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conferencia-3 se chiedessero a me, ombra spettrale dal naso impertinente, di definire l’obiettivo dello zapatismo, direi: “fare un mondo dove la donna nasca e cresca senza paura”.

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Le arti, le scienze, i popoli originari e i bassifondi del mondo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Febbraio 2016

Per: Juan Villoro Ruiz:

Fratello:

Sono lieto che il resto della famiglia giurata stia bene, e ti ringraziamo di essere il messaggero per far giungere loro i nostri saluti ed ossequi (anche se sono convinto che cravatte e posaceneri o un mazzo di fiori sarebbero stati un’opzione migliore).

Mentre cercavo di proseguire con queste parole, ho ricordato il tuo testo “Conferencia sobre la lluvia” (editore Almadía, 2013) scritto, credo, per il teatro, e che lessi immaginando, di sicuro malamente, la scenografia, i gesti e i movimenti dell’interprete del monologo che sente l’interpellanza più che mostrare di accoglierla. L’inizio, per esempio, è una sintesi della mia vita: il laconico “Ho perso le carte!” della prima riga, vale un’enciclopedia se lo lego ai calendari e geografie di questo continuo cadere e ricadere che sono stato.

Perché, invariabilmente, in un’epistola, dopo il saluto di apertura perdo le idee (“la tonelada” [la “metrica“, N.d.T.] dicono i compas quando si riferiscono al tono di una canzone). Voglio dire, l’obiettivo concreto della lettera. Vero che l’aver chiaro chi sia il ricevente può aiutare, ma non poche volte il destinatario è un ascolto fratello al quale non si richiede necessariamente una risposta, ma sempre un pensiero, un dubbio, un interrogativo, ma non che paralizzi, ma che motivi altri pensieri, dubbi, domande, eccetera.

Allora, forse come al bibliotecario-conferenziere protagonista dell’opera, vengono fuori parole che non si sono cercate di proposito, ma erano lì, nascoste, aspettando una disattenzione, una crepa nel quotidiano, per assaltare la carta, lo schermo o quel foglio sgualcito che dove-diavolo-l’ho-messo-ah-eccolo-qua!-ma-quando-ho-scritto-questa-idiozia? Le parole allora smettono di essere scudo e barricata, lancia e spada, e diventano, con nostro sommo dispiacere, specchio di fronte al quale ci si rivela e svela.

Certo, il bibliotecario può ricorrere alle sue pareti colme di scaffali, con il loro ordine alfabetico e numerico, con calendari e geografie che disegnano una mappa di tesori letterari; cercare quindi alla “O” di “oblio” e vedere se lì trova quello che ha perso. Ma qua, in questo continuo trasloco, l’idea di una biblioteca, pur se minima e portatile, è una chimera. Credimie, ho accolto con vane speranze i libri elettronici (in una “USB” – o “pendrive” o “memoria esterna” – si potrebbe caricare se non la biblioteca di Borges, almeno una minima: Cervantes, Neruda, Tomás Segovia, Le Carré, Conan Doyle, Miguel Hernández, Shakespeare, Rulfo, Joyce, Malú Huacuja, Eduardo Galeano, Alcira Élida Soust Scaffo, Alighieri, Eluard, León Portilla ed il mago della parola: García Lorca, tra gli altri). Ma niente, se il bibliotecario perde le carte, ed io i dispositivi usb, chissà dove vanno a finire.

Ma non credere, ognuno ha le sue vergognose fantasie. Nelle usb degli e-book normalmente mettevo una miscellanea di autori, pensando che se li avessi persi sarebbero stati insieme e, forse, non so, dopo tutto la letteratura è il genere dell’impossibile che si concretizza in lettere, avrebbero potuto “condividersi” tra loro.

La letteratura è il luogo in cui piove”, hai fatto dire al conferenziere in disgrazia, obbligato a denudarsi, senza l’abito dei suoi appunti, per mostrarsi come è: vulnerabile.

Quindi immagina una usb con questi o altri artisti della parola. Immagina che inizi a piovere. Immagina quello di cui parlano tra loro mentre cercano di fare in modo che una goccia d’acqua non rovini il codice binario nel quale vivono, ed allora cominciano gli equivoci: 0-1-0-macchia-1-macchia-0-0-macchia-1 o quello che sia, e così parte il “come osa!” e da una parte all’altra volano i “fuck you“, “ti spacco la faccia“, “sono sciocchezze“, “al diavolo“, “siete pazzi“, “vaffanculo“, mentre Alcira diffonde la sua “Poesía en Armas” ciclostilata, cosa che non credo riappacifichi gli animi belligeranti. Insomma, tutte le promettenti aspettative rovinate… dalla pioggia.

Indubbiamente, mutatis mutando, nelle tue lettere è un gatto l’esiguo auditorium del conferenziere, e qua è un gatto-cane con la sua lucina che ugualmente resta sconcertato da quello che scrivo, come se non fossero di per sé sconcertanti un gatto-che-è-cane-che-è-gatto-che-è-cane ed una luce accoccolata nell’ombra.

Sto divagando? Questo è sicuro. Dopo tutto, questa condivisione impossibile dentro una usb che confida che la pioggia non rovini il colloquio, non è altro che una fantasia.

Ma se per il conferenziere è la pioggia, per questa missiva il tema è… la tormenta.

Consentimi dunque di approfittare di queste righe per proseguire il nostro scambio di riflessioni sulla complessa crisi che si avvicina, secondo alcuni, che già c’è, secondo altri.

Qualcuno da quelle parti ha detto che la nostra visione (plasmata ora nella stampa del libro “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista. Partecipazione della Commissione Sexta dell’EZLN“), è apocalittica e più vicina a Robert Kirkman ed il suo “The Walking Dead” (il fumetto e la serie televisiva ispirata o no, a lui), che a Milton e Rose Friedman ed il loro “Liberi di Scegliere” (il libro e le politiche economiche che trovano lì il loro alibi). Che ci sbagliamo per non essere ortodossi, o che ci sbagliamo per essere troppo ortodossi. Che non succederà niente, che svegliandoci ogni mattina ci sarà sempre il necessario per la colazione, che il cane del vicino continuerà ad abbaiare al camion della spazzatura, che dal rubinetto del bagno continuerà ad uscire acqua e non un rumore d’oltretomba. Che siamo solo uccellacci del malaugurio che, in aggiunta, non abbiamo alcun impatto mediatico o accademico (anche se sempre più spesso sono la stessa cosa).

Infine, che la macchina funziona ed ognuno sta dove deve stare. Le scosse sono sporadiche e sono solo questo, scosse, e che le turbolenze sono passeggere e dovute a qualcuno che si rifiuta di stare dove deve stare. Come si smonta un orologio se un ingranaggio o una molla escono dal loro posto e lo Stato è “l’orologiaio” che elimina il pezzo rotto e lo sostituisce con un altro.

LApocalisse (tutto incluso)? Il diluvio universale? L’umanità prigioniera nel treno apparentemente eterno e immortale di Snowpiercer (il film del sudcoreano Bong Joon-ho, intitolato “Rompighiaccio” nel dvd di “produzione alternativa” che mi è arrivato – e che adesso non trovo -) che riproduce al suo interno la stessa disumanità che, volendo risolvere il riscaldamento globale, ha indotto il raffreddamento del pianeta?

Niente di più lontano dal nostro pensiero. Noi, zapatisti, zapatiste, non crediamo che il mondo finirà. Ma pensiamo che quello che conosciamo attualmente collasserà, e che la sua implosione provocherà una miriade di disgrazie umane e naturali.

Se questa implosione sia già in marcia o si stia definendo, della sua durata e termine si può dibattere, argomentare, discutere, affermare o negare. Ma per quando ne sappiamo, non c’è chi osi negarla. Lassù tutti ammettono che la macchina sta cedendo e provano una soluzione dietro l’altra sempre all’interno della logica della macchina. Ma c’è chi vuole rompere con questa logica ed afferma: l’umanità è possibile senza la macchina.

Tuttavia, per quello che siamo, non ci preoccupa tanto la tormenta. Dopo tutto, sono stati secoli di tormenta per i popoli originari e i diseredati del Messico e del mondo, e se c’è una cosa che si impara in basso, è vivere in condizioni avverse. La vita dunque, ed in qualche caso la morte, è una lotta continua, una battaglia scatenata in tutti gli angoli dei calendari e delle geografie. E non parlo qui delle battaglie mondiali, ma di quelle personali.

Come si può evincere da una lettura attenta della nostra parola, il nostro è un messaggio che va oltre la tormenta e le sue sofferenze.

È nostra convinzione che la possibilità di un mondo migliore (non perfetto né finito, lasciamo questo ai dogmi religiosi e politici) sia al di fuori della macchina e la sua possibilità si regge su un tripode. O meglio, nell’interrelazione tra tre colonne che hanno resistito e perseverato, con i loro alti e bassi, le loro piccole vittorie e le loro grandi sconfitte, durante la breve storia del mondo: le arti (eccettuando da queste ultime la letteratura), le scienze ed i popoli originari con i bassifondi dell’umanità.

Forse ti chiedi, un po’ per curiosità e molto per la domanda diretta che ti suscita, perché metto in un comparto esclusivo la letteratura. Permettimi di spiegarlo più avanti.

