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Archive for gennaio 2014

La Jornada – Giovedì 30 gennaio 2014

La promozione dei programmi federali in Chiapas provoca divisioni tra le comunità

Hermann Bellinghausen. Inviato. Nuevo Jerusalén, Chis. 29 gennaio. Divisione all’interno delle comunità, perfino tra le famiglie. Promesse consumistiche ed offensive. Distribuzione di assegni. Condizionamento di programmi. Minacce velate e non tanto. Compreso gli inviati federali che promuovono il Fondo de Apoyo para Núcleos Agrarios sin Registro (FANAR, successore del Procede), che si presentano a negoziare offrendo bevande alcoliche, come è successo alla fine del 2013 a Joltulijá, una bella comunità con due lagune dal pericoloso potenziale turistico.

“Sono arrivati ad offrire alcolici ai commissari che li hanno rifiutati dicendo ‘noi stiamo cercando di far smettere alla gente di bere e voi ci venite ad offrire alcool?’ “, racconta un anziano della comunità. In maggioranza siamo in resistenza, ma qualcuno, alle nostre spalle, ha chiesto di ottenere titoli di proprietà al governo che vuole solo derubarci. La sua pressione è grande per l’interesse turistico della zona. Arrivano con funzionari pubblici e per spaventarci ci dicono che manderanno l’Esercito se non accettiamo. In effetti, era arrivato un distaccamento dell’Armata, ma di fronte al rifiuto degli indigeni si è ritirato.

Gli indigeni indicano come responsabili diretti di questa operazione, l’ispettrice agraria Rita Guadalupe Medina Septién e l’avvocato Juan René Rodríguez, entrambi della Procura Agraria di Ocosingo, accompagnati da funzionari del Registro Agrario Nazionale (RAN). Non sono stati ricevuti a in Arroyo Granizo, La Arena, San José Guadalupe e Limonar, mentre sono stati accolti a Nuevo Francisco León y Lacanjá Tzeltal, dove si sono recati ad ottobre. Al loro passaggio, i funzionar lasciano divisioni, a volte di false tinte religiose perché normalmente programmi vengono accettati da persone di confessione evangelica. Se quelli che si oppongono sono cattolici (e non pochi presbiteriani), le divergenze e gli scontri sono garantiti: Ci sono già stati conflitti, perfino tra fratelli. Si dividono le autorità ejidales. Si minacciano tra loro.

Si sono presentati a Nuevo Francisco León in settembre, “a parlare del FANAR, promettendo aiuti, crediti, ed anche se non abbiamo soldi, possiamo andare ai magazzini Elektra a comprare un frigorifero. ‘Ne ricaverete molti benefici se accetterete i progetti del governo’, ci dissero”.

La successione delle testimonianze ha la forza della reiterazione, la conferma del perché le comunità nella selva Lacandona nord rifiutano i procedimenti di titolazione e regolarizzazione agraria spinti dal governo. Molte di loro si trovano, almeno in parte, dentro la cosiddetta zona di contenimento della riserva dei Montes Azules. Per molti anni i governi hanno tentato di limitare i loro diritti territoriali, o di sottrarli. Basti dire che in questa zona ci sono anche numerose basi di appoggio zapatiste che respingono qualunque intromissione governativa, non accettano programmi e difendono il loro territorio.

Ma come dice una donna di Lacanjá Tzeltal, la pressione governativa è servita ad unire cattolici e presbiteriani, molti priisti hanno lasciato il partito a causa del FANAR. Non c’è accordo ma hanno già fatto i rilievi della terra che non è stata consegnata. Li possiamo ancora fermare. Molti si stanno pentendo.

Gli inviati governativi dicono che le vecchie visure non sono più valide. Inoltre, condizionano visure e programmi, come il Procampo, all’accettazione del FANAR. Violano la Legge Agraria poiché senza convocare assemblee per l’approvazione del programma, implementano le regole del FANAR. Le loro azioni fuori della legge hanno causato divisioni.

I ribelli di Nuevo Francisco León e Lacanjá Tzeltal hanno chiesto alla Procura Agraria il rispetto dei diritti agrari e che attraverso i programmi non si vada a cambiare il regime ejidale. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/30/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 28 gennaio 2014

Allarme sulla privatizzazione delle terre nel nord della Selva Lacandona

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 27 gennaio. Lo scontento scorre tra le comunità del nord della selva Lacandona per l’applicazione di programmi governativi che limitano l’uso delle loro terre, in particolare il Fondo de Apoyo para Núcleos Agrarios sin Registro (Fanar), che permetterebbe la privatizzazione dei poderi ed è promosso dal Ministero per lo Sviluppo Agrario, Territoriale ed Urbano, (Sedatu) e dalla Procura Agraria.

Perfino i grandi conglomerati filogovernativi della cosiddetta comunità lacandona (Nueva Palestina, tzeltal, e Frontera Corozal, chol) hanno manifestato il loro dissenso. Loro sono stati colpiti in particolare dal programma Redd Plus, ora concluso, ma che è servito per ottenere la loro firma, durante il governo passato, su una serie di impegni che di fatto impediscono loro di fare uso delle terre, un preambolo alla sottrazione delle terre.

Queste comunità, in particolare Nueva Palestina, hanno una lunga storia di violenze ed abusi contro decine di villaggi di diverse organizzazioni dentro la riserva dei Montes Azules e nella zona di contenimento, con l’episodio più grave, ma non l’unico, il massacro a Viejo Velasco Suárez nel 2006, ancora impunito benché due abitanti dell’ejido Nuevo Tila siano accusati dei fatti ed esistano mandati di cattura contro di loro, nonostante fossero compagni delle vittime. Secondo le organizzazioni indipendenti della zona, i veri responsabili sono abitanti di Nueva Palestina e membri del villaggio lacandone di Lacanjá Chansayab.

I ricatti allo stato dei paramilitari

Un indigeno, testimone del massacro che per ragioni di sicurezza conserva l’anonimato, descrive così la situazione: Chi sono quelli che ora chiedono giustizia e rispetto per il loro territorio? Sono gli indigeni privilegiati dal sistema corrotto del PRI e del PRD, semplicemente chiamati paramilitari dalle comunità. Sono stati utilizzati dallo stato per reprimere, ammazzare, sequestrare, far sparire e bruciare vivi chi ha posizioni politiche diverse, ma in fin dei conti tutti sono indigeni.

Ed aggiunge: “Ogni volta che vogliono più potere e risorse ricattano lo stato. L’hanno fatto con Juan Sabines Guerrero, che ha elargito loro soldi a piene mani con la scusa di preservare la selva Lacandona. I lacandoni hanno ceduto le loro terre con il programma Redd Plus per ‘servizi ambientali’, in cambio di 2 mila pesos al mese. I vecchi comuneros hanno firmato l’accordo senza il consenso dei figli, ed ora questi esigono anche dei soldi.

“Non sappiamo che cosa vogliono, forse giustizia, ma dubitiamo che sia davvero così, piuttosto è una strategia per ottenere più soldi. Quanti milioni ha dissipato Pablo Salazar Mendiguchía per comprare le terre dei lacandoni? Quanti milioni ha saccheggiato Sabines allo stato per darli ai lacandoni per ‘servizi ambientali’? Al governo servono i lacandoni, li utilizzano per giustificare i megaprogetti nella zona”, sostiene.

Durante un giro per la selva nord, La Jornada ha rilevato che questa situazione colpisce quasi tutte le comunità. La cosa nuova è che anche i fedelissimi del governo si sono scoperti in trappola. Quelli di Nueva Palestina ed i lacandoni sono conosciuti come paramilitari dei governi dalle comunità chol, tzeltal e zoque, dai tempi del presidente Luis Echeverría e del governatore Manuel Velasco Suárez, sostiene l’indigeno, membro dellaUnión de Comunidades de la Selva de Chiapas (Ucisech).

