cinema commerciale e militante, senza alcuna distinzione.

Proiezioni di nuove e vecchie pellicole da Roma fino a Reed, Mexico rebelde, una pellicola del 1970 di Paul Leduc restaurata per questa occasione dalla UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico) passando dai Diari della motocicletta fino al documentario Petits historias das crianças (Piccole storie di bambini), di Gabriele Salvadores, Guido Lazzarini e Fabio Scamoni, che racconta la storia dei bambini che partecipano ogni anno al progetto di Inter Campus, un progetto sociale fondato dall’Inter, che lavora con bambini provenienti dalle periferie di ventinove paesi in tutto il mondo.

In questo programma così fitto non sono mancate le prime autoproduzioni zapatiste. Quattro documentari prodotti dalle stesse comunità zapatiste, frutto del lavoro dei Los tercios compas, gruppi di ragazzi e ragazze che registrano con foto, video e audio ogni evento che si svolge nei territori autonomi.

Ma non di solo cinema si è trattato, al volgere della prima giornata, il Subcomandante Galeano ha invitato tutti i presenti a non spaventarsi per lo spegnimento delle luci che ci sarebbe stato da lì a qualche momento. Subito dopo il buio più completo ha avvolto l’auditorio, pieno come un uovo, e mentre gli ospiti avevano difficoltà a muoversi ed orientarsi, gli zapatisti sono usciti ordinatamente formando un lungo fiume di luce sulla ripida strada che attraversa il Caracol. Circa quattromila uomini e donne con il viso coperto e una candela tra le mani sono avanzati silenziosi e ordinati fino al campo di basket. Uno ad uno, con cura, illuminano un grande altare dedicato agli zapatisti “Caduti in combattimento all’alba del 1994”, perché l’inizio del festival coincide con il giorno dei morti.

Il Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” si è chiuso il 9 novembre con la cerimonia di chiusura e, come di solito avviene in territorio zapatista, con una festa popolare e la gioia di ballare, nonostante il freddo dell’autunno.

Si è concluso un evento senza precedenti nelle montagne del sud-est del Messico, il festival è stato un ulteriore passo nel percorso che lo zapatismo si è prefissato e che propone a tutti noi: le arti (e le scienze) come alternativa di fronte al tempo di morte che viviamo, l’occasione che ci offre l’arte di ripensare il nostro mondo con uno sguardo e un pensiero critico e di immaginare altri mondi possibili.

Come al solito, le migliaia di zapatisti presenti all’incontro avranno il compito di riportare alle comunità di appartenenza ciò che hanno imparato, pensato e immaginato in questi giorni.

A noi ancora una volta il compito di non lasciare soli gli zapatisti in questa loro “mission impossible” di costruzione dell’autonomia, di rafforzamento del sistema di autogoverno e indipendenza che da venticinque anni si sono dati e che ci continua a far gridare “Viva l’EZLN!!”

https://comune-info.net/2018/11/cinema-in-stile-zapatista/

[Per vedere le foto e leggere il racconto delle giornate del festival:  yabastanapoli.blogspot.com/]

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Comunicato Frayba @Cdhfrayba: Esodo forzato di 1764 persone dalla comunità tsotsil di Chavajebal

La comunità tsotsil di Chavajebal, nel municipio di El Bosque, regione Altos del Chiapas, Messico, ha iniziato l’esodo forzato il 7 novembre 2018 alle ore 19:00. Si tratta di circa 1764 persone in situazione di vulnerabilità e che richiedono assistenza umanitaria e la garanzia di integrità e di ritorno alle proprie case in condizioni di sicurezza.

Alleghiamo azione urgente con appello alla solidarietà nazionale e internazionale.

Grazie per la diffusione.

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.
Calle Brasil No. 14
Barrio de Mexicanos
CP 29240 San Cristóbal de Las Casas
Chiapas, México, 
tel: (+52)967 678 73-95/-96
mail: medios@frayba.org.mx
web: frayba.org.mx
chiapasdenuncia.blogspot.mx
Facebook: Frayba Derechos Humanos
Twitter: @Cdhfrayba

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L’esodo centroamericano e la teoria del complotto

@lhan55 Luis Hernández Navarro 

Invece di tentare di comprender in tutta la loro complessità i fattori che hanno scatenato la serie di carovane di migranti centroamericani iniziata lo scorso 12 ottobre a San Pedro Sula, Honduras, alcuni analisti e figure politiche li hanno spiegati come il prodotto di cospirazioni. Si tratta, assicurano, di un esodo provocato intenzionalmente per influire sulla congiuntura politica statunitense.

Secondo alcuni, siamo di fronte ad una manovra del governo di Donald Trump per favorire l’elezione dei candidati del Partito Repubblicano, riguardo alle elezioni negli Stati Uniti del 6 novembre scorso, alimentando l’isteria antimigrante. Secondo altri, è una manipolazione del miliardario speculatore finanziario ungherese George Soros per appoggiare i democratici statunitensi. E, a dire del vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, è stato promosso da gruppi di sinistra in Honduras finanziati dal Venezuela e mandati al nord per sfidare la nostra sovranità e la nostra frontiera.

Sebbene le tre denunce siano diametralmente opposte, coincidono in un fatto: nessuna riconosce ai migranti la capacità di decidere da se stessi l’esercizio del diritto di fuga, di organizzarsi e fissare i propri obiettivi. Tutti condividono come elemento centrale della sua spiegazione che si tratta non di un atto sovrano di cittadini centroamericani di fronte ad una situazione estrema, ma di una cospirazione politica.

Curiosamente, nessuna di esse fornisce una sola evidenza di peso che dimostri le sue affermazioni. Le tre teorie sono il risultato di speculazioni, deduzioni senza supporto o vere e proprie bugie. Al contrario, le documentate cronache e reportage di giornalisti seri di diversi mezzi di comunicazione e nazionalità come Blanche Petrich, Alberto Pradilla, Maya Averbuch, Mónica Campos, Nina Lakhani, Jeff Ernst, Sarah Kinosian e Javier García dimostrano che le carovane sono opera genuina di uomini, donne e bambini che fuggono dal terrore, dalla miseria e dalla mancanza di prospettive, alla ricerca del sogno americano.