Noterai che, abbandonando i classici, non ho messo la politica tra le vie di salvazione. Conoscendoci un po’ (anche se non compariamo nemmeno nelle pagine interne dei media, c’è un’abbondante bibliografia dedicata per chi nutre un onesto interesse a conoscere lo zapatismo), è chiaro che ci riferiamo alla politica classica, alla politica “di sopra”.

Juan, fratello, lo so che per questo ci vorrebbe non un’altra lettera, ma una biblioteca, quindi permettimi di lasciare questo punto in sospeso. Non perché sia meno importante o trascendente nella tormenta, bensì perché “ho preso la strada“, come dicono i compas, e se seguo le biforcazioni con le quali mi tenta la parola, corri il rischio che questa lettera non ti arrivi mai, non per la pioggia, ma perché incompiuta.

Ho messo “le arti” perché sono loro (e non la politica) che scavano nel profondo dell’essere umano e riscattano la sua essenza. Come se il mondo continuasse ad essere lo stesso, ma con esse e attraverso di esse riuscissimo a trovare la possibilità umana tra tanti ingranaggi, dadi e molle che stridono rumorosamente. A differenza della politica, l’arte dunque non cerca di riparare o sistemare la macchina. nInvece, fa qualcosa di più sovversivo ed inquietante: mostra la possibilità di un altro mondo.

Ho messo “le scienze” (e mi riferisco qui in particolare alle cosiddette “scienze formali” ed alle “scienze naturali”, considerando che quelle sociali devono ancora definire alcune cose – attenzione: senza che questo implichi una domanda ed esigenza -) perché hanno la possibilità di ricostruire sulla catastrofe che già “opera” in tutto il territorio mondiale. E non parlo di “ricostruire” nel senso di riprendere quanto crollato e rifarlo di nuovo ad immagine e somiglianza della versione precedente la disgrazia. Parlo di “rifare”, cioè, “fare di nuovo”. E le conoscenze scientifiche possono riorientare la disperazione e darle il suo senso reale, cioè, “smettere di sperare”. E chi smette di sperare, potrebbe cominciare ad agire.

La politica, l’economia e la religione dividono, lottizzano. Le scienze e le arti uniscono, gemellano, trasformano le frontiere in ridicoli punti cartografici. Certamente, né le une né le altre sono esenti dalla feroce divisione in classi e devono scegliere: o contribuire al mantenimento e riproduzione della macchina, o contribuire a mostrare la sua necessaria soppressione.

Come se invece di ri-etichettare la macchina, abbellendola o perfezionandola, l’arte e la scienza piantassero, sulla superficie cromata del sistema, un’insegna laconica e definitiva: “CADUCO”, “Scaduto”, “per continuare a vivere, aspettare un altro mondo”.

Immagina (alla tua generazione deve essere rimasto qualcosa di John Lennon, alla mia poco più che sones e huapangos [musiche e balli folk – N.d.T.]), immagina se tutto quello che si spende in politica (per esempio, per le elezioni e per le votazione per la guerra, così antidemocratiche sia le une che le altre – “la politica e l’economia sono la continuazione della guerra con altri mezzi”, avrebbe detto Clausewitz se fosse partito dalla scienza sociale), fosse dedicato alle scienze e alle arti. Se invece di campagne elettorali e militari ci fossero laboratori, centri di ricerca e divulgazione scientifica, concerti, esposizioni, festival, librerie, biblioteche, teatri, cinema, e campi e strade dove regnassero le scienze e le arti, e non le macchine.

Certo, noi, zapatisti, zapatiste, siamo convinti che questo è possibile solo al di fuori della macchina. E che bisogna distruggerla. Non ripararla, non abbellirla, non renderla “più umana”. No, distruggerla. Se qualcosa dei suoi resti serve, che sia come dimostrazione che non bisogna ripetere l’incubo. Come se fosse solo un riferimento al quale si guarda dallo “Specchietto Retrovisore” mentre si lascia indietro la strada.

Ma non dubitiamo che ci sia qualcuno che pensi o creda che sia fattibile dentro di essa, senza alterare il suo funzionamento, cambiando macchinista o redistribuendo la ricchezza dei vagoni più sontuosi (non troppa, non bisogna esagerare) ai vagoni in coda. Ovvio, sempre rimarcando che ognuno sta dove deve stare. Ma il candore, fratello, normalmente è uno degli abiti della perversione.

Ho menzionato i popoli originari e i bassifondi del mondo, perché sono quelli che hanno più opportunità di sopravvivere alla tormenta e gli unici con la capacità di creare “un’altra cosa”. Qualcuno domani deve rispondere alla domanda “C’è qualcuno sulla Terra?”. E qui la parola presenta, non senza civetteria provocatoria, un’altra biforcazione che, per il bene di questa missiva, evito con la mia nota modestia.

Prima ho detto, beffardo e provocatorio, le arti, ad eccezione della letteratura. Bene, perché credo (e questo è personale) che toccherebbe alla letteratura creare i legami tra quei 3 piedi e rendere conto del processo, fortunato o no, della sua interrelazione. Gli tocca essere “Il Testimone”. Sicuramente mi sto sbagliando, oppure in questo gioco di carte ho scoperto il “Jolly” per chiedere “Perché così seri?”.

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Che cosa vogliamo? La chiave per capire il messaggio sotterraneo dello zapatismo sta nei racconti che appaiono nel libro “Il Pensiero Critico di fronte all’Idra Capitalista“, sulla bambina indigena che si auto definisce “Difesa Zapatista“.

Immaginare quello che, pur necessario ed urgente, sembra impossibile: una donna che cresca senza paura.

Indubbiamente ogni geografia e calendario aggiunge le sue catene: indigena, migrante, lavoratrice, orfana, profuga, illegale, desaparecida, violentata sottilmente o esplicitamente, violata, assassinata, condannata sempre ad aggiungere pesi e condanne alla sua condizione di donna.

Che mondo sarebbe quello partorito da una donna che potesse nascere e crescere senza la paura della violenza, della minaccia, della persecuzione, del disprezzo, dello sfruttamento?

Non sarebbe terribile e meraviglioso quel mondo?

Quindi, se chiedessero a me, ombra spettrale dal naso impertinente, di definire l’obiettivo dello zapatismo, direi: “fare un mondo dove la donna nasca e cresca senza paura”.

Attenzione: non sto dicendo che in quel mondo non ci sarebbero più quelle violenze a minacciarla (soprattutto perché il pianeta si può distruggere molte volte, ma non il peggio della nostra condizione di maschi).

Nono sto nemmeno dicendo che non ci siano più donne senza paura. Che con il loro impegno ribelle abbiano ottenuto questa vittoria nella battaglia quotidiana, e che sappiano di vincere le battaglie. Ma non la guerra. No, fino a che ogni donna in ogni angolo delle geografie e calendari mondiali cresca senza paura.

Parlo della tendenza. Potremmo affermare che la maggioranza delle donne nascono e crescono senza paura? Credo di no, e probabilmente mi sbaglio e sicuramente arriveranno numeri, statistiche e dimostrazioni che mi sbaglio.

Ma nel nostro limitato orizzonte, percepiamo la paura, paura perché piccola, paura perché grande, paura perché magra, paura perché grassa, paura perché bella, paura perché brutta, paura perché incinta, paura perché non incinta, paura perché bambina, paura perché giovane, paura perché matura, paura perché anziana.

Vale la pena impegnare il passo, la vita e la morte per tale chimera?

Noi, zapatisti, zapatiste, diciamo di sì, vale la pena.

E ci mettiamo la vita che, benché sia poca cosa, è tutto quello che abbiamo.

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Sì, hai ragione, non mancherà chi ci taccerà di “ingenui” (nel migliore dei casi, perché in tutte le lingue ci sono sinonimi più crudi). / Questo word processor, un software libero e con codice aperto, mi piace perché ogni volta che voglio scrivere “caso” o “casi“, il correttore mi propone “caos“. Credo che il software libero ne sappia più di me di devastanti tormente/.

Dove eravamo rimasti? Ah! Le parole perse, il loro naufragio in fogli o bites, i popoli originari e i bassifondi dell’umanità trasformati in arca di Noè, le scienze e le arti come isole salvatrici, una bambina senza paura come bussola e porto…

Che cosa? Sì, concordo con te che il risultato di tutto questo sa più di caos che di caso, ma questa è solo una lettera che, come dovrebbe essere per tutte le lettere, si trasforma in un aereoplanino di carta con la minacciosa scritta “Forza Aerea Zapatista” disegnata di lato, e che cerca il suo destinatario. Perché chissà dove sei Juan, fratello giurato. Come dicevano prima le nonne (non so adesso), “fermati ragazzino“, e mettiti la giacca o un abbraccio perché fa freddo e “la questione, lo sai, è la pioggia”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, febbraio 2016

Traduzione “Maribel” – Bergamo – Testo originale

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Al Consiglio della Magistratura Federale del Messico: 

AUTOPRESCRIVETEVI QUESTO:

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….. gli unici terroristi sono coloro che hanno malgovernato questo paese da più di 80 anni. Voi siete semplicemente i lavamani legali di codesti genocidi e, insieme, avete convertito il sistema giudiziario in una latrina malridotta e otturata, la bandiera nazionale in un rotolo di carta igienica riciclabile (…) Il resto è solo messinscena che simula giustizia dove ci sono soltanto impunità e impudicizia, (…)

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

24 febbraio 2016

Al Consiglio della Magistratura Federale del Messico: 

In tutto questo, gli unici terroristi sono coloro che hanno malgovernato questo paese da più di 80 anni. Voi siete semplicemente i lavamani legali di codesti genocidi e, insieme, avete convertito il sistema giudiziario in una latrina malridotta e otturata, la bandiera nazionale in un rotolo di carta igienica riciclabile e lo scudo nel logo di una qualche cibaria veloce e indigesta. Il resto è solo messinscena che simula giustizia dove ci sono soltanto impunità e impudicizia, e finge il “governo istituzionale” dove c’è solo saccheggio e repressione.

