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Archive for novembre 2023

Quattordicesima Parte e Seconda Allerta di Avvicinamento:
La (otra) Regola del Terzo Escluso

Novembre 2023

L’incontro è avvenuto un anno fa. Una mattina presto di novembre. Faceva freddo. Il Subcomandante Insurgente Moisés era nella baracca del Capitanato (sì, non sbagliate, a quel punto il SupGaleano era già morto, solo che la sua morte non era stata resa pubblica). L’incontro con i capi si era concluso tardi e il SubMoy si era fermato per chiedermi quali fossero i miei progressi nell’analisi che doveva essere presentata il giorno successivo in assemblea. La luna avanzava pigramente verso il suo primo quarto e la popolazione mondiale raggiungeva gli 8 miliardi. Sul mio taccuino c’erano tre appunti:

L’uomo più ricco del Messico, Carlos Slim, a un gruppo di studenti: “ora, quello che vedo per tutti voi è un Messico vivace, con una crescita sostenuta, con molte opportunità per la creazione di posti di lavoro e di attività economiche”. (10 novembre 2022). (Nota: Forse si riferisce alla criminalità organizzata come ad un’attività economica che genera occupazione. E con merce d’esportazione).

(…) Il numero delle persone attualmente scomparse in Messico dal 1964 ammonta oggi a 107.201; cioè 7mila in più rispetto allo scorso maggio, quando è stata superata la soglia dei 100mila. (7 novembre 2022). (Nota: cercare nei motori di ricerca).

In Israele, l’ONU stima a circa 5.000 il numero dei prigionieri palestinesi, tra cui 160 bambini, secondo il rapporto del relatore speciale sulla situazione dei diritti umani nei territori palestinesi occupati dal 1967. Netanyahu assume la guida del governo per la terza volta. (novembre 2022). (Nota: chi semina vento, raccoglie tempesta).

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Una crepa come progetto.

Non era la prima volta che affrontavamo l’argomento. Inoltre, le ultime lune erano state la costante: la diagnosi che avrebbe aiutato l’assemblea a prendere una decisione su “cosa sarà dopo”. Anche di questo si discuteva da mesi, ma l’idea-proposta dal Subcomandante Insurgente Moisés non era ancora messa a punto, né concretizzata. Era ancora una specie di intuizione.

E dunque?, ha chiesto il SubMoy accendendosi l’ennesima sigaretta.

– Ebbene, penso che tu abbia ragione, non resta che aprire uno spiraglio. Non cercare più altrove. Devi fare una porta. Ci vorrà del tempo, sì. E costerà molto. Ma sì, è possibile. Anche se non per chiunque. Quello che stai pensando, nessuno, mai. Io stesso non pensavo nemmeno che l’avrei sentito – ho sottolineato.

Il SubMoy rimase pensieroso per un po’ con lo sguardo sul pavimento della baracca pieno di mozziconi di sigaretta, residui di tabacco di pipa, un fiammifero bruciato, fango bagnato, qualche ramoscello spezzato.

Poi si alzò e, dirigendosi verso la porta, disse soltanto: “Beh, niente, stiamo a vedere… manca quello che manca”.

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Il fallimento come obiettivo.

Per capire il significato di quel breve dialogo devo spiegare una parte del mio lavoro di capitano. In questo caso un compito che ho ereditato dal compianto SupGaleano, il quale a sua volta l’aveva ricevuto dal compianto SupMarcos.

Un compito ingrato, oscuro e doloroso: prevedere il fallimento zapatista.

Se si sta valutando un’iniziativa, cerco tutto ciò che potrebbe farla fallire, o, almeno, ridurne l’impatto. Cerco il contrario contraddittorio. Diciamo qualcosa come “Marcos Contreras”. Sono, quindi, il massimo e unico rappresentante “dell’ala pessimista” dello zapatismo.

L’obiettivo è attaccare le iniziative con ogni tipo di obiezione fin dal momento in cui cominciano a nascere. Supponiamo che questo comporti un affinamento e un consolidamento di questa proposta, sia essa organizzativa interna, sia un’iniziativa esterna, sia una combinazione delle due.

Per dirla chiaramente: lo zapatismo si prepara a fallire. Cioè, immagina lo scenario peggiore. Con questo orizzonte in prospettiva si elaborano i piani e si dettagliano le proposte.

Per concepire questi “futuri fallimenti” vengono utilizzate le scienze che abbiamo a nostra disposizione. Bisogna cercare ovunque (e quando dico “ovunque” intendo ovunque, compresi i social network e le loro bot farm, le fake news e i trucchi che si mettono in atto per ottenere “follower”), raccogliere la maggior quantità di dati e informazioni, incrociarli e ottenere così la diagnosi di quella che sarebbe la tempesta perfetta e il suo risultato.

Dovete cercare di capire che non si tratta di costruire una certezza, ma piuttosto un’ipotesi terribile. Nei termini del defunto: “supponiamo che tutto vada in merda”. Contrariamente a quanto si possa credere, questa catastrofe non prevede la nostra scomparsa, ma qualcosa di peggio: l’estinzione della specie umana. Beh, almeno per come la concepiamo oggi.

Si immagina questa catastrofe e si cominciano a cercare dati che la confermino. Dati reali, non le profezie di Nostradamus o l’Apocalisse biblica o equivalenti. Cioè, dati scientifici. Vengono quindi utilizzate pubblicazioni scientifiche, dati finanziari, tendenze, registrazioni di fatti e molte pubblicazioni.

Da questo ipotetico futuro, si mette in moto l’orologio in senso inverso.

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La regola del terzo escluso.

Già in possesso del disegno del crollo e della sua inevitabilità, inizia a funzionare la regola del terzo escluso.

No, non è quella conosciuta. Questa è un’invenzione del defunto SupMarcos. Ai tempi in cui era tenente diceva che, in caso di fallimento, si tentava primo una soluzione; secondo una correzione, e terzo, ma non esisteva un terzo, rimaneva “non esiste rimedio”. Successivamente perfezionò questa regola fino ad arrivare a quella che ora vi spiego: supportato un’ipotesi con dati veri e analisi scientifiche, è necessario cercare due elementi che contraddicono nella sua essenza la suddetta ipotesi. Se si riscontrano questi due elementi, non si cerca più il terzo, allora l’ipotesi va riconsiderata o confrontata con il giudice più severo: la realtà.

Chiarisco che, quando gli zapatisti dicono “realtà”, includono le loro azioni in questa realtà. Quella che chiamate “la pratica”.

Quindi applico la stessa regola. Se trovo almeno 2 elementi che contraddicono la mia ipotesi, allora abbandono la ricerca, scarto quell’ipotesi e ne cerco un’altra.

L’ipotesi complessa.

La mia ipotesi è: non esiste rimedio.

Appunti:

La convivenza equilibrata tra uomo e natura è ormai impossibile. Nel confronto vincerà chi avrà più tempo: la natura. Il capitale ha trasformato il rapporto con la natura in uno scontro, in una guerra di saccheggio e distruzione. L’obiettivo di questa guerra è l’annientamento dell’avversario, in questo caso la natura (umanità compresa). Con il criterio della “obsolescenza programmata” (o “scadenza prevista”), la merce “esseri umani” scade in ogni guerra.

La logica del capitale è quella del maggior profitto alla massima velocità. Ciò fa sì che il sistema diventi una gigantesca macchina per rifiuti, compresi gli esseri umani. Nella tormenta, le relazioni sociali vengono interrotte e il capitale improduttivo getta milioni di persone nella disoccupazione e, da lì, nelle “occupazioni alternative” nella criminalità e nella migrazione. La distruzione dei territori include lo spopolamento. Il “fenomeno” migratorio non è il preludio della catastrofe, ne è la conferma. La migrazione produce l’effetto di “nazioni nelle nazioni”, grandi carovane migratorie che si scontrano contro muri di cemento, di forze di polizia, di militari, di criminali, di burocrazie, razziali ed economici.

Quando parliamo di migrazione, dimentichiamo l’altra migrazione che la precede nel calendario. Quella delle popolazioni originarie dai propri territori, oggi trasformati in merce. Il popolo palestinese non è forse diventato un migrante che deve essere espulso dalla propria terra? Non accade la stessa cosa con le popolazioni originarie del mondo?

In Messico, ad esempio, le comunità originarie sono lo “strano nemico” che osa “profanare” il suolo della finca del sistema, situata tra i fiumi Bravo e Suchiate. Per combattere questo “nemico” ci sono migliaia di soldati e poliziotti, megaprogetti, compravendita di coscienze, repressione, sparizioni, omicidi e una vera e propria fabbrica di colpevoli (cit. https://frayba.org.mx/). Gli omicidi del fratello Samir Flores Soberanes e di decine di guardiani della natura definiscono l’attuale progetto di governo.

La “paura dell’altro” raggiunge livelli di vera paranoia. Scarsità, povertà, disgrazie e criminalità sono responsabili del sistema, ma ora la colpa è trasferita al migrante che deve essere combattuto fino all’annientamento.

In “politica” si propongono alternative e offerte, ognuna più falsa dell’altra. Nuovi culti, nazionalismi – nuovi, vecchi o riciclati –, la nuova religione dei social network e i suoi neo profeti: gli “influencer”. E la guerra, sempre guerra.

La crisi della politica è la crisi delle alternative al caos. Il frenetico susseguirsi dei governi della destra, dell’estrema destra, del centro inesistente e di quella che presuntuosamente viene chiamata “sinistra”, è solo il riflesso di un mercato che cambia: se ci sono nuovi modelli di cellulari, perché non “nuove” opzioni politiche?

Gli Stati-Nazione diventano funzionari doganali del capitale. Non ci sono governi, c’è solo una Border Patrol di colori diversi e bandiere diverse. La disputa tra “Stato Grasso” e “Stato Famelico” è solo il mancato occultamento della sua natura originaria: la repressione.

Il capitale comincia a sostituire il neoliberismo come alibi teorico-ideologico, con la sua logica conseguenza: il neo-malthusianesimo. Cioè la guerra di annientamento di grandi popolazioni per raggiungere il benessere della società moderna. La guerra non è un’irregolarità della macchina, è la “manutenzione regolare” che ne garantirà il funzionamento e la durata. La riduzione radicale della domanda per compensare i vincoli dell’offerta.

Non si tratterebbe di neo-darwinismo sociale (i forti e i ricchi diventano sempre più forti e i deboli e i poveri diventano sempre più deboli) o di Eugenetica, che fu uno degli alibi ideologici per la guerra nazista di sterminio del popolo ebraico. O non solo. Sarebbe una campagna globale per annientare la maggioranza della popolazione mondiale: quella dei diseredati. Privarli anche della loro vita. Se le risorse del pianeta non sono sufficienti e non esiste un pianeta di riserva (o non è stato ancora trovato, anche se ci stanno lavorando), allora è necessario ridurre drasticamente la popolazione. Rimpicciolire il pianeta attraverso lo spopolamento e il riordino non solo di alcuni territori, ma del mondo intero. Una Nakba per l’intero pianeta.

Se la casa non può più essere ampliata né è possibile aggiungere altri piani; se gli abitanti del seminterrato vogliono salire al piano terra, razziano la dispensa e, orrore!, non smettono di riprodursi; se i “paradisi naturali” o “autosufficienti” (in realtà solo “panic room” del capitale) non bastano; se quelli del primo piano vogliono le stanze del secondo e così via; in breve, se la “civiltà moderna” e il suo nucleo (la proprietà privata dei mezzi di produzione, circolazione e consumo) è in pericolo, ebbene, allora bisogna espellere gli inquilini – a cominciare da quelli del seminterrato – finché non si raggiunge “l’equilibrio”.

Se il pianeta è impoverito di risorse e territori, ne consegue una sorta di “dieta” per ridurre l’obesità del pianeta. La ricerca di un altro pianeta sta incontrando difficoltà impreviste. La corsa allo spazio è prevedibile, ma il suo successo è ancora una grande incognita. Le guerre, invece, hanno dimostrato la loro “efficacia”.

La conquista dei territori ha portato alla crescita esponenziale del “surplus”, degli “esclusi” o dei “sacrificabili”. Seguono le guerre per la ripartizione. Le guerre hanno un duplice vantaggio: rilanciano la produzione bellica e le sue sussidiarie ed eliminano quelle eccedenze in modo rapido e irrimediabile.

I nazionalismi non solo riemergeranno o avranno nuovo respiro (da qui l’abbondanza di offerte politiche di estrema destra), ma costituiscono la base spirituale necessaria per le guerre. “Il responsabile delle tue mancanze è chi ti sta accanto. Ecco perché la tua squadra perde”. La logica delle “sciarpe”, dei “club” e degli “hooligans” – nazionali, razziali, religiosi, politici, ideologici, di genere – alimenta guerre di media, grande e piccola dimensione, ma con lo stesso obiettivo di purificazione.

Ergo: il capitalismo non scade, si trasforma soltanto.

Lo Stato-Nazione ha smesso da tempo di svolgere la sua funzione di territorio-governo-popolazione con caratteristiche comuni (lingua, valuta, ordinamento giuridico, cultura, ecc.). Gli Stati Nazionali sono ormai le postazioni militari di un unico esercito, quello del cartello del capitale. Nell’attuale sistema criminale globale, i governi sono i “capi della piazza” che mantengono il controllo di un territorio. La lotta politica, elettorale o meno, è vedere chi sarà promosso a capo della piazza. La “riscossione del pizzo” avviene attraverso le tasse e i contributi per le campagne elettorali e le elezioni. La criminalità disorganizzata ne finanzia così la riproduzione, anche se è sempre più evidente la sua incapacità di offrire ai suoi sudditi sicurezza e giustizia. Nella politica moderna i capi dei cartelli nazionali vengono decisi tramite elezioni.

Da questo insieme di contraddizioni non emerge una nuova società. La catastrofe non è seguita dalla fine del sistema capitalista, ma da una diversa forma del suo carattere predatorio. Il futuro del capitale è lo stesso del suo passato e presente patriarcale: sfruttamento, repressione, espropriazione e disprezzo. Per ogni crisi, il sistema ha sempre una guerra a portata di mano per risolverla. Pertanto: non è possibile delineare o costruire un’alternativa al collasso al di là della nostra stessa sopravvivenza come comunità originarie.

La maggioranza della popolazione non vede o non crede possibile la catastrofe. Il capitale è riuscito a instillare l’immediatismo e il negazionismo nel codice culturale di base di chi sta in basso.

