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30 Anni dopo l’Insurrezione Zapatista l’EZLN si trasforma

Andrea Cegna – 8 gennaio 2024

Una festa, o meglio, quattro giorni di festa con spettacoli teatrali, tornei sportivi, parate militari. Così l’EZLN, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ha deciso di ricordare il 1° gennaio 1994, inizio della guerra contro l’oblio. Per quattro giorni, dal 30 dicembre al 2 gennaio, migliaia di persone, soprattutto giovani e zapatisti accompagnati da un migliaio di internazionalisti, hanno preso parte all’evento celebrativo che prevedeva rappresentazioni teatrali, musical, tornei sportivi, proiezioni di film e la parata delL’EZLN alla mezzanotte del 1° gennaio 2024. Una celebrazione che non ha guardato al passato, né ai molteplici risultati raggiunti dall’organizzazione. Lo sguardo è rivolto al futuro, verso ciò che manca e ciò che occorre organizzare per difendere la vita delle comunità indigene senza dover sparare o uccidere.

Tanto che il Subcomandante Insurgente Moisés, leader politico militare e portavoce dell’EZLN dal febbraio 2013, parlando verso mezzanotte dice: “Quello che diciamo qui è che chi lavora mangia, e chi non lavora che si mangi le sue banconote e vediamo se questo soddisfa la sua fame, quindi, non abbiamo bisogno di uccidere. Questo diciamo. Ma per questo abbiamo bisogno di organizzazione: fatelo con i fatti! Giovani, donne, uomini di tutti i settori. È questo, compagni, ciò che dobbiamo dimostrare. Non crediamo più a chi governa, perché il capitalismo è nel mondo. Organizziamoci in ogni geografia e ognuno con il suo calendario”.

Pur restando un esercito, l’EZLN sceglie da anni la via pacifica verso l’autodeterminazione dei popoli maya del Chiapas, rifiutando la logica del potere e, quindi, la classica presa del potere marxista-leninista, proponendo la logica di costruire un’alternativa. Un passaggio che, in effetti, si è storicizzato negli anni, ma che ha trovato in questo trentesimo anniversario un rilancio narrativo. Dopo il 12 dicembre 1994 ci sono stati pochissimi episodi di scontri a fuoco con gli zapatisti. È ancora organizzato come esercito per ragioni di sicurezza, ma negli anni l’impronta militare ha lasciato sempre di più il posto a quella politico/sociale. Certamente la grave situazione di violenza contro le comunità, che negli anni hanno subito aggressioni militari, aggressioni paramilitari, guerre a bassa intensità e infine la nuova ondata di criminalità organizzata, non consente lo scioglimento della struttura di autodifesa. L’allora Subcomandate Marcos, nel maggio 2014, scriveva “Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo. Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita. Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.” e poi aggiunge “Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda. Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone. E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés: Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto”.

Da Ocosingo, una delle sette città occupate militarmente dall’EZLN il 1° gennaio 1994, ci vuole circa un’ora per raggiungere il Caracol VIII a Dolores Hidalgo. Lungo la strada c’è una grande base militare, uno dei 72 avamposti dell’esercito messicano che circondano il territorio zapatista. Una volta superata la base, si iniziano a incontrare i cartelli che annunciano l’avvicinamento a Caracol. Agli zapatisti piace giocare con gli internazionali: nel primo striscione parlano di una distanza di 33 chilometri dal Caracol, nel secondo di 5 e nel terzo di 1. Ma le distanze sono molto diverse, quindi per “l’ultimo chilometro zapatista ” ci vogliono venti minuti buoni in furgone per arrivare a destinazione. A quel punto, svoltando a sinistra, si incontra una discesa dove decine di miliziani controllano il traffico e gestiscono l’arrivo di autobus, auto, taxi e furgoni che portano le migliaia di non indigeni che accompagneranno l’EZLN nella festa. Superati i controlli, una fila di disegni e scritte su tela accompagnano l’arrivo nel Caracol alla festa del trentesimo anniversario. Da 2019 i Caracol sono 12 e sono la sede politico-amministrativa dell’autogoverno inaugurato ufficialmente nell’agosto 2003 dall’EZLN.

Il discorso duro e chiaro pronunciato da Moisés, lontano dalla poetica emotiva a cui l’attuale Capitano Marcos, già Subcomandante Marcos y Galeano, aveva abituato il pubblico internazionale, che riuniva artisti e intellettuali di tutto il mondo, è stato il momento centrale della celebrazione. Un discorso che riflette l’essenza indigena e la storia stessa dell’EZLN, un movimento che è cresciuto con la teoria dell’accumulo delle forze nel silenzio e parlava con franchezza pur fornendo molteplici interpretazioni di ciascuna delle sue proposte. Infatti, una delle sue citazioni più famose nel corso degli anni è stata “facciamo quello che diciamo, diciamo quello che facciamo”.

All’arrivo al Caracol VIII, Dolores Hidalgo, a un’ora di macchina dalla città di Ocosingo, molti si aspettavano qualcosa di più, quasi certamente la presenza visibile del Capitano Marcos, vista la preparazione avvenuta attraverso 20 comunicati con i quali quali l’EZLN ha rotto un silenzio di quasi due anni e l’invito pubblico a partecipare alle celebrazioni. D’altronde, come spesso è accaduto in questi trent’anni, le donne e gli uomini divenuti “famosi” perché si coprivano il volto con un passamontagna e imbracciavano le armi solo per rivendicare diritti, e soprattutto per affermare che potevano essere loro stessi, i popoli indigeni, in un mondo globalizzato e standardizzato, hanno preso una decisione nuova che va contro le aspettative e ancora una volta hanno colto nel segno, sorprendendo e costringendo molti a porsi delle domande.

Con opere teatrali hanno raccontato la trasformazione dell’organizzazione, la “morte” dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo, e con essa la nascita dei GAL e dei collettivi di governo territoriale. La nuova struttura zapatista risponde alle trasformazioni “geografiche” del movimento. Dopo 30 anni, l’unità territoriale delle comunità è andata diminuendo, e allo stesso tempo l’influenza zapatista si è estesa a territori diversi da quelli di origine. Non è ancora del tutto chiaro cosa e come funzionerà questa nuova struttura e i prossimi mesi lo diranno. Insieme ad altri, hanno denunciato le molteplici direzioni della guerra che il governo, le grandi potenze economiche e la criminalità organizzata stanno portando avanti contro l’esperienza neozapatista. La guerra per il controllo del territorio si è spostata in Chiapas, dove i gruppi criminali organizzati si contendono le zone di transito sulle rotte migratorie. Il Chiapas confina con il Guatemala con tre valichi di frontiera. Su tutti e tre il conflitto per il controllo è evidente, e nelle zone dove è presente l’EZLN non è diverso. Proprio per questo l’EZLN ha deciso di schierarsi nelle diverse zone del suo “controllo” e quindi essere oggetto di interposizione tra criminali e comunità. Tutto questo mentre il governo di Andrés Manuel López Obrador, con il progetto “Sembrando Vida”, ha esacerbato il conflitto per la terra all’interno delle comunità indigene.

Poi hanno organizzato una parata militare, seria e austera, come al solito, ma anche in questo caso hanno rotto ogni logica “militare” mandando dagli altoparlanti “La Carencia” dei Pantheon Rococò e lasciando il passo libero ai miliziani che hanno rotto le file e iniziato a ballare. “Compagne, compagni zapatisti, questo è ciò che abbiamo dimostrato 30 anni fa. È lì che abbiamo capito. Con i nostri compagni, il Comitato è lieto che voi, giovani uomini e donne, abbiate capito e che le vostre opere teatrali siano molto eloquenti. Tuttavia noi diciamo che dobbiamo farlo con le azioni, non con le parole. Né con poesia, né opere teatrali, né pittura e altre cose” mette in guardia Moisés.

Il centro gravitazionale del discorso di Moisés è stato il concetto di “comune” che gli zapatisti fanno come proposta di pace, tanto che nell’ultimo comunicato scritto dall’EZLN prima delle celebrazioni si leggeva “Ebbene, possiamo tornare a questo e alla nostra proposta: stabilire estensioni dei terreni recuperati a partire dal comune. Senza proprietà. Non privata, non ejidale, non municipale, non federale, non statale, non industriale, niente di niente. Non proprietà della terra. Come si dice: “terreno senza documenti”. Ad esempio, in queste aree ancora da definire, se ci si chiede di chi è quel terreno o chi ne è il proprietario, la risposta può essere: “di nessuno”, decide “la comunità”, e prosegue “Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte”.

Per Márgara Millán, antropologa e docente universitaria della UNAM, “uno dei principali sucessi dello zapatismo in questi 30 anni è stato quello di invertire la cultura razzista in Messico”, mentre per Carolina Díaz Iñigo, del Centro di Ricerche e Studi Superiori di Antropologia Sociale (CIESAS), Postdottorato dell’Universidad Iberoamericana – México, “Lo zapatismo è un riferimento non solo a livello nazionale ma anche internazionale nella vita dei popoli indigeni contro il razzismo, il colonialismo e lo sfruttamento. In Messico per anni si è pensato che i popoli indigeni non esistessero più, facevano parte di un passato glorioso ma non del presente. L’EZLN ha detto che questo non è vero, perché noi continuiamo a resistere”.

Secondo Guadalupe Nettel, tra l’altro direttrice della Rivista Unam, “il neo zapatismo è stato costruito con un 30% di donne che hanno combattuto con le armi oltre ad altre compagne che lo hanno sostenuto in modi diversi. Tutte queste donne che hanno partecipato alla concezione del movimento in diversi aspetti, hanno portato idee pratiche su ciò di cui le donne hanno bisogno facendp sì che ci sia un femminismo nelle terre indigene. Questo femminismo è diverso dal femminismo bianco che conosciamo nelle città perché hanno altri bisogni e altre idee, ma hanno anche contribuito a far sì che l’uguaglianza di genere fosse praticata in quei territori”.

Una prova di forza per l’EZLN che, oltre a convocare migliaia di persone, ha saputo accoglierle dando loro cibo e un letto, oltre a garantire la sicurezza, anche sanitaria, di tutti. Una prova di forza che mira a rispondere, con i fatti e non con le parole, alle critiche che l’EZLN continua a ricevere, alle polemiche sollevate dal governo, e anche alle voci, che provengono da diversi settori, su un suo indebolimento. C’è chi scommette che questa storia non arriverà intatta al 1° gennaio 2034; loro, gli zapatisti, dicono invece che il loro progetto è rovesciare il capitalismo in 120 anni. Chi avrà ragione? https://directa.cat/lezln-es-transforma-trenta-anys-despres-de-laixecament-zapatista/

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Foto Víctor Camacho

Il comune: il nuovo orizzonte

Raúl Romero*

Il viaggio è stato lungo. A causa delle strade malconce e privatizzate, incontriamo tratti in riparazione e incidenti. L’autista del nostro veicolo dice: bisogna guidare con prudenza, il diavolo è in giro. Un viaggio che dura 14 ore, da Città del Messico a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, lo facciamo in 21 ore. Il clima di violenza nel Paese, quel diavolo che si scatena dal 2006, ci porta a prendere tutte le precauzioni: lasciamo una lista con i contatti di emergenza e un gruppo ci monitora da posti fissi. Ogni quattro ore ricevono la nostra posizione. Se non arriva nessuna segnalazione ci cercano. Se non ci trovano entro un certo tempo, devono avvisare Frayba o la Rete TDT, le organizzazioni indipendenti che accompagnano la Carovana nazionale e internazionale in territorio zapatista. Nessuna precauzione è eccessiva per attraversare questo paese doloroso e la sua geografia del terrore.

Seguirà poi la seconda tappa del viaggio, da San Cristóbal de las Casas al Caracol Resistencia y Rebeldía: Un Nuevo Horizonte, nel comune di Dolores Hidalgo, a poco più di un’ora da Ocosingo. Qui il dilemma è quale strada prendere: quella che solitamente viene percorsa dai gruppi paramilitari e che si fanno pagare il passaggio, quella che ha tratti franosi oppure quella più lunga e piena di curve. Non c’è discussione. Prendiamo la strada tortuosa, alcuni prendono la dramamina e iniziamo il viaggio. Quattro ore e mezza dopo, con i volti pallidi e qualche stomaco svuotato lungo la strada, arriviamo in territorio ribelle. Inviamo l’ultimo rapporto: Siamo arrivati. In territorio zapatista non siamo in pericolo.

All’ingresso del Caracol, i compas – come chiamiamo affettuosamente i popoli zapatisti – hanno messo diversi striscioni che annunciano eventi come la festa danzante, le donne della dignità ribelle, l’idra capitalista… L’ingresso si trasforma in un abbraccio collettivo, centinaia di persone in viaggio da diverse parti del mondo si ritrovano nel territorio zapatista. Le conversazioni durano ore. I cuori sono felici. Iniziano a essere pianificati progetti collettivi. Le diagnosi generano dibattiti. Palestina e Kurdistan sono presenti ai colloqui. Si stringono nuove alleanze. Si rafforza la grande rete di solidarietà globale che si articola attorno all’EZLN. La celebrazione dei 30 anni della guerra contro l’oblio è anche la celebrazione di una nuova tappa dell’internazionalismo.

Nel Caracol si incontrano protagonisti del movimento zapatista. Marijosé, la compagna che più di due anni fa ha viaggiato sulla nave La Montaña dal sud-est messicano all’Europa – ribattezzandola Europa Insumisa –, ora svolge un nuovo incarico: è responsabile della cucina che sfamerà migliaia di persone per giorni. Anche La Verónica, Chinto, Amado e altri membri di spicco del Comando Palomitas – rinforzato da nuovi membri come Remigio – vagano per il Caracol. Cavalcano draghi, unicorni e altre creature fantastiche. Le loro risate e i loro scherzi, una delle armi segrete con cui lo zapatismo ha sedotto l’Europa ribelle, ora invitano anche alla speranza. Un amico commenta: il territorio zapatista è l’unico posto dove non posso vedere le mie figlie e mi sento tranquilla. Uno degli obiettivi dello zapatismo: un mondo in cui una ragazza giochi senza paura.

Se in passato il teatro e le pastorali servivano per evangelizzare le comunità indigene nel nuovo mondo, oggi le comunità indigene zapatiste sovvertono quella funzione e fanno del teatro uno strumento per spiegare pedagogicamente un processo estremamente complesso: la loro storia, la guerra all’oblio, il governo che obbedisce, i municipi autonomi ribelli zapatisti, le giunte di buon governo e qual è il loro nuovo orizzonte, il comune e la non proprietà.

Il 31 dicembre, alle 23,30, l’EZLN mostra la sua forza e la sua organizzazione. Migliaia di miliziani, uomini e donne, eseguono esercizi al ritmo di cumbia e ska. Il messaggio è chiaro, lo zapatismo è un esercito che ha scelto la vita, ma è disposto a difendere i propri territori e il proprio progetto. Contrariamente a quanto dicono intellettuali, specialisti e giornalisti forgiati nel pensiero pigro, lo zapatismo è pieno di gioventù. Tra miliziani e miliziani si percepiscono i volti e i corpi di chi comincia a lasciarsi alle spalle l’adolescenza. Una nuova generazione di zapatisti e una nuova tappa dello zapatismo.

La proprietà deve appartenere al popolo ed essere comune e il popolo deve governarsi da solo, ha affermato nel suo intervento il subcomandante Moisés, portavoce dell’EZLN. Bozze che disegnano il nuovo orizzonte teorico e politico lanciato dagli zapatisti. 30 anni dopo la guerra contro l’oblio, lo zapatismo si avvia verso il futuro dell’umanità.

*Sociologo @RaulRomero_mx Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2024/01/07/opinion/012a2pol

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L’EZLN al biviodi Raúl Vera https://www.facebook.com/raul.vera.338658

L’EZLN celebra il trentesimo anniversario della dichiarazione di guerra allo Stato messicano e lo fa in un momento di crisi. Da un lato, l’irruzione violenta dei gruppi della criminalità organizzata che dall’8 luglio 2021 si contendono il territorio del Chiapas, che comprende i territori che precedentemente controllava l’EZLN o dove l’EZLN aveva basi d’appoggio, e dall’altro la mancanza di progetti produttivi che generino guadagni per i membri di detta organizzazione.

Mentre i cartelli messicani con l’assenza o la compiacenza dello Stato messicano sono vere e proprie imprese che generano un’economia con potenza di fuoco in interi territori sotto il loro controllo (come la regione di confine-montagna), le organizzazioni sociali un tempo forti stanno gradualmente scomparendo, tra cui l’EZLN, a causa della mancanza di progetti che generino benessere economico tra i loro militanti.

L’EZLN, come tutte le organizzazioni sociali che si sono battute per la proprietà della terra in Chiapas, mancano di progetti produttivi. Il fatto che nel 1995 siano stati distribuiti 250.000 ettari, passati dalla proprietà privata all’amministrazione delle comunità appartenenti all’EZLN, non ha comportato necessariamente la modifica dei vecchi metodi di produzione: allevamento estensivo, caffè, mais, fagioli, in Chiapas si semina molto mais, ma la media della raccolta per ettaro è di una tonnellata per autoconsumo, e viene piantato con gli stessi metodi dei Maya di duemila anni fa: tagliare, abbattere, bruciare e battitura.

Le vecchie rivendicazioni di casa, terra, lavoro, pane, salute, istruzione, libertà, indipendenza, giustizia, democrazia e pace sembrano lontane trent’anni dalla loro dichiarazione e per realizzare questa vita c’è bisogno, oltre ai discorsi di autonomia e di comunicati dei dirigenti, di formazione dei quadri delle nuove generazioni. In questi trent’anni non hanno formato né mandato i loro giovani a formarsi su nuove tecniche di produzione che avrebbero reso più redditizia l’economia rurale, pur avendo avuto le porte aperte agli stranieri, poiché gran parte dei finanziamenti provenivano dall’estero. Non lo hanno fatto e oggi questo errore si presenta con un fenomeno migratorio che sta lasciando l’organizzazione senza basi di appoggio.

Nel 2021, l’EZLN ha avvertito che “il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile con la presenza di gruppi paramilitari, membri di diversi cartelli che si contendono le piazze e gruppi di autodifesa”.

Poco più di un mese fa ha annunciato attraverso un comunicato cambiamenti nella sua struttura, tra cui spicca la creazione dei Governi Autonomi Locali (GAL), considerati il fulcro dell’autonomia del movimento e coordinati da agenti e commissari autonomi. Ogni GAL, precisa la dichiarazione, “controlla le proprie risorse organizzative autonome – come scuole e cliniche – e il rapporto con le vicine comunità sorelle non zapatiste”.

In diverse interviste agli abitanti della selva spicca un denominatore comune: sottolineano che, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, religiosa e organizzativa, si stanno organizzando per affrontare il problema che li affligge tutti: la presenza della criminalità organizzata.

L’EZLN è caduto nella solita visione di pensare che la povertà genera rivoluzionari e rivoluzione, cosa totalmente falsa; paesi come Cuba o Venezuela, che vivono sotto governi di sinistra, soffrono una diaspora mai vista prima, i giovani emigrano verso paesi che garantiscono loro un lavoro per poter vivere, l’unica cosa che la povertà ha generato sono persone vulnerabili che vengono cooptate dai programmi sociali del governo al potere, o quel che è peggio, dalla criminalità organizzata. Un ex membro dell’EZLN ha raccontato che un giorno disse all’allora Subcomandante Marcos, oggi Capitán, che avrebbero dovuto iniziare a sviluppare progetti produttivi per creare posti di lavoro, la risposta fu “siamo in guerra”, una guerra durata solo 11 giorni.

In questo trentesimo anniversario ci si aspettava che venissero annunciate la struttura e le azioni future, tuttavia, nel discorso del Subcomandante Moisés, non è stato specificato in cosa consistessero le nuove modalità di organizzazione della guerriglia. Il messaggio si può riassumere così “oggi, come 30 anni fa, siamo soli” e cioè che l’adesione all’EZLN in quelle che erano le sue roccaforti come La Garrucha, Guadalupe Tepeyac, La Realidad, Oventic, Santiago el Pinar , San Andrés Larráinzar è decimata, le famiglie che continuano ad essere attive nell’EZ si contano sulle dita delle mani in ognuno di questi luoghi. Molti concordano sul fatto che la mancanza di un progetto che migliori il loro reddito li ha spinti a cercare nuove opzioni.

Fuori delle celebrazioni e dell’euforia del trentennale, l’EZLN si trova al bivio della sua esistenza, perché di questo passo non credo che resista altri dieci anni. La sua presenza è importante come contrappeso nella vita pubblica del Paese, superando il lamento dell’eterna vittima del “capitalismo selvaggio” e presentarsi come un’opzione differente per la sua base sociale che migliori la sua qualità di vita ed economia, capace di affrontare fenomeni come il crimine che oggi invade il Chiapas e dove Stato, come nel 1994, è assente

Nel 1994 nonni e genitori marciarono per farsi vedere, denunciarono la povertà e issarono la bandiera anticapitalista contro l’ingresso del Messico nel NAFTA. Oggi i figli e i nipoti di quegli uomini continuano a marciare, ma ora per entrare nel mercato del lavoro nel cuore della bestia capitalista, dell’idra, segnalata come da 30 anni, nel discorso di questo 1º di gennaio, come il mostro di mille teste, il capitalismo degli Stati Uniti.   Testo originale:QUI

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Discurso del Subcomandante Moisés en el 30 aniversario del levantamiento del EZLN

medioslibres 1 enero, 2024Zapatista https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/

Al filo de la medianoche del 31 de diciembre de 2023, el Subcomandante Insurgente Moisés del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, dio unas palabras, primero en tseltal y luego en español, a 30 años del levantamiento zapatista.

Qui per scaricare l’audio: https://www.centrodemedioslibres.org/wp-content/uploads/2024/01/20231231-Subcomandante-Moises.mp3

Trascrizione del discorso del Subcomandante Insurgente Moisés:

Hermanos que vienen en distintos lados de esta planeta Tierra, compañeros, compañeras:

Están viendo, ahí está, las sillas de los ausentes y ausentas.

No están las madres y los padres buscadoras.
No están las desaparecidas y desaparecidos.
No están las presas políticas y presos políticos.
No están las asesinadas y asesinados.
No están los jóvenes y jóvenas asesinados, asesinadas.
No están las niñas y los niños asesinados.
También no están nuestros tatarabuelos, los que lucharon hace más de 500 años.
Pero también no están nuestros compañeros caídos que ya lo cumplieron su deber.

Compañeros hombres bases de apoyo, compañeras bases de apoyo, aquí estamos aquí hoy, no para recordar su caída de estos compañeros, de hace 40 años, de hace 30 años, aquí estamos aquí compañeros, compañeras zapatistas para que lo tengamos presente el deber. Porque fue un deber a esos compañeros y a esas compañeras. Así es, y eso nosotros las zapatistas y los zapatistas no hemos cumplido. No podemos decir que ya hemos hecho mucho. Hasta que lleguemos también como a esos compañeros que estamos hablando de ellos y de ellas de hace 30 años y de hace 40 años.

No estamos diciendo acá de cómo eran, no, cómo eran en su deber. No estamos buscando para hacer un museo pa que nos recuerdan.

Compañeros, compañeras zapatistas, no necesitamos a que nos vengan a dar explicación o clase o taller político de cómo está el sistema. Tan sencillo y simplemente se ve como está el sistema capitalista. Quienes no quiere ver será su responsabilidad. Hace muchísimos años o nos dicen décadas, otros dicen siglos. Entonces para qué queremos entonces darnos clase de eso, simplemente es ver qué es lo que tenemos que hacer, el bien, pensar el bien.
Eso nos toca compañeros, compañeras.

Eso que estamos diciendo que vamos a hacer común, a lo mejor hay hermanos y hermanas, piensan otra cosa. No, hay cosas que sí son común y hay cosas que no es común. Para eso tenemos cabeza, para pensar, y para eso tenemos ojos para darnos cuenta, y para eso tenemos olfato para poder sentir cuál es común y cuál es no-común. Lo que pasa es que con la obra que hicieron compañeros compañeras jóvenes, está clarísimo, quien no quiere entender va en su cuenta.

Son dos cosas lo que está aquí, la propiedad debe de ser del pueblo y común, y el pueblo se tiene que gobernarse en sí mismo. No necesitamos esos que están ahí. Ellos creen que saben todo, deciden por los maestros, deciden por los doctores, deciden por todos los sectores de trabajadores. Como quien dice que son sabelotodo, son sabelotodo porque ahí ganan dinero sin trabajar, sin sudar. ¡No! Por eso el pueblo es la que tiene que saber gobernarse.

Compañeros, compañeras zapatistas, eso es lo que demostramos hace 30 años. Ahí donde nos dimos cuenta. Con los compañeros, compañeras, el Comité nos da gusto eso de que ustedes entendieron como jóvenes y jóvenas, y hicieron su obra de teatro la más clara. Pero les decimos que tenemos que hacer en los hechos, no discurso. Ni poesía nada más, ni obras de teatro nada más, ni en pintura nada más y todo otras cosas. Documental o cómo se llame.

No estoy diciendo que no sirve, sí sirve para comunicarnos. Una cosa es comunicarnos, otra cosa es pasar siglos y siglos comunicándonos y no se hace, como quien alguien que predique y predique, muere y nunca hay nada.

Así que compañeros, compañeras zapatistas, aquí nos están escuchando nuestros hermanos de otras partes del mundo, y también nuestros hermanos de aquí de este pueblo de México. Y nos están escuchando a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena. Cómo es que nos decimos, y porque les estoy hablando ustedes compañeros, compañeras zapatistas. Así que entonces lo tenemos que hacerlo en la práctica, claro lo dijeron: No tenemos manual, no tenemos libro. No hay libro que lo vamos a encontrar en donde podemos encontrar esto. El libro es la que ustedes mostraron acá de nuestros bisabuelos y de nuestros tatarabuelos, ese es el libro, común.
Lo que pasa es que en ese tiempo no había otros sectores de trabajadores como lo que hoy actualmente hay muchos.

Así que compañeros, compañeras, como ustedes demostraron pues en su obra. Los invitamos pues así a los hermanos, si quieren venir, vamos a compartir nuestras ideas a ver cuál la más mejor para la vida. Nosotros lo que estamos diciendo acá es de que entonces quien trabaja come, quien no trabaja, pues que coma su billete y que coma su moneda, a ver si con eso se satisface su necesidad de hambre, es lo que estamos diciendo, no necesitamos matar. Es eso lo que estamos diciendo eso, pero para eso se necesita organización. ¡Hacer en los hechos!, jóvenes, mujeres, hombres y de todos los sectores. Y eso compañeros, compañeras, es lo que tenemos que demostrar pues eso. Ya no creemos esos que están gobernando por ai, porque está en el mundo el capitalismo. Organicémonos en cada geografía y cadi quien con su calendario. Porque nadie es, nosotros es lo que decimos y por lo que se ve, así está.

Porque nadie va a ir a luchar en donde viven cada uno, somos nosotros ahí, en donde están, donde viven, no hay nadie quien va a luchar ahí. ¿Alguien cree que se puede humanizar al capitalismo?

– No

– No

– No

– No

Lo mismo nosotros decimos, no se puede humanizar al capitalismo, no va a decir el capitalismo: “Me rindo de explotar”. Nadie desde el más pequeño no quiere dejar de engañar de robar y de explotar, ni se diga a los grandototes.

Así que no se necesita mucho estudio, lo que se necesita ya es pensar cómo cambiar esto y nadie nos va a decir, somos nosotros los pueblos, mujeres, hombres.

Nosotros vamos a seguir ese camino y nos vamos a defender. No necesitamos matar a los soldados y a los malos gobiernos. Pero si vienen nos vamos a defender. Y por eso nosotros los hemos hecho a un lado a ellos a lo largo de 30 años, nos bastó 30 años para darnos cuenta lo que presentaron nuestros compañeros y compañeras jóvenes, no sirve el pirámide. No sirve. Y si a alguien cree que sí, por eso decimos cadi quien en su geografía demuéstrenos y nosotros vamos a demostrar también.

Entonces compañeros, compañeras, bases de apoyo, estamos comprometido ahora.

Compañeros, compañeras bases de apoyo, estamos solos, como hace 30 años. Porque solos hasta ahorita hemos descubierto ese nuevo camino que vamos a seguir, ¡común!

Aquí nos hace falta todavía que nos demuestran si están de acuerdo a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena y al pueblo de México. Como aquí estamos y aquí vivimos, vamos a ir viendo y vamos a ir conociendo, quién.

Esa es nuestra tarea compañeros, compañeras zapatistas, bases de apoyo, es lo que vamos a estar haciendo a lo largo de estos años. Pueblo manda y el gobierno obedece y los medios de producción es en común y es el pueblo la que va a ver.

Muchas gracias es todo nuestra palabra.

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Unità dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) durante le celebrazioni a Dolores Hidalgo – foto Ap/Eduardo Verdugo

MESSICO. Duro discorso del subcomandante insurgente Moisés al culmine delle celebrazioni nel Caracol VII. L’Ezln ora guarda dentro di sé. Con gli spettacoli teatrali e il ballo popolare a ritmo di cumbia va in scena la trasformazione.

Il Manifesto, 2 gennaio 2024Andrea Cegna, OCOSINGO, CHIAPAS

Uomini e donne di tutto il mondo hanno accompagnato ieri e l’altro ieri l’Ezln nelle giornate centrali delle celebrazioni per i 30 anni dell’inizio della rivolta zapatista. Per cogliere la varietà geografica dei partecipanti basta guardare il cartello che indica la vendita di ghiaccioli: è scritto il 24 lingue, dall’italiano al giapponese, passando per il curdo, l’arabo fino a diverse lingue indigene del Messico. Ma protagoniste e protagonisti sono stati zapatiste e zapatisti, sia nella loro componente civica che militare.

PER ENTRARE NEL CARACOL fondato nel 2018 si fa una discesa abbastanza ripida e in fondo, ai due lati della strada, dei miliziani indicano la strada e controllano che tutto si svolga in sicurezza. L’atto centrale, e politico, inizia domenica verso le 22.30 nel Caracol VII, quello di Dolores Hidalgo. Prima delle parole della Comandancia General sono i miliziani e le miliziane a prendere il centro della scena con una sorta di parata/esibizione a tempo di musica e sulle note del gruppo Panteón Rococò e de Los Ángeles Azules. Ancora prima ci sono stati spettacoli teatrali e concerti con cui le comunità indigene hanno raccontato la loro vita e affrontato i temi portanti dell’autonomia indigena. Proprio con gli spettacoli teatrali hanno messo in scena le trasformazioni dell’organizzazione e raccontato ai tanti non zapatisti le tensioni inter-comunitarie.

Finite le esibizioni, uomini e donne dell’Ezln si sono messi in posizione di “difesa” e la parola é passata al capo militare della struttura, il subcomandante insurgente Moisés. 40 minuti di discorso rivolto principalmente “all’interno” della struttura, tanto che viene pronunciato prima in tzeltal e quindi in castigliano.

Un discorso duro e netto, come quelli che consuetamente vengono fatti da Moisés. La poetica che era di Marcos/Galeano lascia spazio alla pragmaticitá e alla schiettezza. Ci si aspettava forse un discorso di più ampio respiro, invece l’Ezln, sorprendendo nuovamente e rompendo logiche di comunicazione occidentali-centriche, ha preferito guardare dentro di sé guardando al prossimo futuro e al Messico da una visione soggettiva, mettendo al centro il concetto di «comune». Una prospettiva che si scontra con le logiche del potere capitalista e della politica istituzionale.

NON SONO CERTO MANCATE frecciatine a Morena e più che altro a quella parte del mondo indigeno e dei movimenti sociali che si sono avvicinati al partito del presidente Andrés Manuel López Obrador. Moisés ha ripetuto, come qualche anno fa che zapatiste e zapatisti sono soli nella costruzione dell’autonomia e che la loro storia di libertà é fatta di sperimentazioni ed errori, di correzioni in corso e di intransigenza. Una chiamata alle armi, ma pacifica, che cerca, utilizzando l’idea del «comune» e rappresentazioni teatrali, di riaffaccare le conflittualità intra-comunitarie togliendo a crimine organizzato e governo gli interstizi in cui alimentare guerre e tensioni locali.

30 ANNI DOPO il 1 gennaio 1994 l’Ezln non solo esiste ancora ma si fa portatore di nuove idee e pratiche di trasformazione del contesto indigeno e messicano, alimentando il sogno di un paese dove tutte e tutti abbiano un posto degno di vita, così che guerra, patriarcato, povertà e razzismo vengano cancellati dalla storia.

Ci vorrà pazienza dicono, forse anche 120 anni, ma promettono di esserci ancora come organizzazione e così poter finalmente festeggiare il nuovo mondo. Poi è iniziato il ballo popolare, a ritmo di cumbia, fino alle prime ore di quell’alba che 30 anni fa fu di fuoco e sangue. https://ilmanifesto.it/la-festa-e-il-concetto-di-comune-a-30-anni-dalla-rivolta-zapatista

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Messico, 30 anni fa nasceva l’EZLN. Così, nel bene e nel male, la lotta zapatista ha cambiato faccia al Paese

di Andrea Cegna | 1 GENNAIO 2024

Il 1 gennaio 1994 il “sogno” messicano di entrare nel “primo mondo” grazie al Trattato di Libero Commercio con Usa e Canada si scontrava con l’opposizione ideologica e materiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. “All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio” scrisse il Subcomandante Marcos. Nelle prime ore di quel capodanno uomini e donne indigeni, di origine Maya con diverse lingue e abiti, occupavano sette municipi del Chiapas rifiutando l’idea di omologazione neoliberista, rivendicando la politica della differenza, ricordando le distanze culturali e organizzative del mondo indigeno rispetto a quello urbano, mettendo al centro la vita, il bene comune, e l’idea di collettività contro quella della singolarità, aprendo così una crepa,ancora aperta, nel muro del pensiero unico e facendo una proposta di Messico possibile per tutte e tutti ed un “mondo capace di contenere tanti mondi”.

Uomini e donne indigene, con il volto coperto dal passamontagna, cambiarono in maniera imprevista il Messico e la storia rivisitando l’idea di rivoluzione, utilizzando l’insurrezione armata non per prendere il potere se non per rivendicare diritti universali partendo dalla decostruzione interna della cosmogonia indigena imponendo discorsi e pratiche femministe e di convivenza pacifica nelle comunità originarie e ricordando che il mondo è un congiunto di varietà non omogenizzabili. Indigeni ed indigene sono, oggi, un soggetto riconosciuto e presente nel dibattito politico, tanto che candidati e candidate alle presidenziali cercano il loro supporto, ma il Messico ancora non si definisce, per costituzione, plurinazionale.

30 anni fa, a San Cristobal de Las Casas, i popoli originari soffrivano un razzismo violentissimo: era loro precluso camminare sui marciapiedi o entrare nei negozi, il turismo non esisteva ed il meticciato “coleto” viveva nel ricordo di essere l’antica capitale dello stato di confine con il Guatemala. Ora camminano a testa alta, aprono locali, c’è chi di loro vive il contesto urbano senza tradire le proprie tradizioni, chi si fa assorbire dalla società occidentale, chi resta in comunità, chi è vicino ad un partito, chi al sogno rivoluzionario. Nelle aperte e conclamate contraddizioni esistenti, forse la più grande conquista dell’EZLN è che le indigene e gli indigeni del Messico hanno acquisito libertà e diritti, per quanto ancora insufficienti, impensabili quando Salinas De Gortari firmava il Nafta con Usa e Canada.

Trent’anni dopo il mondo è molto diverso da quel giorno del 1994, e sono diversi San Cristobal, il Chiapas ed il Messico. Il turismo, per esempio, in questo stato di confine con il Guatemala, è da anni la prima industria locale e le trasformazioni urbane ed infrastrutturali sono scusa e causa dell’espulsione dalle città di povere e poveri, sgomberare comunità indigene, e cambiare in maniera irreversibile il territorio. L’accelerazione del processo di turistificazione è stata una delle risposte del governo messicano alla rivolta zapatista, nel tentativo di cooptare comunità originarie, arricchendo il territorio e frazionando così le necessità collettive. Ciò dice chiaramente che, a prescindere dall’idea che si possa avere dell’azione rivoluzionaria dell’EZLN, il Messico sarebbe un paese diverso, oggi, e con il paese anche i movimenti sociali del continente ed europei che hanno trovato nel neo-zapatismo un referente innovativo e eterodosso.

Una storia imperfetta, fatta di errori ed inciampi, rotture ed innamoramenti, conflitti interni alle comunità e alla struttura, una storia che ha appassionato intellettuali di mezzo mondo e artisti, e vive in uno scontro aperto con Andres Manuel Lopez Obrador, attuale presidente del Messico, per il quale la sconfitta elettorale nel 2006 è figlia non solo del possibile broglio del PRI ma anche del posizionamento dell’EZLN che si disse distante e non interessato al risultato delle presidenziali. Per “AMLO”, il mancato endorsment dell’EZLN e la critica del sistema istituzionale messicano tutto segnò la sconfitta. Uno scontro che prosegue anche oggi, apertamente, in maniera bi-direzionale. La rivendicazione della propria imperfezione è metodo politico e pratico per gli zapatisti. Dopo aver creato i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e quindi le Giunte di Buon Governo (JBG), inventandosi un governo alternativo a quello federale anche grazie “all’edificazione” di scuole e cliniche e così aver pensato un sistema di salute, educazione e giustizia autonomo non hanno esitato a mettere tutto in discussione. Hanno ammesso i proprio errori, con una serie di comunicati pubblici che hanno accompagnato il countdown per le celebrazioni dei primi 30 anni di lotta.

“In sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera” scrive Marcos il 14 novembre di quest’anno, non più subcomandante ma Capitano come all’inizio della sua “carriera” nell’EZLN. “La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così”.

L’EZLN ha resistito a 5 presidenti, alla militarizzazione del territorio (oggi in Chiapas ci sono 72 accampamenti o basi militari che circondano l’area di influenza zapatista), alla para militarizzazione (tristemente famoso il massacro di Acteal nel 1997), e alla guerra a bassa intensità. Oggi si trovano a confrontarsi resistendo anche al crimine organizzato e la violenza congiunta di criminali e grandi interessi economici, forse anche per questo hanno deciso di cambiare, al netto dei proprio sbagli, le forme organizzative. Quasi sicuramente anche per questo, pur non sparando più un colpo di fucile dal 12 gennaio del 1994, persistono ad essere un esercito sognando di poter smettere di esserlo, ma come scrisse sempre Marcos, “se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni”.

IlFattoQuotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/01/messico-30-anni-fa-nasceva-lezln-cosi-nel-bene-e-nel-male-la-lotta-zapatista-ha-cambiato-faccia-al-paese/7397199/

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Video e foto del 30° Anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio
31 dic 2023
Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.facebook.com/LosTejemedios/videos/219341304589556

Video Discorso del Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/?s=09

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Los de abajo

30° Anniversario dell’Insurrezione Zapatista

Gloria Muñoz Ramírez

30 dicembre 2023

Cosa spinge oggi un gruppo di attivisti di Valencia a fare un viaggio lampo nel sud-est messicano per celebrare con gli zapatisti il 30° anniversario dell’inizio della loro insurrezione? Cosa si smuove affinché 90 delegati indigeni provenienti da diverse parti del Messico si spostino in carovana per stare con i loro fratelli? Perché studenti, attivisti, lavoratori, ricercatori, artisti, registi, ballerini, rocker e artisti teatrali si sentono chiamati?

Le risposte sono molteplici e possono essere analizzate a partire dalle lotte a cui appartengono e dal riflesso che trovano nello zapatismo trentennale o nelle guerre che inondano il mondo; nella necessità di organizzarsi per affrontare le proprie disgrazie, nella lotta all’orfanità, nella consapevolezza del disastro nazionale e globale e dell’impossibilità di non fare niente. Sì, ma non solo.

Questo fine settimana, persone provenienti da 20 paesi del mondo e da quasi tutto il territorio nazionale saranno nel Caracol zapatista di Dolores Hidalgo, nel comune di Ocosingo, Chiapas, anche loro in cerca di una festa, di un ballo e di un incontro sociale, di azioni e pensieri. I video realizzati dall’EZLN come invito non lasciano spazio a dubbi. Continuano a parlare con il cuore di un bambino, ora in più una bambina, e di migliaia di adolescenti i cui genitori non erano ancora nati o erano molto piccoli quando i loro nonni decisero di imbracciare le armi, prendere militarmente sette città e dichiarare guerra allo Stato messicano e dire basta, frase emblematica del movimento che continua ad oltrepassare i confini.

Qui si celebra il 30° anniversario della rivolta armata contro l’oblio, contro la morte e la distruzione, recita lo striscione di benvenuto. E la messa in atto della proposta Terra di Nessuno. Terra di Tutti. Quale movimento nel mondo oggi osa invocare una festa internazionale autogestita e anticapitalista avendo tutti e tutto contro? Gli stessi che hanno osato imbracciare le armi nel pieno del boom neoliberista, prevedendo che sarebbe arrivato il peggio…

Da qui in poi, continuerà il lavoro che implica la non resa e la coerenza. Ma oggi i 30 anni della sua presentazione pubblica armata inizieranno con un altro ballo. https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/30/columnas/los-de-abajo-8788

desinformemonos.org

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INVITO AL TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO.

Dicembre 2023

Le comunità zapatiste e l’EZLN invitano tutte le persone, gruppi, collettivi, associazioni, organizzazioni e movimenti firmatari della Dichiarazione per la Vita, i popoli indigeni riuniti nel Congresso Nazionale Indigeno, la Sexta Mondiale, le organizzazioni non governative che difendono i diritti umani e, soprattutto, coloro il cui destino è nella creazione artistica, alla celebrazione del trentesimo anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio.

La celebrazione si svolgerà il 30 e 31 dicembre 2023 e l’1 e 2 gennaio 2024. Gli ospiti potranno arrivare dal 29, non prima di quel giorno.

La registrazione dei partecipanti avverrà presso il CIDECI a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Stampa, ospiti e il Congresso Nazionale Indigeno si registrano lì, o direttamente nella sede del caracol.

La celebrazione centrale del 30° anniversario sarà al Caracol “Resistencia y Rebeldía: Un Nuevo Horizonte”, inaugurato 3 anni fa nella città di Dolores Hidalgo, fondata su un terra recuperata. Clima da temperato a caldo di giorno. Da fresco a freddo notte-mattino.

Ubicazione: a un’ora dalla città di Ocosingo, autostrada per Monte Libano. A circa 4-5 ore da San Cristóbal de las Casas. A Ocosingo ci sono alberghi di prezzi diversi. Da San Cristóbal si consiglia il percorso attraverso Chanal-Altamirano verso Ocosingo. Poi prendere la strada per il Monte Libano. Superare la caserma federale di Toniná e più avanti, sempre sulla strada per il Monte Libano, ci saranno le indicazioni dei diversi GAL lungo la strada. Da Ocosingo, in un’ora e 20 minuti arriverete al Caracol della celebrazione.

Date: 30 e 31 dicembre 2023. Festival culturale con la partecipazione di giovani e bambini zapatisti. Non mancheranno spettacoli, canti, danze e poesie. Ballo nel pomeriggio e la sera.

1 gennaio 2024. Ore 00:00: discorso centrale zapatista. Nel pomeriggio e sera partecipazione culturale di famiglie ospiti provenienti da tutto il mondo. Coloro che hanno come vocazione l’arte e la cultura potranno presentare le loro creazioni alle comunità zapatiste e agli ospiti l’1 e il 2 gennaio 2024. Danza, teatro, cinema, musica, murales, ecc. saranno benvenuti.

2 gennaio 2024. Partecipazione culturale di familiari da tutto il mondo. Danza.

Si consiglia di portare con sé qualcosa da mettere tra il suolo e la propria malconcia anatomia per dormire. Qui, oltre ad essere dignitoso, il terreno è duro.

Ci sarà un servizio internet a gettoni, in modo che si possano avvisare i parenti del vostro arrivo sani e salvi. Saranno presenti postazioni di vendita di generi alimentari non specializzati (ovvero non ci sarà cibo vegano o vegetariano). Lo vedrete.

Raccomandiamo alle persone con dieta e farmaci speciali di portare ciò di cui hanno bisogno. Sarà attivo il servizio di ambulanza e cure mediche di base.

Per l’assegnazione degli spazi di riposo e nei dormitori verrà data precedenza alle persone di giudizio (quelle che voi chiamate “terza età” o “età dell’oro” o “anziani” o “persone in via di invecchiamento”) e minorenni.

Si avvisano i minorenni che è vietato lapidare, molestare o cacciare balene, unicorni, coccodrilli, draghi, cani, gatti, galline, galli, conigli, mucche, buoi (senza ferire), muli (senza ferire), cavalli, cavalle , pecore, biciclette e altri animali fantastici che possono incontrare. Il 3 volte T “Commando Palomitas” pattuglierà e garantirà che nessun essere vivente venga attaccato con pensieri, parole o azioni. È invece consentito attaccare le pietre, purché con la testa. Lo vedrete.

Ricordiamo che nei territori zapatisti è vietato il consumo, il commercio, lo spaccio e la semina di droga. Allo stesso modo, è vietato il consumo di alcol in qualsiasi sua forma.

È inoltre vietata l’esibizione, la distribuzione, la propaganda e l’apologia di qualsiasi partito politico elettorale di qualsiasi geografia.

Sono inoltre vietate le manifestazioni sessiste, religiose, nazionaliste, razziste, ideologiche, politiche e sportive che promuovano lo scherno, il bullismo, le molestie, l’aggressione e la violenza contro le persone per il loro colore, razza, orientamento sessuale, religione, lingua, cultura, origine sociale, taglia , nazionalità, ideologia, ecc.

La festa è di e per i popoli zapatisti. Si esige rispetto per i nostri usi e costumi, per i nostri modi e tempi, per la nostra lotta.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, dicembre 2023

Miliziani zapatisti al lavoro per preparare il luogo per la celebrazione del 30° anniversario. Laboratorio zapatista di biciclette. Il 3 volte T “Commando Palomitas” rinforzato dal batuffolo di peli della sua ala canina. Immagini per gentile concessione di Los Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica: Armad@s de Baile. Bossanonimi. Originale e Copla ℗ 2014 Bossanónimos Rilasciato il: 23-10-2014

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/24/invitacion-al-treinta-aniversario-del-inicio-de-la-guerra-contra-el-olvido/

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Ventesima e Ultima Parte: Il Comune e la Non Proprietà

Apri bene gli occhi, figliolo, e segui l’uccello Pujuy. Lui non si sbaglia. Il suo destino è come il nostro: camminare affinché gli altri non si perdano.”.

Canek. Ermilo Abreu Gómez

In qualche occasione, qualche anno fa, le comunità zapatiste si spiegavano la lotta di “noi in quanto donne” sottolineando non una questione di mera volontà, disposizione o studio, ma la base materiale che aveva reso possibile questo cambiamento: l’indipendenza economica. delle donne zapatiste. E non si riferivano al fatto di avere un lavoro e uno stipendio o all’elemosina in monete con cui i governi di tutto lo spettro politico comprano voti e adesioni. Indicavano nel lavoro collettivo il terreno fertile per questo cambiamento. Cioè, il lavoro organizzato che non era finalizzato al benessere individuale, ma a quello del gruppo. Non si trattava solo di riunirsi per fare artigianato, il commercio, l’allevamento del bestiame, o la semina e raccolta di mais, caffè, ortaggi. Anche e, forse, soprattutto, i propri spazi, senza uomini. Immaginate in quei tempi e luoghi di cosa cosa parlavano e parlano tra loro: il loro dolore, la loro rabbia, le loro idee, le loro proposte, i loro sogni.

Non entrerò oltre nel dettaglio: le compagne hanno la loro propria voce, la loro storia e il loro destino. Lo cito solo perché resta da sapere quale sarà la base materiale su cui costruire la nuova tappa che le comunità zapatiste hanno deciso. La nuova iniziativa, come la classificherebbero quelli che vengono da fuori.

Sono orgoglioso di sottolineare che non solo l’intera proposta è stata il prodotto, fin dal suo concepimento, del gruppo dirigente organizzativo zapatista, tutto di sangue indigeno con radici maya. Anche che il mio lavoro si è limitato a fornire informazioni che le mie cape e capi “incrociavano” con i loro, e, successivamente, a cercare e argomentare obiezioni e probabili futuri fallimenti (la già citata “ipotesi” a cui ho fatto riferimento in un testo precedente). Alla fine, quando hanno terminato la loro deliberazione e hanno concretato l’idea centrale per sottoporla alla consultazione di tutte le comunità, sono rimasto sorpreso come forse lo sarete voi ora che lo saprete.

In quest’altro frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés, ci spiega come sono arrivati a questa idea del “comune”. Forse qualcuno di voi potrà apprezzare il significato profondamente ribelle e sovversivo di questo in cui, tanto per non cambiare, mettiamo a rischio la nostra esistenza.

El Capitán.

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LA NON PROPRIETÀ.

Ebbene, in sintesi questa è la nostra proposta: stabilire come comuni le estensioni dei terreni recuperati. Cioè senza proprietà. Né privata, né ejidale, né comunale, né federale, né statale, né aziendale, né altro. Una non proprietà della terra. Come si dice: “terra senza documenti”. Quindi, in quelle terre che verranno definite, se si chiede chi possiede quelle terre o chi ne è il proprietario, la risposta sarà: “di nessuno”, cioè “comuni”.

Se si chiede se è la terra degli zapatisti, di quelli del partito o di chicchessia, beh, nessuno di loro. O di tutti, è la stessa cosa. Non c’è nessun commissario o agente che compri, uccida, faccia sparire. Quello che c’è sono persone che lavorano e si prendono cura di quelle terre. E le difendono.

Una parte importante è che, affinché ciò si realizzi, deve esserci un accordo tra i residenti, indipendentemente dal fatto che siano dei partiti o zapatisti. In altre parole, devono dialogare tra loro e non con i malgoverni. Chiedere il permesso ai malgoverni ha solo portato divisioni e persino morti tra gli stessi contadini.

Quindi, rispettando le terre che sono di proprietà personale-familiare, e quelle che sono per il lavoro collettivo, questa non-proprietà si crea sulle terre recuperate in questi anni di guerra. E si propone di lavorarla in comune a turni, indipendentemente dal partito a cui appartieni, dalla religione, dal colore, dalla taglia o dal sesso.

Le regole sono semplici: ci deve essere un accordo tra gli abitanti di una regione. Non coltivare droghe, non vendere la terra, non permettere l’ingresso di alcuna azienda o industria. Sono esclusi i paramilitari. Il prodotto del lavoro di quelle terre appartiene a chi le lavora nei tempi concordati. Non ci sono tasse, né pagamento delle decime. Ogni struttura costruita viene lasciata al gruppo successivo. Si porta via solo il prodotto del proprio lavoro. Ma di tutto questo parleremo più approfonditamente in seguito.

Questo, in estrema sintesi, è quanto è stato presentato e messo a consulta in tutti i villaggi zapatisti. E si è scoperto che la stragrande maggioranza era d’accordo. E anche che in alcune regioni zapatiste ciò si faceva già da anni.

Quello che abbiamo fatto è stato proporre un percorso per attraversare la tormenta e raggiungere l’altra sponda in sicurezza. E non fare questo cammino da soli come zapatisti, ma insieme come popoli indigeni che siamo. Naturalmente si saprà di più su questa proposta: circa la salute, l’istruzione, la giustizia, il governo, la vita. Diciamo che lo riteniamo necessario per poter affrontare la tormenta.

PENSARE AL PERCORSO E AL PASSO.

Come ci è venuto in testa? Bene, ve lo dirò. Abbiamo visto diverse cose. Quindi questa idea non è venuta fuori subito. Come se si mettesse insieme e come se la vedessimo pezzo per pezzo e poi tutta insieme.

Una era la tormenta. Tutto ciò che rimanda alla non conformità della natura. Il suo modo di protestare, sempre più forte e sempre più terribile. La chiamiamo distruzione, ma molte volte quello che succede è che la natura si riprende un luogo. O attacca le invasioni del sistema: le dighe, per esempio. Località turistiche, ad esempio, che si costruiscono sulla morte delle coste. Megaprogetti che fanno male, feriscono la terra. Quindi, c’è la reazione. A volte reagisce rapidamente, a volte ci mette un po’. E l’essere umano, beh, ciò che il sistema ha fatto dell’essere umano, è come stordito. Non reagisce. Anche se vede che la disgrazia sta arrivando, che ci sono avvertimenti, che ci sono avvisi, continua come se nulla fosse e, beh, succeda quel che succeda. Dicono che tale disgrazia sia stata improvvisa. Ma sono ormai diversi anni che si avverte che la distruzione della natura avrà il suo prezzo. La scienza, non noi, lo analizza e lo dimostra. Noi, quindi, come gente della terra la vediamo. È tutto inutile.

La tragedia non arriva all’improvviso in casa tua, no. Prima si avvicinerà, farà rumore così saprai che sta arrivando. Bussa alla tua porta. Rompe tutto. Non solo la tua casa, la tua gente, la tua vita, ma anche il tuo cuore. Non sei più tranquillo.

L’altra è ciò che chiamano decomposizione sociale o che il tessuto sociale si rompe a causa della violenza. In altre parole, una comunità di persone è legata a determinate regole, norme o accordi, come diciamo noi. A volte vengono fatte leggi scritte e a volte non c’è nulla di scritto, ma la gente comunque lo sa. In molte comunità si dice “verbale di accordo” cioè si mette per iscritto. “Questo si può fare, questo non si può fare, questo si deve fare”, e così via. Per esempio, che chi lavora dunque avanzi. Che chi non lavora, resti indietro. Che è sbagliato costringere qualcuno a fare ciò che non vuole, ad esempio nel caso degli uomini contro le donne. Che è sbagliato aggredire i deboli. Che è sbagliato uccidere, rubare, violentare. Ma cosa succede al contrario? Se il male viene premiato e il bene viene perseguito e punito. Ad esempio, un contadino indigeno che vede che la distruzione di una foresta è sbagliata, ne diventa il guardiano. Protegge la foresta, quindi, da chi la distrugge per trarne profitto. Difendere è una buona cosa, perché quel fratello o quella sorella si prendono cura della vita.. Questo è umano, non è una religione. Ma accade che questo guardiano venga perseguito, imprigionato e, non di rado, assassinato. E se si chiede qual è il suo crimine, perché lo hanno ucciso, e si sente dire che il suo crimine è stato difendere la vita, come il fratello Samir Flores Soberanes, allora è chiaro che il sistema è malato, che non c’è più rimedio, che bisogna cercare altrove.

Cosa serve per rendersi conto di questa malattia, di questo marciume dell’umanità? Non c’è bisogno della religione, o della scienza, o di un’ideologia. Basta guardare, ascoltare, sentire.

E poi vediamo che ai grandi Padroni, ai capitalisti, non importa cosa succederà domani. Vogliono guadagnare oggi. Il più possibile e il più rapidamente possibile. Non importa se dici loro “ehi, ma quello che fai distrugge e la distruzione si diffonde, cresce, diventa incontrollabile e ritorna a te”. Come se stessi sputando o pisciando controvento. Ti si ritorce contro.” Potresti pensare che è bello che la disgrazia si abbatta su un mascalzone. Ma prima di questo, si abbatte su molte persone che non sanno nemmeno perché. Come i bambini, per esempio. Cosa ne sa un bambino di religioni, ideologie, i partiti politici o altro. Ma il sistema li rende responsabili. Gliela fa pagare. Nelloro nome si distrugge, nel loro nome si uccide, nel loro nome si mente. E gl si lascia in eredità morte e distruzione.

E non sembra che migliorerà. Sappiamo che andrà peggio. E comunque dobbiamo attraversare la tormenta e arrivare dall’altra parte. Sopravvivere.

Un’altra cosa è ciò che abbiamo visto nel Viaggio per la Vita. Quello che c’è in quei posti che dovrebbero essere più avanzati, che sono più sviluppati come si suol dire. Abbiamo visto che tutto ciò che parla di “civiltà occidentale”, di “progresso” e cose del genere è una bugia. Abbiamo visto che c’era il necessario per le guerre e i crimini. Ci siamo accorti davvero di due cose: la prima è dove andrà a sbattere la tormenta se non facciamo nulla. L’altra è quello che altre ribellioni organizzate stanno costruendo in quelle aree geografiche. In altre parole, quelle persone vedono la stessa cosa che vediamo noi. Cioè, la tormenta.

Grazie a questi popoli fratelli abbiamo potuto ampliare la nostra visione, renderla più ampia. Cioè, non solo guardare più in là, ma vedere anche più cose. Più mondo.

Quindi noi, come popoli indigeni, ci chiediamo cosa facciamo, e se ne vale la pena, e se tutti lì lo vedano. Ma vediamo quei fratelli che si comportano come se non gli importasse cosa succede agli altri, pensano solo a se stessi, e poi tocca a loro. Credono di essere al sicuro chiusi in se stessi. Ma per niente.

IL CAMMINO DELLA MEMORIA.

Quindi abbiamo pensato, ricordato com’era prima. Ne abbiamo parlato con i nostri predecessori. Abbiamo chiesto loro se prima era così. Abbiamo chiesto loro di dirci se c’è sempre stata l’oscurità, la morte, la distruzione. Da dove viene questa idea del mondo? Com’è che è andato tutto a puttane? Pensiamo che se sapessimo quando e come si è persa la luce, il buon pensiero, la conoscenza di ciò che è bene e di ciò che è male, allora forse potremo ritrovarci e quindi lottare affinché tutto torni come dovrebbe essere, nel rispetto della vita.

E poi abbiamo visto come ciò è avvenuto: è avvenuto con la proprietà privata. E non si tratta di cambiare nome e dire che è una proprietà ejidale, una piccola proprietà o una proprietà federale. Perché in tutti i casi è il malgoverno a dare le carte. In altre parole, è il malgoverno che dice se qualcosa esiste e, con i suoi trucchi, cessa di esistere. Come ha fatto con la riforma di Salinas de Gortari contro la proprietà comunale, che esisteva solo se registrata e che, con le stesse leggi, la fanno scomparire. E anche i beni comunali registrati provocano divisioni e scontri. Perché quelle terre appartengono legalmente ad alcuni, ma contro altri. I documenti di proprietà non dicono “questo è tuo”, ma dicono “questo non è di quella persona, attaccala”.

E i contadini si sbattono per farsi dare un pezzo di carta che dice che quello che è loro è loro perché già ci lavorano. E i contadini fanno la guerra ai contadini nemmeno per un pezzo di terra, no, è per un pezzo di carta su cui è scritto a chi appartiene quella terra. E documenti, e aiuti economici sono un altro inganno. Perché si scopre che se hai un documento, ti danno un aiuto economico del programma sociale, ma ti chiedono di sostenere, ad esempio, un candidato perché quel candidato ti darà il documento e i soldi. Ma poi quello stesso governo ti sta ingannando perché vende quel documento a un’azienda. E poi arriva l’azienda e ti dice che devi andartene perché quella terra non è tua perché il documento adesso lo ha quel cazzo di imprenditore. E te ne devi andare con le buone o con le cattive perché hanno eserciti, polizia e paramilitari per convincerti ad andartene.

È sufficiente che l’azienda dica che vuole tali terreni perché il governo ne decreti l’esproprio e dica all’azienda di fare i suoi affari “per un po’”. Questo è quello che fanno con i megaprogetti.

E tutto per un dannato pezzo di carta. Anche se il pezzo di carta risale ai tempi della Nuova Spagna, non è valido per i potenti. È un inganno. Potete fidarvi e stare tranquilli finché il sistema non scopre che sotto la vostra povertà c’è il petrolio, l’oro, l’uranio, l’argento. Oppure che esiste una sorgente di acqua pura, perché l’acqua è ormai una merce che si compra e si vende.

Una merce come lo erano i tuoi genitori, i tuoi nonni, i tuoi bisnonni. Una merce come lo sei tu, e lo saranno i tuoi figli, i tuoi nipoti, i tuoi pronipoti, e così via per generazioni.

Quel documento è come le etichette delle merci nei mercati, è il prezzo della terra, del tuo lavoro, dei tuoi discendenti. E non te ne accorgi, ma sei già in fila alla cassa. E si scopre che non solo dovrai pagare, ma uscirai dal negozio e scoprirai che hanno preso la tua merce, che non hai nemmeno il documento per cui tu e i tuoi antenati avete combattuto così duramente. E che ai tuoi figli, forse, lascerai un documento, e magari nemmeno quello. I documenti del governo sono il prezzo della tua vita, devi pagare quel prezzo con la tua vita. Quindi sei una merce legale. Questa è l’unica differenza dalla schiavitù.

I più anziani ti dicono che il problema, la divisione, le discussioni e le risse, sono arrivate quando sono arrivati i documenti di proprietà. Non è che prima non ci fossero problemi, è che si risolvevano facendo un accordo.

E il problema è che puoi fare tanti documenti che suddividono la terra tante volte, ma la terra non cresce come le carte. Un ettaro è pur sempre un ettaro, anche se le carte sono tante.

Quindi, questo succede con quella cosa che chiamano Quarta Trasformazione e il suo programma Sembrando Vida: negli ejidos ci sono gli aventi diritto – che sono gli ejidatarios che hanno il suddetto documento di certificato agrario – e i richiedenti che, pur partecipando nella comunità, non hanno i documenti perché la terra è già distribuita. I richiedenti chiedono un pezzo di terra, ma in realtà chiedono un pezzo di carta che dica che sono agricoltori che lavorano la terra. Quindi non è che il governo viene a dire loro che quella terra è loro. No. Dice che se dimostreranno di possedere 2 ettari, riceveranno un sostegno finanziario. Ma da dove vengono quei due ettari? Beh, dagli aventi diritto.

In altre parole, il terreno che secondo il documento è di propria di uno, deve essere fatto a pezzi per i richiedenti. Deve essere suddiviso in modo che possano esserci più documenti dello stesso documento. Non è una distribuzione agraria, è una frammentazione della proprietà. E cosa succede se gli aventi diritto non vogliono o non possono? I loro figli vogliono il sostegno finanziario, ma hanno bisogno dei documenti. Quindi litigano con il padre. E le figlie? Le donne non contano nella suddivisione dei documenti. E i figli litigano a morte coi padri. E vincono i figli e con quel documento, perché la terra resta la stessa e continua a essere dov’era, ricevono i loro soldi. Con quel pagamento si indebitano, comprano qualcosa o mettono insieme qualcosa per pagare il coyote per andare negli Stati Uniti. Ma siccome non basta, vendono il documento a qualcun altro. Vanno a lavorare all’estero e si scopre che guadagnano per ripagare chi glieli ha prestati. Sì, inviano rimesse ai loro familiari, ma le loro famiglie le usano per ripagare il debito. Dopo un po’ quel figlio ritorna o viene restituito. Questo se non lo uccidono o lo rapiscono. Ma non ha più la terra, perché ha venduto il documento e ora quella terra appartiene a chi possiede il documento. Quindi ha ucciso suo padre per un documento che non ha più. Allora deve trovare i soldi per riacquistare il documento.

La popolazione cresce, ma la terra non cresce. Ci sono più documenti, ma è solo la stessa estensione di terra. Cosa succederà? Che in questo momento aventi diritto e richiedenti si stanno uccidendo tra loro, ma più tardi si uccideranno tra richiedenti. I loro figli combatteranno tra loro, proprio come lui ha combattuto con i suoi genitori.

Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte.

IL VECCHIO NUOVO CAMMINO.

Come è stato nella nostra storia di lotta quello che chiamano “base materiale?”

Bene, prima c’era l’alimentazione. Con il recupero delle terre che erano in mano ai latifondisti, la dieta migliorò. La fame non era più ospite nelle nostre case. Poi, con l’autonomia e il sostegno delle persone che chiamiamo “brave persone”, la salute è continuata a migliorare. Qui è stato ed è molto importante il sostegno dei medici fraterni, così li chiamiamo perché sono come nostri fratelli che ci aiutano non solo nelle malattie gravi. Anche e soprattutto nella preparazione, cioè nella conoscenza sanitaria. Poi l’istruzione. Poi il lavoro con la terra. Poi il governo e l’amministrazione delle comunità zapatiste stesse. Quindi il governo e la convivenza pacifica con chi non è zapatista.

La base materiale di questo modo di produzione, è la coesistenza del lavoro individuale-familiare con il lavoro collettivo. Il lavoro collettivo ha permesso il decollo delle compagne e la loro partecipazione nell’autonomia.

Diciamo che i primi 10 anni di autonomia, cioè dalla sollevazione alla nascita delle Giunte di Buon Governo, nel 2003, sono stati di apprendimento. I successivi 10 anni, fino al 2013, sono stati dedicati all’apprendimento dell’importanza del ricambio generazionale. Dal 2013 ad oggi si è trattato di verificare, criticare e auto-criticare errori di funzionamento, amministrazione ed etica.

In ciò che segue, avremo una fase di apprendimento e riadattamento. In altre parole ci saranno molti errori e problemi, perché non esiste un manuale o un libro che ti spieghi come fare. Faremo molte cadute, sì, ma ci rialzeremo ancora e ancora per continuare a camminare. Siamo zapatisti.

La base materiale o produttiva di questa fase sarà una combinazione di lavoro individuale-familiare, di lavoro collettivo e di questa nuova cosa che chiamiamo “lavoro comune” o “non proprietà”.

Il lavoro individuale-familiare si basa sulla proprietà piccola e personale. Una persona e la sua famiglia lavorano il loro pezzo di terra, il loro negozietto, il loro automezzo, il loro bestiame. Il guadagno o beneficio è per quella famiglia.

Il lavoro collettivo si basa sull’accordo tra compagne e/o compagni di lavorare sui terreni collettivi (assegnati così prima della guerra e ampliati dopo la guerra). Il lavoro è distribuito in base al tempo, alle capacità e alla disposizione. Il guadagno o beneficio è per la collettività. Viene solitamente utilizzato per feste, mobilitazioni, acquisizione di attrezzature sanitarie, formazione di promotori sanitari e di educazione, nonché per gli spostamenti e il mantenimento di autorità e commissioni autonome.

Il lavoro comune comincia, adesso, nella proprietà della terra. Una parte dei terreni recuperati vengono dichiarati di “lavoro comune”. Cioè non sono lottizzati e non appartengono a nessuno, né per piccola, media o grande proprietà. Questa terra non appartiene a nessuno, non ha proprietario. E le comunità vicine se la “prestano” a vicenda per lavorarci. Non può essere venduta o acquistata. Non può essere utilizzata per la produzione, lo spaccio o il consumo di stupefacenti. Il lavoro si svolge in “turni” concordati con i GAL e i fratelli non zapatisti. Il beneficio o il guadagno spetta a chi lavora, ma la proprietà no, è una non proprietà che si usa in comune. Non importa se sei zapatista, di un partito, cattolico, evangelico, presbiteriano, ateo, ebreo, musulmano, nero, bianco, scuro, giallo, rosso, donna, uomo, otroa. Puoi lavorare la terra in comune, con l’accordo dei GAL, CGAL e ACGal, per villaggio, regione o zona, che sono quelli che controllano il rispetto delle regole di uso comune. Tutto ciò che serve al bene comune, niente che vada contro il bene comune.

UNA CONDIVISIONE MONDIALE: LA GIRA POR LA VIDA.

Alcuni ettari di questa Non-Proprietà saranno proposti ai popoli fratelli di altre geografie del mondo. Li inviteremo a venire e lavorare queste terre, con le loro mani e la loro conoscenza. Cosa succede se non sanno lavorare la terra? Ebbene, le compagne e i compagni zapatisti insegneranno loro come fare, i tempi della terra e come prendersene cura. Crediamo che sia importante saper lavorare la terra, cioè saperla rispettare. Non credo faccia male a nessuno, così come si studia e si impara nei laboratori e nei centri di ricerca, studiare e imparare anche lavorando nei campi. Ancora meglio se questi popoli fratelli hanno conoscenza e modo di lavorare la terra e ci portano quella conoscenza e quei modi, ed è così che anche noi impariamo. È una condivisione non solo a parole, ma nei fatti.

Non abbiamo bisogno che vengano a spiegarci lo sfruttamento, perché lo viviamo da secoli. Né che vengono a dirci che dobbiamo morire per ottenere la libertà. Lo sappiamo e lo mettiamo in pratica ogni giorno da centinaia di anni. Ciò che è benvenuto è la conoscenza e la pratica per la vita.

Guarda, la delegazione che è andata in Europa ha imparato tante cose, ma la cosa più importante che abbiamo imparato è che ci sono tante persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che cercano un modo per lottare per la vita. Hanno un altro colore, un’altra lingua, altre usanze, un’altra cultura, un altro modo. Ma hanno il nostro stesso cuore di lotta.

Non cercano chi è il migliore, o che gli venga dato un posto nei malgoverni. Stanno cercando di guarire il mondo. E sì, sono molto diversi l’uno dall’altro. Ma sono uguali, o meglio siamo uguali. Perché vogliamo davvero costruire qualcos’altro, e quella cosa è la libertà. La vita.

E noi, comunità zapatiste, diciamo che tutte queste persone sono la nostra famiglia. Non importa che siano molto lontane. E in quella famiglia ci sono sorelle maggiori, fratelli maggiori, sorelline e fratellini. E non c’è nessuno migliore di n altro. Ma una stessa famiglia. E come famiglia ci sosteniamo a vicenda quando possiamo, e ci insegniamo a vicenda ciò che sappiamo.

E tutte, tutti, todoas, sono gente dal basso. Perché? Perché quelli sopra predicano la morte perché questo dà loro profitti. Quelli di sopra vogliono che le cose cambino, ma a loro vantaggio, anche se la situazione sta peggiorando sempre di più. Ecco perché saranno quelli in basso che combatteranno e stanno già lottando per la vita. Se il sistema è un sistema di morte, allora la lotta per la vita è la lotta contro il sistema.

Cosa succede dopo? Ebbene, ognuno costruisce la propria idea, il proprio pensiero, il proprio piano su ciò che è meglio. E ognuno forse ha un pensiero diverso e un modo diverso. E questo va rispettato. Perché è nella pratica organizzata che si vede cosa funziona e cosa no. In altre parole, non esistono ricette o manuali, perché ciò che funziona per uno potrebbe non funzionare per un altro. Il “comune” mondiale è la condivisione di storie, di conoscenze, di lotte.

In altre parole, come si suol dire, il viaggio per la vita continua. Per la lotta.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, dicembre 2023. 500, 40, 30, 20, 10, 3, un anno, qualche mese, qualche settimana, qualche giorno, poco fa. Dopo.

P.S.- Al termine dell’intervista e dopo aver verificato che il senso delle sue spiegazioni fosse corretto, il Subcomandante Insurgente Moisés – che è portavoce zapatista ed ha ricevuto il comando 10 anni fa, nel 2013 – si accese l’ennesima sigaretta. Io accesi la pipa. Restammo a guardare lo stipite della porta della baracca. Il primo mattino lasciava il posto all’alba e le prime luci del giorno risvegliavano i suoni delle montagne del sud-est messicano. Non dicemmo altro, ma forse entrambi pensammo: “e manca quello che manca”.

P.S. CHE DICHIARA SOTTO GIURAMENTO. – In nessun momento e in nessuna fase della deliberazione che ha portato alla decisione dei popoli zapatisti sono emerse citazioni, note o riferimenti, anche lontani, di Marx, Engels, Lenin, Trotski, Stalin, Mao, Bakunin, el Che, Fidel Castro, Kropotkin, Flores Magón, la Bibbia, il Corano, Milton Freidman, Milei, il progressismo (se ha qualche riferimento bibliografico che non sia quello delle sue merde rosse), la Teologia della Liberazione, Lombardo, Revueltas, Freud, Lacan, Foucault, Deleuze, qualunque cosa sia di moda o modo a sinistra, o qualsiasi fonte proveniente da sinistra, destra o centri inesistenti. Non solo, so anche che non avete letto nessuna delle opere fondatrici degli ismi che alimentano i sogni e le sconfitte della sinistra. Da parte mia, do un consiglio non richiesto a chi legge queste righe: ognuno è libero di prendersi in giro, ma io consiglierei, prima di cominciare con stupidaggini come “il laboratorio Lacandona”, “l’esperimento zapatista”, e di categorizzarlo in un senso o nell’altro, di pensarci un po’ su. Perché, a proposito di ridicolo, sono ormai quasi 30 anni che le sparano grosse “spiegando” lo zapatismo. Forse adesso non ve lo ricordate, ma qui, quello che eccede, oltre alla dignità e al fango, è la memoria. È così.

In fede.

El Capitán

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/20/vigesima-y-ultima-parte-el-comun-y-la-no-propiedad/

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Prodotto da Los Tercios Compas. Montagne del Sudest Messicano. Copyleft novembre 2023 Musica: «El pueblo y el mal gobierno», Óscar Chávez, Guillermo Velázquez e los Leones de Xichú https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/15/diecinueveava-parte-a-quien-corresponda/

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Diciottesima Parte: La Rabbia.

Si eredita? Si acquisisce? Si coltiva? Si perde? Si trasforma? È contagiosa? Attraverso quali canali si trasmette? Come si rende collettiva? È creativa?

A che punto diventa degna? Quando inizi a prendere le distanze dal risentimento e dalla vendetta? Si avvicina alla giustizia?

Come diventa radice storica di interi popoli, diversi per geografia, lingua, cultura, storia, tempo?

La rabbia è il ponte tra dolore e ribellione?

In quale momento l’angoscia, la disperazione e l’impotenza si trasformano in rabbia?

E se, al contrario, gli uomini e le donne desaparecidos trasmettessero la rabbia a chi li cerca? E se partorissero le loro progenitrici?

E se le cercatrici non cercano consolazione, pena, simpatia, l’elemosina dell’ascolto altrui? E se cercassero la nostra rabbia?

E se tutte le rabbie hanno una stessa radice e loro, noi – i popoli -, ci incontrassimo in questa radice?

Ci saluteremo? Avremo la forza di sorriderci, abbracciarci, scambiarci non solo il dolore, ma anche i dati del responsabile – lo stesso volto (anche se distinto), la sua risata sardonica, il suo sguardo beffardo, il suo cinismo, il suo modo di sapersi impune, la bandiera del denaro -?

E se mai, nel libro incompiuto della storia, qualcuno vedesse una luce, una qualsiasi, che, senza tante storie o slogan, indicasse “questa luce è stata partorita dalla rabbia”?

E se ciò che ci unisce, nonostante tutte le differenze, fosse la stessa rabbia? Chi si opporrà a noi? Chi ci condannerà alla stessa sconfitta del passato, di adesso, di oggi stesso? Chi ci minaccerà con un domani come ieri?

Chi perderà e chi troverà?

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Giovani donne e uomini zapatisti eseguono uno spettacolo teatrale per il 30° anniversario dell’inizio della Guerra contro l’Oblio. Immagini: Tercios Compas. Copyleft: dicembre 2023. Musica di Keni Arkana: “La Rage”.

El Capitán

Messico, dicembre 2023

40, 30, 20, 10, 1 anno dopo.

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Le terre recuperate dallo zapatismo

Magdalena Gómez

Il 3 dicembre scorso il corrispondente di La Jornada in Chiapas, Elio Enríquez, ha pubblicato una notizia preoccupante per ciò che potrebbe innescarsi nell’attivazione di attacchi contro le comunità zapatiste a pochi giorni dal 30° anniversario della sollevazione dell’EZLN, quando recuperarono terre che hanno occupato pacificamente, continuativamente e pubblicamente dal 1995, non certo esenti da aggressioni da parte di gruppi civili armati per provocarne lo sfollamento forzato. Si tratta di un’intervista con Raymundo Augusto García Álvarez, presidente del consiglio di sorveglianza dell’associazione civile Proprietari Rurali Sfollati della Zona di Conflitto (La Jornada 3/12/23) il quale ha riferito che “un giudice federale” ha emesso una sentenza che ordina al governo federale di risarcire i “41.937 ettari occupati dagli zapatisti nel 1994, che vede coinvolti più di 400 proprietari di Ocosingo, Altamirano e Las Margaritas rimasti nella cosiddetta zona di conflitto dopo la sollevazione”. Non ha specificato quale giudice né la data e il contenuto della risoluzione, ha solo indicato che “è appena uscita” dopo aver verificato che le autorità hanno omesso di difendere i loro diritti e ha sottolineato che da allora le loro famiglie hanno subito lo sfollamento forzato interno e ora sono pronti a far sì che la sentenza venga eseguita e si formi subito una commissione: “non aspetteremo oltre”. Fatta salva la disponibilità di maggiori informazioni giuridiche e la conoscenza delle argomentazioni ufficiali, è importante che, a quanto pare, non sia previsto lo scenario del recupero dei terreni o richieste al riguardo, e secondo l’intervistato si tratta di ottenere un risarcimento; tuttavia, l’immediata implicazione politica è ovvia. La questione del recupero delle terre occupate è stata il motore della maggior parte degli attacchi subiti dagli zapatisti e delle trattative che i governi federale e statale hanno condotto all’epoca con i detentori delle terre in questione e e, come emerso all’epoca, il pagamento ad alcuni di loro “a titolo di risarcimento” non è mai stato reso trasparente né formalizzato. Come ha sottolineato Barbara Zamora: “Queste terre, all’epoca, venivano pagate dal governo federale ai proprietari terrieri che affermavano di esserne i proprietari” (La Jornada, 1/3/14). D’altro canto, è quasi certo che non vi sia alcuna volontà da parte del governo di rispettare ciò che la Magistratura ordinerebbe. Non sappiamo se ci sarà una risposta al riguardo e lo scenario politico nell’entità non prevede interventi che blocchino gli sforzi di “giustizia” di coloro che sentono di avere un diritto riconosciuto. Né possiamo aspettarci una politica di contenimento a favore dello zapatismo. Non c’è stata giustizia nei continui attacchi che si sono intensificati negli ultimi anni. Si tratta insomma di informazioni su una risoluzione giudiziaria che può innescare un aumento della tensione contro lo zapatismo e in questo scenario non resta che rafforzare e riattivare l’attenzione e la difesa dall’esterno, poiché all’interno sanno già come procedere e hanno una comprovata esperienza. Sorge sempre l’idea di non credere a questo tipo di notizie; tuttavia, non possiamo dimenticare che la buona fede non prevale nella sfera sociale e politica dello stato del Chiapas. Una cosa da evidenziare nella costruzione autonoma dello zapatismo è che le cosiddette terre recuperate sono la sede del suo territorio. Come definito nella Convenzione 169 della OIL, è l’intero habitat che le persone occupano o utilizzano in qualche modo. Ad un certo punto coloro che rivendicano la terra li hanno accusati di tenerla inutilizzata. Ignorano che le scuole, le cliniche e tutti gli spazi comunitari, anche le case, si trovano su queste terre. È opportuno ricordare che la relatrice speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni ha pubblicato il rapporto sulla sua visita in Messico nel 2018. Un paragrafo dice tutto: le attuali politiche di sviluppo basate su megaprogetti (estrattivi, energetici, turistici, immobiliari, per esempio) costituiscono una sfida importante per il godimento dei diritti umani delle popolazioni indigene. Alla mancanza di autodeterminazione e di consultazione preventiva, libera, informata e culturalmente appropriata si aggiungono conflitti territoriali, spostamenti forzati, criminalizzazione e violenza contro le popolazioni indigene che difendono i loro diritti. È in questo contesto che possiamo valutare il messaggio di una sentenza che pretende di chiedere il pagamento di diritti presumibilmente violati 30 anni fa. Mentre lo zapatismo si appresta a ricordare quei 40 e 30 anni di esistenza con un paradigma che ci coinvolge tutti ovunque nel mondo: la lotta è per la vita. E in un periodo talmente lungo da non rientrare nei termini del sessennio, tanto meno nei cosiddetti indennizzi.

https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/05/opinion/las-tierras-recuperadas-por-el-zapatismo-285

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Diciassettesima Parte: Mai Più…

Tercios Compas e El Capitán

La memoria non è solo il cibo della rabbia degna, è anche la radice dell’albero della dignità e della ribellione. Nel caso dei popoli originari, è una radice che affonda in secoli di oscurità e che, con i popoli del mondo, dice e dice a se stessa: “mai più”.

Quelli in alto guardano al passato con la stessa nostalgia con cui i vecchi guardano le foto della loro nascita e infanzia.

Quelli in basso guardano al passato con rabbia. Come se ogni umiliazione, ogni ferita, ogni affronto, ogni beffa, ogni morte fossero parte di una ferita presente che deve essere sanata.

Quelli in alto scelgono quindi i loro eroi e partono e ripartiscono la storia in cui loro sono il culmine del tutto. Travestono da “giustizia” ciò che non è altro che elemosina.

Quelli in basso vedono la storia come un’unica pagina che non si è ancora finito di scrivere, e non ci sono eroi, solo una continua riscrittura dove cambia la mano che traccia gli scarabocchi ma non il cuore collettivo che detta orrori ed errori e, ovviamente, i conti da pagare.

I popoli zapatisti quando guardano al passato, guardano e parlano ai loro morti. Chiedono loro di mettere in discussione il presente, compresi loro stessi. Ed è così che guardano al futuro.

Così combattono e vivono le comunità zapatiste che non hanno letto Walter Benjamin. E penso che non ne abbiano bisogno…

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Giovani donne e uomini zapatisti mentre eseguono una rappresentazione teatrale che descrive non un passato lontano, ma qualcosa che era quotidiano circa 40 anni fa in Chiapas. In altre parti del Messico e del mondo è il presente… e forse il futuro. Quando lo zapatismo dice di essere contro il sistema patriarcale, non lo fa per moda, novità o per una questione di correttezza politica. Lo fa per memoria. E, cari amici e nemici, poche cose sono sovversive quanto la memoria… e la dignità.

Saggio preparatorio per la celebrazione dei 30 anni dall’inizio della guerra contro l’oblio. Immagini per gentile concessione dei Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica di León Gieco “La Memoria”, voci di León Gieco e Víctor Heredia. Abbracciando tutta l’america latina, quella che si scrive e si vive con le minuscole, quella del basso, la sorella nonostante i confini e i governi neoliberisti e progressisti.

El Capitán

Messico, dicembre 2023. 40, 30, 20, 10, 2, 1 anno, un mese dopo. https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/06/diecisieteava-parte-nunca-mas/

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Ragazze e ragazzi zapatisti mentre eseguono un teatro-danza-cumbiero per celebrare i 30 anni dell’inizio della guerra contro l’oblio. Sì, nemmeno noi capiamo come sia possibile se dicono che tutta la gioventù zapatista è andata al nord e non ci sono più giovani – e nemmeno zapatisti in generale – Mistero. Ehi? La cosa del teatro cumbiero? Ebbene Don Durito (DD per questioni legali) lo ha detto bene: “la cumbia è la continuazione della politica con altri mezzi”. Immagini per gentile concessione dei Tercios Compas, copyleft dicembre 2023. Musica: frammenti di cumbia dei suonatori zapatisti. Pista ragazzi! Un passo avanti, uno indietro. Bacino. Giro. Ora di lato. Giro. Ripetere. Vaiiiiii! Ossigeno, ho bisogno di ossigeno. Una polka? O un trap corrido? Lo dico a sostegno degli antropologi. Dove stanno il mio cappello e i miei stivali da cowboy?! Non ve l’avevo detto? Fate qualcosa. https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/12/05/dieciseisava-parte-bertold-brecht-las-cumbias-y-la-no-existencia/

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Quindicesima Parte: Di notte e in piena luce…

Immagini del lavoro artigianale delle insurgentas e degli insurgentes in preparazione della celebrazione dei 30 anni dall’inizio della guerra contro l’oblio. Foto e video per gentile concessione di Los Tercios Compas. Copyleft; Dicembre 2023. Musica Dan Dan Kokoro Hikareteku (Mi corazón encantado), Piano: RuRu Violino: Kathie

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Chiapas, la guerra che non viene chiamata con il suo nome

Luis Hernández Navarro

5 dicembre 2023

Fino a quando gli zapatisti non hanno imbracciato le armi il 1° gennaio 1994, i signori del denaro e del potere del Chiapas esercitavano uno sfruttamento selvaggio e una violenza spietata contro gli indigeni e i contadini.

Nelle fattorie, nelle piantagioni e nei vasti terreni di caccia, i padroni erano proprietari della vita, delle terre e delle risorse naturali dei lavoratori. Pascolavano il loro bestiame su terre comunali ed ejidali e, alla minima occasione, se ne appropriavano. Promuovevano l’allevamento intensivo che divorava suoli, foreste e giungle. Praticavano la silvicoltura predatoria, abbattendo sconsideratamente legnami pregiati.

Nelle piantagioni, più simili a succursali dell’inferno, sviluppavano le coltivazioni intensive di caffè destinato all’esportazione impiegando manodopera proveniente dagli Altos e dal Guatemala. I proprietari terrieri sfruttavano, discriminavano, espropriavano e dominavano gli indios e gli agricoltori poveri usando la violenza. Sia quella “legittima”, proveniente dallo Stato, sia quella di fatto, applicata dai loro eserciti irregolari di uomini armati e guardie bianche.

Il massacro di Golonchán Viejo, per mano dell’esercito il 15 giugno 1980, è un esempio della prima. Patrocinio González Garrido, governatore dell’entità tra il 1988 e il 1993, legalizzò la seconda sotto il nome di Uniones de Defensa Ciudadana, che operava a Ocosingo, Yajalón, Salto del Agua, Tila, Tumbalá, Sabanilla, Altamirano, Chilón e Sitalá.

Le cose sono cambiate quando intervenne l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che, in conformità con la Costituzione, dichiarò guerra “all’Esercito federale messicano, pilastro fondamentale della dittatura che subiamo, monopolizzato dal partito al potere e presieduto dall’Esecutivo federale che oggi ha il suo capo massimo e illegittimo in Carlos Salinas de Gortari”, invitando gli altri poteri a “deporre il dittatore” (https://shorturl.at/lmnuL).

Oltre alla militarizzazione dello Stato, che cresce con il passare degli anni, il governo ha risposto fomentando la nascita e l’azione dei paramilitari. Questi gruppi di civili armati hanno dei comandanti, sono formati da indigeni, contadini poveri e insegnanti (e spesso da personale militare in servizio o in congedo), reclutati in comunità beneficiarie di aiuti clientelari del governo. Sono stati armati, addestrati, finanziati e utilizzati dall’Esercito per combattere i ribelli, le loro basi di appoggio o i villaggi in cerca di neutralità.

La loro incubazione e proliferazione sono state il risultato di una decisione del potere. A differenza delle forze armate, questi gruppi non rispondono a nessuno e sfuggono a qualsiasi controllo pubblico. Possono agire con assoluta impunità. Sono la mano occulta del potere, l’altra faccia della Luna di una guerra che non viene chiamata con il suo nome.

Il risultato del loro operato è stato (ed è) sanguinoso. Tra il 1995 e il 2000 Paz y Justicia ha ucciso più di 100 indigeni Chole nel nord del Chiapas, espulso almeno 2.000 contadini e le loro famiglie dalle loro comunità, chiuso 45 templi cattolici e attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3mila capi di bestiame e violentata 30 donne.

Paz y Justicia contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della Settima Regione Militare. È stata fondamentale nella guerra a bassa intensità di Ernesto Zedillo contro gli zapatisti. Ha cercato di controllare territorialmente il corridoio strategico che collega le Cañadas del Chiapas con il Tabasco.

All’inizio di questo secolo era caduta temporaneamente in disgrazia. Tuttavia, è riuscita a riprendersi con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico. Un momento cruciale nell’escalation della controinsurrezione è stato il massacro di Acteal. Il 22 dicembre 1997 i paramilitari uccisero selvaggiamente 45 sfollati appartenenti al gruppo Las Abejas, mentre stavano pacificamente pregando per la pace in una cappella. Negli ultimi anni, in regioni come Chenalhó, Chilón, Chalchihuitán, Chavajeval, Oxchuc e Ocosingo, sono riemersi gruppi civili armati che svolgono compiti di controinsurrezione e sono responsabili dello sfollamento forzato di migliaia di persone.

L’impunità con cui agiscono riflette i potenti interessi che servono. Sono gli stessi paramilitari del periodo 1995-2000? Sì e no. Mantengono la loro funzione di controinsurrezione ma sono mutati. Sono coinvolti nella criminalità organizzata, con i vecchi-nuovi padroni, con le bande criminali, con le organizzazioni disgregate dei piccoli produttori e hanno a disposizione armi di grosso calibro.

Uccidono difensori dei diritti umani e leader popolari sparandogli dalle motociclette. È ciò che è accaduto, tra gli altri casi, nel gennaio 2019 ad Arriaga, con Sinar Corzo. Anche con il catechista Simón Pedro Pérez, giustiziato nel mercato di Simojovel nel luglio 2021.

La disputa crescente e sempre più incruenta tra il cartello Jalisco Nueva Generación e quelli del Pacifico per il controllo della frontiera con il Guatemala, sulle rotte di passaggio dei migranti privi di documenti, la riscossione del pizzo, il reclutamento dei giovani, il controllo delle zone di produzione e dei mercati della droga non è solo una lotta tra criminali. Si tratta, come dimostra lo spietato assassinio del leader di Chicomuselo, il professor José Artemio López Aguilar, di un’offensiva contro le organizzazioni popolari, il Pueblo Creyente e i gruppi evangelici progressisti che resistono.

Si tratta di una nuova forma di guerra che non vuole dire il suo nome, con cambiamenti e in continuità con la precedente, contro gli zapatisti e i loro territori e governi autonomi. I Narcos, con i loro alleati e sponsor, vogliono circondare e strangolare le comunità ribelli. Oltre a ostacolare le loro attività, bloccare le strade e intralciare la loro logistica, sono irriducibili: non possono comandarli. E questo per loro è inaccettabile.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/noticia/2023/12/05/opinion/chiapas-la-guerra-que-no-dice-su-nombre-499

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Quattordicesima Parte e Seconda Allerta di Avvicinamento:
La (otra) Regola del Terzo Escluso

Novembre 2023

L’incontro è avvenuto un anno fa. Una mattina presto di novembre. Faceva freddo. Il Subcomandante Insurgente Moisés era nella baracca del Capitanato (sì, non sbagliate, a quel punto il SupGaleano era già morto, solo che la sua morte non era stata resa pubblica). L’incontro con i capi si era concluso tardi e il SubMoy si era fermato per chiedermi quali fossero i miei progressi nell’analisi che doveva essere presentata il giorno successivo in assemblea. La luna avanzava pigramente verso il suo primo quarto e la popolazione mondiale raggiungeva gli 8 miliardi. Sul mio taccuino c’erano tre appunti:

L’uomo più ricco del Messico, Carlos Slim, a un gruppo di studenti: “ora, quello che vedo per tutti voi è un Messico vivace, con una crescita sostenuta, con molte opportunità per la creazione di posti di lavoro e di attività economiche”. (10 novembre 2022). (Nota: Forse si riferisce alla criminalità organizzata come ad un’attività economica che genera occupazione. E con merce d’esportazione).

(…) Il numero delle persone attualmente scomparse in Messico dal 1964 ammonta oggi a 107.201; cioè 7mila in più rispetto allo scorso maggio, quando è stata superata la soglia dei 100mila. (7 novembre 2022). (Nota: cercare nei motori di ricerca).

In Israele, l’ONU stima a circa 5.000 il numero dei prigionieri palestinesi, tra cui 160 bambini, secondo il rapporto del relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Netanyahu assume la guida del governo per la terza volta. (novembre 2022). (Nota: chi semina vento, raccoglie tempesta).

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Una crepa come progetto.

Non era la prima volta che affrontavamo l’argomento. Inoltre, le ultime lune erano state la costante: la diagnosi che avrebbe aiutato l’assemblea a prendere una decisione su “cosa sarà dopo”. Anche di questo si discuteva da mesi, ma l’idea-proposta dal Subcomandante Insurgente Moisés non era ancora messa a punto, né concretizzata. Era ancora una specie di intuizione.

E dunque?, ha chiesto il SubMoy accendendosi l’ennesima sigaretta.

– Ebbene, penso che tu abbia ragione, non resta che aprire uno spiraglio. Non cercare più altrove. Devi fare una porta. Ci vorrà del tempo, sì. E costerà molto. Ma sì, è possibile. Anche se non per chiunque. Quello che stai pensando, nessuno, mai. Io stesso non pensavo nemmeno che l’avrei sentito – ho sottolineato.

Il SubMoy rimase pensieroso per un po’ con lo sguardo sul pavimento della baracca pieno di mozziconi di sigaretta, residui di tabacco di pipa, un fiammifero bruciato, fango bagnato, qualche ramoscello spezzato.

Poi si alzò e, dirigendosi verso la porta, disse soltanto: “Beh, niente, stiamo a vedere… manca quello che manca”.

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Il fallimento come obiettivo.

Per capire il significato di quel breve dialogo devo spiegare una parte del mio lavoro di capitano. In questo caso un compito che ho ereditato dal compianto SupGaleano, il quale a sua volta l’aveva ricevuto dal compianto SupMarcos.

Un compito ingrato, oscuro e doloroso: prevedere il fallimento zapatista.

Se si sta valutando un’iniziativa, cerco tutto ciò che potrebbe farla fallire, o, almeno, ridurne l’impatto. Cerco il contrario contraddittorio. Diciamo qualcosa come “Marcos Contreras”. Sono, quindi, il massimo e unico rappresentante “dell’ala pessimista” dello zapatismo.

L’obiettivo è attaccare le iniziative con ogni tipo di obiezione fin dal momento in cui cominciano a nascere. Supponiamo che questo comporti un affinamento e un consolidamento di questa proposta, sia essa organizzativa interna, sia un’iniziativa esterna, sia una combinazione delle due.

Per dirla chiaramente: lo zapatismo si prepara a fallire. Cioè, immagina lo scenario peggiore. Con questo orizzonte in prospettiva si elaborano i piani e si dettagliano le proposte.

Per concepire questi “futuri fallimenti” vengono utilizzate le scienze che abbiamo a nostra disposizione. Bisogna cercare ovunque (e quando dico “ovunque” intendo ovunque, compresi i social network e le loro bot farm, le fake news e i trucchi che si mettono in atto per ottenere “follower”), raccogliere la maggior quantità di dati e informazioni, incrociarli e ottenere così la diagnosi di quella che sarebbe la tempesta perfetta e il suo risultato.

Dovete cercare di capire che non si tratta di costruire una certezza, ma piuttosto un’ipotesi terribile. Nei termini del defunto: “supponiamo che tutto vada in merda”. Contrariamente a quanto si possa credere, questa catastrofe non prevede la nostra scomparsa, ma qualcosa di peggio: l’estinzione della specie umana. Beh, almeno per come la concepiamo oggi.

Si immagina questa catastrofe e si cominciano a cercare dati che la confermino. Dati reali, non le profezie di Nostradamus o l’Apocalisse biblica o equivalenti. Cioè, dati scientifici. Vengono quindi utilizzate pubblicazioni scientifiche, dati finanziari, tendenze, registrazioni di fatti e molte pubblicazioni.

Da questo ipotetico futuro, si mette in moto l’orologio in senso inverso.

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La regola del terzo escluso.

Già in possesso del disegno del crollo e della sua inevitabilità, inizia a funzionare la regola del terzo escluso.

No, non è quella conosciuta. Questa è un’invenzione del defunto SupMarcos. Ai tempi in cui era tenente diceva che, in caso di fallimento, si tentava primo una soluzione; secondo una correzione, e terzo, ma non esisteva un terzo, rimaneva “non esiste rimedio”. Successivamente perfezionò questa regola fino ad arrivare a quella che ora vi spiego: supportato un’ipotesi con dati veri e analisi scientifiche, è necessario cercare due elementi che contraddicono nella sua essenza la suddetta ipotesi. Se si riscontrano questi due elementi, non si cerca più il terzo, allora l’ipotesi va riconsiderata o confrontata con il giudice più severo: la realtà.

Chiarisco che, quando gli zapatisti dicono “realtà”, includono le loro azioni in questa realtà. Quella che chiamate “la pratica”.

Quindi applico la stessa regola. Se trovo almeno 2 elementi che contraddicono la mia ipotesi, allora abbandono la ricerca, scarto quell’ipotesi e ne cerco un’altra.

L’ipotesi complessa.

La mia ipotesi è: non esiste rimedio.

Appunti:

La convivenza equilibrata tra uomo e natura è ormai impossibile. Nel confronto vincerà chi avrà più tempo: la natura. Il capitale ha trasformato il rapporto con la natura in uno scontro, in una guerra di saccheggio e distruzione. L’obiettivo di questa guerra è l’annientamento dell’avversario, in questo caso la natura (umanità compresa). Con il criterio della “obsolescenza programmata” (o “scadenza prevista”), la merce “esseri umani” scade in ogni guerra.

La logica del capitale è quella del maggior profitto alla massima velocità. Ciò fa sì che il sistema diventi una gigantesca macchina per rifiuti, compresi gli esseri umani. Nella tormenta, le relazioni sociali vengono interrotte e il capitale improduttivo getta milioni di persone nella disoccupazione e, da lì, nelle “occupazioni alternative” nella criminalità e nella migrazione. La distruzione dei territori include lo spopolamento. Il “fenomeno” migratorio non è il preludio della catastrofe, ne è la conferma. La migrazione produce l’effetto di “nazioni nelle nazioni”, grandi carovane migratorie che si scontrano contro muri di cemento, di forze di polizia, di militari, di criminali, di burocrazie, razziali ed economici.

Quando parliamo di migrazione, dimentichiamo l’altra migrazione che la precede nel calendario. Quella delle popolazioni originarie dai propri territori, oggi trasformati in merce. Il popolo palestinese non è forse diventato un migrante che deve essere espulso dalla propria terra? Non accade la stessa cosa con le popolazioni originarie del mondo?

In Messico, ad esempio, le comunità originarie sono lo “strano nemico” che osa “profanare” il suolo della finca del sistema, situata tra i fiumi Bravo e Suchiate. Per combattere questo “nemico” ci sono migliaia di soldati e poliziotti, megaprogetti, compravendita di coscienze, repressione, sparizioni, omicidi e una vera e propria fabbrica di colpevoli (cit. https://frayba.org.mx/). Gli omicidi del fratello Samir Flores Soberanes e di decine di guardiani della natura definiscono l’attuale progetto di governo.

La “paura dell’altro” raggiunge livelli di vera paranoia. Scarsità, povertà, disgrazie e criminalità sono responsabili del sistema, ma ora la colpa è trasferita al migrante che deve essere combattuto fino all’annientamento.

In “politica” si propongono alternative e offerte, ognuna più falsa dell’altra. Nuovi culti, nazionalismi – nuovi, vecchi o riciclati –, la nuova religione dei social network e i suoi neo profeti: gli “influencer”. E la guerra, sempre guerra.

La crisi della politica è la crisi delle alternative al caos. Il frenetico susseguirsi dei governi della destra, dell’estrema destra, del centro inesistente e di quella che presuntuosamente viene chiamata “sinistra”, è solo il riflesso di un mercato che cambia: se ci sono nuovi modelli di cellulari, perché non “nuove” opzioni politiche?

Gli Stati-Nazione diventano funzionari doganali del capitale. Non ci sono governi, c’è solo una Border Patrol di colori diversi e bandiere diverse. La disputa tra “Stato Grasso” e “Stato Famelico” è solo il mancato occultamento della sua natura originaria: la repressione.

Il capitale comincia a sostituire il neoliberismo come alibi teorico-ideologico, con la sua logica conseguenza: il neo-malthusianesimo. Cioè la guerra di annientamento di grandi popolazioni per raggiungere il benessere della società moderna. La guerra non è un’irregolarità della macchina, è la “manutenzione regolare” che ne garantirà il funzionamento e la durata. La riduzione radicale della domanda per compensare i vincoli dell’offerta.

Non si tratterebbe di neo-darwinismo sociale (i forti e i ricchi diventano sempre più forti e i deboli e i poveri diventano sempre più deboli) o di Eugenetica, che fu uno degli alibi ideologici per la guerra nazista di sterminio del popolo ebraico. O non solo. Sarebbe una campagna globale per annientare la maggioranza della popolazione mondiale: quella dei diseredati. Privarli anche della loro vita. Se le risorse del pianeta non sono sufficienti e non esiste un pianeta di riserva (o non è stato ancora trovato, anche se ci stanno lavorando), allora è necessario ridurre drasticamente la popolazione. Rimpicciolire il pianeta attraverso lo spopolamento e il riordino non solo di alcuni territori, ma del mondo intero. Una Nakba per l’intero pianeta.

Se la casa non può più essere ampliata né è possibile aggiungere altri piani; se gli abitanti del seminterrato vogliono salire al piano terra, razziano la dispensa e, orrore!, non smettono di riprodursi; se i “paradisi naturali” o “autosufficienti” (in realtà solo “panic room” del capitale) non bastano; se quelli del primo piano vogliono le stanze del secondo e così via; in breve, se la “civiltà moderna” e il suo nucleo (la proprietà privata dei mezzi di produzione, circolazione e consumo) è in pericolo, ebbene, allora bisogna espellere gli inquilini – a cominciare da quelli del seminterrato – finché non si raggiunge “l’equilibrio”.

Se il pianeta è impoverito di risorse e territori, ne consegue una sorta di “dieta” per ridurre l’obesità del pianeta. La ricerca di un altro pianeta sta incontrando difficoltà impreviste. La corsa allo spazio è prevedibile, ma il suo successo è ancora una grande incognita. Le guerre, invece, hanno dimostrato la loro “efficacia”.

La conquista dei territori ha portato alla crescita esponenziale del “surplus”, degli “esclusi” o dei “sacrificabili”. Seguono le guerre per la ripartizione. Le guerre hanno un duplice vantaggio: rilanciano la produzione bellica e le sue sussidiarie ed eliminano quelle eccedenze in modo rapido e irrimediabile.

I nazionalismi non solo riemergeranno o avranno nuovo respiro (da qui l’abbondanza di offerte politiche di estrema destra), ma costituiscono la base spirituale necessaria per le guerre. “Il responsabile delle tue mancanze è chi ti sta accanto. Ecco perché la tua squadra perde”. La logica delle “sciarpe”, dei “club” e degli “hooligans” – nazionali, razziali, religiosi, politici, ideologici, di genere – alimenta guerre di media, grande e piccola dimensione, ma con lo stesso obiettivo di purificazione.

Ergo: il capitalismo non scade, si trasforma soltanto.

Lo Stato-Nazione ha smesso da tempo di svolgere la sua funzione di territorio-governo-popolazione con caratteristiche comuni (lingua, valuta, ordinamento giuridico, cultura, ecc.). Gli Stati Nazionali sono ormai le postazioni militari di un unico esercito, quello del cartello del capitale. Nell’attuale sistema criminale globale, i governi sono i “capi della piazza” che mantengono il controllo di un territorio. La lotta politica, elettorale o meno, è vedere chi sarà promosso a capo della piazza. La “riscossione del pizzo” avviene attraverso le tasse e i contributi per le campagne elettorali e le elezioni. La criminalità disorganizzata ne finanzia così la riproduzione, anche se è sempre più evidente la sua incapacità di offrire ai suoi sudditi sicurezza e giustizia. Nella politica moderna i capi dei cartelli nazionali vengono decisi tramite elezioni.

Da questo insieme di contraddizioni non emerge una nuova società. La catastrofe non è seguita dalla fine del sistema capitalista, ma da una diversa forma del suo carattere predatorio. Il futuro del capitale è lo stesso del suo passato e presente patriarcale: sfruttamento, repressione, espropriazione e disprezzo. Per ogni crisi, il sistema ha sempre una guerra a portata di mano per risolverla. Pertanto: non è possibile delineare o costruire un’alternativa al collasso al di là della nostra stessa sopravvivenza come comunità originarie.

La maggioranza della popolazione non vede o non crede possibile la catastrofe. Il capitale è riuscito a instillare l’immediatismo e il negazionismo nel codice culturale di base di chi sta in basso.

Al di là di alcune comunità native, popoli in resistenza e di alcuni gruppi e collettivi, non è possibile costruire un’alternativa che vada oltre il minimo locale.

La prevalenza della nozione di Stato-Nazione nell’immaginario in basso costituisce un ostacolo. Mantiene le lotte separate, isolate, frammentate. I confini che le separano non sono solo geografici.

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Le Contraddizioni.

Appunti:

Prima serie di contraddizioni:

La lotta dei fratelli della regione di Cholulteca contro la compagnia Bonafont, a Puebla, Messico (2021-2022). Vedendo che le sorgenti si stavano prosciugando, i residenti si sono rivolti al responsabile: la ditta Bonafont, della Danone. Si sono organizzati ed hanno occupato l’impianto di imbottigliamento. Le sorgenti sono state recuperate e l’acqua e la vita sono tornate nelle loro terre. La natura ha così risposto all’azione dei suoi difensori e ha confermato ciò che dicevano i contadini: l’azienda depredava l’acqua. La forza repressiva che dopo un po’ li ha sgomberati non è riuscita a nascondere la realtà: la gente difendeva la vita, l’azienda e il governo difendevano la morte. La Madre Terra ha risposto così all’interrogativo: se esiste un rimedio, io corrispondo con la vita a chi difende la mia esistenza; possiamo convivere se ci rispettiamo e ci prendiamo cura l’uno dell’altro.

La pandemia (2020). Gli animali hanno recuperato la loro posizione in alcuni territori urbani abbandonati, anche se momentaneamente. L’acqua, l’aria, la flora e la fauna hanno avuto tregua e si sono riprese, anche se in breve tempo sono state nuovamente sopraffatte. Hanno indicato così chi era l’invasore.

Il Viaggio per la Vita (2021). In Oriente, cioè in Europa, ci sono esempi di resistenza alla distruzione e, soprattutto, di costruzione di un altro rapporto con la Madre Terra. I resoconti, le storie e gli aneddoti sono troppi per queste note, ma confermano che la realtà non è solo quella della xenofobia e dell’idiozia e petulanza dei loro governi. Speriamo di trovare sforzi simili in altre aree geografie.

Quindi: una convivenza equilibrata con la natura è possibile. Ci devono essere più esempi di questo. Nota: cercare più dati, rivedere i resoconti della Extemporánea al tuo ritorno dal Viaggio per la Vita – Capitolo Europa, cosa hanno visto e cosa hanno imparato, seguire le azioni del CNI e di altre organizzazioni e movimenti di popoli originari fratelli nel Mondo. Attenzione alle alternative nelle aree urbane.

Conclusione parziale: le contraddizioni rilevate mettono in crisi uno degli approcci dell’ipotesi complessa, ma non ancora la sostanza. Il cosiddetto “capitalismo verde” potrebbe assorbire o soppiantare queste resistenze.

Seconda serie di contraddizioni:

L’esistenza e la persistenza della Sexta e delle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti uniti nella Dichiarazione per la Vita. E molte altre persone in molti posti. C’è chi resiste e si ribella, e cerca di incontrarsi. Ma è necessario cercare. E questo ci insegnano le Cercatrici: cercare è una lotta necessaria, urgente, vitale. Con tutto contro, le Cercatrici si aggrappano alla speranza più remota.

Conclusione parziale: la sola possibilità, minima, minuscola, improbabile fino ad una percentuale ridicola, che resistenza e ribellione coincidano, fa traballare la macchina. Non è la sua distruzione, è vero. Non ancora. Le streghe rosse saranno decisive.

La percentuale di probabilità di vittoria della vita sulla morte è ridicola, sì. Poi ci sono le opzioni: la rassegnazione, il cinismo, il culto dell’immediato (“carpe diem” come sostegno vitale).

Eppure c’è chi sfida i muri, le frontiere, le regole… e la legge delle probabilità.

Terza serie di contraddizioni: Non è necessaria. Applica la regola del Terzo Escluso.

Conclusione generale: Occorre quindi proporre un’altra ipotesi.

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Ah! Pensavate che l’iniziativa o il passaggio annunciato dal popolo zapatista fosse la scomparsa di MAREZ e JBG, il capovolgimento della piramide e la nascita dei GAL?

Beh, mi dispiace rovinarvi la tranquillità. Non è così. Ritorniamo a prima della cosiddetta “Prima Parte” e alla discussione sulle motivazioni di lupi e e pastori. Già? Ora prendiamo questo:

Permissu et gratia a praelatis dico vobis visiones mirabiles et terribiles quas oculi mei in his terris viderunt. 30 Anno Resistentise, et prima luce diei viderunt imagines et sonos, quod nunquam antea viderant, et tamen litteras meas semper intuebantur. Manus scribit et cor dictat. Erat mane et supra, cicadae et stellae pugnabant pro terra…

Con il permesso e la grazia dei superiori vi racconto le visioni meravigliose e terribili che i miei occhi hanno visto in queste terre. Nel 30° anno della Resistenza, e alle prime luci del giorno, videro immagini e suoni che non avevano mai visto prima eppure guardavano sempre le mie lettere. La mano scrive e il cuore detta. Era mattina presto e lassù, i grilli e le stelle lottavano per la terra…

El Capitán.

Non apparve allora perché non sapevate della morte del SupGaleano, né delle altre morti necessarie. Ma noi zapatisti siamo così: quello che taciamo è sempre più di quello che diciamo. Come se fossimo determinati a progettare un puzzle sempre incompiuto, sempre con un pezzo in sospeso, sempre con quella domanda estemporanea: e tu?

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

40, 30, 20, 10, 2, 1 anni dopo.

P.S.- Quindi cosa manca? Ebbene… manca quello che manca.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/28/catorceava-parte-y-segunda-alerta-de-aproximacion-la-otra-regla-del-tercero-excluido/

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Tredicesima Parte: DUE PARTITE DI CALCIO E UNA STESSA RIBELLIONE

“Il calcio è la continuazione della politica con altri mezzi”.
Don Durito de La Lacandona (“DD”, a scopo legale).

Novembre 2023

I.- Vigilia del Viaggio per la Vita-capitolo Europa.

È arrivata una sfida calcistica da parte di una squadra femminile europea che resiste e lotta.

Il SupGaleano si è auto-nominato “direttore tecnico” della squadra “Ixchel–Ramona” composta da donne miliziane. Come è giusto che sia, il Sup ha studiato la squadra rivale. Raduna le compagne che faranno il viaggio. Analizza in dettaglio le abilità e le caratteristiche di ciascuna giocatrice. Si reca poi dal Subcomandate Moisés e gli fa la sua diagnosi: “ci faranno a pezzi”. Il SubMoy lo guarda con una faccia da “e allora?”, come se lo desse per scontato. Ma l’ormai defunto non ha finito: “Ma ho un piano segreto, come dice Dení. Con questo rivoluzioneremo il calcio e lo ridefiniremo nella sua essenza: il gioco”.

Il Subcomandante Insurgente Moisés, coordinatore del tour, è piuttosto impegnato con i corsi di preparazione, i certificati di nascita, i passaporti e la progettazione del percorso da seguire, quindi lascia che il SupGaleano proceda “a sua discrezione”. La faccia del defunto sorride e dice: “Discrezione è il mio secondo nome” (non chiedetemi quale fosse il suo primo nome perché ci vorrebbero diverse pagine per spiegarvelo).

Il defunto in divenire inizia la preparazione della squadra femminile. Ma, affinché la sua strategia abbia successo, ha bisogno dell’appoggio del temibile, terribile e terrificante “Commando Palomitas” che, in quel momento, sta cercando di aprire un varco nella nave scuola in cui si sta preparando il cosiddetto “Squadrone 421”. Deluso perché, prima di terminare i lavori sotto la linea di galleggiamento, la nave era stata trasformata in un imponente bimotore, il commando va a consultare il SupGaleano sul da farsi per incendiare il velivolo. Il Sup li convince che non era opportuno bruciarlo, che era meglio aspettare che fosse in pieno volo per abbatterlo dall’interno. L’amato Amado e Chinto obiettarono: se cade l’aereo, cadrà anche il Commando Palomitas. Il Sup rispose che non era il momento di soffermarsi sulle piccolezze. Inoltre, il Commando era richiesto per un lavoro più elevato che sabotare un viaggio aereo che non valeva nemmeno il costo dei biglietti, per non parlare della mancanza dei passaporti, e che la maggioranza della “Divisione Aerotrasportata La Estemporanea” soffriva la nausea a bordo del camion merci.

Quando il Commando Palomitas, il Sup, il Tzotz, il Tragón e la Pelusa si sono riuniti nel bunker ultra-segreto che si trova nel tempio Puy, nella zona di Tzotz Choj, si è proceduto ad affinare i dettagli di ciò che da quel momento in poi sarebbe stato conosciuto in tutto il mondo come il “Piano brillante ed eccellente per sconfiggere un rivale meglio preparato, allenato e attrezzato di noi” (BEPDRMPEEN, il suo acronimo in spagnolo), sottotitolo “E hanno una tecnica e un controllo di palla migliori”.

La riunione top secret ha seguito il suo corso normale. Cioè, il Chuy ha rubato a Lupita il ghiacciolo di chamoy [salsa di frutta secca agrodolce – n.d.t.], la Verónica ha rifilato uno scappellotto al Chuy e, come se fosse il Governo Supremo, si è tenuta il ghiacciolo del Chuy, quello di Lupita e pure il suo medesimo. Il Chinto e l’amato Amado protestavano che le loro biciclette si erano rotte e che il Monarca doveva sistemarle. La Pelusa, il Tragón e il Tzotz rovistavano il tavolo in cerca di biscotti, e il Sup impartiva la lezione magistrale di “Come vincere una partita di calcio con tutto contro”.

L’apparente caos si è placato quando il Sup ha tirato fuori, chissà da dove, una scatola di “Choki Il Biscotto del Diavolo”, e solo allora – dopo pappati 5 pacchetti – sono state distribuite le missioni, fissata la tabella di marcia, e pappato il sesto pacchetto “in onore dei futuri caduti”. “E cadute”, si è sentito obbligato ad aggiungere Chuy, solo per ricevere da Verónica un altro scappellotto del tipo “l’uguaglianza di genere non si applica alla disgrazia”. Lupita approva l’azione con il ghiacciolo di chamoy che il Sup le ha dato per farla smettere di piangere.

Il “tre volte T” Commando Palomitas, il Sup e l’ala canina del comando sono andati quindi al semenzaio e, con le miliziane riunite, si è spiegato e praticato il nuovo schema “passivo-aggressivo” che, come è giusto che sia, aveva come nucleo dirigente il predetto Commando.

Seguendo la vecchia e collaudata regola zapatista di “Non giocare con le regole del nemico”, il Sup ha sviluppato una sorta di miscuglio di rugby, con drammaturgia ottocentesca, con qualche Anime, con il cinema tipo Hollywood e risvolto di Cannes, con l’impressionismo di Monet, un pizzico di Allan Poe incrociato con Conan Doyle, qualcosa dell’epica di Cervantes, la brevità di Joyce, la prospettiva di Buñuel, un pizzico di Brecht mescolato a Beckett, il condimento di qualche tacos al pastor, una cumbia appena accennata, Anita Tijoux e Shadia Mansour che rompono le frontiere – Palestina libera – e, beh, non ho preso nota di tutto, ma l’unica cosa che mancava era la palla.

La strategia in questione si sviluppava in 3 fasi:

Per prima, Verónica ha afferrato un pupazzo zapatista e si è diretta con decisione verso la porta avversaria, si è messa di fronte alla portiera nemica e le ha parlato in Cho’ol. La portiera, ovviamente, non ha capito niente, ma c’erano Lupita ed Esperanza Zapatista che hanno tradotto a gesti che la ragazza le stava regalando il pupazzo. Ed Esperanza, come indica il suo nome, si è offerta di fare una foto con la ragazza e il pupazzo. Per la foto le ha detto di mettere giù la palla, perché Verónica voleva che la abbracciasse. Nel momento in cui ciò è accaduto, Esperanza ha calciato la palla “in fondo alla rete” e l’intera squadra ha gridato “Goool!” È stato fatto innumerevoli volte con successo. L’unica cosa che non è riuscita è che Verónica si riprendesse il pupazzo dalla portiera e scappasse via.

La seconda variante consisteva nel fatto che la portiera zapatista riceveva il pallone, se lo metteva sotto la maglietta come se fosse incinta e cominciava a camminare come se fosse incinta. Tutta l’équipe zapatista andava ad aiutarla e a portarla in infermeria. Naturalmente, trovandosi in territorio straniero, le compagne commettevano un errore e si dirigevano verso la porta avversaria dove, miracolosamente, la portiera zapatista si “liberava” del pallone che, rotolando appena, oltrepassava la linea nemica dando vita a un gol che neanche Messi e Cristiano. Intanto, il TTT Commando Palomitas circondava la sorella responsabile del tabellone per “esortarla” a dare per buono il risultato ottenuto “con il sacrificio della compagna zapatista e il suo pallone bambino”.

La terza variante comportava un rischio per la protagonista, poiché doveva fingere di svenire. Si è praticato una sola volta nel semenzaio perché il terreno lì è ghiaioso (pietra e sabbia) e ci si aspettava che ci fosse erba nel campo nemico. La compagna doveva svenire in mezzo al campo. Il subcomandante Moisés, allarmato, avrebbe corso verso la compagna e con lui tutta la panchina zapatista. Tutte le compagne gridavano, nelle rispettive lingue materne, per il servizio medico. Come previsto, il nemico non aveva alcun servizio medico, quindi sarebbe stata preparata in anticipo una barella. L’arbitra voleva chiamare i soccorsi, ma il SubMoisés adduceva usi e costumi dei popoli indigeni, così gli stessi zapatisti sollevano la donna svenuta e la depongono sulla barella. Confuse dal dolore e dalla tristezza di vedere la loro sorella di lotta caduta in combattimento, le miliziane non si sarebbero accorte di star portando la barella verso la porta avversaria. In quel momento, i primi dei, coloro che crearono il mondo, avrebbero compiuto la loro opera e la compagna ferita si sarebbe svegliata senza bisogno che nessun rospo maschio, comune o reale, la baciasse, e si ritrovava la palla ai suoi piedi, proprio sulla linea di porta e con un calcio ne suggellava il destino. C’era da aspettarsi che, animate dalla gioia di vedere la propria compagna in salvo, le miliziane gridassero “Goool!” A quel punto, il Commando Palomitas sarebbe stato sotto il tabellone per garantire che la vita fosse celebrata.

La quarta non la ricordo – lo so che ho detto che erano 3, ma non erano 4 i tre moschettieri? -, ma era simile per ingegno, creatività e furbizia alle altre tre.

Secondo quanto mi hanno raccontato le miliziane al loro ritorno, nei territori che chiamano “Italia” e “Stato spagnolo”, le sorelle nemiche hanno capito subito di cosa si trattava e hanno cominciato a giocare con lo stesso stile. Non so se la FIFA potrebbe classificarlo come calcio ma, a giudicare dalle foto e dai video che mi hanno mostrato, è stata una festa. Risultato: non c’è stato né vincitore né vinto… e Verónica è tornata con il pupazzo che, presumibilmente, apparteneva all’ormai defunto SupGaleano. No, non l’ha restituito.

E questo era il messaggio per le geografie di tutto il mondo: non giocare con le regole del tuo nemico, crea le tue regole”, mi ha dichiarato il SupGaleano prima del suo ultimo respiro.

-*-

II.- Quanti Cipro possono stare in una partita di calcio?

Questo mi ha detto il Subcomandante Insurgente Moisés quando mi ha raccontato dettagli e aneddoti del cosiddetto “capitolo Europa” del Viaggio per la Vita. Quello che racconto di seguito è quanto sono riuscito a recuperare dalla narrazione, piena di ammirazione e rispetto, del Subcomandante Moisés.

“C’è una geografia chiamata Cipro. È rotta, cioè a pezzi. Ci sono ciprioti, ci sono greco-ciprioti e ci sono turco-ciprioti e non ricordo quante altre persone hanno il cognome cipriota. I capitalisti hanno diviso quella terra, l’hanno fatta a pezzi. E hanno anche fatto a pezzi la loro gente, la loro lingua, la loro storia, la loro cultura. E si scopre che, anche se è una piccola isola, tutti i ricchi la vogliono e, come fanno sempre, se la dividono, ma ciascuna parte vuole la parte dell’altro. In altre parole, in mezzo ai potenti e alle loro guerre c’è il popolo.

Bene, allora c’è una squadra di calcio in quella geografia chiamata Cipro. Hanno buoni giocatori e sono professionisti. Il loro lavoro è giocare a calcio. Ma stanno perdendo diverse partite e si incontrano per analizzare e dicono che stanno perdendo perché la strategia delle partite è sbagliata. Vanno a dire al proprietario della squadra, cioè al capo, che stanno perdendo per questo, che hanno pensato ad una strategia migliore e così vinceranno più partite.

Il capo, cioè il proprietario della squadra, li guarda con disprezzo e dice loro: “vincete o perdete come mi fa comodo. A volte mi conviene che perdiate ed è così che andrà avanti”.

I giocatori sanno giocare molto bene, ma hanno anche un buon cuore. Quindi, come si suol dire, si ribellano. Si chiama resistenza e ribellione, ma nella loro lingua. E mandano al diavolo il proprietario della squadra, cioè il capo. Quindi creano la propria squadra di calcio. Si organizzano e fanno il loro stadio. Quella terra è divisa, così in mezzo nella “terra di nessuno” fanno il loro stadio e poi invitano chiunque voglia a giocare e allenarsi. Gli altri gruppi e collettivi che lottano li sostengono e sono ben organizzati. Non importa se sei cipriota, greco-cipriota, turco-cipriota o cipriotanonsoché. Non c’è alcun costo, è volontario ciò che ogni persona vuole dare. Quindi, come si suol dire, i soldi non sono ciò che conta. Quindi di tanto in tanto ci sono le partite e non ci sono divisioni di nazionalità, né religioni, né bandiere, c’è solo il calcio. Ed è come una festa.

In altre parole, come si suol dire, quei fratelli hanno infranto quei confini che i padroni e i proprietari avevano stabilito.

“È come se avessero fatto il loro caracol. Hanno un caracol di calcio! Ho detto loro che vediamo quando potremo fare una partita di calcio lì nella loro terra o qui nella terra di nessuno“, dice il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce delle comunità zapatiste, capo dell’EZLN e coordinatore del Viaggio per la Vita.

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Bene. Saluti e che i giochi, come i tornei, non siano una competizione ma piuttosto pretesti per convivere tra diversi.

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Messico, novembre 2023. 40, 30, 20, 10, 2 anni dopo.

Musica: «Somos Sur», interpretada da Ana Tijoux e Shadia Mansour
Immagini della partita di calcio tra la squadra Ixchel-Ramona e le sorelle nemiche italiane giocata nella geografia che si chiama Roma, Italia, a novembre del 2021. Striscioni delle mobilitazione dei popoli zapatisti contro le guerre nel 2022. Tercios Compas. Copyleft novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/23/treceava-parte-dos-partidos-de-futbol-y-una-misma-rebeldia-el-futbol-es-la-continuacion-de-la-politica-por-otros-medios/

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Dodicesima parte: Frammenti.
Frammenti di una lettera del Subcomandante Insurgente Moisés inviata qualche mese fa a una geografia lontana ma vicina nel pensiero:

Commissione Sexta Zapatista.
Messico.

Aprile 2023

(…)

Perché allora sarebbe un po’ come se, di fronte alla terribile tormenta che già si abbatte su ogni angolo del pianeta, anche su chi si credeva al sicuro da ogni male, non vedessimo la tormenta.

Voglio dire, non vediamo solo la tormenta e la distruzione, la morte e il dolore che porta con sé. Vediamo anche cosa verrà dopo. Vogliamo essere il seme di una futura radice che non vedremo, che sarà poi a sua volta l’erba che neanche noi vedremo.

La vocazione zapatista, se qualcuno ci spinge a una definizione laconica, è dunque “essere un buon seme”.

Non intendiamo trasmettere alle prossime generazioni una concezione del mondo. Non lasciare in eredità le nostre miserie, i nostri risentimenti, il nostro dolore, le nostre fobie o le nostre passioni. Né che siano lo specchio dell’immagine più o meno approssimativa di ciò che riteniamo buono o cattivo.

Ciò che vogliamo è trasmettere la vita. Ciò che ne faranno le altre generazioni sarà una loro decisione e, soprattutto, una loro responsabilità. Proprio come noi abbiamo ereditato la vita dai nostri antenati, abbiamo preso ciò che abbiamo ritenuto prezioso e ci siamo assegnati un compito. E, naturalmente, ci siamo assunti la responsabilità delle decisioni che abbiamo preso, di ciò che abbiamo fatto per portare a termine tale compito e delle conseguenze delle nostre azioni e omissioni.

Quando affermiamo che “Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo”, ci allontaniamo definitivamente e irrimediabilmente dalle concezioni politiche attuali e precedenti. Il mondo che vediamo non è perfetto, nemmeno lontanamente. Ma è meglio, senza dubbio. Un mondo dove ognuno è quello che è, senza vergogna, senza essere perseguitato, mutilato, imprigionato, assassinato, emarginato, oppresso.

Come si chiamerà questo mondo? Quale sistema lo sosterrà o dominerà? Ebbene, questo lo decideranno, o no, coloro che vi vivranno.

Un mondo in cui il desiderio di egemonizzare e omogeneizzare impari da ciò che questo ha causato in questo e in altri tempi, e fallisca in quel mondo a venire.

Un mondo in cui l’umanità non è definita dall’uguaglianza (che non fa altro che nascondere la segregazione di coloro che “non sono uguali”), ma dalla differenza.

Un mondo dove la differenza non viene perseguitata, ma celebrata. Un mondo in cui le storie raccontate non sono quelle di chi vince, perché non vince nessuno.

Un mondo dove le storie che si raccontano, sia nell’intimità, sia nelle arti, sia nella cultura, sono come quelle che ci raccontavano le nostre nonne e i nostri nonni, e che insegnano non chi ha vinto, perché nessuno ha vinto e, quindi nessuno ha perso.

Quelle storie che ci hanno permesso di immaginare cose terribili e meravigliose e in cui, tra la pioggia e l’odore di mais, caffè e tabacco, abbiamo potuto immaginare un mondo incompleto, sì, anche goffo, ma molto migliore del mondo che conosciamo. I nostri antenati e i nostri contemporanei hanno sofferto e soffrono.

Non intendiamo lasciare in eredità leggi, manuali, visioni del mondo, catechismi, regole, percorsi, mete, passi, imprese, che, a ben guardare, è ciò a cui aspirano quasi tutte le proposte politiche.

Il nostro obiettivo è più semplice e terribilmente più difficile: lasciare in eredità la vita.

(…)

Perché vediamo che questa terribile tormenta, i cui primi temporali e piogge stanno già colpendo l’intero pianeta, sta arrivando molto rapidamente e con molta forza. Quindi non vediamo l’immediato. Oppure sì, ma secondo quello che vediamo a lungo termine. La nostra realtà immediata è definita secondo due realtà: una di morte e distruzione che farà emergere il peggio degli esseri umani, indipendentemente dalla loro classe sociale, colore, razza, cultura, geografia, lingua, dimensione; e un’altra di ricominciare dalle macerie di un sistema che ha fatto quello che sa fare meglio, cioè distruggere.

Perché diciamo che all’incubo che già c’è e che non potrà che peggiorare, seguirà un risveglio? Ebbene, perché c’è chi, come noi, è determinato a considerare questa possibilità. Minima, vero. Ma ogni giorno e a tutte le ore, ovunque, lottiamo affinché questa minima possibilità cresca e, sebbene piccola e senza importanza – come un minuscolo seme – cresca e, un giorno, sia l’albero della vita che sarà di tutti i colori, o non lo sarà affatto.

Non siamo gli unici. In questi 30 anni ci siamo sommati a tanti mondi. Diversi nei modi, nei tempi, nelle geografie, nelle proprie storie, nei calendari. Ma uguali nella fatica e nello sguardo assurdo posato su un tempo intempestivo che verrà, non per destino, non per disegno divino, non perché qualcuno perda affinché qualcun altro vinca. No, sarà perché stiamo lavorando, lottando, vivendo e morendo per questo.

E ci sarà un prato, e ci saranno fiori, e alberi, e fiumi, e animali di ogni specie. E ci sarà un prato perché ci saranno le radici. E ci sarà una bambina, un bambino, un bambin@ che sarà viva. E verrà il giorno in cui dovrà assumersi la responsabilità della decisione da prendere su cosa fare di quella vita.

Non è questa la libertà?

(…)

E racconteremo loro la storia della donna indigena di radice maya, di più di 40 anni, che cadde decine di volte imparando ad andare su una bicicletta con le ruote da 20. Ma anche che si alzò lo stesso numero di volte ed ora pedala su una bici con le ruote da 24 o 26 e, con questa arriverà alle lezioni sulle piante medicinali.

Del promotore di salute che arriverà in tempo in una comunità isolata e senza strada asfaltata per somministrare il siero antiveleno ad un anziano morso da una vipera nauyaca

Dell’indigena, autorità autonoma che, con la sua nagüa e il suo morraleta, arriverà in tempo all’assemblea di “noi donne” e potrà parlare dell’igiene femminile.

E che, quando non c’erano veicoli, benzina, autisti o strade transitabili, la salute, nella misura del nostro sviluppo e possibilità, arriverà in una capanna in un angolo della Selva Lacandona.

Una capanna dove, attorno a un fuoco, sotto la pioggia e senza luce elettrica, arriverà, in bicicletta, la promotrice di educazione e, tra l’odore di mais cotto, caffè e tabacco, ascolterà una storia terribile e meravigliosa, raccontata dalla voce e lingua di un’anziana. Ed in quella storia si parlerà del Votán che non era uomo né donna né otroa. E che non era uno, bensì molti. E sentirà che dirà: “questo siamo, Votán, guardiano e cuore del popolo”.

E che, ormai a scuola, quella promotrice di educazione racconterà ai bambini e le bambine zapatisti quella storia. Beh, piuttosto la versione che farà di quello che ricorderà di aver sentito, perché non si sentiva molto a causa del rumore della pioggia e della voce spenta della donna che raccontava la storia.

E della “cumbia della bicicletta” che qualche gruppo musicale giovanile creerà e che ci solleverà tutti dal sentire per l’ennesima volta “la cumbia del sapito”.

E i nostri morti, ai quali dobbiamo onore e vita, forse diranno “ebbene, siamo finalmente entrati nell’era della ruota”. E di notte guarderanno il cielo stellato, senza nuvole, e diranno “Biciclette! Da lì si arriverà alle astronavi”. E rideranno, lo so. E qualcuno vivo accenderà un registratore e si sentirà una cumbia che tutti noi, vivi e morti, speriamo non sia “la del moño colorado”.

(…)

Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome dei bambini, bambine, uomini, donne e otroas zapatisti.
Subcomandante Insurgente Moisés
Coordinatore Generale della “Gira por la Vida”.
Messico, aprile 2023”

Questi frammenti sono presi dall’originale con le autorizzazioni del mittente e della destinataria.

In fede.

El Capitán.
Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/21/duodecima-parte-fragmentos-fragmentos-de-una-carta-del-subcomandante-insurgente-moises-enviada-hara-hace-algunos-meses-a-una-geografia-lejana-en-distancia-y-cercana-en-pensamiento/

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Undicesima Parte: Intanto, nelle montagne del sudest messicano…..

