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Archive for aprile 2011

Della riflessione critica, individui e collettivi

Risposta di Luis Villoro alla seconda lettera del Sup Marcos nello scambio epistolare su Etica e Politica

Aprile 2011

Salve!

Partiamo dal tema della ricostituzione del paese, della ricostruzione del tessuto sociale, preoccupazione che condividiamo e che si riflette nelle sue due prime missive così come nella convocazione di Javier Sicilia, la quale apre uno spiraglio di speranza alle grida di dolore e indignazione che percorrono oggi il nostro territorio, devastato dall’irrazionalità e dalla violenza.

Per iniziare, credo che uno dei punti da prendere un considerazione per andare oltre la mobilitazione – senza dubbio necessaria, all’inizio – sarebbe quello di elaborare una proposta molto Altra, molto nostra, che passi dalla resistenza all’azione, mirando ad una vera organizzazione. Un’organizzazione che riunisse tutti i popoli e settori sociali colpiti dal mancato rispetto dei propri diritti. Sarebbe un’organizzazione dal basso e a sinistra.

Questa proposta dovrebbe considerare il riscatto dell’etica, tanto ignorata oggi nell’agire politico; perché bisogna distinguere, naturalmente, tra etica e morale sociale. L’etica è la promulgazione di principi universali, mentre la morale sociale parla della loro realizzazione, nei fatti, in una determinata società. È quest’ultima che farebbe ricorso alla riserva morale presente nella cittadinanza, in senso generale: grandi e piccoli gruppi, individui, collettivi ed organizzazioni della sinistra indipendente.

Per questo è importante che il movimento che Sicilia con grande dignità ha suscitato in tutto il Messico, non oltrepassi i limiti della cittadinanza, che si mantenga al suo interno, cosa che implica il non permettere l’ingresso di nessun partito politico, nessun funzionario pubblico, pena la sua contaminazione. In questo senso, concordando sugli avvoltoi che lei cita, mi permetta di rifarmi ad alcune righe del mio testo “Il Potere ed il valore” in cui faccio riferimento al politico progressista che vuole usare il potere oppressivo per porvi limite prendendovi parte… Non è il crociato che lotta in campo aperto contro il male, è l’apostolo mascherato in terra di infedeli che riconosce il male del potere ma è pronto ad entrare nel ventre della balena per cambiarlo. A volte, giustifica la sua partecipazione al potere perché “si può cambiarlo solo dall’interno”. (p. 89)

Oggi è evidente che l’unico atteggiamento in grado di ottenere la trasformazione che perseguiamo è il rifiuto assoluto della situazione esistente, dire NO ad ogni forma di dominio incarnata nel potere.

Un atteggiamento distruttivo verso la dominazione che implica una posizione morale sociale, come lei segnala quando dice: “Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o salvatori supremi, bensì non avere nessuno”.

Ora, concentriamoci sul tema di questa sua seconda missiva: la relazione individuo-collettivo, estendendola alla società stessa… prendendo in considerazione la diversità che la compone (cioè, i gruppi umani e le loro differenze sul piano economico, ideologico, culturale) nonostante l’appartenenza ad una storia comune.

L’individuo esprime i propri diritti nelle scelte personali. Ma, nell’attuale situazione del Messico, dove predomina la “partitocrazia”, l’individuo si limita a scegliere tra uno dei partiti politici esistenti, poiché nel nostro paese non è contemplata la figura del candidato civico indipendente. È indispensabile, pertanto, una riforma radicale secondo la quale ogni cittadino, col suo voto, possa esprimere la propria volontà, la propria preferenza o il rifiuto di un partito politico. Questa è la vera democrazia che darebbe luogo alla reale libertà di espressione delle persone e dei gruppi sociali al di là della “partitocrazia”. Questa sarebbe una riforma veramente necessaria.

Orbene, con l’obiettivo di costruire un cammino più includente, come disse il poeta Machado, la caratteristica comune necessaria per abbracciare questa diversità, io credo sia la seguente: una stessa morale sociale per tutti, con principi eticamente validi, cioè, universali… come quelli che lei menziona a pagina 12, come fondamentali per ogni essere umano: vita, libertà e verità.

Alla sua domanda se l’individuo possa raggiungere appieno queste aspirazioni in maniera collettiva, concordo con lei affermativamente; perché nella solitudine dell’individualismo egocentrico neoliberista non hanno senso né posto, perché il confronto o l’ambiente reale diventano inesistenti.

E tornando al nostro compito o impegno, per porre fine alla violenza, all’impunità ed alla confusione imperante; per fermare la guerra, è necessaria la collettività del “noi” solidale che ha tanto enfatizzato Carlos Lenkersdorf durante tutta la sua vita e nella sua opera.

Rispetto all’individualismo egoista sarebbe necessaria la possibilità di accettare diritti sociali, collettivi, di un “noi”. Una riforma possibile – io penso – sarebbe aprire una discussione sulla differenza tra diritti individuali come vuole la tradizione liberale, e diritti collettivi provenienti da un’altra tradizione: quella del “socialismo” o del cosiddetto “populismo”.

Un altro punto che condivido con Sicilia e lo zapatismo, è la domanda di giustizia. Poche parole più pronunciate che praticate dalla demagogia della classe politica. La democrazia è un altro esempio. E nessuna ha senso fuori dal collettivo, dalla comunità. Non si può essere democratico individualmente, con chi o rispetto a chi?

Come affermo in “Le Sfide della Società Futura” (Los Retos para la sociedad por venir, 2007): “Le teorie più in voga per fondare la giustizia, normalmente partono dall’idea di un consenso razionale tra individui uguali, che si relazionano tra loro, in termini che riproducono le caratteristiche di una democrazia ben ordinata… ma, in società come la nostra, dove la democrazia non è ancora salda, dove regna una disuguaglianza inconcepibile per paesi sviluppati… nella nostra realtà sociale dove non sono comuni i comportamenti concordati che abbiano come norma principi di giustizia che includano tutti gli individui: è palese la loro assenza. Quello che più colpisce è l’emarginazione e l’ingiustizia… cosa che ci obbliga a partire dalla percezione dell’ingiustizia reale per proiettare quello che potrebbe porvi rimedio”.

Così arriviamo al rapporto dell’ingiustizia col potere. Il potere è dominazione sul mondo che ci circonda, sia naturale che sociale, per raggiungere quanto desiderato… Ciò che sfugge alla smania di potere sono le azioni contrarie al suo perseguimento. “Se una città fosse governata da uomini perbene – notava Socrate – farebbero di tutto per scappare dal potere ,come ora si fa per ottenerlo” (Platone, La Repubblica).

Qui potremmo aprire una parentesi che ci porterebbe nell’attualità collocandoci nei principi e originalità dei postulati dello zapatismo, esperienza ancora ignorata e incompresa dalla maggioranza degli “specialisti tradizionali” della Filosofia Politica.

Il punto centrale, dunque, è il potere, incluso il concetto di contropotere che alla fine si perverte in un’ulteriore forma di potere impositivo; un anello in più nella catena ininterrotta del potere e della violenza. E, come scrivo nel libro sopra menzionato, “c’è solo una strada per fuggire da questo ingranaggio… rinunciare alla smania di potere per sé stesso. È ciò che compresero Gandhi e Luther King; è quello che hanno compreso anche gli indigeni zapatisti del Chiapas quando hanno deciso di non perseguire il potere per se stesso. Si sono ribellati nel 1994 contro le condizioni di estrema emarginazione e ingiustizia ed hanno dovuto usare le armi per farsi ascoltare, ma il loro comportamento è stato radicalmente diverso da quello dei vecchi movimenti guerriglieri. Hanno chiesto democrazia, pace con giustizia e dignità. Coscienti che la responsabile dell’ingiustizia è, in ultima analisi, la smania di potere, hanno proclamato che il loro obiettivo non era la presa del potere, bensì il risveglio dei cittadini contro il potere. Facendolo, hanno aperto una nuova via, mostrando che la volontà dei popoli organizzati va oltre le elezioni. Non è questa la strada dello zapatismo? E mi sembra che oggi, con l’appello di Sicilia, si tratta proprio di questo. Ora, da noi, come società, dipenderà la risposta: oppure l’apatia, la paralisi che accetta la barbarie o l’impegno di creare le condizioni affinché nasca una terra su cui non imperino l’ingiustizia e la violenza. http://revistarebeldia.org/revistas/numero78/05villoro.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 30 aprile 2011

A livello mondiali 63 manifestazioni in 22 Paesi per chiedere la liberazione dei 5 “prigionieri politici” di Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 29 aprile. La richiesta di liberare i cinque prigionieri politici di San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, in carcere da 85 giorni, questa settimana ha avuto ripercussioni a livello statale, nazionale ed internazionale, ignorata dai mezzi di comunicazione, ma non per questo meno diffusa.

In maniera significativa, tutti questi ambiti sono confluiti nella la convocazione alla Marcia Nazionale per la Giustizia e Contro l’Impunità – convocata dal poeta Javier Sicilia – e nell’annuncio della comandancia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che le proprie basi di appoggio – nella prima mobilitazione pubblica degli ultimi anni – si uniranno all’Altra Campagna in tutto il paese e con la Zezta Internazionale.

A livello statale si sono espressi chiaramente Las Abejas, di Acteal; gli ejidatarios choles che difendono le loro terre nell’ejido di Tila ed il Coniglio Regionale Autonomo della Zona Costa, per chiedere, come dice quest’ultimo, “al governo repressore di Juan Sabines e Felipe Calderón la liberazione immediata ed incondizionata di Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez e Mariano Demeza Silvano”, perseguiti “perché lottano e difendono la loro terra e territorio”.

Le proteste e le mobilitazioni si sono estese rapidamente. Iniziate il 24 e concluse questo giovedì 28, hanno visto 63 manifestazioni in 22 Paesi. E’ stato commemorato anche l’anniversario dell’assassinio di Bety Cariño Trujillo e Jyri Jakkola, mentre partecipavano ad una carovana umanitaria a San Juan Copala, Oaxaca. Ma se il giorno 27 i collettivi di Parigi, Dorset o Barcellona realizzavano azioni separate davanti al consolato messicani con la richiesta di liberare i tzeltales di Bachajón, il giorno dopo convergevano in un nuovo appello per dire “stop alla guerra di Felipe Calderón”, firmato da 16 collettivi ed organizzazioni di Francia, Italia, Svizzera, Germania, Austria, Grecia e Stato Spagnolo. (…) Le organizzazioni europee chiedono la liberazione dei “prigionieri politici” di la Voz del Amate, San Sebastián Bachajón, Mitzitón e Jotolá (Chiapas), così pure di Loxichas e Xanica (Oaxaca) e Guerrero. (…). Las azioni si sono estese a Sudafrica, Nuova Zelanda, Slovenia, India e Filippine (…).

Il Movimento per la Giustizia del Barrio ha realizzato azioni a New York e divulgato un messaggio di organizzazioni egiziane a favore della liberazione dei cinque di Bachajón, in risposta ad un videomessaggio e ad una lettera di appoggio. Il nuovo messaggio include un video (www.youtube.com/watch?v=h3uIWkjKOlU). I mittenti egiziani spiegano di “aver scritto la canzone nei giorni in cui è caduto il potere e la dittatura, e raccoglie quello che dicevano i cartelli nelle piazze”.

Infine, 23 organizzazioni dell’Altra Campagna in diversi stati, hanno annunciato oggi di aver iniziato “un processo di articolazione nazionale contro il malgoverno ed il mercato, a favore della vita, la madre terra e in difesa dei beni naturali, per condividere la costruzione delle autonomie”. E che rispondendo alla convocazione di Javier Sicilia e dell’EZLN si mobiliteranno dal 5 al 8 maggio in Bassa California, Chiapas, Coahuila, Jalisco, Guanajuato, Gueriero, Nuevo León, Nayarit, Puebla e Città del Messico, per chiedere lo “stop alla violenza contro il popolo del Messico”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/30/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE 

MESSICO

“L’abitante di Los Pinos contempla un atroce crimine, 

Se ne lava le mani per un anno, 

Cambia posto ai mobili che  

Giocano a ministri e funzionari 

E si rifugia nel colpevole silenzio, 

L’ingrato, nel suo affanno di conservare 

La poltrona.

Che cosa gli daremo?

Ed il nostro bambino medico di anime prescrive: 

Un busto di dignità che gli raddrizzi la schiena, 

Gocce di verità per gli occhi, 

Pillole di onestà (ma che non se le metta in tasca), 

Iniezioni di dignità che non si compra con denaro 

Ed il riposo assoluto delle sue corrotte abitudini.

Isolatelo, la sua malattia è contagiosa”.

Juan Carlos Mijangos Noh.
(Frammento di “49 Globos”,

 in memoria dei 49 bambini e bambine morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora).

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI DEL MONDO:

AGLI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

E ALL’ALTRA CAMPAGNA IN MESSICO:

AGLI ADERENTI ALLA ZEZTA INTERNAZIONALE:

SORELLE E FRATELLI:
COMPAGNE E COMPAGNI:

LA CAMPAGNA MILITARE PSICOTICA DI FELIPE CALDERÓN HINOJOSA, CHE HA TRASFORMATO LA LOTTA CONTRO IL CRIMINE IN UN ARGOMENTO TOTALITARIO PER, PREMEDITATAMENTE, GENERALIZZARE LA PAURA IN TUTTO IL PAESE, AFFRONTA ORA LE VOCI DEGNE ED ORGANIZZATE DEI FAMILIARI DELLE VITTIME DI QUESTA GUERRA.

QUESTE VOCI CHE SORGONO DAI DIVERSI ANGOLI DEL NOSTRO PAESE CI INVITANO A MOBILITARCI E MANIFESTARE PER FERMARE LA FOLLIA ORGANIZZATA E DISORGANIZZATA CHE STA MIETENDO VITE INNOCENTI, CHE VENGONO UCCISE UN’ALTRA VOLTA NELL’ESSERE DEFINITE, DALLA SEMPLICIONERIA GOVERNATIVA, SICARI O VITTIME COLLATERALI.

RISPONDENDO ALL’APPELLO CHE NASCE, TRA ALTRI, DAL DOLORE DEL COMPAGNO POETA JAVIER SICILIA, L’EZLN COMUNICA:

PRIMO – LE BASI DI APPOGGIO DELL’EZLN MARCERANNO IN SILENZIO NELLA CITTA’ DI SAN CRISTOBAL DE LAS CASA, CHIAPAS, IL GIORNO 7 MAGGIO 2011, PER SALUTARE ED APPOGGIARE LA DEGNA VOCE CHE RECLAMA GIUSTIZIA. IL CONTINGENTE ZAPATISTA PARTIRÀ, NEL POMERIGGIO, DALLA STRADA DI FRONTE AL CIDECI, A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS, ED ANDRÀ FINO A PLAZA DE LA PAZ, DAVANTI ALLA CATTEDRALE. NELLA PIAZZA VERRA’LETTO UN MESSAGGIO DELL’EZLN E POI LE E GLI ZAPATISTI TORNERANNO NELLE PROPRIE COMUNITA’.

SECONDO. – SEGUENDO LA CONVOCAZIONE DELLA MARCIA NAZIONALE PER LA GIUSTIZIA E CONTRO L’IMPUNITA’, INVITIAMO I/LE NOSTRI@ COMPAGN@ DELL’ALTRA CAMPAGNA IN MESSICO E NEL MONDO, LE E GLI INDIVIDUI, GRUPPI. COLLETTIVI, ORGANIZZAZIONI, MOVIMENTI E POPOLI ORIGINARI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA, PER QUANTO LORO POSSIBILE, AD UNIRSI ALLE GIUSTE RIVENDICAZIONI DI QUESTA MARCIA NAZIONALE, SIA ACCOMPAGNANDO LA MARCIA ALLA PARTENZA DALLA CITTA’ DI CUERNAVACA, MORELOS, IL GIORNO 5 MAGGIO 2011, A CITTA’ DEL MESSICO IL GIORNO 8 MAGGIO 2011, O TRA I GIORNI 5 E 8 MAGGIO 2011 NELLE PROPRIE LOCALITA’ CON MARCE SILENZIOSE CON STRISCIONI E CARTELLI, MEETING, EVENTI CULTURALI, ETC., CON LE SEGUENTI PAROLE D’ORDINE:

STOP ALLA GUERRA DI CALDERÓN!

BASTA SANGUE!

NE ABBIAMO ABBASTANZA DI…!
(ognuno completi la frase con le proprie richieste).

TERZO.- RIVOLGIAMO UN APPELLO PARTICOLARE A@ NOSTR@ COMPAGN@ DELL’ALTRA IN CHIAPAS PERCHE’ MANIFESTINO IN SILENZIO, VICINO A NOI, IL GIORNO 7 MAGGIO 2011 E CHE SI RITROVINO AL CIDECI, A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS, A MEZZOGIORNO, PER RAGGIUNGERE DA LI’ PLAZA DE LA PAZ.

QUARTO.- INVITIAMO I/LE NOSTR@ COMPAGN@ DELLA ZEZTA INTERNAZIONALE, NELLE RISPETTIVE GEOGRAFIE E CALENDARI, AD APPOGGIARE LA RICHIESTA DI FERMARE IL BAGNO DI SANGUE CHE AVVIENE NELLE TERRE MESSICANE E SI FACCIA GIUSTIZIA PER LE VITTIME.

QUINTO.- INVITIAMO INOLTRE I POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO, RAGGRUPPATI NEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, AD APPOGGIARE QUESTA LOTTA PER PORRE FINE ALL’INCUBO DI SANGUE CHE AVVOLGE I NOSTRI SUOLI.

SESTO.- RISPONDENDO ALLA RICHIESTA DI NOMINARE LE VITTIME DI QUESTA GUERRA, NOMINIAMO LE VITTIME UCCISE DA UN GRUPPO CRIMINALE A VILLAS DE SALVÁRCAR, CIUDAD JUÁREZ, CHIHUAHUA, ALLA FINE DI GENNAIO DEL 2010, E CHE ASPETTANO GIUSTIZIA:

Marcos Piña Dávila
José Luis Piña Dávila
Rodrigo Cadena Dávila
Juan Carlos Medrano
Horacio Alberto Soto Camargo
José Luis Aguilar Camargo
Yomira Aurora Delgado
Brenda Ivonne Escamilla
José Adrian Encino Hernández
Edgar Martínez Díaz
Jesús Enríquez
Jesús Armando Segovia Ortiz
Carlos Lucio Moreno
Eduardo Becerra.
Jaime Rosales

NON SIETE SOLI!