Tra chi formula interpretazioni cospirazioniste dell’esodo, ci sono sia giornalisti che difensori dei diritti umani. Alcuni fanno queste dichiarazioni per ottenere un riscontro politico dalla tragedia. Altri le lanciano nel clima di pregiudizio, disinformazione e pigrizia intellettuale. Altri ancora sembrano sconcertati davanti ad un atto politico innovativo e di enormi dimensioni o alla perdita di protagonismo.

Diverse opinioni risultano sorprendenti. Per esempio, quelle del sacerdote Alejandro Solalinde, che ha dedicato buona parte della sua vita alla difesa dei migranti centroamericani. Lo scorso 23 ottobre, nel momento più algido della prima carovana, il religioso ha diffuso due twit che sembrano opera dei suoi nemici. Nel primo afferma: “Tutto sembra indicare che l’esodo migratorio onduregno, sia stato provocato dai servizi statunitensi, attraverso tecniche di rumor, con obiettivi elettorali, e così incolpare i democratici, il Messico, e mostrare Trump come il salvatore da questa ‘invasione’. Che genio!”

Fortemente criticato in rete, è sprofondato ancor di più nel fango dicendo: Una prova della mia denuncia degli Stati Uniti come responsabili dell’esodo migratorio onduregno, è che la tecnica del rumor in Honduras funziona. Nel 2014 ha provocato la crisi umanitaria dei minorenni non accompagnati. Le via crucis sono in Settimana Santa, non in periodo elettorale degli Stati Uniti.

Ovviamente, Solalinde non ha presentato una sola prova delle sue accuse. Sono pura speculazione senza fondamento. Non sta scritto da nessuna parte, come egli assicura, che le via crucis debbano essere in Settimana Santa, per non aver paura e tirare fuori il meglio dal suo cuore. Siamo un paese generoso e solidale. I nostri fratelli del sud hanno bisogno di noi. Non abbiate paura! Se sapeste in che condizioni è l’Honduras! ha scritto.

La denuncia contro il magnate Soros è stata formulata, tra gli altri, dal congressista repubblicano Matt Gaetz, che ha diffuso un video in cui si vede un gruppo di persone che dà denaro ad alcuni migranti della carovana. L’informazione è stata smentita da Scopes e The New York Times. Il denaro che ricevono i migranti nel video era stata la donazione solidale degli abitanti di Chiquimula, in Guatemala.

Ovviamente, gli Stati Uniti hanno responsabilità nell’irruzione delle carovane migranti. Ma per cause diverse da quelle che brandiscono i cospirazionisti. Da più di un secolo Washington ha trasformato la regione nel suo cortile di casa. Ha frenato a ferro e fuoco la vocazione emancipatrice dei suoi popoli. Ha favorito colpi di Stato ed imposto autocrati. Ha saccheggiato le sue ricchezze naturali e sfruttato la sua manodopera. Chi oggi fugge dai propri paesi alla ricerca del sogno americano lo fa lasciandosi dietro le rovine fabbricate dall’impero. https://www.jornada.com.mx/2018/11/13/opinion/019a1pol#

Twitter: @lhan55

 

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Festival Cinema “Caracol de nuestra vida” organizzato dall’#EZLN

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.2202187526737583&type=1&l=6e75fbabdc

Migliaia di Basi di Apoggio Zapatiste (BAEZLN), cineasti e partecipanti nazionali e internazionali, assistono alla prima edizione del festival del cinema “Caracol de nuestra vida”, convocato dall’ EZLN, nel Caracol zapatista di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas. Vengono omaggiati i morti caduti in questi 35 anni di ribellione e resistenza e viene dato un riconoscimento all’attore Gaél García Bernal. Migliaia di zapatisti hanno assistito alle proiezioni ascoltando, divertendosi, sorprendendosi e con empatia con le sofferenze e le lotte dei popoli e delle persone nelle quali si rispecchiano.

  Secondo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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E’ possibile avere un pubblico di cinofili è più numeroso, più attento, più entusiasta? Non sappiamo esattamente quanti Zapatisti sono presenti al festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, organizzato dall’EZLN, che si svolge dal 1 ° al 9 novembre presso il Caracol di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas. Il Sup Galeano ha dichiarato circa 4mila presenze, e poiché tra i due auditorium ci sono posti per 3mila 800 persone, ed entrambi sono pieni, bisogna credere al Sup (di per sé, non ha l’abitudine di mentire, a meno che non si tratti di mantecadas – il suo tallone d’Achille – con i bambini zapatisti … ma questa è un’altra storia). Quello che sappiamo è che le donne e gli uomini zapatisti, le ragazze e i ragazzi di tutte le età, assistono con un interesse esemplare ai molti film presentati, che in qualche modo si intrecciano con la loro stessa esperienza e la loro stessa lotta. Questa seconda giornata del festival è iniziata con una serie di documentari prodotti dai “Tercios compas”. I Tercios compas sono nati nel 2014 a fronte della necessità di avere informazioni e analisi reali nelle comunità zapatiste. È un grande gruppo di comunicatori e comunicatrici zapatisti che stanno rompendo il muro dell’informazioni e producendo materiali audiovideo per le comunità stesse. Durante la giornata, al “Pie cinema maya” installato sulla spianata del Caracol, la bambina Difesa Zapatista ed il bambino Pedrito, accompagnati anche dai bambini Esperanza Zapatista, Amado Zapatista, Pablito Zapatista con i suoi rinforzi, Yanileth Zapatista, Adelaida Zapatista, Elaide Zapatista e con il Subcomandante Insurgente Moisés hanno fatto omaggio e consegnato targhe commemorative e il “caracol de nuestra vida” ai gruppi che fanno fiction e documentari. “Per come è la situazione ora nel nostro paese e nel mondo, la vita è una delle cose più fragili che ci siano … come anche il caracol che vi stiamo per consegnare”, ha detto il Subcomandante Insurgente Galeano. I gruppi premiati sono stati: Oaxaca Cine, Muestra Ocote, Ojo de Agua Comunicación, Koman Ilel, La Marabunta Filmadora, Espora Kolectivo, El Paliacate, Faro Aragón, Faro Oriente, Proyecto Videoastas Indígenas de la Frontera Sur, Colectivo Solidaridad, SubVersiones, La Sandía Digital, Campamento Audiovisual Itinerante. Sono stati fatti omaggi anche a Pamela Yates, Ilsa Salas, Marta Ferrer, Rocío Martínez Ts’ujul, Concepción Suárez, Inti Cordera e Gael García Bernal.