I lacandoni ed i loro alleati hanno sempre ottenuto benefici ed immunità e vengono presentati come pacifici, conservazionisti, ospitali col turista, non sono rivoltosi, a differenza dei popoli che vivono nella zona di contenimento e sono considerati dal governo come invasori e ribelli perché difendono il loro territorio.

http://www.jornada.unam.mx/2014/01/28/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 gennaio 2014

Si vuole costruire un centro commerciale su terre ejidales

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 gennaio. Le autorità municipali di Tila, emanazione del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), questo lunedì hanno iniziato un sondaggio, chiamato consultazione cittadina, per cercare il consenso all’esproprio della Sala Civica del Popolo per la costruzione di un centro commerciale su terre ejidali, nel centro della città, dove gli ejidatarios reclamano il riconoscimento dei loro diritti di proprietà comunale.

Il Centro dei Diritti Umani Miguel Agustín Pro contesta la legalità e legittimità di questo sondaggio che non rispetta gli standard minimi di correttezza, in particolare trattandosi di una località indigena.

La consultazione ed il consenso previo, libero e informato non si realizza con due domande insidiose e con il falso pretesto dello sviluppo economico che implicherebbero i cambiamenti strutturali nello stile di vita della comunità. Deve essere realizzata in buona fede, secondo le procedure che utilizzano le comunità per tramite delle loro strutture organizzative, oltre che essere esaustiva, e garantire che l’informazione arrivi ai destinatari mediante diverse forme di comunicazione e nella propria lingua.

Ancora più grave, ritiene il Centro, “è che le autorità promuovano la consultazione con una firma anonima (‘Cittadinanza di Tila, Chiapas’), cosa che la priva di qualsiasi legalità; oltre che si vuole realizzare un sondaggio per disporre di un immobile che non appartiene al municipio, bensì all’ejido Tila”, nella zona nord dello stato.

I fatti si inseriscono nelle azioni delle autorità, particolarmente del municipio, di esproprio sistematico di parte della superficie e strutture che appartengono all’ejido, che difende il suo territorio da più di 50 anni.

Nonostante sentenze favorevoli, il municipio si rifiuta di restituire la superficie e gli edifici alienati, ed attualmente la contesa si trova davanti al plenum della Corte Suprema di Giustizia della Nazione.

Bisogna ricordare che lo scorso 14 gennaio, l’ejido Tila, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, ha denunciato gli ultimi tentativi di consumare l’esproprio ed ha presentato ricorso, poiché il municipio a dicembre ha presentato il modellino di un centro commerciale sulla superficie che attualmente occupa la Sala Civica del Popolo, edificio che risale agli anni ’30, su terreno ejidale. Funzionava come sala riunioni dell’assemblea dell’ejido e delle sue autorità. 23 anni fa fu occupato dalla polizia municipale (Protezione Civile), la stessa che ancora oggi lo gestisce come immobile proprio, essendo che storicamente e legalmente appartiene all’ejido, spiega il centro Pro.

Il 14 novembre 2001, un tribunale collegiale riconobbe all’ejido un ricorso (fascicolo AR 223/2001) contro atti di diverse autorità municipali che avevano danneggiato l’antica presidenza municipale ed avevano usurpato la Sala Civica del Popolo.

“L’esproprio colpisce i valori culturali e le forme di organizzazione proprie della popolazione chol e la sua relazione con questo spazio, dato il significato che riveste la Sala Civica come valore culturale e spazio di interazione comunitaria”, si sottolinea nella denuncia del centro Pro.

Innanzitutto, queste azioni non considerano che questa superficie fa parte dell’ejido Tila e che è un territorio indigeno che non può essere coinvolto senza l’autorizzazione dell’assemblea quale massima istanza di autorità ejidale e indigena. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/21/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 16 gennaio 2014

Ejidatarios di Tila denunciano una vasta operazione di sottrazione di terreni

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 15 gennaio. L’ejido di Tila, nella zona nord dello stato, denuncia una vasta operazione di sottrazione di terreni ejidales nella città di Tila (dove si trova una parte delle loro terre), guidata dal governo municipale e da alcuni leader di commercianti privi di diritti ejidales, e perfino non residenti in città. Gli organi di rappresentanza ejidale, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno rivolto la loro protesta alla giunta di buon governo zapatista Nueva semilla que va a producir, nel caracol cinque della Zona Nord, ed al comando dell’EZLN.

Gli ejidatarios denunciano che, con l’appoggio del governo dello stato, il presidente municipale, Limberg Gregorio Gutiérrez Góme,z ed un piccolo gruppo di venditori ambulanti dipendenti della CROC, provenienti da alcune comunità e guidati da Jesùs Gilberto Gutiérrez Pérez, vogliono sottrarre parte dell’ejido per costruire un centro commerciale senza il consenso dell’assemblea generale, violando così gli articoli 22, 23 e 43 della Legge Agraria.

Gli ejidatarios chol sottolineano: Qualunque atto che abbia per oggetto alienare, prescrivere o sequestrare queste terre sarà nullo, le nostre terre sono inalienabili, imprescrittibili ed insequestrabili. Questo presunto centro commerciale secondo loro è per dare un aspetto migliore al paese, ma è solo per i loro interessi privati e quello che vogliono è creare conflitto tra i contadini che non vogliano avere niente a che fare col malgoverno. Quello che viene dal governo non è sviluppo ma sfruttamento, schiavismo e discriminazione.

Accusano il consigliere comunale, Gutiérrez Pérez, ed altro piccolo gruppo di venditori ambulanti guidato da Vicente Ramírez Jiménez, di qualunque scontro possa sorgere. Gli ejidatarios si dichiarano proprietari delle terre; solo loro possono deciderne l’uso nell’assemblea generale degli ejidatarios. Riferiscono che il consigliere comunale ed il sindaco municipale Sandro Abel Estrada Gutiérrez, il primo ottobre scorso hanno firmato un accordo con un ridotto gruppo di commercianti, senza il consenso almeno di tutti i commercianti della zona, per effettuare lo sgombero.

Il primo gruppo di venditori, senza alcuna attribuzione legale, si è già messa contro la popolazione. Alla festa del Corpus Cristi, a maggio, erano diventati violenti quando la commissione agraria nominata dall’assemblea generale aveva distribuito gli spazi del commercio ambulante. Gli ejidatarios avvertono che non scambieranno le loro terre con opere o regalie. Ciò nonostante, il 10 dicembre, il municipio ha presentato il plastico di un’ipotesi di centro commerciale dicendo che comunità e governo avrebbero lavorato insieme. Il sindaco non rispetta mai i popolo e tanto meno le leggi e sta esercitando le sue funzioni in un territorio ejidale senza averne la competenza.

Aggiungono che hanno vinto una causa (fascicoli 259/1982 e 723/2000), ma i filogovernativi continuano a derubare l’ejido senza essere portati in giudizio, perché quelli che applicano la giustizia sono gli stessi corrotti che appoggiano il migliore offerente. Il governo di qualunque livello, deve rispettare le nostre forme di vita, proteggere i diritti e consultarci ogni volta che sia necessario sulla destinazione d’uso delle nostre terre. Siamo orami stanchi che non succeda niente e che questi non vengano processati. I commercianti che hanno firmato gli accordi non sono ejidatarios, ed anche se lo fossero, tutto deve avvenire dietro accordo dell’assemblea generale che è la massima autorità.