Al di là di alcune comunità native, popoli in resistenza e di alcuni gruppi e collettivi, non è possibile costruire un’alternativa che vada oltre il minimo locale.

La prevalenza della nozione di Stato-Nazione nell’immaginario in basso costituisce un ostacolo. Mantiene le lotte separate, isolate, frammentate. I confini che le separano non sono solo geografici.

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Le Contraddizioni.

Appunti:

Prima serie di contraddizioni:

La lotta dei fratelli della regione di Cholulteca contro la compagnia Bonafont, a Puebla, Messico (2021-2022). Vedendo che le sorgenti si stavano prosciugando, i residenti si sono rivolti al responsabile: la ditta Bonafont, della Danone. Si sono organizzati ed hanno occupato l’impianto di imbottigliamento. Le sorgenti sono state recuperate e l’acqua e la vita sono tornate nelle loro terre. La natura ha così risposto all’azione dei suoi difensori e ha confermato ciò che dicevano i contadini: l’azienda depredava l’acqua. La forza repressiva che dopo un po’ li ha sgomberati non è riuscita a nascondere la realtà: la gente difendeva la vita, l’azienda e il governo difendevano la morte. La Madre Terra ha risposto così all’interrogativo: se esiste un rimedio, io corrispondo con la vita a chi difende la mia esistenza; possiamo convivere se ci rispettiamo e ci prendiamo cura l’uno dell’altro.

La pandemia (2020). Gli animali hanno recuperato la loro posizione in alcuni territori urbani abbandonati, anche se momentaneamente. L’acqua, l’aria, la flora e la fauna hanno avuto tregua e si sono riprese, anche se in breve tempo sono state nuovamente sopraffatte. Hanno indicato così chi era l’invasore.

Il Viaggio per la Vita (2021). In Oriente, cioè in Europa, ci sono esempi di resistenza alla distruzione e, soprattutto, di costruzione di un altro rapporto con la Madre Terra. I resoconti, le storie e gli aneddoti sono troppi per queste note, ma confermano che la realtà non è solo quella della xenofobia e dell’idiozia e petulanza dei loro governi. Speriamo di trovare sforzi simili in altre aree geografie.

Quindi: una convivenza equilibrata con la natura è possibile. Ci devono essere più esempi di questo. Nota: cercare più dati, rivedere i resoconti della Extemporánea al tuo ritorno dal Viaggio per la Vita – Capitolo Europa, cosa hanno visto e cosa hanno imparato, seguire le azioni del CNI e di altre organizzazioni e movimenti di popoli originari fratelli nel Mondo. Attenzione alle alternative nelle aree urbane.

Conclusione parziale: le contraddizioni rilevate mettono in crisi uno degli approcci dell’ipotesi complessa, ma non ancora la sostanza. Il cosiddetto “capitalismo verde” potrebbe assorbire o soppiantare queste resistenze.

Seconda serie di contraddizioni:

L’esistenza e la persistenza della Sexta e delle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti uniti nella Dichiarazione per la Vita. E molte altre persone in molti posti. C’è chi resiste e si ribella, e cerca di incontrarsi. Ma è necessario cercare. E questo ci insegnano le Cercatrici: cercare è una lotta necessaria, urgente, vitale. Con tutto contro, le Cercatrici si aggrappano alla speranza più remota.

Conclusione parziale: la sola possibilità, minima, minuscola, improbabile fino ad una percentuale ridicola, che resistenza e ribellione coincidano, fa traballare la macchina. Non è la sua distruzione, è vero. Non ancora. Le streghe rosse saranno decisive.

La percentuale di probabilità di vittoria della vita sulla morte è ridicola, sì. Poi ci sono le opzioni: la rassegnazione, il cinismo, il culto dell’immediato (“carpe diem” come sostegno vitale).

Eppure c’è chi sfida i muri, le frontiere, le regole… e la legge delle probabilità.

Terza serie di contraddizioni: Non è necessaria. Applica la regola del Terzo Escluso.

Conclusione generale: Occorre quindi proporre un’altra ipotesi.

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Ah! Pensavate che l’iniziativa o il passaggio annunciato dal popolo zapatista fosse la scomparsa di MAREZ e JBG, il capovolgimento della piramide e la nascita dei GAL?

Beh, mi dispiace rovinarvi la tranquillità. Non è così. Ritorniamo a prima della cosiddetta “Prima Parte” e alla discussione sulle motivazioni di lupi e e pastori. Già? Ora prendiamo questo:

Permissu et gratia a praelatis dico vobis visiones mirabiles et terribiles quas oculi mei in his terris viderunt. 30 Anno Resistentise, et prima luce diei viderunt imagines et sonos, quod nunquam antea viderant, et tamen litteras meas semper intuebantur. Manus scribit et cor dictat. Erat mane et supra, cicadae et stellae pugnabant pro terra…

Con il permesso e la grazia dei superiori vi racconto le visioni meravigliose e terribili che i miei occhi hanno visto in queste terre. Nel 30° anno della Resistenza, e alle prime luci del giorno, videro immagini e suoni che non avevano mai visto prima eppure guardavano sempre le mie lettere. La mano scrive e il cuore detta. Era mattina presto e lassù, i grilli e le stelle lottavano per la terra…

El Capitán.

Non apparve allora perché non sapevate della morte del SupGaleano, né delle altre morti necessarie. Ma noi zapatisti siamo così: quello che taciamo è sempre più di quello che diciamo. Come se fossimo determinati a progettare un puzzle sempre incompiuto, sempre con un pezzo in sospeso, sempre con quella domanda estemporanea: e tu?

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

40, 30, 20, 10, 2, 1 anni dopo.

P.S.- Quindi cosa manca? Ebbene… manca quello che manca.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/28/catorceava-parte-y-segunda-alerta-de-aproximacion-la-otra-regla-del-tercero-excluido/

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Tredicesima Parte: DUE PARTITE DI CALCIO E UNA STESSA RIBELLIONE

“Il calcio è la continuazione della politica con altri mezzi”.
Don Durito de La Lacandona (“DD”, a scopo legale).

Novembre 2023

I.- Vigilia del Viaggio per la Vita-capitolo Europa.

È arrivata una sfida calcistica da parte di una squadra femminile europea che resiste e lotta.

Il SupGaleano si è auto-nominato “direttore tecnico” della squadra “Ixchel–Ramona” composta da donne miliziane. Come è giusto che sia, il Sup ha studiato la squadra rivale. Raduna le compagne che faranno il viaggio. Analizza in dettaglio le abilità e le caratteristiche di ciascuna giocatrice. Si reca poi dal Subcomandate Moisés e gli fa la sua diagnosi: “ci faranno a pezzi”. Il SubMoy lo guarda con una faccia da “e allora?”, come se lo desse per scontato. Ma l’ormai defunto non ha finito: “Ma ho un piano segreto, come dice Dení. Con questo rivoluzioneremo il calcio e lo ridefiniremo nella sua essenza: il gioco”.

Il Subcomandante Insurgente Moisés, coordinatore del tour, è piuttosto impegnato con i corsi di preparazione, i certificati di nascita, i passaporti e la progettazione del percorso da seguire, quindi lascia che il SupGaleano proceda “a sua discrezione”. La faccia del defunto sorride e dice: “Discrezione è il mio secondo nome” (non chiedetemi quale fosse il suo primo nome perché ci vorrebbero diverse pagine per spiegarvelo).

Il defunto in divenire inizia la preparazione della squadra femminile. Ma, affinché la sua strategia abbia successo, ha bisogno dell’appoggio del temibile, terribile e terrificante “Commando Palomitas” che, in quel momento, sta cercando di aprire un varco nella nave scuola in cui si sta preparando il cosiddetto “Squadrone 421”. Deluso perché, prima di terminare i lavori sotto la linea di galleggiamento, la nave era stata trasformata in un imponente bimotore, il commando va a consultare il SupGaleano sul da farsi per incendiare il velivolo. Il Sup li convince che non era opportuno bruciarlo, che era meglio aspettare che fosse in pieno volo per abbatterlo dall’interno. L’amato Amado e Chinto obiettarono: se cade l’aereo, cadrà anche il Commando Palomitas. Il Sup rispose che non era il momento di soffermarsi sulle piccolezze. Inoltre, il Commando era richiesto per un lavoro più elevato che sabotare un viaggio aereo che non valeva nemmeno il costo dei biglietti, per non parlare della mancanza dei passaporti, e che la maggioranza della “Divisione Aerotrasportata La Estemporanea” soffriva la nausea a bordo del camion merci.

Quando il Commando Palomitas, il Sup, il Tzotz, il Tragón e la Pelusa si sono riuniti nel bunker ultra-segreto che si trova nel tempio Puy, nella zona di Tzotz Choj, si è proceduto ad affinare i dettagli di ciò che da quel momento in poi sarebbe stato conosciuto in tutto il mondo come il “Piano brillante ed eccellente per sconfiggere un rivale meglio preparato, allenato e attrezzato di noi” (BEPDRMPEEN, il suo acronimo in spagnolo), sottotitolo “E hanno una tecnica e un controllo di palla migliori”.

La riunione top secret ha seguito il suo corso normale. Cioè, il Chuy ha rubato a Lupita il ghiacciolo di chamoy [salsa di frutta secca agrodolce – n.d.t.], la Verónica ha rifilato uno scappellotto al Chuy e, come se fosse il Governo Supremo, si è tenuta il ghiacciolo del Chuy, quello di Lupita e pure il suo medesimo. Il Chinto e l’amato Amado protestavano che le loro biciclette si erano rotte e che il Monarca doveva sistemarle. La Pelusa, il Tragón e il Tzotz rovistavano il tavolo in cerca di biscotti, e il Sup impartiva la lezione magistrale di “Come vincere una partita di calcio con tutto contro”.

L’apparente caos si è placato quando il Sup ha tirato fuori, chissà da dove, una scatola di “Choki Il Biscotto del Diavolo”, e solo allora – dopo pappati 5 pacchetti – sono state distribuite le missioni, fissata la tabella di marcia, e pappato il sesto pacchetto “in onore dei futuri caduti”. “E cadute”, si è sentito obbligato ad aggiungere Chuy, solo per ricevere da Verónica un altro scappellotto del tipo “l’uguaglianza di genere non si applica alla disgrazia”. Lupita approva l’azione con il ghiacciolo di chamoy che il Sup le ha dato per farla smettere di piangere.

Il “tre volte T” Commando Palomitas, il Sup e l’ala canina del comando sono andati quindi al semenzaio e, con le miliziane riunite, si è spiegato e praticato il nuovo schema “passivo-aggressivo” che, come è giusto che sia, aveva come nucleo dirigente il predetto Commando.

Seguendo la vecchia e collaudata regola zapatista di “Non giocare con le regole del nemico”, il Sup ha sviluppato una sorta di miscuglio di rugby, con drammaturgia ottocentesca, con qualche Anime, con il cinema tipo Hollywood e risvolto di Cannes, con l’impressionismo di Monet, un pizzico di Allan Poe incrociato con Conan Doyle, qualcosa dell’epica di Cervantes, la brevità di Joyce, la prospettiva di Buñuel, un pizzico di Brecht mescolato a Beckett, il condimento di qualche tacos al pastor, una cumbia appena accennata, Anita Tijoux e Shadia Mansour che rompono le frontiere – Palestina libera – e, beh, non ho preso nota di tutto, ma l’unica cosa che mancava era la palla.

La strategia in questione si sviluppava in 3 fasi:

Per prima, Verónica ha afferrato un pupazzo zapatista e si è diretta con decisione verso la porta avversaria, si è messa di fronte alla portiera nemica e le ha parlato in Cho’ol. La portiera, ovviamente, non ha capito niente, ma c’erano Lupita ed Esperanza Zapatista che hanno tradotto a gesti che la ragazza le stava regalando il pupazzo. Ed Esperanza, come indica il suo nome, si è offerta di fare una foto con la ragazza e il pupazzo. Per la foto le ha detto di mettere giù la palla, perché Verónica voleva che la abbracciasse. Nel momento in cui ciò è accaduto, Esperanza ha calciato la palla “in fondo alla rete” e l’intera squadra ha gridato “Goool!” È stato fatto innumerevoli volte con successo. L’unica cosa che non è riuscita è che Verónica si riprendesse il pupazzo dalla portiera e scappasse via.

La seconda variante consisteva nel fatto che la portiera zapatista riceveva il pallone, se lo metteva sotto la maglietta come se fosse incinta e cominciava a camminare come se fosse incinta. Tutta l’équipe zapatista andava ad aiutarla e a portarla in infermeria. Naturalmente, trovandosi in territorio straniero, le compagne commettevano un errore e si dirigevano verso la porta avversaria dove, miracolosamente, la portiera zapatista si “liberava” del pallone che, rotolando appena, oltrepassava la linea nemica dando vita a un gol che neanche Messi e Cristiano. Intanto, il TTT Commando Palomitas circondava la sorella responsabile del tabellone per “esortarla” a dare per buono il risultato ottenuto “con il sacrificio della compagna zapatista e il suo pallone bambino”.

La terza variante comportava un rischio per la protagonista, poiché doveva fingere di svenire. Si è praticato una sola volta nel semenzaio perché il terreno lì è ghiaioso (pietra e sabbia) e ci si aspettava che ci fosse erba nel campo nemico. La compagna doveva svenire in mezzo al campo. Il subcomandante Moisés, allarmato, avrebbe corso verso la compagna e con lui tutta la panchina zapatista. Tutte le compagne gridavano, nelle rispettive lingue materne, per il servizio medico. Come previsto, il nemico non aveva alcun servizio medico, quindi sarebbe stata preparata in anticipo una barella. L’arbitra voleva chiamare i soccorsi, ma il SubMoisés adduceva usi e costumi dei popoli indigeni, così gli stessi zapatisti sollevano la donna svenuta e la depongono sulla barella. Confuse dal dolore e dalla tristezza di vedere la loro sorella di lotta caduta in combattimento, le miliziane non si sarebbero accorte di star portando la barella verso la porta avversaria. In quel momento, i primi dei, coloro che crearono il mondo, avrebbero compiuto la loro opera e la compagna ferita si sarebbe svegliata senza bisogno che nessun rospo maschio, comune o reale, la baciasse, e si ritrovava la palla ai suoi piedi, proprio sulla linea di porta e con un calcio ne suggellava il destino. C’era da aspettarsi che, animate dalla gioia di vedere la propria compagna in salvo, le miliziane gridassero “Goool!” A quel punto, il Commando Palomitas sarebbe stato sotto il tabellone per garantire che la vita fosse celebrata.