PERCIO’ AUTOPRESCRIVETEVI QUESTO:

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                                    Da 3 metri sottoterra                                          Perché tanto seri?

Il defunto e compianto (già!) SupMarcos                          Aderisco e sottoscrivo (non prescrivo):

                                                                                                                               Il SupGaleano

 Autorizza per il Comando Generale dell’EZLN

 Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, febbraio 2016

P.S.: Ma allora il tampiqueño può ormai uscire dalla comunità e fiondarsi verso dei bei granchi ripieni? Ovvio, che inviti, altrimenti niente. E può fare quel che fa qualsiasi altro messicano, ovvero essere sfruttato, fregato, defraudato, umiliato, disprezzato, spiato, ricattato, sequestrato, assassinato, fatto sparire, e insultato nella sua intelligenza da chi dice di governare questo paese? Lo dico perché è l’unica cosa che le istituzioni garantiscono oggi a qualsiasi cittadino che non sia di sopra.

Comunicato

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Prescritti i reati per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro Marcos.

Il giudice federale Juan Marcos Dávila ha decretato la prescrizione dei reati di terrorismo sedizione, sommossa, ribellione e cospirazione per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro il subcomandante insurgente Marcos ed altri membri dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). (….). Il giudice ha stabilito la prescrizione di tutti i reati il 12 febbraio scorso, 21 anni dopo l’emissione del mandato di cattura contro i leader zapatisti.

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 La Jornada – Mercoledì 24 febbraio 2016

Prescritti i reati per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro Marcos

http://www.jornada.unam.mx/2016/02/24/politica/005n1pol

Alfredo Méndez

Il giudice federale Juan Marcos Dávila martedì scorso ha decretato la prescrizione dei reati di terrorismo sedizione, sommossa, ribellione e cospirazione per cui nel 1995 fu spiccato mandato di cattura contro il subcomandante insurgente Marcos ed altri membri dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). (….). Il giudice ha stabilito la prescrizione di tutti i reati il 12 febbraio scorso, 21 anni dopo l’emissione del mandato di cattura contro i leader zapatisti.

Nel 2001 Marcos partecipò ad una carovana zapatista che percorse varie entità del paese, fino ad arrivare a Città del Messico. Allora, il governo del presidente Vicente Fox Quesada decise di non eseguire i mandati di cattura contro i dirigenti zapatisti; tuttavia, gli ordini di cattura sono sempre stati attivi. (…)

Il 9 febbraio 1995, il governo del presidente Ernesto Zedillo Ponce de León, attraverso l’allora titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Antonio Lozano Gracia, in una conferenza stampa “identificò” nel subcomandante Marcos “Rafael Sebastián Guillén Vicente” e disse che era stato spiccato un’ordine di cattura contro di lui ed altri leader zapatisti. (…)

Quella stessa notte, Lozano Gracia annunciò l’inizio di un operativo poliziesco-militare nel municipio chiapaneco di Guadalupe Tepeyac, in particolare a Las Margaritas, principale bastione zapatista, col fine di catturare Marcos. Benché non riuscì a catturare il dirigente dell’EZLN, le forze federali e la PGR riuscirono a catturare quello stesso anno Javier Elorriaga Berdegué, comandante Vicente; Jorge Santiago Santiago, Sebastián Entzin Gómez e María Gloria Benavides Guevara, comandante Elisa. (…)

Quattro giorni prima di questi arresti, l’allora segretario di Governo, Esteban Moctezuma Barragán, si era riunito con Marcos ed altri capi zapatisti ed avevano pattuito uno storico accordo di pace, del quale era informato il presidente Ernesto Zedillo. Tuttavia, dallo stesso governo federale arrivò il contrordine: catturare il subcomandante.

(…)

I dirigenti dell’EZLN beneficiati dalla prescrizione sono: Javier Elorriaga Berdegué, comandante Vicente; Jorge Santiago Santiago, Sebastián Entzin Gómez, María Gloria Benavides Guevara, comandante Elisa; Filiberto Gómez Díaz, Miguel Gómez Díaz, Carlos Gómez Díaz, Israel Gómez Díaz, Pedro Velazco Pérez, Venancio Hernández Jiménez, Mercedes García López, Antonio López Santís, José Luis Santís Pérez, Mariano Santís Vázquez, Arnulfo Pérez Aguilar y Domingo Pérez Aguilar.

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EZLN: Adesso vi raccontiamo un po’ di come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio. Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

 

E NELLE COMUNITÀ ZAPATISTE?

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compañeroas, compagni e compagne:

Adesso vi diciamo un po’ come stanno le comunità zapatiste, dove resistono e lottano le basi di appoggio.

Quello che vi stiamo per raccontare viene dai rapporti delle compagne e dei compagni zapatisti che nei villaggi sono responsabili di commissioni (per esempio, di salute, educazione, gioventù, ecc.), sono autorità autonome e responsabili organizzativi. Abbiamo comunque controllato tutto con le/i compagni del Comitato per verificare che non fossero bugie, o alterazioni perché sembri che tutto va bene e nascondere quello che va male. Lo scopo di questi scritti non è raccontare bugie alle nostre compagne e ai nostri compagni della Sexta, né a coloro che appoggiano e sono solidali. Né a voi, né a nessuno altro.

Se andiamo male, lo diciamo chiaramente, e non per rendervi più tristi di quanto già siate per tutto quello che succede nelle vostre geografie e calendari. Lo diciamo perché è il nostro modo di rendere conto, cioè di informarvi affinché sappiate se stiamo seguendo la strada che vi abbiamo detto o se ci stiamo occupando di altre cose, forse ripetendo gli stessi vizi che critichiamo.

Ma se andiamo bene, vogliamo che lo sappiate affinché ne gioiate nel cuore collettivo che siamo.

Come facciamo a sapere se andiamo bene o male? Per noi, zapatiste e zapatisti, è molto semplice: i popoli parlano, i popoli comandano, i popoli fanno, i popoli disfano. Nel momento in cui qualcuno prende una brutta strada, subito il collettivo gli molla, come si dice, uno scappellotto, o si corregge o se ne va.

Questa è la nostra autonomia: è la nostra strada, noi la percorriamo, noi la indoviniamo, noi ci sbagliamo, noi ci correggiamo.

In sintesi, vi diciamo la verità, perché dovete essere già abbastanza stufi di bugie. E la verità, anche se a volte fa male, è sempre di sollievo.

Non vogliamo fare come i malgoverni che nei giorni scorsi sono ricorsi al trucco per piacere al visitatore affinché non vedesse quello che succede in basso. Ma tutto quel maquillage è servito solo a dimostrare quanto sono falsi i governi. Pensavano forse che chiunque mediamente intelligente non avrebbe visto la realtà? Che si esprima o no rispetto a questa realtà, ed il modo in cui lo faccia, la realtà è un’altra cosa.

Andiamo avanti, dunque. Quello che adesso vi raccontiamo è quanto viene spiegato nei libri della Escuelita Zapatista. Se non avete frequentato la Escuelita Zapatista in comunità o fuori porta, o non conoscete quello che dicono i libri di testo, vi raccomandiamo di leggerli. Da lì imparerete a conoscere il processo di costruzione dell’autonomia.

Quello che succede è qualcosa di nuovo, sono apparse nuove cose che uno o due anni fa non c’erano:

– La crescita zapatista è costante. Stanno aderendo molti ragazzi e ragazze.

– Nel campo della salute le compagne ed i compagni vanno bene. Nelle loro cliniche autonome arriva meno gente perché è cresciuto molto il lavoro di prevenzione e grazie all’assistenza prestata dai promotori di salute autonoma. Cioè, ci si ammala di meno. Quelli che arrivano sempre più numerosi nelle cliniche zapatiste autonome, sono gli aderenti ai partiti.

– Nel settore dell’educazione, l’istruzione primaria è completa. Ma ora arriva una richiesta nuova dalle comunità: la secondaria e la preparatoria. In alcune zone c’è già la secondaria, ma non in tutte. Adesso ci sono ragazzi e ragazze che chiedono un’istruzione superiore. Non vogliono laboratori, ma studi superiori di scienze ed arte. Ma non studi secondo il metodo capitalista delle università istituzionali, bensì secondo il nostro metodo. Al riguardo, c’è ancora molto da fare.