DEMOCRAZIA!
LIBERTÀ!
GIUSTIZIA!

 Dalle montagne del Sudest Messicano.

PER IL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Aprile 2011

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/28/comunicado-del-ccri-cg-del-ezln-convocatoria-a-sumarse-a-la-marcha-nacional-por-la-justicia-y-contra-la-impunidad/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera del Subcomandante Insurgente Marcos a Don Javier Sicilia

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE. MESSICO.

“E a voi, cittadini, quarantanove bambini  fanno sapere:  

Che in Messico la giustizia ha recuperato la vista,
Ma guarda solo con l’occhio destro e strabico. 
 
Che in questo paese la tal signora è monca come la Venere di Milo,
Non è bella ma è grottesca. 
 
Che in ragione dei difetti suddetti,
La bilancia che sosteneva la tizia rotola nel fango. 
 
Che i sentimenti che videro nascere la nazione messicana
Non vivono più sotto la toga di questa signora giustizia
Scritta qui con intenzionale minuscola. 
 
Per questo, messicani, questo alato squadrone vi convoca:
 
A costruire il palazzo della Giustizia con le proprie mani,
Col proprio amore e con la verità indefettibile.
 
A rompere i muri che i satrapi erigono
Per troncare i nostri occhi, cuore e bocche. 
 
A lottare fino all’ultimo respiro
Che diventi il primo di un paese
Che sia il degno paesaggio della pace che meritiamo”.
Juan Carlos Mijangos Noh
(Frammento di “49 Globos”,
 in memoria dei 49 bambini e bambine
 morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora).

Per: Javier Sicilia.

Da: SupMarcos.

Fratello e compagno:

Le mando i saluti degli uomini, donne, bambini ed anziani indigeni dell’EZLN. Le compagne e compagni basi di appoggio zapatisti mi incaricano di dirle quanto segue:

In questi momenti particolarmente dolorosi per il nostro paese, ci sentiamo convocati dal clamore sintetizzato nelle sue coraggiose parole, suscitate dal dolore del vile assassinio di Juan Francisco Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera, e dall’appello per la Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, che partirà il 5 maggio 2011 dalla città di Cuernavaca, Morelos, ed arriverà nello Zócalo di Città del Messico domenica 8 maggio di questo anno.

Benché sia nostro sincero desiderio marciare al suo fianco nella domanda di giustizia per le vittime di questa guerra, non ci è possibile ora raggiungere Cuernavaca o Città del Messico.

Ma, con le nostre modeste capacità, e nella cornice della giornata nazionale alla quale ci convocano, noi indigene e indigeni zapatisti marceremo in silenzio nella città di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, nell’esercizio dei nostri diritti costituzionali, il giorno 7 maggio 2011. Dopo la marcia silenziosa, diremo la nostra parola in spagnolo e nelle nostre lingue originarie, e poi torneremo nelle nostre comunità, villaggi e siti.

Nella nostra marcia silenziosa porteremo striscioni e cartelli con messaggi come: “Stop alla Guerra di Calderón”, “Non più sangue” e “Ne abbiamo abbastanza”.

Le chiediamo per favore di trasmettere queste parole ai famigliari dei 49 bambini e bambine morti ed ai 70 feriti nella tragedia dell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora; alle degne Madri di Ciudad Juárez; alle famiglie Le Baron e Reyes Salazar, di Chihuahua; ai famigliari ed amici delle vittime di questa guerra arrogante; ai difensori dei diritti umani di nazionali ed emigranti; e a tutti i promotori alla Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità.

Rispondendo al suo invito di nominare le vittime innocenti, oggi nominiamo le bambine e i bambini morti nell’Asilo ABC di Hermosillo, Sonora, che ancora aspettano giustizia:

María Magdalena Millán García Andrea Nicole Figueroa Emilia Fraijo Navarro Valeria Muñoz Ramos Sofía Martínez Robles Fátima Sofía Moreno Escalante Dafne Yesenia Blanco Losoya Ruth Nahomi Madrid Pacheco Denisse Alejandra Figueroa Ortiz Lucía Guadalupe Carrillo Campos Jazmín Pamela Tapia Ruiz Camila Fuentes Cervera Ana Paula Acosta Jiménez Monserrat Granados Pérez Pauleth Daniela Coronado Padilla Ariadna Aragón Valenzuela María Fernanda Miranda Hugues Yoselín Valentina Tamayo Trujillo Marian Ximena Hugues Mendoza Nayeli Estefania González Daniel Ximena Yanes Madrid Yeseli Nahomi Baceli Meza Ian Isaac Martínez Valle Santiago Corona Carranza Axel Abraham Angulo Cázares Javier Ángel Merancio Valdez Andrés Alonso García Duarte Carlos Alán Santos Martínez Martín Raymundo de la Cruz Armenta Julio César Márquez Báez Jesús Julián Valdez Rivera Santiago de Jesús Zavala Lemas Daniel Alberto Gayzueta Cabanillas Xiunelth Emmanuel Rodríguez García Aquiles Dreneth Hernández Márquez Daniel Rafael Navarro Valenzuela Juan Carlos Rodríguez Othón Germán Paúl León Vázquez Bryan Alexander Méndez García Jesús Antonio Chambert López Luis Denzel Durazo López Daré Omar Valenzuela Contreras Jonathan Jesús de los Reyes Luna Emily Guadalupe Cevallos Badilla Juan Israel Fernández Lara Jorge Sebastián Carrillo González Ximena Álvarez Cota Daniela Guadalupe Reyes Carretas Juan Carlos Rascón Holguín

Per loro chiediamo giustizia.

Perché noi sappiamo bene che nominare i morti è un modo per non abbandonarli, per non abbandonarci.

Don Javier:

Sappia che rivolgeremo anche un appello a@ nostri@ compagn@ dell’Altra in Messico e a chi sta in altri paesi affinché si uniscano alla mobilitazione che avete convocato.

Faremo il possibile per dare il nostro appoggio, nelle nostre possibilità.

Bene. Salute e non dimenticate che non siete sol@.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Aprile 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/28/carta-a-don-javier-sicilia-de-subcomandante-insurgente-marcos/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 28 aprile 2011

Create due basi militari alla frontiera con il Guatemala con 1200 effettivi

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il comandante della settima Regione Militare nell’entità, Salvador Cienfuegos Zepeda, che ha imposto una nuova politica di comunicazione con la stampa locale, più “vicina”, questo martedì, in Chiapas, ha detto che la strategia fa parte di una nuova tappa di combattimento al narcotraffico, che ha mostrato di essere presente e attivo nella zona, “con tutto ciò che questo comporta”.

La base castrense a Nuevo Chiapas, Jiquipilas, sarà composta da truppe proveniente da Oaxaca, mentre quella di Chicomuselo (secondo altre voci sarà a Frontera Comalapa) potrebbe essere composta da militari già residenti in Chiapas. Il generale Cienfuegos ha rivelato di aver proposto di trasferirli dalla base militare di San Quintín, nella selva Lacandona, anche se altre fonti assicurano che il nuovo distaccamento di confine conterà su truppe attualmente impiegate a Marqués de Comillas, sul confine della selva e del fiume Usumacinta.

In maniera inusuale, il comando militare ha fornito il numero dei militari che sarebbero dispiegati nello stato (informazione che è sempre stata nebulosa e contraddittoria, quando inaccessibile). Sostiene che ci sono attualmente 14 mila effettivi, e che in anni precedenti, dopo la sollevazione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), sarebbero arrivati a 40 mila. Bisogna segnalare che non si è mai registrato, né è mai stato annunciato alcun ritiro di truppe.

Non cercheranno gruppi civili armati, dicono.

Le minacce alla frontiera, aggiunge, derivano da “bande del crimine organizzato” e nega l’esistenza di “gruppi di civili armati”, o almeno, che questi siano “pericolosi”.

“Stiamo muovendo truppe per tutto lo stato, specialmente nella zona di confine. Analizziamo col governo dello stato la fattibilità di muovere più truppe permanenti verso questo lato. Ha già dato il suo assenso la Segreteria della Difesa”, segnala Cienfuegos Zepeda.

Poche settimane fa, l’agenzia antidroga degli Stati Uniti (DEA) “raccomandò” al governo messicano la militarizzazione della frontiera sud, come fatto alla frontiera nord, nonostante in questa regione i fatti violenti siano molto inferiori rispetto a quelli che accadono nell’estremo nord del paese. Sebbene esistono passaggi di droga ed armi, traffico di persone, occasionali sequestri e tracce della presenza di organizzazioni criminali su entrambi i lati della frontiera con il Guatemala, non raggiungono neppure lontanamente le proporzioni né la violenza che presentano in altre regioni.

Durante un “rogo” di droga nella sede del 20 Battaglione di Fanteria, il delegato della Procura Generale della Repubblica, Jordán Orantes, ha rivelato che i gruppi ai quali è stata confiscata la maggiore quantità di sostanze illecite sono Los Zetas ed il cartello del Golfo. Il nome del cartello di Sinaloa “è apparso in alcune indagini preliminari”, ma la sua presenza in Chiapas è meno “nota”, ha detto. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/28/index.php?section=politica&article=012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 27 aprile 2011

Contadini di Candelaria El Alto, membri dell’Altra Campagna, denunciano l’invasione delle proprie terre da parte di elementi della OCEZ-RC

Hermann Bellinghausen

Contadini della comunità Candelaria El Alto (municipio di Venustiano Carranza) Chiapas, aderenti all’Altra Campagna, denunciano aggressioni e l’invasione delle terre da parte di elementi dell’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Regione Carranza (OCEZ-RC) chi contano sulla complicità delle autorità, almeno per omissione.

Il 6 aprile, circa 50 persone “armate ed incappucciate” di San José La Grandeza hanno invaso le terre di Candelaria, con il sostegno di elementi della OCEZ delle comunità El Puerto ed El Paraíso, che sono tuttora nella proprietà.

Il conflitto è in relazione con le origini stesse del villaggio: I “nostri genitori e nonni erano manovali nelle fattorie dei ricchi (Ixtapilla, Tepeyac, Hierba Santa, El Desengaño). Hanno vissuto lì molti anni lavorando duramente, maltrattati e malpagati”. Tra il 1950 ed il 1956 comprano un piccolo terreno, “unicamente per vivere”, a El Desengaño, di proprietà di Magín Orantes Zebadúa. Così è nata la comunità di Candelaria, conosciuta anche come La Pastoría.

Per anni hanno affittato la terra come peones acasillados. Magín Orantes Tovilla, erede del proprietario, vendette la terra “ai suoi lavoratori, i nostri nonni”, nel 1989. I contadini sostengono che il possesso “è legittimo e legale”, sostenuto da scritture pubbliche del 1992 e 1997, perché “a poco a poco abbiamo raccolto i soldi per pagare le pratiche in cui sono coinvolte 30 persone”.

Nel 1996, il gruppo denominato “terzo ampliamento della colonia San José la Grandeza Río Blanco” della OCEZ-RC invase queste terre. “Con violenza, armati ed incappucciati, distrussero la casa della proprietà e la cappella, ferirono un compagno e rubarono le nostre cose”. Sequestrarono diversi coloni e ripetutamente hanno ucciso le vacche, “i responsabili erano i rappresentanti di San José la Grandeza, Melitón Cansino e Mariano Ramírez, appoggiati dal leader José Manuel Hernández Martínez (El Chema), Ricardo Magdaleno Velasco ed Uberlaín Aguilar”. Le autorità municipali e statali “non sono mai intervenute” e questii fatti sono rimasti impuniti.

“Dopo anni di aggressioni e minacce, e sotto pressione, abbiamo ceduto 95 ettari per risolvere i problemi.” Nel 2004 c’è stato un verbale di accordo tra il governo di Pablo Salazar Mendiguchía, la colonia San José la Grandeza terzo ampliamento ed i comproprietari, in cui lo stato si impegnava a pagare la nostra terra, ma non l’ha mai fatto”.

Nel 2005 la OCEZ-RC “rompe gli accordi ed invade 185 ettari con le solite aggressioni e minacce per rubare i nostri beni ed ammazzare le vacche”. Le autorità municipali e statali hanno di nuovo ignorato le denunce. Di fronte al saccheggio, “le aggressioni e vivere minacciati”, i contadini proprietari di Candelaria El Alto nel 2009 hanno aderito all’Altra Campagna dell’EZLN.

A luglio del 2010 la OCEZ-RC ha catturato due contadini, provocato danni e fumigato la canna in coltura. Il 12 agosto, “i nostri compagni hanno subito un’imboscata da parte di 10 individui armati e incappucciati di San José La Grandeza”. Lo scorso 3 gennaio, 18 contadini dell’Altra Campagna sono stati aggrediti da circa 30 persone. Julio e Artemio de la Cruz sono rimasti feriti. Mentre li portavano in salvo, i contadini di Candelaria sono stati aggrediti “con armi di grosso calibro”.

Dopoo l’ultima invasione, il giorno 6, gli elementi della OCEZ “hanno incendiato le stoppie di mais, i depositi dove conserviamo il nostro legno, i pascoli e due ettari di canna da zucchero”, si sono portati via tubi di PVC e condotte e pali di legno “in presenza della Polizia Statale Preventiva”. Le denunce sono risultate infruttuose: “lo stato li sostiene ed è complice” degli invasori; “sono passate due settimane e ancora non possiamo andare a lavorare la nostra terra”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/27/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 26 aprile 2011

Incendiate le case delle donne a Pikote, denuncia la JBG. Erano centri comunitari. In Chiapas, inusitata violenza contro le basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Corazón Céntrico de los Zapatistas delante del Mundo, dal caracol di Oventik, negli Altos del Chiapas, chiede aiuto ad organizzazioni e collettivi solidali e dell’Altra Campagna per tre donne, basi di appoggio dell’EZLN nella comunità Pikote, municipio ufficiale di Sitalá che sono state vittime di un grave incendio lo scorso 18 aprile.

Intorno alla mezzanotte, riferisce la giunta, a Pikote sono state bruciate tre abitazioni, una delle quali era la casa di cura autonoma; sono andati distrutti medicinali ed attrezzature per la somministrazione dei vaccini. Un’altra costruzione serviva da cucina, e l’altra era un piccolo negozio di generi alimentari, andato completamente distrutto. “Era l’unica fonte di sostentamento delle compagne che vivono sole, e sole cercano il modo di sopravvivere e proseguire nella nostra lotta zapatista”.

Le tre costruzioni erano di legno e lamiera. “Le compagne sono riuscite solo a salvarsi ma non hanno potuto fare nulla per salvare i propri beni.” La JBG valuta le perdite in 580.500 pesos, la maggior parte in merci del negozio.

“Noi come giunta di buon governo non abbiamo la possibilità di aiutarle economicamente né materialmente, perché non abbiamo risorse economiche, perché siamo governi autonomi e siamo in resistenza. Non dipendiamo dal malgoverno”. Per tale ragione, la giunta si rivolge alla società civile “per vedere se c’è la possibilità e la volontà di aiutarci con risorse economiche o materiali”.

Noi zapatisti, aggiunge la JBG, “sappiamo che nel nostro stato e nel nostro paese ci sono persone sincere ed oneste che comprendono le giuste cause della nostra lotta e che sono disposti ad aiutarci”. E dichiara: “Malgrado i molti ostacoli, proseguiamo nella nostra lotta e nella costruzione della nostra autonomia”. Infine, si invitano le organizzazioni che vogliono dare aiuto a recarsi negli uffici della JBG ad Oventik.

Su un altro fronte, le organizzazioni dell’Altra Campagna chiedono la liberazione immediata di Patricio Domínguez Vázquez, contadino base di appoggio dell’EZLN dell’ejido Monte Redondo, arrestato nei giorni scorsi come atto di rappresaglia del governo municipale di Frontera Comalapa e del Pubblico Ministero, sulla base di accuse prive di fondamento. Questo è già stato denunciato dalla JBG della zona selva di confine, con sede nel caracol di La Realidad.

Le organizzazioni della Rete Contro la Repressione e per la Solidarietà denunciano: “La scalata di violenza e stoltezza che i personaggi della classe politica hanno scatenato in lungo e in largo nella nostra nazione, viene applicata con inusitata forza contro i compagni chiapanechi, basi di appoggio dell’EZLN ed aderenti all’Altra Campagna. A Monte Redondo, militanti di PRD, PVEM e PAN, capeggiati dal commissario ejidale, dal Pubblico Ministero e dal presidente municipale David Escobar, hanno attaccato, incendiato, spogliato delle terre e beni gli zapatisti di questa comunità”.

Domínguez Vázquez “ha subito una violenta aggressione fisica, la distruzione e l’incendio della sua casa ed inoltre è privato della libertà in maniera assurda; si applica il vecchio concetto del priismo di gridare, ‘al ladro, al ladro’, quando sono loro stessi ad aggredire, picchiare, vessare e derubare i degni contadini basi di appoggio dell’EZLN”.

Nel chiedere che “si fermi questo orrore che la destra inserita nei tre livelli di governo ha scatenato contro il popolo di questa nazione, e l’immediata liberazione del nostro compagno rinchiuso nella prigione di Motozintla”, la Rete si pronuncia per la sospensione delle aggressioni contro le comunità e popoli zapatisti. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/26/index.php?section=politica&article=015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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In difesa di Gianni Proiettis

Elena Poniatowska

(scrittrice messicana)

E’ diventato un luogo comune affermare che essere giornalista in Messico è pericoloso, però la deportazione dell’italiano Gianni Proiettis – dopo 18 anni di lavoro ininterrotto in Chiapas – dimostra che il governo messicano elimina i suoi critici e pretende di ridurre l’esercizio del nostro lavoro a quello di scribi e lacchè.

I giornalisti critici che si occupano delle questioni del paese sono mal visti e, nella maggior parte dei casi, rifiutati e addirittura espulsi.

Fin dal 1994, molti sono stati demonizzati dal regime intimorito dalla popolarità del Movimento Zapatista di Liberazione Nazionale e del suo portavoce il subcomandante Marcos.

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, nel suo articolo 19, definisce il diritto alla libertà di opinione e di espressione; questo diritto include quello di non essere molestato a causa delle proprie opinioni, di indagare e ricevere informazioni e opinioni, e quello di diffonderle, senza limiti di frontiere, attraverso qualsiasi mezzo di espressione. Tuttavia, in Messico questo articolo è lettera morta.

Tutte le organizzazioni dei Diritti Umani hanno condannato il trattamento verso i giornalisti nel nostro paese come uno dei peggiori del mondo. Il Messico è una delle nazioni dove è più difficile esercitare tale lavoro: sequestrati, espulsi, assassinati, ce, ovviamente, che nel caso si sia corrispondenti di guerra.