La quarta non la ricordo – lo so che ho detto che erano 3, ma non erano 4 i tre moschettieri? -, ma era simile per ingegno, creatività e furbizia alle altre tre.

Secondo quanto mi hanno raccontato le miliziane al loro ritorno, nei territori che chiamano “Italia” e “Stato spagnolo”, le sorelle nemiche hanno capito subito di cosa si trattava e hanno cominciato a giocare con lo stesso stile. Non so se la FIFA potrebbe classificarlo come calcio ma, a giudicare dalle foto e dai video che mi hanno mostrato, è stata una festa. Risultato: non c’è stato né vincitore né vinto… e Verónica è tornata con il pupazzo che, presumibilmente, apparteneva all’ormai defunto SupGaleano. No, non l’ha restituito.

E questo era il messaggio per le geografie di tutto il mondo: non giocare con le regole del tuo nemico, crea le tue regole”, mi ha dichiarato il SupGaleano prima del suo ultimo respiro.

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II.- Quanti Cipro possono stare in una partita di calcio?

Questo mi ha detto il Subcomandante Insurgente Moisés quando mi ha raccontato dettagli e aneddoti del cosiddetto “capitolo Europa” del Viaggio per la Vita. Quello che racconto di seguito è quanto sono riuscito a recuperare dalla narrazione, piena di ammirazione e rispetto, del Subcomandante Moisés.

“C’è una geografia chiamata Cipro. È rotta, cioè a pezzi. Ci sono ciprioti, ci sono greco-ciprioti e ci sono turco-ciprioti e non ricordo quante altre persone hanno il cognome cipriota. I capitalisti hanno diviso quella terra, l’hanno fatta a pezzi. E hanno anche fatto a pezzi la loro gente, la loro lingua, la loro storia, la loro cultura. E si scopre che, anche se è una piccola isola, tutti i ricchi la vogliono e, come fanno sempre, se la dividono, ma ciascuna parte vuole la parte dell’altro. In altre parole, in mezzo ai potenti e alle loro guerre c’è il popolo.

Bene, allora c’è una squadra di calcio in quella geografia chiamata Cipro. Hanno buoni giocatori e sono professionisti. Il loro lavoro è giocare a calcio. Ma stanno perdendo diverse partite e si incontrano per analizzare e dicono che stanno perdendo perché la strategia delle partite è sbagliata. Vanno a dire al proprietario della squadra, cioè al capo, che stanno perdendo per questo, che hanno pensato ad una strategia migliore e così vinceranno più partite.

Il capo, cioè il proprietario della squadra, li guarda con disprezzo e dice loro: “vincete o perdete come mi fa comodo. A volte mi conviene che perdiate ed è così che andrà avanti”.

I giocatori sanno giocare molto bene, ma hanno anche un buon cuore. Quindi, come si suol dire, si ribellano. Si chiama resistenza e ribellione, ma nella loro lingua. E mandano al diavolo il proprietario della squadra, cioè il capo. Quindi creano la propria squadra di calcio. Si organizzano e fanno il loro stadio. Quella terra è divisa, così in mezzo nella “terra di nessuno” fanno il loro stadio e poi invitano chiunque voglia a giocare e allenarsi. Gli altri gruppi e collettivi che lottano li sostengono e sono ben organizzati. Non importa se sei cipriota, greco-cipriota, turco-cipriota o cipriotanonsoché. Non c’è alcun costo, è volontario ciò che ogni persona vuole dare. Quindi, come si suol dire, i soldi non sono ciò che conta. Quindi di tanto in tanto ci sono le partite e non ci sono divisioni di nazionalità, né religioni, né bandiere, c’è solo il calcio. Ed è come una festa.

In altre parole, come si suol dire, quei fratelli hanno infranto quei confini che i padroni e i proprietari avevano stabilito.

“È come se avessero fatto il loro caracol. Hanno un caracol di calcio! Ho detto loro che vediamo quando potremo fare una partita di calcio lì nella loro terra o qui nella terra di nessuno“, dice il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce delle comunità zapatiste, capo dell’EZLN e coordinatore del Viaggio per la Vita.

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Bene. Saluti e che i giochi, come i tornei, non siano una competizione ma piuttosto pretesti per convivere tra diversi.

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Messico, novembre 2023. 40, 30, 20, 10, 2 anni dopo.

Musica: «Somos Sur», interpretada da Ana Tijoux e Shadia Mansour
Immagini della partita di calcio tra la squadra Ixchel-Ramona e le sorelle nemiche italiane giocata nella geografia che si chiama Roma, Italia, a novembre del 2021. Striscioni delle mobilitazione dei popoli zapatisti contro le guerre nel 2022. Tercios Compas. Copyleft novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/23/treceava-parte-dos-partidos-de-futbol-y-una-misma-rebeldia-el-futbol-es-la-continuacion-de-la-politica-por-otros-medios/

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Dodicesima parte: Frammenti.
Frammenti di una lettera del Subcomandante Insurgente Moisés inviata qualche mese fa a una geografia lontana ma vicina nel pensiero:

Commissione Sexta Zapatista.
Messico.

Aprile 2023

(…)

Perché allora sarebbe un po’ come se, di fronte alla terribile tormenta che già si abbatte su ogni angolo del pianeta, anche su chi si credeva al sicuro da ogni male, non vedessimo la tormenta.

Voglio dire, non vediamo solo la tormenta e la distruzione, la morte e il dolore che porta con sé. Vediamo anche cosa verrà dopo. Vogliamo essere il seme di una futura radice che non vedremo, che sarà poi a sua volta l’erba che neanche noi vedremo.

La vocazione zapatista, se qualcuno ci spinge a una definizione laconica, è dunque “essere un buon seme”.

Non intendiamo trasmettere alle prossime generazioni una concezione del mondo. Non lasciare in eredità le nostre miserie, i nostri risentimenti, il nostro dolore, le nostre fobie o le nostre passioni. Né che siano lo specchio dell’immagine più o meno approssimativa di ciò che riteniamo buono o cattivo.

Ciò che vogliamo è trasmettere la vita. Ciò che ne faranno le altre generazioni sarà una loro decisione e, soprattutto, una loro responsabilità. Proprio come noi abbiamo ereditato la vita dai nostri antenati, abbiamo preso ciò che abbiamo ritenuto prezioso e ci siamo assegnati un compito. E, naturalmente, ci siamo assunti la responsabilità delle decisioni che abbiamo preso, di ciò che abbiamo fatto per portare a termine tale compito e delle conseguenze delle nostre azioni e omissioni.

Quando affermiamo che “Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo”, ci allontaniamo definitivamente e irrimediabilmente dalle concezioni politiche attuali e precedenti. Il mondo che vediamo non è perfetto, nemmeno lontanamente. Ma è meglio, senza dubbio. Un mondo dove ognuno è quello che è, senza vergogna, senza essere perseguitato, mutilato, imprigionato, assassinato, emarginato, oppresso.

Come si chiamerà questo mondo? Quale sistema lo sosterrà o dominerà? Ebbene, questo lo decideranno, o no, coloro che vi vivranno.

Un mondo in cui il desiderio di egemonizzare e omogeneizzare impari da ciò che questo ha causato in questo e in altri tempi, e fallisca in quel mondo a venire.

Un mondo in cui l’umanità non è definita dall’uguaglianza (che non fa altro che nascondere la segregazione di coloro che “non sono uguali”), ma dalla differenza.

Un mondo dove la differenza non viene perseguitata, ma celebrata. Un mondo in cui le storie raccontate non sono quelle di chi vince, perché non vince nessuno.

Un mondo dove le storie che si raccontano, sia nell’intimità, sia nelle arti, sia nella cultura, sono come quelle che ci raccontavano le nostre nonne e i nostri nonni, e che insegnano non chi ha vinto, perché nessuno ha vinto e, quindi nessuno ha perso.

Quelle storie che ci hanno permesso di immaginare cose terribili e meravigliose e in cui, tra la pioggia e l’odore di mais, caffè e tabacco, abbiamo potuto immaginare un mondo incompleto, sì, anche goffo, ma molto migliore del mondo che conosciamo. I nostri antenati e i nostri contemporanei hanno sofferto e soffrono.

Non intendiamo lasciare in eredità leggi, manuali, visioni del mondo, catechismi, regole, percorsi, mete, passi, imprese, che, a ben guardare, è ciò a cui aspirano quasi tutte le proposte politiche.

Il nostro obiettivo è più semplice e terribilmente più difficile: lasciare in eredità la vita.

(…)

Perché vediamo che questa terribile tormenta, i cui primi temporali e piogge stanno già colpendo l’intero pianeta, sta arrivando molto rapidamente e con molta forza. Quindi non vediamo l’immediato. Oppure sì, ma secondo quello che vediamo a lungo termine. La nostra realtà immediata è definita secondo due realtà: una di morte e distruzione che farà emergere il peggio degli esseri umani, indipendentemente dalla loro classe sociale, colore, razza, cultura, geografia, lingua, dimensione; e un’altra di ricominciare dalle macerie di un sistema che ha fatto quello che sa fare meglio, cioè distruggere.

Perché diciamo che all’incubo che già c’è e che non potrà che peggiorare, seguirà un risveglio? Ebbene, perché c’è chi, come noi, è determinato a considerare questa possibilità. Minima, vero. Ma ogni giorno e a tutte le ore, ovunque, lottiamo affinché questa minima possibilità cresca e, sebbene piccola e senza importanza – come un minuscolo seme – cresca e, un giorno, sia l’albero della vita che sarà di tutti i colori, o non lo sarà affatto.

Non siamo gli unici. In questi 30 anni ci siamo sommati a tanti mondi. Diversi nei modi, nei tempi, nelle geografie, nelle proprie storie, nei calendari. Ma uguali nella fatica e nello sguardo assurdo posato su un tempo intempestivo che verrà, non per destino, non per disegno divino, non perché qualcuno perda affinché qualcun altro vinca. No, sarà perché stiamo lavorando, lottando, vivendo e morendo per questo.

E ci sarà un prato, e ci saranno fiori, e alberi, e fiumi, e animali di ogni specie. E ci sarà un prato perché ci saranno le radici. E ci sarà una bambina, un bambino, un bambin@ che sarà viva. E verrà il giorno in cui dovrà assumersi la responsabilità della decisione da prendere su cosa fare di quella vita.

Non è questa la libertà?

(…)

E racconteremo loro la storia della donna indigena di radice maya, di più di 40 anni, che cadde decine di volte imparando ad andare su una bicicletta con le ruote da 20. Ma anche che si alzò lo stesso numero di volte ed ora pedala su una bici con le ruote da 24 o 26 e, con questa arriverà alle lezioni sulle piante medicinali.

Del promotore di salute che arriverà in tempo in una comunità isolata e senza strada asfaltata per somministrare il siero antiveleno ad un anziano morso da una vipera nauyaca

Dell’indigena, autorità autonoma che, con la sua nagüa e il suo morraleta, arriverà in tempo all’assemblea di “noi donne” e potrà parlare dell’igiene femminile.

E che, quando non c’erano veicoli, benzina, autisti o strade transitabili, la salute, nella misura del nostro sviluppo e possibilità, arriverà in una capanna in un angolo della Selva Lacandona.

Una capanna dove, attorno a un fuoco, sotto la pioggia e senza luce elettrica, arriverà, in bicicletta, la promotrice di educazione e, tra l’odore di mais cotto, caffè e tabacco, ascolterà una storia terribile e meravigliosa, raccontata dalla voce e lingua di un’anziana. Ed in quella storia si parlerà del Votán che non era uomo né donna né otroa. E che non era uno, bensì molti. E sentirà che dirà: “questo siamo, Votán, guardiano e cuore del popolo”.

E che, ormai a scuola, quella promotrice di educazione racconterà ai bambini e le bambine zapatisti quella storia. Beh, piuttosto la versione che farà di quello che ricorderà di aver sentito, perché non si sentiva molto a causa del rumore della pioggia e della voce spenta della donna che raccontava la storia.

E della “cumbia della bicicletta” che qualche gruppo musicale giovanile creerà e che ci solleverà tutti dal sentire per l’ennesima volta “la cumbia del sapito”.

E i nostri morti, ai quali dobbiamo onore e vita, forse diranno “ebbene, siamo finalmente entrati nell’era della ruota”. E di notte guarderanno il cielo stellato, senza nuvole, e diranno “Biciclette! Da lì si arriverà alle astronavi”. E rideranno, lo so. E qualcuno vivo accenderà un registratore e si sentirà una cumbia che tutti noi, vivi e morti, speriamo non sia “la del moño colorado”.

(…)

Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome dei bambini, bambine, uomini, donne e otroas zapatisti.
Subcomandante Insurgente Moisés
Coordinatore Generale della “Gira por la Vida”.
Messico, aprile 2023”

Questi frammenti sono presi dall’originale con le autorizzazioni del mittente e della destinataria.

In fede.

El Capitán.
Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/21/duodecima-parte-fragmentos-fragmentos-de-una-carta-del-subcomandante-insurgente-moises-enviada-hara-hace-algunos-meses-a-una-geografia-lejana-en-distancia-y-cercana-en-pensamiento/

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Undicesima Parte: Intanto, nelle montagne del sudest messicano…..

Produzione Los Tercios Compas. Montagne del Sudest Messicano. Copyright novembre 2023
With a Little Help from My Friends, Lennon y McCartney. Versione di Joe Cocker https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/17/mientras-tanto-en-las-montanas-del-sureste-mexicano/

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Decima Parte: Di Piramidi e loro usi e costumi.

Conclusioni dall’analisi critica di MAREZ e JBG.

(Frammento dell’intervista al Subcomandante Insurgente Moisés di agosto-settembre 2023 nelle montagne del Sudest Messicano)

Novembre 2023

Introduzione

Tebe dalle Sette Porte, chi la costruì? Ci sono i nomi dei re, dentro i libri. Son stati i re a trascinarli, quei blocchi di pietra? E Babilonia distrutta tante volte, chi altrettante la riedificò? In quali case, della Lima lucente d’oro, abitavano i suoi costruttori? Dove andarono i muratori, la sera che fu terminata la Grande Muraglia? Roma la grande è piena d’archi di trionfo. Chi li costruì?