Gli indigeni si dichiarano in allerta massima. Dicono che difenderanno le loro terre ad ogni costo; se toccano una parte dell’ejido, toccano tutti gli ejidatarios. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/16/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 15 gennaio 2014

Autorità del Chiapas indifferenti all’esilio di centinaia di ejidatarios di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las casas, Chis., 13 gennaio. Il punto più critico del presunto conflitto nell’ejido Puebla, municipio di Chenalhó, è l’accusa del commissario ejidale, Agustín Cruz Gómez, contro due ejidatarios basi di appoggio zapatiste, di aver avvelenato l’acqua della comunità il 20 luglio scorso. L’ente sanitario dello stato svolse le analisi delle acque e non riscontrò alcuna presenza di veleni. Tuttavia, i risultati delle analisi non sono mai stati resi pubblici. Questa omissione potrebbe essere stata determinante per il successivo sgombero forzato degli indigeni, accusati infondatamente e, come si vedrà, in mala fede.

Non sono stati neppure diffusi i risultati delle analisi a dimostrazione dell’acqua avvelenata, a parte aver mostrato un liquido coloro caffè, realizzate dalla Procura Generale della Repubblica in Quintana Roo.

Il 12 settembre, i risultati furono inviati al titolare della Direzione Generale Perizie della Procura Generale di Giustizia del Chiapas, César Enrique Pulido Guillén.

Le analisi erano negative per qualsiasi sostanza tossica. Il liquido scuro era semplicemente veleno per topi nel suo contenitore commerciale, cosa che non provava niente.

Cinque mesi di esilio

In assenza della smentita ufficiale, nella comunità la voce causò panico e collera, ed aprì la strada allo sgombero violento, un mese dopo, di più di cento indigeni, membri di Pueblo Creyente e Las Abejas, e di basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e di famiglie di religione battista. Da agosto queste famiglie tzotzil vivono da profughi nell’accampamento di Acteal ed in altre comunità.

Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández furono accusati di aver avvelenato l’acqua della comunità. La polizia li fermò ma dovette liberarli per mancanza di prove. Quando gli ispettori sanitari vollero esaminare la cisterna presunta inquinata, questa era vuota e la parte accusatrice impedì i controlli.

Ciò nonostante, decine di indigeni furono portati all’Ospedale di San Cristóbal de las Casas. Alcuni presentavano sintomi intestinali; la maggioranza per esercitare pressione. La Jornada è in possesso di copia delle cartelle cliniche dei presunti avvelenati visitati dal personale medico. Le cartelle concordano: Non ci sono segni di avvelenamento, benché alcuni pazienti presentavano patologie infettive di altra origine. Niente di tutto questo è stato reso noto.

Non importa che il delegato regionale della Sanità, Ulises Córdova, avesse negato l’esistenza di casi di intossicazione d’acqua in tutta la zona; la comunità era segnata e le autorità governative non fecero niente per disattivare la falsa accusa.

Le conseguenze sono state gravi. Gli accusati erano stati trascinati per strada da Germán Gutiérrez Arias e le autorità comunitarie, con le mani ed il collo legati ad un bastone, con la minaccia di essere cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Tra gli aggressori c’erano: Nicolás Santiz Arias e Agustín Méndez López, ausiliari municipali, oltre a Calixto e Benjamín Cruz Gómez, figli del commissario ejidale che guida le aggressioni contro il gruppo cattolico della comunità fin dalla scarcerazione di Jacinto Arias Cruz, ex sindaco di Chenalhó condannato per il massacro di Acteal ed originario dell’ejido, che una volta libero è tornato a far visita ai suoi correligionari in aprile. Le aggressioni sono poi cominciate a maggio.

Invece di indagare sugli autori delle numerose aggressioni (comprese quelle rivolte al parroco di Chenalhó, a funzionari e difensori dei diritti umani), cioè i responsabili della situazione precaria delle famiglie esiliate, il governo li considera suoi unici interlocutori e li premia perfino.

Nel frattempo, gli sfollati che vogliono andare a racciogliere il loro caffè, vengono accusati dal governo statale di essere radicali e di “violare gli accordi”. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/14/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 12 gennaio 2014

Il governo del Chiapas disapprova la decisione dei tzotzil di tornare all’ejido Puebla

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 gennaio. L’annuncio dei tzotzil dell’ejido Puebla, sfollati ad Ateal (Chenalhó), che venerdì prossimo andranno per 10 giorni a raccogliere il caffè nelle terre dalle quali sono stati espulsi ad agosto, non è piaciuto al governo del Chiapas.

Da parte sua, il gruppo priista della comunità, guidato da Agustín Cruz Gómez, ha dichiarato che non permetterà l’ingresso ad organizzazioni civili che non provengano dal municipio stesso, ed è un veto implicito ai difensori dei diritti umani, ai gruppi cattolici della diocesi sancristobalense ed agli osservatori solidali. Il presidente municipale ha confermato il provvedimento di fronte ai suoi 58 agenti rurali.

Questo aumenta i rischi che potrebbero correre i profughi, quasi tutti membri di Las Abejas, che non smettono di proclamare il loro atteggiamento pacifico, ma anche le loro richieste di giustizia e risarcimento dei danni derivati dalle azioni violente contro cattolici e battisti da parte degli evangelici e rappresentanti ejidali.

Il segretario di Governo, Eduardo Ramírez Aguilar, ha dichiarato a Tuxtla Gutiérrez che la decisione di ritornare inasprisce il clima, disapprova l’atteggiamento radicale degli sfollati (un centinaio di persone, la metà minorenni, costretti ad abbandonare le proprie case per salvarsi la vita) ed mostrato chiaramente di intendersi con gli aggressori filogovernativi della comunità e del municipio. Disapprovando questo tipo di azioni, sostiene che l’accordo tra il governo e l’ejido di Puebla (il cui commissario ejidale è il leader degli aggressori, notoriamente legato ai paramilitari della regione) è che tutto debba avvenire in un clima di tranquillità e discrezione. Quindi, che improvvisamente ci sia un intervento di organismi non governativi gli sembra sospetto. Secondo Ramírez Aguilar, lungi da abbonare la pace e la concordia, ad alterare il clima sarebbe l’atteggiamento radicale degli sfollati (Expreso, 10 gennaio).

Ed aggiunge: Ci sono personaggi esterni agli sfollati che per loro convenienza vogliono mantenere nell’agenda mediatica questa questione. Ciò nonostante, la segreteria vigilerà su quello che faranno le famiglie che stanno violando in maniera unilaterale l’accordo siglato con le autorità dell’ejido Puebla.

Con una tale approssimazione del governo chiapaneco al conflitto (iniziato con l’esproprio violento di una proprietà usata da 40 anni dai cattolici per il suo culto), non stupisce che i furti e i saccheggi nelle proprietà delle famiglie sfollate siano avvenuti alla luce del sole e in presenza della polizia statale che controlla il villaggio.

Le testimonianze delle vittime e della squadra parrocchiale di Chenalhó sottolineano la generalizzata disposizione alla violenza dei giovani nell’ejido. Nelle riunioni del coordinatore delle Organizzazioni della Società Civile della Segreteria di Governo, Francisco Yáñez Centeno, e del segretario statale Ramírez Aguilar o i suoi rappresentanti, con gli aggressori e gli sfollati, i primi hanno minimizzato la situazione.