 

 

Terzo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic” (“Caracol de nuestra vida”) è proseguito per il 3° giorno, alla presenza del pubblico zapatista, oltre a ospiti e partecipanti speciali. La sessione mattutina è iniziata con la proiezione di “Tierra de Impunidad”, del messicano Diego Osorno e del peruviano Luciano Gorriti. Il documentario esplora l’intima relazione tra lo Stato e il crimine organizzato in Messico. La sessione è proseguita con il film “A Desalambrar con Daniel Viglietti”, diretto da Jorge Denti, che narra la vita di Daniel Viglietti, uno dei più importanti cantanti in Uruguay, che con la sua musica ha protestato contro le repressioni dei movimenti sociali che si opponevano alle dittature in America Latina. Successivamente è stato presentato il documentario “Koltavanej”, diretto da Concepción Suárez Aguilar. Rosa López Díaz, una donna Tsotsil viene torturata durante la gravidanza per auto-accusarsi di un crimine che non aveva commesso, Rosa conosce i diversi volti della violenza contro le donne molto prima di andare in prigione. Dal Centro di Riabilitazione Sociale numero 5 (N.d.T. è il carcere della zona di San Cristóbal de Las Casas), la sua voce rompe i muri e ci mostra la sua dignità. Il documentario “El hilo de la memoria”, di Mariana Rivera Garza, è il risultato di un tour attraverso il Messico della mostra “Tessendo con il filo della memoria: punti di dignità in mezzo alla guerra”, dove il lavoro di un collettivo di tessitrici colombiani, formato da donne sopravvissute al conflitto armato. Attraverso i tessuti hanno raccontato le loro storie, denunciando le ingiustizie e la violenza che hanno subito. La mostra è stata condivisa con gruppi di tessitori provenienti da Città del Messico, Guerrero e Chiapas, sono stati tenuti workshop sulla tessitura e sulla memoria ed è stato prodotto un audiovisivo. “Il filo della memoria” racconta il giro della mostra attraverso il Messico, riflette sui ponti che si intrecciano tra creazione collettiva, la creatività ed il potenziale trasformante della realtà che gli spazi condivisi hanno Le canzoni di León Chávez Teixeiro hanno accompagnato e interpretato le lotte popolari a Città del Messico negli ultimi cinquant’anni. In “Donne”, “La vita è finita” e “Compagna”, il documentario più recente di Mariana Rivera (2018), León Chávez Teixeiro e la sua musica rivelano la storia di tre donne che partecipano a diversi movimenti sociali e che ci invitano a riflettere sui valori della lotta organizzata e chiederci quale futuro ci sarà per la nostra società. La sessione pomeridiana ha presentato un anteprima del film “Bayoneta” che verrà proiettato nell’ultimo giorno del festival poi è stata la volta di “Rudo y cursi”, di Carlos Cuarón, con Gael García e Diego Luna. Il film ruota attorno ai fratelli Verdusco: Beto, che sogna di essere un giocatore professionista di calcio, e Tato, che vuole essere un cantante del Norteño. Ma, soprattutto, entrambi vogliono costruire una casa per la loro madre. Con molto umorismo, il film è sia una critica sociale che un commento sulle vicissitudini dell’amicizia. Alla fine ancora riconoscimenti ai cineasti presenti.

 

Quarto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra

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La quarta giornata del Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, è iniziata con la proiezione del film “Niños Héroes”, di Itzel Martínez.

A seguire un video messaggio inviato dai bambini della comunità triqui di Chicahuaxtla, prodotta dal Colectivo Ojo de Agua.
I bambini ci mostrano la loro comunità, fanno tortillas, ballano, cantano, dimostrano la loro conoscenza della flora della foresta e costruiscono un temazcal. E ci invitano tutti a rimandare loro un video clip.

Poi, è stato presentato “Ololetic Ya Vits Tan”, di María Sojob.

Campamento Audiovisual Itinerante presentò il cortometraggio “Inocencia” con musiche dell’Orchestra Filarmonica di San Juan Evangelista Analco: una storia sulla musica, l’identità, la vita e la morte.

Dopo si è proiettato “Duu Latzi” sempre di Campamento Audiovisual Itinerante sul gruppo di danza sempre di San Juan Evangelista Analco nella Sierra Juárez di Oaxaca.
In seguito è stato proiettato “Del Oriente / Laboratorio Experimental de Cine”, di Faro del Oriente e Faro Aragón.

Il documentario “Artemio”, progetto di tesi della direttrice Sandra Luz Lopez Barroso del Centro di Formazione Cinematografica, racconta la storia di Artemio, un bambino di dieci anni, nato e cresciuto negli Stati Uniti ed del suo ritorno in Messico per incontrare sua madre, una donna della Costa Chica di Oaxaca. Questo documentario è stato tratto da un progetto fotografico che la regista ha fatto su Catalina Noyola Bruno, la bisnonna centenaria di Artemio.

Il documentario “Juba Wajiín” racconta la storia di Juba Wajiín, una comunità indigena di Me Phaa sulle montagne del Guerrero, in Messico. Hanno sempre dovuto lottare per mantenere il loro territorio e la loro identità. Qualche anno fa, la storia ha preso piega diversa perché hanno scoperto che l’80% del loro territorio è stato concesso a due compagnie minerarie transnazionali, senza averli informati o consultati. Queste società cercano di operare con l’attuale modello estrattivo minerario: a cielo aperto. Ciò distrugerebbe le montagne sacre e l’acqua e lascerebbe dietro di sé innumerevoli violazioni dei diritti umani e effetti sulla salute. Ma Juba Wajiin combatterà.
Il film è una produzione collaborativa tra la comunità, il Centro per i diritti umani della Montagna Tlachinollan, Audiovisual Tequio, Terracería Audiovisual e La Sandía Digital.

Dall’agenzia di comunicazione autonoma SubVersiones è stato presentato il film “Cherán, Tila e Ostula”.