Bertold Brecht.

È nota l’ossessione che i sistemi dominanti hanno avuto, nel corso della loro storia, nel salvare l’immagine delle classi o caste dominanti sconfitte. Come se il vincitore si preoccupasse di neutralizzare l’immagine dello sconfitto: ovviare la sua caduta. Nello studio dei resti della civiltà o della cultura sconfitta, l’accento è solitamente posto sui grandi palazzi dei sovrani, sugli edifici religiosi dell’alta gerarchia e sulle statue o monumenti che i popoli dominanti di quel tempo facevano a se stessi.

Non sempre con genuino interesse antropologico o archeologico (non è la stessa cosa), ad esempio, si studiano le piramidi. Il loro senso architettonico-religioso – a volte anche scientifico – e quello che gli opuscoli turistici (e i programmi politici di tutto lo spettro) chiamano “lo splendore del passato”.

È naturale che i diversi governi si fissino e, non senza sospirianelanti, si concentrino su re e regine. I grandi palazzi e le piramidi possono essere indicati come riferimenti del progresso scientifico di quei tempi, dell’organizzazione sociale e delle cause “del loro sviluppo e declino”, ma nessun sovrano ama vedere il suo futuro riflesso nel passato. Ecco perché stravolgono la storia passata ed è possibile riprogrammare fondamenti di città, imperi e “trasformazioni”. Così, senza rendercene conto, ogni selfie scattato nei siti archeologici nasconde più di quanto mostri. Lassù in alto, il vincitore di oggi sarà lo sconfitto di domani.

Ma, se non si dice che queste costruzioni devono aver avuto coloro che le hanno progettate – i loro architetti, ingegneri e artisti -, tanto meno si fa riferimento alla “manodopera”, cioè agli uomini e alle donne sulle cui spalle (in più di un senso) sono state costruite quelle meraviglie che stupiscono i turisti di tutto il mondo, che passano il tempo poi in discoteca, al centro commerciale e in spiaggia.

Da lì a ignorare che i discendenti di quella “manodopera” siano vivi e attivi, con lingua e cultura, il passo è breve. Gli indigeni che costruirono, ad esempio, le piramidi di Teotihuacán e della zona Maya nel sudest messicano, esistono (cioè resistono) e, talvolta, aggiungono alla loro resistenza quella componente sovversiva che è la ribellione.

Nel caso del Messico, i diversi governi preferiscono gli indigeni come artigianato vivente e, talvolta, come pura coreografia. L’attuale governo non rappresenta alcun cambiamento in questo (beh, non solo in questo, ma non è questo il tema). I popoli nativi continuano ad essere oggetto di elemosina (l’aspirina dei furfanti), di bottino elettorale, di curiosità artigianale e di via di fuga per chi amministra la distruzione in corso: “Distruggerò la tua vita, cioè il tuo territorio; ma non preoccuparti, preserverò le piramidi di coloro che sfruttarono i tuoi antenati e quelle cose divertenti di cui parli, ti vesti e fai”.

Ciò premesso, questa “immagine” della piramide – il vertice stretto superiore e la base larga inferiore – viene ora utilizzata dal Subcomandante Insurgente Moisés per spiegarci qualcosa dell’analisi (feroce e implacabile, a mio avviso) del lavoro dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo.

El Capitán

Un po’ di storia, non molto, solo 30 anni.

I MAREZ e le Giunte di Buon Governo non erano tutto male. Dobbiamo ricordare come li abbiamo raggiunti. Per i popoli zapatisti erano una scuola di alfabetizzazione politica. Un’autoalfabetizzazione.

La maggior parte di noi non sapeva leggere, scrivere o parlare spagnolo. Ma parliamo lingue diverse. Questo è stato un bene, perché le nostre idee e la nostra pratica non venivano da fuori, ma piuttosto dovevamo cercare nella nostra testa, nella nostra storia di indigeni, a modo nostro.

Non avevamo mai avuto l’opportunità di governarci da soli. Siamo sempre stati governati. Ancor prima di quello spagnolo, l’impero azteco, che l’attuale governo ama moltissimo – credo perché gli piacciono i prepotenti – opprimeva molte lingue e culture. Non solo in quello che oggi è il Messico, anche in quello che oggi è il Centroamerica.

La situazione in cui ci trovavamo era di morte e disperazione. Ci hanno chiuso tutto. Non c’erano porte, né finestre, né crepe. Come se volessero farci soffocare. Allora, come si suol dire, abbiamo dovuto aprire una crepa in quel muro che ci rinchiudeva e ci condannava. Come se tutto fosse oscurità e con il nostro sangue accendessimo una piccola luce. Questa è stata la sollevazione zapatista, una piccola luce nella notte più buia.

Poi è successo che molte persone hanno chiesto un cessate il fuoco, che dovevamo parlare. I cittadini sanno già queste cose. A molti di loro è successa la stessa cosa che a noi: i malgoverni tradiscono sempre. Non compiono il loro dovere perché i governi sono i principali oppressori. Quindi dovevamo scegliere se aspettare che un giorno facessero il loro dovere, o cercare da noi. E abbiamo scelto di cercare la nostra strada.

E beh, dovevamo organizzarci per questo. Ci siamo organizzati e preparati per 10 anni a prendere le armi, a morire e uccidere. Poi si scopre che dovevamo organizzarci per vivere. E vivere è libertà. E giustizia. E riuscire a governarci come persone, non come infanti come ci vedono i governi.

È lì che ci è venuto in mente che dovevamo creare un governo che obbedisse. In altre parole, non fare quello che voleva, ma rispettare quello che dice il popolo. In altre parole, “comandare obbedendo”, che è la parola che gli svergognati di oggi plagiano (cioè, non plagiano solo le tesi. Nota della redazione).

Quindi con i municipi autonomi abbiamo imparato che potevamo governarci da soli. E questo è stato possibile perché molte persone ci hanno sostenuto senza alcun interesse nel trovare la strada della vita. Cioè, quelle persone non sono venute per ricavarne qualcosa – come quelli che immagino tu descriva agli altri quando parli dei 30 anni -, ma davvero si sono impegnati per un progetto di vita. E c’è chi voleva dirci come dovevamo fare. Ma non abbiamo preso le armi per cambiare padrone. Non esiste un padrone buono. Ma c’erano altre persone che rispettavano i nostri pensieri, il nostro modo.

Il valore della parola.

Quando riceviamo questo appoggio, per noi è un impegno. Se diciamo che abbiamo bisogno di aiuto per fare scuole e cliniche, per preparare promotori di salute e di educazione, per esempio, dobbiamo rispettare l’impegno. Cioè, non possiamo dire che l’aiuto è per una cosa e poi lo usiamo per un’altra. Dovevamo e dobbiamo essere onesti, perché quelle persone non vengono a sfruttarci, ma a darci coraggio. Così lo intendevamo.

Dobbiamo quindi sopportare gli attacchi e le stronzate dei malgoverni, degli agricoltori, delle grandi aziende, che si sforzano di metterci alla prova per vedere se resistiamo o è facile per noi cadere nella provocazione per accusarci di dire bugie, che vogliamo anche Potere e soldi. Il Potere è come una malattia che ammazza le buone idee e corrompe, fa ammalare le persone. Una persona sembra buona, ma con il Potere impazzisce. O forse già era pazza e il Potere le ha scoperto il cuore.

Quindi pensiamo che dobbiamo organizzare, ad esempio, la nostra salute. Perché ovviamente abbiamo visto e vediamo che quello che fa il governo è una grande menzogna che serve solo a rubare e non gli importa che le persone muoiano, soprattutto se sono indigene.

Ed è successo che, quando abbiamo fatto quella crepa nel sistema e guardato fuori, abbiamo visto tante cose. Ma anche molte persone ci hanno visto. E tra quelle persone c’è chi ci ha guardato e ha corso il rischio di aiutarci e sostenerci. Perché cosa succede se siamo bugiardi e non facciamo quello che diciamo? Ma ehi, hanno corso un rischio e ci hanno impegnati.

Guarda, là fuori, nelle città, la parola non vale. Possono dire una cosa in un momento, e un minuto dopo dire il contrario come se nulla fosse. C’è, ad esempio, quello della “mañanera[conferenza stampa mattutina del presidente Obrador – n.d.t.], cioè un giorno dice una cosa e l’altro il contrario. Ma, siccome paga, lo applaudono e sono contenti perché fa loro un’elemosina che non viene nemmeno dal suo lavoro, ma da quello che i lavoratori danno ai governi con le tasse, che sono come il “pizzo” della criminalità disorganizzata.

Quindi queste persone ci sostengono e iniziamo poco a poco con la medicina preventiva. Dato che avevamo già recuperato le terre, abbiamo migliorato la nostra alimentazione, ma serviva di più. Più sanità. Dovevamo recuperare la conoscenza erboristica, ma non bastava, serviva anche la scienza. E grazie alle/ai medici, che noi chiamiamo “fratelli”, perché sono come nostri fratelli, che si sono adattati e ci hanno guidato. Così sono nati o si sono formati i primi formatori di Salute, cioè coloro che preparano i promotori.

E anche l’educazione, soprattutto la lingua castigliana. Perché per noi lo spagnolo è molto importante perché è come il ponte attraverso il quale possiamo comunicare e capirci tra lingue diverse. Ad esempio, se parli tzeltal, avrai difficoltà a comunicare con la lingua cho’ol, o tzotzil, o tojolabal, o zoque, o mame, o quiché. Quindi devi imparare lo spagnolo. E le scuole autonome sono molto importanti per questo. Ad esempio, la nostra generazione parla la sua lingua combinata con lo spagnolo, cioè parliamo strano. Ma le giovani generazioni che hanno studiato nelle scuole autonome conoscono il castigliano meglio di alcuni cittadini. Il compianto SupMarcos diceva che questi giovani possono correggere gli scritti degli universitari. Mentre prima, per fare una denuncia, dovevi andare dalla Comandancia per scriverla, poi non più. In ogni autorità autonoma c’era uno scrivano e, beh, ha funzionato.

Quindi un tipo di progresso ne spinge un altro. E subito dopo, questi giovani volevano di più, saperne di più. Quindi abbiamo organizzato la nostra salute in ogni città, in ogni regione e zona. Abbiamo progredito in ogni settore della salute, ostetricia, piante medicinali, ortopedia, laboratori, dentisti, ultrasuoni, tra gli altri settori, ci sono cliniche. E lo stesso nella scuola, cioè nell’educazione. Diciamo scuola, perché anche a noi adulti manca l’educazione, per noi è molto ampia l’educazione, non solo quella dei bambini e degli adolescenti.

Inoltre abbiamo organizzato il lavoro produttivo perché disponiamo ormai dei terreni che prima erano in mano ai latifondisti. E così lavoriamo come famiglia e come collettivo nei campi di mais, di fagioli, di caffè, negli orti e nelle fattorie. E un po’ di bestiame, che viene utilizzato più per le emergenze economiche che per le feste. Il lavoro collettivo ha permesso l’indipendenza economica dei compagni e questo ha portato molte altre cose. Ma di questo si è già parlato.

Una scuola.

Cioè, abbiamo imparato a governarci da soli e così siamo riusciti a mettere da parte i malgoverni e le organizzazioni che si dicono di sinistra, progressiste e non so che. 30 anni imparando cosa significa essere autonomi, cioè ci auto-dirigiamo, ci auto-governiamo. E non è stato facile, perché tutti i governi che sono passati dal PRI, PAN, PRD, PT, VERDE e MORENA, non hanno mai smesso di tentare di distruggerci. Per questo, come i governi passati, questo ha detto che siamo ormai scomparsi, o che siamo fuggiti, o che siamo sconfitti, o che non c’è più niente di zapatista, che siamo scappati negli Stati Uniti o in Guatemala. Ma vedete, eccoci qui. In resistenza e ribellione.

E la cosa più importante che abbiamo imparato con i MAREZ è che l’autonomia non è una questione di teoria, di scrivere libri o fare discorsi. Va fatta. E dobbiamo farla da noi come comunità, e non aspettare che qualcuno venga a farla per noi.

Tutto questo è, diciamo, il buono dei MAREZ: una scuola di autonomia nella pratica.

E anche le Giunte di Buon Governo sono state molto importanti perché con queste abbiamo imparato a scambiare idee sulle lotte con altri fratelli del Messico e del mondo, dove abbiamo visto del giusto l’abbiamo accolto e dove abbiamo visto che non lo era, l’abbiamo scartato. Alcuni ci dicono che dobbiamo obbedire. Perché mai? Abbiamo messo in gioco la nostra vita. Cioè, il nostro sangue e quello delle generazioni di prima e di quelle che verranno. Nessuno ci deve venire a dire cosa fare, anche se si credono molto esperti. Con le JBG abbiamo imparato a incontrarci e organizzarci, a pensare, a opinare, a proporre, a discutere, a studiare, ad analizzare e a decidere da noi stessi.

Quindi, in sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera. La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così.

La Piramide.

Ora arriva il brutto. O più che il brutto, ciò che ha dimostrato di non essere più utile per ciò che verrà. Oltre ai difetti intrinseci. Racconteremo come tutto questo è iniziato.

Il problema principale è quella dannata piramide. La piramide separava le autorità dalle comunità, comunità e autorità si allontanavano. Le proposte delle autorità non arrivano così come erano alla comunità, né le opinioni della comunità arrivavano alle autorità.

A causa della piramide venivano tagliate molte informazioni, linee guida, suggerimenti, supporto delle idee che i colleghi del CCRI spiegavano. La Giunta di Buon Governo non trasmetteva integralmente e la stessa cosa succedeva con le Autorità dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, e di nuovo si ripeteva quando i MAREZ informavano le assemblee di autorità delle comunità e per ultimo così succedeva con le autorità delle comunità quando riferivano ad ogni villaggio. Avvenivano molti tagli di informazione o interpretazioni, o entrambi che non corrispondevano all’originale.

Si sono fatti anche molti sforzi nella formazione delle autorità che ogni 3 anni turnavano. Ma le autorità delle comunità non si preparavano in tempo. Quindi, non si realizzava la turnazione. Lo chiamavamo “Collettivo di governo” ma non funzionava bene, poche volte funzionava ed era più quello che non andava che quello che andava, tanto nei MAREZ che nelle JBG.