Di questi tempi, è vero, quando il perseguimento dei narcotrafficanti uccide i civili, è facile concludere che il Messico è in guerra. K.S. Karol, de L’Express de France si stupiva per l’atteggiamento delle autorità messicane verso qualsiasi possibilità di critica e della loro assurda capacità di vendetta. Accettare la critica è uno dei puntelli di un governo civilizzato ma ad oggi, i nostri governi hanno risposto con rabbia verso la minima denuncia.

Si dovrebbe ricordare il furore della Società di Geografia e Statistica contro Oscar Lewis per la sua denuncia sulla povertà nel suo libro Los hijos de Sánchez negli anni ’60 o la più recente crociata contro Carmen Aristegui, senza dimenticare Lydia Cacho, che Aveva evidenziato con sano eroismo i vincoli tra governatori e pedofili e continua a farlo a rischio della sua stessa vita.

E’ inviolabile la libertà di scrivere e di pubblicare scritti su qualunque materia. Nessuna legge, né autorità può stabilire la previa censura (…) dispone l’articolo 7 della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani.

Se il governo del Messico, invece di preoccuparsi di perseguire i giornalisti, li rispettasse e proteggesse, di ben altro tipo sarebbe la vita dei cittadini nel nostro paese. Se con la stessa efficacia con la quale si castigano i giornalisti e li si elimina, si combattesse il narcotraffico sarebbe tutta un’altra suonata ma, sembra che il governo nella sua strategia abbia altre priorità e difenda interessi inconfessabili.

Lo Stato messicano fa parte della Convenzione Americana sui Diritti Umani che proibisce la censura ed assicura la più ampia protezione al diritto alla libertà di espressione. Eppure, il corrispondente de Il Manifesto Gianni Proiettis, dopo essere stato sequestrato e minacciato di venire gettato in una gola in Chiapas, a fine 2010, due poliziotti giudiziari lo hanno fatto salire su un aereo senza altre spiegazioni ed è volato a Roma, la sua città natale.

Il 15 aprile, Gianni Proiettis si è presentato alle 10.30 del mattino negli uffici del Instituto Nacional de Migración (INM) a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, perché secondo le autorità era scaduto il suo permesso migratorio FM2. Il giorno stesso le autorità lo hanno trasferito nella capitale dello stato, Tuxtla Gutiérrez, lo hanno fatto salire su un aereo privato in direzione di Città del Messico e alle sette di sera su un aereo di linea Aeroméxico con destinazione Madrid, custodito da due agenti del INM. A Madrid lo hanno detenuto per altre 24 ore ed è arrivato a Roma il 17 aprile senza altro che i vestiti che portava indosso.

Fare visita a Gianni e a Maribel Proiettis a San Cristóbal de las Casas era un vero piacere. Vivevano in modo tranquillo e sobrio, coltivavano le verdure nell’orto e dormivano in una casetta di legno nel quartiere Cuxtitali, dove tutti lo conoscevano e gli volevano bene. Coltivavano gli ortaggi e ti offrivano un cibo sano, di origine biologico nei piatti usciti dal tornio a pedale di Maribel, che lei stessa aveva lavorato.

Tutto il vasellame era fatto da loro, beh, l’aveva disegnata Maribel ma Gianni sapeva proprio tutto della cottura dell’argilla e della durata in forno per far si che i pezzi non si rompano. Nessuna vita più semplice, più sana e senza altre pretese quella dei Proiettis.

Si erano lasciati alle spalle il meccanicismo delle metropoli e poco gli mancava di tessersi da sé anche i vestiti.

Gianni stava molto bene con il suo cappello di paglia mentre stava chinato sui carciofi e Maribel scendeva tutti i giorni alla UACh (Universidad Autónoma de Chiapas) a fare lezione e a delineare insieme ai suoi alunni progetti di sviluppo sociale per le comunità più bisognose dello stato.

Anch’egli insegnante nella stessa università, Gianni Proiettis si è laureato Magna Cum Laude all’Università La Sapienza di Roma, Italia, forse l’università più tradizionale e riconosciuta d’Italia. Diplomato dal Ministero dell’Istruzione di Francia, insegnava corsi di francese, inglese, italiano e tecniche di traduzione. Uomo del Rinascimento, era solito scrivere articoli, reportage ed interviste come quella che fece a Lula in Brasile. E’ stato il primo giornalista a intervistare il subcomandante Marcos per l’Unità, nel gennaio 1994.

Alla UACh, Proiettis insegna dal 1993. Specializzato in antropologia con un master su passato e presente dei maya, la loro storia e religione. Proiettis ha insegnato Storia della religione, Stato e società. tecniche linguistiche ed etnografiche, come anche corsi intensivi di inglese per promotori turistici di lingua tzotzil.

I suoi alunni, che in maggioranza provengono soprattutto da comunità emarginate del Chiapas e hanno accumulato gravi deficit educativi, gli volevano bene ed una di loro ha scritto a sua moglie:

Professoressa Maribel, mi unisco alla voce di tutti i miei compagni e compagne per l’ingiustizia perpetrata contro il nostro caro Gianni. Se in un dato momento c’è bisogno di voci e di cuori per manifestare, conti su di me. Mi metterò in contatto con altri compagni, Adriana.

Sezione Opinione del quotidiano messicano La Jornada 23 aprile 2011

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/23/index.php?section=cultura&article=a06a1cul

traduzione Onda Durito. ROdU Brescia

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La Jornada – Venerdì 22 aprile 2011

http://es.rsf.org/mexico-un-periodista-italiano-fue-21-04-2011,40082.html

Protesta di Reporters Sans Frontières per la deportazione del giornalista italiano

VÍCTOR BALLINAS

L’organizzazione Reporters Sans Frontièrs (RSF) ieri ha protestato per la deportazione “in forma rapida ed arbitraria” del giornalista italiano Gianni Proiettis, collaboratore del quotidiano italiano Il Manifesto. L’organizzazione chiede al governo messicano di riesaminare la sua decisione “presa senza tenere conto delle procedire giuridiche in vigore”.

Reporters Sans Frontièrs afferma che al giornalista italiano, che risiede da 18 anni in Messico, non sarebbe stato notificato previamente l’obbligo di abbandonare il territorio, né le ragioni di questa decisione. Non sono stati rispettati il suo diritto di chiedere l’assistenza consolare del suo paese o di un avvocato e di informare i famigliari, in violazione degli accordi internazionali sulla protezione dei diritti umani, ratificati dal Messico e contenuti nella legge messicana sull’immigrazione”.

In un’intervista con questa organizzazione, Proiettis ha segnalato che al momento della sua detenzione ed espulsione dal paese “stavo rinnovando il mio permesso annuale di residenza e di lavoro, come ogni anno. Una pratica iniziata una settimana prima. Venerdì 15 aprile mi hanno convocato alle 10:30 all’ufficio di migrazione.

“Mi hanno fatto entrare in una stanza dove sono arrivati gli agenti di immigrazione e mi hanno portato all’aeroporto. Mi hanno caricato su un aereo diretto a Madrid che proseguiva per Roma. Sono sempre stato accompagnato da due agenti.”

Il giornalista e professore universitario dell’Università Autonoma del Chiapas ha aggiunto: “Non mi hanno dato nessun documento, non mi hanno detto le ragioni per le quali mi stavano deportando.” http://www.jornada.unam.mx/2011/04/22/index.php?section=politica&article=015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Nell’ambito della Campagna “5 Altri Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, que si svolgeranno dal 24 al 28 aprile, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas e il Movimento per la Giustizia del Barrio, L’Altra Campagna New York, abbiamo redatto la seguente dichiarazione con l’idea di raccogliere firme di sostegno. Vi chiediamo di inviare le vostre firme di appoggio, con nome e la denominazione della vostra eventuale organizzazione o collettivo e Paese, al più tardi entro il 28 aprile 2011, a questo indirizzo: movimientoporjusticiadelbarrio@yahoo.com

Dopo tale data vi trasmetteremo la dichiarazione con tutte le firme affinché tutti insieme le facciamo circolare diffusamente per chiedere la liberazione dei 5 prigionieri politici di Bachajón.

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Dichiarazione mondiale di appoggio agli indigeni tzeltales di San Sebastián Bachajón Aderenti all’Altra Campagna

In Chiapas gli investimenti per il turismo e le infrastrutture, nella logica di “sviluppo” governativo attraverso il progetto Centro Integralmente Pianificato Palenque (CIPP) che a sua volta fa parte del progetto più ambizioso denominato Mesoamérica (già noto come Plan Puebla Panama), sono una controversia cruciale contro la costruzione di alternativa di vita dei Popoli originari in Chiapas che lottano da molti anni per il riconoscimento della propria autonomia come popoli nel segno della libera determinazione, e che nella pratica esercitano il proprio processo autonomistico. Sono loro che storicamente preservano le risorse naturali ed il territorio in un equilibrio di rapporto razionale ed umano. In questa lotta di sopravvivenza si trova La resistenza civile delle e degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (SSB), aderenti a L’Altra Campagna della zona di Agua Azul, si inserisce in questa lotta per la sopravvivenza.

I Popoli che resistono in difesa dei propri diritti affrontano, da parte dei governi neoliberisti, numerose azioni che vogliono distruggere l’organizzazione ed il lavoro di costruzione di altri mondi possibili. Oggigiorno, il governo del Chiapas tiene arbitrariamente in carcere e sotto costante vessazioni e minacce, 5 ejidatarios di San Sebastián Bachajón dell’Altra Campagna, tutti innocenti dei reati di cui sono accusati, sono vittime del sistema giudiziario messicano corrotto, che obbedisce agli interessi degli investimenti nazionali ed internazionali. Questo sistema serve a reprimere e distruggere Popoli, organizzazioni o persone che non condividono gli interessi del governo neoliberista, che stanno causando stragi e morte di chi scommette su una vita in cui i diritti umani si sviluppino e si vivano in pienezza.

La repressione più recente subita dagli ejidatarios è del 9 aprile di 2011, quando circa 800 agenti della Polizia Statale Preventiva, Polizia Federale e Militari hanno sgomberato gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón che ore prima avevano ripreso il controllo del botteghino di riscossione, lo stesso che era stato sottratto loro il 2 febbraio con un piano organizzato dal governo del Chiapas insieme agli ejidatarios “filogovernativi”. La regione di Agua Azul è il chiaro esempio in cui i governi statale e federale esercitano la forza dello Stato per lo storico saccheggio del territorio dei Popoli indigeni.

Per le innumerevoli violazioni dei diritti umani commesse contro gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, i collettivi, comitati, movimenti, organizzazioni sociali e società civile così ci pronunciamo:

1. Per il rispetto del diritto alla libera determinazione e all’esercizio della propria autonomia del Popolo tzeltal di San Sebastián Bachajón aderente a L’Altra Campagna, come stabiliti nel Trattato (No.169) sui popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti; nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e dagli Accordi di San Andrés Documento 1, 3. 1. Documento 2, II, IV, 2. 3.); Documento 3.1 (c d); Documento 1, Principio della nuova relazione 5.

2. Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle proprie risorse naturali che, come Popoli originari hanno preservato nel corso dei secoli.  I quali sono riportati nel Trattato (No.169) su popoli indigeni e tribali in paesi indipendente art. 13.2; nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni; negli Accordi di San Andrés, 1.4 B. 2.; Documento 1, Principio della nuova relazione 2.

3. Per la liberazione immediata di: Jerónimo Guzmán Méndez, ejidatario dell’Altra Campagna; Domingo Pérez Álvaro, membro della Commissione di promozione dell’Altra Campagna; Juan Aguilar Guzmán, cassiere dell’Altra Campagna; Domingo García Gómez, membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani; Mariano Demeza Silvano, minorenne dell’Altra Campagna.

4. Per il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, precisamente gli accessi allo stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è amministrato dai governi statale e federale.–

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La Jornada – Giovedì 21 aprile 2011

Gli indigeni tzeltales non hanno autorizzato l’installazione del botteghino di ingresso unico alle Cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 aprile. Mentre gli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón insistono per la liberazione dei loro cinque compagni arrestati a febbraio, il governo statale oggi ha pubblicizzato l’installazione “congiunta” del botteghino di ingresso alle cascate degli ejidos di San Sebastián Bachajón e Agua Azul. Lo ha consegnato alla Commissione Nazionale delle Aree Naturali Protette, benché la finalità annunciata sia turistica, e l’ha fatto senza l’autorizzazione dell’assemblea ejidale di San Sebastián, grazie al quale il giudice settimo di Tuxtla Gutiérrez ha negato il ricorso degli indigeni dell’Altra Campagna contro questo botteghino sulle loro terre ejidali. Sul posto c’è ora una forte presenza di polizia e militari.

Gli ejidatarios denunciano la connivenza dei rappresentanti filogovernativi di entrambe gli ejidos e le autorità municipali di Chilón con gli assalitori e presunti narcotrafficanti, due dei quali questa settimana hanno ottenuto la liberazione con facilità, nonostante fossero stati catturati in possesso di droga, armi ed oggetti rubati.

Il 2 aprile, riferiscono i querelanti, sono stati catturati “due delinquenti” addoso ai quali sono stati trovati “20 chili sembra di marijuana, 6 armi a canna lunga calibro 22, una pistola calibro 38 ed articoli rubati”. Sono stati messi a disposizione delle autorità, “e poi è apparsa la giustizia”: l’agente ausiliare Manuel Gómez Sarago, il priista Juan Deara Demeza, il coordinatore della Fondazione Colosio, Manuel Jiménez Moreno, ed il consigliere comunale del municipio di Chilón, Sebastián Ruiz Álvaro. “Questi hanno negoziato la libertà dei delinquenti Julián Jiménez Morales e Pedro Silvano. Nonostante le prove evidenti, sono liberi”.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna denunciano: “Agua Azul è sempre più militarizzata con la presenza di soldati armati, agenti federali e della polizia preventiva. Non per proteggere i turisti, ma per controllare chi difende le proprie terre”. E confidano: “Speriamo che i turisti che visitano Agua Azul sappiano quello che sta succedendo. Dietro il panorama con la presenza dei poliziotti c’è la delinquenza, in complicità con membri di partito e filogovernativi, pieni di avarizia che vogliono impadronirsi delle nostre terre per darle al governo”.

Il governo statale e federale “ha manipolato i media ed i turisti”, dicendo che “siamo delinquenti, mentre i veri ladri e delinquenti sono del governo, esperti nel fabbricare reati, come nel caso dei cinque prigionieri politici arrestati il 3 febbraio, che sono ingiustamente sequestrati da questo malgoverno”.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna descrivono, “come un esempio per la società ed il popolo in generali”, diverse azioni criminali compiute sul tratto di strada per Agua Azul da quando il sito è occupato dai corpi di polizia federali e statali, circa da tre mesi. Il 24 marzo è stato assaltato un bus di turisti, maestri pensionati “sotto il naso dei poliziotti che non sono intervenuti”. Il 31 marzo hanno rubato un veicolo e della merce.

“Non siamo assassini, siamo un’organizzazione pacifica, ed abbiamo dimostrato molte volte che la nostra arma migliore è la nostra parola di uomini e donne che chiedono giustizia, democrazia e libertà nella presa delle nostre decisioni”, sostengono.

Denunciano la nuova strategia governativa contro di loro, sostenuta da un’organizzazione fantasma “creata” dal segretario di Governo, Noé Castañón León, “prodotto delle sue riunioni private con il commissario ufficiale Francisco Guzmán Jiménez, principale negoziatore della multinazionale responsabile dell’ondata di violenza, furti ed assalti in strada”.

Intanto, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas ed il Movimento per Giustizia del Barrio di New York, annunciano una “dichiarazione mondiale di appoggio” ai tzeltales dell’Altra Campagna, nell’ambito delle cosiddette “Altre 5 Giornate di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, dal 24 al 28 aprile. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/21/index.php?section=politica&article=011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – mercoledì 20 aprile 2011

La JBG avverte Sabines: “ci scapperà il morto”

Gli zapatisti chiedono la liberazione dell’indigeno di Monte Redondo “accusato falsamente”

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 aprile. La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, della zona selva di frontiera, con sede a La Realidad, denuncia che Patricio Domínguez Vázquez, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), è stato aggredito nella sua proprietà ejidale a Monte Redondo (Frontera Comalapa) dalle autorità ejidali, accusato di falsi reati, sequestrato e consegnato all’agente del Pubblico Ministero (MP) Ángeles Daniel Zúñiga Ballinas, che ha immediatamente stabilito il suo arresto nella prigione di Motozintla. La JBG chiede la liberazione immediata del detenuto zapatista.

La giunta riferisce che martedì scorso, 12 aprile, alle ore 9, nella piantagione di caffé di Domínguez Vázquez, sono arrivate le autorità ejidali Emar Sánchez Carrillo, Hernán de León Osorio, Miguel de León, Óscar Méndez Robledo ed i poliziotti Emar Vázquez Méndez, Orbe Pérez Aguilar, Paco Vázquez ed altre persone. Il contadino zapatista “stava potando le sue piante, quando le autorità sopracitate gli hanno strappato la legna, l’hanno afferrato e portato in prigione, e l’agente municipale aveva portato Gilberto Vázquez Velásquez con la sua motosega che ha tagliato Otto alberi sul terreno di Patricio; poi hanno portato la legna nel cortile ed hanno accusato il nostro compagno di aver abbattuto gli alberi, ed hanno scattato delle foto”.

La JBG conferma i fatti. Anche che ore dopo “il commissario ha convocato una riunione con gli abitanti dell’ejido e ci sono andate solo 40 persone”, quando a Monte Redondo ci sono 600 famiglie. Il piccolo gruppo ha deciso di “bruciare la casa del compagno”. Hanno scritto un verbale ma la maggioranza dei presenti si è rifiutata di firmarlo perché “non era d’accordo”.

Domínguez Vázquez è stato imprigionato la stessa sera del giorno 12 nella presidenza municipale di Frontera Comalapa, “senza poter comunicare con la sua famiglia”, ed il 14 è stato portato nella prigione di Motozintla.

La JBG cita aggressioni e rapine precedenti contro gli zapatisti dell’ejido. Le “barbarie” che compiono le autorità di Monte Redondo sono: “furto dei beni dei nostri compagni, come caffè, matasse di filo di ferro, legna; accuse false, come gli alberi che loro stessi tagliano; minacce, come fa la dottoressa Zúñiga Ballinas, e le minacce (dei rappresentanti ejidali) di bruciare la casa e cacciare i compagni”.