La sessione mattutina si è conclusa con la proiezione di “Slikebal: El comienzo”, di Bernardino López (Ambulante Más Allá). Víctor, un ragazzo di dodici anni, lavora per sua scelta, pulendo scarpe nello zocalo (piazza principale) di San Cristóbal de Las Casa, per pagare i suoi studi e sostenere la sua famiglia, che aiuta anche lavorando il campo. Mentre il lavoro minorile nelle zone rurali è ben considerato e persino celebrato, non è così nella città. Victor è ad un bivio; sua madre, una giovane donna indigena, ha educato i suoi figli a diventare indipendenti e responsabili, ma lavorare per strada non è facile.

La sessione pomeridiana è iniziata con la proiezione di “Hasta los dientes”, di Alberto Arnaut. Il 19 marzo 2010, gli studenti Javier Francisco Arredondo e Jorge Antonio Mercado Alonso sono stati uccisi dall’esercito all’interno delle strutture del Tecnologico di Monterrey.
Il ministero della Difesa nazionale ha dichiarato che si trattava di criminali che avevano attaccato l’esercito. Poco dopo si è scoperto che erano studenti e la Commissione nazionale per i diritti umani ha concluso che non avevano armi e che i militari coinvolti avevano manipolato la scena del crimine. Più di otto anni dopo, i loro parenti non hanno ottenuto verità, giustizia o riparazione. Il documentario “Hasta los dientes” rivela ciò che è realmente accaduto e il processo di ricerca della verità che le famiglie hanno intrapreso.

Il cortometraggio di finzione “Carrizos”, di Dinazar Urbina, è ispirato alle tradizioni della cultura Ñuu Savi. Il film racconta la storia di una ragazza che vive con i suoi nonni nel comune di Tututepec, sulla costa di Oaxaca, dove c’è una forte siccità.
La ragazza ha quindi l’innocente idea che si possa far piovere.

“Érase una vez”, di Juan Carlos Rulfo, un viaggio attraverso il Messico per scoprire le tradizioni dei bambini in relazione al senso della vita e dei sogni, in un paese vario e complesso, attraverso l’immaginazione e lo sguardo di Luisa, una ragazza di 10 anni.

Infine, al El Cine para Desvelados (Cinema per insonni), è stato proiettato “El infierno”, una commedia nera di Luis Estrada che rivela la violenza e il traffico di droga in Messico ed il suo legame con la politica e la povertà, attraverso la storia di un braccciante ( Damián Alcázar) che torna nella sua città natale, San Miguel Narcángel, dove inizia un nuovo lavoro nel narco.

 

Quinto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il quinto giorno del Primo Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” (“Caracol della nostra vita”), organizzato dall’EZLN, che si celebra dal 1° novembre al 9 nel Caracol zapatista di Oventic, è iniziato con la proiezione di “Tobias”, di Francisca D’Acosta e Ramiro Pedraza. Il bellissimo documentario racconta la storia di un ragazzo triqui di 12 anni che lascia la sua comunità sulle montagne di Oaxaca e si reca a Barcellona per partecipare (a piedi nudi) a un torneo internazionale di basket. Il documentario “Rush Hour” di Luciana Kaplan racconta le vite di tre personaggi in tre città emblematiche del mondo (Città del Messico, Los Angeles e Istanbul), nel loro penoso tragitto da casa al lavoro sui trasporti pubblici, esplorando le implicazioni che ha questo andirivieni ha nella quotidianità delle vite. Nel bacino di La Antigua (Veracruz, Messico), un territorio con abbondanti risorse naturali, ci sono conflitti socio-ambientali. I residenti in resistenza, le aziende nazionali e internazionali con investimenti in progetti energetici e un governo statale che esegue il modello di riforme strutturali per il paese … un’altra battaglia nella “guerra per l’acqua”. Questo è il tema del documentario “La antigua: sangre que nutre”, di Espora Kolectivo. Elida è un’adolescente entusiasta che sta scoprendo la sua vera passione. Gli piace suonare il violino e vivere con i suoi amici sulle spiagge di Bonfil ad Acapulco, nello stato di Guerrero. Conosciuta come Candy Surfer, lei entra nelle onde e inizia a praticare il surf. “El sonar de las olas”, da Ambulante Más Allá, diretto da Vanessa Ishel Ortega Castillo. Il documentario “Batallas Intimates”, di Lucía Gajá, esplora il tema della violenza domestica basato sulle storie di diverse donne sopravvissute a questa violenza, originarie di cinque diversi paesi (Messico, Spagna, Stati Uniti, Finlandia e India). Nelle parole della stessa regista: ” La violenza domestica è una realtà generalizzata, quotidiana, che subiscono le donne in tutti i paesi del mondo. I suoi effetti sono devastanti per loro, le loro vite, la loro salute, il loro lavoro e il benessere delle loro famiglie. Questa violenza accade in tutte le classi sociali, razze, culture e livelli socio-economici. È una guerra dentro le case. La violenza contro le donne non si manifesta solo fisicamente; la violenza sessuale, economica e psicologica è devastante, dove il disprezzo, l’isolamento e l’umiliazione stanno diminuendo la sicurezza e l’autostima. “Batallas Intimas” esplora le conseguenze che la violenza ha lasciato sulla vita di cinque donne, che danno coraggiosamente la loro testimonianza e ci avvicinano a quella realtà complessa e dolorosa che ha trasformato le loro vite.” Con oltre 50 premi internazionali, il documentario “Los reyes del pueblo que no existe” di Betzabé García è una storia di resistenza, di ricostruzione di fronte alla distruzione, di perseveranza, di attaccamento alla terra e alle radici. Nel 2009, la costruzione della diga di Picachos ha invaso cinque villaggi nella catena montuosa di Sinaloa per fornire acqua a Mazatlan. Il villaggio di San Marcos era l’unico che non era completamente coperto dall’acqua. Lì, delle 300 famiglie che abitavano nella città, ne rimangono solo tre. “Di fronte alla condizione di distruggere ciò che conta, ricostruiscono ciò che la natura reclama, e questo mi fa pensare, in questo momento violento in cui viviamo, che la ricostruzione esiste, solo la memoria è necessaria”, ha detto il regista in un’intervista a Proceso. Il documentario è stato presentato nelle sale nel 2017. Come ci si prepara alla morte dei nostri genitori? Questa domanda ha origine dal ritratto amoroso che Carlos Hagerman fa di Oscar e Doris, che hanno lavorato a progetti educativi sul campo per molti anni. Ora è il momento di passare il testimone a Enedino e Isabel, due giovani indigeni che hanno seguito le loro orme. Questo è il tema di “El patio de mi casa” di Carlos Hagerman, una storia che ci fa riflettere sull’incredibile possibilità di trasformare la vita attraverso l’idea di apprendere e insegnare. Finalmente, alle 9 di sera, nel “Cine para desvelados”, (il cinema per gli insonni) si è presentato “Un mundo maravilloso”, di Luis Estrada. Juan Pérez, il più povero dei poveri, diventa famoso in un incidente che sembra essere un tentativo di suicidio per protestare contro la sua condizione davanti al governo. Il ministro dell’Economia, nel bel mezzo dello scandalo, causatogli dalle azioni di Perez, decide di ricompensarlo cambiando la sua vita e dandogli un lavoro, una casa e un’auto. Quando gli amici di Perez scoprono il fatto, decidono di imitarlo fingendo tentativi di suicidio. Preoccupato, il ministro dell’Economia, per porre fine a questa condizione nel paese, dichiara la povertà un crimine e Perez finisce dietro le sbarre. Tre anni dopo, dopo essere stato rilasciato, Pérez ritorna alla sua condizione originale, ma con l’idea che preferisce essere ricco un giorno che povero per sempre …