– Riguardo all’economia, senza contare quanto già c’è e si mantiene dei lavori collettivi e individuali (milpa, fagioli, piantagioni di caffè, banane, allevamento di polli, pecore, bestiame, negozi, miele, ortaggi, compra-vendita di bestiame ed altri tipi di prodotti), si è registrato un aumento della produzione, cosa che ha migliorato l’alimentazione e la salute, soprattutto di ragazzi e ragazze.

– In alcune zone i promotori di salute autonoma si stanno specializzando nell’uso delle apparecchiature ad ultrasuoni, analisi di laboratorio, medicina generale, odontologia e ginecologia. Inoltre, nelle regioni si fanno campagne di prevenzione. In una zona, con il ricavato dell’allevamento collettivo di bestiame, sono stati acquistati strumenti di laboratorio ed un apparecchio ad ultrasuoni. Ci sono già compagne e compagni esperti nell’utilizzo di queste apparecchiature, risultato dell’apprendimento tra di loro come promotori di salute da un caracol all’altro, cioè si sono formati tra loro stessi. Ed è già in costruzione un’altra clinica ospedale affinché da qui in poi si possano eseguire piccoli interventi chirurgici, come già si sta facendo a La Realidad ed Oventik.

– Nel lavoro della terra, sono cresciuti molto i collettivi che lavorano la milpa e allevano il bestiame. Con i guadagni, oltre a comperare apparecchiature e medicinali per le cliniche, si sono comperati un trattore.

– Nel commercio, le cooperative di generi alimentari hanno raggiunto l’indipendenza economica ed hanno mantenuto prezzi bassi per le famiglie zapatiste. Questo è possibile perché non c’è chi si arricchisce col rincaro dei prodotti base di consumo.

– Nei negozi autonomi non ci sono abiti di marchi esclusivi né all’ultima moda, ma non mancano sottane, abiti, bluse, pantaloni, camicie, scarpe (la maggioranza fabbricate nelle calzolerie autonome) e tutto quello che ognuno usa per coprire le parti intime.

– Chi è più avanzato nei collettivi di produzione e commercio, sono le compagne. Alcuni anni fa, frutto del lavoro collettivo della comandancia, di comitati ed insurgent@s, (sì, anche noi lavoriamo per produrre ed ottenere ricavi) si destinò una somma ad ogni municipio autonomo affinché le compagne basi di appoggio la utilizzassero collettivamente o per quello che avessero deciso loro.

Si sono rivelate amministratrici migliori degli uomini, perché in un municipio le compagne non solo avevano avviato con successo un allevamento di bestiame collettivo, ma ora è talmente cresciuto che danno “al partir” le loro mucche ad altri villaggi dove ci sono collettivi di donne (le/gli zapatisti dicono “al partir” quando quello che si ottiene si “divide” a metà e questa metà viene data ad un’altra “parte”).

– Lo stesso è accaduto con le cooperative di generi alimentari: ormai offrono prestiti ad altri collettivi di regione o villaggi e perfino a singole compagne.

– In tutti i municipi autonomi si fa lavoro collettivo nella milpa ed altri nell’allevamento di bestiame. In tutte le regioni si svolge lavoro collettivo che procura guadagno. Per esempio, per l’ultima celebrazione, le regioni hanno cooperato per la mucca che hanno mangiato durante la festa e per i musicisti.

– Nella stragrande maggioranza dei villaggi si fa lavoro collettivo, in alcuni villaggi sono i compagni a non lavorare in collettivo, ma le compagne sì, e ci sono villaggi in cui sono presenti 2 collettivi, un collettivo di compagni ed un collettivo di compagne. Individualmente tutti lottano per stare bene e sono riusciti ad andare avanti. Sia le miliziane che i miliziani, come le/gli insurgent@s lavorano in collettivi di produzione per sostenersi e sostenere le comunità.

– Nel caracol di Oventik hanno già una tortillería autonoma. Non sappiamo quanto costa un chilo di tortillas nelle vostre geografie, ma ad Oventik viene 10 pesos al chilo. E sono di mais, non di maseca [marchio di un tipo di farina di colore giallo pallido – N.d.T.]. Perfino i trasporti pubblici fanno viaggi speciali per comprare lì le loro tortillas. Nella zona degli Altos del Chiapas, dove si trova il caracol di Oventik, non si produce mais. Il mais si produce nelle regioni della Selva e viene commercializzato tra i collettivi di zona affinché le famiglie zapatiste abbiano mais a buon prezzo e senza intermediari. Per fare questo si usano i camion che sono stati donati alle Giunte di Buon Governo da brave persone di cui non facciamo i nomi ma loro e noi sappiamo chi sono.

– In molti villaggi zapatisti circa il 50% lavora collettivamente ed il resto individualmente. In altri la maggioranza lavora individualmente. Sebbene si promuova il lavoro collettivo, si rispetta il lavoro individuale che non sfrutta altri individui. Tanto nel lavoro collettivo quanto in quello individuale, non solo si mantengono ma avanzano.

– Ogni realtà organizza i propri lavori collettivi. Ci sono collettivi di villaggi, ed in alcuni di questi ci sono collettivi di uomini, di donne e di ragazzi e ragazze. Ci sono collettivi di regione o di municipio. Ci sono collettivi di zona o di Giunta di Buon Governo. Quando un collettivo avanza di più, appoggia gli altri collettivi che sono più indietro. O, come in alcune regioni, il ricavato del lavoro collettivo di produzione di generi alimentari viene destinato agli ostelli a disposizione delle scuole secondarie autonome.

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Quanto vi stiamo dicendo riguardo ai progressi, non viene dalla comandancia zapatista, cioè non è uscito dalla testa di qualcuno, ma viene dalle condivisioni tra le comunità stesse.

In queste condivisioni si raccontano dei loro lavori, dei loro progressi e dei loro problemi ed errori. Da lì escono molte e nuove idee che si scambiano tra loro. Cioè, imparano tra compagni e compagne.

E certamente anche noi, come comandi, impariamo molto dalle nostre compagne e compagni zapatisti.

È terribile e meraviglioso quello che vediamo e sentiamo, tanto che non sappiamo a che cosa porterà tutto questo progresso.

Adesso non vi parliamo del riarmo dei paramilitari, dell’aumento dei pattugliamenti militari, aerei e terrestri, e di tutto quello che fanno i malgoverni per tentare di distruggerci. Non vi diamo dettagli perché sappiamo bene che neanche voi ve la passate facile, che le vostre resistenze e ribellioni subiscono aggressioni tutti i giorni, sempre ed ovunque. E che, ciò nonostante, continuate ad essere ribelli e resistenti.

Ma sappiamo che sapete che tutto questo di cui vi parliamo avviene in mezzo ad aggressioni, attacchi, minacce, calunnie e silenzi complici. In mezzo ad una guerra.

E sebbene nei momenti bui, come quello attuale, sorgano “commercianti della speranza”, le/gli zapatisti non si lasciano ingannare dalle sciocchezze ecclesiali, secolari o laiche di presunti “nuovi costituenti” che vogliono “salvarci” e che ricorrono agli stessi vecchi metodi di coercizione che dicono di criticare, e che mentono su presunti appoggi dell’EZLN mentre tentano di rieditare la storia con l’appoggio di “avanguardie” obsolete che, da tempo, hanno rinunciato alla loro stessa eredità.

L’EZLN non appoggia alcuna vendita di specchi. Siamo nel 2016, non nel 1521, svegliatevi.

-*-

Compas della Sexta, Sorelle e Fratelli del Congresso Nazionale Indigeno:

Con tutto questo ed in mezzo a tutti gli agguati, noi zapatiste e zapatisti ci prepariamo al peggio, quello che sta per arrivare.

Non abbiamo paura. Non perché siamo temerari, ma perché confidiamo nei nostri compagni e compagne.

Sembra come se, di fronte alla tormenta che già scuote i cieli ed i suoli del mondo, le basi di appoggio zapatiste fossero cresciute. Mai come adesso brillano la loro abilità, saggezza, immaginazione e creatività.

In realtà, più che informare o rendere conto, queste parole vogliono abbracciarvi tutt@, e ricordarvi che qua, in questo angolo di mondo, avete dei compagni che, nonostante le distanze in calendari e geografie, non vi dimenticano.

Ma non tutto va bene. Vi diciamo chiaramente che vediamo una falla: le donne zapatiste stanno avanzando più degli uomini. Ovvero, non si sta avanzando in maniera uguale.

Resta sempre meno di quel tempo in cui l’uomo era l’unico a portare i soldi a casa. Ora in alcune zone i collettivi di donne danno lavoro agli uomini. E non sono poche le famiglie zapatiste dove è la donna che dà i soldi all’uomo perché si comperi un camicia, dei pantaloni, un paliacate ed un pettine perché si presenti in ordine in occasione delle prossime attività che presto annunceremo.

Perché forse saremo sporchi, brutti e cattivi, ma: sempre ben pettinati.

Dalle Montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés          Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, febbraio 2016

 

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane:

Frammento della conversazione tra alcuni aderenti ai partiti ed alcun@ zapatisti:

Aderenti ai partiti: Ma come, l’EZLN non accetta i programmi del governo come Procampo, Prospera, Nuevo Amanecer de los Ancianos?