Si stava cadendo nel voler decidere da parte delle autorità le faccende e le prese di decisioni, come MAREZ e JBG. Volevano mettere da parte i 7 principi del comandare obbedendo.

Ci sono state anche delle ONG che volevano che fossero accettati dei lor progetti nella JBG e nel MAREZ che non erano ciò di cui la comunità aveva bisogno. O persone in visita che facevano amicizia con qualche famiglia o comunità e solo a queste inviavano aiuti. E alcuni visitatori volevano addirittura comandarci e trattarci come loro servi. Così, con grande gentilezza abbiamo dovuto ricordare loro che siamo zapatisti.

In alcuni MAREZ e JBG c’è stata anche una cattiva amministrazione delle risorse della comunità e, naturalmente, sono stati sanzionati.

In sintesi, si è visto che la struttura per come si governava, una piramide, non è la strada giusta. Non viene dal basso, ma viene dall’alto.

Se lo zapatismo fosse solo l’EZLN, sarebbe facile dare ordini. Ma il governo deve essere civile, non militare. Poi le persone devono trovare la loro strada, il loro modo e il loro tempo. Dove e quando cosa. L’esercito dovrebbe essere solo per la difesa. La piramide può essere utile per scopi militari, ma non per scopi civili. Questo è ciò che crediamo.

Un’altra volta racconteremo com’è la situazione qui in Chiapas. Ora diciamo solo che è come altrove. È peggiorata degli ultimi anni. Adesso ti uccidono in casa, per strada, nei villaggi. E non esiste un governo che ascolti le richieste della gente. E non fanno nulla perché sono loro stessi i criminali.

Non solo questo. Abbiamo già detto che vediamo tante disgrazie che stanno per arrivare o che sono già arrivate. Se vedi che sta per piovere o che stanno cadendo le prime gocce e il cielo è nero come l’anima di un politico, allora tiri fuori la cerata e cerchi un riparo. Il problema è che non c’è nessun posto dove ripararsi. Devi costruire il tuo rifugio.

Il fatto è che abbiamo visto che con MAREZ e JBG non saremmo stati in grado di affrontare la tempesta. Abbiamo bisogno che la Dení cresca e viva e che tutte le altre sette generazioni nascano e vivano.

Per tutto questo e altro, siamo entrati in una fase di grandi riflessioni e siamo giunti alla conclusione che serviva una grande discussione e analisi con tutte le comunità per trovare il modo di affrontare la nuova e brutta situazione e contemporaneamente trovare come continuare a governarci. Si sono svolte riunioni e assemblee, zona per zona, finché non si è raggiunto l’accordo che non ci saranno più state le Giunte di Buon Governo né i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti. E che avevamo bisogno di una nuova struttura, cioè di sistemarci in un altro modo.

Naturalmente questa proposta non riguarda solo la riorganizzazione. È anche una nuova iniziativa. Una nuova sfida. Ma lo diremo più avanti.

Quindi in generale, per farla breve, i MAREZ e le JBG sono stati molto utili in quella fase. Ma c’è un altro passaggio e quei vestiti sono oramai troppo corti, laceri, e anche se li rammendi non servono più. Perché arriverà il momento in cui avrai addosso solo brandelli di tessuto.

Quindi quello che abbiamo fatto è stato tagliare la piramide. Abbiamo tagliata la punta. O meglio, l’abbiamo capovolta.

Celebrare il passato o il futuro?

Dobbiamo continuare a camminare e in mezzo alla tempesta. Ci siamo già trovati a camminare con tutto contro di noi.

I prossimi dicembre e gennaio non celebreremo i 30 anni della sollevazione. Per noi ogni giorno è una festa, perché siamo vivi e lottiamo.

Celebreremo l’inizio di un percorso che durerà almeno 120 anni, forse più. Siamo sulla breccia da 500 anni, quindi non manca molto, solo poco più di un secolo. È, come dice José Alfredo Jiménez, “appena dietro la collina”.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

(Frammento dell’intervista realizzata dal Capitán Marcos, per i Tercios Compas. Copyright Messico, novembre 2023. Autorizzazione della JBG… ah wow, ma non ci sono più le Giunte… beh, dei MAREZ… beh, neanche… Beh, il fatto è che è autorizzato. L’intervista è stata condotta alla vecchia maniera, cioè come facevano i giornalisti, con taccuino e penna. Adesso non vanno nemmeno sul posto a cercare la notizia, la prendono dai social. Sì, è un peccato).

In Fede.

El capitán, che balla la cumbia “Sopa de Caracol”. Accidenti al fango!

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/14/decima-parte-acerca-de-las-piramides-y-sus-usos-y-costumbres-conclusiones-del-analisis-critico-de-marez-y-jbg-fragmento-de-la-entrevista-hecha-al-subcomandante-insurgente-moises-en-los-meses-de-ag/

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Nona parte: La Nuova Struttura dell’Autonomia Zapatista

Novembre 2023

Fratelli e sorelle, compagni e compagne:

Cercherò di spiegarvi come abbiamo riorganizzato l’autonomia, cioè la nuova struttura dell’autonomia zapatista. Spiegherò più avanti in modo più dettagliato. O forse non mi spiegherò oltre, perché ciò che conta è la pratica. Naturalmente potete anche venire all’anniversario e assistere alle rappresentazioni teatrali, le canzoni, le poesie, l’arte e la cultura di questa nuova fase della nostra lotta. In caso contrario, i Tercios Compas vi invieranno foto e video. In un altro momento vi dirò cosa abbiamo visto di buono e di male nella valutazione critica dei MAREZ e JBG. Ora vi dirò solo come è. Vai:

Primo. – La base principale, che non è solo il luogo in cui si sostiene l’autonomia, ma anche senza la quale le altre strutture non possono funzionare, è il Governo Autonomo Locale, GAL. Esiste un GAL in ogni comunità dove ci sono basi di appoggio zapatiste. I GAL zapatisti sono il nucleo di ogni autonomia. Sono coordinati da agenti e commissari autonomi e sono soggetti all’assemblea del villaggio, ranchería, comunità, luogo, quartiere, ejido, colonia o come si chiami ciascuna comunità. Ogni GAL controlla le proprie risorse organizzative autonome (come scuole e cliniche) e i rapporti con le vicine comunità sorelle non zapatiste. E controlla il corretto utilizzo dei soldi. Rileva e segnala inoltre cattiva gestione, corruzione ed errori che potrebbero verificarsi. E vigila su coloro che vogliano spacciarsi per autorità zapatiste per chiedere appoggi o aiuti da utilizzare a proprio beneficio.

Quindi, se prima esisteva qualche decina di MAREZ, cioè i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, ora ci sono migliaia di GAL zapatisti.

Secondo. – A seconda delle necessità, dei problemi e dei progressi, i diversi GAL si riuniscono nei Collettivi di Governo Autonomo Zapatista, CGAZ, dove si discutono e si stipulano accordi su questioni che interessano i GAL convocanti. Quando lo decide, il Collettivo dei Governi Autonomi convoca un’assemblea delle autorità di ciascuna comunità. Qui vengono proposti, discussi e approvati o respinti i piani e i bisogni riguardo a Sanità, Educazione, Agroecologia, Giustizia, Commercio e quelli necessari. A livello CGAZ ci sono i coordinatori di ciascuna area. Non sono autorità. Il loro compito è vigilare sullo svolgimento dei compiti richiesti dai GAL o necessari per la vita comunitaria. Come ad esempio: campagne di medicina preventiva e di vaccinazione, campagne per le malattie endemiche, corsi e formazione specialistica (come tecnici di laboratorio, radiografie, ecografie, mammografie e quello che c’è da imparare), alfabetizzazione e livelli superiori, eventi sportivi e culturali, feste tradizionali, ecc. Ogni regione o CGAZ ha i suoi direttivi che sono quelli che convocano le assemblee se c’è un problema urgente o che coinvolge più comunità.

Vale a dire che dove prima c’erano 12 Giunte di Buon Governo, ora ce ne saranno centinaia.

Terzo. – Seguono poi le Assemblee dei Collettivi dei Governi Autonomi Zapatisti, ACGAZ. Che sono quelle che prima erano conosciute come zone. Non hanno autorità, ma dipendono dai CGAZ. Ed i CGAZ dipendono dai GAL. La ACGAZ convoca e presiede le assemblee di zona, quando necessario secondo le richieste dei GAL e dei CGAZ. Hanno sede nei Caracol ma si spostano da una regione all’altra. In altre parole, sono mobili, a seconda delle richieste specifiche delle comunità.

Quarto. – Come si potrà vedere nella pratica, il Comando e Coordinamento dell’Autonomia si è trasferito dalle JBG e MAREZ ai villaggi e comunità, ai GAL. Le zone (ACGAZ) e le regioni (CGAZ) sono comandati dalle comunità, devono rendere conto alle comunità e cercare il modo di soddisfare i loro bisogni riguardo a Salute, Educazione, Giustizia, Alimentazione e quelli che sorgono in caso di emergenze a causa di disastri naturali, pandemie, crimini, invasioni, guerre e altre disgrazie che il sistema capitalista porta con sé.

Quinto. – La struttura e la disposizione dell’EZLN sono state riorganizzate per aumentare la difesa e la sicurezza delle popolazioni e della madre terra in caso di aggressioni, attentati, epidemie, invasione di imprese depredatrici della natura, occupazioni militari parziali o totali, disastri naturali e guerre nucleari. Ci siamo preparati affinché i nostri popoli sopravvivano, anche isolati gli uni dagli altri.

Sesto. – Capiamo che abbiate difficoltà ad assimilare tutto questo. E che ci vorrà un bel po’ di tempo per capirlo. A noi ci sono voluti 10 anni per pensarlo e di questi 10 anni, 3 per predisporlo a metterlo in pratica.

Comprendiamo anche che vi sentiate confusi. Ecco perché è necessario cambiare il vostro canale di comprensione. Solo guardando molto lontano, avanti e indietro, si può comprendere il passaggio attuale.

Ci auguriamo che comprenderete che è una struttura nuova di autonomia, che stiamo imparando, e che ci vorrà un po’ perché proceda bene.

In realtà questo comunicato ha solo l’intenzione di dirvi che l’autonomia zapatista continua e avanza, che pensiamo sia meglio per i villaggi, le comunità, i luoghi, i quartieri, le colonie, gli ejidos e le rancherías dove vivono, cioè dove lottano le basi di appoggio zapatiste. E questa è stata una loro decisione, tenendo conto delle loro idee e proposte, delle loro critiche e autocritiche.

Inoltre, come si vedrà, questa nuova fase dell’autonomia è fatta per affrontare il peggio dell’Idra, la sua bestialità più infame e la sua follia distruttiva. Le loro guerre e invasioni affaristiche e militari.

Per noi non esistono frontiere né geografie lontane. Tutto ciò che accade in qualunque angolo del pianeta ci colpisce e ci coinvolge, ci preoccupa e ci ferisce. Nella misura delle nostre pochissime forze, sosterremo gli esseri umani in difficoltà indipendentemente dal loro colore, razza, nazionalità, credo, ideologia e lingua. Anche se non conosciamo molte lingue né comprendiamo molte culture e modi, sappiamo comprendere la sofferenza, il dolore, la tristezza e la rabbia degna che il sistema provoca.

Sappiamo leggere e ascoltare i cuori fratelli. Continueremo a cercare di imparare da loro, dalle loro storie e dalle loro lotte. Non solo perché ne soffriamo da secoli e sappiamo cosa vuol dire. Anche e soprattutto perché, come da 30 anni, la nostra lotta è per la vita.

Sicuramente abbiamo commesso molti errori in tutti questi anni. Sicuramente ne faremo altri nei prossimi 120 anni. Ma NON ci arrenderemo, NON cambieremo strada, NON ci venderemo. Rivedremo sempre la nostra lotta, i suoi tempi e i suoi modi con occhio critico.

I nostri occhi, le nostre orecchie, la nostra testa e il nostro cuore saranno sempre pronti a imparare da altri che, sebbene diversi in molte cose, hanno le nostre stesse preoccupazioni e desideri simili di democrazia, libertà e giustizia.

E cercheremo sempre il meglio per la nostra gente e per le nostre comunità sorelle.

Siamo zapatisti!

Finché ci sarà anche solo uno, una, unoa zapatista in ogni angolo del pianeta, resisteremo ribellandoci, cioè lotteremo.

Lo vedrete amici e nemici. E pure quelli che non sono né uno né l’altro.

Solo per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Oltre 500, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S.- Qui uno schema per meglio comprendere.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/12/novena-parte-la-nueva-estructura-de-la-autonomia-zapatista/

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Ottava Parte: P.S. CHE BISOGNA LEGGERE PER SAPERE DI COSA SI TRATTA

Novembre 2023

La leggenda narra che, nei tempi in cui il tempo non contava, la pioggia e la notte coprivano la Casa degli Esseri. Poi è andata via la luce. Tutto era buio. Donne, uomini e altri inciampavano e si scontravano tra loro. Per questo motivo discutevano e litigavano tra fratelli e vicini di casa. Non si riconoscevano nemmeno nonostante fossero familiari e conoscenti perché era molto buio. Si litigava parecchio.

I primi dei, coloro che crearono il mondo, erano pigri, sdraiati sulle loro amache i raccontavano pettegolezzi e storie. Ma il chiasso nella Casa degli Esseri li raggiunse. “Cos’è questo chiasso?”, chiese uno. “Chi lo sa”, rispose un altro. Ixmucané, che era la dea madre, disse: “Vediamo di cosa si tratta”, ma quando scese dall’amaca cadde sbattendo a terra la faccia che risultò ammaccata, cioè come se avesse delle crepe. Ixmucané si alzò da terra e non imprecò perché le parolacce non erano ancora state inventate. Si diede una spolverata. Sollevò un poco la gonna e corse verso la Casa degli Esseri.

Gli dei si scambiarono uno sguardo e non dissero niente, ma pensarono “Vuoi vedere che ci batterà una donna?” e scesero dalle loro amache, ma facendo attenzione, e corsero per raggiungere Ixmucané. Ma si scopre che, poiché erano stati pigri, non avevano pulito il loro posto che era tutto un cespuglio. Pieno di acahual (girasole selvatico). Abbondavano tzaw ch´ix (spine), rami secchi, paglia tagliente (che chiamano anche gezau h´ak) e ch´oox tz´an, che è una liana con le spine. Ma corrono e saltano come possono mentre si lamentano, perché non avrebbero permesso di essere battuti da una donna. Arrivarono quindi alla Casa degli Esseri, tutti graffiati ed ammaccati in viso e mani. Ma nessuno vide che erano feriti, perché non c’era luce. Per questo si crede che gli dei non hanno ferite.