Queste “provocazioni” sono appoggiate dal presidente municipale David Escobar e dai governi statale e municipale: “È una vergogna dei tre livelli di governo, insieme alle autorità ejidali corrotte e di alcune persone di Monte Redondo… che non hanno umanità, non sono capaci di capire quello che fanno”. La JBG considera tutto questo “una vera ingiustizia”.(…)

Per “molti anni”, le basi zapatiste sono state vittime di sgombero, ingiuste incarcerazioni, furti di mais, fagioli, caffè e frutta, oltre a non poter più lavorare in pace da tempo”. La JBG, che si trova nel caracol Madre de los caracoles del mar de nuestros sueños, dichiara che non tollererà più queste azioni. “Noi amiamo la terra, perché di lei viviamo, la curiamo, la lavoriamo e la difendiamo. Il governatore Juan Sabines Guerrero deve sapere che qui ci scapperà il morto, ma da parte dei filogovernativi provocatori, non dei nostri compagni zapatisti. Se Sabines non farà niente al riguardo, sarà loro complice”.

La JBG accusa delle “aggressioni e provocazioni” contro le basi di appoggio zapatiste del municipio autonomo Tierra y Libertad le autorità ejidali ed i poliziotti di Monte Redondo, tutti affiliati ai partiti Azione Nazionale, della Rivoluzione Democratica e Verde Ecologista, cos’ come il Pubblico Ministero Zúñiga Ballinas. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PROCESO – mercoledì 20 aprile 2011

In Guerrero assassinato il leader ecologista Javier Torres Cruz

Gloria Leticia Díaz

Città del Messico, 19 aprile (apro).- Il leader campesino Javier Torres Cruz, uno dei testimoni che denuncio alla Procura Generale di Giustizia del Distretto Federale il cacicco e presunto narcotrafficante Rogaciano Alba Álvarez quale responsabile intellettuale della morte dell’attivista Digna Ochoa y Plácido, è stato assassinati nella sierra del Petatlán.

Dirigente dell’Organizzazione dei Contadini Ecologisti della Sierra del Petatlán e Coyuca de Catalano (OCESP), Torres Cruz viveva nascosto dopo che nel dicembre del 2008 era stato fermato ad un posto di blocco militare dove fu bendato e picchiato e per poi essere consegnato da soldati del 19 Battaglione di Fanteria ad un gruppo di persone armata, presunti sicari al servizio di Alba Álvarez.

Torres Cruz riuscì a scappare dai suoi rapitori e denunciare i militari davanti alle commissioni dei diritti umani di Guerrero e nazionale, così come alle organizzazioni internazionali.

In un comunicato, il Comitato Contro la Tortura e l’Impunità (CCTI) e L’Ufficio per lo Sviluppo Comunitario (Tadeco) informano che lunedì 18, il leader campesino ha subito un’imboscata nella sierra del Petatlán “da parte di sicari al servizio di Rogaciano Alba Álvarez”, processato per criminalità organizzata nel carcere messicano di massima sicurezza di La Palma.

Secondo Tadeco e CCTI, il leader ecologista è stato crivellato di colpi da sicari identificati come “los Arreolas“, vicini ad Alba Álvarez, mentre si dirigeva nella comunità Puerto de la Mosca, a trovare i suoi figli. Nell’imboscata è rimasto ferito suo fratello Felipe Torres.

Torres Cruz, secondo le ONG, contava su misure cautelari dettate dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) nell’agosto del 2009, ma queste, in maniera dolosa, “non gli sono mai state garantite”. http://www.proceso.com.mx/rv/modHome/detalleExclusiva/90437

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 20 aprile 2011

La ONG Sin Fronteras denuncia che con la sua deportazione, l’Istituto di Migrazione ha violato i diritti di Proiettis

VÍCTOR BALLINAS

Con la deportazione del giornalista italiano Gianni Proiettis, chi viveva a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, ed era collaboratore del periodico Il Manifesto, “sono stati violati i suoi diritti umani da parte dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM) e delle altre autorità”, sostiene Perceo Quiroz, dell’organizzazione non governativa Sin Fronteras. Il vice-coordinatore di Sin Fronteras spiega: “siamo venuti a conoscenza indirettamente del caso, perché altre organizzazioni pro diritti umani del Chiapas e del Distretto Federale ci hanno chiesto un parere su come aiutare Proiettis, che temeva di essere deportato.

“Seguiamo due mesi questo caso, ed abbiamo fornito assistenza per promuovere la sua tutela, perché lui aveva paura, ed anche i suoi compagni temevano che lo deportassero”.

Oltre a collaborare con Il Manifesto, Proiettis è professore universitario all’Università Autonoma del Chiapas (Unach), alla Facoltà di Scienze Sociali, a San Cristóbal de las Casas.

L’Istituto di Migrazione lo ha deportato sabato scorso, dopo essere stato fermato da poliziotti federali, “ma non si sa di che cosa era accusato”, denuncia in questi giorni la moglie, Maribel Rotondo.

L’avvocato di Sin Fronteras riferisce che la deportazione di Proiettis è in stile fast track, simile a quella del professore universitario colombiano Miguel Beltrán Villegas. I due sono stati convocati nella sede dell’Istituto di Migrazione, e lì fermati. I due sono stati imbarcati su voli privati: Beltrán da Toluca in Colombia, e Proiettis dal Chiapas a Città del Messico e poi al suo paese”.

Si può ancora ricorrere alla tutela per fare in modo che “il professore torni in Messico, ma questo richiede tempo, perché è necessario che egli nomini un suo rappresentante, ma è possibile appellarsi alla tutela legale”, ha detto l’avvocato. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=016n2pol

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La Jornada – Mercoledì 20 aprile 2011

Intervista a GIANNI PROIETTIS, PROFESSORE DI ANTROPOLOGIA DELLA UNACH

La mia espulsione, un eccesso di  paranoia del governo

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/20/index.php?section=politica&article=017e1pol

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Gianni Proiettis, il giornalista deportato, parla da Roma

Il primo giornalista espulso dal Messico nel secolo XXI prevede di tornare in quella che da 18 anni è la sua casa

di Al Giordano
Speciale per The Narco News Bulletin

17 aprile 2011

Si è mai chiesto come si sarebbe sentito ad essere espulso dal Messico? Gianni Proiettis, il primo giornalista ad essere espulso dal regime messicano dagli anni ’90 (quando il governo dell’allora presidente, Ernesto Zedillo espulse oltre 400 giornalisti ed osservatori dei diritti umani per aver visitato il territorio ribelle zapatista in Chiapas) racconta oggi la storia della sua deportazione nel secolo XXI.


Gianni Proiettis e Mercedes Osuna in Chiapas, Messico, davanti ad un camion dell’esercito. Data della foto non conosciuta.

Contattato da Narco News domenica, a casa della sorella nella capitale italiana, Gianni – dal 1993 abitante legale di San Cristóbal de las Casas, Messico, professore all’Università Autonoma del Chiapas (UNACH) e corrispondente del giornale italiano Il Manifesto con un blog settimanale di notizie sul Messico – racconta, passo per passo, la sua inattesa traversata atlantica.

“Venerdì mattina sono andato negli uffici della migrazione di San Cristóbal per rinnovare il mio visto FM2, come faccio ogni anno. Aveva già consegnato i documenti richiesti”, comincia Gianni. “Due giorni prima, la direttrice dell’ufficio mi aveva chiamato per chiedere il mio passaporto con la scusa che ora elaborano le richieste via Internet. Suggerii di portare una fotocopia. Disse che aveva bisogno dell’originale. Così, mercoledì scorso l’ho consegnato”.

(Tecnicamente, per le leggi internazionali il passaporto è di proprietà del governo che lo emette, ed un altro governo non ha alcun diritto di toglierlo ad un cittadino straniero, una delle molte irregolarità di questo caso che potrebbe far tornare rapidamente Gianni in quella che da 18 anni è la sua casa)

Gianni racconta:

“Mi ha dato appuntamento per venerdì alle 10:30. L’unica cosa che dovevo ancora fare era pagare la tassa annuale. Sono arrivato puntuale all’ora che mi era stata data. Mi hanno fatto aspettare per un’ora, mentre lasciavano passare avanti gli altri nella fila. Ogni cinque minuti un agente arrivava e mi diceva `cinque minuti´. Tutto sembrava normale. Poi uno mi ha detto, `può venire nella stanza qui a destra?´ Quando sono entrato in quella stanza c’erano cinque uomini con la divisa dell’Istituto Nazionale di Migrazione. Uno di loro mi ha detto, `a partire da questo momento, lei è sotto la nostra custodia.´

“In tasca avevo un ricorso emesso da un giudice a dicembre, per impedire il mio arresto, e che Mercedes Osuna aveva ottenuto per me. Ho chiamato la direttrice dell’ufficio, ma era sparita. Non si è fatta vedere. Un ufficiale ha detto che il mio ricorso era ormai scaduto. ‘Allora ridammelo’, gli ho detto. ‘Non ti preoccupare, viaggerò con te’ mi ha risposto. A partire da quel momento non ho più riavuto il mio ricorso, né le ricevute che provavano che avevo consegnato tutti i documenti necessari per rinnovare il mio visto annuale. Mi avevano tolto le prove.

“Mi hanno caricato su un’auto con cinque agenti della migrazione. L’auto era preceduto da una pattuglia della polizia federale che a gran velocità andava all’aeroporto di Tuxtla Gutiérrez. Mi hanno scortato alla sezione del governo e velocemente su un jet privato con un pilota, un copilota, due agenti, e a me fino a Città del Messico.

“Novanta minuti dopo ero nell’aeroporto internazionale Benito Juárez di Città del Messico, ancora una volta nell’area governativa. Mi hanno offerto un filetto o pesce, ma ho detto loro `No grazie, mi avete tolto l’appetito´. Stava facendo buio. Non avevo l’orologio, quindi non posso dire che ora fosse. 

“Uno degli ufficiali della migrazione di Città del Messico mi ha detto, `Sta per essere deportato perché non ha rinnovato il visto. Le abbiamo dato un ordine di andarsene, ma lei non ha obbedito. Quindi la deportiamo´. Gli ho detto che era completamente falso. Nessuno mi ha mai dato l’ordine di uscire dal paese. Si sono completamente inventati tutto.

Eppure, il 5 aprile l’ufficio dell’Istituto Nazionale di Migrazione a San Cristóbal de las Casas aveva firmato una ricevuta di ritorno quando Gianni aveva consegnato tutti i documenti necessari per il rinnovo del suo visto. Quella ricevuta si trovava tra i documenti che gli hanno sottratto gli agenti migratori venerdì, e che non sono mai stati restituiti. Tuttavia, gli enti nazionali devono avere un registro elettronico di tutte le transazioni (i funzionari locali non hanno detto a Gianni, “ora le richieste si elaborano via internet?”). Qualcuno ha infranto la legge, e non è stato Gianni Proiettis.

“Poi mi hanno scortato su un volo di Aeroméxico per Roma via Madrid. Due agenti hanno viaggiato con me sull’aereo. Era strano. Che potevo fare? Scappare dall’aeroplano a metà del volo? Ma insistevano, ‘la portiamo a Roma.´

“Tredici ore dopo, all’Aeroporto Internazionale di Barajas, mi hanno portato in un ufficio di polizia. Ero ancora in stato di arresto dei due agenti messicani della migrazione. Mi sono reso conto dell’illegalità di tutta la questione. Come è possibile che due poliziotti messicani mi tengono in arresto in un aeroporto spagnolo quando non ho alcun carico penale né obblighi legali in Spagna o Italia, o perfino in Messico, dove l’espulsione è una procedura amministrativa?

“Ho cercato di spiegare questo alla polizia spagnola, che lì dovevo essere libero. Mi hanno detto, ‘abbiamo sempre fatto così’. Non è un’estradizione questa, ho detto loro, ma è una deportazione, il Messico non ha più autorità su me.’ Era completamente assurdo. Ero in Spagna, ma non ero libero.

“Alle 20:00 di sabato, prendiamo un volo per Roma, ancora con i due agenti messicani. Poi ci hanno fatto scendere dall’aereo. Come passeggeri, avevamo già i documenti d’imbarco. Ovviamente non avevo bagaglio. Ma in casi come questo c’è un’altra cappa di burocrazia. Gli spagnoli hanno detto, ‘non potete andarvene, dovete compilare altri moduli. Dovete aspettare fino a domani mattina’. Quindi siamo rimasti negli uffici della polizia. C’erano delle celle con le brande, ma gli agenti messicani ed io abbiamo cercato di dormire sulle panche degli uffici.

“Poi sono riuscito a convincerli a portarmi nella zona ristorante dell’aeroporto. Gli agenti messicani si sono comportati davvero da bravi ragazzi. Così abbiamo mangiato nell’area ristorante. Abbiamo cercato di dormire un po’ sulle sedie. Alle 6:30 ci hanno portato con un veicolo ai piedi dell’aereo e ci siamo imbarcati”.

Dopo un viaggio iniziato in Messico alle 10:30 di venerdì mattina, negli uffici della migrazione della sua città, Gianni Proiettis è atterrato a Roma la domenica alle 9:30, ora italiana, 40 ore dopo. Gianni ha invitato i due agenti messicani della migrazione a casa di sua sorella a prendere un caffè. (Avrebbe potuto farli ubriacare con del limoncello, portarli in un bordello, e scattare loro qualche utile foto, ma come si può vedere, Gianni è un signore.) Poco dopo se ne sono andati e Gianni ha parlato con Narco News per telefono.

“Ma, Gianni”, gli ho detto, “Ricordi che negli anni ’90, quando tutti i nostri amici e colleghi furono espulsi, avevano dato loro una lettera del governo messicano che li informava di essere stati espulsi dal suolo messicano per dieci anni? Questa lettera è preziosa. Potresti utilizzarla come primo capitolo di quello che sarebbe sicuramente un tuo best seller internazionale intitolato, “Vietato in Messico!”

“No”, mi ha risposto. “Ho firmato un documento in cui si conferma che mi hanno restituito il passaporto, e questo è tutto”.

“Al, quando torni a San Cristóbal per stare un po’ insieme?”, mi ha chiesto Gianni.

“Perché”, ha aggiunto, “è lì che mi troverai”.

http://www.narconews.com/Issue67/articulo4376.html

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La Jornada – Domenica 17 aprile 2011

L’invasione di una scuola indigena alternativa di Chilón minaccia il progetto di educazione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 16 aprile. Le scuole indigene alternative di Guaquitepec, nel municipio di Chilón, sono un riferimento a livello nazionale e internazionale come esperienze di educazione per lo sviluppo interculturale, produttivo ed umanistico, con una definita radice tzeltal. Oggi sono seriamente minacciate da presunti conflitti dentro la stessa comunità. Giovedì scorso sono stati aggrediti, e “fermati”, due maestri del liceo bilingue interculturale Bartolomé de las Casas, da un gruppo di persone che tre mesi fa avevano invaso i terreni della scuola impedendo lo svolgimento delle lezioni.

Il 17 gennaio, questo gruppo, capeggiato da Antonio Mazariegos López, Juan Gómez González, Diego Hernández González e Pedro Gómez Vázquez, noti cacicchi, ha invaso le terre ad uso agricolo della Secondaria Tecnica Bilingue Interculturale Emiliano Zapata Salazar. Secondo la denuncia degli ejidatarios, gli invasori godono del supporto dell’ex deputato perredista Carlos Bertoni Unda, dell’organizzazione Oruga e, anche solo per omissione, della sottosegretaria di Governo a Yajalón, Ana del Carmen Valdivieso Hidalgo che, a nome del titolare di Governo, Noé Castañón León, si era impegnata “ad essere coadiuvante nella soluzione del conflitto”, e né lei né il suo superiore “hanno agito realmente in questo senso” (La Jornada, 15 marzo).

Il Consiglio Tzeltal del Patronato Pro Educazione Messicano ha convocato la creazione del “Movimento sociale indigeno per l’educazione interculturale bilingue”, il quale oggi e domani terrà un incontro nella secondaria di Guaquitepec. Si propone di difendere il plesso scolastico ed il progetto educativo nel suo insieme. Gli invasori, “manovrati” dai quattro leader, da tre mesi hanno lasciato i bambini e bambine della regione “senza la possibilità di continuare ad imparare”.

Anche il consiglio scolare segnala che, “in tutto questo il tempo le autorità competenti del Chiapas hanno fatto molto poco per risolvere il problema, nonostante sia stato chiesto loro in mille modi e da diversi ambiti”.

Da parte sua, Dora Ruiz Galindo de Hagerman, tra i fondatori del progetto collettivo di educazione nel 1995, oggi ha detto: “Quello che sta succedendo non solo è ingiusto, ma investe i diritti dei popoli indigeni”. All’inizio, aggiunge, “abbiamo soddisfatto l’esigenza delle comunità di un’istruzione interculturale di 10 anni di livello medio e medio superiore”. E’ stata direttrice della scuola per sette anni. “Ora, gli studenti di allora sono laureati e dirigono il progetto”.

Il sistema, integrato da uno staff di primaria, secondaria e liceo, da tre lustri forma i figli delle famiglie della regione e rappresenta il cuore originario del popolo tzeltal. Oggi, i sui diplomati dirigono l’istituzione, vincolati ai “principales” dei propri villaggi, le organizzazioni sociali, i genitori ed una squadra di supporto pedagogico unico in Chiapas. Molti dei suoi studenti hanno completato studi universitari e sono ritornati nelle proprie comunità per crescere professionalmente.

