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Archive for febbraio 2013

LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 4.

4.- Le Compagne: ricoprire incarichi.

Febbraio 2013

Non c’è niente di più sovversivo e irriverente di un gruppo
di donne del basso che dice, si definisce: “noi”.
Don Durito de La Lacandona

NOTA: Altri frammenti della condivisione delle compagne zapatiste riguardanti il loro lavoro ed i problemi attuali negli incarichi di direzione, applicazione della giustizia e gestione delle risorse, insieme ad alcune riflessioni sullo spinoso tema “dell’equità di genere” nella costruzione di un mondo che si propone includente e tollerante, un mondo dove “nessuno è di più, nessuno è di meno”.

-*-

(…)

Sì, ci siamo occupate di casi del genere. Vi racconterò di un caso che ci è capitato una volta, quando io e l’altra compagna eravamo appena entrate in Giunta e ci avevano messo a capo di una squadra, e ci è capitato il caso di una compagna che è venuta da noi a lamentarsi per suo marito che la maltrattava. Per noi due fu incredibile e davvero molto brutto, e la compagna ci disse:

– Voglio separami da mio marito – ma quell’ex compa aveva già due mogli.

Allora convocammo i figli della prima e della seconda moglie per vedere come sistemare la situazione. Ci volle un po’ di tempo per questo, e la questione era veramente brutta per quell’uomo, e chiedemmo alla compagna:

– Che cosa è successo? – pensavamo che l’avesse solo picchiata.

No, il collerico marito aveva appeso per i piedi la compagna e lì l’aveva picchiata, e così insieme agli altri due dei suoi figli. Quindi abbiamo dovuto sistemare la faccenda. Come? La compagna chiedeva la separazione, e così è stato ed abbiamo suddiviso i beni dell’uomo tra la prima moglie con i figli che l’uomo aveva pesantemente offeso, e la seconda moglie che anche lei aveva un figlio grande, all’uomo non abbiamo lasciato niente, ma abbiamo dato una parte dei beni al figlio. Abbiamo suddiviso tutti i suoi beni, così abbiamo risolto la questione, riconoscendo i diritti di quella compagna che era venuta a lamentarsi da noi.

(…)

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 Quaderno donne

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(…)

Yolanda: Continuiamo parlando un po’ della questione della legge. Come ormai risaputo, questa legge è stata emessa proprio per la situazione in cui vivevano le compagne. Per questo è nata questa legge perché, come abbiamo sentito le compagne avevano sofferto tanto e questo non doveva più ripetersi. Questa legge è ben presente e visibile in tutti i cinque i caracol.

(…)

In ogni caso è molto importante che noi studiamo bene la legge perché se noi non capiamo realmente quello che ci dice, se non analizziamo un poco se in questa zona possono sorgere le stesse situazioni che si sono presentate nella storia passata, che la donna è colei che dà la vita. Se al contrario non capiamo bene questa legge che abbiamo noi zapatiste, torna a succedere come una volta.

Questa legge è stata fatta non perché le donne possano comandare, non perché le donne dominino sul marito, sul compagno, non è per questo. Bisogna studiare bene questa legge, perché è una cosa che si costruisce per far sì che non si ripeta la stessa storia di adesso, che comandano i compagni che sono maschilisti. Ma se la interpretiamo male, succederà lo stesso che comandano le compagne ed i poveri compagni sono vessati, ma non vogliamo che succeda questo.

Vogliamo costruire un’umanità, è questo che vogliamo cambiare, vogliamo un altro mondo. È una lotta di tutti, uomini e donne, perché come abbiamo sentito, non è una lotta né delle sole donne né dei soli uomini. Quando si parla di rivoluzione, la si fa insieme, tutti, uomini e donne, è così che si fa la lotta.

Non può essere che i compagni dicano stiamo lottando, stiamo facendo la rivoluzione, e solo i compagni ricoprano tutti gli incarichi e le compagne stanno a casa. Questa è una lotta per tutti. Quello che si vuole è per tutti, uomini e donne, è questo che si vuole.

Diciamo chiaramente che siamo ancora un poco confuse con questa prima legge, perché la pura verità è che come compagne ci è ancora difficile assumere l’impegno di ricoprire un incarico, qualunque incarico.

(…)

-*-

(…)

Avete detto che c’è una commissione di onore e giustizia. Qual’è il suo lavoro o che ruolo hanno lì le compagne? 

Nel municipio, nella commissione onore e giustizia, in questioni che riguardano le compagne, si alternano due consigliere e due consiglieri, per esempio, se una compagna ha un problema, se si tratta di violenza sessuale, deve parlarne con la compagna della commissione onore e giustizia, la quale si coordina con gli uomini che fanno parte della commissione di modo che la compagna non sia in imbarazzo. È così che opera la commissione di onore e giustizia.

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(…)

A livello di zona abbiamo un altro esempio di lavoro che hanno realizzato in particolare le compagne donne. Si tratta della realizzazione di una mensa-negozio, cioè hanno la loro mensa ed un negozio di generi alimentari. Hanno cominciato con un prestito di 15 mila pesos ed è nata quest’idea. L’iniziativa è partita dalle compagne della regione, dalle responsabili locali e in coordinamento con la Giunta affinché le aiutassimo per i tavoli, gli utensili da cucina, con tutto quello che poteva servire per una mensa. E’ avvenuto tutto in coordinamento ma l’idea, il lavoro, l’organizzazione e la gestione, sono delle compagne.

Hanno cominciato con 15 mila pesos, hanno la loro dirigenza, a livello di zona lavorano a turno per preparare il cibo, e le compagne responsabili locali ci hanno detto che con le vendite del primo negozio hanno incassato 40 mila pesos. Con questi 40 mila pesos hanno restituito il prestito di 15 mila pesos, ed hanno così guadagnato 25 mila pesos netti.

Si sono poi accorte che mancavano ancora alcune cose. La Giunta le ha aiutate, come ho detto, per gli utensili da cucina, i tavoli, ma le donne hanno pensato che con i guadagni potevano migliorare, allora hanno usato quei guadagni per prepararsi meglio. Adesso lavorano così, hanno la loro dirigenza, le compagne lavorano con turni a rotazione ed ogni anno cambia la dirigenza. Vendono con il controllo della comunità e ci hanno informato che attualmente hanno 56.176 pesos in contanti dopo l’ultima uscita di cassa.

Queste sono attività che stiamo portando avanti a livello di zona, con l’obiettivo di distribuire i piccoli fondi che si vanno generando, per essere preparati a qualsiasi necessità che possa presentarsi nella zona, per cose che ci siano di aiuto nella lotta.

(…)

Si sa che nella zona Selva Tzeltal ci sono compagne che sono commissarie, che sono agenti, raccontaci, condividi come funziona con le compagne commissarie ed agenti. Funzionano le compagne autorità locali? Come fanno? Come lavorano le compagne? Perché ci sono compagni che sono commissari ed agenti, e quello che vogliamo qui è condividere come si insegna, come ci si aiuta, come ci si prepara. In questo caso in particolare per le compagne, come lavorano le compagne autorità nei villaggi? 

Cosa fanno le compagne nella loro comunità come commissarie, come agenti?

Come agenti, per esempio, nel mio villaggio controllano la comunità, si occupano di alcuni problemi come questioni tra persone, animali che fanno dei danni, danneggiamenti, in questi casi l’agente è incaricata di risolvere quel tipo di problemi. Fanno anche riunioni per dare suggerimenti su come non avere problemi con l’alcool o tossicodipendenza. In ogni riunione le compagne dannno informazioni per cercare di evitare questi gravi problemi. Anche le commissarie tengono riunioni per parlare della terra, dell’attenzione ai confini e pertinenze, dell’uso dei prodotti chimici in agricoltura. Attraverso questi compiti che abbiamo esposto, le commissarie e le agenti svolgono il controllo nei villaggi.

Domanda: le compagne che sono diventate agenti con l’incarico di risolvere i problemi nella comunità, possono risolverli da sole o con l’aiuto dei compagni? 

Nella mia comunità le compagne a volte chiedono l’aiuto di un’autorità locale, un responsabile, per sentire se stanno agendo bene, chiedere alcune cose. Molte volte succede, ma altre volte fanno tutto da sole. Per esempio, nella mia comunità c’è una donna agente, una compagna, e così la supplente, ed entrambe hanno risolto da sole i problemi, avendo già visto un paio di volte come fare, l’hanno preso come esempio e così agiscono per trovare le soluzioni.

(…)

I 60 membri, sono metà compagne e metà compagni?

Sì, compagno, siamo la metà, nessuno è di più, nessuno è di meno.

(…)

-*-

(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febrario 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

“Tierra y Libertad”, del gruppo “FUGA”.  Il pezzo inizia con un frammento delle parole dell’EZLN al Congresso messicano per chiedere il compimento degli Accordi di San Andrés, una donna indigena zapatista ha portato lì la nostra parola. I gruppo FUGA è composto da Tania, Leo, Kiko, Oscar y Rafa. Il pezzo fa parte del disco “Rola la lucha zapatista” http://www.youtube.com/watch?v=jjE19gvwVAw&feature=player_embedded

Donne Mapuche in resistenza contro le imprese minerarie predratrici. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=bSzYeTNxhYA

Donne zapatiste con incarichi nella Giunta di Buon Governo, a La Realidad, Chiapas, nel 2008. http://www.youtube.com/watch?v=rzK8mDe7jkQ&feature=player_embedded

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.

 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, 22 febbraio 2013

Azione Urgente No. 1 

Rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés

Secondo informazioni documentate da questo Centro de Diritti Umani, nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, esiste il rischio imminente che per la seconda volta si verifichi lo sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) da parte di abitanti dell0 stesso ejido affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), al Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

(…) info: https://chiapasbg.wordpress.com/2013/02/24/rischio-san-marco-aviles/

Questo Centro dei Diritti Umani manifesta la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza delle persone, BAEZLN, abitanti dell’ejido di San Marcos Avilés, a seguito delle minacce di morte e persecuzione aumentate nel corso delle ultime settimane; oltre allo sgombero forzato e sottrazione delle terre necessarie al loro sostentamento, dal 9 aprile del 2010 non possono lavorare e questa situazione li ha portati ad una crisi alimentare e minacce costanti contro il loro processo di autonomia. 

Facciamo notare la responsabilità del governo del Chiapas che per omissione deliberata, perché non ha agito per garantire l’integrità e la sicurezza personale delle BAEZLN e l’accesso alla terra nonostante i diversi interventi inviati da questo Centro dei Diritti Umani; 

Pertanto esigiamo che il governo messicano adotti tutte le misure necessarie per:

– Proteggere e garantire la vita, l’integrità e la sicurezza delle BAEZLN

– Rispettare e garantire il diritto alle libertà fondamentali della libera espressione e pensiero nella comunità San Marcos Avilés  

– Rispettare e garantire il diritto alle terre appartenenti alle BAEZLN  

– Rispettare e garantire il processo autonomistico che stanno costruendo nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli stabilito nel Trattato No. 169 Sui Popoli Indigeni e Tribali in Paesi Indipendenti e sulla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli indigeni, così come negli Accordi di San Andrés. 

– Indagare e sanzionare i responsabili dello sgombero forzato, dell’esproprio, delle minacce e vessazioni contro le BAEZLN.

 *-*

Poi firmare l’Azione Urgente a questo link: http://www.redtdt.org.mx/d_acciones/d_visual.php?id_accion=258&utm_medium=email&utm_campaign=Acci%C3%B3n+Urgente%3A+Riesgo+de+desplazamiento+…&utm_source=YMLP&utm_term=click+aqu%26iacute%3B

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Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 3.

3.- Le Compagne. Il lungo camino delle zapatiste.

Febbraio 2013

NOTA: Di seguito, alcuni frammenti della condivisione delle donne zapatiste, che fanno sempre parte del quaderno di testo “Partecipazione delle donne nel governo autonomo”. In questi frammenti le compagne parlano di come vedono la propria storia di lotta come donne ed abbattono alcune delle idee sessiste, razziste ed antizapatiste presenti in tutto lo spettro politico sulle donne, sulle indigene e sulle zapatiste.

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 Quaderno - Donne

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   Buongiorno a tutte e tutti.  Mi chiamo Guadalupe, il mio villaggio è Galilea, nella regione Monterrey, come avete sentito, ci sono regioni che non hanno un municipio autonomo, io vengo da una regione dove non c’è un municipio autonomo. Il mio incarico è di promotrice di educazione e rappresento il Caracol II “Resistencia y rebeldía por la humanidad”, della zona Altos del Chiapas. Per incominciare farò una breve introduzione per introdurvi in argomento.

   Sappiamo che fin dall’inizio della vita le donne hanno svolto un ruolo molto importante nella società, nelle comunità, nelle tribù. Le donne non vivevano come ora, erano rispettate, erano le più importanti per la conservazione della famiglia, erano rispettate perché danno la vita come noi rispettiamo ora la madre terra che ci dà la vita. A quel tempo la donna aveva un ruolo molto importante ma col trascorrere della storia e con l’arrivo della proprietà privata quel ruolo è cambiato.

  Con l’arrivo della proprietà privata, la donna è stata relegata su un altro piano ed arrivò quello che chiamiamo il “patriarcato” con la cancellazione dei diritti delle donne, con a sottrazione della terra. E’ stato con l’avvento della proprietà privata che hanno cominciato a comandare gli uomini. Con la proprietà privata sono arrivati tre grandi mali, lo sfruttamento di tutti, uomini e donne, ma più delle donne, e come donne siamo sfruttate anche da questo sistema neoliberale. E’ arrivata anche l’oppressione degli uomini sulle donne in generale e di questi tempi subiamo inoltre la discriminazione per essere donne indigene. Questi sono i tre grandi mali, ce ne sono altri ma di questi non parleremo ora.

   Con l’organizzazione, vista la mancanza di diritti per le donne, è stato necessario lottare per l’uguaglianza di diritti tra uomini e donne, ed è così che è nata la nostra Legge Rivoluzionaria delle Donne. Sappiamo che qui nella Zona Altos forse non abbiamo visto grandi progressi, ci sono stati piccoli avanzamenti, sono lenti ma continuiamo ad avanzare, compagne e compagni.