Sono solo ragazzi fuori controllo, dicono. E davanti all’insistenza, il governo ha accettato di impartire corsi di pace per quei giovani visti in azione lo scorso 20 agosto, quando in decine, armati di pietre ed insolenti, hanno impedito il tentativo di ritorno delle famiglie fuggite dalla violenza giorni prima. Gli sfollati denunciano che Javier Cruz López li aveva organizzati per distruggere la chiesa già costruita, e che tra loro è frequente il consumo di alcool e droghe. Il commissario ejidale, Cruz Gómez, si era congratulato con loro per averi mpedito il ritorno.

Rafael Landerreche, da molti anni attivo in ambito sociale nella regione, sostiene: Le autorità devono controllare questi ragazzi, ma non lo fanno. Lo possono fare, ma non vogliono. Secondo il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, Víctor Hugo López, né i rappresentanti del governo, né il delegato per il Dialogo coi Popoli Indigeni, Jaime Martínez Veloz, sono disposti ad essere presenti in occasione del ritorno, ma sostengono che le condizioni ci sono e non sussistono problemi.

Si è saputo che Cruz Gómez aveva cercato il supporto degli agenti rurali del municipio per impedire il passaggio degli sfollati, ma questi non hanno accettato perché non ritengono giusto quanto accaduto.

Il governo statale ha consegnato, o promesso, borse di studio, progetti produttivi, tetti di lamiera, attrezzi, denaro, opere pubbliche e posti di lavoro agli ejidatarios, principalmente al gruppo di Cruz Gómez. Invece di indagare e punirli, li premia. I rappresentanti governativi pensano di risolvere tutto così, che il problema non è religioso né politico, e che non esistono i paramilitari. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/12/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada- Sabato 11 gennaio 2014

Frayba: Lo Stato assente di fronte alla crisi degli sfollati di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 gennaio. A quattro mesi e mezzo da quando 98 persone sono state sfollate forzatamente dall’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), che ha accompagnato gli indigeni in questo doloroso percorso, testimonia le reiterate omissioni delle autorità statali e federali per risolvere un conflitto la cui gravità avverte che potrebbero ripetersi fatti irreparabili, come già è accaduto negli Altos del Chiapas.

A causa delle omissioni governative, il caso è in esame presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Ed ora, senza garanzie che salvaguardino la loro integrità fisica, le famiglie sfollate raccoglieranno il proprio caffè.

L’organizzazione riferisce che dopo innumerevoli riunioni con rappresentanti dei governi statale e federale, rileviamo che lo sfollamento forzato porta con sé molteplici violazioni dei diritti umani, ma il caso è stato sottovalutato dalle autorità. Queste propongono interventi amministrativi senza rispondere a istanze minime di giustizia né dare chiari segnali di voler risolvere un conflitto nel quale lo Stato mostra tutta la sua inefficienza e complicità.

Da parte sua, Agustín Gutiérrez, dirigente di Las Abejas di Acteal, sostiene che le autorità alimentano l’impunità e non applicano la giustizia. I governi non favoriscono la vita nella dignità, preferiscono distruggerci, lasciarci senza terre. Denuncia che si continua a premiare i paramilitari scarcerati con terre, beni, soldi. Agli aggressori dell’ejido di Puebla hanno consegnato attrezzature complete e denaro attraverso i progetti, promettono loro opere pubbliche. Vige la forza dei paramilitari.

Il Frayba constata che le richieste minime al governo dello stato, presentate dagli sfollati, di assicurare le condizioni per il ritorno nella loro comunità, non sono state soddisfatte. Tra queste, la restituzione della proprietà sottratta loro dal gruppo priista guidato dal pastore evangelico Agustín Cruz Gómez, noto membro del gruppo paramilitare che organizzò e perpetrò il massacro di Acteal nel 1997, e della cui appartenenza, secondo testimonianze degli abitanti di Puebla raccolti da La Jornada, si vanta ora davanti ai giovani dell’ejido, a riprova che non succede niente, cioè, che l’impunità è garantita.

Non è stato neppure chiarito pubblicamente il caso delle false voci fatte circolare riguardo l’avvelenamento dell’acqua potabile dell’ejido, né dei provvedimenti presi per riparare il danno causato dai malintenzionati, né i risultati delle tre indagini della Procura di Giustizia Indigena della Procura Generale di Giustizia dello Stato.

In diverse occasioni, segnala il Frayba, Francisco José Yañez Centeno, capo dell’Unità per l’Assistenza alle Organizzazioni Sociali della Segreteria di Governo, ed Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, segretario di Governo del Chiapas, hanno proposto misure economiche, materiali e di apparente riconciliazione e progetti di sviluppo a beneficio degli abitanti dell’ejido, includendo i colpevoli di fatti criminali, in cambio di dimenticare fatti inerenti le indagini, impunità per gli aggressori e firma di accordi privi di sostentamento e senza garanzie di non reiterazione.

Scaduti ormai i termini entro i quali le autorità si erano impegnate a trovare una soluzione, l’organizzazione civile ha annunciato che accompagnerà le famiglie sfollate, rifugiate ad Acteal dall’agosto scorso, in una difficile decisione: tornare nelle loro terre coltivate per raccogliere il loro caffè. Organizzazioni nazionali ed internazionali dei diritti umani accompagneranno la giornata di lavoro dei profughi, dal 17 al 27 gennaio. Queste sottolineano la responsabilità dello Stato per eventuali gravi situazioni o eventi possano accadere.

Il Frayba ribadisce che il conflitto evidenzia i risultati ed costi dell’impunità con la quale le autorità continuano a proteggere attori locali che polarizzano le comunità indigene nel loro tentativo di smantellare il tessuto comunitario che favorisce proposte organizzative, come l’autonomia, in risposta alla crisi di governabilità dello Stato messicano. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/11/politica/011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Comandanta Ramona

Posted on 06/01/2014 by

Era il 6 gennaio di 8 anni fa. Era l’anno dell’ “Altra Campagna” e del Delegato Zero a.k.a. Subcomandante Marcos in giro per il Messico con la moto, era l’anno delle elezioni che avrebbero decretato come presidente messicano Calderon, presidente eletto con broglio palese nei confronti del candidato del PRD Andre Manuel Lopez Obrador, era l’anno della mattanza e atto repressivo di Atenco del 4 e 5 maggio.

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Sara’ l’anno di tante cose, per molti in Italia sara’ solo l’anno della vittoria del mondiale di calcio per la nazionale Italiana,  ma 8 anni, il 6 gennaio del 2006 e’ l’anno in cui il SupMarcos e’ stato obbligato a dire queste parole : ”Les quiero pedir respetuosamente de favor que no me interrumpan hasta que termine. Esta cosa que estamos haciendo de la otra campaña es para que se escuche la voz de todos. Por eso es importante que todos tengamos paciencia y escuchemos la voz de todos. En mi trabajo como vocero del EZLN hay momentos muy duros, como esto que les voy a decir ahorita. Me acaban de avisar que la compañera comandanta Ramona murió hoy en la mañana. Lo que sabemos es lo que todos saben. La comandanta Ramona le arrancó 10 años a la muerte. Gracias al apoyo de gente como ustedes pudimos operarla y tener un trasplante de riñón. Hoy en la mañana empezó con vómito y con sangre y diarrea, y cuando iba para San Cristóbal de las Casas murió en el camino. En este caso es muy difícil hablar, pero lo que puedo decir es que el mundo perdió una de esas mujeres que paren nuevos mundos. México perdió una de esas luchadoras que le hacen falta. Y pues a nosotros nos arrancaron un pedazo del corazón. Dentro de unos minutos se va a cerrar el caracol de Oventic, y vamos a doler la muerte de esta compañera en privado. Esperamos que los medios de comunicación respeten esto y no conviertan su muerte en un evento mediático.”