Zapatisti: No.

Aderenti ai partiti: Allora, quale organizzazione vi sostiene?

Zapatisti: Siamo organizzati ed abbiamo basi di appoggio che lavorano insieme e ci governiamo e facciamo lavori collettivi e con questo ricaviamo risorse economiche per sostenere la nostra resistenza.

Aderenti ai partiti: In che modo noi come società civile possiamo organizzarci e come potete consigliarci, guidare e insegnare?

Zapatisti: Guardate la situazione dei media liberi o del Congresso Nazionale Indigeno. Noi non diciamo o decidiamo come si devono organizzare né mettiamo nomi alla loro organizzazione. Che sia il popolo a pensare e decidere che cosa fare e come organizzarsi.

Aderenti ai partiti: Che cosa dobbiamo fare?

Zapatisti: La nostra idea è abbattere il sistema capitalista.

-*-

Rapporto sulla conversazione avvenuta, un’alba del mese di febbraio, tra chi chiamano Subcomandante Insurgente Moisés ed il cosiddetto SupGaleano:

SupMoy: È arrivato un rapporto riguardo a minacce di morte ed al governo che vuole attaccare i caracol per distruggere lo zapatismo, perché sta facendo fare brutta figura ai governi.

SupGal:

SupMoy: Che ci stanno cercando, me e te, per ucciderci.

SupGal: “ucciderci”? non sarà “arrestarci”, “catturarci”?

SupMoy: No, il rapporto dice “per ucciderli”.

SupGal: Caz…, e perché io? Questo è razzismo-colonialista-etero-patriarcale-eurocentrico. Se tu sei il portavoce, tocca a te. Io sono solo l’ultimo bastione del machismo zapatista e vedi ormai che siamo in ritirata. Inoltre, perché la violenza? Prima dicevano solo “fermare”, “mandato di comparizione”, “arresto”, adesso “ammazzare”. Inoltre, io sono già morto diverse volte, non lo considerano questo? Che ne tengano conto e mettano un bel “missione compiuta”. Ma non cambiare argomento: ti sto dicendo che non bisogna mettere nel comunicato la cosa dei collettivi delle donne.

SupMoy: Perché no?

SupGal: Perché se lo diciamo facciamo fare brutta figura al genere maschile. Tutta la tradizione di film di Pedro Infante e canzoni di José Alfredo Jiménez corre il pericolo di sparire. Sei d’accordo che spariscano le culture ancestrali? No, vero?

SupMoy: Come diceva la buon’anima: ya se chingó la Roma ésa porque ya lo puse.

SupGal: Come?!! Cosa ne è della solidarietà di genere?

SupMoy: È meglio che pensi come fare perché gli uomini si diano da fare e facciano avanzare i loro collettivi.

SupGal: Ok, ok, ok, Dobbiamo tornare alle nostre radici, come si dice. Farò un programma speciale per Radio Insurgente. Altro che Trono di Spade; esclusivamente canzoni del grande camerata e dirigente, primo del suo nome, re di Garibaldi, padre dei draghi e signore delle sette leghe: Pedro Infante.

SupMoy: hahahahaha. Non lo trasmetteranno mai. La responsabile della programmazione è una compagna.

SupGal: Porca miseria, accidenti alla legge rivoluzionaria delle donne! E quelle di José Alfredo Jiménez?

SupMoy: Peggio.

SupGal: Mmm… dei Bukis allora?… Los Temerarios?… Brindis?… Los Tigres del Norte? Piporro?

La discussione è andata avanti fino a che il gatto-cane, affilandosi le unghie, ha sentenziato: guau-miau.

Era l’alba, faceva molto freddo e, malgrado un’ombra si posasse sulla faccia della terra, una piccola luce riscaldava la parola “resistenza”.

In fede, in protesta di genere.

Nota: Il presente testo è stato realizzato con un processore di testi di software libero e codice aperto, con un sistema operativo GNU/Linux, con distro UBUNTU 14.04 LTS, con un computer dell’esclusiva e nota marca “La Migaja Z.A. de C.V. de R.L” (nota: “Z.A” sono le iniziali di “Zapatista Autonoma”; “C.V” de “Cooperación Virtual”; “R.L” de “Rebeldía Lúdica”), modello “Deus Ex Machina 6.9”, ricostruito (cioè, si era rotto ma l’abbiamo rimesso insieme come un rompicapo) nel Dipartimento di Alta Tecnologia Alternativa Zapatista (DATAZ, le sigle in spagnolo). Ok, ok, ok, è venuto fuori tipo una figura geometrica tridimensionale che chiamiamo “KEKOSAEDRO” – perché nessuna sa che cosa sia – e sono avanzati dei cavi e qualche vite ma funziona bene… fino a che non smette di funzionare. “UBUNTU”, In lingua zulu significa anche “Sono perché noi siamo”. Dite “SI” al software libero. Fuck Microsoft, Apple and so forth (if you know what I mean)! ¡Linux rules!

pinguino

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

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papa-messico

Francesco, il Messico e i media italiani: lasciamo aperta una finestra sui diritti negati

di MéxicoNosUrge https://www.facebook.com/mexiconosurge

La visita di papa Francesco in Messico ha dato all’Italia l’opportunità di allargare lo sguardo su un Paese che non prendiamo sul serio, sebbene rappresenti stabilmente la quindicesima economia globale (dal 2011 al 2014, lo dice la Banca Mondiale).

Dall’uscita nei cinema del film Puerto Escondido (1992) alla saga della cattura di El Chapo, di pochi mesi fa, ci siamo impegnati a leggerne la realtà soltanto attraverso stereotipi, complice – forse – l’assenza di inviati veri al servizio delle maggiori testate televisive e giornalistiche nazionali. Stereotipi che hanno accompagnato anche il viaggio di Bergoglio, come dimostrano le foto con sombrero scattate in aereo, e l’enfasi sulle immagini degli indigeni del Chiapas nei loro costumi tradizionali, durante la celebrazione eucaristica a San Cristóbal de Las Casas.

Per guardare oltre e in profondità il contesto messicano, riprendiamo una storia 15 anni fa. Nel marzo del 2001, una di quelle donne indigene, il cui nome era Esther, prese parola di fronte al Parlamento messicano. Era la fine di marzo, e nelle sue parole – rivolte a deputati e senatori – c’era spazio anche per gli abiti che indossava: “Vogliamo che sia riconosciuta la nostra forma di vestire, di parlare, di governare, di organizzare, di pregare, di curare, la nostra forma di lavorare in collettivo, di rispettare la terra e di considerare la vita, che è la natura di cui siamo parte”. Esther, comandante dell’Esercizio Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), insorto in armi nel gennaio di 17 anni prima, chiedeva l’approvazione della legge su diritti e cultura indigena, figlia degli Accordi di pace siglati il 16 febbraio del 1996 nella cittadina di San Andrés Larrainzar, a poche decine di chilometri da San Cristóbal de Las Casas. A mediare tra le parti, governo federale ed EZLN, era stato chiamato Don Samuel Ruiz, per quarant’anni vescovo della Diocesi. Per questo, in occasione del ventesimo anniversario degli Acuerdos de San Andrés, le scuse di papa Francesco agli indigeni, per secoli abusati dei propri diritti, sono importanti, come lo è il fatto che abbiano voluto fermarsi in preghiera -nella cattedrale di San Cristóbal – davanti alla tomba di Ruiz, che i maya del Chiapas chiamavano Tatik, “padre”, e la gerarchia della Chiesa cattolica ha sempre osteggiato in vita.

È essenziale che la finestra sul Messico che si è aperta durante la visita del Pontefice non venga richiusa. Secondo l’istituto nazionale di statistica, nei tre Stati più importanti del Sud-est messicano, cioè Chiapas, Oaxaca e Yucatan, 3 persone su 10 parlano almeno una lingua indigena (INEGI, 2015); l’Italia e l’Europa devono tornare a fare pressione per l’approvazione, mai arrivata, della legge che riconosca diritti e cultura indigena.

Conta ancora qualcosa il diritto internazionale? Il Messico è uno tra i Paesi che hanno ratificato, fin dal 1990, la Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, relativa alla presenza di popoli indigeni e tribali all’interno di Paesi indipendenti. Secondo il diritto, quindi, il governo messicano dovrebbe garantire “la piena efficacia dei diritti sociali, economici e culturali di questi popoli, rispettando la loro identità sociale e culturale, costumi e tradizione, e le loro istituzioni”. E l’articolo UNO del trattato di libero commercio tra l’Unione Europea e Messico, pomposamente definito “Acuerdo global”, sancisce che “il rispetto ai principi democratici e ai diritti umani fondamentali, come enunciati nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne ed internazionali delle Parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo”. Elemento essenziale, rimasto però sulla carta: pochi giorni prima del discorso della comandante Esther in Parlamento, nel marzo del 2001 entravano in vigore le misure relative alla libertà d’investimento nell’ambito “dell’Acuerdo global”, e molte imprese, anche italiane, ne hanno approfittato. L’interscambio commerciale tra i Paesi dell’UE e il Messico oggi vale quasi 45 miliardi di euro, ed è più che raddoppiato dal 2000. Tutto questo vale il nostro silenzio? Un anno fa, nel marzo del 2015, il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni è stato ricevuto dal presidente messicano, Enrique Peña Nieto, ma in nessun momento ufficiale né documento pubblico, il ministro ha in alcun modo menzionato le gravi violazioni dei diritti dei popoli indigeni legati alle attività minerarie; il dramma degli oltre 27mila desaparecidos; le decine di migliaia di Feminicidios, solo nello scorso anno e solo nello stato di Ecatepec sono state oltre 500 le donne vittime di femminicidio; le violenze “strutturali” nei confronti della stampa. È, anche questo, un silenzio complice?