L’invasione dei cacicchi è stata denunciata dall’Organizzazione Sociale Indigena Yip Lumaltik, dalle autorità di Maquejá, San Vicente, Pinabetal e San Antonio Bulujib ed i Principales di Guaquitepec; perfino per la Fondazione filogovernativa Colosio regionale, così come le basi zapatiste ed i dirigenti delle scuole. Il gruppo di invasori costruisce “abitazioni” su terreni ejidali destinati alla scuola, contravviene a tutti gli accordi comunitari ed ejidali, e non ha altra ragion d’essere che il clientelismo pre-elettorale e la possibile acutizzazione delle strategie contrainsurgentes nelle montagne del Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/17/index.php?section=politica&article=015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Giovanni Proiettis deve tornare in Messico

Pensatori, giornalisti e attivisti chiedono il ritorno del giornalista espulso
di Giornalisti, Intellettuali, Artisti del Messico e del Mondo
Speciale per The Narco News Bulletin
http://www.narconews.com/Issue67/articulo4378.html

17 aprile 2011

Giovanni Proiettis, stimato professore della UNACH e collaboratore del quotidiano Il Manifesto, è stato incredibilmente espulso dal Messico. L’Istituto Nazionale di Migrazione sostiene che il suo documento migratorio (FM2) era scaduto. Non è vero. Venerdì 5 aprile, Giovanni si era recato all’ufficio dell’INM di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, per rinnovare la durata e la forma dei suoi documenti migratori che scadevano il giorno 10. Martedì 12, veniva informato che c’erano problemi con la rete e che dovevano trattenere il suo passaporto. L’hanno convocato per venerdì 15 assicurandogli che tutto era in ordine. Quel giorno, Giovanni si è recato negli uffici dell’INM alle ore 10.30 del mattino con le ricevute del dovuto pagamento. Era una trappola. L’hanno fermato, portato a Tuxtla su un veicolo dell’INM e da lì a Città del Messico, con un volo privato. Alle 7 di sera l’hanno costretto a salire su un volo con destinazione Roma, via Madrid. Non ha mai avuto la possibilità di chiamare un avvocato, non ha potuto avvisare la moglie, tanto meno parlare col console italiano, situazione che configura gravi violazioni dei suoi diritti umani. Durante quasi 18 anni Giovanni Proiettis scrive della lotta dei popoli indigeni in resistenza e, più recentemente, del narcotraffico e del forum di Cancun (COP 16). Scrive per giornali stranieri senza ricevere alcun compenso. La sua espulsione fa pensare che al governo federale disturbino questi temi. Chiediamo il ritorno di Giovanni Proiettis in Messico, la sua patria d’elezione.

Distintamente,

Claudio Albertani, Guillermo Almeyra, Carlos Martínez de la Torre, Emma Cosio Villegas, Mercedes Osuna Salazar, Marisa Kramsky Espinoza, Adolfo Gilly, Al Giordano, Julio Hernández López, Clara Ferri, Sabina Longhitano, Stefano Sartorello, Paola Ortelli, Nadia Victoria Chichiarelli, Roberto Castelli, Patito Rubio, Stefania Montecucco, Sergio Toniolo, Multiforo Alicia, Narco News, Lilia Zueck, Harry Cleaver, Stephen Zunes

Per aggiungere la tua firma, manda una email a oshalcon@gmail.com  col tuo nome, Paese e nome dell’eventuale organizzazione di appartenenza.

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Espulso dal Messico il giornalista Gianni Proiettis

di Fabrizio Lorusso
gianni.jpgPuerto Escondido, Messico. Ci avevano già provato esattamente quattro mesi fa e ora ci sono riusciti. Il giornalista italiano residente nella città meridionale di San Cristóbal de las Casas, in Chiapas, è stato espulso ed è stato costretto a partire per Roma con un volo da Città del Messico alle 7 pm del 15 aprile. In base all’articolo 33 della Costituzione messicana il governo, attraverso gli uffici decentrati e i funzionari dell’Istituto Nazionale della Migrazione (INM), ha la facoltà di deportare a suo piacimento (la chiamano “discrezionalità”) le persone indesiderate.
E’ una norma che fu pensata all’epoca in cui gli stranieri intervenivano pesantemente nella politica nazionale e in più occasioni (vedi invasioni statunitensi e francesi in Messico) minacciarono concretamente la sovranità e l’indipendenza del paese. Da molti anni ormai viene utilizzato come spauracchio contro i giornalisti, gli attivisti e gli stranieri in generale anche se a volte purtroppo la minaccia si concretizza più facilmente e rapidamente di quanto ci si possa immaginare.
Ieri Giovanni Proiettis, Gianni per gli amici, si è recato agli uffici della Migrazione per rinnovare il suo permesso di soggiorno (FM=Forma Migratoria) così come ha fatto negli ultimi sedici anni in cui ha risieduto legalmente in Messico svolgendo le sue attività di professore universitario, giornalista e cooperante in progetti di sviluppo comunitario in Chiapas, una delle regioni più povere e sfruttate del paese. Non è più uscito da quegli uffici se non per essere deportato nella capitale della regione, Tuxtla Gutiérrez, e poi a Città del Messico qualche ora dopo. Come sempre in questi casi sono molte le violazioni ai diritti dell’uomo perpetrate dai vari funzionari, armati e non, che intervengono nel processo di deportazione fast track. Gianni Proiettis non ha avuto la possibilità di comunicare con parenti, amici e nemmeno con l’ambasciata, ha subito vessazioni e trattamento “inumano e degradante” durante una detenzione illegale ed è stato poi rinchiuso in una cella nella zona periferica di Iztapalapa.
Nonostante un giudice di Tuxtla avesse emesso un’ordinanza (scaricabile qui) che impediva l’espulsione del giornalista e criticava le modalità in cui è stato applicato e interpretato l’articolo 33 costituzionale, non c’è stato nulla da fare perché il documento è arrivato in ritardo alle autorità che in aeroporto avevano già imbarcato Proiettis. Sua moglie ha dichiarato ai giornalisti di NarcoNews che non c’era stato nulla di anomalo negli ultimi 4 mesi, nessun segnale che preannunciasse questa decisione arbitraria e ingiustificata come sostiene anche lo stesso atto giudiziario emesso a Tuxtla in difesa dell’italiano. Già il dicembre scorso Proiettis era stato oggetto di un tentativo d’espulsione – inizialmente si disse che fu a causa della sua partecipazione al summit sul cambio climatico di Cancun – che fu sventato anche grazie alla pronta reazione della stampa e all’intervento dei media indipendenti in difesa della libertà di pensiero ed espressione.
Da anni le attività del giornalista italiano, impegnato in un progetto di eco-turismo nella cittadina di Venustiano Carranza, non sono gradite all’autorità e al governatore del PRD (Partido Revolución Democrática), Juán Sabines. Stesso discorso per i suoi articoli di denuncia sull’operato delle imprese multinazionali minerarie nella regione: in particolare, un’intervista del 23 gennaio 2010 con il padre del leader sindacale Mariano Abarca, assassinato nel novembre 2009, risultò particolarmente scomoda per la compagnia mineraria canadese Blackfire Exploration Ltd e i funzionari statali che ne difendono gli affari.
A dicembre il governo del Chiapas e l’INM dovettero ripiegare in modo rocambolesco e, dopo aver cambiato più volte i capi d’imputazione contro Proiettis, arrivando perfino a inventare accuse per spaccio di droga, porsero ufficialmente le proprie scuse per quanto era accaduto. Evidentemente si trattava di un bluff e di una tregua momentanea in attesa di una nuova rappresaglia che è arrivata puntuale allo scoccare del quarto mese. Altri dettagli interessanti sul caso dalla rivista Proceso QUI.
http://www.carmillaonline.com/archives/2011/04/003870.html

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La Jornada – Sabato 16 aprile 2011

Denunciato il giudice che aveva respinto il ricorso degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 15 aprile. Ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed avvocati del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) hanno presentato ricorso contro la costruzione del botteghino di ingresso e del “centro di assistenza per le emergenze” della Protezione Civile e della Segreteria di Pubblica Sicurezza statali, sulle terre di uso comune dell’ejido di San Sebastián.

Il ricorso, presentato il 2 marzo, era stato respinto dal giudice di distretto di Tuxtla Gutiérrez, Héctor Martín Ruiz Palma, nonostante queste opere “colpiscono terre di uso comune senza il consenso e l’autorizzazione dell’Assemblea Generale degli ejidatarios ed ejidatarias, cosa che viola il loro diritto al territorio come popolo indigeno e le leggi messicane in materia”. Per questo, la difesa aveva presentato richiesta di revisione.

Inoltre, di fronte alla “insistente dilazione” del giudice nel trasmettere la richiesta di revisione al Tribunale Collegiale, il 4 aprile il Frayba aveva presentato una querela al Consiglio della Magistratura Federale a Città del Messico contro il menzionato giudice “per la sua mancanza di imparzialità e indipendenza”, perché sembra agire su mandato delle autorità governative.

In un’ampia documentazione consegnata a La Jornada, il Frayba rileva: “Trattandosi di un grave colpo al territorio dell’ejido da parte del governatore del Chiapas e di diversi funzionari, in complicità con organi di rappresentanza ejidal di San Sebastián, si è sollecitata la sospensione immediata delle opere di costruzione, in attesa di stabilirne la costituzionalità.

Tuttavia, il giudice, in maniera parziale e contravvenendo ai trattati internazionali in materia di Diritti dei Popoli Indigeni e leggi interne, ha deciso di negare la sospensione immediata degli atti di esproprio”.

Il magistrato Ruiz Palma nella sua risposta ha detto: “Nella richiesta del querelante si cita la privazione della proprietà, possesso e sfruttamento di una superficie”  su cui, di fatto, si costruirà un botteghino di riscossione, un centro di assistenza per le emergenze ed un distaccamento permanente della polizia, in cui il giudice “rileva un evidente interesse sociale”, perché sono “un beneficio per la collettività, tanto più quando l’ultimo è per proteggere, vigilare e dare protezione alla società in generale”.

Si può dire che le comunità indigene sono militarizzate da 16 anni sulla base di simili criteri. Ed anche che, a seguito della presenza permanente di installazioni di polizia, alla fine de decennio scorso, nella stessa regione, sono nati ed hanno operato gruppi paramilitari: Paz y Justicia (originario di Tila) e Los Chinchulines (Chilón). Successivamente nella zona ha operato l’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (Opddic), segnalata come paramilitare, e che ora, con diverse sigle, è stata inglobata dai partiti politici che, senza eccezione, appoggiano le azioni legali ed extralegali di esproprio a San Sebastián.

Il giudice Ruiz Palma conclude nel suo allegato “che il possibile danno” al nucleo agrario con la negazione della sospensione che i contadini chiedono, “sarebbe minore del beneficio che la collettività otterrebbe; principalmente da come si evince dalla copia dell’accordo collettivo del 13 febbraio, sottoscritto da membri degli organi di rappresentanza e diverse autorità, si rileva che l’installazione del botteghino di riscossione ed il guadagno ottenuto da questo, sarà a beneficio dell’ejido stesso e di un ejido vicino (in riferimento ad Agua Azul, Tumbalá). (…)

Di fronte al respingimento del giudice federale, il 15 marzo il Frayba ha presentato ricorso di revisione affinché si revochi la decisione e “si stabilisca in maniera immediata” la sospensione delle opere di costruzione di un botteghino ed un modulo governativi.

Il Frayba sottolinea che, in materia agraria, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione ha stabilito un criterio di carattere vincolante per i giudici a livello federale e statale: “Quando un nucleo di popolazione promuove ricorsi contro atti che hanno o possono avere come conseguenza la privazione totale o parziale, temporale o definitiva, dei suoi beni agrari, o la sottrazione del regime giuridico ejidale, il giudice federale è obbligato… a decretare inevitabilmente la sospensione d’ufficio e immediata nel momento stesso in cui riceve il ricorso (…)”.

Quindi, “non decretando la sospensione degli atti di esproprio del governo del Chiapas e dei rappresentanti comunitari, il giudice si colloca chiaramente come pezzo chiave nella strategia di esproprio dell’ejido di San Sebastián nella logica dell’implementazione su larga scala di progetti turistici a capitale privato nazionale ed internazionale”.

Il Frayba precisa che gli atti reclamati non colpiscono l’ejido Agua Azul, ma solamente San Sebastián, “per cui, in maniera indebita, il giudice ha incluso come terzi danneggiati il citato ejido”. I termini con cui si è pronunciato “evidenziano la mancanza di indipendenza e imparzialità dell’organo giurisdizionale, poiché non sono giuridici, neanche sostentati da elementi di prova e di diritto, bensì mere valutazioni soggettive dalle quali si evince un chiaro interesse di favorire le autorità responsabili”.http://www.jornada.unam.mx/2011/04/16/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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DELLA RIFLESSIONE CRITICA, INDIVIDUI E COLLETTIVI

(Seconda Lettera a Luis Villoro nell’Interscambio Epistolare su Etica e Politica)

Aprile 2011

“Se in cielo c’è unanimità, riservatemi un posto all’inferno”

(SupMarcos. Istruzioni per la mia morte II)

I. – LA PROSA DEL TESCHIO

Don Luis:

Salute e saluti maestro. Speriamo veramente che stia meglio di salute e che la parola sia come quei rimedi casalinghi che alleviano anche se nessuno sa come.

Mentre inizio queste righe, il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano per distanza ma da sempre vicino per ideali), si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e i dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

Di don Javier Sicilia ricordiamo le critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione nel ricordare periodicamente, alla fine della sua colonna settimanale sulla rivista messicana PROCESO, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le ignorate voci di indignazione.

E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se aggiunge o toglie nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro la rappresentatività.

Si scopre un nuovo assassinio? Allora bisogna vedere come questo impatta la puerile contabilità elettorale. Là in alto interessano le morti se possono incidere sull’agenda elettorale. Se non si possono capitalizzare nei sondaggi e nelle tendenze di voto, allora tornano nel lugubre conto dove le morti non interessano più, anche se sono decine di migliaia, perché tornano ad essere una questione individuale.

Nel momento di scriverle queste parole, ignoro i passaggi di questo dolore che convoca. Ma il suo reclamo di giustizia, e tutti quelli che si sintetizzano in questo reclamo, meritano il nostro rispetto e sostegno, anche se con il nostro essere piccoli ed i nostri grandi limiti.

Nell’andirivieni delle notizie su quell’evento, si ricorda che don Javier Sicilia è un poeta. Forse per questo la sua persistente dignità.

Nel suo stile molto particolare di guardare e spiegare il mondo, il Vecchio Antonio, quell’indigeno che è stato maestro e guida per tutti noi, diceva che c’erano persone capaci di vedere realtà che ancora non esistevano e che, siccome non esistevano nemmeno le parole per descrivere quelle realtà, allora dovevano lavorare con le parole esistenti e sistemarle in un modo strano, in parte canto e in parte profezia.

Il Vecchio Antonio parlava della poesia e di chi la fa. (Io aggiungerei di chi la traduce, perché anche le traduttrici e i traduttori della poesia che parla lingue lontane devono essere molto creatrici e creatori di poesia).

I poeti, le poetesse, vedono più lontano o vedono in altro modo? Non lo so, ma cercando qualcosa che, dal passato, parlasse del presente che ci fa male e del futuro incerto, ho trovato questo scritto di José Emilio Pacheco, che tempo fa mi mandò un mio fratello maggiore e che viene a proposito perché nessuno capisca:

Prosa del Teschio

Come il demonio dei Vangeli il mio nome è Legione. Sono te perché sei me. O sarai perché fui. Tu ed io. Noi due. Voi, gli altri, gli innumerevoli voi che si risolvono in me.

(…)Poi fui, al punto di trasformarmi in luogo comune, simbolo di saggezza. Perché la cosa più saggia è anche la più ovvia. Siccome nessuno vuole guardarlo in faccia non sarà mai superfluo ripeterlo: Non siamo cittadini di questo mondo ma passeggeri in transito per la terra prodigiosa e intollerabile. Se la carne è erba e nasce per essere tagliata, sono per il tuo corpo quello che l’albero è per la prateria: non invulnerabile, neppure durevole, ma materiale consistente o resistente. Quando tu e tutti i nati nel vuoto del tempo che ti fu dato in prestito, terminerete di rappresentare il vostro ruolo in questo dramma, questa farsa, questa tragica e buffa commedia, io rimarrò per lunghi anni: scarno disincarnato. Serena smorfia, volto segreto che ti rifiuti di guardare (togliti la maschera: in me troverai il tuo vero volto), benché lo sai intimo e tuo e che sempre ti accompagna. E porta dentro, in fugaci cellule che ogni istante muoiono a milioni, tutto ciò che sei: il tuo pensiero, la tua memoria, le tue parole, le tue ambizioni, i tuoi desideri, le tue paure, i tuoi sguardi che attraverso la luce erigono l’apparenza del mondo, il tuo allontanamento o intendimento di ciò che realmente chiamiamo realtà. Quello che ti eleva al di sopra dei tuoi dimenticati simili, gli animali, e quello che ti pone sotto di essi: il segno di Caino, l’odio verso la tua specie, la tua capacità bicefala di fare e distruggere, formica e tarlo.

(…)Perché vengo con voi ovunque. Sempre con lui, con lei, con te, aspettando senza protestare, aspettando. Degli eserciti dei miei simile si è forgiata la storia. Delle mie polveri è impastata la terra.

(…)Dunque, chi lo direbbe, io – maschera della morte – sono il più profondo dei tuoi segni di vita, la tua impronta finale, la tua ultima offerta di spazzatura al pianeta che non sta più in sé stesso per tanti morti. Sebbene perdurerò solo per breve tempo, in ogni caso molto superiore a quello che hanno concesso a te.

(…)Ogni bellezza ed ogni intelligenza giacciono in me, e mi ripudi. Mi vedi come segno della paura dei morti che si rifiutano di essere morti, o morte pura e semplice: la tua morte. Perché posso venire a galla solo col tuo naufragio. Appaio solo quando hai toccato il fondo. Ma ad una certa età mi insinuo nei solchi che mi disegnano, nei capelli che condividono il mio consunto biancore. Io, il tuo vero volto, la tua apparenza ultima, il tuo viso finale che ti rende Nessuno e diventa Legione, oggi ti offro uno specchio e ti dico: Contemplati.

(José Emilio Pacheco, “Prosa del Teschio”, da “Fine di secolo ed altre poesie”, Messico, Fondo de Cultura Económica / Secretaría de Educación Pública, Lecturas Mexicanas No. 44, 1984, pp. 114-117)

II. – LA PERTINENZA DELLA RIFLESSIONE CRITICA.

“Quando l’ipocrisia comincia ad essere di pessima

qualità, è ora di cominciare a dire la verità”

Bertold Brecht.

La guerra dell’alto prosegue, e col suo passo di distruzione si vorrebbe anche che tutti incomincino ad accettare quest’orrore quotidiano come se fosse qualcosa di naturale, qualcosa di impossibile da cambiare. Come se la confusione imperante fosse premeditata e volesse democratizzare una rassegnazione che immobilizza, che conforma, che sconfigge, che arrende.

In tempi in cui si organizza la confusione e si esercita coscientemente l’arbitrio, è necessario fare qualcosa.

E qualcosa è tentare di disorganizzare questa confusione con la riflessione critica.

Don Luis, come potrà vedere nelle missive che le allego, si sono uniti a questo scambio di riflessioni su Etica e Politica, Carlos Antonio Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano e Gustavo Esteva. Speriamo che altri pensieri si aggiungano in questo spazio.