Produzione Los Tercios Compas. Montagne del Sudest Messicano. Copyright novembre 2023
With a Little Help from My Friends, Lennon y McCartney. Versione di Joe Cocker https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/17/mientras-tanto-en-las-montanas-del-sureste-mexicano/

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Decima Parte: Di Piramidi e loro usi e costumi.

Conclusioni dall’analisi critica di MAREZ e JBG.

(Frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés di agosto-settembre 2023 nelle montagne del Sudest Messicano)

Novembre 2023

Introduzione

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a trascinarli, quei blocchi di pietra? E Babilonia distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case, della Lima lucente d’oro, abitavano i suoi costruttori? Dove andarono i muratori, la sera che fu terminata la Grande Muraglia? Roma la grande è piena d’archi di trionfo. Chi li costruì?

Bertold Brecht.

È nota l’ossessione che i sistemi dominanti hanno avuto, nel corso della loro storia, nel salvare l’immagine delle classi o caste dominanti sconfitte. Come se il vincitore si preoccupasse di neutralizzare l’immagine dello sconfitto: ovviare la sua caduta. Nello studio dei resti della civiltà o della cultura sconfitta, l’accento è solitamente posto sui grandi palazzi dei sovrani, sugli edifici religiosi dell’alta gerarchia e sulle statue o monumenti che i popoli dominanti di quel tempo facevano a se stessi.

Non sempre con genuino interesse antropologico o archeologico (non è la stessa cosa), ad esempio, si studiano le piramidi. Il loro senso architettonico-religioso – a volte anche scientifico – e quello che gli opuscoli turistici (e i programmi politici di tutto lo spettro) chiamano “lo splendore del passato”.

È naturale che i diversi governi si fissino e, non senza sospirianelanti, si concentrino su re e regine. I grandi palazzi e le piramidi possono essere indicati come riferimenti del progresso scientifico di quei tempi, dell’organizzazione sociale e delle cause “del loro sviluppo e declino”, ma nessun sovrano ama vedere il suo futuro riflesso nel passato. Ecco perché stravolgono la storia passata ed è possibile riprogrammare fondamenti di città, imperi e “trasformazioni”. Così, senza rendercene conto, ogni selfie scattato nei siti archeologici nasconde più di quanto mostri. Lassù in alto, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Ma, se non si dice che queste costruzioni devono aver avuto coloro che le hanno progettate – i loro architetti, ingegneri e artisti -, tanto meno si fa riferimento alla “manodopera”, cioè agli uomini e alle donne sulle cui spalle (in più di un senso) sono state costruite quelle meraviglie che stupiscono i turisti di tutto il mondo, che passano il tempo poi in discoteca, al centro commerciale e in spiaggia.

Da lì a ignorare che i discendenti di quella “manodopera” siano vivi e attivi, con lingua e cultura, il passo è breve. Gli indigeni che costruirono, ad esempio, le piramidi di Teotihuacán e della zona Maya nel sudest messicano, esistono (cioè resistono) e, talvolta, aggiungono alla loro resistenza quella componente sovversiva che è la ribellione.

Nel caso del Messico, i diversi governi preferiscono gli indigeni come artigianato vivente e, talvolta, come pura coreografia. L’attuale governo non rappresenta alcun cambiamento in questo (beh, non solo in questo, ma non è questo il tema). I popoli nativi continuano ad essere oggetto di elemosina (l’aspirina dei furfanti), di bottino elettorale, di curiosità artigianale e di via di fuga per chi amministra la distruzione in corso: “Distruggerò la tua vita, cioè il tuo territorio; ma non preoccuparti, preserverò le piramidi di coloro che sfruttarono i tuoi antenati e quelle cose divertenti di cui parli, ti vesti e fai”.

Ciò premesso, questa “immagine” della piramide – il vertice stretto superiore e la base larga inferiore – viene ora utilizzata dal Subcomandante Insurgente Moisés per spiegarci qualcosa dell’analisi (feroce e implacabile, a mio avviso) del lavoro dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo.

El Capitán

Un po’ di storia, non molto, solo 30 anni.

I MAREZ e le Giunte di Buon Governo non erano tutto male. Dobbiamo ricordare come li abbiamo raggiunti. Per i popoli zapatisti erano una scuola di alfabetizzazione politica. Un’autoalfabetizzazione.

La maggior parte di noi non sapeva leggere, scrivere o parlare spagnolo. Ma parliamo lingue diverse. Questo è stato un bene, perché le nostre idee e la nostra pratica non venivano da fuori, ma piuttosto dovevamo cercare nella nostra testa, nella nostra storia di indigeni, a modo nostro.

Non avevamo mai avuto l’opportunità di governarci da soli. Siamo sempre stati governati. Ancor prima di quello spagnolo, l’impero azteco, che l’attuale governo ama moltissimo – credo perché gli piacciono i prepotenti – opprimeva molte lingue e culture. Non solo in quello che oggi è il Messico, anche in quello che oggi è il Centroamerica.

La situazione in cui ci trovavamo era di morte e disperazione. Ci hanno chiuso tutto. Non c’erano porte, né finestre, né crepe. Come se volessero farci soffocare. Allora, come si suol dire, abbiamo dovuto aprire una crepa in quel muro che ci rinchiudeva e ci condannava. Come se tutto fosse oscurità e con il nostro sangue accendessimo una piccola luce. Questa è stata la sollevazione zapatista, una piccola luce nella notte più buia.

Poi è successo che molte persone hanno chiesto un cessate il fuoco, che dovevamo parlare. I cittadini sanno già queste cose. A molti di loro è successa la stessa cosa che a noi: i malgoverni tradiscono sempre. Non compiono il loro dovere perché i governi sono i principali oppressori. Quindi dovevamo scegliere se aspettare che un giorno facessero il loro dovere, o cercare da noi. E abbiamo scelto di cercare la nostra strada.

E beh, dovevamo organizzarci per questo. Ci siamo organizzati e preparati per 10 anni a prendere le armi, a morire e uccidere. Poi si scopre che dovevamo organizzarci per vivere. E vivere è libertà. E giustizia. E riuscire a governarci come persone, non come infanti come ci vedono i governi.

È lì che ci è venuto in mente che dovevamo creare un governo che obbedisse. In altre parole, non fare quello che voleva, ma rispettare quello che dice il popolo. In altre parole, “comandare obbedendo”, che è la parola che gli svergognati di oggi plagiano (cioè, non plagiano solo le tesi. Nota della redazione).

Quindi con i municipi autonomi abbiamo imparato che potevamo governarci da soli. E questo è stato possibile perché molte persone ci hanno sostenuto senza alcun interesse nel trovare la strada della vita. Cioè, quelle persone non sono venute per ricavarne qualcosa – come quelli che immagino tu descriva agli altri quando parli dei 30 anni -, ma davvero si sono impegnati per un progetto di vita. E c’è chi voleva dirci come dovevamo fare. Ma non abbiamo preso le armi per cambiare padrone. Non esiste un padrone buono. Ma c’erano altre persone che rispettavano i nostri pensieri, il nostro modo.

Il valore della parola.

Quando riceviamo questo appoggio, per noi è un impegno. Se diciamo che abbiamo bisogno di aiuto per fare scuole e cliniche, per preparare promotori di salute e di educazione, per esempio, dobbiamo rispettare l’impegno. Cioè, non possiamo dire che l’aiuto è per una cosa e poi lo usiamo per un’altra. Dovevamo e dobbiamo essere onesti, perché quelle persone non vengono a sfruttarci, ma a darci coraggio. Così lo intendevamo.

Dobbiamo quindi sopportare gli attacchi e le stronzate dei malgoverni, degli agricoltori, delle grandi aziende, che si sforzano di metterci alla prova per vedere se resistiamo o è facile per noi cadere nella provocazione per accusarci di dire bugie, che vogliamo anche Potere e soldi. Il Potere è come una malattia che ammazza le buone idee e corrompe, fa ammalare le persone. Una persona sembra buona, ma con il Potere impazzisce. O forse già era pazza e il Potere le ha scoperto il cuore.

Quindi pensiamo che dobbiamo organizzare, ad esempio, la nostra salute. Perché ovviamente abbiamo visto e vediamo che quello che fa il governo è una grande menzogna che serve solo a rubare e non gli importa che le persone muoiano, soprattutto se sono indigene.

Ed è successo che, quando abbiamo fatto quella crepa nel sistema e guardato fuori, abbiamo visto tante cose. Ma anche molte persone ci hanno visto. E tra quelle persone c’è chi ci ha guardato e ha corso il rischio di aiutarci e sostenerci. Perché cosa succede se siamo bugiardi e non facciamo quello che diciamo? Ma ehi, hanno corso un rischio e ci hanno impegnati.

Guarda, là fuori, nelle città, la parola non vale. Possono dire una cosa in un momento, e un minuto dopo dire il contrario come se nulla fosse. C’è, ad esempio, quello della “mañanera[conferenza stampa mattutina del presidente Obrador – n.d.t.], cioè un giorno dice una cosa e l’altro il contrario. Ma, siccome paga, lo applaudono e sono contenti perché fa loro un’elemosina che non viene nemmeno dal suo lavoro, ma da quello che i lavoratori danno ai governi con le tasse, che sono come il “pizzo” della criminalità disorganizzata.

Quindi queste persone ci sostengono e iniziamo poco a poco con la medicina preventiva. Dato che avevamo già recuperato le terre, abbiamo migliorato la nostra alimentazione, ma serviva di più. Più sanità. Dovevamo recuperare la conoscenza erboristica, ma non bastava, serviva anche la scienza. E grazie alle/ai medici, che noi chiamiamo “fratelli”, perché sono come nostri fratelli, che si sono adattati e ci hanno guidato. Così sono nati o si sono formati i primi formatori di Salute, cioè coloro che preparano i promotori.

E anche l’educazione, soprattutto la lingua castigliana. Perché per noi lo spagnolo è molto importante perché è come il ponte attraverso il quale possiamo comunicare e capirci tra lingue diverse. Ad esempio, se parli tzeltal, avrai difficoltà a comunicare con la lingua cho’ol, o tzotzil, o tojolabal, o zoque, o mame, o quiché. Quindi devi imparare lo spagnolo. E le scuole autonome sono molto importanti per questo. Ad esempio, la nostra generazione parla la sua lingua combinata con lo spagnolo, cioè parliamo strano. Ma le giovani generazioni che hanno studiato nelle scuole autonome conoscono il castigliano meglio di alcuni cittadini. Il compianto SupMarcos diceva che questi giovani possono correggere gli scritti degli universitari. Mentre prima, per fare una denuncia, dovevi andare dalla Comandancia per scriverla, poi non più. In ogni autorità autonoma c’era uno scrivano e, beh, ha funzionato.

Quindi un tipo di progresso ne spinge un altro. E subito dopo, questi giovani volevano di più, saperne di più. Quindi abbiamo organizzato la nostra salute in ogni città, in ogni regione e zona. Abbiamo progredito in ogni settore della salute, ostetricia, piante medicinali, ortopedia, laboratori, dentisti, ultrasuoni, tra gli altri settori, ci sono cliniche. E lo stesso nella scuola, cioè nell’educazione. Diciamo scuola, perché anche a noi adulti manca l’educazione, per noi è molto ampia l’educazione, non solo quella dei bambini e degli adolescenti.

Inoltre abbiamo organizzato il lavoro produttivo perché disponiamo ormai dei terreni che prima erano in mano ai latifondisti. E così lavoriamo come famiglia e come collettivo nei campi di mais, di fagioli, di caffè, negli orti e nelle fattorie. E un po’ di bestiame, che viene utilizzato più per le emergenze economiche che per le feste. Il lavoro collettivo ha permesso l’indipendenza economica dei compagni e questo ha portato molte altre cose. Ma di questo si è già parlato.

Una scuola.

Cioè, abbiamo imparato a governarci da soli e così siamo riusciti a mettere da parte i malgoverni e le organizzazioni che si dicono di sinistra, progressiste e non so che. 30 anni imparando cosa significa essere autonomi, cioè ci auto-dirigiamo, ci auto-governiamo. E non è stato facile, perché tutti i governi che sono passati dal PRI, PAN, PRD, PT, VERDE e MORENA, non hanno mai smesso di tentare di distruggerci. Per questo, come i governi passati, questo ha detto che siamo ormai scomparsi, o che siamo fuggiti, o che siamo sconfitti, o che non c’è più niente di zapatista, che siamo scappati negli Stati Uniti o in Guatemala. Ma vedete, eccoci qui. In resistenza e ribellione.

E la cosa più importante che abbiamo imparato con i MAREZ è che l’autonomia non è una questione di teoria, di scrivere libri o fare discorsi. Va fatta. E dobbiamo farla da noi come comunità, e non aspettare che qualcuno venga a farla per noi.

Tutto questo è, diciamo, il buono dei MAREZ: una scuola di autonomia nella pratica.

E anche le Giunte di Buon Governo sono state molto importanti perché con queste abbiamo imparato a scambiare idee sulle lotte con altri fratelli del Messico e del mondo, dove abbiamo visto del giusto l’abbiamo accolto e dove abbiamo visto che non lo era, l’abbiamo scartato. Alcuni ci dicono che dobbiamo obbedire. Perché mai? Abbiamo messo in gioco la nostra vita. Cioè, il nostro sangue e quello delle generazioni di prima e di quelle che verranno. Nessuno ci deve venire a dire cosa fare, anche se si credono molto esperti. Con le JBG abbiamo imparato a incontrarci e organizzarci, a pensare, a opinare, a proporre, a discutere, a studiare, ad analizzare e a decidere da noi stessi.

Quindi, in sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera. La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così.

La Piramide.

Ora arriva il brutto. O più che il brutto, ciò che ha dimostrato di non essere più utile per ciò che verrà. Oltre ai difetti intrinseci. Racconteremo come tutto questo è iniziato.

Il problema principale è quella dannata piramide. La piramide separava le autorità dalle comunità, comunità e autorità si allontanavano. Le proposte delle autorità non arrivano così come erano alla comunità, né le opinioni della comunità arrivavano alle autorità.

A causa della piramide venivano tagliate molte informazioni, linee guida, suggerimenti, supporto delle idee che i colleghi del CCRI spiegavano. La Giunta di Buon Governo non trasmetteva integralmente e la stessa cosa succedeva con le Autorità dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e di nuovo si ripeteva quando i MAREZ informavano le assemblee di autorità delle comunità e per ultimo così succedeva con le autorità delle comunità quando riferivano ad ogni villaggio. Avvenivano molti tagli di informazione o interpretazioni, o entrambi che non corrispondevano all’originale.

Si sono fatti anche molti sforzi nella formazione delle autorità che ogni 3 anni turnavano. Ma le autorità delle comunità non si preparavano in tempo. Quindi, non si realizzava la turnazione. Lo chiamavamo “Collettivo di governo” ma non funzionava bene, poche volte funzionava ed era più quello che non andava che quello che andava, tanto nei MAREZ che nelle JBG.

Si stava cadendo nel voler decidere da parte delle autorità le faccende e le prese di decisioni, come MAREZ e JBG. Volevano mettere da parte i 7 principi del comandare obbedendo.

Ci sono state anche delle ONG che volevano che fossero accettati dei lor progetti nella JBG e nel MAREZ che non erano ciò di cui la comunità aveva bisogno. O persone in visita che facevano amicizia con qualche famiglia o comunità e solo a queste inviavano aiuti. E alcuni visitatori volevano addirittura comandarci e trattarci come loro servi. Così, con grande gentilezza abbiamo dovuto ricordare loro che siamo zapatisti.

In alcuni MAREZ e JBG c’è stata anche una cattiva amministrazione delle risorse della comunità e, naturalmente, sono stati sanzionati.

In sintesi, si è visto che la struttura per come si governava, una piramide, non è la strada giusta. Non viene dal basso, ma viene dall’alto.

Se lo zapatismo fosse solo l’EZLN, sarebbe facile dare ordini. Ma il governo deve essere civile, non militare. Poi le persone devono trovare la loro strada, il loro modo e il loro tempo. Dove e quando cosa. L’esercito dovrebbe essere solo per la difesa. La piramide può essere utile per scopi militari, ma non per scopi civili. Questo è ciò che crediamo.

Un’altra volta racconteremo com’è la situazione qui in Chiapas. Ora diciamo solo che è come altrove. È peggiorata degli ultimi anni. Adesso ti uccidono in casa, per strada, nei villaggi. E non esiste un governo che ascolti le richieste della gente. E non fanno nulla perché sono loro stessi i criminali.

Non solo questo. Abbiamo già detto che vediamo tante disgrazie che stanno per arrivare o che sono già arrivate. Se vedi che sta per piovere o che stanno cadendo le prime gocce e il cielo è nero come l’anima di un politico, allora tiri fuori la cerata e cerchi un riparo. Il problema è che non c’è nessun posto dove ripararsi. Devi costruire il tuo rifugio.

Il fatto è che abbiamo visto che con MAREZ e JBG non saremmo stati in grado di affrontare la tempesta. Abbiamo bisogno che la Dení cresca e viva e che tutte le altre sette generazioni nascano e vivano.

Per tutto questo e altro, siamo entrati in una fase di grandi riflessioni e siamo giunti alla conclusione che serviva una grande discussione e analisi con tutte le comunità per trovare il modo di affrontare la nuova e brutta situazione e contemporaneamente trovare come continuare a governarci. Si sono svolte riunioni e assemblee, zona per zona, finché non si è raggiunto l’accordo che non ci saranno più state le Giunte di Buon Governo né i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti. E che avevamo bisogno di una nuova struttura, cioè di sistemarci in un altro modo.

Naturalmente questa proposta non riguarda solo la riorganizzazione. È anche una nuova iniziativa. Una nuova sfida. Ma lo diremo più avanti.

Quindi in generale, per farla breve, i MAREZ e le JBG sono stati molto utili in quella fase. Ma c’è un altro passaggio e quei vestiti sono oramai troppo corti, laceri, e anche se li rammendi non servono più. Perché arriverà il momento in cui avrai addosso solo brandelli di tessuto.

Quindi quello che abbiamo fatto è stato tagliare la piramide. Abbiamo tagliata la punta. O meglio, l’abbiamo capovolta.

Celebrare il passato o il futuro?

Dobbiamo continuare a camminare e in mezzo alla tempesta. Ci siamo già trovati a camminare con tutto contro di noi.

I prossimi dicembre e gennaio non celebreremo i 30 anni della sollevazione. Per noi ogni giorno è una festa, perché siamo vivi e lottiamo.

Celebreremo l’inizio di un percorso che durerà almeno 120 anni, forse più. Siamo sulla breccia da 500 anni, quindi non manca molto, solo poco più di un secolo. È, come dice José Alfredo Jiménez, “appena dietro la collina”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

(Frammento dell’intervista realizzata dal Capitán Marcos, per i Tercios Compas. Copyright Messico, novembre 2023. Autorizzazione della JBG… ah wow, ma non ci sono più le Giunte… beh, dei MAREZ… beh, neanche… Beh, il fatto è che è autorizzato. L’intervista è stata condotta alla vecchia maniera, cioè come facevano i giornalisti, con taccuino e penna. Adesso non vanno nemmeno sul posto a cercare la notizia, la prendono dai social. Sì, è un peccato).

In Fede.

El capitán, che balla la cumbia “Sopa de Caracol”. Accidenti al fango!

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/14/decima-parte-acerca-de-las-piramides-y-sus-usos-y-costumbres-conclusiones-del-analisis-critico-de-marez-y-jbg-fragmento-de-la-entrevista-hecha-al-subcomandante-insurgente-moises-en-los-meses-de-ag/

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Nona parte: La Nuova Struttura dell’Autonomia Zapatista

Novembre 2023

Fratelli e sorelle, compagni e compagne:

Cercherò di spiegarvi come abbiamo riorganizzato l’autonomia, cioè la nuova struttura dell’autonomia zapatista. Spiegherò più avanti in modo più dettagliato. O forse non mi spiegherò oltre, perché ciò che conta è la pratica. Naturalmente potete anche venire all’anniversario e assistere alle rappresentazioni teatrali, le canzoni, le poesie, l’arte e la cultura di questa nuova fase della nostra lotta. In caso contrario, i Tercios Compas vi invieranno foto e video. In un altro momento vi dirò cosa abbiamo visto di buono e di male nella valutazione critica dei MAREZ e JBG. Ora vi dirò solo come è. Vai:

Primo. – La base principale, che non è solo il luogo in cui si sostiene l’autonomia, ma anche senza la quale le altre strutture non possono funzionare, è il Governo Autonomo Locale, GAL. Esiste un GAL in ogni comunità dove ci sono basi di appoggio zapatiste. I GAL zapatisti sono il nucleo di ogni autonomia. Sono coordinati da agenti e commissari autonomi e sono soggetti all’assemblea del villaggio, ranchería, comunità, luogo, quartiere, ejido, colonia o come si chiami ciascuna comunità. Ogni GAL controlla le proprie risorse organizzative autonome (come scuole e cliniche) e i rapporti con le vicine comunità sorelle non zapatiste. E controlla il corretto utilizzo dei soldi. Rileva e segnala inoltre cattiva gestione, corruzione ed errori che potrebbero verificarsi. E vigila su coloro che vogliano spacciarsi per autorità zapatiste per chiedere appoggi o aiuti da utilizzare a proprio beneficio.

Quindi, se prima esisteva qualche decina di MAREZ, cioè i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, ora ci sono migliaia di GAL zapatisti.

Secondo. – A seconda delle necessità, dei problemi e dei progressi, i diversi GAL si riuniscono nei Collettivi di Governo Autonomo Zapatista, CGAZ, dove si discutono e si stipulano accordi su questioni che interessano i GAL convocanti. Quando lo decide, il Collettivo dei Governi Autonomi convoca un’assemblea delle autorità di ciascuna comunità. Qui vengono proposti, discussi e approvati o respinti i piani e i bisogni riguardo a Sanità, Educazione, Agroecologia, Giustizia, Commercio e quelli necessari. A livello CGAZ ci sono i coordinatori di ciascuna area. Non sono autorità. Il loro compito è vigilare sullo svolgimento dei compiti richiesti dai GAL o necessari per la vita comunitaria. Come ad esempio: campagne di medicina preventiva e di vaccinazione, campagne per le malattie endemiche, corsi e formazione specialistica (come tecnici di laboratorio, radiografie, ecografie, mammografie e quello che c’è da imparare), alfabetizzazione e livelli superiori, eventi sportivi e culturali, feste tradizionali, ecc. Ogni regione o CGAZ ha i suoi direttivi che sono quelli che convocano le assemblee se c’è un problema urgente o che coinvolge più comunità.

Vale a dire che dove prima c’erano 12 Giunte di Buon Governo, ora ce ne saranno centinaia.

Terzo. – Seguono poi le Assemblee dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti, ACGAZ. Che sono quelle che prima erano conosciute come zone. Non hanno autorità, ma dipendono dai CGAZ. Ed i CGAZ dipendono dai GAL. La ACGAZ convoca e presiede le assemblee di zona, quando necessario secondo le richieste dei GAL e dei CGAZ. Hanno sede nei Caracol ma si spostano da una regione all’altra. In altre parole, sono mobili, a seconda delle richieste specifiche delle comunità.

Quarto. – Come si potrà vedere nella pratica, il Comando e Coordinamento dell’Autonomia si è trasferito dalle JBG e MAREZ ai villaggi e comunità, ai GAL. Le zone (ACGAZ) e le regioni (CGAZ) sono comandati dalle comunità, devono rendere conto alle comunità e cercare il modo di soddisfare i loro bisogni riguardo a Salute, Educazione, Giustizia, Alimentazione e quelli che sorgono in caso di emergenze a causa di disastri naturali, pandemie, crimini, invasioni, guerre e altre disgrazie che il sistema capitalista porta con sé.

Quinto. – La struttura e la disposizione dell’EZLN sono state riorganizzate per aumentare la difesa e la sicurezza delle popolazioni e della madre terra in caso di aggressioni, attentati, epidemie, invasione di imprese depredatrici della natura, occupazioni militari parziali o totali, disastri naturali e guerre nucleari. Ci siamo preparati affinché i nostri popoli sopravvivano, anche isolati gli uni dagli altri.

Sesto. – Capiamo che abbiate difficoltà ad assimilare tutto questo. E che ci vorrà un bel po’ di tempo per capirlo. A noi ci sono voluti 10 anni per pensarlo e di questi 10 anni, 3 per predisporlo a metterlo in pratica.

Comprendiamo anche che vi sentiate confusi. Ecco perché è necessario cambiare il vostro canale di comprensione. Solo guardando molto lontano, avanti e indietro, si può comprendere il passaggio attuale.

Ci auguriamo che comprenderete che è una struttura nuova di autonomia, che stiamo imparando, e che ci vorrà un po’ perché proceda bene.

In realtà questo comunicato ha solo l’intenzione di dirvi che l’autonomia zapatista continua e avanza, che pensiamo sia meglio per i villaggi, le comunità, i luoghi, i quartieri, le colonie, gli ejidos e le rancherías dove vivono, cioè dove lottano le basi di appoggio zapatiste. E questa è stata una loro decisione, tenendo conto delle loro idee e proposte, delle loro critiche e autocritiche.

Inoltre, come si vedrà, questa nuova fase dell’autonomia è fatta per affrontare il peggio dell’Idra, la sua bestialità più infame e la sua follia distruttiva. Le loro guerre e invasioni affaristiche e militari.

Per noi non esistono frontiere né geografie lontane. Tutto ciò che accade in qualunque angolo del pianeta ci colpisce e ci coinvolge, ci preoccupa e ci ferisce. Nella misura delle nostre pochissime forze, sosterremo gli esseri umani in difficoltà indipendentemente dal loro colore, razza, nazionalità, credo, ideologia e lingua. Anche se non conosciamo molte lingue né comprendiamo molte culture e modi, sappiamo comprendere la sofferenza, il dolore, la tristezza e la rabbia degna che il sistema provoca.

Sappiamo leggere e ascoltare i cuori fratelli. Continueremo a cercare di imparare da loro, dalle loro storie e dalle loro lotte. Non solo perché ne soffriamo da secoli e sappiamo cosa vuol dire. Anche e soprattutto perché, come da 30 anni, la nostra lotta è per la vita.

Sicuramente abbiamo commesso molti errori in tutti questi anni. Sicuramente ne faremo altri nei prossimi 120 anni. Ma NON ci arrenderemo, NON cambieremo strada, NON ci venderemo. Rivedremo sempre la nostra lotta, i suoi tempi e i suoi modi con occhio critico.

I nostri occhi, le nostre orecchie, la nostra testa e il nostro cuore saranno sempre pronti a imparare da altri che, sebbene diversi in molte cose, hanno le nostre stesse preoccupazioni e desideri simili di democrazia, libertà e giustizia.

E cercheremo sempre il meglio per la nostra gente e per le nostre comunità sorelle.

Siamo zapatisti!

Finché ci sarà anche solo uno, una, unoa zapatista in ogni angolo del pianeta, resisteremo ribellandoci, cioè lotteremo.

Lo vedrete amici e nemici. E pure quelli che non sono né uno né l’altro.

Solo per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Oltre 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S.- Qui uno schema per meglio comprendere.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/12/novena-parte-la-nueva-estructura-de-la-autonomia-zapatista/

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Ottava Parte: P.S. CHE BISOGNA LEGGERE PER SAPERE DI COSA SI TRATTA

Novembre 2023

La leggenda narra che, nei tempi in cui il tempo non contava, la pioggia e la notte coprivano la Casa degli Esseri. Poi è andata via la luce. Tutto era buio. Donne, uomini e altri inciampavano e si scontravano tra loro. Per questo motivo discutevano e litigavano tra fratelli e vicini di casa. Non si riconoscevano nemmeno nonostante fossero familiari e conoscenti perché era molto buio. Si litigava parecchio.

I primi dei, coloro che crearono il mondo, erano pigri, sdraiati sulle loro amache i raccontavano pettegolezzi e storie. Ma il chiasso nella Casa degli Esseri li raggiunse. “Cos’è questo chiasso?”, chiese uno. “Chi lo sa”, rispose un altro. Ixmucané, che era la dea madre, disse: “Vediamo di cosa si tratta”, ma quando scese dall’amaca cadde sbattendo a terra la faccia che risultò ammaccata, cioè come se avesse delle crepe. Ixmucané si alzò da terra e non imprecò perché le parolacce non erano ancora state inventate. Si diede una spolverata. Sollevò un poco la gonna e corse verso la Casa degli Esseri.

Gli dei si scambiarono uno sguardo e non dissero niente, ma pensarono “Vuoi vedere che ci batterà una donna?” e scesero dalle loro amache, ma facendo attenzione, e corsero per raggiungere Ixmucané. Ma si scopre che, poiché erano stati pigri, non avevano pulito il loro posto che era tutto un cespuglio. Pieno di acahual (girasole selvatico). Abbondavano tzaw ch´ix (spine), rami secchi, paglia tagliente (che chiamano anche gezau h´ak) e ch´oox tz´an, che è una liana con le spine. Ma corrono e saltano come possono mentre si lamentano, perché non avrebbero permesso di essere battuti da una donna. Arrivarono quindi alla Casa degli Esseri, tutti graffiati ed ammaccati in viso e mani. Ma nessuno vide che erano feriti, perché non c’era luce. Per questo si crede che gli dei non hanno ferite.

Neanche gli dei vedevano niente. Tutto era buio. Solo per il rumore si sapeva che c’era altra gente. “E adesso?”, si domandarono gli dei. Ixmucané non si chiese nulla, ma restò pensierosa. Gli dei maschi erano sempre molto fanfaroni e cominciarono a dire che bisogna andare a cercare legno di ocote. Un altro diceva che bisognava inventare il faretto e la lampada ad olio. Un altro che bisognava catturare un buon numero di lucciole. E così via.

Ixmucané pensò: “Bisogna rimettere la luce. Ma per rimetterla, dobbiamo trovarla. E per trovarla, dobbiamo sapere dove cercarla. E per sapere dove cercarla, dobbiamo sapere che cosa è successo”.

Ixmucané riunì gli uomini, le donne e otroas di mais. Allora c’erano solo uomini, donne e otroas di mais, erano di molti colori e ognuno aveva il suo modo. Non c’erano religioni, né nazioni, né Stati, né partiti politici, né tutto quello che nacque dopo come seme della guerra. Quindi, quando Ixmucané disse “venite fratelli e sorelle”, guidati dalla sua voce arrivarono tutti gli uomini e le donne e anche otroas – perché non si sentivano esclusi -.

Così si riunirono in assemblea. Non si vedevano perché non c’era luce, ma potevano parlare e ascoltarsi.

Ixmucané domandò loro “Che cosa facciamo?”. Gli uomini, le donne e otroas non si vedevano – perché non c’era luce – ma restarono in silenzio. Fino a quando una voce disse “Bene, dicci tu cosa faremo”. Gli applausi non si videro, ma si sentirono bene. Ixmucané rise di gusto e disse “Nemmeno io lo so. Non lo sappiamo, ma forse così riuniti, in assemblea e parlandone, magari usciranno delle idee su cosa fare”. Rimasero tutti in silenzio pensando che cosa fare.

L’unico rumore che si sentiva era il rumore degli dei maschi che litigavano tra loro per dove diavolo era l’ocote, se qualcuno si fosse ricordato di creare le lucciole, che se non toccava a me, che se quello dipendeva da non so chi era da papero [ridicolo – n.d.t.] e cosa è un “papero” se le papere non sono ancora state create. E così via.

Nell’assemblea si parlava e si proponeva cosa fare. Prima erano solo poche voci, poi sempre di più. Poi si dovette stabilire un ordine per parlare e mettere qualcuno a scrivere quanto concordato. Siccome non c’era luce per scrivere né per leggere, c’era solo la parola parlata, nominarono Ixmucané che conserva nella sua testa ciò che viene detto e poi ne parla.

Furono dette molte idee e parole che non ci stavano più nella testa di Ixmucané. Allora cominciò a tenerli tra i capelli e i suoi capelli si allungarono, ecco perché le donne hanno i capelli lunghi. Ma neanche questo bastò, anche se si sistemò i capelli e fu allora che venne inventato il “fermaglio per capelli” che, come indica il nome, significa “afferra idee”. I capelli di Ixmucané toccavano ormai terra e continuavano a parlare idee e parole. Allora Ixmucané cominciò a conservare le idee nelle ferite che si era procurata cadendo con le spine e le liane. Aveva ferite ovunque: in viso, sulle braccia, mani, gambe. Tutto il suo corpo era pieno di ferite cosicché poté conservare tutto. Per questo dicono che le persone anziane, sagge, hanno tante rughe e cicatrici perché hanno molte idee e storie. Cioè, sanno molto.

Vi racconterò un’altra volta quello che decisero in quella prima assemblea nella Casa degli Esseri, ma ora vi dico ciò che disse Ixmucané: “Bene, ora abbiamo un piano per affrontare questo problema. Poiché il mondo sta appena nascendo e stiamo dando un nome a ogni cosa o caso, per non confonderci chiameremo ciò che abbiamo fatto “in comune”, perché tutti partecipiamo: alcuni dando idee, altri che ne propongono altre, e c’è chi parla e c’è chi prende nota di ciò che viene detto”.

Dapprima calò il silenzio. Un silenzio pesante, forte. Poi si sentì un applauso, poi un altro, e poi tutti applaudirono e si sentiva che erano molto contenti. E non si misero a ballare perché non si vedeva un accidente. Ridevano tutti perché avevano trovato una nuova parola che si chiama “in comune” che vuol dire “cercare insieme la strada”. E non la inventarono gli dei primi, quelli che crearono il mondo, ma furono gli uomini, le donne e otroas di mais che, in comune, trovarono la parola, cioè, la strada.

-*-

Ixmucané era la più saggia di tutti gli dei e, siccome fu la prima ad arrivare alla Casa degli Esseri, aveva più ferite, per la caduta e per la corsa tra i girasoli selvatici, e così restò segnata da quelle cicatrici. “Rughe” e “cicatrici”, le chiamarono. Da allora, le rughe e le cicatrici rappresentano la saggezza. Più rughe e cicatrici, più saperi. Chiaro, allora non c’erano i social network e nessuno usava trucchi e modificava le sue foto con le App. Poi succede che vedi la foto del profilo e poi vedi la realtà, e allora vuoi scappare. No, le rughe e le cicatrici erano un orgoglio e non per tutti. Perfino gli uomini e le donne giovani si dipingevano rughe e cicatrici o addirittura si buttavano tra i rovi per graffiarsi in volto con le spine. Perché non contava chi fosse più bella o bello, bensì chi era più saggia o saggio. Invece di “followers” e “likes” si cercava chi aveva più rughe e cicatrici.

Eh, sì.

-*-

Sì, anche io vorrei sapere che cosa accadde con la luce persa. Forse dopo, in un altro poscritto, lo sapremo. Per ora, dobbiamo imparare a camminare e vivere nell’oscurità.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023. 40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/11/octava-parte-p-d-que-hay-que-leer-para-saber-de-que-trata/

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Settima Parte: Uno Scarabeo in Streaming

Novembre 2023

Durito mi ha inoltrato questo che ha ricevuto uno dei suoi milioni (così diceva) di fan:

Aggiunge quanto segue:

Anche se è un dettaglio che abbiano cambiato il colore dal nero al blu, che protegge la mia identità segreta, può darsi che vogliano evitare di pagare i diritti d’autore. Soprattutto per la mia discreta partecipazione allo sciopero della SAG-AFTRA, insieme alla mia ammirata Susan. Ad ogni modo, apprezzo l’umile tributo della HBO al più grande supereroe che il pianeta Terra abbia mai dato alla luce: Io”.

Quasi contemporaneamente mi arriva questo messaggio dal Community Manager di HBO:

«In relazione all’annuncio della programmazione del suddetto film, la HBO chiarisce che non si fa riferimento a Don Durito (DD per questioni legali) né si tratta di un riferimento al prossimo anniversario dell’EZLN. È una semplice coincidenza. HBO ribadisce il suo impegno nei confronti del sistema e sta già adottando misure per punire i responsabili della nostra programmazione per questo deplorevole malinteso. La HBO non fa film, né programma la proiezione di film di veri supereroi, ma solo di quelli di fantasia. E, anticipando le richieste del suddetto DD, avvertiamo che tutta la documentazione che tutela la nostra innocenza è depositata presso il nostro ufficio legale. Non accetteremo richieste superiori a 10 milioni di dollari, anche se saremmo disposti a reindirizzare il risarcimento in Guerrero, purché si tratti di un importo ragionevole che non superi la somma indicata e che non passi attraverso il Congresso dell’Unione del cimitero chiamato Messico. Siamo a vostra disposizione per raggiungere un accordo ragionevole. Cordiali saluti. L’amministratore delegato della HBO».

Penso che la cosa sia andata ormai fuori controllo.

Ora Durito sarà insopportabile. Beh, lo era già, ma ora lo sarà di più.

Dall’ufficio del Rappresentante Artistico di DD (per questioni legali).

El Capitán

Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/10/septima-parte-un-escarabajo-en-streaming/

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SESTA PARTE:
POSCRITTO CHE CERCA SPERANDO DI TROVARE

Novembre 2023

P.S. CHE DICE QUELLO CHE DICE. – Come disse uno dei defunti Sup: “la storia si ripete due volte: una volta come disgrazia e l’altra pure”. E questo assioma della vita arriva proprio al caso, o cosa, dipende, perché ho ricevuto un pacco con una breve nota. No, non è della SEGALMEX (quelli esportano, non importano). Il pacco ha il timbro postale di “una geografia lontana”, delle lontane Europe. La data è sbiadita, ma si legge il mittente: “Non sono Don Durito de La Lacandona, da non confondere. Sono solo un’entità IA”. Questa frase avrebbe dovuto bastare a mettermi in allerta, ma comunque ho letto il biglietto e ho aperto il pacco. La nota è breve e dice:

Mio caro e mai rimpianto Cyrano: sarò breve e preciso. Vado là in tuo aiuto. Non aspettarmi perché andrò in incognito. Non ho ancora deciso se mi travestirò da nuvola o da Bad Bunny o da Luis Miguel o da Al Pacino. Comunque, qualcosa che mi permetta di passare inosservato, mi capisci. Per ora, e visto che c’è tormenta, ti mando il mio ultimo libro. È tutto. Da un angolo della… Slovenia?… eh, come si chiama questo posto? Cipro? Eh? Penso che metterò “Europa dell’Est”… Eh? Neppure? Ok, allora al diavolo la geografia di sopra: da “The Cardinal Points”. Domicilio noto. Codice postale… Ehi, qual è il codice postale? Eh? 666? Nah, è uno scherzo, vero? No? Qualcuno là fuori può confermare che si tratta di uno scherzo? Hola? Hola? Firma: Durito travestito da IA”.

Sì, lo so. Ma credetemi, quando si tratta di Durito il messaggio è breve e preciso. Il libro in copertina, c’erano dubbi? Ha uno scarabeo… in smoking?!, e il titolo molto rassicurante “Manuale di Sopravvivenza in caso di Collasso Mondiale”. E, più sotto, “Tutto quello che avreste voluto sapere per affrontare la fine del mondo con stile ed eleganza. Progetta l’outfit ideale per la fine dei tempi. Sii la sensazione nell’Apocalisse. Sììì!”

Il libro in questione ha solo una pagina bianca e un poscritto perduto in un angolo: “CERCATE CHI GIÀ VIVE L’INFERNO CHE ASPETTA TUTTI. CERCATE CHI CERCA”.

P.S. PER LE CERCATRICI. – Prima di loro, si sapeva solo, per esempio, delle signore del FNCR. Ma poi ne apparvero altre, mi sembra dal sessennio di Vicente Fox. Prima solo poche e disperse nella geografia. Poi di più. Quindi in gruppi. Ora, in tutta questa fossa clandestina che si chiama “Messico”, vanno da una parte all’altra alla ricerca di chi manca loro. Non c’è nessuno che le aiuti o sostenga. Sono sole nel senso che contano solo su loro stesse. Sì, ci sono anche uomini, ma la maggioranza sono donne. No, non sono di moda. I desaparecidos non votano, di questo si tratta. Nei diversi governi è passato tutto lo spettro politico elettorale, tutte le bandiere elettorali, tutte le sigle di partito, e la professione di “CERCATRICE” cresce.

Anni fa, nei moduli da compilare per le pratiche, c’era una riga dove si metteva “occupazione”. Di solito le donne mettevano “casalinga”, “impiegata”, “professionista”, “studentessa”, ecc..

La mostruosità di un sistema ha creato un’altra occupazione: quella di “cercatrice”. Forse la più terribile, angosciante, penosa ed anacronistica di tutte le occupazioni.

Poche cose segnalano di più il fallimento di una proposta politica del potere quale l’esistenza e la crescita della professione di CERCATRICE.

Immaginate che qualcuno le intervistasse: “Mi dica, lei a cosa si dedica?”. E lei risponde “a cercare”. “E quanto guadagna per questo lavoro?”. “Niente”. “E come fa?”. “Non so, ma so che devo farlo. E devo farlo perché lei/lui sa che non mi fermerò fino a che non li troverò”. “C’è qualcosa che vorrebbe dire alla gente?”. “Sì, guardatemi, sono voi nel futuro se non facciamo niente”. La giornalista scoppia in lacrime. Ancora sta piangendo. E loro? Beh, continuano a cercare.

Nel frattempo, qualcuno nelle montagne del Sudest Messicano scrive:

“Alle Cercatrici:

Avevamo pensato ad un incontro con voi che non fosse di dolore, ma di gioia. Sapete: balli, canti, poemi, cinema, opere teatrali, disegni infantili, cose così. Non qualcosa che allevi o curi quella ferita che non si chiude, bensì solo una festa, quella che merita la vostra lotta.

Ma un essere nefasto, di quelli che non mancano mai, voleva trasformare quella riunione in una leva elettorale per la cosiddetta opposizione. Richiamare al “voto critico” per Bertha e quelle sciocchezze che servono solo affinché un opportunista si prenda una poltrona. Per questo non l’abbiamo realizzata… non ancora. Non avremmo permesso che si macchiasse il vostro nobile impegno.

Ma vi diciamo qui quello che vi avremmo detto là: “Non smettete di cercare. Quelle persone assenti valgono per il sangue che hanno ereditato, il vostro. Non conosciamo chi vi manca, ma conosciamo voi e la nobiltà della vostra lotta. Non arrendetevi non vendetevi, non cedete. Benché l’orrore che affrontate non sia di moda, la vostra causa è giusta e nobile. E nessun politico può dire la stessa cosa. La vostra ostinata dignità insegna e mostra la strada. Magari più persone vi guardassero come vi guardiamo noi popoli zapatisti: con ammirazione e rispetto”.

P.S.- A Gaza. – L’infanzia palestinese assassinata non è una vittima collaterale, è l’obiettivo principale di Netanyahu, lo è sempre stato. Questa guerra non è per eliminare Hamás. È per ammazzare il futuro. Hamás sarà solo la vittima collaterale. Il governo di Israele ha già perso la battaglia mediatica, perché risulta che il genocidio, anche se mascherato da vendetta, non ha tanti seguaci come credevano. Ora è capace della crudeltà più inimmaginabile. Chi forse potrebbe fermare il massacro è… il popolo di Israele.

Salute e che chi cerca, trovi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023

40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/09/sexta-parte-posdata-que-busca-esperando-encontrar/

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QUINTA PARTE:AHÍ VA EL GOLPE, JOVEN

Novembre 2023

P.S. DI AVVISO. – Stavamo per raccontarvi di cosa si tratta, ma leggere, vedere e ascoltare la sfilza di atrocità che gli “specialisti” di tutto e conoscitori di nulla dicono e scrivono (su presunti ritiri, smantellamenti, avanzate della criminalità organizzata e “ritorni al passato” – la maggioranza dovrebbero essere coletos [termine usato per indicare i meticci di San Cristóbal de las Casas – n.d.t.] -), abbiamo quindi deciso che era meglio lasciarli continuare a ruttare.

Con le loro approfondite analisi e fondate ricerche, gli zapatologi concludono: “Un esempio della sconfitta zapatista è la perdita dell’identità indigena: i giovani indigeni indossano ormai stivali da cowboy invece di camminare a piedi nudi o con i sandali. E per corteggiare le ragazze indossano pantaloni e camice nuovi – o stirati! – invece di indossare braghe di tela e comprare la loro moglie secondo gli usi e costumi indigeni. E vanno in motocicletta invece di portare sulla schiena i loro padroni coletos. Manca solo che le giovani donne indigene indossino pantaloni o che, orrore!, giochino a calcio e guidino veicoli, invece di servire le signore coletas. Osino persino ballare cumbia e ska invece del Bolonchon, e cantare rap e hiphop invece di salmi e odi ai latifondisti. E come ulteriore segno della perdita della loro identità indigena, che si arrivi all’assurdo che ci siano subcomandantes, comandantes e comandantas! E si governino da soli. E non chiedano il permesso di essere come vogliono loro. E viaggino e conoscano altre terre. E lavorino e si guadagnino la paga senza indebitarsi negli spacci del padrone. E non vengano tenuti in campi di concentramento, come a Gaza, in modo che non raccolgano idee “sinaloensi”, cioè straniere – beh, i mayo-yoreme di Sinaloa [gruppo indigeno del nord di Sinaloa – n.d.t.], sono solo per i narcocorrido -. Per colpa dello zapatismo noi antropologi non avremo più lavoro. Una vergogna. E tutto per non seguire l’avanguardia rivoluzionaria del proletariato o MORENA, è la stessa cosa. Grave errore dello zapatismo che non ci ha obbedito. Perché ormai gli indigeni non abbassano più lo sguardo quando li incontri. Ti guardano con irriverenza, con sfida, con rabbia, come se fossimo noi gli intrusi e non loro, come se fossimo noi i criminali e non loro. Prima lo facevano solo gli zapatisti, adesso qualunque “chamulita” ti tiene testa. E come dice il marxismo-leninismo-stalinismo-maoismo-trotskismo-tutti-ismi, ogni indigeno che non sia come nel manuale di antropologia è un narco”.

Siamo sicuri che, più tardi, quando si conoscerà tutto il senso di questa tappa, avranno un minimo di onestà per dire e pubblicare: “Non abbiamo la minima idea di quello che hanno fatto, di quello che fanno o di quello che faranno. La cosa migliore sarebbe stata chiedere agli zapatisti e non agli antizapatisti”. O non sono così onesti?

Dite a quei “giornalisti” che è sempre meglio, anche se più scomodo e senza compenso, intervistare gli attori, non gli spettatori, perditempo e paramilitari cialtroni. Il giornalismo investigativo è un lavoro professionale che spesso comporta rischi e disagi. Ma, non preoccupatevi, capiamo che ognuno cerca il sostentamento come può.

Dunque, come saluto agli “zapatologi”, proseguiamo con questi P.S. scritti con molto affetto:

P.S. DALLA CAPITANERIA DI PORTO DI MONTAGNA. – Avevamo preparato una serie di frasi intelligenti per prendere in giro la classe politica nel suo insieme (governo e opposizione), ma ora pensiamo che non abbia senso, visto che ogni gregge ha il suo pastore o ogni pastore ha il suo gregge. Oppure qualcuno crede ingenuamente che la questione sia tra due pastorelle?

Il nostro silenzio in questi anni non è stato, né è, un segno di rispetto o di approvazione di qualcosa, ma piuttosto lo sforzo di guardare oltre e cercare quello che tutti, tutte, todoas cercano: una via d’uscita dall’incubo. Man mano che apprenderete dagli scritti successivi cosa stiamo facendo, forse capirete che la nostra attenzione era altrove.

Ma comprendiamo che più di una persona soffra di quello che noi zapatisti chiamiamo “torcicollo teorico” causato dal guardare in alto e colpisce la capacità di giudizio, il buon senso, la decenza e l’onestà – oltre a creare dipendenza cronica -. Comprendiamo i limiti dei loro orizzonti di analisi. Una cosa è la scrivania, l’accademia, la rubrica giornalistica, il reportage giusto, la posizione nel governo, i pettegolezzi da caffè rivoluzionario o i social network, un’altra cosa è la realtà.

Quest’ultima non solo non paga, ma costa tantissimo. Anche Shakira l’ha detto: la realtà fattura, e non include l’IVA. È così.

Non faremo legna dagli alberi caduti là in alto. La realtà, implacabile testarda, farà la sua parte e le ultime schegge saranno quelle che raccoglierà il crimine organizzato dalle tangenti nei piani degli uni e gli altri.

Alcuni si masturbano con la mañanera [riferimento alla conferenza stampa mattutina del presidente Lopez Obrador – n.d.t.]. Altri con distruzioni, morti, omicidi, stupri, sparizioni, fame, guerre, malattie, dolore e tristezza. Nessuno di loro ha una proposta politica fattibile e seria, si limitano a intrattenere… fino a non mai.

Ma visto che parliamo di autoerotismo: potendo scegliere tra Bertha e Claudia, beh, Wendy.

-*-

Bene, salute e adesso cosa faccio col mio costume per ballare i trap corrido? “Ehi amico, che ne dici di questo cappello?” … Cosa? Non va? Accidenti! È la perdita dell’identità indigena. Spero che gli antropologi arrivino presto a salvarci.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

(bellissimo col suo cappello da cowboy. A ognuno il suo, gente! ¡Ajúa raza! [espressione il cui significato è qualcosa come Viva! – n.d.t.])

Messico, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S. “CONTESTUALE”. – Televisa è Televisa e gli antropologi sono antropologi: https://www.nmas.com.mx/noticieros/programas/en-punto/videos/ezln-cierra-caracoles-avance-crimen-organizado/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/08/quinta-parte-ahi-va-el-golpe-joven/

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Quarta Parte e Primo Avviso di Avvicinamento

Alcune Morti Necessarie

Novembre 2023

Alle persone che hanno sottoscritto la Dichiarazione per la Vita:

Comunichiamo quanto segue:

PRIMO. – Alcuni mesi fa, dopo una lunga e profonda analisi critica e autocritica, e dopo aver consultato tutte le comunità zapatiste, si è deciso di far scomparire i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e le Giunte di Buon Governo.

SECONDO. – Tutti i timbri, intestazioni, incarichi, rappresentanze e accordi recanti il nome di qualsiasi MAREZ o di qualsiasi Giunta di Buon Governo non sono più validi da questo momento in poi. Nessuna persona può presentarsi come membro, autorità o rappresentante di qualsiasi MAREZ o Giunta di Buon Governo. Gli accordi stipulati prima di questa data con Organizzazioni Non Governative, organizzazioni sociali, collettivi, gruppi ed organismi di solidarietà in Messico e nel mondo si mantengono fino alla loro scadenza, ma non si potranno stipulare nuovi accordi con questi organismi di autonomia per la emplice ragione che non esistono più.

TERZO. – I Caracol restano, ma rimarranno chiusi verso l’esterno fino a nuova comunicazione.

QUARTO. – Discuteremo poco a poco le ragioni e il processo attraverso il quale è stata presa questa decisione negli scritti seguenti. Posso solo dirvi che questa valutazione, nella sua fase finale, è iniziata circa 3 anni fa. Vi spiegheremo anche com’è e come si sta sviluppando la nuova struttura dell’autonomia zapatista.

Tutto questo e molte altre cose saranno rese note al momento opportuno.

QUINTO. – Vi informiamo che organizzeremo una celebrazione per il 30° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. Questo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024. Tutte le persone che hanno firmato la “Dichiarazione per la Vita” sono invitate.

Tuttavia, mentre vi invitiamo, è nostro dovere scoraggiarvi Contrariamente a quanto riporta e disinforma la stampa ufficiale autoproclamatasi cool-progre-buena-ondita, le principali città dello stato messicano sud-orientale del Chiapas sono nel caos più completo. Le presidenze comunali sono occupate da quelli che noi definiamo “sicari legali” o “Criminalità Disorganizzata”. Ci sono blocchi stradali, aggressioni, sequestri, estorsioni, reclutamento forzato, sparatorie. Questo è l’effetto del patrocinio del governo statale e della disputa in corso per le poltrone. Non sono proposte politiche quelle che si affrontano, ma società criminali.

Quindi ovviamente vi diciamo che, a differenza degli altri anni, non è sicuro.

San Cristóbal de las Casas, Comitán, Las Margaritas e Palenque, per citare alcuni capoluoghi, sono nelle mani di uno dei cartelli della criminalità disorganizzata in conflitto con un altro. Lo confermano i cosiddetti settori alberghiero, turistico, della ristorazione e dei servizi. Chi lavora in questi posti lo sa e non lo denuncia perché minacciato e, inoltre, sa che ogni richiesta è inutile, perché a commettere i reati sono le autorità statali e comunali che non ne hanno abbastanza della rapina che stanno commettendo.

Nelle comunità rurali il problema è ancora più serio. Lo gridano coloro che vivono in tutte le regioni del Chiapas, in particolare in tutta la fascia di confine con il Guatemala.

Ciò che si legge, si sente e si vede nella maggior parte dei media locali e nazionali è solo una pessima e spudorata eco delle reti sociali del governo statale. La verità è che il problema sono le autorità ufficiali. Sì, come nel resto del Paese.

Le forze militari e di polizia federali, statali e locali non sono in Chiapas per proteggere la popolazione civile. Il loro unico obiettivo è fermare la migrazione. Questo è l’ordine ricevuto dal governo nordamericano. Com’è loro abitudine, hanno trasformato l’immigrazione in un business. Il traffico e la tratta di esseri umani sono affari delle autorità che, attraverso l’estorsione, il rapimento e la compravendita di migranti, si arricchiscono spudoratamente.

Quindi non vi consigliamo di venire. A meno che, ovviamente, non siate molto ben organizzati per farlo.

Quindi, anche se non vi aspettiamo, ti invitiamo. Le date provvisorie delle commemorazioni sono tra il 23 dicembre 2023 e il 7 gennaio 2024, con la celebrazione centrale il 30-31 dicembre e l’1-2 gennaio. Vi diremo in seguito il luogo. Quindi vogliamo che veniate, anche se non lo consigliamo.

Anche se non verrete, non preoccupatevi. Invieremo comunque foto e video.

Beh, se esisterà ancora un mondo per quelle date.

Vedremo.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/05/cuarta-parte-y-primera-alerta-de-aproximacion-varias-muertes-necesarias/

Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.com/

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Parte Terza: Dení

Il defunto SupMarcos diceva che non si possono comprendere le motivazioni della sollevazione senza conoscere prima la storia di Paticha, la bambina poco più piccola di 5 anni che gli morì tra le braccia per l’assenza di una pillola per la febbre. Adesso io vi dico che non potrete comprendere quello che successivamente vi spiegherà nel dettaglio il Subcomandante Insurgente Moisés se non conoscete la storia di Dení.

Dení è una bambina indigena, di radici e sangue Maya. È figlia di una insurgenta e di un insurgente indigeni zapatisti. Quando nacque, sarà stato 5 anni fa, la chiamarono con quel nome per omaggiare la memoria di una compagna che morì molti anni fa.

Denì fu conosciuta dal defunto SupGaleano quando era un Patz. Ovvero un tamalito, per quanto era in carne. Di fatti, così la chiamava il Sup: “Patz”. Adesso è magrolina, perché se ne va da una parte all’altra. Denì, quando le insurgente si riuniscono per svolgere un lavoro, si mette, secondo lei, a dargli lezione di salute autonoma. E disegna scarabocchi che, come ha poi spiegato, rappresentano delle promotrici di salute. Lei sostiene che sono meglio le promotrici, perché poi gli uomini non capiscono niente di “como mujeres que somos” [Come siamo come donne]. Sostiene fieramente che, per essere promotrice di salute, devi imparare a saper fare una iniezione che però non ti faccia male. “Perché che succede se hai bisogno di una puntura e non la vuoi perché ti fa male?”

Ora ci troviamo in una riunione delle cape e dei capi zapatisti. Il padre e la madre di Dení non sono presenti, ma la bambina è giunta seguendo Tzotz e la Pelusa, che sono sdraiati ai piedi del Subcomandante Insurgente Moisés e, a quanto pare, stanno attenti a quello che si sta dicendo.

Qualcuno sta spiegando:

“È qui presente Dení e lei è, diciamo, la prima generazione. Da qui a 20 anni, Dení avrà una creatura donna e la chiamerà “Denilita”, e lei sarebbe la seconda generazione. Denilita, 20 anni dopo, concepirà una bambina che si chiamerà “Denilitilla”, ed è la terza generazione. Denilitilla, arrivata ai suoi 20 anni, procreerà una bambina che si chiamerà “Denilititilla”, e si tratterebbe della quarta generazione. Denilititilla, al compiere i 20, partorirà una bambina che chiamerà “Denilí”, la quinta generazione. Denilí ai 20 anni d’età, avrà una bambina che chiamerà “Dení Etcétera”, che arriva ad essere la sesta generazione. Dení Etcétera, 20 anni dopo, ovvero tra 120 anni, avrà una bambina che non possiamo arrivare a sapere che nome ha, perché la sua nascita è già lontana sul calendario, ma lei è la settima generazione”.

Ora interviene il Subcomandante Insurgente Moisés: “Quindi noi dobbiamo lottare affinché questa bambina, che nascerà tra 120 anni, sia libera e sia ciò che voglia essere. Quindi non stiamo lottando perché questa bambina sia zapatista o aderente ai partiti o qualsiasi altra cosa, ma perché possa scegliere, quando avrà giudizio, quale sia il suo cammino. E non solo che possa decidere liberamente, ma anche e, soprattutto, che si assuma la responsabilità di questa scelta. Sarebbe a dire che, tutte le decisioni, quello che facciamo e quello che smettiamo di fare, hanno delle conseguenze. Quindi si tratta della possibilità che questa bambina cresca con tutti gli elementi per prendere una decisione e per assumersi le responsabilità delle sue conseguenze.

Ovvero che non dia la colpa al sistema, ai cattivi governi, al suo papà o alla sua mamma, ai sui familiari, agli uomini, alla sua metà (sia uomo, donna, o quello che sia), alla scuola, alle sue amicizie. Perché questa è la libertà: poter fare qualcosa senza pressioni o obbligo, ma assumendo ciò che si è fatto. Ovvero conoscendo le conseguenze già da prima”.

Il SubMoy si gira a guardare l’adesso defunto SupGaleano, come a dire “tocca a te”. Il defunto che ancora non è defunto (ma che già sa che presto lo sarà), sta prevedendo che un giorno bisognerà raccontare questo agli estranei e inizia:

“Questa Dení alla N-esima Potenza avrà smesso di parlare male dei maledetti uomini? Si che lo farà, come sempre. Ma le sue motivazioni non saranno legate al fatto che si burlarono di lei, la disprezzarono, la violentarono, la molestarono, la stuprarono, la picchiarono, la fecero scomparire, la assassinarono, la squartarono. No, sarà per cose e questioni normali, come il maledetto uomo che fa i peti a letto e appesta la coperta; o che non ci prende con la tazza del bagno; o che rutta come un becero; o che si compra la maglietta della sua squadra preferita, si mette i pantaloncini, calzettoni e scarpe speciali da calcio, per poi sedersi a vedere le partite mentre si imbottisce di popcorn pieni di salsa piccante; o che mette molta cura nella scelta dell’ “outfit” che indosserà per decenni: la sua maglietta preferita, i suoi pantaloncini preferiti, e le sue ciabatte predilette; o perché non lascia mai il telecomando della televisione; o perché non le dice che la ama, anche se lei sa che la ama, anche se un piccolo promemoria ogni tanto non è mai di troppo.”

Tra chi sta ascoltando, le donne, muovono la testa in modo affermativo come a dire “come al solito”; e gli uomini sorridono nervosamente.

Il SubMoy sa che si tratta dell’esordio del SupGaleano e che adesso passerà a quella che si chiama “solidarietà di genere”, e a parlare male delle donne, così che lo ferma giusto quando l’adesso defunto sta dicendo: “Ma sono le donne che…”

“Bene”, dice il SubMoy, “adesso stiamo parlando di una bambina che nascerà tra 120 anni e ci concentreremo su questo”. Colui che sa che soccomberà prende posto, lamentandosi di non aver potuto esporre la sua brillante tesi contro le donne. Il SubMoy continua:

“Quindi dobbiamo pensare a questa bambina. Quindi guardare lontano. E, guardando ciò che sembra molto lontano, bisogna capire che dobbiamo fare affinché questa bambina sia libera.

E questo è importante perché la tormenta è già su di noi. La stessa che avvertivamo quasi 10 anni fa. La prima cosa che vediamo è che la distruzione arriva più velocemente. Quello che pensiamo che sarebbe successo in 10 anni, già è qui.

Voi qui, già lo avete spiegato. Ci avete raccontato quello che vedete nelle vostre zone Tzeltal, Tzotzil, Cho´ol, Tojolabal, Mame, Zoque, Quiché. Sapete già quello che sta succedendo alla madre terra perchè la lavorate e in lei vivete. Sapete che il tempo sta cambiando. “Il clima”, come dicono gli abitanti delle città. Che piove quando non deve, che non piove quando non deve. E così via. Sapete che i momenti della semina non possono essere decisi come facevano i nostri predecessori, perché il calendario è distorto, perché è cambiato.

Ma non solo. Vediamo anche che i comportamenti degli animali sono cambiati, appaiono in zone che non sono di loro abitudine e in stagioni in cui non dovrebbero. Qui e nelle geografie di popoli fratelli, aumentano quelli che chiamano “disastri naturali” che non sono altro che le conseguenze di ciò che fa, e smette di fare, il sistema dominante, ovvero il capitalismo. Ci sono piogge, come al solito, ma adesso sono più violente e in luoghi e stagioni che non sono quelle di prima. Ci sono siccità terribili. E adesso succede che in una stessa geografia – per esempio qui in Messico–, in alcune zone ci sono inondazioni e in altre siccità che le lasciano senza acqua. Ci sono forti venti che sembra come se il vento si scalmanasse e dicesse “ora basta” cercando di buttare giù tutto. Ci sono terremoti, vulcani, parassiti come mai prima. Come se la madre terra stesse dicendo non oltre questo punto, ora basta. Come se l’umanità fosse una malattia, un virus che bisogna espellere vomitando distruzione.

Ma, oltre al fatto che si vede che la madre terra è come in disaccordo, come se stesse protestando, c’è ancora di peggio: il mostro, l’Idra, il capitalismo, che sta rubando e distruggendo come un matto. Adesso vuole rubarsi ciò di cui prima non gli importava e continua a distruggere il poco che rimane. Il capitalismo adesso produce la miseria e chi fugge da questa: i migranti.

La Pandemia del COVID, che è ancora in corso, ha mostrato l’incapacità di un sistema intero a dare una spiegazione reale e a prendere le misure necessarie. Mentre morivano milioni, in pochi sono diventati più ricchi. Si avvicinano già altre pandemie e le scienze lasciano il posto alle pseudo scienza e alle ciarlatanerie convertite in progetti politici di governo.

Vediamo anche quello che chiamiamo il Crimine Disorganizzato, che sono gli stessi malgoverni, di tutti i partiti politici, che si nascondono e duellano per il denaro. Questo crimine Disorganizzato è il principale trafficante di droghe e di persone; quello che si appropria della maggior parte dei sostegni federali; quello che sequestra, assassina, fa scomparire; quello che fa affari con gli aiuti umanitari; quello che estorce, minaccia e chiede il pizzo con tasse che servono a un candidato o una candidata per dire che adesso sì che cambieranno le cose, che adesso sì che si comporteranno bene.

Vediamo popoli originari fratelli che, stanchi di disprezzo, prese in giro e menzogne, si armano per difendersi o attaccare i caxlanes [termine chiapaneco utilizzato per indicare i bianchi o la popolazione meticcia]. E gli abitanti delle città spaventandosi, essendo loro stessi che, con le loro maniere di merda, hanno alimentato questo odio che adesso patiscono e che oramai è fuori controllo. Come nella superba Jovel [San Cristobal de Las Casas, città del Chiapas, in lingua Tzotzil], raccolgono ciò che hanno seminato.

E vediamo con tristezza che combattono anche tra indigeni dello stesso sangue e lingua. Combattono tra di loro per ricevere miserabili aiuti dai malgoverni. O per rubarsi il poco che hanno o che arriva. Anziché difendere la terra, combattono per elemosina.

-*-

Di tutto questo stiamo avvisando gli abitanti delle città e i popoli originari fratelli da quasi 10 anni. Ci sarà chi ci ha dato ascolto, e ci sono molti che non ci hanno neanche preso da conto. Come se hanno visto, e vedono ancora, che tutto questo orrore è ancora molto lontano da loro, nel tempo e nella distanza. Come se vedono solamente quello che hanno di fronte. Non vedono più lontano. O vedono, ma non gli importa.

Come già sappiamo, in tutti questi ultimi anni, ci siamo preparati a questa oscurità. Sono 10 anni che ci stiamo preparando per questi giorni di pena e dolore, per tutti noi che siamo tutti i colori della terra. 10 anni guardando autocriticamente quello che facciamo e quello che non facciamo, quello che diciamo e quello che tacciamo, quello che pensiamo e quello che vediamo. Ci siamo preparati nonostante i tradimenti le calunnie, le menzogne, i paramilitari, il blocco delle informazioni, il disprezzo, i rancori e gli attacchi di chi ci rimprovera di non obbedirgli.

Lo abbiamo fatto in silenzio, senza fracasso, tranquilli e sereni perché guardiamo lontano come al solito, come ci hanno insegnato i nostri predecessori. E lì fuori ci gridano di guardare solamente qui, solamente un calendario e una geografia. È molto piccolo ciò a cui vorrebbero farci guardare. Ma come zapatisti che siamo, il nostro sguardo è della grandezza del cuore, e il nostro cammino non è di un giorno, di un anno o di un sessennio. Il nostro passo è lungo e lascia un’impronta, anche se adesso non si può vedere, o anche se ignorano o disprezzano il nostro cammino.

Lo sappiamo bene che non è stato facile. E adesso tutto è peggio, e dobbiamo guardare a quella bambina da qui a 120 anni. Ovvero dobbiamo lottare per qualcuno che non conosceremo. Né noi, né i suoi figli, né i figli dei suoi figli, e così via. E dobbiamo farlo perché è nostro dovere come zapatisti che siamo.

Stanno arrivando molte disgrazie, guerre inondazioni, siccità, malattie e nel mezzo del collasso dobbiamo guardare lontano. Se i migranti adesso sono migliaia, presto saranno decine di migliaia, poi centinaia di migliaia. Sono in arrivo combattimenti e morti tra fratelli, tra padri e figli, tra vicini, tra razze, tra religioni, tra nazionalità. Bruceranno i grandi edifici e nessuno saprà spiegare il perché, o chi, o per quale motivo. Anche se sembra che per ora no, però sì, si farà peggiore.

Ma, così come quando lavoriamo la terra, quando prima della semina, vediamo già la tortilla, i tamales, il pozol nelle nostre case, così dobbiamo guardare adesso questa bambina.

Se non guardiamo a questa bambina che è già con la sua mamma, ma da qui a 120 anni, non capiremo quello che stiamo facendo. Non lo potremo spiegare ai nostri stessi compagni. E men che meno lo capiranno i popoli, le organizzazioni e le persone sorelle di altre geografie.

Già possiamo sopravvivere alla tormenta, come comunità zapatiste che siamo. Ma adesso non si tratta solo di questo, ma di attraversare questa e altre tormente a venire, attraversare la notte e arrivare a una mattina, da qui a 120 anni, dove una bambina inizia ad imparare che essere libera è anche essere responsabile di questa libertà.

Per questo, guardando questa bambina là da lontano, faremo i cambi e le modifiche che abbiamo discusso e accordato comunemente negli ultimi anni, e che abbiamo già consultato con tutti i popoli zapatisti.

Se qualcuno pensa che riceveremo un premio, o una statua, o un posto in museo, o delle lettere d’orate nel libro della storia, o una paga, o un ringraziamento; allora è giunto il momento che vada a cercare altrove. Perché l’unica cosa che riceveremo, nell’ora della morte, sarà di poter dire “ho fatto la mia parte” e sapere che non è menzogna.

-*-

Il Subcomandante Insurgente Moisés rimase in silenzio, come se aspettasse che qualcuno uscisse. Nessuno lo fece. Continuarono a discutere, fornendo spunti, pianificando. Poi arrivò l’ora di mangiare e arrivarono a chiedergli quando si sarebbero fermati per riposare.

Il Subcomandante Insurgente Moisés rispose: “Adesso, da qui a 120 anni”.

-*-

Sarò sincero come al solito. Io, il capitano, posso sognare questo momento in cui una bambina nasce senza paura, che sia libera e che si assuma la responsabilità di ciò che fa e di ciò che non fa. Posso anche immaginarlo. Potrei anche scrivere un racconto o una storia su questo. Ma queste donne e uomini che ho davanti a me e a fianco, indigeni zapatisti tutti di origini maya, le mie cape e capi, non sognano, né immaginano questa bambina. Loro tutti e loro tutte la vedono, la guardano. E sanno quello che devono fare affinché questa bambina nasca, cammini, giochi, impari e cresca in un altro mondo…da qui a 120 anni.

Come quando guardano la montagna. Nel loro sguardo c’è qualcosa, come se guardassero più in la nel tempo e nello spazio. Guardano la tortilla, i tamales e il pozol a tavola. E sanno che non è per loro ma per una bambina che neanche è lì nelle intenzioni di chi saranno i suoi genitori, perché non sono nati. Ne loro, né i loro genitori, né i loro nonni, né i loro bisnonni, né i loro trisavoli, e avanti così per 7 generazioni. Sette generazioni che si iniziano a contare da questa Dení, la Dení Prima Generazione.

Sono fiducioso che ci riusciremo. Solamente ci metteremo un po’ di tempo, ma neanche troppo.

Giusto poco più di un secolo.

Dalle montagne del sudest messicano.

Capitano Insurgente Marcos.

Messico, novembre 2023

P.S. – Ogni bomba che cade a Gaza, cade anche nelle capitali e nelle principali città del mondo, solo ancora non se ne sono resi conto. Dalle macerie nascerà l’orrore della guerra di domani.

P.S. DIVERSE GUERRE PRIMA (la viglia, quasi 120 anni anni fà)

–“Non sarebbe meglio dichiarare la guerra con franchezza?”

Il professore rispose con semplicità: –Il nostro Governo vuole, senza dubbio, che siano gli altri a dichiararla. Il ruolo di aggredito e sempre quello più gradito e giustifica tutte le ulteriori risoluzioni, per quanto possano apparire estreme. L^ abbiamo gente che vive bene e non desidera la guerra. È conveniente fargli credere che sono i nemici che ce la impongono, affinché sentano la necessità di difendersi. Solo gli spiriti superiori arrivano alla convinzione che i grandi avanzamenti si realizzano unicamente con la spada, e che la guerra, come diceva il nostro grande Treitschke, è la forma di progresso più evoluta.” I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse (1916) di Vicente Blasco Ibáñez (Spagna 1867-1928).

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/02/tercera-parte-deni/

Traduzione – Collettivo Nodo Solidale

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STOP ALLA REPRESSIONE CONTRO LA COMUNITÀ INDIGENA OTOMÍ RESIDENTE A CITTÀ DEL MESSICO

NO ALLO SGOMBERO DELLA CASA DEI POPOLI “SAMIR FLORES”

Ai popoli del Messico e del mondo.

Alle organizzazioni e ai gruppi che difendono i diritti umani.

Ai media.

Di fronte ai recenti atti di repressione contro la Comunità Indigena Otomí residente a Città del Messico e al tentativo di sgombero della Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes”, dichiariamo quanto segue:

Il 16 ottobre di quest’anno, all’alba, più di 500 granatieri hanno circondato la Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes” con l’ordine di eseguire lo sgombero della Comunità Otomí. Questo tentativo di sgombero ha lasciato un totale di 10 compagni gravemente picchiati e feriti, tra cui adolescenti di 13 anni, anziani e compagni con disabilità.

La Comunità Otomí è riuscita a respingere l’aggressione e a far ritirare i granatieri, ma il risultato di questa repressione è il seguente: un uomo di 28 anni ha ricevuto forti colpi a tutto il corpo ed è stato ferito con uno scudo sulla fronte provocandogli una profonda lesione che ha richiesto la sutura; un adolescente di 17 anni è stato aggredito da un gruppo di 5 granatieri che lo hanno preso a calci e pugni provocandogli l’immobilità di una gamba; una ragazza di 13 anni è stata picchiata da 3 granatieri che le hanno preso a calci la testa facendola svenire; un’adolescente di 18 anni è stata spinta da un elemento dotato di scudo facendola cadere, è stata tirata per i capelli da un elemento maschile, sono arrivati altri 8 agenti che l’hanno colpita alle costole e alla schiena, è stata presa a calci ripetutamente, non volevano lasciarla andare, l’hanno insultata, l’hanno sollevata per i capelli e e l’hanno colpita con uno scudo sulla schiena provocandole ferite a schiena, costole, testa, braccia e mani; 2 donne anziane sono state picchiate e gettate a terra da più elementi e una persona che stava documentando l’aggressione è stata aggredita da un gruppo di almeno 8 elementi, che l’hanno picchiata slogandole un dito e rompendo il teleobiettivo della macchina fotografica, hanno inoltre cercato di sottrarre l’attrezzatura fotografica e il cellulare con cui stava documentando gli eventi.

Peggio ancora, come un vero e proprio atto di provocazione, quasi un’ora dopo la repressione un gruppo di oltre 6 motociclisti si è avvicinato alla Casa dei Popoli per attaccare e provocare. Un’ora dopo, i motociclisti sono tornati e hanno sparato tre colpi contro i membri della comunità Otomi mettendo a rischio la vita non solo dei membri della comunità, ma anche di coloro che si trovavano nella zona.

Questi atti di repressione, discriminazione e razzismo contro la comunità indigena Otomí sono avvenuti tre giorni dopo aver celebrato il terzo anniversario dell’occupazione degli uffici dell’INPI, oggi Casa dei Popoli e delle Comunità Indigene “Samir Flores Soberanes”.

È deplorevole che a più di tre anni dall’occupazione dell’INPI, la domanda di “abitazioni dignitose e decorose” continui ad essere ignorata come 3 anni fa, ma anche come 30 anni fa. Non importa il colore del governo al potere, l’indifferenza e il disprezzo rimangono gli stessi.

A quasi venti giorni dall’inizio del blocco imposto dalla Comunità Indigena Otomí sull’Avenida Messico-Coyoacán e dopo la sanguinosa repressione del 16 ottobre scorso, la risposta del governo di Città del Messico è un silenzio minaccioso che ci porta a pensare all’altissima probabilità che da un momento all’altro il governo tenti nuovamente di sgomberare e reprimere la comunità Otomí. Di conseguenza, per quanto sopra, chiediamo la cessazione della repressione e di ogni tentativo di sgomberare i nostri fratelli membri della Comunità Otomí.

STOP ALLA GUERRA CONTRO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO, CONTRO I POPOLI ZAPATISTI E CONTRO I POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO!

STOP ALLO SGOMBERO DELLA CASA DEI POPOLI “SAMIR FLORES SOBERANES”!

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI!

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI!

DISTINTAMENTE

MESSICO, OTTOBRE 2023

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/30/alto-a-la-represion-en-contra-de-la-comunidad-indigena-otomi-residente-en-la-ciudad-de-mexico/

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Seconda parte: i morti starnutiscono?

Ottobre 2023

Il SupGaleano è morto. È morto come è vissuto: infelice.

Ma sì, prima di morire, si è preoccupato di restituire il nome a colui che è carne e ossa ereditati dal maestro Galeano. Ha raccomandato di mantenerlo vivo, ovvero, di lottare. È così che Galeano continuerà a percorrere queste montagne.

Per il resto, è stata una cosa semplice. Ha iniziato a balbettare qualcosa come “lo so che sono finito, finito, finito”, e, subito prima di spirare ha detto, o meglio ha chiesto: “I morti starnutiscono?”, e basta. Queste sono state le sue ultime parole. Nessuna citazione da lasciare alla storia, né da scolpire su una lapide, né degna di un aneddoto da raccontare davanti al fuoco. Solamente questa domanda assurda, anacronistica, estemporanea: “I morti starnutiscono?”.

Poi è rimasto immobile, sospesa la stanca respirazione, gli occhi chiusi, le labbra finalmente ammutolite, le mani contratte.

Stavamo andandocene quando, uscendo dalla baracca, ormai sulla soglia della porta, abbiamo udito uno starnuto. Il SubMoy si è voltato a guardarmi e io ho guardato lui, pronunciando un “salute” appena accennato. Nessuno dei due aveva starnutito. Ci siamo girati dove si trovava il corpo del defunto e, nulla. Il SubMoy ha solo detto “buona domanda”. Io non ho proferito parola, però ho pensato “sicuramente la luna sarà finita nell’orbita di Callao” [Citazione della canzone in difesa della follia “Balada para un loco” di Adriana Verela – n.d.t.].

Vero, ci siamo risparmiati la sepoltura. Ma ci siamo pure persi caffè e tamales.

-*-

Lo so che a nessuno interessa l’ennesima morte, e men che meno quella del defunto SupGaleano. In verità, vi racconto tutto questo perché è lui che ha lasciato quella poesia di Rubén Darío con cui inizia questa serie di testi. Tralasciando l’evidente ammiccamento al Nicaragua che resiste e persiste – che si potrebbe anche vedere come riferimento all’attuale guerra dello Stato di Israele contro il popolo palestinese, anche se, al momento della sua morte, non era ancora ripreso il terrore che sconvolge il mondo –, ha lasciato questa poesia come riferimento. O meglio come risposta a qualcuno che ha chiesto come spiegare quello che sta succedendo in Chiapas, in Messico e nel mondo.

E, naturalmente, come discreto omaggio al maestro Galeano – dal quale aveva ereditato il nome –, ha lasciato quello che ha definito un “controllo di lettura”:

Chi ha cominciato? Chi è il colpevole? Chi innocente? Chi è il buono e chi è il cattivo? In che posizione si trova Francesco d’Assisi? Perde lui, il lupo, i pastori o tutti? Perché l’Assisi concepisce che si faccia un accordo basandosi solo sul fatto che il lupo rinunci a essere ciò che è?

Sebbene ciò sia avvenuto mesi fa, il testo ha scatenato accuse e discussioni che continuano ancora oggi. Quindi ne descrivo una di queste:

È una specie di riunione o di assemblea, o qualcosa come una tavola rotonda. C’è il meglio del meglio: dotti specialisti tuttologi, militanti e internazionalisti di qualsiasi causa, meno quella della loro geografia, spontaneisti con dottorati in social network (la maggioranza), e chi, vedendo il parapiglia, viene a vedere se si regalano borse, cappellini o magliette con il nome di qualche partito. Parecchi si sono fatti avanti per capire di cosa si trattava.

– “Non sei altro che un agente del sionismo imperialista ed espansionista”, ha gridato uno.

– “E tu sei solo un propagandista del terrorismo arabo musulmano fondamentalista!” – rispondeva un altro furioso.

C’erano già stati diversi scontri, ma ancora non si era andati oltre qualche spintone del tipo: “ci vediamo fuori”.

Si è arrivati a questo punto perché si sono messi ad analizzare la poesia di Rubén Darío “Los Motivos del Lobo”.

Non tutto era stato uno scambio di aggettivi, frecciatine e smorfie. Era iniziato tutto come al solito da quelle parti: buone maniere, frasi incisive, “interventi brevi” – spesso della durata di mezz’ora o più – e una profusione di citazioni e note a piè di pagina.

Prettamente al maschile, ovviamente, perché il dibattito è stato organizzato dal cosiddetto “Toby Hipertextual Club”.

“Il Lupo è il buono”, ha detto qualcuno, “perché ha ucciso solo per fame, per necessità”.

“No”, sostiene un altro, “è lui il cattivo perché ha ucciso le pecore che erano il sostentamento dei pastori”. E lui stesso ha riconosciuto che “a volte ha mangiato agnello e pastore”.

Ancora uno: “I cattivi sono gli abitanti, perché non hanno rispettato l’accordo”.

E un altro: “la colpa è dell’Assisi, che ottiene l’accordo chiedendo al lupo di smettere di essere lupo, fatto discutibile, e poi non resta a mantenere il patto”.

E un altro ancora: “Ma l’Assisi sottolinea che l’essere umano è malvagio di natura”.

Si controbattono l’un l’altro. Ma si capisce che se in questo momento si facesse un sondaggio, il lupo vincerebbe con un abbondante vantaggio a due cifre sul villaggio di pastori. Ma un’abile manovra sui social network ha ottenuto che l’hashtag “lupoassassino” fosse TT molto più di #morteaipastori. Quindi il trionfo degli influencer pro-pastore su quelli pro-lupo è stata netta, anche se solo sui social network.

Qualcuno ha argomentato a favore di due Stati sullo stesso territorio: lo Stato Lupo e lo Stato Pastore.

E qualcun altro su uno Stato Plurinazionale, con lupi e pastori che convivono sotto lo stesso oppressore, scusate volevo dire lo stesso Stato. Un altro ha risposto che questo era impossibile visti i precedenti da ambo le parti.

Un signore in giacca e cravatta si alza e chiede la parola: “Se Rubén (così ha detto, omettendo Darío), è partito dalla leggenda di Gubbio, allora possiamo fare lo stesso. Diamo continuazione al poema:

I pastori, avvalendosi del loro legittimo diritto di difendersi, attaccano il lupo. Prima distruggono la sua tana con i bombardamenti, poi entrano con i carri armati e la fanteria. Mi sembra, onorevoli colleghi, che la fine sia scontata: la violenza terroristica e animale del lupo viene annientata e i pastori possono continuare la loro vita bucolica, tosando le pecore per una potente impresa multinazionale che produce abbigliamento per un’altra impresa multinazionale altrettanto potente che, a sua volta, è debitrice di un’istituzione finanziaria internazionale ancora più potente; questo porterà i pastori a diventare efficienti lavoratori della propria terra ovviamente con tutti i benefici di legge sul lavoro – ed eleverà questo villaggio ai livelli del primo mondo, con autostrade moderne, edifici alti e persino un treno turistico dove i visitatori di tutto il mondo potranno apprezzare le rovine di quelli che un tempo erano prati, boschi e sorgenti. L’annientamento del lupo porterà pace e prosperità nella regione. Certo, alcuni animali moriranno, non importa il numero o la specie, ma sono semplicemente danni collaterali perfettamente trascurabili. Dopotutto, non si può chiedere alle bombe di distinguere tra un lupo e una pecora, né di limitare la loro onda d’urto per non danneggiare uccelli e alberi. La pace sarà conquistata e il lupo non mancherà a nessuno”.

Qualcuno si alza e dice: “Ma il lupo ha il sostegno internazionale e ha abitato quel luogo già da prima. Il sistema ha abbattuto gli alberi per farne pascoli e questo ha alterato l’equilibrio ecologico, riducendo il numero e le specie di animali che il lupo mangiava per vivere. E bisogna aspettarsi che i discendenti del lupo si prendano la giusta vendetta”.

“Ah, quindi il lupo ha ucciso anche altri esseri. È proprio come i pastori”, replica qualcuno.

Così hanno continuato, adducendo argomenti altrettanto buoni di quelli qui indicati, pieni di ingegno, colmi di erudizione e riferimenti bibliografici.

Ma la moderazione è durata poco: si è passati dal lupo e pastori alla guerra Netanyahu–Hamas e la discussione è salita di tono fino ad arrivare a ciò che fa capo a questo aneddoto, per gentile concessione post mortem dell’ormai defunto SupGaleano.

Ma in quel momento, dal fondo della sala, si è alzata una piccola mano per chiedere la parola. Il moderatore non riusciva a vedere di chi fosse la mano, così ha concesso la parola “alla persona che ha alzato la mano là in fondo”.

Tutti si sono girati a guardare e stavano quasi per lanciare un urlo di scandalo e riprovazione. Era una bambina che teneva in braccio un orso di peluche grande quasi quanto lei, che indossava una camicetta bianca ricamata e pantaloni con un gattino sulla gamba destra. Comunque, il classico “outfit” per una festa di compleanno o qualcosa del genere.

La sorpresa era tale che sono tutti rimasti in silenzio con gli sguardi fissi sulla bambina.

Lei si è messa in piedi sulla sedia pensando che così l’avrebbero sentita meglio e ha chiesto:

“E i bambini?”

La sorpresa si è trasformata in un mormorio di condanna: quali bambini? Di cosa parla questa bambina? Chi diavolo ha fatto entrare una donna in questo sacro recinto? E peggio ancora, è una donna bambina!”

La bambina è scesa dalla sedia e, sempre portando con sé il suo orsacchiotto con evidenti segni di obesità – l’orso ovviamente -, si è diretta verso la porta d’uscita dicendo:

“I bambini. Ovvero, i cuccioli del lupo e i cuccioli dei pastori. I loro piccini. Chi ci pensa ai bambini? Con chi parlerò? E dove andremo a giocare?”

Dalle montagne del Sudest Messicano

Capitán Insurgente Marcos

Messico, ottobre 2023

P.S.- Libertà incondizionata per Manuel Gómez Vázquez (ostaggio dal 2020 del governo statale del Chiapas) e José Díaz Gómez (ostaggio dall’anno scorso), indigeni basi di appoggio zapatiste imprigionati per questo, per essere zapatisti. E poi non chiedetevi chi ha seminato ciò che raccogliete.

P.S.- Uragano OTIS: Centro di raccolta per i popoli originari dello stato di Guerrero: nella sede della Casa de los Pueblos “Samir Flores Soberanes”, in Av. México-Coyoacán 343, colonia Xoco, Alcaldía Benito Juárez, Ciudad de México, C.P. 03330. Versamenti e bonifici bancari a sostegno di questi popoli e comunità su Conto Corrente Numero 0113643034, CLABE 012540001136430347, codice SWIFT BCMRMXMMPYM, della banca BBVA México, succursale 1769. A nome di: “Ciencia Social al Servicio de los Pueblos Originarios”. Telefono: 5526907936.

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/29/segunda-parte-los-muertos-estornudan/

Traduzione: “Maribel” – Bergamo

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A SOSTEGNO DEI NOSTRI FRATELLI ORIGINARI DEL GUERRERO

Ottobre 2023

AI POPOLI ED AI GOVERNI DI MESSICO E DEL MONDO:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE:

Con grande sgomento abbiamo visto come l’uragano Otis si sia abbattuto con insolita furia sulle coste dello stato di Guerrero provocando la morte di decine di esseri umani e la distruzione di villaggi e città. I nostri fratelli dell’Organizzazione Contadina della Sierra del Sur, del municipio di Coyuca, stato di Guerrero, e membri del Congresso Nazionale Indigeno, ci hanno informato dei danni che questo uragano ha causato alle comunità indigene e rurali ed in particolare nei comuni della Costa Grande di questo stato.

Questo uragano non è un fenomeno atipico, come sottolineano i media e i malgoverni, è il prodotto diretto della distruzione causata dal capitalismo, dei danni sempre maggiori che le grandi aziende e le politiche governative provocano alla nostra Madre Terra. L’atipico non è l’uragano, l’atipico è questo sistema violento che si sostiene sulla base di guerre, pandemie e del crudele sfruttamento ed espropriazione di milioni e milioni di esseri umani e della natura.

Di fronte ai gravi eventi verificatisi in Guerrero, osserviamo come il governo della cosiddetta Quarta Trasformazione concentra i suoi aiuti ai grandi centri alberghieri e commercianti del porto di Acapulco, dimenticando le migliaia di famiglie povere, principalmente contadine, che sono state colpite da Otis.

Sappiamo che, come sono soliti fare i malgoverni, non faranno altro che prendersi gioco delle nostre sofferenze, scattarsi qualche foto sulle macerie e trarre profitto dal dolore delle persone in disgrazia, per questo invitiamo le persone di buon cuore uomini e donne, i gruppi della Sexta Nazionale e Internazionale e il popolo del Messico e del mondo a dare solidarietà e donare cibo e medicinali non deperibili a sostegno delle popolazioni indigene colpite dello stato di Guerrero, presso la Casa dei Popoli “Samir Flores Soberanes”, in Av. México-Coyoacán 343 colonia Xoco, Alcaldía Benito Juárez, Città del Messico, CP03330, e a donare aiuti economici con bonifico sul conto corrente bancario Numero 0113643034, CLABE 012540001136430347, codice SWIFT BCMRMXMMPYM, banca BBVA México, intestato a: Ciencia Social al Servicio de los Pueblos Originarios.

MESSICO, 27 OTTOBRE 2023

DISTINTAMENTE

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/10/27/en-apoyo-a-nuestros-hermanos-originarios-en-guerrero/

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Prima parte:

LE RAGIONI DEL LUPO.
Rubén Darío.
Nicaragua.

L’uomo che ha il cuore di fiordaliso
l’animo di cherubino, la lingua celestiale
il piccolo e dolce Francesco d’Assisi;
si trova con un rude e potente animale,
la bestia temeraria, ingorda di sangue
le fauci cattive, gli occhi malvagi:
il lupo di Gubbio, il terribile lupo!
rabbioso, ha devastato i dintorni;
crudele ha sbranato tutte le greggi;
ha divorato agnelli, ha divorato pastori,
e sono innumerevoli i suoi morti e i suoi danni.

I forti cacciatori armati di fucili
sono stati fatti a pezzi. Le dure zanne
hanno preso i cani più feroci,
così come capre e agnelli.

Francesco uscì:
cercò il lupo
nella sua tana.
Vicino alla grotta trovò l’enorme bestia
che, vedendolo, si scagliò ferocemente contro di lui.
verso di lui. Francesco, con la sua voce dolce
alzando la mano, al lupo furioso,
disse: «Pace, fratello lupo!
L’animale guardò l’uomo con il ruvido saio;
rinunciò alla sua aria scontrosa,
chiuse le fauci aperte e aggressive
e disse: «Va bene, frate Francesco!”.
“Perché», esclamò il santo, «è legge che tu viva
nell’orrore e nella morte?
Il sangue che versa
il tuo muso diabolico, il lutto e l’orrore
che diffondi, il pianto
dei contadini, l’urlo, il dolore
di tante creature di Nostro Signore
non devono frenare la tua furia infernale?
Venite dall’inferno?
Siete stati infusi dell’eterno rancore

di Luzbel o Belial?”
E il grande lupo, umile: “L’inverno è duro!
e la fame è orribile! Nella foresta gelata
non ho trovato nulla da mangiare; e ho cercato il bestiame,
e a volte ho mangiato il bestiame e il pastore.
Il sangue? Ho visto più di un cacciatore
sul suo cavallo, che conduceva l’astore
al pugno; o correre dietro al cinghiale,
l’orso o il cervo; e ne ho visto più di uno
macchiato di sangue, ferire, torturare,
dalle corna rauche al clamore soffocato,
gli animali di Nostro Signore.
E non era per la fame, che andavano a cacciare.”

Francesco risponde: “Nell’uomo c’è un lievito cattivo.
Quando nasce viene con il peccato. È triste.
Ma l’anima semplice della bestia è pura.
Avrete
da oggi in poi cosa mangiare.
Lascerete in pace
le mandrie e le persone in questo paese.
Che Dio migliori la vostra selvatichezza!”
“Va bene, frate Francesco d’Assisi.”

Davanti al Signore, che lega e scioglie tutte le cose,
nella fede della promessa, posa la tua zampa su di me.

Il lupo tese la sua zampa al frate
d’Assisi, che a sua volta tese la mano.
Andarono al villaggio. La gente vide
e ciò che vedeva stentava a credere.
Il lupo feroce seguiva il religioso,
e, a testa bassa, lo seguiva tranquillamente…
come un cane domestico, o come un agnello.

Francesco chiamò il popolo in piazza
e lì predicò.
E disse: «Ecco una caccia gentile.
Fratello Lupo viene con me;
mi ha giurato di non essere più vostro nemico,
e di non ripetere il suo sanguinoso attacco.
Voi, in cambio, darete cibo
alla povera bestia di Dio.” “Così sia!”

rispose l’intero villaggio.
E poi, in segno di
di contentezza,
il buon animale ha mosso testa e coda,
e si avviò con Francesco d’Assisi verso il convento.

Per qualche tempo il lupo rimase tranquillo
nel santo asilo.
Le sue orecchie rozze ascoltavano i salmi
e i suoi occhi chiari si inumidirono.
Imparò mille grazie e giocò a mille giochi
quando andava in cucina con i laici.
E quando Francesco recitava la sua preghiera,
il lupo leccava i suoi poveri sandali.
Usciva per la strada,
attraversava la boscaglia e scendeva a valle,
entrava nelle case e gli veniva dato qualcosa
da mangiare. Lo guardavano come un levriero addomesticato.
Un giorno Francesco era assente. E il lupo
gentile, il lupo buono e gentile, il lupo gusto,
scomparve, tornò sulla montagna,
e ricominciò il suo ululato e la sua furia.
Ancora una volta si sentirono paura e allarme,
tra i vicini e i pastori;
La paura riempì l’ambiente circostante,
e il coraggio e le armi non servirono a nulla,
perché la bestia feroce
non dava tregua alla sua furia,
come se avesse
fuochi di Moloch e di Satana.

Quando il santo divino tornò al villaggio,
tutti lo cercarono con lamentele e pianti,
e con mille litigi testimoniavano
di ciò che avevano sofferto e perso così tanto
per quell’infame lupo del diavolo.

Francesco d’Assisi si fece severo.
Andò sulla montagna
per cercare il falso lupo macellaio.
E presso la sua grotta trovò il parassita.

Nel nome del Padre del sacro universo,
evocami», disse, «o lupo malvagio!
Rispondimi: perché sei tornato al male?
Rispondimi. Ti ascolto»
.
L’animale parlò, come se fosse in una lotta spietata,
la bocca schiumante e l’occhio fatale:
Fratello Francesco, non avvicinarti troppo….
Ero tranquillo nel convento;
uscivo in paese,
e se mi davano qualcosa ero felice
e mangiavo docilmente.
Ma ho cominciato a vedere che in tutte le case
c’era invidia, rabbia e ira,
e in ogni volto ardeva la brace
dell’odio, della lussuria, di infamia e di menzogna.
I fratelli facevano guerra ai fratelli,
i deboli perdevano, i malvagi vincevano,
la femmina e il maschio erano come il cane e la cagna,
e un bel giorno mi picchiarono tutti.
Mi videro umile, leccavo le mani
e i piedi. Seguivo le tue sacre leggi:
tutte le creature erano i miei fratelli,
fratelli gli uomini, fratelli i buoi,
sorelle le stelle e fratelli i vermi.
E così mi picchiarono e mi buttarono fuori
E le loro risa erano come acqua bollente,
e nelle mie viscere la bestia selvaggia si rianimò,
e mi sentii improvvisamente un lupo cattivo;
ma sempre meglio di quella gente cattiva.
E ricominciai a combattere qui,
per difendermi e per nutrirmi.
Come fa l’orso, come fa il cinghiale,
che devono uccidere per vivere.

Lasciatemi nella boscaglia, lasciatemi sul crinale,
lasciatemi esistere nella mia libertà,
vai al tuo convento, frate Francesco,
segui il tuo cammino e la tua santità.

Il santo di Assisi non gli disse nulla.
Lo guardò con sguardo profondo,
e cominciò a piangere senza conforto,
e parlò al Padre Eterno con il suo cuore.
Il vento del bosco portò la sua preghiera,
che era: Padre nostro, che sei nei cieli…

Dicembre del 1913

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Di semine e raccolti.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO.

Ottobre 2023

Quasi quindici anni fa, nelle nostre parole, abbiamo intravisto un incubo. Era in un seminario ed era attraverso la voce del defunto SupMarcos che parlavamo. Diceva:

Di semine e raccolti
(Gennaio 2009)

Forse quello che sto per dire è irrilevante per il tema centrale di questa tavola rotonda, o forse no. Due giorni fa, proprio nel giorno in cui parlavamo di violenza, l’ineffabile Condoleezza Rice, funzionario del governo statunitense, dichiarava che quanto stava accadendo a Gaza era colpa dei palestinesi, a causa della loro natura violenta.

I fiumi sotterranei che attraversano il mondo possono cambiare geografia, ma intonano lo stesso canto.

E quella che sentiamo ora è una canzone di guerra e di dolore. Non lontano da qui, in un luogo chiamato Gaza, in Palestina, nel Medio Oriente, accanto a noi, un esercito pesantemente armato e addestrato, quello di Israele, continua la sua avanzata di morte e distruzione.

I passi compiuti sono, finora, quelli di una classica guerra militare di conquista: prima un massiccio e intenso bombardamento per distruggere i punti «nevralgici» militari (così li chiamano i manuali militari) e per «ammorbidire» le fortificazioni della resistenza; poi il ferreo controllo dell’informazione: tutto ciò che si sente e si vede «nel mondo esterno», cioè fuori dal teatro delle operazioni, deve essere selezionato con criteri militari; ora un intenso fuoco di artiglieria sulla fanteria nemica per proteggere l’avanzata delle truppe verso nuove posizioni; poi sarà l’accerchiamento e l’assedio per indebolire la guarnigione nemica; quindi l’assalto che conquista la posizione annientando il nemico, poi la «pulizia» dei probabili «nidi di resistenza».

Il manuale militare della guerra moderna, con alcune variazioni e aggiunte, viene seguito passo dopo passo dalle forze militari di invasione.

Noi non ne sappiamo molto e, a ben vedere, ci sono specialisti del cosiddetto «conflitto mediorientale», ma da questo angolo (del mondo n.d.t.) abbiamo qualcosa da dire:

Secondo le foto delle agenzie di stampa, i punti «nevralgici» distrutti dall’aviazione governativa israeliana sono case, capanne, edifici civili. Non abbiamo visto bunker, caserme o aeroporti militari, o batterie di cannoni, tra ciò che è stato distrutto. Quindi, scusate la nostra ignoranza, o pensiamo che gli artiglieri abbiano una pessima mira o la verità è che non ci sono punti militari «nevralgici» a Gaza.

Non abbiamo avuto l’onore di conoscere la Palestina, ma presumiamo che queste case, capanne ed edifici fossero abitati da persone, uomini, donne, bambini e anziani, non da soldati. Non abbiamo nemmeno visto fortificazioni, ma solo macerie.

Abbiamo assistito, invece, al tentativo, finora inutile, di oscurare i media, all’esitazione dei vari governi del mondo nel prendere una posizione rispetto all’invasione, e alla figura dell’ONU, da tempo inutile, capace solo di emettere tiepidi comunicati stampa.

Ma aspettate.  Ci è venuto in mente che forse per il governo israeliano questi uomini, donne, bambini e anziani sono soldati nemici e, come tali, le capanne, le case e gli edifici in cui vivono sono caserme da distruggere.

Quindi sicuramente il fuoco che è caduto su Gaza questa mattina presto era per proteggere  da questi uomini, donne, bambini e anziani l’avanzata della fanteria dell’esercito israeliano.

E la guarnigione nemica che si vuole indebolire con l’assedio di Gaza non è altro che la popolazione palestinese che vi abita. E l’offensiva cercherà di annientare quella popolazione. E ogni uomo, donna, bambino o anziano che riuscirà a sfuggire, nascondendosi, all’assalto prevedibilmente sanguinoso, sarà poi «braccato» in modo che la pulizia possa essere completata, in modo che il comandante militare incaricato dell’operazione possa riferire ai suoi superiori «abbiamo completato la missione».

Perdonate ancora una volta la nostra ignoranza, forse quello che stiamo dicendo è, in realtà, fuori tema, o qualcosa del genere, a seconda dei casi. E che invece di ripudiare e condannare il crimine in corso, da indigeni e guerrieri quali siamo, dovremmo discutere e prendere posizione sul fatto che si tratti di «sionismo» o «antisemitismo», o che tutto sia partito dalle bombe di Hamas.

Forse il nostro pensiero è molto semplice, e ci mancano le sfumature e i dettagli che sono sempre così necessari nell’analisi, ma, per noi, noi zapatisti e zapatiste, a Gaza c’è un esercito di professionisti che uccide una popolazione inerme.

Chi sta in basso e a sinistra può tacere?

-*-

Serve dire qualcosa? Le nostre grida fermeranno qualche bomba? Le nostre parole salveranno la vita di un bambino palestinese?

Noi pensiamo di sì, forse non fermeremo una bomba o la nostra parola non diventerà uno scudo corazzato che impedirà a quel proiettile calibro 5,56 mm o 9 mm, con le lettere «IMI» («Israeli Military Industry») incise sulla base della cartuccia, di raggiungere il petto di una bambina o di un bambino, ma forse la nostra parola riuscirà a unirsi ad altre in Messico e nel mondo e forse diventerà prima un mormorio, poi una voce forte, e poi un urlo che sentiranno fino a Gaza.

Non sappiamo voi, ma noi, zapatiste e  zapatisti dell’EZLN sappiamo quanto sia importante, in mezzo alla distruzione e alla morte, sentire qualche parola di incoraggiamento.

Non so come spiegarlo, ma si scopre che sì, le parole da lontano forse non bastano a fermare una bomba, ma sono capaci di aprire una crepa nella stanza nera della morte per farvi entrare un po’ di luce.

Altrimenti, succederà quello che succederà. Il governo israeliano dichiarerà di aver inferto un duro colpo al terrorismo, nasconderà al suo popolo l’entità del massacro, i grandi produttori di armi avranno guadagnato un po’ di respiro economico per affrontare la crisi e «l’opinione pubblica mondiale», quell’entità malleabile e sempre uguale a sè stessa, si girerà dall’altra parte.

Ma non solo. Succederà anche che il popolo palestinese resisterà e sopravvivrà e continuerà a lottare, e continuerà a ricevere solidarietà dal basso.

E, forse, sopravvivrà anche un ragazzo o una ragazza di Gaza. Forse cresceranno e, con loro, il coraggio, l’indignazione, la rabbia. Forse diventeranno soldati o miliziani di uno dei gruppi che combattono in Palestina. Forse combatteranno contro Israele. Forse lo faranno sparando con un fucile. Forse si immoleranno con una cintura di candelotti di dinamite intorno alla vita.

E allora, dall’alto, scriveranno della natura violenta dei palestinesi e condanneranno la violenza e il dibattito tornerà schiacciato tra sionismo o antisemitismo.

E nessuno si chiederà chi ha seminato quello che stiamo raccogliendo.

A nome degli uomini, donne, bambini e anziani dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, 4 gennaio 2009

-*-

Coloro che all’epoca, quasi 15 anni fa, erano minorenni e sono sopravvissuti, beh….

C’è chi è stato responsabile della semina di ciò che si sta raccogliendo oggi e c’è chi, impunemente, continua a seminare.

Chi solo pochi mesi fa giustificava e difendeva l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin adducendo il «diritto di difendersi da una potenziale minaccia», ora deve destreggiarsi (o scommettere sulla dimenticanza) per invalidare tale argomentazione di fronte a Israele.  E viceversa.

Oggi, in Palestina e in Israele – e in tutto il mondo – ci sono bambini e ragazzi che imparano ciò che il terrorismo insegna: che non ci sono limiti, né regole, né leggi, né vergogna.

Né responsabilità.

-*-

Né Hamas né Netanyahu.  Il popolo di Israele sopravvivrà.  Il popolo palestinese sopravvivrà. Devono solo darsi una possibilità e impegnarsi. Nel frattempo, ogni guerra continuerà a essere solo un preludio alla successiva, più feroce, più distruttiva, più disumana.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, ottobre 2023

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Chiapas un disastro

Tra la violenza criminale e la complicità dello Stato.

Rapporto Frayba 2023

In Chiapas ci troviamo nel mezzo di una diversificazione e opacità di gruppi armati che usano la violenza per il controllo sociale, politico, economico e territoriale segnata dalla continuità della strategia di controinsurrezione; così come di un’impunità promossa da attori statali che contribuisce all’espropriazione, allo sfruttamento e all’emarginazione sociale. L’aumento di questa violenza ha portato a gravi violazioni dei diritti umani, tra cui situazioni di sfollamento forzato massiccio e intermittente, sparizioni, espropriazione di terreni, omicidi, torture, tra gli altri.

A questo clima si aggiungono la rimilitarizzazione e il comprovato spionaggio del Ministero della Difesa Nazionale (Sedena) in Chiapas. Parallelamente, i diritti dei popoli originari e delle comunità indigene in generale restano in secondo piano dopo aver classificato come di sicurezza nazionale i progetti di sviluppo o la costruzione di infrastrutture militari nei territori; nello stesso tempo, l’Esercito Messicano (EM), il principale autore di vari crimini contro l’umanità nella storia recente del Messico, si consolida come una superpotenza con la possibilità di controllare tutte le sfere della vita e spalancare le porte all’esercizio di un governo neosviluppista e autoritario. Si scommette sulla continuazione della guerra a vantaggio dei poteri di fatto in Messico, all’incremento della violenza generalizzata e all’aumento della crisi dei diritti umani.

Qui per scaricare il Rapporto 2023 del Frayba https://frayba.org.mx/sites/default/files/Informes/Informe-Frayba-2023/Informe-Frayba-2023_Chiapas-un-desastre.pdf

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La Santa Muerte in Chiapas

Luis Hernández Navarro

La Santa Muerte e Malverde sono ovunque a San Cristóbal de las Casas e nelle città del Chiapas come Teopisca. Il suo culto non è nascosto. I mercati sono colmi di elementi rituali tipici della loro venerazione. Le erboristerie e le botteghe esoteriche dell’antica Jovel, oggi accolgono i fedeli con le monumentali Huesudas e Malverdes.

Il 17 aprile, Jerónimo Ruiz, leader dell’Associazione degli Assegnatari dei Mercati Tradizionali del Chiapas (Almetrach), è stato ucciso da due uomini a bordo di una motocicletta. Nel mezzo del caos e panico, la violenza è scoppiata nel nord della vecchia capitale coleta. Due gruppi armati hanno bloccato le strade, si sono affrontati e hanno dato fuoco a pneumatici e abitazioni. Tra le altre attività redditizie, Almetrach riscuote i diritti di occupazione di suolo degli artigiani

Jerónimo era originario di una comunità vicina a Betania/Teopisca chiamata ironicamente Flores Magón. Sull’altare alla Niña Blanca che il defunto aveva in casa, si giurava di vendicare la sua morte.

Due giorni dopo il suo delitto, una registrazione avvertiva: “San Cristóbal e dintorni: come avrete notato, siamo arrivati e la pulizia è iniziata, siamo il cartello di Jalisco e quello che è successo a Jerónimo Ruiz sta per succedere a Narciso Ruiz, alias El Narso, Calafas, Águila, Birria, Max e tutti quei gruppi di motonetos (motociclisti) che sostengono questi pezzenti”.

Il Chiapas è il luogo in cui fioriscono molte delle sigle più diverse. Chiese tradizionali convivono con espressioni di religiosità popolare. La venerazione della Santísima Muerte è cresciuta esponenzialmente di pari passo con la crescita della criminalità organizzata, ma anche per altre cause ad essa del tutto estranee, come le guarigioni per fede. Non tutti i suoi fedeli sono dediti ad attività illecite ma, spesso in una sorta di sincretismo, molti di coloro che vi si dedicano trovano nel fervore di questa religiosità la via per avvicinarsi al sacro.

Teopisca, a 30 chilometri da San Cristóbal, è una rotta chiave per migranti irregolari e droga. Nel giugno del 2022, individui armati hanno sparato e ucciso il sindaco, Rubén de Jesús Valdez Díaz, del Partito Ecologista Verde del Messico (PVEM), mentre stava uscendo di casa. I sicari sarebbero stati assunti tra i motonetos di Jovel

L’omicidio fa parte del conflitto per il controllo del municipio tra due gruppi. Quelli di Betania, il cui capo di facciata è Javier Velázquez Díaz, alias La Pulga (già arrestato), e quelli del gruppo locale dell’ex presidente municipale Luis Alberto Valdez Díaz, accusato di aver rapinato il municipio quando era sindaco, e fratello del sindaco assassinato. Voci locali lo indicano come la presunta mente del fratricidio.

Entrambe le bande sono legate al traffico di migranti (polleros) e alla produzione e traffico di droga. Quelli di Betania hanno laboratori nella loro comunità, profondamente evangelica.

Nella comunità prolifera il culto de La Huesuda e Malverde. Si tengono grandi processioni e c’è sempre più devozione nei loro confronti. Come parte della norteñización della cultura popolare, i narcocorridos proliferano. I gruppi reclutano i giovani più poveri. Girano impunemente per il villaggio con armi di grosso calibro e giubbotti antiproiettile. È comune sentire raffiche sparate in aria.

Una delle fazioni vuole insediare il consiglio comunale di Teopisca. Tuttavia, al di là delle presunte rivendicazioni democratiche, i suoi promotori sono anche narco-polleros che vogliono convincere le comunità finanziando le feste religiose. Allo stesso tempo, promettono di costruire strade nella piana del municipio, la depressione centrale del Chiapas adiacente al comune di Venustiano Carranza, una via chiave per il passaggio di droga e immigrati irregolari.

Secondo i residenti del comune, il gruppo dell’ex presidente municipale Luis Valdez sarebbe legato a Sinaloa, mentre quelli di Betania de La Pulga farebbero parte delle quattro lettere. Dicono che quelli del Pacifico, che sono nella regione da più tempo, si fanno gli affari loro e non si immischiano con la gente comune, ma quelli di Jalisco estorcono, rapiscono, chiedono il pizzo, ecc. Dal loro punto di vista, quelli di Sinaloa fanno quello che più gli conviene a seconda degli affari in ballo, e sono tranquilli, se non ti immischi con loro. Ma quelli di Nueva Generación è gente cattiva.

Quanto sta accadendo a San Cristóbal e Teopisca è solo un assaggio di ciò che sta accadendo in tutto il Chiapas. Non è un’eccezione, ma la regola. Fa parte di una trama molto più ampia. È inimmaginabile supporre che le attività di questi narco-polleros siano estranee alle reti di potere regionali e ai responsabili del mantenimento dell’ordine.

Le comunità zapatiste non consentono la semina, la produzione e il traffico di droga. I loro territori sono chiusi per i trafficanti di esseri umani. Non prendono posizione nelle dispute tra cartelli per il controllo dei mercati e dei territori. Sono un freno all’espansione dell’industria criminale e agli affari delle autorità ad essa collegate. Al di là della loro esperienza di autogoverno e autogestione, tra le tante ragioni, ecco perché hanno dichiarato loro guerra. Inoltre, a causa di ciò, vecchi e nuovi paramilitari (alcuni convertiti in narcoparamilitari) si sono lanciati nel tentativo di distruggere le comunità autonome.

L’attacco della Orcao alle basi della comunità autonoma Moisés Gandhi, municipio ribelle Lucio Cabañas, fa parte della strategia contrainsurgente. Come Teopisca, non è un’anomalia ma una costante nella politica del Chiapas. Basta guardare storicamente la mappa della violenza nello stato per verificarlo.

Il culto della Santa Muerte e Malverde ha preso piede nel sud-est messicano. La sua proliferazione è il termometro di ciò che accade socialmente.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2023/06/13/opinion/019a1pol

Traduzione Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

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Messico: Chiapas è una polveriera pronta ad esplodere

Da LaJornada un articolo di Luis Hernández Navarro

La violenza si moltiplica in modo allarmante. Gli attacchi armati dei paramilitari contro le comunità zapatiste sono frequenti e si intensificano. Gruppi criminali organizzati reclutano giovani per ingrossare le loro file. Migliaia di sfollati vivono nelle foreste o in insediamenti temporanei. Bande di criminali su moto si scontrano in vere e proprie battaglie campali a San Cristóbal per il controllo dei mercati e delle rotte della droga. I cartelli combattono a fuoco e sangue per il controllo del confine con il Guatemala.

Si tratta di una violenza diversificata, alimentata dalla combinazione di conflitti ancestrali e nuove dispute legate alla terra, al commercio e al narcotraffico. Nonostante la presenza dell’esercito e della Guardia Nazionale, le armi di grosso calibro si ottengono con una facilità sorprendente. Di fronte all’inazione del governo, i paramilitari, gli assassini a pagamento, i gruppi di autodifesa (a Pantelhó, Altamirano e San Cristóbal) e le agenzie di sicurezza privata si moltiplicano in tutto lo stato.

I gruppi paramilitari, protetti dalle autorità, si sono associati al crimine organizzato, che ne subappalta i servizi. Lavorano a doppio turno. Da un lato, cercano di contenere l’espansione delle comunità ribelli e le proteste dei contadini in lotta. Dall’altro, gestiscono il traffico di migranti senza documenti, spostano grandi quantità di stupefacenti e si dedicano allo spaccio di droga, alla distribuzione di prodotti contraffatti e pornografia indigena, al traffico di auto rubate e armi. Ora, come si può vedere nel caso di Chicomuselo, si dedicano anche al furto di minerali.

Queste bande, che spesso controllano i trasporti locali e le rotte in varie regioni, servono politici locali. La “nuova famiglia” chiapaneca, che in realtà è la vecchia famiglia chiapaneca riciclata, si è profondamente intrecciata con loro. Lo stesso è accaduto da parte delle leadership indigene tradizionali, alcune delle quali si sono avventurate con successo nel traffico di migranti e/o narcotraffico.

Una delle principali cause di questa violenza sono gli attacchi paramilitari contro le basi di appoggio zapatiste. (https://rb.gy/yrx0e). Appena lunedì 22 maggio, come parte di un’aggressione durata quattro giorni senza che le autorità intervenissero, il gruppo paramilitare dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha sparato a Gilberto López Santis, di origine tseltal, appartenente alla comunità autonoma di Moisés Gandhi nel municipio ribelle di Lucio Cabañas. Le sue condizioni sono gravi. Ha subito perforazioni al diaframma, all’intestino crasso, allo stomaco e alla milza. Lotta tra la vita e la morte. Negli ultimi mesi, l’Orcao ha attaccato i ribelli più di 10 volte, con totale impunità. Hanno bruciato magazzini di caffè, scuole e rapito indigeni.

Tra le altre cose, l’obiettivo dell’Orcao è spossessare i zapatisti delle terre che avevano riconquistato nella rivolta del 1994, anche per ottenere gli aiuti governativi del programma Sembrando Vida. Le loro aggressioni, perpetrate con totale complicità delle autorità, mostrano il grave deterioramento che si vive nello stato e inviano un segnale pericolosissimo. Non è solo un altro attacco. Il conflitto di fondo è in uno stato critico.

La situazione è altrettanto grave in molti altri comuni e località, tra cui Teopisca, Comalapa, Betania, la strada Las Choapas-Ocozocoautla, San Cristóbal, Frontera Comalapa, Trinitaria e Chicomuselo. I blocchi stradali a Teopisca sono sempre più frequenti, a causa della richiesta formale di destituire la sindaca Josefa María Sánchez e formare un consiglio comunale. Appena il 21 maggio scorso tre persone sono state ferite in uno scontro a fuoco tra agenti statali, che cercavano di arrestare i leader del movimento, e contadini che li difendevano.

A poco più di 120 chilometri di distanza, sulla strada Las Choapas-Ocozocoautla, il 25 maggio si sono verificati blocchi stradali (per cinque ore), sparatorie e l’incendio di un camion. Soggetti mascherati hanno assaltato camion e negozi Coppel e hanno dato fuoco a piccoli esercizi commerciali. Appena l’8 febbraio era successo qualcosa di simile. Nella zona di Malpaso, i cartelli si contendono il traffico di droga, il pagamento del “pizzo”, il passaggio di migranti senza documenti, armi e carburante di contrabbando.

La scorsa settimana è stata particolarmente tragica a Frontera Comalapa, dove i criminali si contendono il territorio, uccidendo persone innocenti nel fuoco incrociato. Spari, blocchi stradali, auto bruciate, carovane di veicoli armati (i famosi “mostri”) fanno ormai parte del paesaggio quotidiano della regione negli ultimi giorni. Nelle comunità vicine a Nueva Independencia, dove opera il gruppo Maíz (filiale del cartello Jalisco Nuova Generazione), vengono reclutati giovani e armati per combattere i rivali. Circa 3.000 persone sfollate dai loro villaggi si sono rifugiate sulle montagne e sulle rive dei fiumi.

Secondo il Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, lo Stato acconsente a tutto ciò, dato che nella comunità di El Jocote c’è un distaccamento dell’Esercito messicano. Sulla strada Paso Hondo-Frontera Comalapa si trova un distaccamento della Guardia Nazionale. E nel comune di Chicomuselo si trova la base militare più grande dell’Esercito messicano.

Non è un’esagerazione. La polveriera di Chiapas può esplodere in qualsiasi momento.

Articolo originale https://www.jornada.com.mx/2023/05/30/opinion/011a1pol?from=homeonline&block=opinion

Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli

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Pronunciamento nazionale e internazionale sull’aggressione alla comunità Moises Gandhi

 Ai popoli del Messico e del mondo,

Alle persone, alle collettivitá e ai popoli che difendono la Vita.

A coloro che sentono l’urgenza di agire di fronte a un sud-est messicano in fiamme.

Oggi, in questo momento, il Messico è giunto ad un limite, un limite che sembra sempre lontano finché un proiettile esploso dall’alto non fa detonare la rabbia del Messico dal basso. Il compagno zapatista Jorge López Santiz è in bilico tra la vita e la morte a causa di un attacco paramilitare dell’Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (ORCAO), la stessa organizzazione che da tempo sta attaccando e molestato le comunità zapatiste. Il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile, con paramilitari e assassini al soldo di vari cartelli che si contendono i territori per i propri profitti, e i gruppi di autodifesa, con la complicità attiva o passiva del governo statale di Rutilio Escandón Cadenas e il governo federale di Andrés Manuel López Obrador.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), che ha mantenuto la pace e ha sviluppato un proprio progetto di autonomia nei suoi territori cercando di evitare scontri violenti con paramilitari e altre forze dello Stato messicano, viene costantemente molestato, attaccato e provocato. Dalla fine del XX secolo, e fino al giorno d’oggi, l’EZLN ha optato per la lotta politica pacifica e civile nonostante le sue comunità siano state attaccate con proiettili, i suoi raccolti incendiati e il suo bestiame avvelenato. Nonostante il fatto che, invece di investire il proprio lavoro nella guerra, lo abbiano speso nella costruzione di ospedali, scuole e governi autonomi di cui hanno beneficiato zapatisti e non zapatisti, i governi, da Carlos Salinas a López Obrador, hanno sempre tentato di isolarli, delegittimarli e sterminarli. Oggi, a pochi mesi dal 40° anniversario dell’EZLN, l’attacco paramilitare contro gli zapatisti da parte dell’ORCAO ha come conseguenza che la vita di un uomo sia appesa a un filo, così come é al sul punto di esplodere un Messico che non può più sopportare la pressione che subisce nei confronti della propria dignità o la guerra contro le sue comunità e nei suoi territori.

L’attacco dell’ORCAO non è un conflitto tra comunità, come lo avrebbe definito Carlos Salinas e, come López Obrador cercherà sicuramente di dipingerlo. Si tratta di un atto la cui responsabilità diretta é tanto del governo del Chiapas quanto del governo federale. Il primo per aver coperto la crescita di gruppi criminali che hanno trasformato il Chiapas, da uno stato di relativa tranquillità, in una zona rossa di violenza. Il secondo per essere rimasto in silenzio e passivo di fronte all’evidente situazione in cui si trova il sud-est del paese. Perché l’ORCAO attacca le comunità zapatiste? Perché puó. Perché lo permette il governo di Rutilio Escandón? Perché, nel Chiapas di cui sopra, governare significa bagnarsi di sangue indigeno. Perché López Obrador tace? Perché il governatore del Chiapas è cognato del suo caro e fedele Ministro degli Interni, Adán Augusto López; perché come i suoi predecessori non può sopportare che un gruppo di ribelli sia il punto di riferimento per la speranza e la dignità; perché ha bisogno di giustificare un’azione militare per “ripulire” il sud-est e poter finalmente imporre i suoi megaprogetti.

Allo stesso modo crediamo che questo attacco sia il risultato delle politiche sociali del governo attuale per dividere e corrompere, distruggendo il tessuto sociale delle comunità e dei popoli messicani,in particolare del Chiapas. Vediamo con preoccupazione che programmi come “Sembrado Vida” (che si caratterizza per avere praticamente lo stesso budget del Ministero Federale dell’agricoltura) e altri simili, stiano incoraggiando lo scontro tra comunità storicamente espropriate delle loro terre e dei loro diritti, giacché vengono utilizzati come meccanismi di controllo politico e come merce di scambio affinché le organizzazioni come la ORCAO possano ottenere l’accesso ai presunti benefici che questi programmi forniscono, il cui prezzo è il furto delle terre autonome zapatiste recuperate. Per noi è chiaro che non si tratta di conflitti tra villaggi; si tratta di un’azione di controinsurrezione che mira a distruggerli, a distruggere l’EZLN e tutte le comunità e i popoli che continuano a lottare per una vita dignitosa.

Firmiamo questa lettera per chiedere a noi stessi e a coloro che credono che la dignità e la parola devono sollevarsi per fermare il massacro che si sta profilando; per chiamare a raccolta coloro che sono d’accordo con l’attuale governo, ad aprire i loro cuori alle ingiustizie che stanno sommergendo il presente di questo Paese, aldilà delle loro affinità o simpatie politiche; affinché possiamo riconoscerci nella necessità di agire con l’obiettivo comune di fermare questa atrocità.

Firmiamo questa lettera perché vediamo l’urgenza di porre fine alla violenza paramilitare in Chiapas. Perché non farlo significa lasciare che il Messico sprofondi ancora di più in questa guerra infinita che lo sta distruggendo.

Chiediamo giustizia per Jorge López Santiz.

Chiediamo lo scioglimento assoluto dell’ORCAO.

Chiediamo un’indagine approfondita sul governo di Rutilio Escandón.

Chiediamo che il silenzio di López Obrador cessi di essere complice della violenza in Chiapas.

Facendo nostre le richieste presentate dal Congresso Nazionale Indigeno, chiediamo:

1. Che sia garantita la salute del compagno Jorge e che gli sia prestata tutta l’attenzione necessaria per il tempo necessario.

2. Che si fermi l’attacco armato contro la comunità “Moisés y Gandhi” e che si rispetti il suo territorio autonomo.

3. Che gli autori materiali e intellettuali di questi attacchi paramilitari siano puniti.

4. Che vengano smantellati i gruppi armati attraverso i quali la guerra contro le comunità zapatiste è attiva e in crescita.

Chiediamo inoltre l’immediata liberazione di Manuel Gómez, base d’appoggio dell’EZLN, di cui non abbiamo dimenticato l’ingiusta detenzione.

​Con il CNI, avvertiamo che la guerra che hanno dichiarato contro i popoli originari, custodi della Madre Terra, ci obbliga ad agire in modo organizzato per fermare la crescente violenza e per ristabilire il nostro legame e la nostra cura per la Vita. Invitiamo a manifestare nelle strade, nelle ambasciate e nei consolati, nei centri di studio e nei luoghi di lavoro, nelle reti sociali; dovunque sia possibile e imprescindibile, contro la violenza militare, paramilitare e del crimine organizzato e in difesa della Vita.

Ci invitiamo e vi invitiamo a unire le forze per tessere una giornata di azioni dislocate dal 27 maggio al 10 giugno con una azione coordinata nazionale e internazionale il giorno 8 giugno.

​Che si fermi la guerra contro i popoli zapatisti.

             Se toccano un@, toccano tutt@

Giugno 2023

seguono centinaia di firme da tutto il  mondoqui l’appello in originale https://www.caminoalandar.org/about-4

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Ayotzinapa, il difficile cammino verso la verità

Luis Hernández Navarro

4 aprile 2023

Ayotzinapa è una ferita aperta. Sono passati otto anni e mezzo dall’atrocità e la ferita non si è cicatrizzata. Come si può chiudere se la verità non c’è? Se non c’è giustizia? E se il danno non viene riparato?

Il quinto rapporto del Gruppo Interdisciplinare di Esperti Indipendenti (GIEI), Una visione globale dei fatti, dei responsabili e della situazione del caso Ayotzinapa, l’ultimo, ci mostra, articolato in 36 punti, gli enormi ostacoli per illuminare il l’oscurità che incombe sulla tragedia. Con prove comprovate, dimostrano l’impossibilità di chiudere il caso.

Il rapporto dimostra che diverse autorità a livello municipale, statale e federale, compresi i servizi di informazione contro il traffico di droga, ovvero Esercito, Polizia federale e di Stato, Cisen e polizia municipale di Iguala, erano a conoscenza, in tempo reale, dell’arrivo degli studenti della Normal Rural Raúl Isidro Burgos e della loro intenzione di prendere gli autobus per andare alla marcia del 2 ottobre a Città del Messico.

Le dichiarazioni dei testimoni protetti e i documenti trovati dal GIEI tracciano un ritratto terrificante del narco-stato esistente in Guerrero. C’è stata collusione tra membri di corporazioni e istituzioni di sicurezza a livello municipale, statale e federale con la criminalità organizzata a Iguala e nelle città vicine. Sebbene si sapesse del trasferimento di droga negli autobus passeggeri, gli esperti non hanno individuato rapporti sulle partenze di questi bus o sui filtri di ingresso in città da parte di gruppi della droga.

I militari erano collusi con il narcotraffico, come si evince dalle intercettazioni telefoniche di Chicago (intercettazioni DEA, conversazioni di membri dei Guerreros Unidos) responsabili del 27° e 41° Battaglione, in cui si parla di pagamenti ad almeno un comandante e un capitano. Testimoni protetti hanno confessato di ricevere periodicamente denaro per consentire le attività di Guerreros Unidos.

Gli studenti non sono stati catturati tutti contemporaneamente, in un’unica operazione. Sono stati attaccati con armi da fuoco in sette momenti diversi, in luoghi diversi, nell’arco di quattro ore. Le informazioni sugli eventi erano note in tempo reale dal C4. Nonostante la consapevolezza e la brutalità degli attacchi, nessuna autorità governativa a nessun livello ha fatto nulla per impedirlo.

Nonostante l’ordine del presidente Andrés Manuel López Obrador di consentire agli esperti il pieno accesso alle informazioni fondamentali, il ministero della Difesa Nazionale le nasconde. Le dichiarazioni dei comandanti e del personale del 27° Battaglione di fanteria, di base a Iguala, sono state modificate con l’avanzare delle indagini. I suoi membri hanno mentito più e più volte. Ad esempio, hanno nascosto la loro presenza sul posto o hanno detto falsamente di essere rimasti nelle loro baracche quella notte.

Un militare ha osservato, con mezzi tecnici, tre furgoni della polizia municipale. In quello centrale erano trasportati i civili. Tuttavia, questa prova non è stata consegnata al Procuratore Generale della Repubblica (FGR).

“Inspiegabilmente”, nonostante le prove a loro carico e disponendo di tutto il supporto legale, i mandati di cattura nei confronti di numerosi militari che hanno partecipato ai fatti sono stati annullati dalla Procura nel settembre 2022. Sei di essi, prioritari per il GIEI, non sono stati riattivati.

Come parte di una logica controinsurrezionale, l’Esercito si è infiltrato ad Ayotzinapa con tre militari spacciati per studenti. Noti come organismi di ricerca e osservazione (OBI), informavano i loro superiori degli accordi e dei movimenti degli studenti. Hanno comunicato ogni giorno per riferire sulla situazione. Uno era tra i 43 ragazzi scomparsi. Un altro OBI ha fatto rapporto il 27 settembre, dopo gli eventi, e ha annunciato ai suoi comandanti che avrebbe sospeso le comunicazioni per motivi di sicurezza. Il segretario di Sedena in quel momento riferì falsamente che il militare scomparso aveva sospeso le comunicazioni dal 22 settembre. Il 27 la segreteria ha preso contatto con la famiglia del giovane. “Tutto questo – dicono gli esperti – è rimasto nascosto nelle indagini per sette anni, fino a quando il GIEI ha trovato i documenti negli archivi Sedena dopo l’ordine di accesso del presidente del Messico”.

La segreteria sapeva in ogni momento cosa veniva fatto agli studenti. Nonostante ciò, non ha fatto nulla per prevenire, proteggerli o soccorrerli. Tuttavia, l’Esercito lo nega, così come nega anche l’esistenza, documentata, del Centro di Fusione Regionale dell’Intelligence di Iguala (CRFI), quando è avvenuto l’attacco contro i giovani.

Non erano gli unici servizi segreti statali a sapere cosa stava succedendo in tempo reale. Il Cisen aveva agenti e informazioni su quanto stava accadendo. Ma quei rapporti non sono mai stati resi pubblici.

Il rapporto GIEI dimostra che Ayotzinapa è stato un crimine di stato, un crimine contro l’umanità. Un’atrocità in cui sono coinvolte le più alte autorità civili e militari dell’amministrazione di Enrique Peña Nieto, con potere sufficiente per fermare e boicottare il pieno chiarimento dei fatti. Se la verità sulla notte di Iguala non emergerà e se non sarà fatta giustizia per le vittime, il fantasma di Ayotzinapa perseguiterà senza pietà l’intero Paese. https://www.jornada.com.mx/notas/2023/04/04/politica/ayotzinapa-el-dificil-camino-a-la-verdad/

Twitter: @lhan55

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(© borphy/istockphoto.com&Sebastian Terfloth-Collage RdR)

Tren Maya, la super ferrovia che distrugge gli ecosistemi. Gli zapatisti e il Tribunale internazionale per i Diritti della Natura bocciano la linea ferroviaria da 1.500 km che trasformerà il Sud del Messico.

Andrea Cegna. Il Manifesto 13 aprile 2023

Le garanzie di sostenibilità con cui il presidente del Messico Andres Manuel Lopez Obrador difende quotidianamente il Tren Maya si sono da subito scontrate con le denunce delle comunità indigene e di chi, nel paese, difende natura e biodiversità.

I 1500 KM DI ROTAIA che attraverseranno cinque stati meridionali del Messico collegando Palenque con Cancun sono stati progettati, secondo AMLO, «per essere un mezzo di comunicazione efficace e moderno che avvicinerà le zone archeologiche del sud-est del paese al turismo nazionale ed estero» e per essere «eredità di sviluppo per il sud-est del Messico». Non la pensano tutti e tutte così.

I PRIMI A DENUNCIARE l’assurdità e la violenza del progetto sono stati gli Zapatisti, per voce del Subcomandate Moises, nel 2020. Dicevano: «Grande Opera vuole dire distruggere un intero territorio». E andavano oltre: «Come zapatisti affermiamo con fermezza che solo un imbecille può considerare positive le grandi opere. Un imbecille o uno malvagio e scaltro che sa di mentire e non gli importa che la propria parola nasconda morte e distruzione, quindi il governo e tutti i suoi difensori dovrebbero dire chiaramente cosa sono: se sono imbecilli o bugiardi».

ORA C’È ANCHE LA DENUNCIA formale del Tribunale Internazionale Per i Diritti della Natura che è stato dal 9 al 12 marzo in Yucatan per verificare le denunce arrivate da più parti e tenere l’ottava udienza locale. «Un mega progetto di trasporto ferroviario che mette in serio pericolo la distruzione degli ecosistemi e delle comunità Maya, che, come hanno espresso varie testimonianze, non è solo un treno né è propriamente Maya», si può leggere nel documento reso pubblico alla fine del viaggio. «Un progetto – si legge ancora – che si connette con molti altri poli di sviluppo, mega-allevamenti di maiali, tra gli altri, esacerbandone gli impatti sociali, culturali, ambientali e di genere, e il cui master plan non è mai stato presentato dalle autorità».