Lo storico belga Jan De Vos ha dedicato tre libri alla Selva Lacandona, la foresta tropicale del Chiapas. L’ultimo, Una tierra para sembrar sueños, racconta il periodo tra gli anni Cinquanta e il Duemila, la storia recente della Selva. Sono gli anni in cui le comunità cattoliche di base, frutto del lavoro di Don Samuel Ruiz e dei suoi catechisti rurali, restituiscono speranza e dignità agli indigeni; anni – anche – in cui la Selva diventa casa e protezione per decine di migliaia di indigeni Maya che fuggono dal Guatemala, funestato da una terribile guerra civile, dove risultano vittime di un genocidio.

Erano rifugiati che attraversavano un confine tracciato sulla carta ma di fatto inesistente, nel fitto della Lacandona: è a queste comunità indigene solidali che l’Italia e Europa dovrebbero guardare; per leggere in modo diverso la nostra storia presente.

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Cambiare il cammino, vendersi, arrendersi? Questo mai!

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INTANTO … nelle comunità aderenti ai partiti

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico

Febbraio 2016

Alle compagne e ai compagni della Sexta:

A chi di dovere:

Compagni e non compagni:

Ciò che vi stiamo per raccontare proviene dalla voce stessa di indigeni aderenti ai partiti che vivono nelle diverse zone nello stato messicano sudorientale del Chiapas. Sebbene militino, simpatizzino o collaborino nei diversi partiti politici istituzionali (PRI, PAN, PRD, PVEM, PMRN, PANAL, PT, PES, PFH, … più quelli che salteranno fuori da qui al 2018), hanno in comune l’avere ricevuto i programmi di assistenza del malgoverno e di essere materiale umano per voti e per trasporti terrestri e celestiali, oltre che, ovviamente, di essere indigeni e messicani.

Quel che state per leggere non solo non è apparso, né appare, né apparirà sulla stampa prezzolata locale, nazionale e internazionale, ma per di più contraddice puntualmente la propaganda governativa e le lodi che ne cantano i suoi media (tra l’altro, molto male).

In sintesi, sono manifestazioni di un crimine: la spoliazione “legale” di terre, storia e cultura di comunità indigene che hanno creduto che i malgoverni e le organizzazioni partitiche esistano per aiutarle. Abbiamo omesso i nomi reali di comunità e persone perché ce lo ha espressamente richiesto chi ha parlato, in alcuni casi perché teme rappresaglie, e in altri per la vergogna e l’imbarazzo di cui soffre per la fregatura subita.

I protagonisti sono solo una piccola parte delle vittime di una guerra, la più brutale, terribile, sanguinaria e distruttiva nella storia mondiale: una guerra contro l’Umanità.

Forniremo soltanto alcuni esempi perché ce ne sono molti, sebbene la menzogna e la sofferenza si ritrovano accoppiate in ciascuno di essi. Dunque…

Quel che qui si scrive è quel che sta accadendo nelle comunità aderenti ai partiti.

Al primo impatto non gli si crede ma quel che vi raccontiamo è un fatto, tale e quale che lo raccontano e dicono le compagne e i compagni basi d’appoggio; e lo dicono i non zapatisti delle comunità, quel che si sta soffrendo nei loro villaggi. Ciò al di là di quel che stanno soffrendo negli altri villaggi dei compagni e compagne del Congresso Nazionale Indigeno nel nostro paese, di cui non si sa molto perché non ci sono mezzi di comunicazione che ne diano notizia, perché la maggior parte dei media esistenti è prezzolata.

Ciò che vi scriviamo è cosa di meno di un anno fa.

Osserviamo come fossimo su un drone sotterraneo per vedere come stanno gli aderenti ai partiti di sotto, lontano dalle statistiche governative e dalle inserzioni a pagamento sui media.

Dalle parti di La Realidad, in una comunità – be’, continuerà a essere una comunità se si difenderà, perché ora vedrete cosa è successo. Non sono zapatisti, bensì aderenti ai partiti.

Vi giunse il progetto di allevamento del malgoverno. Diede bestiame a tutti gli appartenenti all’ejido, non in comune, ma individualmente. Individualmente diede vacche, cavallo, finimenti, recinto, fili per recinti, sale, e in comune diede loro la cassetta dei medicinali veterinaria.

E la gente era ben contenta. Aveva perfino cartelli e magliette che dichiaravano che il governo mantiene la parola. E i governanti si fecero le foto e pagarono i media prezzolati per dare la grande notizia: “le comunità partitiche progrediscono, mentre gli zapatisti stanno come o peggio del 1994”. I funzionari misero a bilancio di avere speso molto, per nascondere quel che si sono rubati: un po’ per loro, un po’ per i governi, un po’ per i media prezzolati.

Ma le notizie viaggiano come la gallinella cieca, che non sa dove andare: e il chapo se ne è scappato per la seconda volta, e lo hanno preso per la terza, ed è venuto il papa, e se ne è andato il papa, e intanto in qualsiasi angolo del Messico, o del mondo, hanno picchiato-violentato-incarcerato-assassinato-fatto sparire-non-importa-chi. E la notizia è parte del sistema, ovvero è anch’essa una merce. E si vende se si dice, e si vende se si tace. Perciò i media ricevono un mucchio di soldi per dire… e molti di più per tacere.

Ma non passò molto tempo: uno di questi membri dell’ejido del villaggio che riceve sostegno governativo, fu preso dalla necessità e vendette una vacca. Dicendo “la necessità” vogliamo dire che ha avuto un’urgenza, come una malattia grave. A quel punto arrivò l’ispettore del progetto e iniziò a contare le vacche, una a una, che gli aveva dato; alla fine ne mancava una di uno di loro, cioè dei membri dell’ejido. Allora l’ispettore gli disse: “Non puoi vendere, perché non hai chiesto il permesso? Devi comprarne una in sostituzione, e che sia della stessa stazza e della stessa razza”. Il signore dell’ejido gli rispose: “Ma come, signore, se ho già speso il guadagno per necessità… dove trovo i soldi per comprarne una in sostituzione?”. E l’ispettore risponde: “Questo non è un problema mio, è un problema tuo, compra quella in sostituzione, è tutto, altrimenti ti portiamo via tutto il resto”.

Non passò un mese che ritornò il maledetto ispettore e riunì i membri dell’ejido, e poi disse a tutti, tirando fuori gli incartamenti e mostrandoli alla gente: “Tutti questi fogli sono la lista, le ricevute, le fatture di tutto quel che avete già ricevuto dal governo, perciò ora la terra non è più vostra, dovete andarvene e che sia con le buone, altrimenti sarà con le cattive. Se ve ne andrete con le buone è già pronto il posto dove vivrete, a Escárcega, cioè nello stato di Campeche, oppure andrete a Los Chimalapas”.

Vale a dire che in tutto quel periodo in cui erano contenti per il sostegno del malgoverno, in realtà stavano accudendo, come peones, il bestiame che non era loro. E tutte le carte che avevano firmato, con i loro verbali dell’ejido e le loro credenziali di elettori, in realtà significavano che stavano svendendo le loro terre senza saperlo.

Da lì in poi finirono i sorrisi e arrivarono la pena, la tristezza, il dolore e la rabbia.

Perché in quel posto è zona turistica. E’ dove il fiume Jataté forma alcune piccole isole molto belle. Ecco cosa vogliono i signori che vivono di banconote e di monete. Questo sta succedendo nella comunità di X, municipio ufficiale di Maravilla Tenejapa, alla frontiera con il Guatemala.

Sapete dove rimane Los Chimalapas? Sì, nella zona contigua allo stato di Oaxaca. Sapete che lì ci sono frequenti conflitti, per problemi di terra, tra contadini di Oaxaca e del Chiapas? Ebbene, aumenteranno. I governi federale e statali stanno usando questo luogo per ricollocare chi viene privato delle sue terre. Ecco cosa fa il populismo governativo: non risolve problemi, li ingigantisce e li trasferisce in altre geografie perché esplodano in altri calendari.

Ai malgoverni e agli uomini di partito di sopra non importano i bisogni della gente. Tutte le loro campagne e i loro programmi sociali non sono soltanto una grande menzogna e una fonte di denaro per arricchirsi, ma sono anche un mezzo per la spoliazione.

Ma continuiamo ad ascoltare e vedere gli aderenti ai partiti.

Nella zona del caracol di Garrucha (ma anche nelle altre zone) è accaduto questo fatto: nelle comunità W, Xe Y hanno ricevuto i progetti di “Pro Albero”, e anche in altri villaggi, ma non ce lo raccontano. Questo invece ce lo hanno raccontato da queste tre comunità, perciò lo diciamo. Proviene tutto da aderenti ai partiti nel municipio ufficiale di Ocosingo, Chiapas.