In questa seconda nostra lettera, vorrei toccare alcuni dei punti che lei affronta nella sua risposta e che, direttamente o indirettamente, segnalano anche i nostri corrispondenti che lanciano le loro idee da Città del Messico, Oaxaca e Uruguay.

Tutti affrontano, con le proprie particolarità, cioè, nel calendario e geografia propri, questo tema della riflessione critica. Sono sicuro che nessuno di noi (lei, loro, noi) pretendiamo di stabilire verità assolute. Il nostro proposito è lanciare il sasso, le idee, nello stagno apparentemente tranquillo dell’attuale ambito teorico.

La similitudine del sasso che ho usato, va oltre la retorica della superficie momentaneamente agitata dal sasso. Si tratta di arrivare al fondo. Di non accontentarsi dell’evidente, ma di attraversare con irriverenza lo stagno immobile delle idee ed arrivare al fondo, sotto.

Nell’epoca attuale la riflessione critica è apparentemente stagnante. E dico apparentemente se ci si attiene a quello che viene presentato come riflessione teorica sui media stampati ed elettronici. E non si tratta solo del fatto che quello che è urgente abbia soppiantato ciò che è importante, in questo caso, i tempi elettorali la distruzione del tessuto sociale.

Si dice, per esempio, che l’anno che ci preoccupa, il 2011, è un anno elettorale. Bene, lo sono stati anche tutti gli anni precedenti. Inoltre, l’unica data che non è elettorale nel calendario di quelli che stanno sopra è… il giorno delle elezioni.

Ma ormai si vede che l’immediatezza difficilmente può distinguere tra quello che è accaduto ieri da quello che è successo 17 anni fa.

Salvo le “fastidiose” interruzioni dovute alle catastrofi naturali ed umane (perché i crimini quotidiani di questa guerra sono una catastrofe), i teorici dell’alto, o i pensatori dell’immediato, tornano sempre sul tema elettorale… o fanno equilibrismi per legare qualunque cosa al tema elettorale.

La teoria spazzatura, come il cibo spazzatura, non nutre, intrattiene soltanto. E di questo sembra trattarsi se ci atteniamo a quello che appare sulla stragrande maggioranza dei quotidiani e delle riviste, così come nelle pagine degli “specialisti” dei media elettronici del nostro paese.

Quando questi dispensatori di teoria spazzatura guardano in altre parti del Mondo e deducono che le mobilitazioni che abbattono i governi sono il prodotto di telefoni cellulari e reti sociali, e non di organizzazione, capacità di mobilitazione e potere di convocazione, esprimono, oltre ad un’estrema ignoranza, il desiderio inconfessato di ottenere, senza sforzo, il loro posto nella “STORIA”. “Twitta e guadagnerai i cieli” è il loro moderno credo.

E, come i “prodotti miracolosi”, questi esaltatori dell’Alzheimer teorico e politico, promuovono soluzioni facili per l’attuale caos sociale.

A nessuno accade che, come si vede nelle pubblicità, se usa la tale lozione per uomo o il tal profumo per donna, si troverà istantaneamente in Francia, ai piedi della Torre Eiffel, o nei bar della Londra di chi sta in alto.

Ma, come i prodotti miracolosi che promettono di far perdere peso senza fare esercizio fisico e astenersi dal cibo, e ci sono persone che ci credono, c’è anche chi crede che si possa avere libertà, giustizia e democrazia solo tracciando un segno su una scheda a favore della permanenza del Partito Azione Nazionale, dell’arrivo del Partito della Rivoluzione Democratica o del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Quando queste persone sentenziano che esiste una sola opzione, la via elettorale o la via armata, non solo dimostra la sua mancanza d’immaginazione e di conoscenza della storia nazionale e mondiale. Ma anche, e soprattutto, torna a tessere la trappola che è servita da pretesto per l’intolleranza e l’esigenza di unanimità fascista e retrograda da parte di uno o un altro schieramento dello spettro politico.

“Brillante” analisi questa che pone l’urgenza di definizioni… rispetto alle opzioni che impongono quelli che stanno in alto.

Sulle false opzioni pone molto bene l’allerta Gustavo Esteva, nel suo testo, e credo che lanci un argomento speciale in questo scambio a distanza.

Invece di cercare di imporre i loro deboli assiomi, potrebbero scegliere di discutere, di argomentare, di tentare di convincere. Invece no. Si trattò e si tratta di imporre.

Credo sinceramente che a loro non interessi discutere sul serio. E non solo perché non hanno argomenti di peso (fino ad ora è tutto solo un elenco di buone intenzioni e ingenuità che sfiorano il patetico, dove il Partito Azione Nazionale dimostra che lo “stile Fox” non è un caso isolato, ma tutta una scuola di dirigenti in quel partito; dove il Partito Rivoluzionario Istituzionale predica l’autismo rispetto alla propria storia; dove il variopinto mondo dell’autodefinita sinistra istituzionale vuole convincere con slogan in mancanza di argomenti), ma perché non si vuole cambiare niente di fondo.

È perfino comico vedere gli equilibrismi per compiacere le masse (sì, le disprezzano ma ne hanno bisogno) e contemporaneamente corteggiare senza pudore il potere economico.

Per loro si tratta esattamente di agire nel ristretto margine di manovra delle macerie dello Stato Nazionale in Messico, per tentare di esorcizzare una crisi che, quando scoppierà, spazzerà via anche loro, cioè, la classe politica nel suo insieme. Insomma: per loro è una questione di sopravvivenza individuale.

La vocazione di informatori, delatori e gendarmi calza bene a questa spazzatura teorica che ha animato l’isteria intellettuale ed artistica, prima contro il movimento studentesco del 1999-2000 e del suo Consiglio Generale di Sciopero, e poi contro tutto quello che non accettava le direttive di questo covo di poliziotti del pensiero e dell’azione.

Si vuole stabilire una differenziazione che è piuttosto un esorcismo: ci sono loro, i perbene, cioè, i civilizzati, e ci sono gli altri, i barbari.

Nella loro esile struttura teorica ci sono, da una parte (sopra), gli individui brillanti, saggi, misurati, prudenti; e dall’altra parte (sotto) c’è la massa oscura, ignorante, disordinata e provocatoria.

Di là: i prudenti e maturi usurpatori della rappresentatività delle maggioranze.

Di qua: le minoranze violente che rappresentano solo sé stesse.

-*-

Ma supponiamo che a loro interessi discutere e convincere.

Discutiamo, per esempio, delle reali conseguenze del progetto ultradecennale di Azione Nazionale di cambiare una nota strofa dell’Inno Nazionale Messicano per mettere al suo posto “Pensa, Oh Amata Patria! il cielo una vittima collaterale in ogni figlio ti diede”, e rispetto al quale nessuno degli altri partiti ha presentato un’alternativa puntuale e decisa.

O la presunta bontà del ritorno del Partito Rivoluzionario Istituzionale ed il conseguente ritorno di tutta una cultura di corruzione e crimine che ha travolto l’insieme della classe politica messicana.

O le possibilità reali del progetto di far fare retromarcia alla ruota della storia e tornare allo Stato Benefattore, che è la proposta dell’ancor debole coalizione di opposizione.

Tutti, oltre a detestare la riflessione teorica (chiaro, quella che non sia un puerile autocompiacimento), si propongono l’impossibile: mantenere, riscattare o rigenerare le macerie di uno Stato Nazionale che ha generato e dato corpo al sistema di partiti di Stato. Quel sistema che ha trovato nel Partito Rivoluzionario Istituzionale il suo migliore specchio e rispetto al quale l’intera classe politica di quelli che stanno in alto, oggi si sforza di somigliare.

O non si sono resi conto fino a che punto sono distrutte le basi di questo Stato? Come mantenere, riscattare o rinnovare un cadavere? Ed anche così, è molto tempo che la classe politica e gli analisti che l’accompagnano si impegnano invano ad imbalsamare le rovine.

Ma si capisce, l’ignoranza non è condannabile. Chiaro, a meno che si vesta di saggezza.

Non è possibile, diciamo noi, presentare qualunque tipo di soluzione al disastro dello Stato Nazionale senza toccare il sistema responsabile di questa rovina e dell’incubo che avvolge il paese intero.

Noi diciamo che ci sono le soluzioni, ma possono nascere solo dal basso, da una proposta radicale che non aspetta un consiglio di saggi per legittimarsi, ma è già in atto, cioè, si lotta in molti angoli del nostro paese. Pertanto, non è una proposta unanime nella sua forma, nel suo modo, nel suo calendario, nella sua geografia. Ma è plurale, includente, partecipativa. Niente a che vedere con le unanimità che pretendono di essere imposte da azzurri, gialli, rossi, verdi, rosa, e le varie comparse che li accompagnano.

Ma noi, ammettiamo che possiamo sbagliarci. Che può essere, è un’ipotesi, che la distruzione perpetrata lasci ancora un margine di manovra per rifare, dall’alto, il tessuto sociale.

Ma, invece di incoraggiare un dibattito serio e profondo, ci viene chiesto di tornare a tacere e, un’altra volta, ci si esorta di nuovo ad appoggiare i nostri persecutori, chi, per esempio, copre con le sue parole o il suo silenzio persone come Juan José Sabines Guerrero, chi dal governo del Chiapas persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi per le sue bugie fatte governo, chi persegue i difensori dei diritti umani sulla Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, chi fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste.

Chi realmente conosce quello che si sta facendo e disfacendo in Chiapas e non ha paura, ha così ribattezzato lo slogan di Sabines: “Disfatti, non parole”. Sabines Guerrero è ciò che meglio rappresenta la putrefatta classe politica messicana: ha l’appoggio del PAN, del PRI, del PRD e del movimento di AMLO; è generoso con i media perché dicano quello che gli conviene e tacciano su quello che non gli conviene; ha un aspetto inconsistente, un’immagine pronta a polverizzarsi in qualsiasi momento; e governa come se fosse il solerte capoccia di una tenuta porfirista.

Ed ancora ci viene chiesto di “fornire contributi critici e costruttivi” ad un movimento diretto e guidato per ripetere la stessa storia di oppressione, ma con altri nomi.

Quando capiranno che esistono individui, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, ai quali non interessa cambiare quello che sta sopra né rinnovare (cioè, riciclare) una classe politica parassita?

Noi non vogliamo cambiare tiranni, padroni o supremi salvatori, ma non averne nessuno.

Infine, se di qualcosa bisogna ringraziare là in alto, è che ancora una volta hanno rivelato la povertà teorica e l’evidente debolezza strategica di chi si proponeva e propone di mantenere, sostituire o riciclare quelli che stanno sopra per esorcizzare la ribellione di quelli che stanno sotto.

Credo sinceramente che una profonda riflessione critica dovrebbe cercare di allontanare lo sguardo dall’ipnotico carosello della classe politica e guardare ad altre realtà.

Che cosa hanno da perdere? In ogni caso, avranno più argomenti per auto-costituirsi come  “l’unica alternativa possibile”. Dopo tutto, le altre e gli altri sono così piccoli e (uffa!) così radicali.

Anche se a volte riescono a vedere ..…

Che l’eroico lavoro di collettivi anarchici e libertari per sottrarsi alla logica del mercato capitalista è effetto e causa di un pensiero radicale. E che il futuro scommette principalmente sul pensiero radicale. Cosicché farebbero bene a guardare con rispetto quel variopinto modo di avere identità propria: i piercing, i tatuaggi, le chiome multicolore e tutti quegli accessori che tanto gli fanno orrore.

O la lotta di organizzazioni sociali di sinistra indipendenti che scelgono di organizzare autisti, mini-micro-nano commercianti (…), invece di organizzare automobilisti, camere di commercio ed associazioni di categoria, e che possono rendere conto di cambiamenti importanti delle loro condizioni di vita. E non grazie all’assistenzialismo elettorale, ma attraverso l’organizzazione collettiva con progetti immediati, mediati e a lungo termine. Si mantengono indipendenti e così resistono.

O la leggendaria resistenza dei popoli originari. Se c’è qualcuno conosce dolore e lotta, sono loro.

O la degna rabbia delle madri e dei genitori di assassinat@, desaparecid@s, detenut@. Perché farebbero bene a ricordare che in questo paese non succede niente… fino a che le donne non decidono che succeda.

O l’indignazione quotidiana di opera@, impiegat@, contadin@, indigen@, ragazz@ di fronte al cinismo dei politici, senza distinzione di colore.

O la dura lotta delle lavoratrici e dei lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti nonostante, loro sì, avere contro una gigantesca campagna mediatica, repressione, prigione e minacce e vessazioni.

O la tenace lotta per la libertà de@ prigionier@ politic@ e la presentazione in vita dei desaparecidos.

O no? La democrazia che loro vogliono non è altro che un’amnesia amministrata a convenienza? Si seleziona cosa vedere, e così si sceglie che cosa dimenticare?

III. – L’INDIVIDUO CONTRO IL COLLETTIVO?

Nella sua missiva, Don Luis, lei tocca il tema dell’individuo e del collettivo. Una vecchia discussione di quelli che stanno sopra li contrappone, e l’hanno già usata per fare l’apologia di un sistema, il sistema capitalista, rispetto alle alternative che nascono in sua opposizione.

Collettivo, ci dicono, cancella l’individualità, la soggioga. Quindi, con un rozzo balzo teorico, si cantano le lodi del sistema dove, si ripete, qualunque individuo può diventare ciò che è, buono o cattivo, perché esiste la garanzia di libertà.

Mi rendo conto che questo concetto di “libertà” è qualcosa su cui bisognerebbe andare più a fondo, ma forse sarà in un’altra occasione, per ora torniamo all’individuo… o individua, secondo il caso o cosa.

Il sistema canta le lodi dell’individuo che sta sopra o di quello che sta sotto.

Di quello che sta sopra perché risaltando la sua individualità, buona o cattiva, efficiente o inefficiente, brillante od oscura, occulta la responsabilità di una forma di organizzazione della società. Così, abbiamo individui governanti cattivi… o più cattivi (scusate, non ne ho trovato nessuno che mi permettesse di dire “o buoni”), idem per individui di potere economico, eccetera.

Se l’individuo che sta sopra è perverso, volgare, crudele e ostinato (lo so, sembra il profilo di Felipe Calderón Hinojosa), quello che bisogna fare è eliminare questo individuo cattivo e mettere al suo posto un individuo buono. E se non ci sono individui buoni, allora il meno peggio (lo so, sembra che stia ripetendo lo slogan elettorale di 5 anni fa e che sta per essere riciclato).

Il sistema, cioè, la forma di organizzazione sociale, resta intatta. O soggetta alle variazioni permesse. Cioè, si possono fare alcuni cambiamenti, ma senza che cambi la cosa fondamentale: pochi che stanno sopra, molti che stanno sotto, e quelli che stanno sopra ci stanno a costo di quelli che stanno sotto.

Si plaude e si ammira l’individuo che sta sotto, perché la ribellione individuale non è in grado di mettere in serio pericolo il funzionamento di quella forma di organizzazione sociale. O lo si ridicolizza ed attacca, perché l’individuo è vulnerabile.

Mi permetta dunque un arbitrio retorico: diciamo che le aspirazioni fondamentali di ogni essere umano sono: vita, libertà, verità. E che forse si può parlare di una gradualità: miglior vita, più libertà, maggiore conoscenza.

È possibile che l’individuo possa raggiungere in pienezza queste aspirazioni e le sue rispettive gradualità a livello collettivo? Noi crediamo di sì. In ogni caso, siamo sicuri che non può raggiungerli senza il collettivo.

“Dove, con chi, contro che cosa?”. Queste, diciamo noi, sono le domande la cui risposta definisce il posto dell’individuo e del collettivo in una società, in un calendario ed una geografia precisi.

E non solo. Definiscono inoltre la pertinenza della riflessione critica.

Prima ho detto che queste riflessioni collettive non pretendono di arrivare alla verità in generale, ma vogliono allontanarsi dall’unanime bugia che ci vogliono imporre dall’alto.

-*-

Solo qualche parola sul lavoro e i sacrifici che ora sembrano solo di individui solitari.

A chi critica le diverse iniziative che, ancora disseminate, nascono dal dolore sociale, bisognerebbe ricordare che, giudicando e condannando chi fa qualcosa, assolve chi non fa niente.

Perché distruggere l’arbitrio, disorganizzare la confusione, fermare la guerra, sono compiti collettivi.

IV. – COSA ACCADRÀ.

Il mondo come ora lo conosciamo sarà distrutto. Sconcertati e malconci, non potranno rispondere niente ai propri vicini quando gli domanderanno “Perché?”

Prima, ci saranno mobilitazioni spontanee, violente e fugaci. Poi un riflusso che permetterà loro di tirare un respiro di sollievo (“pfuiii! è passata!”). Ma, poi arriveranno nuove sollevazioni, ma organizzate, perché vi parteciperanno collettivi provvisti di identità.

Allora, vedranno che i ponti che hanno distrutto, credendo che fossero stati costruiti per aiutare i barbari, non solo sarà impossibile ricostruirli, ma si accorgeranno che quei ponti c’erano anche per essere aiutati.

E loro diranno che verrà un’epoca di oscurantismo, ma non sarà altro che semplice rancore, perché la luce che volevano fermare e gestire non servirà assolutamente a quei collettivi che hanno fatto luce propria, e con essa ed in essa camminano e cammineranno.

Il mondo non sarà più lo stesso mondo. Nemmeno sarà migliore. Ma si sarà dato una nuova opportunità di essere il luogo in cui sia possibile costruire la pace con lavoro e dignità, e non un continuo andare contro corrente in un incubo senza fine.

Allora, messo in poesia, in una scritta su un muro distrutto si leggeranno le parole di Bertold Brecht:

Voi, che emergerete dalla marea nella quale noi siamo annegati, ricordate quando parlate delle nostre debolezze, anche i tempi bui ai quali voi siete scampati. Abbiamo camminato, cambiando più spesso i paesi delle scarpe, attraverso le guerre di classe, disperati, quando c’era solo ingiustizia e nessuna rivolta. Eppure sappiamo che anche l’odio verso la bassezza distorce i tratti del viso. Anche l’ira per le ingiustizie rende la voce rauca. Purtroppo, noi, che volevamo preparare il terreno per la gentilezza non potevamo essere gentili. Ma voi, quando sarà venuto il momento in cui l’uomo sarà amico dell’uomo, ricordate noi con indulgenza.