   Sesto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Martedì 6 novembre, sesto giorno del Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, il documentario “Tempestad” di Tatiana Huezo ci ha lasciato il suo segno indelebile. Ecco perché la nostra storia oggi inizia al contrario, con la sessione pomeridiana seguita dalla sessione del mattino.
“Tempestad” documenta con singolare sensibilità il tema della sparizione forzata, dell’ingiustizia e dell’impunità che si è vive in Messico da oltre un decennio, attraverso le storie di due donne.
Miriam Carvajal viene prelevata dal suo lavoro all’aeroporto di Cancun e trasferita a Città del Messico, dove è ingiustamente accusata di traffico di esseri umani;
Adela Alvarado, una donna che ha dedicato la sua vita a far ridere la gente con il suo lavoro di pagliaccio da circo, ha cercato sua figlia Monica per 10 anni.

La storia di Miriam racconta dalla sua uscita da un penitenziario di Matamoros, “autogovernato” dal crimine organizzato, e lungo la strada per Tulum, dove è nata, per incontrare il suo giovane figlio. Lungo la strada, apprendiamo come è stata arrestata e accusata ingiustamente di traffico di esseri umani. Nel loro viaggio da nord a sud del Messico (dove vediamo terminal di bus, persone in transito, paesaggi, persone che viaggiano in autobus), Miriam sta narrando la propria esperienza come “pagante” accusata dalle autorità di uno fatto non commesso. Nella sua testimonianza racconta il funzionamento della prigione dove è stata detenuta: il controllo esercitato dal cartello, il dover pagare per salvarsi la vita, così come la tortura e l’assassinio e la situazione di altre persone, molte delle quali migranti.

Adela, ambientato nel circo, dove lavora come pagliaccio ed è accompagnata da altre donne, narra la ricerca di sua figlia scomparsa da dieci anni e le minacce ricevute per questa ricerca, così come la complicità e la partecipazione delle autorità. La sua narrazione diventa così una testimonianza delle sparizioni forzate ai fini della tratta, dello sfruttamento sessuale e del dolore delle madri degli scomparsi.

Le testimonianze di queste donne ci riportano allo stato di terrore, paura, impunità, violenza e tristezza che si vive in Messico. Ma non è solo la testimonianza di queste donne che si distingue nel film. E’ anche il meticoloso lavoro estetico, la grande fotografia che non consente di staccare gli occhi dallo schermo per un secondo, e il modo brillante con cui viene raffigurato il viaggio da nord a sud. C’è qualcosa qui che raggiunge le viscere: il terrore (la consapevolezza che il terrore può superare ciò che è immaginabile). Le figure, i numeri, la violenza che, dal vederle così tanto, smettiamo di vederle, si trasforma qui in una realtà viscerale dalla quale non possiamo sfuggire e che ci condiziona tutti.

I film “La piedra absente”, di Sandra Rozental e Jesse Lerner e “Museo”, di Alonso Ruiz Palacios, hanno parlato tra loro.

Il primo, “La piedra absente”, è un documentario sul trasferimento, nel 1964, dell’enorme monolite di Tláloc (divinità dell’acqua e della pioggia, conosciuta dai contadini come Chalchiuhtlicue) da San Miguel de Coatlinchán, Texcoco, al Museo Nazionale di Antropologia e storia di Città del Messico. Basato su un’indagine durata 10 anni dell’antropologa Sandra Rozental, con il supporto del regista americano Jesse Lerner, il documentario è basato sulla copertura mediatica dell’evento in quel momento e sulle interviste agli ingegneri che vi hanno partecipato. Ma il film narra soprattutto come questo trasferimento, che è stato portato avanti con decreto presidenziale, ha colpito gli abitanti del villaggio, che sono stati derubati di parte del loro patrimonio culturale, così come la loro resistenza, prima che finisse a causa dell’intervento dell’esercito messicano.

Da parte sua, la fiction “Museo”, di Alonso Ruiz Palacios, è basata su eventi reali accaduti nel 1985, quando gli studenti universitari di Ciudad Satélite, nello Stato del Messico, hanno rubato 140 pezzi dal Museo Nazionale di Antropologia e Storia, tra cui la maschera di Pakal, ultimo re della città maya di Palenque. Due attori (il protagonista Gael García Bernal e Ilse Salas) sono presenti al festival Puy ta Cuxlejaltic, ed entrambi hanno ricevuto riconoscimenti e stima dagli zapatisti.
Il film ha provocato molte risate tra il folto pubblico zapatista, che non ha smesso di reagire alle critiche per il saccheggio culturale delle popolazioni indigene da parte di archeologi e istituzioni, nel contesto neoliberista degli anni ’80.