  Qui spieghiamo come abbiamo progredito nella Zona Altos a tutti i livelli, nelle varie aree, nei differenti posti dove lavoriamo. Raccontiamo come, prima di venire qui, abbiamo analizzato, tra uomini e donne, la situazione rispetto ad ogni punto della Legge Rivoluzionaria delle Donne. Perché è molto importante che in quest’analisi non partecipino solo le donne, devono partecipare anche gli uomini, per sentire quello che pensiamo, quello che diciamo. Perché se parliamo di lotta rivoluzionaria, la lotta rivoluzionaria non la fanno solo gli uomini né solo le donne, è compito di tutti, è compito del popolo e del popolo fanno parte bambini, bambine, uomini, donne, ragazzi, ragazze, adulti, adulte, anziani ed anziane. Tutti abbiamo un posto in questa lotta e per questo tutti dobbiamo partecipare in quest’analisi e nei compiti che dobbiamo svolgere.

(…)

-*-

(…)

Compagni, compagne, mi chiamo Eloísa, e vengo dal villaggio Alemania, municipio San Pedro Michoacán, ho fatto parte della Giunta di Buon Governo del Caracol I “Madre de los caracoles. Mar de nuestros sueños”. Dobbiamo parlare delle compagne ed io vi racconterò un po’ della partecipazione delle compagne prima del ‘94 e di come ci siamo un poco emancipate dopo il ‘94.

   Nella nostra zona, all’inizio noi compagne non partecipavamo, le nostre compagne di allora non avevamo idea che noi compagne potevamo partecipare. Pensavamo che noi donne eravamo buone solo per la casa o per la cura dei figli, per cucinare; forse sarà per l’ignoranza imposta dal capitalismo che avevamo in testa questa cosa. Ma anche noi come donne avevamo paura di non essere capaci di fare altre cose al di fuori della casa, così come non avevamo spazio da parte dei compagni.

   Inoltre non avevamo la libertà di partecipare, di parlare, siccome si pensava che gli uomini fossero superiori a noi. Eravamo sotto il dominio dei nostri padri, i nostri genitori non ci davano la libertà di uscire ed era molto forte il machismo. Forse i compagni erano così non perché lo volessero davvero, ma perché avevano quell’idea che il capitalismo o il sistema ci hanno messo in testa. Anche perché il compagno non è abituato a sbrigare le faccende dentro casa, a prendersi cura dei figli, a fare il bucato, a cucinare ed è difficile per il compagno occuparsi della casa o prendersi cura dei figli affinché la compagna possa uscire a svolgere il suo lavoro.

  Come ho detto prima, le compagne che vivono sotto il dominio dei genitori o vivono ancora con i genitori, siccome abbiamo rispetto per i genitori, i genitori dicono se possiamo lavorare oppure no, se possiamo andare oppure no dove dobbiamo svolgere il lavoro. Ma, se i nostri genitori a volte ci dicono di no, a volte obbediamo, perché abbiamo in testa il rispetto per i nostri genitori. Ci sono delle volte che i nostri padri non ci lasciano andare, perché pensano che una volta fuori di casa non andiamo al lavoro ma facciamo altre cose e ci mettiamo in guai che creano problemi che i nostri padri dovranno poi sistemare. A volte è questa l’idea che si fanno i nostri genitori, o i mariti, o i partner, cioè, a volte è questo che pensano i compagni.

(…)

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   Compagni e compagne buon pomeriggio a tutti voi che siete qui. Il mio nome è Andrea, il mio villaggio è San Manuel, municipio Francisco Gómez del Caracol III “La Garrucha”. Vengo in rappresentanza delle compagne della zona di La Garrucha, e ci esprimiamo con poche parole perché la maggioranza di noi parla in lingua tzeltal.

   In primo luogo comincerò a raccontarvi di prima del ’94 quando molte compagne avevano sofferto molto. C’erano umiliazioni, maltrattamenti, violenze, ma al governo non importava, il suo lavoro è solo quello di distruggerci come donne. Non gli importava se una donna si ammalava o chiedeva aiuto, a lui non importa.

   Noi donne, adesso, non possiamo mollare, dobbiamo andare avanti. A quei tempi abbiamo sofferto, così hanno raccontato le compagne. A quei tempi c’erano molte umiliazioni, e cosa facevano il malgoverno e i proprietari terrieri? Il fatto è che non prendevano affatto in considerazione le compagne.

   Cosa facevano i proprietari terrieri? Trattavano i compagni come servi, le compagne si alzavano all’alba a lavorare e le povere donne lavoravano duramente come gli uomini. C’era schiavitù ma, compagni, non ne potevamo più e così è cominciata la nostra partecipazione come compagne. A quel tempo non c’era partecipazione, ci tenevano come ciechi, senza poter parlare. Ma adesso vogliamo che la nostra autonomia funzioni, vogliamo partecipare come donne, non dobbiamo farci indietro. Andremo avanti affinché il malgoverno veda che non ci lasciamo più sfruttare come ha fatto con i nostri antenati. Non lo vogliamo più.

  E da lì fino all’anno ’94 quando si seppe che c’era la nostra legge delle donne. Che bello, compagni, che abbiamo partecipato. Da quell’anno ci sono state manifestazioni e le compagne vi partecipavano, per esempio alla Consulta Nazionale sono andate anche le donne. Anch’io allora ho partecipato alla Consulta Nazionale, avevo 14 anni. Allora non sapevo neanche parlare, ma ho fatto quel che ho potuto, compagni.

   Hanno lottato, manifestato, e il governo si è accorto che le donne non si arrendevano più, ma andavano avanti. Ho detto che vogliamo che la nostra autonomia funzioni, ed ora che sono chiari i nostri diritti come donne, quello che dobbiamo fare è costruire, lavorare, è nostro dovere andare avanti.

   Ho una domanda, non so che qualcuna delle compagne qui presenti sa chi ha fatto questa legge rivoluzionaria. Se qualcuno vuole, può rispondere, perché qualcuno ha lottato per questo e qualcuno l’ha difesa per noi. Chi ha lottato per noi, compagne? La Comandante Ramona è stata colei che ha fatto questo sforzo per noi. Non sapeva né leggere né scrivere, né parlare in castigliano. E perché noi allora, compagne, non facciamo questo sforzo? Questa compagna è un esempio. E’ l’esempio che seguiremo per fare molto di più, per dimostrare quello che sappiamo fare nella nostra organizzazione.

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   Rappresento le 5 compagne che partecipano sul tema delle donne. Buona sera a tutti. Il mio nome è Claudia. e vengo dal Caracol IV di Morelia. Sono base appoggio del villaggio Alemania, regione Independencia, municipio autonomo 17 de Noviembre. Leggerò un pezzo prima di entrare in argomento. Lo leggo perché parlando qui, davanti a tante persone, non voglio dimenticarmi niente.

   Molti anni fa soffrivamo per i maltrattamenti e la discriminazione, la disuguaglianza in casa, nella comunità. Soffrivamo sempre e ci dicevano che eravamo un oggetto, che non servivamo a niente, perché così ci dicevano le nostre nonne. Ci insegnavano solo a lavorare in casa, nei campi, a prenderci cura dei bambini, degli animali e servire il marito.

   Non avevamo l’opportunità di andare a scuola, per questo non sapevamo leggere né scrivere, tanto meno parlare in castigliano. Ci dicevano che una donna non ha il diritto di partecipare né di protestare. Non sapevamo difenderci né sapevamo cosa sono i diritti. Così sono state educate le nostre nonne dai loro padroni, i rancheros.

  Alcune di noi hanno ancora quest’idea di lavorare solo in casa, e così è stata questa sofferenza fino ad arrivare ad ora. Ma dopo il dicembre del 1994 si formarono i municipi autonomi ed è lì che abbiamo cominciamo a partecipare, a sapere come lavorare, grazie alla nostra organizzazione che ci ha dato lo spazio di partecipazione come compagne, ma anche grazie ai nostri compagni, ai nostri padri che hanno capito che abbiamo il diritto di svolgere il nostro lavoro.

 (…)

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 Compagna Ana. Nuovamente è il turno della Zona Nord, qui ci sono i partecipanti che parleranno dei temi analizzati nel nostro caracol. Comincio con un’introduzione.

  Molti anni fa c’era uguaglianza tra uomini e donne perché non esisteva che uno era più importante dell’altro. A poco a poco è iniziata la disuguaglianza con la divisione del lavoro, quando gli uomini uscivano a coltivare i campi per il cibo, uscivano a caccia per procurarsi la carne per le proprie famiglie e le donne rimanevano a casa a svolgere le faccende domestiche, come la filatura, la confezione dei vestiti e la fabbricazione di utensili da cucina, come pentole, bicchieri, piatti di coccio. Poi c’è stata un’altra divisione del lavoro con l’avvento dell’allevamento. Il bestiame prima serviva come forma di denaro per scambiare i prodotti. Col tempo quest’attività diventò la più importante, ancor di più col nascere della borghesia che comprava e vendeva bestiame per accumulare i guadagni. Tutto questo lavoro lo facevano gli uomini, per questo erano gli uomini a comandare in famiglia, perché solo loro portavano i soldi in casa ed il lavoro delle donne non era ritenuto importante, per questo erano inferiori, deboli, incapaci di svolgere un lavoro autonomo.

  Così erano i costumi, lo stile di vita che portarono gli spagnoli quando vennero a conquistare i nostri popoli, come già abbiamo detto, erano i frati che ci educavano ed istruivano nei loro costumi e conoscenze. Ci insegnavano che la donna doveva servire l’uomo e obbedirgli sempre ad ogni suo ordine, e che le donne dovevano coprire la testa con un velo quando andavano in chiesa e che dovevano tenere testa ed occhi bassi. Si ritenevano che erano le donne a far cadere nel peccato gli uomini e per questo la chiesa non permetteva alle donne di andare a scuola o di rivestire cariche.

  Noi popoli indigeni abbiamo assorbito culturalmente il modo in cui gli spagnoli trattavano le loro donne, per questa ragione nelle comunità è nata la disuguaglianza tra uomini e donne che prosegue fino ad ora, come questi esempi.

  Alle donne non era permesso andare a scuola e se una ragazza studiava era malvista dalla comunità. Alle bambine non era permesso giocare con i bambini né toccare i loro giocattoli. L’unico lavoro che le donne dovevano fare era in cucina e allevare i figli. Le ragazze celibi non erano libere di uscire né di passeggiare nella comunità né in città, dovevano essere rinchiuse in casa, e quando si sposavano venivano scambiate con alcool ed altre merci, senza che la donna potesse dire qualcosa, perché non aveva il diritto di scegliere il suo compagno. Quando erano sposate non potevano uscire da sole né parlare con altre persone, tnato meno se uomini. C’erano maltrattamenti sulle donne da parte dei mariti e nessuno applicava giustizia, questi maltrattamenti aumentavano quando gli uomini bevevano. Così dovevano vivere tutta la sua vita, tra sofferenze e abusi.

  Un’altra delle cose che facevano le mamme, era istruire le figlie a servire il pranzo ai fratelli, affinché più avanti potessero vivere bene con il marito senza ricevere maltrattamenti, perché si credeva che una delle ragioni dei maltrattamenti sulla donna era perché non imparavano a servire il proprio marito e fare tutto quello che l’uomo voleva.

  Anche i nostri nonni e nonne avevano le loro buone abitudini, che continuano a praticare, e non c’era preoccupazione in caso di malattie, perché conoscevano le piante medicinali e sapevano molto su come curare la salute. Non si preoccupavano per la mancanza di denaro, perché tutto quello di cui avevano bisogno per mangiare lo coltivavano, per questo le donne di allora erano forti, lavoratrici, perché si confezionavano i propri vestiti, la calhidra (*), anche se non conoscevano i loro diritti sono riuscite ad andare avanti.

(…)

-*-

(Continua…)

In Fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febbraio 2013

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(*) idrossido di calcio -n.d.t.]

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo: VIDEO 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Lunedì 25 febbraio 2013

Minaccia paramilitare contro sette famiglie tzeltal sfollate da Busiljá

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 febbraio. Nove organizzazioni civili del Chiapas denunciano che un gruppo di famiglie tzeltal, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e sfollate dall’ejido Busiljá, Ocosingo, vivono una situazione drammatica causata da paramilitari filogovernativi della stessa comunità. Una minorenne è stata rapita e fatta sparire dai paramilitari, uno degli ejidatari si trova ingiustamente in carcere nella prigione di Playas de Catazajá, e su tutti i membri delle famiglie pendono mandati di cattura “per non aver abbandonato le loro terre né aver accettato i progetti del governo”.

Questa situazione critica è iniziata nel 1997, “e per 16 anni ha lasciato una scia di morti, feriti, imprigionati, sfollati e desaparecidos” nel nord di Ocosingo, denunciano con un comunicato congiunto centri e comitati per i diritti umani come il Frayba, Diritti Indigeni (Cediac) e Fray Pedro Lorenzo de Nada.

“La situazione delle sette famiglie sfollate da Busiljá esprime una profonda crisi umanitaria e mette in dubbio la volontà e l’efficacia degli strumenti istituzionali di applicazione della giustizia nel nostro stato, rendendo evidente l’impunità delle persone e gruppi che hanno perpetrato i reati ed i fatti che costituiscono grave e continuata violazione dei diritti umani da parte delle autorità statali e con effetti deplorevoli che perdurano fino ad oggi”.

Per questo invitano le istituzioni statali a “manifestare concretamente la volontà di raggiungere una risoluzione giusta, garantendo il risarcimento dei danni causati e la non reiterazione dei reati”.

Le organizzazioni firmatarie solidarizzano con le famiglie indigene attualmente rifugiate ad Ocosingo, e sollecitano “l’applicazione pronta, seria ed imparziale di misure avviate alla soluzione giusta e a norma di legge della situazione che li colpisce”, tra le quali “l’applicazione delle misure cautelari previste dalla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, con risoluzione MC-485-11 del 16 maggio 2012, a favore della bambina Gabriela Sánchez Morales, figlia di Elena Morales Gutiérrez”.