Bene Don Luis. La saluto e che non vinca di nuovo l’immobilismo.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Aprile 2011

P.S. – E per concludere questa missiva, la morte è arrivata un’altra volta col suo imprevisto passo. Felipe Toussaint Loera, un cristiano di quelli che credono nella necessità della giustizia terrena, se n’è andato un pomeriggio di questo caldo aprile. Di Felipe e di altr@ come lui abbiamo parlato in testi recenti. Egli è stato ed è parte di quella generazione di uomini e donne che sono stati dalla parte degli indigeni quando non erano ancora di moda, ed anche quando non lo erano più. Lo ricordo in una delle riunioni preparatorie dell’Altra Campagna, nel 2005, mentre ratifica il suo impegno nell’inscrivere la sua storia individuale nella storia di un collettivo che rinasce più volte. Salutiamo la sua vita, perché in vita, alle domande “dove?, con chi?, contro che cosa?” Felipe ha risposto: “in basso, con gli indigeni che lottano, contro il sistema che li sfrutta, li spoglia, li reprime e li disprezza”. Tutte le morti di sotto addolorano, ma ci sono alcune che dolgono più da vicino. Con quella di Felipe, è come se ci fosse mancato qualcosa di molto nostro.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/04/11/sci-marcos-de-la-reflexion-critica-individus-y-colectivs-carta-segunda-a-luis-villoro-en-el-intercambio-espistolar-sobre-etica-y-politica/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

Marcos: Gli avvoltoi politici scrutano Sicilia per capitalizzare la sua perdita

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 aprile. Proseguendo lo scambio epistolare col filosofo Luis Villoro, il subcomandante Marcos, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha diffuso oggi uno scritto nel quale riflette criticamente sulla violenza nel paese. Inizia con un riconoscimento al poeta Javier Sicilia e la lotta che sta portando avanti dopo l’omicidio di suo figlio Juan Francisco:

“Il dolore e la rabbia di Javier Sicilia (lontano pera distanza ma vicino da sempre per ideali) , si fanno eco che riverbera tra le nostre montagne. C’è d’aspettarsi e dà speranza che la sua leggendaria tenacia, così come ora convoca la nostra parola e azione, riesca a radunare le rabbie e dolori che si moltiplicano sui suoli messicani.

“Di don Javier Sicilia ricordiamo le sue critiche irriducibili ma fraterne al sistema di educazione autonoma nelle comunità indigene zapatiste e la sua ostinazione ricordando periodicamente, terminando la sua colonna settimanale sulla rivista messicana Proceso, la pendenza del compimento degli Accordi di San Andrés.

“La tragedia collettiva di una guerra insensata, concretata nella tragedia privata che l’ha colpito, ha messo don Javier in una situazione difficile e delicata. Molti sono i dolori che aspettano di trovare eco e volume nel suo reclamo di giustizia, e non sono poche le inquietudini che aspettano che la sua voce accorpi, che non guidi, le voci ignorate di indignazione.

“E succede anche che intorno alla sua figura ingigantita dal dignitoso dolore, volino gli avvoltoi mortiferi della politica dell’alto, per i quali una morte vale solo se somma o sottrae nei loro progetti individuali e di gruppuscoli, benché si nascondano dietro una rappresentatività”.

In uno scritto che comprende ampi riferimenti a José Emilio Pacheco e Bertolt Brecht, Marcos annuncia a Villoro che si sono uniti allo scambio epistolare altri autori: Raúl Zibechi, Sergio Rodríguez Lascano, Gustavo Esteva e Carlos Aguirre Rojas (i suoi “corrispondenti a Città del Messico, Oaxaca ed Uruguay”).

Critica inoltre il governo di Juan José Sabines Guerrero che “persegue e reprime chi non si unisce al falso coro di lodi alle sue menzogne fatte governo, che persegue i difensori dei diritti umani nella Costa e negli Altos del Chiapas e gli indigeni di San Sebastián Bachajón che si rifiutano di prostituire la loro terra, che fomenta l’azione di gruppi paramilitari contro le comunità indigene zapatiste”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

La lettera completa

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La Jornada – Mercoledì 13 aprile 2011

La dirigente del PRI, Arely Madrid, dichiara che difenderà Agua Azul “contro tutto e tutti”

Hermann  Bellinghausen. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 12 aprile. Il conflitto irrisolto a San Sebastián Bachajón (Chilón) non si deve, come hanno fatto intendere le versioni ufficiali, ad una presunta disputa per le cascate di Agua Azul, ma all’eventuale imposizione alle comunità indigene di un ambizioso progetto di costruzione di strade ed ecoturistico negli Altos e nella zona Nord dello stato.

Come parte del clima ostile contro L’Altra Campagna a San Sebastián, la deputata locale, ex segretaria di Governo e dirigente priista Arely Madrid Tovilla, lunedì ha dichiarato: “Bisogna difendere contro tutto e tutti il sito turistico di Agua Azul, e si legifererà in questo senso, se necessario”.

La presidentessa della Giunta di Coordinamento Politico del Congresso statale, ha anticipato che la legislatura locale potrebbe intervenire “quando riterrà necessario fare un accordo o presentare un’iniziativa del Congresso per preservare quegli spazi, che già da tempo (sic) sono stati dichiarati patrimonio del nostro stato e della nazione”.

La deputata ha poi detto quanto risaputo: che le cascate di Agua Azul sono un “baluardo turistico ed una delle principali bellezze naturali del Chiapas”. Sostiene che i deputati locali “conoscono perfettamente la situazione del luogo, anche se non sono autorizzati ad intervenire a meno che non venga indicato loro”. Questo, senza precisare chi “indicherebbe” di intervenire ai legislatori.

Quello che né lei né nessuno altro dice, è che non esiste nessuna contesa per lo stabilimento balneare, gestito da decenni dagli ejidatarios di Agua Azul (municipio di Tumbalá). Il posto conta su buone infrastrutture, regolare aiuti governativi ed ha sempre avuto un botteghino di riscossione all’ingresso, gestito dagli stessi ejidatarios “turistici”, come vengono formalmente definiti.

Il “conflitto” in atto nel vicino ejido di San Sebastián non ha niente a che vedere con quanto detto sopra. Per anni, centinaia di migliaia di turisti che visitano il sito anno dopo anno, lo fanno attraversando le terre di San Sebastián, ai cui abitanti fu imposta quella strada di accesso, per la quale incassano invece i vicini, beneficiari inoltre dei guadagno dallo stabilimento balneare stesso.

Quando l’ejido di San Sebastián ha aderito all’Altra Campagna, ha deciso di sviluppare pratiche autonome e si è coordinato (come altre comunità indigene dell’Altra Campagna in Chiapas) con le giunte di buon governo dell’EZLN. Uno dei suoi progetti era installare un secondo botteghino, per far pagare l’uso del suo territorio per l’accesso dei visitatori alle spettacolari cascate, perché la strada di 4 chilometri che conduce allo stabilimento balneare, che si trova sul suo territorio, serve solo per questo e per il transito della popolazione locale, che non paga nessun pedaggio.

Da allora, gli ejidatarios del PRI, o i filogovernativi (PVEM, PAN e PRD) di Agua Azul e San Sebastián, ed i governi municipali di Chilón e Tumbalá, hanno realizzato o appoggiato diverse aggressioni, non per far ritirare il nuovo botteghino, ma per appropriarsene, e non per ripartire il ricavato tra tutti gli ejidatarios, ma per concentrarlo solo in poche mani. Oggi è tutto nelle mani della segreteria statale del Fisco. Un altro spazio che è in disputato è la cava di sabbia dell’ejido, ripetutamente invasa dai filogovernativi, sempre con il sostegno della Segreteria di Governo e della polizia municipale, statale e federale.

L’Esercito Messicano ha una postazione fissa a Xanil, dentro San Sebastián, ed è in questa comunità dove si orchestrano azioni contro gli ejidatarios dell’Altra Campagna e perfino contro le basi di appoggio zapatiste della regione autonoma di San José en Rebeldía, parte del municipio zapatista Comandanta Ramona, appartenente al caracol di Morelia.

Il nocciolo della questione va molto oltre. Presso i governi federale e statale giace il progetto, fino ad ora monco, di costruire un’autostrada privata, di altura, tra San Cristóbal e Palenque, per rilanciare il turismo, e che ha ad Agua Azul, insieme alla zona archeologica di Palenque, i suoi due “gioielli”. Gli ejidatarios dell’Altra Campagna in diverse comunità della regione, come Jotolá e Mitzitón, si oppongono a queste opere che, sostengono, distruggeranno terre, sorgenti e spazi comunitari. Per questi motivi è in corso il conflitto, non per lo stabilimento balneare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/13/index.php?section=politica&article=023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 12 aprile 2011

In Chiapas vengono minacciati di arresto coloro che aiutano i membri dell’Altra Campagna

Hermann Bellinghausen.San Cristóbal de las Casas, Chis. 11 aprile. I gruppi filogovernativi dell’ejido di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), secondo la versione degli ejidatarios dell’Altra Campagna, hanno minacciato di “catturare” i difensori dei diritti umani e le persone che danno solidarietà concreta. Sebbene gli avvocati dei cinque indigeni detenuti non hanno mai smesso di svolgere il loro lavoro, di fatto lo fanno a loro rischio. Non molto tempo fa, alcuni avvocati della costa chiapaneca sono stati arrestati nello svolgimento del loro lavoro.

Questo trattamento si estende agli osservatori civili e dell’Altra Campagna, alla stampa alternativa e commerciale, e potenzialmente agli stessi turisti che tanto si adulano ufficialmente e che accorrono in gran numero alle cascate, e tanto più ora che si avvicina il periodo vacanziero. Le minacce sono giustificate col  pretesto che questi “stranieri” sarebbero la causa del “problema”.

Minacce simili hanno sono circolate recentemente a Mitzitón, un’altra comunità dell’Altra Campagna che si oppone a progetti di strade e turistici del governo ed agli investitori privati. A Bachajón si riproduce all’interno dell’attuale occupazione poliziesca di alcune località iniziata il 2 febbraio e che si è acutizzata l’8 aprile con l’intervento di centinaia di poliziotti e militari per riprendere il controllo del botteghino di ingresso di San Sebastián – fugacemente recuperato la sera prima dagli ejidatarios dell’Altra Campagna che l’hanno costruito – alle cascate del vicino ejido di Agua Azul (Tumbalá), che ha un proprio botteghino di ingresso.

Nei diversi “conflitti” o “problemi” comunitari in corso, relazionati con le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) o dell’Altra Campagna, emerge un modello, tanto nell’ostilità e nell’aggressione dei gruppi filogovernativi verso gli autonomi, quanto nel chiaro intervento statale, sia di carattere repressivo oppure di “politica sociale”.

La strategia contrainsurgente non è nuova, semplicemente si evolve e diventa più evidente. A San Sebastián si è osservato che gli ex aderenti dell’Altra Campagna che hanno abbandonato la resistenza, godono di privilegi e protezione statale maggiori di quelli dispensati ai gruppi filogovernativi e legati ai partiti politici.

Questo spiega perché, dopo la loro defezione, nel gennaio scorso abbiano potuto occupare impunemente una fattoria nel municipio di Sitalá. Poche settimane dopo attaccarono con le armi il botteghino di riscossione dell’Altra Campagna, lo occuparono per poche ore e poi lo consegnarono al governo statale.

Col nuovo e schiacciante operativo poliziesco-militare del fine settimana per sottrarre il botteghino agli ejidatarios tzeltales, si è resa palese la connivenza tra i poliziotti e questi ex aderenti, così come dei membri del Partito Verde Ecologista del Messico, al punto che hanno fatto da guide nella notte di venerdì per entrare ad Agua Azul e per andare la mattina seguente a San Sebastián, circondarlo ed attaccare a sassate oltre mezzo migliaio di indigeni che si trovavano nella zona.

L’aggressione di sabato è arrivata da tre diversi sentieri, ma le famiglie dell’Altra Campagna sono riuscite a scappare dai loro villaggi, evitando di “cadere nella provocazione”, come hanno affermato domenica scorsa.

È noto come in certi ambienti della resistenza, come il municipio autonomo di Polhó e Las Abejas di Acteal (dell’Altra Campagna), la pressione dei programmi governativi sia forte, quasi ossessiva. Lì, come a San Andrés o El Bosque, le diserzioni sono quotate molto alte. La Jornada ha raccolto testimonianze che lo confermano.

Solo domenica, la giunta di buon governo di La Garrucha denunciava le minacce e le pressioni che ricevono le sue basi di appoggio nell’ejido di Cintalapa, i cui abitanti potrebbero essere spogliati delle terre questa stessa settimana per non aver consegnato il loro certificato elettore ai priisti, non aver chiesto né accettato gli aiuti governativi e per mandare i loro figli alle scuole autonome. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/12/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 aprile 2011

La JBG denuncia pressioni del governo contro le basi zapatiste di Cintalapa

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 de abril. La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, con sede nel caracol zapatista di La Garrucha, denuncia la volontà di spogliare delle loro terre e dei diritti ejidali le basi di appoggio zapatiste di Cintalapa (Ocosingo), nella selva Lacandona, se queste non rinunceranno alla resistenza.

Le autorità dell’ejido Cintalapa e i tre livelli di governo “stanno obbligando i nostri compagni a pagare le imposte di proprietà della terra”, dice la JBG. A metà di marzo, le autorità priiste e paniste hanno chiesto alle basi di appoggio zapatiste una copia del loro certificato elettore “per sollecitare un progetto, pagare l’imposta della terra ed ottenere il certificato agrario”.

Hanno inoltre detto loro che avrebbero dovuto obbedire alle autorità, frequentare le scuole ufficiali e pagare per le cooperazioni. Gli zapatisti non hanno accettato, “perché sono in resistenza e non ricevono niente dal malgoverno”. Inoltre, sottolinea la JBG, “hanno le proprie autorità ed educazione autonome (del municipio ribelle Ricardo Flores Magón) e si vede perché debbano essere obbligati a svolgere lavori di cui non beneficiano”.

Il 26 marzo la JBG ha mandato un comunicato all’ejido “chiarendo che le basi di appoggio dell’EZLN sono in resistenza e non pagano imposte”. Il giorno 29, le autorità priiste hanno convocato un’assemblea. Lì, “a Herlindo López Pérez e Macario Juárez Núñez, al tavolo direttivo, non piaceva” quello che dicevano gli zapatisti, “e così hanno cominciato a fare pressioni all’assemblea ed i compagni sono stati obbligati a parlare uno per volta e dire  che cosa volevano, di parlare chiaro, se volevano le loro terre oppure no, ed i compagni hanno risposto che si sarebbero opposti”.

Le autorità ejidali volevano obbligarli a firmare un verbale d’accordo “contrario all’autonomia e alla resistenza”, denuncia la JBG. “I compagni non hanno firmato, le autorità si sono arrabbiate e con parole minacciose hanno detto che li avrebbero privati dei loro diritti, che sarebbero stati spodestati dall’ejido e che avevano cinque giorni per pensarci”.

Queste sono le “provocazioni” delle autorità ejidali di Cintalapa “insieme a quei falsi malgovernanti federali, statali e municipali”, ha dichiarato la JBG. “Come basi di appoggio dell’EZLN, denunciamo energicamente la politica del malgoverno che sta generando disinformazione per confondere la gente onesta che lotta e resiste; il suo piano di contrainsurgencia è creare terrore e paura; usa le persone che si vendono per pochi soldi”.

Bisogna dire che l’ejido di Cintalapa si trova nelle vicinanze della riserva dei Montes Azules, a nord della selva Lacandona, e per molti anni è stata anche una base di operazioni dell’Esercito federale che da lì ha svolto un’intensa attività contrainsurgente che ha profondamente segnato questa comunità tzeltal e ha dato origine alla presenza, almeno occasionale, di paramilitari.

“Noi zapatisti manteniamo con fermezza la dignità e la resistenza, e difenderemo i nostri compagni nonostante il malgoverno tenti di distruggerci con inganni ed elemosine”, dichiara la JBG. “Non ci arrendiamo, non ci vendiamo né tentenniamo. Qui siamo e qui proseguiremo. Non permetteremo che questi priisti perseguitino i nostri compagni in resistenza. Difenderemo i loro diritti perché sappiamo che questo è un piano del governo. Non pagheremo le imposte di proprietà né per l’energia elettrica, non daremo niente al malgoverno perché noi non stiamo ricevendo niente”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/11/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 aprile 2011

Gli indigeni riprendono il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios tzeltales aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, la mattina venerdì scorso hanno ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul del loro ejido, nel luogo in cui il governo nel febbraio scorso aveva installato un “modulo di assistenza civica”, dopo che un gruppo di indigeni definiti filo-governativi si era impossessato violentemente dello stesso lo scorso 2 febbraio.

I rappresentanti dell’Altra Campagna hanno comunicato per via telefonica, e poi attraverso un comunicato, che il botteghino era stato ripreso da “uomini e donne dell’Altra Campagna ormai stanchi del processo di dialogo che il governo ha lanciato a modo suo e che attualmente tiene sotto sequestro cinque compagni detenuti a Playas de Catazajá”. (…)  Intanto, questo pomeriggio, come riferisce Indymedia Chiapas, si registrava il passaggio di pattuglie e di almeno otto camion con decine di poliziotti in tenuta antisommossa e si osservavano inusuali movimenti militari ad Ocosingo e Chilón in direzione a San Sebastián. (…)http://www.jornada.unam.mx/2011/04/09/index.php?section=politica&article=016n1pol

La Jornada – Domenica 10 aprile 2011

Poliziotti sgomberano a sassate gli indigeni chiapanechi. Hanno partecipato all’operativo agenti federali e perfino i militari. Almeno tre indigeni risultato desaparecidos

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 aprile. A sassate, e aprando almeno 15 colpi in aria, agenti di polizia federali e statali, appoggiati da truppe federali, hanno costretto a fuggire circa 600 contadini tzeltales da San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, che la mattina di ieri avevano ripreso il controllo del botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul, che gli era stata sottratta due mesi fa da gruppi di indigeni del PRI e del PVEM, i quali l’avevano poi consegnata al governo dello stato. (…)  Anche se fino ad ora non si registrano feriti né arresti, tre indigeni risultano scomparsi. Per molte ore i poliziotti hanno impedito l’ingresso dei turisti alle cascate

http://www.jornada.unam.mx/2011/04/10/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 aprile 2011

L’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura chiede la garanzia dell’integrità dei 5 tzeltales

Hermann Bellinghausen

La Segreteria Internazionale dell’Organizzazione Mondiale Contro La Tortura (OMCT) di Ginevra, Svizzera, esprimeo la sua preoccupazione per i cinque contadini tzeltales detenuti in Chiapas, tra loro un minorenne, abitanti dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), e denuncia le deplorevoli condizioni in cui si trovano in carcere.