PER IL TRIBUNALE IL PROGETTO sta proseguendo non solo senza rispettare la natura, la biodiversità e i diritti umani ma anche favorendo ecocidi ed etnocidi grazie alla massiccia presenza militare e alla «politica della paura» utilizzata per intimidire coloro che si oppongono alla sua costruzione. I cinque membri del Tribunale, tra i quali c’era Raul Vera, ex vice di Don Samuel Ruiz e quindi suo successore come vescovo a San Cristóbal de Las Casas e poi a Saltillo, hanno ascoltato le testimonianze di 23 diverse comunità di Yucatan, Quintana Roo, Chiapas e Campeche.

IL PROGETTO DIPINTO come grande «occasione» di turistificazione per il paese non prevede però solo la costruzione di imponenti strutture «eco-turistiche» che impatteranno in maniera notevole i diversi territori attraversati dalle rotaie, ma anche un collegamento con il Corridoio Transistmico, altra grande opera promossa da AMLO, gestita e controllata dalla Marina Militare, che consiste nella riattivazione del treno di collegamento del porto di Salina Cruz con Oaxaca, di quello di Coatzacoalcos con Veracruz e quindi all’installazione di dieci parchi industriali, nonché con l’aeroporto in costruzione di Tulum e quello in via di potenziamento di Palenque e quindi con la futura autostrada Palenque-San Cristóbal de Las Casas. Ogni opera ha bisogno delle altre per poter corrispondere al pieno delle aspettative.

IL TREN MAYA È IL GRIMALDELLO attorno a cui si muove l’enorme operazione di maquillage, guidata in prima persona dal presidente, che nasconde in sé un progetto, di stampo neoliberista, di strutturale trasformazione del sud del Messico. https://ilmanifesto.it/tren-maya-la-super-ferrovia-che-distrugge-gli-ecosistemi

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Un treno devasta la terra dei Maya

Francesco Martone 23 Marzo 2023 https://comune-info.net/un-treno-devasta-la-terra-dei-maya/

Una delegazione del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura ha visitato nei giorni scorsi lo Yucatan ed il Quintana-Roo in Messico. Voleva incontrare le comunità che subiscono le devastanti conseguenze della costruzione del megaprogetto del Tren Maya, il fiore all’occhiello del governo di centrosinistra messicano. Ne abbiamo parlato tante volte: il progetto essenziale di quella modernità è la riduzione a uno dei mondi possibili. Tutto quel che gli resiste va calpestato e dilaniato: le conoscenze denigrate come pseudoscientifiche, le forme di vita comunitaria che non mettono al centro la “democrazia” delle istituzioni statali, le economie non assoggettate all’accumulazione, le relazioni sociali, magari molto più segnate da profondità ma ispirate a un “romantico misticismo”, il rifiuto “anti-storico” di consegnarsi mani e piedi all’avanzata di tecnologie e della sola idea di scienza desiderabile, quella asservita al denaro e alla produttività. Il racconto di Francesco Martone, che è uno dei giudici del Tribunale, e la sentenza emessa sulla criminalità che umilia la terra e la dignità Dal 9 al 12 marzo scorso una delegazione di giudici del Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura ha visitato lo Yucatan ed il Quintana-Roo in Messico, per incontrare le comunità che subiscono l’impatto della costruzione del megaprogetto del Tren Maya e per svolgere una udienza pubblica che serve a valutare le violazioni sui diritti della Natura e quelli dei popoli indigeni.

Il progetto prevede la costruzione di 1500 kilometri di ferrovia attraverso foreste, territori ricchi di tesori archeologici, e comunità locali. Si prevede anche la costruzione di una ventina di nuovi insediamenti urbani (Polos de Desarrollo) come volano per lo “sviluppo” economico e produttivo di tutta la regione.

L’infrastruttura è connessa al Corridoio Trans-istmico che attraverserà la lingua di terra di Tehuantepec, e già oggetto di forti proteste locali, ed al Plan Puebla Panamà. Seppur venga promosso come progetto di valorizzazione turistica di tutto lo Yucatan le cifre svelano un’altra storia: sui convogli che saranno lunghi in media mezzo chilometro solo il 20% del carico sarà composto da turisti, il resto da materie prime o prodotti di esportazione, come la carne di maiale verso la Cina.

Da tempo gli impatti ambientali, culturali, sociali e sui diritti dei popoli indigeni sono denunciati pubblicamente ma invano, visto che il presidente AMLO punta su questo megaprogetto come il “segno” distintivo del suo mandato in scadenza, e non esita a militarizzare il territorio per imporne la costruzione.

Non a caso la costruzione di metà del tragitto della ferrovia – che dovrebbe essere ultimata entro fine anno – è in mano ai militari che controlleranno anche la società nella quale confluiranno le rendite del progetto, e che verranno poi redistribuite come pensioni ai militari in pensione.

A Piste’, nei pressi di Chichen Itza’ i giudici (Maristella Svampa, Padre Raul Vera, Francesco Martone, Yaku Perez, Alberto Saldamando) hanno raccolto le testimonianze di lavoratori ed artigiani del settore turistico, poi a Señor, dove hanno toccato di prima mano il clima di intimidazione da parte delle forze armate: poche ore prima i militari erano andati casa per casa a minacciare chi era stato invitato a partecipare ad una assemblea pubblica con i giudici.

All’appuntamento comunque si sono presentate una decina di persone che hanno raccontato della deforestazione e degli impatti ambientali del Treno e dei megaprogetti infrastrutturali connessi, allevamenti intensivi di suini, taglio di indiscriminato di alberi di specie preziose, risarcimenti mai concessi.

Eppoi a Tihosuco dove sono state raccolte testimonianze sull’impatto devastante di monoculture di mais transgenico, sistemi di asservimento dei piccoli produttori alla produzione forzata di cibo per le catene alberghiere e per l’esportazione in una sorta di “megamaquiladora” a cielo aperto, dell’impatto devastante sulla produzione tradizionale di miele o quello delle megacentrali eoliche e solari destinate a alimentare i resort turistici che verranno costruiti.

Il giorno seguente a Valladolid si è tenuta una udienza pubblica con interventi di leader di comunità maya, movimenti per la difesa del territorio, accademici e ricercatori che hanno fornito ulteriori prove di quello che si sta prefigurando come un vero e proprio etnocidio, ed ecocidio.

Un rischio ormai evidente come nel caso dei “cenote” (specchi d’acqua sotterranei che rappresentano la fonte principale di acqua potabile nonché importanti siti sacri per la cosmologia Maya) del tragitto 5 della ferrovia a Playa del Carmen, oggetto di un sopralluogo da parte del Tribunale.

I giurati hanno potuto constatare come la costruzione di piloni di cemento per le rotaie, conficcati nel terreno vanno ad impattare in maniera devastante sui “cenote” oltre a essere destinati a sprofondare nel terreno friabile che caratterizza tutta la regione.

Impatti ambientali irreversibili che si accompagnano alla distruzione di luoghi fondamentali per le culture ancestrali Maya, già sotto attacco dalla crescente industria del turismo di massa. Non è infatti un caso che la “securitizzazione” dello spazio pubblico, attraverso la militarizzazione, la dichiarazione del Tren Maya come opera di sicurezza nazionale, la repressione o la delegittimazione delle proteste e delle legittime richieste delle comunità interessate dal Treno e dalle infrastrutture connesse, si accompagnino a una strategia di stigmatizzazione, disprezzo e delegittimazione della cultura, delle pratiche, delle misure di vita e delle conoscenze ancestrali del popolo Maya.

Si tratta di un’ulteriore forma di violenza che deriva dalla violazione dei diritti bioculturali dei popoli a conferma di come il neo-estrattivismo si nutre di morte e geneai morte, morte dei territori, degli ecosistemi, morte dei loro popoli, delle loro culture, delle loro cosmologie, in una parola una “necropolitica”.

Il Tren Maya nella sua accezione più ampia si alimenta e si impone grazie ad un clima di sospensione o violazione dei diritti o peggio ancora di privazione dei diritti, di vuoto giuridico e legale, di violenza istituzionale o statale e di violazione della dignità e dei diritti i un popolo che nel corso della storia ha subito due estinzioni, la seconda come conseguenza della conquista e del genocidio che ne è seguito.

Nonostante questo debito storico, il popolo Maya sia ancora in piedi, dignitoso, offrendoci un esempio di come recuperare un rapporto intrinseco con la nostra Madre Terra, soggetto di dignità e diritti. E mostra al mondo che non ci può essere territorio senza popoli e non ci possono essere popoli senza territori.

Il Treno Maya e gli altri megaprogetti ad esso connessi come il Corridoio Transistmico e i piani di estrazione mineraria e petrolifera pertanto non solo sono estranei alla natura e al popolo Maya, ma rappresentano un modello criminogeno, nel senso che generano crimini sistemici contro i diritti esistenziali della Madre Terra e dei Popoli.

Di seguito il testo tradotto della sentenza, che chiede la sospensione immediata del Tren Maya e dei progetti connessi, accusa lo stato messicano di violazioni dei diritti della Natura e dei popoli, propone la creazione di una commissione indipendente d’indagine, chiede il risarcimento dei danni ambientali e sociali, esorta alla protezione e tutela dei difensori e difensore dell’ambiente sotto minaccia, e chiede la promulgazione di leggi che riconoscano i diritti della Natura come già fatto in alcuni stati messicani.

La sentenza preliminare è stata tradotta in Maya e verrà diffusa in tutte le comunità, per essere usata come strumento di rivendicazione e piattaforma di costruzione di alleanze e collaborazioni a livello nazionale ed internazionale.

Il Tribunale Internazionale dei Diritti della Natura è un Tribunale di opinione fondato dalla GARN (Global Alliance on the Rights of Nature) nel 2014 con l’obiettivo di promuovere i diritti della Natura e offrire uno spazio di denuncia e rivendicazione sulle violazioni degli stessi e dei diritti di chi li difende.

Ha svolto varie sessioni ed udienze, prima di questa sul Tren Maya una sull’Amazzonia brasiliana nel giugno dello scorso anno in concomitanza con il Forum Sociale Panamazzonico di Belem, nello stato brasiliano del Parà. Nei prossimi giorni una delegazione del Tribunale si recherà in Patagonia Argentina, a Vaca Muerta (il secondo giacimento di gas e petrolio di scisto più grande del mondo) per indagare gli effetti del fracking sui diritti della natura e quelli del popolo Mapuche

Per maggiori informazioni: www.rightsofnaturetribunal.org

www.garn.org

per materiali in italiano sulla missione del Tribunale in Messico:

https://ecor.network/articoli/il-tribunale-locale-dei-diritti-della-natura-contro-il-tren-maya/

Intervista a Francesco Martone, membro della giuria del Tribunale per Radio Onda D’Urto:

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EZLN, 29 años después, apuesta a las nuevas generaciones para continuar lucha zapatista

La cuarta generación de milicianos zapatistas se reunió con los iniciadores del EZLN para conmemorar el levantamiento indígena de 1994 y recuperar la memoria de quienes dieron su vida por el EZLN.

Redacción AN / BJC 02 Jan, 2023 08:05

Foto: Ángeles Mariscal

Por: Ángeles Mariscal

https://aristeguinoticias.com/0201/mexico/ezln-29-anos-despues-apuesta-a-las-nuevas-generaciones-para-continuar-lucha-zapatista/

Miles de jóvenes, hombres y mujeres de rostro aniñado, conmemoraron el aniversario 29 del alzamiento del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN). Fueron sus abuelos y tatarabuelos los que iniciaron la organización indígena que fue el parteaguas en la reivindicación de los derechos de los pueblos indígenas y declararon la guerra al gobierno mexicano, ahora ellos y ellas tienen la encomienda de continuarlo.

Ese fue el mensaje que se dio en los centros de reunión donde celebraron con bailes, justas deportivas y una demostración de las fuerzas insurgentes el levantamiento zapatista de 1994.

“Sigan en lucha, sigan en resistencia. Todavía no se acaba el trabajo. Se vienen cosas en las que se necesita la colaboración de las comunidades. Les pedimos a las nuevas generaciones que aprendan la forma de organización, que aprendan a trabajar dentro de sus pueblos y comunidades”, fue el mensaje de uno de los mandos del EZLN, en el Caracol Jacinto Canek también llamado “Flor de nuestra palabra y luz de nuestros pueblos que refleja para todos”, cuya sede se encuentra en el centro de capacitación CIDECI-Unitierra, del municipio de San Cristóbal de las Casas.

Ahí, entre las instalaciones que sirven como talleres de oficios, salones de estudio, bibliotecas, auditorio y albergue a donde asisten todos los días del año jóvenes zapatistas, se efectuó una de las celebraciones que se replicaron en cada sede del EZLN a lo largo del territorio indígena de Chiapas.

En el Caracol Jacinto Canek hubieron ancianos, ancianas, también hombres y mujeres de edad adulta, pero quienes prevalecieron fueron las juventudes zapatistas que constituyen la cuarta generación de quienes integran el movimiento insurgente.

La mayoría con el rostro descubierto, a diferencia de los adultos acostumbrados a usar el pasamontaña que se constituye como un elemento identitario del EZLN, las juventudes celebraron los 29 años del alzamiento armado.

Hubo dos escoltas que le dieron formalidad al acto, una que portaba la bandera de México y otra con la bandera zapatista, una estrella roja sobre un fondo negro.

En esta última, la abanderada era una mujer joven con uniforme de miliciana -pantalón verde y camisola café-, a su izquierda estaba un hombre cuyas arrugas que asomaban por el pasamontaña denotaba tener más de 50 años; el resto de la escolta eran hombres fuertes con porte y movimientos que evidenciaban tener entrenamiento de quienes forman las milicias zapatistas.

El discurso político que se dio poco antes de las 12 de la noche del 31 de diciembre en este centro de reunión, estuvo a cargo de una mujer y un hombre dirigentes del movimiento armado.

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“Estamos unidos para recordar esta fecha que es de importancia para nosotros. Tal vez sean solo unas horas que vamos a estar juntos, pero estamos recordando una fecha que es importante para todos. Una fecha en donde personas dieron su vida para que nosotros pudiéramos tener una buena vida, alcanzar el buen vivir”, dijo en tsotsil, el idioma indígena de la región, la dirigente zapatista.

También les recordó a quienes murieron en 1994, durante los primeros minutos y días del alzamiento armado; les recordó las demandas enunciadas en su primer pronunciamiento: trabajo, tierra, techo, alimentación, salud, educación, independencia, libertad, democracia, justicia y paz; y la vigencia de estas demandas que no han sido subsanadas por el gobierno mexicano.

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“Es de suma importancia recordar a todos los que perdieron la vida, a hombres y mujeres que murieron en esos días difíciles. Sigan trabajando en unidad. Es un largo caminar que ya está andado, que los que murieron dejaron. Seguimos en busca de justicia”, explicó la dirigente zapatista.

En su turno, al hablarles a las y los asistentes, en nombre del EZLN, uno de los líderes habló directamente a las juventudes del zapatismo y les dijo: “es importante que las nuevas generaciones aprendan para que pueda seguir la organización. No cambien su forma de pensar, honren a quienes murieron por la organización y porque sigan los pueblos siendo comunidad”.

También, en tostsil, les recordó que el trabajo y lucha del EZLN tiene nuevos retos que deberán afrontar, “sigan en lucha, sigan en resistencia. Todavía no se acaba el trabajo”, les insistió.

“No cambien su forma de pensar, sigan así, sigamos pensando así porque hasta ahora la organización ha caminado bien y seguimos el legado y el pensamiento de los que ya murieron. Y si bien se ha transformado, esto ha sido en comunidad, por lo que es importante que sigamos aprendiendo todo esto”, dijo a quienes atentos escuchaban sus palabras.

Casi a la media noche, mientras celebraban con juegos pirotécnicos, las y los zapatistas pregonaban sus consignas: “¡Viva el EZLN!, ¡Viva el 29 aniversario del levantamiento armado! ¡Vivan las insurgentas! ¡Vivan los insurgentes! ¡Vivan las milicianas! ¡Vivan los milicianos! ¡Viva el Subcomandante Insurgente Pedro! ¡Vivan todos los caídos y caídas! ¡Viva la resistencia y rebeldía!

¡Viva el subcomandante insurgente Moisés!, ¡Viva el Subcomandante Insurgente Galeano! ¡Viva Chiapas! ¡Viva Chiapas! ¡Viva México!, ¡Viva México! ¡Viva México!”.

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di Andrea Cegna – https://ilmanifesto.it/caserma-messicana

Il Parlamento messicano ha votato affinché l’esercito continui a svolgere operazioni di «pubblica sicurezza» nelle strade fino al 2028 e non fino al 2024 come disposto nel 2006 con l’inizio della mal chiamata «guerra alla droga». Il Messico, allora, non era il paese violento che è oggi, morti e desaparecidos non avevano indotto l’Istituto di Studi Strategici di Londra a parlare di stato di guerra non riconosciuta. Ogni qualvolta è stato decretato lo stato d’emergenza e ed è cresciuto il numero di militari e poliziotti abbiamo visto la violenza esplodere. Stato dopo stato fino al Chiapas dove per “contenere” i flussi migratori sono stati schierati, recentemente, migliaia di effettivi della Guardia nazionale. Una presenza che ha generato fenomeni di violenza anomali per lo stato, e contestualmente fatto scoprire la presenza di gruppi del crimine organizzato prima invisibili. Con l’arrivo alla presidenza di Andrés Manuel López Obrador (Amlo) in molti e molte avevano sperato che si sarebbe messo un freno alla massiccia presenza di militari nel paese. Non è andata così.

IL VOTO DEFINITIVO in aula si è svolto lo scorso 12 ottobre, data che negli anni ha smesso di essere il giorno della scoperta delle Americhe e si è trasformata in momento di mobilitazione contro il colonialismo. I tradizionali cortei allora sono diventati occasione per dire «no alla militarizzazione». Alcuni hanno denunciato il rischio di estendere con la presenza dei militari anche le volontà non dette della war on drugs, tanto che a Città del Messico è comparsa la scritta «più potere all’esercito = più alleati per i narcos». Per Oswaldo Zavala, docente universitario, studioso delle dinamiche militari, autore del libro La guerra en las palabras. Una historia intelectual del narco en México, «il processo di militarizzazione che stiamo vivendo ha storia e complessità molto più ampie della guerra alla droga». Secondo Zavala «è un processo di militarizzazione globale della sicurezza intrinseco all’idea di dominio neoliberista. Un processo che i governi del nord-globale hanno voluto riprodurre e imporre in tutto il pianeta. Così abbiamo visto armare e dare la possibilità di agire come forze di sicurezza alle polizie municipali e locali, con una riproduzione della violenza che colpisce maggioritariamente le categorie più vulnerabili e povere».

D’altro canto il governo di López Obrador ha dato una significativa svolta alle indagini sui casi di Ayotzinapa e di Tlatlaya che stanno portando in carcere o alla sbarra militari di alto livello. Ha rotto con la gestione di Calderon e Peña Nieto, condivisa con gli Usa, del dossier crimine organizzato portando a uno scontro, tutt’altro che retorico, sia con Trump che con Biden.

LA DEA E GLI USA HANNO DECISO di intervenire con la maldestra operazione di arresto del figlio del Chapo, Garcia Luna (colui che ideò e mise in pratica la “guerra alla droga”) e soprattutto il fermo dell’ex generale e ministro della Difesa Salvador Cienfuegos. Un’intromissione che ha fatto scattare una spasmodica difesa delle forze armate proprio da parte del governo messicano. E questo nonostante il caso Garcia Luna – come fa notare Manuel Vázquez Arellano, sopravvissuto alla notte di Iguala e oggi parlamentare di Morena – mostri con evidenza come «lo Stato messicano fosse in stretta relazione con il crimine organizzato: le indagini dimostrano come Garcia Luna trattasse e difendesse gruppi del crimine organizzato e come il presidente Calderon sapesse tutto questo. Ma anche il caso Florence Cassez vede la regia occulta di Garcia Luna e mostra come ci fossero funzionari disposti a manipolare tutto ciò era in loro potere per difendere gli affari che stavano svolgendo. Osservando Garcia Luna si può vedere lo stretto legame tra Stato e narcotrafficanti». Secondo Associated Press «durante il suo mandato López Obrador ha lasciato un numero crescente di compiti all’esercito, tra cui la costruzione di opere emblematiche come il nuovo aeroporto della capitale e una linea ferroviaria nel sud del paese (il contestatissimo Tren Maya, ndr), la gestione di dogane e aeroporti civili e la distribuzione dei vaccini». Il dispositivo di legge è arrivato al voto in un momento di forte dibattito sull’operato dell’esercito, poiché il caso Ayotzinapa sta mostrando come le forze armate abbiano agito congiuntamente a gruppi del crimine organizzato, e a pezzi della politica locale, nella pianificazione e azione che ha portato alla scomparsa dei 43 studenti. E anche perché, grazie a un azione hacker, sono state rese pubbliche le isteriche operazioni di spionaggio dei militari contro attiviste e attivisti politici, le costanti violenze contro le comunità zapatiste e anche la vendita di armi tra esercito e gruppi del crimine organizzato. Ma è almeno dal massacro del 2 ottobre 1968 che in Messico ci sono campagne contro la militarizzazione del paese. Una rivista di sinistra, Porqué, nel 1972 titolava: «Senza colpo di stato in Messico il potere è dei militari».

ZAVALA RICORDA che «il problema inizia alla fine degli anni ’40 quando l’esercito iniziò ad occuparsi di campagne contro la coltivazione di droghe. Poi – prosegue – c’è una accelerazione con l’applicazione del “Plan Condor” (1975-1977) e la consistente militarizzazione del cosiddetto “triangolo dorato”, regione montuosa tra gli stati di Sinaloa, Chihuahua e Durango. La militarizzazione del paese continua poi per tutti gli anni ’80 e diventa più radicale a partire dagli anni ’90 con la nascita del Cisen – Centro di investigazione e sicurezza nazionale – e la firma di accordi internazionali con gli Usa. L’esercito è cresciuto in termini di importanza, dimensione e capacità di influire nelle dinamiche interne durante le ultime quattro decadi». Nella fotografia del potere che l’esercito ha in Messico, Zavala ricorda anche che «esiste una relazione molto complessa tra militari, economie legali e illegali e potere politico. Viviamo un processo costante di saccheggio ed espropriazione delle risorse naturali ed è il vero problema che attraversa tutti i paesi definiti dall’occidente “in via di sviluppo”. Paesi che più di altri subiscono le volontà dei grandi oligopoli transnazionali che trafficano con petrolio, gas naturale, litio, e più in generale con l’estrazione di materie prime ed energia. E cosa vediamo? Vediamo uno scontro, a volte, per il controllo di queste risorse tra stati e imprese private, ma più spesso vediamo che le risorse naturali vengono regalate alle grandi società private».

ED È PROPRIO QUI, secondo Zavala, che «si sta giocando la partita fondamentale del Messico, non nel traffico di sostanze o nella presunta guerra tra presunti cartelli. Il tema centrale è il controllo del territorio e delle risorse. Per il controllo del territorio, in Messico, si arriva a uccidere e fare violenza anche su chi fa attività sociale e si oppone allo sfruttamento di corpi e territori. È finito il tempo di pensare che politiche energetiche e di sicurezza siano due cose distinte».

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Diagramma dei nomi e rete di collegamenti per la sparizione dei 43 studenti presentato questo venerdì dal sottosegretario ai Diritti Umani, Alejandro Encinas. Foto presa dalla trasmissione.

L’ordine di far sparire i 43 studenti fu dato presumibilmente dal sindaco di Iguala José Luis Abarca

Emir Olivares y Arturo SánchezLa Jornada 26/08/2022

L’ordine di far sparire i 43 studenti da Ayotzinapa fu dato da A1 che presumibilmente sarebbe l’ex sindaco di Iguala, José Luis Abarca e da dirigenti del gruppo criminale Guerreros Unidos, in collusione con altre autorità di diversi livelli di governo.

Lo ha annunciato questa mattina il presidente della Commissione Verità e Accesso alla Giustizia (Covaj) per il caso Ayotzinapa, Alejandro Encinas, anche sottosegretario ai Diritti Umani del Ministero dell’Interno (SG).

Ai fatti avrebbe partecipato anche il comandante del 27° battaglione dell’Esercito, con base a Iguala, José Rodríguez, identificato come El Coronel, che avrebbe giustiziato gli ultimi sei studenti normalisti che erano stati trattenuti in un magazzino per diversi giorni dopo la notte del 26 e la mattina presto del 27 settembre 2014.

Partecipando questo venerdì alla mañanera del presidente Andrés Manuel López Obrador, il sottosegretario Encinas ha svelato uno schema che contiene i nomi e la rete di collegamenti avvenuta per la scomparsa dei 43 studenti della Normale. Questa informazione è stata verificata nella copia del rapporto sul caso che lo stesso funzionario ha rilasciato la scorsa settimana perché non erano stati emessi mandati di arresto contro molti dei presunti coinvolti, compresi i militari.

“Chi ha dato l’ordine (di farli sparire)? Sarebbe A1, presumibilmente José Luis Abarca; i vertici di Guerreros Unidos e in collusione con alcune altre autorità, che è ciò che fa parte dell’indagine (condotta dalla Commissione)”, ha sottolineato Encinas.

Nel rapporto si afferma: “A1 ha dato l’ordine di recuperare la merce: ‘fotteteli tutti come vi pare‘. A1 ha ordinato di far sparire tutti gli studenti perché non sanno ‘con chi hanno a che fare‘ e la piazza si sta scaldando troppo, ‘uccideteli tutti, Iguala è mia‘”.

Interrogato su dove si trovassero i normalisti o le loro spoglie, il sottosegretario ha risposto: “I ragazzi sono stati oggetto di un crudele lavorio di sparizione e si sta cercando di individuare i luoghi sulla be delle testimonianze di alcune delle persone coinvolte, perché i resti sono stati persino spostati in un altro luogo dopo la notte della scomparsa. Questi sono i problemi che stiamo analizzando”.

Ha sottolineato che non spetta alla commissione preposta, ma che spetterà alla giustizia civile e militare svolgere le indagini, formulare le accuse, le conclusioni e indirizzare tutto questo verso la verità e la giustizia – che è la richiesta centrale delle famiglie dei 43 studenti.

“Stiamo fornendo tutti i rilievi, le indicazioni e le prove alla Procura Generale, in particolare all’Unità Specializzata per il Contenzioso del Caso, loro dovranno delineare le responsabilità, questo è molto importante. Noi siamo la commissione per la verità e l’accesso alla giustizia, non siamo agenti di polizia, non siamo pubblici ministeri; stiamo fornendo tutte le informazioni che ci consentono di chiarire i fatti e sarà l’autorità stessa a definire la portata delle responsabilità”.

Ha aggiunto: “ci sono responsabilità all’interno della giustizia militare, perché non è stato applicato il protocollo di ricerca stabilito dal Ministero della Difesa Nazionale per i soldati desaparecidos, ma sarà anche l’autorità militare a prendere le decisioni”. Questo perché l’Esercito aveva infiltrato uno dei suoi elementi, Julio César López Patolzin, che è uno dei 43 studenti, perché i protocolli delle forze armate richiedono che sia tutelata l’integrità dei soldati a rischio.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/notas/2022/08/26/politica/orden-de-desaparecer-a-los-43-fue-presuntamente-de-abarca-covaj/

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MESSICO. Svolta nelle indagini sulla “sparizione” dei 43 studenti e sulla strage di Iguala nel 2014. Ribaltata la “verità storica” di Murillo Karam. Militari, agenti e malavitosi tra gli 83 arrestati

di Andrea Cegna

«Ya me cansé» (mi sono stancato) disse Jesús Murillo Karam, capo della Procura generale della Repubblica durante il governo dell’ex presidente Enrique Peña Nieto (EPN). Era il 7 novembre del 2014, durante la conferenza stampa che comunicava al Messico, e al mondo, la presunta «verità storica» sulla scomparsa di 43 studenti della scuola Normale Rurale Isidro Burgos di Ayotzinapa e l’omicidio di sei persone a Iguala la notte tra il 26 ed il 27 settembre dello stesso anno.

IL 19 AGOSTO DI 8 ANNI DOPO Jesús Murillo Karam è stato arrestato dallo stesso istituto, che ora ha cambiato – non solo formalmente – nome in Fiscalia Generale della Repubblica (Fgr). In manette sono finite altre 83 persone tra cui militari, poliziotti, e alcuni malavitosi. L’ex procuratore è stato arrestato con l’accusa di sparizione forzata, tortura e mala gestione della giustizia, nel caso “Ayotzinapa”.

Potrebbe esserci qualche legame tra l’ondata di arresti, le indagini della Fgr e i risultati dell’ultima informativa del Giei che a marzo mostrò prove scientifiche sull’infiltrazione da parte dell’esercito negli studenti di Ayotzinapa, così come della manomissione del «luogo dove i 43 sarebbero stati bruciati», ovvero la discarica di Cocula, poche ore prima dell’arrivo di Jesús Murillo Karam e di altre cariche dello stato che avrebbero poi scritto la «verità storica». Tra le carte si legge che l’ex presidente e l’ex ministro della Difesa, il militare Salvador Cienfuegos Zepeda, non sono indagati.

IL GIORNO PRIMA dell’ondata di arresti Alejandro Encinas, presidente della Commissione verità e accesso alla giustizia, ha reso note alcune conclusioni preliminari per cui sarebbe evidente, come i familiari degli studenti han detto dal primo giorno, che il caso dei 43 normalisti di Ayotzinapa è stato un crimine di Stato, che a oggi non ci sono indicazioni che siano vivi e certo che governo ed esercito ne avrebbero potuto prevenire morte.

Nella relazione presentata giovedì scorso al Palazzo nazionale in presenza dei genitori dei 43, Encinas ha insistito sul fatto che non vi è alcuna indicazione che siano vivi. Al contrario, secondo le testimonianze e le prove sarebbero stati astutamente uccisi. Invece pr il Pri, ex “partito Stato” e riferimento di Murillo Karam, «l’arresto risponde più a una questione politica che di giustizia. L’azione non dà risposte alle famiglie delle vittime».

MANUEL VÁZQUEZ ARELLANO, conosciuto come Omar Garcia, oggi deputato di Morena, nel 2014 normalista sopravvissuto al massacro di Iguala, dice che «non siamo più ai tempi di EPN, ma è chiaro che c’è qualcosa legato a lui nella vicenda. Si è mobilitato un intero Paese, non è possibile che la voce di migliaia e milioni di persone in solidarietà con il movimento di Ayotzinapa non conti nulla. Allora EPN avrebbe dovuto rinunciare al suo ruolo, oggi dovrebbe essere, almeno, chiamato a testimoniare».

Per Gilberto Lopez y Rivas, antropologo e giornalista «è difficile dare un opinione, ora, visto che i familiari si sono presi il tempo di riflettere prima di rilasciare una dichiarazione pubblica. Pare però importante che finalmente si riconosca che la notte di Iguala e la pseudo indagine conseguente furono un crimine di stato, come sempre abbiamo detto. Pare anche importante l’arresto di Murillo Karam, se questo significa che si sta indagando su tutta la catena di comando civile e militare. Solo se si avrà il coraggio di indagare fino alle più alte sfere dell’esercito e della politica si potrà aver giustizia. Per questo è molto preoccupante che l’attuale presidente dica «la ricerca della verità rafforza le istituzioni e l’esercito», non è molto responsabile che si continui a difendere le forze armate che per decenni hanno vissuto nell’impunità.

PER FEDERICO MASTROGIOVANNI, giornalista autore di Ni Vivos Ni Muertos, «è una svolta interessante perché Murillo Karam non è un quadro intermedio e questo fa pensare che finalmente si stia facendo sul serio, non è usuale che in Messico venga arrestato un personaggio della sua caratura. Soprattutto per i capi di accusa per cui è stato arrestato».

Il Manifesto, 21/08/2022 https://ilmanifesto.it/ayotzinapa-fu-crimine-di-stato-in-manette-lex-procuratore

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La Giunta di Buon Governo del Caracol 10 Patria Nueva e Le Brigate Civili di Osservazione avvertono del rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio Zapatiste a Nuevo San Gregorio, Chiapas, Messico

Firma l’azione urgente: https://frayba.org.mx/220511_au06

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Messico: esercito coinvolto nella strage di Ayotzinapa

Lo denuncia il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti (Giei) che indaga sul caso della sparizione forzata dei 43 normalistas

a cura di Radio Onda d’Urto

Lunedì 28 marzo il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti che indagano sul caso della sparizione forzata dei 43 di Aytozinapa ha mostrato le prove di come elementi della Marina Militare abbiano inquinato le prove sulle tracce dei giovani ragazzi intervenendo nella discarica di Cocula. Ieri, martedì 29 marzo, il presidente messicano Andreas Manuel Lopez Obrador ha dichiarato “l‘inchiesta sui 43 normalisti è ancora aperta ed è un impegno dell’attuale governo far conoscere ciò che è loro accaduto”. Il presidente ha detto anche che dopo aver visionato il video ha dato l’istruzione di indagare sugli allora capi del corpo militare.

L’informativa dice anche che l’esercito messicano aveva infiltrato i giovani della scuola Normale Rurale di Ayotzinapa e che quindi, anche la lotte tra il 26 e 27 settembre 2014, stavano monitorando gli spostamenti dei giovani. L’esercito sapeva. L’esercito è stato parte dell’operativo.

Il GIEI ha evidenziato che con l’inizio del governo di Andrés Manuel López Obrador sono stati rilevati documenti che hanno evidenziato come la passata amministrazione ha cercato di delegittimare e limitare le indagini. Le famiglie dei 43 normalisti di Ayotzinapa hanno chiesto l’apertura di un’indagine contro il Segretario alla Difesa Nazionale, la Marina e l’ex presidente Enrique Peña Nieto per la scomparsa degli studenti nel 2014. Per il Gruppo interdisciplinario di Esperti indipendenti “per avanzare nel caso è necessario il pieno accesso alle informazioni e lasciare il formalismo al formalismo che ostacola e ritarda” e aggiunge “22 persone che potrebbero aver avuto informazioni sul caso sono morte; solo due di morte naturale. Il ruolo della criminalità organizzata nel caso non può essere ignorato”.

Angela Buitrago, del GIEI, ha detto, che ci sono stati tre momenti chiave nell’inuqinamento delle prove nel caso della scomparsa dei 43 normalisti, “le autorità hanno omesso e modificato le informazioni per nascondere ciò che sapevano. Ad esempio, si decide di catturare le persone come possibili autori e sulla base di questi arresti viene elaborata una versione dei fatti”.

Mario González, padre de César Manuel González Hernández, in conferenza stampa ha dichiarato “vorrei dirvi che le istituzioni hanno giocato con noi: ci hanno fatto firmare un decreto presidenziale a dicembre in cui ci hanno promesso di consegnare tutte le informazioni che c’erano sul caso Ayotzinapa, ci hanno fatto andare al 27° Battaglione sapendo che non avremmo trovato niente. Come non arrabbiarsi, se dopo tre anni escono informazioni che avrebbero dovuto essere consegnate in quel momento? Come non essere arrabbiati se non sappiamo nulla dei nostri figli?”

Un estratto della conferenza stampa dei genitori dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa Ascolta o scarica https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2022/03/estrettao-conferenza-stampa-gr13.mp3

(*) Link all’articolo originale: https://www.radiondadurto.org/2022/03/30/messico-il-giei-denuncia-le-compromissioni-nellesercito-nella-scomparsa-dei-43-studenti-di-ayotzinapa/

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Sono onorato di presentarvi questo libro digitale che ho scritto in spagnolo l’estate scorsa, e che è appena stato pubblicato grazie al lavoro paziente della compagna valenciana Lola Cubells. Onorato per varie ragioni: perché è uno dei 27 volumi dell’iniziativa “Al faro zapatista” scritti in occasione del Viaggio per la vita attraverso il quale abbiamo poi ospitato le delegazioni zapatiste, perché dietro c’è il silenzioso lavoro di revisione di brave compagne, perché nel comitato editoriale c’è anche un certo John Holloway, perché sto accanto a nomi di persone che hanno studiato e agito molto più di me e scritto cose molto più importanti, perché scrivere mi ha consentito di rielaborare quel che so dell’autonomia zapatista, della vecchia autonomia operaia italiana e del rapporto ideale che c’è tra esse, perché è un libro “hecho en Chiapas” (dato che non ci vado da tanti anni, un modo particolare di tornarci), perché mi piace pensare che Paola e Gianfranco ne sarebbero stati fieri, perché dentro c’è la storia di tante e tanti di noi.

Il progetto editoriale prevedeva tre filoni, dei quali ne ho scelti due: l’apporto teorico-politico dello zapatismo e come ci ha ispirato nelle nostre pratiche. La proposta mi ha costretto a condensare in una cinquantina di pagine alcune idee che ho maturato in questo ventennio di vita politica adulta dentro Ya Basta!

Non sarà ineccepibile né incontestabile, ma è un po’ di quello che ho capito io, se ci ho capito qualcosa.

Il link per scaricarlo gratuitamente è QUI

Buona lettura a chi vuol leggerlo.

Daniele Di Stefano

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COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA

Messico

NON CI SARÀ PAESAGGIO DOPO LA BATTAGLIA

(Sull’invasione dell’Ucraina da parte dell’esercito russo)

2 marzo 2022

Ai firmatari della Declaración por la Vida:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Compañer@s y herman@s:

Esprimiamo il nostro pensiero e parole su quanto sta accadendo attualmente nella geografia che chiamano Europa:

PRIMO.- C’è un aggressore, l’esercito russo. Ci sono interessi dei grandi capitali in gioco, da entrambe le parti. Coloro che ora patiscono i deliri di alcuni ed i subdoli calcoli economici di altri, sono i popoli di Russia e Ucraina (e, forse presto, quelli di altre geografie vicine o lontane). Da zapatisti quali siamo, non sosteniamo l’uno o l’altro Stato, ma piuttosto coloro che lottano per la vita contro il sistema.

Durante l’invasione multinazionale dell’Iraq (quasi 19 anni fa) guidata dall’esercito americano, ci furono mobilitazioni in tutto il mondo contro quella guerra. Nessuno sano di mente allora pensava che opporsi all’invasione fosse mettersi dalla parte di Saddam Hussein. Ora è una situazione simile, anche se non la stessa. Né Zelensky né Putin. Fermate la guerra.

SECONDO.- Diversi governi si sono allineati da una parte o dall’altra, facendolo su calcoli economici. Non vi è alcun valore umanistico in loro. Per questi governi e i loro “ideologi” ci sono interventi-invasioni-distruzioni buone e ce ne sono di cattive. Le buone sono quelle portate avanti dai loro affini, e le cattive sono quelle perpetrate dai loro opposti. Il plauso all’argomento criminale di Putin per giustificare l’invasione militare dell’Ucraina, si trasformerà in lamento quando, con le stesse parole, si giustificherà l’invasione di altri popoli i cui processi non sono di gradimento al grande capitale.

Invaderanno altre geografie per salvarli dalla “tirannia neonazista” o per porre fine ai “narco-stati” vicini. Ripeteranno quindi le stesse parole di Putin: “dobbiamo denazificare” (o il suo equivalente) ed abbonderanno di “ragionamenti” di “pericoli per i propri paesi”. E poi, come ci dicono le nostre compagne in Russia: “Le bombe russe, i razzi, le pallottole volano verso gli ucraini senza chiedere le loro opinioni politiche e la lingua che parlano”, ma cambierà la “nazionalità” delle une e delle altre.

TERZO.- I grandi capitali e i loro governi “occidentali” sono rimasti in poltrona a contemplare – e persino incoraggiare – la situazione che si stava deteriorando. Poi, una volta iniziata l’invasione, hanno aspettato di vedere vedere se l’Ucraina avrebbe resistito, calcolando ciò che si poteva trarre da un risultato o dall’altro. Poiché l’Ucraina resiste, si cominciano ad emettere fatture per “aiuti” che verranno riscosse in seguito. Putin non è l’unico ad essere sorpreso dalla resistenza ucraina

I vincitori di questa guerra sono le grandi industrie degli armamenti e i grandi capitali che vedono l’opportunità di conquistare, distruggere/ricostruire territori, ovvero, creare nuovi mercati di merci e di consumatori, di persone.

QUARTO.- Invece di rivolgerci a quello che diffondono i media e i social network delle rispettive parti – che entrambe presentano come “notizie” – o alle “analisi” nell’improvvisa proliferazione di esperti di geopolitica e nostalgici del Patto di Varsavia e della NATO, abbiamo cercato e chiesto a coloro che, come noi, sono impegnati nella lotta per la vita in Ucraina e in Russia.

Dopo diversi tentativi la Commissione Sexta Zapatista è riuscita a mettersi in contatto con i nostri parenti di resistenza e ribellione nelle geografie che chiamano Russia e Ucraina.

QUINTO.- In breve, questi nostri parenti, che oltretutto sventolano la bandiera della @ libertaria, sono decisi: in resistenza quelli che sono nel Donbass, in Ucraina; e in ribellione coloro che percorrono e lavorano per le strade e i campi della Russia. In Russia ci sono arrestati e pestati per aver protestato contro la guerra. In Ucraina ci sono assassinati dall’esercito russo.

Li unisce tra loro, e loro con noi, non solo il NO alla guerra, ma anche il rifiuto di “allinearsi” con i governi che opprimono la loro gente.

In mezzo alla confusione e al caos da entrambe le parti, le loro convinzioni restano salde: la loro lotta per la libertà, il loro ripudio dei confini e dei loro Stati Nazione e le rispettive oppressioni che cambiano solo bandiera.

Il nostro dovere è sostenerli al meglio delle nostre possibilità. Una parola, un’immagine, una melodia, una danza, un pugno alzato, un abbraccio – anche da geografie lontane – sono un sostegno che animerà i loro cuori.

Resistere è persistere ed è prevalere. Sosteniamo questi parenti nella loro resistenza, cioè nella loro lotta per la vita. Lo dobbiamo a loro e lo dobbiamo a noi stessi.

SESTO.- Per quanto sopra, invitiamo la Sexta nazionale e internazionale che non l’ha ancora fatto, secondo i propri calendari, geografie e modi, a manifestare contro la guerra e a sostegno di ucraine e ucraini e di russe e russi che lottano nelle loro geografie per un mondo con libertà.

Nello stesso tempo, invitiamo ad appoggiare economicamente la resistenza in Ucraina attraverso i numeri di conto corrente che ci indicheranno a suo tempo.

Da parte sua, la Commissione Sexta dell’EZLN sta inviando un piccolo aiuto a quanti, in Russia e Ucraina, combattono la guerra. Sono stati inoltre avviati contatti con i nostri parenti in SLUMIL K´AJXEMK´OP per creare un fondo economico comune per sostenere coloro che resistono in Ucraina.

Senza doppiezze, gridiamo e invitiamo a gridare ed esigere: Fuori l’Esercito Russo dall’Ucraina.

-*-

Se continua e, come prevedibile, cresce, forse poi non ci sarà nessuno a rendere conto del paesaggio che resterà dopo la battaglia.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés SupGaleano

Commissione Sexta dell’EZLN

Marzo 2022

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/03/03/no-habra-paisaje-despues-de-la-batalla/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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STOP ALLA REPRESSIONE DEI POPOLI ORIGINARI IN MESSICO

Al popolo del Messico.

Ai popoli del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Ai mezzi di comunicazione.

Denunciamo che il 15 febbraio intorno all’1:20, le forze repressive del malgoverno, composte da elementi della Guardia Nazionale, la polizia di stato di Puebla e la polizia municipale di Juan C. Bonilla, hanno invaso e smantellato gli spazi di resistenza e organizzazione della Casa de los Pueblos Altepelmecalli, spazio culturale e politico autonomo che fino al 22 marzo 2021 è stato lo stabilimento fisico della società Bonafont, azienda transnazionale che da anni ruba e sovrasfrutta le falde acquifere della regione di Cholulteca.

Condanniamo fermamente l’escalation repressiva che viene dalle viscere del governo della capitale, che si fa chiamare 4T, contro la resistenza e la lotta per la vita delle nostre sorelle e fratelli dei Pueblos Unidos della regione di Cholulteca e dei Vulcani che, sostenendo la difesa della vita collettiva, ha trasformato questo focolaio di morte in uno spazio di incontro e di scambio nel mezzo della determinazione di imporre il Progetto Integrale Morelos a Morelos, Puebla e Tlaxcala, che prevede un gasdotto attraverso il territorio dei popoli dei Vulcani, dove germoglia la speranza fatta di ribellione e di antiche e nuove forme di organizzazione.

Ci dichiariamo in allerta di fronte alla possibile persecuzione dei fratelli e delle sorelle della Casa de los Pueblos Altepelmecalli e consideriamo il governo federale responsabile dell’utilizzo del suo gruppo armato chiamato Guardia Nazionale per intensificare la guerra del denaro contro la vita. Lo riteniamo responsabile della tutela delle imprese dell’azienda Bonafont che spossessa, monopolizza, privatizza e trae profitto in modo immorale dall’acqua dei nostri villaggi, dove subiamo l’emergere di doline e il prosciugamento di pozzi, sorgenti, fiumi e i flussi, come è il caso del fiume Metlapanapa, che il Fronte popolare della regione di Cholulteca e dei Vulcani ha difeso dallo sfruttamento e dalla contaminazione a beneficio dei corridoi industriali.

Denunciamo l’offensiva repressiva del malgoverno neoliberista messicano contro le nostre compagne e compagni che, dalle loro geografie, alzano la bandiera dell’organizzazione del basso per chiamarci a combattere per la vita, CONDANNIAMO:

  1. L’omicidio del compagno Francisco Vázquez, presidente del consiglio di vigilanza dell’ASURCO, che ha alzato la voce contro il furto dell’acqua dagli ejidos della regione di Ayala per il funzionamento della centrale termoelettrica di Huexca, Morelos.
  2. La criminalizzazione del popolo Otomí e del compagno Diego García da parte del titolare di quell’oscura istituzione del malgoverno che chiamano INPI, che serve come organismo replicante dell’indigenismo e per il controllo clientelare nelle nostre comunità, istituzione che aveva i suoi uffici in quella che oggi è la Casa de los Pueblos Samir Flores Soberanes.
  3. La persecuzione contro il Consiglio Supremo Indigeno di Michoacán, viste le sue recenti mobilitazioni contro il disprezzo, il razzismo e l’espropriazione e per la rimozione dell’oltraggioso monumento noto come Los Constructores a Morelia, Michoacán.
  4. L’indifferenza e la complicità criminale della Guardia Nazionale di fronte alle violenze in Guerrero, mentre i cartelli della droga attaccano le comunità del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata che si oppongono ai megaprogetti estrattivi e denunciano la complicità dei governi con i gruppi narco-paramilitari, assassinando e facendo sparire i nostri fratelli.
  5. La militarizzazione dell’Istmo di Tehuantepec per imporre il megaprogetto del Corridoio Interoceanico Salina Cruz-Coatzacoalcos, nonché l’occupazione illegale delle terre delle nostre comunità per tale progetto, come avviene con la comunità binnizá di Puente Madera, appartenente ai beni comunali di San Blas Atempa, Oaxaca.
  6. L’uso della Guardia Nazionale e dei gruppi armati degli stati e dei municipi per reprimere gli studenti delle scuole rurali normali di Ayotzinapa, Tiripetío e Mactumatzá che protestano per chiedere giustizia e migliori condizioni per le loro scuole.

Riteniamo il governo federale del Messico responsabile di questa escalation repressiva contro i nostri popoli e chiediamo che cessino le azioni della Guardia Nazionale e delle forze di polizia contro coloro che si oppongono allo sfruttamento-distruzione della natura e all’esproprio dei territori, patrimonio comunitario dei popoli originari, per imporre i progetti di morte promossi dallo Stato Messicano.

Invitiamo i popoli, le nazioni e le tribù indigene del Messico, così come le organizzazioni e i gruppi alleati, a vigilare su questa ondata di repressione neoliberista annunciata dal governo capitalista di questo paese attraverso l’accordo pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Federazione il 22 novembre 2021, che dichiara i progetti e le opere del governo federale di interesse pubblico e sicurezza nazionale come pretesto per utilizzare le sue forze armate contro quei popoli che si oppongono allo spossessamento e alla distruzione senza precedenti del territorio messicano.

Invitiamo le persone, i gruppi, i collettivi, le organizzazioni e i movimenti nei territori di SLUMIL K´AJXEMK´OP (nota anche come “Europa”) a mobilitarsi e pronunciarsi contro la transnazionale Bonafont-Danone – con sede in Francia – e le rappresentanze dell’attuale governo federale messicano in Europa.

Per la Vita!

Solidarietà e sostegno ai popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno!

Distintamente.

16 febbraio 2022

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Commissione Sexta

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2022/02/16/alto-a-la-represion-en-contra-de-los-pueblos-originarios-en-mexico/

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Messico: cartografia della guerra

Raúl Romero* / I

Visualizzate una mappa del Messico. A nord si trova il Corridoio Logistico e Industriale del Trattato tra Messico, Stati Uniti e Canada. Sebbene le informazioni pubbliche al riguardo siano ancora scarse e imprecise, Caxxor Group ha già riferito che sta cercando di costruire e modernizzare porti, parchi industriali e una ferrovia come parte di questo corridoio. Il porto di Mazatlán, in Sinaloa, si trasformerebbe in un nodo che collegherebbe la costa dell’Asia con quella messicana. L’informazione si completa con i piani annunciati dalla fusione tra Canadian Pacific Railway e Kansas City Southern, che prevedono di collegare per 32mila chilometri di ferrovia Canada, Stati Uniti e le città messicane di Matamoros, Monterrey, Città del Messico e Veracruz, tra altre.

In questa mappa che state visualizzando, collocate ora il Progetto Integrale Morelos che include un gasdotto, un acquedotto e due centrali termoelettriche in pieno territorio vulcanico, negli stati di Puebla, Morelos e Tlaxcala. Anche al centro del paese, nello stato del Messico, metteteci l’Aeroporto Internazionale Felipe Ángeles.

Negi stati di Oaxaca e Veracruz mettete un treno, un’autostrada e due porti come parte del Corridoio Interoceanico che vuole unire via terra l’Oceano Pacifico con l’Oceano Atlantico. Molto vicino a qui, proprio di fianco a Veracruz, collocate anche la nuova raffineria a Dos Bocas, in Tabasco. Non dimenticate di tracciare, in Chiapas, Campeche, Yucatan, Quintana Roo e Tabasco il Tren Maya, con le sue strade ed il suo aeroporto.

Attorno a tutti questi progetti e megaprogetti visualizzate gli effetti della costruzione o modernizzazione, così come di quelli di esercizio, di hotel, bar, ristoranti, parchi eolici, miniere, allevamenti di maiali, birrerie, fabbriche componentistiche (maquilas), corridoi industriali, centri logistici, imprese energetiche e molto altro.

Su questa stessa mappa, ora collocate i gruppi del crimine organizzato, quelli presenti a livello nazionale, come il cartello di Sinaloa e quello di Jalisco Nueva Generación, o quelli con presenza nei singoli Stati o regioni, come gli scissionisti di Los Zetas, del Golfo, i Caballeros Templarios, la Familia Michoacana, o quello di Santa Rosa de Lima, l’Unione Tepito, Los Rojos, Los Ardillos

In questa stessa geografia, identifichi i più di 4.806 fosse clandestine come rifportato ad ottobre 2021 da Karla Quintana, incaricata nazionale per la ricerca di persone scomparse, ubicate praticamente tutta la nazione, ad eccezione di Querétaro e Città del Messico (https://bit.ly/3KI9U4S). Includete anche i dati del Registro Nazionale delle Persone Scomparse o non Localizzate: 97.306 persone in tutto il Messico. Osservate in particolare Jalisco, Tamaulipas e lo stato del Messico, dove si registra il maggiore numero di casi. Qui metteteci anche gli oltre 43 uomini e donne giornalisti assassinati dal dicembre 2018 a luglio 2021 e riconosciuti dal Ministero degli Interni (https://bit.ly/3o7JXSD). Includete i sei giornalisti che sono stati assassinati da allora, compresi Margarito Martínez e Lourdes Maldonado.

In questa cartografia della guerra, mettete anche le 68 persone attiviste dei diritti umani assassinate dal dicembre 2018, la maggioranza di loro, attivisti ambientali. Inoltre, includete i femminicidi e transfemminicidi.

Se volete aggiungere maggiori dettagli nella cartografia, metteteci anche la città prigione per le persone migranti in Tapachula, o le regioni con presenza di gruppi paramilitari e narcoparamilitari che tutte le settimane attaccano comunità indigene, come a Nuevo San Gregorio, nel Chiapas Zapatista, o nella Montaña Baja di Guerrero. Potete anche contrassegnare gli stati con politici denunciati per agire in coordinamento con imprese estrattive o con il crimine organizzato. O quelli dove si sottraggono o inquinano le riserve di acqua dolce o dove si disboscano le foreste.

Il capitalismo neoliberista che in Messico ha raggiunto le sue espressioni più rappresentative nei megaprogetti infrastrutturali, energetici ed estrattivi, così come nelle economie criminali, non è solo eredità del passato, ma prosegue vigente ed in espansione.

Se voi come me siete stati colti dalla disperazione dopo aver abbozzato questa cartografia, ne avete tutte le ragioni, le cose non vanno bene e non dobbiamo ingannarci. Ma non dimenticate anche che in queste stesse geografie possiamo tracciare una cartografia della resistenza e della speranza. Molto altro nella seconda parte.

* Sociólogo

Twitter: @RaulRomero_mx

Fonte: La Jornada https://www.jornada.com.mx/2022/02/06/opinion/013a2pol

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Intervista a Pedro Faro, coordinatore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé De Las Casas sulla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida”

In Messico la violenza è diffusa da nord a sud, da est a ovest. Uno degli ultimi stati dove la violenza è esplosa è il Chiapas, che nel 1994, dopo la rivolta zapatista è stato lo stato messicano più militarizzato di sempre e ha vissuto il dramma della paramilitarizzazione negli anni seguenti. Ora il Chiapas ha subito un percorso di re-militarizzazione tramite lo schieramento di migliaia di uomini della Guardia Nazionale schierati al confine in chiavi anti-migranti e sta vivendo un ritorno degli attori del paramilitarismo che ora si mettono al soldo dei gruppi del crimine organizzato che quasi sempre rispondono a loro volta agli interessi dell’economia e della politica.

Per capirne di più abbiamo intervistato (assieme a Radio Onda d’Urto, con la preziosa traduzione di Annamaria Pontoglio del Comitato Maribel di Bergamo) Pedro Faro, coordinatore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas.

Pedro, grazie di essere con noi. A settembre l’EZLN ha scritto un comunicato parlando di uno stato di guerra civile in Chiapas. E’ così?

Come riporta la denuncia del Subcomandante Galeano, nel comunicato intitolato “Chiapas sull’orlo della guerra Civile”, la situazione che stiamo vivendo è assolutamente reale. In base alla documentazione da noi raccolta, la violenza in Chiapas è esplosa e la situazione molto critica sta generando condizioni di violenza profonde. Questo è dovuto a diversi fattori, primo fra tutti l’assenza dello Stato e l’ingovernabilità, per cui lo Stato sta permettendo a gruppi legati al crimine organizzato e a gruppi paramilitari di esercitare le loro azioni criminali nei territori in cui vivono i popoli originari e in diverse città dello stato del Chiapas. Stiamo constatando una crisi della situazione dei diritti umani evidenziata dagli sgomberi forzati: ci sono circa 14.776 persone sfollate vittime di sgomberi forzati completamente abbandonate dallo Stato Federale e da quello locale che non forniscono loro alcuna assistenza. E questo viola gravemente i diritti umani di questi uomini, donne e bambini, con un impatto pesante a livello psicologico e stravolgendo la vita e la cultura delle comunità indigene che vivono ormai in uno scenario di guerra. Il caso più evidente è quanto succede nel Municipio di Aldama, situato negli Altos del Chiapas, che subisce la persistente aggressione contro due sue comunità da parte di un gruppo paramilitare proveniente dalla zona di Santa Marta Chenalhó. Abbiamo verificato che la presenza dello Stato è assolutamente insufficiente e non disattiva questa violenza che tiene nel terrore l’intera popolazione. La situazione più critica è in Aldama, ma questo avviene anche a Chalchihuitán, Pantelhó, Simojovel ed in altre zone nea nord dello stato come a Chilón dove ci sono molti sfollati.

Come si esercita questo clima nei territori rurali ed indigeni?

Questa violenza viene esercitata sulle terre recuperate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazione (EZLN) con la sollevazione armata del 1994, che sono territori sotto il controllo dell’EZLN dove le comunità stanno costruendo la loro autonomia, il loro governo alternativo, antisistemico e anticapitalista, dove si è creato un meccanismo di giustizia molto più legato alla comunità, con proprie forme di governo e amministrazione costruite in questi 28 anni di resistenza dell’EZLN.

Ed ora di fronte a questa deliberata azione dello Stato di permettere a questi gruppi armati di agire impunemente nei territori dove vivono i popoli zapatisti che costruiscono la loro autonomia, arrivano nuove denunce da parte del Frayba ma anche da altre organizzazioni nazionali e internazionali, relative alla comunità di Nuevo San Gregorio e Moisés Gandhi, dove i gruppi criminali vogliono sottrarre territori che appartengono all’EZLN per diritto legittimo a partire dalla sollevazione del 1994 e dove continua a costruire e generare un processo molto importante che evidenzia come sia possibile vivere con un governo e un modo diverso dal sistema capitalista.

Questo come si inserisce nella storia recente del Messico?

Come viene evidenziato sui mezzi di comunicazione e da diverse analisi sul Messico negli ultimi decenni, stiamo vivendo in una situazione molto critica della violenza con quasi 95.000 desaparecidos ed oltre 300.000 omicidi vincolati al crimine organizzato. Noi abbiamo verificato il legame con il governo nei territori in cui si verificano le sparizioni forzate e gli omicidi. Esiste una trilogia del male tra gruppi criminali, le imprese ed i governi complici che generano le situazioni qui esposte che provocano gravi violazioni dei diritti umani della popolazione civile in Messico. Il Chiapas per molto tempo era rimasto fuori dal circolo della violenza estrema, ma in questo ultimo anno si è registrata una crisi della sicurezza con aumento della violenza in alcuni municipi dove si verificano scontri tra cartelli e gruppi criminali locali per il controllo del territorio e l’infiltrazione nelle istituzioni, così come la proliferazione di diversi attori oscuri che operano in impunità in varie zone del territorio chiapaneco. L’insicurezza e la dinamica della violenza in questi municipi ha generato situazioni di emergenza anche nelle zone di frontiera, come la situazione migratoria molto critica, che ha generato aumento di crimini associati al traffico illegale di esseri umani, narcotraffico, estorsioni, traffico illegali di armi. Questa conflittualità permanente socio-politica che presenta molti fattori legati anche al territorio, ha costi umani e sociali molto alti.

Pedro, che rapporto vedi tra crimine organizzato, politica ed economia?

C’è una violenza strutturale che deriva dal potere politico ed economico fondato sull’emarginazione ed esclusione storica delle comunità indigene e dei popoli originari, come se al governo messicano non importasse nulla nonostante anche il cambio di governo ora con Manuel Lopez Obrador. E nemmeno gli importano le cause di questa violenza, come neppure riconoscere le proprie responsabilità ed agire per disattivare questa violenza e consentire la pace in Chiapas. C’è un continuum con i governi precedenti e questo governo di MORENA [coalizione dei partiti al governo – N.d.T.] che governa sia a livello federale che statale, e non ci sono evidenze di cambiamenti nei confronti dei popoli originari e delle comunità indigene. Si percepisce invece una continuità ed una profonda discriminazione. La popolazione continua ad essere considerata sacrificabile, soprattutto la popolazione indigena che disturba i piani dei governi locali, statali e federale e gli interessi economici di gruppi armati criminali e imprese. Attualmente la maggioranza della violenza in Chiapas è legata a questi interessi criminali sul territorio che operano grazie a vincoli col governo che ora sono molto riconoscibili all’interno dell’apparato statale. L’aumento delle rotte criminale e del giro di affari di traffico di armi, auto rubate, narcotraffico, tratta di persone, pornografia, locali clandestini, sono vincoli di interesse comune tra criminalità, governo e imprese.

Uno dei nodi dello stato è senza dubbio la questione migratoria. Ci fai una fotografia della questione?

Negli ultimi anni si è denunciato una politica molto restrittiva dei diritti nei riguardi della popolazione migrante, soprattutto verso i richiedenti asilo, protezione internazionale e sanitaria. L’immigrazione è molto aumentata a causa della violenza, della povertà estrema, del cambio climatico, e originata anche da crisi economiche e dalla pandemia di COVID-19 che ha creato situazioni di difficoltà estreme per a sopravvivenza di questa gente nei propri paesi di origine. Per molte famiglie la sola alternativa è stata emigrare e cercare migliori condizioni di vita, che è un diritto alla migrazione, alla mobilità di ogni persona. Come risposta i governi sia di Cento America che del Messico hanno irrigidito le loro operazioni per fermare la migrazione e la mobilità delle persone con azioni di razzismo, discriminazione, un uso massiccio della forza e violando l’accesso alla giustizia e commettendo crimini vincolati con gruppi criminali. C’è stato un aumento esponenziale di arresti e deportazioni con numeri record: solo nel 2020 e fino agosto 2021 si sono registrati 148.903 arresti e 65.799 deportazioni. A fine anno questi numeri saranno molti di più. I luoghi di detenzione sono le stazioni migratorie dove non esiste alcun accesso ai servizi, ad una giusta difesa perché sono luoghi di detenzione, soprattutto per le persone che non parlano spagnolo, dove si commettono atti di tortura, omicidi, situazioni molto critiche, in particolare nella Estacion Migratoria (Siglo XXI) a Tapachula, che abbiamo visto essere un ghetto, un luogo di sterminio. A parte questo, il governo messicano ha rafforzato la militarizzazione ed i posti di controllo alla frontiera con l’Esercito Messicano e la Guardia Nazionale che per il 90% è formata da soldati dell’esercito. La situazione più grave si è verificata poche settimane fa quando un gruppo di circa 150 migranti si trovava in un camion che ha subito un incidente e 56 persone sono morte. Questo evento ha messo in luce la complicità dell’Istituto di Migrazione con questi gruppi criminali dediti alla tratta di persone che, come abbiamo visto, è uno dei giri d’affari criminali che genera più profitti. La politica migratoria in Messico continua ad essere deplorevole e a non dare risposte alla popolazione migrante che necessita di esercitare il diritto alla mobilità, come tutti noi, o come dovrebbe essere in termini umanitari e di diritti umani.

Il FrayBa ed altre organizzazioni hanno lanciato una campagna chiamata “Nuestra Lucha es Por La vida” a supporto dell’EZLN ci spieghi come funziona?

L’anno scorso si sono intensificate le aggressioni contro gli zapatisti, contro l’EZLN, in diversi territori in cui è in corso la costruzione permanente della loro autonomia e l’esercizio della libera autodeterminazione in quanto popoli originari. La situazione è critica. Diverse organizzazioni aderenti alla Sesta Dichiarazione dell’EZLN si sono unite alla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida”, che è una frase che i compagni zapatisti hanno ricavato in ognuna delle loro azioni politiche per la difesa del proprio territorio, per la difesa della madre terra. È per questo che diverse organizzazioni internazionali, nazionali e statali ci siamo unite a questa campagna permanente per evidenziare questa situazione di aggressioni contro i territori zapatisti, in particolare ora a Nuevo San Gregorio che attualmente è assediato da un gruppo denominato “Los 40 invasores” che aggredisce le persone ed occupa il loro territorio. In questa situazione, la Rete AJMAQ insieme ad altre organizzazioni aderenti alla Sexta hanno realizzato una Carovana di Solidarietà ed hanno prodotto una serie di rapporti che documentano in maniera molto puntuale il meccanismo di violenza che viene esercitata da questo gruppo di scontro che gode dell’impunità del governo locale, statale e federale che in questo modo compie azioni di contrainsurgencia nel territorio che appartiene all’EZLN.

Per questo chiediamo la vostra attenzione e di aderire alla campagna “Nuestra Lucha Es Por La Vida” con azioni sui social da ognuna delle vostre trincee, secondo il proprio modo di agire, per denunciare e far sì che questi territori in cui lottano i nostri compagni zapatisti siano liberati dalla violenze e tornino sotto il controllo dei compagni zapatisti.

Le azioni che si possono fare sono video, azioni di fronte alle ambasciate del Messico per chiedere che si rispetti il diritto all’autonomia ed alla libera autodeterminazione dei popoli originari in Messico, delle comunità zapatiste, per il rispetto del territorio e della madre terra. https://www.olaamericana.info/2022/01/25/intervista-a-pedro-faro-coordinatore-del-centro-dei-diritti-umani-fray-bartolome-de-las-casas-sulla-campaga-nuestra-lucha-es-por-la-vida/

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Di Andrea Cegnahttps://www.olaamericana.info/2022/01/29/messico-non-si-uccide-la-verita-uccidendo-giornalisti/

I due omicidi in sei giorni a Tijuana hanno lasciato il segno. Non è facile trovare voci che abbiano voglia di parlare, non è semplice trovare commenti e racconti del clima che si vive nella città di frontiera. Seppure la violenza in città resta un dato di fatto e di continuità qualcosa è cambiato dopo i colpi di pistola contro Lourdes Maldonado. Dal 2000 ad oggi sono 148 i giornalisti uccisi nel paese per cui è possibile presumere che il movente dell’omicidio sia legato al proprio lavoro. 136 sono gli uomini uccisi, 12 donne. 28 sono stati uccisi sotto il governo dell’attuale presidente Andres Manuel Lopez Obrador, 47 durante il governo del suo predecessore, Enrique Pena Nieto. A livello statale 31 sono stati uccisi in Veracruz, di questi 18 sotto il governatore Javier Duarte (dicembre 2010 – novembre 2016). Luis Hernandez Navarro, capo opinionista de La Jornarda, ricorda che “il Messico è un paese consumatore, produttore, e di transito per quanto riguarda la droga. Qui l’impresa criminale rappresenta il 10% del prodotto interno lordo, di questo totale il 40% è creato dal traffico di droga, attività combinata con il traffico di persone, il furto di mezzi di locomozione, il subaffitto di appartamenti, la pirateria e l’estorsione nel senso più ampio della parola. Questo implica che più di 60mila milioni di dollari provengono direttamente dal traffico e vendita di droga. Almeno mezzo milione di persone lavora nella filiera criminale. Attorno a tutto ciò c’è un sistema di lavaggio di denaro attraverso diverse forme d’impresa e tutto ciò si regge su reti di complicità molto ampie a cui partecipano l’esercito, la polizia, notai, impresari, politici ecc ecc”. Navarro prosegue “i giornalisti e le giornaliste quindi sono un ostacolo per queste reti criminal-politiche poiché molto spesso documentano i crimini che vengono commessi e mostrano la trama criminale a cui partecipano direttamente i grandi signori dell’economia e della politica”. Un giovane giornalista tijuanense, costretto dalla sindemia a fare altri lavori, trova il coraggio di parlare “penso che essere giornalista è pericoloso in tutte le parti del mondo ma in Messico, con i fatti dell’ultima settimana – soprattutto a Tijuana – è molto pericoloso”. Il clima in città è molto complesso infatti “a Tijuana il sistema di giustizia non funziona. Solo in questo inizio di 2022 ci sono state almeno 100 persone uccise e almeno nel 90% dei casi non ci sono responsabili. Di fatto sembra molto facile uccidere qui a Tijuana senza finire processati. Il nostro lavoro è trovare la verità, rendere pubbliche bugie e corruzione, ma questo è un paese corrotto, se si molestano gli interessi di alcune persone e visto che è provato che negli anni i colpevoli non vengono consegnati alla giustizia allora succede che ti ammazzano. E’ abbastanza allarmante e ci si rendiamo conto che anche se si è nei gruppi di protezione dello stato, anche se si grida di essere in pericolo, ti ammazzano lo stesso. E’ abbastanza triste, io sono molto triste e provato” racconta. La violenza in Messico si è fatta strutturale e le aggressioni ai giornalisti si intrecciano con le aggressioni sistematiche che si vivono. “In Messico ogni giorno vengono uccise 11 donne e ogni 38 ore una donna che lavora come giornalista o nell’ambito della comunicazione viene violentata” dice Amaranta Cornejo, ricercatrice universitaria “ma le cifre, se pur spaventose e terrificanti, non ci devono far fermare alla tragedia della vita troncata e neppure a ciò che colpisce le persone vicine alla persona assassinata, dobbiamo vedere come agisce più in profondità. Non si uccide la verità uccidendo giornalisti diciamo noi in Messico perchè le aggressioni non colpiscono solo chi viene colpito direttamente ma tutta la società, perchè generano di fatto il silenzio. Gli omicidi di giornaliste/giornalisti/comunicatori sono uno specchio in più della de-scomposizione sociale e politica. Dobbiamo capire seriamente chi ha realizzato il crimine perchè non si può cadere nella narrativa “che è sempre colpa del crimine organizzato”, questa è uscita semplicistica perchè sappiamo che viviamo in un paese dove esiste una collusione tra i criminali, i poteri economici e lo stato”. In questo clima è esplosa rabbia ed indignazione che ha portato, martedì 25 gennaio, ad una giornata nazionale di protesta e denuncia della violenza contro chi lavora nell’informazione. Protesta che ha portato in piazza in oltre 40 città ed in tutti gli stati che compongono il Messico diverse migliaia di persone mentre il presidente eletto Andres Manuel Lopez Obrador ha pensato fosse utile difendere l’ex governatore della Baja California, impresario di una televisione statale, ovvero il “capo” di Lourdes Maldonado contro il quale la giornalista aveva agito, e vinto, una causa lavorativa. AMLO ha difeso il suo compagno di partito dalle voci che lo vorrebbero legato alle violenze subite dalla giornalista.

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GRAZIE!

Comisión Sexta Zapatista
Coordinación Travesía por la Vida-Capítulo Europa

14 dicembre 2021

Alle organizzazioni, movimenti, gruppi, collettivi, popoli originari e individualità delle diverse geografie della terra ora nota come Slumil K´ajxemk´op.

Dalla Delegazione Zapatista La Extemporánea.

Compagne, compañeroas, compagni:

Hermanoas, sorelle, fratelli.

Vi salutiamo dalle montagne del Sudest Messicano e vi informiamo che tutte le compagne e compagni della delegazione aereo-trasportata che, nei mesi di settembre, ottobre, novembre e dicembre di quest’anno 2021, vi hanno visitati nelle vostre rispettive geografie, sono ormai nei rispettivi villaggi e località.

Alle 21:34 ora zapatista – 20:34 ora del Messico – di questo 14 dicembre: le 03:34 del 15 dicembre, ora di Slumil K´ajxemk´op, è stato confermato che tutte e tutti sono nei loro villaggi e località.

Siamo arrivati tutte e tutti in buone condizioni, interi e sani. Anche se siamo tutt@ emozionati e commossi dai giorni e dalle notti che ci avete permesso di condividere con voi. Torniamo con una ferita nel cuore che è di vita. Una ferita che non lasceremo che si chiuda.

Ora dobbiamo rivedere i nostri appunti per informare la nostra gente e le nostre comunità di tutto quello che abbiamo imparato e ricevuto da voi: le vostre storie, le vostre lotte, la vostra resistenza, il vostro indomito esistere. E, soprattutto, l’abbraccio di umanità che abbiamo ricevuto dai vostri cuori.

Tutto ciò che vi abbiamo portato proveniva dalla nostra gente. Tutto ciò che abbiamo ricevuto da voi è per le nostre comunità.

Per tutto questo, per la vostra ospitalità, per la vostra fratellanza, per la vostra parola, per il vostro ascolto, per il vostro sguardo, per il vostro cibo, per le vostre bevande, per il vostro alloggio, per la vostra compagnia, per la vostra storia, per l’abbraccio collettivo del vostro cuore, vi diciamo:

Kiitos
Danke schön
Hvala ti
Благодаря ти
Gràcies
Děkuju
Grazie
Hvala vam
Tak skal du have
Ďakujem
Aitäh
Eskerrik asko
Merci
Diolch
Grazas
Σας ευχαριστώ
Köszönöm
Thanks
Go raibh maith agat
Paldies
Ačiū
Ви благодарам
Takk skal du ha
Dziękuję Ci
Obrigada
Mulțumesc
Спасибо
Хвала вам
Tack
Teşekkürler

Grazie SLUMIL K´AJXEMK´OP!

Comunicheremo di nuovo con voi presto, perché la lotta per la vita non è finita. Abbiamo ancora molto da imparare da voi e molto per abbracciarvi.

A presto, compas.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome della Extemporánea Zapatista.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Coordinatore.
Messico, Dicembre 2021

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LA LUCHA SIGUE!

Ieri abbiamo accolto per tutta la giornata la delegazione della Gira Zapatista a Bergamo! La giornata è stata di “Escucha y Palabra”. Tantissimi i temi che abbiamo toccato con i compañeros Zapatisti, testimoni diretti dell’esperienza anticapitalista e di autonomia nel Chiapas, stato a sud-est del Messico.

Partendo dal racconto della schiavitù e delle violenze subite dalle popolazioni indigene per secoli, e passando dalla nascita clandestina dell’EZLN nel 1983, i compagni ci hanno raccontato le tappe e gli snodi che hanno portato alla sollevazione armata del 1° gennaio 1994 e alla formazione delle Giunte di Buongoverno.

Vedere i compañeros all’interno del Pacì, negli spazi dove costruiamo alternativa al capitalismo quotidianamente, è stato emozionante, affascinante e coinvolgente.

È stato ancora più bello condividere la giornata con tante realtà e singoli della città, grazie a tutte e tutti!

Ci teniamo solo a sottolineare in modo molto veloce alcuni passaggi, anche simbolici, che possono forse suonare come slogan casuali, ma che contestualizzati con la lotta zapatista e soprattutto raccontati dalle loro lente parole, acquisiscono un enorme valore e un’esperienza unica.

1 – Il padrone è ovunque. Nello Stato c’è il padrone. Nella polizia c’è il padrone. Nelle organizzazioni del governo c’è il padrone. Nei funzionari c’è il padrone. Lui è il nemico.

2 – Non esiste un padrone buono, non esiste un governo buono.

3 – La lotta armata è iniziata dopo 10 anni di relazioni e clandestinità, per essere il più preparati possibile.

4 – Anche trattando con il Governo non sono mai state deposte le armi, si trattava restando EZLN a difesa delle comunità ribelli.

5 – Il supporto della comunità internazionale è stata fondamentale; ha contributo a far sì che la lotta zapatista cambiasse e lavorasse sulle Giunte di Buongoverno.

L’ultima cosa che vogliamo condividere qui è una delle ultime frasi dei compañeros: “Sieti sicuri che questi spazi di autogestione e queste libertà che avete ora il Governo vi permetterà di tenerle a lungo?” Ecco, continuiamo a muoverci insieme, portiamo solidarietà ed organizziamo la nostra rabbia!

Un grazie speciale a Il Baro per aver realizzato per la giornata di ieri questo fantastico pezzo, così che questa storica giornata resti impressa anche sui muri del Pacì e possa essere strumento per chi attraverserà lo spazio.

¡REBELDIA Y SOLIDARIDAD!

¡ZAPATA VIVE, LA LUCHA SIGUE!

c.s.a. Pacì Paciana https://www.facebook.com/pacipacianabergamo/posts/4275337172584779

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L’INVASIONE ZAPATISTA IN EUROPA È INIZIATA!

12 OTTOBRE – 8 NOVEMBRE 2021

https://www.facebook.com/LiberaAssembleaPensandoPraticando/

⭐️È iniziata la #GiraZapatista nella nostra Penisola e Isole! Un appuntamento costruito in un anno di incontri, percorsi, relazioni tra territori diversi, vicini e più lontani, uniti dallo stesso intento, di offrire un’accoglienza degna a popoli indigeni che dal Chiapas e dal Sud-Est del Messico hanno deciso di intraprendere un Viaggio per la Vita! EZLN, Congreso Naciónal Indígena e Fronte Del Popolo in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala hanno deciso di ripercorrere al contrario la rotta di Colombo e Cortès e di Invadere l’Europa, già ribattezzata SLUMIL K’AJXEMK’OP (Terra che non si rassegna o Terra Indomita), seminando una scia di Vita, Lotta e Bellezza, al contrario di quello che fecero i colonizzatori europei con al seguito Morte, Schiavitù e Devastazione.

Ci saranno decine di appuntamenti e di incontri, di scambio, di semi che incontrano altri semi, alcuni aperti e pubblici di fiesta condivisione e locura, altri incontri di confronto di esperienze pluridecennali di Resistenza in tutto il Pianeta, altri ancora intimi e ristretti che metteranno in contatto le lotte dei nostri territori a quelle rivoluzionarie del Chiapas dove da più di 30 anni si sta svolgendo un pezzetto di quell’Altro Mondo Possibile, senza sfruttamento della Terra nè della dignità umana, che in diverse parti del mondo tutte le persone che lottano e resistono al capitalismo stanno provando a costruire.

OVUNQUE E SEMPRE SAREMO ATTENT@:

– Alla salute di chi incontriamo, pretendendo le giuste pratiche di tutela sanitaria e utilizzando i relativi dispositivi.

– Alla sensibilità di chi incontriamo, rispettando la temperatura emozionale, evitando categoricamente lo sfruttamento social-mediatico e momenti di incoscienza collettiva ed individuale.

L’invasione da una geografia Europea si irradierà per tutta la Penisola fino alle Isole coinvolgendo 12Macro-Aree di cui di seguito trovate la lista (in aggiornamento) e alle quali fare riferimento per avere maggiori informazioni:

PIEMONTE e-mail : piemontezapatista@autistiche.org

NORDEST e-mail : girazapatistanordest@gmail.com

LOMBARDIA e-mail : a breve…

LIGURIA e-mail : onnivoro.asscult@gmail.com

TOSCANA EMILIA ROMAGNA e-mail : emiliatoscanazapatista@gmail.com

ROMA e-mail : romaviaggiozap@gmail.com

CENTRO ITALIA e-mail : lapaz.italiacentrale@gmail.com

SARDEGNA e-mail : zapatistasinsardigna2021@riseup.net

CAMPANIA e-mail : viaggiozapcampania@gmail.com

PUGLIA BASILICATA e-mail : girapugliabasilicata@gmail.com

CALABRIA e-mail : calabriaporlavida@autistici.org

SICILIA e-mail : siciliezapatiste@gmail.com

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Commando Popcorn.

Commando Popcorn

Settembre 2021

Non lo so per certo, ma la leggenda colloca la gestazione di questa unità d’élite dell’ezetaelene a poche lune fa.

Sebbene il comando generale zapatista abbia più volte negato la sua esistenza classificando queste maldicenze nella cartella dei “Grandi Miti e Non” (insieme alle leggende del Sombrerón, la Xpakinté e delle ricette gastronomiche del defunto SupMarcos), le voci collocano la nascita dell’ormai famoso Commando Popcorn nel Caracol di Tulan Kaw alla fine del 2019.

Secondo ciò, l’autoproclamato SupGaleano si era accaparrato tutto il mais da popcorn dello stato messicano sudorientale del Chiapas. E, sebbene il suddetto abbia poi affermato che il suo piano fosse quello di sabotare le grandi catene cinematografiche e costringerle a ridurre il prezzo di un articolo così prezioso – oltre a vietare le assurde varianti che offrono popcorn aromatizzati al sapore di fritture stantie – indagini successive hanno sostenuto l’ipotesi avanzata dall’accusa (un essere straordinariamente simile a uno scarabeo), che al processo sollevò il movente del crimine: il SupGaleano voleva strafogarsi di popcorn. L’improvvisa e incomprensibile carenza di salsa piccante ne aumentava i sospetti.

Il procuratore di nome Don Durito – abbigliato come il Procuratore di Ferro dei fratelli Almohada (da non confondere con gli Almada, quelli sono altri) – aveva esibito una brillante oratoria ricca di riferimenti cinematografici che, bisogna ammetterlo, a volte ricordava Al Pacino, Tom Cruise, John Travolta e Matthew McConaughey (cit. i film di questi attori e le tematiche di giurisprudenza). L’imputato, in qualità di difensore di sé stesso, non era stato da meno e, inoltre, aveva aggiunto riferimenti drammaturgici. Il suddetto stava argomentando come Shui Ta/Shen Te davanti agli dei (“L’anima buona di Sezuan”. Bertold Brecht), quando è arrivata l’ora del pozol e la giuria al completo si è assentata.

Capendo che giustizia non sarebbe stata fatta e che il malvagio SupGaleano se la sarebbe cavata, la banda di Defensa Zapatista, con la collaborazione del Gatto-Cane, prese d’assalto la capanna del SupGaleano ed “espropriato” non solo diversi sacchi di popcorn, ma anche non pochi cartoni di salsa piccante. L’amato Amado stava allora facendo le sue prime incursioni nella banda di Defensa Zapatista (sebbene avesse già debuttato a Oventik nel 2018, al primo festival del cinema, quando rubò la macchina da presa a Gael García Bernal), così formò, con l’amico Chinto , una sorta di succursale dell’orda di Defensa Zapatista.

Nella nuova banda si è auto-reclutata la Veronica, la sorellina di Amado, che si dice sia “l’ala radicale” del Commando (di solito porta i tatuaggi anche sulle labbra quando gli tocca la caramella gommosa che li contiene). Il Chuy e Cintia sono stati reclutati successivamente. Per un po’ Esperanza ha guidato la truppa, ma non è passato molto prima che si unisse, insieme a Defensa, alla squadra di calcio femminile delle miliziane. Allora l’amato Amado è rimasto al comando.

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Erano i mesi di aprile e maggio. L’unità che sarebbe stata poi battezzata “La Extemporánea”, si preparava in centinaia nel Semillero “Comandanta Ramona”.

Al SupGaleano era stato ordinato di impedire ai bambini di disturbare le loro madri mentre seguivano il corso di Ascolto e Parola. Il suddetto ha affrontato questa nuova sfida organizzativa e progettato una riforma alla legge organica inesistente dell’ezetaelene. Il suo obiettivo: dare loro una struttura militare e istruirli nella difficile arte del sabotaggio, della distruzione indiscriminata e delle urla coordinate e in sequenza.

Li ha radunati e con voce marziale ha detto loro: “Avete sentito il SubMoy che ha spiegato che dovete essere organizzati. Quindi dovete capire che anche per fare marachelle bisogna organizzarsi. D’ora in poi siete una unità militare e chi non obbedisce agli ordini subirà la punizione del taglio della testa con il machete, senza filo affinché ci metta tempo, e arrugginito affinché si infetti e si debba fare l’iniezione”.

Inutile dire che la minaccia non sortì l’effetto sperato. La Cintia ha fulminato il Sup dall’alto in basso con lo sguardo voltandogli le spalle. Il Chuy ha chiesto se dovesse andare a cercare un machete. Il Chinto sembrava valutare i rischi. L’amato Amado si è alzato il colletto della camicia e la Veronica ha deciso che era un buon momento per urlare a squarciagola. In cho’ol, di nuovo.

Il nostro eroe (attenzione: io sono “il nostro eroe”) non si è lasciato scoraggiare da questo contrattempo e, sfoggiando le sue vaste conoscenze in psicologia, è arrivato con un secchio da 20 litri pieno di popcorn. La banda si è raccolta intorno al SupGaleano pressionandolo con il classico “devi condividere“. Ma il Sup ha risposto: “Non posso, è solo per i commandos“. Immediatamente tutt@ si sono iscritti. Questa è stata la nascita ufficiale del Commando Popcorn in quanto tale.

Il Sup, lungimirante, aveva alcuni orsacchiotti e qualche potente pistola ad acqua. Ha fatto scegliere a loro. Amado e Chinto hanno scelto pistole ad acqua; Cintia ha preso l’orsacchiotto, che era anche della sua altezza; il Chuy – come sua abitudine – ha scelto un cavallino di plastica che, per inciso, non era contemplato nella distribuzione.

Mentre tutti si aspettavano che Veronica scegliesse l’altro orsacchiotto, lei lo ha rifiutato, ha preso una delle pistole ad acqua, si è pigliata il cavalluccio del Chuy dopo averlo bagnato (non è riuscita a prendere l’orsacchiotto di Cintia perché l’aveva già nascosto “in modo che non si bagnasse”) ed ha attaccato Amado e Chinto. Immersa nel fragore della battaglia, Veronica è andata da sua mamma perché la cambiasse ma non si è riposata e si è lanciata contro i fottuti uomini – che avevano finito le munizioni, cioè l’acqua – e li ha sconfitti con un’azione fulminante applaudita da Defensa e da Esperanza in quella che hanno definito una “vittoria di genere”. Il nostro eroe, vedendo il potenziale bellico di Veronica, le ha regalato un fucile lanciapalloni ad acqua (di ultima generazione).

Come dice il proverbio – inventato all’epoca dal nostro eroe -: “non si vive di solo popcorn, ma ci sono anche ghiaccioli e caramelle gommose”; il Commando è stato dotato di ogni genere di elementi per il suo ferreo addestramento. È così che sono arrivate delle caramelle gommose che avevano in omaggio degli adesivi simili a tatuaggi. Veronica è stata l’unica ad appiccicarseli senza esitazione. E, naturalmente, anche l’unica che, leccando la calcomania che aveva un po’ di zucchero, si è tatuata la lingua. È così che Verónica, a soli tre anni, si è ritrovata, oltre al cho’ol e castigliano, con la lingua cinese-giapponese-coreana.

Il temibile Commando Popcorn è attualmente composto dall’amato Amado (10 anni e responsabile del commando), Chinto (10 anni e coordinatore operativo), Cintia (3 anni e dottoressa del gruppo), Chuy (3 anni, demolizioni controllate) e Verónica (3 anni, demolizioni senza alcun controllo).

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La prima operazione del CP è stata quella di salutare lo Squadrone 421. Mentre le basi di supporto gridavano evviva allo Squadrone e il consiglio degli anziani benediceva i futuri marinai con il fumo di copale, il CP gridava slogan assurdi, incitati da un individuo di dubbia reputazione, come “Vogliamo popcorn!“, “Lottiamo per i popcorn!“, “Per tutti, tutto. Popcorn per noi!“.

Naturalmente ci sono state lamentele e persino un’accusa formale, ma Veronica ha iniziato a piangere in ch’ol e il SubMoisés disperato ha detto “fate zittire quella bimba“. Il SupGaleano, vantando suoi diplomi e dottorati in pedagogia infantile, ha presentato due opzioni: o cucire le labbra all’urlatrice o darle dei popcorn – perché con la bocca piena di popcorn non avrebbe potuto urlare -. Poiché non sono riusciti a trovare ago e filo, le hanno dato un sacchetto di popcorn. Il pianto è cessato immediatamente. Ma, oh sorpresa, accortisi del risultato, anche il resto della banda ha iniziato a piangere. Conclusione: la sottotenente Angelina ha dovuto fare i popcorn da dare a tutti.

La storia della motosega è simile. Quando i bambini hanno visto gli insorti tagliare il legno per scolpire i cayucos, hanno cominciato a giocare alla motosega con delle assi. Cioè, la tavola di legno era la motosega. Il loro ottimismo era encomiabile: con la tavola-motosega hanno cercato di abbattere i pali metallici dei tabelloni da basket. Ma, quando hanno iniziato a “giocare” a chi segava l’altro, il SupGaleano si è reso conto, con profonda soddisfazione, che la banda avrebbe potuto affrontare con successo un’apocalisse zombie.

Quando l’amato Amado si è ferito al piede con un chiodo, Veronica ha pensato che fosse una buona idea “curare” il suo piede ed ha chiesto aiuto al Chuy. Con le rispettive tavole hanno cercato di segare i piedi dell’Amado. Lì Cintia ha informato il SupGaleano che l’Amado “si era inchiodato un chiodo“. Il Sup le ha dunque consigliato, per vedere se era vero, di dirgli che gli avrebbe fatto un’iniezione. Se Amado fosse fuggito, significava che stava fingendo e non era gravemente ferito. Cintia dopo poco è tornata ed ha riferito: l’Amado era ancora postrato (attenzione Centennials – o come si dice -, ha detto “postrato”). Il Sup ha fatto la sua migliore faccia da Doctor House e ha detto: “È serio, dobbiamo operare“. Ed ha consigliato a Cintia di tagliargli i piedi… e la testa perché “forse gli fa male la testa“. La Cintia ha concordato. La storia sarebbe culminata in un trionfo della scienza medica, con un importante intervento chirurgico eseguito a 4 mani e due tavole in modalità motosega, se non fossero arrivati i promotori di salute che hanno portato Amado in clinica in barella, gli hanno messo delle bende e non so che unguenti.

Ma, di fronte alla frustrazione, Cintia non si è lasciata scoraggiare ed ha deciso di essere la dottoressa del Commando. Siccome il Sup non ha trovato una scatola gioco del piccolo medico ma solo una del piccolo veterinario, con questa Cintia si è presentata come la dottoressa della truppa.

Vedendo la lodevole vocazione per la demolizione di Verónica e del Chuy, hanno ottenuto due motoseghe di plastica e una valigetta da meccanico, con trapano, pinza, seghetto, taglierino, cacciavite, martello e chiave inglese (tutto in plastica), con il vantaggio di poter essere utilizzate sia per operazioni medico-chirurgiche, sia per riparare motoseghe che, ovviamente, si sono “rotte” fin dal primo giorno.

Poi sono arrivate le biciclette. Tutti sanno che un commando senza biciclette non può spostarsi in modo rapido ed efficiente. Il problema è che non sapevano andare in bicicletta. Il Sup non glielo ha insegnato sostenendo che “Forse qualcuno ti insegna a vivere? No, impari cadendo”. Infatti: il Commando si è riempito di graffi, contusioni e tagli, ma, pochi giorni dopo, già pedalava senza difficoltà sul campo da basket.

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Quando La Extemporánea è stata informata che finalmente, c’erano i voli e, soprattutto, un posto dove atterrare in Europa, il nostro acclamato eroe (io) ha convocato il Commando Popcorn e ha detto loro: “Tra pochi giorni partirete. È vietato ammalarsi e ferirsi. Dovete badare a voi stessi, perché chi si farà dei graffi non avrà i popcorn. È chiaro?“.

Per dimostrare che tutto era chiaro, Chuy ha accusato Cintia di essere caduta dalla bicicletta. La Cintia ha detto che era una bugia di Chuy, che Veronica l’aveva spinta. L’amato Amado ha spiegato che litigano per qualsiasi cosa, che è sufficiente che una abbia un giocattolo, che litigano. Il nostro ammirato paladino ha confutato: “ma se dessimo ad ognuna lo stesso giocattolo, così che non litighino“. Il Chinto ha fatto l’espressione di “il Sup non capisce un bel niente” e l’amato Amado ha sentenziato: “Non gliene importa nulla, vogliono il giocattolo che ha l’altra“.

L’incomparabile e idolatrato eroe (di nuovo io, ma più modesto se possibile) li ha avvertiti: “Bene, vi ho già avvertito, se vi fate male o ammalate allora non partirete e le vostre mamme piangeranno perché neanche loro potranno partire, a causa vostra. Capito?“. Tutt@ hanno risposto affermativamente.

Non appena il gagliardo Sup ha girato le spalle, il Chuy ha iniziato a piangere. Veronica gli ha dato uno schiaffo per essere stato pettegolo. A Veronica è stato chiesto se fosse vero e lei ha confessato che lo era, senza il minimo segno di pentimento.

Sconsolato, il Sup è andato nella sua capanna. Lungi dal darsi sconfitto, ha controllato la sua vasta libreria di trattati di psicologia, geografia, scienze occulte e la sua collezione di fumetti i Memín Pingüín, ed è tornato. Ha chiamato il CP e su una mappa ha mostrato loro dove sono il caracol ed il semillero. Poi ha mostrato loro dov’è Madrid e dov’è Vienna. In seguito ha tracciato una linea elegante per descrivere il volo imminente.

Dopo una lunga spiegazione, il Sup si è ritirato soddisfatto: era riuscito a convincere il Commando Popcorn. Le ultime parole del nostro eroe riecheggiavano nell’aria: “Perché accontentarsi di fare marachelle e guai in un caracol, se puoi distruggere un intero continente?“.

-*-

L’inquadratura della telecamera si allontana. Il Commando Popcorn guarda la mappa del mondo mentre succhia avidamente ghiaccioli alla frutta. Tzotz, il Greedy e la Pelusa, tre cagnolini che di solito accompagnano il CP nelle sue incursioni, arrivano e distruggono la cartina. Una folata di vento solleva e fa volare via un frammento su cui si legge “Viaggio per la Vita”.

Un finale epico… e, beh, sì, un poco paradossale.

Warning: il Commando Popcorn per due mesi non ha dimostrato la ragione della sua esistenza. Un Commando Popcorn senza popcorn è come un vampiro che si consola con la salsa di pomodoro, quindi c’è da sperare che una volta giunto in Europa… beh, ecco… il SupGaleano con due vecchi walkie-talkie prova e riprova “Hallo? Vienna e Berlino bruciano?” con Amado che è a soli 10 metri di distanza e gli risponde che non sente niente. Certo, forse se mettessero le batterie nei dispositivi…

In fede.

Il SupGaleano.
Capo Supremo, Leader Maximo, Dirigente Eccezionale, Grande Guida, Storico, Saggio Infallibile, Luce Perenne alla Fine del Tunnel, Alfa e Omega – e Delta e Lambda -, Faro delle Generazioni Presenti e Future, Paladino della Modestia e Istruttore del Commando Popcorn.
(e, beh, anche “Nostro eroe” in questo racconto epico, degno di essere ampliato dalle penne di Martín Luis Guzmán e León Tolstoi)

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/10/comando-palomitas/

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Dopo i 17
(La Sezione Miliziana Ixchel-Ramona)

Settembre 2021

Come parte della Extemporánea c’è una sezione di miliziane. Oltre a far parte dei gruppi “Escucha y Palabra”, si occuperanno della sicurezza della squadra aerotrasportata e dello svolgimento di una o più partite di calcio con squadre femminili di tutta Europa.

C’erano 196 miliziane iscritte per viaggiare. Circa 20 avevano meno di 18 anni, ma si preparavano per viaggi successivi e per i continenti Asia, Oceania, Africa e America, prevedendo che per allora sarebbero state maggiorenni per ottenere il passaporto.

Le difficoltà per avere i documenti (tutte sono estemporanee) e il continuo andirivieni dovuto alle pretese dei “funzionari”, le hanno costrette ad abbandonare il tentativo. Alcune sono madri single e devono lavorare per sostenere i loro piccoli. La maggior parte lavora a sostegno delle proprie madri e dei fratelli più piccoli. Anche la preparazione è stata un problema, perché non è stata una passeggiata, ma piuttosto è stato necessario prepararsi per fare il lavoro di “Ascolto e Parola”. Quello che è costato loro più lavoro è stato imparare ad ascoltare.

Ne sono rimaste 37. Si sono aggiunte due minorenni: Defensa (15 anni) ed Esperanza (12 anni). Quindi, in totale sono 39 miliziane. Da 3 mesi sono acquartierate nel Semillero, esercitandosi, imparando, provando e aspettando che si aprisse la possibilità di partire: un posto dove arrivare in Europa. Tutte hanno radici maya e parlano Tzeltal, Tzotzil, Cho’ol, Tojolabal e castigliano. Pochissime hanno più di 25 anni, la maggior parte ha tra i 18 e 21 anni. Le loro abilità calcistiche sono un segreto di Stato, ma la loro volontà di lottare è lampante.

Nessun maschio adulto senza permesso ha potuto entrare nel luogo in cui erano acquartierate. Nel caso dell’ingresso di un uomo, magari disorientato, questo veniva subito circondato da un gruppo di miliziane ed “esortato” ad andarsene immediatamente con la solida argomentazione dei bastoni e delle fionde.

Nella loro preparazione e adattamento, i primi giorni sono stati difficili. I successivi lo sono stati ancora di più. Lontane dalle loro famiglie, dagli amori e dal cibo dei loro villaggi, hanno sopportato l’incertezza, la fame, le malattie, i cambiamenti di clima, lo sconcerto di convivere con altre diverse, la sorpresa di apprendere cose nuove e lo stupore di rendersi conto di essere in grado di fare quello che non sapevano di poter fare. Ad esempio: ascoltare. E scusate se ancora una volta insisto sul fatto di ascoltare, ma guardo là fuori e sento tutti che vogliono parlare – anzi, urlare – e nessuno, o quasi, con la volontà di ascoltare.

Queste mie compagne combattenti, si sono lasciate alle spalle, vicino o lontano nel calendario, i 17 anni. La loro identità non è in dubbio: sono ZAPATISTE.

-*-

Invece no.

Una miliziana prende la parola nell’Assemblea Generale della Extemporánea, mentre si valuta ciò che è stato realizzato o meno nel corso di “Ascolto e Parola”:

“Non sapevo niente di quello che raccontate. Pensavo che fosse sempre stato così, che potevo andare a scuola, che potevo avere un ragazzo senza costringermi a sposarmi, che potevo sposarmi se volevo, o non sposarmi, che potevo vestirmi secondo i miei gusti, che potevo partecipare, che potevo imparare, che potevo insegnare. Pensavo che fosse sempre stato come adesso, che abbiamo diritti e non solo doveri. Ma ho ascoltato la compagna raccontare di come si viveva al tempo dei finqueros. Ho sentito quanto è costato prepararsi a combattere. Ho ascoltato quanto è costata la guerra. Ho ascoltato come è stata fatta l’autonomia. Quindi quello che penso è che devo prepararmi a difendere tutto questo. Per non tornare mai più a quel tempo passato. Pensavo che così si nascesse, con la libertà. E invece no, tutto questo dopo che si è dovuto combattere, e quindi dobbiamo continuare a lottare. Quindi non c’è riposo”.

-*-

A difesa dei 17 anni.

Non ne sono proprio sicuro, ma penso che fosse nel 2018.

In occasione del Primo Incontro delle Donne che Lottano, fu deciso che le miliziane sarebbero state incaricate della sicurezza. Furono convocate per l’addestramento. Nelle marce non ne indovinavano una. Diversi come le lingue che danno loro origine e destinazione, i loro passi erano disordinati, scomposti. Per quanto si esercitassero, non c’erano miglioramenti. Disperato, decisi che forse con un po’ di ritmo musicale avrebbero potuto uniformare il passo. Las tercias stavano testando l’impianto audio. Chiesi loro se avessero portato della musica. “Solo cumbias e reguetón“, mi risposero. “Qualcos’altro?“, ho insistito. “Non c’è” hanno risposto ridendo. Chiesi allora alle miliziane se qualcuna di loro avesse, nei propri cellulari, una canzone che potessi usare. Sussurri e risate complici tra di loro. Dopo un po’ una ha detto “solo cumbias”. “Bene”, mi dissi rassegnato, “che cumbia avete? E non ditemi quella del Moño Colorado perché vi dico che morirete tutte miseramente“. Nuove risatine e bisbiglii in 4 diverse lingue maya. Dopo un po’: “solo una, quella dei 17 anni“. “Tutte avete una sola cumbia ed è la stessa?” “Sì, quella dei 17 anni.” “Vabbè, quella allora, passatela a Las Tercias e fatela mettere nell’altoparlante grande. E mettetevi in riga per provare di nuovo“.

Partono i primi accordi, alzano e incrociano i bastoni e, accidenti, iniziano a marciare uniformemente, senza perdere il passo. In seguito ho chiesto loro se era vero che avessero solo quella cumbia. ““, dissero, “quando avremo campo o arriveranno altre compagne, ne avremo di più, tipo Cómo te voy a olvidar“.

Chiesi l’elenco delle miliziane per caracol e per età, per raggrupparle per lingua ed età. La stragrande maggioranza aveva tra i 15 e i 17 anni.

Adesso hanno tra i 18 e i 21 anni, nessuno le ha obbligate a sposarsi, hanno un fidanzato o no – non se ne preoccupano – si innamorano e si disinnamorano, spezzano cuori e spezzano i loro. Sanno che nessuno può costringerle a fare qualcosa che non vogliono, e sanno difendersi. È stato insegnato loro qualcosa sui punti deboli dei maschi, nel caso debbano ricorrere alla difesa fisica. Anche quello che ai maschi fa male sentirsi dire, nel caso debbano ricorrere alla difesa psicologica. Non chiedetemi chi ha insegnato loro questi “segreti” maschili.

Alla domanda se hanno un fidanzato, la maggioranza ha risposto di sì. Una ha detto: “cheb” (“due” nella sua lingua). Quella accanto le ha detto qualcosa sotto voce, allora la compagna ha corretto: “No, ocheb” (“tre”, nella sua lingua). Ancora un’altra: “bayal” (“molti”). Un’altra ci ha messo un po’ a rispondere perché, ha detto, aveva perso il conto. Le tre sono scoppiate a ridere.

In sintesi: avevano 17 anni e a quell’età, quella cumbia – credo “Los Ángeles Azules” – le ha accompagnate nell’amore e nel disamore. Chi critica quella cumbia o ne chiede la censura, forse ha dimenticato cosa vuol dire avere 17 anni. Forse ha dimenticato che sì, le relazioni possono essere quelle di un predatore che dissangua la sua preda – e a qualsiasi età. Ma possono anche essere inquietudine e libertà di amare e non amare. Scoprire così che al posto del cuore si può avere un fiore agrodolce e, allo stesso tempo, una ferita che non si chiude. Inoltre, ovviamente, poi dovrebbe anche chiedere di censurare Violeta Parra e la sua “Volver a los 17″.

Ora, dopo i 17, può darsi che le miliziane dedichino “Cómo te voy a olvidar”a quell’amore passato o presente.

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Penelope Sovvertita.

Ho chiesto loro cosa avessero detto ai fidanzati. Così mi hanno risposto: “se mi ama davvero e non è una bugia, che mi aspetti, e se no, allora niente, ne troverò un altro“. In altre parole, nessuna tela della vana attesa da tessere e sbrogliare. Un altro esempio di “le anatre che sparano ai fucili”.

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Il Consenso.

Alle compagne viene detto che nessuno può toccarle senza il loro esplicito consenso. Non prenderle per mano, né mettere la mano sulle spalle, o altro. Sono state istruite, ad esempio, su come togliersi di dosso una mano maschile, non importa se è un comandante o meno. Lo stesso vale per la loro immagine: nessuno può scattare foto o video senza il loro consenso. Tanto meno pubblicarle. È stato mostrato loro il video che appare alla fine di questo testo ed è stato chiesto se fosse pubblicabile o no. Si sono riunite per caracol e lingua. Hanno discusso e all’unanimità hanno deciso che si pubblicasse. Siete avvisat@.

-*-

Ognuno a modo suo.

Da parte mia, dal 2018 ho vissuto nell’inganno. Credevo che il ritornello della cumbia “17 anni” dicesse “quanto è triste l’amore, quanto è triste l’amore“. Le sergenti mi hanno cavato dall’errore: “Non è così Sup, dice che “se questo è l’amore “, cioè la ragazza non lo sa, sta appena imparando“, e ridono.

Nell’esercizio della marcia, con La Carencia de los Panteones, il Lago de los Cisnes e La Cumbia del Sapito, è stato dimostrato che la danza, come la vita, può attraversare i muri più inviolabili.

Non lo so, dico che le cumbias sono come le magliette delle divise da calcio. Con forbici, filo e ago si sistemano in modo che si adattino al tuo gusto: giusta o che vesta bene.

Conclusione: Ognuno a modo suo, ad ognuno la sua cumbia, ad ognuno il suo pas de chat (o de Chat-Chien)… e ognuno il suo ska. Saltare, raza!

In fede.

Il SupGaleano mentre si esercita al “Chúntaro Style”.
(Oh beh, ognuno pesta il pavimento come può).
Messico, Settembre dell’anno 501

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/08/despues-de-los-17-la-seccion-miliciana-ixchel-ramona/

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Itinerario della Extemporánea:

10 settembre 2021. Partenza la mattina presto della delegazione aviotrasportata dal caracol di Jacinto Canek.

10 settembre 2021. Ora indeterminata, a partire dalle ore 18:00. Arrivo della Extemporánea nei locali di Carmona y Valle, a Città del Messico.

11 settembre 2021. La Extemporánea viene sottoposta ai tamponi.

Arrivo dall’Europa dello Squadrone 421 con volo Lufthansa LH498. Arrivo 18:30 Città del Messico, Terminal 1.

Invitiamo ad accogliere lo Squadrone 421.

12 settembre 2021. Preparativi.

13 settembre 2021. 08:00 partenza da Carmona y Valle per l’aeroporto di Città del Messico del primo gruppo aviotrasportato con destinazione Vienna, Austria. Scalo a Madrid, Spagna. Volo Iberia IB6400. Decollo alle ore 12:10 da Messico.

Il secondo gruppo parte da Carmona y Valle per l’aeroporto alle ore 16:00. Destinazione Vienna, Austria. Scalo a Madrid, Spagna. Volo Iberia IB6402. Partenza 20:45 da Messico.

14 settembre 2021. Arrivo della Extemporánea a Vienna, Austria, nella geografia che chiamano Europa.

È tutto.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/08/itinerario-de-la-extemporanea/

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COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA
Messico

4 settembre 2021

A chi di dovere:

In accordo con le Giunte di Buon Governo Zapatiste, il CCRI-CG dell’EZLN e le comunità indigene zapatiste, dichiariamo quanto segue:

Primo.- Nei giorni scorsi abbiamo assistito al trattamento disumano che lo Stato messicano riserva ai migranti che cercano di fuggire dalla trappola, muta e invisibile, in cui si trovano nella città di Tapachula, Chiapas, Messico.

Secondo.- Come nei governi precedenti a quello attuale, alle denunce e reclami dei cittadini per queste crudeltà il governo messicano promette sanzioni per gli “eccessi” commessi dagli agenti dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM). Questa promessa è solo un’altra bugia. Agli agenti viene detto che è questo che sarà detto pubblicamente per evitare la pressione della cosiddetta opinione pubblica, ma che devono continuare con i loro metodi di caccia all’uomo senza timore di conseguenze. Nessun migrante deve andare oltre il Chiapas.

Terzo.- Anche tra gli elementi della Guardia Nazionale c’è malcontento. Perché è stato detto loro che la loro missione sarebbe stata quella di combattere il crimine organizzato, e ora li usano come cani da caccia che inseguono persone dalla pelle scura. Perché questa è la consegna: dare la caccia a qualsiasi persona con la pelle scura: “Fermate qualsiasi fottuto negro che trovate”, è l’ordine. È piuttosto una dichiarazione di politica estera.

Quarto.- L’indottrinamento degli agenti dell’Istituto Nazionale di Migrazione rasenta il ridicolo. Dicono loro che stanno difendendo il Messico da un’invasione, come ha affermato con sicurezza un funzionario dell’INM. Non farebbe male all’Istituto Nazionale di Migrazione seguire alcune lezioni di storia di base – ora che c’è il ritorno a scuola – per capire che gli invasori sono del governo degli Stati Uniti che impone questa politica migratoria che contraddice l’intera storia della politica estera dello Stato Messicano.

Quinto.- Le manovre dell’INM per incapsulare le organizzazioni per i diritti umani e la stampa, in modo che non documentino le loro azioni, ci ricordano ciò che fece il governo di Salinas de Gortari nei primi giorni del 1994, quando chiuse l’accesso alla selva Lacandona per impedire che si sapesse quello che stava facendo. E la caccia all’uomo ai migranti ci ricorda il governo Zedillo che, nel 1995, ci fece inseguire dai cani.

Sesto.- È abbastanza vergognoso che un governo, che si dice progressista, si pieghi alla politica estera del governo nordamericano, a imitazione di ciò che facevano i finqueros del Chiapas, ancora pochi anni fa, per sottomettere i loro peones. I dettami religiosi, così cari là sopra, predicano: “che il tuo piede sinistro non sappia chi stai prendendo a calci con il piede destro”.

Settimo.- Invitiamo ogni persona onesta e sensibile a chiedere che questa situazione si fermi, ora. E che, nella misura delle possibilità di ognuno, si forniscano aiuti umanitari ai migranti.

Da parte nostra, le comunità indigene zapatiste, attraverso le loro 12 Giunte di Buon Governo e la Commissione Sexta Zapatista, hanno raccolto una modesta somma di denaro che sarà inviata ad alcuni centri di accoglienza o organizzazioni che svolgono attività umanitarie con i migranti in Chiapas.

Invitiamo la Sexta Nazionale, le Reti in Resistenza e Ribellione, il collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”, le Organizzazioni Non Governative e le persone di buona volontà in tutto il mondo, a fare ciò che nelle loro possibilità, in primo luogo, per fermare la caccia all’uomo condotta dall’INM con il sostegno della Guardia Nazionale e, in secondo luogo, per migliorare le condizioni di vita della popolazione migrante presente in questa geografia chiamata Messico.

-*-

Proprio come questi fratelli migranti e noi estemporanei, un giorno saremo tutt@ migranti ed estemporanei su questo pianeta. E tutti coloro che non avranno il colore del denaro, saranno perseguitati, braccati, confinati, desaparecidos, eliminati.

Quindi, contro la xenofobia e il razzismo, la lotta per la vita.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés Subcomandante Insurgente Galeano.
Messico, 4 settembre 2021

a di migranti, composta principalmente da haitiani, che percorre una strada nel comune di Tapachula, nello stato del Chiapas, in Messico, il 1 settembre 2021. © EFE/Juan Manuel Blanco

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/09/04/contra-la-xenofobia-y-el-racismo-la-lucha-por-la-vida/

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Per la vita: Partenza della Extemporánea per l’Europa

Commissione Sexta Zapatista

Messico

30 agosto 2021

All’Europa in basso e a sinistra:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Alle organizzazioni, gruppi e collettivi che cercano verità e giustizia per gli assenti:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

Compañeroas, compagne, compagni:

Vogliamo iniziare salutando la lotta e l’impegno di tutte quelle persone che cercano i propri assenti, Le/gli desaparecid@s. La loro lotta è anche, e soprattutto, una lotta per la vita. Non è un caso che sia in questo giorno che vi annunciamo quanto segue:

Primo. – Dopo innumerevoli procedure, ostacoli e problemi, annunciamo che la compagnia aerotrasportata zapatista, che abbiamo chiamato “La Extemporánea”, partirà da Città del Messico per l’Europa il 13 settembre 2021.

Secondo. – La destinazione è la città di Vienna, nella geografia che chiamano Austria, e viaggeremo in due gruppi.

Terzo. – Il primo gruppo lascerà l’aeroporto di Città del Messico il 13 settembre 2021 alle 12:10 circa. Arriverà a Madrid, nella geografia chiamata Spagna, alle 06:00 del 14 settembre. Dopo una sosta di 2 ore e un trasferimento, il volo riprenderà alle 08:20 per atterrare nella città di Vienna, in Austria, alle 11:05 del 14 settembre. Il secondo gruppo partirà lo stesso giorno, 13 settembre, alle 20:45 con scalo sempre a Madrid alle 14:35 del 14, riprendendo il volo alle 16:00 e atterrando a Vienna alle ore 19:00 dello stesso giorno 14 settembre.

Quarto. – “La Extemporánea” è organizzata in 28 squadre di Escucha y Palabra (composte da 4-5 compas ciascuna), 1 di Gioco e Marachella, e una di Coordinamento. “La Extemporánea” può così coprire contemporaneamente 28 angoli della geografia europea.

Qualche giorno dopo, si unirà la delegazione del Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua.

Insieme a questa delegazione di organizzazioni sorelle, continueremo il lavoro iniziato dallo Squadrone 421, che attualmente sta coprendo la geografia che chiamano Svizzera.

Quinto. – Tra qualche giorno comunicheremo la data in cui lasceremo il Semillero “Comandanta Ramona” per concentrarci nel caracol Jacinto Canek, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Da lì andremo via terra, con una carovana di veicoli, a Città del Messico dove alloggeremo nel locale di Carmona y Valle fino al giorno e all’ora della partenza. Nel caso qualcuno volesse accompagnare la partenza e il viaggio da San Cristóbal a Città del Messico.

Sesto. – Dedichiamo questo sforzo (che ha coinvolto molte persone non zapatiste e alcune anche antizapatiste) a tutte le desaparecidas, alle famiglie che soffrono la loro assenza e, soprattutto, alle donne e agli uomini che lottano per ritrovarle e ottenere la verità e la giustizia di cui tutte necessitiamo e meritiamo. Sappiate che il vostro esempio, il vostro instancabile lavoro e il vostro non arrendervi, non svendervi e non tentennare, sono per noi popoli zapatisti una lezione di dignità umana e un autentico impegno nella lotta per la vita.

Nei giorni in cui saremo a Città del Messico consegneremo i verbali delle assemblee delle comunità zapatiste, non zapatiste e antizapatiste, con i loro accordi sul sostegno alla lotta per la verità e la giustizia per le vittime della violenza, secondo la consultazione effettuata il primo di agosto di quest’anno 2021.

È tutto.

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Coordinatore Generale del Viaggio per la Vita – Capitolo Europa.

Ancora Messico. Anno 501.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/08/30/por-la-vida-salida-de-la-extemporanea-a-europa/

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Parole dei popoli zapatisti

13 agosto 2021.

Sorelle, fratelli, fratelloa

Compagni, compagne, compagnoa:

Attraverso le nostre voci parlano le comunità zapatiste.

Per prima cosa vogliamo ringraziare.

Ringraziare per averci invitato.

Ringraziare per averci accolto.

Ringraziare per averci ospitato.

Ringraziare per averci alimentato.

Ringraziare di esservi presi cura di noi.

Ma soprattutto ringraziarvi del fatto che, nonostante le vostre differenze e contrarietà, vi siate messi d’accordo per ciò che oggi stiamo facendo. Cosa che talvolta vi sembrerà da poco, ma che per noi popoli zapatisti è qualcosa molto grande.

-*-

Siamo zapatisti di origine maya.

Veniamo da una geografia chiamata Messico e abbiamo attraversato l’oceano per rivolgervi queste parole, per stare con voi, per ascoltarvi, per imparare da voi.

Veniamo dal Messico e in voi e con voi troviamo affetto, cura, rispetto.

Lo Stato Messicano e i suoi governi non ci riconoscono come connazionali di questa geografia. Siamo strani, stranieri, indesiderabili, inopportuni sulle stesse terre che coltivarono nostri antenati.

Per lo Stato Messicano siamo “estemporanei”. Questo dice il certificato di nascita che, a seguito di molte spese e viaggi dai nostri villaggi verso le officine del malgoverno, siamo riusciti ad ottenere. E lo abbiamo fatto per poter arrivare fino a voi.

Però non siamo arrivati fino a qua per lamentarci. E neanche per denunciare il mal governo che subiamo.

Vi diciamo solamente questo, perché è questo mal governo che ha richiesto allo Stato Spagnolo di chiedere perdono per quanto accaduto 500 anni fa.

Dovete comprendere che, oltre ad essere uno svergognato, il mal governo Messicano è anche ignorante della storia. E la distorce e aggiusta a suo comodo.

Così che lasciamo da parte i malgoverni che ognuno di noi subisce nelle proprie geografie.

Loro sono solamente caposquadra, impiegati obedienti di un criminale più grande.

-*-

Noi che formiamo lo Squadrone Marittimo Zapatista, e che siamo conosciuti come Squadrone 421, oggi siamo di fronte a voi, ma siamo solamente l’antecedente di un gruppo più grande. Fino a 501 delegati. E siamo 501 solamente per dimostrare ai cattivi governi che li abbiamo superati. Mentre loro simulano un festeggiamento falso di 500 anni, noialtri, noialtre e noialtrei, andiamo diretti a ciò che segue: la vita.

Nell’anno 501 ricorreremo gli angoli di questa terra indomita.

Ma non vi preoccupate. I 501 delegati non arriveranno tutti d’un tratto. Ma arriveranno per parti.

In questo momento, nelle montagne del Sudest Messicano, si sta preparando una compagnia zapatista aerotrasportata che chiamiamo “L’Estemporanea” che è composta da donne, uomini, bambini e bambine zapatiste.

Insieme a questa compagnia aerotrasportata viaggerà anche una delegazione del Congresso Nazionale Indigeno Consiglio di Governo e del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua.

Tutte, tuttie, tutti hanno faticato per conseguire documenti e vaccini. Si sono ammalati e sono guariti. Hanno avuto fame e sono stati lontano delle loro famiglie, dalle loro comunità, dalla loro terra, dalla loro lingua, dalla loro cultura.

Ma tutti, tutte e tuttie sono animati ed entusiasti di venire a incontrarvi. Non in grandi eventi, ma nei luoghi dove resistete, vi ribellate e lottate.

Forse qualcuno penserà che ci interessino i grandi eventi e l’impatto mediatico, perchè così valutano gli esiti o i fracassi.

Ma noi abbiamo imparato che i semi si scambiano, si seminano e crescono nella quotidianità, nei propri terreni, con i saperi di ciascuno.

La gestazione del domani non si fa alla luce [del sole, ndt]. Si coltiva, si cura e si fa nascere nelle ombre inosservate dell’alba, appena quando la notte inizia a cedere terreno.

I terremoti che scuotono la storia dell’umanità iniziano con un “ya basta” isolato, quasi impercettibile. Una nota a metà tra il dissonanza e il rumore. Una crepa nel muro.

-*-

È per questo che non veniamo a portarvi ricette, a imporre visioni e strategie, a promettere futuri luminosi e istantanei, piazze piene, soluzioni immediate. Neanche veniamo per invitarvi a unioni meravigliose.

Veniamo ad ascoltarvi.

Non sarà facile, certamente.

Siamo tanto differenti, tanto distinti, tanto lontani, tanto contrari e, soprattutto, tanto contraddittori.

Ci separano molte cose.

Magari, al parlare, volendo o no, non solo raccontiamo la nostra storia, ma in verità dimostriamo anche la convinzione che ciò che è nostro è ciò che conta.

Ogni sguardo verso il passato ci divide. E questa differenza non è per niente. In ogni sguardo esistono rabbia e dolore che si affacciano al precedente.

È vero che nel guardare la storia passata cerchiamo di trovare ciò che vogliamo. Siano rabbie, rancori, condanne e assoluzioni. Anche se esistono studi seri e profondi, possiamo cercare quello che ci conviene, ciò che ci dà ragione. Ciò che ci giustifica. E lo rendiamo “verità”.

Così possiamo giudicare e condannare. Ma la giustizia rimane dimenticata.

E così possiamo trovare molte cose che ci dividono e ci mettono contro.

Abbiamo problemi nelle nostre famiglie, nel nostro gruppo, collettivo, organizzazione. Nel nostro quartiere. Nella nostra regione. Nella nostra geografia.

Chiunque ha un dolore che lo segna. Una rabia che lo muove.

E questi dolori e queste rabbie, che non sono poche, stanno lì.

E noi popoli zapatisti diciamo che solamente una minaccia più grande, un dolore più terrificante, una rabbia più grande, sono ciò che ci possono mettere d’accordo per rivolgere questa rabbia e questo dolore più in alto.

Ma non è che queste differenze che abbiano scompaiano, come nelle false chiamate all’”unità” che loro che stanno sopra sono soliti fare quando chi sta in basso chiede il conto.

No, quello di cui parliamo noi comunità zapatiste è una causa, un motivo, una meta: la vita.

Non si tratta di abbandonare convinzioni e lotte. Al contrario. Pensiamo che le lotte delle donne, delle altrei, dei lavoratori, dei popoli originari, non solo non si devono fermare, ma che dovrebbero essere più profonde e radicali. Ognuno affronta una o varie teste dell’Idra.

Perché tutte queste lotte, quelle vostre e quelle di noi popoli zapatisti, sono per la vita.

Ma finché non distruggeremo il mostro dritto al cuore, queste teste continueranno a spuntare e cambiare di forma con sempre maggiore crudeltà.

-*-

Adesso, in questi tempi, vediamo e soffriamo una distruzione gigantesca; quella della natura, umanità compresa.

Perché sotto le macerie, la cenere, il fango, le acque sporche, le pandemie, lo sfruttamento, il disprezzo, il saccheggio, il crimine, il razzismo, l’intolleranza, ci sono esseri umani senza vita. E ogni vita è una storia che si trasforma in un numero, in una statistica, in oblio.

Il futuro, la storia a venire, è, come il presente, un incubo vero. E, quando pensiamo che non possa essere peggiore, arriva la realtà a colpirci in volto.

E quindi ognuno guarda a sé stesso e, nel migliore dei casi, alle persone vicine: la sua famiglia, le sue amicizie, le persone che conosce.

Però, così come in ogni angolo del pianeta, in ogni cuore che batte, esiste una disgrazia presente e una a venire, c’è anche una resistenza, una ribellione, una lotta per la vita.

Perché vivere non è solamente non morire, non è sopravvivere. Vivere come esseri umani è vivere in libertà. Vivere è arte, è scienza, è allegria, è ballo, è lotta.

È chiaro, vivere è anche essere in disaccordo con una cosa o un’altra, discutere, dibattere, confrontarsi.

Quindi esiste qualcuno o qualcosa che ci impedisce di vivere, che ci sottrae la libertà, che ci inganna, che ci truffa, che ci pugnala, che ci sta sottraendo il mondo a tutti con morsi, con tagli, con ferite.

Così possiamo individuare un responsabile. Cercare un colpevole. Affrontarlo e fare giustizia. Qualcuno o qualcosa che paghi, che risponda per questo dolore che ci lascia soli, sole, solei. Che ci mette all’angolo su di un’isola sempre più piccola, così piccola che rimane solo l’io di ognuno.

E anche lì, sulla piccola isola, lontana da tutto e tutti, ci obbligano a essere altro, a non essere ciò che siamo. La nostra storia individuale che fa parte della storia collettiva: una camera, una casa, un quartiere, una comunità, una geografia, una causa che deve essere cambiata e tradita per essere parte di altro.

Una donna che piaccia all’uomo. Unoa altroa che sia accettata da un etero. Una gioventù soddisfacente per i più maturi. Una vecchiaia tollerata dalla gioventù. Un’infanzia in disputa con giovani, adulti, anziani. Una forza di lavoro efficiente e docile per il caposquadra. Un caposquadra su misura del Padrone.

E questa pressione per trasformarci in quello che non siamo ha la forma della violenza.

Ed è strutturale. L’intero sistema è costruito per imporre lo stampo della normalità.

Se siamo donne, dobbiamo esserlo secondo il modello degli uomini.

Se siamo altrei, dobbiamo esserlo secondo il modello dell’eterosessuale.

Per esempio, potete notare che esistono già delle cliniche per “correggere” la differenza sessuale.

Bene, quindi il sistema è una gigantesca e brutale clinica che “cura” l’“anormalità”. Una macchina che attacca, isola e liquida l’altro, il differente.

Insomma è così che ci trattano, giorno e notte, volendoci domare, cercando di addomesticarci.

E noi, ben resistendo. La vita intera e generazioni intere resistendo, ribellandosi. Dicendo “no” all’imposizione. Gridando “si” alla vita.

Non è una novità, è certo. Potremmo ritornare indietro di 5 secoli e sarebbe la stessa storia.

E il ridicolo di tutto questo è che, chi ci opprime adesso, pretende di giocare il ruolo di nostro “liberatore”.

-*-

Senza dubbio, qualcosa è differente. E allora anche il dolore della terra, della natura, si è unito al nostro.

E su questo possiamo essere d’accordo o no. Possiamo dire che non è vero, che le pandemie termineranno, che le catastrofi cesseranno, che il mondo, che la nostra vita al mondo, tornerà a essere come prima. Anche se questo “prima” era ed è fatto di dolore, distruzione e ingiustizia.

Noi, i popoli zapatisti, crediamo che non sia così. Che non solo non sarà mai come prima. Che andrà sempre peggio.

Noi le comunità zapatiste nominiamo il responsabile di questi male e lo chiamiamo “capitalismo”.

E diciamo anche che solamente con la distruzione totale di questo sistema sarà possibile che ognuno, con i suoi modi, secondo il suo calendario e la sua geografia, dovrà mettere su qualcos’altro.

Non perfetto, ma comunque migliore.

E a ciò che si costruirà, a queste nuove relazioni tra esseri umani e tra gli esseri umani e la natura, si darà il nome che ognuno vorrà.

E sappiamo che non sarà facile. Già non lo è adesso.

E sappiamo bene che da soli non potremo, ognuno combattendo nel proprio pezzetto di terra contro la testa dell’idra subisce, mentre il cuore del mostro si rigenera e cresce sempre di più.

E soprattutto sappiamo che non dovremo guardare a quel domani dove, alla fine, la bestia arda e si consumi fino a che di questa non rimanga che un cattivo ricordo.

Ma sappiamo anche che faremo la nostra parte, anche se piccola, anche se le generazioni future la dimenticheranno.

-*-

Come comunità zapatiste che siamo, vediamo dei segnali.

Però magari ci sbagliamo come popoli che siamo.

Già potete vedere che dicono che siamo ignoranti, arretrati, conservatori, nemici del progresso, premoderni, barbari, incivili, inopportuni e sconvenienti.

Forse è così.

Forse siamo arretrati perché come donne che siamo o come altrei, possiamo uscire a passeggiare senza il timore che ci attacchino, che ci violino, che ci facciano a pezzi, che ci facciano scomparire.

Forse siamo contro il progresso perché ci opponiamo ai megaprogetti che distruggono la natura e ci distruggono come popoli, e che ereditano morte per le generazioni a venire.

Forse siamo contro la modernità perché ci opponiamo a un treno, a un’autostrada, a una diga, a una centrale termoelettrica, a un centro commerciale, a un aeroporto, a una miniera, a un deposito di materiale tossico, alla distruzione di un bosco, all’inquinamento di fiumi e lagune, e al culto dei combustibili fossili.

Forse siamo arretrati perché onoriamo la terra anziché il denaro.

Forse siamo barbari perché coltiviamo i nostri alimenti. Perché lavoriamo per vivere e non per guadagnare una paga.

Forse siamo inopportuni e sconvenienti perché ci governiamo da noi, come popoli che siamo. Perché consideriamo il lavoro del governo come un lavoro in più tra i lavori comunitari che dobbiamo portare a termine.

Forse siamo ribelli perché non ci vendiamo, perché non ci arrendiamo, perché non tentenniamo.

Forse siamo tutto ciò che dicono di noi.

-*-

Ma qualcosa lo vediamo, qualcosa lo sentiamo, qualcosa sappiamo che sta succedendo e che succederà.

E per questo abbiamo intrapreso questo viaggio. Perché pensiamo e sappiamo che non siamo gli unici che lottano, che non siamo gli unici che vediamo ciò che sta succedendo e ciò che succederà.

Il nostro angolo del mondo è una piccola geografia in lotta per la vita.

Stiamo cercando altri angoli, e vogliamo imparare da loro.

Per questo siamo arrivati fin qua, non per porgervi rimproveri, reclami, pagamenti per debiti insoluti.

Anche se questo fosse di moda e anche se qualcuno dicesse di sì, che abbiamo ragione con queste richieste o che, in realtà, noi non sappiamo ciò che dobbiamo fare e loro, i mal governi, lo faranno per noi.

E va di moda che questi mal governi si nascondano dietro nazionalismi di cartone.

E che, sotto la bandiera del nazionalismo, ci copriamo noi e si copre anche chi ci opprime, chi ci perseguita, chi ci assassina, chi ci divide e ci affronta.

No. Non veniamo per questo.

Dietro i nazionalismi si nascondono non solo le differenze, ma anche e soprattutto i crimini. Sotto lo stesso nazionalismo si proteggono il maschio violento e la donna aggredita, l’intolleranza eterosessuale e l’alterità perseguitata, la civilizzazione depredatrice e il popolo originario annichilito, il capitale sfruttatore ed i lavoratori soggiogati, i ricchi e i poveri.

Le bandiere nazionali nascondono più di ciò che mostrano, molto di più.

Poiché la pensiamo così, il nostro impegno per la vita è mondiale. Non riconosce frontiere, lingue, colori, razze, ideologie, religioni, sessi, età, dimensioni, bandiere.

Per questo la nostra è una Traversata per la Vita

-*-

Questa è una delle poche volte che faremo uso della parola in un evento dove pochi parlano e molti ascoltano.

E ne approfittiamo per farvi una richiesta rispettosa.

Raccontateci la vostra storia. Non importa se sia grande o piccola.

Raccontateci la vostra storia di resistenza, di ribellione. I vostri dolori, le vostre rabbie, i vostri “no” e i vostri “si”.

Perché noi comunità zapatiste veniamo ad ascoltare e imparare la storia che esiste in ogni stanza, in ogni casa, in ogni quartiere, in ogni comunità, in ogni lingua, in ogni modo e in ogni nessun modo.

Perché, dopo tanti anni, abbiamo imparato che in ogni dissidenza, in ogni ribellione, in ogni resistenza, esiste un grido per la vita.

E, secondo noi popoli zapatisti, tutto consiste in questo: nella vita.

E, quando un giorno qualsiasi, qualcuno vi domandi “Perché sono venuti gli zapatisti?”, insieme potremo rispondere, senza pena per voi e senza vergogna per noi, “sono venuti ad imparare”.

500 anni dopo, le comunità zapatiste sono venute ad ascoltarci.

Da Madrid, dalla geografia chiamata Spagna,

su questa terra e sotto questo cielo rinominati come

SLUMIL K’AJXEMK’OP, o “Terra Indomita”.

A nome delle comunità zapatiste.

Lo Squadrone Marittimo Zapatista, chiamato “Squadrone 421”.

Pianeta Terra. 13 di agosto, giusto 500 anni dopo.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/08/13/apenas-500-anos-despues/

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Chiapas: violenza e territorio

León Enrique Ávila y Peter Rosset*

Dalla sollevazione zapatista del 1° gennaio 1994, lo stato del Chiapas ha sperimentato diverse iterazioni della cosiddetta guerra a bassa intensità, o contro-insurrezione, che combina la violenza paramilitare anti-zapatista (tinyurl.com/fzwdfpdb) con vari misure politiche e sociali, compreso il veto mediatico, programmi assistenzialisti e la strumentalizzazione delle organizzazioni sociali e dei partiti politici, il tutto con l’obiettivo di isolare e contenere i ribelli.

Se all’inizio le violenze erano rivolte in particolare contro le basi di appoggio zapatiste e le comunità alleate (aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona), durante il governo statale di Manuel Velasco Coello (2012-2018) si è favorita la creazione di nuovi gruppi di scontro, spesso costituiti dal narco, con l’obiettivo di colpire nelle aree indigene non solo lo zapatismo, ma anche tutti i gruppi oppositori al PRI-Verde. Questo si è diffuso nelle città, come San Cristóbal de las Casas, dove sono emerse bande criminali come Los Motonetos [i motorizzati]che seminano il terrore tra la popolazione e si dedicano allo spaccio di droga, huachicol, vendita di lotti in aree naturali protette (foreste e zone umide) e controllo dell’acqua e la sua vendita in tubazioni.