La sessione mattutina è iniziata con la proiezione della versione restaurata di “El grito”, di Leobardo López Aretche, un documentario sul movimento studentesco in Messico, prodotto lo stesso anno del 1968. Quell’anno, gli studenti del Centro universitario per studi cinematografici (CUEC) ) e l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) hanno filmato gli eventi del movimento e raccolto circa otto ore di riprese, che sono state successivamente organizzate da López Aretche. Il documentario inizia nel luglio 1968 e termina con l’inaugurazione dei XIX Giochi Olimpici del 12 ottobre.

Successivamente è stato proiettato “La tercera raíz”, di Camilo Nu e Reed Rickert, un documentario che ci porta in un viaggio da Tlacotalpan, in Città del Messico, al sud della Spagna e in Africa alla ricerca delle radici del figlio jarocho (N.d.T. abitante della città di Veracruz).
La produzione del documentario è durata sette anni, dalla ricerca alle riprese delle immagini e fino alla produzione.

Con un lavoro poetico e riflessivo e con una particolare attenzione all’immagine, “Nuestra música” (Jvbotik), di Humberto Gómez Pérez, è un documentario su un musicista tradizionale, che mostra com’è la vita di una persona con quella posizione e come questo lavoro viene trasmesso di generazione in generazione.

“La comunidad del oído atento” di Gabriela Dominguez Ruvalcaba esplora il movimento delle resistenze dalla corporeità, inoltrandosi attraverso il territorio dell’immagine, attraverso la parola, scendendo e incontrandosi in un orizzonte comune, in una rete di piccole storie fatte di azioni minime, nel cammino della coscienza organizzata, nella volontà e nell’orecchio attento.

Settimo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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La sessione mattutina del settimo giorno del Puy ta Cuxlejaltic, nel Caracol di Oventic, è iniziata con la proiezione del documentario “Aquí sigo”, di Lorenzo Hagerman. Un bellissimo lavoro che segue da vicino uomini e le donne ultra ottantasettenni provenienti da sette paesi (Costa Rica, Nicaragua, Messico, Giappone, Canada, Italia e Spagna), che vivono pienamente ogni giorno per quello che è: un regalo dell’esistenza. Persone di quasi 100 anni che continuano a vivere con determinazione e gioia, raccontando al mondo ed a se stessi: Sono ancora qui. In seguito, è stato proiettato il documentario “El secreto de la belleza”, di Néstor Jiménez, che racconta la lotta dei popoli del Chiapas per difendere la terra e il territorio dai megaprogetti estrattivi. “No les pedimos un viaje a la luna”, di Maricarmen de Lara, è un documentario sulle sarte che morirono, durante il terremoto che colpì Città del Messico nel 1985; narra la loro storia e dei loro padroni che si rifiutarono di pagare un risarcimento. Poi, sono stati presentati quattro cortometraggi animati di Federico Cuatlacuatl, che in modi diversi si riferiscono all’esperienza dei migranti: “Future Past” – “Fin de” – “Coapan sin tiempo” – “Carnaval”. “Future Past” è un commento sul tempo, che cerca di rompere con la concezione lineare del passato-presente-futuro. Per i migranti, passato, presente e futuro diventano intercambiabili. In “Fin de” un uccello prematuro desidera volare; un mitico uccello azteco, che ha il potere di esaudire il suo desiderio, osserva i suoi sfortunati sforzi. Il cortometraggio è una metafora della capacità della popolazione migrante di adattarsi a una società che nega i loro diritti mentre cercano di affrontare lo sfollamento e la ricerca di identità. “Coapan Sin Tiempo” è stato prodotto nella comunità di San Francisco Coapan nel 2016, con interviste a persone della comunità che hanno parlato dei loro parenti negli Stati Uniti. Più della metà della popolazione della comunità è emigrata negli Stati Uniti e la maggior parte non sono tornati per più di 20 anni. “Carnaval” si occupa della capacità dei migranti di costruire multiple dimensioni di tempo e spazio. Il futuro diventa passato e il passato futuro. La possibilità di costruire diverse dimensioni dello spazio avviene attraverso la conservazione della cultura e delle tradizioni. “Los hijos del jaguar”, di Eriberto Gualinga, è un documentario sulla lotta per il territorio dei sarayakus – un villaggio di indigeni kicwha composto da circa 1200 persone – la cui terra è in una remota zona della regione amazzonica, nella parte orientale dell’Ecuador. “La vita a Sarayaku è una vita di libertà, armonia e pace. Siamo tutti uniti “, afferma Noemí Gualinga, rappresentante della comunità. Ma questa armonia si è infranta nel 2002, quando il governo dell’Ecuador, senza consultarsi con la comunità, ha dato il permesso ad una compagnia petrolifera straniera di iniziare la ricerca di combustibili fossili nella loro terra. “La nostra lotta e quella di tante altre popolazioni indigene in tutto il mondo continua. Vogliamo che ci rispettino e ci ascoltino.” Negli altopiani settentrionali di Oaxaca, dove nacque Benito Juárez, il prete Gerardo Silvestre abusò sessualmente di dozzine di bambini indigeni per diversi anni, senza che la gerarchia cattolica del Messico ed il Vaticano facessero nulla, nonostante avessero testimonianze e prove di quello che stava accadendo. “Silvestre. Pederastia Clerical en Oaxaca”, con la regia di Santiagog Mohar Volkow e le inchieste di Diego Enrique Osorno, esamina le atrocità commesse nei villaggi zapotecos, nonché l’occultamento delle autorità ecclesiastiche e le rappresaglie subite dal gruppo di sacerdoti che denunciavano i fatti. “No sucumbió la eternidad”, il primo documentario di Daniela Rea, racconta la storia di Alicia de los Ríos e Liliana Gutiérrez, due sopravvissute delle guerre del Messico recente: la madre di Alicia de los Ríos, combattente della Lega comunista 23 settembre, fu rapita e scomparve il 5 gennaio 1978, nella Guerra Sporca che il regime del PRI scatenò contro i militanti di sinistra. Arturo Román, il compagno di Liliana Gutiérrez, è scomparso il 25 agosto 2010 a San Fernando, Tamaulipas, dove era di passaggio verso il confine, in uno dei suoi soliti viaggi per comprare vestiti e mercanzie, che poi vendeva a Città del Messico. Forse è scomparso a causa degli Zetas che due giorni prima a San Fernando avevano ucciso 72 migranti. Infine, al “Cinema per insonni” si è conclusa la sessione della giornata con la proiezione de “La dictadura perfecta”, di Luis Estrada. Si tratta di una satira politica che rivela l’influenza e il potere di Televisa nella politica messicana, il cinismo sia del media televisivo che della classe politica, nonché i legami intimi della criminalità organizzata con tutte le strutture statali: Il Presidente della Repubblica commette un’altra delle sue frequenti sciocchezze. TV MX, la potente Corporación Mexicana de Televisión, deve aiutare il suo amico e alleato ad uscire dal problema prima che si trasformi in un’altra grave crisi di immagine e popolarità. Per distogliere l’attenzione, la stazione televisiva annuncia nel suo notiziario principale ed in maniera scandalosa un video che coinvolge il Governatore Carmelo Vargas in crimini efferati e gravi affari illeciti. Il “Gober Vargas”, preoccupato per il suo futuro politico, decide di negoziare un accordo milionario e segreto con i proprietari della stazione televisiva. Carlos Rojo, un giovane e ambizioso giornalista; Ricardo Diaz, giornalista di punta della televisione e Javier Pérez Harris, conduttore del telegiornale di prima serata, sono incaricati di cambiare l’immagine che il pubblico si è fatta del corrotto e folcloristico “Gober” e trasformarlo – ad ogni costo – in una brillante stella politica e un possibile candidato alla presidenza. La televisione ha già messo un presidente … Lo farà di nuovo?