A tutti questi villaggi, il governo ha proibito di tagliare nuovi alberi per le proprie necessità, come la legna per cucinare e per la costruzione delle proprie case. La gente dice che ormai teme per quel che le potrà accadere, giacché hanno a disposizione solo un pezzo di terreno per coltivare la milpa ai piedi del monte, mentre se tagliano a metà montagna vengono multati. Allora, se hanno bisogno di cambiare una tavola di una loro capanna, devono comprarla a una segheria. Le segherie sono grandi imprese e possono tagliare gli alberi, tutti quelli che vogliono, proprio dove i contadini non possono tagliare. Se hanno bisogno di legna per cucinare, devono comprarla altrove e caricarsela a spalla fino a casa, e vanno camminando con il carico in spalla per la stessa strada in cui circolano grandi camion con giganteschi tronchi di alberi tagliati nelle terre della comunità in cui gli abitanti stessi non possono tagliare legna per “preservare l’ecologia”.

Da dove prende i soldi, il contadino, per comprare la tavola di cui ha bisogno per la sua casa o la legna per cucinare? Dai programmi governativi. Cosa serve per ricevere le elemosine governative? Presentare il verbale dell’assemblea, la credenziale, il CURP e tutte quelle carte che marcano le persone proprio come si marcano il bestiame e gli alberi. Marchi che dovrebbero conferire identità alle persone e invece gliela sottraggono: non sono più tal dei tali, ma il tale numero.

E perché i malgoverni vogliono quelle carte? Per dimostrare che i contadini hanno venduto legalmente le loro terre, e poterli sgomberare legalmente, e legalmente dislocarli in altre terre invase illegalmente. E così via.

Ma come stanno le donne nelle famiglie aderenti ai partiti? Vi racconteremo quel che dicono essi stessi.

In due comunità, X e Y, andarono le donne a ricevere i progetti, ma il governo disse loro che andassero anche le ragazze, e l’appuntamento era a Tuxtla Gutiérrez, che è la capitale dello stato messicano del Chiapas, dove vivono il governatore e i suoi funzionari. A quanto pare, arrivate a Tuxtla, misero da un lato le ragazze e dall’altro le signore. Ma a quanto pare tra le ragazze che si portarono via c’era anche una signora, per sbaglio. E fu lei che si mise in comunicazione con suo marito e gli disse che le avevano tenute chiuse in una casa per tre ore. E le ragazze raccontano di essere state obbligate ad avere rapporti sessuali. E ora si dice nella comunità che quel che fanno i funzionari, invece di assegnare il progetto, è di obbligarle ai rapporti sessuali. Per esempio, una ragazza che aveva avuto dei problemi perché l’avevano costretta ai rapporti sessuali, chiese a sua mamma se, la prima volta, è normale che faccia male avere rapporti sessuali. E la mamma chiese alla figlia: “Perché, figlia mia, cosa c’è? Perché me lo chiedi?”, le disse. E la ragazza dovette dire quel che era accaduto a Tuxtla.

Vale a dire che il malgoverno sta tornando a imporre lo ius primae noctis (quando una ragazza si sposava, il proprietario terriero aveva il diritto di possedere la donna) nelle comunità aderenti ai partiti. Ecco perché governano e si vestono come i proprietari terrieri di un tempo. E, come un tempo, ricevono le benedizioni dell’Alto Clero, che gli apre le porte delle cattedrali perché, pagando, ricevano i sacramenti, possano espiare i propri crimini e i gli stupri, e tornino a posare, puri e sorridenti, nelle foto della stampa prezzolata e alla televisione. Ecco quel che fanno i governanti e i funzionari che pregano con devozione e stanno in prima fila per ricevere le benedizioni ecclesiastiche.

Così si benedice l’inferno in terra.

E i giovani aderenti ai partiti?

Quel che vi stiamo per raccontare, non possiamo dire quale villaggio o villaggi riguardi, ma risulta che giunsero due uomini meticci, i quali dissero di lavorare per degli imprenditori e di stare cercando lavoratori e di sapere che c’è chi vuole andare a lavorare al nord ma gli viene difficile poterci arrivare, e che essi avrebbero potuto portarli direttamente al lavoro. Risulta che questi due abbiano reclutato nove giovani. Mesi dopo, uno riesce a comunicare con la propria famiglia e gli dice di essere ferito da un proiettile, perché era scappato dal luogo in cui li tenevano chiusi, e che il lavoro è seminare marijuana e papavero, che non li lasciano più andare, e che gli hanno detto chiaro: “da qui non ve ne andrete più”, e perciò chissà se riusciranno a uscirne gli altri, ma che intanto le loro famiglie sappiano dove li hanno portati.

E in un altro villaggio di aderenti ai partiti: una famiglia che si mise con i narcos. Qualcosa accadde, perché arrivò questo messaggio al padre: “se non paghi, paga la tua famiglia”: così gli dissero. E sì, gli arrivò un cellulare con l’immagine di come avevano tagliato la testa a sua figlia, e che se la voleva seppellire doveva andare al tal luogo. Furono altri familiari a recuperare il corpo della ragazza. Ma prima di questa disgrazia la famiglia era contenta di guadagnare bene e senza lavorare granché.

E in un altro villaggio, nella zona nord del Chiapas, venne gente del governo a offrire progetti su caffè, milpa, scuola, clinica, chiesa e strada, e la gente accettò. Tutti contenti di vivere bene. Ma poi tornarono i funzionari governativi a dire che se ne dovevano andare perché lì c’è uranio, che lo estrarranno e che è molto tossico, perciò se ne devono andare con le buone o con le cattive. Se, se ne vanno con le buone possono andare a Escárcega o a Chimalapas.

Mostrarono loro le fatture e le ricevute di tutti i soldi che avevano ricevuto dal progetto. E ci sono i loro nomi, le loro foto, i loro verbali dell’assemblea dell’ejido, tutto quel che dimostra legalmente che non stavano ricevendo sostegno, ma vendendo la loro terra.

In un’altra zona, in un villaggio del municipio di Simojovel, c’è l’ambra e la gente lavora a estrarre ambra per sopravvivere. Ebbene, avete visto cos’è accaduto con la privatizzazione dell’ejido e che alcuni villaggi sono caduti nella trappola. Risulta che chi era padrone della terra la vendette a pezzi, cioè al metro, e la gente di lì la comprò per vedere se ci fosse ambra ed estrarla, ma un giorno li cacciarono perché venne un imprenditore cinese a estrarre ambra. Il capitalista straniero aveva tutte le carte in regola, che aveva ottenuto grazie alle carte che firmava la gente per ricevere il sostegno governativo e i progetti.

In altri insediamenti di aderenti ai partiti è comparsa gente di fuori che essi hanno fermato e multato per essere entrata senza permesso nei loro terreni. In una comunità hanno raccolto 300mila pesos e i forestieri hanno pagato e anzi hanno dato anche di più, dicendo: “questa è la prima volta che veniamo, ma ce ne sarà una seconda e una terza, e voi avrete molto lavoro, cioè avrete un buon impiego con il nuovo padrone della terra”. In un’altra comunità, allo stesso modo hanno fermato i forestieri arrivati con una lancia e gli hanno preso 100mila pesos, e i forestieri hanno pagato e hanno detto di essere venuti a ricercare un posto perché lì ci sono miniere di zolfo, tra le altre cose, e anche in questo caso era una prima volta e ce ne sarà una seconda e una terza.

In un’altra comunità, dalle parti della laguna di Miramar, un aderente ai partiti del posto ha riferito che la somma che hanno ricevuto dai programmi governativi all’inizio di dicembre (del 2015) è l’ultima, perché con quella è completato il pagamento del terreno e che il padrone della montagna occuperà il loro terreno, e che il padrone della montagna è un giapponese. La questione è che in questa comunità hanno tutto il necessario per vivere, sono bene assistiti, hanno perfino un’incubatrice per polli. Hanno ricevuto tutti i sostegni governativi e viene fuori che, senza saperlo, hanno venduto le proprie terre a uno straniero.

Un altro programma governativo è quello di PROSPERA, che prima si chiamava “Oportunidades”. In questo programma le donne che vi partecipano ricevono un sostegno per i figli che vanno a scuola. Ma questo programma ha le sue condizioni, e quel che se ne sa è che le donne sono obbligate a consultare frequentemente un medico e fare il Pap Test a forza, e se non lo fanno perdono il sostegno, e anche come comunità vengono loro proibiti alcuni servizi di salute comunale che normalmente si fanno nelle comunità, come l’uso dell’ostetrica. Ora le donne devono andare in città a partorire negli ospedali. Ovvio, sempre che le ricevano.

Un’altra questione riguarda la televisione digitale: il governo sta consegnando televisori a tutti gli aderenti ai partiti. Il 22 e 23 dicembre 2015 le persone di tutte le comunità del municipio di Las Margaritas si concentrarono nel centro sportivo di Comitán. Da mezzanotte la gente faceva la coda per ricevere il televisore e a quanto pare la folla era tanta. Accadde che morirono due persone, un bambino e una donna: il bambino morì perché venne schiacciato dagli spintoni della gente senza che la madre potesse difenderlo; la donna fu assassinata quando, tornando a casa, il marito estrasse la pistola e la uccise per non aver curato a dovere il figlio. Questa informazione è stata riferita da un aderente ai partiti.