Con il cambio del governo federale si genera l’ipotesi che la politica nazionale contro il narcotraffico sia quella di abrazos, no balazos [abbracci, niente spari] o del laissez faire. Il corollario ipotetico o apparente per il Chiapas, prima con l’alleanza Verde-Morena e poi con le tensioni tra di loro, insieme agli altri narco-partiti, è stato quello di dare mano libera ai gruppi criminali in tutto lo Stato, sia nelle campagne che in città, con il duplice scopo di tenere lo zapatismo alle strette e aggredito, e controllare e anche ripulire i territori e le risorse quotate dal capitale, siano esse minerarie, petrolifere, turistiche, stradali e, nelle città, la speculazione immobiliare probabilmente alimentata dal riciclaggio di denaro sporco. Ciò si sta traducendo in un aumento notevole del traffico di droga e di esseri umani e nella generalizzazione dei casi di gruppi armati irregolari che sparano alle comunità e intimidiscono le popolazioni.

Col governo di Rutilio Escandón Cadenas, questi gruppi godono di una quasi completa impunità e hanno ampliato il loro controllo territoriale, cercando di destituire ogni tipo di organizzazione e movimento sociale che difenda la terra e il territorio, sia in campagna che in città. La sua massima espressione è la combinazione con le forze del traffico come è stato sperimentato nella parte settentrionale dello stato, in cui comuni come Yajalón, Amatán, Aldama e Chilón, tra gli altri, hanno autorità municipali e vessazioni che per le denunce presentate rispondono a questi interessi. Secondo il CDHFBC, in Chiapas ci sono più di 40 conflitti socio-ambientali, un eufemismo per lo stesso. Tutto questo insieme alle continue o intensificate vessazioni allo zapatismo (tinyurl.com/z5bc7uxz).

Nel municipio di Pantelhó, negli Altos del Chiapas, è ormai evidente la decomposizione del governo e l’esecuzione degli oppositori, con l’omicidio di Simón Pedro, ex leader di Las Abejas, assassinato giorni dopo aver presentato prove di collusione tra le autorità municipali con i narcotrafficanti, che porta a una vera e propria crisi umanitaria con oltre 3.000 sfollati, e provoca la creazione di gruppi armati di autodifesa (tinyurl.com/y9z59afx). Intanto si sono verificate sparatorie tra narcotrafficanti a Tuxtla Gutiérrez e a San Cristóbal de las Casas, è aumentata la violenza dei Los Motonetos e di altri gruppi d’assalto, con colpi di arma da fuoco sparati in aria nei quartieri. Il 16 luglio scorso c’è stato uno scontro tra Los Motonetos e difensori delle zone umide nei quartieri meridionali e l’esecuzione di un volontario italiano (tinyurl.com/b428yt3b), tra altri eventi.

Tutto indica che l’apparente politica di Rutilio Escandón, lasciare mano libera alla criminalità armata in Chiapas per il controllo del territorio e la controinsurgencia anti-zapatista, si è trasformata in una guerra tra cartelli e di questi contro la cittadinanza (tinyurl.com/ 536umc8t ), in modo tale che l’entità oggi assomiglia all’era dell’ascesa della narcopolitica in stati come Guerrero, Michoacán, Sinaloa, Sonora o Tamaulipas. È in questo contesto di generale degrado in Chiapas che l’EZLN e il Congresso Nazionale Indigeno compiono il loro giro di denuncia in Europa.

In un panorama così oscuro, tuttavia, ci sono elementi di speranza. Il triste fatto che quasi ogni comunità o organizzazione possa ora essere bersaglio di attacchi, crea nuove condizioni per la concertazione. Tra questi, gli storici accordi dal basso per porre fine a oltre mezzo secolo di violenza nella Selva Lacandona (tinyurl.com/j5b2rv4w) e creare un piano di vita collettivo per la convivenza di tutti gli esseri nella regione (tinyurl.com/hfe5xpky) . C’è anche l’eminente annuncio di una nuova iniziativa nazionale dell’EZLN (tinyurl.com/2z6chk92>). Il Chiapas di Rutilio Escandón vive una straordinaria battaglia tra le forze del bene e quelle del male.

Fonte: La Jornada 24/07/2021 https://www.jornada.com.mx/2021/07/24/opinion/014a1pol

*León Enrique Ávila, profesor de la Universidad Intercultural de Chiapas (Unich), y Peter Rosset, profesor de El Colegio de la Frontera Sur (Ecosur)

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La Estemporanea e una Iniziativa Nazionale

COMMISSIONE SEXTA ZAPATISTA

Messico

Luglio 2021

A le/gli aderenti alla Dichiarazione per la Vita:

All’Europa in basso e a sinistra:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:
Alle Reti in Resistenza e Ribellione:
Al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos“:

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagne, compañeroas, compagni:

Sorelle, hermanoas, e fratelli:

Vi saluto a nome dei bambini, delle donne, otroas, anziani e uomini delle comunità zapatiste, e vi comunico quanto segue:

Primo.- Abbiamo pronta una compagnia aerea zapatista forte di 177 zapatisti. È composta interamente da originari di radice maya di lingua cho’ol, tzotzil, tzeltal, tojolabal e castigliano. Siamo nati nella geografia che chiamano Messico. I nostri antenati sono nati e sono morti in queste terre. Poiché lo Stato Messicano non riconosce la nostra identità e origine, e ci dice che siamo “estemporanei” (come dice il Ministero degli Affari Esteri, che siamo messicani “estemporanei”), abbiamo deciso di battezzare questa unità di “Escucha y Palabra” come “La Extemporanea”.

Come abbiamo visto nei dizionari, “estemporaneo” significa “che è inopportuno, sconveniente“, oppure “che è inappropriato per il tempo in cui accade“. Quindi siamo inopportuni, sconvenienti e inappropriati.

Mai prima d’ora siamo stati così adeguatamente definiti. Siamo lieti che lo Stato Messicano riconosca finalmente che è così che considera i popoli originari di questa geografia chiamata Messico. Penso che sia così che si rammarica di non averci annientati… non ancora; e che la nostra esistenza contraddica il discorso ufficiale sulla “conquista”. Ora si capisce che la richiesta del governo del Messico a quello della Spagna, di chiedere perdono, è per non averci sterminati.

De@ 177 delegat@, 62 di noi non hanno ancora il passaporto. Il Ministero degli Esteri è pressato dalla “sconvenienza” che rappresentiamo. Nonostante abbiamo dimostrato identità e origine, continua a richiedere sempre più documenti. Manca solo che chieda ai governi dell’America Centrale di dire che non siamo cittadini di quei paesi.

2.- La compagnia aerea “La Extemporánea”, con me al timone, si sta preparando da ottobre 2020 e siamo in quarantena da quasi un mese. È composta da:

.- Diversi gruppi di “Escucha y Palabra“. Zapatisti indigeni la cui esistenza e memoria copre la storia della nostra lotta dagli anni prima della sollevazione fino all’inizio del Viaggio per la Vita.

.- Una squadra di calcio femminile. È composta da 36 miliziane (che sono anche “Escucha y Palabra“) che hanno preso il nome e l’esempio dalla compianta Comandanta Ramona, la prima zapatista a lasciare il Chiapas, e si identificano come “Ixchel Ramona” e così usciranno sui campi sportivi d’Europa.

.- Il cosiddetto “Comando Palomitas“. Ci sono 6 ragazze e ragazzi che fanno parte del gruppo “Juego y Travesura” [Gioco e Marachella]. Come tutt@ noi, si sono preparati.

.- Il gruppo di coordinamento dell’invasione. Sono coloro che avranno il compito di organizzare e, nel caso, rafforzare i gruppi “Escucha y Palabra” che si distribuiranno nelle 5 zone in cui abbiamo diviso il continente Europeo. Inoltre presenzieranno ai media gratuiti e prezzolati, parteciperanno a tavole rotonde, conferenze ed eventi pubblici; e valuteranno lo sviluppo dell’invasione.

Con lo Squadrone 421 completeremo la prima ondata zapatista e inizieremo le visite a coloro che ci hanno invitato e, con attenzione e rispetto, li ascolteremo. Se lo chiederanno, racconteremo loro la nostra piccola storia di resistenza e ribellione.

3.- Con noi viaggerà una delegazione del Congresso Nazionale Indigeno-CIG, forte di 10 indigeni di lingua: Maya originaria, Popoluca, Binizá, Purhépecha, Raramuri, Otomí, Naayeri/Wixarika e Nahua; così come 3 fratelli e sorelle del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua di Tlaxcala, Puebla e Morelos. In totale 13.

4.- Poiché a me tocca il Viaggio per la Vita-Capitolo Europa, ho incaricato il Subcomandante Insurgente Galeano di assumere il comando in Messico e di avviare, quanto prima, contatti con il Congresso Nazionale Indigeno-CIG, con la Sexta Nazionale, con le Reti in Resistenza e Ribellione, con Organizzazioni Non Governative per la difesa dei Diritti Umani, con gruppi di Vittime di violenza, familiari di scomparsi e affini, nonché con artisti, scienziati e intellettuali, con l’obiettivo di far loro conoscere una nuova iniziativa nazionale e invitarli ad organizzarsi per questa. E aprire così un fronte di lotta per la Vita nel nostro Paese.

5.- Tra pochi giorni, che vi comunicheremo a tempo debito, inizieremo il nostro viaggio. Adesso stiamo provando a vaccinarci tutti per evitarvi problemi sanitari, e in attesa che la cosiddetta “terza ondata” di contagi in Messico si abbassi un po’.

Poi andremo nel caracol Jacinto Canek, a San Cristóbal de Las Casas, e lì ci concentreremo. Da lì ci sposteremo a Città del Messico dove le/i 177 delegat@ si recheranno negli uffici della SRE affinché ci dicano, in faccia e in pubblico, che non abbiamo diritti perché siamo “estemporanei”, e che il loro “ambizionismo” li costringe a delegare la loro responsabilità a burocrati razzisti e ignoranti. Poi, forse, Parigi, Francia.

Le date precise le diremo più avanti, perché sembra che anche per il governo francese noi siamo importuni; in aggiunta, ovviamente, alla nuova ondata mondiale di COVID19. Niente da fare, deve essere la globalizzazione.

6.- Siamo un po’ nervosi ma felici – non è la prima volta che faremo qualcosa senza sapere cosa aspettarci -. Fin da ora ringraziamo l’Europa del Basso, la Sexta Nazionale, le Reti in Resistenza e Ribellione, le ONG solidali di questa e dell’altra sponda dell’Oceano, e il collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos” per il sostegno economico e in natura che consentirà il viaggio aereo. Il costo del viaggio in mare e dei passaporti (tra i 10mila e i 15mila pesos ciascuno, per i continui viaggi di andata e ritorno dai nostri villaggi per soddisfare le ridicole richieste dello Stato Messicano per essere “estemporanei”), è stato interamente coperto dall’EZLN e ci ha lasciati senza fondi di riserva. Ma non ha comportato alcuna spesa personale per nessun@ de@ delegat@.

7.- Per quanto riguarda l’iniziativa nazionale – di cui è incaricato il SupGaleano -, anticipo solo che partirà con il nostro appello a partecipare alla cosiddetta “Consulta Popular” del 1° agosto, e a rispondere “Sì” alla domanda se si deve o no fare qualcosa per rispettare il diritto alla verità e alla giustizia di coloro che sono stati vittime di azioni e omissioni dello Stato Messicano (che questo, e nient’altro, è la domanda che ha elaborato la Corte Suprema di Giustizia della Nazione del paese chiamato Messico). Chi in alto, tra i partiti di “opposizione”, si oppone alla consultazione, non solo teme ciò che ne seguirà; ha pure il terrore che le vittime recuperino le loro istanze dall’uso vile e perverso che l’estrema destra fa del loro dolore. Perché il dolore non deve essere un affare elettorale, e tanto meno per scopi merdosi come che tornino al governo alcuni dei principali responsabili delle violenze e che prima si sono solo dedicati ad accumulare soldi e cinismo. Ecco perché l’INE, che considera noi indigeni “estemporanei” e ci nega i documenti, sta facendo tutto il possibile per far fallire la consultazione, perché sa che anche questo istituto ha la sua parte nel crimine a causa della sua politica esclusiva per la pelle chiara e urbana.

Bisogna entrarci, non guardando in alto, ma guardando le vittime. Bisogna trasformare la consultazione in una consulta “estemporanea”. Questo al fine di avviare, indipendentemente da quelli in alto, una mobilitazione per una Commissione per la Verità e la Giustizia per le Vittime, o come si voglia chiamare. Perché non può esserci vita senza verità e giustizia.

Per ora è tutto.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

Per gli zapatisti estemporanei.

Subcomandante Insurgente Moisés

Ancora in Messico, Luglio 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/07/16/la-extemporanea-y-una-iniciativa-nacional/

“Bella Ciao” versione tromboni, Germán El Trombón & El Clan del Solar

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Foto: Cuartoscuro

Pantelhó, narcoparamilitari e autodifesa indigena

Luis Hernández Navarro

Simón Pedro Pérez López è stato giustiziato nel mercato di Simojovel, in Chiapas. Il delitto è stato eseguito da un professionista. Da una motocicletta in corsa un sicario gli ha sparato alla testa. Impotente, quel 5 luglio, suo figlio ha visto il padre morire dissanguato a terra fino a che non ha esalato l’ultimo respiro.

Simón, indigeno tsotsil di 35 anni, padre di sette figli, era catechista nella parrocchia di Santa Catalina, a Pantelhó. Nel 2020 ha presieduto il consiglio di amministrazione della Società Civile Las Abejas di Acteal, a cui appartengono le vittime del massacro paramilitare del 22 dicembre 1997, in cui furono uccise selvaggiamente 45 persone che stavano pregando in una cappella. Faceva parte anche del Congresso Nazionale Indigeno (CNI).

Era un brav’uomo, dedito alla difesa dei diritti umani e alla richiesta di giustizia. Aveva appena denunciato gli abusi subiti dagli abitanti di Pantelhó da parte di un gruppo narcoparamilitare dedito al traffico di droga, migranti e armi, oltre che al furto di automobili. Pochi giorni prima del suo assassinio, il 26 giugno, autorità comunali e agenti comunali avevano presentato al segretario del Governo del Chiapas, Victoria Cecilia Flores Pérez, un documento che fornisce un resoconto dettagliato dei rapporti tra le autorità locali ed i gruppi criminali.

Colui che controlla la presidenza municipale di Pantelhó è del PRD. Non è un fenomeno nuovo. Senza essere l’unico caso, da anni nello Stato il partito è al servizio dei paramilitari (https://bit.ly/3yEDilR). Santos López Hernández ha vinto tre anni fa ed è stato poi arrestato per abusi sessuali su due donne, funzionarie della Giunta. Al suo posto è stata nominata Delia Janet Velasco Flores, moglie del sindaco eletto alle ultime elezioni con le sigle del sole azteco, Raquel Trujillo Morales (che assicura di aver divorziato sei mesi fa https://bit.ly/3yJwMdo).

Nel 2019 Raquel è stato accusato dagli abitanti di aver usurpato le funzioni di sindaco, di aggredire i cittadini e di aver sottratto oltre 3 milioni di pesos dalle casse comunali, in complicità con il tesoriere. Da allora, è stato associato ai fratelli Rubén e Daily Herrera per intimidire con la violenza coloro che gli si oppongono (https://bit.ly/3r05hto). Il patriarca del clan, Austreberto, è in carcere per aver ucciso due persone nell’aprile 2015 (https://bit.ly/3hXCcuy). Nel 2002 voleva auto-nominarsi giudice locale. È stato lui ad aprire le porte alla criminalità organizzata.

Simón Pedro non è l’unico membro della Società Civile Las Abejas ucciso a Pantelhó. Nel 2015, i criminali hanno ucciso il catechista Manuel López. Nonostante la procura del Chiapas sia a conoscenza del fatto, non ci sono stati progressi nelle indagini né sono stati puniti i colpevoli.

Con l’appoggio di uomini armati di Campeche, Veracruz e Sinaloa, questo gruppo ha conquistato il controllo del territorio attraverso terrore, omicidi, sparizioni, rapine, espropriazioni e sgomberi forzati, usando armi ed esplosivi ad uso esclusivo dell’Esercito Messicano. Non è estraneo all’organizzazione criminale che opera a Chenalhó (https://bit.ly/2TMWejF) e al cartello di Chamula.

La violenza scatenata dal gruppo all’interno del comune si è esacerbata nell’ultima competizione elettorale. Il Centro per i Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha documentato l’omicidio di 12 persone, tra cui un bambino e un’altra desaparecida, dal marzo di quest’anno. Moltissimi abitanti sono stati sfollati a causa della paura e del rischio di perdere la vita. Posti di blocco, imboscate e incursioni di gruppi armati, in compagnia di elementi della polizia, sono all’ordine del giorno. Diverse testimonianze hanno rivelato che i veicoli della Guardia Nazionale sono guidati da membri del gruppo criminale (https://bit.ly/3e0nQZu).

In questo clima di coercizione, 11 parrocchie tsotsil della Diocesi di San Cristóbal de Las Casas, guidate da padre Marcelo Pérez Pérez, questo 6 giugno hanno chiesto di rinviare le elezioni in questo municipio. “A Pantelhó vige il silenzio. Nessuno vuole parlare. Non lasciano le comunità perché temono di essere uccisi”, ha segnalato dopo un incontro tra agenti pastorali. Ma nessuno ha ascoltato il suo avvertimento.

Padre Marcelo non è stato l’unico a prevedere il pericolo in agguato. Siamo preoccupati – osservano i vescovi del Chiapas – che alcuni gruppi di potere, legati ad attività criminali, si infiltrino nei partiti politici.

Foto: Cuartoscuro

La goccia che ha fatto traboccare il vaso nella regione è stato l’omicidio di Simón Pedro Pérez López e la rivelazione del patto di impunità istituzionale che protegge il gruppo criminale. Due bombe artigianali sono state trovate a casa degli assassini del catechista nella comunità di Nuevo Israelita. Collocate in una situazione limite, il 7 e 8 luglio scorso le Forze di Autodifesa per la Vita di Pantellhó “El Machete” hanno affrontato i narcoparamilitari e hanno occupato la sede municipale per difendere le loro vite. In questo contesto, un convoglio di soldati e polizia è stato attaccato con armi da fuoco mentre cercava di rimuovere un blocco stradale.

Il conflitto è stato esacerbato. Centinaia di indigeni tsotsil hanno cercato rifugio in luoghi sicuri. Pantelhó è diventata una città fantasma. Gli abitanti del vicino comune di Cancuc hanno bloccato uscite ed entrate. Nella regione sono sfollate più di duemila persone. Il tentativo di creare un cordone sanitario per isolare lo zapatismo e le lotte indigene per l’autonomia utilizzando i narcoparamilitari si è fatto critico.

Twitter: @lhan55

Fonte: La Jornada 11 luglio 2021 https://www.jornada.com.mx/2021/07/11/opinion/010a1pol?s=03

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MESSICO: UCCISO A SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS IL COMPAGNO BRESCIANO MICHELE ‘MIGUEL’ COLOSIO

Radio Onda D’Urto 13 Luglio 2021

È stato ucciso a colpi di pistola Michele Colosio, per tutti Miguel, bresciano di 42 anni, a San Cristobal de las Casas, in Chiapas, Messico. L’omicidio nella serata (messicana) di domenica 11 luglio 2021.

Da dieci anni Miguel faceva avanti e indietro tra il Chiapas, dove partecipava a progetti di cooperazione e volontariato, e il Bresciano dove aveva tuttora la residenza. Dieci anni fa, Miguel aveva lasciato il lavoro di tecnico di radiologia agli Spedali Civili di Brescia e aveva deciso di dedicarsi ai progetti in Chiapas, la regione delle municipalità ribelli zapatiste nel sud-est del Messico.

Nell’ultimo periodo si era avvicinato al progetto “Casa de Salud Comunitaria “Yi’bel ik’ Raíz del Viento”, cogestito dal Nodo solidale e da alcune realtà territoriali, mettendo a disposizione le proprie competenze di ex-radiologo.

Non si sa praticamente nulla, al momento, della dinamica della sua uccisione. Solo che era uscito di casa per vedere la finale degli Europei di calcio e che, dopo la partita, qualcuno si è avvicinato sparandogli e uccidendolo, fuggendo poi in sella a una motocicletta.

Michele Colosio era stato tra i fondatori della Critical Mass di San Cristobal. Per questo oggi, martedì 13 luglio, compagne e compagni lo ricorderanno con una biciclettata per le vie dell’antica capitale dello Stato messicano del Chiapas. Appuntamento alle ore 19.30 locali (le 02.30 italiane di mercoledì 14 luglio) nella piazza della Cattedrale, con una critical mass, il posizionamento di una bicicletta rossa e una veglia denominata “Basta con la violenza”».

Miguel, in passato, è stato anche volontario della Festa di Radio Onda d’Urto nello stand Salamaia.

L’intervista a Sante, compagno del Nodo solidale e volontario della Festa di Radio Onda d’Urto. Ascolta o scarica: https://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2021/07/Sante-su-Michele-Colosio.mp3

Sulla pagina sociale della Casa de Salud Comunitaria “Yi’bel ik’ Raíz del Viento” è comparso un ricordo di Michele Colosio:

“Michele Colosio è stato ucciso domenica sera. Il suo sorriso noto e largo si è spento, lo hanno ucciso in un assalto, a un isolato da casa sua, tornando dai festeggiamenti per la finale dell’Eurocoppa di calcio. Ero così felice.

Michele è nato in Italia ma è sempre stato un cittadino del mondo, viveva in Messico da più di 10 anni e aveva una grande rete di amicizie, grande come il suo cuore. Artigiano, viaggiatore, pastore di capre, contadino, trapaniere, meccanico di bicicletta e tutto quello che gli veniva in mente di imparare, Michele nella sua gioventù ha studiato e lavorato come radiologo in un ospedale e il suo cuore e le sue conoscenze lo hanno avvicinato alla nostra Casa di Salute Comunitaria Yi ‘ bel Ik ‘ ′′Radice del Vento”, così come a molti altri progetti sociali, convinto com’era lui che bisognava dare, bisognava aiutare, bisognava fare popolo nella fratellanza, senza distinzioni di lingue, confini e colore di pelle.

È morto dopo un assalto, uno dei tanti che ogni giorno si danno nel villaggio magico di San Cristoforo, una città già alla mercé di tanti gruppi armati (criminalità comune, crimine organizzato, narcos, gruppi di choc e paramilitari, sicari in uniforme , ecc) che agiscono grazie alla vista grassa di tutti i governi e alla corruzione di tutti i corpi di polizia. Il marciume istituzionale, la povertà diffusa e l’impunità hanno trasformato questa bella città in un inferno più delle migliaia di questo paese addolorato. Lo denunciamo da anni e resistiamo, non ci fermiamo.

Ciao Michele, ci vediamo in giro. Mentre siamo anche nel tuo percorso di apprendimento e consegne, per costruire un mondo in cui ci sono molti mondi”.

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VOLANTEM EST ALIO MODO GRADIENDI

(Cosa ci aspettiamo?)

Un qualsiasi giorno, di qualsiasi mese di qualsiasi anno.

Siccità. Inondazioni. Terremoti. Eruzioni. Inquinamento. Pandemie attuali e future. Omicidi di leader di popoli originari, difensori dei diritti umani, guardiani della Terra. La violenza di genere che raggiunge il genocidio contro le donne – lo stupido suicidio dell’umanità -. Razzismo non di rado mal nascosto dietro l’elemosina. Criminalizzazione e persecuzione della differenza. La condanna irrimediabile della sparizione forzata. Repressione in risposta a richieste legittime. Sfruttamento dei più da parte dei meno. Grandi progetti di distruzione dei territori. Villaggi desolati. Milioni di sfollati, occultati sotto il termine di “migrazione”. Specie in pericolo di estinzione o solo, ormai, un nome nella cartella “animali preistorici”. Profitti giganteschi dei più ricchi tra i più ricchi del pianeta. Estrema miseria dei più poveri tra i bisognosi del mondo. La tirannia del denaro. La realtà virtuale come falsa via d’uscita dalla realtà reale. Stati Nazionali agonizzanti. Ogni individuo un nemico estraneo. La menzogna come programma di governo. Il frivolo e il superficiale come ideali da raggiungere. Il cinismo come nuova religione. La morte come routine quotidiana. La guerra. Sempre la guerra.

La tormenta che spazza via tutto, sussurra, consiglia, grida:

Arrenditi!

Arrenditi!

Arrenditi!

Tuttavia…

Là, vicino e lontano dai nostri suoli e cieli, c’è qualcuno. Una donna, un uomo, unoa otroa, un gruppo, un collettivo, un’organizzazione, un movimento, un popolo originario, un quartiere, una strada, una città, una casa, una stanza. Nell’angolo più piccolo, più dimenticato, più lontano, c’è qualcuno che dice “NO”. Che lo dice piano, che si sente appena, che lo grida, che lo vive e lo muore. E si ribella e resiste. Qualcun@. Devi cercarl@. Devi trovarl@. Devi ascoltarl@. Devi impararl@.

Anche se dobbiamo volare per abbracciarl@.

Perché, in fondo, volare è solo un altro modo di camminare. E, beh, camminare è il nostro modo di lottare, di vivere.

Quindi, nel Viaggio per la Vita, cosa ci aspettiamo? Non vediamo l’ora di guardare il tuo cuore. Speriamo non sia troppo tardi. Speriamo… tutto.

InFede.
SupGaleano.
Pianeta Terra… o ciò che ne resta.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/07/06/volantem-est-alio-modo-gradiendi/

«On lâche rien» in Francese, Spagnolo, Catalano, Euskera, Gallego. Interpretata dar: HK et les SALTIMBANKS con LA PULQUERIA, TXARANGO, LA TROBA KUNG-FÙ, FERMIN MUGURUZA et DAKIDARRIA.

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Il Viaggio per la Vita: PER FARE COSA?

Giugno 2021

Una precisazione: molte volte, quando usiamo il termine “los zapatistas – gli zapatisti” – non ci riferiamo agli uomini ma ai popoli zapatisti. E quando usiamo “las zapatistas” – le zapatiste – non definiamo le donne, ma le comunità zapatiste. Dunque, troverai questo “salto” di genere nelle nostre parole. Quando ci riferiamo al genere, aggiungiamo sempre “otroa” per indicare l’esistenza e la lotta di coloro che non sono né uomini né donne (e che la nostra ignoranza in materia ci impedisce di definire – ma impareremo a nominare tutte le differenze -).

-*-

Ora, la prima cosa che devi sapere o capire è che noi zapatisti quando facciamo qualcosa, per prima cosa ci prepariamo al peggio. Partiamo da un finale di fallimento e, in senso opposto, ci prepariamo ad affrontarlo o, nel migliore dei casi, ad evitarlo.

Ad esempio, immaginiamo di essere attaccati, i massacri di rigore, il genocidio travestito da moderna civilizzazione, lo sterminio totale. E ci prepariamo a queste possibilità. Ebbene, per il 1° gennaio 1994 non immaginammo la sconfitta, la prendemmo come una certezza.

Ad ogni modo, forse questo ti aiuterà a capire perché inizialmente eravamo stupiti, titubanti e confusi nell’improvvisare quando, dopo tanto tempo, lavoro e preparazione alla rovina, ci siamo ritrovati… vivi.

È da questo scetticismo che nascono le nostre iniziative. Alcune piccole, altre più grandi, tutte un delirio; le nostre convocazioni sono sempre rivolte “all’altro”, a ciò che va molto oltre il nostro orizzonte quotidiano, ma che riteniamo qualcosa di necessario nella lotta per la vita, cioè nella lotta per l’umanità.

Con questa iniziativa o scommessa o delirio o follia, per esempio, nella sua versione marittima ci siamo preparati al Kraken, ad una tempesta o una balena bianca che avrebbe fatto naufragare l’imbarcazione, ecco perché abbiamo costruito i cayucos – che hanno viaggiato con lo Squadrone 421 su La Montaña fino a Vigo, Galizia, Stato Spagnolo, Europa -.

Ci siamo preparati anche a non essere i benvenuti, per questo prima abbiamo chiesto il consenso per l’invasione, cioè la visita… Beh, di essere i “benvenuti” non siamo ancora del tutto sicuri. Per più di una, uno, unoa, la nostra presenza è a dir poco inquietante, quando non francamente dirompente. E lo capiamo, può darsi che qualcuno, dopo più di un anno di confinamento, trovi quantomeno inopportuno che un gruppo di indigeni di radice maya, molto poca cosa in quanto a produttori e consumatori di merci (elettorali e non), voglia parlare di persona. Di persona! (ricordi che questo prima faceva parte della tua quotidianità?). E, che inoltre, abbia come missione principale quella di ascoltarti, riempirti di domande, condividere incubi e, naturalmente, sogni.

Ci siamo preparati che i malgoverni, da una parte e dall’altra, impediscano o ostacolino la nostra partenza e il nostro arrivo, per questo alcun@ zapatisti erano già in Europa… Opps, non avrei dovuto scriverlo, cancellatelo. Sappiamo che il governo messicano non porrà ostacoli. Resta da vedere cosa diranno e faranno gli altri governi europei – Portogallo e Stato Spagnolo non si sono opposti -.

Ci siamo preparati al fallimento della missione, cioè che diventi un evento mediatico e, quindi, fugace e irrilevante. Per questo accettiamo anzitutto gli inviti di chi vuole ascoltare e parlare, cioè conversare. Perché il nostro obiettivo principale non sono gli eventi di massa – anche se non li escludiamo -, ma lo scambio di storie, conoscenze, sentimenti, valutazioni, sfide, fallimenti e successi.

Ci siamo preparati alla caduta dell’aereo, motivo per cui abbiamo realizzato dei paracadute con ricami colorati affinché invece di un “D-Day” in Normandia (oh, oh, questo significa che lo sbarco aereo sarebbe in Francia?… eh?… a Parigi?!), sia un “Z-Day” per l’Europa del basso, e sembrerà allora che dal cielo piovano fiori come se Ixchel, dea madre, dea arcobaleno, ci accompagni e, con la sua mano e con il suo volo, apra un secondo fronte all’invasione. E più sicuro perché ora, grazie alla Galizia del basso, lo Squadrone 421 è riuscito a installare una testa di ponte nelle terre di Breogán.

In breve, ci prepariamo sempre a fallire… e a morire. Ecco perché la vita, per lo zapatismo, è una sorpresa che va celebrata tutti i giorni, a tutte le ore. E cosa altro c’è di meglio se non con balli, musica, arti.

-*-

In tutti questi anni abbiamo imparato molte cose. Forse la cosa più importante è rendersi conto di quanto siamo piccoli. E non intendo altezza e peso, ma la dimensione del nostro impegno. I contatti con persone, gruppi, collettivi, movimenti e organizzazioni di diverse parti del pianeta ci hanno mostrato un mondo diverso, molteplice e complesso. Ciò ha rafforzato la nostra convinzione che ogni proposta di egemonia e di omogeneità non solo è impossibile, ma è soprattutto criminale.

Perché i tentativi – non di rado nascosti dietro nazionalismi di cartapesta nelle vetrine dei centri commerciali della politica elettorale – di imporre modi e sguardi sono criminali perché cercano di sterminare differenze di ogni genere.

L’altro è il nemico: differenza di genere, razza, identità sessuale o asessuale, lingua, colore della pelle, cultura, credo o miscredenza, concezione del mondo, fisico, stereotipo di bellezza, storia. Contando tutti i mondi che ci sono nel mondo, ci sono praticamente tanti nemici, reali o potenziali, quanti sono gli esseri umani.

E potremmo dire che quasi ogni dichiarazione di identità è una dichiarazione di guerra contro il diverso. Ho detto “quasi” e, in quanto zapatisti, ci aggrappiamo a questo “quasi”.

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Secondo le nostre modalità, i nostri calendari e la nostra geografia, siamo giunti alla conclusione che l’incubo può sempre peggiorare. La pandemia di “Coronavirus” non è l’apocalisse. È solo il suo preludio. Se i media e i social volevano rassicurarci, prima, “informando” sull’estinzione di un ghiacciaio, un terremoto, uno tsunami, una guerra in qualche parte lontana del pianeta, l’omicidio di un altro indigeno da parte dei paramilitari, una nuova aggressione contro la Palestina o il popolo mapuche, la brutalità del governo in Colombia e Nicaragua, le immagini dei campi di detenzione per migranti che vengono da un altro luogo, da un altro continente, da un altro mondo, convincendoci così che questo “succede da un’altra parte”, in poche settimane, la pandemia ha dimostrato che il mondo può essere solo una piccola parrocchia egoista, sciocca e vulnerabile. I diversi governi nazionali sono le cosche che vogliono controllare, con la violenza “legale”, una strada o un quartiere, ma il “capo” che controlla tutto è il capitale.

Ad ogni modo, si sta preparando il peggio. Ma questo lo sapevi già, vero? E se no, allora è ora che tu lo sappia. Perché, oltre a cercare di convincerti che sofferenze e disgrazie saranno sempre estranee (fino a quando non smettono di essere tali e si siedono alla tua tavola, turbandoti il sonno e lasciandoti senza lacrime), ti dicono che il modo migliore per affrontare queste minacce è individualmente.

Questo male si evita allontanandosi da esso, costruendo il tuo mondo a tenuta stagna e rendendolo sempre più angusto fino a che c’è spazio solo per “io, mio, me, con me”. E per questo, ti offrono “nemici” a modo, sempre con un fianco debole e che è possibile sconfiggere acquistando, ascolta bene, questo prodotto che, guarda che coincidenza, per questa unica occasione in offerta e puoi acquistarlo e riceverlo sulla porta del tuo bunker in poche ore, giorni … o settimane, perché la macchina ha scoperto, oh sorpresa, che il reddito dipende anche dalla circolazione della merce e che, se questo processo si ferma o rallenta, la bestia soffre… cosicché è business anche la sua distribuzione e ripartizione.

Ma, in quanto zapatisti, abbiamo studiato e analizzato. E vogliamo confrontare le conclusioni a cui siamo giunti con scienziati, artisti, filosofi e analisti critici di tutto il mondo.

Ma non solo, anche e soprattutto con coloro che, nelle loro lotte quotidiane, hanno subito e avvertito le disgrazie a venire. Perché, per quanto riguarda il sociale, teniamo in grande considerazione l’analisi e la valutazione di chi rischia la pelle nella lotta contro la macchina, e siamo scettici nei confronti di chi, dal punto di vista esterno, opina, valuta, consiglia, giudica e condanna o assolve.

Ma, attenzione, riteniamo che questo sguardo critico “outsider” sia necessario e vitale, perché ci permette di vedere cose che non si vedono nel vivo della lotta e, attenzione, contribuisce alla conoscenza della genealogia della bestia, delle sue trasformazioni e del suo funzionamento.

In ogni caso, vogliamo parlare e, soprattutto, ascoltare chi si mette in mezzo. E non ci interessa il suo colore, taglia, razza, sesso, religione, militanza politica o percorso ideologico, se questo coincide con il ritratto fedele della macchina assassina.

E se, quando parliamo del criminale, qualcuno lo identifica con il fato, la sfortuna, “l’ordine naturale delle cose”, il castigo divino, la pigrizia o l’incuria, lì non ci interessa ascoltare o parlare. Per queste spiegazioni basta guardare le soap opera e andare sui social in cerca di conferme.

Cioè, crediamo di aver stabilito chi è il criminale, il suo modus operandi e il crimine stesso. Queste 3 caratteristiche si sintetizzano in un sistema, cioè in un modo di rapportarsi all’umanità e alla natura: il capitalismo.

Sappiamo che è un crimine in corso e che il suo perseguimento sarà disastroso per il mondo intero. Ma non è questa la conclusione che ci interessa corroborare, no.

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Perché sembra che, anche studiando e analizzando, abbiamo scoperto qualcosa che può o no essere importante. Dipende.

Supponendo che questo pianeta sarà annientato, almeno per come lo percepiamo adesso, abbiamo studiato le possibili opzioni.

Cioè, la nave affonda e lassù dicono che non succede nulla, che è qualcosa di passeggero. Sì, come quando la petroliera Prestige naufragò al largo delle coste europee (2002) – la Galizia fu la prima testimone e vittima – e le autorità imprenditoriali e governative dissero che erano state sversate solo poche gocce di carburante. Il disastro non è stato pagato né dal Boss, né dai suoi sgherri e caporali. L’hanno pagato, e continuano a pagare, gli abitanti che vivono di pesca su quelle coste. Loro e i loro discendenti.

E per “Nave” intendiamo il pianeta omogeneizzato da un sistema: il capitalismo. Certo, potranno dire che “questa non è la nostra nave”, ma il naufragio in corso non è solo di un sistema, ma del mondo intero, completo, totale, anche l’angolo più remoto e isolato, e non solo dei suoi centri di Potere.

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Capiamo che qualcuno pensi, e agisca di conseguenza, che è ancora possibile rattoppare, rammendare, dipingere un po’ qua e là, rimodellare l’imbarcazione. Tenerla a galla anche vendendo la fantasia che siano possibili megaprogetti che non solo non annientano intere popolazioni, ma anche che non colpiscano la natura.

Che ci sono persone che pensano che basti essere molto determinate e darci dentro con il maquillage (almeno fino a quando non passano le elezioni). E che credono che la migliore risposta al reclamo di “Mai più” – che si ripete in tutti gli angoli del pianeta -, siano promesse e denaro, programmi politici e denaro, buone intenzioni e denaro, bandiere e denaro, fanatismo e denaro. Che credano davvero che i problemi del mondo si riducano alla mancanza di denaro.

E il denaro ha bisogno di strade, grandi progetti di civilizzazione, hotel, centri commerciali, fabbriche, banche, manodopera, consumatori, … polizie ed eserciti.

Le cosiddette “comunità rurali” sono classificate come “poco sviluppate” o “arretrate” perché la circolazione del denaro, cioè delle merci, è inesistente o molto limitata. Non importa che, ad esempio, il loro tasso di femminicidi e violenze di genere sia inferiore rispetto a quello delle città. I successi dei governi si misurano dal numero di aree distrutte e ripopolate da produttori e consumatori di merci, grazie alla ricostruzione di quel territorio. Dove prima c’era un campo di grano, una sorgente, un bosco, ora ci sono alberghi, centri commerciali, fabbriche, centrali termoelettriche, … violenza di genere, persecuzione della differenza, narcotraffico, infanticidi, tratta di esseri umani, sfruttamento, razzismo, discriminazione. In breve: c-i-v-i-l-i-z-z-a-z-i-o-n-e.

L’idea è che la popolazione contadina diventi una dipendente di questa “urbanizzazione”. Continuerà a vivere, lavorare e consumare nella sua località, ma il proprietario di tutto ciò che la circonda è un conglomerato industriale-commerciale-finanziario-militare la cui sede è nel cyberspazio e per il quale quel territorio conquistato è solo un puntino sulla mappa, una percentuale di profitto, una merce. E il vero risultato sarà che la popolazione originaria dovrà migrare, perché il capitale arriverà con propri dipendenti “qualificati”. La popolazione originaria dovrà irrigare giardini e pulire parcheggi, locali e piscine dove prima c’erano campi, boschi, coste, lagune, fiumi e sorgenti.

Ciò che si nasconde è che, dietro le espansioni (“guerre di conquista”) degli Stati – siano esse interne (“incorporando più popolazione alla modernità”), sia esterne con alibi diversi (come quello del governo israeliano nella sua guerra contro la Palestina) – c’è una logica comune: la conquista di un territorio da parte della merce, cioè del denaro, cioè del capitale.

Ma capiamo che queste persone, per diventare il cassiere che amministra i pagamenti e i ricavi che danno vita alla macchina, formano partiti politici elettorali, fronti – ampi o ristretti – per disputare l’accesso al governo, alleanze e rotture “strategiche”, e tutte le sfumature in cui sono impegnati lavoro e vite che, dietro piccoli successi, nascondono grandi fallimenti. Una piccola legge lì, un interlocuzione ufficiale qui, una nota giornalistica lì, un tuit qua e là, un like là, tuttavia, per fare un esempio di un crimine globale in corso, i femminicidi sono in aumento. Nel frattempo la sinistra sale e scenda, la destra sale e scende, il centro sale e scende. Come cantava l’indimenticabile malagueña Marisol, “la vita è una lotteria“: tutti (di sopra) vincono, tutti (di sotto) perdono.

Ma la “civilizzazione” è solo un fragile alibi per la distruzione brutale. Il veleno si diffonde (non più dalla Prestige – o non solo da quella nave -) e l’intero sistema sembra voler avvelenare ogni angolo del pianeta, perché distruzione e morte sono più redditizie che fermare la macchina.

Siamo sicuri che potrai aggiungere molti altri esempi. Indicatori di un incubo irrazionale, tuttavia, attivo.

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Quindi, per diversi decenni ci siamo concentrati sulla ricerca di alternative. La costruzione di zattere, cayucos, lance e anche imbarcazioni più grandi (la 6a come improbabile arca), ha un orizzonte ben definito. Da qualche parte si dovrà sbarcare.

Abbiamo letto e riletto. Abbiamo studiato e continuiamo a farlo. Abbiamo fatto analisi prima e ora. Abbiamo aperto il nostro cuore e il nostro sguardo non alle ideologie attuali o passate di moda, ma alle scienze, alle arti e alle nostre storie di popoli originari. Con queste conoscenze e strumenti, abbiamo scoperto che esiste, in questo sistema solare, un pianeta che potrebbe essere abitabile: il terzo del sistema solare e che, fino ad ora, compare nei libri scolastici e scientifici con il nome di “La Terra”. Per ulteriori riferimenti, si trova tra Venere e Marte. Cioè, secondo certe culture, sta tra l’amore e la guerra.

Il problema è che questo pianeta è ormai un cumulo di macerie, veri incubi e orrori tangibili. Poco è rimasto in piedi. Anche la cortina che nasconde la catastrofe è strappata. Allora, come posso dirtelo? Il problema non è conquistare quel mondo e godere dei piaceri dei vincitori. È più complicato e richiede, sì, uno sforzo mondiale: bisogna rifarlo.

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Ora, secondo le grandi produzioni cinematografiche hollywoodiane, l’uscita dalla catastrofe mondiale (sempre qualcosa di esterno – alieni, meteore, pandemie inspiegabili, zombie simili a candidati a qualche carica pubblica -) è il prodotto dell’unione di tutti i governi del mondo (guidati dai gringos)… o, peggio, dal governo degli Stati Uniti sintetizzato in un individuo, o individua (perché la macchina ha imparato che la farsa deve essere includente), che può avere le caratteristiche razziali e di genere politicamente corrette , ma che sul petto porta il marchio dell’Idra.

Ma, lungi da queste finzioni, la realtà ci mostra che tutto è business: il sistema produce la distruzione e ti vende i biglietti per fuggire da esso… nello spazio. E sicuramente, negli uffici delle grandi corporazioni, ci sono brillanti progetti di colonizzazione interstellare… con proprietà privata dei mezzi di produzione inclusa. In altre parole, il sistema viene traslato, nella sua interezza, su un altro pianeta. “All included” si riferisce a chi lavora, a chi vive sopra coloro che lavorano e al suo rapporto di sfruttamento.

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A volte non si limitano a guardare allo spazio. Il capitalismo “verde” si batte per le aree “protette” del pianeta. Bolle ecologiche dove la bestia può rifugiarsi mentre il pianeta guarisce dai morsi (il che richiederebbe solo pochi milioni di anni).

Quando la macchina parla di “un nuovo mondo” o “di umanizzazione del pianeta”, pensa ai territori da conquistare, spopolare e distruggere, per poi ripopolare e ricostruire con la stessa logica che ora tiene il mondo di fronte al baratro, sempre pronta a fare il passo avanti che richiese il progresso.

Potresti pensare che non sia possibile che qualcuno sia così imbecille da distruggere la casa in cui vive. “La rana non beve tutta l’acqua della pozza in cui vive“, dice un proverbio del popolo originario Sioux. Ma se intendi applicare la logica razionale al funzionamento della macchina, non capirai (beh, nemmeno la macchina). Le valutazioni morali ed etiche non servono a niente. La logica della bestia è il profitto. Certo, ora ti chiederai come sia possibile che una macchina irrazionale, immorale e stupida governi i destini di un intero pianeta. Ah, (sospiro), è nella sua genealogia, nella sua stessa essenza.

Ma, tralasciando l’impossibile esercizio di dotare di razionalità l’irrazionale, arriverai alla conclusione che è necessario distruggere questa mostruosità che non è diabolica. Purtroppo è umana.

E, naturalmente, tu studi, leggi, confronti, analizzi e scopri che ci sono ottime proposte per uscirne. Da quelle che propongono trucco e parrucco, a quelle che consigliano lezioni di morale e logica per la bestia, passando per nuovi o vecchi sistemi.

Sì, ti capiamo, la vita fa schifo ed è sempre possibile rifugiarsi in quel cinismo così sopravvalutato sui social network. Diceva il compianto SupMarco: “la cosa brutta non è che la vita fa schifo, ma che ti costringano a mangiarla e si aspettano pure che tu l’apprezzi“.

Ma supponi di no, che tu sappia che, in effetti, la vita fa schifo, ma la tua reazione non sia quella di chiuderti in te stesso (o nel tuo “mondo”, che dipende dal numero dei tuoi “follower” sui social network di adesso e a venire). E poi decidi di abbracciare, con fede, speranza e carità, alcune delle opzioni che ti vengono presentate. E scegli la migliore, la più grande, la più famosa, quella vincente… o quella che ti è vicina.

Grandi progetti di nuovi e vecchi sistemi politici. Ritardi impossibili dell’orologio della storia. Nazionalismi sciovinisti. Futuri condivisi in forza di tale opzione che prende il Potere e ci rimane fino a quando tutto non sarà risolto. Il tuo rubinetto perde? Vota per tizio. Schiamazzi nel quartiere? Vota per caio. Il costo dei trasporti, del cibo, delle medicine, dell’energia, delle scuole, dell’abbigliamento, dell’intrattenimento, della cultura è aumentato? Hai paura dell’immigrazione? Ti senti a disagio con persone dalla pelle scura, credi diversi, lingue incomprensibili, stature e carnagioni diverse? Vota per…

C’è anche chi non si discosta dall’obiettivo, ma dal metodo. E poi ripete da sopra ciò che criticava da sotto. Con disgustosi contorsionismi e argomentando strategie geopolitiche, si appoggia a chi si ripete nel crimine e nella stupidità. Si chiede che i popoli sopportino le oppressioni a beneficio della “correlazione internazionale di forze e l’ascesa della sinistra nell’area”. Ma il Nicaragua non è Ortega-Murillo e la bestia non ci metterà molto a capirlo.

In tutte queste grandi offerte di soluzioni nel mortale supermercato del sistema, molte volte non si dice che si tratta della brutale imposizione di un’egemonia, e di un decreto di persecuzione e morte a ciò che non è omogeneo al vincitore.

I governi governano per i loro seguaci, mai per quelli che non lo sono. Le star dei social network alimentano i loro seguaci, anche a costo di sacrificare l’intelligenza e la vergogna. E il “politicamente corretto” ingoia rospi, dopo aver divorato chi consiglia la rassegnazione “per non beneficiare il nemico principale”.

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Lo zapatismo è la grande risposta, un’altra, ai problemi del mondo?

No. Lo zapatismo è tante domande. E la più piccola può essere la più inquietante: E tu, che fai?

Di fronte alla catastrofe capitalista, lo zapatismo propone un vecchio-nuovo sistema sociale idilliaco e con esso ripete le imposizioni di egemonie ed omogeneità ora “buone”?

No. Il nostro pensiero è piccolo come noi: sono gli sforzi di ciascuno, nella sua geografia, secondo il suo calendario e i suoi modi, che consentiranno, forse, di liquidare il criminale e, contemporaneamente, rifare tutto. E tutto vuol dire tutto.

Ognuno, secondo il proprio calendario, la propria geografia, la propria strada, dovrà costruire il proprio percorso. E, come noi popoli zapatisti, inciamperà e si rialzerà, e ciò che costruirà avrà il nome che avrà voglia di avere. Sarà solo diverso e migliore di ciò che abbiamo subito prima, e di ciò che patiamo attualmente, se riconosce l’altro e lo rispetta, se rinuncia a imporre il suo pensiero sul diverso e se finalmente si rende conto che ci sono molti mondi e che la loro ricchezza nasce e risplende nella loro differenza.

È possibile? Non lo sappiamo. Ma sappiamo che, per scoprirlo, si deve lottare per la Vita.

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Allora, cosa veniamo a fare in questo Viaggio per la Vita se non aspiriamo a dettare strade, rotte, destinazioni? Cosa, se non cerchiamo adesioni, voti, likes? Cosa, se non andiamo a giudicare e condannare o assolvere? Cosa, se non invitiamo al fanatismo per un nuovo-vecchio credo? Cosa, se non vogliamo passare alla Storia e occupare una nicchia nel pantheon ammuffito dello spettro politico?

Ebbene, ad essere onesti in quanto zapatisti: non solo verremo a confrontare le nostre analisi e conclusioni con l’altro che lotta e pensa criticamente.

Veniamo a ringraziare l’altro per la sua esistenza. Ringraziare per gli insegnamenti che ci hanno dato la sua ribellione e resistenza. Veniamo a consegnare il fiore promesso. Abbracciare l’altro e gli diremo all’orecchio che non è solo, sola, soloa. Veniamo a sussurrargli/le che valgono la pena la resistenza, la lotta, il dolore per chi non c’è più, la rabbia per il criminale impunito, il sogno di un mondo non perfetto, ma migliore: un mondo senza paura.

E anche, e soprattutto, veniamo a cercare complicità… per la vita.

SupGaleano

Giugno 2021, Pianeta Terra

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/27/la-travesia-por-la-vida-a-que-vamos/

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LO SBARCO.

LO SBARCO

https://player.vimeo.com/video/566702426

“El Desembarco” di León Gieco eseguita da León Gieco (Voce e Armonica), Jairo (Voce e Djembe), Silvina Moreno (Voce), Sandra Corizzo (Voce), Diego Boris (Armonica), Antonio Druetta (Mandolino), Pablo Elizondo (Chitarra), Luciana Elizondo (Violoncello). 2021.

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Da L’Altra Europa.

Individui, Gruppi, Collettivi, Organizzazioni e Movimenti Europei – con la collaborazione dello Squadrone 421.

Giugno 2021

P.S.- C’è questa canzone di León Gieco intitolata “El Desembarco”. Ce l’ho da anni nella cartella dei “sospesi“, chiedendomi quando e in quale video inserirla. Alla fine ho pensato che quando sarebbe arrivato il suo momento, l’avrei saputo.

Guardando il momento in cui Marijose mette piede sul suolo della Galizia, ho pensato, non alla canzone, ma alla trama invisibile che univa la musica e uno stivale da bucaniere, indossato da un piede maya originale, che si posava sul suolo iberico.

Ho indagato ed ho scoperto che la canzone è stata pubblicata nel 2011, in un album omonimo. È stato 10 anni fa… o più. Quando è che León Gieco ha scritto nel suo cuore questa canzone, questo fratello involontario – o fratello giurato, come Juan Villoro-, che abbiamo nel grande abbraccio che è l’America Latina? Mesi o anni prima?

León ha sognato ciò che dice il testo?

È lo stesso sogno che ha fatto Marijose quando, nell’abbraccio infuocato di aprile, le fu detto che sarebbe stata la prima a sbarcare? È lo stesso che fece il defunto SupMarcos quando, anni prima della sollevazione, scrisse “Marinaio nella montagna”? Lo stesso che ha svelato a Don Durito de La Lacandona quando ha immaginato (o realizzato, non si saprà mai) il suo periplo attraverso le terre d’Europa? Lo ha sognato la Comandante Ramona, la prima ad uscire dal territorio zapatista e al cui passaggio è nato il Congresso Nazionale Indigeno? È lo stesso che sognava l’allora tenente colonnello Insurgente Moisés quando – nel 2010 e nei pressi di una capanna tra le montagne del sudest messicano – ha ricevuto il grado di Subcomandante? Quello che fecero il Señor Ik, il SubPedro e altri 45 zapatisti, pochi istanti prima di cadere in combattimento nel gennaio del 1994? Quello che, collettivamente, ha sognato il popolo originario Sami – nell’estremo nord dell’Europa – con la Dichiarazione per la Vita? L’ha sognato Gonzalo Guerrero più di 500 anni fa, quando fece proprio il percorso e il destino del popolo maya? Inquietò Jacinto Canek?

Ha alleviato in qualche modo la dipartita del Comandante Ismael, della dott.ssa Paulina Fernández C., di Oscar Chávez, di Jaime Montejo, di Jean Robert, di Paul Leduc, di Vicente Rojo, di Mario Molina, di Ernesto Cardenal e di tanti e tanti famigliari – fratelli e sorelle senza saperlo – che abbiamo perso negli ultimi mesi?

È il sogno che ha animato l’Europa del basso che ha organizzato questa incredibile e meravigliosa accoglienza a Vigo?

Quello che ora percorre le strade, i quartieri, le campagne e le coste d’Europa e che ripete “Pioverà a luglio a Parigi?”

È il sogno che anima le voci che, negli emblematici specchi della spiaggia di Vigo, hanno attraversato l’Atlantico ed annidano ora nelle comunità zapatiste?

Perché non da una nave scende lo Squadrone 421, ma sbarca da La Montaña “senza armi, per la vita”.

È umano questo? Ciò che ricama il lungo e occulto filo che unisce geografie diverse e lontane, che unisce calendari vicini e lontani?

Non lo so. Ma consiglierei a chi è posseduto dalla maledizione dell’arte: plasma tutto questo nel tuo sogno. Qualunque cosa sia, ma che sia tuo.

Perché non si sa mai quando e dove un altro sguardo, un altro ascolto, altre mani, un altro passo, un altro cuore, in un altro calendario e in un’altra geografia, lo tirerà giù dal grande scaffale delle illusioni, gli aprirà le viscere e lo pianterà, come un seme, nella dolente realtà.

In fede.

Il SupGaleano.

Giugno 2021

Testo e video originali: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/23/el-desembarco/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Montaña zapatista ha attraversato l’Atlantico ed è arrivata sulle coste della Galizia per far nascere un incontro di ribellioni che vuole dar vita a un mondo nuovo. Un mondo che contenga molti mondi diversi. È il mondo che restituisce un significato ai semi della speranza e non poteva che presentarsi con un battesimo: “A nome delle donne, dei bambini, degli anziani e delle otroas zapatiste, dichiaro che il nome di questa terra, che adesso chiamano Europa, da qui in avanti si chiamerà: SLUMIL K´AJXEMK´OP, che vuol dire: Terra indomita”, ha detto Marijose. L’ha accolta un abbraccio enorme, quello di chi, in ogni angolo del vecchio continente, sta re-imparando ad ascoltare il suono nuovo e profondo di parole che vengono dal cuore per condividere la vita e le ribellioni.

Il battesimo

Rebecca Rovoletto

23 Giugno 2021

Una gonna tzotzil, due tzeltal, una cho’ol. Tre paia di jeans, però uno infilato in lunghi stivali col tacco alto. Dentro a questi abiti – visiere anticovid e mascherine al posto del passamontagna – el Escuadrón da sbarco 4-2-1, testa di ponte del prossimo contingente aviotrasportato, poggia finalmente i piedi sul vecchio continente. Non conoscono nessuno, ma tutt@ conoscono loro e fanno ala al passaggio dei sette: Marijose, Lupita, Carolina, Ximena, Yuli, Bernal, Felipe.

Cembali, cornamuse e tamburi della fanfara popolare galiziana aprono loro la strada verso la spiaggia dei saluti, poi verso il prato delle celebrazioni. Le delegazioni del vecchio continente abbracciano, con inni e battimani, i volti maya partiti sette settimane fa dalle coste di Abya Yala.

Il capitano della Montagna dice che “è finito un viaggio, ma da qui ne inizia un altro”. Inizia, infatti, col battesimo di questa vecchia terra, affinché possa destarsi e rinnovarsi. Così come i popoli indigeni riscoprono il nome ancestrale della loro geografia, simmetricamente ci portano dall’oltremare un nuovo nome che non recrimina le disgrazie disseminate dalla sua storia, ma si appella a quella sua parte che ancora guarda, cammina, sogna.

E Marijose, che non è né uomo né donna, dichiara: “A nome delle donne, dei bambini, degli uomini, degli anziani e, naturalmente, degli otroas zapatisti, che il nome di questa terra che i suoi nativi ora chiamano ‘Europa’, d’ora in poi si chiamerà: Slumil K’ajxemk’op, che significa ‘Terra Indomita’, o ‘Terra che non si rassegna, che non cede’. E così sarà conosciuta dalla gente del posto e dagli estranei finché qui ci sarà qualcuno che non si arrende, non si vende e non cede”.

Parole tzotzil degli Altos, tojolabal della Selva di confine, tzeltal della selva Lacandona e cho’ol del nord venute “per aprire i cuori e condividere lotte per la vita, esperienze, modi… e per dimostrare al mondo capitalista patriarcale che un altro mondo è possibile”, che in qualche posto di Abya Yala è già realtà. Un cesto di erbe di San Juan, poesie e canti in dono agli ospiti. E poi cumbia fino all’alba.

22 | 06 | 21 da un’insenatura della Terra Indomita, pianeta Terra.

https://www.facebook.com/rebecca.rovoletto

Foto da Desinformémonos e Comune-info

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SIAMO ARRIVATI.

SIAMO ARRIVATI

20 giugno 2021

Sarebbero le 06:59 – ora del Messico – del 20 giugno 2021, quando, da La Montaña e attraverso un orizzonte nebbioso, è stata avvistata la terra della penisola iberica. Sarebbero le 09:14:45 quando la nave ha gettato l’ancora nella baia di Baiona o Bayona, Galizia, Stato Spagnolo, Europa. Da lì è vicina, “a due passi”, la geografia chiamata Portogallo, e un po’ a nord-est si vede Vigo. Tutt@ stanno bene. Per ragioni burocratiche ecc. ecc., La Montaña e lo Squadrone 421 rimarranno qui, si pensa, fino a martedì 22 alle 17:00 – data e ora di Vigo – quando avverrà lo sbarco. La Guardia Civil dello Stato Spagnolo è salita a bordo della nave, ha preso i dati dell’equipaggio e dei passeggeri, ha esaminato i passaporti ed ha effettuato i controlli di routine. Niente da segnalare. Condizioni meteorologiche: nuvoloso, piogge deboli ma frequenti, 15 gradi centigradi.

Dopo un po’, diverse barche a vela con compagn@ dell’Europa ribelle si sono avvicinate per dare il benvenuto… o per verificare se fossero vere le voci che giravano tra i quartieri, i campi e le montagne del mondo che: “gli zapatisti hanno invaso l’Europa”.

A terra, ai piedi di quello che sembra un faro, un altro gruppo gridava qualcosa come “Ci arrendiamo!”… Nah, scherzo. Gridavano Zapata Vive, Benvenut@,… non si capiva bene. Portano striscioni e disegni. Per quanto si riesce a vedere, non ci sono segnali osceni – che potrebbero voler dire che non ci hanno ripudiato… non ancora -. Qualcuno un po’ strano solleva un cartello che recita: “Ristorante La Palomita Insurrecta. Brodo galiziano, Empanadas Ídem e Xoubas. Sconti speciali per Invasori@, scarabei e gatto-cani”. Un altro cartello dice “Portami via di qui!” Le persone più prudenti usano gli striscioni come ombrelli.

Il cielo europeo piange commosso. Le sue lacrime si confondono con quelle che bagnano le guance – abbronzate dal sole, dal mare, dall’angoscia e dall’adrenalina – dell’intrepido Squadrone 421. Nei loro passi, nei loro sguardi, nei loro palpiti, i popoli maya – così dirà la leggenda – hanno attraversato l’Atlantico in 50 giorni e 50 notti, nel loro lungo e accidentato viaggio per la vita.

Fuori fa freddo, ma dentro, nella geografia del cuore, qualcosa come un sentimento scalda l’anima. Nelle montagne del sudest messicano il sole sorride e, dall’impianto audio, escono gioiose le prime note di una cumbia.

Certo, manca lo sbarco, il trasferimento della delegazione aerea, l’organizzazione dell’agenda, gli incontri … e la festa della parola.

Cioè, manca tutto.

SupGaleano.
Giugno 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/20/llegamos/

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Lettera della Commissione Sexta Zapatista al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Pubblicata da Camino al andar.

14 giugno 2021

Da: Il Sup Galeano.

11 giugno 2021

Al Collettivo “Llegó la Hora de los Pueblos”.

Messico.

Sorelle, hermanoas e fratelli:

Mando un abbraccio a tutt@… beh, tanti. Volevamo mandarvi un saluto… ok, parecchi e, approfittando del volo di queste parole, chiedervi un aiuto.

Per la Travesía por la Vida Capítulo Europa è stato deciso di rispettare i requisiti legali per poter raggiungere, con il nostro ascolto e la nostra parola, le terre che Marijose ribattezzerà tra pochi giorni. Tra poche ore (prendendo come riferimento il giorno e l’ora in cui vi scrivo – mattina dell’11 giugno 2021 -) questa delirante sfida chiamata “La Montaña” toccherà le terre europee nelle Isole Azzorre, del Portogallo. Lì sosteranno alcuni giorni e poi si dirigeranno verso la destinazione segnata: Vigo, Galizia, Stato Spagnolo. Poi, un gruppo partirà in aereo.

Lo “Squadrone 421” ha i documenti in regola. In altre parole, hanno doppio passaporto: quello ufficiale messicano e il “passaporto zapatista di lavoro” che viene rilasciato dalle Giunte di Buon Governo quando una compagna, compagno o compañeroa lascia il territorio zapatista per andare a svolgere un compito per le nostre comunità. Qui diciamo che va “su commissione”. In altra occasione parleremo del “passaporto zapatista”, ora vorremmo parlarvi di quello ufficiale.

Abbiamo già fatto riferimento, in scritti e discorsi, a quello che chiamiamo “il calendario e la geografia”. Bene, la nostra geografia si chiama “Messico”. E, per noi, comunità zapatiste, questa non è solo una parola. Nel senso zapatista, è una geografia. Quando diciamo che siamo “messicani” sottolineiamo che condividiamo storie con altri popoli originari (come quelli che sono raggruppati nel Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo). Storie, cioè: dolori, gioie, rabbie, umiliazioni, lotte. Ma non solo con i popoli originari di questa geografia, anche con individui, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti che coincidono con noi, popoli zapatisti, nei sogni e, naturalmente, negli incubi.

Con questo voglio dire che noi, comunità zapatiste, non solo non ci vergogniamo di dire che siamo messicani, ne siamo orgogliosi. Perché questo orgoglio non nasce guardando in alto ed alle loro storielle, ma guardando, ascoltando e parlando con il Messico del basso, le sue vite e le sue morti. Non è fuori luogo raccontare, seppur velocemente, come si vive e lotta in questo Messico. Ognuno ha i suoi modi, le sue storie, le sue sconfitte e vittorie, il suo sguardo e il suo modo di spiegare il suo mondo, il suo guardarsi e spiegarsi. Ma vediamo che c’è qualcosa in comune, una specie di radice, o trama, o spina dorsale… ci deve essere un modo per dirlo in linguaggio cibernetico… una matrice o matrix? Ebbene, è in questa radice comune che ci identifichiamo.

Oh, so che più di uno, unoa, si preoccuperà che quello che sto dicendo è una versione “zapatista” del nazionalismo. No, questo a volte ci infastidisce, altre ci fa arrabbiare, e sempre preoccupare. Non mi riferisco al nazionalismo. Nei nazionalismi si nascondono, ad esempio, disuguaglianze e, attenzione, rapporti criminali. Nei nazionalismi convergono il criminale e la vittima, il Boss e il subordinato. Qualcosa di così perverso come “ti distruggo ma lo faccio per il tuo bene perché siamo compatrioti”. Qualcosa come il significato maligno che viene dato “all’umano”, ad esempio dicendo che sia gli uomini che le donne sono esseri umani. Tralascio il fatto che si dimentica che c’è chi non è né donna né uomo e, essendo senza nome, non è “un essere umano”. In questo significato di “umano” si dimentica il rapporto di dominio tra uomini e donne. Non scriverò un trattato sul patriarcato, la sua genealogia e il suo folle crimine attuale; c’è tra voi chi ne sa di più e lo spiega meglio di me.

È possibile riferirsi all’umanità senza cadere nella trappola dell’uguaglianza ipocrita? Noi pensiamo di sì, ed è riferendo l’umanità alle scienze e alle arti. Ma non solo. Anche a sentimenti, pensieri e proposte di fondo: il senso della giustizia, della morale e dell’etica (che il defunto compagno Don Luis Villoro spiegherebbe meglio di quanto io possa anche solo tentare di fare), la fraternità ed altre cose che non dettaglierò (ma voi sentitevi liberi di farlo). Ad esempio, io aggiungerei la danza – musica e canzoni incluse -, e il gioco, ma fate caso a me.

Insomma, di dettaglio in dettaglio si presenteranno le differenze, le distanze, i disaccordi. Ma, in senso inverso, si potrebbe trovare qualcosa in comune: è ciò che noi chiamiamo “umanità”.

Quindi, quando diciamo che i popoli zapatisti sono “messicani” e che siamo orgogliosi di esserlo, ci riferiamo a quella matrice comune con l’altro che lotta in questa geografia intrappolata tra il Rio Bravo e il Suchiate, con il morso dato dal mare d’oriente e la curva allungata che il mare di occidente ha forgiato alla cintola, e incluso il braccio solitario che costeggia il “Mare di Cortez”. Aggiungete la storia vera, quella delle geografie limitrofe e…

Bene, basta storie. Il punto è che la nostra delegazione aerea è in fase di rilascio dei passaporti. E dico “fase di rilascio” per delicatezza, perché è come l’inferno, che si alimenta in silenzio fino ad essere considerato “normale”.

Perché si scopre che le nostre compagne, compagni e compañeroas soddisfano tutti i requisiti richiesti, effettuano il pagamento dovuto, si spostano dalle loro comunità agli uffici del Ministero degli Esteri e, pure con la pandemia e tutto il resto, prendono appuntamenti, fanno la fila, aspettano il proprio turno e… a loro viene negato il rilascio del documento.

Gli ostacoli del governo supremo e della sua ignorante burocrazia, stolta e razzista sono oltraggiosi.

Perché si potrebbe pensare che sia solo burocrazia, che hai avuto la sfortuna di imbatterti in qualcuno che pensa di avere il Potere perché sta dietro uno schermo, una scrivania, un ufficio. Ma no, è anche altro e si potrebbe sintetizzare così: razzismo.

Le ragioni? Ebbene, ce n’è una fondamentale e, naturalmente, i suoi derivati: nel governo c’è un’atmosfera di isteria mal celata. In accordo con il suo impegno con il governo degli Stati Uniti di fermare il flusso di migranti dal Centro America, per i governi federale, statale e municipale tutto ciò che non è biondo, con gli occhi chiari e viene da più a sud di Puebla, è centroamericano. Per le autorità governative schizofreniche, la prima cosa che fa un centroamericano è: presentare il certificato di nascita, la credenziale INE (Ente Nazionale Elettorale) o i documenti di identità con fotografia (che è un documento ufficiale perché rilasciato dal municipio), e di origine nel capoluogo ufficiale, il certificato di battesimo, i certificati di nascita dei genitori o dei fratelli/sorelle maggiorenni, copie del loro INE, certificati del municipio autonomo e della Giunta di Buon Governo, testimoni oculari con identificazione ufficiale, e così via. Fatto tutto questo, la loro richiesta del documento a cui ogni messicano ha diritto per uscire ed entrare dal territorio nazionale, è respinta.

Sì, si presentano tutti questi documenti ma il problema è che, agli occhi della burocrazia del Ministero degli Esteri, ciò che conta è il colore della pelle, il modo di parlare, il modo di vestire e il luogo di provenienza. “A sud della metro di Taxqueña, tutto è Centro America“.

Tanto bla, bla, bla di diritti e di riconoscimento delle nostre radici, eccetera – inclusi ipocriti perdoni chiesti sulla terra da distruggere –, ma la popolazione originaria, o indigena, continua ad essere trattata come straniera nella propria terra. E peggio ancora a Città del Messico, che dovrebbe essere “progressista”. Lì una signora, una burocrate del Ministero degli Esteri, ha respinto la credenziale INE con un dispregiativo “questa è inutile, serve solo per votare“, ed ha chiesto alla compagna, che ha più di 40 anni, residente nella Selva Lacandona, il suo diploma di scuola superiore per dimostrare che non fosse guatemalteca. La compagna ha detto: “ma io vivo della terra, sono una contadina, non ho un’istruzione secondaria“. La burocrate, altezzosa e arrogante: “beh, non studiate perché non lo volete“. “Ma io vengo dal Chiapas”, insiste la compagna. “Non m’importa. Vediamo cosa succede”, risponde la burocrate.

La burocrazia governativa si eccita maltrattando gli indigeni? L’arroganza è il suo afrodisiaco? “Sono qui, tesoro, oggi ho ribaltato una fottuta india, ed ho molta voglia“, diranno facendo l’occhiolino con civetteria.

Per verificare se fosse razzismo e non solo burocrazia, abbiamo mandato un compagno “bianco e barbuto” a richiedere il passaporto. Glielo hanno dato lo stesso giorno e senza chiedere altro che il certificato di nascita, il documento d’identità con foto e la ricevuta del pagamento, che sono i requisiti legali.

E non solo: il Ministero degli Esteri trattiene il pagamento effettuato da tutt@ i/le compagn@ a cui viene negato il passaporto con pretesti e requisiti che non sono nemmeno sul suo sito web. Deve essere molto dura l’austerità se devono sottrarre i soldi agli indigeni.

A un compagno (di più di 60 anni) hanno chiesto: “Non è che vuoi andare negli Stati Uniti a lavorare?” Il compa ha risposto: “No, lì sarà per un’altra volta. Adesso andiamo in Europa”. Il funzionario, quale Tribunale Elettorale Federale, se ne è lavato le mani e lo ha mandato a un altro sportello. Lì gli hanno detto: “È molto lontano e il viaggio è costoso, non puoi avere i soldi perché sei indigeno. Devi portare l’estratto conto della tua carta di credito. Avanti un altro”. Ad una compagna hanno detto: “Vediamo, canta l’inno“. E la compagna ha intonato “ya se mira el horizonte“. Repinta. Mi ha detto triste: “credo che sia perché l’ho cantata con un ritmo cumbia e non come corrido ranchero. Ma la cumbia è più allegra. I corridos rancheros parlano solo di massacro di donne. Se ti chiami “Martina” o “Rosita”, allora vale”.

Lo stesso a Città del Messico: due compagne di lingua tzeltal, della Selva Lacandona. Camminano dal loro villaggio fino a dove si prende un camion de redilas fino alla capoluogo municipale; da lì con i mezzi pubblici fino a San Cristóbal de Las Casas; da lì un altro a Tuxtla Gutiérrez; da lì un altro per Città del Messico; pagano il passaporto per validità 10 anni “perché viaggiare per il mondo richiederà tempo“; si presentao in un ufficio della SRE (Ministero degli Esteri); si mettono in fila con la mascherina, lo schermo e a distanza di sicurezza; entrano e presentano i loro documenti; fanno loro una foto; aspettano fuori di essere chiamate per la consegna del passaporto; le chiamano e dicono a una di loro “una lettera del tuo cognome è sbagliata” e “tuo fratello ha un altro cognome materno”; quella del fratello: “questi fottuti uomini sono così e mio padre era un bastardo“; quella della lettera “è che la persona che ha fatto il verbale non conosce la differenza scritta tra la “s” e la ‘z'”; in entrambi i casi le/i funzionar@: risate di scherno e: “devi tornare indietro e portare più prove che sei messicana“; le compagne: “ma io vivo in Chiapas”; quella del SRE: “non rilascio niente finché non porterai quello che ho chiesto“. Le compagne tornano indietro, arrivano nella loro città e raccolgono ulteriori prove del loro essere messicane. Nuovo viaggio a Città del Messico. Nuovo appuntamento, fila con mascherina, schermo, distanza di sicurezza. Sportello. L’alta funzionaria del Ministero degli Esteri: “ora bisogna aspettare di verificare che siete messicane“. Le compagne: “ma ho portato tutto quello che mi avete detto”. La SRE: “ma dobbiamo verificare che le carte siano veritiere, poi chiederemo all’anagrafe del tuo comune e del tuo stato”. Le compagne: “Quanto tempo ci vuole?” La SRE: “10 giorni o un mese, te lo faremo sapere”. Le compagne aspettano 10 giorni e niente. Loro tornano. Passa un mese e niente. Altri 30 giorni e niente. Tornano a Città del Messico. Stesso viaggio. La SRE: “Non hanno risposto, aspettate ancora”.

E le due compagne aspettano. Hanno iniziato le pratiche a marzo ed è il mese di… giugno.

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Se avete tempo, fate questo: immaginate di essere nati con la pelle scura, di essere di origine indigena e di provenire da qualche stato del sud-est messicano. Ora controllate i requisiti per ottenere il passaporto: certificato di nascita, identificazione ufficiale con foto, o diploma professionale, o titolo professionale, o tessera militare assolto, o credenziale dell’Istituto Nazionale Pensionati, o credenziale dell’assistenza medica di un istituto di sanità pubblica; e ricevuta di pagamento.

E anche se possiedi uno o tutti questi requisiti, se hai la pelle scura, parli in modo diverso e ti vesti “come la India María” (parole testuali di un’impiegata del SRE), dovrai affrontare qualcosa tipo: “no, devi portare i voti della scuola materna, elementare, media, superiore – CCH (Colegio de Ciencias y Humanidades) no, quelli sono casinisti -, diploma, corso di specializzazione personale presso NXIVM, e una lettera di buona condotta del preside”.

Non c’è molto da dire sul INE. Impegnato com’era il grande capo Tatanka (il buon Jairo Calixto dixit – oh, oh, sì, anche io leggo la stampa gossip -) a fingere di essere una persona perbene, e Murayama ad abbaiare, non si sono nemmeno accorti che i loro “uffici” In Chiapas erano chiusi da prima del 1° febbraio, nonostante fosse stato detto che dal 1° al 10 febbraio si poteva avere accesso senza appuntamento. Così, abbiamo perso l’opportunità di mandare molti più delegati su La Montaña. E INE ha ribadito l’atteggiamento razzista che aveva dimostrato nei confronti di Marichuy.

E penso che, tra le tante interviste che hanno rilasciato e concesso ai media, neo-conservatori e neoliberisti, per difendere la “loro indipendenza” (già), non si sono accorti che la credenziale INE è anche un documento di identità ufficiale e, negandolo o ostacolandolo, negano quel diritto a qualsiasi cittadin@, alla “cittadinanza”, o qualunque cosa significhi.

Il paradosso di tutto questo è che questi indigeni a cui vengono negati la credenziale INE ed il passaporto, lottano anche per la vita di questi burocrati che credono di servire “la Nazione Messicana” rifiutando a loro piacimento dal loro piccolo trono dietro uno sportello, solo per il piacere di dire “no” a chi considerano inferiore perché ha un altro colore della pelle, un’altra lingua, un’altra cultura, un altro modo, e i cui antenati erano in queste terre molto prima che i creoli diventassero indipendenti dagli Iberici e li sostituissero nell’oppressione dei popoli originari.

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Quindi l’aiuto che vi chiediamo è di parlare tra di voi per vedere se si può fare qualcosa. Ad esempio: dare lezione di vergogna ai burocrati del SRE; dire al signor Marcelo Ebrard che capiamo che a causa dell’austerità non abbia i soldi per la sua campagna elettorale del 2024, ma che rubare agli indigeni i soldi per il passaporto e tenerseli senza dare loro il documento, beh, come posso dirglielo senza essere volgare? … è da mascalzoni. O forse li vuole per comperarsi gli impermeabili modello “Neo di Matrix”? O, con i soldi trattenuti per i passaporti negati seguano un corso di genere, tolleranza e inclusione. Oppure si comprino dei libri di storia in modo da capire quale è il luogo dei popoli originari in questa geografia.

Siamo messicani, qui ci è toccato nascere, vivere, lottare e morire. È così. Se fossimo capitati nell’Unione Americana, o in Belize o Guatemala, Honduras o El Salvador, Costa Rica o Nicaragua, saremmo lo stesso orgogliosi di quelle geografie… e denunceremmo i loro rispettivi governi per essere burocrati, razzisti e ignoranti, che è quello che facciamo con quello attuale in Messico e il suo “Ministero degli Esteri”.

Ad ogni modo, non riesco a pensare a molte altre opzioni, ma voi forse sì. Vedete voi e fatecelo sapere.

Intanto vi mandiamo (todoas, tutte e tutti) un grande abbraccio che, seppur a distanza, non è meno sincero e fraterno.

Da qualche luogo del Pianeta Terra.

Il Sup Galeano.

P.S.- Tra poche ore vi manderò un testo per la sezione sportiva della vostra pagina web… Come?! Non avete una sezione sportiva? Lascia stare Ebbene, “quid pro quo“, dare e avere, con questo testo inaugurate la “sezione sportiva” e in cambio, ci date una mano nella suddetta faccenda. Oh, lo so, siete in debito. Ma potreste, non so, mandare qualche euro ai cechi in Europa… o, meglio ancora, accompagnarci e, come dice il termine, condividere, oltre a uno spazio accogliente in un centro di detenzione per migranti, parole, ascolti, sguardi e… sapete nuotare?

Testo originale: https://www.caminoalandar.org/post/carta-de-la-comisi%C3%B3n-sexta-zapatista-al-colectivo-lleg%C3%B3-la-hora-de-los-pueblos

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Il Passaporto Zapatista.

(A presto Portogallo, arriviamo Galizia)

Giugno 2021

Il 12 giugno 2021, il cosiddetto “Squadrone 421”, insieme agli altri passeggeri e membri dell’equipaggio, hanno ricevuto sui loro passaporti il visto d’ingresso legale nel cosiddetto spazio o zona Schengen e sono sbarcati a Horta, nelle Isole Azzorre in Portogallo, Europa. Senza perdere grazia ed eleganza (si fa per dire), sono scesi da La Montaña. Come dovuto, c’erano confusione, balli, foto e un’abbuffata di cibo. Marijose si è imbattuta in un’antica profezia che annunciava il suo arrivo. Abbiamo fatto una gara (si fa per dire), della serie “chi arriva per ultimo paga per tutti” (Diego Osorno ha perso). Si è brindato alla vita, ovviamente.

– * –

Alle 09:17:45 del 14 giugno di quest’anno, La Montaña si è sciolta dall’abbraccio portoghese e si è diretta a nord-est ad una velocità compresa tra 6 e 7 nodi. Alle 12:30:06 ha doppiato a sinistra “Pico Das Urzes”. Latitudine: 38.805213; longitudine: -28.343418. Il capitano Ludwig prevede di avvistare le coste della penisola iberica tra il 19 e il 20 giugno (anche se potrebbe essere prima, perché La Montaña, riconciliata con il vento, sembra avere fretta di abbracciare le sue sorelle portoghesi e galiziane). Da quella data in poi, saluteremo i rilievi delle isole di San Martino, Monte Faro e Monte Agudo. Poi, entreremo nella “Ría de Vigo”. L’arrivo è previsto alla Marina di Punta Lagoa, a nord del porto di Vigo, in Galizia nello Stato Spagnolo.

Allora, in silenzio, nostra sorella pioggia sarà la nostra montagna, umido tornerà il nostro sguardo, e così diremo senza parole:

(…)
desperta do teu sono
fogar de Breogán.

Os bos e xenerosos
a nosa voz entenden
e con arroubo atenden
o noso ronco son,
mais sóo os iñorantes
e féridos e duros,
imbéciles e escuros
non nos entenden, non.*

Frammento di “Os Pinos”, Inno della Galizia. Pascual Veiga e Eduardo Pondal.

* “… svegliati dal tuo sonno / casa di Breogán. / I buoni e generosi / la nostra voce comprendono / e con entusiasmo ascoltano / il nostro suono roco / ma solo gli ignoranti / i deboli e i duri, / gli imbecilli e oscuri / non ci capiscono, no.”

– * –

Ora lasciate che vi parli della documentazione zapatista dello Squadrone 421 (a cui in questo momento si potrebbe aggiungere “marittimo” al suo folgorante nome). L@s companer@s hanno un passaporto zapatista. Voglio dire, oltre al passaporto ufficiale del Messico, hanno il cosiddetto “passaporto di lavoro zapatista”. Qui di seguito lo descrivo:

Sulla copertina o pagina principale: un caracol con all’interno una stella rossa e la scritta: “Passaporto di lavoro zapatista”. In quarta di copertina o copertina posteriore: una stella rossa con dentro un caracol.

Sulla prima pagina si legge: “Questo passaporto è rilasciato dalle autorità civili autonome dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e dalle Giunte di Buon Governo del Chiapas, Messico. È valido solo durante il periodo stabilito e nel luogo descritto. Questo documento è composto da 32 pagine e non è valido se presenta danneggiamenti, tagli, cancellature e modifiche”.

Nelle pagine 2 e 3 si trovano gli spazi per: foto del titolare, i suoi dati anagrafici, dati della Giunta di Buon Governo e del MAREZ che rilasciano il documento. Il Lavoro che dovrà svolgere. La data di emissione, il calendario e l’area geografica nella quale svolgerà il lavoro. Spazio per il timbro del MAREZ e JBG.

Alle pagine 4 e 5 sono stabilite le seguenti 7 limitazioni:

“1.- Il, loa o la titolare del presente passaporto non può e non deve richiedere o ricevere aiuti in valuta o in natura a vantaggio proprio o della sua famiglia, oltre a quanto strettamente necessario per svolgere il lavoro che gli è stato affidato.

2.- La, loa o il titolare di questo passaporto potrà svolgere unicamente il lavoro specificato in questo stesso documento.

3.- Loa, il o la titolare di questo documento ha il divieto di portare e usare armi da fuoco di qualsiasi tipo, e non può proporre, suggerire o incoraggiare alcuna attività che implichi o derivi nell’uso di armi da fuoco nel luogo in cui svolge il suo lavoro.

4.- La, loa o il titolare di questo documento può raccontare solo della nostra storia di resistenza e ribellione come popoli originari e come zapatisti, dopo adeguata preparazione e addestramento.

5.- Il, loa o la titolare del presente documento non può stabilire accordi o disaccordi per conto delle strutture organizzative e/o di comando politico-militare con persone, gruppi, collettivi, movimenti ed organizzazioni, oltre a quanto strettamente necessario all’adempimento del lavoro affidato.

6.- Le opinioni personali su questioni pubbliche e private che loa, il o la titolare di questo documento esprime, non solo non riflettono le posizioni zapatiste, ma possono anche essere completamente contrarie al nostro pensiero e pratica.

7.- La, il o loa titolare di questo documento deve comportarsi in ogni momento nel rispetto delle differenze di identità, sesso, credo, lingua, cultura e storia delle persone e dei luoghi nei quali viene realizzato il lavoro per il quale questo documento è rilasciato.

A pagina 6 si precisa: “Si conferma che la, loa o il titolare di questo documento ha ricevuto un corso di formazione (se ha imparato o meno, lo si vedrà nei fatti) a____ (spazio per inserire il nome del luogo)”.

A pagina 7 sono indicate le date di partenza e di arrivo: “La, loa, o il titolare di questo documento è partito dal territorio zapatista _____ (spazio per dettagli e timbri a metà pagina)”. La metà inferiore della pagina: “La, loa o il titolare di questo documento è rientrato in territorio zapatista: ____ (spazio per dettagli e timbri)”.

Le pagine successive sono bianche, in modo che le diverse persone, gruppi, collettivi, organizzazioni e movimenti dei diversi angoli dei mondi dissimili che visitano, siglino, firmino, decorino, timbrino, facciano disegni, graffino o qualsiasi cosa preferiscano fare affinché il, la o loa compa abbia una specie di guida su dove è stato, oltre agli appunti del suo quaderno, quando torna e racconta come è andata.

L’ultima pagina è per “Osservazioni:” (ad esempio eventuali allergie, disabilità o gusti musicali – sì, perché se ama la cumbia e fanno ballare un valzer, vi lascio immaginare…).

In fede.

SupGaleano.
Pianeta Terra, giugno 2021

https://vimeo.com/embed-redirect/562926264

Musica «Il lago dei cigni» di Cesar Acuña Lecca e Los Pasteles Verdes / Versión sonora: Heriberto Destructor

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/14/el-pasaporte-zapatista-hasta-pronto-portugal-ahi-vamos-galicia/

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Ulisse, zapatista

Juan Villoro

In lontananza, a oriente, le colonne d’Ercole – un tempo il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da occidente. Si conclude con queste parole il testo con cui il subcomandante Galeano annuncia al Chiapas e al mondo che la traversata dell’Atlantico è compiuta. Il veliero “La Montaña” è arrivato alle isole Azzorre, Portogallo, Europa. Mentre gli analisti politici ancora si industriano a stilare pigri e vuoti commenti sul responso delle urne messicane di domenica scorsa, il viaggio dell’Escuadrón 421 (4 donne, 2 uomini e un’altr@) è arrivato in porto. Si tratta di un viaggio a ritroso, come ricorda Juan Villoro in questo bellissimo testo, perché le zapatiste e gli zapatisti propongono di considerare il tempo in un altro modo. Altri calendari e altre geografie, dicono. Da sempre. Quel viaggio serve a restituire un significato pedagogico alla speranza: quel che è importante non si vede ancora ma crescerà, grazie all’incontro tra diverse ribellioni. Anche Ulisse dominava l’arte del ragionamento a ritroso, il suo destino era il ritorno e né l’elisir di Circe né il canto delle sirene riusciranno a impedirlo. Nel viaggio Ulisse allena la memoria a ricordare per poter poi raccontare. La sua memoria è una risorsa ribelle: registra il passato in funzione dell’avvenire, viaggia verso un orizzonte sconosciuto che, curiosamente, è un ritorno. Grazie a questo peculiare uso del tempo, dispone della più rara delle utopie, quella possibile. Sul loro insolito telaio, oggi le zapatiste e gli zapatisti disegnano qualcosa che ancora non esiste, un domani che acquisirà logica man mano che si definirà l’ordito

“Non sappiamo voi, ma se noi, noi zapatiste e zapatisti, fossimo pigri nel pensare, staremmo in un partito politico istituzionale», scriveva il 4 maggio 2015 il subcomandante Galeano. Le sue parole risuonano di fronte alle insensatezze e alla demagogia delle campagne elettorali del 2021. Campagne che avvengono tra le Tenebre, antiche reginette di bellezza e accoliti del narcotraffico. Tutti i partiti condividono uno stesso sintomo: pensare dà loro la fiacca.

Tra i loro numerosi contributi alla riflessione, gli zapatisti propongono di considerare il tempo in un altro modo. Le grandi idee possono venire dal futuro che si sa anticipare. In “La genealogia del crimine” (vedi qui a pag.278, ndr), Galeano propone di pensare a ritroso, da dietro in avanti; se il destino si presume con sagacia, immaginando dove andranno le cose, si può reagire adeguatamente prima che sia troppo tardi: in previsione del diluvio, Noè costruisce l’arca.

In modo simile, i detective affrontano a un esito per il quale devono scoprire gli antecedenti; a partire dal delitto ricostruiscono quanto accaduto in precedenza. Per spiegare il metodo, Galeano cita una fonte autorevole, Sherlock Holmes: “Sono poche le persone che, se si racconta loro un esito dei fatti, sono capaci di estrarre dal più profondo della propria coscienza i passaggi che hanno portato a quel risultato. A questa capacità mi riferisco quando parlo di ragionare a ritroso; vale a dire analiticamente”.

Alcuni mesi fa, questa strategia ha portato alla costruzione di una barca in legno nel Semillero Ramona per anticipare cosa sarebbe successo nel viaggio verso l’Europa. All’imbarcazione mancava solo un dettaglio: il mare intorno. E tuttavia, a partire da quel risultato, si sarebbe dovuto dedurre ciò che sarebbe poi dovuto accadere nell’oceano. Sulla terraferma, la nave prefigurava la navigazione. Era un’aula per imparare tutto ciò che è necessario per sopravvivere alla tempesta degli elementi e alle minacce ancora più gravi, come il vortice distruttivo della storia, che – ha avvertito Walter Benjamin – si suole spesso presentare con il nome ingannevole di “progresso”.

Ragionare a ritroso è un modo di prevedere con cognizione di causa, cioè di dare un significato pedagogico alla speranza. Non è casuale che l@s compañer@s del Chiapas abbiano deciso che gli incontri in cui fioriscono le loro idee si chiamino semilleros (che oggi si preferisce tradurre “semenzai”, ma anche “seminari” ha la stessa derivazione latina, ndt) Ciò che è importante è quel che non si vede ancora ma crescerà grazie a quell’incontro.

Nell’aprile 2015, in “La tormenta, la sentinella e la sindrome della vedetta ”, Galeano anticipava quanto accadrà nel maggio 2021. Menzionava la rilevanza del 3 maggio, “il giorno della semina, della fertilità, del raccolto, dal seme. È il giorno della Santa Croce […] il giorno in cui chiedere l’acqua per la semina e un buon raccolto”. In modo emblematico, è stato il giorno scelto per salpare: l’oceano come milpa, campo, per seminari futuri.

“Chi semina vento raccoglie tempesta” , recita la saggezza popolare. A 500 anni dalla caduta di Tenochtitlan, le piantagioni zapatiste si caratterizzano per la varietà dei loro frutti. La scelta dell’equipaggio (quattro donne, due uomini e un altr@) richiama la diversità, così come il nome della barca, La Montaña, che attraversa il mare alludendo a ciò che in mare non c’è. In controtendenza con il pensiero unico e le dispute binarie causate dalla polarizzazione, le zapatiste e gli zapatisti scommettono sulla complessità del molteplice.

Dove stanno andando? Verso un luogo lungamente anticipato in mare. Anche Ulisse, che i greci chiamavano Odisseo, dominava l’arte del ragionamento a ritroso. Non ci si poteva aspettare di meno da un re descritto come il più astuto del Mediterraneo. Durante il suo viaggio movimentato, Ulisse avrebbe potuto conformarsi al suo destino. Perché non si è fermato? Ha respinto le più diverse tentazioni: i fiori di loto allucinogeni, il canto seducente delle sirene, l’elisir di Circe, le profezie di Tiresia, l’immortalità offerta da Calipso sulla sua isola paradisiaca. Il suo destino immutabile era il nóstos, il ritorno a casa.

In “Dialettica dell’Illuminismo“, Adorno e Horkheimer descrivono Ulisse come il primo eroe moderno a causa della sua condizione extraterritoriale. È un esule che lotta per tornare a casa. I migranti e le persone costrette a fuggire da dove vivono del nostro tempo conoscono le tribolazioni che Omero aveva immaginato nel VII secolo a.C.

Ulisse si serve di astuti espedienti per superare gli ostacoli, ma la cosa più importante è che allena la sua capacità di ricordare per poterli raccontare. Quando incontra i mangiatori di loto, teme che l’effetto allucinogeno possa cancelare i suoi ricordi. In “Perché leggere i classici“, Italo Calvino segnala che il suo vero timore non consiste nel dimenticare il passato, ma il futuro, la storia che sta vivendo e che dovrà raccontare. Il presente importa nel suo essere completamente ricordato; le sue lezioni sono future; ritornano come un passato carico di significato. Secoli dopo, davanti allo stesso mare, Platone dirà che la conoscenza è una forma della memoria.

Riguardo al testo di Calvino, il poeta comunista Edoardo Sanguineti ha fatto notare che non bisogna dimenticare che Ulisse viaggia tornando indietro; cerca quindi di restaurare qualcosa, cosa che non implica una regressione, ma il compimento di un futuro, vale a dire di una “vera utopia”.

La memoria di Ulisse è una risorsa ribelle: registra il passato in funzione dell’avvenire, viaggia verso un orizzonte sconosciuto che, curiosamente, è un ritorno. Grazie a questo peculiare uso del tempo, dispone della più rara delle utopie, quella possibile. Sul loro insolito telaio, le zapatiste e gli zapatisti disegnano qualcosa che ancora non esiste, un domani che acquisirà logica man mano che si definisca l’ordito, fatto con fili che vengono da molto lontano, dalla tradizione che non dimentica il futuro.

L’odissea che hanno intrapreso gli zapatisti conferma il loro modo di guardare il mondo, un modo che accetta i rischi ed è portatore di cambiamento. Cinquecento anni di attesa li hanno trasformati in professionisti della speranza. Non viaggiano con intenzioni di vendetta, ma di apprendimento nella differenza.

Come Ulisse nel vecchio mare, passeranno attraverso le tentazioni delle isole incantate e lasceranno le loro tracce per tornare al punto di partenza.

Le lotte che durano non dimenticano il loro futuro.

25 maggio 2021

Fonte originale: Comunizar

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria

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ISOLE AZZORRE, PORTOGALLO, EUROPA

11 giugno 2021

(Nota: calendario e tempo nella geografia del Messico).

Con il suo faccino incipriato, rinnovato e il ponte pulito, risistemate le vele – dopo aver lasciato Cienfuegos, Cuba – il 16 maggio La Montaña si è diretta ad Oriente. Ha costeggiato la spiaggia di Las Coloradas e, con la Sierra Maestra alla sua sinistra, è stata nuovamente accompagnata dai delfini convocati da Durito Stahlkäfer, che ha imprecato quando sono passati davanti all’aberrazione statunitense di Guantanamo. Di fronte ad Haiti le balene hanno salutato il suo passaggio e Durito e il Gatto-Cane sono sbarcati sull’isola di Tortuga adducendo qualcosa su un tesoro sepolto… o da seppellire. A supporto della squadra di supporto, Lupita, Ximena e Bernal hanno vomitato fraternamente, anche se credo avrebbero preferito supportare in altro modo. A Punta Rucia, Repubblica Dominicana, La Montaña si è tenuta a riposo e cauta a causa dei forti venti contrari. Il 24 maggio, all’alba e a vele spiegate (“per non spaventare il vento”, ha detto il capitano Ludwig), La Montaña si è diretta a nord. Ora sono state le orche a salutare La Montaña che lasciava le acque dei Caraibi. Tra il 25 e il 26 maggio, la nave schizofrenica – lei crede di essere una montagna – ha aggirato le Bahamas e il 27 si è diretta a Nordest, in mare aperto, Duc in Altum.

Il 4 giugno, superato il cosiddetto Triangolo delle Bermude, l’imbarcazione e il suo prezioso equipaggio si sono rivolti al sole che si affacciava ad oriente. Tra il 5 e il 9 giugno hanno navigato dove la leggenda colloca la superba Atlantide.

Sarebbero state le 22:10:15 del 10 giugno quando, tra le nebbie dell’alba europea, dalla coffa de La Montaña si riusciva ad intravedere la montagna sorella, Cabeço Gordo, sull’isola di Faial nell’arcipelago delle Azzorre, regione autonoma della geografia chiamata Portogallo, in Europa.

Sarebbero state le 02:30:45 dell’11 giugno quando la vista, “a due passi”, delle rive del porto di Horta ha inumidito gli occhi della nave e dell’equipaggio. Sulle montagne delle Azzorre erano le 07:30 del mattino di questo giorno. Sarebbero state le 03:45:13 quando una lancia dell’autorità portuale di Horta si è avvicinata a La Montaña per indicare dove avrebbe dovuto ancorare. Sarebbero state le 04:15:33 quando la nave avrebbe gettato l’ancora davanti alle altre montagne. Sarebbero state le 08:23:54 quando la barca della Capitaneria di Porto ha prelevato l’equipaggio da La Montaña per portarlo a terra per il test molecolare Covid (PRC), riportandolo poi sulla nave in attesa dei risultati. In ogni momento “l’Autorità Marittima” nel porto di Horta si è comportata con cortesia e rispetto.

L’equipaggio, passeggeri compresi, gode di ottima salute, “animato e felice, senza litigi, pettegolezzi o risse. (Nello Squadrone 421) si prendono cura l’un@ dell’altr@”.

È ora di informare chi altro, a parte l’equipaggio della Stahlratte e dello Squadrone zapatista 421, ha navigato in questo tratto. Per documentare il viaggio via mare ci sono María Secco, cineasta-fotografa indipendente, e Diego Enrique Osorno, reporter indipendente. Come squadra di supporto della delegazione zapatista c’è Javier Elorriaga.

Secondo gli usi e costumi zapatisti, queste 3 persone hanno dovuto, oltre a coprire le loro spese, presentare l’autorizzazione scritta delle loro famiglie, partner e prole. I documenti sono stati consegnati al Subcomandante Insurgente Moisés. Mogli, mariti, madri, figli e figlie hanno scritto e firmato le autorizzazioni di proprio pugno. Ho dovuto leggerle. C’è di tutto, dalle riflessioni filosofiche ai disegni dei bambini, alla richiesta precisa di una bimba di portarle una balena. Nessuno ha chiesto scarabei o cani-gatto, il che non so se sia un affronto o un sollievo. Nelle lettere infantili si scorge l’orgoglio che il padre o la madre dipendessero da un loro permesso (il classico zapatista: “le anatre sparano ai fucili”). Immagino che avrete l’opportunità di conoscere gli sguardi di María e Diego, i loro aneddoti, le riflessioni e l’apprezzamento del loro essere “in prima fila” (entrambi fanno cinema) in questo delirio. Altri sguardi sono sempre i benvenuti e rigeneranti.

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Quando la notizia si è diffusa nelle montagne del Sudest Messicano, le comunità zapatiste hanno inviato un messaggio all’equipaggio della Stahlratte, attraverso il loro capitano: “Grazie, siete fantastici”. Stanno ancora cercando di tradurlo in tedesco.

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Riflessione: il motto delle Azzorre è “Antes morrer livres que em paz sujeitos” (Meglio morire liberi che oppressi in pace).

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In lontananza, ad oriente, le colonne d’Ercole – che un tempo erano il limite del mondo conosciuto – guardavano stupite una montagna che arriva da occidente.

In fede.

SupGaleano.
11 giugno 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/06/11/islas-azores-portugal-europa/

Video: https://vimeo.com/embed-redirect/561981756

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Domenica di voto in Messico, il 6 giugno. Oltre 96 milioni di persone sono chiamate a votare per decidere sindaci, governatori e soprattutto la nuova cameda dei deputati. L’Istituto elettorale nazionale (incaricato di organizzare e monitorare i processi elettorali in Messico) definisce le prossime elezioni come “le più grandi della storia” del paese. Gli occhi sono puntati sul risultato delle elezioni per la camera dei deputati, con Morena, il partito, fondato da Andres Manuel Lopez Obrador, e la coalizione a sostegno del presidente, che potrebbe perdere la maggioranza alla camera. Secondo Juan Villoro, scrittore e giornalista,  “il paese si prepara ad assistere alle elezioni più ridicole della sua storia”.

La campagna elettorale è stata segnata dal sangue, oltre 80 i candidati e le candidate uccise. Come sempre la stampa mondiale ha incolpato i narcos senza guardare alla promiscuità del potere nel paese, dove politica, forze di sicurezza, economie legali ed illegali vivono in una zona grigia fatta di scontri ma anche accordi nel controllo del territorio. Il voto locale e le sue tenzioni dimostrano come il Messico non sia uno stato fallito e come il controllo di ruoli di potere politico determino, a cascata, equilibri nell’estrazione di ricchezza dai diversi territori.

Il commento di Federico Mastrogiovanni, giornalista e docente all’Iberoamericana di Città del Messico Ascolta o scarica

RADIO ONDA D’URTO

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Delfini!

https://vimeo.com/embed-redirect/548694843

Delfini!

Maggio 2021

Sono stati momenti drammatici. Messo alle strette, tra il cordame e il parapetto, il piccolo insetto minacciava l’equipaggio con la sua lancia, mentre con la coda dell’occhio osservava il mare agitato, dove un Kraken, della specie “kraken scarabeo” – specialista nel mangiare coleotteri – era in agguato. Quindi, l’intrepido clandestino si è fatto coraggio, ha sollevato al cielo le sue molteplici braccia e la sua voce ha ruggito, sovrastando il rumore delle onde che si infrangevano sullo scafo de La Montaña:

Ich bin der Stahlkäfer, der Größte, der Beste! Beachtung! Hör auf meine Worte! (Io sono lo scarabeo d’acciaio, il più grande, il migliore. Attenzione! Ascoltate le mie parole!)

L’equipaggio si è fermato di colpo. Non perché un insetto schizofrenico li avesse sfidati con uno stuzzicadenti e un tappo di plastica. Né perché parlava loro in tedesco. Ma perché sentendo la loro lingua madre, dopo anni a sentire solo dello spagnolo costiero tropicale, li ha trasportati nella loro terra come per un raro incantesimo.

Gabriela avrebbe poi affermato che il tedesco dell’insetto era più vicino al tedesco di un migrante iraniano che al Faust di Goethe. Il capitano ha difeso il clandestino, sostenendo che il suo tedesco era perfettamente comprensibile. E, siccome dove comanda il capitano non governa Gabriela, Ete e Karl hanno approvato, ed Edwin, sebbene avesse capito solo la parola “cumbia”, è stato d’accordo. Quindi quello che vi sto narrando è la versione dell’insetto tradotta dal tedesco:

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“L’esitazione dei miei aggressori mi ha dato il tempo di rifare la mia strategia difensiva, ricomporre la mia armatura (perché una cosa è morire in un combattimento impari e un’altra è farlo in disordine) e lanciare la mia controffensiva: una storia…

Qualche luna fa, sulle montagne del Sudest Messicano. Chi lì vive e lotta ha lanciato una nuova sfida per se stesso. Ma in quei momenti vivevano nell’ansia e nello sconforto perché non disponevano di un veicolo per la loro traversata. Così è stato fino a quando io, il grande, l’ineffabile, l’eccetera, Don Durito de La Lacandona A.C. de C.V. de (i)R. (i)L. sono arrivato in quelle montagne (le sigle, come tutti sanno, significano “Cavaliere Errante di Versatile Cavalcatura di Irresponsabilità Illimitata”). Non appena si è sparsa la voce del mio arrivo, una moltitudine di giovani donne, bambini di tutte le età e persino donne anziane, sono corse, vocianti e veloci, ad acclamarmi. Ma ho resistito e non ho ceduto alla vanagloria. Poi sono andato nelle stanze della persona incaricata della sfortunata spedizione. Per un attimo sono rimasto confuso: il naso impertinente di colui che faceva e rifaceva i conti impossibili per sostenere le spese della spedizione punitiva contro l’Europa, mi ricordava quel capitano che poi sarebbe stato noto come il SupMarcos, che ho guidato per anni e che ho educato con la mia saggezza. Ma no, anche se simile, chi si fa chiamare SupGaleano ha ancora molto da imparare da me, il più grande dei cavalieri erranti.

Alla fine, non avevano un’imbarcazione. Quando ho messo la mia nave a disposizione di quegli esseri, il suddetto Sup, sarcasticamente mi ha risposto: “ma lì c’è posto solo per uno, e deve anche essere molto piccolo, ed è… una scatola di sardine!”, così riferendosi alla mia fregata, il cui nome, “Pon tus barbas a remojar” [proverbio popolare: Impara dagli errori degli altri – N.d.T.] era inciso a babordo, all’altezza della prua. Ho ignorato tanta impertinenza e, camminando tra la folla che anelava un mio sguardo, almeno una parola, mi sono diretto verso l’isola “Senza nome” scoperta da chi questo narra nel 1999. Ed ora sì, sulla sommità della sua coffa alberata, ho aspettato pazientemente l’alba.

Ho quindi maledetto l’inferno, evocato dee da tutte le latitudini chiamando la più potente tra loro: la strega scarlatta. Lei, la disprezzata dagli altri dei, dediti al machismo fanfarone e da spettacolo. Lei, scacciata dalle altre dee, dedite alla falsa bellezza di belletti e cosmetici. Lei, la strega scarlatta, la strega mayor: Oh, die scharlachrote Hexe! Oh, die ältere Hexe!

Sapendo che le possibilità per questi strani esseri, che si fanno chiamare zapatisti, di ottenere una barca dignitosa erano esigue, sapevo bene che solo il più potente dei poteri magici poteva tirarli fuori dai guai e mantenere la parola data. Ergo, ho chiamato la strega mayor, quella con le vesti purpuree, che può alterare la possibilità che qualcosa accada. Lei ha fatto conti su conti ed è arrivata alla conclusione che, in effetti, la probabilità di recuperare un’imbarcazione era quasi zero. Così ha detto:

Ma non posso fare nulla se non c’è una petizione. E non una petizione qualsiasi. Deve essere fatta da un Titano, un essere grande e magnanimo che di buon grado soccorra chi ha bisogno di un evento magico”.

E chi meglio di me?, ho ruggito sonoramente. La signora dalla veste cremisi ha sollevato la mano chiedendo il mio silenzio. “Non è tutto,” ha sussurrato. “È necessario che questo Titano rischi la sua vita, la sua fortuna e la sua reputazione nell’odissea che questi esseri intendono intraprendere. Cioè, che li accompagni con il suo incoraggiamento e bontà e, insieme a loro, sebbene non al loro fianco, affronti sfide e dolori. Questo è, sarà e non sarà”.

Ero d’accordo, perché la mia unica fortuna sono le mie imprese, rischio la mia vita solo esistendo e, beh, la mia reputazione è nota nelle cantine di tutto mondo.

Quindi la sorella strega ha fatto quello che si fa in questi casi: ha acceso il suo computer, si è collegata a un server in Germania, ha digitato non so quale incantesimo, ha modificato un grafico di probabilità e ha aumentato la percentuale da quasi zero al 99,9%, ha digitato di nuovo e un ronzio della stampante ha rivelato la carta che ne usciva. Non senza prima aver apprezzato la modernizzazione tra la corporazione delle streghe scarlatte e simili, ho preso la nota. C’era solo una sola frase:

“Se il titano è d’acciaio, trovi il suo simile, da cui dipende il mancante”.

Cosa significava? Dove avrei potuto trovare qualcosa o qualcuno, non dico simile, ma diciamo lontanamente vicino alla mia grandezza? Di Titani non ce ne sono molti. In effetti, secondo la wikipedia in basso e a sinistra, sono l’unico a prevalere. Poi “d’acciaio”. L’uomo d’acciaio?, dubito; non credo che la strega scarlatta abbia raccomandato un maschio. Quindi una femmina o una femmina d’acciaio.

Ho camminato a lungo. Ho viaggiato dalla Patagonia alla lontana Siberia. Ho incrociato le strade con il degno Mapuche, ho gridato con la Colombia insanguinata, ho attraversato la dolente ma persistente Palestina, ho attraversato i mari macchiati dal nero dolore dei migranti, e ho ripercorso i miei passi credendo erroneamente di aver fallito nella mia missione.

Ma, sbarcato nella geografia che chiamano “Messico”, qualcosa ha attirato la mia attenzione. Sulle acque turchesi una nave subiva le riparazioni e i rattoppi da parte del suo equipaggio. “Stahlratte” si leggeva sulla fiancata. Dal momento che ho incontrato la strega scarlatta nella Germania in basso, e che quella parola significa “ratto d’acciaio” nella sua lingua, ho deciso di tentare la fortuna. Ho aspettato, con saggia pazienza, che la notte e le ombre riparassero la solitudine della nave. Ho abilmente risalito la prua e, costeggiando il lato di dritta, sono arrivato dove si trova il centro di comando o di governo della nave. Qui, un uomo imprecava in lingua tedesca con maledizioni e bestemmie che avrebbero rattristato l’inferno stesso. Qualcosa diceva del dolore di lasciare i mari e le avventure. Seppi allora che la nave stava contando i suoi ultimi giorni e il suo capitano e l’equipaggio avevano incubi pensando ad una vita a terra. Le streghe scarlatte di tutto il mondo cospiravano a mio favore e per buona fortuna. Ma tutto dipendeva da me, lo scarabeo d’acciaio inossidabile, il più grande dei cavalieri erranti, ecc., per trovare “il mancante”. Ho quindi aspettato che il capitano smettesse di lamentarsi e imprecare. Quando ha smesso e solo un singhiozzo gli si è smorzato in gola, sono salito sul timone e guardandolo negli occhi ho detto: “Io Don Durito, tu chi?”. Il capitano non ha esitato a rispondere “Io capitano, tu clandestino” mentre brandendo un giornale o una rivista minacciava di sopprimere la mia bella e leggiadra figura. Allora, con voce potente mi sono presentato. Il capitano ha esitato restando in silenzio con il giornale o la rivista in mano.

Poi, sono bastate poche frasi per capire che eravamo persone di mondo, avventurieri per vocazione e scelta, esseri disposti ad affrontare qualsiasi sfida per quanto imponente e terribile potesse essere.

Ormai in confidenza, gli ho raccontato la storia di un’odissea in corso, qualcosa che avrebbe poi riempito gli annali delle storie a venire, il più pericoloso e ingrato dei compiti: la lotta per la vita.

Mi sono prodigato in dettagli, gli ho parlato di una barca costruita in mezzo alle montagne, senza altra acqua che quella della pioggia a darle vocazione e ragion d’essere. Gli ho parlato di chi aveva deciso di abbracciare tanta audacia, di leggende su una montagna che rifiuta la prigione dei suoi piedi per terra, di miti e leggende maya per voce delle loro origini.

Il capitano si è acceso una sigaretta, me ne ha offerta uno che ho dovuto rifiutare tirando fuori la mia pipa. Abbiamo così condiviso il fuoco e il fumo del tabacco.

Il capitano è rimasto in silenzio e, dopo qualche boccata, ha detto qualcosa del tipo: “Per me, sarebbe un grande onore unirmi a una causa così nobile e folle”. Ed ha aggiunto: “Adesso non ho un equipaggio, perché ci stiamo ritirando, ma sono sicuro che donne e uomini si avvicineranno solo per il fascino di questa storia. Vai dai tuoi e di’ loro di contare su ciò che siamo, esseri umani e navi”.

Terminato il mio racconto, mi sono rivolto a chi minacciava di gettarmi in mare: “Ed è così come voi, comuni mortali, vi siete imbarcati in questa avventura. Quindi lasciatemi in pace e tornate al vostro lavoro e doveri, che io devo vigilare che il Kraken lasci in pace la nostra casa e il nostro cammino. Per questo ho chiamato amici pesci che lo terranno assente”.

-*-

Ed ecco che in quel momento qualcuno sul ponte grida “Delfini!” e tutt@ sono saliti sul ponte armati di macchine fotografiche, cellulari o solo dei loro occhi stupiti.

Nella confusione, Durito, il più grande dei Titani, l’unico eroe a livello dell’arte, complice di maghi e streghe, è sgusciato via e si è arrampicato, ora sì, sulla Coffa e da lì ha intonato canzoni che, giuro, venivano replicate dai delfini che, tra onde e sargassi, hanno ballato per la vita.

-*-

Più tardi, a cena, il capitano ha confermato la storia dell’insetto. E da quel momento l’insetto ha smesso di essere “l’insetto” e viene chiamato, a partire da quell’evento, “Durito Stahlkäfer“, “Durito, lo Scarabeo d’Acciaio“.

“Una tacca in più alla cintura”, avrebbe detto il defunto SupMarcos, tre metri sottocoperta, ehm, volevo dire, sottoterra.

Ora, con cameratismo, Gabriela corregge la pronuncia tedesca di Stahlkäfer; sulla spalla di Ete, Durito sale in cima all’albero maestro; accompagna Carl quando prende il timone e lo diverte con storie terribili e meravigliose; sulla testa di Edwin lo guida nello spiegamento e nell’abbassamento delle vele; e la mattina presto condivide con il capitano Ludwig il tabacco e la parola.

E quando il mare infuria e il vento aumenta il suo lussurioso corteggiamento, il più grande esemplare della cavalleria errante, Stahlkäfer, intrattiene lo Squadrone 421 raccontando leggende incredibili. Come quella che racconta l’assurda storia di una montagna che si è fatta nave per la vita.

In fede.

SupGaleano
Pianeta Terra

Nota: Il video dei delfini chiamati da Stahlkäker è stato girato da Lupita, perché il team di supporto della Commissione Sexta, incaricato di tale missione, era impegnato… a vomitare. Sì, con pena degli altri. Ora la missione dello Squadrone 421 è supportare il team di supporto. E dobbiamo ancora attraversare l’Atlantico (sigh).

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, video e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/12/delfines/

https://vimeo.com/embed-redirect/548694843

Musica: «La Bruja», jarocho interpretat da Sones de México Ensamble, con Billy Branch.Immagini: parte della traversata de La Montaña, arrivo e sbarco a Cienfuegos, Cuba; e riunione dello Squadrone 421 per guardare la pagina di Enlace Zapatista.

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IN MARE

IN MARE

Maggio 2021

Pensando ai suoi passeggeri, come di dovere, il capitano Ludwig ha consigliato di partire il 2 nel pomeriggio. Le ondate previste per il giorno 3 avrebbero fatto soffrire i/le nuov@ velist@ più del necessario. Ecco perché il capitano ha proposto di anticipare la partenza alle ore 16:00 del secondo giorno del quinto mese.

Il subcomandante Insurgente Moisés gli ha dato ascolto ed ha acconsentito. Quindi, ora che è consuetudine usare la parola “storico” per qualsiasi cosa, è la prima volta che lo zapatismo ha fatto qualcosa di programmato prima di quando annunciato (di solito ci impicciamo e partiamo tardi). Ergo: è qualcosa di storico nello zapatismo.

Lo Squadrone 421 è quindi partito alle 16:11:30 del 2 maggio 2021. Qui presentiamo due diversi rapporti sullo stesso tratto di navigazione.

Rapporto dello Squadrone 421 all’Alto Comando Zapatista:
Itinerario della nave La Montaña. Le ore sono indicate all’ora ufficiale di Città del Messico, Messico (UTC -5).

2 maggio 2021. Alle 16:11:30 La Montaña ha iniziato il suo viaggio a una velocità di circa 4 nodi (1 nodo = 1.852 km/h). Alle 16:21:30 si è diretta a Sud-Sudest e, alle 17:23:04 La Montaña ha iniziato una leggera virata verso est. Alle 17:24:13 sono iniziate le manovre per dispiegare tutte le sue vele. L’equipaggio, con il supporto dello Squadrone 421, issava le vele. Alle 17:34 ha continuato la virata e si è diretta a Est. Ha completato la curva alle 17:41 tenendo a Nord la punta sud di Isla Mujeres. Allora si è diretta a Nordest, in direzione del Primo Territorio Libero d’America: Cuba. Con il vento a favore, La Montaña ha mantenuto velocità tra gli 8 ei 9 nodi. Alle 23:01, è entrata nel “Canale dello Yucatan”, la sua velocità era di 6 nodi.

3 maggio. Mattino presto.
Alle 01:42 con una velocità di 8 nodi, La Montaña si avvicina alla costa di Cuba. Riferimento: Cabo de San Antonio. Alle 08:18:00, poche miglia a sud del Faro Roncali, si dirige a Sudest. Velocità: 5 nodi. Alle 10:35:30 svolta in direzione Nord-Nordest. La velocità sale a 7 e 8 nodi e le raffiche di vento strapazzano le vele. A poche miglia a Sudovest di Cabo Corrientes, il Capitano decide di entrare nell’omonima baia. Alle 13:55 costeggia, a sinistra, Punta Caimán. Il 3 maggio, alle 14:25:15, il Capitano decide di gettare l’ancora davanti alla località cubana di “María la Gorda”; latitudine 21.8225; longitudine: 84,4987; per riparare le vele danneggiate e attendere che il vento si plachi.

Il 4 maggio 2021, alle 16:55:30, La Montaña riprende la sua navigazione, ora in direzione Ovest-Sudovest, con una velocità di 6 nodi. Alle 17:45:30, all’altezza di Cabo Corrientes, si dirige a Sud-Sudest. Alle 19:05:30 vira in direzione Est-Nordest.

Alle 00:16:15 del 5 maggio La Montaña naviga a 7-8 nodi. Alle 04:56:30, tenendo a Nord Cayo Real e Cayo del Perro, il motoveliero si dirige verso Sud-Sudest. Di fronte alla costa occidentale di Isla de la Juventud, disegna due “Z” successive e alle 12:07:00 naviga parallela alla costa sud dell’isola suddetta, a 5 nodi e in direzione Est. L’ultimo rapporto ricevuto è alle 23:16:45 del 5 maggio: 6-7 nodi direzione Est. Si dirige verso la città cubana e al porto di Cienfuegos, per arrivare lì il 6 maggio.

A Cienfuegos, La Montaña dovrà fare rifornimento e sostare per alcuni giorni, per poi proseguire il suo viaggio. Si riporta che lo Squadrone 421, nel suo insieme, sta bene e si sta adattando. Niente “gómitos” ma solo lieve nausea.

Per ora è tutto.

-*-

Rapporto inviato da un essere straordinariamente simile ad uno scarabeo – che viaggia clandestinamente su La Montaña -. I membri dell’equipaggio hanno provato di tutto per catturarlo. Non ci sono riusciti. Le volte in cui sono riusciti a metterlo all’angolo, il piccolo insetto li strega con storie e leggende di cose terribili e meravigliose, storie che sono successe e devono ancora accadere. Quando l’equipaggio esce dalla trance, lo scarabeo è tornato sulla Coffa della nave e, da lì, declama poesie in varie lingue, lancia minacce e maledizioni e sfida la Idra con uno stuzzicadenti a forma di lancia e un tappo di plastica di qualche bibita come scudo. Qui la narrazione:

“Più che navigare, La Montaña sembra ballare sul mare. Come in un lungo e appassionato bacio, si è staccata dal porto e si è diretta verso una meta incerta, piena di sfide, scommesse, minacce e non pochi contrattempi.

Una cumbia l’accompagna, le segna il passo e la distanza. Il sole si ferma stupito per guardare meglio i fianchi che ancheggiano a ritmo. La luna, pallida di invidia e rabbia, perde il passo con l’ultimo sensuale agitar di palme.

Un vento lascivo, satiro di nubi e raffiche, inseguiva La Montaña, ammaliato dal dondolio della poppa. La cumbia non faceva nulla per placare i desideri e le ansie, in più li incoraggiava e così crescevano e aumentavano. Goffo e frettoloso, da amante novizio, il vento arrischiò, irrequieto di lussuria, una manata. Così strappava le vele, scurite a forza di sale e acqua, con le quali la nave protegge il suo prezioso carico.

Pudica, La Montaña, cercava segretezza e discrezione per riparare i suoi abiti. E così rifletteva: “Il vento deve imparare che l’appetito e le voglie devono essere reciproci, o saranno un furto e non amore, come lo chiamano”.

Rivestita, La Montaña ha ripreso il suo corso e la sua missione, non senza prima rimproverare il vento che, rattristato, furtivo e timido, ora la segue, ma che, con ostinazione marina, la riempie di complimenti.

Che abbandoni il suo pudore, la supplica. Che le vele cadano e che si mostri nuda anche se il suo splendore gli ferisce lo sguardo, supplica. Quella nudità non pecca se è coperta da un’altra nudità, sostiene.

La Montagna, degna e altezzosa, non cede. Ferma e tenera lo respinge. “Nemmeno se riposassi in porto e in porto riprendessi le forze”, dice La Montaña. E con la prua indica e dice: “Guarda quell’altra isola che sente la nostra speranza e chiamano Cuba. È da questa Montaña che salutano quelle montagne esseri anacronistici la cui attuale sfida è solcare il mare”.

Irritata, l’imbarcazione rimprovera il vento. Che la smetta di frugare sotto le gonne, che a volte basta uno sguardo per scatenare il desiderio. Allora il vento si trattenne, ma non risparmiò sospiri che sospingevano l’andare del naviglio.

E così La Montaña naviga, il vento la segue promettendo dei domani.

A Est cresce l’attesa e, con essa, la speranza.”

Firma: Don Durito de La Lacandona, alias “Black Shield“, alias “Durito“, alias “Nabucodonosor“, alias “Scarabeo impertinente“, alias “Riparatore di Torti“, alias “il grande, che dico ‘grande’, il gigante, il meraviglioso, il superlativo, l’iper-mega-plus, il supercalifragilisticochespiralidoso, l’unico, l’incomparabile, lui. Lui, Don Durito de La Lacandona!“, alias (seguono diversi volumi dell’enciclopedia degli attributi del “più grande dei cavalieri erranti”- la maggior parte di questi, elaborati dal suddetto-).

E aggiunge un lontano post scriptum del lontano e defunto SupMarcos: “La speranza è come un biscotto: non serve a niente se non ce l’hai dentro”.

-*-

Da parte mia, mi dissocio da tutto quanto sopra. Soprattutto dal rapporto dell’insetto.

Vale. Saluti e che imbarcazione e venti si alleino alla missione.

Il SupGaleano, ritmando la musica della cumbia come se la navigasse.
Pianeta Terra.
Maggio 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/06/sobre-el-mar/

«Viento en espiral», composizine di Jesús G. Camacho Jurado. Interpretat da PsiqueSon.

“Cumbia sobre el mar”: Parole e musica di Rafael David Mejía Romani. Canta: Quantic, Flowering Inferno.

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Nell’ottobre 2020 l’EZLN ha annunciato che una delegazione messicana composta dal CNI-CIG, dal Fronte del Popolo in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala, e dall’EZLN viaggerà in Europa per incontrare ciò che unisce popoli così lontani e diversi. Inizia così un cammino condiviso in tutto il Mondo e come collettivi europei ci stiamo organizzando per riceverla. Contribuisci con una libera donazione direttamente sul conto di LAPAZ ITALIA: Causale: “Contributo Viaggio Zapatista Italia” – IBAN:  IT89P0501801600000017030529 c/o Banca Popolare ETICA filiale 1 ag. 02 di Milano

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Luca Martinelli Pochi giorni fa in America Latina è entrato in vigore un accordo, patrocinato dalle Nazioni Unite, che dovrebbe favorire e promuovere la protezione dei difensori dell’ambiente e dei diritti umani. In #Messico in questi giorni cade l’anniversario numero 15 della violenza di Stato scesa contro le proteste degli abitanti di Atenco che non volevano il nuovo aeroporto di Città del Messico sui terreni fertilissimi dove coltivano fiori. In quei giorni ci furono 2 morti, oltre a violenze (anche sessuali) indicibili. In Messico in questi giorni altri due difensori sono stati assassinati. Erano una coppia. Lottavano contro una miniera. Gli accordi – per quanto siano storici – restano sulla carta se non cambia(mo) il sistema economico: il capitalismo estrattivista è assassino.

Assassinato un ex commissario ejidale de El Bajío, Sonora. Si opponeva alla miniera Penmont ed aveva subito minacce.

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L’Arrembaggio

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

L’Arrembaggio

La Montaña è stata abbordata il 30 aprile 2021, essendo quella l’ora. La nave era ancorata a circa 50 braccia dal porto, “lontano dal trambusto e dalla falsa società”. Ridenti gabbiani, cormorani, fregate, ibis le volteggiavano intorno e persino un colibrì candido e smarrito cercava di fare un nido sulla piattaforma di prua. Nello scafo, sotto la linea di galleggiamento, i delfini tamburellavano una cumbia, uno squalo balena teneva il ritmo con le sue pinne e la manta distendeva le sue nere ali come fianchi volteggianti.

Il gruppo dei bucanieri era guidato dal Subcomandante Insurgente Moisés, il quale, con una truppa composta da una insurgenta tercia, un autista insurgente e un meccanico, un autista base, 5 terci@s, una comandanta e due comandanti, era presente per salutare la delegazione marittima, Squadrone 421, e controllare, in situ, che l’imbarcazione avesse ciò che era necessario per l’epopea nautica. Un team di supporto della Commissione Sexta assisteva per scrivere i necrologi dei caduti in azione.

Non c’è stata resistenza da parte dell’equipaggio. Il capitano aveva infatti precedentemente ordinato di issare, come albero di trinchetto, una grande vela con l’immagine che identifica la delegazione marittima zapatista, aggiungendo così La Montaña, incluso tutto l’equipaggio, alla lotta per la vita. Con gli alberi nudi, il simbolo del delirio zapatista scintillava impetuoso.

Quindi, diciamo che è stato un arrembaggio consensuale. Nessun tentativo di aggressione da parte delle truppe zapatiste, né della marineria ospite. E si potrebbe dire che tra noi e le/i marina@ de La Montaña c’era una sorta di complicità. Anche se, al primo approccio, erano sorpres@i quanto noi.

E saremmo rimasti lì, a fissarci immobili, se non ché, avanzando da poppa, un insetto straordinariamente simile a uno scarabeo ha gridato: “All’Arrembaggio! Se sono tanti, scappiamo! Se sono pochi, ci nascondiamo! E se non c’è nessuno, avanti, che siamo nati per morire!”. Questo è quello che ha deciso tutto. L’equipaggio guardava sbalordito il piccolo insetto e noi… non sapevamo se scusarci per l’irruzione o unirci all’attacco dei pirati.

Il subcomandante Insurgente Moisés ha ritenuto che fosse il momento opportuno per le presentazioni, quindi ha detto: “Buon pomeriggio. Il mio nome è Moisés, Subcomandante Insurgente Moisés, e loro sono…” Ma quando si è voltato per presentare la truppa, il SubMoy ha visto che non c’era nessuno.

Tutti stavano girando sulla nave con mal celate dimostrazioni di giubilo ed entusiasmo: le compagne delegate, come regine del Caribe, salutavano da babordo le barche piene di turisti che le guardavano con curiosità e scandalo, forse sorpresi che, con questo caldo , le compas indossassero gonne lunghe. Soprattutto perché le turiste indossavano bikini così ridotti da non credere. Marijose è andata a prua e da lì contemplava la casa di Ixchel, pensando tra sé e sé che non avrebbe indossato i suoi iper ultra mini shorts, perché non voleva umiliare le cittadine in quanto a sensualità.

I comandanti David e Hortensia davano le ultime raccomandazioni a una Lupita con il sorriso che le debordava dalla mascherina. Il comandante Zebedeo si ripeteva: “non devo vomitare, non devo vomitare”, che è l’antiemetico consigliato dal SupGaleano.

L@s tercios (4 uomini, una compa e una insurgenta), dal canto loro, facevano foto e video di tutto. E quando dico “di tutto”, è proprio di tutto. Quindi, non stupitevi se nelle foto compaiono solo lucernari, funi, catena dell’ancora, verricello, boe, teloni, secchi per drenare l’acqua e altre cose tipiche di una nave che sta per attraversare l’Atlantico nella nobilissima missione di invadere, voglio dire, conquistare, cioè, visitare l’Europa.

Marcelino e il Monarca hanno chiesto della sala macchine e, non so da dove, hanno tirato fuori una cassetta degli attrezzi e, con pinze e cacciaviti, sono andati dove pensavano che dovesse essere il motore perché, hanno spiegato ad un capitano attonito, dal rumore si deduceva che necessitava di regolazione. Bernal e Felipe (sostituto di Darío – che è dovuto restare a terra per il passaporto dei figli -, 49 anni, originario Tzeltal; parla fluentemente tzeltal e la castilla; padre di 4: il maggiore di 23 anni e il più giovane di 13 anni; è stato miliziano, sergente, responsabile locale, consigliere autonomo nel MAREZ, giunta di buon governo, insegnante della escuelita e autista; musica preferita: romantica, rancheras, banda, cumbia, rivoluzionaria; colori preferiti: nero, blu e grigio; si è preparato per 6 mesi come delegato; volontario per viaggiare in barca se qualcuno non poteva; esperienza marittima: nulla), si sono uniti alla squadra meccanica zapatista (nel caso che, in alto mare, ci fosse bisogno di riparazioni).

L’equipaggio de La Montaña, una volta ripresosi dallo sconcerto di un arrembaggio così altro, si è strategicamente distribuito in coperta, prevedendo che l’esaltazione zapatista sarebbe sfociata con uno di noi in mare.

Se questo fosse accaduto, eravamo preparati, che vi credete. Per la composizione della delegazione, la sera prima si è discusso di come gridare se ciò fosse accaduto: “uomo in mare” o “donna in mare” o “otroa in mare” o “tercio in mare” o “autista in mare” o “scarabeo in mare”, e così via. Il problema era che, per sapere cosa gridare, il SubMoy doveva prima prendere la lista e vedere chi mancava, e poi dare l’ordine di “panico sottovento” (che la delegazione aveva simulato fino alla perfezione durante l’addestramento nel Centro di Addestramento, area Naufragi e Affondamenti) affinché tutt@ gridassero. Poiché i secondi che si sarebbero persi (nella realtà, perché nelle simulazioni erano lunghi minuti) potevano essere decisivi, si è deciso di gridare “Zapatista in mare!”. Ciò non è accaduto, cosa che ha liberato il gruppo corsaro maya (permesso in regola nelle Giunte di Buon Governo zapatiste) da burle e scherni su di loro al Bar la Mota Negra, a Copenaghen, in Danimarca.

L’equipaggio presto è stato contagiato dall’entusiasmo zapatista e, nonostante fossero marinai con anni di esperienza nelle acque dell’oceano, guardava ora, attraverso lo sguardo zapatista, un mare che, calmo, celebrava una visita così inaspettata, rassegnato come prima all’impertinenza dei turisti di tutto il mondo. Il capitano dell’imbarcazione ha portato il SubMoy nella cabina di comando e l’ha messo al timone, mentre l@s tercios scattavano foto… dell’acqua (quindi ci saranno tante e tante foto di un mare vuoto).

La delegazione marittima zapatista, lo Squadrone 421 vero e proprio, da parte sua, è passato dall’entusiasmo alla cautela e ha sommerso l’equipaggio di domande sensate: “E se cade un fulmine e la nave si rompe, cosa facciamo?”. “E se si apre un buco e tutta l’acqua sparisce, dobbiamo camminare?”. “E voi come fate a mangiare se non avete la milpa?”. “E come fa il vento a sapere che stiamo andando di là?”. “E dove dorme il mare se ha sonno?”. “E se il cuore del mare è triste, come fa a piangere?”. “Quanto è grande il suo cuore per amarlo e consolare il mare che è grandissimo?”. “E, come noi difendiamo la terra, c’è qualcuno che difende il mare?”.

L’equipaggio de La Montaña composto da: il Capitano Ludwig (Germania), Edwin (Colombia), Gabriela (Germania), Ete (Germania) e Carl (Germania), si guardava perplesso e si diceva: “In welche Schwierigkeiten bin ich geraten?” (tranne Edwin, che in spagnolo pensava: “Accidenti, in quale guaio mi sono cacciato”).

-*-

E l’insetto? Ebbene, prevedendo che avrebbero cercato di buttarlo in mare (nonostante “avesse capeggiato l’arrembaggio con impareggiabile coraggio, grazia e bellezza” – così ha detto lui -), si è arrampicato in cima alla coffa e, da lì, ha declamato in un impeccabile galiziano:

Volverei, volverei á vida

cando rompa a luz nos cons

porque nós arrancamos todo o orgullo do mar,

non nos afundiremos nunca máis

que na túa memoria xa non hai volta atrás:

non nos humillaredes NUNCA MÁIS.” (*)

A oriente, in lontananza, le onde sulle coste della Galizia ripetevano: “nunca máis”.