Facendo eco alle richieste delle famiglie sfollate, le organizzazioni si sono pronunciate anche per la liberazione di Elías Sánchez Gómez (figlio), “ingiustamente recluso nel Carcere N.17 di Playas de Catazajá, e che nel frattempo gli sia garantito un trattamento dignitoso e umano”.

Contemporaneamente, sollecitano la cancellazione dei mandati di cattura contro Elías Sánchez Gómez, Pablo Sánchez Gómez, José Sánchez Gómez, Nicolás Sánchez Gómez, Felipe Sánchez Gómez, Timoteo Sánchez Gómez, Fausto Sánchez Gómez, Luis Sánchez Gómez e Felipe Sánchez Gómez (figlio), in relazione al procedimento N. 331/2011.

Chiedono di indagare e sanzionare i membri del PRI dell’ejido Busiljá per la loro partecipazione, “in complicità con la Polizia Statale”, negli eventi denunciati, oltre a punire i responsabili delle minacce, delle persecuzioni, degli arresti illegali, delle torture, delle violenze sessuali, degli sgomberi e delle sparizione ai danni delle famiglie che fanno parte del Frente de Ejidos en Resistencia “Genaro Vázquez Rojas”, aderenti alla Sesta. Infine, chiedono di creare le condizioni affinché le famiglie sfollate possano fare ritorno nelle proprie case.

Il comunicato è firmato inoltre da Servicios y Asesoría para la Paz (Serapaz), Comisión de Apoyo a la Unidad y Reconciliación Comunitaria (Coreco), Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (DESMI), Educación para la Paz (Edupaz), Enlace, Comunicación y Capacitación, e Voces Mesoamericanas-Acción con Pueblos Migrantes.

http://www.jornada.unam.mx/2013/02/25/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 24 febbraio 2013

Il Frayba avverte sul rischio imminente di espulsioni dall’ejido di San Marco Avíles. Militanti dei partiti e poliziotti esigono dagli zapatisti il pagamento dell’imposta prediale. 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Enviado. San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 febbraio. Esiste l’imminente rischio di espulsione delle famiglie zapatiste dell’ejido San Marcos Avilés, nel municipio di Chilón, da parte di abitanti dello stesso ejido affiliati ai partiti Rivoluzionario Istituzionale (PRI), della Rivoluzione Democratica (PRD) e Verde Ecologista del Messico (PVEM). Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), ha diffuso oggi un’Azione Urgente per chiedere al governo federale e statale le garanzie per gli indigeni minacciati.

Lo scorso 19 febbraio, autorità ejidali e poliziotti della comunità, in maniera aggressiva, hanno consegnato un documento alle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), esigendo il pagamento dell’imposta prediale. I civili zapatisti sostengono le loro ragioni per non partecipare in nessuno spazio dei governi statale e federale: “Abbiamo sofferto molto a causa di tutte le aggressioni di questi gruppi dei partiti, ed il governo non ha fatto niente. Ora non è il momento di pagare perché siamo in resistenza ed esigiamo il rispetto del diritto alle nostre terre. Se non riceviamo niente dal governo, non paghiamo le imposte.

Le autorità ejidali hanno risposto che devono pagare, perché questo è l’ordine del presidente municipale e del Ministero delle Finanze. In caso contrario saranno sgomberati ed hanno dichiarato che li arresteranno loro stessi e li porteranno davanti alle autorità e taglieranno loro luce e acqua.

Il giorno 20 i partiti si sono riuniti per concordare le azioni contro le basi dell’EZLN. Questi, secondo le testimonianze raccolte dal Frayba, hanno redatto un verbale in cui si concorda che si cercherà il modo di cacciarli, oltre a rivolgersi ai governi municipale e statale per cercare strategie per lo sgombero degli zapatisti dalla comunità. 

Il giorno 21 i partiti sono partiti molto presto da San Marcos Avilés con l’obiettivo di eseguire quanto messo a verbale e parlare col presidente municipale e la Procura Agraria di Ocosingo per attivare lo sgombero, ed hanno inviato inoltre delle lettere ai governi municipale, statale e federale.

Le basi dell’EZLN riferiscono che le autorità ejidali li hanno informati di questo. Quella notte, intorno alle 21:00, gli ejidatari filogovernativi hanno minacciato gli zapatisti, sostenendo che il sindaco di Chilón aveva dato l’ordine di sgombero e che il prossimo lunedì 25 febbraio avrebbero sollecitato l’intervento del governo dello stato di Tuxtla Gutiérrez.

Il centro Frayba esprime la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale delle basi zapatiste di San Marcos Avilés, a seguito delle minacce di morte e persecuzione che sono aumentate nelle ultime settimane.

A questo si aggiungono lo sgombero forzato e l’esproprio delle loro terre iniziato il 9 aprile del 2010, situazione che li ha portati ad una crisi alimentare ed alla minaccia costante contro il loro processo di autonomia.

Il centro Frayba sottolinea la responsabilità del governo del Chiapas che, per omissione deliberata, non ha agito per garantire l’integrità e la sicurezza personale delle basi zapatiste e l’accesso alle loro terre, nonostante i diversi interventi del Frayba che chiedevano al governo messicano le misure necessarie per garantire l’integrità e la sicurezza personale degli indigeni minacciati, così come il diritto alle libertà fondamentali di libera espressione e pensiero, ed il loro diritto alle terre alienate ed al processo autonomistico in corso nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli.

Bisogna ricordare che il 9 settembre 2010 la Giunta di Buon Governo di Oventic denunciò lo sgombero forzato dall’ejido di 170 uomini, donne e bambini zapatisti dopo che nell’agosto di quell’anno gli zapatisti avevano costruito nell’ejido la prima scuola autonoma.

Quel giorno, 30 persone dell’ejido, guidate da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, entrarono di forma violenta, con bastoni, machete ed armi nelle case degli zapatisti e cercarono di violentare due donne che riuscirono a scappare. Per non rispondere all’aggressione, le famiglie zapatiste si rifugiarono in montagna. Dopo 33 giorni di sfollamento, le 27 famiglie sono tornate nella comunità il 12 ottobre. Per più di due anni hanno vissuto in condizioni precarie, spoglatii delle loro terre e sotto costanti minacce che ora potrebbero concretizzarsi. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/24/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VII.- Le/I più piccol@ 2.

2.- Come si fa?

 

Febbraio 2013

Nota: Compas, in un’altra occasione (se ci sarà l’opportunità) spiegheremo com’è organizzato il nostro EZLN. Ma adesso non vogliamo distrarvi dalla “Condivisione“. Vi diciamo solo che incontrerete una cosa come “Commissione di Informazione”. Questa Commissione è formata da compagne e compagni, comandanti (il CCRI o Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno) che verificano i lavori dell’autonomia, supportano le Giunte di Buon Governo e tengono informate le basi di appoggio zapatiste su come va tutto l’insieme.

Ecco, dunque, altri frammenti della “condivisione” zapatista:

 -*-

(…)

  Noi lavoriamo così. Qualcuno ha chiesto: come si risolvono i problemi? Sì, ci sono stati problemi nel municipio. Problemi di terra, problemi di minacce, problemi di luce, i problemi ci sono e credo che ce ne siano in tutti i villaggi, perché non ci siamo soltanto noi basi di appoggio, e ce ne sono di più quando viviamo in villaggi filo-governativi dove ci sono i nemici, quelli che governano, dove ci sono i paramilitari, a causa di questi ci sono problemi. Ma dobbiamo trovare il modo di governare, anche se imparare è davvero duro perché, come dicevano alcuni compagni, non ci sono istruzioni. Non c’è un manuale scritto cui riferirsi, ma dobbiamo ricordare come facevano i nostri antenati che non erano nominati dagli organi ufficiali, ma dal popolo che loro servivano senza alcuno stipendio. La corruzione, il malaffare sono cominciati quando è arrivato lo stipendio.

   Per il poco che sono stato nel mio villaggio, nel mio municipio, è in questo modo che ho potuto servire benché, come ho detto, abbiamo ancora molto da imparare, indipendentemente dall’età. Continuiamo ad imparare con tutti e tutte. Credo che questo riguardi tutti i livelli, così come i commissari, gli agenti hanno la loro funzione da svolgere ma devono ancora imparare come risolvere un problema. Sì, non siamo preparati, perché noi contadini siamo esperti della campagna, la nostra legge è il machete, la lima e il pozol. Non so se faccio male a dirlo, compagni, ma questo è quello che voglio condividere con voi.

(…)

-*-

(…)

  Abbiamo fatto tante riunioni e preso molti accordi, non solo una volta, e ci siamo resi conto che è un lavoro pesante, non è facile farlo. Perché? Perché, come ho detto poco fa, non abbiamo un manuale, non abbiamo un libro da seguire; abbiamo lavorato col nostro popolo.

-*-

(…)

  Compagni, è di questo che stiamo parlando e non mi manca molto per concludere. Dicevamo del modo in cui vogliamo svolgere il lavoro. Molte volte non lo può fare solo la Giunta, anche e abbiamo in testa come fare, deve essere svolto in coordinamento con i consigli, comitati [CCRI], affinché ci si possa fare l’idea di quello che abbiamo in mente, perché è così che abbiamo visto è meglio fare in alcuni casi.

   Per esempio, parliamo degli incarichi, delle responsabilità, qui abbiamo visto le difficoltà di svolgere determinati lavori. Quando io ho avuto degli incarichi, ho visto che a volte nella Giunta mancavano le persone per tutto il lavoro da svolgere; per esempio, a quel tempo non c’erano autisti per la clinica, ogni membro della Giunta doveva essere anche autista, cuoco, doveva andare a cercare legna, c’era parecchio da fare e bisognava svolgere anche i lavori d’ufficio, dovevamo studiare le questioni in sospeso, i lavori in attesa o le questioni del municipio che non si erano potute risolvere per mancanza di tempo. Adesso mi rendo conto, e c’era passato per la testa, che c’era bisogno di un aiuto, di un autista dedicato, perché a volte a noi della Giunta toccava trasportare un malato urgente in piena notte e tornare poi alle tre o alle quattro del mattino. Ci avevamo pensato ma non eravamo in grado di risolvere quel problema.

   Un esempio: quando fu il mio turno di diagnosticare la malattia più frequente nei municipi e non fu possibile definirlo nella Giunta, né avere l’informazione. Dovetti chiedere se si poteva fare o no ed ottenni l’appoggio del comando, che è quello che si vuole; si chiesero le informazioni ai municipi ed alcuni municipi non risposero, altri fornirono l’informazione, consultarono le comunità sulla malattia più frequente, perché c’era un focolaio di febbre tifoidea, ma non riunirono i consigli. Allora tutto va bene quando tutto funziona, è come una macchina. Quando in una macchina non funziona un pistone o un cilindro, la macchina non riesce ad andare in salita, non ha potenza. Questo è quello che succede, anche se la Giunta pensa o vuole fare la sua proposta da approvare in l’assemblea, molte volte non si riesce e tutto resta lì.

   A quel tempo, in quell’anno, c’era molto lavoro perché non c’era un autista. Adesso per le cliniche si stanno alternando degli autisti che non lavorano nella Giunta, ma si occupano dell’auto, dei suoi pneumatici, della benzina.

  Si sta migliorando un po’ su questo aspetto e credo che a poco a poco si migliori, a patto abbiamo ben presenti quali sono le necessità che si presentano, perché il lavoro della zona o del municipio aumenta sempre. Poco alla volta partecipano sempre più compagne perché aumenta il lavoro. Vediamo che è molto importante il coordinamento tra tutti e la considerazione ti tutti per ricavare le proposte e le idee nuove su come lavorare.

   L’importante è non perdere il contatto con il popolo perché di questi tempi sento che ci sono cose che si erano fatte consultando il popolo ed ora invece si possono fare senza consultare il popolo, si possono cambiare alcune lettere senza che il popolo lo sappia, e questo diventa un problema, perché quando al popolo insegniamo, spieghiamo e poi improvvisamente lo escludiamo, il popolo parla, discute.

   Questo può provocare dissenso o che si parli male delle autorità, e molte volte è necessario dare spiegazioni, come dicevamo oggi, la Giunta deve aver ben chiari i sette principi. [Si riferisce ai 7 principi del “comandare ubbidendo”, guida delle Giunte di Buon Governo, che sono: Servire e non Servirsi; Rappresentare e non Sostituire; Costruire e non Distruggere; Ubbidire e non Comandare; Proporre e non Imporre; Convincere e non Vincere; Scendere e non Salire].

  Bisogna convincere il popolo e non vincere con la forza, un’autorità deve spiegare la ragione di modificare alcuni regolamenti o alcuni accordi, deve spiegarlo al popolo; perché se sono un’autorità e non spiego il perché di una cosa, come gli arriva al popolo? Può portare a un dissenso anche se il popolo lo capisce, ma dando spiegazioni si tratta di convincere e non vincere con la forza, affinché il popolo non si scoraggi e non si disperda. Perché da lì nascono i dissensi e il popolo si demoralizza, per come l’ho visto io, questo è il problema.

   Bisogna stare sempre molto vicino al popolo.

   Ci sono anche comunità che vogliono fare una cosa senza la maggioranza, allora anche a loro bisogna spiegare che non si può, perché è già successo. Ci sono persone che vengono nei nostri uffici e protestano contro le autorità ma non possiamo accettarlo perché dipende dalla maggioranza. Su questo bisogna essere chiari, ma bisogna spiegarlo alla gente e cercare di convincerla, fargli capire la ragione del perché si fanno queste cose. Io la penso così, compagni, e questo è quello che cerco di spiegare dei sette principi, è quello che ho inteso, quello che ho imparato un po’. Non ho imparato molto perché ho lavorato solo tre anni e me ne sono reso conto poco a poco, sul momento non si riusciva a svolgere facilmente il lavoro perché eravamo nuovi senza aiuto, ma adesso ci sono compagni che sono rimasti anche un anno ad accompagnare ed aiutare le nuove autorità.