Credo non ci sia bisogno di tradurre, si capisce anche in italiano.
La comandanta Ramona muore cosi’, dopo aver lottato 10 anni contro un tumore, muore fisicamente ma lascia un’eredita’ viva e forte anche oggi.

Partiamo dal termine comandanta, non e’ un errore grammaticale e’ una modificazione della lingua che Ramona ha voluto fortemente per rompere le barriere lessicali e ideologiche che volevano, e vogliono, che le cariche di un esercito (e molte altre parole) esitano solo con genere maschile.
La piccola ma grande donna che volle La Legge Rivoluzionaria delle Donne Indigene e negli anni di preparazione al levantamiento del 1 gennaio del 1994 riusci’ a farla diventare uno dei punti focali della lotta dell’EZLN, soprattutto riusci’ a far si che non fosse vissuta come un dato di fatto ma come un obiettivo da raggiungere con il proseguo della lotta, cioe’ non parole vuote ma fatti concreti da raggiungere con i tempi necessari.

Il Sup Marcos nel 1996 la defini’ “l’arma piu’ belligerante ed intransigente dello zapatismo”. La comandata che fu la prima tra tutti gli zapatisti ad andare a Citta’ del Messico, per partecipare alla fondazione della Convention National Indigena, e parlare da un palco con tutta la sua forza degna di indigena rivoluzionaria.

In un freddo mattino di fine gennaio del 1994 nella prima intervista concessa dalla comandancia ai giornalisti dopo l’inizio della guerra Ramona era l’unica donna presente e in un fiero Tzotzil disse “Porque las mujeres también están viviendo en una situación más difícil, porque somos las más explotadas, oprimidas fuertemente todavía. ¿Por qué? Porque las mujeres desde hace tantos años, desde hace 500 años, no tienen sus derechos de hablar, de participar en una asamblea.No tienen derecho de tener educación ni hablar ante el público ni tener algún cargo en su pueblo. No. Las mujeres totalmente están oprimida y explotada”.

La storia con la s maiuscola cosi’ come gli insegnamenti non vengono quasi mai fatti da chi siede in alto o da una cattedra, vengono fatti dalla pratica giornaliera, dal coraggio, dalla voglia di mettersi in gioco, dalla forza e dalla dignita’ di chi dal basso della sua posizione sociale o dal basso della sua statura fisica rompe le barriere della consuetudine e dell’ordine imposto dai paradigmi dominanti. La comandanta Ramona era piccola  di statura, era indigena tzotzil dello stato piu’ povero del Messico,  ma e’ uno di quelle persone che ha fatto la storia e ha insegnato tanto.

Forse e’ solo un gioco del destino che sia morta il 6 gennaio e cosi’ ogni anno pochi giorni dopo la festa per un altro anno di resistenza gli zapatisti, e nel piccolo gli aderenti alla sesta internazionale e nazionale, devono ricordare questa enorme donna nell’unico modo possibile ovvero continuando a lottare e continuando ad avanzare interrogandosi su quanto e’ stato fatto dallo zapatismo e dall’EZLN prendedosi carico anche delle consegne e delle responsabilita’ che la Comandanta lascia.

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Los de Abajo

Grazie allo zapatismo…

Gloria Muñoz Ramírez

Grazie all’insurrezione zapatista di 20 anni fa, le comunità indigene che decisero di prendere un’altra strada e cercare nuove possibilità senza le vie istituzionali, sono meno povere e più libere. Questi popoli, come due decenni fa, continuano a provocare le belle coscienze, le stesse che nel 1994 li accusarono di essere stranieri, guerriglieri superati e perfino narcos. Oggi, né più né meno e senza alcun pudore, li si accusa della povertà dei popoli indio.

Delle prime accuse gli zapatisti si liberarono rapidamente. Dopo alcuni giorni non ci fu più nessuno che osasse mettere in discussione le loro cause, dopo che i ribelli aprirono i loro villaggi per mostrare non solo l’estrema povertà nella quale da sempre sopravvivevano, ma la loro dignità e l’origine dell’insurrezione armata. Oggi gli zapatisti tornano ad aprirsi, non più attraverso i mezzi di comunicazione, ma direttamente con la gente che viene da fuori, dal resto del Messico e da molti altri paesi.

Nei primi giorni di marzo del 1994, carovane di giornalisti di tutto il mondo giunsero nelle comunità ribelli. Per la prima volta molti scoprirono la povertà nel proprio paese, abituati a raccontare le gesta della modernità salinista. Molti altri arrivarono da paesi lontani a testimoniare l’inizio del Trattato di Libero Commercio, e si ritrovarono alle prese con la notizia di un’insurrezione che dava una spallata alla vetrina neoliberale e mostrava il Messico profondo.

Oggi, 20 anni dopo, non sono più migliaia di giornalisti, bensì migliaia di uomini e donne, giovani in maggioranza, quelli che vengono ad incontrarsi direttamente con questi popoli. Questi, che in questi giorni partecipano alla seconda e terza sessione della Escuelita de la Libertad según los Zapatistas, vanno in altre comunità. Non quelle che conoscemmo noi giornalisti nel 1994, ma quelle che hanno costruito in questi più di 20 anni di lavoro autonomo, perché questo processo non è cominciato nel 1994 né con le giunte di buon governo nel 2003, ma ben prima dell’insurrezione.

La comunità di La Garrucha, la prima alla quale arrivammo noi giornalisti, non è minimamente quella che conoscemmo allora. Una semplice ambulanza per trasportare i malati era impensabile a quel tempo. Oggi staziona di fronte alla clinica autonoma che copre la zona. L’educazione in questi villaggi, dove prima c’erano scuole senza maestri, è una realtà che prepara al futuro dove non c’era.

Dai primi mesi di 20 anni fa la sovraesposizione zapatista fu innovatrice. Essi spiegarono allora di aver valutato i pro e i contro dell’apertura, e decisero che la bilancia pendeva a favore di correre il rischio, di rilasciare interviste, permettere l’ingresso nell’intimità della loro organizzazione e spiegare le loro ragioni.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 2 gennaio 2014

L’EZLN ha festeggiato ballando il suo 20° anniversario ed il 2014

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º gennaio.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha celebrato l’Anno Nuovo 2014 ed il ventesimo anniversario della sua insurrezione con feste nei cinque Caracol. Cioè, come piace alle comunità: ballando. In Oventic, La Garrucha, La Realidad, Roberto Barrios e Morelia, migliaia di basi di appoggio delle rispettive regioni si sono concentrate nelle sedi dei propri governi autonomi. L’aspettativa che ha suscitato il memorabile anniversario, e la semplicità con cui gli zapatisti hanno mostrato una sorta di pacata contentezza, ci consente di dire che davvero hanno di che festeggiare.

Alle feste nelle cinque circoscrizioni dei municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez) sono accorsi anche centinaia di alunni della Escuelita Zapatista, sia i promossi del corso offerto dai Votán o guide tra il 25 ed il 29 dicembre nelle comunità del territorio autonomo, sia quelli che parteciperanno ai corsi del 3 al 7 gennaio, ai quali si sono iscritte 4.500 persone in totale, provenienti da tutto il Messico e da diversi paesi (Stati Uniti, Francia, Italia, Germania, Argentina, Paesi Baschi, Canada, Brasile e Olanda, tra altri). La notte del primo giorno nelle strutture del Cideci in questa città si sono radunati più di 2.000 nuovi alunni che saranno poi trasferiti dagli stessi zapatisti nelle comunità.