Alcuni giorni dopo averle ricevute, molte donne aderenti ai partiti dissero che molte televisioni erano arrivate rotte; molte andarono in corto circuito una volta collegate e si bruciarono; altre, una volta accese, non trasmettono nulla; ora devono comprare un impianto per poter vedere qualcosa, e gli aderenti ai partiti dicono che è un affare che Peña Nieto ha fatto con un’impresa giapponese.

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Ebbene, questi sono solo alcuni esempi. Ce ne sono molti altri e fanno rabbrividire e indignare quanto questi di cui vi abbiamo raccontato.

Non stiamo mentendo o inventando.

E’ la parola degli aderenti ai partiti stessi, che nella loro pena e nella loro rabbia, si sono avvicinati a noi zapatisti per chiedere consiglio e aiuto.

Noi zapatisti ascoltiamo con rispetto.

Non rinfacciamo loro i tradimenti, gli attacchi e le calunnie.

Non rinfacciamo loro di aver aiutato in precedenza i nostri persecutori e che molte volte si sono uniti a quelli di sopra per attaccarci.

Non ci prendiamo gioco delle loro disgrazie e pene.

Non ci rallegriamo dei loro dolori.

Non diciamo loro nemmeno di aderire allo zapatismo perché sappiamo bene che è molto difficile essere zapatisti. Così è stata, ed è, e sarà la nostra vita e la nostra morte: zapatista.

Ecco quel che abbiamo detto loro:

Noi zapatisti non abbiamo nulla da offrire, né progetti, né soldi, né promesse terrene e celesti. Abbiamo solo il nostro esempio. Organizzatevi voi stessi, e che nessuno vi dica cosa fare né come né quando: difendete quel che è vostro. Resistete, lottate, vivete”.

Magari ora vi starete chiedendo cosa fanno alcuni aderenti ai partiti dinanzi a queste aggressioni, spoliazioni e imposizioni.

La risposta è molto semplice: si fanno passare per zapatisti.

Un aderente ai partiti ha detto: “Perché solo così ci rispettano. Perciò nascondiamo le nostre carte e cambiamo nome. Noi, a causa dell’ignoranza in cui ci tengono i governi, pensavamo che gli zapatisti fossero malfattori. Ma ora vediamo che non è così.

Speriamo di non cascarci di nuovo, di non essere né spie né traditori. Abbiamo imparato che chi tradisce viene tradito.

E proviamo veramente molta pena e rabbia a causa del fatto che ci hanno fregato come sempre.

Pensavamo di stare bene, ma il male doveva ancora venire.

Credevamo di avere molte cose e ora non abbiamo nulla.

Eravamo ciechi e ora siamo in mutande.

Noi ci prendevamo gioco di voi e vi dicevamo “fottuto indio” e ora risulta che voi state meglio di noi perché avete la vostra organizzazione che non vi abbandona, che non cambia il suo buon cammino, che non si vende, che non si arrende”.

Ecco cosa ci disse.

La zapatista, lo zapatista che stava ascoltando l’aderente al partito gli rispose:

Cambiare il cammino, vendersi, arrendersi? Questo mai!

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés.      Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico. Febbraio 2016

AVVISO PER LA SEXTA E PER IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO: Nei prossimi giorni convocheremo una serie di attività. Restate in attesa.

Nota: Il presente testo è stato realizzato totalmente con un processore di testi di software libero e codice aperto, con un sistema operativo GNU/Linux, con distro UBUNTU 14.04 LTS. “UBUNTU”, In lingua Zulú significa “Una persona è persona perché ci sono le altre persone”. Dì di “SI” al software libero.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Nonostante tutto

Gustavo Esteva

Su di noi regna il male. Tutti i mali usciti dal vaso di Pandora ci sono caduti addosso. Francesco non potrà sgombrare il suo mistero. Ma qualcosa farà, forse, in relazione ai malviventi, sui quali non c’è mistero alcuno.

Nella tradizione cattolica, un mistero non è un puzzle irrisolto, una sfida all’intelligenza o allo spirito investigatore. È qualcosa che il nostro pensiero è incapace di penetrare, qualcosa fuori della portata della nostra comprensione. In questa tradizione, il male è un mistero, il mysterium iniquitatis. Come comprendere la scarnificazione di Julio César od il soffocamento di Juanelo, il figlio di Javier Sicilia? Come comprendere Ayotzinapa, San Fernando o Tierra Blanca? O che il 99% degli interminabili delitti rimanga impunito? Che continuino i femminicidi, i massacri, le sparizioni, le fosse clandestine? Che non sia più possibile distinguere tra il mondo del crimine e quello delle istituzioni? Che funzionari e criminali, alcuni gli stessi, dicano quello che dicono e facciano quello che fanno? Come capire il limite estremo di degrado morale al quale sono arrivati giovani criminali, alti funzionari pubblici e dirigenti di imprese?

Le spiegazioni psicologiche, socioeconomiche, politiche… sono sempre imbarazzanti; sono insufficienti. Nessuna scienza sgombra il mistero. Fin dall’apostolo Paolo, si crede che tra noi sia apparso qualcosa di incredibilmente orribile e senza precedenti, il male. Potremo capirlo solo in un tempo a venire, quello dell’apocalisse, quello della fine dei tempi. Ma questo male, questo mistero, può essere investigato storicamente. Osservare, per esempio, che non è come quello di altre epoche. Sono diventate reali e comuni la perversione, la disumanità, che prima erano solo possibili o eccezionali. Si è perso il senso del bene. Bene e male sono stati sostituiti da valori e disvalori che ci opprimono e distruggono.

Il corrotto, ha scritto papa Francesco, deve distinguersi dal mero peccatore, perché eleva la sua azione a sistema e la trasforma in forma mentale e in stile di vita; perde la dignità e la fa perdere agli altri. Portando pane sporco in casa sua, ha sottolineato, il corrotto ha perso la dignità.

Francesco non sarà ricevuto da meri peccatori, come gli succede da tutte le parti. Si troverà continuamente tra corrotti, tanto del governo come della sua propria Chiesa. Starà tra malavitosi. Li conosciamo bene e sicuramente anche lui. Nel vederli dove stanno, impuni, in molte persone muore lentamente la fiamma della speranza, come dice il Frayba. Ma non muore la fiamma della resistenza. Per rafforzarla, è necessario riconoscere il suo valore e la sua dignità e ravvivare amorevolmente la fiamma della sua speranza. Riuscirà Francesco a vedere tutto questo ed agire di conseguenza?

Pandora, che-tutto-dà, chiuse il suo vaso prima che sfuggisse la speranza. Ma, poiché era vicina ai mali che uscirono, alcuni la contengono: sperando, la gente può mettersi nell’aspettativa di quando agire; o accetta un stato di cose insopportabile aspettando una liberazione futura, in un’altra vita, forse.

Ma la tradizione dominante confida nella speranza. Poiché sono tempi di disperazione, cerchiamo disperatamente la speranza. Da dove viene? si domanda il Majabhárata, il libro sacro dell’India. Siccome è l’ancora di ogni persona, perderla produce un’immensa pena quasi uguale alla morte. Ma è difficile capirla e niente è più difficile da conquistare.

L’abbiamo persa. L’uomo moderno l’ha trasformata in aspettativa ed il suo ethos prometeico l’ha eclissata. La sopravvivenza della razza umana oggi dipende dal fatto che la si scopra come forza sociale, ci disse tempo fa Iván Illich. Ed Agamben suggerisce che ora la cosa importante è scoprire il meccanismo che ha prodotto la declinazione della speranza e contraddirlo.

È quello che hanno fatto gli zapatisti. Nel marzo del 1994, in risposta ad un bambino che aveva scritto loro dalla California, gli zapatisti ammisero di essere professionisti, ma non della violenza, come diceva il governo, bensì della speranza. Nel 1996 proposero di creare l’Internazionale della Speranza. Liberando la speranza dalla sua prigione intellettuale e politica, hanno creato la possibilità della sua rinascita.

La speranza è l’essenza dei movimenti popolari. Non basta il dissenso, lo scontento. Neanche è sufficiente il risveglio critico. La gente si mette in moto quando sente che la sua azione può portare al cambiamento, quando ha speranza. Questo è essere saggi. In lingua tzeltal, la saggezza è avere forza nel cuore per sperare. È quello che oggi si comincia a diffondere, sapendo che la speranza non è la convinzione che le cose accadranno in una determinata maniera. È la convinzione che qualcosa ha senso, indipendentemente da quello che sembri.

Tra noi rinasce la speranza, la speranza contro ogni speranza. Stiamo riuscendo, passo dopo passo, a dare di nuovo senso alle nostre vite, a noi stessi, non al mercato né allo Stato, non alle istituzioni né alle ideologie, per affrontare il male che è caduto su di noi, per fermare i malavitosi, per recuperare il bene. Se può e vuole, Francesco contribuirà a rafforzarci in questo compito.

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2016/02/15/opinion/020a2pol

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