   Ma quando abbiamo cominciato non era così, c’era solo l’aiuto dei comitati [CCRI] che ci aiutavano e a poco a poco noi imparavamo. Questo è quello che posso raccontarvi, compagni.

(…)

  Come venivano nominati?

   Attraverso l’assemblea, per esempio come facciamo ora. In ogni municipio si convocava un’assemblea di tutta la base e in maniera diretta si sceglieva quel determinato gruppo di compagni per fare il lavoro dell’autonomia.

   Di che lavoro si trattava? Cosa dovevano fare quei compagni? Praticamente non avevamo nessuna conoscenza, forse alcuni sì, ma la maggioranza non aveva conoscenze, che cosa dovevamo fare? Lavoravamo per l’autonomia, per autogovernarci, ed è sorta la domanda: cos’è che dobbiamo fare? Nessuno aveva la risposta, ma col passare del tempo, quando quelle autorità erano insediate, arrivavano i problemi. C’erano tanti problemi in ogni nostra comunità, in ogni municipio.

   Quali sono i problemi che a quel tempo hanno dovuto affrontare le autorità?

   Allora il problema principale era l’alcolismo, questioni familiari, problemi tra vicini ed alcuni problemi agrari.

   E cosa facevano quindi quei compagni quando si presentava un problema?

   Loro ne discutevano; prima sentivano quello che aveva qualche problema di cui lamentarsi, lo si ascoltava, poi si sentiva l’altra parte, si ascoltavano le due parti. Quello che facevano quel gruppo di compagni era ascoltare, sentire dai propri fratelli quale fosse il problema e contemporaneamente sentire le ragioni. Quando si vedeva che uno dei due aveva ragione, allora si doveva parlare con l’altro fratello col quale aveva il problema.

   Quello che facevano le autorità a quel tempo era dare delle idee, cioè convincere le parti ad arrivare ad una soluzione pacifica senza tanto chiasso.

   E’ questo che facevano le autorità anche per altri tipi di problemi, nelle questione agrarie facevano così, convincevano i fratelli a non litigare per un pezzo di terra; se ad un fratello stanno togliendo la sua terra bisogna sentire anche l’altro che la sta togliendo e digli che non deve essere così, quello che è, è.

(…)

 -*-

(…)

  Sì, questo sì, ma allora si deve fare un regolamento, allora chi propone l’idea? Da dove nasce l’idea di come dovrebbe essere un regolamento? Chi dice ‘propongo questo’? Poi, come si fa per raccogliere la voce del popolo, perché se viene dalla Giunta, si accetta così o deve essere sostenuta dai compagni della Commissione di Informazione? Oppure, chi è che dice che bisogna fare un regolamento?

 Risposta di un altro compagno: Non esiste ancora che ci sia un’iniziativa di compagne autorità, l’iniziativa di fare un regolamento, così solo dalle compagne che svolgono incarico di autorità. Avviene tra compagne e compagni.

   No, compa, la mia domanda è come Giunta di Buon Governo, non come compagne. Come Giunta di Buon Governo è solo per fare un esempio, non si tratta in particolare di regolamento o di legge. Quando vedete che c’è una necessità o c’è un problema, per questo faccio l’esempio di un regolamento, perché questo richiede una relazione, perché la Giunta di Buon Governo non impone una legge, allora vorremmo sapere com’è che fate. Perché qui entra in gioco la democrazia, vorremmo capire, perché, come ci avete detto, i comandanti ribelli non staranno qui sempre, e capiamo che non ci sarà per sempre anche la Commissione di Informazione, cioè il CCRI [Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno]. Allora voi, Giunta di Buon Governo, come fate a soddisfare una necessità, sia una legge, sia un problema, qualche questione che è necessario mandare avanti, un progetto o quello che sia. Come si relazionano Giunta di Buon Governo, MAREZ [Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti], autorità e poi le comunità?

 

  Cioè, come si fa la democrazia.

(…)

-*-

(Continua…)

In fede.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Febbraio 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/22/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens-2-como-se-hace/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI 

VII.- Le/I più piccol@ 1. 

1.- Imparare a governare e governarci, ovvero, a rispettare e rispettarci.

Febbraio 2013

Nota: i quaderni di testo che sono parte del materiale di supporto del corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”, sono il risultato delle riunioni realizzate dalle basi di appoggio zapatiste di tutte le zone per valutare i lavori dell’organizzazione. Compagne e compagni tzotzil, chol, tzeltal, tojolabal, mam, zoque e meticci, provenienti dalle comunità in resistenza dei 5 caracol, si sono posti tra loro domande e risposte, hanno scambiato le proprie esperienze (che sono diverse da zona a zona), hanno criticato, hanno fatto autocritica ed hanno valutato i progressi e quello che c’è ancora da fare. Le riunioni sono state coordinate dal nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés e sono state registrate, trascritte ed elaborate per la redazione dei quaderni di testo.

Poiché in queste riunioni le/i compagn@ hanno condiviso i loro pensieri, le loro storie, i loro problemi e le possibili soluzioni, loro stessi hanno battezzato questo processo: “la condivisione”.

Questi sono alcuni frammenti estratti dalla condivisione zapatista:

-*-

(…)

  Siamo qui per condividere le nostre esperienze, una delle quali, come zapatisti, è come governiamo insieme, governiamo collettivamente. Che esperienza si può condividere del modo in cui si governa insieme, collettivamente?

  Il modo in cui stiamo lavorando è non separarsi dal popolo. Così come facciamo sempre in questioni di regolamenti o di pianificare le attività, il lavoro, l’informazione deve arrivare alle persone, le autorità devono essere presenti nel pianificare le attività, nel fare le proposte.

(…)

  Stiamo lavorando su alcune cose e riteniamo, come parte degli obblighi del governo autonomo, suo dovere assistere ogni persona che si presenti nei suoi uffici per varie questioni, che si risolva o no il suo problema, la persona deve essere ascoltata. Che sia, zapatista o non zapatista, così lavoriamo, a patto che non sia gente del governo o mandata dal governo, perché queste persone non sono accolte né assistite. Se non sono del governo, ma di qualsiasi organizzazione sociale, allora sono assistite. Lavoriamo sempre attenti a rispettare i sette principi del “comandare ubbidendo”, perché pensiamo che dobbiamo farlo così, è un dovere, per non commettere gli stessi errori che commettono le istanze del malgoverno e non riprodurre le loro stesse modalità, quindi, quello che ci guida sono i sette principi.

-*-

  Nel primo Aguascalientes costruito a Guadalupe Tepeyac la nostra organizzazione fece il primo passo nel nostro modo di far valere i nostri diritti. Questo Aguascalientes era un centro culturale, politico, sociale, economico, ideologico, ed Ernesto Zedillo pensò che col suo smantellamento, a seguito dell’offensiva scatenata dopo il suo tradimento, avrebbe distrutto politicamente la nostra organizzazione. Ma è stato il contrario, perché in quello stesso 1994 furono aperti altri cinque Aguascalientes.

(…)

-*-

  Una volta stabilita la sede nei municipi, si sono cercati i nomi da dare loro. Il primo municipio autonomo è La Garrucha e si chiama Francisco Gómez; l’altro municipio è San Manuel, che è Las Tazas; Taniperlas si chiama Ricardo Flores Magón; San Salvador, Francisco Villa. Tutti i nomi sono stati scelti in onore dei compagni: Francisco Gómez, che tutti conosciamo perché è il compagno che ha dato la vita per la causa per cui ci battiamo, di cui ci ha parlato il compagno morto in combattimento ad Ocosingo il primo gennaio. San Manuel in onore del compagno Manuel, fondatore della nostra organizzazione. Ricardo Flores Magón, perché sappiamo che è stato un attivista sociale passato alla storia. E Francisco Villa, perché è il rivoluzionario che tutti conoscono. Una volta formati i nostri municipi, gli accordi sono stati tutti presi in un’assemblea comunitaria ed i loro nomi sono stati decisi nell’assemblea regionale. Compas, adesso altri compagni e compagne spiegheranno altre cose.

(…)

-*-

  I problemi si sono presentati fin dal principio, [incomprensibile], come il problema dell’alcolismo: com’è questo problema adesso nella vostra zona?

  Compagno, a quei tempi, all’inizio del 1994, appena iniziata la guerra, alcuni avevano molta paura. Con la guerra tutti ci siamo messi assieme per partecipare alla guerra. Alcuni l’hanno fatto coscientemente ma altri l’hanno fatto per paura, e chi l’ha fatto per paura non faceva bene il suo lavoro, e allora cosa faceva? Anche se avevamo l’ordine di non bere, c’era chi lo faceva di nascosto. Cosa facevamo? Noi non lo punivamo, per questo c’era la commissione degli anziani, incaricati di parlargli e spiegargli il danno che provoca a sé stesso. Allora, praticamente chi ubbidisce va avanti e chi non ubbidisce viene cacciato. Questa è la risposta.

(…)

-*-

 Quaderno 3

-*-

  Compagni e compagne, buon pomeriggio a tutti. Io vengo da un villaggio che si chiama ____, che appartiene al municipio Francisco Villa. Rappresento la Giunta di Buon Governo, sono stato Consigliere dal 2006 al 2009. Vi spiegherò le cause che hanno portato al nostro impegno, ancora non tocca a me spiegare quando abbiamo cominciato nell’anno 1994, vi racconterò un po’ come abbiamo cominciato poco prima del 1994. Prima, ’91, ’92, qual’è stata la causa della sollevazione armata? La causa è stata la dominazione, l’emarginazione e l’umiliazione, le ingiustizie e le norme o leggi dei malgoverni e dei proprietari terrieri sfruttatori. I nostri genitori e nonni non erano considerati, soffrivano e non avevano terra da coltivare per mantenere i figli. Così le comunità zapatiste hanno cominciato ad organizzarsi ed hanno detto “basta con questa umiliazione”. Allora si sono sollevate in armi, incuranti del buio e della fame.

  Così ci siamo andati formando ed abbiamo visto che organizzati, uniti, potevamo e possiamo fare di più. Poi, dopo la nostra sollevazione, abbiamo studiato come andare avanti ed abbiamo formato le nostre autorità autonome in ogni municipio. Per questo siamo qui riuniti tutti insieme per parlare e condividere come abbiamo cominciato a far funzionare i nostri governi autonomi; perché vi parlo di questo? Perché credo che è da lì che abbiamo cominciato e progredito fino ad arrivare fino a dove siamo adesso. E per parlarvi di dove siamo adesso do la parola al compagno ___ che spiegherà come lavoriamo oggi nei nostri municipi e nelle Giunte di Buon Governo. È tutto, compagni.

  Compagni, come ha detto il compa, ora ci parlerà il compagno ____, che è stato il fondatore del nostro governo autonomo nel Caracol III, a La Garrucha, insieme a coloro che sono state le prime autorità. Ora condivideranno con noi come hanno fatto, come erano, come hanno cominciato e come siamo adesso che siamo arrivati fino a qui.

-*-

(…)

  Come mi è capitato già di raccontarvi, più o meno un mese dopo l’inizio delle nostre funzioni un’organizzazione che si chiama CIOAC [di filiazione perredista] ha sequestrato un compagno con il suo camion, e ci siamo quindi visti obbligati a denunciarlo, ma non avevamo idea di come scrivere una denuncia. Membri della Giunta di Buon Governo e consiglieri municipali abbiamo messo insieme le nostre parole, una o due parole, per fare questa denuncia, in squadra, ognuno con le sue parole, e così abbiamo formulato una denuncia. E così abbiamo svolto lavori come segretario, come cuoco, come spazzino, perché dovevamo fare le pulizie nei nostri uffici e in tutta la nostra zona di lavoro, e non c’è chi svolge in particolare questi compiti, e così li facciamo tutti noi e così continuiamo a fare.

(…)

-*-

 Quaderno 4

-*-

 (…)

  Così abbiamo lavorato e siamo arrivati al 2003, con la formazione delle Giunte di Buon Governo. Siamo arrivati alle giunte di buon governo in questa zona, ma allora non sapevamo se il direttivo dell’associazione dei municipi un giorno sarebbe diventato autorità e governo. Ma nel 2003, quando nascono le Giunte di Buon Governo, il popolo e l’associazione dei municipi decidono che quegli otto compagni, membri del Direttivo dell’Associazione dei Municipi, sarebbero diventati autorità della Giunta di Buon Governo. E quegli otto compagni sono quelli che entrano in carica nella Giunta di Buon Governo, nel primo periodo della Giunta di Buon Governo, che è andato dal 2003 al 2006.

  Così sono nate le giunte, nelle stesse condizioni e senza una sede adeguata. Giorni prima che fosse resa pubblica la nascita delle Giunte di Buon Governo, le comunità costruirono nel centro del Caracol, in tutta fretta, una sede per la Giunta di Buon Governo ed una sede per ognuno dei municipi autonomi. Sono state costruite con il materiale disponibile in quei momenti, si è cominciato con legno usato, lamiere usate ed in meno di una settimana sono state tutte realizzate. Così si comincia, gli uffici sono pronti, arriva l’agosto del 2003 e diventano pubbliche; dopo la loro pubblicizzazione, le comunità si riuniscono, orgogliose di aver creato una nuova istanza di governo autonomo. Con una grande festa stabiliscono formalmente il nuovo governo autonomo, consegnando gli uffici col materiale a disposizione.

  Possiamo dire che non era molto, ma la comunità ha dato alla Giunta di Buon Governo un tavolo e due sedie, questo era tutto il materiale, ed un locale un po’ più piccolo di questo in cui ci troviamo ora. Giorni dopo, qualcuno ha regalato una macchina da scrivere vecchissima e con quella si è cominciato a lavorare. Partendo da un locale vuoto abbiamo avviato delle iniziative di lavoro e sistemato lo spazio.

(…)

-*-

  Come potete vedere, nella zona in cui lavoriamo esistono diversi modi di essere, di vestire, differenti colori, diverse credenze, differenti modi di parlare, ma si rispetta il compagno e la compagna, indipendentemente da com’è. L’unica cosa che ci interessa è la volontà di lavorare e le sue capacità, e non ci importa di com’è.