Ottavo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il penultimo giorno del Festival del Cinema Puy ta Cuxlejaltic (Caracol della nostra vita), è iniziato con la proiezione di “Les révoltés: Images et paroles de mai 1968 (I ribelli: Immagini e parole del maggio 1968), di Michel Andrieu e Jacques Kebadian. È un documentario che ci porta nel cuore della rivolta popolare del 1968 in Francia, alla rabbia di lavoratori, studenti e giovani che si oppongono al moralismo e al potere del tempo. Il tema delle sparizioni forzate era presente con il cortometraggio di 5 minuti “Ci mancano”, di Lucía Gajá e Emilio Ramos, una commovente immagine sui 43 normalisti scomparsi dalla Scuola Rurale Normale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa. Ayotzinapa è anche il tema di “El paso de la tortuga”, un documentario di 80 minuti del regista Enrique García Meza, che ricostruisce i fatti del 26 e 27 settembre 2014. Nel film, padri e madri, compagni degli studenti normalisti scomparsi e sopravvissuti di quella notte denunciano l’ingiustizia, l’impunità e la complicità dello Stato. “El maíz en tiempos de guerra”, di Alberto Cortés, segue il corso annuale di quattro campi indigeni di mais in diverse regioni del Messico. Il film illustra l’eccezionale sviluppo del mais, la sensibilità per selezionare i semi e preparare la terra che li riceverà, la costanza nella cura, il raccolto finale e l’uso indispensabile dei suoi frutti. La storia del grano corre parallela alla storia delle popolazioni indigene, che si definiscono popoli di mais, uomini e donne di mais. La cura che le comunità mettono nel grano è affascinante in Messico, che è la culla del grano, il suo centro di origine e la sua diversificazione. Una famiglia wixárika (huichola – N.d.T. nativi della Sierra Madre Occidentale del Messico) nel nord del Jalisco; un’altra famiglia ayuuk (mixe – N.d.T. popolo nativo che abita le alture orientali dello stato di Oaxaca.) a Oaxaca, e due famiglie tzeltal nella selva del Chiapas ci parlano dai loro campi, dalle case e dai sentieri dell’importanza della semina, delle conoscenze e delle pratiche che permettono l’epopea del mais, i pericoli che si nascondono, l’attuale necessità di preservare i territori che danno continuità ai raccolti e la vita a milioni di messicani. Il film “Diarios de motocicleta” di Walter Salles è basato sui diari di viaggio di Che Guevara (quando era ancora studente di medicina) e Alberto Granado (interpretati rispettivamente da Gael García Bernal e Rodrigo de la Serna), nel suo viaggio attraverso il Sud America nel 1952. E’ su quelle strade che il Che si trasforma e comprende la violenza, lo sfruttamento e la miseria dei popoli dell’America Latina. Infine, la giornata si è conclusa con la proiezione di “El laberinto del fauno”, di Guillermo del Toro: un film fantastico che è un’allegoria della guerra civile spagnola. Il film si svolge nel 1944, cinque anni dopo la fine della guerra e racconta la storia di Ofelia, una ragazza di 13 anni che arriva con sua madre Carmen in un villaggio nei Pirenei, dove incontra il suo patrigno, un capitano della polizia franchista con la missione di eliminare gli ultimi ribelli repubblicani sulle montagne circostanti. Ofelia scopre le rovine di un labirinto, dove trova un fauno – una creatura con i piedi e le corna di capra – che le rivela essere in realtà la figlia di un re di un regno sotterraneo. Dopo essere salita in superficie per conoscere il mondo umano, la principessa perse la memoria e finì per morire. Ma suo padre era sicuro che la sua anima era ancora esistente anche se non ricordava il suo regno. Per tornare, Ofelia deve superare tre prove prima della luna piena.