I presenti alle cinque commemorazioni pubbliche sono stati d’accordo nel rilevare l’età giovane delle basi di appoggio zapatiste nei diversi caracol, ed anche della maggioranza degli alunni della Escuelita Zapatista. Quindi, 20 anni dopo il famoso ’94, mentre l’opinione pubblica si distrae aspettando l’apparizione del subcomandante Marcos o speculando sulla sua sospettosa assenza, indigeni e visitatori nati poco prima o dopo l’insurrezione si sono incontrati questo Anno Nuovo sulle montagne del sudest messicano.

Senza nessun pronunciamento dell’organizzazione ribelle, nei raduni dei popoli tzeltal, tzotzil, tojolabal e chol, iniziate il giorno 30, comandanti di ogni regione hanno presieduto la commemorazione durante la mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno. Il 19 dicembre scorso, il subcomandante Moisés aveva annunciato che l’anniversario sarebbe stato aperto al pubblico, ma non alla stampa. Ciò nonostante, almeno nel caracol di Oventic, negli Altos, sono entrati reporter e fotografi senza identificarsi come tali. Un’agenzia internazionale ha riferito che l’accesso per i mezzi di comunicazione è stato difficile.

Il governatore Manuel Velasco Suárez ha rilasciato dichiarazioni benevole sui ribelli dell’EZLN e le giunte di buon governo. Lungi da qualunque pretesa congiunturale, ha detto di riconoscere la dinamica continua di trasformazione generata a partire dal 1994. Il Chiapas, ha detto in un comunicato stampa, deve allo zapatismo innumerevoli cambiamenti. Benché anche al suo predecessore Juan Sabines Guerrero piaceva fare dichiarazioni simili senza nessuna conseguenza pratica sulle bontà dello zapatismo, quella attuale contraddice almeno la corrente di opinione filogovernativa che ritiene l’insurrezione inutile e sostiene che le comunità indigene stanno peggio di prima della sollevazione.

Dunque gli zapatisti sono dei è pazzi. Festeggiano i 20 anni delle loro gesta quando (se si crede alle versioni in uso) dovrebbero lamentarsi. Invece, si mostrano numerosi, rinnovati e contenti, ricevono migliaia di visitatori nelle loro comunità; mostrano loro come vivono e le loro opere quotidiane, come maestri e anfitrioni. In un comunicato del passato 28 dicembre, il subcomandante Marcos segnalava: “Voi chiedete ‘Che cosa ha fatto l’EZLN per le comunità indigene?’ E noi rispondiamo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne”. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/02/politica/007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PAROLE E STORIE PER RISCOPRIRE L’EZLN

PRIMA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

DI COSA CI DEVONO PERDONARE?

PRESENTAZIONE DI DON DURITO DE LA LACANDONA

LA STORIA DEL VECCHIO ANTONIO E IL LEONE

LA STORIA DELLA SPADA E DELL’ACQUA

SETTE PEZZI DEL ROMPICAPO MONDIALE

“LE OFFESE CHE CI CONVOCANO NON SONO NUOVE” EZLN A NURIO, MICHOACAN

LA MARCIA DEL COLORE DELLA TERRA: L’EZLN NELLO ZOCALO DI CITTA’ DEL MESSICO

“SONO INDIGENA E SONO DONNA, ED E’ SOLO QUESTO CHE IMPORTA”: COMANDANTA ESTHER IN PARLAMENTO

IL RIVOLUZIONARIO ED IL RIBELLE DI FRONTE ALLA POLTRONA DEL POTERE

LA MORTE DEGLI AGUASCALIENTE E LA SINDROME DI CENERENTOLA

LA TREDICESIMA STELE: LA NASCITA DEI CARACOL E DELLE GIUNTE DI BUON GOVERNO

SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

A DICEMBRE 2012 L’EZLN ANNUNCIA I PROSSIMI PASSI

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20 (30) anni di zapatismo. Riflessioni e critiche sulla lunga lotta per la democrazia

Gianni Proiettis – 1 gennaio 2014

La sfortuna del Messico si è aggravata negli ultimi anni. La presidenza di Felipe Calderón (2006-2012), con la sua ostinata e fallimentare guerra al narcotraffico, ha insanguinato il paese con decine di migliaia di morti, consegnando gran parte del territorio e dei tre livelli di governo – federale, statale e municipale – al controllo dei cartelli della droga.

Il primo anno di governo di Enrique Peña Nieto, che con elezioni comprate ha restaurato la presidenza imperiale del PRI (il Partito Rivoluzionario Istituzionale che ha dominato lo Stato tra il 1929 e il 2000), invece di combattere la violenza e garantire la governabilità, come aveva promesso, è stato impegnato a privatizzare il petrolio, un tabù nella coscienza dei messicani fin dalla sua nazionalizzazione nel 1938 voluta dal presidente Lázaro Cárdenas con l’appoggio popolare. Peña Nieto, legando in un patto politico gli altri due grandi partiti (PAN, Partito di Azione Nazionale, della destra clericale, ed il PRD, Partito della Rivoluzione Democratica, ex centro-sinistra), è riuscito ad imporre alcune riforme fiscali e della scuola di stampo ultraliberista, addomesticando così l’opposizione.

L’opinionista Luis Hernández Navarro scrive: “Tra le élite messicane soffiano venti simili a quelli di vent’anni fa. Come oggi succede ad Enrique Peña Nieto, allora Carlos Salinas de Gortari si sentiva invincibile. Il suo progetto di riformare il Messico in maniera autoritaria e verticale avanzava senza grandi ostacoli e veniva presentato come il superamento di miti e atavismi storici. Aveva posto le fondamenta del potere transessennale. I suoi indici di gradimento presso l’opinione pubblica erano alle stelle”.

Quando vent’anni fa, all’alba del Nuovo Anno 1994, sei città del Chiapas, tra le quali la città coloniale e turistica di San Cristóbal de Las Casas, si svegliarono occupate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il mondo intero fu scosso dalla notizia.

Ma quell’avvenimento, che sembrava uscito dalla penna di un maestro del realismo magico, oscurava un fatto non meno sorprendente: un esercito donchisciottesco di indios armati di machete, vecchie carabine 30-30 della Rivoluzione e fucili di legno – che, nelle parole dello scrittore Carlos Fuentes, “fecero centro nel cuore della nazione” – era riuscito ad organizzarsi e crescere nel più assoluto segreto, niente meno che per un decennio, nelle profondità della Selva Lacandona. L’atto di nascita dell’EZLN porta la data del 17 novembre 1983.

Mentre la clandestinità dei suoi militanti è una condizione abituale tra le formazioni guerrigliere, non è usuale incontrare guerriglie assolutamente segrete e sconosciute perfino nel nome. Quella fu la prima di una serie di sorprese.

Era dal 1840, quando in un prezioso libro di viaggi alla moda ottocentesca, Incidenti di Viaggio in America Centrale, Chiapas e Yucatan, John L. Stephens e Frederick Catherwood descrissero ed illustrarono la regione maya del sudest del Messico, che il nome Chiapas non risuonava nelle orecchie dell’Occidente. All’alba del 1994 gli zapatisti – non utilizzo il termine “neozapatisti” perché implica una frattura mai avvenuta: Emiliano Zapata non ha mai smesso di cavalcare nella coscienza dei messicani – mostrarono al mondo molte cose che erano rimaste invisibili, intrappolate tra le pieghe della storia.