(…)

-*-

(continua…)

                                                                                                               In fede.
                                                                             Dalle montagne del Sudest Messicano
                                                                              Subcomandante Insurgente Marcos
                                                                                       Messico, Febbraio 2013

 

Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: testo e video

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ELLOS Y NOSOTROS

VII – Le/I più piccol@

 Introduzione

Febbraio 2013

Diversi anni fa, mentre nella politica dell’alto si contendevano il bottino di una Nazione ridotta a pezzi, mentre i mezzi di comunicazione tacevano o mentivano su quello che accadeva sotto questi cieli, mentre i popoli originari passavano di moda e tornavano relegati nel luogo dell’oblio: le loro terre saccheggiate, i suoi abitanti sfruttati, repressi, defraudati, disprezzati…

I popoli indigeni zapatisti,

accerchiati dall’esercito federale, perseguiti dalle polizie statali e municipali, aggrediti dai gruppi paramilitari addestrati ed equipaggiati dai diversi governi di tutto lo spettro politico del Messico (PRI, PAN, PRD, PT, PVEM, MC e le molte sigle adottate dai parassiti della classe politica messicana), vessati dagli agenti delle diverse centrali di spionaggio nazionali e straniere, vedendo i propri uomini e donne, basi di appoggio dell’EZLN, colpit@, defraudat@ e incarcerat@…

I popoli indigeni zapatisti,

senza clamore,

senza altro imperativo del dovere,

senza manuali,

senza altri leader se non noi stess@

senza altro riferimento che non fosse il sogno dei nostri morti,

solo con le armi della storia e della memoria,

guardando vicino e lontano nei calendari e geografie,

con la guida di Servire e non Servirsi / Rappresentare e non Sostituire / Costruire e non Distruggere / Ubbidire e non Comandare / Proporre e non Imporre / Convincere e non Vincere / Scendere e non Salire.

I popoli zapatisti, gli indigeni zapatisti, le indigene zapatiste, le basi di appoggio dell’ezetaelene, con un nuovo modo di fare politica,

abbiamo costruito,

costruiamo,

costruiremo,

la libertà.

LA LIBERTÁ

LA NOSTRA LIBERTÁ!

 -*-

Nota esplicativa:

I testi che appariranno in questa settima ed ultima parte di “Loro e Noi” sono frammenti estratti da “Quaderno di Testo di Primo Livello del Corso di Libertà secondo le/gli Zapatist@. Governo Autonomo I” e “Quaderno di Testo di Primo Livello del Corso di Libertà secondo le/gli Zapatisti. Governo Autonomo II”, versione in spagnolo SOLO per i compas della Sexta (speriamo ci sarà la versione nelle lingue originarie che stabilirà il Congresso Nazionale Indigeno, così come in inglese, italiano, francese, portoghese, greco, tedesco, euzkera, catalano, arabo, ebraico, galiziano, curdo, aragonese, danese, svedese, finlandese, giapponese ed altre lingue, in base all’appoggio dei compas della Sexta nel mondo che si occupano delle traduzioni). Questi quaderni fanno parte del materiale di appoggio per il corso che le basi di appoggio zapatiste daranno ai compas della Sexta in Messico e nel mondo.

Gli autori di tutti i testi sono uomini e donne basi di appoggio zapatiste, ed esprimono non solo parte del processo di lotta per la libertà, ma anche le loro riflessioni critiche e autocritiche sui nostri passi. Cioè, così noi zapatiste e zapatisti vediamo la libertà e le nostre lotte per ottenerla, esercitarla, difenderla.

Come ha spiegato il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés, le/i nostr@ compas basi di appoggio zapatiste condivideranno quel poco che abbiamo appreso della lotta per la libertà, e le/i compas della Sexta giudicheranno cosa può essere utile oppure no per le loro lotte.

 Quaderno I   Quaderno II

La lezione scolastica zapatista, ora lo sapete, si chiama “La Libertà secondo le/gli Zapatist@”, e sarà tenuta direttamente dai compagni e dalle compagne basi di appoggio dell’ezetaelene che hanno svolto i diversi incarichi di governo, vigilanza e rivestito cariche di diversa responsabilità nella costruzione dell’autonomia zapatista.

Per frequentare la scuola, oltre ad essere invitat@, le/i compas della Sexta e invitat@ speciali, dovranno frequentare alcuni corsi preparatori, o propedeutici (o come si chiami il livello prescolastico o scuola materna), prima di passare al “primo livello”. Questi corsi saranno impartiti da compas delle squadre di appoggio della Commissione Sexta dell’EZLN ed hanno il solo scopo di fornire gli elementi base della storia del neo-zapatismo e della lotta per la democrazia, libertà e giustizia.

Nelle geografie dove ci sono compas della squadra di appoggio, si farà arrivare il programma affinché le/gli invitat@ si preparino.

Le date e località, cioè, i calendari e le geografie in cui si svolgeranno i corsi tenuti dalle basi di appoggio zapatiste, saranno rese note al momento opportuno, sempre tenendo in considerazione la situazione di ogni invitat@ individuale, gruppo o collettivo.

Tutte le invitate e gli invitati al corso potranno frequentarlo indipendentemente che possano venire oppure no in terre zapatiste. Stiamo studiando il modo di arrivare ai vostri cuori indipendentemente dal vostro calendario e geografia. Quindi, non temete.

Bene. Salute, e preparate i vostri cuori, già, ma anche il quaderno e la penna.

Dalle Montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos
Messico, Febbraio 2013

 P.S. LEZIONE DI BUONA EDUCAZIONE – Questa settima ed ultima parte della serie “Loro e Noi” consta, a sua volta, di diverse parti ed è SOLO per i compas della Sexta. Insieme alla parte V (che, come indica la sua numerazione si intitola “La Sexta”) ed al finale della parte VI.- Guardare 6: “Él Somos”, fa parte della corrispondenza particolare che l’EZLN, attraverso i suoi portavoce, dirige ai suoi compas della Sexta. In quelle parti, ed in questa, è indicato chiaramente il destinatario.

A chi non è compas e vuole scherzare, polemizzare, criticare o replicare, ricordiamo che leggere e commentare la corrispondenza altrui è roba da pettegol@ e/o da polizia. Dunque, vedete voi in che categoria rientrare. Per il resto, con i loro commenti riflettono solo un volgare razzismo (ripetono solo i cliché della TV), si esprimono in una forma pessima e dimostrano la loro mancanza d’immaginazione (conseguenza della mancanza di intelligenza… e della pigrizia di leggere). Benché, chiaro, ora dovranno ampliare la cantilena: “marcos no, ezln sì” e passare a “marcos e moisés no, ezln sì“; poi “CCRI-CG no, ezln sì“.Quindi, se arriveranno a conoscere le parole dirette delle basi di appoggio zapatiste (ma ne dubito molto) dovranno dire “ezln no, nemmeno ezln“, ma sarà ormai troppo tardi.

Oh, non siate tristi, quando metteremo i video di Ricardo Arjona, Luis Miguel, Yustin Bibier o Ricky Martín, potrete sentirvi convocati. Nel frattempo aspettate comodi, continuate a guardare il calendario dell’alto (3 o 6 anni passano velocemente), spostatevi un po’ più a destra (siete abituati) e fatevi da parte, non vorremmo calpestarvi…

Ehilà gente! Venite a ballare!

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

“La Estrella del Desello” con Eulalio González El Piporro. La canzone appare in una versione ridotta nel film “La Nave dei Mostri” (1959, di Rogelio A. González). Non fa alcun riferimento all’ezetaelene, lo metto solo così, per salutare i compas del nord e non rattristatevi, anche se siete lontani, vi guardiamo. ¡Ajúa! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ticsxPf3-3c

 “La Despedida” con Manu Chao e Radio Bemba, in una comunità indigena zapatista. http://www.youtube.com/watch?v=Co-XQm9NDd0&feature=player_embedded

“Brigadistak” con Fermín Muguruza. La lotta contro il Potere non ha frontiere! Marichiweu! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sVB0M5RgvWs&list=PL_836k-Dgy4-OrmJCZOezrl3DJQE6NaT-

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/19/ellos-y-nosotros-vii-ls-mas-pequens/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Subcomandante Moisés

Gloria Muñoz Ramírez

Un uomo aperto, visionario politico, stratega militare e, soprattutto, organizzatore di popolo, sono alcune delle caratteristiche del nuovo subcomandante dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Conosciuto nei primi giorni del gennaio del 1994 come mayor Moisés, nel 2003 era stato nominato teniente coronel. Oggi viene presentato dal subcomandante Marcos, capo militare, come il nuovo subcomandante delle forze ribelli.

Il subcomandante Moisés è entrato nell’organizzazione zapatista nel 1983, come egli stesso ha raccontato. Di origine tzeltal, all’inizio andò a vivere in città durante la sua preparazione e lì, in una casa clandestina, conobbe il subcomandante Pedro, che sarebbe stato poi il suo comandante, e del quale sarebbe diventato il braccio destro. Moisés è uno di quelli che visita le comunità della valle tojolabal di Las Margaritas. Si reca di villaggio in villaggio, di famiglia in famiglia, a spiegare i motivi della lotta. Di bassa statura e grande cuore e visione politica, sempre con indosso il suo cappello militare nero, con un senso dell’umorismo che fa onore alla sua etnia tzeltal più profonda, Moisés è testimone di uno degli ultimi incontri tra i subcomandantes Marcos e Pedro, il suo secondo al comando militare. Moisés narrò che i due comandanti discutevano perché entrambi volevano partecipare attivamente alla guerra. E i due dicevano che l’altro doveva restarne fuori, perché se uno moriva, l’altro doveva sostituirlo e andare avanti. Tutti e due scesero in guerra, il primo nella presa di San Cristóbal de Las Casas ed il secondo a Las Margaritas, dove fu ucciso in combattimento quella stessa mattina. In quel momento, con la mancanza di controllo delle truppe insorte, il nuovo subcomandante assunse il comando ed il controllo delle operazioni nella regione.

Nei primi anni di guerra, Moisés si presenta come l’interlocutore di buona parte della società civile nazionale ed internazionale; concede interviste alla stampa spiegando gli inizi della lotta zapatista, il contenuto e le ragioni delle sue iniziative politiche e pacifiche e, più avanti, il funzionamento delle giunte di buon governo, delle quali è promotore fin dal loro primo precedente, l’Associazione dei Municipi Autonomi. Nel 2005, con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dalla comandancia generale viene incaricato dei temi internazionali, in una commissione conosciuta come L’Intergalattica. Durante quel periodo, mentre il delegato Zero percorre il paese con L’Altra Campagna, l’allora teniente coronel riceve le visite internazionali. Noto per la sua pazienza e disponibilità, nel 20° anniversario dell’EZLN, dichiarò: Noi prima facciamo la pratica e poi facciamo la teoria. E così è stato dopo il tradimento, quando partiti politici e governo hanno respinto il riconoscimento dei popoli indio.

Senza dubbio Moisés può sottoscrivere le sue parole: “Io penso che se bisogna essere rivoluzionario, bisogna esserlo fino all’ultimo, perché non vale se uno non arriva fino alle ultime conseguenze o abbandona la gente. Noi attivisti dobbiamo assumerci questo impegno fino in fondo…. “. E lui l’ha assunto.

lasylosdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 16 febbraio 2013

Oggi si compiono 17 anni dalla firma degli Accordi di San Andrés, tuttora incompiuti

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 15 febbraio. Con la rinnovata richiesta che siano rispettati e nel mezzo della nuova tappa politica interna che comprende la promozione da tenente colonnello a subcomandante dell’indigeno tzeltal Moisés, gli accordi di San Andrés compiono oggi 17 anni dalla loro firma tra il governo federale e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Per il vescovo Felipe Arizmendi Esquivel i trattati firmati il 16 febbraio el 1996 contengono molte proposte che dovrebbero essere integrate nella nostra legislazione per garantire la vita degna dei popoli originari del Messico.

 

Juan Roque Flores, che è stato membro della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), ha dichiarato che mentre il governo insiste nella sua politica paternalista ed assistenzialista, i popoli e le comunità zapatiste continuano a costruire la propria autonomia affinché il loro esempio si moltiplichi.

Víctor Hugo López, direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, sostiene che gli accordi hanno stabilito un precedente per diversi strumenti relativi ai diritti umani come la Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni dell’ONU. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/16/politica/015n2pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VI – Guardare 6.

 

6.- ÉL SOMOS [lui-siamo].

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

 

14 febbraio 2013

 

A: le e gli aderenti alla Sexta in tutto il mondo.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

   Il tempo è giunto e così il suo momento. Come il tempo di tutti gli esseri umani, siano essi buone o cattive persone, un@ nasce, arriva e muore, e se ne va. Così è il tempo. Ma c’è un altro tempo in cui un@ può decidere verso dove andare, quando è ormai il tempo di guardare il tempo, cioè quando puoi comprendere la vita, come la vita deve essere qui in questo mondo, e che nessuno può essere padrone del mondo.

   Noi siamo nati indigeni e siamo indigeni, arriviamo su questa terra e sappiamo che faremo ritorno, com’è legge. Nel corso della nostra vita ci hanno dato ad intendere che noi indigeni non andiamo bene, abbiamo visto quello che è successo ai nostri tris-trisavol@ negli anni 1521, 1810 e 1910, siamo sempre gli abusati che hanno dato la vita per far salire al potere altri, affinché tornassero a disprezzarci, a derubarci, a reprimerci, a sfruttarci.

   Ed abbiamo trovato un terzo tempo. È il luogo dove stiamo, ed è già un bel po’ di tempo che camminiamo, corriamo ed impariamo, lavoriamo, cadiamo e ci solleviamo. Un@ deve riempire il suo nastro da registrare, per riprodurre poi più vite di altri tempi. Sì, a noi hanno lasciato lo zaino pieno di nastri, benché alcuni non ci siano più. Rimane chi va avanti e così avviene ciò che avviene, e manca quello che manca, fino ad arrivare alla fine, e cominciare un altro lavoro di costruzione, dove comincia un’altra nascita di un altro mondo, dove non si permette più che tornino a fotterci e ci sia l’oblio per noi popoli originari, non lo permettiamo più, abbiamo imparato. Vogliamo vivere bene in uguaglianza sia in campagna che in città, dove il popolo della campagna e della città comandino ed obbedisca chi sta al governo, e se non ubbidisce è fuori e si mette un altro governo.