Chiusura Festival del Cinema – Caracol de nuestra vida

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 Con una festa popolare e con tanta allegria, si è concluso il 9 novembre 2018, il Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” (Caracol de nuestra vida) nel Caracol zapatista di Oventic. Sono stati nove giorni di cinema, con un pubblico che nei primi giorni ha visto la presenza di circa 4mila zapatisti, oltre a ospiti e assistenti. Un evento senza precedenti nelle montagne del sud-est del Messico, il festival è un ulteriore passo nel percorso che lo zapatismo si è prefissato e che propone a tutti noi: le arti (e le scienze) come alternativa di fronte al tempo di morte che viviamo. La possibilità che le arti ci permettono di ripensare il nostro mondo con una visione critica e immaginare altri mondi possibili. Come al solito, le migliaia di zapatisti presenti all’incontro avranno il compito di riportare alle comunità di appartenenza ciò che hanno imparato, pensato e immaginato in questi giorni. Quest’ultimo giorno del festival è iniziato con la proiezione di “Petits historias das crianças” (Piccole storie di bambini), di Guido Lazzarini, Gabriele Salvadores e Fabio Scamoni, che racconta la storia dei bambini che partecipano ogni anno al progetto di Inter Campus, un progetto sociale fondato dalla squadra di calcio italiana dell’Inter, che lavora con bambini provenienti dalle periferie di 29 paesi in tutto il mondo. I bambini erano ancora presenti con il cortometraggio di 28 minuti “Niñ@s del llano encantado”, di Ojo de Agua Comunicación. È una videomessaggio realizzato da bambini della comunità di Santa Catarina Lachatao, negli altopiani settentrionali di Oaxaca, dove ci fanno vedere aspetti della vita quotidiana della loro comunità, ci mostrano luoghi sacri e storici, ci mostrano le loro famiglie e parlano con i loro nonni, sempre divertendosi e facendoci pensare e ridere. Questo videomessaggio è il prodotto di un laboratorio per bambini, realizzato dal CAI (Campamento Audiovisual Itinerante). A seguire, si è proiettato il cortometraggio “Saludos desde San Juan Evangelista Analco”, di La Caléndula Audiovisual e Ojo de Agua Comunicación: un video messaggio di ringraziamento agli abitanti di San Juan Evangelista Analco di Calenda Audiovisual e Ojo de Agua Comunicación, nell’ambito del Campamento Audiovisual Itinerante La riserva della biosfera di Calakmul è una delle più importanti del Messico e la seconda più grande del continente dopo l’Amazzonia. Nonostante la loro importanza, le autorità e gli abitanti non hanno una corretta gestione dei rifiuti solidi. Il documentario “El futuro en nuestras manos”, di Sara Oliveros (Ambulante Más Allá), affronta questo problema a partire dalla storia di Miguel, Armando e Víctor, tre bambini che vivono nella discarica comunale e si dedicano a separare i rifiuti per sopravvivere. “Los débiles”, il primo lungometraggio di Raúl Rico e Eduardo Giralt, ci porta in un viaggio attraverso Sinaloa, rivelandoci la cultura ibrida del nord del paese. Il film ripercorre il viaggio di Victor, tormentato da un ragazzo di 13 anni soprannominato Selfie, e che dopo qualche ora trova uccisi i suoi amati cani. Victor inizia quindi un viaggio per trovare il ragazzo a Sinaloa … un tour nel Messico del Narcos, delle bande, tra i giovani immersi nella violenza, il tutto trattato con umorismo e sottile ironia. La marcia del colore della terra del 2001 era presente con il film “La fragile armada”, di Jacques Kebadian e Joani Hocquenghem. Il film di 56 minuti “Oscar Chávez, Chiapas”, di Modesto López, registra testimone della lotta zapatista e dei concerti di Óscar Chávez nel Parco del Messico, nell’auditorium nazionale e nel Caracol de Oventic, dove si trova la prima scuola secondaria zapatista “Primero de Enero”, a cui sono stati consegnati tutti i proventi della vendita di CD, cassette e del video (che non è in vendita al pubblico), delle circa 600 copie che sono state distribuite a comunità, scuole e organizzazioni popolari del Messico ed in altri paesi). Infine, si è svolta la cerimonia di chiusura e il festival si è concluso, come di solito avviene in territorio zapatista, con la gioia di ballare nel freddo dell’autunno tra le montagne del sudest messicano.

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CRONACHE DAL PRIMO FESTIVAL DEL CINEMA CONVOCATO DALL’#EZLN

Migliaia di Basi di Apoggio Zapatiste (BAEZLN), cineasti e partecipanti nazionali e internazionali, assistono alla prima edizione del Festival del Cinema “Caracol de nuestra vida”, convocato dall’ #EZLN, nel Caracol zapatista di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas.

Sono stati omaggiati i morti caduti in questi 35 anni di ribellione e resistenza, e consegnati riconoscimenti a diversi invitati, tra i quali all’attore Gaél García Bernal.

Primo film in rassegna è stato Roma di Alfonso Cuarón. Dopo la proiezione il Subcomandante Galeano ha ringraziato i presenti per aver accompagnato l’apertura del primo festival del cinema zapatista. Poi ha annunciato la consegna di vari riconoscimenti consegnati “da mani zapatiste” (da bambine e bambini) a: Berta Navarro, Paul Leduc, lavoratrici e lavoratori della filmoteca della UNAM, Hugo Villa. Ha rivolto un ringraziamento particolare a tutta la squadra del film Roma, che ha permesso che la pellicola arrivasse in territorio zapatista, al team tecnico per gli strumenti per la sua proiezione ed alla produzione per il permesso di trasmetterla, e ad Alfonso Cuarón. Ha ringraziato in particolare Libo, la collaboratrice domestica alla quale è dedicato il film. Il riconoscimento, un’opera d’arte zapatista dal titolo “El caracol de nuestra vida”, è stato consegnato dalla Capitana Insurgenta Érika, che prima della sollevazione era collaboratrice domestica.

Cronaca e immagini dal Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic”: https://radiozapatista.org/?p=28979&fbclid=IwAR3eopq3XpUF61q_gsEIMtYdZ6Hejjy82U1_l4oCSgVD5dGOT3jNuTjG9Eg

Foto dal Festival: https://www.facebook.com/pg/cooperazionerebelde.napoli/photos/?tab=album&album_id=2202187526737583&__xts__%5B0%5D=68.ARBovEYm2EMVtqeHDxlU3o6ekDN1uj-Kt0xGPepcfihx34ll3ppN5kOi63pxj6O-sgZPBOywxILkTNbY-puct4rvv6bQrwGzzYQA8wQwm1u2WzpjjIF9glGVI9Ci1tJaOZ8QRp14W2Eu3XRrwbLIkQ2t7L-0U4MbCB0LixOlnL5w4mF5CcbZPRaCCkQf1D5Z3NsPTuHcRYCMR55hw62Mh9UFW0ZrUw-Gytw_O95QddsnV5taebP4JCnK_52t&__tn__=-UCH-R

 

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