In fede.

Il Gatto-Cane.

Ancora in Messico, Maggio 2021

(*) Parole della canzone “Memoria da Noite” del gruppo galiziano Luar Na Lubre.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, foto e video: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/05/01/el-abordaje/

Musica: Frammento di «Aires Bucaneros». Parole del poeta Luis Palés Matos. Musica: Roy Brown.

Musica: Memoria da Noite. Parole: Xabier Cordal. Musica: Bieito Romero. Interpreta: Luar Na Lubre, con le voci di Rosa Cedrón e il maestro Pedro Guerra.

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Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

Ieri: La teoria e la pratica.

Un’assemblea in un villaggio in una delle montagne del sud-est del Messico. Devono essere i mesi di luglio-agosto di un anno vicino, con la pandemia di coronavirus che si impadronisce del pianeta. Non è una riunione qualsiasi. Non solo per la follia che la convoca, anche per l’evidente distanziamento tra sedia e sedia, e perché i colori delle mascherine sono opachi dietro lo schermo delle maschere trasparenti.

Ci sono i leader politico-organizzativi dell’EZLN. Ci sono anche alcuni leader militari, che restano in silenzio a meno che non si chieda loro di parlare su un punto preciso.

Sono molti di più di quanto si poteva supporre. Ci sono almeno 6 lingue originarie, tutte di radice Maya, e usano lo spagnolo o “la castilla” come ponte per capirsi.

Molti dei presenti sono “veterani”, erano nella sollevazione iniziata il 1 gennaio 1994 quando, armi in pugno, scesero nelle città insieme a migliaia di altre compagne e compagni, come una in più, uno in più. Ci sono anche “i nuovi”, uomini e donne che sono si sono inseriti nella dirigenza zapatista dopo molto apprendistato. La maggior parte dei “nuovi” sono “nuove”, donne di tutte le età e di diverse lingue.

L’assemblea stessa, il suo svolgimento, i suoi tempi, i suoi modi, riproduce le assemblee che si tengono nelle comunità. C’è qualcuno che coordina la riunione e che dà la parola e indica gli argomenti da discutere che sono stati concordati in precedenza. Non c’è limite di tempo per ogni intervento, cosicché il tempo qui acquisisce un altro ritmo.

Qualcuno, in questo momento, sta raccontando una storia o un racconto o una leggenda. A nessuno importa se ciò che viene narrato è un fatto reale o una finzione, ma ciò che viene detto con attraverso questo mezzo.

Questa è la storia:

Un uomo zapatista sta camminando in un villaggio. Indossa i suoi abiti migliori e il suo cappello nuovo perché, dice, cerca una fidanzata. Il narratore imita il passo e i gesti che ha visto in qualche film che circolava durante il Festival del Cinema “Puy Ta Cuxlejaltic”. L’assemblea ride quando, chi racconta la storia, fa il tono del Cochiloco (interpretato da Joaquín Cosío in “El Infierno”. Luis Estrada, 2010), e si toglie il cappello per salutare una donna immaginaria che passa con un mulo immaginario che porta legna immaginaria. Il narratore mescola lo spagnolo con una delle lingue maya, cosicché nell’assemblea, senza interruzioni, si traducono a vicenda.

Chi racconta la storia ricorda che è il tempo del mais, l’assemblea conferma. La narrazione continua:

L’uomo con il cappello incontra un conoscente, si salutano. “Ehi! Non ti avevo riconosciuto con quel cappello e così elegante”, dice il conoscente. L’interpellato risponde: “È che sto cercando una mia fidanzata”. E l’altro: “E come si chiama la tua fidanzata e dove vive?” Quello con il cappello: “Non lo so”. L’altro: “Come fai a non saperlo?”. Il cappello: “Beh, ecco perché ho detto che la sto cercando, guarda che l’ho già trovata perché conosco il suo nome e dove abita”. L’altro valuta per un secondo quella logica contundente e annuisce in silenzio.

È il turno del cappello: “E tu cosa fai?” L’altro risponde: “Sto piantando mais perché voglio le pannocchie”. Il cappello tace un attimo mentre guarda l’altro che, con un manico di scopa fa dei buchi in mezzo alla strada sterrata. Il cappello: “Ehi compare, con tutto il rispetto, ma sei abbastanza stupido”. L’altro: “e perché? Se ci sto dando dentro perché sono determinato a mangiare mais”.

Quello con il cappello si siede, accende una sigaretta e la passa all’altro, e se ne accende un’altra. Non sembrano avere fretta: né quello con il cappello per trovare la sua ragazza, né l’altro per mangiare il mais. Il pomeriggio si allunga e, a morsi, toglie alla notte un po’ di luce. Non piove ancora, ma il cielo comincia a spargere nuvole grigie per coprirsi. La luna si annida dietro gli alberi. Dopo un lungo silenzio, il cappello spiega:

“Bene, guarda, compare. Vediamo se mi capisci: in primo luogo si tratta del terreno. In questo acciottolato il mais non attecchirà. Il seme morirà sotto il calpestio e non ci sarà dove mettere radice. Il seme morirà. E poi la tua scopa, che usi come una zappa, ma la scopa è una scopa, e la zappa è una zappa, ecco perché la povera scopa è già tutta a pezzi.

Il cappello prende la scopa, controlla le toppe che l’altro ha fatto con nastro adesivo e corda, e continua: “Se ti vedesse mia madre a danneggiare così la sua scopa, ti caccerebbe a dormire in montagna”.

E prosegue: “allora, la milpa non è dovunque, compare, né si lavora con qualsiasi cosa, ma ha il suo dove e il suo con che cosa. Inoltre, non è il momento di seminare un campo di mais adesso, adesso è il tempo del raccolto. E perché ci sia il raccolto, devi prima aver lavorato duro nel campo. Cioè, nel campo non è che tu strilli “ehi donna, portami il mio pozol e le mie tortillas” che è il modo in cui urlavi alla tua donna, – beh, finché lei non si è riunita come donne che siamo e via, sono finite le urla -, ma questo è affar tuo, compare. Quello che ti sto dicendo è che alla terra non si danno ordini, ma le si spiega, le si parla, la si onora, le si raccontano storie per incoraggiarla. E la terra non ascolta un tempo qualsiasi, ma ha, come si suol dire, il suo calendario. Vuole che tu conti bene i giorni e le notti, e che guardi la terra e il cielo per vedere quando piantare il seme”.

“Quindi ecco, come si dice, la problema. Perché stai sbagliando tutto, e non è perché ci hai dato dentro e sei determinato che il tuo desiderio sarà esaudito. Ciò di cui hai bisogno è la conoscenza. Le cose non si realizzano solo perché ci dai dentro con decisione, ma serve che tu scelga un buon terreno, poi gli strumenti adatti, poi i tempi di ogni parte del lavoro. Cioè, come si suo dire, ci vuole la teoria e la pratica con conoscenza, e non le stupidate che stai facendo, che dovrebbero farti pena perché tutti ti guardano e ridono”.

“E gli stronzi che ridono non si rendono conto che le stupidate che fai colpiranno anche loro, perché proprio dove stai sprofondando, prima verrà allagato, poi l’acqua scorrerà e creerà dei rigagnoli come le rughe di tua nonna compa, che la mia è già in paradiso. E così l’auto della giunta di buon governo non riuscirà ad entrare, perché si bloccherà, e i materiali o le merci che porta dovranno essere scaricati a mano, sulle spalle, e camminando dentro i rigagnoli danneggeranno i loro stivali e pantaloni, tanto più se si vestiranno eleganti come me adesso, e così non troveranno mai una fidanzata. E le compagne, ancora peggio, compare, perché quelle sono toste. Ti passeranno accanto, con un asino che trasporta le loro cose, e diranno: “C’è chi è più cocciuto del mio asino, e più stupido”. E spiegheranno: “Ehi, quando dico ‘adesso fottuto asino’, non offenderti, sto parlando al mio animale”.

Che succede compare, mi offendi?” dice l’altro indignato.

Il cappello: “No, beh, te lo dico soltanto. Prendilo come un consiglio o un indicazione, non è un ordine. Ma, come diceva il compianto Sup: “è meglio che tu faccia come dico, perché se no, se va storto ti dirò “ odio dirti che te l’avevo detto, ma te l’avevo detto”. Quindi ascoltami, compare”.

L’altro: “Quindi questa terra è inutile, e così la mia zappa? Né è il momento?”.

Il cappello: “no, no e no”.

“E quando è il momento, allora?”.

“Ops, è già passato. Ora devi aspettare un altro giro. Intorno ad aprile, maggio, e affinché l’acqua non manchi, il 3 maggio vuole che alla terra venga dato il tuo pane, una bibita per il caldo, magari una sigaretta di foglie, le sue candele, e chi raccolga anche i suoi frutti e le sue verdure e persino il suo brodo di pollo. Il defunto Sup ha diceva che solo con la zucca no, che se alla terra dai la zucca ,si arrabbia e tira fuori un serpente. Ma credo che fosse una bugia del compianto, lo diceva perché non gli piaceva la zucca”.

Allora, quando?

“Mmm, ora vedrai: siamo già come si dice quasi a ottobre, quindi 6 mesi. Dunque in aprile-maggio. Ma dipende”.

“Va bene, e ora come faccio se voglio il mais in questo momento?” L’altro pensa e, improvvisamente, aggiunge: “Lo so! Chiederò in prestito del mais all’autorità autonoma”.

Il cappello: “E poi, come risarcisci l’autorità autonoma?”.

“Ah, beh, chiedo un prestito alla Giunta e restituisco con questo. E per restituire alla Giuta chiedo un prestito al Los Tercios. E per saldare Los Tercios chiedo di nuovo un prestito all’autorità, alla fine vedrai che pago.

Il cappello, grattandosi la testa, dice. “Accidenti compare, adesso viene fuori come nel film di Vargas, ne sei uscito più bastardo che bellino. Se la pensi come il malgoverno, dovresti essere un deputato, o un senatore o un governatore, o qualcuno di quegli stronzi”.

“Che dici, compare? Io solo resistenza e ribellione. Vedrai come faccio”.

Il cappello: “Allora me ne vado perché altrimenti non troverò la mia ragazza. Ci vediamo, amico”.

L’altro: “Vai con Dio, e se trovi la tua ragazza, chiedile se la sua famiglia non ha del mais che può prestarmi, che poi gli pagherò”.

Il narratore si rivolge all’assemblea: “Allora cos’è meglio? Prestiamo mais al compare o che se la sbrighi con la teoria e la pratica con consapevolezza?”.

-*-

È arrivata l’ora del pozol. L’assemblea si disperde. Il SupGaleano, solo per capriccio, dice al Subcomandante Moisés: “A me piacciono solo i popcorn” e si dirige alla sua capanna. Il Subcomandante Moisés gli risponde: “E pure la salsa piccante?”. Il SupGaleano non risponde ma cambia direzione. “Dove stai andando?”. Chiede il SubMoy. Il Sup, allontanandosi, quasi grida: “Vado a chiedere in prestito la salsa al negozio delle Insurgentas”.

In fede.

Miau-Guau.

Il Gatto-Cane, clandestino sul La Montaña.
(Vabbè, non aveva i soldi, inoltre, c’è un cartello all’ingresso de La Montaña che dice: “Non sono ammessi gatti, cani… o scarabei schizofrenici”).
Ancora in Messico. Aprile 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto, video: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/30/ayer-la-teoria-y-la-practica/

El Mariachi Renacimiento del Caracol di Roberto Barrios. https://vimeo.com/video/543483661

https://vimeo.com/video/543481628 Ragazza base zapatista saluta la delegazione marittima zapatista.

https://vimeo.com/video/543505441 Musica: Santiago Feliú, mentre suona «Créeme» di Vicente Feliú.

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Dalla Lacandona al mondo

Luis Hernández Navarro

La storia della colonizzazione del Nuovo Mondo e dell’espansione capitalista segue la rotta atlantica. Attraverso l’oceano i primi coloni e religiosi arrivarono in America, accompagnati dalle loro armi e dalla loro fede. Inseparabili, la croce e la spada solcavano i mari, seguite da schiavi e mercanzie. Trasportate dai venti e dalle correnti marine, le navi tornavano in Europa cariche dei frutti di saccheggi e spoliazioni.

Questo 3 maggio, giorno della Santa Cruz, Chan Santa Cruz, il nome dato al santuario e al governo Maya autonomo che gli indigeni ribelli hanno tenuto in vita per mezzo secolo, i ruoli si invertiranno. In quella data, sempre attraverso l’Atlantico, la nave zapatista La Montaña, salperà da Isla Mujeres verso il porto di Vigo, in Spagna, per incontrare i loro compagni e una poliedrica serie di figure e movimenti sociali. L’antica rotta della Conquista sarà la via per la spedizione emancipatrice, battezzata dall’EZLN Viaggio per la Vita, per arrivare in Europa.

Così, ora in senso opposto, si rivisiterà l’appassionante incontro tra ribelli, fuorilegge e protagonisti delle rivolte popolari anticapitaliste dei due i continenti narrato da Peter Linebaugh e Marcus Redinker, nel loro meraviglioso libro L’idra della rivoluzione. Marinai, schiavi e contadini nella storia nascosta dell’Atlantico. I marinai – scrivono Linebaugh e Redinker – portavano in Europa storie che parlavano delle società alternative d’America. Lungo la strada allacciavano il comunismo primitivo del Nuovo Mondo con il comunismo plebeo del Vecchio Mondo.

La portata dell’iniziativa può essere compresa appieno solo se si mette da parte la mistificazione di presumere che tutto si risolve nello Stato e dallo Stato. Le lotte attuali, prese nella loro globalità, invece di accettare l’omogeneità dello Stato, del capitalismo, della tecnologia, conducono a differenze. La nostalgia per la Cortina de Nopal non c’entra niente con la sinistra. Le lotte di emancipazione sono sempre state internazionaliste.

Certamente – come ha sottolineato lo storico sociale inglese Edward P. Thompson – cercare di influenzare il corso della storia per mezzo di movimenti dal basso è un compito ingrato e terribilmente lungo. Ma, a lungo andare, è uno dei pochi posti onorevoli in cui stare.

Nella sua tappa europea, la delegazione marittima dell’EZLN, alla quale si uniranno altri delegati che arriveranno in aereo, visiterà più di 30 paesi. E lì incontreranno migliaia di attivisti che, dal 1994, hanno visitato e vissuto per intere stagioni nelle comunità autonome zapatiste. Vedranno le loro vecchie conoscenze altromondiste che oggi (come ieri) sono combattenti instancabili contro il fascismo, generosi organizzatori di migranti, costruttori vitali di nuove forme di convivenza urbana, agguerriti sindacalisti in un mondo del lavoro precario, feroci demolitori di statue di mercanti di schiavi e colonialisti (https://bit.ly/2PluaBF).

I legami duraturi e sorprendentemente vitali tra gli zapatisti ed i loro interlocutori europei, nonostante il passare degli anni, sono stati ignorati o sono passati inosservati da chi guarda il mondo dall’alto. Tuttavia, hanno segnato profondamente le dinamiche delle lotte antisistemiche. Sebbene formalmente lo sia, Bruxelles non è più la capitale dell’Unione Europea. Sulla mappa della resistenza, Atene, Genova, Gibilterra o i centri di arrivo dei migranti hanno cambiato la mappa delle resistenze ed occupano il suo posto.

Tra entrambi c’è una lunga storia di cooperazione, solidarietà dal basso, linguaggio condiviso, rivendicazione e reinvenzione del comune; il noi. Hanno sviluppato un orizzonte collettivista, antiautoritario ed egualitario. I loro stili di vita alternativi sono profondamente intrecciati. Hanno forgiato legami di amicizia, affetto e comunione a prova di avversità. Sono una comunità unita da idee, sentimenti ed esperienze comuni. Tra loro c’è, anche se in maniera incipiente, un destino globale creato congiuntamente (https://bit.ly/3gDMd14).

Il viaggio zapatista può essere letto come un esodo dal tessuto organizzativo in cui sono istituzionalizzate le ortodossie. I ribelli di entrambi i continenti condividono che le loro eresie sono nate dalle periferie. Come sottolinea il filosofo francese Henri Lefebvre, la periferia a volte si trova al centro, o è la chiave per raggiungerlo. Solo le periferie raggiungono la coscienza e la conoscenza dei centri. La coscienza periferica metodicamente guidata permette – dice – di raggiungere la conoscenza del centro e del mondo.

Molto distante dalla waltdisneyizzazione del passato, con il riconoscimento delle memorie dei popoli storici del continente americano in pegno, confrontati radicalmente con il persistere dell’arroganza coloniale, lungi dal vittimismo paralizzante che non rompe con le logiche del potere, hanno deciso di seguire un’altra politica per la vita, che non è soggetta all’orologio degli affari o al calendario di quelli sopra. La loro proposta, che evita di ripetersi e nasce dalle loro realtà terrene, sfugge ai tempi dell’economia e ai momenti della rappresentazione.

Nell’ora della parola, dalla Lacandona al mondo, in procinto di levare le ancora a Isla Mujeres per solcare le acque dell’Atlantico, gli zapatisti, come i marinai, non parleranno sotto voce, perché, come si sa, il mare parla forte.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2021/04/27/opinion/016a1pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Rotta di Ixchel.

Aprile 2021

La Montaña uscirà.

Da una delle case de Ixchel, la madre dell’amore e la fertilità, la nonna di piante e animali, madre giovane e madre anziana, la rabbia nella quale il dolore della terra si trasforma quando è ferita e macchiata, uscirà la Montaña.

Una delle leggende maya racconta che Ixchel si distese sul mondo in forma di arcobaleno. Lo fece per dare così al pianeta una lezione di pluralità e inclusione, e per ricordargli che il colore della terra non è uno solo, bensì molti, e che tutti, senza smettere di essere quel che sono, illuminano la meraviglia della vita. E lei, Ixchel, la donna arcobaleno, abbraccia tutti i colori e li rende parte di sé.

Nelle montagne del sudest messicano, nella lingua di radice maya dei più vecchi tra i vecchi, si narra una delle storie di Ixchel, madre-luna, madre-amore, madre-rabbia, madre-vita. Parlando il Vecchio Antonio, così disse:

“Da oriente venne la morte e la schiavitù. Arrivò e basta. Non possiamo cambiare niente di ciò che è stato. Ma così disse Ixchel:

Che domani ad oriente navighino la vita e la libertà nella parola delle mie ossa e sangue, le mie figlie. Che non comandi un colore. Che non comandi nessuno affinché nessuno ubbidisca e che ognuno sia ciò che è con gioia. Perché la pena e il dolore vengono da chi vuole specchi e non vetri per affacciarsi su tutti i mondi che io sono. Con rabbia bisognerà rompere 7 mila specchi fino ad alleviare il dolore. Molta morte dovrà dolere perché, finalmente, il cammino sia la vita. Che l’arcobaleno incoroni dunque la casa delle mie figlie, la montagna che è la terra dei miei successori”.

Quando l’oppressione arrivò in ferro e fuoco sul suolo maya, il Ts´ul, arrivato da lontano, vide molte figure della dea arcobaleno e così chiamò questa terra: Isla Mujeres.

Una mattina del domani, quando la croce parlante invochi, non il passato, ma il futuro, la montagna navigherà fino alla terra del Ts´ul e attraccherà di fronte al vecchio olivo che dà ombra al mare e identità a chi vive e lavora su quelle coste.”

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Il giorno 3 maggio dell’anno 21 del secolo 21, da Isla Mujeres, Quintana Roo, Messico, salperà la Montaña per attraversare l’Atlantico in una traversata che sa molto di sfida e nessun rimprovero. Nel sesto mese del calendario, avvisterà le coste del porto di Vigo (Ciudad olívica), Pontevedra, nella Comunità Autonoma della Galizia, Stato Spagnolo.

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Se non si potrà sbarcare, sia per il COVID, migrazione, pura discriminazione, sciovinismo, o che si sbagliano di porto o l’ostia, saremo preparati.

Siamo pronti ad aspettare e lì, di fronte alle coste europee, spiegheremo un grande striscione che dica “Sveglia!“. Aspetteremo di vedere se qualcuno leggerà il messaggio e poi se, in effetti, si sveglierà; e di vedere ancor di più se farà qualcosa.

Se l’Europa del basso non vorrà o non potrà, allora, previdenti, abbiamo 4 cayucos con rispettivi remi ed intraprenderemo il ritorno. Certo, ci vorrà un po’ per arrivare a scorgere le sponde della casa di Ixchel.

I cayucos rappresentano 4 tappe del nostro essere zapatisti:

.- La nostra cultura come popolo originario di radice maya. È il cayuco più grande dentro il quale possono starci gli altri 3. È un omaggio ai nostri antenati.

.- La tappa della clandestinità e la sollevazione. È il cayuco che segue il primo per dimensione, ed è un omaggio ai caduti del primo gennaio 1994.

.- La tappa dell’autonomia. È il terzo per volume, dal maggiore al minore, ed è un omaggio ai nostri villaggi, regioni e zone che, in resistenza e ribellione, hanno innalzato ed innalzano l’autonomia zapatista.

.- La tappa dell’infanzia zapatista. È il cayuco più piccolo che hanno dipinto e decorato bambini e bambine zapatiste con le figure ed i colori che hanno deciso loro.

-*-

Ma, se riusciremo a sbarcare ed abbracciare con la parola coloro che là lottano, resistono e si ribellano, allora ci saranno festa, ballo, canzoni, e cumbie ed i fianchi scuoteranno suoli e cieli distanti tra loro.

E, su entrambi i lati dell’oceano, un breve messaggio inonderà tutto lo spettro elettromagnetico, il cyberspazio e l’eco sarà nei cuori:

вторгнення почалося
bosqinchilik boshlandi
a invasión comezou
Die Invasion hat begonnen
istila başladı
la invasió ha iniciat
l’invasione hè principiata
invazija je započela
invaze začala
инвазията е започнала
invasionen er startet
invázia sa začala
invazija se je začela
la invado komenciĝis
the invasion has started
invasioon on alanud
inbasioa hasi da
hyökkäys on alkanut
l’invasion a commencé
mae’r goresgyniad wedi cychwyn
η εισβολή έχει ξεκινήσει
tá an t-ionradh tosaithe
innrásin er hafin
l’invasione è iniziata
بدأ الغزو
êriş dest pê kiriye
iebrukums ir sācies
prasidėjo invazija
d’Invasioun huet ugefaang
започна инвазијата
bdiet l-invażjoni
de invasie is begonnen
invasjonen har startet
حمله آغاز شده است
rozpoczęła się inwazja
a invasão começou
invazia a început
вторжение началось
инвазија је започела
invasionen har börjat

“L’invasione è iniziata”.
.-.. .- / .. -. …- .- … .. — -. / …. .- / .. -. .. -.-. .. .- -.. — (in alfabeto morse)

E forse, solo forse, Ixchel, dea luna, sarà allora illuminazione sul nostro cammino e, come in questa alba, luce e destino.

In fede.

Dal Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista
Semillero Comandanta Ramona. Zona Tzotz Choj.

Il SupGaleano.
Messico, 26 aprile 2021. Luna piena.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale, video e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/26/la-ruta-de-ixchel/

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INTANTO, NELLA SELVA LACANDONA…”
(Terci@s Compas).

Frammenti visivi del saluto alle delegazioni zapatiste in alcune comunità indigene zapatiste, sulle rive dei fiumi Jataté, Tzaconejá e Colorado, montagne del sud-est messicano, Chiapas, Messico, America, America Latina, pianeta Terra.

Musica sulle zattere: La piragua (di José Barros). Trío Los Inseparables (versione ridotta di Sonido Dueñez / Sabotaje Dub. Sabotaje Media (2021).

Bene. Saluti e “se non va, ti porterò nel mio cuore, ti porterò qui nel mio canto”.

Il SupGaleano mentre balla raspadito, raspadito, la cumbia, raspando la terra, amandola, difendendola, ballandola (che non è lo stesso ma è uguale). La vita! “Fino ad un altro continente della pianeta Terra”.

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/24/y-mientras-tanto-en-la-selva-lacandona/

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SQUADRONE 421

(La delegazione marittima zapatista)

SQUADRONE 421

(La delegazione marittima zapatista)

Aprile 2021

Calendario? Un’alba del quarto mese. Geografia? Le montagne del sudest messicano. Un silenzio repentino si impone sui grilli, sul latrato diffuso e lontano dei cani, sull’eco di una musica di marimba. Qui, nelle viscere delle alture, un sussurro più che un russare. Se non fossimo dove siamo, si potrebbe pensare che è una voce dal mare aperto. Non le onde che si infrangono contro la costa, la spiaggia, la scogliera delimitata da una stravagante frastagliatura. No, qualcos’altro. E poi … un lungo gemito e un intempestivo, breve tremore.

La montagna si solleva. Si rimbocca, con pudore, le falde. Non senza sforzo, solleva i piedi da terra. Compie il primo passo con una smorfia di dolore. Ora sanguinano i piedi a questa montagna piccola, lontana dalle mappe, dalle destinazioni turistiche e dalle catastrofi. Ma qui tutto è complicità, così una pioggia anacronistica le lava i piedi e, con il fango, cura le sue ferite.

Abbi cura di te, figlia”, le dice la Ceiba madre. “Coraggio”, dice la corteccia di huapác come a sé stessa. L’uccello tapacamino la guida. “Ad oriente, amica, ad oriente”, dice mentre saltella da una parte all’altra.

Vestita di alberi, uccelli e pietre, la montagna cammina. Al suo passaggio, uomini, donne, chi non è né l’uno né l’altro, ragazzi e ragazze assonnati, si aggrappano ai bordi delle sue falde. Si arrampicano sulla sua blusa, le incoronano le punte dei seni, la seguono alle spalle e, ormai sulla sua cima, si svegliano.

Ad oriente il sole, che a malapena fa capolino all’orizzonte, interrompe un poco il suo giro ostinato e quotidiano. Ti è sembrato di veder camminare una montagna con una corona di esseri umani. Ma oltre al sole ed alcune nuvole grigie che la notte ha dimenticato, nessuno qui sembra sorprendersi.

Era scritto così”, dice il Vecchio Antonio affilando il machete a doppio taglio, e Doña Juanita annuisce con un sospiro.

Il focolare odora di caffè e mais cotto. Dalla radio comunitaria esce una cumbia. Il testo parla di una leggenda impossibile: una montagna che naviga controcorrente alla storia.

-*-

Sette persone, sette zapatisti, compongono la frazione marittima della delegazione che visiterà l’Europa. Quattro sono donne, due sono uomini e unoa è otroa. 4, 2, 1. Lo squadrone 421 è già acquartierato nel “Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista”, situato nel Semillero Comandanta Ramona nella zona Tzotz Choj.

Non è stato facile. Piuttosto, è stato tortuoso. Per arrivare a questo calendario abbiamo dovuto affrontare obiezioni, consigli, scoraggiamenti, inviti alla misura e alla prudenza, veri sabotaggi, bugie, volgarità, resoconti dettagliati delle difficoltà, pettegolezzi e insolenze, e una frase ripetuta fino alla nausea: “quello che volete fare è molto difficile, se non impossibile”. E, naturalmente, dicendoci, ordinandoci cosa dovremmo e non dovremmo fare. Tutto questo, su questa e sull’altra sponda dell’oceano.

Tutto questo senza contare gli ostacoli del governo supremo e della sua burocrazia ignorante, ostinata e razzista.

Ma vi parlerò di tutto questo in un’altra occasione. Ora devo parlarvi della nostra nuovissima delegazione marittima zapatista.

Le 4 donne, i due uomini e lao otroa sono esseri umani. A loro è stato fatto il Test di Turing, con alcune modifiche che ho ritenuto pertinenti per escludere che alcun@ di loro, o tutt@, fossero un organismo cibernetico, un robot, capace di ballare la cumbia del Sapito sbagliando il passo. Ergo, i 7 esseri appartengono alla razza umana.

Le/I 7 sono nati nel continente che chiamano “America” e il fatto che condividano dolore e rabbia con altri popoli originari da questa parte dell’oceano, li rende Latinoamericani. Sono anche messicani di nascita, discendenti dei popoli originari maya, come verificato con le loro famiglie, vicini e conoscenti. Sono anche zapatisti, con documenti dei municipi autonomi e delle Giunte di Buon Governo che lo avallano. Non hanno crimini dimostrati a loro carico e che non siano stati sanzionati opportunamente. Vivono, lavorano, si ammalano, si curano, amano, si disamorano, ridono, piangono, ricordano, dimenticano, giocano, fanno sul serio, prendono appunti, cercano un pretesto, insomma, vivono nelle montagne del Sudest Messicano, in Chiapas, Messico, Latinoamerica, America, Pianeta Terra, eccetera.

Le/I 7, inoltre, si sono offerti volontari per il viaggio via mare – cosa che non suscita molto entusiasmo tra la grande varietà di zapatisti di tutte le età -. Quindi, per essere chiari, nessuno voleva viaggiare in nave. Quanto ha contribuito a ciò la campagna di terrore scatenata da Esperanza e da tutta la banda di Defensa Zapatista, sintetizzata nel famoso algoritmo “moriranno tutt@ miseramente”? Non lo so. Ma il fatto di aver sconfitto i social, compreso whatsapp, senza alcun vantaggio tecnologico (beh, senza nemmeno campo nel cellulare), mi ha motivato a mettere il mio granello di sabbia.

Così, mosso dalla mia simpatia per la banda di Defensa Zapatista, ho chiesto al SubMoy il permesso di parlare con la delegazione che, tra grida, gridolini e risate de@ bambin@, si stava preparando all’invasione che non è un’invasione… beh, sì, lo è, ma è qualcosa, diciamo, consensuale. Qualcosa di simile a un internazionalismo sadomasochista che, ovviamente, non sarà ben visto dall’ortodossia dell’avanguardia, che, come si deve, si spinge così avanti dalle masse, che non si riesce a vedere.

Mi sono presentato in assemblea e, mostrando la mia migliore espressione da tragedia, ho raccontato loro cose orribili sul mare aperto: il “vomito infinito; la monotona vastità dell’orizzonte; la dieta povera di mais, senza popcorn e – orrore! – senza salsa Valentina; la reclusione con altre persone per diverse settimane – con le quali, le prime ore, si scambiano sorrisi e attenzioni e poco dopo sguardi assassini -; ho pure descritto, molto dettagliatamente, terribili tempeste e minacce sconosciute; ho fatto riferimento al Kraken e, attraverso uno di quei richiami letterari, ho raccontato loro di una gigantesca balena bianca che cercava, furiosa, qualcuno a cui staccare la gamba, cosa che non lascerebbe alla vittima un ruolo decoroso nella cumbia più lenta. È stato inutile. E devo confessare, non senza il mio orgoglio di genere gravemente ferito, che sono state di più le donne a dire: “in barca”, quando si offriva loro la possibilità di viaggiare via mare o viaggiare in aereo.

Quindi si sono iscritt@ non 7, non 10, non 15, ma più di 20. Perfino la piccola Veronica di 3 anni si è iscritta quando ha sentito la storia della balena assassina. Sì, incomprensibile. Ma se la conosceste (la bambina, non la balena), la compatireste. Voglio dire, compatireste Moby Dick.

Allora perché solo 7? Bene, posso parlarvi dei 7 punti cardinali (quello davanti, quello dietro, quello di un lato, dell’altro lato, quello in centro, quello sopra e quello sotto), dei 7 primi dei, quelli che hanno creato il mondo, e così via. Ma la verità è che, lungi da simboli e allegorie, il numero è dovuto al fatto che la maggior parte non ha ancora ottenuto il passaporto e sta ancora lottando per ottenerlo. Ve ne parlerò più tardi.

Beh, di sicuro non vi interessano questi problemi. Quello che volete sapere è chi salperà con “La Montaña”, attraverserà l’Oceano Atlantico e invaderà… ehm, intendevo, visiterà l’Europa. Quindi qui metto le loro foto e un brevissimo profilo:

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Lupita. 19 anni. Messicana di nascita. Tzotzil degli Altos del Chiapas. Parla la sua lingua madre, tzotzil e il castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. È stata coordinatrice locale giovanile, coordinatrice regionale giovanile e responsabile locale del lavoro collettivo. Musica preferita: pop, romantica, cumbia, ballate, elettronica, rap, hip hop, musica andina, musica china, rivoluzionaria, classica, rock degli anni ’80 (così si diceva), mariachi, musica tradizionale del suo popolo… e reggaeton (nota della redazione: se questo non è “un mondo dove stanno molti mondi”, non so cosa altro sia. Fine della nota). Colori preferiti: nero, rosso, ciliegia e caffè. Esperienza marittima: quando era piccola ha viaggiato in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa. Svolgerà attività come Tercia Compa durante il viaggio in mare.

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Carolina. 26 anni. Messicana di nascita. Originaria tzotzil degli Altos del Chiapas, ora Tzeltal della selva Lacandona. Parla la sua lingua madre, tzotzil, oltre al tzeltal e il castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Madre single di una bambina di 6 anni. Sua madre l’aiuta con la bambina. È stata la coordinatrice di “come mujeres que somos” ed ha seguito corsi di veterinaria. Attualmente è Comandanta nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: pop, romantica, cumbia, rock degli anni ’80 (così si diceva), gruperas e rivoluzionaria. Colori preferiti: crema, nero e ciliegia. Esperienza marittima: qualche volta in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa.

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Ximena. 25 anni. Messicana di nascita. Cho´ol del nord del Chiapas. Parla la sua lingua madre cho’ol e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Madre single di una bambina di 6 anni. Sua madre la aiuta con la bambina. È stata coordinatrice giovanile ed è attualmente Comandanta nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: cumbia, tropicale, romantica, rivoluzionaria, rock anni ’80 (così si diceva), elettronica e rancheras. Colori preferiti: viola, nero e rosso. Esperienza marittima: qualche volta in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa. Seconda in comando nella delegazione marittima, dopo Darío.

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Yuli. 37 anni. Compirà i 38 a maggio, in alto mare. Originaria Tojolabal della Selva di confine, ora Tzeltal della Selva Lacandona. Parla correntemente lo spagnolo. Sa leggere e scrivere. Madre di due bambini: una ragazza di 12 anni e un bambino di 6 anni. Il suo compagno l’aiuta con i bambini. Il suo compagno è Tzeltal, quindi si amano, litigano e tornano ad amarsi in castigliano. È stata promotrice di educazione, formatrice di educazione (preparano promotor@ di educazione) e coordinatrice di collettivi locali. Musica preferita: romantica, gruperas, cumbia, vallenato, rivoluzionaria, tropicale, pop, marimba, rancheras e rock degli anni ’80 (così si diceva). Colori preferiti: nero, caffè e rosso. Nessuna esperienza marittima. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa.

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Bernal. 57 anni. Tojolabal della zona della Selva di confine. Parla la sua lingua madre tojolabal e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Padre di 11 figl@: il più grande ha 30 anni e il più giovane 6. La sua famiglia lo sostiene nella cura dei piccoli. È stato miliziano, responsabile locale, insegnante della escuelita zapatista e membro della Giunta di Buon Governo. Musica preferita: rancheras, cumbia, musical huichol, marimba e rivoluzionaria. Colori preferiti: blu, nero, grigio e caffè. Esperienza marittima: cayuco e lancia. Si è preparato per 6 mesi per essere delegato. Volontario per viaggiare in nave per l’Europa.

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Darío. 47 anni. Cho´ol del nord del Chiapas. Parla la sua lingua madre, cho’ol e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Padre di 3 figl@: uno di 22 anni, un altro di 9 anni e il più giovane di 3 anni. Il ragazzo e la ragazza andranno con la madre in Europa in aereo a luglio. È stato un miliziano, responsabile locale, responsabile regionale, e attualmente è Comandante nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: rancheras di Bertín y Lalo, musica tropicale, marimba, musica regionale e rivoluzionaria. Colori preferiti: nero e grigio. Esperienza marittima: cayuco. Si è preparato per 6 mesi per essere delegato. Volontario per viaggiare in nave per l’Europa. Sarà il coordinatore della delegazione marittima zapatista.

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Marijose. 39 anni. Tojolabal della zona della Selva di confine. Parla correntemente lo spagnolo. Sa leggere e scrivere. È stato milizianoa, promotoroa di salute, promotoroa di educazione e formatoroa di educazione. Musica preferita: cumbia, romantica, rancheras, pop, elettronica, rock anni ’80 (così si diceva), marimba e rivoluzionaria. Colori preferiti: nero, blu e rosso. Esperienza marittima: cayuco e lancia. Si è preparat@ per 6 mesi per essere delegatoa. Volontarioa per viaggiare in nave per l’Europa. È stato designato come loa primeroa zapatista a sbarcare e, con ciò, inizia l’invasione… ok, la visita in Europa.

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Quindi il primo piede che si poserà sul suolo europeo (ovviamente, se ci faranno sbarcare) non sarà di un uomo, né di una donna. Sarà di unoa otroa.

In quello che il defunto SupMarcos avrebbe definito “uno schiaffo a tutta la sinistra etero patriarcale”, è stato deciso che a sbarcare per primo sarà Marijose.

Non appena poserà i suoi due piedi sul territorio europeo e si riprenderà dal mal di mare, Marijose griderà:

“Arrendetevi visi pallidi etero patriarcali che perseguitate il diverso!”

Nah, scherzo. Ma, non sarebbe bello se lo dicesse?

No, toccando terra loa compa zapatista Marijose dirà in tono solenne:

“A nome delle donne, dei bambini, degli uomini, degli anziani e, naturalmente, degli otroas zapatisti, dichiaro che il nome di questa terra che i suoi nativi ora chiamano “Europa”, d’ora in poi si chiamerà: SLUMIL K´AJXEMK´OP, che significa “Terra Indomita”, o “Terra che non si rassegna, che non cede”. E così sarà conosciuta dalla gente del posto e dagli estranei finché qui ci sarà qualcuno che non si arrende, non si vende e non cede”.

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In fede.

SupGaleano.

Aprile 2021

(Continua…)

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/17/escuadron-421/

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VIAGGIO PER L’EUROPA…

COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

MESSICO

10 aprile 2021

Alle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, coordinamenti e popoli originari in Europa che attendono la nostra visita:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Alle reti in resistenza e ribellione:
Al Congresso Nazionale Indigeno:
Ai popoli del mondo:

Sorelle, fratelli e compagn@:

Questo 10 aprile 2021 le/i compagn@ che fanno parte del primo gruppo di delegati del nostro Viaggio per la Vita, capitolo Europa, hanno raggiunto il “Semillero Comandanta Ramona”. Si tratta della delegazione marittima.

Con una piccola cerimonia, secondo i nostri usi e costumi, la delegazione ha ricevuto dai popoli zapatisti il mandato di portare lontano i nostri pensieri, cioè i nostri cuori. Le/i nostr@ delegat@ hanno un cuore grande. Non solo per abbracciare coloro che nel continente europeo si ribellano e resistono, ma anche per ascoltare e imparare dalle loro storie, geografie, calendari e modi.

Questo primo gruppo rimarrà in quarantena per 15 giorni, isolato nel Semillero, per assicurarsi di non essere infettato dal COVID19 e per prepararsi al lungo viaggio per mare. Durante queste due settimane vivranno all’interno della replica della barca che, per questo, abbiamo costruito nel Semillero.

Il 26 aprile 2021 partiranno per un porto della Repubblica messicana. Arriveranno entro e non oltre il 30 aprile e saliranno a bordo dell’imbarcazione che abbiamo chiamato “La Montaña”. Resteranno a bordo della nave per due o tre giorni e il 3 maggio 2021, il giorno del la Santa Cruz, Chan Santa Cruz, la nave “La Montaña” salperà con i nostri compagni con destinazione le coste europee, in un viaggio che dovrebbe durare dalle 6 alle 8 settimane. Si stima che nella seconda metà di giugno 2021 saranno al largo delle coste europee.

A partire da questo 15 aprile 2021, dai 12 caracol zapatisti le nostre basi di appoggio de@ nostr@ compagn@ svolgeranno attività per salutare la delegazione zapatista che, via mare e via aerea, viaggerà per la geografia che chiamano “Europa”.

In questa parte di quello che abbiamo chiamato “Viaggio per la Vita”. Capitolo Europa”, le/i delegat@ zapatist@ incontreranno coloro che ci hanno invitato a parlare delle nostre reciproche storie, dolori, rabbie, conquiste e fallimenti. Finora abbiamo ricevuto e accettato inviti dalle seguenti aree geografiche:

Austria

Belgio

Bulgaria

Catalogna

Cipro

Croazia

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Italia

Lussemburgo

Norvegia

Olanda

Paesi Baschi

Polonia

Portogallo

Regno Unito

Romania

Russia

Serbia

Slovenia

Stato Spagnolo

Svezia

Svizzera

Turchia

Ucraina

Ungheria

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Da oggi il Subcomandante Insurgente Galeano pubblicherà una serie di testi in cui vi parlerà di chi compone la delegazione marittima zapatista, del lavoro svolto, di alcuni problemi che abbiamo affrontato e così via.

In breve: siamo già in viaggio per l’Europa.

Per ora è tutto.

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Commissione Sexta dell’EZLN
Messico, aprile 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/12/camino-a-europa/

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Paramilitarismo in Chiapas nella Quarta Trasformazione

Gilberto López y Rivas

2 aprile 2021

Il 30 aprile 1999, in qualità di presidente di turno della Commissione di Concordia e Pacificazione, ho presentato un esposto, presso l’allora Procuratore Generale (PGR), sull’esistenza di gruppi paramilitari in Chiapas, uno dei quali perpetrò il massacro di Acteal il 22 dicembre 1997. Questo esposto denunciava la pratica da parte delle forze armate messicane di una strategia di guerra irregolare, descritta nei manuali della Sedena e nel Plan de campañ Chiapas 94, e l’applicazione di una tattica contrainsurgente nota come incudine e martello, che consiste nel fatto che le forze armate agiscono come contenimento passivo (incudine), sotto la protezione del quadro giuridico, mentre i gruppi paramilitari (martello) attuano, clandestinamente, le vessazioni attive contro comunità e basi di appoggio dell’EZLN. Inoltre gli strateghi messicani usano una metafora per spiegare il ruolo di questi gruppi paramilitari, sostenendo che non solo l’acqua (sostegno popolare) deve essere tolta ai pesci (insurrezione), ma che bisogna anche mettere in acqua pesci più feroci.

In questa denuncia, tra l’altro, si evidenziava la presenza di militari o ex militari nel massacro di Acteal in relazione diretta con il comando della Sedena. Uno fu identificato in Mariano Pérez Ruiz, il quale, nel giugno 1998, dichiarò dinanzi al PGR, come a fascicolo 96/98, che ex funzionari e dirigenti del PRI sono responsabili dell’assunzione di militari e poliziotti per istruire nell’uso delle armi e sulla strategia paramilitare tra le comunità indigene di Chenalhó, ma aggiunse un chiarimento significativo: È vero che ho fatto un’affermazione in questo senso, ma è stato perché elementi della Polizia Militare mi hanno costretto a testimoniare in questo modo, perché se non lo avessi fatto mi avrebbero fatto sparire. Inoltre, ero ancora un militare effettivo e dovevo eseguire gli ordini dei miei superiori (GLR, Viejas y nuevas guerras sucias, El Cotidiano, 172, 2012, UAM-A).

Sebbene i risultati dell’Ufficio del Procuratore Speciale per i Crimini Commessi nell’Acquisizione e nell’Amministrazione della Giustizia nello Stato del Chiapas, rilasciati nel 2011 hanno indicato, senza dubbio, che ad Acteal era stato perpetrato un crimine di Stato, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione ha rilasciato molti degli autori materiali di questo crimine contro l’umanità, mentre gli autori intellettuali e complici per omissione o commissione, non sono mai stati perseguiti: l’allora presidente Ernesto Zedillo, funzionari federali e statali e locali, la dirigenza e ufficiali delle forze armate, nella catena di comando.

Venti anni dopo questa denuncia, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, con un comunicato urgente svela gli innumerevoli attacchi contro le comunità di Aldama, Chiapas, con la presenza significativa della Guardia Nazionale e della Polizia di Stato. Sulla base delle informazioni dirette della Commissione permanente dei 115 membri della comunità e degli sfollati di Aldama, vengono descritti i costanti attacchi con armi da fuoco di grosso calibro provenienti “da punti situati a Santa Martha-Miguel Utrilla, municipalità di Chenalhó, Chiapas, atti provocati. dal gruppo paramilitare in complicità con il governo municipale (…) in un contesto di terrore, dove i bambini, le donne e la popolazione in generale sopravvivono in un ambiente di torture. Le azioni del governo sono state insufficienti, inefficaci e simulate, poiché non garantiscono la sicurezza e l’integrità della popolazione”. Va segnalato che questa prestigiosa organizzazione per la difesa dei diritti umani ha documentato, monitorato e denunciato questa guerra di logoramento contrainsurgente sin dai primi giorni della ribellione zapatista nel gennaio 1994.

Da parte sua, la Missione Civile di Osservazione composta da 14 organizzazioni della Rete Nazionale delle Organizzazioni Civili per i Diritti Umani Todos los Derechos para Todas y Todos, accompagnata da tre organizzazioni internazionali, nel dicembre 2020 ha visitato le comunità delle regioni settentrionali, Altos e Costa, dove hanno documentato situazioni critiche di violazione dei diritti fondamentali, “con una preoccupante mancanza di volontà ed empatia da parte delle autorità (…). La Missione Civile di Osservazione ha avuto l’opportunità di visitare le comunità di Chalchihuitan, Acteal, Aldama, Nuevo San Gregorio, Moisés Gandhi, Chilón e Tonalá, dove abbiamo raccolto testimonianze da persone colpite da situazioni di sfollamento forzato, espropriazione di terra, detenzioni arbitrarie, torture, molestie, minacce, criminalizzazione, e altre aggressioni. (…) È indignante la violenza strutturale consentita e persino fomentata dai diversi livelli di governo così come la loro scarsa o nulla disposizione ad affrontare il conflitto, banalizzando, discriminando e criminalizzando le comunità”.

Si prepara un altro crimine di Stato?

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://jornada.com.mx/2021/04/02/opinion/014a2pol

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QUELLE CHE NON CI SONO.

LE LORO STORIE.

LE LORO GIOIE E LE LORO TRISTEZZE.

I LORO DOLORI E LE LORO RABBIE.

I LORO OBLII E I LORO RICORDI.

LE LORO RISATE E LE LORO LACRIME.

LE LORO PRESENZE E LE LORO ASSENZE.

I LORO CUORI.

LE LORO SPERANZE.

LA LORO DIGNITÀ.

I LORO CALENDARI.
QUELLI CHE HANNO POTUTO RIEMPIRE.
QUELLI CHE SONO RIMASTI INCOMPLETI E CHE DOBBIAMO LORO.

LE LORO GRIDA.

I LORO SILENZI.

SÌ, SOPRATTUTTO I LORO SILENZI.

CHI NON LE SENTE?
CHI NON SI RICONOSCE IN LORO?

DONNE CHE LOTTANO.
S
Ì, NOI.

MA SOPRATTUTTO, LORO.
QUELLE CHE NON CI SONO
E TUTTAVIA SONO CON NOI.

PERCHÉ NON DIMENTICHIAMO,
PERCH
É NON PERDONIAMO,
PER LORO E CON LORO, LOTTIAMO.

Le donne indigene zapatiste.
8 marzo 2021

LAS QUE NO ESTÁN

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La Guerra di Bassa Intensità contro l’EZLN continua anche con questo Presidente, Andrés Manuel Lopez Obrador (AMLO)

È la “guerra integrale di sfiancamento” contro le comunità basi di appoggio zapatiste che vengono sfiancate poco a poco con atti che sono violenti ma non abbastanza appariscenti da attirare l’attenzione dei media nazionali e internazionali.

Come accade nel Municipio Autonomo Lucio Cabañas dove “Grupo de los 40 invasores” e ORCAO stanno spoliando l’EZLN delle terre recuperate nel 1994.

Lo testimoniano i Report della Carovana di Solidarietà che ha visitato la zona dal 2020 al 2021:

Rapporto della Carovana di Solidarietà e Denuncia nella comunità autonoma zapatista Nuevo San Gregorio, realizzata dal 29 ottobre 2020 fino a febbraio 2021 https://redajmaq.espora.org/informecaravana20210301 Qui il PDF 2021_SegundoInformeCaravana

Rapporto della Carovana di Solidarietà e Denuncia nelle comunità autonoma zapatista Nuevo San Gregorio e Regione Moises Gandhi, realizzata a ottobre 2020 https://redajmaq.espora.org/informecaravana2020 Qui il PDF 2020_informe_caravana

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Accordi di San Andrés, autonomia vs. neo-indigenismo

Luis Hernández Navarro

Questo 16 febbraio segna il 25° anniversario della firma degli accordi di San Andrés sui diritti e cultura indigeni. Molte cose sono cambiate da allora, anche se una rimane: l’indigenismo come politica di Stato.

Indigenismo è il nome dato alla politica istituzionale volta ad assistere la popolazione autoctona. È, contemporaneamente, una teoria antropologica, un’ideologia di stato e una pratica di governo. Il suo obiettivo principale è proteggere le comunità indigene integrandole al resto della società nazionale, diluendo il loro carattere di popolo come soggetto storico. È una politica dei non indios nei confronti delle popolazioni indigene, sebbene i suoi artefici possano appartenere a un gruppo etnico.

Uno dei suoi principali promotori, Alfonso Caso, prevedeva che in 50 anni non ci sarebbero più stati gli indios: sarebbero stati tutti messicani. Era in buona compagnia. Molti pensatori, prima e dopo di lui, hanno visto nell’integrazione nella società nazionale meticcia il destino inesorabile dei popoli nativi.

Sebbene la nazione messicana abbia avuto una composizione multietnica e multiculturale sin dalla sua fondazione, le sue costituzioni non hanno rispecchiato questa realtà. Cancellare l’indio dalla geografia della patria, renderlo messicano costringendolo ad abbandonare la sua identità e cultura, rendendolo folcloristico, è stata un’ossessione delle classi dominanti sin dalla Costituzione del 1824. L’intenzione di costruire uno Stato-nazione, di sbarazzarsi dell’eredità coloniale, di resistere ai pericoli degli interventi stranieri, di combattere i poteri ecclesiastici e militari e di modernizzarsi, ha portato a privilegiare una visione di unità nazionale che escludesse la realtà plurinazionale.

Gli accordi di San Andrés avevano lo scopo di celebrare i funerali dell’indigenismo e risolvere questo debito storico. Il loro punto centrale consisteva nel riconoscimento dei popoli indios come soggetti sociali e storici e nel diritto di esercitare la loro autonomia.

L’autonomia è uno dei modi per esercitare l’autodeterminazione. La sua pratica implica il trasferimento reale di poteri, funzioni e competenze, che oggi sono di responsabilità di diverse istanze di governo, alle popolazioni indigene.

Ai dialoghi di San Andrés gli zapatisti invitarono come consigliere lo scrittore Fernando Benítez, che aveva dedicato 20 anni della sua vita alla difesa e allo studio dei popoli originari ed è autore di cinque libri monumentali su di loro. Il giornalista accettò volentieri l’invito.

Le sue motivazioni erano genuine. Cosa mi hanno insegnato gli indios? Si chiese Benítez alla fine della sua vita. E si rispose: mi hanno insegnato a non credermi importante, a cercare di avere una condotta impeccabile, a considerare sacri animali, piante, mari e cieli, a sapere in cosa consiste la democrazia e il rispetto dovuto alla dignità umana. Anche a passare dal quotidiano al sacro (La Jornada, 5/7/95).

Sebbene molti dei problemi che affrontavano fossero gli stessi, la prospettiva di lotta delle popolazioni indigene che partecipavano ai dialoghi era completamente diversa da quelle che Benítez descriveva dal 1960. L’autore di Los indios de México li considerava le persone più miserabili, i contadini più poveri, quelli che viveva nelle terre peggiori in un paese con terre pessime, quelli che venivano invasi. Anticipava l’inevitabile destino a scomparire delle loro culture e la loro sostituzione con i disastri dell’industrialismo. E proponeva di salvare ciò che restava delle culture indigene prima che questo processo si concludesse. (https://bit.ly/3p50tRf).

Ma non sono scomparsi. Al contrario. Sono più presenti che mai. Certamente, le popolazioni indigene convocate dall’EZLN, prima ai dialoghi e poi alla formazione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI), subivano gli effetti del colonialismo interno e, quindi, provenivano da comunità e regioni vessate da espropri, oppressione, sfruttamento e discriminazione simili a quelle descritte da Benítez. Tuttavia, lungi dal rappresentare culture sull’orlo della scomparsa, quei leader erano l’espressione vivente della formidabile capacità di resistenza e reinvenzione delle tradizioni dei loro popoli.

Ai colloqui di San Andrés partecipavano i leader dei popoli originari sorti negli anni ’70 ed emersi alla luce pubblica a seguito dell’insurrezione zapatista, insieme alle autorità comunitarie tradizionali. Partecipavano anche importanti intellettuali indigeni che avevano preparato una ricchissima riflessione su come ricostituire i loro popoli.

A 25 anni dalla firma degli accordi e dalla fondazione del CNI, alcune delle popolazioni indigene che vi hanno partecipato sono scomparse. Altre sono entrate nei ranghi dei governi di turno, dal PAN alla 4T. Tuttavia, il movimento nato da questo processo orientato alla costruzione dell’autonomia e alla lotta al capitalismo è più vigoroso e solido rispetto a 25 ani fa. Una nuova generazione di centinaia di leader e decine di intellettuali (tra cui molte donne) ha raccolto il testimone.

Due decenni e mezzo dopo da che sono stati concordati, lo Stato messicano continua a violare gli accordi di San Andrés. In aggiunta, il movimento indigeno autonomista subisce l’assassinio dei suoi leader e l’impulso, da parte del governo federale, di un neo-indigenismo assistenziale che va di pari passo con la promozione di megaprogetti sui loro territori (https://bit.ly/3oXetMs).

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2021/02/09/opinion/017a1pol?s=09

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Nuevas agresiones armadas de la ORCAO a la comunidad Moisés Gandhi


  • Garantizar la vida, integridad de Bases de Apoyo y respeto a la autonomía zapatista.

El Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba), ha recibido información de la Junta de Buen Gobierno Patria Nueva, Caracol 10 “Floreciendo la semilla rebelde”, con sede en el municipio oficial de Ocosingo, Chiapas, México, en donde informan que desde el 18 de enero de 2021, hasta el día de hoy integrantes de la Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (ORCAO) han agredido con disparos de armas de fuego a la comunidad de Moisés Gandhi del Municipio Autónomo Lucio Cabañas.

El 18 de enero de 2021, desde las 15:30 hrs hasta las 18:00 hrs., integrantes de la ORCAO retomaron las agresiones con disparos de armas de fuego contra las casas de la comunidad Moisés Gandhi. Fueron “alrededor de 170 disparos de calibres grandes y 80 disparos de calibres pequeños.” El 20 de enero de 2021, a las 16:00 hrs y 22:30 hrs. se registraron nuevas agresiones.

El día de hoy, aproximadamente a las 00:30 hrs, 02:10 hrs. y 02:55 hrs. nuevamente se registraron disparos contra las casas de la comunidad. La Junta de Buen Gobierno ha informado que en estos ataques han participado por lo menos 20 integrantes de la ORCAO de las comunidades San Antonio, Cuxuljá, San Francisco y 7 de febrero municipio de Ocosingo.

Desde abril de 2019, la comunidad de Moisés Gandhi ha sido agredida por parte de integrantes de la ORCAO resultando en destrucción de bienes y agresiones físicas y verbales. Para marzo de 2019, comenzaron agresiones con armas de fuego con dirección a la comunidad. El 22 de agosto de 2020, saqueo e incendio de la bodega de café ubicada en el Centro de Comercio “Nuevo Amanecer del Arcoiris en el crucero de Cuxuljá. El 8 de noviembre de 2020, integrantes de la ORCAO secuestran a Félix López Hernández, Base de Apoyo zapatista de la comunidad de Moisés Gandhi, quien fue liberado después de 4 días.

El Frayba hace un llamado al Estado mexicano para que intervenga de manera inmediata y cesen las agresiones hacia la comunidad Moisés Gandhi del Municipio Autónomo Lucio Cabañas, ya que la vida e integridad de las mujeres, niñas, niños y hombres del Pueblo Maya Tseltal se encuentra en riesgo. Las acciones emprendidas deberán respetar la jurisdicción, autonomía y libre determinación de las Junta de Buen Gobierno Zapatistas.

Solicitamos a la solidaridad nacional e internacional firmen la siguiente  acción urgente: https://frayba.org.mx/nuevas-agresiones-armadas-de-la-orcao-a-la-comunidad-moises-gandhi/

 

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Levate le ancore

Luis Hernández Navarro

A luglio, agosto, settembre e ottobre di quest’anno, una delegazione del Messico del basso si recherà in Europa. È composto dall’EZLN, dal Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e dal Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala. L’iniziativa fa parte di un tour più ampio che in seguito visiterà Asia, Africa, Oceania e America.

Il gruppo terrà incontri, dialoghi, scambi di idee, esperienze, analisi e valutazioni nella lotta per la vita. Cercherà di sapere cosa c’è di diverso. Coloro che si incontreranno condividono la comprensione che il carnefice dell’umanità è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladro e criminale: il capitalismo (https://bit.ly/2XmkIhN).

La Dichiarazione per la Vita che accompagna la missione è stata firmata da centinaia di collettivi, associazioni di lotta, personalità e attivisti in molti paesi, che formano una galassia anti-neoliberista e anticapitalista attraversata in modi diversi dallo zapatismo. La Izquierda Unida Internacional ha salutato fraternamente la spedizione.

Si tratta chiaramente di un’iniziativa di sinistra, se per sinistra si intende la definizione data dal filosofo e giornalista austro-francese André Gorz. “Essere di sinistra – afferma – significa sentirsi legati a tutti coloro che lottano per la propria liberazione, che non accettano la determinazione dall’alto di traguardi e obiettivi e lottano, insieme o da soli, per l’eliminazione di ogni forma di dominio e per il rovesciamento di tutti gli apparati di potere”.

Il tour europeo si svolgerà in un momento di enorme confusione, incertezza, caos e insicurezza in tutto il mondo. Il futuro non è più quello che era e non è chiaro come sarà.

Il viaggio ribelle avverrà in un mondo scosso, tra l’altro, dall’incrocio tra crisi sanitaria ed economica precipitata dalla pandemia di coronavirus. A causa della crescente egemonia del capitalismo digitale nel processo di ricomposizione globale di questo sistema economico. A causa dell’emergere di un nuovo e timido progressismo latinoamericano articolato intorno al Gruppo di Puebla, che sembra voler prescindere dall’influenza di Cuba e Venezuela nella regione. Per la sconfitta elettorale del Trumpismo e il suo auto-golpe di stato. Per l’avanzata dell’estrema destra, il razzismo e la xenofobia in molti paesi europei. O per il crescente riavvicinamento di Cina e Russia.

Ma, anche, a causa del dispiegamento di molte lotte di resistenza, come quella condotta in Grecia da proteste instancabili di gruppi di base che hanno costretto la giustizia di quella nazione a condannare il partito fascista Alba Dorada come organizzazione criminale e condannare al carcere alcuni dei suoi leader. O come l’irruzione in Francia del movimento dei gilet gialli contro l’aumento del prezzo del carburante, l’ingiustizia fiscale e la perdita del potere d’acquisto. O l’emergere di reti antifasciste e antirazziste in tutto il territorio dell’Unione europea che trovano cittadinanza universale. Oltre alla persistenza di una potente mobilitazione femminista.

Elaborare una visione su quel vecchio mondo che precipita clamorosamente e il nuovo che emerge con grandi difficoltà, richiede che sia vissuto, pensato, analizzato, dalle lotte di resistenza del basso che formano la costellazione associativa in difesa della vita.

La spedizione europea non deve sorprendere. Molti dei gruppi che resistono in Europa hanno accompagnato gli zapatisti dal 1994. Luca Casarini, attivo da molti anni nei Centri Sociali Italiani, diceva: abbiamo un sogno. In quel sogno siamo nati il 1° gennaio 1994, accanto agli zapatisti. Il sogno è buono e non è del tutto fantasioso, ma la realtà è diversa.

Quel sogno non è esclusivo di Luca. Nonostante gli anni trascorsi dalla sollevazione dell’EZLN, in tutta Europa molte forze si identificano profondamente con lo zapatismo. Un buon numero di loro ha svolto un ruolo chiave nel movimento dei movimenti che ha affrontato la globalizzazione neoliberista, nelle proteste contro l’invasione e la guerra in Iraq, nella lotta all’emergenza fascista, nell’occupazione delle piazze pubbliche, in difesa dei migranti, nella lotta agli sfratti dopo la crisi del 2008 e migliaia di altre lotte.

Per più di 26 anni, migliaia di questi attivisti hanno viaggiato regolarmente in missioni di solidarietà negli accampamenti dei ribelli in Chiapas. Il governo messicano ne ha deportati a dozzine e ha proibito loro di tornare nel Paese. Hanno partecipato attivamente al Primo Incontro per l’Umanità e contro il Neoliberismo, convocato dall’EZLN nella Selva Lacandona nel 1996. La sinistra istituzionale li chiamava aretudos (con un pizzico di disprezzo), per la moda maschile di indossare piccoli orecchini. Curiosamente, questi aretudos sono stati protagonisti di un ciclo di lotte storiche intorno all’altromondismo e hanno rinnovato la sinistra europea del basso.

La decisione degli zapatisti, CNI-CIG e del Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala, di levare le ancore e salpare verso l’Europa, sarà una specie di visita contraccambiata per incontrare quei vecchi amici ai quali hanno offerto ospitalità lungo due decenni e mezzo. Un gesto di reciprocità per avallare l’impegno di lottare ovunque e in ogni momento, fino alla sua distruzione, contro il capitalismo.

@lhan55

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2021/01/12/opinion/012a1pol?s=09

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Messico – Chiapas, continue violenze contro le comunità zapatiste

“Dove ho il mio appezzamento, mi hanno rubato il grano. Siamo andati a cercare le prove e proprio lì ci hanno sparato, nella comunità di San Felipe ”, racconta una donna che è membro delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) nella regione di Moisés Gandhi, nel comune ufficiale di Ocosingo.

Questa è solo una delle più recenti denunce di attacchi armati e violenze da parte dei membri dell’Organizzazione dei coltivatori di caffè di Ocosingo (ORCAO) contro le comunità appartenenti al Municipio Autonomo Ribelle Zapatista (MAREZ) di Lucio Cabañas, uno dei municipi che furono costituiti dall’EZLN dal 1994. In questi territori ribelli, che prima erano nelle mani di proprietari terrieri e agricoltori, l’autogoverno viene esercitato attraverso amministrazioni autonome.

Negli ultimi giorni di questo mese di Gennaio, una carovana di osservazione e solidarietà composta da organizzazioni, gruppi e individui, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, ha riferito che il giorno 12, “intorno alle 8:30 del mattino un gruppo di circa 30 uomini appartenenti al gruppo di oppositori è arrivato nei pressi delle terre su cui stavano lavorando le Basi di Appoggio (BAEZLN), scattando foto ai membri di questa Carovana, come forma di intimidazione per ostacolare il loro lavoro ”, hanno riferito in un comunicato.

Questa Carovana ha svolto il suo primo lavoro di documentazione nell’Ottobre 2020. Oltre a questo impegno, il 7 Dicembre 2020 è stata effettuata la prima Missione di Osservazione Civile, svolta da organizzazioni appartenenti alla Rete ” Todos los derechos para todas y todos”, che ha raccolto anche varie testimonianze che indicano un aumento degli attacchi dal 2019. I principali responsabili sono stati identificati come membri dell’ORCAO.

Nella loro visita più recente, questa Carovana ha il compito di accompagnare l’inizio della coltivazione della terra e nella semina del grano in questo territorio ribelle.

I partecipanti alla Carovana ribadiscono: “ricordiamo che la posizione della carovana di osservazione e solidarietà è ed è stata favorevole alla pace, per questo chiediamo rispetto per il diritto all’autonomia e alla libera autodeterminazione zapatista, rispetto per le loro terre recuperate che fanno parte del suo territorio, così come il rispetto e la garanzia dell’integrità, sicurezza e vita delle Basi di Appoggio dell’ EZLN ”

Attacchi all’economia comunitaria

Le donne di Moisés Gandhi, una zona composta da otto villaggi, affermano inoltre che i membri dell’ORCAO hanno frazionato e messo in vendita terreni recuperati dopo la rivolta zapatista del 1994.

“Nella comunità di San Felipe … hanno diviso la terra e hanno alzato recinzioni. Nella comunità di Progreso hanno sbarrato il terreno recuperato”, dicono le BAEZLN sulla espropriazione violenta fatta da membri armati dell’Orcao.

Oltre a questo, le famiglie hanno segnalato anche l’asportazione di materiali da costruzione e legno. “Mentre noi stiamo lottando organizzandoci e non abbiamo mai preso soldi dalle terre recuperate, (i membri dell’ORCAO) hanno abbattuto gli ocotales (n.d.t. si tratta di vasti boschi con una variegata vegetazione), stanno tagliando il legno. Sono qui con i loro proiettili, con le loro guardie, con le loro armi di grosso calibro. Non possiamo più andare alla milpa, ci stanno controllando”, denunciano la presenza di gruppi armati.

Secondo il Rapporto della Carovana di Solidarietà realizzato lo scorso Ottobre, “all’inizio del 2020, alle aggressioni si sono aggiunti i furti di raccolti, la distruzione di recinzioni e palizzate, la presenza di persone armate con radio trasmittenti e la presenza di guardie, minacce verbali e scritte, intimidazioni e attacchi fisici contro BAEZLN, l’incendio e la fumigazione di raccolti, rapine nei negozi nelle comunità autonome, incendio di alveari, distruzione della Scuola Secondaria Autonoma e spari di armi da fuoco “, tutti gli attacchi si sono verificati nel ejido di Moisés Gandhi.


Allo stesso tempo, nella comunità di Nuevo San Gregorio, terreno recuperato di 155 ettari nella stesso Municipio Autonomo, attraverso azioni intimidatorie, i membri dell’ORCAO impediscono alle famiglie zapatiste di entrare negli spazi dove svolgono i lavori collettivi per rinforzare l’economia della comunità.

“Noi vogliamo lavorare e non possiamo farlo”, affermano le BAEZLN di Nuevo San Gregorio sull’impossibilità di trasferirsi nella terra dove si coltiva il grano.

Da Novembre 2019 queste terre sono state recintate dal gruppo armato ORCAO nell’ambito delle molestie che hanno impedito anche alle famiglie di riprendere il lavoro in una cooperativa di pescicoltura, oltre che l’accesso ai terreni per piantare ortaggi.

Controinsurrezione in aumento

Gli attacchi all’economia autonoma privano le persone dei loro elementi basilari per la vita: acqua e cibo. “L’anno scorso non abbiamo potuto raccogliere tutto, solo il 50% è stato raccolto. Da maggio a novembre abbiamo speso 80mila pesos solo per comprare mais e fagioli”, hanno riferito con rammarico le famiglie di Nuevo San Gregorio per le azioni di controinsurrezione, in una situazione aggravata dalla pandemia di Covid-19.

Per questo, nell’ultimo anno, le BAEZLN hanno sofferto della mancanza di cibo e dell’impossibilità di proseguire lavori come la semina per autoconsumo, la vendita di ricami e mecapales (n.d.t. contenitori per il trasporto della legna e di altre merci), oltre alla produzione di mobili e carpenteria.

Denunciano che “hanno circondato tutto, i nostri animali, i nostri lavoratori, l’acqua. Sì, stiamo soffrendo molto”, condividono testimoni della comunità di Nuevo San Gregorio, mentre mostrano le terre da seminare che sono state violentemente espropriate dai membri dell’ORCAO.

https://archive.org/details/video-4-campana

Le testimonianze raccolte sottolineano le aggressioni avvenute il 22 Agosto 2020, quando membri armati dell’ORCAO hanno bruciato i magazzini di caffè, il comedor “Compañera Lucha”, oltre a saccheggiare il negozio collettivo Centro de Comercio Nuevo Amanecer del Arcoiris, rubando contanti e distruggendo il posto.


Secondo il rapporto della Carovana Solidale, tra i danni di quel giorno e gli attacchi successi in altri occasioni, il totale dei danni contro le comunità BAEZLN ammontano a quasi un milione e mezzo di pesos messicani.

Il negozio era collettivo e ci affidiamo a quello per le commissioni e fino ad oggi non abbiamo più niente, non ci hanno lasciato niente. Hanno preso tutto, tutti i soldi e il compagno che era di turno nella vendita lo hanno attaccato, rinchiuso e trattenuto per una notte facendogli patire freddo e fame”

Mujeres Base de Apoyo de Moisés Ghandi


Continuare la lotta

“Non ci arrendiamo. Per andare avanti abbiamo iniziato a organizzare il nostro lavoro collettivo. I compagni giovani hanno iniziato con i mecapal, anche se non avevano esperienza, ma è così che stanno imparando. E con i compagni che fanno la falegnameria, anche se hanno solo un martello, una sega e una pialla stiamo andando avanti. Noi compagne abbiamo iniziato a ricamare in modo da avere un po’ di soldi perché non abbiamo niente. Abbiamo bambini, chiedono le loro cose e non abbiamo soldi, ecco perché iniziamo da quello”, hanno detto le donne delle BAEZLN nella comunità di Nuevo San Gregorio.

Inoltre, le Basi di Appoggio dell’EZLN dicono che mentre queste terre vengono sottratte, il gruppo paramilitare le mette immediatamente in vendita. “Loro (l’ORCAO) hanno già dato un prezzo al terreno, che è di 100.000 pesos per ettaro, ma non daremo loro il piacere di fare quello che vogliono. Lo difenderemo, a qualunque costo. Non siamo proprietari, siamo guardiani dell’organizzazione. Quello che possiede questa terra è l’organizzazione. Colui che possiede questa terra sono coloro che hanno dato il loro sangue. Non è solo nostra è di tutti”.

L’obiettivo della difesa di questo territorio liberato, sostengono i campesinos, “E’ vivere, non fare affari. La terra è per nutrirci, non per fare affari. Gli alberi servono per l’ossigeno, non per gli affari. Vogliamo che si fermino”, hanno chiesto i membri delle BAEZLN di Nuevo San Gregorio durante il giro con la Carovana Solidale che si è tenuto nel 2020.

Secondo le autorità della Junta de Buen Gobierno (JBG) Nuevo Amanecer en Resistencia y Rebeldia por la Vida y la Humanidad con sede a Patria Nueva, i membri di ORCAO “Non sono più fratelli. Fratelli è quando si capiscono, quando si ascoltano, quando sentono il dolore, la sofferenza dei bambini, delle donne incinte”, riferiscono nei video della Carovana Solidale, perché anche se le BAEZLN ha richiesto un dialogo, i membri dell’ORCAO continuano gli attacchi armati.

Le persone sono tristi ma anche arrabbiate e preoccupate. “Il coraggio e la rabbia che hanno i miei compagni ce l’ho anche io. Abbiamo detto: se toccano uno di noi, ci toccano tutti, perché loro (l’ORCAO) tengono (i terreni) solo per vendere, ma noi ce ne occupiamo, vogliamo proteggerlo. Perché non stiamo solo pensando a qualcosa per noi stessi come popoli zapatisti, stiamo guardando oltre. Stiamo difendendo la Madre Terra perché da lì mangiamo, lì viviamo e lì continueremo a resistere”, sottolinea una donna che è membro della JBG del Caracol numero 10 Floreciendo la Semilla Rebelde.

Per guardare la serie di video completi con le testimonianze delle famiglie zapatiste cliccare ⇒ qui.

Fonte: https://avispa.org/chiapas-continua-violencia-contra-comunidades-zapatistas/

Traduzione Cooperazione Rebelde Napolihttp://yabastanapoli.blogspot.com/2021/01/messico-chiapas-continue-violenze.html

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LAPAZ

 https://www.facebook.com/LiberaAssembleaPensandoPraticando

Assemblea nazionale italiana di coordinamento per il viaggio europeo Zapatisti e Zapatiste

Nell’ottobre 2020 l’EZLN ha annunciato che una delegazione zapatista viaggerà nei 5 continenti nel 2021, partendo dall’Europa.

Appena saputa la notizia è stata convocata il 14 ottobre 2020 una prima assemblea pubblica molto partecipata dal Nord al Sud per aprire la discussione ed avviare, in maniera plurale e condivisa, un percorso politico e di accoglienza degna per i compagni e le compagne zapatiste in Italia in collegamento con le altre realtà europee, a partire dalla rete di Europa Zapatista.
L’assemblea dopo il primo incontro si è ritrovata il 29 ottobre, il 25 novembre e il 22 dicembre per condividere le informazioni raccolte a livello europeo, avviare la costruzione di una proposta collettiva per la visita degli zapatisti in Italia e iniziare a pensare iniziative comuni per raccogliere fondi e far fronte alle varie necessità. Contemporaneamente si sono creati degli spazi comuni nelle diverse regioni/territori italiani, come nel Nord Ovest, a Roma ed altri.
E’ stata aperta una mail comune per ricevere/inviare le comunicazioni che è viaggio2021zap@gmail.com, si è creato un google drive condiviso per raccogliere informazioni e proposte, ad ora sono circa 240 le mail a cui vengono inviate informazioni è si è pensato di creare la pagina FB di LAPAZ.
Negli incontri si è sottolineato l’importanza di allargare la partecipazione per creare uno spazio comune sempre più ampio, in cui organizzarsi insieme.
L’assemblea è aperta alla partecipazione di singoli, collettivi, associazioni, reti e a quanti vogliono impegnarsi nella costruzione di un cammino condiviso, al di là delle proprie differenze ed esperienze .
QUI Il Percorso dell’Assemblea al 7 gennaio 2021: Percorso dell’Assemblea al 7 gennaio 2021

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Foto José Carlos González

L’EZLN e L’Altra Europa

Raúl Romero*

Nel 1994, quando la caduta del socialismo e la fine della storia si imponevano come narrazioni globali ufficiali e il capitalismo neoliberista era offerto come unica via, lo Ya Basta! lanciato dai popoli Maya organizzati nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) risuonò forte in Messico, America Latina e in gran parte del mondo.

L’EZLN ha dotato un’intera generazione di motivazioni e speranze che presto hanno riarticolato la resistenza su scala globale. Militanti, artisti, intellettuali e persone provenienti da tutto il mondo si sono recati nella Selva Lacandon per contagiarsi della ribellione indigena. Lo slogan Un altro mondo è possibile è così diventato l’emblema di una nuova ondata di mobilitazioni mondiali. La lotta al neoliberismo e a difesa dell’umanità che si è diffusa in tutto il pianeta, ha trovato nello stato del Chiapas uno dei suoi principali bastioni.

A Seattle, a Genova, a Porto Alegre e in tanti altri luoghi dove era presente il movimento altromondista, l’emblema dello zapatismo si è palesato.

Da allora sono passati molti anni. Sono stati costruiti molti movimenti e processi di società alternative al capitalismo. Tra tutti continua a spiccare il progetto di emancipazione che gli zapatisti hanno costruito e che aggiornano costantemente.

Lo scorso ottobre, in mezzo alla pandemia, l’EZLN ha annunciato che “diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e altri del colore della nostra terra, usciranno per girare il mondo, camminare o navigare verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno perdono e pietà. Andremo a trovare ciò che ci rende uguali”.

Come prima destinazione, le delegazioni zapatiste si recheranno nell’Altra Europa, dove il popolo originario Sami, che storicamente alleva e pascola le renne, e il cui territorio è compreso tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, oggi resiste all’espropriazione e all’inquinamento generato da parchi eolici, miniere, estrazione di gas e petrolio, nonché la costruzione del Treno Artico, un treno ad alta velocità che rafforzerà il corridoio artico e gli scambi commerciali tra Europa e Asia.

In quell’Altra Europa, dove alcuni popoli e organizzazioni in Italia si sono articolati nel No-Tap per fronteggiare il Gasdotto Trans-Adriatico, un progetto studiato per portare il gas dall’Azerbaijan in Europa. Il No-Tap sottolinea che è nato per la tutela e la salvaguardia dei territori, nonché per l’autodeterminazione delle popolazioni che credono in un modello di sviluppo sostenibile, diverso da quello imposto, contro la speculazione finanziaria a danno delle comunità.

Anche in quell’Altra Europa, e più precisamente a Notre-Dame-des-Landes, in Francia, dove la popolazione ha difeso il proprio territorio contro il tentativo, da parte del governo, di costruire un aeroporto. Agricoltori, coltivatori e attivisti hanno combattuto una delle lotte più emblematiche dell’attuale storia della Francia, generando una delle più grandi occupazioni di terra nell’Europa di oggi e dichiarando il territorio Zona da Difendere (ZAD). Con approcci anticapitalisti e ambientalisti, la ZAD è diventata un punto di riferimento per altre lotte.

La lista è lunga: nel Regno Unito la resistenza contro la linea ferroviaria ad Alta Velocità HS2, in Grecia il movimento per l’occupare delle case, nello Stato spagnolo le lotte storiche del popolo basco, la Confederazione Generale del Lavoro e le organizzazioni anticapitaliste a Madrid.

In tutto il mondo osserviamo ciò che Adolfo Gilly e Rhina Roux hanno analizzato nel loro libro El tiempo del despojo: ciò che stiamo vivendo può quindi essere visto come una nuova fase storica dell’espropriazione universale dei beni comuni, la privatizzazione di ciò che apparteneva a tutti , la ridistribuzione mondiale della rendita della terra e del plusvalore generato dal lavoro vivo.

Il tempo della spoliazione sta avanzando e tutto indica che si intensificherà in Messico e nel mondo in risposta alla pandemia. È urgente articolare le lotte su scala globale, non solo per la sopravvivenza dell’umanità, ma per finire di costruire quel nuovo mondo di cui già si intravedono i segnali.

A 27 anni dalla sua apparizione pubblica, 27 anni di scommesse sulla vita, la scienza e le arti, l’EZLN oggi propone una nuova sfida: andare incontro agli altri e alle altre che, nel mondo, con resistenza e ribellione , costruiscono il nuovo mondo. Lo ha detto bene la bambina Esperanza Zapatista: questa è la nostra missione: essere seme che cerca altri semi.

* Sociólogo

Twitter: @RaúlRomero_mx

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2021/01/02/opinion/018a2pol  Foto: José Carlos González

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Prima Parte: UNA DICHIARAZIONE…

PER LA VITA.

1 gennaio dell’anno 2021

AI POPOLI DEL MONDO:

ALLE PERSONE CHE LOTTANO IN EUROPA:

SORELL@ E COMPAGN@:

Durante questi mesi, ci siamo mess@ in contatto con vari mezzi. Siamo donne, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, travestiti, transessuali, intersessuali, queer e altro ancora, uomini, gruppi, collettivi, associazioni, organizzazioni, movimenti sociali, popoli originali, associazioni di quartiere, comunità e un lungo eccetera che ci da identità.

Ci differenziano e ci allontanano terre, cieli, montagne, valli, steppe, giungle, deserti, oceani, laghi, fiumi, torrenti, lagune, razze, culture, lingue, storie, età, geografie, identità sessuali e non, radici, confini, forme di organizzazione, classi sociali, potere d’acquisto, prestigio sociale, fama, popolarità,followers,likes, valute, grado di scolarizzazione, modi di essere, mestieri, virtù, difetti, pro, contro, ma, eppure, rivalità, inimicizie, concezioni, argomentazioni, contro argomentazioni, dibattiti, controversie, denunce, accuse, disprezzo, fobìe, filiazioni, elogi, ripudi, fischi, applausi, divinità, demoni, dogmi, eresie, simpatie, antipatie, modi, e un lungo eccetera che ci rende diversi e, non di rado, contrari.

Solo poche cose ci uniscono:

Che facciamo nostri i dolori della terra: la violenza contro le donne; la persecuzione e il disprezzo delle diversità nelle loro identità affettive, emotive e sessuali; l’annientamento dell’infanzia; il genocidio contro i popoli originari; il razzismo; il militarismo; lo sfruttamento; il saccheggio; la distruzione della natura.

La consapevolezza che è un sistema il responsabile di questi dolori. Il carnefice è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladrone e criminale: il capitalismo.

La consapevolezza che non è possibile riformare questo sistema, educarlo, attenuarlo, limarlo, addomesticarlo, umanizzarlo.

L’impegno a lottare, ovunque e in ogni momento – ognuno nel proprio campo – contro questo sistema fino alla sua completa distruzione. La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla distruzione del capitalismo. Non ci arrendiamo, non siamo in vendita e non claudichiamo.

La certezza che la lotta per l’umanità è mondiale. Così come la distruzione in corso non riconosce confini, nazionalità, bandiere, lingue, culture, razze; così la lotta per l’umanità è ovunque, sempre.

La convinzione che sono molti i mondi che vivono e lottano nel mondo. E che ogni pretesa di omogeneità ed egemonia attenta l’essenza dell’essere umano: la libertà. L’uguaglianza dell’umanità sta nel rispetto della differenza. Nella sua diversità sta la sua somiglianza.

La consapevolezza che non è la pretesa di imporre il nostro sguardo, i nostri passi, le nostre compagnie, i nostri percorsi e i nostri destini, che ci permetterà di avanzare, ma l’ascolto e lo sguardo dell’altro che, diverso e differente, ha la stessa vocazione di libertà e di giustizia.

Per queste coincidenze, e senza abbandonare le nostre convinzioni o cessare di essere ciò che siamo, abbiamo accordato:

Primo.- Realizzare incontri, dialoghi, scambi di idee, esperienze, analisi e valutazioni tra coloro che ci siamo impegnati, da concezioni diverse e in campi differenti, nella lotta per la vita. Poi, ognuno seguirà o meno la propria strada. Guardare e ascoltare l’altro può aiutarci o meno nel nostro viaggio. Ma conoscere il diverso fa parte anche della nostra lotta e del nostro impegno, della nostra umanità.

Secondo.- Che questi incontri e queste attività si realizzino nei cinque continenti. Che, per quanto riguarda il continente europeo, si concretizzeranno nei mesi di luglio, agosto, settembre e ottobre del 2021, con la partecipazione diretta di una delegazione messicana composta dal CNI-CIG, dal Fronte del Popolo in Difesa dell’Acqua e della Terra di Morelos, Puebla e Tlaxcala, e dall’EZLN. E, in date successive da specificare, sostenere secondo le nostre possibilità, affinché si svolgano in Asia, Africa, Oceania e America.

Terzo.- Invitare coloro che condividono le stesse preoccupazioni e lotte simili, tutte le persone oneste e tuttilos abajosche si ribellano e resistono nei molti angoli del mondo, a unirsi, a contribuire, a sostenere e a partecipare a questi incontri e attività; e a firmare e a fare propria questa dichiarazione PER LA VITA.

Da uno dei ponti di dignità che unisce i cinque continenti.

Noi.

Pianeta Terra.

1 gennaio 2021

Da differenti, disomogenei, diversi, dissimili, ineguali, lontani e diversi angoli del mondo (nell’arte, nella scienza e nella lotta di resistenza e di ribellione):

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per le donne, uomini, otroas, bambin@ e anzian@ dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale:

Comandante Don Pablo Contreras y Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico.

Se volete firmare questa Dichiarazione, inviate la vostra firma firmasporlavida@ezln.org.mx. Per favore nome completo del vostro gruppo, collettivo, organizzazione o quel che è, nella vostra lingua, e la vostra geografia. Le firme verranno aggiunte non appena arriveranno.

Testo originale con le oltre 1400 firme/adesioni dal mondo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/01/02/prima-parte-una-dichiarazione-per-la-vita/

Italia
A.N.P.I. Associazione Nazionale Partigiani Italiani
ADL COBAS
All Reds Rugby Roma
Altro Modo Flegreo
Ambasciata dei Diritti delle Marche
Ambiente&Salute
Annestus – Agoa
ARCI Noerus
Ardita Due Mari
Assalti Frontali
Assemblea Antirazzista Antifascista Di Vicofaro
Associazione «Cultura È Libertà
Associazione ATTAC Italia
Associazione Casa dei Popoli
Associazione centro socio culturale ARARAT a Roma
Associazione Città Migrante
Associazione Culturale GIShub
Associazione di Promozione Sociale
Associazione Giuseppe moscati Parrocchia San Sabino
Associazione Jambo- commercio equo Fidenza Italia
Associazione Nova Koiné
Associazione politico-culturale Tempi Post Moderni
Associazione Senza Barriere Due
Associazione senza paura Genova
Associazione Taiapaia
Associazione Verso il Kurdistan e Rete Jin
Associazione Ya Basta Caminantes Padova
Associazione Ya Basta Moltitudia Roma
Associazione YA BASTA! ÊDÎ BESE Y Centri Sociali del Nordest
Associazione Ya Basta! Milano
Associazione YaBasta! – Casa Della Solidarietà Sabino Romano
Ateneo Libertario
Azione Antifascista Roma Est
Brigata Sanitaria Soccorso Rosso
Brustolin, Maryline
Buscemi, Marquito
C.S.A NEXT EMERSON
Cadtm (Comitato per annullamento debiti illegittimi)
Camera del Non Lavoro
Cantiere
Carovane Migranti
Casa Bettola
Casa dei Circoli, Culture e Popoli
Casa Dei Diritti Dei Popoli
Casa del Popolo Campobasso
Casa della Cooperazione
Casa delle Donne di Milano
Casa delle Donne Lucha y Siesta
Casa delle Donne-Nudm
Casa Madiba Network
Cattive Ragazze
Centro giovanile Batti il tuo tempo
Centro Sociale Anomalia
Centro sociale Anomalia Palermo
Centro sociale autogestito «INTIFADA» Empoli (FI)
Centro Sociale Autogestito Magazzino47
Centro Sociale CasaLoca
Centro Sociale Occupato Autogestito «Angelina Cartella»
Centro Sociale Tpo
Chichimeca
CIAC ( centro immigrazione, asilo, cooperazione internazionale)
Circolo «D. Lazzari» di Legnano
Circolo ANPI Renato Biagetti
Circolo ARCI Barbun KM0
Circolo Arci Nausicaa
Circolo Fratellanza Casnigo
Ciss-ong Palermo
Clown Army Roma
COBAS Confederazione dei Comitati di Base
COBAS Napoli
Collettiva Una volta per tutte
Collettivo 20ZLN
Collettivo Caffè Malatesta
Collettivo Femminista Lotto
Collettivo Lsoa Buridda
Collettivo Nodo Solidale
Collettivo Popolare «Ramona»
Collettivo redazionale della rivista LEF Libertè Egalitè Fraternit
Comitato Abitanti San Siro
COMITATO AMIG@S MST
Comitato antirazzista cobas Palermo
Comitato Chiapas «Maribel»
Comitato Città Vecchia Taranto
Comitato Jineoloji
Comitato Madri per Roma Città Aperta
Comitato No Muos – No sigonella
Comitato per non dimenticare Abba
Comitato Piazza Carlo Giuliani
Comitato Roma Xii Per La Costituzione
Comité por la Anulación de la Deuda del Tercer Mundo
Comune del Crocicchio
Comunità curda in Italia
Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze
Comunita’ RNCD
Contadinazioni-fuori mercato
Cooperativa Sociale Le Rose Blu
Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica «Bruno Arcuri»
Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e Provincia
Coordinamento Nazionale No Triv
CORTOCIRCUITO Flegreo
Csa Astra/Lab Puzzle/cs Brancaleone
Csoa Ex Snia
Csoa Forte Prenestino
Csoa Gabrio
Csoa La Strada
Csoa la torre
Dinamopress
Dipende da Noi
Enoize
ESC Atelier Roma
Ex Caserma Liberata
Ex caserma occupata
Federazione Anarchica Siciliana
Foro Italiano de los Movimientos per el Agua
Forum Antirazzista Palermo
Fridays For Future
Fuorimercato, autogestione in movimento
GAS Caracol Franciacorta
Genuino Clandestino Firenze
Giovani Comunisti
«GIShub – Associazione Culturale GIScience for Humanity, Urban space and Biosphere
Gruppe B.A.S.T.A.
Gruppo Anarchico «Bakunin» – FAI Roma e Lazio
Gruppo Autonomo LiberidiAmare Autonomia Contropotere
Gruppo Consiliare Sinistra Progetto Comune – Comune di Firenze
Gruppo di Acquisto Solidale – Cosenza
Gruppo lampi
Il Cantiere delle Idee
IFE (Iniziativa Femminista Europea)
L’associazione G.L.R.
L’associazione politico culturale Resistenza Gallura
L38squat
La Milpa Orto Collettivo
La Panchovilla in Sabina
Laboratorio Andrea Ballarò
Laboratorio Aq16
Laboratorio Crash!
Laboratorio Decoloniale Femminista e Queer
Laboratorio di economia solidale ambientale e sociale
Laboratorio di Mutuo Soccorso ZERO81
Laboratorio Occupato Autogestito Acrobax – LOA Acrobax
Laboratorio Occupato Insurgencia
Laboratorio Sociale Alessandria
Le Mafalde
Liberation queer+ Messina
Lisangà, culture in movimento
Malanova
Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito
Mediterranea Saving Humans
Mondeggi Bene Comune, Fattoria Senza Padroni
Movimento NO MUOS
No Border APS
Non Una Di Meno – Milano
Non Una Di Meno – Modena
Non Una di Meno Alessandria – Casa delle Donne Alessandria
Non Una Di Meno Lucca
Non Una di Meno Palermo
Non Una Di Meno Piacenza
Non Una di Meno Ravenna
Non Una Di Meno Reggio Emilia
Non Una di Meno Roma
Non Una di Meno Torino
Non Una di Meno Venezia
Nudm Palermo
Officina Rebelde Catania
Operai /e dello Spettacolo Associati/e
Osservatorio Repressione – Italia
Palermo Pride
Palermo ribelle
Partito della Rifondazione Comunista
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Potere al Popolo!
Presidio salute solidale – Napoli
Progetto 20k
Quarticciolo Ribelle
R.A.S.P.A. Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela
Radio Sherwood
Re:common
Resistenza Casa Sportello Solidale
Rete Antifascista Roma Sud
Rete antirazzista catanese
Rete Antirazzista Catanese e Comitato NoMuos/NoSigonella
Rete Jin
Rete Kurdistan Italia
Rete Kurdistan Roma
ReteJin
Reti di Pace
Ri-Make Bene Comune
RiMaflow, fabbrica recuperata in autogestione
Scomodo
Scuola Popolare Piero Bruno
Signoretti, Claudia
Siracusa Ribelle
Spazio di Mutuo Soccorso
Spazio Libertario Pietro Gori
Spazio sociale 100celle aperte
TATAWELO
TeatrOfficina Refugio
Termoli Bene Comune- Rete della Sinistra
terraTERRA
Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia
Unione Sindacale di Base
Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos
Vivèro- luogo di quartiere
Ya Basta Bologna
Ya Basta! Marcas Italia
Alberi, Urbani
Amicucci, Caterina
Berti, Stefano
Boffa, Daniela
Botti, Andrea
Bresciani, Marco
Capezza, Iolanda
Caudo, Melina
Celestini, Ascanio
Cesi, Alessandro
Clerici, Naila
Crabuzza, Claudia
De Luca, Mariano
Della Corte, Raffaele
Devastato, Giovanni
Fabiano, Pino
Garelli, Annamaria
Garibaldi, Casale
Indiano, Carlotta
Kaveh, Afshin
Luca Pandolfi
Medici, Sandro
Nicotra, Alfio
Piccinini, Massimiliano
Proia, Veronica
Rossa, Casetta
Sandroni, Doriana
Santoro, Alessandro
Saverio Calabresi, Francesco
Traverso, Enzo
Valcamonica, Adarosa
Vigo, Adele
Vitalesta, Enzo
Zanchetta, Aldo
Zanchetta, Brunella

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Seconda Parte: IL BAR

Calendario? L’attuale. Geografia? Ogni angolo del mondo.

Non sai davvero perché, ma stai camminando mano nella mano con una bambina. Sta per chiederle dove state andando, quando passate davanti a un grande bar. Una grande insegna luminosa, come il cartellone di un cinema, recita: “LA STORIA CON LE MAIUSCULE. Snack bar”, e più sotto “Non sono ammesse donne, bambini, indigeni, disoccupati, otroas, anzian@, anziani, migranti e altri rifiuti”. Una mano bianca ha aggiuntoIn this place, Black Lives does not matter”. E un’altra mano virile ha aggiunto: “Le donne possono entrare se si comportano da uomini”. Ai lati dell’edificio sono ammucchiati cadaveri di donne di tutte le età e, a giudicare dagli abiti laceri, di tutte le classi sociali. Ti fermi e, rassegnata, anche la bambina. Sbirciate attraverso la porta e vedete un casino di uomini e donne dai modi mascolini. Al bancone un maschio brandisce una mazza da baseball e minaccia a destra e a manca. La folla è chiaramente divisa: da una parte applaude mentre fischia dall’altra. Sono tutti ubriachi: lo sguardo torvo, la bava che scorre lungo il mento, il viso arrossato.

Ti si avvicina quello che dovrebbe essere il portiere o qualcosa del genere, e chiede:

Vuoi entrare? Puoi scegliere di stare dalla parte che vuoi. Vuoi applaudire o contestare? Indipendentemente da quale scegli, ti garantiamo che avrai molti follower, Like, pollici alzati e applausi. Diventerai famoso se ti verrà in mente qualcosa di ingegnoso, a favore o contro. E anche se non è molto intelligente, è sufficiente che faccia rumore. Inoltre, non importa se quello che urli è vero o falso, purché urli forte”.

Tu valuti l’offerta. Ti sembra attraente, soprattutto ora che non hai nemmeno un cane che ti segua.

È pericoloso?”, azzardi timidamente.

L’uomo alla catena ti tranquillizza: “Per niente, qui regna l’impunità. Guarda chi c’è ora. Dice qualche sciocchezza e alcuni lo applaudono e altri lo criticano con altre sciocchezze. Quando quella persona finisce il suo turno, ne verrà fuori un’altra. Te l’ho detto prima che non devi essere per forza intelligente. Inoltre, l’intelligenza qui è un ostacolo. Coraggio. Così ci si dimentica delle malattie, delle catastrofi, delle miserie, delle bugie del governo, del domani. Qui la realtà non ha molta importanza. Ciò che conta è la moda del momento”.

Tu: “E di cosa stanno discutendo?”.

Ah, di qualunque cosa. Entrambe le parti si impegnano in frivolezze e stupidità. Poiché la creatività non è roba loro. Tutto qui.”, risponde la guardia mentre sbircia, timoroso, in cima all’edificio.

La bambina segue la direzione del suo sguardo e, indicando la sommità dell’edificio, dove si può vedere un intero piano – tutto di vetro a specchio -, chiede:

E quelli lassù sono pro o contro?”.

Ah, no”, risponde l’uomo ed aggiunge sottovoce: “Quelli sono i padroni del bar. Non hanno bisogno di esprimersi per nulla, semplicemente si fa ciò che loro ordinano”.

Fuori, più in là per strada, si vede un gruppo di persone che, supponi, non avesse interesse ad entrare nel bar ed ha proseguito la sua strada. Un altro gruppo esce dal locale infastidito, mormorando: “è impossibile ragionare lì dentro” e “invece di ‘La Storia’, dovrebbe chiamarsi “’a Isteria’”. E si allontanano ridendo.

La bambina ti fissa. Tu sei indeciso…

E lei ti dice: “Puoi fermarti o proseguire. Solo sii responsabile della tua decisione. La libertà non è solo potere decidere che cosa fare e farlo. È anche essere responsabile di quello che si fa e della decisione presa”.

Ancora senza prendere una decisione, chiedi alla bambina: “E tu dove vai?”.

Nel mio villaggio”, dice la bambina, e allunga le manine all’orizzonte come per dire “nel mondo”.

Dalle montagne del sud-est messicano.

El SupGaleano.
È il Messico, è 2020, è dicembre, è mattina presto, fa freddo e la luna piena guarda, stupita, come le montagne si sollevano, si rimboccano un po’ le falde e lentamente, molto lentamente, cominciano a camminare.

-*-

Dal quaderno del Gatto-Cane: Esperanza racconta a Defensa un sogno che aveva fatto.

Quindi sto dormendo e sto sognando. Naturalmente so che sto sognando perché sto dormendo. Quindi è per questo che vedo che mi trovo molto lontano. Che ci sono uomini e donne e otroas molto altri. Cioè, non li conosco. Parlano una lingua che non capisco. E hanno molti colori e modi molto diversi. Fanno molto rumore. Cantano e ballano, parlano, discutono, piangono, ridono. E non so niente di quello che vedo. Ci sono edifici grandi e piccoli. Ci sono alberi e piante come quelli di qui, ma diversi. Cibo molto diverso. Quindi è tutto molto strano. Ma la cosa più strana è che, non so né perché né come, ma so che sono a casa”.

Esperanza tace. Defensa Zapatista finisce di prendere appunti nel suo quaderno, la fissa e, dopo pochi secondi, le chiede:

Sai nuotare?”.

In fede.

Guau-Miau

Traduzione “Maribel” – Bergamo Testo originale:http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/29/segunda-parte-la-cantina/

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TERZA PARTE: LA MISSIONE

Di come Difesa Zapatista cerca di spiegare a Speranza quale sia la missione dello zapatismo e altri felici ragionamenti

«Bene, ti spiegherò qualcosa di molto importante. Ma non puoi prendere appunti, lo devi tenere a mente. Perché il quaderno lo lasci buttato da qualsiasi parte, mentre la testa te la devi tenere addosso tutto il tempo».

Difesa Zapatista cammina da una parte all’altra, come dice facesse la buonanima quando spiegava qualcosa di molto importante. Speranza è seduta su un tronco e, previdente, ha collocato un nylon sul legno umido fiorito di muschio, funghi e rametti secchi.

«Per caso stiamo per vedere dove arriveremo con la lotta?’», dà il via Difesa Zapatista indicando con le sue manine un punto vago.

Speranza sta pensando una risposta, ma è evidente che Difesa ha fatto una domanda retorica, cioè di cui non le interessa la risposta, bensì le domande che conseguono alla prima questione. A proprio parere, Difesa Zapatista sta seguendo il metodo scientifico..

«La problema non è quindi arrivare, bensì crearsi un cammino. Vale a dire che se non c’è un cammino, allora bisogna farlo, perché altrimenti come si fa», la bambina brandisce un machete che chissà da dove è uscito, ma di sicuro in qualche capanna lo stanno cercando.

«Quindi, la problema è come cambiato, e la primissima cosa è il cammino. Perché se non c’è il cammino dove vuoi andare, perciò diventa una preoccupazione inutile. Quindi che faremo se non c’è cammino per dove andiamo?»

Speranza risponde con soddisfazione: «Aspettiamo che smetta di piovere per non bagnarci quando faremo il cammino».

Difesa si passa una mano tra i capelli -e rovina la pettinatura che alla sua mammina è costato mezz’ora sistemare- e grida:«No!»

Speranza dubita e azzarda: «Lo so: diciamo una bugia a Pedrito che ci sono caramelle lì dove andiamo, ma non c’è il cammino e che veda chi fa per primo un suo cammino, e si riempie le tasche di caramelle».

Difesa reagisce: «Chiederemo forse aiuto ai fottuti uomini? Maimente. Noi lo faremo da donne che siamo.»

«Certo», dice Speranza, «e magari c’è il cioccolato.»

Difesa prosegue: «Ma che si fa se ci perdiamo nell’aprirci il cammino?»

Speranza risponde: «Gridiamo chiedendo aiuto? Spariamo dei razzetti o suoniamo la conchiglia perché ci sentano dal villaggio e vengano a liberarci?»

Difesa capisce che Speranza sta prendendo la faccenda alla lettera e, inoltre, sta ottenendo il consenso del resto del pubblico. Per esempio, il gatto-cane ora si lecca i baffi immaginando la pentola piena di cioccolato alla fine dell’arcobaleno, e il cavallo monco sospetta che forse ci sia anche del mais col sale e la pentola traboccante di bottiglie di plastica. La Calamità fa le prove della coreografia che le ha disegnato il SupGaleano, chiamata «pas de chocolat«, che consiste nel bilanciarsi a mo’ di rinoceronte sulla pentola.

Elías Contreras, dal canto suo, fi dalla prima domanda ha tirato fuori la sua lima e affila il suo machete a doppio taglio.

Più in là, un essere indefinito, straordinariamente simile a uno scarafaggio, porta uno striscione dove si legge «Chiamatemi Ismaele«, discute con il Vecchio Antonio i vantaggi dell’immobilità sulla terraferma, e argomenta così: «Eh sì, caro il mio Queequeg, non c’è balena bianca che si avvicini a porto«. L’anziano indigeno e zapatista, maestro involontario della generazione che si sollevò in armi nel 1994, si fa una sigaretta con la macchinetta e ascolta attento le argomentazioni della bestiola.

La bambina Difesa Zapatista si rende conto che, come le scienze e le arti, si trova nella difficile condizione di essere incompresa: come un pas de deux che attende l’abbraccio per le piroette e il sostegno per un porté; come un film rinchiuso in una pizza in attesa di uno sguardo che lo liberi; come un porto senza imbarcazione; come una cumbia che attende le anche che le diano senso e scopo; come un Cigala concavo senza convesso; come Luz Casal andando all’incontro del fiore promesso, come Louis Lingg senza le bombe del punk; come Panchito Varona cercando, dietro un accordo, un aprile rubato* (*riferimenti al flamenco di Diego El Cigala «Cóncavo y convexo», all’album di Luz Casal «Como la flor prometida», alla band Louis Lling and the Bombs, alla canzone «¿Quién me ha robado el mes de abril?» di Joaquín Sabina, di cui Pancho Varona era il chitarrista, N.d.T); come uno ska senza pogo; come un gelato alla nocciola senza un Sup che gli faccia onore.

Ma Difesa è difesa, ma è anche zapatista, così che non ce n’è per nessuno: resistenza e ribellione, e con lo sguardo cerca il soccorso del Vecchio Antonio.

«Ma le tormente non rispettano nessuno: è sempre lo stesso per mare e per terra, nel cielo e al suolo. Fino alle viscere della terra si contorcono e soffrono umani, piante e animali. Non hanno importanza il colore, la dimensione, il modo», dice con voce spenta il Vecchio Antonio.

Tutti mantengono un silenzio a metà tra rispetto e terrore.

Continua il vecchio Antonio: «Le donne e gli uomini fanno in modo di salvaguardarsi da venti, piogge e suoli rotti dalla siccità, e aspettano che passi per vedere cosa resta loro e cosa no. Ma la terra fa di più, perché si prepara al dopo, per quel che segue. E nel suo tutelarsi comincia già a cambiare. La madre terra non aspetta che finisca la tormenta per vedere il da farsi, ma inizia fin da prima a costruire. Perciò i più saggi dicono che il domani non arriva così di punto in bianco e compare all’improvviso, bensì sta già appostato tra le ombre, e chi sa guardare lo trova tra le crepe della notte. Per questo gli uomini e donne di mais, quando seminano, sognano la tortilla, l’atole, il pozol, il tamal e il marquesote. Non ce ne sono ancora, ma sanno che ci saranno e ciò guida il loro lavoro. Guardano al loro campo di lavoro e guardano il frutto lì contenuto ancor prima che il seme tocchi il suolo.

Gli uomini e donne di mais, quando guardano questo mondo e i suoi dolori, guardano anche il mondo che bisognerà edificare, e si creano un cammino. Hanno tre sguardi: uno per il prima, uno per l’adesso, uno per quel che viene. Così sanno che seminano un tesoro: lo sguardo.»

Difesa assente entusiasta. Capisce che il Vecchio Antonio comprende l’argomento che non riesce a spiegare. Due generazioni distanti nel calendario e nella geografia tendono un ponte che va e viene… come i cammini.

«Corretto!», quasi grida la bambina e guarda con affetto l’anziano.

E lei prosegue: «Se già sappiamo dove andiamo, vuol dire che già sappiamo dove non vogliamo andare. Perciò a ogni passo ci allontaniamo da un lato e ci avviciniamo a un altro. Non siamo ancora arrivati, ma il cammino che facciamo ci traccia già quella destinazione. Se vogliamo mangiare tamales, non ci metteremo a seminare zucche».

L’auditorio intero fa un comprensibile gesto di schifo, immaginando un’orribile zuppa di zucca.

«Sopportiamo la tormenta con ciò che sappiamo, ma stiamo già preparando quel che segue. E lo prepariamo una volta per tutte. Per questo bisogna portare la parola lontano. Non importa se chi l’ha detta non ci sarà, quel che importa è che il seme giunga in terra fertile e che, dove già c’è, che si sviluppi. Cioè dare sostegno. Questa è la nostra missione: essere seme che cerca altri semi», sentenzia Difesa Zapatista, e dirigendosi a Speranza, chiede: «Hai capito?»

Speranza si alza in piedi e, con tutta la solennità dei suoi nove anni, risponde seria:

«Sì, certo che ho capito che alla fine moriremo miserabilmente.»

E quasi immediatamente aggiunge: «Ma faremo in modo che ne valga la pena.»

Tutti applaudono.

Per rafforzare il «che valga la pena» di Speranza, il Vecchio Antonio tira fuori dalla sua borsetta una scatola dei cioccolatini che chiamano «baci».

Il gatto-cane se ne fa una bella quantità con una zampata e il cavallo monco preferisce continuare con la sua bottiglia di plastica.

Elías Contreras, comissione di indagine dell’ezln, ripete a bassa voce: «Faremo in modo che ne valga la pena«, e va con il cuore e il pensiero al fratello Samir Flores e a chi affronta, solo con la propria dignità, il fragoroso ladrone dell’acqua e della vita che si nasconde dietro le armi del capoccia, colui che nasconde dietro al suo sproloquio la cieca obbedienza che deve al Capo: primo il denaro, poi il denaro, infine il denaro. Mai giustizia, libertà nemmeno, vita giammai.

L’insettino comincia a discutere su come una tavoletta di cioccolato lo abbia salvato dalla morte nella steppa siberiana mentre andava, venendo dalle terre del Sami –dove intonò lo Yoik-, al territorio dei Selkup a rendere gli onori al Cedro, l’albero della vita. «Andai ad apprendere, ché a questo servono i viaggi. Perché ci sono resistenze e ribellioni che non sono meno importanti ed eroiche per il fatto di essere appartate nel calendario e nella geografia», dice, mentre, con le sue molteplici zampette, libera il cioccolato dalla sua prigione di carta d’alluminio brillante, applaude e se ne fa fuori una porzione, tutto allo stesso tempo.

Da parte sua, Calamità ha capito bene il fatto che si debba pensare a quel che segue, e con il cioccolato impiastricciato nelle manine dichiara entusiasmata: «Giocheremo ai pop-corn!»

-*-

Dal Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista

Il SupGaleano impartendo la lezione «Lo Sbocco Internazionalista»

Messico, Dicembre 2020

Dal quaderno di appunti del gatto-cane: il tesoro è l’altro

«Al terminare, mi guardò lentamente con il suo unico occhio e mi disse: «La aspettavo Don Durito. Sappia che sono l’ultimo dei veri pirati che viva nel mondo. E dico dei ‘veri’ perché adesso c’è un’infinità di ‘pirati’ che rubano, uccidono, distruggono e saccheggiano dai centri finanziari e dai grandi palazzi governativi, senza toccare altra acqua che quella della vasca. Ecco qui la sua missione (mi consegna un vecchio incartamento). Trovi lei il tesoro e lo metta al sicuro. Ora mi scusi, ma dovrei morire». E al dire ciò, lasciò cadere la testa sul tavolo. Sì, era morto. Il pappagallo si alzò in volo e uscì da una finestra dicendo: ‘Largo all’esiliato di Mitilene, largo al figlio bastardo di Lesbo, largo all’orgoglio del mar Egeo! Aprite le vostre nove porte, temuto inferno, perché è lì che riposerà il grande Barbarossa. Ha trovato chi ne prosegua i passi e ora dorme chi ha fatto dell’oceano una lacrima soltanto. Con Scudo Nero navigherà ora l’orgoglio dei Pirati veri’. Sotto la finestra si stagliava il porto svedese di Göteborg e in lontananza una nyckelharpa gemeva…»

Don Durito de La Lacandona. Ottobre 1999

Sezione: Tre deliri, due gruppi e un ammutinato

Se seguiamo la rotta dell’Ammiraglio Maxo, credo che arriveremo più in fretta se cammineremo per lo stretto di Bering

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/22/tercera-parte-la-mision/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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CONVOCAZIONE DELLA

QUINTA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

I popoli, le nazioni, le tribù e i quartieri originari che siamo il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, stanno facendo fronte alla malattia della nostra madre terra, espressa in una grave pandemia che ha colpito la vita e l’economia delle nostre comunità e del mondo intero; ci sentiamo nella voce dei popoli originari che gridano dalle geografie dove lottano e resistono contro la guerra capitalista che contende i territori indigeni e rurali con politiche estrattive aggressive in tutta la geografia nazionale; megaprogetti di morte che chiamano Corridoio Interoceanico negli stati di Oaxaca e Veracruz, Progetto Integrale Morelos negli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala, Tren Maya negli stati del sudest messicano, o Aeroporto Internazionale di Città del Messico nel centro del paese; l’attuazione di una serie di politiche e meccanismi per la continuazione del “libero scambio” subordinato a Stati Uniti e Canada e per contenere la migrazione; prevenire o indebolire l’organizzazione e la resistenza dei nostri popoli, soppiantando le autorità tradizionali e realizzando finte consultazioni indigene.

Si tratta di politiche e megaprogetti promossi dal governo neoliberista della Quarta Trasformazione al servizio dei grandi capitali mondiali e contro l’organizzazione autonoma dei nostri popoli;

tutto quanto sopra con il sostegno alla militarizzazione, l’implementazione della Guardia Nazionale e la militarizzazione dell’intero territorio nazionale, la complicità dei cartelli criminali di Stato, la creazione di programmi che cercano di rompere l’organizzazione delle comunità come Sembrando Vida e l’approvazione di leggi favorevoli a grandi consorzi transnazionali come la legge federale per la Promozione e la Protezione del Mais Autoctono.

El CNI e il CIG – con le comunità zapatiste – essendo un congresso quando siamo insieme e una rete quando siamo separati, siamo questa parola collettiva che non solo facciamo nostra, ma che tessiamo in essa e con essa, nella determinazione che la nostra resistenza crescerà tanto grande quanto la minaccia capitalista contro la vita.

Perché per i nostri popoli non c’è spazio per arrendersi, vendersi o cedere, quando è la madre terra e la vita di cui governi, aziende, militari e cartelli della droga vogliono fare bottino, e

CONSIDERANDO CHE:

1.- Si intensificano la repressione, le minacce, la formazione di gruppi di scontro e la criminalizzazione contro le comunità che resistono al Progetto Integrale Morelos, che il malgoverno federale ha deciso di imporre illegalmente e con l’uso del suo gruppo di scontro armato, che chiama Guardia Nazionale; e che, tuttavia, l’eroica eredità di Samir Flores Soberanes è mantenuta viva dalle sorelle e fratelli del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala che non si arrendono, non si vendono e non cedono;

2.- Si intensifica la guerra contro le comunità autonome e indigene del CNI nello stato del Chiapas, mentre i governi garantiscono l’impunità ai gruppi paramilitari che, da loro finanziati, attaccano giorno e notte villaggi e comunità sorelle;

3.- Il malgoverno federale insieme alle sue forze armate, nella sua palese alleanza con gli oscuri interessi economici che scommettono di appropriarsi del territorio dei popoli indigeni e contadini, sta seminando paura e terrore, violando cinicamente leggi, sentenze e sospensioni giudiziarie per imporre i propri megaprogetti, che cedono il territorio del Paese a interessi economici transnazionali;

4.- Crescono resistenza e ribellione nella geografia dei popoli indigeni, perché crescono anche l’espropriazione e la repressione violenta da parte del malgoverno a tutti i livelli, in complicità con gruppi paramilitari e narco-paramilitari, che rendono possibili i loro progetti estrattivi e inquinanti, e anche nelle grandi città, la nostra gente resiste, come dimostra la comunità Otomi residente a Città del Messico;

5.- Dalle lotte che siamo, noi popoli originari vediamo che nel mondo si accendono speranze in questa guerra che è la stessa, e da lontane geografie vediamo lo stesso, cioè la lotta per la vita che si trasforma in una lingua nella quale ci rispecchiamo gli uni con agli altri;

6.- C’è l’annuncio zapatista di iniziare un viaggio planetario nel mese di aprile 2021, iniziando dal continente europeo, al quale è invitato il CNI con la partecipazione di una delegazione per accompagnare quel cammino e portare la nostra parola collettiva;

CONVOCHIAMO

Le/I delegat@ e consiglier@ del CNI- CIG alla

QUINTA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE

INDIGENO E IL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

Che si terrà a:

LA QUINTA PIEDRA, TERRITORIO RECUPERATO DAL POPOLO

NAHUA DELL’EJIDO TEPOZTLÁN, MORELOS,

I GIORNI 23-24 GENNAIO 2021

Con il seguente programma:

23 gennaio:

Inaugurazione

Tavolo di lavoro:

  • Bilancio espropriazione e guerra capitalista contro i nostri popoli.
  • Proposta per la partecipazione di una delegazione CNI-CIG al viaggio planetario zapatista.

24 gennaio:

Plenaria aperta:

  • Conclusioni del tavolo di lavoro
  • Accordi e risoluzioni
  • Comunicato pubblico
  • Chiusura

NOTA 1: Considerando le attuali condizioni sanitarie si invita a nominare un@ o due delegat@ per villaggio, comunità od organizzazione indigena, allo scopo di realizzare un’assemblea ampiamente rappresentativa ma meno numerosa. Le/I partecipanti dovranno indossare le mascherine e mantenere la distanza di sicurezza, lavarsi di frequente mani e viso, e così pure coloro che raggiungeranno il luogo della riunione.

NOTA 2: Coloro che non sono delegat@ o consiglier@ del CNI/CIG possono entrare in assemblea solo su espresso invito della Commissione di Coordinamento e Controllo.

Distintamente.

Dicembre 2020

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/09/convocatoria-a-la-quinta-asamblea-nacional-del-congreso-nacional-indigena/

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PER LA VITA E CONTRO IL DENARO.

IL CNI-CIG E L’EZLN INVITA ALLA SOLIDARIETÀ CON IL FRENTE DE PUEBLOS EN DEFENSA DE LA TIERRA Y EL AGUA DI MORELOS, PUEBLA E TLAXCALA.

Novembre 2020

Al popolo del Messico
Ai popoli del mondo
Alla Sexta Nazionale e Internazionale
Ai media

Il Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e l’EZLN denunciano il vile sgombero dei compagni dal campo di resistenza di San Pedro Apatlaco, Morelos, perpetrato dalla Guardia Nazionale la mattina del 23 novembre, per riprendere illegalmente la costruzione della condotta che trasporta l’acqua dal fiume Cuautla alla centrale termoelettrica di Huexca.

Con quale cinismo il governo neoliberista che pretende di comandare in questo paese obbedisce ai suoi padroni, che sono il grande capitale, con quale cinismo le forze armate, agli ordini del caposquadra, violano le città, per consegnare l’acqua del fiume Cuautla, rubata alle cittadine contadine di Ayala, alle aziende che beneficiano del Proyecto Integral Morelos, come Elecnor e Enagasa, concessionarie del gasdotto; Bonatti e Abengoa costruttrici del gasdotto e della centrale termoelettrica di Huexca; e quelle che trarranno vantaggio dal consumo di gas, come Saint Gobain, Nissan, Burlington, Continental e Gas Natural del Noreste.

Con il PIM, le forze armate e il governo neoliberista, con sorvoli militari, avanzano nella repressione e nell’imposizione delle infrastrutture energetiche, sostenute dalla distruzione ed espropriazione del territorio dei popoli originari, per rendere possibile, sul sangue della nostra gente, come il compagno Samir Flores Soberanes, lo sfruttamento della natura, in modo che loro, i boss del capitale transnazionale, distruggano le colline con le loro concessioni minerarie e si approprino dell’acqua con i corridoi industriali di Cuautla, Yecapixtla, Cuernavaca e l’intera regione, negli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala. Con quale cinismo e impunità il caposquadra, che dice di comandare dal governo federale, ordina di calpestare il presunto stato di diritto, violando 8 sospensioni giudiziarie sui lavori dell’acquedotto, che intende rubare l’acqua affinché venga contaminata nella centrale termoelettrica di Huexca. E altre due sospensioni contro il gasdotto alle pendici del sacro vulcano Popocatepetl, e la contaminazione del fiume Cuautla, nell’ambito del Proyecto Integral Morelos.

Per tutto quanto sopra e di fronte alla crescente tensione e violazione dello stato di diritto, riteniamo il malgoverno federale e il malgoverno dello stato di Morelos responsabili di qualsiasi repressione o attacco contro i compagni che combattono e resistono a questo megaprogetto di morte. Chiediamo in particolare solidarietà con il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua di Morelos, Puebla e Tlaxcala.

Distintamente.
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più un Messico Senza di Noi
Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Messico, Novembre 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/11/25/por-la-vida-y-contra-el-dinero-el-cni-cig-y-el-ezln-llaman-a-la-solidaridad-con-el-frente-de-pueblos-en-defensa-de-la-tierra-y-el-agua-de-morelos-puebla-y-tlaxcala/

 

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Foto: Daliri Oropeza

12 novembre 2020. Dopo le mobilitazioni di ieri, il compagno Felix Lopez Hernandez è stato liberato.

GLI ZAPATISTI DENUNCIANO IL SEQUESTRO DI UNA BASE DI APPOGGIO PER MANO DEI PARAMILITARI DELLA ORCAO

DENUNCIA DELLA GIUNTA DI BUON GOVERNO ZAPATISTA “NUEVO AMANECER EN RESISTENCIA Y REBELDÍA POR LA VIDA Y LA HUMANIDAD

Caracol Patria Nueva, Chiapas Zapatista.

10 NOVEMBRE 2020

ALLE ORGANIZZAZIONI A DIFESA DEI DIRITTI UMANI:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

ALLE RETI IN RESISTENZA E RIBELLIONE:

OGGI DENUNCIAMO IL SEQUESTRO E LA TORTURA DI UN COMPAGNO BASE DI APPOGGIO ZAPATISTA DELLA COMUNITA’ DI SAN ISIDRO, ANNESSA A MOISES GANDHI, DA PARTE DELL’ORGANIZZAZIONE PARAMILITARE CHIAMATA ORCAO, AVVENUTI IL GIORNO 8 NOVEMBRE 2020.

DA PIÙ DI UN ANNO GLI ORCAISTI ATTACCANO E DANNEGGIANO LE NOSTRE CASE. DI QUESTE AZIONI VIOLENTE DI QUESTI PARAMILITARI SONO TESTIMONI DIVERSE ORGANIZZAZIONI CHE DIFENDONO I DIRITTI UMANI, COME IL FRAYBA, CORECO, SERAPAZ ED ALTRE.

GIORNO E NOTTE QUESTI ORCAISTI ATTACCANO CON SPARI D’ARMA DA FUOCO LA COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI E IL MALGOVERNO LO SA E NIENTE FA PER CONTROLLARE I SUOI SGHERRI. AL CONTRARIO, LI PROTEGGE E LI SOSTIENE.

TUTTE QUESTE AGGRESSIONI SONO A CONOSCENZA DEI TRE LIVELLI DI MALGOVERNO. LO SANNO I LORO DIPENDENTI COME JOSEFINA BRAVO E RAMÓN MARTÍNEZ, E QUESTI SERVI DEI MALGOVERNI RIBALTANO I FATTI DICENDO CHE I PROVOCATORI SONO GLI ZAPATISTI E LE VITTIME SONO I POVERI PARAMILITARI DELLA ORCAO.

SI È DETTO CHE INDAGHINO, MA SONO COMPLICI PERCHÉ QUESTO GOVERNO È COME I PRECEDENTI. NEI FATTI NON CAMBIA NIENTE E SONO GLI STESSI ATTACCHI. E SONO LE STESSE MENZOGNE DI PRIMA DI QUESTI FUNZIONARI BUGIARDI CHE SE NE STANNO SEDUTI NEI LORO UFFICI E INCASSANO I LORO RICCHI COMPENSI PROPRIO PER FARE NULLA.

L’ULTIMA DI QUESTA ALLEANZA CRIMINALE TRA I PARAMILITARI DELLA ORCAO E I GOCERNI FEDERALE DI LOPEZ OBRADOR, STATALE DI RUTILIO ESCANDON E MUNICIPALI DI OCOSINGO E ALTAMIRANO, E’ QUELLO CHE HANNO FATTO QUESTO 8 NOVEMBRE 2020. 

A POCHI METRI DA QUI, A CUXULJÁ, DOVE TEMPO FA HANNO BRUCIATO E SACCHEGGIATO LA NOSTRA COOPERATIVA, MA FINO AD OGGI IL MALGOVERNO NON HA FATTO NIENTE.

L’8 NOVEMBRE 2020 INTORNO ALLE 15:30, 20 PARAMILITARI DELLA ORCAO HANNO SEQUESTRATO E PICCHIATO IL NOSTRO COMPAGNO BASE DI APPOGGIO FELIX LOPEZ HERNANDEZ. GLI ORCAISTI L’HANNO PORTATO IN UN LUOGO SCONOSCIUTO E TENUTO LEGATO, RINCHIUSO, SENZA ACQUA E CIBO.

QUESTO È STATO DENUNCIATO IL GIORNO STESSO E IL MALGOVERNO INVECE DI RISOLVERE QUESTO CASO DI SEQUESTRO, GIUSTIFICA I PARAMILITARI DELLA ORCAO MENTENDO E DICENDO CHE SIAMO STATI NOI ZAPATISTI A PROVOCARE QUELLI DELLA ORCAO.

QUESTO È ASSOLUTAMENTE FALSO. IL COMPAGNO ERA DI RITORNO DA OCOSINGO E SI DIRIGEVA A CASA SUA CON LA SUA FAMIGLIA.

TRA I SEQUESTRATORI DELLA ORCAO SONO STATI IDENTIFICATI I SEGUENTI: Andrés Santis López, Nicolás Santis López, Santiago Sánchez López e Oscar Santis López della comunità di San Antonio.

INVECE DI PAGARE PER IL SUO SEQUESTRO, GLI ORCAISTI CHIEDONO, ORA CHE NON CI SONO INONDAZIONI, DI UTILIZZARE LE TUBATURE, E CHE SI RIPRISTINI L’ENERGIA ELETTRICA CHE GLI ORCAISTI STESSI HANNO TAGLIATO PER COLPIRE LA COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI DANNEGGIANDO COSÌ ALTRE COMUNITÀ.

IL NOSTRO COMPAGNO FÉLIX NON HA FATTO DEL MALE A NESSUNO, NON DEVE NIENTE A NESSUNO, NÉ RUBA O SPARA CONTRO PERSONE E VILLAGGI. IL NOSTRO COMPAGNO NON È NEPPURE DIO PER ORDINARE CHE SMETTA DI PIOVERE O PER DARE UN PO’ DI INTELLIGENZA A QUESTI VISCIDI ORCAISTI CHE HANNO TAGLIATO LA LUCE DANNEGIANDO ALTRE COMUNITÀ CHE NON SONO ZAPATISTE NÉ ORCAISTE, E ORA QUESTI ORCAISTI FANNO LE VITTIME PER COPRIRE IL LORO CRIMINE.

ABBIAMO INFORMAZIONI SECONDO LE QUALI GLI ORCAISTI DELLA COMUNITA DI SAN ANTONIO HANNO RICEVUTO SOLDI DAL MALGOVERNO CHE SI SUPPONE FOSSERO PER LA COSTRUZIONE DI UNA SCUOLA PRIMARIA, MA I 300MILA PESOS SONO STATI USATI PER COMPRARE ARMI DI GROSSO CALIBRO. QUESTO FA IL MALGOVERNO DELLA 4T, DICE DI COSTRUIRE SCUOLE MA IN REALTA FINANZIA L’ARMAMENTO DEI PARAMILITARI? È QUESTO IL SUO PIANO CONTRAINSURGENTE?

INFINE DICIAMO A DON LÓPEZ, A DON ESCANDÓN E AI LORO FUNZIONARI, CHE LI RITENIAMO RESPONSABILI DI QUELLO CHE POTREBBE SUCCEDERE AGLI UOMINI, DONNE, BAMBINI E ANZIANI ZAPATISTI DELLE COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI.

IL LORO DOLORE, IL LORO SANGUE, LE LORO SOFFERENZE SONO COLPA VOSTRA, E COSÌ QUELLO CHE POTREBBE SUCCEDERE.

IL COMPAGNO FÉLIX DEVE ESSERE LIBERATO IMMEDIATAMENTE, E DEVONO ESSERE ARRESTATI E PROCESSATI I SEQUESTRATORI DELLA ORCAO CHE DEVE RESTITUIRE E RISARCIRE QUELLO CHE HA RUBATO E DISTRUTTO NEL NOSTRO NEGOZIO COOPERATIVO. LA ORCAO DEVE CAPIRE CHE CHI GIOCA COL FUOCO PRIMA O POI SI SCOTTA. E I MALGOVERNI DEVONO SMETTERLA DI GIOCARE ALLA CONTRAINSURGENCIA E RICORDARE CHE TUTTO FINISCE, ANCHE PER GLI SPACCONI E PREPOTENTI. CHIEDETE A TRUMP.

PER LA GIUNTA DI BUON GOVERNO “NUEVO AMANECER EN RESISTENCIA Y REBELDÍA POR LA VIDA Y LA HUMANIDAD

Caracol Floreciendo la semilla rebelde, Patria Nueva. Chiapas.

Messico, 10 Novembre 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/11/10/los-zapatistas-denuncian-el-secuestro-de-un-base-de-apoyo-por-paramilitares-de-la-orcao/

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Report Secondo Incontro Nazionale di Coordinamento e Supporto al “Viaggio Zapatista in Europa 2021”.

L’assemblea si è svolta giovedì 29 ottobre 2020 in forma telematica. 86 sono stati i punti di collegamento, alcuni collettivi altri individuali, per una copertura del paese da nord a sud.

Dei partecipanti alla prima assemblea non tutti erano presenti, mentre si sono aggiunte altre persone e realtà. Complessivamente i contatti registrati tra la prima e la seconda assemblea sono 160, ai quali viene spedito il presente report.

L’incontro si è aperto con un breve ma articolato resoconto della riunione di EuropaZapatista, fatto a più voci dai collettivi italiani che storicamente vi partecipano. In particolare, è stato riportato quanto riferito dal Messico, e cioè lo stimolo a costruire la venuta degli zapatisti come un’occasione importante che sia utile alla costruzione di percorsi di lotta a livello europeo per costruire un profondo cambiamento radicale della realtà. 

Un calendario della visita che sia capace di coadiuvare interesse europeo/nazionale/locale con una serie di appuntamenti, incontri, chiamate di mobilitazione che qualifichino la presenza della delegazione zapatista. Una delegazione che per dimensioni verrà definita dalla proposta che riusciremo a mettere in campo.

Si è anche condiviso come tutte e tutti stiamo vivendo in un tempo di grande crisi non solo sanitaria ma economica e sociale, con scenari in divenire complessi e contraddittori, in cui quel che avverrà in futuro non è certo definito.

Dopo gli interventi introduttivi si è sviluppata un’interessante e stimolante discussione. Chi è intervenuto non solo ha nuovamente salutato con gioia la possibilità di accogliere la delegazione, ma ha iniziato a ragionare in termini collettivi sulla necessità di costruire un viaggio utile al consolidamento, alla ripresa e allo sviluppo dei movimenti in Italia, e utile alla delegazione per capire, conoscere,
vedere le lotte e le forme di lotta dell’Italia dal basso.

Considerando che l’arrivo potrebbe essere in tarda primavera/estate, la percezione condivisa è che il lavoro di definizione del calendario
non può che essere in movimento e mutevole in base anche a ciò che sarà/accadrà e che dovrà necessariamente essere costruito, focalizzando alcune delle tematiche di lotta che ci accomunano quali l’anticolonialismo, le lotte di genere, la difesa dell’ambiente e del territorio, la resistenza alle grandi opere, l’estrattivismo, le lotte dei e delle migranti e molti altri temi. Al tempo stesso si tratta di elaborare un insieme di iniziative capaci di mantenere collegato il piano europeo con quello nazionale e locale e con le tematiche condivise.

Nell’assemblea si è iniziato ad ipotizzare la possibilità di avere due momenti comuni, con la presenza di tutta la delegazione, quello dell’arrivo e della ripartenza. Nel mezzo l’ipotesi di una delegazione divisa in vari gruppi che si muovano per il paese per conoscere ed incontrare differenti geografie dal Nord al Sud, incluse isole Sicilia e Sardegna, allo scopo di conoscere come si declinano le diverse tematiche della lotta contro il capitalismo nei diversi territori.

Molti interventi hanno sottolineato come si tratti di una discussione aperta, che necessita di tempi e spazi, e che abbisogna del contributo di tutte e tutti per costruire un cammino comune realmente condiviso.

Dopo la prossima riunione di EuropaZapatista che è prevista per il 10 novembre prossimo, e prima di Natale, se non ci sono nuove notizie dal Messico, si convocherà la prima riunione del Gruppo di Supporto.

P.S. Resta inteso che gli incontri di costruzione sono aperti e alla prossima assemblea generale ogni realtà è libera di segnalare/invitare chi ritiene opportuno.

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Quarta Parte: MEMORIA DI CIÒ CHE VERRÀ

Ottobre 2020

È 35 ottobri fa.

Il vecchio Antonio guarda il fuoco che resiste alla pioggia. Sotto il cappello di paglia gocciolante, con un tizzone, accende la sua sigaretta arrotolata con una foglia. Il fuoco si mantiene, a volte nascondendosi sotto i tronchi; il vento lo aiuta e con il suo alito ravviva le braci che arrossano di furia.

L’accampamento è quello chiamato “Watapil”, nella “Sierra Cruz de Plata” che si trova tra le braccia umide dei fiumi Jataté e Perlas. Corre l’anno 1985 e ottobre accoglie il gruppo con una tempesta, preannunciando così le loro giornate. L’alto mandorlo (che ribattezzerà questa montagna nella lingua insurgente) guarda compassionevolmente ai suoi piedi quel piccolo, minuscolo, insignificante pugno di donne e uomini. Volti smunti, pelle tirata, brillante lo sguardo (forse febbre, testardaggine, paura, delirio, fame, mancanza di sonno), vestiti marroni e neri strappati, stivali deformati dalle liane che cercano di mantenere le suole al loro posto.

Con parola lenta, dolce, appena percettibile nel rumore della tormenta, il Vecchio Antonio parla loro come rivolgendosi a sé stesso:

Per quelli del colore della terra verrà di nuovo il Despota ad imporre la sua parola dura, il suo IO assassino della ragione, la sua corruzione mascherata da elemosina.