   Sì, siamo indigeni, coltiviamo la madre terra, sappiamo usare gli strumenti per ricavare il cibo che dà la madre terra. Siamo di diverse comunità con differenti lingue. La mia lingua madre è il tzeltal, ma capisco anche tzotzil e chol, ed ho imparato il castigliano nell’organizzazione, con le mie compagne e compagni. Ed ora sono quello che siamo e insieme ai miei compagni ho imparato quello che vogliamo per vivere in un mondo nuovo.

 -*-

  Sto scrivendo a nome di tutte e tutti gli zapatisti, mentre il sup ha rotto il suo computer, l’ho visto che andava a sistemarlo e gli ho chiesto cos’era successo al suo PC, e lui mi ha risposto che il PC era saltato, ah, gli ho detto, e lui aveva in mano uno scalpello ed un martello di 5 chili. Gli ho detto che non si sarebbe aggiustato. Allora mi ha detto che parlassi io a voi affinché conosciate chi si incarica di stare sulla porta, e noi impariamo a conoscervi attraverso quello che scrivete e dite da tutte le parti, e quello che ci raccontate e ci hanno raccontato come compagne e compagni che siamo della Sexta.

   So battere un po’ sulla tastiera del PC e tempo fa me ne hanno dato uno perché imparassi. Ora sto scrivendo, ma ho paura che mi succeda come al sup che ha rotto il suo PC, ma io ho la soluzione immediata, un bel colpo d’accetta, e via di penna e quaderno. Problema risolto.

   E comunque devo dirvi che il compito di affacciarsi alla finestra, che tocca al supmarcos, ancora non è finito. Cioè c’è ancora bisogno di qualcosa, ma presto si risolverà il problema del sup col suo PC.

   Sì, al sup tocca guardare dalla finestra e che ci vedano quelli che dicono di essere “i buoni” che lottano per il popolo e che hanno guidato il popolo e non hanno ottenuto risultati, perché dicono che il popolo non capisce e che loro capiscono come fare, ma nessuno li segue. Perché? Questo è quello che non capiscono, né capiranno mai, perché pensano e vogliono guardare dall’alto e salire per arrivare più su.

   Bene, tutto questo e molte altre cose sono compiti del sup perché gli tocca curarsi della finestra, come il telaio di una finestra.

   Gli tocca anche vedere e sapere che cosa succede con quell@ che non seguono quelli che guardano solo in alto, perché sono così, che cosa pensano, come pensano, pensiamo che probabilmente pensano come noi zapatisti, che deve essere legge che il popolo comanda e il governo ubbidisce.

   E gli tocca anche prendersi le critiche e gli insulti e i commenti, come dice lui, e gli scherzi di quelli che stanno fuori. Ma lui non si preoccupa di questi insulti e bugie, se ne ride, perché l’abbiamo preparato a questo, l’abbiamo reso inossidabile. E non gli fa male, beh, a volte sì, a volte gli fa male la pancia dal tanto ridere che gli fanno le cose che gli dicono.

   E mi dice che presto prenderanno in giro anche me, o che gli toccherà farsi vedere. E’ così, presto vedrò le mie caricature o mi insulteranno o si burleranno di me perché sono indigeno, come scherzano lui perché è quello che è. Ma a noi importa solo la gente che vuole lottare per sconfiggere l’ingiustizia, e finché non ci sganciano addosso bombe e pallottole non c’è problema. E se ce ne sganciano, nemmeno, perché ci sono già altri compagni e compagne pronti per il compito che sarà e che è sempre quello di lottare. Cioè, siamo pronti a tutto e non abbiamo paura.

   In questi anni, mi dice il sup, a molta gente hanno oscurato la vista dalla finestra, ma si vede subito chi sono quelli che somigliano a noi e che ha voluto contare quant@ sono quell@, ma si è perso il conto e fa a modo nostro, cioè come siamo noi indigeni, siamo un sacco. Quanti, gli dico. Molti, molte, mi ha detto. Ah, ho detto. E questo ci conferma che ce ne sono molt@ come no@ e che un giorno con loro ci diremo “siamo questo”, non importa se siamo indigeni o non indigeni.

   Noi ci organizziamo così, alcuni fanno alcune cose ed altri ne fanno altre. Per esempio ora tocca al supmarcos la finestra e a me tocca la porta, e ad altri toccano altre cose.

   E’ che adesso ci ricordiamo di un compagno indimenticabile per tutt@ noi zapatisti, il SubPedro, che negli ultimi giorni di dicembre del 1993 ci disse, imparate compagni, perché un giorno toccherà a voi. Lotteremo con opera@, contadin@, giovani, bambini, donne, uomini, anziani del Messico ed anche del mondo. Era vero ed è vero, ormai senza di lui. E’ la verità della verità quando si lotta per il popolo.

   Bene compas, ora sapete che sono io l’addetto alla porta, l’incaricato di osservare il nuovo modo di lavorare con le/i compagn@ che verranno ad apprendere quello che hanno costruito negli anni i miei compagn@ zapatisti, e quello che siamo ora.

 -*-

   Perché crediamo e ci fidiamo del popolo ed è ormai ora di fare qualcosa contro quello che abbiamo visto in tanti anni e del male che abbiamo subito e che subiamo, ed è ora di unire il pensiero ed imparare e poi elaborarlo, organizzarlo. E possiamo già farlo grazie alle numerose esperienze che abbiamo fatto e questo ci guida a non proseguire negli stessi modi in cui ci obbligano.

   Finché non agiamo secondo il pensiero dei popoli, i popoli non ci seguono. E per non cadere negli stessi errori, bisogna solo guardare i nostri predecessori. Costruire qualcosa di nuovo che in realtà sia parola e pensiero e decisione e analisi, proposta del popolo, che sia studiato dal popolo e alla fine decisione del popolo.

   Per 10 anni abbiamo lavorato in clandestinità, e non ci conoscevate. “Un giorno ci conosceranno”, ci dicevamo e così abbiamo continuato a lavorare durante quegli anni. Ed un giorno abbiamo deciso che era ora che ci conosceste. Ora ci conoscete da 19 anni, direte voi se è male o bene quello che stiamo facendo. I miei compagn@ ci dicono che vivono meglio con i loro governi autonomi. Loro si rendono conto di cos’è la vera democrazia che vivono nelle loro comunità e che non si fa la democrazia ogni 6 o 3 anni. La democrazia si fa in ogni villaggio, nelle assemblee municipali autonome e nelle assemblee delle zone che formano le Giunte di Buon Governo, e si fa democrazia nell’assemblea quando si riuniscono tutte le zone che controllano le Giunte di Buon Governo, cioè la democrazia si fa tutti i giorni di lavoro in tutte le istanze del governo autonomo ed insieme alle comunità, donne e uomini. Trattano con democrazia tutti i temi della vita, sentono che la democrazia è loro, perché loro discutono, studiano, propongono, analizzano e alla fine decidono sulle questioni.

   Loro ci dicono, domandando, come sarebbe questo paese e questo mondo se ci fossimo organizzati con gli altri fratelli e sorelle indigeni, ed anche con i fratelli e le sorelle non indigeni? Il risultato è un grande sorriso, perché i risultati del lavoro che stanno facendo, li hanno nelle proprie mani.

   Sì, è così, ci vuole solo che i poveri della campagna e della città si organizzino senza che nessuno ci guidi se non noi stessi e quelli che nominiamo, non quell@ che vogliono solo arrivare al potere, e che poi al potere ci relegano nell’oblio e poi ne arriva un altro che dice che ora cambieranno davvero le cose ma poi seguono gli stessi inganni. Non mantengono la parola, ormai lo sappiamo, lo sapete, è superfluo che ve lo scriva, ma è così che avviene in questo paese. Ed è esasperante e logorante, orribile.

   Noi poveri sappiamo qual’è il miglior modo di vivere che vogliamo, ma non ce lo permettono, perché sanno che faremo sparire lo sfruttamento e gli sfruttatori e costruiremo la vita nuova senza sfruttamento. Sappiamo bene come deve essere il cambiamento, perché tutto quello che abbiamo sofferto richiede cambiamento. Le ingiustizie, le sofferenze, le tristezze, i maltrattamenti, le disuguaglianze, le manipolazioni, le brutte leggi, le persecuzioni, le torture, le prigioni e molte altre cose brutte che subiamo, sappiamo che non rifaremo cose per farci lo stesso male. Come diciamo qua noi zapatisti, se ci sbagliamo, siamo capaci di correggerci, non come adesso che uno la fa e gli altri pagano, cioè quelli che ora la fanno sono le/i deputat@, senator@ ed i malgoverni del mondo, ed i popoli pagano.

   Non ci vuole una laurea, né si deve saper parlare bene il castigliano, né si deve leggere troppo. Non diciamo che non serva, ma ne serve quanto basta per il lavoro, serve perché ci aiuta a lavorare con ordine, cioè è uno strumento di lavoro per comunicare tra noi. Quello di cui stiamo parlando, è il cambiamento, noi sappiamo fare il cambiamento, non c’è bisogno che qualcuno salti fuori a fare la sua campagna per dirci che lui o lei sarà il cambiamento, come se noi le/gli sfruttat@ non sapessimo come dovrebbe essere il cambiamento che vogliamo. Mi capite, sorelle e fratelli indigeni e popolo del Messico, sorelle e fratelli indigeni del mondo, sorelle e fratelli non indigeni del mondo?

   Quindi, sorelle e fratelli indigeni e non indigeni poveri, scendete in lotta, organizzatevi, guidatevi da voi stessi, non lasciatevi guidare o controllate bene che chi volete che vi guidi faccia quello che decidete voi e vedrete che le cose prenderanno strade simili alle nostre di noi zapatisti.

   Non smettete di lottare, così come gli sfruttatori non smettono di sfruttare, ma arrivate fino al fine, cioè alla fine dello sfruttamento. Nessuno lo farà per noi, se non noi stessi. Prendiamo le redini, afferriamo il volante e portiamo il nostro destino dove vogliamo andare, andiamo dove il popolo comanda. Il popolo è la democrazia, il popolo si corregge e va avanti. Non come ora, che 500 deputati e 228 senatori la fanno, e milioni che subiscono questa peste che porta alla morte, cioè i poveri e il popolo del Messico, la pagano.

   Sorelle e fratelli operai e lavoratori, vi abbiamo ben presenti, abbiamo lo stesso odore di sudore per lavorare per le/gli sfruttator@. Ora che i miei compagni zapatisti aprono la porta, se ci capite, entrate nella Sexta a conoscere il governo autonomo de@ nostr@ compagn@ dell’EZLN. E se ci avete compreso, anche voi sorelle e fratelli indigeni del mondo e sorelle e fratelli non indigeni del mondo.

   Siamo i principali produttori della ricchezza di quelli che sono già ricchi, ora basta! Sappiamo che ci sono altr@ sfruttat@, vogliamo organizzarci con loro, lottiamo per il popolo del Messico e del mondo, che è nostro, non dei neoliberali.

   Sorelle e fratelli indigeni del mondo, sorelle e fratelli non indigeni del mondo, popoli sfruttati. Popoli d’America, popoli d’Europa, popoli dell’Africa, popoli dell’Oceania, popoli dell’Asia.

   I neoliberali vogliono essere padroni del mondo, così diciamo noi, cioè vogliono trasformare in loro proprietà tutti i paesi capitalisti. I loro capoccia sono i governi capitalisti sottosviluppati. Così ci vogliono, se non ci organizziamo tutte e tutti noi lavoratori.

   Sappiamo che nel mondo c’è sfruttamento. Non ci deve far sentire lontani la distanza che ci separa in ogni parte del nostro mondo, dobbiamo avvicinarci, unendo i nostri pensieri, le nostre idee e lottare da noi stessi.

   Lì dove siete c’è sfruttamento, subite le stesse cose come noi.

   Subite repressione come noi.

   Venite derubati, come fanno a noi da più di 500 anni.

   Vi disprezzano, come continuano a disprezzarci.

   Così stiamo, così ci tengono e così sarà se non ci prendiamo per mano gli uni con gli altri.

   Abbondano le ragioni per unirci e far sì che nasca la nostra ribellione per difenderci da questa bestia che non vuole togliersi di dosso e non se ne andrà mai se non lo facciamo noi stessi.

   Qui nelle nostre comunità zapatiste, con i governi autonomi ribelli e con l’unione de@ compagn@, affrontiamo giorno e notte il capitalismo neoliberale e siamo pronti a tutto.

   Questi sono fatti, i compag@ zapatisti sono organizzati così. C’è solo bisogno di decisione, organizzazione, lavoro, pensiero e di mettere in pratica e poi correggere e migliorare senza fermarsi, e se ci si ferma, è per raccogliere le forze e andare avanti, il popolo comanda e il governo ubbidisce.

   Sì, si può, sorelle e fratelli poveri del mondo, qui c’è l’esempio dei vostri sorelle e fratelli indigeni zapatisti del Chiapas, Messico.

   È ormi ora che davvero facciamo il mondo che vogliamo, il mondo che pensiamo, il mondo che desideriamo. Noi sappiamo come. È difficile, perché c’è chi non vuole ed è esattamente chi ci sfrutta. Ma se non lo facciamo, il nostro futuro sarà ancora più duro e non ci sarà mai la libertà, mai più.

   Così la vediamo noi, per questo vi stiamo cercando, vogliamo incontrarvi, conoscerci, apprendere tra noi.

   Speriamo possiate venire e se no, cercheremo altri modi per vederci e conoscerci.