Neanche gli dei vedevano niente. Tutto era buio. Solo per il rumore si sapeva che c’era altra gente. “E adesso?”, si domandarono gli dei. Ixmucané non si chiese nulla, ma restò pensierosa. Gli dei maschi erano sempre molto fanfaroni e cominciarono a dire che bisogna andare a cercare legno di ocote. Un altro diceva che bisognava inventare il faretto e la lampada ad olio. Un altro che bisognava catturare un buon numero di lucciole. E così via.

Ixmucané pensò: “Bisogna rimettere la luce. Ma per rimetterla, dobbiamo trovarla. E per trovarla, dobbiamo sapere dove cercarla. E per sapere dove cercarla, dobbiamo sapere che cosa è successo”.

Ixmucané riunì gli uomini, le donne e otroas di mais. Allora c’erano solo uomini, donne e otroas di mais, erano di molti colori e ognuno aveva il suo modo. Non c’erano religioni, né nazioni, né Stati, né partiti politici, né tutto quello che nacque dopo come seme della guerra. Quindi, quando Ixmucané disse “venite fratelli e sorelle”, guidati dalla sua voce arrivarono tutti gli uomini e le donne e anche otroas – perché non si sentivano esclusi -.

Così si riunirono in assemblea. Non si vedevano perché non c’era luce, ma potevano parlare e ascoltarsi.

Ixmucané domandò loro “Che cosa facciamo?”. Gli uomini, le donne e otroas non si vedevano – perché non c’era luce – ma restarono in silenzio. Fino a quando una voce disse “Bene, dicci tu cosa faremo”. Gli applausi non si videro, ma si sentirono bene. Ixmucané rise di gusto e disse “Nemmeno io lo so. Non lo sappiamo, ma forse così riuniti, in assemblea e parlandone, magari usciranno delle idee su cosa fare”. Rimasero tutti in silenzio pensando che cosa fare.

L’unico rumore che si sentiva era il rumore degli dei maschi che litigavano tra loro per dove diavolo era l’ocote, se qualcuno si fosse ricordato di creare le lucciole, che se non toccava a me, che se quello dipendeva da non so chi era da papero [ridicolo – n.d.t.] e cosa è un “papero” se le papere non sono ancora state create. E così via.

Nell’assemblea si parlava e si proponeva cosa fare. Prima erano solo poche voci, poi sempre di più. Poi si dovette stabilire un ordine per parlare e mettere qualcuno a scrivere quanto concordato. Siccome non c’era luce per scrivere né per leggere, c’era solo la parola parlata, nominarono Ixmucané che conserva nella sua testa ciò che viene detto e poi ne parla.

Furono dette molte idee e parole che non ci stavano più nella testa di Ixmucané. Allora cominciò a tenerli tra i capelli e i suoi capelli si allungarono, ecco perché le donne hanno i capelli lunghi. Ma neanche questo bastò, anche se si sistemò i capelli e fu allora che venne inventato il “fermaglio per capelli” che, come indica il nome, significa “afferra idee”. I capelli di Ixmucané toccavano ormai terra e continuavano a parlare idee e parole. Allora Ixmucané cominciò a conservare le idee nelle ferite che si era procurata cadendo con le spine e le liane. Aveva ferite ovunque: in viso, sulle braccia, mani, gambe. Tutto il suo corpo era pieno di ferite cosicché poté conservare tutto. Per questo dicono che le persone anziane, sagge, hanno tante rughe e cicatrici perché hanno molte idee e storie. Cioè, sanno molto.

Vi racconterò un’altra volta quello che decisero in quella prima assemblea nella Casa degli Esseri, ma ora vi dico ciò che disse Ixmucané: “Bene, ora abbiamo un piano per affrontare questo problema. Poiché il mondo sta appena nascendo e stiamo dando un nome a ogni cosa o caso, per non confonderci chiameremo ciò che abbiamo fatto “in comune”, perché tutti partecipiamo: alcuni dando idee, altri che ne propongono altre, e c’è chi parla e c’è chi prende nota di ciò che viene detto”.

Dapprima calò il silenzio. Un silenzio pesante, forte. Poi si sentì un applauso, poi un altro, e poi tutti applaudirono e si sentiva che erano molto contenti. E non si misero a ballare perché non si vedeva un accidente. Ridevano tutti perché avevano trovato una nuova parola che si chiama “in comune” che vuol dire “cercare insieme la strada”. E non la inventarono gli dei primi, quelli che crearono il mondo, ma furono gli uomini, le donne e otroas di mais che, in comune, trovarono la parola, cioè, la strada.

-*-

Ixmucané era la più saggia di tutti gli dei e, siccome fu la prima ad arrivare alla Casa degli Esseri, aveva più ferite, per la caduta e per la corsa tra i girasoli selvatici, e così restò segnata da quelle cicatrici. “Rughe” e “cicatrici”, le chiamarono. Da allora, le rughe e le cicatrici rappresentano la saggezza. Più rughe e cicatrici, più saperi. Chiaro, allora non c’erano i social network e nessuno usava trucchi e modificava le sue foto con le App. Poi succede che vedi la foto del profilo e poi vedi la realtà, e allora vuoi scappare. No, le rughe e le cicatrici erano un orgoglio e non per tutti. Perfino gli uomini e le donne giovani si dipingevano rughe e cicatrici o addirittura si buttavano tra i rovi per graffiarsi in volto con le spine. Perché non contava chi fosse più bella o bello, bensì chi era più saggia o saggio. Invece di “followers” e “likes” si cercava chi aveva più rughe e cicatrici.

Eh, sì.

-*-

Sì, anche io vorrei sapere che cosa accadde con la luce persa. Forse dopo, in un altro poscritto, lo sapremo. Per ora, dobbiamo imparare a camminare e vivere nell’oscurità.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023. 40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/11/octava-parte-p-d-que-hay-que-leer-para-saber-de-que-trata/

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Settima Parte: Uno Scarabeo in Streaming

Novembre 2023

Durito mi ha inoltrato questo che ha ricevuto uno dei suoi milioni (così diceva) di fan:

Aggiunge quanto segue:

Anche se è un dettaglio che abbiano cambiato il colore dal nero al blu, che protegge la mia identità segreta, può darsi che vogliano evitare di pagare i diritti d’autore. Soprattutto per la mia discreta partecipazione allo sciopero della SAG-AFTRA, insieme alla mia ammirata Susan. Ad ogni modo, apprezzo l’umile tributo della HBO al più grande supereroe che il pianeta Terra abbia mai dato alla luce: Io”.

Quasi contemporaneamente mi arriva questo messaggio dal Community Manager di HBO:

«In relazione all’annuncio della programmazione del suddetto film, la HBO chiarisce che non si fa riferimento a Don Durito (DD per questioni legali) né si tratta di un riferimento al prossimo anniversario dell’EZLN. È una semplice coincidenza. HBO ribadisce il suo impegno nei confronti del sistema e sta già adottando misure per punire i responsabili della nostra programmazione per questo deplorevole malinteso. La HBO non fa film, né programma la proiezione di film di veri supereroi, ma solo di quelli di fantasia. E, anticipando le richieste del suddetto DD, avvertiamo che tutta la documentazione che tutela la nostra innocenza è depositata presso il nostro ufficio legale. Non accetteremo richieste superiori a 10 milioni di dollari, anche se saremmo disposti a reindirizzare il risarcimento in Guerrero, purché si tratti di un importo ragionevole che non superi la somma indicata e che non passi attraverso il Congresso dell’Unione del cimitero chiamato Messico. Siamo a vostra disposizione per raggiungere un accordo ragionevole. Cordiali saluti. L’amministratore delegato della HBO».

Penso che la cosa sia andata ormai fuori controllo.

Ora Durito sarà insopportabile. Beh, lo era già, ma ora lo sarà di più.

Dall’ufficio del Rappresentante Artistico di DD (per questioni legali).

El Capitán

Novembre 2023

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/10/septima-parte-un-escarabajo-en-streaming/

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SESTA PARTE:
POSCRITTO CHE CERCA SPERANDO DI TROVARE

Novembre 2023

P.S. CHE DICE QUELLO CHE DICE. – Come disse uno dei defunti Sup: “la storia si ripete due volte: una volta come disgrazia e l’altra pure”. E questo assioma della vita arriva proprio al caso, o cosa, dipende, perché ho ricevuto un pacco con una breve nota. No, non è della SEGALMEX (quelli esportano, non importano). Il pacco ha il timbro postale di “una geografia lontana”, delle lontane Europe. La data è sbiadita, ma si legge il mittente: “Non sono Don Durito de La Lacandona, da non confondere. Sono solo un’entità IA”. Questa frase avrebbe dovuto bastare a mettermi in allerta, ma comunque ho letto il biglietto e ho aperto il pacco. La nota è breve e dice:

Mio caro e mai rimpianto Cyrano: sarò breve e preciso. Vado là in tuo aiuto. Non aspettarmi perché andrò in incognito. Non ho ancora deciso se mi travestirò da nuvola o da Bad Bunny o da Luis Miguel o da Al Pacino. Comunque, qualcosa che mi permetta di passare inosservato, mi capisci. Per ora, e visto che c’è tormenta, ti mando il mio ultimo libro. È tutto. Da un angolo della… Slovenia?… eh, come si chiama questo posto? Cipro? Eh? Penso che metterò “Europa dell’Est”… Eh? Neppure? Ok, allora al diavolo la geografia di sopra: da “The Cardinal Points”. Domicilio noto. Codice postale… Ehi, qual è il codice postale? Eh? 666? Nah, è uno scherzo, vero? No? Qualcuno là fuori può confermare che si tratta di uno scherzo? Hola? Hola? Firma: Durito travestito da IA”.

Sì, lo so. Ma credetemi, quando si tratta di Durito il messaggio è breve e preciso. Il libro in copertina, c’erano dubbi? Ha uno scarabeo… in smoking?!, e il titolo molto rassicurante “Manuale di Sopravvivenza in caso di Collasso Mondiale”. E, più sotto, “Tutto quello che avreste voluto sapere per affrontare la fine del mondo con stile ed eleganza. Progetta l’outfit ideale per la fine dei tempi. Sii la sensazione nell’Apocalisse. Sììì!”

Il libro in questione ha solo una pagina bianca e un poscritto perduto in un angolo: “CERCATE CHI GIÀ VIVE L’INFERNO CHE ASPETTA TUTTI. CERCATE CHI CERCA”.

P.S. PER LE CERCATRICI. – Prima di loro, si sapeva solo, per esempio, delle signore del FNCR. Ma poi ne apparvero altre, mi sembra dal sessennio di Vicente Fox. Prima solo poche e disperse nella geografia. Poi di più. Quindi in gruppi. Ora, in tutta questa fossa clandestina che si chiama “Messico”, vanno da una parte all’altra alla ricerca di chi manca loro. Non c’è nessuno che le aiuti o sostenga. Sono sole nel senso che contano solo su loro stesse. Sì, ci sono anche uomini, ma la maggioranza sono donne. No, non sono di moda. I desaparecidos non votano, di questo si tratta. Nei diversi governi è passato tutto lo spettro politico elettorale, tutte le bandiere elettorali, tutte le sigle di partito, e la professione di “CERCATRICE” cresce.

Anni fa, nei moduli da compilare per le pratiche, c’era una riga dove si metteva “occupazione”. Di solito le donne mettevano “casalinga”, “impiegata”, “professionista”, “studentessa”, ecc..

La mostruosità di un sistema ha creato un’altra occupazione: quella di “cercatrice”. Forse la più terribile, angosciante, penosa ed anacronistica di tutte le occupazioni.

Poche cose segnalano di più il fallimento di una proposta politica del potere quale l’esistenza e la crescita della professione di CERCATRICE.

Immaginate che qualcuno le intervistasse: “Mi dica, lei a cosa si dedica?”. E lei risponde “a cercare”. “E quanto guadagna per questo lavoro?”. “Niente”. “E come fa?”. “Non so, ma so che devo farlo. E devo farlo perché lei/lui sa che non mi fermerò fino a che non li troverò”. “C’è qualcosa che vorrebbe dire alla gente?”. “Sì, guardatemi, sono voi nel futuro se non facciamo niente”. La giornalista scoppia in lacrime. Ancora sta piangendo. E loro? Beh, continuano a cercare.

Nel frattempo, qualcuno nelle montagne del Sudest Messicano scrive:

“Alle Cercatrici:

Avevamo pensato ad un incontro con voi che non fosse di dolore, ma di gioia. Sapete: balli, canti, poemi, cinema, opere teatrali, disegni infantili, cose così. Non qualcosa che allevi o curi quella ferita che non si chiude, bensì solo una festa, quella che merita la vostra lotta.

Ma un essere nefasto, di quelli che non mancano mai, voleva trasformare quella riunione in una leva elettorale per la cosiddetta opposizione. Richiamare al “voto critico” per Bertha e quelle sciocchezze che servono solo affinché un opportunista si prenda una poltrona. Per questo non l’abbiamo realizzata… non ancora. Non avremmo permesso che si macchiasse il vostro nobile impegno.

Ma vi diciamo qui quello che vi avremmo detto là: “Non smettete di cercare. Quelle persone assenti valgono per il sangue che hanno ereditato, il vostro. Non conosciamo chi vi manca, ma conosciamo voi e la nobiltà della vostra lotta. Non arrendetevi non vendetevi, non cedete. Benché l’orrore che affrontate non sia di moda, la vostra causa è giusta e nobile. E nessun politico può dire la stessa cosa. La vostra ostinata dignità insegna e mostra la strada. Magari più persone vi guardassero come vi guardiamo noi popoli zapatisti: con ammirazione e rispetto”.

P.S.- A Gaza. – L’infanzia palestinese assassinata non è una vittima collaterale, è l’obiettivo principale di Netanyahu, lo è sempre stato. Questa guerra non è per eliminare Hamás. È per ammazzare il futuro. Hamás sarà solo la vittima collaterale. Il governo di Israele ha già perso la battaglia mediatica, perché risulta che il genocidio, anche se mascherato da vendetta, non ha tanti seguaci come credevano. Ora è capace della crudeltà più inimmaginabile. Chi forse potrebbe fermare il massacro è… il popolo di Israele.