Verrà il giorno in cui la morte indosserà i suoi abiti più crudeli. I suoi passi adornati di ingranaggi e cigolii, la macchina che fa ammalare le strade mentirà dicendo di portare prosperità mentre semina distruzione. Chi si opporrà a questo rumore che terrorizza piante e animali sarà ucciso nella sua vita e nella sua memoria. L’una con piombo, l’altra con la menzogna. La notte così sarà più lunga. Più prolungato il dolore. La morte più mortale.

Gli Aluxo´ob(*) allerteranno allora la madre e così diranno: “Viene la morte, madre, viene ammazzando”.

La terra madre, la prima, allora si sveglierà – scuotendosi di dosso il sonno di pappagalli, are e tucani -, reclamerà il sangue dei suoi guardiani e guardiane e, rivolgendosi alla sua prole, così dirà:

Vadano gli uni a deridere l’invasore. Vadano le altre a reclamare il sangue fratello. Che non vi spaventino le acque, che non vi scoraggino freddo né caldo. Aprite strade dove non ci sono. Risalite fiumi e mari. Navigate le montagne. Volate su piogge e nuvole. Siate notte, siate giorno, andate di buon mattino ed allertate il tutto. Molti sono i miei nomi e colori, ma uno è il mio cuore, e la mia morte sarà anche quella del tutto. Non vergognatevi dunque del colore della pelle che vi ho dato, né della parola che ho piantato nelle vostre bocche, né della vostra dimensione che a me vi tiene vicini. Vi darò luce nello sguardo, riparo alle vostre orecchie e forza nei vostri piedi e braccia. Non temiate i colori e i modi diversi, né le strade differenti. Perché uno è il cuore che vi ho ereditato, uno l’intendimento ed uno lo sguardo.

Quindi, sotto l’assedio degli Aluxo´ob(*), le macchine dell’inganno mortale crolleranno, spezzata la loro superbia, la loro avarizia. Ed i potenti porteranno da altre nazioni i lacchè che compongono la morte decomposta. Controlleranno le viscere delle macchine di morte e troveranno la ragione del loro affanno e così si diranno: “sono piene di sangue”. Tentando di spiegare la ragione di quella terribile meraviglia, così annunceranno ai loro padroni: “non sappiamo perché, sappiamo solo che è sangue dell’erede del sangue originario”.

Poi, il male pioverà su se stesso nelle grandi case dove il Potente si ubriaca e abusa. L’ingiustizia entrerà nei suoi domini e invece dell’acqua, il sangue scorrerà dalle sorgenti. I suoi giardini appassiranno e così il cuore di coloro che li lavorano e servono. Il potente quindi porterà altri vassalli per usarli. Verranno da altre terre. E nascerà l’odio tra uguali incoraggiato dal denaro. Ci saranno lotte tra loro e la morte e la distruzione arriveranno tra coloro che condividono storia e dolore.

Coloro che prima lavoravano la terra e ci abitavano, ora convertiti in servi e schiavi del Potente sui suoli e nei cieli dei loro antenati, vedranno arrivare la disgrazia nelle loro case. Perderanno le loro figlie e i loro figli, annegati nel marciume della corruzione e del crimine. Tornerà lo “ius primae noctis” con cui il denaro uccide l’innocenza e l’amore. E le ragazze saranno strappate dalle braccia delle madri e la loro giovane carne sarà presa dai Signori per soddisfare la loro viltà e bassezza. A motivo dei soldi il figlio alzerà la mano contro i suoi genitori e il lutto vestirà la loro casa. La figlia si perderà nell’oscurità o la morte, la sua vita e il suo essere uccisi dai Signori e dal loro denaro. Malattie sconosciute attaccheranno chi ha venduto la propria dignità e quella dei suoi per pochi denari, chi ha tradito la propria razza, il proprio sangue e la propria storia e chi ha sollevato e diffuso la menzogna.

La madre Ceiba, la sostenitrice dei mondi, griderà così forte che anche la più lontana sordità sentirà il suo pianto ferito. E 7 voci lontane le si avvicineranno. E 7 braccia distanti la abbracceranno. E 7 pugni diversi le si uniranno. La Ceiba Madre solleverà quindi le sue chiome e i suoi mille piedi scalceranno e butteranno all’aria le strade di ferro. Le macchine su ruote usciranno dai loro tracciati metallici. Le acque traboccheranno da fiumi e laghi e il mare stesso ruggirà di furia. Allora le viscere della terra e del cielo si apriranno in tutti i mondi.

Allora la prima, la madre terra, sorgerà e rivendicherà con il fuoco la sua casa e il suo posto. E sui superbi edifici del Potere avanzeranno alberi, piante e animali, e con il loro cuore vivrà di nuovo Votán Zapata, guardiano e cuore del popolo. E il giaguaro ripercorrerà le sue rotte ancestrali, regnando di nuovo dove volevano regnare il denaro e i suoi lacchè.

E il potente non morirà senza prima vedere la sua ignorante arroganza crollare senza quasi far rumore. E nel suo ultimo respiro conoscerà il Despota che non sarà altro forse che un brutto ricordo nel mondo che si è ribellato e si è opposto alla morte che il suo comandare mandava.

E questo dicono che dicono i morti di sempre, quelli che moriranno di nuovo ma allora per vivere.

E dicono che dicono che si conosca questa parola nelle valli e montagne; che si sappia nelle gole e pianure; che la ripeta il cucù e così avverta i passi del cuore che cammina fraterno; che la pioggia e il sole la seminino nello sguardo di chi abita queste terre; e che il vento la porti lontano ed annidi nel pensiero compagno.

Perché cose terribili e meravigliose arriveranno, questi cieli e suoli vedranno.

E il giaguaro ripercorrerà le sue rotte ancestrali, regnando di nuovo dove il denaro e i suoi lacchè volevano regnare.”

Il vecchio Antonio tace e, con lui, la pioggia. Niente dorme. Tutto sogna.

-*-

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupGaleano

Messico, Ottobre 2020

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane: Parte II.- I cayucos.

Vi ricordo che le divisioni tra i paesi servono solo a definire il crimine di “contrabbando” e a dare un senso alle guerre. È chiaro che ci sono almeno due cose che vanno oltre i confini: una è il crimine che, mascherato da modernità, distribuisce la miseria su scala mondiale; l’altra è la speranza che la vergogna esista solo quando si sbaglia un passo di danza, e non ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Per abbattere il primo e fare fiorire la seconda, è necessario solo lottare ed essere migliori. Il resto va da sé ed è quello che di solito riempie biblioteche e musei. Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo. Salute, e sappiate che per l’amore il letto è solo un pretesto; per il ballo una canzonetta è solo un ornamento; e per lottare la nazionalità è solo un incidente puramente circostanziale.

Don Durito de La Lacandona, 1995

Il SubMoy stava dicendo a Maxo che forse sarebbe stato meglio provare con il legno di balsa (“sughero” dicono qui), ma l’ingegnere navale sostiene che, poiché è più leggero, la corrente lo trascinerebbe più facilmente. “Ma avevi detto che nel mare non c’è corrente”. “Ma magari c’è”, si è difeso Maxo. Il SubMoy ha detto ai vari comitati di procedere con la prova dei: cayucos.

Si mettono a intagliare diversi cayucos. Con asce e machete hanno dato forma e vocazione marinara ai tronchi la cui destinazione originaria era legna da ardere nel focolare. Poiché il SubMoy si è assentato per alcuni istanti, sono andati a chiedere al SupGaleano se dovevano dare dei nomi alle barche. Il Sup che stava osservando il Monarca mentre sistemava un vecchio motore diesel, ha risposto distrattamente: “Sì, certo”.

Sono tornati quindi al lavoro iniziando a incidere e dipingere nomi razionali e misurati sui fianchi delle barche. Su una si leggeva: “El Chompiras Nuotatore e Salta Pozzanghere”. Un’altra: “L’internazionalista. Una cosa è una cosa e un’altra è dont fuck me, amico”. Un’altra ancora: “Arrivo subito, amore mio”. Su quella più in là: “Vai, perché mi invitano”. Quelli del puy Jacinto Canek hanno battezzato la loro “Jean Robert”, che è il loro modo di accompagnarlo nel suo viaggio.

Su un’altra si legge: “Se c’è da piangere, non manca certo l’acqua salata”, e a continuazione: “Questa barca è stata realizzata dalla Commissione Marittima del municipio autonomo ribelle zapatistaCi criticano per aver dato nomi molto lunghi ai MAREZ e Caracoles, ma non ci importa – della Giunta di Buon Governo “E anche”. Prodotto deperibile. Data di scadenza: dipende. Le nostre barche non affondano, ma scadono, non è la stessa cosa. Assumiamo produttori di cayucos e musicisti nel CRAREZ (escluso marimba o impianti audio – perché se si bagnano poi non si possono sostituire -, ma vogliamo davvero cantare … beh, più o meno. Dipende). Questo cayuco è quotato solo nelle borse di resistenza. Continua nel prossimo cayuco…”, (ovviamente devi fare il giro del cayuco e delle pareti interne per leggere per intero il “nome”; sì, hai ragione, ci vorrà così tanto tempo prima che il sottomarino nemico trasmetta il nome completo della barca da affondare che, quando avrà terminato la barca sarà già attraccata sulle coste europee).

Il punto è che, mentre scavano i tronchi, la voce si è sparsa. L’amato Amado ha detto al Pablito che ha raccontato al Pedrito che ha informato Defensa Zapatista che lo ha riferito a la Esperanza che ha detto a Calamidad “non dirlo a nessuno” che lo ha detto alle sue “mammine” che lo hanno detto nel gruppo “noi come donne”.

Quando il SupGaleano è stato informato che le donne stavano arrivando, il Sup ha alzato le spalle e ha consegnato al Monarca la chiave che chiamano spagnola, da mezzo pollice, sputando pezzi di bocchino della sua pipa.

Subito è arrivato Jacobo: “Hei Sup, il SubMoy tarda ancora?

Non ne ho idea”, ha risposto il SupGaleano guardando sconsolato la sua pipa rotta.

Jacobo: “Sai in quanti viaggeranno?

Il Sup: “L’Europa del basso ancora non ha fatto sapere quanti ne possono accogliere. Perché?

Jacobo: “Perché… è meglio che vieni a vedere”.

Il SupGaleano rompe un’altra pipa vedendo la “flotta” zapatista. Sulla riva del fiume i 6 cayucos con nomi strambi, allineati, sono colmi di vasi e fiori.

E questo cos’è?”, chiede il Sup solo così per sapere.

È il carico delle compagne”, risponde rassegnato Rubén.

Il Sup: “Il loro carico?”.

Rubén: “Sì, sono arrivate ed hanno solo detto “questo servirà” e se ne sono andate lasciando queste piantine. E poi è arrivata una bambina che non so come si chiama ma che ha chiesto quanto durerà il viaggio, cioè quanto ci vorrà per arrivare dove stiamo andando. Le ho chiesto perché lo voleva sapere, se è perché vanno le sue mammine o che. Mi ha detto no, era perché voleva mandare un albero, piccolino, che se il viaggio si dilungasse, l’alberello crescerebbe e potremmo bere pozol all’ombra se il sole picchia forte.”

Ma se sono tutte uguali”, aggiunge il Sup (riferendosi alle piante, ovviamente).

No”, dice la componente del comitato Alejandra. Questa è artemisia, per il mal di pancia; questo è timo; questa è menta; là la camomilla, origano, prezzemolo, coriandolo, alloro, tè, aloe; questa è per la diarrea, questa per le scottature, questa per l’insonnia, quella per il mal di denti, qua per le coliche, questa si chiama “guarisci tutto”, l’altra là per il vomito, anche momo, erba mora, cipolla, ruta, gerani, garofani, tulipani, rose, mañanitas; e cose così.”

Jacobo si sente in obbligo di spiegare: “Appena terminavamo un cayuco, ci voltavamo e già era strapieno. E poi ancora così. Ne abbiamo fatti già 6, per questo chiedo se ne dobbiamo fare altri, perché di sicuro continueranno a riempirli.

Ma se portano tutto questa roba, dove si mettono i compagni?” riflette il Sup con una compagna, coordinatrice delle donne, che tra le braccia porta due vasi di fiori ed un bimbetto nello scialle a tracolla sulle spalle.

Ah, perché, vengono anche gli uomini?”, dice.

Comunque, non ci stanno dentro nemmeno le donne”, aggiunge il Sup “sull’orlo di una crisi di nervi”.

Lei: “Ah, è che noi non andremo in barca. Noi andremo in aereo, per evitare di vomitare. Beh, magari un poco, ma sempre meno.”

Sup: “E chi vi ha detto che voi in aereo?

Lei: “Noi”.

Sup: “Ma da dove ti viene quello che mi stai dicendo?”

Lei: “Esperanza è venuta alla riunione di ‘noi come donne’ e ci ha detto che moriremo miseramente se andremo con quei dannati uomini. Quindi ci abbiamo pensato in assemblea e abbiamo concordato che non abbiamo paura e siamo molto decise e determinate a che gli uomini muoiano miseramente e non noi.

Abbiamo già fatto i conti e noleggeremo l’aereo che il Calderón ha comprato per il Peña Nieto e che i malgoverni di adesso non sanno che farsene. Dicono che il costo del biglietto è di 500 pesos a persona. In questo momento sono 111 le compagne iscritte, ma mancano le squadre di calcio delle miliziane. Quindi, se andassimo solo in 111 sarebbero 55.500,00 pesos, ma le donne e i bimbi piccoli pagano solo la metà, quindi 27.750. Resta da detrarre l’IVA e il bonifico per le spese di rappresentanza, quindi diciamo circa 10mila pesos per tutte. Questo se il dollaro non scende, altrimenti di meno. Ma, perché non ci siano reclami per i soldi, vi diamo il bue del mio compadre, che è uguale a non dico chi, e cosa gli facciamo, i maschi sono tutti così.”

Il SupGaleano tace, cercando di ricordare dove diavolo ha lasciato la pipa di emergenza. Ma quando vede le donne che iniziano a caricare polli, galli, pulcini, porcellini d’India, anatre e tacchini, dice al Monarca: “Presto, chiama il SubMoy e digli che è estremamente urgente, che venga subito”.

La processione di donne, piante e animali si allunga oltre il pascolo. Segue la banda di Defensa Zapatista: la colonna dell’orda è aperta dal Pablito già in modalità “se non li batti, unisciti a loro”, con il suo cavallo, seguito dall’amato Amado con la sua bicicletta – con la gomma a terra -. Quindi il gatto-cane che incita una mandria di bovini. Defensa ed Esperanza misurano i cayucos calcolando se ci stanno le porte di calcio. Il cavallo orbo porta sul muso una rete con bottiglie di plastica. Calamidad passa con un cucciolo che urla terrorizzato temendo di essere gettato nel fiume e poi tirato su in seguito… o no?

Chiude la colonna qualcuno che somiglia straordinariamente ad uno scarabeo, con un toppa da pirata sull’occhio destro, un filo di ferro attorcigliato ad una zampa – a mo’ di uncino -, e su un’altra una specie di zampa di legno, che altro non è che un pezzo di liana. Lo strano essere, che brandisce una mascherina di metallo, declama con notevole intonazione: “Con dieci cannoni per lato, / vento in poppa, a vele spiegate, / non taglia il mare bensì vola / un brigantino veliero. / Vascello pirata che chiamano / per il suo coraggioEl Temido”, / In tutto il mare conosciuto / dall’uno all’altro confine”.

Quando il Subcomandante Insurgente Moisés, capo della spedizione in erba, torna, trova il SupGaleano inspiegabilmente sorridente. Il Sup ha trovato un’altra pipa, questa intatta, nella tasca dei suoi pantaloni.

In Fede.
Guau-Miau.

*)Piccoli spiriti magici Maya protettori delle montagne.
**)Piccola canoa con fondo piatto e senza chiglia governata con una pagaia molto ampia chiamata “canalete” utilizzata nelle Antille e in altre parti dell’America.

Traduzione “Maribel” – Bergamo
Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/19/cuarta-parte-memoria-de-lo-que-vendra/

https://vimeo.com/469379048

https://youtu.be/80EIfHMndnQ

https://youtu.be/MsDF2H5DDV4

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REPORT ASSEMBLEA ONLINE 14 OTTOBRE 2020 – ITALIA

Mercoledì 14 ottobre 2020, 96 punti di connessione, per un totale di oltre 130 tra compagne e compagni di molte città di diverse regioni d’Italia, hanno partecipato all’incontro nazionale online proposto e coordinato da 20zln, Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo, Ya Basta Padova e Cooperazione Rebelde di Napoli. Al centro dell’incontro la discussione attorno ai primi comunicati dell’EZLN* in cui viene annunciato che una delegazione zapatista viaggerà nei 5 continenti nel 2021.

L’assemblea è stata convocata per aprire la discussione ed avviare, in maniera plurale e condivisa, un percorso politico e di accoglienza degna per i compagni e le compagne zapatiste in Europa. Un cammino comune, tra tante e tanti diversi, per contribuire a creare una ricca e variegata mobilitazione italiana ed europea che costruisca le condizioni per forzare le frontiere della “Fortezza Europa”.

Molti sono stati gli interventi di singoli e realtà collettive che animano le lotte e le mobilitazioni femministe, sulle questioni di genere, la difesa del territorio e delle risorse naturali, dei centri sociali, delle case occupate, di chi è al fianco dei migranti, per una cambiamento del sistema e non del clima, per affermare nuovi diritti per i lavoratori e le lavoratrici precari e non, per opporsi alle nuove forme di razzismo, nazionalismo, sovranismo e identitarismo.

Nella discussione si sono condivisi pensieri, suggestioni, sogni e dubbi attorno alla proposta arrivata dalla Selva Lacandona. Tutte, tutti e tuttu hanno espresso la loro disponibilità ad impegnarsi per costruire dal basso le condizioni necessarie allo sbarco in Europa e al conseguente viaggio della delegazione tra i diversi paesi del continente.

Si è sottolineato come la proposta zapatista rappresenta un’opportunità per chi vuole, anche in Italia, costruire un cambiamento radicale.

Tante delle riflessioni che attraversano i comunicati zapatisti si rispecchiano anche nei percorsi di chi, qui da noi, contrasta la violenza delle frontiere, anima le lotte femministe dell’oggi, vuole costruire pratiche de-colonizzate.

La sfida sarà quella di riuscire a costruire uno spazio politico ampio e plurale in Italia ed anche a livello europeo, a partire anche dalla rete di EuropaZapatista, che sia in grado di essere e rappresentare, oggi, quell’anomalia politica che può aprire le porte dell’impossibile.

Si è pensato di creare un “Gruppo di Supporto”, dinamico, che si può allargare in base alle necessità e alle esigenze. Un gruppo di supporto non per dirigere ma per condividere le comunicazioni, che agisca con funzioni operative e per facilitare, passo a passo, la strada comune nelle assemblee collettive.

Chi conferma la volontà già espressa in assemblea, e chi si vuole aggiungere al “Gruppo di Supporto”, mandi una mail a proyecto20zln@gmail.com

Nella settimana successiva all’assemblea di EuropaZapatista del 20 ottobre 2020, si convocherà il primo incontro del Gruppo di supporto sui punti specifici e le novità che usciranno dai prossimi comunicati e dal coordinamento europeo.

Come hanno detto in molte e molti l’assemblea del 14 ottobre è stata un primo passo… ora il cammino è nelle mani di ognuno di noi, ma partire insieme è già un inizio.

 

*Sesta parte: UNA MONTAGNA IN ALTO MARE Comunicato del COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/06/sesta-parte-una-montagna-in-alto-mare/

* Quinta parte: LO SGUARDO E LA DISTANZA DALLA PORTA  http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/quinta-parte-lo-sguardo-e-la-distanza-dalla-porta/

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La nave va

di Juan Villoro* – 9 ottobre 2020

Nella necessaria rivendicazione dei diritti dei popoli nativi, talvolta si pone l’enfasi sulle loro radici vernacolari e il movimento è limitato agli interessi locali. Questo non è il caso dei nuovi zapatisti. Fin dall’inizio, la loro sorprendente ideologia è stata un’avventura di diversità e inclusione (“Un mondo in cui ci stanno molti mondi”), e hanno convocato incontri di ogni tipo, come l’incontro che non hanno esitato a definire “intergalattico”.

Nel 1996 l’EZLN firmò gli Accordi di San Andrés con i rappresentanti del Presidente Zedillo. La fine del conflitto sembrava in vista; l’autonomia dei popoli nativi era garantita senza violare la sovranità. Si arrivò a questo punto dopo intense discussioni. Chi di noi ha partecipato come consigliere degli zapatisti alle sessioni precedenti la firma, non può dimenticare il rifiuto della delegazione governativa di fare proposte e anche di commentare quanto si diceva: “Siamo qui per ascoltare con rispetto”, ripetevano come un mantra. Tuttavia, si raggiunse un’apparente soluzione. Il paradosso è che, mentre i ribelli si fidavano della loro parola, il governo si preparava a tradirla.

Quattro anni dopo, quando Vicente Fox vinse le elezioni, gli Accordi divennero lettera morta. Nella sua campagna elettorale, il “candidato del cambiamento” prometteva di risolvere il problema del Chiapas in 15 minuti e così insisteva durante il suo insediamento.

Gli zapatisti lo presero sul serio e iniziarono la Marcia del Colore della Terra che si concluse nello Zócalo e permise alla Comandante Esther di parlare nel Parlamento (nonostante l’ardente arringa di Felipe Calderón, allora deputato, per impedire a una donna indigena di rivolgersi alla nazione). Il messaggio zapatista era chiaro: rispetto della legalità e diritto di partecipare nella Casa della Parola, il Congresso dell’Unione, cioè, appartenere al paese. Poco dopo, il PRI, il PAN ed il PRD votarono contro la trasformazione in legge degli Accordi di San Andrés. Così sfumò una possibilità storica. Come nel racconto di Kafka “Davanti alla legge”, si chiudeva una porta che non custodiva altro che un’illusione.

Gli zapatisti si rifugiarono nei loro territori e si dedicarono al compito, meno spettacolare ma senza dubbio epico, di trasformare la vita quotidiana. In “Giustizia Autonoma Zapatista”, Paulina Fernández Christlieb offre un dettagliato racconto dei lavori delle Giunte di Buon Governo e della democrazia diretta che si esercita nei cinque “caracoles” zapatisti.

In questa lotta per l’equità è stata decisiva la prospettiva di genere che nel 2018 ha portato all’Incontro Internazionale delle Donne che Lottano (ripreso nel 2019 con la partecipazione di delegate di 49 Paesi).

Coloro che hanno meno, hanno fornito una continua lezione sul rispetto dell’altro in tempi di polarizzazione, dove il disaccordo è sinonimo di inimicizia.

Un paio di giorni fa hanno annunciato che salperanno per l’Europa per commemorare i 500 anni dalla caduta di Tenochtitlan. Non sono animati da un desiderio vendicativo, ma dal desiderio di dialogare nella differenza.

Riferendosi alla Spagna, partono dal riconoscimento elementare dell’esistenza del meticciato, così come dal multiculturalismo. È assurdo chiedere agli spagnoli di oggi di rispondere della politica imperiale di Carlo I e Filippo II. D’altra parte, i messicani non sono estranei al contesto spagnolo. Nel loro ampio comunicato, gli zapatisti ricordano che l’intera specie proviene dall’Africa e che i crimini che condannano sono recenti quanto l’omicidio dell’ambientalista Samir Flores Soberanes, che si opponeva alla centrale termoelettrica di La Huexca, Morelos.

La traversata zapatista mostrerà che il realismo magico può essere pratica e che ciò che è alieno migliora ciò che è proprio: “Parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non pretendere che ci chieda perdono … Per cosa ci dovrebbe chiedere perdono la Spagna? Di aver partorito Cervantes?”.

Gli scettici parleranno di romanticismo delirante e paranoico della manipolazione internazionale. Non sarà la prima volta che un viaggio senza rotte definite sembri assurdo a chi ignora che il nuovo è caratterizzato dal non essere accaduto prima.

“Aprile è il mese più crudele”, ha scritto T. S. Eliot ne “La Terra Desolata”, una poesia concepita tra due guerre mondiali.

Nell’aprile 2021 gli zapatisti proporranno un altro modo di risiedere sulla Terra.

*Juan Villoro. Scrittore, Premio Herralde de Novela 2004 e del Premio Rey de España per il suo testo “La Alfombra Roja, el imperio del narcotráfico”.

Fonte: https://www.etcetera.com.mx/opinion/la-nave-va/

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Quinta Parte: LO SGUARDO E LA DISTANZA DALLA PORTA.

Ottobre 2020

Supponiamo che sia possibile scegliere, ad esempio, il modo di guardare. Supponiamo di potervi liberare, anche per un attimo, dalla tirannia dei social network che impongono non solo cosa guardare e di cosa parlare, ma anche come guardare e come parlare. Quindi, supponi di guardare in alto. Molto in alto: dal più vicino al locale al regionale al nazionale al globale. Lo vedi? È vero, un caos, un pasticcio, un disordine. Quindi supponiamo che tu sia un essere umano; ebbene, non è un’applicazione digitale che, rapidamente, guarda, classifica, gerarchizza, giudica e sanziona. Quindi scegli cosa guardare… e come guardare. Potrebbe essere, è un’ipotesi, che guardare e giudicare non siano la stessa cosa. Quindi tu non solo scegli, ma decidi. Cambiare la domanda da “questo è male o bene?”, a “cos’è questo?”. Certo, la prima domanda porta a un invitante dibattito (ci sono ancora dibattiti?). E da lì al “Questo è male – o bene – perché lo dico io”. O, forse, c’è una discussione su ciò che è bene e male, e da lì agli argomenti e alle note a piè di pagina. È vero, hai ragione, è meglio che ricorrere ai “like” e “manina in alto“, ma ti ho proposto di cambiare il punto di partenza: scegliere la meta del tuo guardare.

Ad esempio: decidi di guardare i musulmani. Puoi scegliere, ad esempio, tra chi ha perpetrato l’attacco contro Charlie Hebdo o tra chi ora sta marciando per le strade della Francia per rivendicare, reclamare, imporre i propri diritti. Dato che sei arrivato a leggere queste righe, è molto probabile che preferisci i “sans papiers“. Ovviamente ti senti anche obbligato a dichiarare che Macron è un idiota. Ma, distogliendo questa rapida occhiata verso l’alto, guardi di nuovo i sit-in, gli accampamenti e le marce dei migranti. Ti chiedi quanti sono. Ti sembrano troppi, o pochi, o tantissimi, o abbastanza. Sei passato dall’identità religiosa alla quantità. E poi ti chiedi cosa vogliono, per cosa lottano. E qui decidi se andare sui media e sulle reti per scoprirlo … o ascoltarli. Supponi di poter fare loro delle domande. Chiedi quale è il loro credo religioso, e quanti sono? Oppure chiedi loro perché hanno lasciato la loro terra e hanno deciso di raggiungere suoli e cieli che hanno un’altra lingua, un’altra cultura, altre leggi, un altro modo di vivere? Forse ti risponderanno con una sola parola: guerra. O forse ti spiegheranno in dettaglio cosa significa questa parola nella loro realtà. Guerra. Decidi di indagare: guerra dove? O meglio ancora. Perché questa guerra? Poi ti sommergono di spiegazioni: credenze religiose, controversie territoriali, saccheggio di risorse o, chiaro e semplice, stupidità. Ma non ti accontenti e chiedi chi trae vantaggio da distruzione, spopolamento, ricostruzione, ripopolamento. Trovi i dati di diversi enti. Indaghi sugli enti e scopri che si trovano in diversi paesi e che producono non solo armi, ma anche automobili, missili interstellari, forni a microonde, servizi di consegna pacchi, banche, social network, “contenuti multimediali”, abbigliamento, telefoni cellulari e computer, calzature , alimenti biologici e non biologici, compagnie di navigazione, vendite online, treni, capi di governo e gabinetti, centri di ricerca scientifica e non scientifica, catene di hotel e ristoranti, “fast food“, compagnie aeree, impianti termoelettrici e, naturalmente, fondazioni di aiuti “Umanitari”. Si potrebbe dire, quindi, che la responsabilità è dell’umanità o del mondo intero.

Ma ti chiedi se anche il mondo o l’umanità non siano responsabili di quella marcia, sit-in, accampamento di migranti, di quella resistenza. E poi concludi che, può essere, è probabile, forse, è un intero sistema che è responsabile. Un sistema che produce e riproduce il dolore, chi lo infligge e chi lo subisce.

Ora volgi lo sguardo alla marcia che percorre le strade della Francia. Supponiamo che siano pochi, pochissimi, che sia solo una donna che porta il suo piccolo. Ti interessa ora il suo credo religioso, la sua lingua, i suoi vestiti, la sua cultura, il suo modo di fare? Ti importa che sia solo una donna che porta il suo bambino tra le braccia? Ora dimentica per un momento la donna e concentra lo sguardo solo sul bambino. Ha importanza se è maschio o femmina o altroa? Il suo colore della pelle? Forse scoprirai, ora, che ciò che conta è la sua vita.

Ora vai oltre, dopotutto hai già raggiunto queste righe, quindi qualcuna in più non ti farà male. Ok, non troppo danno.

Supponi che questa donna ti parli e che tu abbia il privilegio di capire cosa sta dicendo. Pensi che ti chiederà scusa per il colore della sua pelle, il suo credo religioso o no, la sua nazionalità, i suoi antenati, la sua lingua, il suo genere, il suo modo di fare? Tu, ti premuri di chiedere scusa per quello che sei? Ti aspetti che ti perdoni e che lei torni alla sua vita con questo conto saldato? O che lei non ti perdonerà e ti dici “beh, almeno ci ho provato e mi dispiace sinceramente per quello che sono?”.

O hai paura che non ti parli, che ti guardi soltanto in silenzio, e senti che quello sguardo ti chiede “E tu, che fai?”.

Se arrivi a questo ragionamento-sentimento-angoscia-disperazione, allora, mi dispiace, non c’è rimedio: sei un essere umano.

-*-

Chiarito così non sei un bot, ripeti l’esercizio sull’Isola di Lesbo; sulla Rocca di Gibilterra; nel Canale della Manica; a Napoli; sul fiume Suchiate; sul Río Bravo.

Ora sposta lo sguardo e cerca Palestina, Kurdistan, Euskadi e Wallmapu. Sì, lo so, confonde un po’… e non è tutto. Ma anche in quei luoghi ci sono quelli (tanti o pochi o troppi o abbastanza) che lottano per la vita. Ma si scopre che concepiscono la vita inseparabilmente legata alla loro terra, alla loro lingua, alla loro cultura, al loro modo. Quello che il Congresso Nazionale Indigeno ci ha insegnato a chiamare “territorio”, e che non è solo un pezzo di terra. Non ti tenta che queste persone ti raccontino la loro storia, la loro lotta, i loro sogni? Sì, lo so, per te potrebbe essere meglio rivolgerti a Wikipedia, ma non è allettante ascoltarlo direttamente e cercare di capirlo?

Torna ora tra il Río Grande e il fiume Suchiate. Vieni in un posto chiamato “Morelos”. Avvicina il tuo sguardo al villaggio di Temoac. Concentrati ora sulla comunità di Amilcingo. Vedi quella casa? È la casa di un uomo che in vita portava il nome di Samir Flores Soberanes. Davanti a quella porta è stato assassinato. Il suo crimine? Opporsi a un megaprogetto che rappresenta la morte per la vita delle comunità a cui appartiene. No, non ho sbagliato nella formulazione: Samir è assassinato non per aver difeso la sua vita individuale, ma quella delle sue comunità.

Inoltre: Samir è stato assassinato per aver difeso la vita di generazioni a cui non si è ancora pensato. Perché per Samir, per i suoi compagni, per i popoli indigeni raggruppati nel CNI e per noi, noi zapatisti, la vita di comunità non è qualcosa che accade solo nel presente. È soprattutto ciò che verrà. La vita della comunità è qualcosa che si costruisce oggi, ma per domani. La vita nella comunità è qualcosa che si eredita. Pensi che il conto sia saldato se gli assassini – intellettuali e materiali – si scusino? Pensi che la sua famiglia, la sua organizzazione, il CNI, noi, saremmo soddisfatti che dei criminali chiedano perdono? “Perdonami, l’ho denunciato in modo che i sicari potessero giustiziarlo, sono sempre stato una boccaccia. Mi correggerò, oppure no. Ho già chiesto scusa, ora rimuovi il tuo presidio e andiamo a completare la centrale termoelettrica, perché altrimenti andranno persi molti soldi”. Credi che è questo che si aspettano, ci aspettiamo, che è per questo che lottano, che noi lottiamo? Che dichiarino “scusate, sì, abbiamo ucciso Samir e, per inciso, con questo progetto, abbiamo ucciso le sue comunità. Allora perdonateci. E se non ci perdonate, non ci interessa, il progetto va portato a termine”?

E si scopre che le stesse persone che chiederebbero scusa per la centrale termoelettrica, sono le stesse del Treno a torto chiamato “Maya”, le stesse del “corridoio transistmico”, le stesse delle dighe, delle miniere a cielo aperto e delle centrali elettriche, le stesse che chiudono le frontiere per fermare la migrazione causata dalle guerre che loro stessi alimentano, le stesse che perseguitano i mapuche, le stesse che massacrano i curdi, le stesse che distruggono la Palestina, le stesse che sparano agli afroamericani, le stesse che sfruttano (direttamente o indirettamente) i lavoratori in ogni angolo del pianeta,le stesse che coltivano ed esaltano la violenza di genere, le stesse che prostituiscono bambini, le stesse che ti spiano per scoprire cosa ti piace e te lo vendono – e se non ti piace, fanno in modo che ti piaccia – le stesse che distruggono la natura. Gli stessi che vogliono farti credere, a te, agli altri, a noi, che la responsabilità di questo crimine globale e in atto è responsabilità delle nazioni, dei credo religiosi, della resistenza al progresso, dei conservatori, delle lingue, delle storie, dei modi. Che tutto sia sintetizzato in un individuo … o individua (non dimenticare la parità di genere).

Se tu potessi andare in tutti quegli angoli di questo pianeta morente, cosa faresti? Beh, non lo sappiamo. Ma noi, zapatiste e zapatisti, andremmo ad imparare. Certo, anche per ballare, ma una cosa non esclude l’altra, credo. Se ci fosse questa opportunità, saremmo disposti a rischiare tutto, tutto. Non solo la nostra vita individuale, ma anche la nostra vita collettiva. E se questa possibilità non esistesse, lotteremmo per crearla. Per costruirla, come se fosse una nave. Sì, lo so, è pazzesco. Qualcosa di impensabile. Chi penserebbe che chi resiste alla centrale termoelettrica in un minuscolo angolo del Messico, possa interessarsi alla Palestina, ai mapuche, ai baschi, al migrante, all’afroamericano, alla giovane ambientalista svedese, alla guerriera Curda, alla donna che combatte in un’altra parte del pianeta, in Giappone, in Cina, nelle Coree, in Oceania, in madre Africa?

Non dovremmo, invece, andare, per esempio, a Chablekal, nello Yucatán, nella sede di Equipo Indignación e chiedere: “Ehi! Siete di pelle bianca e siete credenti, chiedete scusa!”? Sono quasi sicuro che risponderebbero: “nessun problema, ma aspetta il tuo turno, perché ora siamo impegnat@ ad accompagnare coloro che si oppongono al Tren Maya, coloro che subiscono espropriazioni, persecuzioni, carcere, morte”. E aggiungerebbero:

“Inoltre dobbiamo rispondere all’accusa che il supremo ci fa di essere finanziati dai progressisti come parte di un complotto interplanetario per fermare la 4T”. Di quello che sono sicuro è che userebbero il verbo “accompagnare”, e non “dirigere”, “comandare”, “condurre”.

O meglio dovremmo invadere l’Europa al grido di “Arrenditi viso pallido!”, e distruggere il Partenone, il Louvre e il Prado e, invece di sculture e dipinti, riempire tutto con ricami zapatisti, specialmente di mascherine zapatiste – che, per inciso, sono efficaci e carine; e invece di pasta, crostacei e paella, imporre il consumo di mais, cacaté e yerba mora; al posto di bibite, vini e birre, pozol obbligatorio; e chi esce senza passamontagna, multa o carcere (sì, facoltativo, perché non bisogna neanche esagerare); e dichiarare “E a quei rockers, marimba obbligatoria! E d’ora in poi solo cumbias, basta con il reggaeton (ti tenta, vero?)! Su, tu, Panchito Varona e Sabina, e gli altri del coro, cominciate con “Cartas Marcadas”, e in loop, anche se sono le dieci, le undici, le dodici, l’una, le due e le tre … e poi basta, perché domani dobbiamo alzarci presto! Ehi tu, ex re dei fuggiaschi, lascia in pace quegli elefanti e comincia a cucinare! Minestra di zucca per tutta la corte! (lo so, la mia crudeltà è squisita)?

Ora dimmi: pensi che l’incubo di quelli in alto sia di essere costretti a chiedere perdono? Non sarà che ciò che popola i loro sogni di cose orrende è che scompaiano, che non siano importanti, che non vengano presi in considerazione, che siano niente, che il loro mondo cada a pezzi senza far rumore, senza nessuno che li ricordi, che eriga per loro statue, musei, canti, giorni da commemorare? Non sarà che a gettarli nel panico sia la possibile realtà?

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Fu una delle poche volte in cui il defunto SupMarcos non fece ricorso a una similitudine cinefila per spiegare qualcosa. Perché, non sta a voi saperlo, né io a raccontarvelo, il trapassato riusciva a collegare le tappe della sua breve vita, ciascuna, a un film. Oppure accompagnare una spiegazione sulla situazione nazionale o internazionale con un “come nel film tale”. Naturalmente, più di una volta ha dovuto ricomporre la sceneggiatura per adattarla alla narrazione. Poiché la maggior parte di noi non aveva visto il film in questione, e non avevamo segnale per consultare Wikipedia nei cellulari, ci credevamo. Ma non allontaniamoci dall’argomento. Aspetta, credo che l’abbia lasciato scritto su uno di quei fogli che riempiono il suo baule dei ricordi… Eccolo! Dunque:

Per capire il nostro impegno e la dimensione della nostra audacia, immagina che la morte sia una porta che viene varcata. Ci saranno molte e varie speculazioni su cosa c’è dietro quella porta: paradiso, inferno, limbo, nulla. E riguardo a queste opzioni, dozzine di descrizioni. La vita, quindi, potrebbe essere concepita come la via per quella porta. La porta, quindi la morte, sarebbe dunque un punto di arrivo … o un’interruzione, lo squarcio impertinente dell’assenza che ferisce l’aria della vita.

A quella porta si arriverebbe, allora, con la violenza della tortura e l’assassinio, l’infortunio di un incidente, il penoso socchiudere la porta in una malattia, la stanchezza, il desiderio. Cioè, benché la maggioranza delle volte si arrivi a quella porta senza desiderarlo né pretenderlo, sarebbe anche possibile che fosse una scelta.

Tra i popoli originari, oggi zapatisti, la morte era una porta piantata quasi all’inizio della vita. L’infanzia la incontrava prima dei 5 anni e l’attraversava tra febbri e diarree. Quello che facemmo il primo gennaio 1994 fu tentare di allontanare quella porta. Certo, bisognò essere disposti ad attraversarla per riuscirci, benché non lo desiderassimo. Da allora tutti i nostri sforzi sono stati e sono tuttora per spostare quella porta il più lontano possibile. “Allungare l’aspettativa di vita”, direbbero gli specialisti. Ma vita degna, aggiungeremmo noi. Spostarla fino a metterla da parte, ma ben prima del cammino. Ecco perché abbiamo detto all’inizio della sollevazione che “per vivere, moriamo”. Perché se non ereditiamo la vita, cioè il sentiero, allora per cosa viviamo?”

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Ereditare vita.

Questo è precisamente quello che preoccupava Samir Flores Soberanes. E questo è quello che può sintetizzare la lotta del Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala, nella loro resistenza e ribellione contro la Centrale Termoelettrica e il cosiddetto “Proyecto Integral Morelos”. Alle loro richieste di fermare e cancellare un progetto di morte, il malgoverno risponde sostenendo che andrebbero persi molti soldi.

Là, in Morelos, si sintetizza l’attuale scontro in tutto il mondo: denaro contro vita. E in questo scontro, in questa guerra, nessuna persona onesta dovrebbe essere neutrale: o con i soldi, o con la vita.

Quindi, potremmo concludere, la lotta per la vita non è un’ossessione tra i popoli indigeni. È piuttosto … una vocazione … collettiva.

Bene. Salute, e non dimentichiamo che perdono e giustizia non sono la stessa cosa.

Dalle montagne delle Alpi, pensando a cosa invadere per primo: Germania, Austria, Svizzera, Francia, Italia, Slovenia, Monaco, Liechtenstein? No, sto scherzando… o no?

El SupGaleano che si produce elegantemente nel saluto col gomito.

Messico, Ottobre 2020

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane: Una montagna in alto mare. Parte I: La zattera.

E nei mari di tutti i mondi che sono nel mondo,
si vedevano montagne muoversi sull'acqua e, con il
volto negato, donne, uomini e otroas su di esse”.
Crónicas del mañana”. Don Durito de La Lacandona. 1990

Al terzo tentativo fallito, Maxo si è fermato a pensare e dopo pochi secondi ha esclamato: “Ci vuole una corda”. “Te l’avevo detto”, ha detto Gabino. I resti della zattera galleggiavano sparsi sbattendo tra di loro nel flusso della corrente del fiume che, facendo onore al suo nome di “Colorado”, si tingeva del fango rossiccio delle sue rive.

Hanno quindi chiamato uno squadrone di cavalleria che è arrivato al ritmo della “Cumbia Sobre el Río Suena”, del maestro Celso Piña. Hanno legato le corde in due lunghi tratti. Hanno mandato una squadra dall’altra parte del fiume. Con le corde legate alla zattera, entrambi i gruppi potevano così controllare la rotta dell’imbarcazione senza che il fascio di tronchi si sciogliesse trascinato da un fiume che nemmeno si accorgeva del tentativo di navigazione.

Lo sproposito in corso è nato dopo che si era decisa l’invasione … scusate, la visita ai cinque continenti. E poi niente da fare. Perché quando si è votato, e alla fine il SupGaleano ha detto “siete matti, non abbiamo una barca”, Maxo ha risposto: “ne faremo una”. E subito hanno iniziato a fare proposte.

Come ogni cosa assurda nelle terre zapatiste, la costruzione della “barca” ha attirato la banda di Defensa Zapatista.

“Le compagne moriranno miseramente”, ha dichiarato Esperanza, con il suo già leggendario ottimismo (in qualche libro la bimba ha trovato questa parola e ha capito che si riferiva a qualcosa di orribile e irrimediabile e la usa allegramente: “Le mie mamme mi hanno pettinato miseramente”, “La maestra mi ha dato un voto miseramente”, e così via), quando al quarto tentativo la zattera si è sfasciata quasi immediatamente.

E i compagni”, si è sentito in dovere di aggiungere Pedrito, pensando che la solidarietà di genere fosse appropriata in questa circostanza… miserabile.

Nah”, ha replicato Defensa. “Compagni li puoi sostituire, ma compagne… e dove le trovi? Compagne davvero, vere compagne, non chiunque”.

La banda di Defensa era posizionata strategicamente. Non per contemplare le vicissitudini dei comitati per costruire la nave. Defensa e Esperanza si tenevano per mano con Calamida, che aveva già tentato due volte di tuffarsi nel fiume per soccorrere la zattera e, entrambe le volte, era stata acchiappata da Pedrito, Pablito e l’amato Amado. Il cavallo orbo e il gatto-cane erano stati subito scartati. Si preoccupavano inutilmente. Quando il SupGaleano ha visto arrivare l’orda, ha assegnato 3 plotoni di miliziane sulla riva del fiume. Con la sua abituale diplomazia e senza smettere di sorridere, il Sup ha detto loro: “Se quella bambina arriva all’acqua, siete morte”.

Dopo il successo nel sesto tentativo, i comitati hanno provato a caricare la zattera con quelle che hanno definito “cose essenziali” per il viaggio (una specie di kit di sopravvivenza zapatista): un sacco di tostadas, panela, un sacco di caffè, qualche pallina di pozol, una fascina di legna da ardere, un telo di nylon in caso di pioggia. Controllando si sono accorti che mancava qualcosa. Certo, non ci è voluto molto per portare una marimba.

Maxo era dove Monarca e il SupGaleano stavano riguardando alcuni disegni di cui vi racconterò un’altra volta e ha detto: “Ehi, Sup, vuoi che mandi una lettera a quelli dall’altra parte: che cerchino una corda e la leghino in modo che sia ben lunga, e la lancino fino a qui e poi dalle due sponde potremo muovere la “barca”. Ma bisogna che si organizzino, perché se tutti lanciano una corda dalla loro parte, semplicemente non ci arrivano. Bisogna che le leghino bene insieme, e siano organizzati”.

Maxo non ha atteso che il SupGaleano uscisse dal suo smarrimento e ha cercato di spiegargli che c’era una grande differenza tra una zattera di tronchi legati con le liane e una nave per attraversare l’Atlantico.

Maxo è andato a supervisionare la prova della zattera con tutta l’attrezzatura. Hanno discusso su chi sarebbe salito per provarla con le persone, ma il fiume scorreva con un tetro rumore, cosicché hanno deciso di fare un fantoccio e fissarlo in mezzo all’imbarcazione. Maxo era come un ingegnere navale perché anni fa, quando una delegazione zapatista era andata a sostenere l’accampamento di Cucapá, è entrato nel Mare di Cortez. Maxo però non ha detto che è quasi annegato perché il passamontagna gli si era appiccicato al naso e alla bocca impedendogli di respirare. Come un vecchio lupo di mare ha detto: “è come un fiume, ma senza corrente, e più grande, molto di più, come la laguna di Miramar”.

Il SupGaleano cercava di tradurre come si dice laccio in tedesco, italiano, francese, inglese, greco, basco, turco, svedese, catalano, finlandese, ecc., quando la maggiore Irma si è avvicinata e gli ha detto “digli che non sono sole”. “Né soli”, ha aggiunto il tenente colonnello Rolando. “Né soloas”, ha azzardato la Marijose che era venuta per chiedere ai musicanti di fare una versione del Lago dei Cigni ma in cumbia. “Così, allegra, ballabile, affinché i cuori non siano tristi”. I musicanti hanno chiesto cosa sono i “cigni”. “Sono come le anatre ma più belli, come se avessero il collo allungato. Cioè sono come le giraffe ma camminano come le anatre”. “Si mangiano?”, hanno chiesto i musicanti che sapevano che era ormai l’ora del pozol ed erano venuti solo per lasciare la marimba. “Ci credi! i cigni si ballano”. I musicanti si sono detti che poteva andare bene una versione del “polletto con patate”. “Ci penseremo”, hanno detto, e se ne sono andati a bere pozol.

Nel frattempo Defensa Zapatista e Esperanza cercavano di convincere Calamidad che, dato che il SupGaleano era occupato, la sua capanna era vuota ed era molto probabile che avesse nascosto un pacchetto di merendine nella scatola del tabacco. Calamidad era dubbiosa, cosicché hanno dovuto dirle che là avrebbe potuto fare i popcorn. E sono andate. Il Sup le ha viste allontanarsi ma non si è preoccupato perché era impossibile per loro trovare il nascondiglio delle merendine nascoste sotto sacchi di tabacco umido e, rivolgendosi al Monarca e indicando alcuni schemi, gli ha chiesto “Sei sicuro che non affondi? Perché vedi bene che sarà pesante”. Il Monarca ci pensa e dice: “Certo”. E poi, seriamente: “Beh, che portino i palloncini, così galleggeranno”.

Il Sup ha sospirato e ha detto: “più che una barca, quello di cui abbiamo bisogno è un po’ di buon senso”. “E più corda”, ha aggiunto il SubMoy, arrivato giusto nel momento in cui la zattera affondava fino alla cima di carico.

Mentre a riva il gruppo dei Comitati contemplava il relitto e la marimba galleggiare a testa in giù, qualcuno ha detto: “Per fortuna che non abbiamo caricato l’apparecchiatura sonora, che è più costosa”.

Tutti hanno applaudito quando il fantoccio di pezza è venuto a galla. Qualcuno, lungimirante, gli aveva messo due palloncini gonfi sotto le braccia

In fede.
Miau-Guau.

Video:

https://youtu.be/4ba1Yc6lkQc

https://youtu.be/5k-QLyo9Hoc

https://youtu.be/KTmatjyd4KM

Traduzione “Maribel” - Bergamo
Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/quinta-parte-la-mirada-y-la-distancia-a-la-puerta/

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Sesta parte: UNA MONTAGNA IN ALTO MARE.

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

MESSICO.

5 OTTOBRE 2020

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Alle Reti di Resistenza e Disubbidienza:

Alle persone oneste che resistono in tutti gli angoli del pianeta:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

Compagne, compagni y compañeroas:

  I popoli originari di radice maya e zapatisti vi salutiamo e vi diciamo quello che è arrivato nel nostro pensiero comune, secondo quanto vediamo, ascoltiamo e sentiamo.

Primo.- Osserviamo e ascoltiamo un mondo malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone estranee tra loro, impegnate nella propria sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto pur di placare la sua sete di profitto, anche quando è chiaro che il suo percorso va contro l’esistenza del pianeta Terra.

  L’aberrazione del sistema e la sua stolta difesa del “progresso” e della “modernità” si scontra con una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio delle donne non ha colore né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e irragionevole che qualcuno venga perseguitato, fatto sparire, ucciso a causa del colore della sua pelle, della sua razza, della sua cultura, delle sue convinzioni, non si può credere che essere donna equivalga a una condanna all’emarginazione e alla morte.

  In una prevedibile escalation (molestie, violenza fisica, mutilazioni e omicidi), con l’avallo dell’impunità strutturale (“se lo meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “cosa ci faceva in quel posto a quell’ora?”, ” con quei vestiti, c’era da aspettarselo”), gli omicidi delle donne non hanno logica criminale se non quella del sistema. Di diversi strati sociali, razze diverse, età che vanno dalla prima infanzia alla vecchiaia e in aree geografiche distanti tra loro, il genere è l’unica costante. E il sistema non è in grado di spiegare perché questo vada di pari passo con il suo “sviluppo” e “progresso”. Nella indignante statistica delle morti, più una società è “sviluppata”, maggiore è il numero di vittime in questa autentica guerra di genere.

  E la “civiltà” sembra dire ai popoli indigeni: “la prova del tuo sottosviluppo è nel tuo basso tasso di femminicidi. Prendete i vostri megaprogetti, i vostri treni, le vostre centrali termoelettriche, le vostre miniere, le vostre dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi di elettrodomestici – con un canale televisivo compreso -, e imparate a consumare. Siate come noi. Per saldare il debito di questo aiuto progressista, non bastano le vostre terre terre, le vostre acque, le vostre culture, le vostre dignità. Dovete completare con la vita delle donne”.

Secondo.- Guardiamo ed ascoltiamo la natura ferita di morte, e che, nella sua agonia, avverte l’umanità che il peggio deve ancora venire. Ogni catastrofe “naturale” annuncia la seguente e dimentica, convenientemente, che è l’azione di un sistema umano a provocarla.

  La morte e la distruzione non sono più una cosa lontana, che si limita ai confini, rispetta i costumi e le convenzioni internazionali. La distruzione in ogni angolo del mondo si ripercuote sull’intero pianeta.

Terzo.- Osserviamo e ascoltiamo i potenti che si ritirano e si nascondono nei cosiddetti Stati nazionali e nelle loro mura. E, in quell’impossibile balzo indietro, rinascono nazionalismi fascisti, ridicoli sciovinismi e assordanti chiacchiericci. In questo avvertiamo le guerre a venire, quelle che si nutrono di storie false, vuote, menzognere e che traducono nazionalità e razze in supremazia che si imporranno attraverso la morte e la distruzione. In diversi paesi c’è una disputa tra i capoccia e coloro che aspirano a succederli, nascondendo che il capo, il padrone, è lo stesso e non ha altra nazionalità se non quella del denaro. Nel frattempo, le organizzazioni internazionali languono e diventano solo nomi, come pezzi da museo … o nemmeno questo.

  Nell’oscurità e nella confusione che precedono queste guerre, ascoltiamo e vediamo l’attacco, l’assedio e la persecuzione di ogni accenno di creatività, intelligenza e razionalità. Di fronte al pensiero critico i potenti chiedono, esigono e impongono il proprio fanatismo. La morte che progettano, coltivano e raccolgono non è solo fisica; include anche l’estinzione dell’universalità propria dell’umanità – l’intelligenza -, i suoi progressi e le sue conquiste. Nuove correnti esoteriche rinascono o vengono create, laiche e no, mascherate da mode intellettuali o pseudo scienze, e le arti e le scienze cercano di essere sottomesse alla militanza politica.

Quarto.- La pandemia di COVID 19 non solo ha mostrato le vulnerabilità dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità dei diversi governi nazionali e le loro presunte opposizioni. Le misure di più elementare buon senso venivano disprezzate, scommettendo sempre che la Pandemia sarebbe stata di breve durata. Quando il passaggio della malattia si è sempre più prolungato, i numeri hanno cominciato a sostituire le tragedie. La morte è diventata così un numero che si perde quotidianamente tra scandali e dichiarazioni. Un cupo confronto tra ridicoli nazionalismi. La percentuale di battute e punti guadagnati che determina quale squadra, o nazione, è migliore o peggiore.

  Come dettagliato in uno dei testi precedenti, nei territori zapatisti abbiamo optato per la prevenzione e l’applicazione di misure sanitarie che, all’epoca, sono state confrontate con scienziat@ che ci hanno guidato e offerto, senza esitazione, il loro aiuto. I popoli zapatisti sono loro grati ed è così che abbiamo voluto dimostrarlo. Dopo 6 mesi dall’attuazione di queste misure (mascherine o equivalenti, distanza tra le persone, chiusura dei contatti personali diretti con aree urbane, quarantena di 15 giorni per chi fosse entrato in contatto con persone infette, lavaggio frequente con acqua e sapone), lamentiamo la morte di 3 compagni che hanno presentato due o più sintomi associati al Covid 19 e che hanno avuto contatti diretti con contagiati.

  Altri 8 compagni e una compagna, morti in quel periodo, presentavano uno dei sintomi. Poiché non abbiamo la possibilità di test, presumiamo che tutti i 12 compagn@ siano morti a causa del cosiddetto Coronavirus (gli scienziati ci hanno consigliato di presumere che qualsiasi difficoltà respiratoria potrebbe essere Covid 19). Queste 12 assenze sono nostra responsabilità. Non sono colpa della 4T o dell’opposizione, dei neoliberisti o dei neo-conservatori, degli attivisti da tastiera o snob, delle cospirazioni o complotti. Pensiamo che avremmo dovuto prendere ancora più precauzioni.

  Attualmente, a costo della mancanza di questi 12 compagn@, abbiamo migliorato le misure di prevenzione in tutte le comunità, ora con il supporto di Organizzazioni Non Governative e scienziati che, individualmente o collettivamente, ci guidano nella maniera di affrontare con più forza una possibile recrudescenza. Decine di migliaia di mascherine (progettate appositamente per impedire ad un possibile portatore di infettare altre persone, economiche, riutilizzabili e adattate alle circostanze) sono state distribuite in tutte le comunità. Altre decine di migliaia vengono prodotte nei laboratori di ricamo degli insurgent@s e nei villaggi. L’uso massiccio di mascherine, le due settimane di quarantena per chi potrebbe essere contagiato, la distanza e il lavaggio continuo di mani e viso con acqua e sapone, ed evitando il più possibile di andare in città, sono le misure consigliate anche per i fratelli dei partiti politici per contenere la diffusione dei contagi e consentire il mantenimento della vita comunitaria.

  I dettagli di quella che è stata ed è la nostra strategia potranno essere consultati a tempo debito. Per ora diciamo, con la vita che batte nei nostri corpi, che, secondo la nostra valutazione (che potrebbe essere sbagliata), affrontando la minaccia come comunità, non come una questione individuale, e indirizzando il nostro sforzo principale alla prevenzione, ci permettiamo di dire, come popoli zapatisti: noi siamo qui, resistiamo, viviamo, combattiamo.

  E ora, in tutto il mondo, il grande capitale vuole che si torni nelle strade in modo che le persone possano riprendere il loro status di consumatori. Perché a preoccuparlo sono i problemi del Mercato: il letargo nel consumo delle merci.

  Bisogna riprendere le strade, sì, ma per lottare. Perché, come abbiamo detto prima, la vita, la lotta per la vita, non è una questione individuale, ma collettiva. Ora si vede che non è neppure una questione di nazionalità, è mondiale.

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  Osserviamo ed ascoltiamo molte di queste cose. E ci pensiamo molto.  Ma non solo…

Quinto.- Ascoltiamo e vediamo anche le resistenze e le ribellioni che, non perché tenute sotto silenzio o dimenticate, cessano di essere chiave, indizi di un’umanità che rifiuta di seguire il sistema nella sua veloce corsa al collasso: il treno mortale del progresso che avanza, superbo e impeccabile , verso il precipizio. Mentre il macchinista dimentica di essere solo un altro impiegato e crede, ingenuamente, di decidere il percorso, quando non fa altro che seguire la prigione dei binari verso l’abisso.

  Resistenze e ribellioni che, senza dimenticare il pianto per le assenze, insistono a lottare – chi lo direbbe – per la cosa più sovversiva che c’è in questi mondi divisi tra neoliberisti e neo-conservatori: la vita.

  Ribellioni e resistenze che capiscono, ognuna a suo modo, il proprio tempo e la propria geografia, che le soluzioni non si basano sulla fede nei governi nazionali, che non si sviluppano protette da confini né vestono bandiere e lingue diverse.

  Resistenze e ribellioni che insegnano a noi zapatist@, che le soluzioni potrebbero essere sotto, negli scantinati e negli angoli del mondo. Non nei palazzi governativi. Non negli uffici delle grandi aziende.

  Ribellioni e resistenze che ci dimostrano che, se quelli in alto rompono i ponti e chiudono i confini, non resta che navigare fiumi e mari per ritrovarsi. Che la cura, se c’è, è mondiale, e ha il colore della terra, del lavoro che vive e muore nelle strade e nei quartieri, nei mari e nei cieli, nelle montagne e nelle sue viscere. Che, come il mais originario, molti sono i suoi colori, le sue sfumature e suoni.

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  Tutto questo e altro ancora, guardiamo e ascoltiamo. E ci guardiamo e ci ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non importa, non vende, non fa notizia, non entra nelle statistiche, non compete nei sondaggi, non ha rating sui social, non provoca, non rappresenta capitale politico, bandiera di partito, scandalo alla moda. A chi importa che un piccolo, minuscolo gruppo di nativi, di indigeni, viva, cioè combattano?

  Perché risulta che viviamo. Che nonostante paramilitari, pandemie, megaprogetti, bugie, calunnie e oblii, viviamo. Cioè, lottiamo.

  Questo è ciò a cui pensiamo: che continuiamo a lottare. Cioè, continuiamo a vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni abbiamo ricevuto l’abbraccio fraterno di persone del nostro paese e del mondo. E pensiamo che se la vita qui resiste e, non senza difficoltà, fiorisce, è grazie a queste persone che hanno sfidato distanze, procedure, frontiere e differenze culturali e linguistiche. Grazie a tutti e tutte loro – ma soprattutto a tutte loro – che hanno sfidato e sconfitto calendari e geografie.

  Nelle montagne del sud-est messicano, tutti i mondi del mondo hanno trovato, e trovano, ascolto nei nostri cuori. La loro parola e azione sono state cibo per la resistenza e la ribellione, che non sono altro che la continuazione di quelle dei nostri predecessori.

  Persone con le scienze e le arti come loro strada, hanno trovato il modo di abbracciarci e incoraggiarci, anche a distanza. Giornalisti, snob e non, che hanno raccontato la miseria e la morte prima, la dignità e la vita sempre. Persone di tutte le professioni e mestieri che, molto per noi, forse un po’ per loro, sono state qua, e ci sono.

  E abbiamo pensato a tutto questo nel nostro cuore collettivo, e abbiamo pensato che ora è tempo per noi, le/gli zapatisti, di corrispondere all’ascolto, alla parola e alla presenza di quei mondi. Vicini e lontani nella geografia.

Sesto.- E così abbiamo deciso:

  Che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione.

  Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e otroas del colore della nostra terra, viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà.

  Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali.

  Non solo l’umanità che anima le nostre diverse pelli, i nostri diversi modi, i nostri diversi linguaggi e colori. Anche e soprattutto, il sogno comune che, come specie, condividiamo da quando, in un’Africa che sembra lontana, abbiamo iniziato a camminare dal grembo della prima donna: la ricerca della libertà che ha animato quel primo passo … e che continua a camminare.

  Che la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il continente europeo.

  Che navigheremo verso le terre europee. Che partiremo e che salperemo dalle terre messicane, nel mese di aprile dell’anno 2021.

  Che, dopo aver attraversato vari angoli d’Europa in basso e a sinistra, arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021 – 500 anni dopo la presunta conquista di quello che oggi è il Messico. E che, subito dopo, proseguiremo il percorso.

  Che parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non per domandare di chiederci perdono. Non per servirlo o per servirci .

  Diremo al popolo spagnolo due semplici cose:

  Uno: Che non ci hanno conquistato. Che continuiamo nella resistenza e nella ribellione.

  Due: Che non devono chiederci di perdonarli di nulla. Basta giocare con il lontano passato per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i crimini attuali e in corso: l’omicidio di attivisti sociali, come il fratello Samir Flores Soberanes, i genocidi nascosti dietro megaprogetti, concepiti e realizzati per la felicità dei potenti – cosa che flagella ogni angolo del pianeta -, il supporto economico e l’impunità per i paramilitari, il mercanteggiamento di coscienze e dignità con 30 denari.

  Noi zapatiste e zapatisti NON vogliamo tornare a quel passato, non da soli, tanto meno per mano di chi vuole seminare risentimento razziale e intende alimentare il proprio antiquato nazionalismo con il presunto splendore di un impero, quello azteco, che crebbe a costo del sangue dei loro simili, e che vuole convincerci che, con la caduta di quell’impero i popoli originari di quelle terre furono sconfitti.

  Né lo Stato Spagnolo né la Chiesa Cattolica devono chiederci perdono di nulla. Non ci faremo eco dei commedianti che cavalcano sul nostro sangue e così nascondono le mani che ne sono macchiate.

  Di cosa si scuserà la Spagna? Di aver partorito Cervantes? José Espronceda? León Felipe? Federico García Lorca? Manuel Vázquez Montalbán? Miguel Hernández? Pedro Salinas? Antonio Machado? Lope de Vega? Bécquer? Almudena Grandes? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Aute siempre? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez? Alcuni dei migliori pensieri critici mondiali contrassegnati dalla “A” libertaria? La repubblica? L’esilio? Il fratello maya Gonzalo Guerrero?

  Di cosa si scuserà la Chiesa cattolica? Del passo di Bartolomé de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio Méndez Arceo? Dalla sorella Chapis? Dei passi dei sacerdoti, delle religiose e delle suore laiche che hanno camminato al fianco dei popoli originari senza dirigerli o soppiantarli? Di chi rischia la libertà e la vita per difendere i diritti umani?

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  Il 2021 segnerà il 20° anniversario della Marcia del Colore della Terra, che portiamo avanti, insieme ai popoli fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, per rivendicare un posto in questa Nazione che si sta sgretolando.

  20 anni dopo navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che, nel mondo che sentiamo nel nostro cuore collettivo, c’è spazio per tutti, tutte, todoas. Molto semplicemente perché quel mondo è possibile solo se tutti, tutte, todoas, lottiamo per risollevarlo.

  Le delegazioni zapatiste saranno composte principalmente da donne. Non solo perché intendono ricambiare l’abbraccio ricevuto nei precedenti incontri internazionali. Anche e soprattutto perché noi uomini zapatisti sappiamo bene che siamo quello che siamo, e non siamo, grazie a loro, per loro e con loro.

  Invitiamo il CNI-CIG a formare una delegazione che ci accompagni e che così sia più ricca la nostra parola per l’altro che combatte lontano. Invitiamo in particolare una delegazione dei popoli che innalzano il nome, l’immagine e il sangue del fratello Samir Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua rabbia, la sua lotta e resistenza arrivino più lontano.

  Invitiamo coloro che hanno come vocazione, impegno e orizzonte, le arti e le scienze, ad accompagnare, a distanza, le nostre navigazioni e passi. E così ci aiutano a diffondere che nelle scienze e nelle arti c’è la possibilità non solo della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un nuovo mondo.

Insomma: partiremo per l’Europa nell’aprile del 2021. La data e l’ora? Non lo sappiamo … ancora.

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Compagne, compagni, compañeroas:

Sorelle, fratelli e hermanoas:

  Questo è il nostro impegno:

  Di fronte ai potenti treni, le nostre canoe.

  Di fronte alle centrali termoelettriche, le lucine che gli zapatisti hanno affidato in custodia alle donne che combattono nel mondo.

  Di fronte a muri e frontiere, la nostra navigazione collettiva.

  Di fronte al grande capitale, una milpa comune.

  Di fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga nell’alba.

  Siamo zapatisti, portator@ del virus della resistenza e della ribellione. In quanto tali, andremo nei 5 continenti.

È tutto… per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome delle donne, uomini e otroas zapatisti.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, ottobre 2020

 P.S. Sì, è la sesta parte e, come il viaggio, proseguirà nella direzione opposta. Cioè, seguirà la quinta parte, poi la quarta, poi la terza, continuerà nella seconda e finirà con la prima.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/05/sexta-parte-una-montana-en-alta-mar/

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Sempre al fianco dell’EZLN. Oggi più che mai!

Siempre a lado del EZLN.  ¡Hoy más que nunca!

Come collettivi solidali con la rivoluzione Zapatista iniziata il 1 gennaio del 1994 esprimiamo forte preoccupazione per il clima sempre più violento che sta segnando il presente del Chiapas. Lo scontro per il controllo del territorio sta cambiando le relazioni sociali e politiche anche in questa parte del Messico.

La violenza neoliberista e la politica armano, oggi come ieri, gruppi paramilitari e/o narcotrafficanti per fare il lavoro sporco e perseguire comunità e realtà resistenti. L’esperienza Zapatista subisce oggi una nuova stagione di attacco proprio nel nome delle politiche di sfruttamento del territorio.

Siamo da sempre al fianco dell’esperienza di autonomia delle basi d’appoggio e delle comunità in ribellione vicine all’EZLN. Oggi più che mai!

Como colectivos solidarios con la revolución Zapatista iniciada el 1 de enero de 1994, expresamos fuerte preocupación por el clima cada vez más violento que está marcando el presente en Chiapas.

El combate por el control del territorio está cambiando las relaciones sociales y políticas también en esta parte de México.

La violencia y la política neoliberista arman, hoy como ayer, grupos paramilitares e/o narcotraficantes para hacer el trabajo sucio y perseguir comunidades y realidades en rebeldía y que resisten.

La experiencia Zapatista sufre hoy una nueva etapa de acosos y violencias justo en el nombre de las políticas de explotación del territorio.

Siempre somos al lado de la experiencia de autonomía de las bases de apoyo del EZLN y de las comunidades rebeldes cercanas al EZLN. ¡Hoy más que nunca!

 

Firman:

20zln

Ya Basta – Padova

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

Cooperazione Rebelde Napoli

Ya Basta Edibese

Ya Basta Bologna

Nodo Solidale

Ya Basta Moltitudia Roma

Progetto Libertario Flores Magon-Milano

Centro Sociale Intifada Empoli

Aldo Zanchetta

Andrea Vento

Italia, 18 settembre 2020

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Chiapas, il ritorno di Paz y Justicia

Luis Hernández Navarro

15 settembre 2020

Il terrore è tornato a Tila, Chiapas, dalla rinascita del gruppo paramilitare Desarrollo, Paz y Justicia. Uno dopo l’altro si succedono attacchi armati, omicidi, assedi ed ogni tipo di aggressione contro gli 836 ejidatarios che hanno recuperato i loro diritti territoriali.

Tra il 1995 e il 2000, Paz y Justicia nella zona nord del Chiapas ha assassinato oltre 100 indigeni chol, cacciato dalle proprie comunità almeno duemila contadini e le loro famiglie, chiuso 45 chiese cattoliche, attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3 mia capi di bestiame e violentato 30 donne. Equipaggiati con armi di grosso calibro, i paramilitari controllavano strade, amministravano risorse pubbliche.

Il gruppo civile armato contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della settima Regione Militare. Il portavoce castrense confessava – come scrisse Jesús Ramírez Cuevas – che quell’organizzazione era un orgoglio del generale (https://bit.ly/3mik0gy). Giorni prima che il militare lasciasse l’incarico, fu salutato dai leader di Paz y Justicia con parole di complice gratitudine. Non la dimenticheremo mai, signore. Tutto quello che lei ha fatto per noi, obbliga alla gratitudine, gli dissero.

Paz y Justicia è stato l’attore centrale nella guerra di bassa intensità che il governo di Ernesto Zedillo orchestrò contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Cercò di controllare territorialmente il corridoio strategico che mette in collegamento le valli del Chiapas con lo stato di Tabasco e distruggere cn la violenza il processo autonomistico del popolo chol.

Il 2 luglio 1997 il governo chiapaneco decise di consegnare a Desarrollo, Paz y Justicia 4 milioni 600 mila pesos per progetti agroecologici e produttivi. Il documento fu firmato dai capi paramilitari, dall’allora governatore Julio César Ruiz Ferro e da Uriel Jarquín, sottosegretario di Governo dello stato. Il generale Mario Renán Castillo lo firò come testimone d’onore ( Masiosare, 21/12/1997).

Oltre i suoi legami militari, l’iniziativa per formare Paz y Justicia provenne dalle associazioni degli allevatori di Salto de Agua. Nacque al marzo del 1995. I suoi operatori politici furono dirigente priisti di Tila. Secondo una relazione del CDHFBC (https://bit.ly/3mhvTn9), Salto de Agua, Palenque e Playas de Catazajá sono, nella Zona Nord del Chiapas, i municipi nei quali è presente il maggior numero di proprietà private e in cui gli ejidos e le comunità agrarie rappresentano la minore percentuale di proprietà della terra.

Il suo principale capo, oggi in prigione ma prima deputato del PRI, Samuel Sánchez Sánchez, spiegò che la creazione di Paz y Justicia ubbidì alla radicalizzazione dei simpatizzanti zapatisti e perredisti negli ejidos e nelle comunità (di Tila, Sabanilla, Salto de Agua e Tumbalá).

I suoi membri erano parte di Solidaridad Campesino-Magisterial (Socama), organizzazione originariamente formata da parte della dirigenza della sezione 7 della SNTE proveniente dal gruppo Pueblo, guidato da Manuel Hernández, Jacobo Nasar e Pedro Fuentes, ed un gruppo dissidente della CNC, diretto da Germán Jiménez. Il gruppo, che prendeva il nome dal sindacato polacco Solidarnosc, si legolò strettamente con le lotte contadine nello stato. Tuttavia, cominciò la sua deriva filogovernativa a seguito della detenzione dei suoi principali leader nel 1986. Con l’arrivo di Carlos Salinas alla Presidenza divennne rappresentante delle organizzazioni contadine filogovernative e, a partire dall’insurrezione zapatista del 1994, incubatrice di gruppi paramilitari (https://bit.ly/3hvViWq).

La ricostituzione delle comunità chol come popolo e la costruzione della loro autonomia ha una lunga storia. Una storia che, nella sua fase moderna, abbraccia la lotta per la fine del mosojüntel (il tempo in cui eravamo servi), contro l’oppressione kaxlana e delle grandi compagnie produttrici di caffè, la riforma agraria cardenista che permise il recupero della terra, il ritorno alla produzione contadina dei generi di base, la formazione di una chiesa autoctona, l’organizzazione di cooperative di caffè per appropriarsi del processo produttivo, la sollevazione zapatista, la lotta elettorale (1994 e 1995), la riconquista degli ejidos e la formazione di governi autonomi.

All’inizio del nuovo secolo, Paz y Justicia cadde temporaneamente in disgrazia. Prima litigarono tra loro per le risorse economiche. Poi, alcuni dei suoi dirigenti furono arrestati. Tuttavia, riuscirono a ricomporrsi nella regione con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

Nei fatti, chi ha attaccato l’ejido Tila sono l’ex presidente municipale Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, rispettivamente fratello e nipote di Samuel Sánchez Sánchez che si trova ancora in prigione; l’attuale sindaco Limbert Gutiérrez Gómez, del PVEM, così come il delegato regionale di Paz y Justicia e il segretario tecnico dell’Istituto Chiapaneco di Educazione per Giovani e Adulti, Óscar Sánchez Alpuche, socio di Ismael Brito Mazariegos, segretario di Governo dello stato (https://bit.ly/3mjT93S).

La riattivazione di Paz y Justicia nel nord del Chiapas e la sua politica di terrore non sono un fatto isolato. Altri gruppi paramilitari sono risorti a Chenalhó, Chilón, Oxchuc e Ocosingo immediatamente dopo l’annuncio zapatista dell’espansione dei suoi governi autonomi e la sua opposizione alla costruzione del Treno Maya. La guerra di contrainsurgencia continua.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2020/09/15/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Comunicato del CNI-CIG sui fatti avvenuti a Tila, Chiapas.

13 settembre 2020

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Con dolore e rabbia denunciamo il vile attacco nel quale è stato assassinato il compagno Pedro Alejandro Jiménez Pérez, dell’ejido Tila, Chiapas, lo scorso 11 settembre, quando il gruppo paramilitare Paz y Justicia insieme a persone vicine alla Giunta municipale, hanno attaccato con armi di grosso calibro gli abitanti di Tila che, su accordo dell’assemblea generale, si dirigeva a liberare i blocchi che questi gruppi avevano installato sulle strade di accesso all’abitato per accerchiare la nostra città dove i paramilitari già lo scorso 25 agosto avevano distrutto un portone di sicurezza.

Oltre all’uccisione del compagno Pedro Alejandro, nell’attacco sono rimasti feriti Medardo Pérez Jiménez, Ángel Vázquez Ramírez e Jaime Lugo Pérez.

Denunciamo che il capo paramilitare Arturo Sánchez Sánchez, suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, insieme al presidente municipale Limber Gregorio Gutiérrez Gómez, hanno operato per rafforzare e promuovere l’azione di gruppi armati per distruggere l’autonomia dell’ejido Tila e spogliarlo di un presunto fondo legale per stabilire il loro centro di corruzione e marciume ed aprire la porta al controllo narco-paramilitare.

Attraverso il saccheggio del territorio e con l’appoggio dei tre livelli del malgoverno, hanno cercato di distruggere l’autonomia che tanto è costata al popolo chol di Tila, il quale è e sarà riconosciuto pienamente dal Congresso Nazionale Indigeno e dal Consiglio Indigeno di Governo.

Questi attacchi si inseriscono nell’incremento dell’attività di gruppi armati e la proliferazione di paramilitari intorno alle comunità che formano il Congresso Nazionale Indigeno in Chiapas e le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per accerchiare, terrorizzare, sfollare e smantellare le comunità organizzate.

Il partito Morena-Verde-PRI, che è uno solo, appoggia la violenza seminando divisioni, armando i nemici del popolo e con i suoi vili attacchi, acutizzando la guerra che ha il fine di distruggere la vita collettiva delle comunità indigene, con la loro degna resistenza che protegge la nostra madre terra e, come CNI-CIG, agiremo di conseguenza e in solidarietà con l’ejido Tila.

Denunciamo la cinica complicità del governo dello stato e il governo federale che sono responsabili della violenza che cresce, e invitiamo il popolo del Messico e i popoli del mondo ad alzare la voce per fermare la tragedia che si avvicina.

Distintamente.

Settembre 2020

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno- Consiglio Indigeno di Governo

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/comunicado-del-cni-cig-ante-los-hechos-ocurridos-en-tila-chiapas/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/ejido-tila-chiapas-desmentimos-falsas-versiones-y-exigimos-justicia-por-la-agresion-armada/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/12/ejido-tila-chiapas-denuncia-publica-ataque-armado-a-ejidatarios-que-iban-a-desbloquear-al-grupo-del-ayuntamiento-paramilitar/

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Imparare (a vivere con) la guerra

Gustavo Esteva 8 Settembre 2020

Quegli strani indigeni delle montagne del sud-est messicano, quasi alla fine del secolo scorso, avevano deciso di coprirsi il volto. Indossavano un passamontagna perché il mondo intero, che non aveva voluto vederli per secoli, potesse finalmente vederli. Non brandivano la loro identità, affermavano il diritto alla dignità della vita. Per loro e per tutti. Chiunque, con il volto coperto, può essere Marcos, diceva il loro subcomandante. Nel 2011, poco prima di decidere di scomparire, Marcos mostrava al mondo come su quegli indigeni si impone la paura e la vulnerabilità. Un’imposizione – scrive oggi Gustavo Esteva, che degli zapatisti fu consigliere nelle trattative col governo messicano, al tempo della guerra sucia (sporca) del presidente Calderon – che oggi ha preso la forma-pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana. Serve a imporre condotte che dissolvono l’umano e il confinamento esaspera tutti gli individualismi. Il dispositivo di sicurezza, la mascherina, poi, impedisce di vedere le persone sorridere. Strano il destino delle maschere, no? Oltre vent’anni fa, Marcos ci aveva avvertito che stava cominciando la Quarta guerra mondiale, la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli. Pensavamo fosse una metafora utile per capire meglio e invece era un avvertimento. Oggi, nel caos che domina il nostro tempo, è quasi impossibile trarre conclusioni analitiche, ma è più che probabile che la tormenta segnalata dal subcomandante Galeano e dalle sentinelle zapatiste sia diventata una vera guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse. Non si distrugge fisicamente il genere umano, in questa guerra. Si distrugge la sua umanità, aveva detto il subcomandante. La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita e, tra le altre cose, fin dal secolo scorso ha creato una nuova classe sociale: le persone di cui si può fare a meno, quelle che la classe dominante decide che non serviranno. Mai, nemmeno per essere sfruttate. Eppure, l’impero delle borse finanziarie affronta e affronterà la ribellione (non simmetrica) delle borse della resistenza. Sono ancora parole di Marcos, che aggiungeva: se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivere, esse sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili

Non abbiamo voluto crederci. Ci aveva avvertito, oltre vent’anni fa, il defunto subcomandante Marcos, ma non abbiamo voluto dargli ascolto. Ci sembrò una metafora utile per l’analisi, non quel che era, un avvertimento. Siamo di fronte a una guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse direttamente.

La guerra ha aspetti apertamente criminali. Il Messico è già il paese più violento del mondo, in particolare per certe categorie di persone, come i giornalisti, i dirigenti sociali e i difensori dei diritti umani. Con l’attuale amministrazione (quella progressista guidata da Andrés Manuel López Obrador, AMLO, ndt), si verificano già quattro assassinii ogni ora. Zone sempre più ampie del paese vengono controllate con la forza. In alcune di esse a farlo sono i cosiddetti “cartelli”, che distribuiscono risorse o impongono il coprifuoco. In altre c’è la Guardia Nazionale, che ha un numero di effettivi tre volte superiore a quello della guerra di Calderón, oltre alle forze paramilitari e alle squadre d’assalto. Alcune di queste sono una metamorfosi grottesca di organizzazioni sociali, come quelle che hanno appena attaccato le basi di appoggio zapatiste; altre sono frammenti agguerriti usciti dai sindacati confederali, che controllano lo stesso opere pubbliche e sistemi di trasporto. Nulla di tutto questo, naturalmente, si considera corruzione. Viene consentito e promosso dal governo.

La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita. Riduce le modalità classiche della condizione operaia ed emargina il sindacalismo, che negli Stati Uniti è già tornato ai livelli degli inizi del XX secolo. In Messico la guerra ha smantellato le nostre capacità produttive mediante il “libero commercio”, che fu siglato da Salinas (il presidente che allora AMLO indicava come “il capo di tutte le mafie”, ndt) e si è approfondito lo scorso anno (con AMLO presidente, ndt) con grande entusiasmo di Trump. I lavoratori del settore manifatturiero si trovano soprattutto nelle maquiladoras, nelle quali prevalgono le donne, molte di loro indigene.

Dagli anni Novanta la guerra ha creato una nuova classe sociale: gli scartabili, coloro che mai vorrà impiegare o usare il capitale. La Banca Mondiale ha progettato, per loro, quelli che saranno di troppo, programmi che li manterranno sotto stretti livelli di sussistenza e permetteranno loro di compiere qualche funzione di consumo. Nell’amministrazione del governo di AMLO chiamano questo programmi sociali.

Già nel 2003, il defunto Marcos sembrava anticipare la forma-pandemia di praticare la guerra, quando descriveva la nuova forma del complesso industriale: “Alcune pecore si tosano e altre vengono sacrificate per ottenere alimenti, le “inferme” vengono isolate, eliminate e ‘bruciate’ perché non contaminino il resto“. In questa guerra, “la dignità, la resistenza, la solidarietà, disturbano”. Non si distrugge fisicamente il genere umano, però lo si distrugge “in quanto essere umano”. Non sono solo i funzionari etnocidi e i sicari a perdere la condizione umana. La perdono anche coloro che si attaccano a dispositivi elettronici che li formattano e li controllano. Nel 2011, poco prima di morire, in una lettera a Luis Villoro, il defunto Marcos mostrava come si impone la paura, l’incertezza e la vulnerabilità, una imposizione che da gennaio ha preso la forma pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana, per imporre condotte che dissolvono l’umano. Il confinamento esaspera tutti gli individualismi. La mascherina impedisce di vedere le persone sorridere.

La guerra ha trasformato in nemici le persone di uno stesso settore sociale, nel quale si potevano condividere interessi, essere amici, compagni. Sono, in primo luogo, i desaparecidos che si vedono obbligati ad agire come sicari, oppure coloro che nella vita non trovano altra opzione che una forma di delinquenza, ma sono anche quelli che affidano le proprie illusioni all’apparizione di un qualche messia e poi trasformano in nemici quelli che non ne condividono la fede. Altri ancora formano le onde contrapposte di quello che oggi si chiama “polarizzazione” e che in paesi come gli Stati Uniti prende già forme di guerra civile.

Fin dal 1997, però, lo scomparso Marcos aveva aperto la porta alla speranza. “L’impero delle borse finanziarie affronta la ribellione delle borse della resistenza”, diceva. E aggiungeva: “Se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivenza, di essere migliore, quelle speranze sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili”. (Per questa e tutte le citazioni precedenti: Le 7 tessere ribelli del rompicapo globale – La IV guerra mondiale è cominciata a cura di Camminar Domandando).

Nel 2019 quelle borse si stavano moltiplicavano già da ogni parte. Estese mobilitazioni hanno scosso molti paesi. Si sono formati collettivi sempre più autonomi, che presto si consolideranno come nuclei molto solidi di resistenza. L’8 di marzo di quest’anno la speranza ha acquisito un significato nuovo, di peculiare radicalitàLe donne hanno fatto il passo avanti. Hanno rotto coraggiosamente la presunta “normalità” patriarcale, quella che per migliaia di anni ha “naturalizzato” la gerarchia maschile e il suo esercizio violento e distruttivo. Con loro, dal basso e a sinistra, si tesse ogni giorno il limite della guerra e si creano piccole isole di vita nelle quali entrano ancora il piacere e la speranza, sebbene intorno continuino a perseguitare la pandemia e la violenza, in questa guerra opprimente che sembra senza fine.

Fonte: La Jornada. Titolo originale: Aprender guerrahttps://www.jornada.com.mx/2020/09/07/opinion/026a2pol

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria – https://comune-info.net/imparare-a-vivere-con-la-guerra/

 

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La Jornada – Venerdì 4 settembre 2020

Stop alla guerra contro l’EZLN

di Gilberto López y Rivas

Una delle caratteristiche dell’attuale governo della 4T è non ascoltare né tanto meno rispondere alle gravi denunce riguardo la riattivazione dei gruppi paramilitari in Chiapas, come quelli cheformano l’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo ( Orcao) che il 22 agosto hanno saccheggiato e incendiato gli edifici del del Centro di Commercio Nuevo Amanecer del Arcoíris, nel municipio autonome Lucio Cabañas (Ocosingo). A questa provocazione si sommano quelle di altri gruppi identficati come paramilitari fin dagli anni ’90 come Paz y Justicia e Chinchulines che, di nuovo, hanno perpetrato diverse aggressioni in varie regioni chiapaneche, in particolare nei municipi di Tila e Aldama. Nelle scrose settimane hanno circolato in rete e su vari mezzi di diffusione locali e nazionali comunicati di appoggio all’EZLN uno dei quali, Alto a la guerra contra los zapatistas, è stato sottoscritto da centinaia di organizzazioni, accademici, artisti e reti solidali di 22 paesi (https://alto-a-la-guerra-contra -lxs-zapatistas.webnode.mx/)

L’aggressione del 22 agosto contro le basi di appoggio zapatiste è la continuità della strategia di contrainsurgencia che i governi precedenti hanno perseguito contro i maya zapatisti, che il Grupo de Acción Comunitaria ed il Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, vent’anni fa ha definito guerra di logoramento integrale che si ritrova nei manuali di contrainsurgencia statunitensi come la successione di piccole operazioni che soffocano a poco a poco il nemico sul terreno politico, economico e militare, evitando, per quanto possibile, azioni spettacolari che suscitino l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica internazionali. (Ora si scommette sulla stanchezza. Chiapas: fondamenti psicologici di una guerra contemporanea, 2002). In questo tipo di guerra è fondamentale il ruolo dei gruppi paramilitari. Secondo uno dei manuali di guerra irregolare della Sedena, non si tratta solo di togliere l’acqua al pesce (le basi di appoggio dell’insurgencia), ma di mettere nell’acqua pesci più aggressivi, cioè, i gruppi paramilitari che contano su organizzazione, attrezzature e addestramento militare, ai quali lo Stato delega il compimento di missioni che le forze armate regolari non possono portare a termine apertamente, senza che questo implichi che si riconosca la loro esistenza come parte del monopolio della violenza statale. I gruppi paramilitari sono illegali ed impuni perché così conviene agli interessi dello Stato. L’ambito paramilitare consiste, dunque, nell’esercizio illegale ed impune della violenza dello Stato e nell’occultamento dell’origine di questa violenza. Come nei governi precedenti apertamente neoliberali e contrainsurgentes, il governo della 4T continua a riprodurre il cosiddetto teatro di guerra. Zósimo Camacho sostiene che oggi il maggiore numero di militari si trova in Chiapas essendo, utilizzando una metafora, l’incudine che mantiene un cerchio di penetrazione sulla regione di conflitt, con i suoi quartieri, guarnigioni, convogli, agenti di intelligence, vigilanza aerea e terrestre, ecc. ecc., mentre i gruppi paramilitari, proseguendo la metafora, sono il martello che batte sulle comunità indigene con azioni come quelle del 22 agosto per cercare di introdurre il terrore, creare le condizioni di espulsione e sfollamento di comunità indigene, coalizzandosi con autorità civili, militari e di polizia, identificando il nemico interno che si rifiuta di seguire la logica del capitale con le sue illusioni di progresso, sviluppo e lavoro precario.

Congiuntamente alle azioni dei gruppi paramilitari, in rete e sui mezzi di comunicazione si è intensificata una campagna mediatica contro i maya zapatisti, con grottesche falsità, come quella che il territorio dell’EZLN sia controllato da un cartello del narcotraffico che fornisce armi agli insorti, che sono analizzate con rigore e confutate in profondità da Luis Hernández Navarro nella sua intervista con Ernesto Ledezma Arronte nel suo programma Rompe Viento TV (https://wwwyoutube.com/ watch?v=gdDNI9m_8).

Purtroppo, e all’unisono con questa campagna, c’è stata una sfortunata e molto preoccupante dichiarazione del Presidente della Repubblica durante la sua conferenza mattutina del 28 agosto, in cui ha stigmatizzato e criminalizzato il lavoro delle persone che operano e difendono i diritti umani, giornalisti, accademici e rappresentanti dei popoli indigeni che si oppongono al progetto del Tren Maya, una dei megaprogetti simbolo del riordinamento territoriale di sviluppo al quale si oppongono anche i maya zapatisti. Con questa dichiarazione il governo della Quarta Trasformazione è salito sul vetusto treno della contrainsurgencia dei suoi predecessori.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2020/09/04/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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#YoConElEZLN

La Otra Europa exigen que se ponga fin a las actuaciones de paramilitares en contra de las comunidades indígenas zapatistas de Chiapas

 Alto a la guerra contra los pueblos zapatistas!

Al Ejército Zapatista de Liberación Nacional

A los compañeros y compañeras del CNI-CIG

A los Adherentes a la Sexta

A las redes de resistencia y rebeldía

A los medios de comunicación

A las organizaciones en defensa del territorio y de la madre tierra

A los medios de comunicación libres

 

El pasado sábado 22 de agosto, un grupo de paramilitares de la Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo, (ORCAO), asaltó e incendió dos bodegas de las y los zapatistas en el Crucero Cuxuljá, Ocosingo, sobre la carretera federal que va de esta ciudad a San Cristóbal de las Casas y junto a la comunidad zapatista de Moisés Gandhi.

Sobre las 11 de la mañana, un grupo de la ORCAO, encabezado por Tomás Sántiz Gómez, llegaron al lugar y rociaron con gasolina dos casas que incendiaron a continuación, después de saquearlas, pues eran bodegas en donde los habitantes de la comunidad guardaban su grano de café. Afortunadamente, solo hubo daños materiales.

Desde la otra Europa, exigimos que pare la guerra contra los pueblos zapatistas y que se ponga fin a las actuaciones de los grupos paramilitares que como la ORCAO, en Ocosingo, o los grupos armados de corte paramilitar que, procedentes del municipio de Chenalhó, continúan actuando impunemente y atacando a las del Pueblo Tsotsil de Aldama, en los Altos de Chiapas.

Desde la Europa Zapatista, 26 de agosto de 2020.

#YoConElEZLN
#OtroMundoEsPosible
#ORCAOParamilitares

L’Adhesiva, Barcelona
Asamblea de Solidaridad con Mexico – País Valencia, Estado Español, Valencia
Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate Zapatista, Grecia
Ass. Solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai, Catalunya
ASSI – Accion Social Sindical Internacionalista. Estado Español
Associazione Ya Basta! Milano
Associazione Ya Basta Caminantes – Padova
Centro de Documentacion sobre Zapatismo (Cedoz), Estado Español, Madrid
CGT, Estado español
Chispa de Solidaridad con l@s Zapatistas y los Pueblos Indigenas, Atenas Grecia.
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, Italia
Comité de solidarité avec les Indiens des Amériques – CSIA-Nitassinan (Paris, Francia)
Confédération Nationale du Travail (CNT-f)
Cooperazione Rebelde Napoli – Italia
Corsica Internaziunalista (Bastia, Còrsega)
CSPCL (Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha) Paris, Francia
Espiral de solidaridad semilla de resistencia, Grecia
Espoir Chiapas – Esperanza Chiapas, Francia
Groupe de soutien à Leonard Peltier – LPSG-France (Paris, Francia)
Grupo de Chiapas- LAG Noruega
Gruppe B.A.S.T.A. , Münster, Alemania
Humanrights – Chiapas, Suiza, Zurich
LaPirata:
– Colectivo Nodo Solidale Mexico
– Colectivo Nodo Solidale Roma, Italia
– Colectivo Zapatista Lugano, Suiza
– Adherentes Individuales Italia, Alemania, Francia
Mut Vitz 13
Red Ya-Basta-Netz Alemania
txiapasEKIN, País Vasco
Union syndicale Solidaires, Francia
Y Retiemble, Estado Español, Madrid
Ya Basta Moltitudia Roma

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Se s’incendia il Chiapas

Luis Hernández Navarro

26 Agosto 2020

Già all’inizio dello scorso anno il sottosegretario con la delega per i diritti umani del governo progressista messicano di López Obrador aveva riconosciuto la presenza dei gruppi paramilitari, a differenza delle autorità politiche dello Stato del Chiapas che si ostinano spudoratamente a negarla. Quel che il governo centrale federale non ha alcuna intenzione di discutere apertamente sono le ragioni e gli obiettivi di quella presenza e la loro funzione politica. Se lo facesse, dovrebbe ammettere che non solo non si è affatto impegnato a contrastarne la violenza armata ma che l’attività paramilitare contrainsurgente è parte integrante e sostanziale, né più né meno che nel passato, della militarizzazione del territorio e di una strategia che ha la sua origine nello Stato stesso. L’asse portante di quella strategia è infatti la rimozione e la repressione degli ostacoli più tenaci ai progetti di sviluppo fondati sull’estrattivismo, cioè sull’espropriazione delle risorse della terra e dei popoli e l’accumulazione di capitali. Si prepara un grande salto di qualità di quella guerra a bassa intensità che fin dall’avvio dall’insurrezione zapatista, 26 anni fa, non è mai cessata? Probabilmente sì, le molte e complesse conseguenze della pandemia che ha devastato il Messico come pochi altri paesi latinoamericani aprono scenari inediti e il governo di López Obrador ha certo bisogno di grandi accelerazioni per i mega-progetti che intende portare avanti a qualsiasi costo. Il tentativo di indebolire (o almeno impegnare) gli zapatisti aprendo strumentali conflitti incendiari locali nella speranza di contrastarne il consolidamento territoriale seguito alla creazione dei nuovi caracoles è un passaggio di essenziale rilevanza. Per tutto il Messico e per tutto il mondo indigeno. Se poi Luis Hernández, uno dei quattro o cinque giornalisti che meglio conoscono le vicende zapatiste, titola questo suo articolo Chiapas arde è assai probabile che l’incendio sia già divampato.

Il Chiapas arde. I padroni hanno sciolto le redini e loro, i paramilitari incoraggiati, fanno il proprio lavoroAttaccano con armi da fuoco le comunità ribelli e si concedono il lusso, come a Santa Martha, di esibirsi in pubblico con le armi e le uniformi e perfino di disarmare agenti della polizia preventiva dello Stato.

Il 22 agosto un gruppo di trasportatori appartenenti all’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di caffè di Ocosingo (Orcao), che vivono nel municipio di Oxchuc, con alla testa Tomás Santiz Gómez, ha sparato, saccheggiato e incendiato due magazzini di caffé delle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), nella comunità di Cuxuljá, nel municipio ribelle di Moisés Gandhi (Ocosingo, per la nomenclatura ufficiale).

Nel mese di agosto, ben 13 comunità del Pueblo Maya Tsotsil di Aldama, assediate dai paramilitari provenienti da Santa Martha, Chenalhó, sono state costrette ad abbandonare le proprie case o a barricarsi. Foto Desinformémonos

Cuxuljá è un piccolo villaggio ai piedi della strada che unisce San Cristóbal a Ocosingo. È circondato da otto municipi autonomi zapatisti ed è un punto di incontro per diverse comunità. È stato occupato dall’Esercito fino al 2001. I soldati si sono ritirati da quella postazione per rispettare le tre condizioni che l’EZLN aveva preteso dal governo di Vicente Fox per ristabilire il dialogo.

Il ritiro delle truppe, però, non ha “pacificato” la zona. Non appena il dialogo è fallito, per l’approvazione di una riforma costituzionale sui diritti e le culture indigene che tradiva gli accordi presi dal governo a San Andrés, sono cominciate le aggressioni dei gruppi paramilitari di Orcao contro le basi ribelli di quella comunità. Il loro obiettivo era occupare il territorio lasciato dalle truppe regolari.

L’Orcao non è sempre stata così. Per alcuni anni ha avuto una relazione stretta con lo zapatismo. Tuttavia, tra il 1997 e il 1999, la sua direzione ha aperto il conflitto con le basi sociali ribelli, grazie agli appoggi economici e ai posti di governo offerti ai suoi dirigenti. Con l’arrivo al governo del Chiapas di Pablo Salazar (2000-06), il conflitto ha avuto una escalation. Nel 2002 le aggressioni dell’organizzazione dei coltivatori di caffè contro le basi zapatiste si sono drammaticamente intensificate, fino al punto di distruggere un mural zapatista. L’Orcao era diventata una forza paramilitare.

L’Organizzazione si era formata nel 1988, con 12 comunità di Sibacjá, nel municipio di Ocosingo. In poco tempo si erano aggiunti altri centri abitati, fino a diventare quasi 90. Le sue rivendicazioni originarie chiedevano migliori prezzi per il caffè (nel 1989 il prezzo crollò drasticamente) e una soluzione per le dispute legali agrarie. Sotto l’influenza del lavoro pastorale progressista, nel 1992, nel quadro delle celebrazioni dei 500 anni della resistenza indigena, nera e popolare, la Orcao rivendicava ancora l’auto-determinazione indigena e si opponeva alla riforma costituzionale dell’articolo 27 chiedendo libertà, giustizia e democrazia.

Poi, però, è cominciata una decomposizione irrefrenabile. Nel 2005 l’Orcao fu praticamente espulsa dalla Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (Unorca). Si divise al proprio interno, due gruppi si contendevano la direzione. Quello di José Pérez, legato ai Verdi e al controllo dei trasporti dei passeggeri, e quello di Jian Vazquez, orientato alla produzione e favorevole alla riconciliazione con il governo di Juan Sabines. Sempre alleati ai governi di turno, i leader dell’Orcao erano interessati solo al tornaconto personale e ai posti nell’amministrazione pubblica. Molti di loro entrarono nel PRD e nel PVEM e adesso in Morena (il partito di López Obrador, ndt).

C’è una lunga storia di aggressioni della Orcao contro Cuxuljá. Con l’insurrezione del 1994, le basi di appoggio dell’EZLN (un collettivo di 539 campesinos) hanno ottenuto 1.433 ettari di terra espropriati ai proprieteri terrieri. Posseggono un Atto di consegna e ricevimento delle terre da parte della Segreteria della Riforma Agraria.

Gli zapatisti lavorano la terra in forma collettiva e rifiutano di dividerla individualmente. Assicurano che farlo significherebbe tornare a prima del 1994. Tuttavia, un piccolo gruppo della Orcao, che abbandonò la comunità e vendette le proprie case, appoggiato all’inizio dall’Esercito federale e dalla polizia, insiste da 19 anni nel voler frazionare l’appezzamento, stilare certificati di proprietà e vendere individualmente ciò che è il prodotto di una lotta comune.

Gli attacchi della Orcao contro le basi di appoggio dell’EZLN in questi anni sono stati una costante. Non si limitano a Cuxuljá, ma comprendono diversi municipi. L’ultimo è stato quello del 23 febbraio a Chilón, quando la Orcao, i Chinchulines (altro noto gruppo di paramiliari attivo in Chiapas, ndt) e alcuni membri di Morena sequestrarono e violentarono alcuni rappresentanti della comunità, una rappresaglia contro la partecipazione alle Giornate in Difesa del Territorio e della Madre Terra. Samir Siamo Tutte e Tutti.

Queste aggressioni sono state effettuate regolarmente nel quadro di un’offensiva governativa per cercare di debilitare gli zapatisti e contenere la loro avanzata. Non sono il prodotto di una lotta tra le comunità ma il risultato di una strategia dello Stato per creare conflitti interni. I governi di turno (perfino quello attuale) appoggiano la Orcao con risorse economiche, progetti produttivi (molti dei quali di allevamento), copertura politica e impunità da parte della polizia, al fine di erodere e logorare il consenso dell’EZLN.

Solo un anno fa, i ribelli hanno annunciato la creazione di sette nuovi Caracoles, che andavano ad aggiungersi ai cinque esistenti. Così facendo dispongono di 43 sedi di auto-governo, senza alcuna relazione con gli organi di governo ufficiali. L’EZLN ha annunciato inoltre la sua opposizione al Tren Maya e al Corridoio Interoceanico. La nuova battaglia di Cuxuljá e la guerra senza soluzione di continuità dei paramilitari di Chenalhó sono parte di una strategia di contenimento contro quello sviluppo dello zapatismo. Una strategia che non sembra affatto preoccupata dell’incendio dello Stato.

fonte: La Jornada. Titolo della versione in lingua originaleChiapas arde

Traduzione per Comune-info: marco calabria

 

 

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Incendiate due botteghe di caffè di simpatizzanti dell’EZLN.

Due botteghe di caffè di simpatizzanti dell’EZLN situate nella comunità di Cuculiá, vicino ad Ocosingo, sono state saccheggiate ed incendiate da un gruppo di trasportatori della ORCAO, residenti nel municipio di Oxchuc.

Intorno alle 11 del mattino un gruppo di persone è entrato nella comunità ribelle dell’EZLN Moisés Ghandi, e lì hanno sparso benzina e dato fuoco a due case, dove fortunatamente non si sono avute perdite di vite umane ma solo danni materiali.

Il gruppo della Orcao, capeggiato da Tomás Sántiz Gómez, prima di dare fuoco all’immobile, ha saccheggiato la bottega dove viene conservavano il caffè in chicchi, prodotto dei raccolti degli indigeni di questa comunità.

Il conflitto sembra dovuto ad una disputa sulla terra, in quanto quelli della ORCAO sostengono che il raccolto è loro perchè si trova sul loro territorio.

In questo senso, i membri del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) della comunità autonoma di Buena Vista, San Manuel, Chiapas, in un comunicato firmato da Jimmy de Jesús Encinos Santiz, dicono di essere in massima allerta e in attesa delle indicazioni dei comandanti dell’EZ e del comitato rivoluzionario clandestino, “per contrattaccare e uccidere coloro che hanno danneggiato i nostri compagni”.

Fonte: https://www.elheraldodechiapas.com.mx/local/municipios/queman-bodegas-de-cafe-de-simpatizantes-del-ezln-puesblos-indigenas-agresiones-bodegas-quemadas-5659475.html

 

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Ayotzinapa, identificati i frammenti ossei di uno dei 43 studenti desaparecidos

di Christian Peverieri8 luglio 2020

Christian Alfonso Rodriguez Telumbre, uno dei 43 normalistas vittima di sparizione forzata la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, è stato identificato: appartengono a lui i frammenti ossei ritrovati nella Barranca de la Carnicería nel novembre scorso dall’equipe della Fiscalía General de la República (FGR), coadiuvata dall’Equipo Argentino de Antropología Forense (EAAF) e dai rappresentanti dei genitori del Centro Prodh e di Tlachinollan.

L’annuncio è stato dato martedì sera da Omar Gómez Trejo, giudice speciale del caso Ayotzinapa, che ha spiegato come è avvenuto il ritrovamento dei frammenti ossei e il percorso effettuato per arrivare a questa conclusione. Tra il 20 e il 28 novembre scorso, l’equipe speciale della FGR che indaga sul caso, accompagnata dalla EAAF e dai rappresentanti dei genitori, grazie a nuove informazioni ricevute, ha effettuato un nuovo sopralluogo nella Barranca de la Carnicería, un luogo isolato a soli 800 metri dalla tristemente famosa discarica di Cocula.

La Barranca de la Carnicería era già stata setacciata nel 2014 senza che fosse rinvenuto niente. A distanza di cinque anni invece sono numerosi i frammenti ossei ritrovati, addirittura un centinaio. Di questi ritrovamenti non tutti hanno potuto essere sottoposti ad analisi per il deterioramento subito. I pochi frammenti utilizzabili per le analisi, quindici, sono stati inviati poi all’Università di Innsbruck che ha provveduto a una approfondita indagine scientifica. Il risultato su uno di questi campioni (corrispondente a un osso della gamba) è risultato positivo e ha confermato che appartengono al giovane ragazzo nativo di Tixtla. Tutto il percorso, dal ritrovamento, al viaggio in Europa, alle analisi, sono state condotte con il supporto e l’accompagnamento della EAAF e dei rappresentanti dei genitori del Centro Prodh e di Tlachinollan. 

La EAAF dopo aver confermato i risultati del laboratorio austriaco, successivamente «ha formulato un’opinione genetica supplementare, con ulteriori calcoli statistici sulla probabilità di parentela e genetica della popolazione che produce un tasso di parentela superiore al 99,99%, tenendo conto delle variabili statistiche applicabili a questo caso» che di fatto danno la certezza dell’appartenenza dei frammenti ossei al normalista Christian. 

In conferenza stampa, Omar Gómez Trejo ha annunciato che nelle prossime settimane e mesi sono attesi ulteriori risultati dagli altri frammenti ossei sottoposti ad analisi e ha sottolineato, come fatto la settimana scorsa dal presidente della FGR Alejandro Gertz Moreno, che questa amministrazione ha rotto il patto di impunità che vigeva mettendo in risalto la responsabilità della precedente amministrazione di Enrique Peña Nieto. Per la FGR con questi nuovi avanzamenti nelle indagini viene ristabilito il diritto alla verità e alla giustizia. Video conferenza stampa https://youtu.be/6QtZKM6NVFU

Per i genitori di Christian e degli altri 42 ragazzi scomparsi hanno parlato, come succede abitualmente, gli avvocati del Centro Prodh: «data l’identificazione genetica di Christian Alfonso Rodriguez Telumbre, effettuata dall’Università di Innsbruck e verificata dalla EAAF, ribadiamo la nostra solidarietà e affetto per la sua famiglia e chiamiamo a rispettarla in questo momento difficile. L’identificazione conferma che la verdad histórica era una fabbricazione che violava il diritto alla verità. Di fronte a questo, riconosciamo il lavoro etico e professionale svolto da EAAF, GIEI, CIDH, ONUDH Mexico, IMU e COVAJ. Le famiglie hanno detto che accetteranno la verità tanto dolorosa fintanto che sarà stata sostenuta da prove scientifiche; questa identificazione conferma che ci sono ancora innumerevoli aspetti da chiarire. Le indagini devono continuare fino a quando non chiariamo pienamente ciò che è accaduto, punire sia i responsabili della scomparsa sia i responsabili della manipolazione. Le famiglie dei 43 ragazzi e delle migliaia di famiglie con persone scomparse hanno diritto alla verità. L’identificazione di Christian mostra l’importanza di promuovere straordinari meccanismi di identificazione forense, con accompagnamento internazionale».

L’identificazione dei frammenti ossei del giovane “ayotzinapo” lascia aperti però ancora molti interrogativi. Primo tra tutti come sia stato possibile il ritrovamento a cinque anni dai fatti in un luogo che comunque era già stato perlustrato nel 2014 senza che fosse stato trovato nulla di pertinente al caso. Sebbene sia lodevole l’impegno profuso dalle autorità per la ricerca dei ragazzi e per arrivare alla verità tuttavia le recenti novità non hanno risposto a tali dubbi lasciando aperto il campo a numerose ipotesi sul perché quei frammenti siano stati ritrovati dopo così tanto tempo.

È innegabile tuttavia che l’identificazione di Christian sia uno spartiacque fondamentale nel cammino verso la verità e la giustizia, l’ennesima prova che rompe definitivamente con la cosiddetta “verdad histórica” con la quale per anni le autorità messicane hanno cercato di occultare le proprie responsabilità nell’agguato ai normalistas e nella successiva sparizione forzata dei 43 studenti.

A tutti noi che da anni accompagniamo i genitori in questa battaglia per la dignità contro uno dei più spregevoli crimini di cui istituzioni ignobili possano rendersi complici e responsabili, non resta che stringerci silenziosamente attorno alla famiglia di Christian in questo difficile momento, con la consapevolezza che qualsiasi altra notizia d’ora in avanti sarà senza più confortante dell’oblio a cui sono stati costretti a convivere da anni i genitori e i familiari dei ragazzi scomparsi.

Chi era Christian Alfonso Rodriguez Telumbre

Il Superman ballerino (Tratto da Centro Prodh)

Di Patricia Sotelo

Christian è l’unico figlio maschio di Clemente Rodriíguez e Luz María Telumbre e ha tre sorelle che anelano il suo ritorno. È cresciuto nel quartiere di Santiago, a Tixtla, Guerrero e aveva 16 anni quando è sparito.

Alto, moro e con occhi scuri, Christian sogna di studiare per costruirsi un futuro e aiutare la sua famiglia. Ma ciò che più di tutto lo entusiasma è la danza folclorica che pratica fin da quando era bambino. Nella sala della Casa de Cultura de Tixtla dove provava, mancano i colpi di tacco degli stivali bianchi di Christian sul pavimento di legno.

Ballava nel gruppo di danza folclorica Xochiquetzal e i suoi compagni di ballo lo ricordano quando arrivava alle prove mangiando un elote e con il suo zainetto beige con gli spallacci lunghi che gli attraversavano il petto. Lì metteva i suoi stivali da ballo. Lo chiamavano Clark, soprannome guadagnato per i suoi occhiali neri con montatura grossa simili a quelli del giornalista che si trasformava in Superman, Clark Kent. 

I suoi amici della preparatoria 29 lo chiamano “Soncho” o “Sonchito” e nella scuola normal rural di Ayotzinapa lo conoscono come “Hugo” dal momento che gli piace usare la tshirt della marca Hugo Boss. Si è diplomato con una media di 8,74 e i suoi maestri lo ricordano come un alunno serio e rispettoso. 

È entrato ad Ayotzinapa perché non aveva altra scelta, visto che in realtà desiderava diventare veterinario o insegnante di sostegno ma la sua famiglia non aveva i mezzi per sostenere queste carriere. Nella sala dove Christian praticava la danza regionale ci sono ancora i suoi stivali bianchi, con i quali era solito provare. Il suo maestro li tiene per quando ritornerà a calpestare il pavimento con l’entusiasmo di un gran ballo.

** Pic Credit: Octavio Gómez

https://www.globalproject.info/it/mondi/ayotzinapa-identificati-i-frammenti-ossei-di-uno-dei-43-studenti-desaparecidos/22898

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#20ZLN

3182. Un viaggio nel Messico delle migrazioni e del primo anno di governo AMLO

3182 sono i chilometri che separano il sud dal nord del Messico. Tapachula e Tijuana sono l’inizio e la fine del sogno americano per i migranti. 3182 è un diario di viaggio del collettivo #20ZLN fatto di voci e volti che cercano di raccontare le complessità e gli squilibri tra stato, politica, economia legale e illegale. Sono chilometri di contraddizioni, oppressioni, resistenze, speranze e costruzione di qualcosa di diverso.

Grazie a Desinformémonos il 21 giugno è stata diffusa la “prima” del documentario “3182. Un viaggio nel Messico delle migrazioni e del primo anno di governo AMLO”.

Qui il link per riguardarlo

https://www.youtube.com/watch?v=bNUV-DwkEVI&t=17s&fbclid=IwAR3-QgH91q_LsiDt0FQifoL_Gzq0oYauQVHbxQ8ifsm2OvO7u9O-G0gEr-0

https://www.youtube.com/user/desinformemonos

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Frayba: Monitoraggio tra le comunità indigene dell’emergenza sanitaria da SARS-COV-2

Nelle ultime settimane diverse organizzazioni della società civile hanno unito gli sforzi realizzare un monitoraggio nelle comunità indigene ed equiparabili con le quali lavorano su diverse tematiche. Questo monitoraggio ha lo scopo di identificare le condizioni di vita durante la pandemia e le ripercussioni da fattori interni ed esterni, per coordinare azioni di appoggio e solidarietà.

Questo lavoro non ha la pretesa di essere una prova statistica della situazione nelle comunità indigene, tuttavia riteniamo che per l’importanza analitica delle informazioni raccolte, questo rapporto fornisce alcune chiavi per comprendere il contesto in cui si sta vivendo la pandemia nelle comunità indigene ed equiparabili. 

QUI la versione scaricabile in PDF Primer-informe-del-monitoreo-a-comunidades-indigenas-y-equiparables-ante-la-emergencia-sanitaria-por-el-virus-SARS-COV-21

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Le Forze Armate messicane in funzione di ordine pubblico, gestione e controllo del paese.

COOPERAZIONE REBELDE NAPOLI·- 14 maggio 2020·

Felipe Calderón, una volta usurpata la presidenza della Repubblica Messicana mediante la frode elettorale del 2006, rafforzò il suo potere utilizzando le forze armate con funzioni di polizia e di pubblica sicurezza e nella famosa “guerra al narcotraffico” diede la possibilità alle forze armate di effettuare decine di assassini indiscriminati ad uso dei cartelli di cui erano riferimento in ognuno degli stati della Federazione. Con la scusa della guerra al narcotraffico si diede la possibilità di fare decine di assassini e sparizione di attivisti sociali e oppositori delle politiche governative. Calderón contravvenne a quanto stabilito dalla Costituzione degli Stati Uniti Messicani che stabilisce che in tempi di pace i militari devono rimanere nelle loro caserme.

Peña Nieto ha continuato con questa flagrante violazione costituzionale con il suo tentativo di utilizzare le forze armate ed ha cercato di consentirne promulgando la Legge sulla Sicurezza Interna, ma la Corte Suprema di Giustizia (SCJN) la definì incostituzionale e quindi anche questo tentativo fallì.

Nei fatti, la militarizzazione è continuata ed ha provocato, in entrambi i sessenni (ogni mandato presidenziale dura sei anni), gravi e ripetute violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate che più che risolvere ha aggravato il tema della sicurezza pubblica.

Durante questi due sessenni Andrés Manuel López Obrador, stando all’opposizione, ha ripetutamente dichiarato che le forze armate non erano predisposte per le funzioni di pubblica sicurezza ed ha sempre dichiarato che il contrasto alla criminalità doveva concentrarsi più che sull’uso della forza sul contrasto alle ragioni che la causavano: povertà, mancanza di opportunità di sviluppo, istruzione ecc.

Ancora di più durante la sua campagna elettorare del 2018 ha promesso al popolo che se fosse approdato alla presidenza, i militari sarebbero tornati nelle caserme, perché con le misure che avrebbe preso non sarebbe stato più necessaria la loro presenza nelle strade.

Uno degli slogan della campagna elettorale, in linea con la sua linea di critica alla militarizzazione degli anni passati all’opposizione fu “abrazos y no balazos” (abbracci e non pallottole). Il nuovo mantra ora è “El Ejército es bueno, porque el Ejército es pueblo” (L’Esercito è buono perchè l’Esercito è popolo).

Tutte le promesse della campagna elettorale sono state presto tradite e anzi velocemente ha provveduto alla creazione della Guardia Nazionale, una forza militare incaricata delle attività di pubblica sicurezza sostituendo in questo la Polizia Federale, più volte segnata dalla corruzione e dal malaffare ma da cui sono stati reclutati molti membri della nuova forza militare che nelle sue file conta anche moltissimi ex militari.

Come per i sessenni precedenti questa strategia di contrasto non ha funzionato e la violenza criminale continua a crescere senza controllo. Ora ancora una volta, proprio come Calderon e Peña Nieto, AMLO scommette sull’intervento dell’esercito per riempire i vuoti di potere che stanno segnando la sua incapacità come Presidente della Repubblica.

Approfittando della situazione di emergenza sanitaria che attraversa il paese e sapendo che non ci sarà una efficacia resistenza, ha emesso un decreto per utilizzare l’Esercito e la Guardia Nazionale in maniera congiunta per svolgere funzioni di polizia durante tutto il tempo del suo sessennio.

L’aumento del peso dei militari in questo periodo di presidenza di AMLO non si è limitato solo alla sicurezza. Negli ultimi due anni i militari hanno assunto incarichi che vanno dalla distribuzione di medicinali alla vigilanza di oleodotti della Pemex (la compagnia petrolifera messicana), alla lotta contro l’invasione delle alghe sulle coste o alla gestione dei soldi di alcuni “programmi sociali”. Nella stessa data di emanazione del decreto la Secretaria de Defensa (Sedena) ha iniziato la costruzione di 26 succursali del banco sociale del Governo che gestisce gli aiuti. In totale si costruiranno 1350 sedi bancarie per un investimento di circa 3000 milioni di pesos (all’incirca 60 miliardi di euro).

Ma la ciliegina sulla torta si è avuta nello scorso marzo con la conferma che la costruzione e la gestione del nuovo aeroporto di Città del Messico ricadrà in mani militari. L’Esercito non solo costruirà il terminal ma si occuperà delle operazioni civili e commerciali mediante una società la cui direzione sarà tenuta da militari. Per completare il processo di militarizzazione in atto nella società messicana l’Esercito aiuterà nella costruzione di due rami del Tren Maya, l’opera pubblica bandiera di questa presidenza insieme al nuovo aeroporto.

Ora appare più chiaro cosa intendeva quando ha detto che la pandemia del Covid-19 fasciava come un anello al dito per consolidare il suo processo della 4° Trasformazione.

Con questo continua il processo di imposizione dei progetti di spoliazione e devastazione dei territorio, anche il progressista AMLO, con le buone o con le cattive si mette al servizio del neoliberismo.

Di seguito un estratto del testo pubblicato sul Diario Ufficiale della Repubblica, la nostra Gazzetta Ufficiale, in cui Andrés Manuel López Obrador ad un anno dalla costituzione della Guardia Nazionale fa un ulteriore passo verso una completa militarizzazione per poter rispondere alla resistenza contro i mega progetti come il Tren Maya, il Corridoio Transistimico, le Miniere a cielo aperto e le coltivazioni intensive che distruggono molti territori da nord a sud del Messico.

ACCORDO

PRIMO. Si ordina alle Forze Armate di partecipare in maniera straordinaria, regolata, controllata, subordinata e complementare con la Guardia Nazionale alle funzioni di pubblica sicurezza che sono in carico di quest’ultima, durante il tempo in cui questa istituzione di polizia sviluppa la sua struttura, capacità e strutturazione territoriale, senza che tale partecipazione superi cinque anni a decorrere dall’entrata in vigore del decreto con il quale si riformano, aggiungono e abrogano diverse disposizioni della Costituzione politica degli Stati Uniti messicani, in relazione alla Guardia Nazionale, pubblicato il 26 marzo 2019 nella Gazzetta ufficiale della Federazione.

SECONDO. Le Forze Armate, nel sostegno allo svolgimento dei compiti di pubblica sicurezza di cui al presente accordo, svolgono i compiti assegnati conformemente alle attribuzioni previste dai comma I, II, IX, X, XIII, XIII, XIV, XV, XVI, XXV, XXVII, XXVIII e XXXIV dell’articolo 9 della Legge sulla Guardia Nazionale.

TERZO. Nel sostegno all’espletamento dei compiti di pubblica sicurezza, le Forze Armate sono regolate in ogni momento dalla rigorosa osservanza e rispetto dei diritti dell’uomo, nei termini dell’articolo 1 della Costituzione politica degli Stati Uniti Messicani e osserverà la Legge Nazionale sull’Uso della Forza e delle altre norme in materia.

QUARTO. Si dà incarico al Segretario della Sicurezza e della Protezione Cittadina di coordinarsi con i segretari della Difesa Nazionale e della Marina per definire il modo in cui le attività delle Forze Armate completeranno la funzione della Guardia Nazionale.

QUINTO. I compiti svolti dalle Forze Armate nell’adempimento del presente strumento sono sotto la supervisione e il controllo dell’organo interno di controllo da cui dipendono.”

foto: – Militari messicani ad una parata

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ALTRECONOMIA N. 226 – Maggio 2020
Tra le famiglie zapatiste che producono caffè in Chiapas
Dal 2016 al 2019 il conflitto tra Aldama e Santa Martha ha causato 25 morti e 14 feriti
Reportage dal municipio di Aldama, in Messico, dove i soci della cooperativa Yach’il Xojolabal ottengono i chicchi resistendo alle aggressioni dei gruppi armati. Tra chi li supporta ci sono diverse realtà del commercio equo italiano.
Testo e foto di Orsetta Bellani

Araceli ha tre anni e sa che quando sparano si deve buttare a terra. Gliel’hanno insegnato dopo che, il 22 gennaio 2019, una pioggia di pallottole ha colpito la cucina di casa sua. Quel giorno sua madre, sua zia e sua nonna stavano preparando le tortillas quando dal vicino villaggio di Santa Martha, che si trova nel Municipio di Chenalhó, nel meridionale Stato messicano del Chiapas, giunse una raffica che bucò le pareti di legno della cucina e fece a pezzi il tetto in lamiera. “Vogliamo costruire un muretto di cemento fuori dalla cucina, in modo che se sparano di nuovo le pallottole non possano penetrare”, dice suo padre Abraham.


Araceli vive nel villaggio indigeno maya tsotsil di San Pedro Cotzilnam, che si trova nel Municipio di Aldama in Chiapas. Circa la metà dei suoi abitanti sono basi d’appoggio, cioè civili, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). La famiglia di Araceli e Abraham è una delle circa 700 famiglie zapatiste che fanno parte della cooperativa di caffè Yach’il Xojolabal, che in lingua maya tsotsil significa “nuova luce del cielo”.
La cooperativa è stata fondata nel 2001 e produce circa 62 tonnellate di caffè all’anno. Vende una quota della sua produzione a Tatawelo, Malatesta e Ya Basta – che lo distribuisce in Italia come Caffè Rebelde Zapatista-, associazioni italiane che garantiscono un prezzo equo ai produttori chiapanechi. Una parte del caffè che beviamo ogni giorno viene quindi da queste montagne che superano i duemila metri sul livello del mare, coperte di boschi, campi di mais e caffè, e in cui le sparatorie sono all’ordine del giorno.
I gruppi armati di tipo paramilitare non attaccano gli abitanti di Aldama perché sono zapatisti. Si appostano nel villaggio di Santa Martha, sulla montagna antistante San Pedro Cotzilnam, e da lassù sparano contro zapatisti e non zapatisti, contro automobili e case, di giorno e di notte.
Il conflitto è iniziato nel 2016, dopo che gli abitanti di Aldama hanno negato a quelli di Santa Martha l’utilizzo di una fonte di acqua potabile. Fu allora che iniziarono a sparare ma le tensioni esistono dagli anni 70, quando in un ufficio pubblico della capitale decisero di spostare la frontiera che divide i due municipi, causando una disputa per il possesso di 60 ettari di terra.
In un comunicato la “Giunta di Buon Governo” di Oventic, autorità autonoma zapatista che governa su questa regione chiamata Altos de Chiapas, ha denunciato che dal 2016 al 2019 il conflitto ha causato 25 morti e 14 feriti tra Aldama e Santa Martha.
Le autorità zapatiste accusano il governo municipale, quello statale e quello federale di non essere stati capaci né di risolvere i problemi di fondo né di gestire la crisi.
Nel giugno 2019, il governo del presidente Andrés Manuel López Obrador ha promosso la firma di un patto di non aggressione tra Aldama e Santa Martha. Venne definito “storico” e si disse che avrebbe segnato “l’inizio di una nuova fase di pace”, ma le sparatorie ricominciarono presto. Un mese dopo la firma, un giovane di Aldama venne ucciso durante il funerale di sua nonna con una pallottola alla testa sparata da un cecchino di Santa Martha.
Dal 2016 più di duemila abitanti di Aldama sono costantemente costretti ad abbandonare le loro case quando iniziano le sparatorie: si rifugiano nei boschi e vi tornano quando la situazione si calma. Negli ultimi due anni e mezzo nell’Altos de Chiapas più di settemila indigeni maya tzotziles sono stati sfollati a causa della violenza dei gruppi armati di tipo paramilitare, in buona parte del Municipio di Chenalhó. La Ong chiapaneca Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) non vede una connessione diretta tra i gruppi armati irregolari attuali e quelli che si sono formati negli anni 90 per reprimere l’insurrezione dell’EZLN, ma denuncia che i paramilitari detenuti per il massacro di 45 persone avvenuto nel 1997 ad Acteal, nel Municipio di Chenalhó, sono stati scarcerati. Le loro armi non sono mai state confiscate, la loro struttura non è stata disarticolata e i politici che li addestravano e finanziavano continuano ad operare nella regione. Nel gennaio 2019, Alejandro Encinas, sottosegretario ai Diritti umani del governo federale messicano, ha affermato che questi gruppi armati potrebbero avere legami con la criminalità organizzata.
“Le persone che ne fanno parte sono contadini come noi, è gente povera, ma sono addestrati militarmente e dotati di armi e pallottole. Dove trovano i soldi per comprarle?”, afferma Abraham, padre di Araceli. Il membro di Yach’il Xojolabal pensa che la violenza ad Aldama sia motivata da interessi che vanno oltre il possesso dei 60 ettari di terra e che politici e industriali interessati allo sfruttamento delle risorse naturali locali stiano finanziando il conflitto. Secondo Abraham, l’azione dei gruppi di tipo paramilitare è finalizzata a terrorizzare la popolazione per imporre la militarizzazione del territorio – già avvenuta ad Aldama con il pretesto di combattere i gruppi armati irregolari – e preparare il terreno all’ingresso di aziende interessate all’estrazione delle risorse naturali.
“È una delle teorie che si utilizzano per motivare tanta violenza”, afferma Jorge Luis Lopez, parte del Frayba. “Si parla dell’interesse a costruire una centrale idroelettrica nel fiume che divide Aldama da Chenalhó e della presenza di minerali preziosi nel sottosuolo, ma finora non abbiamo trovato nessun documento che avvalli queste tesi”. La prima cosa che fa Araceli, quando Abraham torna dal lavoro, è prendere il suo cellulare per guardare dei video. Con gli occhi incollati al telefono mangia uova, fagioli e tortillas fino a quando sua madre le toglie il cellulare perché vada a giocare con i vicini. Abraham è responsabile dell’ufficio commerciale e ha il compito di mantenere le relazioni con gli acquirenti solidali di vari Paesi del mondo. Come gli altri 283 membri della cooperativa Yach’il Xojolabal di Aldama, l’anno scorso la famiglia di Abraham ha perso circa il 50% del raccolto di caffè: le sparatorie erano troppo intense per andare a lavorare nei campi.
“I cecchini di Santa Martha ci cacciavano come fossimo animali mentre andavamo a raccogliere il caffè”, dice Juan di Yach’il Xojolabal. “Lo vedi? Era da lì che sparavano, qui non ci si poteva stare”, dice indicando un punto nella montagna, a poche centinaia di metri davanti a noi. La vegetazione, in parte mangiata dalla nebbia, ricopre completamente il pendio e il rumore della pioggia battente si perde in quello del fiume che attraversa la valle. Quando le sparatorie iniziarono, gli zapatisti s’incamminavano di notte verso i loro campi e tornavano dopo il tramonto per non essere visti. Raccoglievano e trasportavano il caffè sulle spalle in sacchi neri invece che bianchi, che si mimetizzavano nel buio. Ma dall’agosto 2018, quando un’intera famiglia (non zapatista) venne uccisa in un’imboscata mentre viaggiava in auto, molti contadini decisero di abbandonare il loro raccolto nei campi. Non si andava a lavorare e non si circolava in macchina, se non di notte e con i fari spenti; neanche i mezzi che trasportavano i feriti erano risparmiati. I bambini non andavano a scuola, la vita quotidiana venne totalmente congelata. Quest’anno le perdite nella produzione di caffè sono state minori, visto che proprio durante la raccolta – tra novembre 2019 e l’inizio di marzo 2020 – ad Aldama non ci sono state sparatorie. Ma le piante di caffè arabica hanno risentito del fatto che l’anno precedente, nel periodo delle sparatorie più intense, non hanno ricevuto le attenzioni adeguate e la produzione di Yach’il Xojolabal ad Aldama ha raggiunto solo il 60-70% del volume che ci si aspettava. “In ogni caso, la situazione di Aldama incide parzialmente sulla produzione totale della cooperativa per il 2020”, assicura Yach’il Xojolabal che è presente in altri sette Municipi del Chiapas. “Abbiamo raccolto circa l’87% della produzione stimata e non avremo problemi a rispettare i contratti firmati”. https://altreconomia.it/tra-le-famiglie-zapatiste-che-producono-caffe-in-chiapas/

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Pronunciamento congiunto per la vita

Al popolo del Chiapas

Alle Giunte del Buon Governo dell’EZLN

Alle organizzazioni indigene e contadine

Al governo federale, statale e municipale.

Alle autorità sanitarie federali, statali e distrettuali

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, il 20 aprile 2020

Dal sud del Messico, varie organizzazioni sociali, civili e collettivi si sono riuniti per condividere informazioni, analizzare e generare strategie per affrontare congiuntamente questa pandemia COVID 19. In questo sforzo collettivo ritroviamo quelli che hanno lavorato per anni per la difesa e la promozione dei diritti umani: civile, politico, economico, sociale, culturale e ambientale nello stato del Chiapas. Abbiamo sviluppato per decenni molteplici iniziative per la giustizia e la dignità in questi territori, in particolare nell’area dei diritti delle donne, dell’infanzia e della gioventù, delle popolazioni indigene e dei migranti; difendendo, tra gli altri, il diritto alla salute, all’acqua, al territorio, all’informazione e alla libera mobilità umana. A partire da queste diverse capacità, conoscenze ed esperienze, uniamo le forze per accompagnare i popoli nella richiesta dei diritti, per informare in maniera accessibile e attendibile sulla pandemia, per creare nuovi spazi per l’aiuto reciproco e per documentare e segnalare possibili violazioni ai diritti umani che si presentano durante l’emergenza.

Partiamo dal ricordare che ci troviamo in uno stato che ha vissuto storicamente e in maniera particolare l’esclusione e l’emarginazione, e di contro una enorme capacità organizzativa frutto della sua lunga storia di lotta e resistenza. La pandemia che stiamo vivendo oggi conferma che le forme capitalistiche di produzione, in cui predominano la violenza, la disuguaglianza e l’espropriazione, rendono precari i mezzi per la riproduzione della vita e diminuiscono la possibilità di vivere una vita dignitosa.

Esiste una forte relazione tra la salute della natura e la salute umana, i virus proliferano in situazioni di devastazione ecologica legate all’espansione agroindustriale e ai suoi impianti produttivi ed i  sistemi di stoccaggio, un processo che viola i diritti umani e i diritti della terra. 

Se le condizioni rimangono le stesse, i virus continueranno ad comparire, cambiare il modello di produzione alimentare, scommettere sulla sovranità alimentare e sull’agroecologia è un mezzo per prevenire future pandemie. Per evitare che ciò accada, è necessario un cambiamento sistemico, per il quale riteniamo essenziale ascoltare le voci e le lotte delle popolazioni indigene e dei contadini che si prendono cura e difendono la Madre Terra e il suo territorio.

Questa emergenza sanitaria evidenzia lo smantellamento dei sistemi di sanità pubblica derivante dal modello capitalista e la subordinazione della salute delle persone ad un modello che serve il mercato e la scelta sviluppista come unico principio applicabile. Quindi, un cambio di paradigma dovrebbe essere quello di mettere al di sopra di tutto il diritto alla vita e ai diritti umani per tutte le persone.

Sappiamo che è una grande sfida per il governo messicano e per la società nel suo complesso affrontare questa situazione davanti ad un sistema sanitario saturo e in alcuni zone collassato, ecco perché esortiamo i livelli federale, statale e municipale ad ascoltare e tenere in conto le richieste e le considerazioni basate su una chiara analisi delle esigenze dei diversi territori in Messico. Siamo per la garanzia effettiva e completa del diritto alla salute di cui agli articoli 1, 2, 3, 7, 13, 17, 25, 26, 27, 28 Bis, 29 e 77 Bis della Costituzione degli Stati Uniti Messicani. Chiediamo:

1. di affrontare i determinanti sociali della pandemia che pone le popolazioni migranti, i bambini che lavorano e i bambini di strada, gli abitanti delle periferie urbane, i detenuti, i lavoratori precari come settori con maggiore vulnerabilità al contagio, con diagnosi tempestive ed accesso al trattamento.