   Vi aspettiamo su questa porta di cui mi tocca occuparmi, per entrare nell’umile scuola dei miei compagn@ che vogliono condividere il poco che abbiamo imparato, per vedere se può servire nei vostri luoghi di lavoro dove vivete, e siamo sicuri che quelli che avevano già aderito alla Sesta verranno, oppure no, ma sia come sia, potrete venire nella scuola dove spieghiamo cos’è la libertà per le/gli zapatist@, e così vedere i nostri progressi ed i nostri difetti, che non nascondiamo, ma in maniera diretta e con i migliori maestri che esistano: i popoli zapatisti.

   La scuola è umile, ma ora per le/i compagn@ zapatisti c’è la libertà di fare quello che vogliono e di pensare a una vita migliore.

   La migliorano sempre di più, perché vedono i bisogni e la pratica dimostra come migliorare, cioè la pratica è il miglior modo di lavorare per migliorare. La teoria ci dà le idee, ma ciò che dà forma, è la pratica, il come governare autonomamente.

   È come abbiamo sentito dire: “Quando il povero crede nel povero, possiamo cantare vittoria”. Solo che questo, non solo l’abbiamo ascoltato, ma lo stiamo facendo nella pratica. Questo è il frutto che vogliono condividere le/i nostri@ compagn@. E’ la verità, perché per quanta malvagità contro di noi hanno scatenato i malgoverni, non sono riusciti e non riusciranno mai a distruggerlo, perché quanto costruito è del popolo e per il popolo. I popoli lo difenderanno.

   Vi posso raccontare molto altro, ma non è la stessa cosa che sentirlo, vederlo o guardarlo direttamente e porre a voce le vostre domande ai miei compagni e compagne basi di appoggio. Anche se con difficoltà, risponderanno in castigliano, ma la miglior risposta è la pratica de@ compagn@, che è lì da vedere e che stanno vivendo.

   È piccolo quello che stiamo facendo, ma sarà grande per i poveri del Messico e del mondo. Siccome siamo molto grandi, cioè siamo molti i poveri del Messico e del mondo, dobbiamo costruire noi il mondo in cui vivere. Si vede come funziona quando i popoli si mettono d’accordo, rispetto a quando c’è un gruppo che dirige e i popoli non si mettono d’accordo. Si è capito veramente cos’è rappresentare, si sa come metterlo in pratica, cioè i 7 principi del comandare ubbidendo.

   All’orizzonte già si vede com’è, secondo noi, il nuovo mondo e potrete vedere e imparare e far nascere il mondo differente che voi immaginate là dove vivete, condividendo i saperi e creare i nostri mondi differenti da come sono ora.

   Vogliamo vederci, ascoltarci ed è una cosa molto grande per noi, ci aiuterebbe a conoscere altri mondi ed il miglior mondo che vogliamo.

   C’è bisogno di organizzazione, decisione, accordo, lotta, resistenza, difesa e lavoro, pratica. Se manca qualcosa, aggiungetelo voi compagni e compagne.

   Bene, per ora ci stiamo mettendo d’accordo su come dovrebbe essere per voi la scuola, e vedere quanto spazio c’è. Ci stiamo preparando perché il compagno o la compagna che vorrà e che invitiamo, possa vedere e sentire direttamente, e se non potrà venire fino a qua, penseremo come fare.

   Vi aspettiamo compagne e compagni della Sexta.

   Ci stiamo preparando a ricevervi, assistervi e servirvi come vostri compagn@, come nostr@ compagn@ che siete. Ed anche affinché la nostra parola arrivi a coloro che non possono venire a casa nostra, ma noi andremo da loro col vostro aiuto.

   Chiaramente ci vorrà del tempo, ma, come dicono i nostri fratelli del popolo Mapuche, una, dieci, cento, mille volte vinceremo, vinceremo sempre.

   E per finire, vi parlerà ancora il compagno Subcomandante Insurgente Marcos quando sarà il suo turno, e continueremo ad alternarci lui ed io per spiegarvi tutto, perché vi sarete accorti che, anche se faccio questo lavoro da molti anni, questa è la prima volta che mi tocca firmare pubblicamente come qui sotto…

 

Dalle montagne del sudest messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

 

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Febbraio 2013

P.S.- Approfitto per dirvi che la password per le successive parti della finestra che tocca al supmarcos, è “nosotr@s“. Già, perché nella scuola della lotta non si può copiare dal compa, ma ognuno fa la propria lotta rispettandoci come compagni.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

http://www.youtube.com/watch?v=UBzGfWymOnM&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=6izcABVqsBk&feature=player_embedded

http://www.youtube.com/watch?v=ZWgQniV0pcg&feature=player_embedded

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI

VI – Guardare 5.

5.- Guardare la notte in cui siamo.

(Dalla luna nuova al quarto di luna crescente)

Molte lune fa: luna nuova, appena spuntata, affacciata per guardare le ombre di sotto, ed allora …

Arriva él-somos [lui-siamo]. Senza bisogno di documenti da consultare o d’appoggio, la sua parola disegna gli sguardi di chi comanda e di chi ubbidisce. Alla fine, guardiamo.

Il messaggio dei popoli è chiaro, breve, semplice, contundente. Come devono essere gli ordini.

Noi, soldat@, non diciamo nulla, guardiamo soltanto e pensiamo: “È una cosa molto grande. Questo non è più solo nostro, né solo dei popoli zapatisti. Nemmeno è soltanto di questo luogo, di queste terre. Appartiene a molti luoghi, di tutti i mondi”.

Bisogna prepararlo – diciamo todas-somos [tutte-siamo], e sappiamo che parliamo di quello, ma anche di él-somos [lui-siamo].

Verrà bene… ma bisogna prepararsi perché riesca male, come di solito facciamo noi – diciamo todos-somos [tutti-siamo].

Dunque, bisogna prepararla – ci diciamo todas-somos [tutte-siamo],averne cura, farla crescere.

– ci rispondiamo todos-somos [tutti-siamo].

Bisogna parlare con i nostri morti. Loro ci indicheranno il tempo e il luogo – diciamo, ci diciamo todas-somos [tutte-siamo].

Guardando i nostri morti, in basso, li ascoltiamo. Portiamo loro la pietruzza. La portiamo ai piedi della loro casa. La guardano. Li guardiamo guardarla. Ci guardano e portano il nostro sguardo molto lontano, dove non arrivano né i calendari né la geografia. Guardiamo quello che il loro sguardo ci mostra. Tacciamo.

Torniamo, ci guardiamo, ci parliamo.

– Bisogna occuparsene a lungo, preparare ogni passo, ogni precauzione, ogni dettaglio… richiederà tempo.

– Bisognerà fare qualcosa perché non ci vedano e poi perché ci vedano.

– Di per sé non ci vedono, o vedono quello che credono di vedere.

– Ma bisogna fare qualcosa… E’ il mio turno.

 – Che él-somos [lui-siamo] si curi di ciò che è dei popoli. Todos-somos [tutti-siamo] ci occupiamo di ciò su cui vigilare, per bene, sommessamente, in silenzio, come si deve.

-*-

  Poche lune fa, pioveva …

Già fatto? Pensavamo che ci avresti messo più tempo.

Vero, ma è andata così.

Ora però stai bene attento a quello che ti chiediamo: Vogliono che tornino a guardarli?

Lo vogliono, si sentono forti, sono forti. Dicono che questo è di tutti, di tutte, di nessuno. Sono pronti, sono pronte, dicono.

Ma, ti rendi conto che non ci guarderanno solo quelli che sono come siamo, ma anche i Prepotenti di ogni parte che odiano e perseguono quello che siamo?

Sì, lo mettiamo in conto, lo sappiamo. E’ il nostro turno, il tuo turno.

Bene, mancano solo il luogo e la data.

Qui – e la mano indica il calendario e la geografia.

Lo sguardo che provocheremo con questo non sarà più di pena, di compassione, di carità, di elemosina. Ci sarà allegria in coloro che sono come siamo, ma rabbia e odio tra i Prepotenti. Ci attaccheranno con ogni mezzo.

Sì, gliel’abbiamo detto. Si sono guardati ma hanno detto: “Vogliamo guardare e guardarci con quelli che siamo, anche se non sappiamo né sanno che sono quello che siamo. Vogliamo che ci guardino. Siamo preparati, siamo preparate per i Prepotenti, siamo pronti, siamo pronte”.

Allora, quando, dove? – si mettono sul tavolo calendari e mappe.

 – Di notte, quando si avvicina l’inverno.

Dove?

Nel loro cuore.

Tutto pronto?

Sì, pronto.

Ok.

Ognuno al suo posto. Solo una stretta di mani. Non c’è stato bisogno d’altro.

-*-

  Alcune notti fa, la luna svelata e slavata …

Ya estáYa están lo que miramos.  La parte que sigue le va a tocar a otras miradas.  Te toca – le decimos a él-somos.

Ecco. Ci sono quello che guardiamo. La parte successiva toccherà ad altri sguardi. Tocca a te – diciamo a él-somos [lui-siamo].

Sono pronto – dice él-somos [lui-siamo].

Todos-somos [tutti-siamo] assentiamo in silenzio, come facciamo di solito.

Quando?

Quando i nostri morti parlano.

Dove?

Nel loro cuore.

-*-

Febbraio 2013. Notte. Luna crescente. La mano che siamo scrive:

“Compagnie, compagne e compagni della Sexta:

  Vogliamo presentarvi uno dei molti lui(él) che siamo, il nostro compagno Subcomandante Insurgente Moisés. Egli vigila la nostra porta e con la sua parola parliamo anche i tutti e tutte che siamo. Vi chiediamo di ascoltarlo, cioè, di guardarlo e così guardarci. (…)

 (continua…)

 Da qualunque luogo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S. CHE AVVERTE E FORNISCE QUALCHE PISTA: Il testo che apparirà nella pagina elettronica di Enlace Zapatista il 14 febbraio, giorno in cui noi zapatisti, e zapatiste onoriamo e salutiamo le/i nostr@ mort@, è principalmente per i nostri compagni, compagne e compagnie della Sexta. Il testo completo potrà essere letto solo con una password (per la quale sono state fornite diverse piste e che può essere facilmente dedotta) che è già stata inviata per posta elettronica a chi abbiamo potuto. Se non l’avete ricevuta e non indovinate la soluzione, la si può trovare leggendo con attenzione questo testo ed il precedente – “Guardare e comunicare” -), dovete solo mandare una e-mail dalla pagina web, ed al mittente sarà inviata la password. Come abbiamo già spiegato in precedenza, i media liberi sono liberi di pubblicare o no il testo completo secondo il proprio giudizio autonomo e libertario. La stessa cosa vale per ogni compagna, compagno e compagnie della Sexta di qualunque geografia. Il nostro desiderio non è altro che farvi sapere che è a voi che ci rivolgiamo e, in maniera molto particolare, a chi di voi vuole mettersi sull’altro lato del ponte del nostro sguardo.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/13/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-5-mirar-la-noche-en-que-somos-de-la-luna-nueva-al-cuarto-creciente/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Frayba: Giustizia negata agli ejidatari di San Sebastián Bachajón per l’esproprio delle loro terre.

Trasmettiamo la denuncia degli ejidatari aderenti all’Altra Campagna di San Sebastián Bachajón contro il rifiuto del ricorso presentato per l’esproprio delle loro terre da parte del governo dello Stato. Trasmettiamo inoltre la dichiarazione dei loro avvocati:

Ejidatarios/as de SSB denuncian a autoridades y su impartición de justicia

Comunicato-Avvocat@-Bachajon

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LORO E NOI

VI – GUARDARE 4.

4.- Guardare e comunicare.

Vi racconto qualcosa di molto segreto, ma non andate a spifferarlo in giro… oppure sì, insomma, vedete voi.

Nei primi giorni della nostra insurrezione, dopo il cessate il fuoco, giravano molte voci sull’ezetaelene. Ovviamente, si era sollevato il circo mediatico che la destra normalmente scatena per imporre silenzio e sangue. Alcuni degli argomenti usati allora sono gli stessi utilizzati adesso, il che dimostra quanto poco moderna sia la destra e quanto paralizzato il suo pensiero. Ma non è questo l’argomenti di adesso, e nemmeno lo è quello della stampa.

Vi dico che all’epoca si disse che quella dell’EZLN era la prima guerriglia del XXI° secolo (già, noi che per seminare usavamo ancora la zappa, che della coppia di buoi – senza offendere – sapevamo solo per sentito dire, e che avevamo visto il trattore solo in fotografia); che il supmarcos era il guerrigliero cibernetico che, dalla selva lacandona, lanciava nel cyberspazio i proclami zapatisti che facevano il giro del mondo; e che utilizzava la comunicazione satellitare per coordinare le azioni sovversive che si realizzavano in tutto il mondo.

Sì, si dicevano queste cose, ma… compas, già alla vigilia della sollevazione, il “potere cibernetico zapatista” che avevamo era un computer con ancora gli enormi floppy disk con sistema operativo DOS versione meno uno punto uno. Imparammo ad usarlo con un vecchio tutorial, non so se ancora ne esistono, che ti diceva che tasto premere ed una voce, con accento madrileno, ti diceva “Molto bene!“; e se sbagliavi ti diceva “Molto male, idiota, ritenta!“. Oltre ad usarlo per giocare a pacman, l’abbiamo utilizzato per la “Prima Dichiarazione della Selva Lacandona”, che abbiamo riprodotto con una di quelle vecchie stampanti a punto d’inchiostro che faceva più rumore di una mitragliatrice. La carta era a flusso continuo e si inceppava in ogni momento, ma avevamo la carta carbone e riuscivamo a stamparne 2 ogni qualche ora. Abbiamo fatto un sacco di stampe, credo 100. Sono state distribuite ai 5 gruppi di comando che, ore dopo, avrebbero preso le 7 città dello stato sudorientale messicano del Chiapas. A San Cristóbal de Las Casas, che toccò a me prendere, la piazza arresa alle nostre forze, abbiamo incollato ai muri col nastro adesivo le nostre 15 copie. Sì, lo so che i conti non tornano e che sarebbero dovute essere 20, ma le 5 mancanti chissà dov’erano finite.

Bene, quando ci ritirammo da San Cristóbal, all’alba del 2 gennaio 1994, la nebbia umida che copriva il nostro ripiego, staccò i proclami dai freddi muri della superba città coloniale ed alcuni restarono sparsi per le strade.