Salute e che chi cerca, trovi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

Novembre 2023

40, 30, 20, 10 anni dopo.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/09/sexta-parte-posdata-que-busca-esperando-encontrar/

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QUINTA PARTE:AHÍ VA EL GOLPE, JOVEN

Novembre 2023

P.S. DI AVVISO. – Stavamo per raccontarvi di cosa si tratta, ma leggere, vedere e ascoltare la sfilza di atrocità che gli “specialisti” di tutto e conoscitori di nulla dicono e scrivono (su presunti ritiri, smantellamenti, avanzate della criminalità organizzata e “ritorni al passato” – la maggioranza dovrebbero essere coletos [termine usato per indicare i meticci di San Cristóbal de las Casas – n.d.t.] -), abbiamo quindi deciso che era meglio lasciarli continuare a ruttare.

Con le loro approfondite analisi e fondate ricerche, gli zapatologi concludono: “Un esempio della sconfitta zapatista è la perdita dell’identità indigena: i giovani indigeni indossano ormai stivali da cowboy invece di camminare a piedi nudi o con i sandali. E per corteggiare le ragazze indossano pantaloni e camice nuovi – o stirati! – invece di indossare braghe di tela e comprare la loro moglie secondo gli usi e costumi indigeni. E vanno in motocicletta invece di portare sulla schiena i loro padroni coletos. Manca solo che le giovani donne indigene indossino pantaloni o che, orrore!, giochino a calcio e guidino veicoli, invece di servire le signore coletas. Osino persino ballare cumbia e ska invece del Bolonchon, e cantare rap e hiphop invece di salmi e odi ai latifondisti. E come ulteriore segno della perdita della loro identità indigena, che si arrivi all’assurdo che ci siano subcomandantes, comandantes e comandantas! E si governino da soli. E non chiedano il permesso di essere come vogliono loro. E viaggino e conoscano altre terre. E lavorino e si guadagnino la paga senza indebitarsi negli spacci del padrone. E non vengano tenuti in campi di concentramento, come a Gaza, in modo che non raccolgano idee “sinaloensi”, cioè straniere – beh, i mayo-yoreme di Sinaloa [gruppo indigeno del nord di Sinaloa – n.d.t.], sono solo per i narcocorrido -. Per colpa dello zapatismo noi antropologi non avremo più lavoro. Una vergogna. E tutto per non seguire l’avanguardia rivoluzionaria del proletariato o MORENA, è la stessa cosa. Grave errore dello zapatismo che non ci ha obbedito. Perché ormai gli indigeni non abbassano più lo sguardo quando li incontri. Ti guardano con irriverenza, con sfida, con rabbia, come se fossimo noi gli intrusi e non loro, come se fossimo noi i criminali e non loro. Prima lo facevano solo gli zapatisti, adesso qualunque “chamulita” ti tiene testa. E come dice il marxismo-leninismo-stalinismo-maoismo-trotskismo-tutti-ismi, ogni indigeno che non sia come nel manuale di antropologia è un narco”.

Siamo sicuri che, più tardi, quando si conoscerà tutto il senso di questa tappa, avranno un minimo di onestà per dire e pubblicare: “Non abbiamo la minima idea di quello che hanno fatto, di quello che fanno o di quello che faranno. La cosa migliore sarebbe stata chiedere agli zapatisti e non agli antizapatisti”. O non sono così onesti?

Dite a quei “giornalisti” che è sempre meglio, anche se più scomodo e senza compenso, intervistare gli attori, non gli spettatori, perditempo e paramilitari cialtroni. Il giornalismo investigativo è un lavoro professionale che spesso comporta rischi e disagi. Ma, non preoccupatevi, capiamo che ognuno cerca il sostentamento come può.

Dunque, come saluto agli “zapatologi”, proseguiamo con questi P.S. scritti con molto affetto:

P.S. DALLA CAPITANERIA DI PORTO DI MONTAGNA. – Avevamo preparato una serie di frasi intelligenti per prendere in giro la classe politica nel suo insieme (governo e opposizione), ma ora pensiamo che non abbia senso, visto che ogni gregge ha il suo pastore o ogni pastore ha il suo gregge. Oppure qualcuno crede ingenuamente che la questione sia tra due pastorelle?

Il nostro silenzio in questi anni non è stato, né è, un segno di rispetto o di approvazione di qualcosa, ma piuttosto lo sforzo di guardare oltre e cercare quello che tutti, tutte, todoas cercano: una via d’uscita dall’incubo. Man mano che apprenderete dagli scritti successivi cosa stiamo facendo, forse capirete che la nostra attenzione era altrove.

Ma comprendiamo che più di una persona soffra di quello che noi zapatisti chiamiamo “torcicollo teorico” causato dal guardare in alto e colpisce la capacità di giudizio, il buon senso, la decenza e l’onestà – oltre a creare dipendenza cronica -. Comprendiamo i limiti dei loro orizzonti di analisi. Una cosa è la scrivania, l’accademia, la rubrica giornalistica, il reportage giusto, la posizione nel governo, i pettegolezzi da caffè rivoluzionario o i social network, un’altra cosa è la realtà.

Quest’ultima non solo non paga, ma costa tantissimo. Anche Shakira l’ha detto: la realtà fattura, e non include l’IVA. È così.

Non faremo legna dagli alberi caduti là in alto. La realtà, implacabile testarda, farà la sua parte e le ultime schegge saranno quelle che raccoglierà il crimine organizzato dalle tangenti nei piani degli uni e gli altri.

Alcuni si masturbano con la mañanera [riferimento alla conferenza stampa mattutina del presidente Lopez Obrador – n.d.t.]. Altri con distruzioni, morti, omicidi, stupri, sparizioni, fame, guerre, malattie, dolore e tristezza. Nessuno di loro ha una proposta politica fattibile e seria, si limitano a intrattenere… fino a non mai.

Ma visto che parliamo di autoerotismo: potendo scegliere tra Bertha e Claudia, beh, Wendy.

-*-

Bene, salute e adesso cosa faccio col mio costume per ballare i trap corrido? “Ehi amico, che ne dici di questo cappello?” … Cosa? Non va? Accidenti! È la perdita dell’identità indigena. Spero che gli antropologi arrivino presto a salvarci.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

El Capitán

(bellissimo col suo cappello da cowboy. A ognuno il suo, gente! ¡Ajúa raza! [espressione il cui significato è qualcosa come Viva! – n.d.t.])

Messico, 40, 30, 20, 10 anni dopo.

P.S. “CONTESTUALE”. – Televisa è Televisa e gli antropologi sono antropologi: https://www.nmas.com.mx/noticieros/programas/en-punto/videos/ezln-cierra-caracoles-avance-crimen-organizado/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/08/quinta-parte-ahi-va-el-golpe-joven/

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Quarta Parte e Primo Avviso di Avvicinamento

Alcune Morti Necessarie

Novembre 2023

Alle persone che hanno sottoscritto la Dichiarazione per la Vita:

Comunichiamo quanto segue:

PRIMO. – Alcuni mesi fa, dopo una lunga e profonda analisi critica e autocritica, e dopo aver consultato tutte le comunità zapatiste, si è deciso di far scomparire i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e le Giunte di Buon Governo.

SECONDO. – Tutti i timbri, intestazioni, incarichi, rappresentanze e accordi recanti il nome di qualsiasi MAREZ o di qualsiasi Giunta di Buon Governo non sono più validi da questo momento in poi. Nessuna persona può presentarsi come membro, autorità o rappresentante di qualsiasi MAREZ o Giunta di Buon Governo. Gli accordi stipulati prima di questa data con Organizzazioni Non Governative, organizzazioni sociali, collettivi, gruppi ed organismi di solidarietà in Messico e nel mondo si mantengono fino alla loro scadenza, ma non si potranno stipulare nuovi accordi con questi organismi di autonomia per la emplice ragione che non esistono più.

TERZO. – I Caracol restano, ma rimarranno chiusi verso l’esterno fino a nuova comunicazione.

QUARTO. – Discuteremo poco a poco le ragioni e il processo attraverso il quale è stata presa questa decisione negli scritti seguenti. Posso solo dirvi che questa valutazione, nella sua fase finale, è iniziata circa 3 anni fa. Vi spiegheremo anche com’è e come si sta sviluppando la nuova struttura dell’autonomia zapatista.

Tutto questo e molte altre cose saranno rese note al momento opportuno.

QUINTO. – Vi informiamo che organizzeremo una celebrazione per il 30° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. Questo nei mesi di dicembre 2023 e gennaio 2024. Tutte le persone che hanno firmato la “Dichiarazione per la Vita” sono invitate.

Tuttavia, mentre vi invitiamo, è nostro dovere scoraggiarvi Contrariamente a quanto riporta e disinforma la stampa ufficiale autoproclamatasi cool-progre-buena-ondita, le principali città dello stato messicano sud-orientale del Chiapas sono nel caos più completo. Le presidenze comunali sono occupate da quelli che noi definiamo “sicari legali” o “Criminalità Disorganizzata”. Ci sono blocchi stradali, aggressioni, sequestri, estorsioni, reclutamento forzato, sparatorie. Questo è l’effetto del patrocinio del governo statale e della disputa in corso per le poltrone. Non sono proposte politiche quelle che si affrontano, ma società criminali.

Quindi ovviamente vi diciamo che, a differenza degli altri anni, non è sicuro.

San Cristóbal de las Casas, Comitán, Las Margaritas e Palenque, per citare alcuni capoluoghi, sono nelle mani di uno dei cartelli della criminalità disorganizzata in conflitto con un altro. Lo confermano i cosiddetti settori alberghiero, turistico, della ristorazione e dei servizi. Chi lavora in questi posti lo sa e non lo denuncia perché minacciato e, inoltre, sa che ogni richiesta è inutile, perché a commettere i reati sono le autorità statali e comunali che non ne hanno abbastanza della rapina che stanno commettendo.

Nelle comunità rurali il problema è ancora più serio. Lo gridano coloro che vivono in tutte le regioni del Chiapas, in particolare in tutta la fascia di confine con il Guatemala.

Ciò che si legge, si sente e si vede nella maggior parte dei media locali e nazionali è solo una pessima e spudorata eco delle reti sociali del governo statale. La verità è che il problema sono le autorità ufficiali. Sì, come nel resto del Paese.

Le forze militari e di polizia federali, statali e locali non sono in Chiapas per proteggere la popolazione civile. Il loro unico obiettivo è fermare la migrazione. Questo è l’ordine ricevuto dal governo nordamericano. Com’è loro abitudine, hanno trasformato l’immigrazione in un business. Il traffico e la tratta di esseri umani sono affari delle autorità che, attraverso l’estorsione, il rapimento e la compravendita di migranti, si arricchiscono spudoratamente.

Quindi non vi consigliamo di venire. A meno che, ovviamente, non siate molto ben organizzati per farlo.

Quindi, anche se non vi aspettiamo, ti invitiamo. Le date provvisorie delle commemorazioni sono tra il 23 dicembre 2023 e il 7 gennaio 2024, con la celebrazione centrale il 30-31 dicembre e l’1-2 gennaio. Vi diremo in seguito il luogo. Quindi vogliamo che veniate, anche se non lo consigliamo.

Anche se non verrete, non preoccupatevi. Invieremo comunque foto e video.

Beh, se esisterà ancora un mondo per quelle date.

Vedremo.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, novembre 2023

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/05/cuarta-parte-y-primera-alerta-de-aproximacion-varias-muertes-necesarias/

Traduzione “Maribel” – Bergamo https://chiapasbg.com/

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Parte Terza: Dení

Il defunto SupMarcos diceva che non si possono comprendere le motivazioni della sollevazione senza conoscere prima la storia di Paticha, la bambina poco più piccola di 5 anni che gli morì tra le braccia per l’assenza di una pillola per la febbre. Adesso io vi dico che non potrete comprendere quello che successivamente vi spiegherà nel dettaglio il Subcomandante Insurgente Moisés se non conoscete la storia di Dení.

Dení è una bambina indigena, di radici e sangue Maya. È figlia di una insurgenta e di un insurgente indigeni zapatisti. Quando nacque, sarà stato 5 anni fa, la chiamarono con quel nome per omaggiare la memoria di una compagna che morì molti anni fa.

Denì fu conosciuta dal defunto SupGaleano quando era un Patz. Ovvero un tamalito, per quanto era in carne. Di fatti, così la chiamava il Sup: “Patz”. Adesso è magrolina, perché se ne va da una parte all’altra. Denì, quando le insurgente si riuniscono per svolgere un lavoro, si mette, secondo lei, a dargli lezione di salute autonoma. E disegna scarabocchi che, come ha poi spiegato, rappresentano delle promotrici di salute. Lei sostiene che sono meglio le promotrici, perché poi gli uomini non capiscono niente di “como mujeres que somos” [Come siamo come donne]. Sostiene fieramente che, per essere promotrice di salute, devi imparare a saper fare una iniezione che però non ti faccia male. “Perché che succede se hai bisogno di una puntura e non la vuoi perché ti fa male?”

Ora ci troviamo in una riunione delle cape e dei capi zapatisti. Il padre e la madre di Dení non sono presenti, ma la bambina è giunta seguendo Tzotz e la Pelusa, che sono sdraiati ai piedi del Subcomandante Insurgente Moisés e, a quanto pare, stanno attenti a quello che si sta dicendo.

Qualcuno sta spiegando:

“È qui presente Dení e lei è, diciamo, la prima generazione. Da qui a 20 anni, Dení avrà una creatura donna e la chiamerà “Denilita”, e lei sarebbe la seconda generazione. Denilita, 20 anni dopo, concepirà una bambina che si chiamerà “Denilitilla”, ed è la terza generazione. Denilitilla, arrivata ai suoi 20 anni, procreerà una bambina che si chiamerà “Denilititilla”, e si tratterebbe della quarta generazione. Denilititilla, al compiere i 20, partorirà una bambina che chiamerà “Denilí”, la quinta generazione. Denilí ai 20 anni d’età, avrà una bambina che chiamerà “Dení Etcétera”, che arriva ad essere la sesta generazione. Dení Etcétera, 20 anni dopo, ovvero tra 120 anni, avrà una bambina che non possiamo arrivare a sapere che nome ha, perché la sua nascita è già lontana sul calendario, ma lei è la settima generazione”.