2. Nel caso delle popolazioni indigene riconoscimento degli storici sistemi della salute comunitaria, rispettare pienamente l’esercizio del loro diritto all’autonomia ed i loro modelli di assistenza sanitaria nei propri territori. Nell’ambito degli Accordi di San Andrés, per il secondo articolo della Costituzione e per gli strumenti internazionali come la Convenzione 169 dell’ILO (ndt. Organizzazione Internazionale del Lavoro) e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene.

3. Diffondere ampiamente le misure statali di assistenza e accompagnamento per ragazze, ragazzi e donne che subiscono violenza all’interno della famiglia. Che l’assistenza sia facilmente accessibile e focalizzata sui diritti umani.

4. Riconoscere la complessità della mobilità umana in Chiapas in quanto è uno Stato di origine, transito, destinazione e ritorno. Pertanto, attuare efficaci misure di sorveglianza epidemiologica per le persone in fuga forzata, i migranti che sono in detenzione e coloro che ritornano obbligatoriamente nelle comunità.

a) Piano di assistenza specifico che include informazioni accessibili nelle lingue originarie della famiglia e della comunità di rientro, tempestiva diagnosi e trattamento e follow-up.

b) Affermiamo che la migrazione non è un crimine, pertanto esortiamo a sospendere la detenzione per immigrazione, evitare il sovraffollamento nei centri di detenzione, il rilascio immediato di tutte le persone e che vengano garantiti i loro diritti umani.

c) Per quanto riguarda le 9.950 vittime di sgomberi forzati, chiediamo le stesse misure di sorveglianza epidemiologica e una risposta efficace alla violenza diffusa causata dai gruppi paramilitari.

5. Garantire condizioni adeguate per gli operatori sanitari a tutti i livelli. Distribuzione di forniture, attrezzature e formazione sufficienti per rafforzare i servizi sanitari di primo livello per le cure non COVID e COVID 19, compreso il rafforzamento degli spazi di cura e la collaborazione orizzontale con gli agenti sanitari della comunità: ostetriche, promotori, dottori e stagisti.

6. Nel caso delle ostetriche lo Stato faciliti ed acceleri il riconoscimento dell’ostetrica nel registro civile ed accresca i certificati di nascita senza alcuna condizione. Che siano rispettati per poter continuare a svolgere cura e attenzioni, che sia sufficiente il riconoscimento della comunità. Nel caso in cui ne facciamo richiesta gli vengano forniti adeguati materiali e forniture necessarie per il parto.

7. Chiediamo al governo federale di prestare particolare attenzione al modo in cui la strategia sanitaria viene attuata dal governo locale in Chiapas. Riconosciamo l’impegno del lavoro e ribadiamo le esigenze espresse dalla Sezione 50 della Sindacato Nazionale dei Lavoratori della Segreteria di Salute dello Stato del Chiapas, che dicono letteralmente:

“In questo momento manca una leadership efficace nello Stato per far fronte a questa circostanza, la nostra istituzione è attualmente gestita con scopi politici e non scientifici, quindi non rappresenta gli interessi della salute pubblica del nostro Stato, per questo motivo disconosciamo questa rappresentanza ufficiale e come lavoratori ci organizzeremo, come sappiamo farlo, per affrontare la pandemia.

Chiediamo al governatore dello Stato, dott. Rutilio Escandón Cadenas, di licenziare immediatamente il politico segretario della salute, con l’immediata sostituzione di esperti in epidemiologia che ci sono in Chiapas “.

8. Informazioni rapide e trasparenti sui protocolli sanitari in Chiapas. Per offrire un’assistenza dignitosa è necessario che il personale sia adeguatamente protetto secondo i protocolli stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

9. Garantire servizi di base per le reti di approvvigionamento di acqua potabile, fognature, elettricità, strutture igieniche-sanitarie per la popolazione in generale e con particolare attenzione a ospedali, case di cura, case per anziani, centri di detenzione per migranti, carceri e asili dei bambini.

10. Garantire e regolare la fornitura di alimenti per evitare speculazioni sui prezzi degli articoli di prima necessità. Ai piccoli produttori con prodotti in eccesso fissare prezzi di garanzia e facilitare la distribuzione dei loro prodotti. Promuovere i mercati degli agricoltori per prodotti agro-ecologici o di trasformazione per la distribuzione locale. Garantire che sul totale degli acquisti dei prodotti alimentari dello Stato messicano si destini una percentuale ai piccoli produttori di eccedenze.

11. Concepire tempestivi piani economici, senza alcuna condizione, per accompagnare degnamente le famiglie che non hanno salari e posti di lavoro garantiti. Monitorare e garantire che questi sussidi non diventino oggetto di clientela e corruzione.

12. Che il processo di riconversione ospedaliera sia trasparente a livello statale e distrettuale con una chiara e precisa promozione e diffusione del percorso di assistenza urbana e di copertura rurale, senza trascurare l’assistenza ospedaliera e la consulenza ambulatoriale ai pazienti NO COVID19 .

13. Informazioni sulle strategie a sostegno di altri problemi derivati ​​dalle fasi 2 e 3 come la violenza all’interno della famiglia, la violenza femminicida, psicologica, economica, fisica e sessuale contro i bambini e le donne, la stigmatizzazione dei pazienti COVID, l’attacco agli operatori sanitari.

14. Chiediamo che in nessun caso vengano applicate misure di forza da parte della polizia e degli organi militari allo scopo di contenere la popolazione, che potrebbero generare azioni illegali e violazioni dei diritti umani delle persone.

15. Fermare la narrazione della guerra, la promozione della paura, la repressione fisica 

dello Stato e la dimostrazione di forza, che esercita simbolicamente violenza fisica, provoca paura e solitudine che impediscono la costruzione di solidarietà e legami collettivi. 

La promozione deliberata di rumors, la disinformazione e il panico rendono le persone malate, smobilita e, all’estremo, si converte in una stigmatizzazione e persecuzione dell’altro.

Riconosciamo gli sforzi che la società chiapaneca sta compiendo rimanendo a casa, così come le proposte sanitarie autonome delle comunità e dei villaggi; apprezziamo le iniziative delle piccole imprese che stanno facendo la loro parte, ricordiamo le grandi manifestazioni di solidarietà che si stanno svolgendo pertanto invitiamo le autorità ad agire in modo responsabile ed adempiere pienamente al loro mandato pubblico.

Apprezziamo e riconosciamo il lavoro, l’impegno e la dedizione dei lavoratori e lavoratrici della salute.

Continueremo a lavorare in modo coordinato ed in maniera condivisa con la società e con le persone con le quali camminiamo, continueremo con la diffusione di informazioni nelle lingue locali, promuovendo reti di solidarietà e sostegno reciproco e manteniamo anche la nostra azione di osservazione, documentazione e denuncia di azioni che violano i diritti umani delle persone in questi territori.

Firmano:

Organizaciones:

At`el Antsetik Centro Comunitario; Centro de Capacitación en Ecología y Salud para Campesinos/Defensoría del Derecho a la Salud (CCESC-DDS); Enlace, Comunicación y Capacitación, A.C.; ProMedios; Melel Xojobal, A.C.; Alianza Pediátrica Global; Comisión Para la Defensa de los Derechos Humanos, A.C.; Salud y Desarrollo Comunitario (Sadec); Casa de la Mujer Ixim Antsetic; Agua y Vida: Mujeres, Derechos y ambiente, A.C; Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, AC; Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas, A.C. (DESMI); Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba); Centro de Estudios para el Cambio en el Campo Mexicano, A.C. ( CECCAM); Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario (IMDEC); Una mano amiga en la lucha contra el sida AC; Formacion y Capacitación A.C.; Centro de Derechos Humanos Fray Matias de Córdoba A.C.; Apostólicas del Corazón  de Jesús (ACJ) Tapachula; Kaltsilaltik, A.C., Comitán.; Iniciativas para el Desarrollo Humano A.C.; SJM Frontera Comalapa; Centro de derechos de las víctimas de violencia Minerva Bello, Fideicomiso para la salud de los niños indígenas A.C.

Red de Resistencia y Rebeldía Ajmaq

Red por los Derechos de la Infancia y la Adolescencia en Chiapas (REDIAS)

Red Por la Paz

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, (San Cristóbal de Las Casas); Centro de Derechos Humanos Fray Pedro Lorenzo de la Nada, (Ocosingo); Centro de Derechos Indígenas A.C. CEDIAC; Centro de derechos de la Mujer (San Cristóbal de Las Casas);  Comisión de Apoyo para la Unidad y Reconciliación Comunitaria (CORECO ) (San Cristóbal de Las Casas); Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (DESMI ) (San Cristóbal de Las Casas);  Educación para la paz (EDUPAZ) (Comitán); Enlace, Capacitación y Comunicación (Ocosingo y Comitán); Servicios y Asesoría para la Paz (SERAPAZ ) (Ocosingo).

Red Nacional de Organismos Civiles de Derechos Humanos  “Todos los Derechos para Todas y Todos”

(formata da 86 organizzazioni presenti in 23 Stati della Repubblica messicana):

Academia Hidalguense de Educación y Derechos Humanos A.C. (ACADERH) (Hidalgo); Agenda LGBT (Estado de México); Alianza Sierra Madre, A.C. (Chihuahua); Aluna Acompañamiento Psicosocial, A.C.(Ciudad de México); Asistencia Legal por los Derechos Humanos, A.C. (AsiLegal) (Ciudad de México); Asociación Jalisciense de Apoyo a los Grupos Indígenas, A.C. (AJAGI) (Guadalajara, Jal.); Asociación para la Defensa de los Derechos Ciudadanos “Miguel Hidalgo” (Jacala Hgo.); Bowerasa, A.C. “Haciendo Camino” (Chihuahua, Chih.); Casa del Migrante Saltillo (Saltillo, Coah.); Católicas por el Derecho a Decidir, A.C. (Ciudad de México); Centro de Capacitación y Defensa de los Derechos Humanos e Indígenas, Asociación Civil (CECADDHI) (Chihuahua); Centro “Fray Julián Garcés” Derechos Humanos y Desarrollo Local, A. C. (Tlaxcala, Tlax.); Centro de Apoyo al Trabajador, A.C. (CAT) (Ciudad de México); Centro de Derechos de la Mujeres de Chiapas (San Cristóbal de Las Casas, Chis.); Centro de Derechos Humanos “Don Sergio” (Jiutepec, Mor.); Centro de Derechos Humanos “Fray Bartolomé de Las Casas”, A. C. (San Cristóbal de Las Casas, Chis); Centro de Derechos Humanos “Fray Francisco de Vitoria O.P.”, A. C. (Ciudad de México); Centro de Derechos Humanos “Fray Matías de Córdova”, A.C. (Tapachula, Chis.); Centro de Derechos Humanos “Juan Gerardi”, A. C. (Torreón, Coah.); Centro de Derechos Humanos “Miguel Agustín Pro Juárez”, A. C. (Ciudad de México); Centro de Derechos Humanos de la Montaña, Tlachinollan, A. C. (Tlapa, Gro.); Centro de Derechos Humanos de las Mujeres (Chihuahua); Centro de Derechos Humanos de los Pueblos del Sur de Veracruz “Bety Cariño”, A.C. (Tatahuicapan de Juárez, Ver.); Centro de Derechos Humanos Digna Ochoa, A.C (Tonalá, Chis.); Centro de Derechos Humanos Paso del Norte (Cd. Juárez, Chih.); Centro de Derechos Humanos Toaltepeyolo (Orizaba, Veracruz); Centro de Derechos Humanos Victoria Diez, A.C. (León, Gto.); Centro de Derechos Humanos Zeferino Ladrillero (CDHZL) (Estado de México); Centro de Derechos Indígenas “Flor y Canto”, A. C. (Oaxaca, Oax.); Centro de Derechos Indígenas A. C. (Bachajón, Chis.); “Centro de Estudios Sociales y Culturales Antonio de Montesinos, A.C.” (CAM) (Ciudad de México); Centro de Investigación y Capacitación Propuesta Cívica A. C. (Propuesta Cívica) (Ciudad de México); Centro de Justicia para la Paz y el Desarrollo, A. C. (CEPAD) (Guadalajara, Jal.); Centro de los Derechos del Migrante (Ciudad de México); Centro de Reflexión y Acción Laboral (CEREAL-Guadalajara) (Guadalajara, Jal.); Centro Diocesano para los Derechos Humanos “Fray Juan de Larios”, A.C. (Saltillo, Coah.); Centro Juvenil Generando Dignidad (Comalcalco, Tabasco); Centro Kalli Luz Marina (Orizaba, Ver.); Centro Mexicano de Derecho Ambiental (CEMDA) (Ciudad de México); Centro Mujeres (La Paz, BCS.); Centro Regional de Defensa de DDHH José María Morelos y Pavón, A.C. (Chilapa, Gro.); Centro Regional de Derechos Humanos “Bartolomé Carrasco”, A.C. (BARCA) (Oaxaca, Oax.); Centro Universitario por la Dignidad y la Justicia Francisco Suárez, S.J. (CUDJ)(Guadalajara, Jal.); Ciencia Social Alternativa, A.C. KOOKAY (Mérida, Yuc.); Ciudadanía Lagunera por los Derechos Humanos, A.C. (CILADHAC) (Torreón, Coah.); Colectivo contra la Tortura y la Impunidad (CCTI) (Ciudad de México); Colectivo Educación para la Paz y los Derechos Humanos, A.C. (CEPAZDH) (San Cristóbal de Las Casas, Chis.); Comisión Ciudadana de Derechos Humanos del Noroeste (Mexicali, Baja California); Comisión de Derechos Humanos y Laborales del Valle de Tehuacán, A.C. (Tehuacán, Pue.); Comisión de Solidaridad y Defensa de los Derechos Humanos, A.C. (COSYDDHAC) (Chihuahua, Chih.);  Comisión Regional de Derechos Humanos “Mahatma Gandhi”, A. C. (Tuxtepec, Oax.); Comité Cerezo (Ciudad de México); Comité Cristiano de Solidaridad Monseñor Romero (Ciudad de México); Comité de Defensa de las Libertades Indígenas (Palenque, Chis.); Comité de Defensa Integral de Derechos Humanos Gobixha A.C. (CODIGODH) (Oaxaca, Oax.); Comité de Derechos Humanos “Fr. Pedro Lorenzo de la Nada”, A. C. (Ocosingo, Chis.); Comité de Derechos Humanos “Sierra Norte de Veracruz”, A. C. (Huayacocotla, Ver.); Comité de Derechos Humanos Ajusco (Ciudad de México); Comité de Derechos Humanos de Colima No Gubernamental A. C. (Colima, Col.); Comité de Derechos Humanos de Comalcalco, A. C. (CODEHUCO) (Comalcalco, Tab); Comité de Derechos Humanos de Tabasco, A. C. (CODEHUTAB) (Villahermosa, Tab); Comité de Derechos Humanos y Orientación Miguel Hidalgo, A. C. (Dolores Hidalgo, Gto.); Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos “Hasta Encontrarlos”(Ciudad de México); Comité Sergio Méndez Arceo Pro Derechos Humanos de Tulancingo, Hgo A.C. (Tulancingo, Hgo.); Consultoría Técnica Comunitaria AC (CONTEC) (Chihuahua); El Caracol, A.C (Ciudad de México); Estancia del Migrante González y Martínez, A.C. (Querétaro, Qro.); Frente Cívico Sinaloense. Secretaría de Derechos Humanos (Culiacán, Sin.); Fundación para la Justicia y el Estado Democrático de Derecho (Ciudad de México); Indignación, A. C. Promoción y Defensa de los Derechos Humanos (Mérida, Yuc.); Instituto de Derechos Humanos Ignacio Ellacuria, S.J. Universidad Iberoamericana- Puebla (Puebla, Pue.); Instituto Mexicano de Derechos Humanos y Democracia (Ciudad de México); Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario, A. C. (IMDEC) (Guadalajara, Jal.); Justicia, Derechos Humanos y Género, A.C. (Ciudad de México); La 72, Hogar-Refugio para Personas Migrantes (La 72) (Tenosique, Tabasco); Mujeres Indígenas por la Conservación, Investigación y Aprovechamiento de los Recursos Naturales, A. C. (CIARENA) (Oaxaca); Promoción de los Derechos Económicos, Sociales y Culturales (PRODESCAC) (Estado de México); Proyecto de Derechos Económicos, Sociales y Culturales (ProDESC) (Ciudad de México); Proyecto sobre Organización, Desarrollo, Educación e Investigación (PODER) (Ciudad de México); Red Solidaria de Derechos Humanos, A.C. (Morelia, Michoacán); Respuesta Alternativa, A. C. Servicio de Derechos Humanos y Desarrollo Comunitario (San Luis Potosí); Servicios de Inclusión Integral, A.C. (SEIINAC) (Pachuca, Hgo.); Tequio Jurídico A.C. (Oaxaca, Oax.); Uno de Siete Migrando A. C.(Chihuahua, Chih.); VIHas de Vida (Guadalajara, Jal.); Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes AC (San Cristóbal de Las Casas, Chiapas).

Mesa de Coordinación Transfronteriza Migraciones y Género Capítulo Guatemala:

American Friends Service Committee, Oficina Regional de América Latina y El Caribe  (AFSC); Asociación Comunitaria Multisectorial de Monitoreo Comunitario en Salud y Apoyo a Migrantes (ACOMUMSAM); Asociación Consejería Oxlajuj Ix para Centroamérica y México (CAMEX); Asociación Coordinadora Comunitaria de Servicios para la Salud-Guatemala ACCSS; Asociación de Desarrollo Social de Ixcán (ADESI); Asociación de Familiares de Migrantes Desaparecidos de Guatemala (AFAMIDEG); Asociación Lambda, Consejo de Juventud para el Desarrollo Ixcoyense  (COJDI); Comisión de Asuntos Migratorios de Ixcán -CAMI; Comité Municipal de Migración; Equipo de Estudios Comunitarios y Acción Psicosocial (ECAP); Federación Guatemalteca de Escuelas Radiofónicas (FGER); Gobierno Ancestral Plurinacional Q’anjoba’l; Jóvenes por el Cambio; Mamá Maquin; Médicos del Mundo Francia – España; Mesa Nacional para las Migraciones en Guatemala (MENAMIG);  Molanil K´inal B´e; Pastoral Social La Libertad Cristo de Esquipulas; Pop Noj’; Red  Juvenil Ak´Molam; Sociedad Civil. Capítulo México: American Friends Service Committee, Oficina Regional para América Latina y El Caribe  (AFSC); Centro de Derechos Humanos Oralia Morales; Centro de Derechos Humanos Fray Matías de Córdova;  Coalición Indígena de Migrantes de Chiapas (CIMICH); Comité de Derechos Humano Fray Pedro Lorenzo de la Nada A.C.; Formación y Capacitación A.C. (FOCA); Iniciativas para el Desarrollo Humano A.C.; Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario (IMDEC); Instituto para las Mujeres en la Migración AC (IMUMI); La 72, Hogar – Refugio para Personas Migrantes; Médicos del Mundo Francia – España, Pastoral de Migrantes; Parroquia de Frontera Comalapa; Servicio Jesuita a Migrantes  (SJM); Servicio Jesuita a Refugiados  (SJR), Servicio Pastoral a Migrantes San Martin de Porres (SEPAMI – SMP ); Una Ayuda para ti Mujer Migrante A.C.; Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, A.C.

Colectivo de Monitoreo y Observación de Derechos Humanos del Sureste Mexicano:

American Friends Service Committee  – Oficina Regional de América Latina y El Caribe (AFSC), Apostólicas del Corazón de Jesús (ACJ),  Centro de Derechos Humanos Digna Ochoa, Centro de Derechos Humanos Fray Matías de Córdova, Centro de Derechos Humanos Tepeyac, Centro de Derechos de las Víctimas de la Violencia Minerva Bello, Formación y Capacitación (FOCA), Iniciativas para el Desarrollo Humano, Kaltsilaltik, Red Jesuita con Migrantes – Centroamérica y Norteamérica, Servicio Jesuita a Migrantes – Frontera Comalapa, Servicio Jesuita a Refugiados México (JRS México), Tzome Ixuk-Mujeres Organizadas A.C., Una Mano Amiga en la Lucha contra el SIDA, Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, AC.

traduzione di Cooperazione Rebelde Napoli

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Determinazioni sociali della pandemia: uno sguardo dal Chiapas
Il 20 aprile 2020, diverse organizzazioni sociali, associazioni civili e collettivi hanno pubblicato un Pronunciamiento por la vida (al link trovate la traduzione del documento) in cui analizzano le dimensioni sociali della pandemia di COVID-19 e offrono input per generare strategie per affrontare in maniera solidale la situazione, sia a livello nazionale sia nel contesto specifico del Chiapas. Si tratta di organizzazioni e gruppi che da anni lavorano per la difesa e la promozione dei diritti umani, civili, politici, economici, sociali, culturali e ambientali in Chiapas.
In una conferenza stampa trasmessa quel giorno da Rompeviento TV, i membri di alcune organizzazioni firmatarie hanno descritto analiticamente le dimensioni sociali della pandemia nel contesto del Chiapas: Ana Valadez Ortega (ricercatrice presso la CECCAM e membro del DESMI), Deyanira Clériga Morales (collaboratrice di Voces Mesoamericanas y Acción con Pueblos Migrantes), Marcos Arana Cedeño (direttore del Centro de Capacitación Ecológica y Salud para Campesinos) e Pedro Faro Navarro (direttore del Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas).
Come ha spiegato Ana Valadez, il processo di discussione collettiva è nato da un’iniziativa di operatori sanitari che lavorano nel campo della salute collettiva da 30, 40 anni in Chiapas; molti di loro, per diversi decenni, hanno formato un gran numero di contadini ad essere promotori e promotrici di salute, a partire dalla diaspora guatemalteca e fino al processo di formazione della salute autonoma delle comunità zapatiste. È stata la consapevolezza acquisita in quegli anni di lavoro che li ha portati a esaminare i determinanti sociali della pandemia, una discussione “che è nata in seno ad un’agenda di discussione critica dei grandi pensatori della salute a livello latinoamericano”.
Marcos Arana ha analizzato le origini e le conseguenze della pandemia. Il virus SARS-CoV-2, la variante del coronavirus che causa la malattia COVID-19, sostiene Arana, non è di origine “naturale”; la sua mutazione è un prodotto del sistema di produzione alimentare agro-industriale, che ha dato origine ad altre malattie come il virus H1N1, che è emerso in Messico in una fattoria di suini nel 2009, e che molto probabilmente continuerà a dare origine a nuove malattie.
D’altra parte, Arana ha sottolineato le disparità nelle conseguenze della pandemia. Differenze nelle informazioni, sovraffollamento, cattiva alimentazione, scarso accesso al sistema sanitario, malnutrizione, prevalenza di malattie di maggiore incidenza nella povertà (come l’obesità e il diabete) … tutto ciò rende chi è in basso, i meno privilegiati, quelli che soffrono molto di più le conseguenze della pandemia.
Pedro Faro ha posto l’attenzione su due categorie di popolazione particolarmente vulnerabili, in particolare nello stato del Chiapas: le vittime di allontanamenti forzati e i prigionieri. In Chiapas vi sono quasi 10.000 sfollati, vittime di sgomberi strettamente collegati agli alti livelli di violenza da parte di gruppi paramilitari. Tra questi il caso di Aldama, dove, malgrado la presenza della Guardia Nazionale, le sparatorie e gli attacchi continuano. D’altro canto, le prigioni del Chiapas sono in condizioni di sovraffollamento senza alcun tipo di azione sanitaria, rendendo la popolazione carceraria altamente vulnerabile al contagio.
Deyanira Clériga Morales si è concentrata sulla situazione dei migranti, sia interni che esterni. Le raccomandazioni per “restare a casa” rappresentano un’ossimoro nel caso di migranti internazionali, migranti rimpatriati (espulsi dagli Stati Uniti o coloro che rientrano da altri stati del Messico dopo aver perso il lavoro), nonché per coloro che si trovano a vivere in strada. Il ritorno dei migranti interni o esterni alle loro comunità avviene senza le necessarie condizioni: misure di accoglienza e quarantena che garantiscono il benessere dei migranti stessi e la sicurezza delle comunità.
Ana Valadez ha sottolineato la divergenza tra le misure del governo (così come le istituzioni sanitarie private), le politiche incentrate sui singoli soggetti e l’organizzazione comunitaria, che si basa su una visione collettiva. Stare a casa, ad esempio, secondo quella visione collettiva, significa stare in comunità. Il problema di questa differenza, sostiene Valadez, è che rafforza un discorso nel quale apparentemente “tutto è sotto controllo” e sostiene un paradigma che non è sufficiente per risolvere la situazione, semplicemente perché non contempla la dimensione collettiva.
In questo senso, è essenziale il ruolo dei sindacati (come la Sezione 50 in Chiapas), dei tecnici e delle organizzazioni della società civile che da anni collaborano con la salute collettiva e in particolare le ostetriche. Le ostetriche e i promotori della salute sono particolarmente importanti, poiché sono loro che possono contenere il problema all’inizio e promuovere misure a livello comunitario, cioè collettivamente. La risposta delle comunità zapatiste, che hanno dichiarato un allarme rosso e hanno adottato misure molto efficaci, ne sono un esempio. Ma ci sono molte altre comunità che, a causa degli anni di guerre e politiche “a bassa intensità” volte a dividere e confrontarsi con i popoli, hanno visto la loro organizzazione comunitaria compromessa. In sintesi, è essenziale sostenere e promuovere la partecipazione degli agenti della comunità (*), con una visione della salute collettiva e non semplicemente individuale.
(*) Con il termine agenti di comunità si fa riferimento all’esperienza, risalente al 1930, quando in Perù, nella città di Puno, sul lato occidentale del lago Titicaca, il medico Manuel Núñez Butrón, mise insieme un gruppo di contadini con cui iniziò a sviluppare un lavoro sul concetto di salute quale risultato di igiene, buona alimentazione, vita all’aria aperta realizzando la missione di promuovere azioni e cambiamenti culturali, per migliorare le condizioni sanitarie ed eliminare l’analfabetismo.

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L’EZLN CHIUDE I CARACOLES A CAUSA DEL CORONAVIRUS ED INVITA A NON ABBANDONARE LE LOTTE IN ATTO

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

16 MARZO 2020

AL POPOLO DEL MESSICO:
AI POPOLI DEL MONDO:
AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO – CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:
ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:
ALLE RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE:

SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS:
COMPAGNI, COMPAGNE, COMPAÑEROAS:

VI COMUNICHIAMO CHE:

CONSIDERANDO LA MINACCIA REALE, SCIENTIFICAMENTE COMPROVATA, PER LA VITA UMANA CHE RAPPRESENTA IL CONTAGIO DEL COVID-19, ANCHE NOTO COME “CORONAVIRUS”.

CONSIDERANDO LA FRIVOLA IRRESPONSABILITÀ E LA MANCANZA DI SERIETÀ DEI MALGOVERNI E DELLA CLASSE POLITICA NELLA SUA TOTALITÀ, CHE FANNO USO DI UN PROBLEMA UMANITARIO PER ATTACCARSI RECIPROCAMENTE INVECE DI ADOTTARE LE MISURE NECESSARIE PER AFFRONTARE QUESTO PERICOLO CHE MINACCIA LA VITA SENZA DISTINZIONE DI NAZIONALITÀ, SESSO, RAZZA, LINGUA, CREDO RELIGIOSO, MILITANZA POLITICA, CONDIZIONE SOCIALE E STORIA.

CONSIDERANDO LA MANCANZA DI INFORMAZIONE VERITIERA ED OPPORTUNA SULLA PORTATA E GRAVITÀ DEL CONTAGIO, COSÌ COME L’ASSENZA DI UN PIANO REALE PER AFFRONTARE LA MINACCIA.

CONSIDERATO IL COMPROMESSO ZAPATISTA NELLA NOSTRA LOTTA PER LA VITA.

ABBIAMO DECISO DI:

PRIMO.- DECRETARE L’ALLERTA ROSSA NEI NOSTRI VILLAGGI, COMUNITÀ E QUARTIERI ED IN TUTTE LE ISTANZE ORGANIZZATIVE ZAPATISTE.

SECONDO.- RACCOMANDARE ALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO E MUNICIPI AUTONOMI RIBELLI ZAPATISTI, LA CHIUSURA TOTALE E IMMEDIATA DEI CARACOLES E DEI CENTRI DI RESISTENZA E DISOBBEDIENZA.

TERZO.- RACCOMANDARE ALLE BASI DI APPOGGIO E A TUTTA LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI SEGUIRE UNA SERIE DI RACCOMANDAZIONI E MISURE DI IGIENE STRAORDINARIE CHE SARANNO TRASMESSE NELLE COMUNITÀ, VILLAGGI E QUARTIERI ZAPATISTI.

QUARTO.- DI FRONTE ALL’ASSENZA DEI MALGOVERNI, ESORTARE TUTTE, TUTTI E TODOAS, IN MESSICO E NEL MONDO, AD ADOTTARE TUTTE LE MISURE SANITARIE NECESSARIE CHE, SU BASI SCIENTIFICHE, PERMETTANO DI USCIRE, E IN VITA, DA QUESTA PANDEMIA.

QUINTO.- INVITIAMO A NON ABBANDONARE LA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA FEMMINICIDA, A CONTINUARE LA LOTTA IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA, A MANTENERE LA LOTTA PER LE/I DESAPARECID@S, ASSASSINAT@ E CARCERAT@, E AD INNALZARE BEN ALTA LA BANDIERA DELLA LOTTA PER L’UMANITÀ.

SESTO.- INVITIAMO A NON PERDERE IL CONTATTO UMANO, BENSÌ A CAMBIARE TEMPORANEAMENTE I MODI DI SAPERCI COMPAGNE, COMPAGNI, COMPAÑEROAS, SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS.

LA PAROLA E L’ASCOLTO, CON IL CUORE, HANNO MOLTE STRADE, MOLTI MODI, MOLTI CALENDARI E MOLTE GEOGRAFIE PER INCONTRARSI. E QUESTA LOTTA PER LA VITA PUÒ ESSERE UNA DI QUESTE.

È TUTTO.

DALLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, marzo 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/03/16/por-coronavirus-el-ezln-cierra-caracoles-y-llama-a-no-abandonar-las-luchas-actuales/

 

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NON ABBIAMO BISOGNO DI ALCUN PERMESSO PER LOTTARE PER LA VITA. LE DONNE ZAPATISTE SI UNISCONO ALLO SCIOPERO NAZIONALE DEL 9 MARZO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

1 marzo 2020

Alle Donne che lottano in Messico e nel Mondo.

Da: Le Donne indigene zapatiste dell’EZLN.

Compagna e sorella:

Ti salutiamo a nome delle donne indigene zapatiste di tutte le età, dalle più piccine a quelle più mature d’età. Speriamo che u stia bene e in lotta in compagnia delle tue famiglie, sorelle e compagne.

Qua abbiamo molti problemi a causa dei paramilitari che ora sono del partito Morena, e prima erano del PRI, del PAN e del Verde Ecologista.

Ma non è di questo che ti vogliamo parlare, bensì di qualcosa di più urgente e più importante. Della enorme violenza contro le donne che non cessa ma aumenta in quantità e crudeltà. Degli omicidi e sparizioni di donne; una follia che sembrava inimmaginabile. Nessuna donna, di qualunque età, classe sociale, militanza politica, colore, razza o credo religioso è in salvo. Si potrebbe pensare che le donne ricche, quelle che stanno al governo e quelle che hanno a loro protezione guardie e poliziotti siano al sicuro, ma nemmeno loro, perché molto spesso la violenza che ci fa sparire, ci sequestra e i uccide arriva da parenti, amicizie e conoscenti.

Bisogna farla finita con queste violenze, da dovunque vengano. Per questo avevamo invitato a manifestare, in quanto donne, il giorno 8 marzo 2020. Ognuno a modo suo, nel suo luogo e tempo. E invitiamo a far sì che la parola d’ordine di queste manifestazioni sia fermare la violenza contro le donne. E dire chiaro che non dimentichiamo le desaparecidas e assassinate in tutti i governi, che siano tricolori, azzurri, verdi, gialli, rossi, arancio, caffè o di qualsiasi colore, perché sono uguali. E per ricordare ai malgoverni le donne che ci mancano, proponiamo di indossare un segno di colore nero sui nostri abiti. Perché siamo in lutto per tante uccisioni di donne in tutto il mondo. E peggio ancora nemmeno le più piccine sono al sicuro.

Sorella e compagna:

Alcuni giorni fa abbiamo saputo che un gruppo di sorelle femministe di Veracruz, del collettivo “Brujas del Mar”, ha avuto una buona idea invitando ad una mobilitazione di protesta contro la violenza. La sua idea è di proclamare un giorno di assenza il 9 marzo, cioè che si veda e si senta che cosa succede senza le donne, che sia uno Sciopero delle Donne.

Che sia non andare a lavorare, non fare acquisti, non muoverci, che non ci vedano. Perché, dicono chiaro, sembra che le donne siano il nemico principale ed il sistema ci vuole liquidare, cioè annichilire.

Poi vediamo cosa succede con i maschietti e le maschiette patriarcali che ci sono nel malgoverno, nei partiti politici e nelle grandi imprese. A loro non importa la disgrazia maledetta che vivono e che muoiono le donne in Messico. Quello che interessa loro è cavalcare questo dolore e, cancellandolo, litigare su chi è più fico.

I potenti ed i loro capoccia politici da una parte fanno i sensibili ma non riescono a scrollarsi di dosso il loro modo patriarcale perché dicono che danno “permesso” alle donne di protestare perché le ammazzano. Adesso ci danno il permesso di lottare per vivere. Sono senza vergogna loro e le donne che hanno lo stesso pensiero dei maschi, anche se sono donne.

D’altro canto, c’è il governo supremo che si arrabbia perché ormai la gente non ascolta più quello che dice o vomita dalla bocca. Perché alcune donne, ancor peggio jóvenas, gli hanno tolto il microfono e gridano ciò che il malgoverno tace. È ridicolo che i cosiddetti oppositori ed oppositrici politici si comportino da persone perbene che danno il “permesso” di vivere, è più ridicolo ancora che il malgoverno ed i suoi fanatici e fanatiche accusino di essere “golpista” la lotta per la vita delle donne. Ora sì che è anche peggio, perché così comandano che nessuno può vivere o sopravvivere senza il loro permesso, e nessuno può lottare se non lo dice il malgoverno con qualche sua trovata. I maschilisti patriarcali sono così, credono che tutto il mondo giri attorno a loro. Se qualcuno lotta senza permesso, allora è contro il malgoverno. Se assassinano le donne, se le fanno sparire, se le sequestrano, se le torturano, se le sfigurano, è perché quelle donne vittime sono parte di un piano che vuole far cadere un governo. Non hanno vergogna.

E ancora gli svergognati patriarcali di governi e padroni danno i loro consigli maschilisti alle donne: di non lasciarsi manipolare, di comportarsi bene, non scagliare pietre e non rompere vetrine, vestirsi bene, non sollevare lo sguardo, non dare occasione di pettegolezzo, stare attente a ciò che dicono, scrivono e pensano. Cioè, che non facciano niente senza il loro permesso. Siamo abbastanza mature affinché ci ammazzino, ci facciano sparire ci violentino, ma non per pensare, analizzare e decidere. Sono veramente degli schifosi… e schifose, perché ci sono anche delle donne che li applaudono.

Dicono che per tutto bisogna chiedere permesso al malgoverno o al padrone, perfino per sopravvivere. Le cose stanno così, compagna e sorella, per le donne in Messico e nel mondo che stanno sopravvivendo. Cioè vivendo nella paura. E questo non è vivere, ma è solo non morire… fino a che ci ammazzano o ci fanno sparire, e tutto con violenza terroristica.

E c’è anche chi, presuntamente di sinistra, guarda divertendo come il malgoverno mostra di essere schifoso o ignorante. Come se fosse necessario guardare le stronzate dei malgoverni per sapere che sono entrambe le cose.

Queste persone inoltre calcolano se avvantaggia oppure no i malgoverni, o se avvantaggia gli oppositori. Ma non gli importa se l’iniziativa è buona o cattiva per la lotta per la vita che fanno le donne. Guardano gli omicidi, le sparizioni, le violenze e si rallegrano perché questo dimostra che il malgoverno è, oltre che cattivo, un incapace. Queste persone dovrebbero invece domandarsi se i loro valori di sinistra, come dicono di essere, fanno loro guardare le lotte come se fossero al mercato della frutta a scegliere che cosa comprare oppure solo a guardare.

Ed in tutto questo blaterare dei malgoverni, i grandi mezzi di comunicazione, i partiti politici e le grandi menti dimenticano la cosa più importante che segna i giorni 8 e 9 marzo, che non è che ci stanno ammazzando in quanto donne, ma è che lottiamo per la nostra vita con tutti i mezzi e ognuna a nostro modo, tempo e luogo.

E se a loro non importa la vita, allora non sono né di destra, né di sinistra, né di centro. Non sono umani.

La lotta per la vita è essenziale per tutta l’umanità e non ha bisogno del permesso di nessuno perché l’abbiamo nel sangue. E se qualcuno pensa che la lotta per la vita delle donne è golpista o di destra o di governo o di sinistra o antigovernativa o è di un colore, pensiero o religione, allora difende la morte. Se vengono a sapere di un’altra assassinata, prima domandano di che colore è la sua pelle, il suo partito, la sua religione: e poi sparlano di lei, non degli assassini, ma della donna vittima.

Noi non capiamo come è che il mondo è arrivato a questo punto, e poi ancora dicono che noi indigene zapatiste siamo arretrate e non conosciamo lo sviluppo e il progresso che portano i megaprogetti e il denaro e il consumo. Questo è il loro progresso: svendere la vita delle donne perché sembra che sia molto economico far sparire, sequestrare o assassinare una donna, perché non c’è punizione. Non mancherà neppure chi applaude e dica “una nemica in meno”, “un disturbo in meno”, “una peccatrice in meno”, “una radicale in meno”, “una conservatrice in meno”, “una donna in meno”.

Non capiamo perché ci sono persone così, ma capiamo che non possiamo non fare niente pensando che queste sofferenze e rabbie sono di altre e che non ci tocchino… fino a che ci toccano.

-*-

Come donne zapatiste questo è quello che pensiamo e sentiamo quando analizziamo le parole e le azioni delle sorelle streghe:

Primo.- Noi salutiamo la loro iniziativa. La consideriamo qualcosa di prezioso, buono, nobile, onesto e legittimo. E l’appoggeremo secondo i nostri modi. Perché qualunque donna, che sia una, o poche, o molte che lottano per la vita, devono sapere che non sono sole. Perché pensiamo che se le assenti, le assassinate, le desaparecidas e le imprigionate devono sapere che non sono sole, a maggior ragione lo devono sapere le vive che lottano.

Pensiamo che sia una buona idea, perché l’8 marzo vedranno e sentiranno le nostre sofferenze e le nostre rabbie. Ed il giorno 9 i maschilisti patriarcali saranno preoccupati di che cosa stiamo pensando o pianificando, non lo sapranno perché non ci guardano. E se ci organizziamo di più e meglio? Perché a volte, dal dolore e la rabbia non segue la disperazione o la rassegnazione. Può essere che segua l’organizzazione.

Secondo.- Per questo, secondo il nostro modo di indigene zapatiste, abbiamo parlato con le altre compagne zapatiste delle comunità. Abbiamo chiesto loro se fosse una buona idea lo sciopero nazionale del 9 marzo. E sì, è una buona idea, ma bisogna fare qualcosa per appoggiarci in quanto donne che lottano.

Abbiamo quindi proposto che il 9 marzo le compagne incaricate di qualche compito, che sia come autorità autonoma, di comando organizzativo o comando militare o di commissioni di educazione, salute, comunicazione e di tutti i lavori che facciamo come donne zapatiste, non si presentino sui luoghi di lavoro.

Questo sarà il nostro modo di dirvi che appoggiamo l’idea del 9 marzo senza donne, come un’iniziativa in più delle donne che lottano per la vita. E siccome le donne indigene siamo maggioranza nell’autonomia zapatista, quel giorno l’autonomia zapatista si fermerà.

Ci abbiamo pensato e ne abbiamo parlato ed è venuto fuori che le compagne delle differenti zone zapatiste siamo d’accordo di unirci allo sciopero del giorno 9 marzo 2020, convocato dalle sorelle Brujas del Mar.

Terzo.- L’8 marzo migliaia di donne zapatiste si riuniranno nei nostri caracoles e parleremo delle sofferenze e delle rabbie che abbiamo ascoltato nei due incontri che abbiamo avuto, ma parleremo anche di lotte, delle nostre e delle vostre, compagne e sorelle che ci leggete. E porteremo un segno di colore nero sui nostri abiti.

Il 9 marzo molte non torneranno nei loro villaggi, ma resteranno e all’alba di quel 9 marzo accenderemo migliaia di luci. Nei caracoles e nei villaggi zapatisti brillerà la luce delle donne.

Non solo affinché le donne che facciano di quel giorno un giorno di lotta sappiano che le guardiamo, che le ammiriamo, che le rispettiamo e che le salutiamo. Ma che non sono sole.

Anche affinché con quelle luci le sorelle assenti, quelle assassinate, le desaparecidas, quelle imprigionate, le migranti, le violentate, sappiano che qua, in queste montagne in resistenza e disobbedienza c’è chi si preoccupa per loro e per le loro famiglie, per il loro dolore e la loro rabbia. E non importa se quella sorella che lotta è bianca o nera o gialla o del colore della terra. Non importa se crede o non crede in qualche religione. Non importa se si veste bene o male. Non importa se ha o no un salario. Non importa se è di qualche partito o no. Non importa se è amica o nemica.

Ciò che importa è che sia viva e libera. Perché così, vive e libere possiamo criticare, sparlare, litigare, o dibattere, discutere, analizzare e forse stringere un accordo: lottare contro la violenza sulle donne.

Con così tante uccisioni passiamo da un lutto all’altro, da un dolore all’altro, da un’indignazione ad un’altra. Forse è questo il piano del sistema maledetto. Che ci ammazzino e facciano sparire affinché non abbiamo tempo né modo di organizzarci e lottare contro il sistema patriarcale e capitalista.

Ma, come accade nella storia del mondo, succederà che ci organizzeremo proprio per fermare questa mattanza. E già dopo ci sarà chi dirà che è finita. Ma ci saranno altre che andranno oltre, fino a distruggere la radice del nostro dolore: il sistema capitalista patriarcale, razzista, sfruttatore, repressivo, ladro e disumano.

Perché, quando finalmente conquisteremo il diritto a vivere, ci sarà chi dirà che la schiavitú è bene e la difenda come destino, mandato divino, sfortuna o perfino buona fortuna.

Ci sarà chi dirà che quello che segue è avere un buon salario. Cioè che il salario da sfruttamento sia uguale per uomini e donne.

Ci sarà chi avrà bisogno della libertà come si ha bisogno dell’aria e lotti per conquistarla.

Ci sarà chi sarà libera e lotti per difendere la propria libertà.

Ci sarà chi dirà che si può da sole, in quanto donne.

E ci sarà chi dirà che bisogna distruggere la bestia del sistema, e che per farlo si deve lottare con tutte, con tutti … e con todoas.

Ed invece di tante assassinate, tante desaparecidas, tante rapite, tante violentate, ci saranno forse tante idee, tanti pensieri, tante forme di lotta in quanto donne.

Allora si capirà forse che la differenza è buona, ma affinché esista questa differenza si deve vivere.

Quarto.- Pertanto, rivolgiamo un rispettoso appello alle sorelle e compagne del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo, della Sexta Nazionale ed Internazionale, e delle Reti in Resistenza e Disobbedienza a che analizzino e discutano la proposta delle sorelle streghe o se ce ne sono altre. E se pensano che stia bene, che si uniscano senza chiedere permesso. Ma se pensano che non stia bene e che sia meglio un’altra cosa o un’altra iniziativa, che sia e senza chiedere permesso.

Così come noi non chiediamo il permesso ai comandanti e alle autorità, né a genitori, figli, fidanzati, mariti o amanti, ma lo facciamo perché non ci siamo sollevati in armi il gennaio 1994 per niente.

Non importa se ci dicono che siamo conservatrici o golpiste o di destra o di sinistra.

E quei malgoverni che dicono che la società si divide in liberale e conservatrice, e dicono di essere contro il neoliberismo, si chiamano “neoconservatori”.

Così la pensiamo e così faremo come donne indigene zapatiste.

E lo faremo SENZA CHIEDERE IL PERMESSO A NESSUN UOMO, che sia cattivo o buono, a nessuno.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per le donne indigene zapatiste dell’EZLN.

Marisol, Yeny, Rosa Nery, Yojari, Lucia, Sol, Elizabet, otra Elizabet, Yolanda, Natalia, Susana, Adela, Gabriela, Anayeli, Zenaida, Cecilia, Diana, Alejandra, Carolina, Dalia, Cristina, Gabriela, Maydeli, Jimena, Diana, Kelsy, Marisol, Luvia, Laura.

Comandantas e Coordinatrici delle Donne Zapatiste dell’EZLN.

Messico, 1° marzo 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/03/01/no-necesitamos-permiso-para-luchar-por-la-vida-las-mujeres-zapatistas-se-unen-al-paro-nacional-del-9-de-marzo/

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Immagini della mobilitazione zapatista del 20 febbraio in Difesa del Territorio e della Madre Terra, per la giustizia per le/i nostr@ mort@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e contro i megaprogetti di morte.

“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

Caracol Jacinto Canek. JBG Flor de nuestra palabra y luz de nuestros pueblos que refleja para todos. Comunidad del CIDECI-Unitierra. Municipio oficial de San Cristóbal de las Casas.

Caracol Resistencia y Rebeldía un Nuevo Horizonte. JBG La luz que resplandece al mundo. Dolores Hidalgo. Tierra recuperada.

Caracol Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de l@s caídos. JBG Semilla que florece con la conciencia de l@s que luchan por siempre. Tulan Ka’u, tierra recuperada.

Caracol Raíz de las Resistencias y Rebeldías por la humanidad. JBG Corazón de nuestras vidas para el nuevo futuro. Ejido Jolj’a.

Caracol Floreciendo la semilla rebelde. JBG Nuevo amanecer en resistencia y rebeldía por la vida y la humanidad. Poblado Patria Nueva, tierra recuperada.

Caracol Madre de los Caracoles de nuestros sueños. JBG Hacia la Esperanza. La Realidad.

Caracol Torbellino de Nuestras Palabras. JBG Corazón del Arcoiris de la esperanza. Morelia.

Caracol Que habla para todos. JBG Nueva Semilla que va a producir. Roberto Barrios.

Caracol Resistencia Hacia un nuevo amanecer. JBG El camino del Futuro. La Garrucha.

Caracol Resistencia y Rebeldía por la Humanidad. JBG Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo. Oventik.

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#SamirSomosTodasyTodos #CNI #CIG #DefensaDelTerritorio #Puebla

“A TODOS LOS COMPAÑEROS LES INFORMAMOS QUE EL COMPAÑERO MIGUEL LÓPEZ VEGA, SE ENCUENTRA LIBRE!”

*************

Comunicato di denuncia dell’arresto illegale del compagno del CNI, Miguel López Vega

Al popolo de Messico

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, denunciamo il vile arresto del nostro compagno Miguel López Vega, delegato del Congresso Nazionale Indigeno, membro della radio comunitaria di Zacatepec e del Fronte dei Popoli in Difesa di Terra e Acqua di Puebla, Morelos e Tlaxcala, per mano di persone armate del malgoverno che senza identificarsi hanno privato della libertà Miguel sulla base di un presunto mandato di cattura.

Il sequestro del nostro compagno all’esterno della Segreteria Generale di Governo alle ore 14:30 del 24 gennaio, è la risposta di chi sostiene di governare questo paese alla determinazione dei popoli originari di impedire la distruzione e l’inquinamento industriale del fiume Metlapanapa, è la repressione nel vedere la vita dove loro vedono denaro intriso del dolore della nostra gente.

Come popoli del CNI-CIG, manifestiamo la nostra opposizione alla distruzione e privatizzazione del fiume Metlapanapa che, insieme agli altri megaprogetti di morte, vogliono gettare il nostro paese nel lutto e nella guerra.

Esigiamo l’immediata liberazione del compagno Miguel López Vega.

Distintamente.
gennaio 2020
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/01/25/comunicado-denunciando-la-detencion-ilegal-del-companero-del-cni-miguel-lopez-vega/

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Il progetto delle Brigate Civili di Osservazione è nato 25 anni fa di fronte alle aggressioni dello Stato messicano contro le comunità indigene in resistenza. Arrivarono persone da diverse parti del mondo per frenare la violenza usando come unici strumenti la documentazione e la denuncia. Tutte queste persone, con la loro presenza e con la denuncia pubblica riuscirono a mitigare gli attacchi militari e paramilitari in diverse zone del Chiapas.

Uno degli obbiettivi dell’accompagnamento delle comunità indigene era aprire uno spazio civile per aiutare a mantenere la speranza, conservare la pace e le dinamiche comunitarie nel contesto di guerra oltre che ad essere testimoni della strategia di guerra dello Stato e denunciarne le azioni.

Conosci e condividi l’esperienza nelle Brico: https://frayba.org.mx/solidaridad/
📻 https://frayba.org.mx/notifrayba-cuando-la-solidaridad-se-hace-presente/

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L’estrattivismo che uccide in Messico

In Messico il governo aggredisce il territorio con le grandi opere mentre gli indigeni lottano e sono uccisi.

Andrea Cegna – Il Manifesto, 9 gennaio 2020

Josué Bernardo Marcial Campo era un giovane di 24 anni di Veracruz, Messico. Musicista e attivista conosciuto con il nome di TioBad. Mescolava il suono jarocho con il rap.

Il 16 dicembre del 2019 l’hanno trovato in una busta di plastica, fatto a pezzi. Negli ultimi 10 anni TíoBad ha lottato per difendere l’uso della tradizionale lingua mixe-popoluca, tipica della sua città, Sayula de Alemán, e con la sua musica ha denunciato lo sfruttamento massivo del suo territorio attraverso il fracking, le promuscuità tra economie legali, illegali e la politica, gli omicidi di giornalisti e i tentativi di cancellare le tradizioni indigene.

TIOBAD SI AGGIUNGE, solo in questo 2019, a Samir Flores Soberanes (Stato di Morelos), Julián Cortés Flores (del Guerrero), Ignacio Pérez Girón (dal Chiapas), José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales e Isaías Xanteco Ahujote (tutti dal Guerrero), Juan Monroy y José Luis Rosales (dello stato di Jalisco), Feliciano Corona Cirino (da Michoacán) tutti uccisi, denunciano le comunità di appartenenza, perché indigeni e attivisti in difesa del territorio.

CON L’ARRIVO AL GOVERNO DI ANDRES Manuel Lopez Obrador le politiche di stampo estrattivista del governo non si sono fermate. Il «credo» di Amlo è lo stesso degli altri governi «progressisti» del continente ovvero garantire la ridistribuzione di ricchezza sfruttando le risorse naturali del territorio. Vero però che quel tipo di scelta economica ha mostrato la sua fragilità rompendo i legami sociali tra governo e comunità indigene, e spesso – si veda il caso venezuelano – legato le sorti dell’economia statale al ricatto delle multinazionali.
Non più tardi dell’agosto 2019, il centro di analisi e investigazioni Fundar, nel suo studio annuale, chiedeva con urgenza al governo di vietare il fracking, prendere in considerazione alternative sistemiche per superare il modello estrattivista e sostenere forme alternative di sviluppo capaci di proteggere l’ambiente, e così rispettare e garantire i diritti umani di chi vive alcuni territori e lotta per difenderli.

PER ISAIN MANDUJANO, giornalista della rivista Proceso, «il governo di Lopez Obrador non ha una politica ambientalista definita e di alto impatto. Non abbiamo visto, in questi primi mesi, una politica di grande apertura sul tema come peraltro necessario a causa della crisi climatica, per non parlare della situazione economica». Per il giornalista parlare di politiche ambientali significa affrontare le problematiche «delle acque reflue, delle discariche, della contaminazione dei fiumi, dell’assenza di politiche urbane sul riciclo, del disboscamento e della deforestazione».

NEGLI STESSI GIORNI DELL’OMICIDIO di TioBad il governo Lopez Obrador, invece, promuoveva la consultazione delle popolazioni di Chiapas, Tabasco, Yucatan, Camapche e Quintana Roo per dare il via libera al «Tren Maya», infrastruttura ferroviaria irreversibile pensata per collegare Palenque a Cancun e favorire il trasporto e l’accoglienza dei turisti lungo tutti i 1500 chilometri di tragitto. Secondo l’opinionista de La Jornada, Carlos Fazio, «il Tren Maya non è nuovo, non è solo un treno, e non è Maya. Questo progetto non farebbe fare al Messico alcun esodo dal neoliberismo né restituirebbe allo Stato il suo ruolo guida come motore dello sviluppo economico nazionale, poiché la maggior parte degli investimenti sono di privati». Mentre Ana Esther Cecena nel suo Grandi Opere per il mercato mondiale sostiene che tale progetto va nella direzione di «dominare la natura, disciplinarla e trasformarla in una risorsa (capitale naturale), nonché convertire la popolazione in capitale umano», poiché «sono elementi chiave nella determinazione del dominio capitalista sulle forme di vita».

OLTRE IL 90% DI CHI SI E’ PRESENTATO in uno dei 268 seggi ha dato il via libera al progetto, e Lopez Obrador ha cantato vittoria. Alcuni giorni dopo la consultazione però sono stati pubblicati i dati di partecipazione al voto e si è scoperto che solo il 2,68% degli aventi diritto si era espresso. Non solo. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Diritti Umani la consultazione «non ha seguito gli standard internazionali» e non può quindi essere considerata valida. Il Tren Maya non è altro che una delle grandi opere o dei progetti di estrazioni dal sottosuolo a rappresentare gli interessi del capitalismo a discapito dell’ambiente.

IL PROGETTO INTEGRALE MORELOS e «lo sviluppo» integrale dell’Istmo de Tehuantepec sono gli altri due enormi progetti di scontro tra il governo e le comunità rurali unite agli ambientalisti. Ma negli ultimi 12 anni sono stati almeno 134 progetti minerari, 70 petroliferi, 50 idroelettrici, 35 eolici e 15 gasdotti a generare 879 conflitti di natura ambientale, territoriale e lavorativa. Progetti d’estrazione e grandi opere sono così un nodo centrale nel paese. Non solo perché rappresentano il programma di sviluppo economico del governo di Lopez Obrador, non solo perché sono elemento di scontro con le popolazioni indigene e con i campesinos, soggetti ai quali Amlo aveva promesso attenzione, ma soprattutto perché attorno a tali interessi economici si muovono anche gruppi del crimine organizzato.
Spesso le aree di azione del crimine organizzato coincidono con i territori dove sono in corso conflitti per la difesa dell’ambiente e del territorio. Con la violenza, l’impunità e la convivenza di Polizia Federal ed esercito, i gruppi criminali prendono possesso delle aree interessate per poi trattare con aziende e politica il loro sfruttamento.

LE PAROLE DELL’ONU ARRIVAVANO in concomitanza con l’inzio, in Chiapas, del «Foro in difesa del territorio e della Madre Terra» organizzato dall’EZLN e dal Congresso Nazionale Indigeno. All’incontro, che si è svolto nel nuovo Caracol Jacinto Canek, a San Cristobal de Las Casas, hanno partecipato realtà indigene e campesine di 24 stati della repubblica messicana, oltre che comunità solidali di Guatemala, Ecuador, El Salvador, e Stati Uniti d’America.

Al termine della due giorni è stato scritto un lungo e duro comunicato contro il governo di Andres Manuel Lopez Obrador, diviso in quattro punti, e che come terzo sostiene: «Per avanzare nella sua guerra, il malgoverno scommette sullo smantellamento del tessuto comunitario, fomentando i conflitti interni che tingono di violenza le comunità, tra chi difende la vita e chi vuole mettergli un prezzo, anche a costo di vendere le future generazioni a beneficio milionario di pochi corrotti che si servono dei gruppi armati della criminalità organizzata».

Secondo il Centro Messicano di Diritto Ambientale, infatti, «in Messico molte delle violazioni dei diritti umani nei confronti di popolazioni e comunità indigene e rurali sono state perpetrate nell’ambito dello sviluppo delle grandi opere. Ciò è dovuto, in gran parte, all’esistenza di una politica economica e sociale che manca di qualsiasi prospettiva di sostenibilità e rilevanza bio-culturale, che causa un consumo eccessivo di risorse naturali, distruzione ecologica, deforestazione, erosione del suolo, desertificazione, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e inquinamento dell’acqua e dell’aria». https://ilmanifesto.it/lestrattivismo-che-uccide-in-messico/?fbclid=IwAR0R4PbkF3xZVp3CdBfte0mNYanaJc30bN02rKeyKYbBVLPCbqFfiuc19tc

 

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PAROLE DELLE DONNE ZAPATISTE A CHIUSURA DEL SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

29 dicembre 2019.

Compagne e Sorelle,
desideriamo dire e porgere qualche parola in questa chiusura del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Abbiamo ascoltato la parola dei tavoli di lavoro e le vostre proposte. E altre proposte che si sono fatte.
Queste e altre proposte che sono uscite, quando sarete nelle vostre geografie e ci penserete e rifletterete nel vostro cuore ciò che qui abbiamo visto e ascoltato in questi giorni, vediamo di trovare un luogo perché tutte quelle che hanno assistito, e soprattutto quelle che non sono potute venire, conoscano quelle proposte e quelle idee e opinioni ed esprimano la loro parola.
Pensiamo che questo sia importante perché, se non ci ascoltiamo tra noi stesse come le donne che siamo, allora non serve che lo facciamo, perché vorrebbe dire che non siamo donne che lottano per tutte le donne, ma solo per la nostra idea o il nostro gruppo o la nostra organizzazione.
Sembra facile dire che pensiamo e riflettiamo sulle proposte, invece costa, perché per questo ci si deve organizzare.

Perciò, vi proponiamo questo primo accordo:

  1. Che tutte conveniamo e conosciamo le proposte per procedere nel nostro pensiero sul tema della violenza contro le donne. Ovvero proposte su come fare per fermare questo grave problema che abbiamo come le donne che siamo.

Siete d’accordo?

Bene, quando abbiamo preparato questo messaggio non sapevamo se avreste detto che eravate d’accordo o non eravate d’accordo.
Però se siamo d’accordo, allora abbiamo un anno, Compagna e Sorella, per procedere in questo lavoro.
Non sia che il prossimo anno ci riuniamo e continuiamo con la violenza contro le donne senza idee né proposte su come fermarla.

-*-

Un’altra cosa che desideriamo dirvi e che ascoltiamo attentamente come donne zapatiste riguarda le denunce che in questi giorni sono state fatte.

Non si riesce a credere, Compagna e Sorella, il tanto parlare di progresso, di modernità e grande sviluppo che c’è in questi mondi e nemmeno c’è qualcuno che abbia un po’ di umanità per commuoversi a quelle disgrazie, dolori e disperazioni che si sono raccontate, oltre a quelle che non sono state raccontate.
Com’è possibile che una donna con tali dolori, tali pene, tali coraggi, tali rabbie, debba venire fino a queste montagne del sudest messicano per ricevere il minimo che dobbiamo loro come donne, che è un abbraccio di sostegno e consolazione.
A volte la donna che non ha sofferto violenza pensa che questo non sia importante, però chiunque abbia un poco di cuore sa che quel abbraccio, quel consiglio, è un modo per dire, per comunicare, per gridare che non siamo sole.

E non sei sola, Compagna e Sorella.
Però non basta.
Non è solo un consiglio che necessitiamo e meritiamo.
Necessitiamo e meritiamo verità e giustizia.
Necessitiamo e meritiamo vivere.
Necessitiamo e meritiamo libertà.

E questo grande bisogno potremo conquistarlo se c’è chi ci appoggia, ci protegge e ci difende.
Questo è il messaggio le insurgentas e miliziane diedero a noi: rispondere alla chiamata della donna che chiede aiuto. Sostenerla. Proteggerla. E difenderla con ciò che abbiamo.

Perciò, chiediamo che le insurgentas e miliziane ci ripetano il loro messaggio.

————————————————————————

(si svolge l’esercizio delle miliziane e insurgentas)

————————————————————————

Grazie alle nostre Compagne insurgentas e miliziane che si sono prese cura di noi, proteggendoci e difendendoci in questi giorni dell’Incontro.

Allora, qui vi facciamo la nostra seconda proposta di accordo:

  1. se qualsiasi donna in qualunque parte del mondo, di qualsiasi età, di qualsiasi colore chiede aiuto perché attaccata con violenza, rispondiamo alla sua chiamata e cerchiamo il modo di sostenerla, di proteggerla e di difenderla.

Siete d’accordo?

Quando abbiamo scritto questo messaggio non sapevamo la vostra risposta, però si va.

Bene, Sorella e Compagna, per difenderci, proteggerci e sostenerci dobbiamo essere organizzate, questo lo sappiamo.
E sappiamo anche che ciascuna ha il suo modo di organizzarsi.
Però se ogni organizzazione o gruppo o collettivo di Donne che Lottano si muove a modo suo, non è lo stesso che muoversi in accordo e coordinamento con gli altri gruppi, collettivi e organizzazioni.
E per esserci accordi e coordinamenti bisogna rimanere in comunicazione, avvisarci tra di noi, spiegarci tra di noi, trovare accordo tra di noi.

Allora vi facciamo la nostra terza proposta di accordo:

  1. Che con tutti i gruppi, collettivi e organizzazioni di Donne che Lottano che desiderano coordinarsi per azioni congiunte ci scambiamo i modi per comunicare tra noi, sia per telefono o via internet o come volete.

Siete d’accordo?

Bene, abbiamo già sentito la vostra risposta.

Un’ultima cosa prima di terminare e chiudere questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Riguarda il calendario.
Sappiamo che non importa il giorno, la settimana, il mese o l’anno, in qualunque posto del mondo ci sarà una donna spaventata, aggredita, desaparecida o assassinata.
Lo abbiamo già detto che non ci sarà riposo per le donne che lottano.
Quindi, vogliamo proporti qui, attraverso chi ci ascolta o ci legge o ci guarda, una proposta d’azione congiunta.
Può essere qualsiasi giorno dell’anno, perché già lo sappiamo com’è il sistema patriarcale, che non riposa per violentarci.

Ma noi proponiamo che questa azione congiunta delle Donne che Lottano sia in tutto il mondo il prossimo 8 marzo 2020.

Proponiamo che quel giorno, ogni organizzazione, gruppo o collettivo faccia ciò che crede sia la cosa migliore.
E che ciascuna porti il colore o simbolo che ci identifica, secondo il pensiero e la modalità di ciascuna.
Però che tutte portiamo un chignon nero in segno di dolore e pena per tutte le donne desaparecidas e uccise in tutto il mondo.
Per dire in questo modo, in tutti gli idiomi, in tutte le geografie e con tutti i calendari:

Che non sono sole.

Che ci mancano.

Che non le dimentichiamo.

Che le necessitiamo.

Perché siamo Donne che Lottano.
E noi non ci vendiamo, non ci arrendiamo e non tentenniamo.

-*-

Ecco la nostra parola, Sorella e Compagna.
Ti chiediamo di prenderti molta cura di te nel tuo viaggio di ritorno alla tua geografia.
Vogliamo che tu stia bene.
Ti ricordiamo di ricordare cosa fu questo Incontro.
E che ricordi sempre che qui, nelle montagne del sudest messicano, hai noi, Donne che siamo Zapatiste, e che, come te, siamo donne che lottano.

Quindi, a nome delle Donne Zapatiste di tutte le età, essendo le —-, ora zapatista, del giorno 29 dicembre 2019, dichiaro formalmente chiuso questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, qui nelle montagne del sudest messicano.

 

Dal semenzaio “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, caracol “Torbellino de Nuestra Palabra”, Montagne Zapatiste in Resistenza e Ribellione.

Comandanta Yesica
Messico, 29 dicembre 2019

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/31/palabras-de-las-mujeres-zapatistas-en-la-clausura-del-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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Parole delle donne zapatiste all’inaugurazione del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano

27 dicembre 2019.

Compagne e Sorelle:

Benvenute tutte in queste terre zapatiste.
Benvenute Sorelle e Compagne delle diverse geografie dei cinque continenti.
Benvenute Compagne e Sorelle del Messico e del Mondo.
Benvenute Sorelle e Compagne delle Reti di Resistenza e Ribellione.
Benvenute Compagne del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo.
Benvenute Compagne della Sexta nazionale e internazionale.
Benvenute Compagne base di appoggio zapatiste.
Benvenute Compagne miliziane e insurgentas dell’EZLN.

Sorella e Compagna:

Ti informiamo che, fino ad oggi, 26 dicembre 2019, sono stati registrati per questo secondo incontro:

3, 259 DONNE
95 BAMBIN@.
26 UOMINI

Dei seguenti 49 paesi:

1. Germania
2. Algeria
3. Argentina
4. Australia
5. Austria
6. Bangladesh
7. Belgio
8. Bolivia
9. Brasile
10. Canada
11. Catalogna
12. Cile
13. Colombia
14. Costa Rica
15. Danimarca
16. Ecuador
17. El Salvador
18. Spagna
19. Stati Uniti
20. Finlandia
21. Francia
22. Grecia
23. Guatemala
24. Honduras
25. India
26. Inghilterra
27. Irlanda
28. Italia
29. Giappone
30. Kurdistan
31. Macedonia
32. Norvegia
33. Nuova Zelanda
34. Paesi Baschi
35. Paraguay
36. Perù
37. Polonia
38. Puerto Rico
39. Regno Unito
40. Repubblica Dominicana
41. Russia
42. Siberia
43. Sri Lanka
44. Svezia
45. Svizzera
46. Turchia
47. Uruguay
48. Venezuela
49. Messico

Compagna e Sorella:

Siamo molto felici che sei potuta arrivare fino alle nostre montagne.

E anche se non sei stata in grado di venire, ti salutiamo comunque perché sei in attesa di quello che succede qui, in questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Lo sappiamo bene che hai penato per arrivare fino a qui.

Sappiamo bene che devi lasciare le tue famiglie e amicizie.

Sappiamo bene che è costato il tuo impegno e il tuo lavoro ottenere il denaro per poter fare il viaggio dalla tua geografia alla nostra.

Ma sappiamo anche bene che il tuo cuore è un po’ contento del fatto che qui incontrerai altre Donne in Lotta.

Inaspettatamente, a volte, ti aiuta nella tua lotta ascoltare e conoscere altre lotte come donne che siamo.

Sia che siamo d’accordo o non siamo d’accordo con altre lotte e i loro modi e geografie, può servire a tutte ascoltare e imparare.

Per questo non si tratta di competere per vedere qual è la lotta migliore, quanto condividere e condividerci.

Ecco perché ti chiediamo di rispettare sempre i diversi pensieri e modi.

Tutte coloro che sono qui, e molte di più quelle che non sono presenti, siamo donne in lotta.

Abbiamo diverse modalità, è vero.

Ma hai visto che il nostro pensiero, come le zapatiste che siamo, è che non serve che tutte siano uguali nel pensiero e nel modo.

Pensiamo che la differenza non sia debolezza.

Pensiamo che la differenza sia forza potente se c’è rispetto e se c’è accordo di lottare unite senza agitarci.

Quindi ti chiediamo di condividere il tuo dolore, la tua rabbia e la tua lotta con intelligenza.

E che rispetti gli altri dolori, le altre rabbie e le altre degne lotte.

Compagna e Sorella:

abbiamo fatto tutto il possibile perché tu sia contenta e sicura.

Sembra semplice da dire, ma sappiamo bene che ora ci sono molti pochi i posti del mondo dove possiamo essere felici e sicure.

Ed è per questo che siamo qui, perché ci porta il nostro dolore e la nostra rabbia per la violenza che abbiamo sofferto come donne per il crimine di essere donne.

Come potrai vedere in questi giorni, la presenza di uomini non è consentita in questo luogo.

Non importa se sono uomini buoni, o se sono uomini normali, o se sono uomini a modo, non possono stare qui in questi giorni.

Questo luogo e questi giorni sono solo per le Donne che Lottano.

Ovvero che non sia una donna.

Le Compagne Insurgentas e Miliziane sono incaricate di prendersi cura di noi e proteggerci in questi giorni e in questo posto.

Ci siamo anche sforzate affinché tu abbia dove riposarti, dove mangiare e dove lavarti.

Sia per il riposo, il cibo e l’igiene, ti chiediamo di essere sorella e compagna soprattutto delle donne che sono ‘di giudizio’, cioè anziane.

Dobbiamo rispettarle perché non sono nuove alla lotta delle donne che siamo.

La loro canutezza, i loro acciacchi, le loro rughe non le hanno ottenute vendendosi al sistema patriarcale.

Nemmeno perché si sono arrese al machismo.

Né perché hanno tentennato o cambiato il loro pensiero di lotta per i diritti come le donne che siamo.

Esse sono ciò che sono perché non si sono vendute, né arrese, né hanno esitato.

E alle donne in età, di giudizio, chiediamo altrettanto di rispettare e salutare le più giovani, che siano adulte o bambine.

Perché anche a loro toccherà questa lotta. E non manca loro né decisione né impegno.

Se non permettiamo che ci divida la geografia, nemmeno permettiamo che ci dividano i calendari.

Tutte, non importa il calendario di cui siamo cariche o dalla geografia in cui viviamo, siamo nella stessa situazione: la lotta per i nostri diritti come le donne che siamo.

Ad esempio, il nostro diritto alla vita.

E qui è dove ci sentiamo tristi e affrante perché, a oltre un anno dal Primo Incontro, non possiamo darti buone notizie.

In tutto il mondo continuano a uccidere donne, continuano a sparire, continuano a violentarle, continuano a disprezzarle.

In questo anno non si è contenuto il numero delle violentate, desaparecidas e assassinate.

Ciò che sappiamo è che è aumentato.

E noi, come zapatiste, vediamo che è molto grave.

Per questo abbiamo convocato questo Secondo Incontro con un solo tema: la violenza contro le donne.

 

Sorella e Compagna, tu che sei potuta venire e tu che non sei potuta venire:

vogliamo ascoltarti e guardarti, perché abbiamo delle domande.

Come ti sei organizzata?

Che cosa hai fatto?

Che cosa è successo?

Perché ricorda che al nostro Primo Incontro, ci siamo impegnate per organizzarci nei nostri luoghi per dire basta con le assassinate, le desaparecidas, le umiliate, le disprezzate.

Ma vediamo che sta andando molto peggio.

Dicono che c’è equità di genere perché nei malgoverni c’è lo stesso numero di uomini e di donne al comando.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono più diritti salariali per le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che c’è un gran avanzamento delle lotte femministe.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ora le donno hanno più voce.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che adesso si prendono in considerazione le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ora ci sono più leggi che proteggono le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che adesso è molto ben visto il parlare bene delle donne e delle loro lotte.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono uomini che comprendono la lotta delle donne che siamo al punto di dirsi femministi.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che la donna occupa ora più spazi.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono già SuperEroine nei film.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che c’è più consapevolezza del rispetto per la donna.

Però continuano ad ammazzarci.

Ogni volta più assassinate.

Ogni volta con più brutalità.

Ogni volta con più violenza, coraggio, invidia e odio.

Ogni volta con più impunità.

Cioè, ogni volta con più machi che non vengono puniti, che continuano senza condanna, come se nulla fosse, come se uccidere una donna, farla sparire, sfruttarla, usarla, aggredirla, sloggiarla, fosse una cosa qualsiasi.

Continuano ad ammazzarci e ancora ci chiedono, esigono, ci ordinano di comportarci bene.

E non ci si crede, ma se un gruppo di lavoratrici o lavoratori bloccano una strada, o fanno uno sciopero, o protestano, è un grande scandalo.

Dicono che si violano i diritti delle merci, dei mezzi, delle cose.

E sui mezzi di comunicazione ci sono foto, video, reportage, analisi e commenti contro quelle proteste.

Però se violano una donna, si appone un numero in più o un numero in meno sulle statistiche.

E se le donne protestano e lanciano in alto le loro pietre, rompono i vetri in alto, gridano le loro verità a quelli di sopra, allora sì c’è grande agitazione.

Però se ci fanno sparire, se ci ammazzano, poi semplicemente mettono un altro numero: una vittima in più, una donna in meno.

Come se il potere volesse mantenere ben chiaro che ciò che gli importa è il suo guadagno, non la vita.

Contano le auto, le pietre, le vetrine, le merci.

La vita non conta.

E se è la vita di una donna, allora conta anche meno.

È per questo che noi, come le zapatiste che siamo, cioè anticapitaliste e antipatriarcali, lo pensiamo come il modo di agire del sistema.

E quindi sembra che le nostre morti violente, le nostre sparizioni, i nostri dolori, sono un guadagno per il sistema capitalista.

Perché il sistema permette soltanto ciò che gli procura proventi, ciò che gli dà guadagno.

Per questo diciamo che il sistema capitalista è patriarcale.

Ha valore e comanda il patriarcato, anche se è il ‘capoccia’ è una donna.

Quindi, è nostra convinzione che, per lottare per i nostri diritti, come il diritto alla vita, non basta che lottiamo contro il machismo, il patriarcato o come si voglia chiamare.

Dobbiamo lottare anche contro il sistema capitalista.

Sono appiccicati insieme, così diciamo noi zapatiste.

Però sappiamo che ci sono altre convinzioni e altri modi di lottare come le donne che siamo.

D’un colpo qualcosa comprendiamo.

D’un colpo qualcosa impariamo.

Perciò abbiamo invitato tutte le Donne che Lottano.

Non importa qual è il tuo pensiero o modalità.

Ciò che importa è che lottiamo per la nostra vita, che oggi più che mai è quella in pericolo in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Benché dicano e predichino che ci sono molti progressi per le donne, la verità è che mai prima nella storia dell’umanità è stato così mortale essere donna.

Vedi, Compagna e Sorella, dicono che questa o quella professione è la più pericolosa.

Ci si chiede se è più pericoloso essere giornalista, o essere delle forze dell’ordine, o essere giudice, o essere malgoverni.

Però tu e noi sappiamo che in questo momento la cosa più pericolosa al mondo è essere donna.

Non importa se è bambina, o giovane, o adulta, o di giudizio.

Non importa se è bianca, gialla, rossa, o del colore della terra.

Non importa se è grassa, magra, alta, bassa, carina o bruttina.

Non importa se è di classe bassa, o media o alta.

Non importano la sua lingua, la sua cultura, le sue credenze, la sua militanza.

Nell’ora della violenza, la sola cosa che importa è essere donna.

 

Sorella e Compagna:

come zapatiste sappiamo che ci daranno molti esempi di donne che sono progredite, che hanno trionfato, che hanno ottenuto premi e buoni stipendi, che ce l’hanno fatta, dicono.

Noi rispondiamo parlando delle violentate, delle desaparecidas, delle assassinate.

Poi, rispondiamo che là sopra parlano dei diritti conquistati là sopra per poche.

Quindi diciamo, spieghiamo, gridiamo che manca il più elementare dei diritti per tutte le donne, il più importante: il diritto alla vita.

E lo abbiamo già detto molte volte, Compagna e Sorella, ma oggi lo ripetiamo.

Il diritto alla vita e tutti i diritti che meritiamo e necessitiamo non ce li regalerà nessuno.

Non ce li darà l’uomo cattivo, buono, normale o a modo.

Non ce li darà il sistema capitalista, per quante leggi o promesse faccia.

Il diritto alla vita, e tutti i diritti, ce li dobbiamo conquistare.

In tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Ossia, che per le Donne che Lottano non ci sarà riposo.

Sorella e Compagna:

ci dobbiamo difendere.

Autodifenderci come individue e come donne.

E soprattutto dobbiamo difenderci organizzate.

Appoggiarci tutte.

Proteggerci tutte.

Difenderci tutte.

E dobbiamo cominciare ora.

Le mie compagne coordinatrici dell’Incontro mi hanno incaricata di dirti queste parole perché sono mamma di una bambina che sta qui con me.

Perché il nostro dovere come donne in lotta è proteggerci e difenderci.

E ancor più se la donna è appena una bimba.

La dobbiamo proteggere e difendere con tutto quel che abbiamo.

E se non abbiamo nulla, allora con bastoni e pietre.

E se non c’è bastone né pietra, allora con il nostro corpo.

Con unghie e denti dobbiamo proteggere e difendere.

E insegnare alle bambine a proteggersi e difendersi quando sono cresciute e posseggono le proprie forze.

Così stanno le cose, Sorella e Compagna, dobbiamo vivere in difesa.

E dobbiamo insegnare alle nostre creature a crescere in difesa.

Affinché possano nascere, alimentarsi e crescere senza paura.

Come zapatiste noi pensiamo che ottenere questo è meglio essere organizzate.

Sappiamo che c’è chi pensa che sia possibile anche individualmente.

Però noi lo facciamo organizzate come le zapatiste che siamo.

Perché, sì, siamo donne in lotta però siamo donne zapatiste.

Per questo, Compagna e Sorella, ti informiamo che, in questo anno, tra le nostre compagne non c’è stata nessuna assassinata né desaparecida.

Certo, abbiamo alcuni casi, secondo l’ultima riunione che abbiamo tenuto, di violenza contro donne.

E stiamo vedendo di punire i responsabili, tutti uomini.

E non solo lo stanno trattando le autorità autonome, lo stiamo trattando anche come donne zapatiste.

E ti diciamo anche la mera verità, che a volte litighiamo tra di noi, Compagna e Sorella, litighiamo per sciocchezze su come siamo le donne che siamo.

A volte perdiamo tempo in questi sciocchi litigi perché ora siamo vive e al sicuro.

Perché c’è stato un tempo in cui vivevamo solo la morte.

E la pura verità, osservando come stanno le cose nei tuoi mondi, non ti offendere Sorella e Compagna, è che desideriamo che finalmente venga il giorno in cui discuterete e litigherete su chi è la più bella, la più giovane, la più intelligente, quella vestita meglio, la più fidanzat@ o sposat@, o perché avete gli stessi vestiti, o perché i vostri figl@ sono migliori o peggiori, o per queste cose che succedono nella vita.

Perché quel giorno, Compagna e Sorella, ci dirà che la vita non è un problema.

Allora potremo essere sfacciate uguali agli uomini e perderci in ciance e sciocchezze.

Oppure no, potremmo capire invece che, seppur vive e libere, i problemi saranno altri, altre le discussioni e altri i litigi.

Ma, finché arriva quel giorno, Sorella e Compagna, dobbiamo prenderci cura tra di noi.

Proteggerci tra noi.

E difenderci tra noi.

Perché tu lo sai bene, Compagna e Sorella, siamo in guerra.

Loro per ucciderci.

Noi per vivere, ma vivere senza paura, vivere libere.

E per questo dolore, questa rabbia che abbiamo per non poter vivere libere, desideriamo mandare un grido di rabbia a tutto il mondo.

E anche un respiro di lotta a tutte e a ciascuna delle donne che sono violentate fisicamente e in tutte le altre forme.

E, come donne zapatiste, vogliamo mandare un abbraccio speciale alle famiglie e amicizie delle donne scomparse e uccise.

Un abbraccio che vi faccia sapere che non siete sole, che a nostro modo e nel nostro luogo, accompagniamo la vostra richiesta di verità e giustizia.

Perché per questo ci riuniamo, Sorella e Compagna.

Per gridare il nostro dolore e la nostra rabbia.

Per accompagnarci e farci coraggio.

Per cercare cammini di appoggio e aiuto.

Ecco, questa è la nostra piccola parola, Sorella e Compagna.

Le insurgentas e miliziane hanno preparato una conferenza alla loro maniera che comincerà subito, e ti ricordiamo qui la piccola luce che ti abbiamo dato al Primo Incontro.

Più in là inizieremo i lavori di questa riunione, dedicando tutta la giornata di oggi alle rivendicazioni.

Abbiamo questo posto e questa giornata dedicati alla denuncia della violenza che soffriamo.

Oggi ci sarà un singolo tavolo di denuncia e qui ci sarà il microfono aperto.

Qui saremo in grado di passare e prendere la parola e lanciare la nostra rabbia, il nostro coraggio in tutto ciò che facciamo.

E tutte ascolteremo con attenzione e rispetto.

Nessun altro ascolterà ciò che diciamo.

Solo noi che siamo Donne che Lottano e che siamo qui presenti.

Affinché senza timore, Sorella e Compagna, tu lo possa dire chiaro il tuo dolore, piangere il tuo coraggio, gridare la tua rabbia.

E che sia chiaro che almeno noi, le zapatiste, ti creeremo un posto nel nostro cuore collettivo e, attraverso di noi che siamo qui, decine di migliaia di donne indigene zapatiste ti accompagneranno.

Bene, domani, andremo a condividere le idee, i lavori e le esperienze che ci portate per cercare cammini perché finisca questa notte di dolore e morte.

E l’ultimo giorno di questo Incontro lo dedicheremo alla cultura, all’arte e alla festa.

Così un giorno gridiamo il nostro dolore e coraggio.

Un altro giorno condividiamo idee ed esperienze.

E il terzo giorno gridiamo di allegria e di forza.

Perché siamo donne che soffrono.

Ma siamo anche donne che si pensano e si organizzano.

E, soprattutto, siamo Donne che Lottano.

Così sarà.

Così già lo sai, sei la benvenuta Compagna e Sorella.

Tu che arrivasti e tu che non ci sei però sei qui col cuore.

———–

Allora, a nome delle donne zapatiste di tutte le età, alle 13:57, ora zapatista, del giorno 27 dicembre 2019, dichiaro formalmente inaugurato questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, qui nelle montagne del sudest messicano.

Dal semenzaio “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”. Caracol “Torbellino de Nuestra Palabra”, Montagne Zapatiste in Resistenza e Ribellione.

Comandanta Amada

Messico, dicembre 2019.

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/27/palabras-de-las-mujeres-zapatistas-en-la-inauguracion-del-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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PAROLE DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’EZLN, PER VOCE DEL SUBCOMANDANTE INSURGENTE MOISÉS, AL 26° ANNIVERSARIO DALL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO

31 DICEMBRE 2019 – PRIMO GENNAIO 2020.

BUON POMERIGGIO, GIORNO, SERA E MATTINA A TUTTE, TUTTI E *TUTTEI*:

COMPAGNE E COMPAGNI BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE:

COMPAGNI E COMPAGNE COMANDANTE E COMANDANTI ZAPATISTI:

AUTORITÀ AUTONOME ZAPATISTE:

COMPAGNE E COMPAGNI MILIZIANI, MILIZIANE, INSURGENTE E INSURGENTI:

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:

SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE:

SORELLE E FRATELLI DEL MESSICO E DEL MONDO:

TRAMITE LA MIA VOCE PARLA LA VOCE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE
NAZIONALE.

“CANEK HA DETTO:

IN UN LIBRO HO LETTO CHE AI VECCHI TEMPI I SIGNORI VOLLERO METTERE INSIEME
GLI ESERCITI PER DIFENDERE LE TERRE CHE GOVERNAVANO.

PRIMA DI TUTTO CONVOCARONO GLI UOMINI PIÙ CRUDELI PERCHÉ SUPPONEVANO CHE
AVESSERO UNA CERTA FAMILIARITÀ CON IL SANGUE; E COSÌ FORMARONO I LORO
ESERCITI CON PERSONE PRESE DALLE PRIGIONI E DAI MERCATI.

DOPO POCO SUCCESSE CHE QUANDO QUESTE PERSONE SI RITROVARONO DI FRONTE AL
NEMICO, IMPALLIDIRONO E GETTARONO LE ARMI.

PENSARONO DUNQUE AI PIÙ FORTI: AI MURATORI E AI MINATORI.

A LORO DIEDERO ARMATURE E ARMI PESANTI.

IN QUESTO MODO FURONO SPEDITI A LOTTARE.

MA SUCCESSE CHE LA PRESENZA STESSA DELL’AVVERSARIO CONGELÒ LE LORO BRACCIA
E ADDORMENTÒ I LORO CUORI.

RICORSERO QUINDI SAGGIAMENTE A QUELLI CHE, SENZA ESSERE PARTICOLARMENTE
SANGUINARI NÉ FORTI, AVESSERO CORAGGIO E QUALCOSA DA DIFENDERE
LEGITTIMAMENTE: COME AD ESEMPIO LA TERRA CHE LAVORAVANO, LA DONNA CON CUI
DORMIVANO E I FIGLI CON CUI AVREBBERO PORTATO AVANTI LA PROPRIA DISCENDENZA.

E FU COSÌ CHE, GIUNTA L’OCCASIONE, QUESTI UOMINI LOTTARONO CON COSÌ TANTA
FURIA CHE CACCIARONO I LORO AVVERSARI E FURONO PER SEMPRE LIBERI DA MINACCE
E DISCORDIE.»

SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS:

26 ANNI FA, UN POMERIGGIO COME QUESTO, SIAMO SCESI DALLE NOSTRE MONTAGNE
FINO ALLE GRANDI CITTÀ PER SFIDARE IL POTENTE.

NON AVEVAMO NIENT’ALTRO DA PERDERE CHE LA NOSTRA MORTE.

UNA MORTE NOBILE, PERCHÉ MORIVAMO DI MORTE E DI OBLIO.

E DOVEMMO SCEGLIERE.

SCEGLIERE TRA MORIRE COME ANIMALE O MORIRE COME ESSERE UMANI LOTTANDO PER
LA VITA.

QUANDO SORSE IL SOLE, QUEL PRIMO GENNAIO AVEVAMO IL FUOCO NELLE MANI.

IL PREPOTENTE CHE AFFRONTAMMO ALLORA È LO STESSO CHE OGGI CI DISPREZZA.

AVEVA UN ALTRO NOME E UN’ALTRA FACCIA, MA ERA ED È LO STESSO DI ADESSO.

SUCCESSE QUEL CHE SUCCESSE E SI APRÌ UNO SPAZIO PER LA PAROLA.

APRIMMO QUINDI IL NOSTRO CUORE A OGNI CUORE FRATELLO E COMPAGNO.

E LA NOSTRA VOCE TROVÒ SOSTEGNO E CONSOLAZIONE IN TUTTI I COLORI DEL MONDO
DAL BASSO.

IL PREPOTENTE MISE TRAPPOLE, USÒ ASTUZIE, MENZOGNE E SEGUÌ IL PROPRIO PIANO
PER DISTRUGGERCI.

COSÌ COME FA IL PREPOTENTE DI ADESSO.

*-*-*

MA NOI RESISTEMMO E MANTENEMMO IN ALTO LA BANDIERA DELLA NOSTRA RIBELLIONE.

CON L’AIUTO DI TUTTI I COLORI DEL MONDO INIZIAMMO A METTERE IN PIEDO UN
PROGETTO DI VITA SU QUESTE MONTAGNE, PERSEGUITATI DALLA FORZA E DALLA
FALSITÀ DEL PREPOTENTE, COME ADESSO, CI MANTENEMMO FERMI NELLA COSTRUZIONE
DI QUALCOSA DI NUOVO.

ABBIAMO COMMESSO DEGLI ERRORI, NON C’È DUBBIO.

E SICURAMENTE NE COMMETTEREMO ALTRI LUNGO IL CAMMINO.

MA NON CI SIAMO MAI ARRESI.

NON CI SIAMO MAI VENDUTI.

NON ABBIAMO MAI RINUNCIATO.

ABBIAMO CERCATO TUTTE LE VIE POSSIBILI AFFINCHÉ CI FOSSERO PAROLE, DIALOGO
E L’ACCORDO, LA STRADA PER COSTRUIRE LA PACE CON GIUSTIZIA E DIGNITÀ.

MA PRIMA COME ADESSO IL PREPOTENTE SI È TAPPATO LE ORECCHIE E SI È NASCOSTO
DIETRO ALLE MENZOGNE.

COME IL PREPOTENTE DI ADESSO, È STATO ED È IL DISPREZZO L’ARMA CHE
ACCOMPAGNA I SUOI MILITARI, LA SUA POLIZIA, LE SUE GUARDIE NAZIONALI, I
PARAMILITARI E I PROGRAMMI CONTRO GLI INSORGENTI.

TUTTI I PREPOTENTI CHE CI SONO STATI E QUELLI CHE CI SONO ORA HANNO FATTO
LE STESSE COSE.

VALE A DIRE CHE HANNO PROVATO E PROVANO A DISTRUGGERCI.

E OGNI ANNO TUTTI I PREPOTENTI SI CONFORTANO E ILLUDONO DI AVERCI ANNIENTATI

SI CONVINCONO CHE GLI ZAPATISTI NON ESISTANO PIÙ.

CHE RIMANIAMO POCHI IN RESISTENZA E RIBELLIONE.

CHE FORSE NE RIMANE UNO SOLO.

E OGNI ANNO CELEBRANO IL PROPRIO TRIONFO.

E OGNI ANNO I PREPOTENTI SI COMPLIMENTANO PER AVER MESSO FINE ALLE
RIBELLIONI INDIGENE.

CHE SIAMO STATI SCONFITTI, DICONO.

MA OGNI ANNO NOI ZAPATISTE/I CI FACCIAMO VEDERE E GRIDIAMO:

SIAMO QUI!

*-*-*

E SIAMO SEMPRE DI PIÙ.

COME POTRÀ VEDERE QUALUNQUE PERSONA CHE ABBIA UN CUORE ONESTO, ABBIAMO UN
PROGETTO DI VITA.

NELLE NOSTRE COMUNITÀ FIORISCONO LE SCUOLE E LE CLINICHE DELLA SALUTE.

E SI LAVORA LA TERRA COLLETTIVAMENTE.

E COLLETTIVAMENTE CI SOSTENIAMO.

SIAMO COMUNITÀ.

COMUNITÀ DI COMUNITÀ.

LE DONNE ZAPATISTE HANNO LA PROPRIA VOCE, IL PROPRIO CAMMINO.

E IL LORO DESTINO NON È QUELLO DELLA MORTE VIOLENTA, DELLA SPARIZIONE,
DELL’UMILIAZIONE.

I BAMBINI E I GIOVANI ZAPATISTI HANNO ACCESSO ALLA SALUTE, ALL’EDUCAZIONE E
A VARIE OPZIONI DI APPRENDIMENTO E DIVERTIMENTO.

MANTENIAMO E DIFENDIAMO LA NOSTRA LINGUA, LA NOSTRA CULTURA, I NOSTRI MODI.

E CONTINUIAMO CON FERMEZZA A COMPIERE IL NOSTRO DOVERE COME POPOLI
GUARDIANI DELLA MADRE TERRA.

TUTTO CIÒ È STATO POSSIBILE GRAZIE ALLO SFORZO, AL SACRIFICIO E ALLA
DEDIZIONE DEI POPOLI ORGANIZZATI.

E ANCHE GRAZIE AL SOSTEGNO DI INDIVIDUI, GRUPPI, COLLETTIVI E
ORGANIZZAZIONI DA TUTTO IL MONDO.

CON LORO CI SIAMO COMPROMESSI E COMPROMESSE A COSTRUIRE VITA, CON IL LORO
APPOGGIO.

POSSIAMO QUINDI DIRE SENZA DUBBIO CHE I NOSTRI PROGRESSI, I NOSTRI
SUCCESSI, I NOSTRI TRIONFI SONO DOVUTI AL LORO SOSTEGNO E AL LORO AIUTO.

GLI ERRORI, LE SBAVATURE E I FALLIMENTI SONO RESPONSABILITÀ NOSTRA.

*-*-*

MA COSÌ COME è AVANZATA ED È CRESCIUTA LA NOSTRA VITA, È CRESCIUTA ANCHE LA
FORZA DELLA BESTIA CHE VUOLE FAGOCITARE E DISTRUGGERE TUTTO.

È CRESCIUTO ANCHE QUEL MACCHINARIO DI MORTE E DISTRUZIONE CHIAMATO SISTEMA
CAPITALISTA.

E LA FAME DELLA BESTIA È SENZA FONDO.

È DISPOSTA A TUTTO PER IL PROPRIO PROFITTO.

NON LE IMPORTA DISTRUGGERE LA NATURA, POPOLI INTERI, CULTURE MILLENARIE,
INTERE CIVILIZZAZIONI.

IL PIANETA INTERO VIENE DISTRUTTO DAGLI ATTACCHI DELLA BESTIA.

MA L’IDRA CAPITALISTA, LA BESTIA DISTRUTTRICE, CERCA ALTRI NOMI PER
CELARSI, ATTACCARE E SCONFIGGERE L’ESSERE UMANO.

E UNO DEI NOMI DIETRO AI QUALI SI NASCONDE LA MORTE È «GRANDE OPERA».

«GRENDE OPERA» VUOL DIRE DISTRUGGERE UN’INTERO TERRITORIO.

TUTTO.

L’ARIA, L’ACQUA, LA TERRA, LE PERSONE.

CON LA GRANDE OPERA LA BESTIA DIVORA CON UN SOLO BOCCONE POPOLAZIONI
INTERE, MONTAGNE E VALLI, FIUMI E LAGUNE, UOMINI, DONNE, *ALTREI*, BAMBINI
E BAMBINE.

NON APPENA FINISCE DI DISTRUGGERE, LA BESTIA VA ALTROVE E RICOMINCIA DA
CAPO.

E LA BESTIA CHE SI CELA DIETRO AI MEGAPROGETTI HA LE PROPRIE ASTUZIE,
MENZOGNE E TRAPPOLE PER CONVINCERE.

È PER IL PROGRESSO DICE LA BESTIA.

DICE CHE, GRAZIE A QUESTE GRANDI OPERE, LA GENTE AVRÀ UNO STIPENDIO E I
VARI VANTAGGI DELLA MODERNITÀ.

E CON IL PROGRESSO E LA MODERNITÀ VOGLIAMO RICORDARE UN COMPAGNO DEL
CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO CHE È STATO AMMAZZATO QUEST’ANNO: IL COMPAGNO
SAMIR FLORES SOBERANES.

E LO RICORDIAMO PERCHÉ LUI SI CHIEDEVA RIPETUTAMENTE PER CHI FOSSE QUESTO
PROGRESSO DI CUI PARLANO TANTO.

IL COMPAGNO SAMIR CHIEDEVA IN CHE DIREZIONE ANDASSE LA STRADA CHE CHIAMANO
«PROGRESSO», CHE LA BESTIA DEI MEGAPROGETTI PORTA COME CARTELLO.

E LA RISPOSTA È STATA CHE QUELLA STRADA PORTA ALLA DISTRUZIONE DELLA NATURA
E ALLA MORTE DELLE COMUNITÀ ORIGINARIE.

DUNQUE DISSE CHIARAMENTE DI NON ESSERE D’ACCORDO, E SI ORGANIZZÒ CON I
PROPRI COMPAGNI E LE PROPRIE COMPAGNE E RESISTETTE, E NON EBBE PAURA. E PER
QUESTO MOTIVO IL PREPOTENTE DI ADESSO L’HA FATTO AMMAZZARE.

AD ASSASSINARLO È STATO IL CATTIVO GOVERNO PERCHÉ IL LAVORO DA CAPORALE DEL
CATTIVO GOVERNO È ASSICURARSI CHE LA BESTIA E IL PREPOTENTE ABBIANO IL LORO
PROFITTO. OSSERVATE E ASCOLTATE, IL PRIMO AD ACCOGLIERE I MEGAPROGETTI E A
DIRE CHE SONO POSITIVI È IL GRAN CAPITALE, IL GRAN PADRONE.

E IL CUORE DEL GRAN CAPITALISTA È CONTENTO PERCHÉ LE GRANDI OPERE
PORTERANNO GRANDI PROFITTI.

MA NÉ IL GRANDE CAPO NÉ IL PREPOTENTE DICONO CHIARAMENTE CHE QUESTE GRANDI
OPERE SEMINERANNO MORTE AL PROPRIO PASSAGGIO.

*-*-*

QUALCHE GIORNO FA LE NOSTRE COMPAGNE ZAPATISTE HANNO ORGANIZZATO UN
INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

CI RACCONTANO, CI PARLANO, CI INSEGNANO, CI EDUCANO GRAZIE A QUELLO CHE
HANNO POTUTO OSSERVARE E SENTIRE IN QUESTO INCONTRO. QUEL CHE CI INSEGNANO
È UN INFERNO PER LE DONNE E L’INFANZIA.

CI RACCONTANO DI MORTE, SPARIZIONI, STUPRI, DISPREZZO E VIOLENZA DIABOLICA.

E TUTTO QUESTO ORRORE ACCADE ALL’EPOCA DEL PROGRESSO E DI QUELLA CHE VIENE
CHIAMATA CIVILIZZAZIONE MODERNA.

E QUALCHE GIORNO FA ERAVAMO ANCHE INSIEME AI COMPAGNI DEL CONGRESSO
NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO.

E SIAMO ANCHE STATI AL FORUM PER LA DIFESA DEL TERRITORIO E DELL MADRE
TERRA.

IN QUESTI INCONTRI ABBIAMO ASCOLTATO CON PREOCCUPAZIONE QUEL CHE È STATO
RIPORTATO.

CI RACCONTANO DI PAESI DESERTI CON LA GENTE CACCIATA.

DI MASSACRI DEI DELINQUENTI, A VOLTE LEGALI A VOLTE ILLEGALI, CIOÈ CHE
SPESSO SONO I GOVERNI STESSI A PERPETRARE QUESTE BARBARIE.

DI BAMBINE E BAMBINI ABUSATI E VENDUTI COME ANIMALI.

DI GIOVANI E GIOVANE CON LA VITA DISTRUTTA DALLE DROGHE, LA DELINQUENZA E
LA PROSTITUZIONE.

DI ATTIVITÀ ESTORTE, A VOLTE DA LADRI E A VOLTE DA FUNZIONARI.

DI SORGENTI CONTAMINATE.

DI LAGHI E LAGUNE ARIDI.

DI FIUMI CHE TRASPORTANO SPAZZATURA.

DI MONTAGNE DISTRUTTE DALLE MINIERE.

DI BOSCHI ABBATTUTI.

DI SPECIE ANIMALI ESTINTE.

DI LINGUE E CULTURE ASSASSINATE.

DI CONTADINE E CONTADINI CHE PRIMA LAVORAVANO LE PROPRIE TERRE E ORA SONO
PEDINE CHE LAVORANO PER UN PADRONE.

E DELLA MADRE TERRA CHE STA MORENDO.

*-*-*

QUINDI COME ZAPATISTI AFFERMIAMO CON FERMEZZA CHE SOLO UN IMBECILLE PUÒ
CONSIDERARE POSITIVE LE GRANDI OPERE.

UN IMBECILLE O UNO MALVAGIO E SCALTRO CHE SA DI MENTIRE E NON GLI IMPORTA
CHE LA PROPRIA PAROLA NASCONDA MORTE E DISTRUZIONE. QUINDI IL GOVERNO E
TUTTI I SUOI DIFENSORI DOVREBBERO DIRE CHIARAMENTE COSA SONO: SE SONO
IMBECILLI O BUGIARDI.

*-*-*

UN ANNO FA, A DICEMBRE 2018, IL CAPORALE CHE ORA COMANDA IN QUESTA FATTORIA
CHIAMATA «MESSICO» HA SIMULATO DI CHIEDERE IL PERMESSO ALLA MADRE TERRA PER
DISTRUGGERLA.

SI È PROCURATO UN PO’ DI PERSONE TRAVESTITE DA INDIGENI E HANNO MESSO PER
TERRA UN POLLO, DA BERE E QUALCHE TORTILLA.

COSÌ SI È CONVINTO CHE LA MADRE TERRA GLI DIA IL PERMESSO DI UCCIDERLA E
COSTRUIRE UN TRENO CHE DOVREBBE CHIAMARSI COME LA FAMIGLIA DEL CAPO.

FA COSÌ PERCHÉ DISPREZZA I POPOLI ORIGINARI E PERCHÉ DISPREZZA LA MADRE
TERRA.

MA IL CAPORALE NON SI È LIMITATO A QUELLO, HA PURE SFIDATO TUTTI I POPOLI
ORIGINARI DICENDO CHE NON GLI IMPORTA COSA PENSIAMO E SENTIAMO, CHE «CI
PIACCIA O NO» A NOI INDIGENI, LUI FARÀ QUEL CHE GLI ORDINERÀ IL SUO
PADRONE, IL PREPOTENTE, VALE A DIRE IL GRAN CAPITALE.

UGUALE AI CAPI CHE C’ERANO CON PORFIRIO DÍAZ.

COSÌ HA DETTO, COSÌ DICE, PERCHÉ POCHE SETTIMANE FA HA FATTO UN’ALTRA
SIMULAZIONE DI UNA PRESUNTA CONSULTAZIONE PER LA QUALE L’UNICA INFORMAZIONE
CHE HA FORNITO È CHE I MEGAPROGETTI PORTERANNO MOLTE COSE POSITIVE, SENZA
PERÒ MENZIONARE TUTTE LE DISGRAZIE QUE NE CONSEGUONO PER LE PERSONE E PER
LA NATURA.

E COME PREVISTO SOLO POCHE PERSONE HANNO PARTECIPATO A QUESTA CONSULTAZIONE
DICENDO CHE VOGLIONO LE GRANDI OPERE.

E SE COSÌ DISPREZZA IL PENSIERO E I SENTIMENTI DELLA GENTE, DISPREZZERÀ
ALLO STESSO MODO LA NATURA E I PAESI.

E FA CPSÌ PERCHÉ AL SUO PADRONE NON IMPORTANO NÉ LE PERSONE NÉ LA NATURA,
SOLO GLI IMPORTANO I PROPRI PROFITTI.

*-*-*

“CHE GLI PIACCIA A NO”, COSÌ DICE IL GOVERNO.

QUESTO VUOL DIRE “COSÌ SIA CON VOI, VIVI O MORTI, MA LO FAREMO”.

E NOI POPOLI ZAPATISTI LA PRENDIAMO COME UNA SFIDA, COME SE STESSE DICENDO
CHE LUI HA LA FORZA E I SOLDI E VEDIAMO CHI OSA OPPORSI AI SUOI ORDINI.

STA DICENDO CHE FARÀ QUEL CHE DECIDERÀ, NON QUEL CHE DIRANNO I POPOLI E CHE
NON GLI IMPORTANO NEMMENO LE LORO RAGIONI.

QUINDI NOI POPOLI ZAPATISTI CI PRENDIAMO LA PARTE CHE CI SPETTA DI QUESTA
SFIDA.

E SAPPIAMO CHE IL CAPO ATTUALE DI POTENTI CI STA FACENDO DELLE DOMANDE.

CI STA CHIEDENDO QUESTO:

«SIETE DISPOSTI POPOLI ZAPATISTI A PERDERE TUTTO QUELLO CHE AVETE OTTENUTO
CON LA VOSTRA AUTONOMIA?»

«SIETE DISPOSTI POPOLI ZAPATISTI A SUBIRE SPARIZIONI, ARRESTI, UCCISIONI,
CALUNNIE E MENZOGNE PER DIFENDERE LA TERRA CHE CURATE E PROTEGGETE, LA
TERRA IN CUI NASCETE, CRESCETE, VIVETE E MORITE?»

E CON QUESTE DOMANDE, IL CAPORALE E LE SUE GUARDIE CI METTONO DI FRONTE
ALL’OPZIONE «VIVI O MORTI, MA BISOGNA OBBEDIRE».

VALE A DIRE CHE CI CHIEDE SE SIAMO DISPOSTI A MORIRE COME SOCIETÀ
ALTERNATIVA, COME ORGANIZZAZIONE, COME POPOLI ORIGINARI DI ORIGINE MAYA,
COME GUARDIANI DELLA MADRE TERRA, COME INDIVIDUI E INDIVIDUE ZAPATISTI.

QUINDI NOI POPOLI ZAPATISTI SEGUIAMO LE NOSTRE MODALITÀ E IL NOSTRO
CALENDARIO.

SULLE NOSTRE MONTAGNE ABBIAMO FATTO UN’OFFERTA ALLA MADRE TERRA.

INVECE DELL’ALCOL LE ABBIAMO DATO DA BERE IL SANGUE DEI NOSTRI CADUTI IN
COMBATTIMENTO.

AL POSTO DEL POLLO LE ABBIAMO OFFERTO LA NOSTRA CARNE.

INVECE DELLE TORTILLAS LE ABBIAMO OFFERTO LE NOSTRE OSSA, PERCHÉ SIAMO
FATTI DI MAIS.

LE ABBIAMO FATTO QUESTA OFFERTA NON PER CHIEDERE IL PERMESSO ALLA TERRA PER
DISTRUGGERLA, O VENDERLA, O TRADIRLA.

LE ABBIAMO FATTO QUESTA OFFERTA SOLO PER AVVISARLA CHE NOI LA DIFENDEREMO.

LA DIFENDEREMO FINO ALLA MORTE SE NECESSARIO.

-*-

E QUINDI ABBIAMO FATTO IL CONTO DI QUANTE PERSONE CI VOGLIONO PER DIFENDERE
LA TERRA.

ED È SALTATO FUORI CHE BASTA UNA PERSONA ZAPATISTA.

BASTA UNA DONNA ZAPATISTA, O UN UOMO ZAPATISTA, ANCHE ANZIANO, O GIOVANE, O
BAMBINO.

BASTA CHE UNA PERSONA ZAPATISTA SI PRENDA L’INCARICO DI DIFENDERE LA TERRA
AFFINCHÉ QUEST’ULTIMA, NOSTRA MADRE, SAPPIA DI NON ESSERE SOLA E
ABBANDONATA.

BASTA UNA PERSONA COLMA DI RESISTENZA E RIBELLIONE.

SIAMO QUINDI ANDATI A CERCARE NEL CUORE DEL NOSTRO COLLETTIVO.

ABBIAMO CERCATO UNA PERSONA CHE FOSSE ZAPATISTA E DISPOSTA A TUTTO.

A TUTTO.

E NON NE ABBIAMO TROVATA UNA SOLA, NÉ DUE, NÉ CENTO, NÉ MILLE, NÉ
DIECIMILA, NÉ CENTOMILA.

ABBIAMO TROVATO TUTTO L’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE,
DISPOSTO A TUTTO PER DIFENDERE LA TERRA.

QUINDI ABBIAMO GIÀ LA RISPOSTA ALLA DOMANDA DEL CAPO.

E LA RISPOSTA È:

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A SPARIRE COME PROPOSTA PER UN MONDO NUOVO.»

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE DISTRUTTI IN QUANTO ORGANIZZAZIONE».

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE ANNICHILITI COME POPOLI ORIGINARI DI ORIGINE
MAYA».

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A MORIRE COME GUARDIANI E GUARDIANE DELLA TERRA.»

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE COLPITI, ARRESTATI, RAPITI, AMMAZZATI COME
INDIVIDUI E INDIVIDUE ZAPATISTE».

*-*-*

ECCO, COSÌ IL CAPORALE HA LA SUA LA RISPOSTA.

MA DATE LE NOSTRE MODALITÀ IN QUANTO ZAPATISTI, LA NOSTRA RISPOSTA CONTIENE
ANCHE UNA DOMANDA CHE FACCIAMO AI CAPI:

«SIETE DISPOSTI, VOI CATTIVI GOVERNI, A PROVARE A DISTRUGGERCI *A QUALUNQUE
COSTO,* A COLPIRCI, ARRESTARCI, RAPIRCI E AMMAZZARCI?»

*-*-*

SORELLE, FRATELLI,

COMPAGNI, COMPAGNE, *COMPAGNEI*:

VI INVITIAMO A QUESTO:

CHE COME CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO…

CHE COME INDIVIDUI, GRUPPI, COLLETTIVI E ORGANIZZAZIONE DELLA SEXTA
NAZIONALE E INTERNAZIONALE…

CHE COME RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE…

CHE COME ESSERI UMANI…

SI CHIEDANO A COSA SIETE DISPOSTIDISPOSTE, E *DISPOSTEI* PER FERMARE LA
GUERRA IN CORSO CONTRO L’UMANITÀ, OGNUNO NELLE PROPRIE GEOGRAFIE, SECONDO
IL PROPRIO CALENDARIO E LE PROPRIE MODALITÀ.

E CHE, QUANDO AVRANNO LA RISPOSTA SECONDO IL PROPRIO PENSIERO, LA
COMUNICHINO AI PADRONI E AI CAPI.

OGNI GIORNO, OVUNQUE, LA BESTIA CHIEDE ALL’UMANITÀ LA STESSA COSA.

MANCA SOLO LA RISPOSTA.

È TUTTO.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome delle donne, degli uomini e altrei *zapatistei*.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, 31 dicembre 2019 – 1° gennaio 2020.

Traduzione 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/31/palabras-del-ccri-cg-del-ezln-en-el-26-aniversario/

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CONVOCAZIONE

ALLE GIORNATE IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA
“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

SORELLE E FRATELLI DEI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO:

PRIMO – Oggi più che mai il capitalismo cresce sulla guerra e la depredazione di tutte le forme di vita. I malgoverni e le grandi imprese capitaliste, ognuna di queste con nome e cognome, vogliono rendere invisibili le nostre lotte in difesa del territorio e della madre terra, normalizzando perfino l’assassinio dei nostri fratelli che li difendono. Oggi, spezzano il nostro cuore collettivo gli omicidi di:

  • Samir Flores Soberanes del popolo nahua di Amilcingo, Morelos
  • Julián Cortés Flores, del popolo mephaa della Casa de Justicia di San Luis Acatlán, Guerrero.
  • Ignacio Pérez Girón, del popolo tzotzil del municipio di Aldama, Chiapas.
  • José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales, e Isaías Xanteco Ahuejote del popolo nahua organizzato nel Concejo Indígena y Popular de Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG – EZ).
  • Juan Monroy e José Luis Rosales, del popolo nahua d Ayotitlán, Jalisco.
  • Feliciano Corona Cirino, del popolo nahua di Santa María Ostula, Michoacán.
  • Josué Bernardo Marcial Campo, noto anche come TíoBad, del popolo popoluca di Veracruz.

I nostri compagni sono stati assassinati per essersi opposti alla guerra con la quale il malgoverno vuole appropriarsi delle nostre terre, monti ed acque, per consolidare la depredazione che minaccia l’esistenza dell’umanità.

Ugualmente ci addolora la sparizione forzata di nostro fratello Sergio Rivera Hernández, nahua della Sierra Negra, Puebla, difensore del territorio e della madre terra.

SECONDO – Il capitalismo, nella sua attuale tappa neoliberale, assume forme sempre più mostruose, dichiarando la guerra contro l’umanità e contro la terra, nostra madre. L’attuale sviluppo economico basato su scala planetaria nella predominanza del capitale finanziario che domina popoli, nazioni e continenti interi, poggiato sull’industria militare ed estrattivista, che cresce mediante guerre reali o fittizie, la profusione del crimine organizzato, invasioni e colpi di Stato, nella sua insaziabile logica dell’accumulazione e consumo capitalisti, sta portando ad un cambiamento climatico irreversibile ed un limite che mette in pericolo le condizioni della vita umana sul pianeta.

TERZO – Inoltre, l’attuale sistema, con la sua organizzazione patriarcale ereditata da sistemi e civiltà precedenti ma, approfondita negli ultimi secoli, si esibisce come un violento nemico non solo dell’umanità, ma in particolare delle donne e della nostra madre terra. Cioè, lo sfruttamento e la profonda violenza strutturale verso le donne è propria del capitalismo anche se nata molto prima; la proprietà privata capitalista, base di questo sistema, non si può spiegare né comprendere se non come parte di un sistema patriarcale di dominazione sulle donne e sulla terra.

QUARTO – In Messico, l’accelerazione dell’attività mineraria e dell’estrazione e conduzione di idrocarburi, la creazione della Guardia Nazionale nella logica della Iniciativa Mérida e l’impulso, ad ogni costo, dei grandi megaprogetti (Corridoio Trans-istmico Salina Cruz-Coatzacoalcos, Treno Maya e Progetto Integrale Morelos, Nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico) che vogliono riordinare i territori, le popolazioni e le frontiere di nord e Centroamerica in una logica di predazione e sfruttamento capitalista, rendono urgente la difesa della vita umana, la difesa dei territori dei nostri popoli e la difesa della terra in una prospettiva chiaramente anticapitalista ed antipatriarcale. È per tutto questo che:

CONVOCHIAMO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO, LE ORGANIZZAZIONI E COLLETTIVI DI LAVORATRICI E LAVORATORI DI CAMPAGNA, MARE E CITTÀ, LE DONNE, STUDENTI, BAMBINI E BAMBINE, ANZIANI ED ANZIANE, RAPPRESENTANTI DELLA DIVERSITÀ SESSUALE

ALLE GIORNATE IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA
“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

Secondo il seguente calendario:

20 febbraio 2020: Azioni diffuse in Messico e nel Mondo in Difesa del Territorio e della Madre Terra, per la giustizia per le/i nostr@ moert@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e contro i megaprogetti di morte.

21 febbraio 2020: Marcia per la Giustizia Per Nostro Fratello Samir Flores Soberanes, per le/i nostr@ mort@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e in Difesa del Territorio e della Madre Terra. Città del Messico. Punto di partenza: Uffici della Commissione Federale per l’Energia in Avenida Reforma, ore 16:00.

22 febbraio 2020: Assemblea in Difesa del Territorio e della Madre Terra, nel centro della Comunità di Amilcingo, Municipio di Temoac, Stato di Morelos, a partire dalle ore 10:00.

DISTINTAMENTE

7 gennaio 2020
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

ASSEMBLEA DELLA RESISTENZA DI AMILCINGO
CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

GENTI, Comunità Organizzazioni, Collettivi Ed INDIVIDUI PartecipantI AL FORUM In Difesa Del Territorio E DELLa Madre Terra REALIZZATO NEI Giorni 21 E 22 Dicembre 2019 NEL CARACOL Jacinto CANEK/CIDECI-UNITIERRA, SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS.

Redes, Organizaciones y Colectivos de Resistencia y Rebeldía adheridos a la Sexta Nacional e Internacional
Tribu Yaqui del Pueblo de Bácum, Sonora
Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo de Tehuantepec
Proceso de Articulación de la Sierra de Santa Martha, Veracruz
Pueblo Náyeri, Nayarit
Junta de Vecinos en Resistencia Tanque y Américas, Monterrey, Nuevo León
Comunidad de San Lorenzo Azqueltán, Jalisco
Comuneros de Cherán, Michoacán
PROFECTAR, Pueblo Rarámuri de Chihuahua
Un Salto de Vida, Jalisco
Organización de los Doce Pueblos de Tecámac, Estado de México
Coordinadora de Pueblos y Organizaciones del Oriente del Estado de México
Asamblea General de los Pueblos, Barrios, Colonias y Pedregales de Coyoacán, Ciudad de México
Comunidad Coca de Mezcala, Jalisco
Comunidad Indígena Nahua de Zacualpan, Colima
Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras a la Presa La Parota, Gro
Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua de Morelos, Puebla y Tlaxcala
Ka Kuxtal Muh Meyaj A.C., Pueblo Maya Peninsular, Campeche
Otomies Residentes en la Ciudad de México
Frente Nacional por la Liberación de los Pueblos, Guerrero
Defensores del Rio Metlapanapa, Puebla
Concejo Indígena y Popular de Guerrero-Emiliano Zapata
Consejo Regional Indígena del Cauca (CRIC) Colombia
Asamblea de Defensores del Territorio Maya Muuch Ximbal, Yucatan
Comunidad Indígena de Santa María Ostula
Ejido Tila, Chiapas
Consejo Regional Indígena y Popular de Xpujil, Campeche
Comité de Defensa de los Pueblos Indígenas (CODEDI), Oaxaca
Centro comunitario Raxajal Mayab y Colectivo Autónomo de José María Morelos, Quintana Roo
Comuneros de Cuatro Venados, Oaxaca
ZODEVITE, Chiapas
Consejo Tiyat Tlali de la Sierra Norte de Puebla
Movimiento Agrario Indígena Zapatista (MAIZ), Puebla y Oaxaca
Unión de Organizaciones de la Sierra Juárez (UNOSJO) Oaxaca
Asamblea del Pueblo Chontal, Oaxaca
Comunidad Binnizá de Unión Hidalgo, Oaxaca
Comunidad de Historia Mapuche
Mujeres Mapuche
Mujeres del Pueblo Kurdo
Geocomunes
Mexicali Resiste
UCIZONI, Oaxaca
Tribu Mayo
Consejo Autónomo de la Costa de Chiapas
LA VIDA, Veracruz

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/01/07/convocatoria-a-las-jornadas-en-defensa-del-territorio-y-la-madre-tierra-samir-somos-todas-y-todos/

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Dichiarazione della 4a Assemblea Nazionale del CNI-CIG

Al popolo del Messico

Ai popoli del Mondo

Alla Sexta Nazionale ed Internazionale

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Ai mezzi di comunicazione

Fratelli, sorelle.

Nel Caracol Zapatista Jacinto Canek, nel CIDECI- UNITIERRA, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, i giorni 18 e 19 dicembre 2019, per celebrare la 4ª Assemblea Nazionale del Congresso Nazionale Indigeno e del Consiglio Indigeno di Governo, i popoli Afromessicani, Binizaa, Chinanteco, Chol, Chontal, Comca’ac, Hñahñu, Kumiai, Mam, Maya, Mayo, Mazahua, Me´phaa, Mixe, Mixteco, Nahua, Náyeri, Purépecha, Quiché, Rarámuri, Téenek, Tepehuano, Tohono Oódam, Tojolabal, Totonaca, Tzeltal, Tzotzil, Wixárika, Yaqui, Zoque, Chixil, Cañari e Castellano, provenienti da 24 stati della repubblica, insieme agli invitati di Guatemala, Ecuador, El Salvador e Stati Uniti, ci siamo incontrati per ascoltarci, per vedere nel compagno e nella compagna che insieme, collettivamente, siamo popoli, nazioni, tribù.

Ci troviamo per vedere e capire la guerra neoliberale che da sopra ci arriva intrisa di bugie per fingere di governare, mentre consegnano il paese nelle mani del capitale, che non gradisce la coscienza collettiva dei popoli e mette in marcia i suoi strumenti di spoliazione:

  1. Attraverso la violenza sanguinaria e terrorista contro i popoli che difendono la terra.

Il lutto e la rabbia che vivono dentro coloro che oggi incontriamo, sono per il danno alla madre terra, la spoliazione di tutte le forme di vita. E quelli che hanno deciso di distruggerla per trasformarla in denaro hanno nome e cognome, così come gli assassini dei nostri compagni. Spezza il nostro cuore collettivo l’assassinio del compagno delegato popoluca del CNI, Josué Bernardo Marcial Campo, anche noto come TíoBad, che per la sua arte, la sua musica e la sua protesta contro i megaprogetti che il malgoverno proclama di aver chiuso, come il fracking, è stato fatto sparire e poi fatto ritrovare brutalmente assassinato lo scorso lunedì 16 dicembre.

Il compagno Samir Flores Soberanes del popolo nahua di Amilcingo, Morelos.

Il compagno Julián Cortés Flores, del popolo mephaa de la Casa de Justicia di San Luis Acatlán, Guerrero.

Il compagno Ignacio Pérez Girón, del popolo tzotzil del municipio di Aldama, Chiapas.

I compagni José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales, e Isaías Xanteco Ahuejote del popolo nahua organizzato nel Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG – EZ).

I compagni Juan Monroy e José Luis Rosales, del popolo nahua di Ayotitlán, Jalisco.

Il compagno Feliciano Corona Cirino, del popolo nahua di Santa María Ostula, Michoacán.

I nostri compagni sono stati assassinati per essersi opposti alla guerra con cui il malgoverno vuole appropriarsi delle nostre terre, monti e acque, per consolidare la spoliazione che minaccia la nostra esistenza come popoli originari.

  1. False consultazioni.

Il malgoverno federale finge di consultare la gente, soppianta la nostra volontà collettiva ignorando ed offendendo le nostre forme di organizzazione e di presa delle decisioni, come il volgare inganno della “Consulta” il cui obiettivo non è altro che imporre con la forza il cosiddetto Treno Maya, che consegna i territori indigeni al capitale industriale e turistico, o le bugie definite anche consultazioni per imporre con la violenza il Progetto Integrale Morelos, o i megaprogetti di morte che riconfigurano il nostro paese per metterlo a disposizione del capitale multinazionale, principalmente per imporre il potere terroristico degli Stati Uniti.

  1. Polarizzazione e scontro tra comunità indigene.

Per avanzare nella sua guerra, il malgoverno scommette sullo smantellamento del tessuto comunitario, fomentando i conflitti interni che tingono di violenza le comunità, tra chi difende la vita e chi vuole mettergli un prezzo, anche a costo di vendere le future generazioni a beneficio milionario di pochi corrotti che si servono dei gruppi armati della criminalità organizzata.

Per quanto sopra, dichiariamo che resistiamo e lottiamo perché siamo vivi, perché, benché temiamo di smettere di esistere per ciò che siamo, non è questa la strada che scegliamo per noi e per coloro ai quali dobbiamo rispondere.

  1. Espansione della guerra.

Mentre noi, popoli originari, subiamo con più violenza che mai la guerra del capitale, il malgoverno insieme ai suoi gruppi armati militari, polizieschi, paramilitari, guardie bianche e gruppi di scontro, in nome del denaro estende la distruzione su tutto il territorio nazionale.

In Veracruz:

Nella regione di Totonacapan e fino alla Huasteca, ci sono i gasdotti Texas-Tuxpan, Tuxpan-Atotonilco e Tuxpan-Tula. Al pari delle bugie del governo Neoliberale di AMLO, si scava e si opera la frattura idraulica per estrarre idrocarburi, si fanno travasi per prendere l’acqua dei fiumi e consegnarla in mani di privati minacciando la vita dei popoli tének, nahua, totonaco, otomí e tepehua, oltre all’aumento dei gruppi della criminalità organizzata.

In Michoacán:

Nel territorio della meseta purépecha si estende la coltivazione intensiva di avocado che spoglia il territorio delle comunità indigene, si abbattono i boschi e si stanno uccidendo i laghi di Cuitzeo, Zirahuen e Pátzcuaro.

Sulla catena montuosa costiera del popolo nahua, il saccheggio delle bande della criminalità organizzata, con lo sfacciato appoggio di tutti i livelli del malgoverno, minaccia la vita e l’integrità dei popoli originari, in particolare dei nostri fratelli della comunità indigena nahua di Santa María Ostula che si oppongono alla devastazione dei territori comunali, attraverso lo sfruttamento di minerali, legnami pregiati e lo sfruttamento turistico delle spiagge nei municipi di Aquila, Coahuayana, Chinicuila e Coalcomán, cercando di far sembrare che la guerra sia tra comunità o tra comuneros, mentre da sopra i potenti aspettano il momento di appropriarsi della vita che Ostula difende.

Nella comunità purépecha di Zirahuén che ha una lunga lotta in difesa del lago dello stesso nome, oggi con l’aiuto di gruppi armati della criminalità organizzata, gli impresari aguacateros distruggono il bosco ed inquinano l’acqua con l’uso di pesticidi tossici.

In Jalisco:

Persiste l’invasione del territorio wixárika di San Sebastián Teponahuaxtlán da parte di presunti piccoli proprietari di Huajimic, Nayarit. Egualmente, il governo consegna nelle mani di imprese minerarie straniere migliaia di ettari del territorio sacro Wirikuta, nello stato di San Luis Potosí, minacciando l’esistenza culturale e del territorio cerimoniale.

Nella comunità indigena chichimeca di San Juan Bautista de La Laguna, nel municipio di Lagos de Moreno, il malgoverno consegna in mani private il territorio ancestrale riconosciuto nei suoi titoli primordiali, imponendo inoltre un gasdotto per fornire grandi industrie, alle quali, in forma organizzata, la comunità si è opposta nonostante la repressione e criminalizzazione che i malgoverni statali e municipali esercitano contro essa.

La comunità tepehuana e wixárika di San Lorenzo de Azqueltán subisce, al pari dell’esproprio della sua terra, le minacce di morte ed i tentativi di omicidio come quello accaduto lo scorso 3 novembre, quando il cacicco Fabio Flores alias “La Polla“, insieme a persone armate ha aggredito le autorità comunali provocando gravi ferite che sono quasi costate la vita ai comuneros Ricardo de la Cruz González, Rafael Reyes Márquez e Noé Aguilar Rojas. Tutto questo con la complicità del governo municipale di Villa Guerrero, Jalisco, con l’impunità in questo vile crimine.

In Puebla:

Il malgoverno insieme al suo gruppo armato della Guardia Nazionale e gruppi polizieschi, vuole imporre un megaprogetto che sverserebbe rifiuti tossici nel fiume Metlapanapa, questo come parte del Progetto Integrale per la Costruzione del Sistema di Fognatura Sanitaria della Zona Industriale di Huejotzingo, nota come “Città Tessile”. Per difendere la vita del fiume e delle comunità che ci vivono, i nostri compagni e compagne del popolo nahua, delle comunità di San Mateo Cuanalá, San Lucas Nextetelco, San Gabriel Ometoxtla, Santa María Zacatepec e la colonia José Ángeles hanno subito aggressioni da parte di questi corpi repressivi.

Sulla Sierra Negra di Puebla, dal 23 agosto 2018 è desaparecido il nostro compagno Sergio Rivera Hernández come rappresaglia per la sua lotta contro la distruzione provocata dall’impresa mineraria Autlán, e per cui continuiamo ad esigere la sua presentazione in vita.

In Campeche:

Col pretesto dell’impropriamente chiamato “Treno Maya” si sta progettando la costruzione di 15 nuovi centri urbani che non solo implicano la distruzione dell’ambiente, ma pure l’esproprio di territori dei popoli originari.

In Morelos, Puebla e Tlaxcala:

Con la forza si impone il Progetto Integrale Morelos reprimendo chi non è d’accordo, come con l’assassinio del nostro fratello Samir Flores. Questo crimine è tuttora impunito e mentre Samir è un esempio di dignità dal basso, quelli che stanno sopra meritano solo disprezzo, perché per loro la cosa importante è costruire la centrale termoelettrica di Huexca, Morelos, il gasdotto alle falde del vulcano sacro Popocatepetl, e l’infrastruttura industriale e di comunicazioni che tutto ciò implica. Scenario nel quale si acutizza la presenza di violenti gruppi criminali.

In Chiapas:

Persiste l’intenzione di esproprio e privatizzazione del territorio Tzeltal a beneficio di imprese private attraverso la cosiddetta “Strada Culturale” che precedentemente si chiamava “Super Strada” e che attraverserebbe il territorio dell’ejido di San Sebastián Bachajón, Palenque e di altre comunità.

Egualmente nel territorio Zoque, il capitale ha identificato un corridoio petrolifero che abbraccia 9 municipi su una superficie di 84.500 ettari e che attraversa il territorio della comunità di Chapultenango.

I malgoverni di tutti i livelli, con campagne di confronto, paramilitarizzazione e sostituzione, vogliono distruggere l’organizzazione delle comunità che si organizzano in forma autonoma, come il caso dei nostri fratelli dell’ejido Tila.

Sulla costa del Chiapas abbiamo ricevuto minacce ed espropri delle nostre terre per il tentativo di costruzione della strada Pijijiapan – San Cristóbal de las Casas – Palenque. Oltre alla costruzione di un gasdotto che attraverserebbe la zona costiera di Chiapas e Guatemala.

Persiste la vessazione militare e paramilitare contro i territori zapatisti per cercare di indebolire e distruggere non solo gli spazi autonomi che si sono costruiti, ma l’eco che si espande nel paese e nel mondo.

A Città del Messico:

Mentre si negano gli spazi pubblici ai popoli originari residenti in città per svolgere il loro lavoro, questi vengono consegnati ai capitali privati per il loro arricchimento. È il caso del popolo Otomí residente a Città del Messico, attualmente sotto in minaccia di sgombero in Calle Roma numero 18 nella colonia Juárez.

Mentre si acutizza l’espropriazione degli spazi rurali e indigeni a Città del Messico, anche i compagni Gerardo Camacho e Jaime Gómez hanno ricevuto minacce di morte dal commissario ejidale della comunità di San Nicolás Totolapan.

In Guerrero:

Persiste l’oppressione contro i nostri fratelli del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata, che costruiscono le proprie forme di sicurezza e giustizia per preservare il territorio dall’ingordigia capitalista.

Estado de México:

Nel bacino della Valle del Messico il megaprogetto neoliberale di Santa Lucía e l’imposizione della strada Tuxpan-México è stata resa possibile grazie ai paramilitari nel tratto Ecatepec-Peñón. Così come l’intubazione e privatizzazione di fiumi e sorgenti.

In Oaxaca:

Il territorio chinanteco di San Antonio de Las Palmas è minacciato dalle concessioni minerarie che abbracciano più di 15 mila ettari, e da progetti di dighe di sbarramento sul fiume Cajonos, nel bacino del Papaloapan.

In Oaxaca e Veracruz:

Nel sud di Veracruz, parte nord dell’Itsmo di Tehuantepec, vogliono imporre un corridoio interoceanico che trasformerebbe la regione in un immenso parco industriale lasciandoci senza acqua, distruggendo la natura ed il tessuto sociale delle comunità con violenza ed insicurezza, sfruttando i fiumi dei territori indigeni per l’ampliamento dei porti che collegherebbero il corridoio interoceanico accompagnato da megaprogetti minerari, di fracking, di parchi eolici industriali e della depredazione dell’acqua che nasce in territori indigeni.

Sonora:

Il Río Mayo è inquinato dalla miniera a cielo aperto Cobre del Mayo che sversa i suoi rifiuti tossici nella diga Abelardo L. Rodríguez, nota come diga del Mocuzarit, minacciando la vita collettiva del popolo Mayo.

Nayarit:

Il fiume San Pedro nel territorio Nayeri, è minacciato dal progetto idroelettrico “Las Cruces”, così come dalla mega-miniera d’oro e argento nella comunità di Jazmín del Coquito, nella fattoria Los Arroyos.

Yucatán:

Nel contesto dell’imposizione in corso del impropriamente chiamato Treno Maya, è stato minacciato di morte il nostro compagno Pedro Uc Be, dell’Assemblea in Difesa del Territorio Maya Muuch Xiinbal.

Per tutto quanto sopra dichiariamo che i nostri popoli, nazioni e tribù continueranno a preservare e difendere i semi di resistenza e disobbedienza in mezzo alla morte, costruendo una strada che perduri nel mezzo dell’oscurità; e noi, saremo lì per curare la nostra madre terra, insieme ai popoli del mondo.

Dicembre 2019

Per la Ricostituzione dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/20/pronunciamiento-de-la-4-asamblea-nacional-del-cni-cig/

 

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BALLA UNA BALENA

COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

MESSICO

Dicembre 2019

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:
Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni della Sexta nazionale e internazionale:
Alle Reti di Resistenza e Ribellione:
A coloro che amano la Danza:

CONSIDERATO CHE:

Primo e unico:

BALLA UNA BALENA.

La montagna illuminata. L’eco del cinema – non di un film, ma del cinema come comunità – ancora risuona tra razzi accesi, l’azzurro nostalgico del cavallo, Tulan Kaw, l’insegna lampeggiante di “bienvenid@s” e la luce provocatoria di “ZAPATISTAS”.