Per esempio, che la Rivoluzione del 1910 non era mai passata per il Chiapas, poiché l’oligarchia gattopardesca dei proprietari terrieri da sempre aveva scelto di stare dalla parte dei vincitori. Che più di un milione di indios maya, ormai alla fine del XX° secolo , continuava a sopravvivere in condizioni di estrema miseria, emarginazione e sfruttamento, simili a quelle descritte nei romanzi di Rosario Castellanos e B. Traven. Che la firma del Trattato di Libero Commercio con Canada e Stati Uniti, col quale Salinas de Gortari voleva portare il Messico nel primo mondo, aveva spinto centinaia di comunità indigene ad intraprendere la strada di una guerra “disperata ma necessaria”- come l’ha definì il Subcomandante Marcos – precipitando così in una crisi di dimensioni storiche.

Pochi sono riusciti a descrivere questa frattura sociale, paragonabile per profondità solo al trauma della Conquista, come Ana Esther Ceceña:

“Il 1º gennaio 1994 è il giorno in cui il terzo millennio irrompe in Messico. Speranze e disperazioni si annunciano nel confronto tra due distinti orizzonti di civiltà: quello della costruzione dell’umanità e quello del neoliberismo. Il soggetto rivoluzionario, il portatore della resistenza quotidiana e silenziosa che si rende visibile nel 1994, è molto diverso da quello tracciato dalle teorie politiche dominanti. Il suo posto non è la fabbrica ma le profondità sociali. Il suo nome non è proletariato ma essere umano, il suo carattere non è quello di sfruttato ma di escluso. Il suo linguaggio è metaforico, la sua condizione indigena, la sua convinzione democratica, il suo essere, collettivo”.

A livello politico e ideologico, ma anche a livello personale, lo zapatismo ha fatto venire il mal di testa a molti. In particolare tra gli “orfani” del 1989. Fin dal primo momento si è rivelato una nuova, grandiosa utopia, degna di esistere almeno come fermento della coscienza umana. L’ultimo, grande umanesimo includente che si attrezza per sfuggire alla voragine dall’annichilimento, verso cui lo sospinge la locomotiva liberista. Una legione di lillipuziani che reclamano il diritto di esistere. Il primo esercito di liberazione che non lotta per la presa del potere, ma “si accontenta” di instaurare la democrazia. Che non si proclama avanguardia ma compagno della società civile. L’unico esercito che aspira a deporre le armi ed i passamontagna sperando che non siano mai più necessari.

Il cortocircuito amoroso tra gli zapatisti del Chiapas ed i democratici di tutto il mondo è stato folgorante ed universale. Non trovo esempio migliore per spiegare il neologismo “glocale” che quello degli zapatisti: un fenomeno completamente locale, generato dalle condizioni specifiche di un territorio e di una situazione, che attira l’attenzione del villaggio globale – e contribuisce al fronte antagonista – per molto tempo. E che sfrutta le nuove tecnologie.

In Internet rimbalzano le parole d’ordine di una nuova utopia che, a differenza di quella di Thomas More, trova rapidamente posto nella coscienza collettiva: “comandare obbedendo”, “un mondo dove stanno molti mondi”, “camminare domandando”. Lo zapatismo infiamma gli animi dei giovani rivoluzionari che vedono un nuovo Che nel sub Marcos, e stupisce i vecchi rivoluzionari che osservano come una bestia rara “un movimento armato che non ha come riferimento lo Stato ma la società.”

Lungi dal rappresentare una sorta di teologia della liberazione rifritta e condita con i residui ideologici delle guerriglie latinoamericane sconfitte – secondo la prima, spietata definizione di Octavio Paz, che poi ha rivisto la sua posizione – lo zapatismo ha dimostrato una capacità di adattamento al cambiamento delle circostanze che molte organizzazioni politiche vorrebbero avere. È una risorsa preziosa, affine al miglior situazionismo del 1968 – quello della “immaginazione al potere” – inscritto nel suo codice fin dalla nascita, quando un piccolo gruppo di guerriglieri scombinati – già abbastanza démodés per gli anni Ottanta – decide di acculturarsi alle fonti del sapere autoctono, apprende il funzionamento della democrazia comunitaria, basata sulla ricerca del consenso più che sull’imposizione della maggioranza, ed acquisisce una nuova visione, dove l’uomo non è più un mezzo ma il fine e la terra non una proprietà ma la madre.

È così che nascono i principi zapatisti di “comandare obbedendo” e di “tutto per tutti, niente per noi”. Mentre gli undici diritti rivendicati dalla loro lotta – lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, educazione, autonomia, libertà, democrazia, giustizia e pace – non sono mai ammainati, le strategie per conquistarli subiscono varie rettifiche. L’EZLN ha dato prova di un grande istinto di sopravvivenza – l’alternativa sarebbe stata un’autoimmolazione testimoniale – e cessò il fuoco offensivo contro l’esercito federale dopo dodici giorni di combattimenti, rispettando un esplicito mandato della società civile che, il 12 gennaio 1994, inondò le strade di Città del Messico e di molte altre città per fermare il conflitto.

In questi vent’anni, gli zapatisti hanno realizzato due consultazioni, mobilitando più elettori delle consultazioni governative. In entrambi i casi, la società civile che simpatizza con gli zapatisti, ha spinto per la loro entrata nell’arena politica, cosa che hanno fatto solo parzialmente, restando un esercito.

La mancanza di conformità al mandato popolare non si deve tanto alla cattiva volontà dell’EZLN, quanto a vari fattori convergenti. Sebbene, dopo la prima consultazione dell’agosto 1995, gli zapatisti si fossero dichiarati favorevoli alla “costruzione di una forza politica non di partito, indipendente e pacifica”, il governo – e con gli ultimi cinque presidenti concordi – non ha mai permesso loro di deporre le armi attraverso una doppia politica di dialogo e accordi da una parte, e di costante militarizzazione del Chiapas – con tutte le piaghe che questa implica – dall’altra.

Nella primavera del 1995, mentre il Congresso votava una legge di concordia e pacificazione che riconosceva agli zapatisti impunità e diritto di esistenza, il presidente Zedillo li faceva sedere al tavolo del dialogo di San Andrés, che si concluse nel 1996 con la firma degli accordi mai rispettati dal governo.

Durante tutto il periodo del dialogo di San Andrés, che rappresentò un momento di incontro e collaborazione tra indios ribelli e intellighenzia progressista, che stabiliva una saldatura inedita nella storia del Messico, il governo occupò militarmente il Chiapas, scomponendo il suo tessuto sociale, formò e protesse gruppi paramilitari lanciandoli a massacri tristemente celebri come quello di Acteal, seminando il terrore e provocando decine di migliaia di sfollati, rifugiati interni abbandonati alla carità internazionale.

Se hanno dovuto resistere agli assalti di un’economia di guerra – basti solo pensare allo sconvolgimento del ciclo agricolo provocato dalla militarizzazione della Selva Lacandona e ad altre conseguenze devastanti come la prostituzione, le malattie, l’alcolismo, l’inquinamento, la nascita di lavori umilianti e malpagati, la divisione nelle comunità, etc. – gli zapatisti, d’altra parte, hanno potuto contare in questi due decenni sulla solidarietà concreta della società civile nazionale e internazionale e con un continuo, prezioso scambio di esperienze.

A partire dal 1995, quando il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, fondato dal vescovo Samuel Ruiz Garcia, e poi la ONG Enlace Civil cominciarono ad organizzare accampamenti di osservatori internazionali nella zona di conflitto, decine di migliaia di giovani di tutto il mondo si sono alternati nelle comunità zapatiste della Selva Lacandona. Alcuni portavano il frutto di collette di quartiere, altri il mero lavoro manuale, tutti condividevano un periodo, breve ma intenso, di immersione nella vita delle comunità. Un doppio apprendistato, un arricchimento mutuo, che è servito tanto agli zapatisti come una finestra sul mondo, quanto agli internazionali, come un’esperienza utile e positiva. Ed ha aiutato a contenere la guerra sporca dell’esercito federale al prezzo, accettabile, di alcune decine di espulsioni.