Segnala che i quattro adulti – Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez – rinchiusi nel Centro Statale di Reinserimento Sociale No. 17, nel municipio di Playas de Catazajá, “hanno denunciato vessazioni da parte del giudice”, che li ha minacciati di mandarli “in cella di punizione”.

L’OMCT sottolinea che: “Si teme che le minacce e le vessazioni si debbano alle azioni di solidarietà che si stanno svolgendo a favore dei detenuti, in particolare con la campagna ‘5 Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón’ realizzata tra il 1° ed il 5 aprile”. L’organizzazione aggiunge che i detenuti “sono obbligati a svolgere lavori umilianti perché si rifiutano di pagare la quota ‘all’autogoverno’ del centro di detenzione e per difendere il loro diritto ad un trattamento dignitoso”.

Il minorenne Mariano Demeza Silvano resta nel Centro di Internamento Minorile Villa Crisol (municipio di Berriozábal), poiché la procura di giustizia statale ha fissato una cauzione di 22 mila pesos (1.300 euro), somma che i suoi famigliari non possono pagare”.

La Segreteria Internazionale dell’OMCT condanna “ogni violazione dei diritti umani” nel caso; “in particolare la mancanza al giusto processo, il diritto alla presunzione di innocenza ed alla dovuta tutela giudiziaria” degli ejidatarios arrestati a febbraio.

Esprime inoltre preoccupazione per la sicurezza e l’integrità fisica e psicologica di queste persone, e sollecita le autorità statali e federali a garantirla. D’altra parte, sollecita le autorità a rimettere in libertà Demeza Silvano, ancora detenuto con le stesse accuse degli ejidatarios già messi in libertà. Il governo messicano deve “rispettare i suoi obblighi in virtù dei diritti fondamentali su scala internazionale e regionale”. In questo caso, lo esorta “ad operare in conformità alla Convenzione sui Diritti del Bambino”.

L’organizzazione internazionale riconosce l’esistenza di un conflitto tra gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna ed il governo del Chiapas intorno all’amministrazione e l’utilizzazione delle risorse naturali che si trovano nell’ejido di San Sebastián. Il 6 febbraio, il governo del Chiapas aveva annunciato l’inizio di un tavolo di dialogo, al quale gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna si sono rifiutati di partecipare. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/08/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 aprile 2011

Le donne chiapaneche in resistenza lanciano l’allarme sulla crescente violenza nell’entità

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Coordinamento delle Donne in Resistenza, riunito a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, “per analizzare la situazione di violenza nelle nostre comunità”, denuncia le “gravi minacce di morte e aggressione” contro Rosa Díaz Gómez, aderente dell’Altra Campagna nella comunità Jotolá, municipio di Chilón. Minacce ancora più preoccupanti perché il 31 marzo scorso sono stati liberati sotto cauzione, da un giudice di Ocosingo, i suoi aggressori Juan Cruz Méndez, Medardo Cruz Méndez, Alfonso Cruz Cruz, Eleuterio Cruz Cruz y Melecio Cruz Guzmán”.

“La nostra compagna ha il fondato timore di essere nuovamente aggredita”. Ricordano che il 24 marzo 2010, Díaz Gómez era stata aggredita da un gruppo conosciuto come “I Cruz Méndez”. Quel giorno circondarono la sua casa e la colpirono a sassate. “Picchiavano violentemente contro la casa con i machete, hanno rotto le finestre e la serratura della porta riuscendo ad entrare distruggendo tutto quello che c’era”.

Le persone identificate come Juan, Jerónimo, Medardo e Tello “hanno puntato le armi contro Rosa ed hanno cominciato a colpirla in viso, braccia, gambe, schiena, costole, addome e stomaco, lasciandola gravemente ferita”. L’aggressione sarebbe avvenuta perché “era entrata in un’organizzazione e lottava per i suoi diritti, in particolare per la terra”. Nonostante la denuncia penale dei fatti, “non le è stato garantito l’accesso alla giustizia”.

Il coordinamento delle donne ritiene responsabile il “malgoverno” di qualsiasi cosa possa accadere a Rosa, “perché invece di cercare una soluzione al problema, amministra i fatti per trarne vantaggio e non gli importa della vita e della sicurezza delle nostre compagne” di Jotolá. Chiede che si “puniscano veramente i responsabili”, appena liberati e si garantiscano la vita e l’integrità fisica della donna tzeltal, “mettendo fine alla persecuzione”.

Pascual Sánchez Pérez, commissario ejidale di Jotolá, si è messo contro di lei per toglierle la terra, “eseguendo le intenzioni degli scarcerati che abbiamo citato prima”.

Da parte loro, i detenuti di San Sebastián Bachajón, aderenti dell’Altra Campagna, denunciano i maltrattamenti ricevuti nella prigione di Playas de Catazajá: “In primo luogo ci tengono sequestrati dal 2 febbraio per aver difeso le nostre terre”. Chiedono la loro liberazione, “perché siamo stanchi dei maltrattamenti”. Sostengono di ricevere il pasto solo una volta al giorno, “riceviamo pochissima acqua e stiamo male per il cibo cattivo e la mancanza di medicine”. Le autorità carcerarie inoltre impediscono ai loro familiari di portare il cibo ed umiliano i visitatori, “facendoli spogliare” durante le perquisizioni.

Dall’ejido di San Sebastián, la comunità chiede “stop alla repressione contro L’Altra Campagna”, il ritiro dei poliziotti installati nell’ejido ed il rispetto all’autonomia nel controllo e la preservazione delle nostre risorse naturali”. Respingono “il progetto del neoliberismo ad Agua Azul” ed esigono dal governo la liberazione dei loro cinque compagni “prigionieri politici”.

A conclusione delle giornate internazionali “5 giorni per i 5 prigionieri di Bachajón”, si sono svolte manifestazioni pubbliche a Barcellona e Bilbao; in entrambe le città sono state consegnate delle lettere ai consoli del Messico nelle quali si chiede la liberazione di Mariano Demeza Silvano, Domingo Pérez Álvaro, Domingo García Gómez, Juan Aguilar Guzmán e Jerónimo Guzmán Méndez, e di cessare la persecuzione contro le comunità dell’Altra Campagna in Chiapas.

A Parigi si sono mobilitati il Comitato di Solidarietà con i Popoli del Chiapas in Lotta, il gruppo Les Trois Passants ed il Comitato di Solidarietà con gli Indigeni delle Americhe, realizzando momenti informativi in spazi pubblici della capitale francese e con trasmissioni via radio. Analoghe manifestazioni si sono svolte a Calcutta, India, Madrid, Spagna e in diverse città britanniche. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/07/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 aprile 2011

Il Frayba smonta le accuse contro gli indigeni tzeltales arrestati

Non erano sul luogo dei fatti, afferma, e sono in prigione “per motivi politici”

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) conferma che Jerónimo Guzmán Méndez, Juan Aguilar Guzmán, Domingo Pérez Álvaro e Domingo García Gómez, campesinos tzeltales di San Sebastián Bachajón (Chiapas), aderenti all’Altra Campagna, “sono prigionieri politici, poiché secondo la documentazione raccolta, il 2 febbraio non si trovavano sul luogo dei fatti”, il giorno in cui il botteghino ejidale di accesso al sito turistico è stato assaltato da un gruppo filogovernativo, con il consenso della polizia statale e dell’Esercito federale.

Gli indigeni sono stati arrestati il giorno dopo, insieme ad altri 113 ejidatarios che sono stati rilasciati dopo pochi giorni. Durante gli interrogatori, la Procura Generale di Giustizia dello Stato non ha fornito agli indigeni interpreti esperti e sono state fatte firmare loro delle dichiarazioni senza spiegazioni delle accuse, in violazione al diritto al giusto processo e le garanzie giudiziarie”.

Il Frayba sottolinea: “I presunti testimoni contro i prigionieri politici, erano tra i partecipanti allo sgombero violento del botteghino il giorno 2. Secondo le testimonianze, erano armati”. Il gruppo era guidato da Carmen Aguilar Gómez “che, secondo i testimoni, per molti mesi si era  incontrato in diverse riunioni col segretario di Governo Noé Castañón León”.

E cita le testimonianza degli accusati che provano che non hanno mai commesso i reati imputati. Domingo Pérez Álvaro riferisce che quel giorno era ad Ocosingo per chiedere aiuti ed evitare che gli ejidatarios cadessero “nella provocazione della gente del Goyito” (dirigente filogovernativo). Lì ha incontrato Carlos Solórzano Arcea, sottosegretario di Governo, che “ha contattato il segretario di Governo avvisandolo che era con lui”.

Domingo García Gómez conferma che in quella data non era sul luogo dell’aggressione contro i suoi compagni “perché ero nella mia piantagione di caffè con mio figlio Domingo e sua moglie”. Era stato avvisato della riunione al botteghino, “ma eravamo d’accordo di finire il taglio del caffè, per questo dissi a mio figlio di non andare alla riunione”.

Juan Aguilar Guzmán sostiene che nemmeno sapeva cosa era successo “perché mi avevano incaricato di andare al caracol zapatista con la giunta di buon governo, ed era già notte quando sono tornato a casa mia”. Gerónimo Guzmán Méndez dice: “Sono uscito di casa a Kakate’el alle 6 del mattino col mio camioncino, dove ho caricato otto persone a Chilón”. Al ritorno “la strada era bloccata dai filogovernativi e per timore che danneggiassero il mio veicolo, mi sono diretto Sacj’ún”. “Sono arrivato all’incrocio di Agua Azul alle 8 di sera”.

Mariano Demeza Silvano (17 anni) è accusato degli stessi reati (attentati contro la pace e l’integrità fisica ed il patrimonio dello stato) dei 113 fermati inizialmente. Il Frayba ritiene “che sia stata data una condanna eccessiva ad un minorenne”: nemmeno lui h avuto l’assistenza di un interprete specializzato “ed è stato obbligato a firmare una dichiarazione dove gli vengono imputati reati che non ha commesso”.

Secondo la denuncia, i detenuti sono “privati arbitrariamente della libertà”. In questo modo “il governo dello stato li pressa affinché partecipino al ‘Tavolo di dialogo ed accordo del centro turistico Agua Azul’ “, e cedano così la gestione del botteghino di ingresso. Inoltre, non sono state prese in considerazione prove e testimoni a favore dei detenuti, “soggetti a persecuzione e ricatti” dei funzionari statali “che condizionano la loro libertà al ‘dialogo’ ed alla consegna del territorio”.

Nel chiedere la “liberazione immediata” dei cinque detenuti di Bachajón, il Frayba chiede “un’investigazione imparziale, immediata, seria ed esaustiva per identificare gli autori materiali dell’assassinio di Marcos García Moreno e del ferimento di Tomás Pérez Deara”. Inoltre, che cessi la persecuzione contro i popoli attraverso strategie per imporre a comunità ed organizzazioni “condizioni e progetti governativi in cambio del controllo delle loro risorse naturali”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/06/index.php?section=politica&article=020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 5 aprile 2011

Proteste degli aderenti dell’Altra Campagna nel Consolato messicano di New York

Hermann Bellinghausen

Il Movimento per la Giustizia del Barrio di New York, aderente all’Altra Campagna, lunedì ha occupato pacificamente gli uffici del consolato del Messico per chiedere al governo del Chiapas la liberazione dei “cinque di Bachajón”. Questo, come parte della campagna mondiale che dal 1° aprile scorso si sta svolgendo in diversi Paesi.

Si sono svolte manifestazioni davanti all’ambasciata del Messico a Londra ed al consolato di Montreal (Canada). Domenica scorsa la Unione Sindacale Solidale riunita a Parigi, ha chiesto la liberazione dei cinque campesinos tzeltales di San Sebastián Bachajón, Chiapas, in carcere da due mesi con l’accusa di reati che non hanno commesso. L’associazione Ya Basta! nel fine settimana ha partecipato ad una manifestazione contro la guerra in diverse città italiane ed ha posto la liberazione degli indigeni tra le istanze delle mobilitazioni.

“L’occupazione” a New York, è avvenuta dopo che gli attivisti, “come tutti gli altri messicani che devono fare la coda per entrare, abbiamo scavalcato un vero e proprio muro di guardie”, hanno raccontato successivamente. “Con striscioni e volantini e gridando slogan, abbiamo chiesto che si presentasse il Console per leggergli una lettera di denuncia della violenza e dell’ingiustizia esercitata dal malgoverno contro la comunità di Bachajón e per chiedere al governo di liberare immediatamente i cinque compagni prigionieri politici. Le guardie hanno tentato più volte di cacciarci dall’edificio, ma senza riuscirci”.

Dalla prigione di Playas de Catazajá, i detenuti aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), hanno inviato una lettera alle organizzazioni solidali nel mondo, con la richiesta di essere liberati “senza condizioni del governo”, dichiarando: “Noi siamo in lotta”.

I “prigionieri politici” Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro e Domingo García Gómez, “sequestrati in questo carcere n. 17 (Playas de Catazajá) ed un altro a Villa Crisol, Mariano Demeza Silvano”, ribadiscono la loro denuncia contro il “malgoverno federale e statale per la costruzione de botteghino di ingresso nell’ejido San Sebastián Bachajón, nel territorio degli aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, senza l’autorizzazione degli ejidatarios” (i quali, inoltre, avevano un proprio botteghino).

Dichiarano che il governo “ha voluto distruggere l’organizzazione per difesa della terra, per occupare le ricchezze naturali e la riserva delle Cascate di Agua Azul ed introdurre il progetto transnazionale Visión 2030. Viviamo per la terra, siamo gente di campagna e difendiamo le terre che ci hanno lasciato i nostri nonni”. Questo “al governo non piace” e per questo  “ci tiene sequestrati dal 3 febbraio, per non accettare il dialogo e l’accordo di consegnare nelle sue mani le risorse naturali”.

Accusati di reati “che loro stessi [il governo] hanno fabbricato”, i detenuti ricordano che “il giorno dei fatti, un gruppo del Partito Verde Ecologista del Messico è venuto sul posto a provocare e rubare, bloccando il passaggio per il sito turistico ed addossandoci la colpa”. In quei fatti ha perso la vita uno degli aggressori, in condizioni non chiare.

“Siamo d’accordo di fare giustizia in maniera trasparente, ma non che ci addossino la colpa, perché il giorno dei fatti nessuno dei cinque si trovava sul posto”, aggiungono i detenuti.

Da San Sebastián, gli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna denunciano che i loro compagni, “arrestati ingiustamente, sono usati per farci pressione e firmare l’accordo dove il governo si vuole impossessare delle nostre terre”. Sottolineano che li “riempie di orgoglio e felicità” sapere che a New York li “stanno appoggiando nella lotta per la difesa delle terre e del territorio e la costruzione della nostra giusta autonomia”. D’altra parte, “ci riempie di rabbia sapere che questo malgoverno di Juan Sabines Guerrero, nonostante la violenza, non gli importa la vita di esseri umani come noi”.

Da parte sua, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, ha annunciato la nascita di un blog per “condividere le azioni di solidarietà nazionale ed internazionale con questo caso concreto: http://solidaridadchiapas.wordpress.com “.

Ci sono proteste anche in India, Sudafrica, Italia, Austria, Colombia, Filippine, Porto Rico, Francia, Svizzera, Canada, Spagna eArgentina. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/05/index.php?section=politica&article=018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 5 aprile 2011

Inizia la campagna di cinque giorni per chiedere la liberazione degli indigeni tzeltales detenuti in Chiapas

Collettivi nazionali e internazionali realizzeranno proteste in favore dei cinque campesinos

Hermann Bellinghausen

Collettivi dell’Altra Campagna, in particolare della Zezta Internazionale, hanno iniziato una serie di azioni di protesta su scala nazionale e mondiale per chiedere la liberazione dei cinque contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón, Chiapas, detenuti da febbraio nella prigione di Playas de Catazajá.

“In diverse parti del pianeta, molta gente di buon cuore organizzerà azioni per chiedere la liberazione di questi prigionieri politici”. Per i “Cinque Giorni di Azione Mondiale per i 5 di Bachajón”, dal primo al 5 aprile, si sono uniti gruppi e collettivi di Messico, India, Sudafrica, Italia, Austria, Colombia, Filippine, Porto Rico, Francia, Svizzera, Canada, Stato Spagnolo, Argentina e Stati Uniti. Solo nel Regno Unito si prevedono proteste a Londra, Manchester, Glasgow, Dorset, Edimburgo e Lancaster.

Secondo Giustizia per il Barrio di New York, queste azioni chiederanno “al presidente panista repressore Felipe Calderón Hinojosa ed al governatore perredista repressore Juan Sabines Guerrero” la liberazione di questi “prigionieri politici”.

A Jalapa, Veracruz, i collettivi Independencia, Nauatik e Zapateando hanno dichiarato che a febbraio e marzo, i governi federale e chiapaneco hanno compiuto aggressioni contro le comunità dell’Altra Campagna “con la partecipazione dell’Esercito, della polizia federali e statale, del gruppo paramilitare Ejército de Dios e di altri gruppi priisti”, “puntando i riflettori su una realtà che non è terminata col cambiamento di colore al potere: la violenza di Stato ed i prigionieri di coscienza”.

Riferiscono dello “scontro provocato da un gruppo di scontro con un saldo di un morto e diversi feriti al botteghino di ingresso alle Cascate di Agua Azul, e l’aggressione contro gli ejidatarios di Mitzitón (3 e 13 febbraio, rispettivamente) dove ci sono stati 136 arresti, 117 di loro di San Sebastián”. A questo si sono sommati altri 19 arrestati il 22 febbraio a Pijijiapan, membri del Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa del Chiapas, e tre avvocati del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa.

Le mobilitazioni locali, nazionali ed internazionali “hanno costretto alla liberazione della maggioranza di loro, ma rimangono ancora in carcere i cinque di Bachajón che si sommano alle decine di prigionieri di coscienza che scontano ingiuste condanne nelle carceri del Chiapas”, come i membri di La Voz del Amate, i loro simpatizzanti e gli ejidatarios di Mitzitón.

I detenuti organizzati nella Voz del Amate hanno realizzato scioperi della fame “senza alcuna risposta da parte del governo, ma solo con altra repressione e campagne di stampa in cui il governatore si auto-elogia come ‘avanguardia nei diritti umani’ “. E concludono: “Questo è il vero volto della criminalizzazione degli attivisti sociali. Il governo crea ed amministra conflitti per rispettare la sua agenda di saccheggio e privatizzazione del territorio”. http://www.jornada.unam.mx/2011/04/02/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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