Ora interviene il Subcomandante Insurgente Moisés: “Quindi noi dobbiamo lottare affinché questa bambina, che nascerà tra 120 anni, sia libera e sia ciò che voglia essere. Quindi non stiamo lottando perché questa bambina sia zapatista o aderente ai partiti o qualsiasi altra cosa, ma perché possa scegliere, quando avrà giudizio, quale sia il suo cammino. E non solo che possa decidere liberamente, ma anche e, soprattutto, che si assuma la responsabilità di questa scelta. Sarebbe a dire che, tutte le decisioni, quello che facciamo e quello che smettiamo di fare, hanno delle conseguenze. Quindi si tratta della possibilità che questa bambina cresca con tutti gli elementi per prendere una decisione e per assumersi le responsabilità delle sue conseguenze.

Ovvero che non dia la colpa al sistema, ai cattivi governi, al suo papà o alla sua mamma, ai sui familiari, agli uomini, alla sua metà (sia uomo, donna, o quello che sia), alla scuola, alle sue amicizie. Perché questa è la libertà: poter fare qualcosa senza pressioni o obbligo, ma assumendo ciò che si è fatto. Ovvero conoscendo le conseguenze già da prima”.

Il SubMoy si gira a guardare l’adesso defunto SupGaleano, come a dire “tocca a te”. Il defunto che ancora non è defunto (ma che già sa che presto lo sarà), sta prevedendo che un giorno bisognerà raccontare questo agli estranei e inizia:

“Questa Dení alla N-esima Potenza avrà smesso di parlare male dei maledetti uomini? Si che lo farà, come sempre. Ma le sue motivazioni non saranno legate al fatto che si burlarono di lei, la disprezzarono, la violentarono, la molestarono, la stuprarono, la picchiarono, la fecero scomparire, la assassinarono, la squartarono. No, sarà per cose e questioni normali, come il maledetto uomo che fa i peti a letto e appesta la coperta; o che non ci prende con la tazza del bagno; o che rutta come un becero; o che si compra la maglietta della sua squadra preferita, si mette i pantaloncini, calzettoni e scarpe speciali da calcio, per poi sedersi a vedere le partite mentre si imbottisce di popcorn pieni di salsa piccante; o che mette molta cura nella scelta dell’ “outfit” che indosserà per decenni: la sua maglietta preferita, i suoi pantaloncini preferiti, e le sue ciabatte predilette; o perché non lascia mai il telecomando della televisione; o perché non le dice che la ama, anche se lei sa che la ama, anche se un piccolo promemoria ogni tanto non è mai di troppo.”

Tra chi sta ascoltando, le donne, muovono la testa in modo affermativo come a dire “come al solito”; e gli uomini sorridono nervosamente.

Il SubMoy sa che si tratta dell’esordio del SupGaleano e che adesso passerà a quella che si chiama “solidarietà di genere”, e a parlare male delle donne, così che lo ferma giusto quando l’adesso defunto sta dicendo: “Ma sono le donne che…”

“Bene”, dice il SubMoy, “adesso stiamo parlando di una bambina che nascerà tra 120 anni e ci concentreremo su questo”. Colui che sa che soccomberà prende posto, lamentandosi di non aver potuto esporre la sua brillante tesi contro le donne. Il SubMoy continua:

“Quindi dobbiamo pensare a questa bambina. Quindi guardare lontano. E, guardando ciò che sembra molto lontano, bisogna capire che dobbiamo fare affinché questa bambina sia libera.

E questo è importante perché la tormenta è già su di noi. La stessa che avvertivamo quasi 10 anni fa. La prima cosa che vediamo è che la distruzione arriva più velocemente. Quello che pensiamo che sarebbe successo in 10 anni, già è qui.

Voi qui, già lo avete spiegato. Ci avete raccontato quello che vedete nelle vostre zone Tzeltal, Tzotzil, Cho´ol, Tojolabal, Mame, Zoque, Quiché. Sapete già quello che sta succedendo alla madre terra perchè la lavorate e in lei vivete. Sapete che il tempo sta cambiando. “Il clima”, come dicono gli abitanti delle città. Che piove quando non deve, che non piove quando non deve. E così via. Sapete che i momenti della semina non possono essere decisi come facevano i nostri predecessori, perché il calendario è distorto, perché è cambiato.

Ma non solo. Vediamo anche che i comportamenti degli animali sono cambiati, appaiono in zone che non sono di loro abitudine e in stagioni in cui non dovrebbero. Qui e nelle geografie di popoli fratelli, aumentano quelli che chiamano “disastri naturali” che non sono altro che le conseguenze di ciò che fa, e smette di fare, il sistema dominante, ovvero il capitalismo. Ci sono piogge, come al solito, ma adesso sono più violente e in luoghi e stagioni che non sono quelle di prima. Ci sono siccità terribili. E adesso succede che in una stessa geografia – per esempio qui in Messico–, in alcune zone ci sono inondazioni e in altre siccità che le lasciano senza acqua. Ci sono forti venti che sembra come se il vento si scalmanasse e dicesse “ora basta” cercando di buttare giù tutto. Ci sono terremoti, vulcani, parassiti come mai prima. Come se la madre terra stesse dicendo non oltre questo punto, ora basta. Come se l’umanità fosse una malattia, un virus che bisogna espellere vomitando distruzione.

Ma, oltre al fatto che si vede che la madre terra è come in disaccordo, come se stesse protestando, c’è ancora di peggio: il mostro, l’Idra, il capitalismo, che sta rubando e distruggendo come un matto. Adesso vuole rubarsi ciò di cui prima non gli importava e continua a distruggere il poco che rimane. Il capitalismo adesso produce la miseria e chi fugge da questa: i migranti.

La Pandemia del COVID, che è ancora in corso, ha mostrato l’incapacità di un sistema intero a dare una spiegazione reale e a prendere le misure necessarie. Mentre morivano milioni, in pochi sono diventati più ricchi. Si avvicinano già altre pandemie e le scienze lasciano il posto alle pseudo scienza e alle ciarlatanerie convertite in progetti politici di governo.

Vediamo anche quello che chiamiamo il Crimine Disorganizzato, che sono gli stessi malgoverni, di tutti i partiti politici, che si nascondono e duellano per il denaro. Questo crimine Disorganizzato è il principale trafficante di droghe e di persone; quello che si appropria della maggior parte dei sostegni federali; quello che sequestra, assassina, fa scomparire; quello che fa affari con gli aiuti umanitari; quello che estorce, minaccia e chiede il pizzo con tasse che servono a un candidato o una candidata per dire che adesso sì che cambieranno le cose, che adesso sì che si comporteranno bene.

Vediamo popoli originari fratelli che, stanchi di disprezzo, prese in giro e menzogne, si armano per difendersi o attaccare i caxlanes [termine chiapaneco utilizzato per indicare i bianchi o la popolazione meticcia]. E gli abitanti delle città spaventandosi, essendo loro stessi che, con le loro maniere di merda, hanno alimentato questo odio che adesso patiscono e che oramai è fuori controllo. Come nella superba Jovel [San Cristobal de Las Casas, città del Chiapas, in lingua Tzotzil], raccolgono ciò che hanno seminato.

E vediamo con tristezza che combattono anche tra indigeni dello stesso sangue e lingua. Combattono tra di loro per ricevere miserabili aiuti dai malgoverni. O per rubarsi il poco che hanno o che arriva. Anziché difendere la terra, combattono per elemosina.

-*-

Di tutto questo stiamo avvisando gli abitanti delle città e i popoli originari fratelli da quasi 10 anni. Ci sarà chi ci ha dato ascolto, e ci sono molti che non ci hanno neanche preso da conto. Come se hanno visto, e vedono ancora, che tutto questo orrore è ancora molto lontano da loro, nel tempo e nella distanza. Come se vedono solamente quello che hanno di fronte. Non vedono più lontano. O vedono, ma non gli importa.

Come già sappiamo, in tutti questi ultimi anni, ci siamo preparati a questa oscurità. Sono 10 anni che ci stiamo preparando per questi giorni di pena e dolore, per tutti noi che siamo tutti i colori della terra. 10 anni guardando autocriticamente quello che facciamo e quello che non facciamo, quello che diciamo e quello che tacciamo, quello che pensiamo e quello che vediamo. Ci siamo preparati nonostante i tradimenti le calunnie, le menzogne, i paramilitari, il blocco delle informazioni, il disprezzo, i rancori e gli attacchi di chi ci rimprovera di non obbedirgli.

Lo abbiamo fatto in silenzio, senza fracasso, tranquilli e sereni perché guardiamo lontano come al solito, come ci hanno insegnato i nostri predecessori. E lì fuori ci gridano di guardare solamente qui, solamente un calendario e una geografia. È molto piccolo ciò a cui vorrebbero farci guardare. Ma come zapatisti che siamo, il nostro sguardo è della grandezza del cuore, e il nostro cammino non è di un giorno, di un anno o di un sessennio. Il nostro passo è lungo e lascia un’impronta, anche se adesso non si può vedere, o anche se ignorano o disprezzano il nostro cammino.

Lo sappiamo bene che non è stato facile. E adesso tutto è peggio, e dobbiamo guardare a quella bambina da qui a 120 anni. Ovvero dobbiamo lottare per qualcuno che non conosceremo. Né noi, né i suoi figli, né i figli dei suoi figli, e così via. E dobbiamo farlo perché è nostro dovere come zapatisti che siamo.

Stanno arrivando molte disgrazie, guerre inondazioni, siccità, malattie e nel mezzo del collasso dobbiamo guardare lontano. Se i migranti adesso sono migliaia, presto saranno decine di migliaia, poi centinaia di migliaia. Sono in arrivo combattimenti e morti tra fratelli, tra padri e figli, tra vicini, tra razze, tra religioni, tra nazionalità. Bruceranno i grandi edifici e nessuno saprà spiegare il perché, o chi, o per quale motivo. Anche se sembra che per ora no, però sì, si farà peggiore.

Ma, così come quando lavoriamo la terra, quando prima della semina, vediamo già la tortilla, i tamales, il pozol nelle nostre case, così dobbiamo guardare adesso questa bambina.

Se non guardiamo a questa bambina che è già con la sua mamma, ma da qui a 120 anni, non capiremo quello che stiamo facendo. Non lo potremo spiegare ai nostri stessi compagni. E men che meno lo capiranno i popoli, le organizzazioni e le persone sorelle di altre geografie.

Già possiamo sopravvivere alla tormenta, come comunità zapatiste che siamo. Ma adesso non si tratta solo di questo, ma di attraversare questa e altre tormente a venire, attraversare la notte e arrivare a una mattina, da qui a 120 anni, dove una bambina inizia ad imparare che essere libera è anche essere responsabile di questa libertà.

Per questo, guardando questa bambina là da lontano, faremo i cambi e le modifiche che abbiamo discusso e accordato comunemente negli ultimi anni, e che abbiamo già consultato con tutti i popoli zapatisti.

Se qualcuno pensa che riceveremo un premio, o una statua, o un posto in museo, o delle lettere d’orate nel libro della storia, o una paga, o un ringraziamento; allora è giunto il momento che vada a cercare altrove. Perché l’unica cosa che riceveremo, nell’ora della morte, sarà di poter dire “ho fatto la mia parte” e sapere che non è menzogna.

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Il Subcomandante Insurgente Moisés rimase in silenzio, come se aspettasse che qualcuno uscisse. Nessuno lo fece. Continuarono a discutere, fornendo spunti, pianificando. Poi arrivò l’ora di mangiare e arrivarono a chiedergli quando si sarebbero fermati per riposare.

Il Subcomandante Insurgente Moisés rispose: “Adesso, da qui a 120 anni”.

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Sarò sincero come al solito. Io, il capitano, posso sognare questo momento in cui una bambina nasce senza paura, che sia libera e che si assuma la responsabilità di ciò che fa e di ciò che non fa. Posso anche immaginarlo. Potrei anche scrivere un racconto o una storia su questo. Ma queste donne e uomini che ho davanti a me e a fianco, indigeni zapatisti tutti di origini maya, le mie cape e capi, non sognano, né immaginano questa bambina. Loro tutti e loro tutte la vedono, la guardano. E sanno quello che devono fare affinché questa bambina nasca, cammini, giochi, impari e cresca in un altro mondo…da qui a 120 anni.

Come quando guardano la montagna. Nel loro sguardo c’è qualcosa, come se guardassero più in la nel tempo e nello spazio. Guardano la tortilla, i tamales e il pozol a tavola. E sanno che non è per loro ma per una bambina che neanche è lì nelle intenzioni di chi saranno i suoi genitori, perché non sono nati. Ne loro, né i loro genitori, né i loro nonni, né i loro bisnonni, né i loro trisavoli, e avanti così per 7 generazioni. Sette generazioni che si iniziano a contare da questa Dení, la Dení Prima Generazione.

Sono fiducioso che ci riusciremo. Solamente ci metteremo un po’ di tempo, ma neanche troppo.

Giusto poco più di un secolo.

Dalle montagne del sudest messicano.

Capitano Insurgente Marcos.

Messico, novembre 2023

P.S. – Ogni bomba che cade a Gaza, cade anche nelle capitali e nelle principali città del mondo, solo ancora non se ne sono resi conto. Dalle macerie nascerà l’orrore della guerra di domani.

P.S. DIVERSE GUERRE PRIMA (la viglia, quasi 120 anni anni fà)

–“Non sarebbe meglio dichiarare la guerra con franchezza?”

Il professore rispose con semplicità: –Il nostro Governo vuole, senza dubbio, che siano gli altri a dichiararla. Il ruolo di aggredito e sempre quello più gradito e giustifica tutte le ulteriori risoluzioni, per quanto possano apparire estreme. L^ abbiamo gente che vive bene e non desidera la guerra. È conveniente fargli credere che sono i nemici che ce la impongono, affinché sentano la necessità di difendersi. Solo gli spiriti superiori arrivano alla convinzione che i grandi avanzamenti si realizzano unicamente con la spada, e che la guerra, come diceva il nostro grande Treitschke, è la forma di progresso più evoluta.” I Quattro Cavalieri dell’Apocalisse (1916) di Vicente Blasco Ibáñez (Spagna 1867-1928).

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2023/11/02/tercera-parte-deni/

Traduzione – Collettivo Nodo Solidale

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