Secondo stime locali, la presenza più significativa di stranieri in tutti questi anni è stata quella degli italiani, seguiti – in ordine approssimativo di importanza – da spagnoli, baschi, statunitensi, francesi, norvegesi, tedeschi, svizzeri, canadesi, giapponesi, argentini, brasiliani, portoghesi ed un lungo eccetera. Molti di loro hanno partecipato a progetti di cooperazione che vanno dall’educazione alla salute, alla commercializzazione di caffè ed artigianato, all’alimentazione ed agricoltura biologica, fino all’installazione di stazioni radio in FM.

Il fatto che gli zapatisti non abbiano ancora potuto deporre le armi, arroccati nell’autodifesa e la protezione delle comunità, non ha impedito i tentativi, fino ad ora falliti, di costruire un “braccio civile”. Del Fronte Zapatista, creato nel gennaio del 1996, la cosa migliore che si possa dire è che non ha soddisfatto le aspettative. Se la speranza dell’EZLN era di dotarsi di un futuro braccio politico, questa speranza è andata delusa.

Molto più di successo si è rivelata la pratica dell’autonomia, il processo di autogoverno e gestione del territorio delle comunità zapatiste. Dopo l’infame tradimento istituzionale nel 2011, quando i tre poteri dell’Unione hanno eretto un muro al riconoscimento storico dei popoli originari, beffando con una legge-truffa l’entusiasmo popolare che aveva accompagnato la grande marcia nella capitale – “la marcia del colore della terra” del marzo del 2001, la più importante manifestazione antirazzista nella storia del Messico, secondo Carlos Monsivais – gli zapatisti hanno optato per la pratica dell’autonomia senza chiedere permesso a nessuno e l’hanno formalizzata nell’agosto del 2003 con la nascita dei Caracol, veri organismi di autogoverno regionale.

Simbolo del procedere lento ma sicuro dei gasteropodi, rappresentazione della spirale della vita e del processo di uscita/entrata dell’informazione, i Caracol sono le sedi delle cinque Giunte di Buon Governo, che coordinano l’amministrazione dei municipi autonomi zapatisti. È alle Giunte che devono rivolgersi, da un decennio, tutte le organizzazioni che vogliono presentare nuovi progetti di cooperazione. Sono queste che orientano la società civile in quanto alle priorità.

Le Giunte di Buon Governo rappresentano un passo avanti nell’esercizio dell’autonomia che gli zapatisti non hanno mai smesso di praticare, confermando che la loro vera sfera d’azione è sociale e politica più che militare, e si fonda sull’organizzazione autonoma delle comunità.

All’EZLN non ci sono molte critiche costruttive da fare. I pochi errori commessi nei suoi vent’anni di vita pubblica – come la sfortunata polemica tra Marcos ed il giudice Garzón – sono stati corretti brillantemente. Il lungo silenzio adottato in più di un’occasione di fronte alla verbosità del potere, ha espresso dignità – un valore che gli zapatisti hanno rivissuto a costo di grandi sacrifici – ma si è rivelato controproducente sul piano politico, dove ogni spazio lasciato libero è occupato da altri.

Le attuali posizioni del massimo stratega zapatista, che attacca frontalmente ad ogni occasione il candidato “dei poveri” Andrés Manuel López Obrador, per due volte spogliato della presidenza con la frode, hanno prodotto un certo sconcerto e malessere nella sinistra che si sente scossa da posizioni tanto radicali.

“È la vecchia storia della sinistra che si fa male da sola, dividendosi senza necessità”, afferma la scrittrice Elena Poniatowska, che, sebbene zapatista “de hueso colorado”, appoggia la candidatura di López Obrador e collabora con lui in ambito culturale. “Anche se tentano di squalificarlo come populista, Obrador è un uomo onesto e ben intenzionato”, sostiene la scrittrice, “una vera rarità nella politica messicana”. Attualmente Amlo, come è conosciuto Andrés Manuel López Obrador, si sta riprendendo da un recente infarto e sta per vedere riconosciuto legalmente il suo nuovo partito, il Morena (Movimento di Rigenerazione Nazionale).

Ci sono altre critiche – tutte costruttive – da fare al leggendario subcomandante. La sua politica di alleanze non sempre è stata fortunata, portandolo a relazionarsi con “amici” opportunisti e a lasciare da parte molti alleati di valore non considerandoli politicamente importanti. Non hanno suscitato grandi applausi nemmeno la mancanza di riconoscimento di Evo Morales, che rappresenta in ogni caso un grande avanzamento per il movimento indigeno continentale, né gli attacchi all’opportunista Partito della Rivoluzione Democratica, nominalmente di centro-sinistra ma troppo intelligente per accordarsi col potere. Etichettare il PRD come “un partito di assassini”, senza distinguere i leader dalle basi, a molti è sembrato eccessivo.

Tuttavia, le iniziative sorprendenti, come sono state recentemente le “escuelitas zapatistas” – un tentativo di socializzare l’esperienza dello zapatismo chiapaneco – oltre a rilanciare l’immagine di un leader carismatico come il sub Marcos, che inoltre è un ottimo stratega, una notevole penna ed un vero ponte tra due mondi, hanno fatto riprendere quota ai ribelli col passamontagna. Fino a riservare loro un posto particolare nel movimento “antiglobalizzazione” che dopo le manifestazioni di Cancún nel 2003 ha iniziato a chiamarsi altromondista.

Agli zapatisti, che si simpatizzi o no con loro, non possono essere negati molti meriti. Hanno imposto al paese il rispetto dell’emancipazione indigena. Hanno riattivato il diritto di ribellarsi in un paese che, nonostante le sue origini rivoluzionarie, l’aveva sospeso dal 1968, utilizzando la guerra sporca ed il massacro di Stato. Hanno inviato – e continuano ad inviare – al mondo un messaggio di dignità, forza, rispetto, creatività e altruismo. Hanno rivendicato la presenza dell’etica nella politica. Per la prima volta, hanno fatto risuonare le lingue indigene del Messico all’interno del Congresso federale. Hanno combattuto contro tradizioni retrograde e promulgato una legge delle donne rivoluzionaria. Hanno contribuito alla formazione del Congresso Nazionale Indigeno, massima istanza rappresentativa dei 56 popoli autoctoni del Messico. La loro resistenza ha ispirato tutto il movimento indoamericano, una forza crescente a livello continentale.

Gli zapatisti hanno anche ravvivato l’interesse mondiale verso la cultura maya, divulgando in un linguaggio antico, nuove certezze rivoluzionarie. Hanno suscitato un’onda permanente di solidarietà internazionale come non si vedeva dalla guerra di Spagna. Hanno ispirato analisi, canzoni, siti web, tesi di laurea, formazione di collettivi e centri sociali, libri, articoli, trasmissioni radio e documentari, proposte di legge, festival di appoggio, iniziative di gemellaggio, progetti di sviluppo e manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Sono stati gli invisibili compagni di strada in tutte le manifestazioni antagoniste da Seattle in poi. Ci ricordano che i principi di libertà, uguaglianza e fraternità, inseparabili dal diritto alla felicità, non sono ancora stati compiuti da nessuna rivoluzione. Che un altro mondo è possibile, necessario, urgente.

 

*Gianni Proiettis, corrispondente del quotidiano italiano Il Manifesto, è stato sequestrato e deportato dal Messico nel 2011 dal governo di Felipe Calderón.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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