Hai tentato di andartene ma, per qualche ragione che non riesci a spiegare, non puoi… o non vuoi. Nella ormai notte, sempre fredda, percorri la spianata dove, ore prima, il serpente delle stazioni ti ha risvegliato ricordi di fiere paesane, lontane in calendario e geografia.

Il tuo sguardo si sofferma sui cartelli del puzzle: “II Incontro Internazionale delle Donne che Lottano”, “Forum in Difesa della Madre Terra”, “26° Anniversario”. “II Festival del Cinema Puy Ta Cuxlejaltic”, “Primo Festival di Danza Balla un Altro Mondo”.

Un colpo di vento fa tremare il grande cartellone.

Può ballare l’aria?

La danza, apparentemente tanto lontana da tutto, può tracciare un sogno solo con i movimenti?

Sì, forse stai delirando. Può essere per il freddo o per quell’irriverente stella rossa che scintilla in cima alla montagna.

In quel mentre, arrivano la bambina e la sua combriccola che ti circondano col loro chiassoso entusiasmo. “C’è il ballo!”, ti gridano saltellando. Beh, la bambina che chiamano Calamidad solleva solo un poco i talloni, ma la sua allegria è simile a quella delle altre. Il ballo non entusiasma Pedrito, lo scettico della banda, che sentenzia: “Ok, ogni tanto c’è un ballo, non vedo la ragione di tutto questo trambusto”. Defensa Zapatista introduce il suo metodo pedagogico con uno scappellotto e prosegue: “Ci sarà un ballo ma appeso ad una nuvola. Cioè, non un ballo qualsiasi”, e si produce in un impeccabile passo di ron de jambe par terre in dehors. Il gatto-cane, per non restare indietro, si unisce ovviamente con un pas de chat.

 “C’è il ballo!” ripetono le bambine, non in coro perché sono abbastanza scoordinate.

Una insurgenta (la riconosci dall’uniforme) arriva di corsa e dice: “Calamidad, vieni, che ballano la balena!”. Calamidad risale a tutta velocità – non troppa diciamo – il lieve pendio che porta nelle viscere della balena di legno che ancora riposa… o si sta riprendendo dalle ferite di arpioni, bugie e oblii. Defensa Zapatista afferra il gatto-cane e le segue.

Esperanza Zapatista resta a discutere col Pedrito che sostiene che non solo è impossibile ballare una balena, ma è pure impossibile che un cetaceo (così dice) si trovi nel bel mezzo delle montagne del sudest messicano. Non aspetti la fine della discussione, anche se forse ne conosci la conclusione – Esperanza, benché arrivi solo alla cintola di Pedrito, normalmente finisce ogni discussione con “gli uomini, non vedono oltre il loro naso… che è piatto” -.

Decidi di seguire Defensa Zapatista, il gatto-cane e Calamidad. Ti seguono Esperanza Zapatista e Pedrito che protesta perché ha fame.

Vi addentrate nelle viscere, ora quasi vuote, del gigantesco animale. Un gruppo di danzatrici provano i loro passi. Queste, questi, elloas, percorrono il palco che, contraddicendo la sua vocazione, non è più elevato della platea, ma più basso.

Ti siedi e più che guardare gli esercizi ed i passi, osservi la reazione della combriccola. Calamidad, ispirata, è salita su una delle panche ed improvvisa un echappe simple e cade sulla tavola, che si arrende (la tavola, si capisce). “Calamidad!”, le grida Defensa Zapatista. Ma Calamidad è già salita su un’altra panca e ripete il passo… e anche qui la tavola si rompe. Alla quinta panca rotta, un plotone di miliziane tenta inutilmente di bloccare Calamidad che si ostina nel suo tentativo di sfidare la legge di gravità… e della logica.

Il trambusto che segue – Calamidad che salta da una panca all’altra con un’agilità fuori dai limiti del suo corpo, le miliziane che cercano di circondarla e bloccarla, il gatto-cane che morde le miliziane, Defensa Zapatista che tenta di prendere il gatto-cane, Esperanza che tira fuori il cellulare per filmare il tumulto, Pedrito che ricorda a tutti che forse è meglio mangiare qualcosa -, non sembra affatto disturbare chi fluttua in un vento che, vista l’assenza di musica, soffia solo nel suo cuore.

Si può ballare una balena ferita?

“Ah, gli zapatisti, sempre come se stessero guardando un altro film”, pensi. Come se quando parlassero del mondo, non si riferissero a questo che si subisce. Come se su un’astronave, scegliessero di guardare non il mondo che sta dietro, ma quello che si nasconde in qualche posto dell’universo… o della loro immaginazione.

Riesci ad immaginare la colonna sonora di un mondo nuovo che, indomito, sorge dalle macerie di un altro che scricchiola impercettibilmente?

Allora capisci… o credi di capire. Con “Balla un altro mondo” lo zapatismo non sta lanciando una sfida, bensì un invito.

Nel frattempo, asserragliata nell’ultimo angolo dell’auditorium, Calamidad ha fermato l’attacco delle miliziane che attente ascoltano la bambina che spiega loro il “gioco dei popcorn” e racconta “la storia del mais palomero versione Calamidad”.

Allora, avverti un lieve tremore sotto i piedi. Sì, sembra che finalmente la balena si stia sgranchendo e si prepari a riprendere la strada sulla collina.

Come se la danza, l’arte di ballare un altro mondo, avesse alleviato le ferite e il cuore, e la incoraggiasse a seguire la sua assurda impresa.

Ma questo è impossibile. O no?

-*-

Sulla base di quanto sopra, la Commissione Sexta dell’EZLN, invita gli uomini, donne, otroas, bambini ed anziani della Sexta, del CNI e delle Reti di Resistenza e Ribellione in tutto il mondo, ed anche chi possa e voglia, al PRIMO FESTIVAL DI DANZA…

“BALLA UN ALTRO MONDO”

La cui PRIMA edizione si svolgerà nei Caracoles zapatisti di Tulan Kaw e Jacinto Canek, nelle montagne del Sudest Messicano, dal 16 al 20 dicembre 2019.

Ci saranno esibizioni di danza contemporanea, classica, neoclassica, araba, butoh, acrobazia, ballabile, circo, performance, di gruppo, aerea, africana, dark belly dance hip hop fusion, moderna, hula hula e abilità col fuoco.

Ci saranno inoltre laboratori (aperti al pubblico) di: danza contemporanea, espressione del corpo, giochi di prestigio, africana, danza araba. Oltre a incontri e mostra fotografica.

Le attività si svolgeranno nel:

.- Caracol di Tulan Kaw i giorni 16, 17 e 18 dicembre 2019, a partire dalle ore 10:00.

.- Caracol Jacinto Canek (presso il CIDECI a San Cristóbal de las Casas, Chiapas), i giorni 19 e 20 dicembre 2019.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano.
Col suo corpo splendido e in buona forma (sì) dolorante per aver tentato un Temps Levé Coupe. Non scherzate, mi è venuto bene… più o meno… ok, ok, ok, non mi è riuscito.
Messico, dicembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/15/baila-una-ballena/

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Messico – Secondo Festival del Cinema “Caracol de nuestra vida” organizzato dall’#EZLN

Amatenango del Valle, Chiapas. 7 dicembre 2019.

Basi di appoggio dell’EZLN, in particolare giovani ragazzi e ragazze, insieme ad partecipanti nazionali e internazionali, si sono dati appuntamento sabato all’inaugurazione della Seconda edizione del Festival del film: “Puy Ta Cuxlejaltic“, nel nuovo Caracol Zapatista Tulan Kaw, negli altopiani del Chiapas.
Dopo un duro lavoro per completare le strutture del nuovo Caracol ““Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de los caídos “, annunciato lo scorso agosto, oggi accoglie i partecipanti del festival.
All’ingresso del Caracol tra la trafficata strada tra San Cristóbal e Comitán, si possono vedere diversi cartelloni che ricordano le varie attività che i ribelli del Chiapas hanno programmato come “dicembre combattivo”.
Nella parte davanti al Caracol c’è anche un percorso che conduce il visitatore attraverso diverse mostre artistiche, nonché proiezioni su mega schermi e piccoli proiettori oltre a palchi per le diverse presentazioni all’aperto.
MARICHEWEU! Dieci, cento, mille volte vinceremo”, si può leggere in una delle sale di proiezione del festival in omaggio alla lotta del popolo mapuche in Cile.
In questo primo giorno sono stati proiettati le pellicole: Gran Jornada de Mujeres que Luchan del collettivo Luces Rebeldes; Escuela por la Defensa del Territorio della Sandía Digital e Witness; Corrientes del sur di Geovanni Ocampo Villanueva; Noosfera di Amelia Hernández; Santo Rimedio di Andrea Ayala Luna, Ingrid Denisse Alarcón Díaz; Sobre la hierba di José Alfredo Jiménez Milano; 3 x 10 pesos di Uzziel Ortega Sánchez e David Donner Castro; El caminar de las Pastoras di Gabriela Ruvalcaba; Videoclip & Discurso di El Gran Om; e Soles Negros di Julien Elie.
Secondo i partecipanti, le proiezioni mostrano le difficili condizioni sociali, economiche e politiche a cui sono sottoposte le comunità a livello nazionale e internazionale.
Per domenica, i film da proiettare sono: Huir da Daniel Hernández Delgadillo; Restos de viento di Jimena Montemayor; Birders di Otilia Portillo; Vaquero del mediodía di Diego Osorno; ¿Qué les pasó a las abejas? di Adriana Otero; e Poetas del Cielo di Emilio Maillé.

http://yabastanapoli.blogspot.com/2019/12/messico-secondo-festival-del-cinema.html

Tulan Ka’u, Cavallo Forte [Fotoreportage]

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COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN
MESSICO

Dicembre 2019

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni della Sexta nazionale e internazionale:

Alle Reti di Resistenza e Ribellione:

Ai cinefili:

CONSIDERANDO CHE:

Primo e unico:

UNA BALENA NELLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO
(Creatori, Creatrici e Creature).

Non sai come sei arrivato in questo luogo. Sì, sembra sia ormai un’abitudine … “Usi e costumi cittadini”, ricordi che così diceva il defunto SupMarcos, e ricordi anche l’irritazione che ti suscitavano quei commenti sarcastici… bene, non solo quelli. Il pomeriggio lascia ora posto alla notte. Ti sei fermato perché in lontananza hai visto una stella rossa a cinque punte sulla cima di un colle, dopo una specie di avviso monumentale con così tante scritte da non riuscire a leggere di cosa si trattava. Più in là, la sagoma azzurra di un cavallo che nitrisce ed alcune lettere grandi e luminose che laconiche sentenziano: “TULAN KAW ZAPATISTA”. All’entrata, la bambina che ti ha guidato a quel primo cinema impossibile e la sua banda di bambine e bambini, ti si avvicinano. Non sai se scappare, fingere di non conoscerli o restare in attesa. Qualunque strategia crolla perché la bambina ti prende per mano e ti rimprovera: “sempre in ritardo, eh!”.

Attraversate una spianata, in una specie di fiera di paese. In un tratto serpeggiante ci sono alcune “stazioni” con diversi meccanismi di luci e suoni travesti da… mostri, circensi, trapezisti, alcuni che insegnano arti, da lì si sente della musica, si balla e si canta. La gente si affolla nella sua “stazione” preferita e ci sono risate, grida di ammirazione e sorpresa. Inoltre, certo, molti “selfie”. Ai margini del percorso c’è un grande schermo. Stai per dire “Sembra un drive-in”, ma un cartello dice: “Ingresso libero. Stasera: Cantinflas e Manuel Medel in Águila o Sol. Domani: Piporro e Pedro Infante in Ahí viene Martín Corona”.

La bambina ti guida in questo percorso azig-zag: davanti c’è uno strano essere, somiglia ad un gatto o un cane; ai lati ci sono altre bambine e bambini che parlano tutti contemporaneamente.

Cerchi di capire quello che dicono, ma vedi un grande striscione con l’immagine di Boris Karloff(?) nei panni di Frankestein, con una tazza in una mano ed un pezzo di pane sbocconcellato nell’altra. La scritta recita una verità ancestrale: “Niente come un buon caffè ed un panino ti riportano in vita“. Più in fondo, sull’altro lato, si legge “Chirurgia Maxillofacciale. Mostra il tuo volto migliore ed un sorriso irresistibile” e l’immagine delle diverse trasformazioni della creatura delle serie di “Alien, l’ottavo passeggero“. Istintivamente ti tocchi le guance e ti scorre un brivido.

Ci sono molte luci dai colori scintillanti, un’ampia sala da pranzo (riesci a leggere “ZAPATISTAS” e “BIENVENID@S”) e stai per dire che fa freddo e che non ci starebbe male un caffè caldo e magari qualcosa  da mangiare quando, su una delle pareti della sala da pranzo, vedi un altro telone con l’immagine di Edward James Olmos che annuncia “Sushi precotto. Corsi di Origami. Eliminazione Parassiti. Cravatte. Gaff & Company”. In alto, come sospesa in cielo, l’immagine animata della geisha di Blade Runner. Ti fermi un momento per capire come quella trovata sia possibile, ma le persone dietro di te spingono.

Quasi alla fine del “viale delle stazioni” c’è un tavolo con sopra il modellino di quella che potrebbe essere una costruzione, con un cartello con scritto “Progetto di Teatro“, ed una scatola per inserire “Donazioni Anonime“. Dietro un negozio di artigianato l’immagine di un “Facehugger” [una delle creature del film Alien – N.d.T.] pubblicizza sciarpe e mascherine per dormire.

Quindi una strada lastricata di luce e la sagoma di una grande stella rossa e, tra rottami apparentemente sistemati a proposito, immagini cangianti di uno scenario distopico. Le luci tremolanti illuminano a malapena la foresta intorno a te e la montagna in alto. Sì, come se invece di un albero, gli zapatisti avessero addobbato di luci l’intera montagna e gli alberi del bosco non fossero altro che i rami di quel grande pino obeso.

Pensi che sia meglio tornare, non succede nulla di tranquillo nelle terre dello zapatismo… almeno non per te. Ogni volta che vieni resti con una sensazione di dissenso e scetticismo rispetto a te stesso. E ti servono un bel numero di bagni di quotidianità cittadina per tornare alla normalità. Quindi fai qualche passo indietro, cercando l’occasione di voltarti senza che i bambini ti vedano……

Ma ti vedono e ti blocchi.

Ti dici che hai visto già tutto, per queste cose c’è internet e la banda larga, ma quello che ora vedi è così illogico che… Bene, tiri fuori il tuo cellulare e tenia una foto panoramica, ma capisci subito che non è possibile. Ci vorrebbe un satellite per riprendere l’insieme, perché si vede che tutto è parte di un puzzle e per comporlo bisogna camminare… e chiudere gli occhi.

Ma, riaprendoli, tutto è ancora lì. Una grande costruzione. Una specie di galeone che, sfidando le leggi fisiche, si allunga fino a perdersi tra gli alberi e nella pelle umida della montagna. Una galera il cui sperone di prua è una stella rossa a cinque punte. Non ti sorprenderebbe se, sulla fiancata, si aprissero sportelli e sputassero decine, centinaia, migliaia di remi… e dentro si trovasse, “scrivendo in mare“, il monco di Lepanto [Miguel de Cervantes Saavedra, autore del Don Chiosciotte, che perse la mobilità del braccio nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 – N.d.T.]. Somiglia ad un galeone. O una baleniera… No, piuttosto una balena sperduta che nuotando ostinata controcorrente contro la corrente lungo la montagna, ora riposa tra gli alberi e la gente. Sì, gente, tanta. Di tutti i tipi. E di tutti i colori, perché anche se pare che la maggioranza abbia il volto nascosto, i loro abiti sono come se un caleidoscopio si muovesse attorno al grande cetaceo, assurdo nel suo riposare a mezza montagna, come assurdo è tutto quello che lì succede.

No, non ti è venuto in mente che questo potrebbe essere il “Pequod“, ma piuttosto la leggendaria Moby Dick, la balena ossessione di Ahab, di Gregory Peck e di Herman Melville.

“Festival del Cinema”, ricordi di aver letto su diversi cartelli. Ma non c’è nessun riferimento al film di John Houston né al romanzo di Melville. Allora ti ricordi di quello che una volta hanno detto le/gli zapatisti: “noi, parliamo per un altro tempo. La nostra parola si capirà in altri calendari e geografie”. Anche cosí sei pronto a rispondere “Chiamatemi Ismaele” se qualcuno ti chiede il nome ma, allora, guardi attentamente i 3 grandi teloni che coprono i lati e, su quello in mezzo, quello ricamato con lance e funi, si legge:

Trempülkalwe

“È lingua mapuche, o mapudungun”, senti dire da qualcuno. Un po’ più su, altre scritte segnalano: “MARICHEWEU! Dieci, cento, mille volte vinceremo”. E, come a ratificarlo, intorno pullulano dieci, cento, mille persone incappucciate, rematori di questa paradossale galera di buontemponi. Giovani, uomini, donne ed otroas zapatisti. Come a dire che ognuna delle loro esistenze, delle loro vite, fosse un trionfo di fronte ad un passato che prometteva loro morte ed oblio.

Qui, nelle montagne del Sudest Messicano, ti trovi con questo grido di resistenza e disobbedienza Mapuche. Perché lo zapatismo saluta così e qui questo popolo originario? Perché l’impegno in portare una storia ancestrale di resistenza e ribellione dal più profondo sud del continente e seminarla in questa montagna che, per giunta, si chiama “Tulan Kaw” (“cavallo forte” in tojolabal e tzeltal) e gemellare così, irrazionalmente, anacronisticamente, due resistenze e ribellioni con lo stesso obiettivo: la difesa della madre terra?

Stai cercando di decifrare questo puzzle quando la banda infantile ti spinge dentro la pancia della balena… ok, dell’auditorium. Panche di legno, molte, sistemate seguendo il profilo della montagna, un palco con tavoli e 3 schermi (la versione zapatista del 3D), altoparlanti e un mucchio di cavi come budella attorcigliate.

La bambina ti dice: “Aspettaci qui. Andiamo a prendere i popcorn”. Tu cerchi di dirle che non ha visto nessun chiosco di popcorn, ma la banda di infanti sparisce uscendo dall’interiora del cetaceo… ok, dell’auditorium. Mentre aspetti, percorri con lo sguardo l’interno della costruzione. Sulle panche, esseri di ogni tipo. Sul palco, persone che, si suppone, creano cinema. Parlano di cinema ma come rispondendo a domande che, apparentemente, nessuno ha fatto loro… almeno nessuno di visibile. O parlano per sé stessi.

Ritornano di corsa la bambina e la sua banda, tutti con sacchetti di popcorn. La bambina ti dà un sacchetto mentre chiarisce: “Non c’ho messo molta salsa perché poi magari ti viene mal di pancia”.   L’ingresso della banda di bambini funge da segnale e il resto della folla parte in massa. Le persone sul palco emettono un sospiro di sollievo. Uno confessa “Uff! Ora ricordo perché mi sono dedicato al cinema!”. Un altro: “È come un film horror mischiato con uno thriller e fantascienza, e temo che il copione non mi procurerà niente di buono”. Uno più in là: “Perché in verità non sapevo cosa risponderle, lei aveva troppe domande”. “Certo”, dice un altro, “è come essere in un tribunale ma senza avvocato difensore… e sapendo di essere colpevole”.

La bambina ti dice in un orecchio: “Se viene a cercarci il SupGaleano, tu gli dici che siamo stati qui tutto il tempo, che tu hai portato i popcorn dalla città e li hai condivisi con noi. Anche se vedi che si altera, tu niente, fermo, fai finta di niente, resistenza e disobbedienza”. Da un altoparlante si sente: “Si ringrazia per qualunque informazione su dove si trovi un gatto-cane, è ricercato per furto di materiale strategico della comandancia general. Si pensa sia accompagnato da una banda di bambine e bambini che… ok, dimenticate il dettaglio bambine e bambini, ma il gatto-cane è inconfondibile”. Il suddetto si nasconde nel grembo dalla bambina e sì, giureresti che ha un sorriso birichino.

Stai valutando la convenienza di mentire o meno ad un Subcomandante, quando le persone rientrano, tutte con profumati sacchetti di popcorn, prendono posto e sul palco qualcuno dice: “Nessuno fa una domanda frivola? Così, per tornare alla normalità e tutti credano che questo è un festival del cinema come gli altri”.

“Dai”, ti dici, “un festival del cinema dove ci si aspettano spiegazioni, ragioni, riflessioni. Come se sullo schermo apparisse un grande punto di domanda e tutte, tutti, todoas, si aspettassero che… che cosa si aspettano?”. La bambina gli confessa: “Vedi, siamo tutti contenti che queste persone che fanno il cinema siano venute qui, perché se fossero tristi o i loro cuori fossero in ansia perché non sapevano dove fossero finite queste cose? Giusto? Quindi li abbiamo invitati a venire a dirci se stanno bene o no, o dipende. Magari si metteranno anche a ballare e a mangiare popcorn e i loro cuori saranno contenti”, dice la bambina con la bocca piena e le guance macchiate di salsa.

Sembra ci sia un intervallo e tutti, te compreso, escono. Con tua sorpresa, c’è ora un chiosco di popcorn su ruote che, come una cometa luminosa, trascina una lunga fila di bambine e bambini che aspettano il loro turno. Ce n’è un altro più sotto. E se ne intravede un più lontano. Ti metti in fila e poi, con il tuo sacchetto di popcorn, ti soffermi a guardare quell’assurda sala cinematografica e la sua inclinazione ribelle che sfida la logica e la legge di gravità…

La mitica balena mapuche, Mocha Dick, che nuota su per la montagna con tutta quella gente in spalla… “e, in mezzo a tutto, un grande fantasma incappucciato, come un monte innevato nell’aria” (Moby Dick. Herman Melville, 1851).

Un cetaceo irriverente come un pezzo del puzzle.

Il cinema come qualcosa di più, molto più di un film.

Come se qui fosse parte di un puzzle più ampio: vedi un cartellone che annuncia un festival di Danza, un altro un forum in Difesa del territorio e della madre terra, un altro ancora un incontro internazionale di donne che lottano, un altro di un compleanno; e indicazioni, tante: che indicano bagni, lavandini, internet, negozi di alimentari. “Un mondo dove stiano molti mondi”, oltre a quelli di Giunta di Buon Governo, Municipio Autonomo Ribelle Zapatista, Commissione di Informazione e Vigilanza… e non ti sorprenderebbe incrociare Elías Contreras che fuma seduto fuori una capanna sopra la cui porta starebbe scritto “Commissione di Investigazione”.

Scopri che ci sono molti pezzi sparsi. Perché vedi altre persone che si differenziano dai locali solo per un distintivo che segnala “Congresso Nazionale Indigeno” e, certo, per non avere il volto coperto, oltre a “cittadini, cittadine e ciudadanoas“, che è come lo zapatismo chiama chi vive o sopravvive nelle città.

E ti sconvolge sapere che ci sono e ci saranno molti altri pezzi.

Come se lo zapatismo volesse sfidare l’umanità con enigmi… o con la sagoma di un mondo, di un altro mondo.

Come se la tua vita importasse a qualcuno che non conosci. Qualcuno per il quale forse tu hai fatto molto, poco o niente, ma che ti considera.

Come se finalmente capissi che questo “Caracol de Nuestra Vida” include te ed i tuoi… dieci, cento, mille volte.

E questo pezzo del puzzle, il cinema, come la vita, dentro una balena che, ferita ai fianchi, risale le montagne del sudest messicano…

Ma questo è impossibile… o no?

-*-

Sulla base di quanto sopra esposto, la Commissione Sexta dell’EZLN invita gli uomini, donne, otroas, bambini ed anziani della Sexta, del CNI e delle Reti di Resistenza e Ribellione in tutto il mondo e, ovviamente, le ed  i cinefili che possano e vogliano, al FESTIVAL DEL CINEMA…

“PUY TA CUXLEJALTIC”

(“Caracol de nuestra Vida”),

La cui seconda edizione si terrà nel Caracol zapatista di Tulan Kaw,
nelle montagne del Sudest Messicano dal 7 al 15 dicembre 2019.

I film che si proietteranno e le attività del festival saranno rese note a breve nella sede del Festival.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano.
Che persegue la mutazione più temibile dello Xenoformo: il Gatto-Cane.
Ma come? Si è rubato i miei popcorn. Ed il cinema senza popcorn è… come dirti?… come i tacos senza salsa, come Messi senza pallone, come un asino senza corda, come un pinguino senza il frac, come Sherlock senza Watson, come Donald Trump senza twitter (o viceversa)…
eh?… ok, questo è un altro cattivo esempio.
Messico, dicembre 2019

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/05/una-ballena-en-las-montanas-del-sureste-mexicano-creadors-y-creaturas/

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CONVOCAZIONE ALL’INCONTRO PER LA DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO,

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE,

ALLE RETI DI APPOGGIO AL CIG,

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE.

Il capitalismo, fin dalla sua nascita, è un sistema economico mondiale contrario alla vita umana e contrario alla nostra madre terra, dunque, nella sua logica di accumulazione e di profitto, può riprodursi unicamente attraverso lo sfruttamento sempre più massiccio del lavoro umano e la depredazione permanente delle terre e dei territori dei popoli del mondo intero, principalmente dei popoli originari.

Il capitalismo, nella sua attuale tappa neoliberista, assume forme sempre più mostruose, che dichiarano una guerra aperta contro l’umanità e contro la terra, nostra madre. L’attuale sviluppo economico basato su scala planetaria nella predominanza del capitale finanziario che domina popoli, nazioni e continenti interi, poggiato sull’industria militare ed estrattivista, accrescendosi attraverso guerre reali o fittizie, la profusione del crimine organizzato e invasioni e colpi di stato, nella sua insaziabile logica di accumulazione e consumo capitalisti, sta portando verso un limite che mette in pericolo le condizioni della vita umana sul pianeta.

Inoltre, l’attuale sistema, con la sua organizzazione patriarcale ereditata da sistemi e civiltà precedenti ma approfondita negli ultimi secoli, si esibisce come un nemico violento non solo dell’umanità, ma in particolare delle donne e della nostra madre terra. Ovvero, lo sfruttamento e la profonda violenza strutturale verso le donne, è propria del capitalismo anche se è nata molto prima, la proprietà privato capitalista, base di questo sistema, non si può spiegare né comprendere se non come parte di un sistema patriarcale di dominazione sulle donne e sulla terra.

Il Messico e gli altri paesi del mondo sono dominati da questo che chiamiamo capitalismo e né i paesi che si definiscono con governi di sinistra o progressisti esulano da ciò, dunque, con questo sistema distruttivo, l’umanità avanza verso l’abisso. Per questo è urgente la difesa della vita umana, la difesa dei territori dei nostri popoli e la difesa della terra in una prospettiva chiaramente anticapitalista ed antipatriarcale.

E, come parte di questo immane compito:

CONVOCHIAMO

IL FORUM IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

Che si svolgerà nei giorni 21 e 22 dicembre 2019 nel Carácol JACINTO CANEK (CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico)

Con i seguenti argomenti di discussione:

ARGOMENTI DI DISCUSSIONE

  1. Devastazione ambientale e distruzione della madre terra nel capitalismo attuale: Diagnosi.
  2. Depredazione del territorio indigeno, contadino e urbano, spoliazione dei beni comuni, guerre di occupazione, estrattivismo e crimine organizzato: le crescenti aggressioni.
  3. Capitalismo e patriarcato: Violenza strutturale contro le donne e la madre terra.
  4. Costruzione di alternative anticapitaliste e antipatriarcali: la nostra lotta è per la vita.

DISTINTAMENTE

Novembre 2019
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/11/21/convocatoria-al-encuentro-en-defensa-del-territorio-y-la-madre-tierra/

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Dichiarazione congiunta del CNI-CIG ed EZLN sulle recenti aggressioni dei capitalisti, dei loro governi e cartelli, contro i popoli originari del Messico

 

Ai popoli del mondo

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

 

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, condanniamo i seguenti fatti che illustriamo di seguito.

 

Repressione da parte della Guardia Nazionale delle comunità originarie del popolo nahua di Juan C. Bonilla

 

Denunciamo l’attacco alle comunità originarie del popolo nahua di San Mateo Cuanalá, San Lucas Nextetelco, San Gabriel Ometoxtla, Santa María Zacatepec e della colonia José Ángeles, del municipio di Juan C. Bonilla, del 30 ottobre scorso quando sono state represse a botte e pallottole di gomma, perfino contro bambini, donne e persone anziane dalla polizia federale, la polizia statale di Puebla e la Guardia Nazionale.

Lo spiegamento delle forze repressive contro i compagni è per consentire l’avvelenamento del fiume Metlapanapa come parte del Progetto Integrale per la Costruzione del Sistema di Fognatura Sanitario della Zona Industriale di Huejotzingo, Puebla, conosciuto come “Ciudad Textil”, che fa parte del megaprogetto di infrastruttura urbano-industriale conosciuto come Progetto Integrale Morelos, che è già costato la vita del compagno Samir Flores.

 

Ataque de la Guardia Nacional a las comunidades originarias del pueblo nahua del municipio de Juan C. Bonilla

 

Condanniamo il codardo attacco contro la comunità wixárika e tepehuana di San Lorenzo de Azqueltán, nel municipio di Villa Guerrero, Jalisco, lo scorso 3 novembre per mano dei cacicchi Fabio Ernesto Flores Sánchez (alias La Polla), Javier Guadalupe Flores Sánchez e Mario Flores, che a bordo di tre furgoncini ed accompagnati da gente armata hanno teso un’imboscata ai comuneros ed alle autorità; agendo in totale impunità hanno picchiato fino a lasciare gravemente feriti i compagni Ricardo de la Cruz González, Noé Aguilar Rojas e Rafael Reyes Márquez, che sono attualmente sotto cure mediche.

 

Questi tentativi di omicidio che rimangono sfacciatamente impuniti, sono orchestrati per fermare la degna e storica lotta per la terra a cui ambiscono coloro che, per possedere il denaro, si considerano i padroni della regione e che hanno sempre contato sulla piena complicità di istanze di governo che vogliono fare affari milionari con la terra comunale, pretendendo di cancellare dalla storia il paese tepecano.

 

Esigiamo la presentazione in vita dei compagni Carmelo Marcelino Chino e Jaime Raquel Cecilio del Frente Nacional por la Liberación de los Pueblos nello stato di Guerrero, che sono desaparecidos dallo scorso 22 ottobre, mentre erano diretti nella località di Huamuchapa, provenienti da Acapulco. Questo atto criminale si somma alla criminalizzazione, persecuzione, assassinio e sparizione di chi nello stato di Guerrero e in tutto il Messico lotta per il rispetto dei territori indigeni contro la devastazione capitalista.

 

Inoltre, denunciamo la detenzione e sparizione per varie ore del compagno Fredy García del Comitato di Difesa dei Diritti Indigeni (CODEDI) per mano di agenti della polizia di Oaxaca, dopo la partecipazione ad una presunta riunione di lavoro con funzionari di governo, accusato di reati assurdi per criminalizzare la degna lotta del CODEDI e del compagno Fredy García contro la depredazione e la repressione capitaliste. Esigiamo la libertà immediata e incondizionata del nostro compagno Fredy García!!

 

I capitalisti, i loro cartelli ed i loro governi impongono la morte con gruppi armati per spogliare i popoli indigeni, che siano del malgoverno, gruppi di scontro o criminali. Per noi popoli c’è la violenza, il terrore e l’indignazione; per loro l’impunità e la garanzia che i loro crimini si tradurranno in profitto a costo di popoli interi.

 

Distintamente

Novembre 2019

 

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli 

Mai più Un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno
Consiglio Indigeno di Governo
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/11/08/pronunciamiento-conjunto-del-cni-cig-y-ezln-sobre-las-recientes-agresiones-de-los-capitalistas-sus-gobiernos-y-sus-carteles-en-contra-de-los-pueblos-originarios-de-mexico/

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COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

Messico

Novembre 2019

 

Alle donne che lottano in tutto il mondo:

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Alle Reti in Resistenza e Ribellione o come si chiamino:

A chiunque si senta convocat@ alle attività:

 

Compagne, compagni, compagnei:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

 

La Commissione Sexta dell’EZLN vi invita al:

COMBO PER LA VITA:
DICEMBRE DI RESISTENZA E RIBELLIONE.

 Con le seguenti attività:

SECONDA EDIZIONE DEL FESTIVAL DEL CINEMA

PUY TA CUXLEJALTIC.

Si terrà dal 7 al 14 dicembre 2019

Sedi:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico)

Caracol Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de l@s caídos. (Spirale degno tessendo i colori dell’umanità in memoria delle cadute e dei caduti, a Tulan Ka´u, sulla strada San Cristóbal de las Casas – Comitán de Domínguez, a metà strada tra queste due città – a circa 40 minuti da entrambi i lati, guidando con prudenza-).

 

La programmazione e i partecipanti saranno resi noti alla prossima occasione.

Indirizzo per iscriversi come assistenti:

segundofestivalcine@ezln.org.mx

 

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PRIMO COMPARTE DI DANZA
BALLATI UN ALTRO MONDO.

Si terrà dal 15 al 20 dicembre 2019

Sede:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico).

Indirizzo per iscriversi come partecipanti o assistenti:

participanteprimercompartedanza@ezln.org.mx

asistenteprimercompartedanza@ezln.org.mx

 

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FORUM IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

Si svolgerà dal 21 al 22 dicembre 2019

I dettagli saranno resi noti dal Congresso Nazionale Indigeno, entità organizzatrice, con il sostegno della Commissione Sexta dell’EZLN.

Sede:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico).

 

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ATTENZIONE: Solo per donne che lottano:

SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

Si terrà dal 26 al 29 dicembre 2019

Sede:

Semillero “Impronte del Cammino della Comandanta Ramona”, al Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 Novembre), lo stesso posto in cui si è tenuto il Primo Incontro, nel municipio filogovernativo di Altamirano.

Indirizzo per iscriversi:

estamosaprendiendo@ezln.org.mx

Nota: al luogo dell’incontro del semillero, potranno accedere SOLO le donne che lottano (con i loro piccoli se minori di 12 anni). In questo luogo NON È CONSENTITO L’ACCESSO AGLI UOMINI, neanche per sogno. I dettagli sul programma, la strada, ecc., saranno forniti alla prima occasione dalle Coordinatrici delle Donne Zapatiste.

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CELEBRAZIONE DEL 26° ANNIVERSARIO DALL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO

Si svolgerà dal 31 dicembre 2019 al 1° gennaio 2020

Sede:

Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 Novembre).

 

Indirizzo per iscriversi:

visitante26aniversario@ezln.org.mx

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È tutto.

Dalle montagne del Sudest messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Commissione Sexta dell’EZLN.

 

Traduzione a cura di 20ZLN

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Il diluvio è così forte che offusca la vista. Intervista a Raúl Zibechi sulle attuali rivolte latinoamericane

30/10/2019

Delle attuali rivolte latinoamericane, del ruolo dei popoli indigeni, dei giovani e delle donne, del ruolo degli Stati Uniti, delle elezioni in Bolivia e in Argentina, della congiuntura in Messico, dell’ultra-destra e di ciò che segue per chi cerca un mondo più degno, parla in questa intervista Raúl Zibechi, giornalista e scrittore uruguayano, conoscitore e accompagnatore di diverse lotte dell’America Latina. Un’intervista di Gloria Muñoz Ramírez.

Cosa sta succedendo in America Latina? Perché adesso le rivolte in Ecuador, Haiti e Cile?

Siamo di fronte alla fine di un periodo segnato dall’estrattivismo, fase attuale del neoliberismo o Quarta Guerra Mondiale. In questo senso credo che siamo di fronte all’autunno dell’estrattivismo perché il suo periodo d’oro è stato prima della crisi del 2008, quando i prezzi alti delle materie prime hanno permesso la crescita dei redditi dei più poveri senza toccare quelli dei più ricchi, senza riforme strutturali come l riforma agraria, urbana, fiscale e così via.

Le rivolte sono ben diverse da paese a paese. In Ecuador c’è una sollevazione – ce ne sono state una decina dal 1990 – ben organizzata e diretta dalla CONAIE (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador), che per la prima volta ha coinvolti i poveri delle città. In Cile, in cambio, è un’esplosione, senza convocanti né direzioni ma con una crescente organizzazione territoriale attraverso le assemblee popolari. I settori più organizzati sono i Mapuche, gli studenti e le donne che stanno giocando un ruolo fondamentale.

Credo che la gente sia stanca, arrabbiata da tanta disuguaglianza e di impieghi, salute ed educazione spazzatura. Ci sono servizi pessimi per persone usa e getta. E questo è percepito soprattutto dai più colpiti, le e i giovani, che vedono di non avere futuro in questo sistema. Le persone approfittano delle crepe del sistema, come lo sciopero degli autotrasportatori in Ecuador per farsi ascoltare.

Qual è la tua lettura di ciò che sta succedendo in Bolivia, rispetto alle elezioni presidenziali nelle quali è stato rieletto Evo Morales e le successive mobilitazioni?

Un’altra frode. Evo Morales e la cricca che lo circonda, come il vicepresidente Álvaro García Linera, si aggrappano al potere che è l’unica cosa che gli interessa. Questa è una lezione importante: privi di ogni etica ai dirigenti di sinistra gli rimane solo la loro ossessione per il potere. Questa cosa merita un’analisi profonda. Come siamo arrivati a questo punto? Che cosa è successo perché l’unico interesse sia il potere e tutto ciò che lo riguarda, come il lusso e il controllo della vita degli altri? Morales non doveva presentarsi a queste elezioni perché ha convocato un referendum e ha vinto il No alla sua candidatura. Ha violentato la volontà popolare e adesso sta facendo lo stesso. È chiaro che la destra pretenda di approfittare di questa situazione ma non dimentichiamoci che la OEA, attraverso Luis Almagro, difende il regime di Morales e questo mi sembra molto sintomatico. Chi parla di colpo di stato omette che c’è un patto con la destra, i militari e la OEA, ossia gli Stati Uniti, per sostenere il governo di Morales.

Dobbiamo riflettere perché la sinistra non immagina di potersi slegare dal potere, perché non concepiscono la politica senza slegarsi dallo Stato. Tra le altre cose, perché ha abbandonato la costruzione di poteri popolari, perché non gli interessa che le persone si organizzino e fanno tutto il possibile per evitarlo, anche attraverso l’uso della repressione e del terrorismo di stato come in Nicaragua.

Che ruolo hanno i popoli indigeni nelle rivolte?

Sono il nucleo principale insieme alle donne e ai giovani. Quello che sta succedendo in Cile ha tre precedenti: la lotta del popolo Mapuche, quella degli studenti degli ultimi dieci anni e quella delle donne che l’anno scorso hanno occupato università e si sono alzate in piedi contro il patriarcato accademico. Mi fa sorridere quando dicono che il Cile si è svegliato. Quelli che si sono svegliati sono i giornalisti e accademici che stavano nel limbo. I “Los de Abano” non hanno mai dormito. L’anno scorso la risposta di tutto il Cile all’assassinio di Camilo Catrillanca è stata impressionante, con blocchi stradali durati un mese a Santiago e in altre trenta città.

I popoli originari hanno due grandi qualità. La prima è l’organizzazione territorio comunitaria che si sta approfondendo con la crescita dell’attivismo giovanile e delle donne, che hanno democratizzato le comunità. La seconda è che incarnano forme di vita potenzialmente non capitaliste, una cosa che nessun altro settore della società può offrire alla lotta. Educazione, salute e alimentazione in chiave non mercantile, al quale bisogna aggiungere la costruzione di poteri di altro tipo, non statali.

Per questo i popoli originari sono referenti per tutti coloro che lottano. Per questo i “bianchi delle città” agitano le bandiere Mapuche e le donne, studentesse e contadine ecuadoriane accettano l’orientamento degli indigeni. Mi piacerebbe dire che i popoli originari son oggi il principale referente delle rivolte, anche per i settori delle classi medie urbane. A Quito, le donne professioniste lavavano i bagni della Casa della Cultura, mentre donne e uomini originari discutevano in assemblee improvvisate. Lo hanno fatto come gesto di rispetto e di accettazione attiva della loro leadership, con un atteggiamento che dovrebbe farci riflettere dal cuore perché emoziona profondamente.

L’Uruguay ha rifiutato la Guardia nazionale, che invece, è stata approvata in Messico. Qual è l’equilibrio delle forze armate nelle strade?

Nei prossimi anni vedremo sempre più i militari nelle strade. Lula e Dilma, in Brasile, le hanno portate nelle favelas e nessuno ha alzato la voce, perché sono neri e “delinquenti”. Il tema del crimine organizzato è un pretesto perfetto, perché serve per lavare le coscienze della classe media della sinistra, che sono quelli che soffrono meno la violenza. Il futuro ministro dell’interno del Fronte Amplio in Uruguay, Guastavo Leal, sta perseguendo la vendita al dettaglio di “pasta base” (droga a basso costo simile al crack) con un accanimento speciale tanto da demolire le case degli spacciatori quando vengono arrestati. Non sono narcos, in senso stretto, sono poveri che sopravvivono nella delinquenza, ai quali applica metodi repressivi identici a quelli che Israele utilizza con i palestinesi. Tuttavia, sono stati scoperti in Europa carichi di cocaina di cinque tonnellate imbarcati nel porto di Montevideo.

L’uscita nelle strade dei militari nelle strade è inevitabile perché “los de arriba” hanno dichiarato guerra alla popolazione. E questo non ha nessuna relazione con destra o sinistra, è una questione di classe e di colore della pelle, è la politica dell’1% per rimanere in alto.

Che lettura dai al Messico in questo contesto latinoamericano?

Da molto tempo in Messico si sta incubando qualcosa di molto simile a quello che succede in Cile, una fenomenale esplosione che è stata posticipata innanzitutto dalla guerra e adesso dal governo di Andrés Manuel López Obrador. Ma la pentola sta accumulando pressione ed è inevitabile che in qualche momento succeda un’enorme insurrezione, quando la rabbia supera la paura. Non sappiamo quando ma il processo è in cammino perché la politica di implementare l’estrattivismo dell’attuale governo è una macchina di accumulazione di rabbia.

Dall’altro lato vedo in Messico un potere debole, un governo che si fa da parte di fronte ai narcos come è successo in Culiacán, ma mette pressione alle popolazioni come è successo in Morelos, quando hanno assassinato il difensore comunitario Samir Flores Soberanes. AMLO sta negoziando coi narcos passa sopra ai popoli originari, rivelando la miseria etica del suo governo. Ha detto che si è trattato di salvare vite e lo posso capire. Ma chi ha difeso la vita di Samir e di tutti gli altri assassinati in questo suo primo anno di governo?

Argentina e le elezioni. Il ritorno al progressismo è la soluzione?

Il problema è che ritorna una cosa che non è il progressismo. In Argentina non ritorna il kirchnerismo del 2003, ma un regime peronista molto repressivo, che sarà più simile al Perón del 1974 o al Menem del 1990. Il ciclo progressista è finito, anche se ci sono ancora governi che reclamano questa corrente. Il progressismo è stato un ciclo di prezzi elevati delle materie prime, che ha permesso di tramandare i ricavi delle eccedenze commerciali ai settori popolari. Ma, al di là di questo fattore economico, il ciclo è terminato per un altro fattore decisivo: è terminata la passività, il consenso tra le classi, e si sono attivati i movimenti e questo ha segnato un limite chiaro al ciclo, che è stato possibile solo per l’accettazione dal basso delle politiche dall’alto. Credo che il nuovo governo dovrà affrontare enormi difficoltà per il peso dei debiti che ha lasciato Macri, che porterà necessariamente a una politica di austerità. Il problema è l’aspettativa popolare che le cose cambino rapidamente e che porterà a un notevole miglioramento nelle attività economiche e nei salari.

Sappiamo che questo non è possibile, quindi si apre un periodo di imprevedibilità nella quale le persone non aspetteranno passivamente che gli vengano regalati dei benefici. In Argentina vedremo una potente sviluppo dell’estrattivismo, in particolare del petrolio e del gas di Vaca Muerta.

Costa Rica e Panama con rivolte studentesche. Che ruolo hanno i giovani?

I giovani sono uno dei settori più attivi. Se gli indigeni stanno per essere saccheggiati e le donne violentate e assassinate, i giovani sanno che non hanno futuro, perché una vita degna non può consistere in un lavoro di otto o dieci ore in un Oxxo, che col viaggio di andata e ritorno a casa diventa di quattordici ore sottomesso al lavoro, senza tempo né forze per fare altro che consumare con il poco che resta del salario. Quando ne hanno uno di salario. Solo una minoranza ha accesso a studi superiori, con fondi che gli garantiscono fino a oltre 40 anni una vita comoda ma che suppone un contrasto netto con i giovani dei settori popolari, con indigeni e neri. Lasciano i loro quartieri e subiscono la violenza della polizia o della droga, il che ci fa dire che vivono in una situazione di grave fragilità. Questo li porta in certi momenti ad integrarsi nella criminalità organizzata, che garantisce loro una vita più confortevole. Ma soprattutto accumulano rabbia, molta rabbia.

In Ecuador, dirigenti comunitari veterani erano sorpresi del fatto che i giovani si scontravano a mani nude con le forze armate, senza temere le conseguenze. Sono riusciti a far prigionieri centinaia di poliziotti che poi sono stati consegnati all’ONU o ad altre autorità, perché i dirigenti sono intervenuti prima che succedessero cose ben più gravi, dato che se fosse stato per loro li avrebbero liquidati all’istante, ai piedi delle barricate. Perché questa gioventù povera non ha esperienze di lotta organizzata e tende a togliersi la rabbia attaccando i suoi nemici, cosa che può provocare autentici massacri. Però sono lì, trasbordando da tutti i limiti immaginabili: dalle famiglie al quartiere, fino agli apparati repressivi e, naturalmente, dalle organizzazioni di sinistra. Qui dobbiamo lavorare duro per organizzarli.

Il ruolo dell’ultra-destra e il caso Bolsonaro in Brasile.

Dal momento in cui Bolsonaro è andato al governo, ha avuto una serie di insuccessi che ci hanno dimostrato la sua enorme incapacità di governare. Sono scoppiate crisi nel suo stesso partito, tra il presidente e i suoi alleati, con gli imprenditori e con i grandi agricoltori. La vera ultra-destra sono le forze armate, in particolare l’esercito, che ha il ruolo di stabilizzatore del governo. Credo che il grande problema del Brasile sia la tremenda insicurezza nella vita quotidiana che colpisce le classi popolari, in generale poveri e neri, che li porta a cercare rifugio nelle chiese evangeliche e pentecostali, come in figure che danno un’immagine di sicurezza, come Bolsonaro. Quello che dobbiamo chiederci è perché i settori popolari hanno abbandonato il Partito dei Lavoratori (PT) e si sono rivolti all’ultra-destra. La risposta semplice è che sono influenzati dai media. Una posizione che difendono accademici che si credono immuni ai media e che sottostimano le capacità popolari. La realtà è che la vita di chi vive nelle favelas è tremenda: precarietà lavorativa, pesante presenza della polizia militare, crimini e assassini da parte dello Stato, salute ed educazione di pessima qualità, timore per i figli, che cadono vittime dei proiettili in percentuali allucinanti. Le madri temono per i propri figli e per il loro futuro. Un clima ideale per la cattura dell’ultra-destra, in particolare nei giovani che si sentono rimpiazzati dalla forza dei loro coetanei.

In questo contesto, qual è il ruolo degli Stati Uniti?

La regione è lo scenario di una disputa per l’egemonia globale tra Stati Uniti e Cina. La penetrazione cinese si sta dimostrando addirittura peggiore di quella yankee. In Ecuador si costruiscono opere di infrastrutture, come dighe idroelettriche, con schiavi cinesi che commutano le proprie condanne lavorando in condizioni forzate, con punizioni corporali incluse. Nessuno deve credere che il capitalismo e l’imperialismo cinese siano meno aggressivi di quelli yankee. Il problema è che gli Stati Uniti hanno bisogno di riposizionarsi in America Latina per compensare la loro crescente debolezza in Africa, Asia e Medio Oriente. Una delle tendenze che vedremo nel futuro immediato è la distruzione degli Stati-Nazione, processo che è già cominciato in Messico e nei paesi del Centro America. Da questo punto di vista dobbiamo aspettarci il peggio.

Fino a dove?

La principale caratteristica di questo periodo post ciclo progressista è l’instabilità. Le destre non possono governare come dimostrano Cile e Ecuador. Ma i progressismi nemmeno, come dimostrano Bolivia e Nicaragua. Ma attenti, il problema non è questo o quel governo (il governo è sempre un problema), ma il sistema. Queste rivolte non sono contro un presidente ma contro un modello di distruzione della natura e di controllo sociale massivo, attraverso politiche sociali e militarizzazione che si complimentano per mantenere la popolazione soggiogata.

La risposta a “fino a dove”, non può essere altra che l’organizzazione popolare in ogni territorio, per resistere e costruire i mondi nuovi. Mi piace parlare di arche, perché è necessario sopravvivere collettivamente al diluvio che sta arrivando. Desinformémonos può essere considerata come un’arca dell’inter-informazione dei los de Abano, come il meccanismo per collegare le nostre condotte, come direbbe Alberto Maturana. Vale a dire, un’informazione da dentro il campo popolare o arca collettiva, che è imprescindibile per orientarci in senso emancipatori, ma soprattutto per muoverci nel mezzo di una tormenta che non fa vedere nulla, perché il diluvio è così forte che offusca la vista.

*** Tratto da Desinformemonos e tradotto da Christian Peverieri. https://www.globalproject.info/it/mondi/il-diluvio-e-cosi-forte-che-offusca-la-vista-intervista-a-raul-zibechi-sulle-attuali-rivolte-latinoamericane/22338

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Rompendo l’accerchiamento, autonomia in cammino

di Lorenzo Faccini, Andrea Mazzocco

29/10/ 2019

Come sostenitori del processo dell’autonomia zapatista, come aderenti alla Sexta o come semplici estimatori delle lotte anticapitaliste nel mondo, l’appoggio alle realtà che percorrono il cammino della rebeldía deve essere incondizionato, in tempi di calma apparente così come nei tempi dei grandi proclami. Abbiamo avuto la fortuna di vivere entrambe queste situazioni in prima persona, abbiamo potuto vedere gli zapatisti rompere l’accerchiamento dopo mesi di silenzi carichi di significati, mesi di azioni e non di parole. Muovendo dal presupposto che sia possibile ed assolutamente prioritario avviare un processo di decolonizzazione del sapere all’interno delle nostre istituzioni accademiche, crediamo che il primo importante passo sia scardinare i paradigmi culturali eurocentrici che veicolano l’interiorizzazione del modello economico neoliberista e colonialista. Questo intento ci ha condotto a San Cristóbal de Las Casas e, nel pieno del lavoro di ricerca per scrivere le nostre tesi sull’autonomia, gli zapatisti sono riusciti a sorprenderci ancora una volta.

Siamo arrivati in Chiapas il 28 luglio 2019 consci delle difficoltà intrinseche al nostro proposito accademico, nonostante le credenziali e le attestazioni di fiducia preparateci dai compagni e dalle compagne dell’associazione Ya Basta! Êdî Bese! In primo luogo, ci siamo scontrati con la legittima reticenza degli zapatisti dovuta alla lunga trafila di studiosi, intellettuali o presunti tali, che bussando alle porte dei Caracoles hanno riprodotto le note logiche estrattiviste anche in ambito culturale. Nel peggiore dei casi, nella totale disonestà intellettuale, hanno abusato della fiducia concessa per ottenere informazioni con l’unico scopo di strumentalizzare i contenuti osservati; ne è un esempio tutto nostrano Alessandro Di Battista con i suoi reportage.

Oltre a ciò, è apparsa lampante la recrudescenza della strategia della guerra di bassa intensità, o per meglio dire secondo la definizione zapatista, la guerra de desgaste. Concretamente si tratta di un’azione congiunta di pressione militare costante, come da noi osservato a più riprese, ed un’azione politica espressa attraverso progetti di sviluppo economici ed educativi atti a logorare la resistenza, con l’obiettivo di indurre le basi d’appoggio ad abbandonare l’organizzazione zapatista. I primi otto mesi di presidenza AMLO, da dicembre 2018 a luglio 2019, hanno visto esacerbarsi la tensione in Chiapas anche attraverso la creazione del nuovo corpo militare della Guardia Nazionale. In questo stesso periodo sono dieci i leader sociali indigeni assassinati in Messico, neanche sotto la presidenza di Peña Nieto si erano raggiunti questi numeri.

Nei primi giorni di permanenza abbiamo quindi ristabilito i contatti con tutte le formazioni di società civile che appoggiano la realtà zapatista, potendo renderci conto meglio della situazione: nessuno aveva più rapporti ufficiali con le Giunte di Buon Governo da diversi mesi. Le celebrazioni per l’anniversario della fondazione dei Caracoles (8-9-10 agosto), che solitamente venivano annunciate con largo anticipo e aperte alla società civile, si stavano avvicinando senza che vi fosse alcuna comunicazione. Abbiamo respirato questo clima di incertezza mista ad attesa anche nei vari incontri a cui abbiamo partecipato al CIDECI-UNITIERRA, baluardo di sapere autonomo, anticapitalista e indigeno a San Cristóbal.

Su consiglio di diversi compagni, decidiamo quindi di partire per le comunità dopo le celebrazioni. Il silenzio denso di aspettative che le aveva precedute viene finalmente sciolto proprio il 10 agosto, quando gli zapatisti, come di consueto, sorprendono il mondo con un criptico comunicato recante il video di Smells like teen spirits dei Nirvana. La degna risposta, con la tipica ironia zapatista, a chi da tempo speculava sul silenzio. Nella settimana successiva visitiamo prima di tutto La Realidad. Col senno di poi appare molto più comprensibile l’impossibilità della Giunta a riceverci immediatamente. L’ospitalità è comunque tanta, e ci permettono di accamparci al Campamiento permanente de paz per la notte. Abbiamo modo di confrontarci con alcuni compas sul periodo di tensione e sul primo comunicato che ha rotto il silenzio. Ci rechiamo poi a Morelia, dove veniamo ricevuti dalla Junta de buen gobierno. Attorno a noi fervono i lavori, ed anche se non potevamo ancora comprenderne la ragione, si percepiva un’aria densa di aspettative. Successivamente visitiamo Oventik e nuovamente Morelia. I comunicati nel frattempo proseguivano e non sembrava si dovessero fermare.

L’11 agosto un nuovo comunicato a confermare che no, gli zapatisti non sono stati inghiottiti dalla storia, e per dirla con le parole del gato-perro «l’intelligenza non muore, non si arrende. Casomai si nasconde e aspetta il momento di convertirsi in scudo e arma. Nei villaggi zapatisti, nelle montagne del sudest messicano, l’intelligenza trasformata in conoscenza la chiamano anche «dignità». Il 13 agosto altro comunicato, sembra che i lunghi mesi di silenzio, così eclatanti in un mondo che ha una necessità quotidiana di “novità”, non siano stati in fondo così improduttivi.

«I popoli zapatisti scesero dalle montagne. Nessuno capì come sopravvissero in quelle condizioni, benché si mormori che ricevettero cibo e indumenti dalle comunità del CNI. E, certo, strumenti musicali. All’arrivo nelle loro terre, gli zapatisti fecero quello che si fa sempre in questi casi: organizzarono un ballo e, con le note di marimba, tastiere, batterie, guitarrones e violini […] E così fu che i morti di sempre tornarono a morire, ma ora per vivere.Tutto questo è un mero esercizio di finzione. Non può accadere… oppure sì?» Nella mente di tutti noi che con apprensione seguivamo questa escalation di comunicati impenetrabili, si affollavano molte congetture. Era chiaro però che qualcosa di “grande” stava per avvenire. Il 15 agosto viene pubblicato un nuovo testo. Dopo la prima parte allegorica, un’analisi impietosa dell’azione socioeconomica del governo federale e un importante monito finale, «La natura è una parete elastica che moltiplica la velocità delle pietre che gli tiriamo. La morte non torna nelle stesse proporzioni, ma potenziata. C’è una guerra fra il sistema e la natura. Questo confronto non ammette sfumature né vigliaccherie. O si sta con il sistema o con la natura. O con la morte, o con la vita».

Il 17 agosto finalmente è tutto chiaro, non c’è più spazio per congetture ed interpretazioni. «Dopo anni di lavoro silenzioso, nonostante l’accerchiamento, nonostante le campagne di menzogne, nonostante le diffamazioni, nonostante i pattugliamenti militari, nonostante la Guardia Nazionale, nonostante le campagne contro insurrezionali travestite da programmi sociali, nonostante l’oblio e il disprezzo, siamo cresciuti e ci siamo fatti più forti. E abbiamo rotto l’accerchiamento». Eccole quindi le parole che si fanno azione, parole meditate, discusse, mediate democraticamente dal basso, perché la coerenza, valore ormai desueto nel linguaggio politico, richiede un’attenta riflessione prima di intraprendere un cammino, prima di muovere il primo passo. Gli zapatisti hanno la consapevolezza che il decisionismo compulsivo del nostro mondo sia un palliativo per lasciare tutto invariato. Lentamente, come loro natura, i Caracoles crescono e diventano 12, svegliando dall’assopimento chi immaginava la fine degli zapatisti.

Su questo comunicato, ci piacerebbe condividere alcune riflessioni. Prima di tutto, sentendoci coinvolti in prima persona, poniamo l’attenzione alla seconda parte del comunicato, quella in cui si esplicitano i prossimi passi del movimento. L’EZLN non ha mai nascosto l’importanza dell’appoggio internazionale alla sua causa, e in questa fase delicata chiama a raccolta la rete di appoggio invitando in primis a riallacciare i contatti diretti, per pianificare collaborazioni specifiche tramite incontri bilaterali con tutti i collettivi. Questo ha duplice valenza: l’aiuto effettivo e pratico che le associazioni possono portare in Chiapas, e la protezione implicita derivante dalla presenza di attivisti internazionali nei territori autonomi. La rete internazionale è infatti chiamata non solo a riprendere i progetti attivi in loco, ma anche a ripartire con una campagna di informazione globale, stimolando incontri e discussioni sulla lotta zapatista, in modo da far tornare il mondo a parlarne, come risposta all’oblio veicolato dallo stato federale messicano. Dal canto loro, gli zapatisti si impegnano a ripartire con gli incontri culturali organizzati nei Caracoles, programmando nuovi Ecuentros internacionales de mujeres que luchan, il festival CompArte (proponendo edizioni specifiche per le varie arti), gli incontri del ConCiencias (seminari di riflessione anticapitalista), il festival del cinema di Oventik e altri ancora.

La strategia di consolidamento appare abbastanza chiara: gli zapatisti, come portato avanti dal 2001 in poi, attuano gli accordi di San Andrés prendendosi ciò che gli spetta senza aspettarsi più niente dallo Stato, accompagnando le conquiste a una difesa attiva, riaccendendo l’attenzione mondiale sul Chiapas; monitorando la situazione prevengono possibili incursioni paramilitari e ripercussioni nei nuovi territori autonomi. L’obiettivo è chiaramente quello di evitare azioni esplicite contro di loro, anche se, intendiamoci, gli zapatisti non sono sprovveduti ed è lecito pensare che questa espansione abbia anche un risvolto di ampliamento e riorganizzazione della componente militare.

Ciò può far meglio comprendere l’importanza della prima parte del comunicato: gli zapatisti aumentano le loro aree di influenza. L’organizzazione cresce sulle adesioni autonome delle nuove famiglie che scelgono la strada della alegre rebeldía, non aumenta i territori grazie a conquiste militari. Per dirla con le parole del comunicato: «le comunità tradizionalmente affiliate ai partiti sono state colpite dal disprezzo, dal razzismo e dalla voracità dell’attuale governo, e sono passate alla ribellione aperta o nascosta. Chi pensava, con la sua politica contro insurrezionale di elemosine, di dividere lo zapatismo e di comprare la lealtà dei non-zapatisti, alimentando il confronto e lo scoramento, ha dato gli argomenti che mancavano a convincere tali fratelli e sorelle sulla necessità di difendere la terra e la natura».

Gli zapatisti ci forniscono gli strumenti per comprendere la natura di questa crescita esponenziale. In primo luogo essa è da attribuire al lavoro politico organizzativo interno, i cui principali interpreti sono le donne ed i giovani. Queste due categorie, probabilmente le più osteggiate e temute dal mondo occidentale, sono divenute nelle comunità zapatiste il principale motore per la crescita dell’autonomia. Assumendo ruoli e responsabilità civili si sono fatti interpreti delle nuove sfide imposte dal modello neoliberale garantendo la coerenza del cammino zapatista a fronte dell’importante avvicendamento generazionale che le comunità stanno vivendo. Le nuove generazioni di zapatisti sono cresciute nel contesto di autonomia, lavorando le terre recuperate, partecipando alla vita civile zapatista, usufruendo del sistema sanitario ed educativo autonomo, e proprio grazie a questo, sono consci del percorso storico de los pueblos indigena e delle ragioni che hanno portato al levantamiento e non sono disposti a fare un passo indietro.

Altro punto importante della prima parte del comunicato sta nella posizione dei nuovi Caracoles, e soprattutto di due di loro. Il CaracolColectivo el corazon de semillas rebeldes, memoria del companero Galeano” ha sede a La Union, su un lato del ejido di San Quintin, nella Selva Lacondona, posizionato vicino a una caserma dell’esercito federale, a sottolineare concretamente la volontà di rompere l’accerchiamento. Il CaracolJacinto Canèk”, invece, ha sede a San Cristóbal, proprio dove sorge il CIDECI-UNITIERRA (Centro Indigena de Capacitacion Integral). Porre un Caracol in città ha una valenza enorme, poiché presuppone la presenza di bases de apoyo zapatiste nel tessuto cittadino e il loro inquadramento nelle strutture organizzative civili zapatiste. Siamo tornati al CIDECi due giorni dopo l’uscita del comunicato, e abbiamo potuto toccare con mano le trasformazioni che stavano avvenendo in quel luogo. Compaiono i cartelli con il nome del Caracol e della Giunta di Buon Governo oltre alla palizzata di legno costruita adiacente alla recinzione per impedire la visione dell’interno; all’ingresso veniamo ricevuti dai compas con il passamontagna che verificano la nostra identità. Il CIDECI da sempre aveva ospitato gli eventi pubblici internazionali che l’EZLN organizzava in città, nella quale trovavano spazio gli interventi della Comandancia e di relatori locali ed internazionali. Non è dunque mai stato un luogo estraneo al percorso di autonomia zapatista, ma ufficialmente non sono mai stati delineati i rapporti che intercorrevano tra le due realtà. Costituiva però un polo di attrazione, un punto di riferimento e di confronto per studiosi, intellettuali, attivisti, vicini alla causa zapatista.

Fino al 17 agosto lo abbiamo dunque conosciuto come luogo nel quale venivano ospitati gratuitamente circa 200 tra ragazze e ragazzi indigeni dai 12 anni in su, la maggior parte provenienti principalmente dalle comunità della zona de Los Altos de Chiapas. Essi vi giungono per formarsi in base alle esigenze espresse dalle comunità di appartenenza o su propria iniziativa. Al CIDECI vi sono più di una quindicina di talleres (che potremmo tradurre come “corsi” o workshop) che formano i ragazzi rispetto a specifiche competenze che vanno dalla falegnameria, alla meccanica, al disegno professionale, alla tessitura, il calzaturificio, etc. I ragazzi stabiliscono autonomamente quali e quanti corsi seguire, nonché la durata della loro permanenza, che può protrarsi per molti anni, sino a quando non stabiliranno di aver conseguito le competenze necessarie per tornare ed avviare il progetto richiesto dalla comunità. Non vi sono vere e proprie modalità di valutazione o voto e molto spesso i ragazzi concludono il percorso circolare divenendo maestri o coadiuvando i talleres. Contestualmente vi è uno spazio dedicato all’alfabetizzazione in castigliano ed all’apprendimento delle lingue indigene.

Ovviamente tutto ciò avviene nel segno dell’autonomia totale, non vi sono finanziamenti statali ed anzi in più occasioni questa realtà è stata osteggiata e perseguita dalle forze di polizia.

L’autonomia e l’autosostentamento sono le prerogative principali, così, oltre agli stessi edifici, tutto il materiale presente nel CIDECI viene prodotto all’interno (ad esempio scarpe, sedie, tavoli, materiali didattici, strumenti musicali, attrezzi, vestiti…), persino i libri, intellettualmente prodotti all’interno sono anche materialmente impaginati, stampati e rilegati nel centro. Si persegue quasi completamente l’autonomia alimentare grazie ad una piccola zona adibita a coltivo ed allevamento.

Oltre alla portata rivoluzionaria di questa struttura, il valore aggiunto è rappresentato dal ruolo dell’Universidad de la Tierra, che offre spazi di riflessione condivisa tramite seminari e incontri settimanali aperti a tutti. Questi incontri problematizzano le tematiche sociali, culturali ed economiche declinate su scala locale, nazionale ed internazionale, creando occasioni di confronto aperte ai ragazzi ospitati nel centro ma anche a studiosi e attivisti internazionali.

Questi seminari mirano ad aumentare la consapevolezza della realtà quotidiana, delle dinamiche sottese ai provvedimenti politici ed economici presi in Chiapas e nel mondo, comprendendo i modelli che stanno alla base di essi.

Risultava piuttosto chiaro, già da prima del comunicato che annunciava la trasformazione del CIDECI nel Caracol 7, che vi fosse un’unità di visione ed intenti con il cammino delle comunità zapatiste. Sia il CIDECI che il sistema educativo autonomo zapatista infatti, muovono dal presupposto che l’aggressione socioeconomica venga veicolata in primo luogo attraverso il modello culturale e che l’autonomia educativa sia l’unico mezzo per consolidare una cultura in grado di declinare coerentemente la componente indigenista e la lotta contro il neoliberismo.

In questo senso gli zapatisti sono consapevoli che il percorso di autonomia dipenda necessariamente dall’opposizione al modello neoliberista. Questo, infatti, mira ad erodere le basi sociali ed economiche delle comunità attraverso un’azione culturale volta a diffondere i semi dell’individualismo, aprendo crepe nell’ancestrale base sociale e culturale comunitaria, che per secoli ha costituito la miglior arma difensiva per queste popolazioni. Gli zapatisti sono consci che l’individualismo sia la testa d’ariete per veicolare le logiche capitalistiche ed egoistiche necessarie ad imporre un modello sociale ed economico a loro alieno. Per questo è di fondamentale importanza, dopo secoli di educazione eurocentrica che spinge ad interiorizzare un sistema valoriale e culturale estraneo ed omologante, decolonizzare il pensiero. L’obiettivo è piuttosto arduo perché significa affrontare secoli di stigmatizzazione del retaggio indigeno che hanno indotto una parte de los pueblos indigenas a rinnegare le proprie origini a causa del diffuso razzismo presente in Messico.

Gli zapatisti da tempo hanno affrontato questo nodo come una priorità del percorso di autonomia, sviluppando un sistema educativo che mira a recuperare il patrimonio orale e scritto delle numerose lingue presenti in Chiapas, ad affrontare lo studio della storia al di fuori dei paradigmi eurocentrici recuperando così consapevolezza del proprio ruolo e le ragioni del levantamiento. I contenuti infatti non vengono solo appresi ma si stimolano gli studenti ad analizzare i processi e le cause dei fenomeni. Sin dalla giovane età si giunge dunque alla consapevolezza che la strenua difesa del proprio patrimonio culturale e sociale, nonché del modello produttivo collettivo tradizionale, siano l’unica arma per resistere alla pressione del modello imperante che prevedrebbe il loro asservimento al sistema, presentandolo come integrazione.

In questa logica, l’annessione del CIdeCI ai territori autonomi zapatisti pone nuove sfide, e fa sorgere diversi interrogativi sul ruolo che questa struttura assumerà all’interno del sistema educativo autonomo.

Ciò di cui possiamo essere certi è che il processo di resistenza culturale necessario per proseguire la battaglia al modello economico continuerà a crescere, la consapevolezza delle nuove generazioni non si può arrestare, è un fiume in piena che necessariamente scorre verso il mare. Per dirla con le parole del Sup Moises «voi non siete che uno sputo nel mare della storia. Noi siamo il mare dei nostri sogni. Voi siete solo polvere nel vento. Ik O’ tik (noi siamo vento)». https://www.globalproject.info/it/mondi/rompendo-laccerchiamento-autonomia-in-cammino/22334?fbclid=IwAR2mFYGUes5gd6Ky8pDBb_jZP23LvWWuC2vSnH7JZveZlkium8B2fLjIG4w

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

CONVOCAZIONE DEL
SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO

Settembre 2019

Alle donne che lottano in tutto il mondo:

Sorella, compagna, donna che lotta:

Ti salutiamo da donne, indigene e zapatiste, quali siamo.

Forse ricordi che nel Primo Incontro ci eravamo dette che dovevamo restare vive. Ma vediamo che la mattanza e la sparizione di donne continuano. Di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Ci uccidono e ci fanno sparire perché siamo donne. Inoltre, ancora ci dicono che è colpa nostra per come ci vestiamo, perché andiamo dove andiamo, perché a quell’ora e in quel posto. E poi, tra i malgoverni non manca chi, uomo o donna, se ne esce con la stupidaggine di dire che allora non dobbiamo uscire di casa. Secondo questo pensiero, le donne devono restare rinchiuse nelle proprie case, non devono uscire, non devono studiare, non devono lavorare, non devono divertirsi, non devono essere libere.

È evidente che il sistema capitalista e patriarcale è come un giudice che ha detto che siamo colpevoli di essere nate donne e pertanto la nostra punizione per questo crimine è la violenza, la morte o la sparizione.

Costa molto, sorella e compagna, metterlo in parole, perché è una malvagità enorme a cui non può essere dato un nome. E se ora si dice “femminicidio” o come la chiamino, non cambia nulla. Le morti e le sparizioni continuano.

E poi le nostre famiglie, le nostre amicizie, i nostri conoscenti devono lottare perché non ci ammazzino o ci facciano sparire un’altra volta, quando lasciano impuniti i colpevoli o dicono che siamo state sfortunate o, peggio ancora, dicono che ce la siamo cercata.

Scusa, sorella e compagna, ma questa è una grande stupidaggine. Dobbiamo ancora lottare contro la discriminazione in casa, per strada, a scuola, sui luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici, con conoscenti e con sconosciuti, e poi dicono che cerchiamo la morte. No, ma ci violentano, ci uccidono, ci squartano, ci fanno sparire.

Quelli che parlano così sono maschilisti o donne con la mentalità maschilista.

-*-

Dunque, compagna, sorella, siccome l’accordo che abbiamo fatto nel Primo Incontro era restare vive, ora dobbiamo rendere conto di che cosa abbiamo fatto o non abbiamo fatto per rispettare questo accordo.

Per questo convochiamo questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano con un solo tema: la violenza contro le donne.

E questo tema diviso in due parti: Una di denuncia ed un’altra su che cosa facciamo per fermare questo massacro contro di noi.

Quindi, ti invitiamo, sorella e compagna, a riunirci e tirare fuori tutta la nostra rabbia e dire chiaramente tutto quello che stanno facendo ovunque.

Quello che vediamo è come spezzettano il nostro dolore: una violentata in un posto, una percossa in un altro, una desaparecida lì, una assassinata più là.

Fanno così perché noi pensiamo che sia un problema che riguarda un’altra donna in un’altra parte del mondo, che non ci riguarda, che non è così grave, che i malgoverni lo risolveranno.

Ma non è così, invece ci tocca da vicino, è grave, molto grave, e i malgoverni non fanno niente, fanno solo vuote dichiarazioni che perseguiranno non gli assassini, i violentatori, i sequestratori, ma le donne che con rabbia hanno rotto le vetrine o imbrattato una pietra.

Questo è il sistema capitalista patriarcale, sorella e compagna. Le cose stanno così, vale più un vetro o una parete imbrattata che la vita di una donna.

Questo non può continuare, davvero.

Senti, anni fa, prima della nostra sollevazione e l’inizio della guerra contro l’oblio, qua nelle proprietà valeva più un pollo che la vita di un indigeno. Non si può credere? Sì, così dicevano i padroni. Ora a noi donne dicono di peggio, perché piagnucolano e si scandalizzano per un vetro rotto ed una scritta sul muro che dice la verità.

La verità è che non solo ci violentano, assassinano e ci fanno sparire. Sì, anche questo, ma non dobbiamo comportarci come se non succedesse niente, ben educate e obbedienti.

Ci attaccano talmente tanto che sembra che sia un affare del sistema. Se ci sono più donne assassinate o scomparse o violentate, ci sono più profitti. Forse è per questo che la guerra contro le donne non si arresta. Perché, è incredibile che ogni giorno ci siano donne sparite o assassinate ovunque, mentre il sistema va avanti tranquillamente, felice, preoccupato solo dei soldi.

Può essere che se continuiamo a restare vive, a non essere violentate, gli affari crollino. Bisognerebbe analizzare se mentre sale il numero di donne violentate nel mondo, salgono anche i profitti dei capitalisti. Tante picchiate, tante scomparse, tante assassinate, uguale a tanti milioni di dollari o di euro o della moneta che sia.

Perché sappiamo bene che il sistema risponde solo a ciò che colpisce il suo profitto. E sappiamo bene anche che il sistema fa profitti dalle distruzioni e dalle guerre. Pensiamo che le violenze che subiamo, le nostre morti, siano un guadagno per il capitalista. E le nostre vite, le nostre libertà, la nostra tranquillità, siano una perdita di denaro per il sistema.

Allora vogliamo che tu venga e che faccia la tua denuncia. Non perché l’ascolti un giudice o un poliziotto o un giornalista, ma perché ti ascolti un’altra donna, altre donne, molte donne che lottano. E così, compagna e sorella, il tuo dolore non sia solo, ma si unisca con altri dolori. E da tanti dolori che si uniscono non esce solo un dolore molto grande, ma esce anche una rabbia che è come un seme. E se questo seme cresce in organizzazione, allora il dolore e la rabbia si fanno resistenza e ribellione, come diciamo qua, e la smettiamo di sperare che a noi non tocchi la disgrazia, ma ci mettiamo a fare qualcosa, primo per fermare questa violenza contro di noi, poi per conquistare la nostra libertà in quanto donne.

Questa è la nostra esperienza nella nostra storia come donne, come contadine, come indigene e come zapatiste.

Nessuno ci darà la pace, la libertà, la giustizia. Dobbiamo lottare, sorella e compagna, lottare e fregare il Prepotente.

L’invito a discutere della Violenza contro le Donne non è solo per denunciare, ma anche per dire che cosa si fa o che cosa si è fatto o che cosa si può fare per fermare questi crimini.

Sappiamo, perché l’abbiamo sentito e visto negli interventi del Primo Incontro, che ci sono molte forme o modi di lottare delle donne. Sappiamo che alcune dicono che è meglio il loro modo piuttosto che la maniera di altre. Sta bene che si discuta anche senza essere pienamente d’accordo.

Ma il problema che vediamo noi zapatiste, è che per poter discutere e litigare tra noi su chi è più femminista, per prima cosa dobbiamo essere vive. E ci stanno ammazzando e facendo sparire.

Quindi l’invito a questo incontro è su un solo tema: Violenza contro le donne, diviso in due parti: denuncia e proposte su come fare per fermare questa guerra.

Non è che dobbiamo concordare di lottare tutte nello stesso modo, perché ognuno ha i suoi modi, le sue geografie ed i suoi tempi. Ma dobbiamo ascoltare i diversi modi, perché ci daranno idee su come fare, su cosa è utile o no.

Il sistema vuole che gridiamo solo di dolore, di disperazione, di angoscia, di impotenza.

Ora si tratta di gridare insieme ma di rabbia, di coraggio, di indignazione. Ma non ognuna per conto suo, spezzettate come quando ci violentano, ammazzano e fanno sparire, ma unite, benché ognuna nel suo tempo, il suo luogo ed il suo modo.

E chissà, compagna e sorella, che impariamo non solo a gridare di rabbia, ma trovare anche il modo, il luogo ed il tempo per gridare un mondo nuovo.

Sorella e compagna, per come stanno le cose, per poter essere vive, dobbiamo costruire un altro mondo. Il sistema è arrivato fino a questo: possiamo vivere solo se lo ammazziamo. Non sistemarlo un poco, o fare buon viso, chiedergli di comportarsi bene, che non sia così cattivo. No. Distruggerlo, ammazzarlo, farlo sparire, che non rimanga niente, nemmeno la cenere. Così la vediamo noi, compagna e sorella, o il sistema o noi. Così lo vuole il sistema, non noi in quanto donne.

Ti invitiamo dunque il 26 dicembre 2019 come giorno di arrivo. I giorni 27, 28 e 29 dicembre 2019, sono i giorni degli incontri, per parlarci ed ascoltarci. Il 29 dicembre 2019 sarà il giorno di chiusura.

Il luogo è il Semillero che ora si chiama “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, del Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 de Noviembre), lo stesso luogo del Primo Incontro.

L’arrivo è nel caracol dove saranno consegnati i cartellini di riconoscimento ed il programma e da dove le compagne choferas ti porteranno al Semillero dove non sarà permesso l’ingresso agli uomini, che siano buoni o regolari, nessuno. Cioè, gli uomini non potranno neppure sbirciare da lontano la nostra riunione perché il Semillero è protetto dalle montagne.

Gli uomini possono restare nel caracol ad aspettare mentre ci riuniamo noi donne, ma solo se sono accompagnati da una donna che si renda responsabile che non facciano stronzate. Questo posto lo chiameremo “misto”, cioè potranno restarci uomini e donne che lo vorranno.

In questo luogo, dove possono stare gli uomini, forse potrebbe presentarsi una commissione di donne zapatiste proveniente dal luogo dell’incontro per raccontare loro quello che si sta denunciando nel Semillero, perché si sappia ovunque. E che provino un po’ di vergogna perché lo raccontino ad altri uomini, e dicano loro la cosa principale, cioè che non ci aspettiamo che capiscano, o che si comportino bene, e la smettano con le stronzate, ma che in primo luogo ci organizziamo per difenderci, e poi per cambiare tutto, Tutto, TUTTO.

Vi diciamo un’altra cosa, compagne sorelle, stiamo rivedendo quello che non abbiamo fatto bene nel Primo Incontro. Per questo vogliamo farlo nello stesso luogo, per vedere se possiamo correggere i nostri errori.

Un’altra cosa di cui ci siamo rese conto del Primo Incontro è che nel processo di registrazione e programmazione c’è stato un certo favoritismo nei confronti delle osservazioni che erano più in linea con il pensiero di coloro che hanno collaborato con la registrazione e la programmazione, e che alcune donne e attività erano state escluse. Ciò è accaduto perché chi collaborava alla registrazione e alla programmazione ha dato priorità alle attività di quelle che la pensavano allo stesso modo e quindi non c’era tempo o spazio per le altre.

Quindi, perché non accada che alcune donne valgano più di altre, faremo tutto noi donne indigene zapatiste, dall’inizio alla fine, cioè dalla registrazione alla programmazione.

Non l’abbiamo mai fatto, ma non siamo mai state nemmeno choferas e lo abbiamo imparato. Forse verrà male ed il programma non sarà perfetto, ma è perché stiamo imparando e non perché alcune donne ci stanno simpatiche perché la pensano come noi, mentre altre ci piacciono meno.

Quindi, ci stiamo organizzando e suddividendo i compiti affinché tutto sia completamente organizzato da noi. Così, quando tu manderai la tua mail (ti diremo poi l’indirizzo di posta elettronica e quando cominceranno le iscrizioni), saprai che sarà una di noi, donne indigene zapatiste, che aprirà la tua mail e riporterà il tuo nome e la tua organizzazione, gruppo o collettivo se ne hai, o solo individuale; e ti risponderemo affinché tu sappia che il tuo nome sarà nella lista. E se nella tua mail dirai che farai qualcosa, lo metteremo nel programma. Per questo ti chiediamo che quando ti registrerai, lo farai in lingua spagnola, perché la nostra lingua è di radice maya e sappiamo un po’ di spagnolo, ma di altre lingue del mondo non ne sappiamo niente. E se ci sbagliassimo e non registrassimo il tuo nome, non c’è problema, perché ti potrai registrare al tuo arrivo e ti daremo il tuo cartellino del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Dunque, ora conosci luogo e data. Così ti puoi già organizzare per venire o mandare qualcuno o incaricare qualcuno che ti racconti quello di cui abbiamo parlato. Così, benché sei lontano, saprai che il nostro dovere di donne che lottano è che non si spenga la luce che ti abbiamo dato. Perché non è solo per illuminare, ma può servire anche per bruciare il maledetto sistema capitalista patriarcale.

Per ora è tutto, sorella e compagna. Presto ti daremo l’indirizzo di posta elettronica e ti diremo quando comincerà la registrazione. Ma sai già la cosa più importante: i giorni 26, 27, 28 e 29 dicembre 2019, nello stesso luogo del Primo Incontro, che è da dove ti scriviamo queste parole e da dove ti mandiamo un abbraccio, cioè…

Dalle montagne del sudest messicano.

Coordinamento delle Donne Zapatiste per il
Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano:

Zona Selva-Fronteriza:

Marisol
Yeni
Mirella
Neri
Yojari
Arlen
Erica
Mariana
Mayder
Cleyde
Evelin
Alejandra
Nayeli

Zona Altos de Chiapas:

Yessica
Zenaida
Lucía
Teresa
Fabiola
Flor
Gabriela
Lidia
Fernanda
Carla
Ofelia

Zona Selva Tzeltal:

Dalia
Rosalinda
Marina
Carolina
Alejandra
Laura
Ana
Cecilia
Julia
Estefanía
Olga
Eloisa

Zona Tsots Choj:

Gabriela
Elizabeth I

Maydelí I

Elizabeth II

Guadalupe
Leydi
Lauriana
Aliz
Ángeles
Maydelí II

Karina
Jhanilet
Fabiola
Mariela
Daniela
Yadira
Yolanda
Marbella
Elena
Elissa

Zona Norte de Chiapas:

Diana
Ximena
Kelsy
Jessica
Ana María

Marina
Valentina
Yadira
Elizabeth

Messico, Settembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/19/convocatoria-al-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

Verso il Puy Ta Cuxlejaltic, il CompArte di Danza ed il Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Nel 1993, 26 anni fa, le donne zapatiste elaborarono la “Legge Rivoluzionaria delle Donne”. In uno dei suoi comma, segnalavano il loro diritto a studiare… “e perfino essere choferas” [autiste – N.d.T.], come narrò il defunto SupMarcos in una lettera pubblica ricordando, 25 anni fa, la nascita di quella legge ed il ruolo che ebbero nella sua creazione la scomparsa Comandanta Ramona e la Comandanta Susana. Forse in un’altra occasione si racconterà il perché di questa aspirazione delle donne indigene zapatiste. Adesso, in esclusiva, la Commissione Sexta dell’EZLN vi presenta alcuni spezzoni o cortometraggi o trailer di uno dei documentari che L@s Terci@s Compas mostreranno, in Prima assoluta, in data indefinita. Procediamo, dunque.

“…E PERFINO ESSERE CHOFERAS

Documentario girato, in tutti i sensi, completamente nelle montagne del Sudest Messicano nell’anno 2019. Realizzato, diretto e prodotto dalle donne zapatiste, questo documentario raccoglie alcune scene della preparazione delle compagne choferas zapatiste. Durata indefinita. Formato non so. Classificazione Z (come deve essere). Non si vedrà su Netflix, né su Amazon Prime, né Tv Apple, né su HBO, né su Fox, né … su quali altre?… Beh, quelle. Nemmeno nei cinema. Solo nei Caracol Zapatisti… Anche nel Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano? Metto così?… ok, ma non metto la data né il posto?… Oh, dunque… È che protesteranno perché lasciamo la suspense… Almeno diamo una pista… no, non nel senso di guida, ma di un’idea. Dicembre?… di questo anno?… Pronto?… Pronto?… Pronto?… Tristi@?… Se ne sono andate, ma vi dirò che non sembravano tristi… avevano qualcosa nello sguardo, una specie di sfida, di scommessa, di ribellione, di zapatismo. Nota: Nessun maschio è stato maltrattato nella realizzazione di questo documentario…, beh, sì, ma è stato colpito solo il suo ego… Ah, ed alcuni sono caduti mentre fuggivano da una compagna che si era arrabbiata per qualcosa che le stavano dicendo… No, io no, io guardavo da lontano, non mi ha raggiunto nessuna randellata… ahia...

Sinopsi versione Apocalittica: Un virus creato nei laboratori degli Iluminatti si è diffuso nelle montagne del Sudest Messicano. Per qualche strana ragione, colpisce solo le trasgreditrici della legge degli autoproclamati zapatisti. Il virus le induce a fare cose fuori da ogni ragione e logica, si ribellano, si oppongono e vogliono ricoprire incarichi e lavori che dovrebbero essere esclusivi degli uomini. In questo documentario si raccolgono le prove di questa indisciplina e si vede fino a che punto le zapatiste vogliono essere libere e, da non credere, perfino essere choferas, ma vi pare? Non ci si capisce più.

Sinopsi versione “Nessun lieto fine”: Un gruppo di donne indigene zapatiste si dicono e proclamano “basta!” e si ribellano e vogliono essere libere e perfino essere choferas. Un gruppo di intrepidi e valorosi uomini dei partiti politici decidono di sfidarle burlandosene e minacciandole di ricacciarle in cucina e a fare bambini. Le trasgreditrici delle leggi patriarcali (e stradali) li affrontano. I maschi perdono, le donne vincono. Sì, è così, per questo dico che non c’è nessun lieto fine.

Sinopsi versione “Hanno continuato” (da un’intervista inedita con un chofer maestro di choferología): Bene, i maestri hanno detto che avrebbero insegnato a guidare solo i veicoli che chiamano “estaquitas” [pick-up – N.d.T.] perché sono quelli più usati nei villaggi, ma le compagne hanno detto no, che volevano conoscere anche la meccanica. Non c’è stato modo, quindi anche la meccanica. E fin qui tutto ok. Ma lo scandalo è stato quando hanno voluto anche il Guardián e la Guardiana, che sono due camion di 6 tonnellate. “Camionzote”, li chiamano le compagne. E con questo, Roma brucia! come diceva il defunto, perché 6 tonnellate non sono per tutti. Perfino i choferes uomini evitano di guidare veicoli di più di 3 tonnellate, perché non sono mica giocattoli. Bene, abbiamo pensato, sarà sufficiente se imparano ad avviarlo. Ma niente da fare, hanno proseguito fino alla manutenzione dei camion. No, non si sono accontentate. Ora vogliono imparare a guidare camion a rimorchio, di quelli che portano i tronchi di alberi. Ma dove lo andiamo a prendere un camion a rimorchio? Nemmeno per sogno. E se poi vogliono imparare a guidare furgoni o TIR? (…) Ah, sì servirebbero perché dobbiamo trasportare materiali per i caracoles. Dicono che faranno il festival del cinema e le compagne faranno il loro incontro con le altre donne. E dicono un CompArte speciale di danza e quelle cose lì. No, io so solo ballare quella del moño colorado, ma non è cosa mia saltare come un cervo o indossare tutù di tulle. E poi ti raccontano una storia ma solo attraverso la danza. Non so neppure zompettare, o sì, ma solo nel fango quando il cerchione si impantana e non puoi fare altro che saltare e prenderlo a calci. Sì, ecco Las Tercias che girano un film sulle choferas e dicono che vogliono che sia allegro, con battute spiritose, perché altrimenti il film viene molto triste mentre la ribellione è allegria, dicono. Allora bisogna fare qualcosa come degli scontri. Ehi? No, quello della compagna che viene addosso a noi uomini con l’auto non era previsto, credo che la compagna pensasse ad uno scherzo e si è lanciata contro di noi. Siamo scappati ma non per l’auto, ma perché abbiamo visto lo sguardo della compagna chofera e si vedeva che era arrabbiata, ma la cosa strana è che sorrideva. Le compagne sono molto “altre”.

Sinopsi versione “fottuti uomini”: Bene, risulta che in questo secondo corso, le compagne ci hanno detto che nei loro villaggi, quando fanno pratica con l’auto della comunità, a volte quelli dei partiti gridano loro parolacce. Allora ci hanno detto a noi e ai maestri di choferólogias di fare come quelli dei partiti, di gridargli contro parolacce. Sì, per allenarsi anche a questo. Cioè, dovevamo recitare, così ci hanno spiegato la Teresa ed il Cochiloco.

(Nota: lo speaker si riferisce all’attrice Dolores Heredia e all’attore Joaquín Cosío, nei loro ruoli in Capadocia y El Infierno, rispettivamente. Le/gli zapatisti si riferiscono a chi interpreta dei personaggi al cinema non con i propri nomi veri. Nel primo festival del cinema, a novembre del 2018, la Teresa e il Cochiloco hanno avuto tempo e modo di parlare in privato con le insurgentas e gli insurgentes mentre si ingozzavano di tamales de tuluc. Hanno risposto a tutte le domande. Quello di cui hanno parlato con la Teresa sulle donne, solo loro lo sanno. La cosa certa è che si sono finiti tutti i tamales, non me ne hanno lasciato nemmeno uno. Fine della nota.)

Allora ci hanno parlato di come si recita, cioè che non è reale quello che si fa, ma è come se lo fosse. E così abbiamo fatto. Alcuni compas hanno fatto perfino gli ubriachi, ma era una recita. Già, ma quando la compagna scende col bastone, che sia recita o no, via e scappare, perché metti che la compagna si dimentica che non è reale e che siamo compagni. Io ho detto di usare un cartone o una rivista piegata, ma hanno preso un tubo di ferro. E questo fa male Eh? Io ho visto che erano contente di poterlo fare. Non più in teoria, ma lo hanno dimostrato nella pratica. Ora il problema è nei loro villaggi. Immaginate che la merce arriva su un camion guidato da una donna. Quelli dei partiti restano zitti e le compagne gli gridano “fottuti uomini!”. Eh? No, noi siamo compagni, gli altri sono i fottuti uomini. Non è lo stesso.

Sinopsi versione “Filtrazione”: Senti, non scriverlo, ma noi compagni maestri eravamo nei guai perché si è presentato il caso di dover cambiare il filtro. Ed una compagna, tutta bella nel suo nagua [costume tradizionale – N.d.T.] l’ha fatto in un minuto. Allora siamo andati a cambiare il filtro ad un camion della Giunta. Porca miseria, eravamo in 6 e dopo mezz’ora non ci siamo riusciti. Siamo andati a chiedere aiuto alle compagne. Per fortuna che ce l’abbiamo fatta, ma che pena. E peggio sarebbe se questo uscisse nel film che stanno facendo Las Tercias.

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https://youtu.be/ZtYorn_F7mA

https://youtu.be/QavRzZun_Vw

https://youtu.be/_grEQZKLTZI

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Qualche recensione sulla stampa specializzata:

“Niente da fare, noi maschietti abbiamo perso, again. Ma torneremo, anche se ogni volta saremo di meno. Se ieri eravamo migliaia, oggi siamo un piccolo contingente che cerca di impedire l’inevitabile”. Il SupMarcos (da 3 metri sotto terra), nella sezione cultura della rivista inedita “El Pozol Agrio”.

Non tutto è perduto. Nutriamo ancora la speranza che le compagne Tercias non finiscano di montare il documentario in tempo per il secondo festival Puy Ta Cuxlejaltic. Cosa direbbero Pedro Infante e José Alfredo Jiménez?! Per non parlare del defunto SupMarcos. Che peccato”. Il SupGaleano nella sezione “Palomeros del Mundo, Uníos!” dell’esclusiva rivista specializzata in cinema, “Questo film l’ho già visto”.

In fede.

Il Gatto-Cane al volante… qual’è il freno e l’aceleratore?… Ops!… Via!

Tempo dopo…

La insurgenta Erika: “Compagno Subcomandante Insurgente Moisés, dalla Giunta avvertono che si sono scontrati il Guardián e la Guardiana, e che non si sa chi li ha fatti sbattere uno con l’altro, la Guardiana ha sbattuto contro il Guardián e l’ha ammaccato”.

Il SupMoy: “Dov’è il SupGaleano?”

La Erika: “È corso via col Gatto-Cane. Io credo che sono stati loro perché li ho visti, avevano lo sguardo colpevole”.

Nel frattempo, in cima alla Ceiba…

Il SupGaleano al Gatto-Cane: “Te l’avevo detto prima di mettere in folle. Adesso ci manca solo che si metta a piovere”.

Il Gatto-Cane al SupGaleano: “Guau, miau, grrrr”.

E cominciò a piovere, forte, come se le nubi gridassero alla terra:

Sveglia!

Sono le montagne del Sudest Messicano, è Chiapas, è Messico, è Latinoamerica, è il mondo, è settembre 2019 e, sì, piove.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/11/del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro-rumbo-al-puy-ta-cuxlejaltic-el-comparte-de-danza-y-el-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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IMMAGINI DELLA ROTTURA DELL’ACCERCHIAMENTO II (e ultimo)

DEL 17 AGOSTO 2019

Settembre 2019

 https://youtu.be/ZaAGt2XSoKw

 https://youtu.be/wE5RHfl8zOc

 https://youtu.be/Jc2jHoy-RrM

Nota del SupGaleano: Qui devono esserci una serie di foto dei diversi CRAREZ creati con la rottura dell’accerchiamento del 17 agosto di 2019. È probabile che questo video venga eliminato dal sig. YouTube che esige che si inseriscano annunci per la pubblicazione perché è musicalizzato con una canzone di Ana Tijoux (cilena-francese) e Shadia Mansour (palestinese), dal titolo “Somos Sur”, e dice che bisogna pagare “diritti d’autore” o accettare annunci commerciali. Ovviamente non inseriamo annunci commerciali e, se non abbiamo i soldi per i serbatoi d’acqua nel nuovo caracol Tulan Kaw, tanto meno ne abbiamo per pagare diritti d’autore. La Commissione Sexta non “monetizza” i suoi video (inoltre, certo, il “traffico” sul nostro canale è come quello della Settimana Santa nel DF), quindi non credo che il sig. YouTube diventi meno ricco, né che Ana Tijoux e Shadia Mansour perdano qualità artistiche e “followers” se accompagniamo la loro disubbidienza con la nostra.

Forse sarebbe meglio che il sig. YouTube invece di “abbattere” i video di che la banda musicalizza e carica con qualsiasi tema perché, come non disse Zapata; “la musica è di chi la canta-balla-canticchia-fischietta-grida-protesta” (a suo modo, lo dice Shadia Mansour nel rap che, in arabo, intona in questa strofa: “la musica è la lingua materna del mondo”), dovrebbe lavorare meglio al suo maledetto algoritmo (ah!, “le regole tortuose di YouTube”) perché, per esempio, uno comincia a cercare i video dei botellos de jerez per salutare la memoria di Armando Vega Gil, o ska dei Los de Abajo, o di Salón Victoria, o brani di Jijos del Mais, o Van T, o Mexican Sound, o LenguaAlerta, o Lirica, o Ely Guerra, o Keny Arkana, o le Batallones Femeninos, o i maestri Óscar Chávez e Guillermo Velázquez e Los Leones de la Sierra de Xichú, e, all’improvviso, si ritrova video di jaripeos, o di combattimenti di galli, o di Maluma che dà lezione di rispetto per la donna, o di trucco (“ora mostriamo come si esegue un trucco per farsi un selfie ´senza trucco´”).

E non è che uno sia schizzinoso, dopo tutto, come disse Inodoro Pereyra [popolare fumetto argentino – N.d.T.] (o era Mendieta?): “il mondo è grande e alieno” [titolo di un romanzo indigenista di Ciro Alegría – N.d.T.]; è perché qua, la grandezza della banda è come il QI di Trump, cioè, una miseria.

Detto questo, dichiariamo: se YouTube “butta via” il video (come già ci buttò via quello della Principessa Mononoke perché, dice, gli studi Ghibli preferiscono mettersi dalla parte del sistema nella loro lotta contro la natura) per la musica inserita, allora qui mettiamo le stesse immagini, ma senza musica, e lì voi mettete l’audio che vi va. In ogni caso, qui allego la traduzione dall’arabo allo spagnolo della parte che Shadia Mansour rappa (basata sul contributo dell’utente qmqz nel video ufficiale di questa canzone):

“(Dammi il microfono) La musica è la lingua madre del mondo. Sostiene la nostra esistenza. Protegge le nostre radici. Ci unisce dalla grande Siria, Africa fino all’America Latina. Sono qui con Anita Tijoux. Io sto con coloro che soffrono, e non con coloro che ti hanno venduto. Io sto con la resistenza culturale. Dal principio, e fino alla vittoria sempre. Sto con quelli che sono contro, con coloro che non sono qui con noi. Tempo fa, ho calcolato, cosicché decisi di investire in Banksy dopo che Ban-Ki cadde (nota del Supgaleano: forse si riferisce a Ban-Ki Moon che, come segretario generale dell’ONU all’uscita di questa canzone, “cadde” e non condannò le azioni terroristiche del governo israeliano contro il popolo palestinese). Come dice il detto “la situazione deve essere bilanciata ma in realtà la situazione si deve fermare”. Per ogni prigioniero politico libero, una colonia israeliana si ingrandisce. Per ogni saluto, demoliscono mille case. Loro usano la stampa per avvantaggiarsene. Ma nonostante la mia pena, la realtà si impone”.

Sapete una cosa? Con o senza YouTube, con o senza annunci, il popolo Palestinese ed il paese Mapuche saranno liberi. Vinceranno dieci, cento, mille volte.

E se il sig. YouTube come parte della campagna “fuck the zapatistas now” ci rimuove completamente l’account, torneremo ai vecchi tempi del Sistema Zapatista di Televisione Intergalattica, “l’unica televisione che si legge” (Autorizzazione numero 69 in corso nelle Giunte di Buon Governo – è stata richiesta nel 1996 ma il caracol procede leeentooo -).

 https://youtu.be/Rb_UvZsD9xg

 

Dalle montagne del Sudest Messicano

Los Tercios Compas
Commissione Sexta dell’EZLN
Settembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/01/imagenes-de-la-ruptura-del-cerco-ii-y-ultimo-del-17-de-agosto-del-2019/

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IMMAGINI DELLA ROTTURA DELL’ACCERCHIAMENTO I

AGOSTO 2019

https://youtu.be/vUDCojwX6u0

https://youtu.be/6BNPXbfup_E

 https://youtu.be/cVCZJka9sXM

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Los Tercios Compas

Commissione Sexta dell’EZLN

Agosto 2019

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/31/imagenes-de-la-ruptura-del-cerco-i/

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La sconfitta della contrainsurgencia sociale

Raúl Zibechi

Nella misura in cui le politiche o i programmi sociali suonano come il volto buono degli stati della nostra regione, indipendentemente da chi li amministrino, è necessario ricordare le loro origini ed obiettivi dichiarati. Non basta dire che si propongono di ridurre la povertà o che vogliono indebolire i movimenti antisistemici. La storia risale alla guerra del Vietnam e ad un personaggio chiamato Robert McNamara, uno dei quadri più astuti che abbia mai avuto il capitalismo.

Nel 1960 McNamara fu il primo presidente della Ford a non appartenere alla famiglia, carica che abbandonò quando fu nominato segretario alla Difesa tra il 1961 e 1968, durante la guerra del Vietnam. Passò quindi alla presidenza della Banca Mondiale fino al 1981. Durante la Seconda Guerra Mondiale era entrato nell’Aeronautica Militare dove applicò l’arte della gestione aziendale appresa ad Harvard all’efficienza dei bombardieri statunitensi, cosa che gli valse la Legione al Merito come tenente colonello.

Durante il conflitto in Vietnam comprese che le armi, per quanto siano sofisticate, non vincono le guerre. Diresse la Banca Mondiale con l’obiettivo di ribaltare la sconfitta militare e preparare il terreno affinché questa situazione non si ripresentasse. Comprese che l’ingiustizia sociale e la povertà potevano mettere in pericolo la stabilità del sistema capitalista e, per rimediare, concepì la politica della lotta alla povertà.

Si capisce che per McNamara la povertà è un problema del momento, e solo momentaneamente può destabilizzare il dominio. È una questione strumentale, non etica. Sotto la sua gestione la Banca Mondiale si è trasformata nel centro di pensiero (think tank) più citato dalle accademie andando a definire le politiche dei paesi in via di sviluppo. Come ha sottolineato uno dei suoi collaboratori, Hollis Chenery, si tratta di distribuire un pezzo della crescita della ricchezza e non la ricchezza(*).

La lotta alla povertà ebbe altri due effetti. Riuscì a rimuovere la ricchezza dalla centralità dello scenario politico, come era stato fino al decennio degli anni ’70. Benché oggi sembri incredibile per chi non ha vissuto la rivoluzione mondiale del 1968, la sinistra credeva che il vero problema sociale fosse la ricchezza, per questo tutti i programmi di governo andavano rivolti alla riappropriazione dei mezzi di produzione e di cambiamento, come la riforma agraria, tra molti altri.

La seconda è che si propose, riuscendovi, di influenzare i movimenti antisistemici in una forma molto sottile; attraverso una politica che definirono rafforzamento organizzativo (si ricordi il Pronasol), si scelsero movimenti di lotta per trasformarli – con l’appoggio della Banca Mondiale – in organizzazioni burocratizzate che, d’ora in poi, si specializzeranno nel fare da tramite con le agenzie di sviluppo. La banca smise di gestire i prestiti e si limitò ad accompagnare, formare, fornire consulenza e controllo finanziario.

Per tutto quanto sopra, è importante che le basi di appoggio dell’EZLN siano riuscite a sconfiggere questa contrainsurgencia sociale. Non è usuale. Nel mio paese, l’Uruguay, il progressismo è riuscito ad ammortizzare il conflitto sociale con una serie di politiche sociali che vanno dalla promozione di cooperative dirette dall’alto, fino alla creazione di organizzazioni sociali che hanno l’apparenza di movimenti legittimi. Altri progressismi sono stati più sottili, clonando interi movimenti.

Il comunicato dal titolo Ed abbiamo rotto l’accerchiamento, firmato dal subcomandante Moisés, ci mostra tre aspetti della sconfitta dei programmi sociali.

Il primo è che le basi di appoggio sono uscite dalle proprie comunità per incontrarsi con altri abajos, con chi ci si intende come solo ci si capisce tra chi condivide non solo il dolore, ma anche la storia, l’indignazione, la rabbia.

La seconda è il ruolo importante giocato dai giovani e dalle donne nel compito di rompere l’accerchiamento. La terza è che le donne zapatiste non solo hanno marcato la guida, ma sono state anche ai bordi affinché non deviassimo, e dietro affinché non ritardassimo.

È stato un incontro tra abajos, tra uguali, ben oltre le opzioni politiche congiunturali di ognuno. È stato un incontro di dignità: quella zapatista e quella delle comunità filo-partitiche che si sono ribellate contro il disprezzo, il razzismo e la voracità dell’attuale governo che dà loro elemosine per dividerle.

Mi interessa sottolineare non solo il fatto che hanno rotto l’accerchiamento, ma soprattutto come l’hanno fatto. È una lezione politica ed etica di cui abbiamo bisogno in questa parte del mondo, dove i programmi sociali ispirati dalla Banca Mondiale e realizzati dai progressismi, hanno distrutto l’indipendenza del settore popolare ed incuneato la dominazione, con il beneplacito delle grandi multinazionali.

Potere popolare e programmi sociali sono due forze che si respingono. Quando una vince, l’altra perde.

(*)Citato da Eric Toussaint, Banco Mundial. El golpe de Estado permanente, Abya Yala, Quito, 2007, p. 155.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/08/30/opinion/019a2pol

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Sonata per violino in sol minore: DENARO.

“… l’astuzia più perfetta del diavolo è persuaderci che egli non esiste!”

Charles Baudelaire in «Le joueur généreux».

 

I.- L’OTTAVO PASSEGGERO.

Da nessuna parte, e dappertutto. Un treno assonnato è cullato dalle sue stesse fusa. Non viene né va da nessuna parte. O non importa. A bordo, una popolazione di grigi individui, vivi di tante morti, dorme. Nell’ultimo vagone, 7 passeggeri solitari, dalle vite e dai miserabili abiti, si annoiano e si disperano seduti ai loro posti.

Uno dice: “Darei qualsiasi cosa per cambiare la mia sorte”. La frase è una specie di linguaggio universale e gli altri 6 annuiscono in silenzio. Il lungo treno malandato entra quindi in un tunnel, che uccide i grigi ed espande le ombre. La porta si apre ed entra un ottavo passeggero, con gli abiti che gridano “non sono di qui”, e si siede senza dire una parola. Il tunnel estende l’oscurità.

Qualcosa di simile a un tuono, un ramo secco che si spezza senza che la tempesta lo abbatta. Occhi fiammeggianti appaiono nel buio. Lo sguardo di fuoco parla: “Non penso di aver bisogno di presentarmi. Ognuno di voi mi ha invocato con o senza parole e rispondo alla vostra chiamata. La vostra anima in cambio di un desiderio. Fate voi il prezzo.

Uno sceglie la salute, sceglie di non ammalarsi mai. Satana risponde: “concesso“, raccoglie l’anima del sano e la mette in tasca.

Un altro opta per la saggezza, per sapere tutto. Il diavolo sussurra: “concesso“, prende l’anima del saggio e la mette in tasca.

Il terzo sceglie la bellezza, sceglie di essere ammirato. Il re dell’inferno dice: “garantito“. E l’anima del bello è ospitata nella bisaccia.

Il quarto preferisce il potere, sceglie di comandare e di essere obbedito. Lucifero sospira: “concesso“. E l’anima del capo si unisce alle altre nella sua giacca.

Il quinto dice: “i piaceri”, suscitare passione con la sola volontà. Il demonio sorride compiaciuto: “concesso“. E l’anima dell’edonista si unisce alle altre nel cappotto scuro.

Il sesto sceglie la fama, essere riconosciuto e acclamato da tutti. Satana non fa alcun gesto quando dichiara: “concesso“. E l’anima del famoso è un’altra tra le altre prigioniere.

Il settimo quasi canta quando dice “l’amore”. Il Malevolo fa una risata mentre scrive “c-o-n-c-e-s-s-o“. e l’anima dell’amante finisce in fondo al sacco.

L’angelo caduto guarda impazientemente l’ottavo passeggero che non dice nulla e scarabocchia su un quaderno.

Lucifero addolcisce la voce e chiede: “E qual è il tuo desiderio? Qualunque esso sia ti sarà concesso solo in cambio della tua anima passeggera.”

L’ottavo passeggero si alza e sussurra: “Io sono il Denaro, compro le 7 anime degli infelici che ti hanno creduto e compro anche te per servirmi ed obbedirmi“.

E “il grande drago, l’antico serpente chiamato diavolo e Satana, che inganna il mondo intero” (Ap 12, 9), sorride furtivo e sancisce, prima di mettersi lui stesso nella borsa delle anime vendute:

Così sia, signor Denaro. Ma la tua rovina è nella tua stessa essenza e la tua fortuna oggi, sarà la tua disgrazia domani”.

Il Denaro prese la borsa, uscì dall’ultimo vagone e il treno dal tunnel.

Dietro di loro l’oscurità si espandeva per conquistare il giorno…

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II.- LA CRISI E LE RESPONSABILITÀ.

Quando c’è una crisi, compra a buon mercato e aspetta che passi per rivendere a caro prezzo. Se non c’è crisi, provocala con una guerra. Per uscire dalla crisi, fai un’altra guerra. La guerra, come non ha detto Clausewitz, è l’autostrada per entrare e uscire dalle crisi con altri mezzi, compresi quelli nucleari.

Don Durito de La Lacandona. Scarabeo e Dottore in Economia Selvaggia.

Se la più grande astuzia del diavolo è persuadere che non esiste, una delle basi del sistema capitalista è convincere che il denaro può fare tutto. E il denaro è il padrone e il signore dei governi. Sul denaro basano il loro progetto di passare alla storia come grandi trasformatori. Ma…

Beh, volevo cercare di spiegarvi che sta arrivando una crisi economica mondiale, ma, oltre a non sapere molto di economia politica, sembra che la realtà lo stia facendo e lo farà con argomenti migliori e in modo più pedagogico. Tuttavia, dobbiamo tenere conto del fatto che manca ciò che manca.

Inoltre, va notato che ciò che sta arrivando non è colpa di questo governo, né di quelli passati. Quello che è noto come governo messicano ha come unica responsabilità quella di credere e far credere alle persone di avere un modo, non dico di fermarla, né di alleviarla.

Le “cattive decisioni” che un settore della destra dis-illuminata attribuisce al governo della 4T (la cantilena della cancellazione dell’aeroporto di Texcoco è la costante), non hanno nulla a che fare con ciò che sta arrivando. Lo slogan di fondo di quel frammento della destra realmente esistente, che si sente ignorato e ingannato, sarebbe: “staremmo meglio senza López Obrador”, e suona, oltre che poco originale, falso.

Chiunque ci fosse stato (Meade, Anaya, el Bronco o Miss Xerox) avrebbe dovuto affrontare questo clima mondiale sfavorevole (così dicono i Think Tank del grande capitale) ed essere sconfitto cercando i colpevoli. E tutti avrebbero fatto e starebbero facendo quello che fa il governo attuale: mentire e occultare.

Certo, parlo da e dei popoli originari. Anche se sono sicuro che altri settori saranno in grado di dire se hanno beneficiato o meno della politica economica del supremo. Per non parlare della sua politica sociale e del fallimento negato della lotta contro il crimine.

È necessario capire che il dispiacere manifestato da quella parte della destra è ampiamente compensato dal settore restante (che è la maggioranza). Per non parlare del grande capitale, che è più che felice e soddisfatto delle misure che alimenteranno l’esplosione e la crescita della prossima crisi.

Immagino che questo li infastidirà ancor di più se facciamo notare che sono la stessa cosa, ma il bilancio finora è che sarebbe stato uguale che ci fosse stato l’uno o l’altro:

Avrebbero iniziato a congratulare se stessi; avrebbero dichiarato solennemente che era iniziato un nuovo ciclo di speranza, lavoro e benessere per il territorio a sud del Rio Grande e ad ovest del Guatemala e del Belize, avrebbero distribuito le stesse elemosine anche se con un altro nome; si sarebbero disfati di non poche cose che avevano promesso in campagna elettorale; avrebbero attribuito al risentimento e all’invidia le critiche a loro rivolte; avrebbero fatto appello all’unità e allo sciovinismo, si sarebbero prostrati allo stesso modo di fronte ai progetti, alla spavalderia e agli insulti del capoccia che sbava dal nord travagliato e brutale; e avrebbero attribuito i propri errori “al clima internazionale avverso”.

Tutti, come l’attuale supremo, avrebbero basato il proprio piano di governo sul denaro. Le loro discrepanze sono che il supremo pensa che la finta “lotta alla corruzione” basti ed avanzi persino per attribuirsi le medaglie di altri, altre, otroas. “Ma la 4T non ruba”, affermano. Ma anche lì, per tutti gli amanti delle sfumature, ci sono diversi livelli, come leggerete più avanti, in un altro testo… se verrà pubblicato.

Indicherò alcuni fatti sui quali queste “sfumature” non sono possibili. Fatti che richiedono una posizione chiara. Non faccio ricorso alle reti e alle loro “fake news“, né alle colonne pro e contro (sempre sgradevoli) sulla stampa; né alla stampa etichettata “fifí” (ho dovuto eliminare come fonte il settimanale Processo in cui, da un rutto del supremo, è stata cancellata una storia di lavoro e giornalismo d’indagine difficili da uguagliare da parte di un altro media). Quindi mi sono limitato alle dichiarazioni e ai fatti riportati nelle pagine elettroniche del governo (incluse quelle mattutine) e a quanto riportato dalla stampa “che supporta”.

Inoltre, ovviamente, l’indagine “in situ”, nella terra in cui ci muoviamo: il Chiapas rurale. Potete diffidare, giustamente, di quello a cui si fa riferimento. Può darsi che tutto non sia altro che un’invenzione per sabotare il supremo. Dubitate, sì. E se volete dissipare i dubbi potete ricorrere a due cose: indagare se ciò che diciamo è vero o aspettare e vedere cosa accadrà. Lo svantaggio della prima opzione è che il giornalismo che indaga sulla veridicità o sulla falsità di ciò che leggerete poi, entrerà tra le fila dei conservatori (anche se fornisce “sfumature” e non riflette la brutale realtà di ciò che sta accadendo qui). La seconda opzione è aspettare che sia il tempo a darci ragione o a smentirci; beh, guardate, detto tra noi, la verità è che il “tempo” è una delle cose che non hanno lassù. Ma alla fine, sentitevi liberi di diffidare della realtà di qui, ma diffidare della realtà che vivete e subite, non trovate che sia suicida?

I fatti:

– Il tono festoso del supremo durante le sue riunioni con i rappresentanti del potere economico del Messico e del mondo. E il tono irritato e intollerante quando riceve lamentele o richieste da parte della gente comune, specialmente quando è gente di campagna. Ok, una sfumatura… ma la realtà lo contraddice ogni giorno. Nel caso dei signori del denaro, è un corteggiamento che rasenta l’osceno e che non si traduce nel reale sostegno cercato. Nel caso dei beni comuni, resta inteso che il supremo “non paga per essere colpito”.

– L’imposizione delle filie e delle fobie proprie di un tiranno. Sentite, capisco, ognuno ha i propri desideri e le proprie avversioni, ma nulla dà diritto a nessuno di imporli agli altri. E quando il supremo dice che tizio e caio sono tali e quali, beh la cosa è irritante, come suole dire, e, come ha dimostrato il legislativo e l’omicidio di Samir Flores, il desiderio di compiacere il supremo, porta a crimini e sfregi. Solo i tiranni cercano repliche nei loro governati, funziona così da queste parti.

– Il trattamento dei migranti. Guardate, potete vederlo come volete: “Che orrore! In che razza di paese accadono queste cose?” E qui succede, in questo paese chiamato “Repubblica Messicana”. E ciò che emerge dai media “che sostengono”, non è nemmeno una frazione dell’incubo che è stato imposto ai centroamericani al confine meridionale. Sì, anche ad africani, caraibici, asiatici… e messicani. Ditemi, come si fa a distinguere una persona chiapaneca da una guatemalteca, una honduregna o salvadoregna? Dal fatto che non hanno documenti? Dai, chiedete all’INEGI o all’INE quanti messicani non hanno documenti nel sud-est del Messico. Il fatto che cantino l’inno nazionale? Gli agenti della migrazione non lo conoscono e, sembra, neppure il supremo, per questo fa lo zerbino di Trump. L’altro che vuole intrufolarsi alla grande nel 2024, Marcelo Ebrard, afferma che viene applicata la legge, ma nessuna legge afferma che “tutte le persone che sono basse, di carnagione scura, non parlino spagnolo o lo parlino con un accento, saranno arrestate o che gli sarà richiesto di presentare documenti comprovanti la loro cittadinanza messicana; Le detenzioni possono essere eseguite da militari, polizia (compresa la polizia stradale) o agenti della polizia migratoria e non sono necessari traduzioni, difesa dei diritti umani o altro ostacolo che impedisca al supremo di rispettare la quota di detenzioni concordate con l’amico Donald Trump“. Ok, non credete alla cattiva televisione, controllate la stampa “impegnata nella causa della 4T”. Ok? Ora provate a “sfumare” l’incubo.

– I modi e i toni servili e striscianti di fronte al governo degli Stati Uniti. Questo sarà discusso più avanti, ma, scusate, non ricordo un governo federale che si sia comportato pubblicamente in modo così indegno con un governo straniero. Il supremo ha l’approvazione di una consultazione per alzata di mano in un luogo in cui ha distribuito aiuti? Beh, se questo è il suo argomento per “spiegare”, buona fortuna.

– La sconfitta del secolarismo. Dal momento in cui il Salinas cattivo, Carlos Salinas de Gortari, d’accordo con l’alto clero cattolico, aprì le porte alla religione per muovere i suoi primi passi negli affari dello Stato, diventando lo zerbino di Zedillo, le genuflessioni di Vicente Fox, il servo di Felipe Calderón e l’uso mediatico di Peña Nieto, la militanza religiosa dell’attuale supremo è indifendibile. Ed è qualcosa che quel che resta della Nazione dovrà pagare caro… e non in comode rate come nei magazzini Elektra.

– L’impulso e l’accelerazione dei megaprogetti e la distruzione dei territori dei popoli originari. L’argomento secondo cui sono opere già iniziate non ha retto per Texcoco. La denuncia e il discredito da parte del supremo dell’opposizione alla centrale termoelettrica di Morelos, è costata la vita al nostro compagno Samir Flores Soberanes. In termini di cronaca nera o “poliziesca” sulla stampa, questo si chiama “indicare la vittima”. Non importa cosa dicono e come vogliono giustificarsi, la sua morte ricade su di loro. Beh, sfumatura: il supremo non ha premuto il grilletto. Sì, neanche Trump.

– L’incoraggiamento dell’individualismo e il confronto con la comunità. Con l’argomento della “lotta alla corruzione” si intende che il sostegno (denaro, insomma) agli individui è più efficace. In primo luogo, se vi è corruzione nelle organizzazioni contadine, non governative, ecc., come minimo dovrebbero segnalare quale, quanta e dove. L’omissione è complicità (altrimenti chiedete alla Robles). Se non provano imbarazzo nell’accusa dal loro palco i media e i giornalisti “di non saper tenere un segreto”, allora devono dire chiaramente, per esempio, “la CIOAC all’indirizzo… – devono chiarire quale di tutte le CIOAC, quella degli assassini o le altre-, si sta intascando questi soldi. Basta, finita, che si tengano quel che si sono intascati, cancelliamo tutto e rifacciamo i conti”; o “nella scuola materna tal dei tali che si trova nel tal posto, mangiano i cornflakes e bevono i Lalas che erano per i marmocchi“; o “in quell’altra scuola materna ammettono bambini che sono il risultato del peccato carnale e della lussuria, e il Signore ha detto che non giacerai senza firmare un patto di non aggressione e di sensata freddezza (“matrimonio”, penso lo chiamino)”.

Nel caso del campo il problema non è solo che l’auto venga individualizzato. Ok, se i membri del gabinetto di campagna e gli assessori che li accompagnano non hanno immaginazione e possono solo scegliere tra la consegna a organizzazioni di gestione o all’individuo, è comprensibile, stanno al governo per qualcosa. Ma scegliere una banca come veicolo delle benedizioni della 4T! Il problema è che la forma scelta ha come beneficiario diretto il “coyote“, l’intermediario: Banco Azteca, del Gruppo Elektra, nel caso del programma “Sembrando Vida”.

Il supremo dichiara che 5.000,00 (cinquemila pesos messicani) saranno dati ai contadini che entreranno nel programma. Falso. All’agricoltore viene concesso un massimo di 4.500,00 (e in alcuni casi solo 4.000,00).

Il motivo, si dice, per cui vengono dati solo 4.500,00 pesos è che gli altri 500 vanno a un fondo di risparmio. Il destino di questo fondo di risparmio è incerto. Ai beneficiari viene detto che sono “per i vecchi”; o che sono per commercializzare legname e frutta. Vediamo: per il cedro e il mogano ci vogliono 30 anni perché diventino “commerciabili”, quindi vale la pena tagliarli e venderli, ma il sessennio termina entro 5 anni. Se l’aritmetica non mi tradisce, sono necessari altri 4 sessenni in modo che ciò che sarà seminato il prossimo anno (ora sono nella fase dei vivai), possa essere commerciabile. Si presume che nei prossimi 29 anni i beneficiari riceveranno quattromilacinquecento pesos al mese. Così, o viene data la garanzia che la tripliceo Bolsonaro-Macri-Moreno già in agguato per rilevare l’amministrazione della tempesta, si impegnerà a mantenere il programma; oppure è un programma transexenal che lega il sostegno ai contadini a un partito politico.

Il problema è che con questo movimento di denaro, la banca si tiene 500 pesos (e in alcuni casi anche mille pesos, con la scusa che l’agricoltore deve risparmiare) per ogni “seminatore di vita“. L’incaricata dal supremo di questo programma, parla di ben 230 mila “beneficiari”. Sarebbero 115 milioni di pesos al mese a disposizione della banca. Potete andare dal vostro commercialista a chiedergli cosa fanno le banche con i risparmi dei titolari del conto.

Ora, in alcuni settori di quest’istituzione “disinteressata” e “filantropica” che è il Banco Azteca, agli agricoltori viene detto che gli daranno solo 4.000,00 pesos, “così imparano a risparmiare”. Ammesso che tutti i beneficiari abbiano l’istinto al risparmio (così apprezzato nella cultura del denaro), sarebbero quindi 230 milioni di pesos al mese, per 12 mesi per 5 anni a partire da ottobre. Ma diciamo di no e che siano solo 115 milioni al mese (1.380 milioni di pesos all’anno, 6.900 milioni di pesos nel resto del sessennio che non sono sei anni). Se alla fine del sessennio e nelle elezioni presidenziali e legislative del 2024, dio non voglia, non dovesse esserci lo stesso supremo o un equivalente del partito ufficiale, il “beneficiario” diventerà un “danneggiato”: avrà 2 ettari e mezzo di terra inutili perché non avrà più i soldi per rimediare al fatto di aver perso i suoi animali (si deve usare pascolo), o la sua milpa (se in cambio di questa si seminano alberi di acahuales).

Inoltre, il supremo (con la benedizione dei suoi consiglieri “sfumati”) sta portando avanti una nuova “riforma agraria”, basata su quella avviata da Salinas el malo (CSG). La condizione, in una comunità di ejidos, affinché sia introdotto il progetto “Sembrando Lata” [storpiatura del progetto “Sembrando Vida” Seminando Vita, in Seminando Soldi – N.d.T.], è che gli “aventi diritto” (gli ejidatari con diritti agrari) cedano ai “richiedenti” due ettari ai quali hanno diritto. Ciò significa che la “nuova” riforma agraria 4T consiste nel togliere la terra a coloro che ne hanno meno e nel “distribuirla”. Naturalmente, oltre ad aver permesso una nuova forma di corruzione, ha diviso le comunità filo-partitiche fino ad arrivare alle famiglie, mettendo in conflitto i figli (“richiedenti”) con i propri genitori (“aventi diritto”), litigi che si intensificano raggiungendo persino minacce di morte.

Ne Los Altos del Chiapas, dove ci sono diversi siti e non si misurano gli ettari ma le “tareas”, la situazione sarebbe comica se non fosse tragica. Il contadino in quelle terre usa lo stesso appezzamento (“tarea”) per seminare mais, poi fagioli e anche le verdure. Inoltre, quasi nessuno utilizza tutti i 2 ettari, se seminassero quello che l’ideota del supremo vorrebbe, il loro piccolo pezzo di terra non sarebbe in grado di sopravvivere per 20 o 30 anni. Naturalmente, ciò che conta sono i soldi che l’agricoltore riceve mensilmente.

Ci sono altre storie a cui sicuramente non crederete perché avrete informazioni migliori. Per ora vi dirò solo: l’equazione che afferma “tanti soldi = tanti ettari seminati” è una bugia. I filo-partitici simulano la preparazione della terra, o “prestano” ettari quando arriva il delegato del supremo, o “pagano” il responsabile: “tu scrivi che sto facendo il vivaio e che ho i 2 ettari, io ti darò una parte dei 4.500 pesos”.

Eppure, centinaia di comunità rifiutano il programma perché, dicono testualmente, “non lavoreremo come pedine del governo. La terra è nostra e non del governo che si autoprocla proprietario terriero”. Beh, è certo che il supremo ha altri dati e noi stiamo solo in una piccola parte di un piccolo stato della repubblica, quindi seguiamo i soldi:

Secondo il sito web del Gruppo Elektra, in ogni magazzino c’è una filiale del Banco Azteca. In poche parole, il contadino va in banca a ritirare le sue elemosine, che non sono elemosine. Proprio lì una persona con una maglietta con il logo della banca e il governo della 4T, gli raccomanda forme di risparmio e assicurazioni: “Non si sa mai cosa può succedere. Ad esempio, potrebbero rubarle la moto… Come?! Non ha una moto? Non si preoccupi, è fortunato, ho sempre detto che le persone fortunate a volte non si rendono conto di ciò che hanno. Guardi, qui ne abbiamo una potente da 125 centimetri cubi, marca Italika (filiale del Gruppo Elektra), che può portarsi a casa anche subito. Sì, proprio adesso. E solo perché è lei, le regalo il casco. È single? Sì? Che strano, uno di bella presenza come lei… Beh, guardi, su questa moto un’altra persona ci sta molto comodamente. Vedrà che tutte le ragazze vorranno che le porti a fare una passeggiata. Guardi, è meglio comprare tutto il pacchetto, capisce? Evita gli imprevisti. Quindi, le consiglio di aprire il suo conto qui in banca, prendere l’assicurazione che le offrono (è obbligatoria per aprire il conto), acquistare la motocicletta a rate e assicurarla, nel caso venga rubata o si rovini. Così tornerà al villaggio in moto e con tutto e pure il casco“.

Tutto questo è reale. Un compagno zapatista ha accompagnato il cognato filo partitico ed ha verificato tutta la storia. Naturalmente, i nomi sono stati omessi per proteggere l’impunità… scusate, la presunzione di innocenza del governo supremo. E la moto? Bene, questo non lo sappiamo, perché il compa èa dovuto tornare con i mezzi pubblici, suo cognato ha speso ciò che gli restava della moto e dell’assicurazione in lattine di birra. Non ci stavano entrambi. O le lattine di birra o il compa. Hanno vinto le lattine. Il compagno zapatista è ritornato arrabbiato: “Altro che single, è sposato con mia sorella e stanno per avere il quarto figlio, ah, ma lascia che mia sorella lo scopra, allora sì che mio cognato avrà bisogno di un’assicurazione.”

I principali azionisti del gruppo Elektra sono: Hugo Salinas Price, Esther Pliego de Salinas e Ricardo B. Salinas Pliego (i primi due sono i genitori del terzo).

Il signor Hugo Salinas Pliego era un evasore fiscale confesso, anti-sciopero confesso e sponsor dichiarato di iniziative di estrema destra (come il MURO, braccio paramilitare di El Yunque), secondo il libro che ha scritto “I miei anni in Elektra” (editoriale Diana, 2000).

Nel libro si legge: “Drammaticamente, quando sussistono le migliori condizioni di vita, le persone hanno tempo e risorse per pensare di partecipare a rivolte e tumulti. Quando le cose si fanno difficili, alla gente importa di più mantenere ciò che hanno che fare casino.

Questo gruppo Elektra è stato scelto dal supremo per gestire le tessere della “politica sociale” del governo della 4T. Per di più, potete consultare l’articolo al riguardo di Álvaro Delgado apparso sulla rivista Proceso, edizione 2208, del 24 febbraio 2019. Ops! Avevo detto che non avrei fatto riferimento a quel settimanale eretico e demoniaco. Ok, ma potete fare come me, prendere il libro, credetemi, leggerlo fa venire i brividi. O parlare con Álvaro Delgado… ma fate attenzione che il supremo non lo scopra.

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Una crisi complessa è in fase di gestazione. Quella che nei bunker del grande capitale si chiama “la tempesta perfetta”. La nave che chiamiamo “pianeta terra” viene praticamente smantellata e rimane a galla grazie alla stessa cosa che la devasta. Questo stupido circolo mortale di distruzione per ricostruire quanto distrutto, si nasconde dietro la falsa evidenza che si è insinuata nel senso comune. La credenza fondamentale nel potere individuale, nata da quando la storia ha riscritto il cammino dell’essere umano e ha costruito il mito dell’individuo capace di tutto.

Il “ma” che si nasconde dietro al mito dell’individualità esonera il sistema dalla sua responsabilità mortale. Gli umani, le civiltà, le lingue, le culture, le arti e le scienze muoiono digerite nello stomaco della macchina. Ma la responsabilità sistemica viene trasferita all’individuo. È l’individuo o l’individua ad essere vittima e contemporaneamente carnefice. La donna assassinata è responsabile dei colpi subiti, delle violazioni subite, della propria scomparsa e persino della propria morte. È una criminale per essere stata vittima di un crimine ed è criminale per aver protestato contro quel crimine. Lo stesso vale per i bambini, gli anziani, la differenza di genere, la cultura, la lingua, il colore, la razza.

Ma non fateci caso, meglio che chiediate consiglio al vostro economista preferito (se lavora per il governo, assicurategli che tutto sarà “off the record“): forse vi dirà che l’economia politica è una scienza, che risponde alle leggi, a cause ed effetti, che non dipende da volontarismi, dalle sclerate o dagli strilli dal pulpito. L’economia politica non partecipa ai sondaggi, non guarda le conferenze stampa mattutine. L’economia politica indica: se ci sono determinate condizioni (cause), si verificheranno determinati fenomeni (effetti). Dopo esservi annoiati con numeri e formule, chiedetevi: sta arrivando una crisi? Se l’economista tira fuori un ombrello – anche se siete in casa – e si scusa – l’economista, ovviamente – con un “non c’erano blindati”, allora avete diverse opzioni: o dichiarate solennemente che è una fake news, che è la mafia del potere, che sono gli Illuminati, che l’economista è conservatore, ecc.; o chiedete dove ha comprato l’ombrello e se c’è di colore lilla (ognuno ha i propri gusti); o abbracciate la religione più a portata di mano:

Oppure gli chiedete se ci sono soluzioni, vie d’uscita, rimedi.

L’economista vi risponderà con un sacco di formule e di cifre. Aspettate pazientemente che finisca e, invece di dirgli che non ha capito nulla, chiedetegli di riassumere la risposta, probabilmente vi risponderà “è molto difficile, si dovrebbe… (nuova valanga di formule e cifre)”.

O forse vi dirà semplicemente: “no, non in questo sistema”.

(continua… eh? o no? …ma se mi sono appena scaldato… davvero niente? vabbè… allora solo qualche appunto del gatto-cane e basta)

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano che infila qualche frase del gatto-cane.

Messico, agosto 2019

 

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

– Il problema dei soldi è che… finiscono.

– Quando il diverso si incontra con l’ugualmente diverso ma in modo distinto, il diverso lo abbraccia e festeggia. Il diverso non vuole uno specchio, ma qualcosa di più complesso e umano: il rispetto.

– La natura è una parete elastica che moltiplica la velocità delle pietre che gli tiriamo. La morte non torna nelle stesse proporzioni, ma potenziata. C’è una guerra tra il sistema e la natura. Questo confronto non ammette sfumature né vigliaccherie. O si sta con il sistema o con la natura. O con la morte, o con la vita.

Miau-Guau.

Il Gatto-Cane, cambiando tattica, fa gli occhi languidi a una luna che non gli dà retta, la maledetta.

 

Traduzione a cura di 20ZLN

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/15/sonata-para-violin-en-sol-menor-dinero/

 

Video:

 

https://youtu.be/2g2U9noUk_w

https://youtu.be/OU0LWxTs-0k

 

https://youtu.be/HMxJtMoTnx8

 

https://youtu.be/5d7_mBvCxJo

 

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