La Jornada- Sabato 11 gennaio 2014
Frayba: Lo Stato assente di fronte alla crisi degli sfollati di Chenalhó
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 gennaio. A quattro mesi e mezzo da quando 98 persone sono state sfollate forzatamente dall’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), che ha accompagnato gli indigeni in questo doloroso percorso, testimonia le reiterate omissioni delle autorità statali e federali per risolvere un conflitto la cui gravità avverte che potrebbero ripetersi fatti irreparabili, come già è accaduto negli Altos del Chiapas.
A causa delle omissioni governative, il caso è in esame presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Ed ora, senza garanzie che salvaguardino la loro integrità fisica, le famiglie sfollate raccoglieranno il proprio caffè.
L’organizzazione riferisce che dopo innumerevoli riunioni con rappresentanti dei governi statale e federale, rileviamo che lo sfollamento forzato porta con sé molteplici violazioni dei diritti umani, ma il caso è stato sottovalutato dalle autorità. Queste propongono interventi amministrativi senza rispondere a istanze minime di giustizia né dare chiari segnali di voler risolvere un conflitto nel quale lo Stato mostra tutta la sua inefficienza e complicità.
Da parte sua, Agustín Gutiérrez, dirigente di Las Abejas di Acteal, sostiene che le autorità alimentano l’impunità e non applicano la giustizia. I governi non favoriscono la vita nella dignità, preferiscono distruggerci, lasciarci senza terre. Denuncia che si continua a premiare i paramilitari scarcerati con terre, beni, soldi. Agli aggressori dell’ejido di Puebla hanno consegnato attrezzature complete e denaro attraverso i progetti, promettono loro opere pubbliche. Vige la forza dei paramilitari.
Il Frayba constata che le richieste minime al governo dello stato, presentate dagli sfollati, di assicurare le condizioni per il ritorno nella loro comunità, non sono state soddisfatte. Tra queste, la restituzione della proprietà sottratta loro dal gruppo priista guidato dal pastore evangelico Agustín Cruz Gómez, noto membro del gruppo paramilitare che organizzò e perpetrò il massacro di Acteal nel 1997, e della cui appartenenza, secondo testimonianze degli abitanti di Puebla raccolti da La Jornada, si vanta ora davanti ai giovani dell’ejido, a riprova che non succede niente, cioè, che l’impunità è garantita.
Non è stato neppure chiarito pubblicamente il caso delle false voci fatte circolare riguardo l’avvelenamento dell’acqua potabile dell’ejido, né dei provvedimenti presi per riparare il danno causato dai malintenzionati, né i risultati delle tre indagini della Procura di Giustizia Indigena della Procura Generale di Giustizia dello Stato.
In diverse occasioni, segnala il Frayba, Francisco José Yañez Centeno, capo dell’Unità per l’Assistenza alle Organizzazioni Sociali della Segreteria di Governo, ed Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, segretario di Governo del Chiapas, hanno proposto misure economiche, materiali e di apparente riconciliazione e progetti di sviluppo a beneficio degli abitanti dell’ejido, includendo i colpevoli di fatti criminali, in cambio di dimenticare fatti inerenti le indagini, impunità per gli aggressori e firma di accordi privi di sostentamento e senza garanzie di non reiterazione.
Scaduti ormai i termini entro i quali le autorità si erano impegnate a trovare una soluzione, l’organizzazione civile ha annunciato che accompagnerà le famiglie sfollate, rifugiate ad Acteal dall’agosto scorso, in una difficile decisione: tornare nelle loro terre coltivate per raccogliere il loro caffè. Organizzazioni nazionali ed internazionali dei diritti umani accompagneranno la giornata di lavoro dei profughi, dal 17 al 27 gennaio. Queste sottolineano la responsabilità dello Stato per eventuali gravi situazioni o eventi possano accadere.
Il Frayba ribadisce che il conflitto evidenzia i risultati ed costi dell’impunità con la quale le autorità continuano a proteggere attori locali che polarizzano le comunità indigene nel loro tentativo di smantellare il tessuto comunitario che favorisce proposte organizzative, come l’autonomia, in risposta alla crisi di governabilità dello Stato messicano. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/11/politica/011n1pol
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