Anni dopo qualcuno mi raccontò che mani anonime avevano strappato alcuni di questi proclami che conserva gelosamente.

Poi vennero i Dialoghi della Cattedrale. Io allora avevo uno dei quei computer portatili e leggeri (pesava 6 chili senza la batteria), marca La Migaja, 28 ram, voglio dire 128 kilobyte di ram, hard disk da 10 mega, cioè poteva contenere t-u-t-t-o, ed un processore velocissimo che, quando lo accendevi, potevi andare a preparare il caffè, tornavi ed ancora potevi riscaldare per 7 volte il caffè prima di poter cominciare a scrivere. Una figata di macchina. In montagna, per farla funzionare usavamo un trasformatore di corrente collegato alla batteria di un’auto. Poi, il nostro dipartimento di alta tecnologia zapatista progettò un sistema che faceva funzionare il computer con batterie “D”, ma pesavano più del computer e, sospetto, centrino qualcosa con la morte del PC dopo una fiammata, quella sì molto vistosa, ed un fumo che scacciò le zanzare per 3 giorni di seguito. Il telefono satellitare col quale il Sup comunicava con “il terrorismo internazionale“? Un walkie-talkie con portata massima di 400 metri su terreno piano (dovrebbero esserci ancora delle foto del “guerrigliero cibernetico“, già!). Internet? Nel febbraio del 1995, quando l’esercito federale ci inseguiva (e non esattamente per un’intervista), il PC portatile finì nel primo torrente che guadammo, ed i comunicati di quell’epoca si facevano con una macchina da scrivere meccanica prestataci dal commissario ejidale di una di quelle comunità che ci proteggevano.

Questa era la potente attrezzatura ad alta tecnologia che possedevano allora i “guerriglieri cibernetici del XXI° secolo“.

Mi dispiace davvero se, oltre al mio già malconcio ego, distruggo alcune illusioni che sono poi nate da lì, ma era così, proprio come ve lo sto raccontando.

Infine, poco dopo, venimmo a sapere che…

Un giovane studente del Texas, USA, forse un “nerd” (come direste voi), aprì una pagina web che chiamò solo “ezln“. Quella fu la prima pagina web dell’ezln. E questo compa cominciò a “caricare” tutti i comunicati e le lettere che venivano diffusi sulla stampa scritta. Persone di altre parti del mondo che sapeva della sollevazione attraverso foto, immagini video registrate, o attraverso notizie giornalistiche, cercavano lì la nostra parola.

Non abbiamo mai conosciuto quel compa. O forse sì.

Forse qualche volta è venuto in terre zapatiste, come uno dei tanti. Se ci è venuto, non ha mai detto: “sono quello che ha fatto la pagina dell’ezln“. Neanche: “grazie a me sanno di voi in molte parti del mondo“. Tanto meno: “sono qui affinché mi ringraziate ed a prendere omaggi“.

Avrebbe potuto farlo, ed i ringraziamenti sarebbero stati sempre pochi, ma non l’ha fatto.

Forse non lo sapete, ma c’è anche gente così. Gente buona che fa le cose senza chiedere niente in cambio, senza farsi pagare, “senza chiasso”, come diciamo noi zapatist@.

Poi il mondo ha continuato a girare. Sono arrivati compas che ne sapevano di computer e sono state fatte altre pagine web fino a quelle di adesso. Cioè col maledetto server che non funziona come dovrebbe, neanche se gli cantiamo e balliamo “quella del moño colorado” a ritmo di cumbia-corrido-ranchera-norteña-tropical-ska-rap-punk-rock-ballata-popolare.

Anche noi senza tanto chiasso, ringraziamo quel compa: che gli dei tutti e/o il supremo nel quale crede o dubiti o diffidi, lo benedicano.

Non sappiamo che cosa sia stato di questo compa. Forse è un Anonymous. Forse continua a navigare in rete cercando una nobile causa da appoggiare. Forse è disprezzato per il suo aspetto, forse è diverso, forse i suoi vicini, i suoi colleghi di lavoro o di studio lo guardano male.

O forse è una persona normale, una delle milioni che percorrono il mondo senza che nessuno se ne accorga, senza che nessuno le guardi.

E forse questa persona riesce a leggere quello che sto raccontando, e leggere quello che ora le scriviamo:

Compa, ora qua ci sono scuole, dove prima cresceva solo l’ignoranza; c’è cibo, poco ma dignitoso, dove sulle tavole era la fame la sola invitata quotidiana; e c’è sollievo dove l’unica medicina per il dolore era la morte. Non so se te l’aspettavi. Forse lo sapevi. Forse hai visto qualcosa nel futuro in quelle parole che hai rilanciato nel cyberspazio. O forse no, forse l’hai fatto solo perché sentivi che era tuo dovere. Ed il dovere, noi zapatiste e zapatisti lo sappiamo bene, è l’unica schiavitù che si abbraccia per volontà propria.

 Noi abbiamo imparato. E non mi riferisco ad imparare l’importanza della comunicazione, o conoscere le scienze e le tecniche dell’informatica. Per esempio, al di fuori di Durito, nessuno di noi è riuscito nella scommessa di fare un comunicato twit. Di fronte ai 140 caratteri non solo sono un incapace, cadendo e ricadendo nelle virgole, (le parentesi), i puntini di sospensione… ci metto un sacco di tempo e non mi bastano i caratteri. Credo che sia improbabile che un giorno ci riesca. Durito, per esempio, ha proposto un comunicato che al limite del twit dice:

123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 123456789 1234567890

 Ma il problema è che il codice per decifrare il messaggio occupa l’equivalente di 7 tomi dell’enciclopedia “Le Differenze”, che l’umanità intera sta scrivendo da quando ha iniziato il suo doloroso cammino sulla terra, e la cui edizione è stata vietata dal Potere.

 No. Quello che abbiamo imparato è che là fuori, lontano o vicino, c’è gente che non conosciamo, che forse non ci conosce, che è compa. E lo è non perché ha partecipato ad una marcia di appoggio, ha visitato una comunità zapatista, porta un paliacate rosso al collo, o ha firmato un appello, una lettera di adesione, un carnet da membro, o come si chiami.

  Lo è perché noi zapatiste, zapatisti, sappiamo che così come sono molti i mondi che abitano il mondo, molte sono le forme, i modi, i tempi e i luoghi per lottare contro la bestia, senza chiedere né aspettarsi niente in cambio.

  Ti mandiamo un abbraccio, compa, dovunque tu sia. Sono sicuro che puoi risponderti alla domanda che uno, una, si fa quando comincia a camminare: “ne vale la pena?”.

  Sappi che in una comunità o in un quartiere, un ufficio di computer zapatista si chiama “él”, così, con le minuscole. Sappi che, quando qualche persona invitata, entrando nell’ufficio e notando il cartello chiede chi sia questo “lui”, noi rispondiamo: “non lo sappiamo, ma lui sì”.

Bene. Saluti e, sì, credo ne sia valsa la pena.

Da eccetera, eccetera.

Noi, zapatiste, zapatisti dell’ezetaelene punto com punto org punto net o punto come si chiami”.

-*-

 E tutto questo capita a proposito, perché forse avete capito che confidiamo molto sui media liberi e/o libertari, o come si chiamino, e sulle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno i propri modi per comunicare. Persone, gruppi, collettivi, organizzazioni che hanno le proprie pagine elettroniche, i loro blog, o come si chiamino, che danno spazio alla nostra parola e, ora, alle musiche e alle immagini che l’accompagnano. E persone o gruppi che forse non hanno nemmeno un computer, ma anche conversando, o con un volantino, o un periodico murale, o tracciando un graffito o un quaderno o su un autobus, o in un’opera teatrale, un video, un compito scolastico, una canzone, una danza, un poema, una tela, un libro, una lettera, guardano le lettere che il nostro cuore collettivo disegna.

Se non ci appartenete, se non siete nostri organici, se non vi diamo ordini, se non vi comandiamo, se siete autonomi, indipendenti, liberi (vuol dire che vi comandante da sol@), o come si dica, allora, perché lo fate?

Forse perché pensate che l’informazione è un diritto di tutt@, e che ognuno ha la responsabilità di cosa fare o disfare di questa informazione. Forse perché siete solidali e sentite l’impegno di appoggiare in questo modo chi lotta, anche se con altri modi. Forse perché sentite il dovere di farlo.

O forse per tutto questo ed altro.

Voi lo sapete. E sicuramente l’avete scritto nella vostra pagina web, nel vostro blog, nella vostra dichiarazione di principio, nel vostro volantino, nella vostra canzone, sulla vostra parete, nel vostro quaderno, nel vostro cuore.

Cioè, parlo di chi comunica e con altri comunicano quello che sentono nel nostro cuore, ovvero, ascoltano. Di chi ci guarda e si guarda pensandoci e si fa ponte ed allora scopre che le parole che scrive, canta, ripete, trasforma, non sono degli zapatisti, delle zapatiste, che non lo sono mai state, che sono sue, e di tutti, e di nessuno, e che sono parte di uno spartito che chissà dov’è, ed allora scopre o conferma che quando ci guarda mentre l@ guardiamo, sta toccando e parlando di qualcosa di più grande per cui non c’è ancora definizione nel vocabolario, e che non appartiene ad un gruppo, collettivo, organizzazione, setta, religione, o come si chiami, ma comprende che la tappa per l’umanità ora si chiama “ribellione“.

Forse, prima di fare “click” e decidere di mettere nei vostri spazi la nostra parola vi domandate: “ne vale la pena?”. Forse vi domandate se non starete contribuendo a far stare marcos su una spiaggia europea a godersi il clima mite di quei calendari in quelle geografie. Forse vi domandate se non sarete al servizio di un’invenzione della “bestia” per ingannare e simulare la ribellione. Forse vi rispondete da sol@ che la risposta alla domanda “ne vale la pena?” devono darla le/gli zapatist@, e che facendo “click” sulla tastiera, sulla bomboletta spray, sulla matita, la chitarra, il cidi, la macchina fotografica, ci state impegnando a rispondere ““. Ed allora fate “click” su “upload” o “subir” o “caricare” o sull’accordo iniziale o sul primo passo-colore-verso, o come si chiami.

Forse non lo sapete, anche se credo sia evidente, ma ci fate un favore. E non lo dico perché la nostra pagina a volte “cade”, come se si lanciasse nel vuoto da un ponte e non ci fosse nessuna mano amica ad alleggerire la caduta che, se sul cemento, fà molto male qualunque sia il calendario e la geografia. Lo dico perché riguardo alla nostra parola ci sono molti che non sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono altrettanti che non sono d’accordo ma non si prendono il disturbo di dirlo; ci sono pochi che sono d’accordo e lo manifestano; ce ne sono di più di questi pochi che sono d’accordo e non lo dicono; e c’è una grande, immensa maggioranza che non ne sa niente. E’ a questi ultimi che vogliamo parlare, cioè, guardare, cioè, ascoltare.

-*-

 Compas, grazie. Lo sappiamo. Ma siamo sicuri che, anche se non lo sapevamo, voi lo sapete. E, noi zapatist@ crediamo, si tratta esattamente di questo, di cambiare il mondo.

(continua…)

 Da qualunque angolo in qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 P.S.- Sì, forse nella lettera a lui, c’è una pista per la prossima password.

P.S. CHE CHIARISCE ANCHE SE SUPERFLUO. – Non abbiamo un account di twiterfacebook, né posta elettronica, né numero telefonico, né casella postale. Quelli che appaiono nella pagina elettronica sono della pagina, questi compagni ci appoggiano e ci mandano quello che ricevono, così come loro mandano quello che inviamo. Per il resto, siamo contrari al copyright, cosicché chiunque può avere il suo twiter, il suo facebook, o come si chiami, ed usare i nostri nomi, benché sia chiaro che non siamo noi né ci rappresentano. Ma, come mi hanno detto, la maggioranza di questi chiarisce che non sono chi si suppone sia. E la verità è che ci diverte immaginare la quantità di insulti e commenti che hanno ricevuto e riceveranno, originalmente diretti all’ezetaelene e/o a chi scrive ora.

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/11/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-4-mirar-y-comunicar/

Dal Giappone, la canzone e coreografia “Ya Basta”, di Pepe Hasegawa. Si suppone presentato nella prefettura di Nagano, Giappone, nel 2010. La verità è che non so assolutamente cosa dicano le scritte.

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Dalla Svezia, ska con il gruppo Ska´n´ska, di Stoccolma. La canzone si chiama “Ya Basta” e fa parte del loro disco “Gunshot Fanfare”.

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Dalla Sicilia, Italia, il grupoo Skaramanzia con la canzone “Para no olvidar”, parte del disco “La lucha sigue”.

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Dalla Francia.- “Ya basta – EZLN” con il grupo Ska Oi. Del disco “Lucha y fiesta”

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Intervista a Nataniel Hernández dopo il suo rilascio

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LORO E NOI

VI – GUARDARE 3.

3.- Qualche altro sguardo.

uno: Un sogno in questo sguardo.

 Una strada, una milpa, una fabbrica, una valle, un bosco, una scuola, un negozio, un ufficio, una piazza, un mercato, una città, un campo, un paese, un continente, un mondo.

Il Capo è gravemente ferito, la macchina rotta, la bestia esausta, il selvaggio rinchiuso.

A niente sono serviti i cambi di nome e di bandiere, le botte, le prigioni, i cimiteri, il flusso di denaro attraverso le mille arterie della corruzione, i “reality show“, le feste religiose, gli annunci a pagamento, gli esorcismi cibernetici.

Il Capo chiama il suo ultimo scagnozzo. Gli mormora qualcosa all’orecchio. Lo scagnozzo esce ed affronta la folla.

Dice, domanda, chiede, esige:

Vogliamo parlare con lui …”

Un dubbio, la maggioranza di chi gli sta di fronte sono donne.

Si corregge:

Vogliamo parlare con la …

Altro dubbio, non è piccolo il numero di altr@ che si trova davanti.

Si ricorregge:

Vogliamo parlare con chi è al comando”.

Nel silenzio generale si avvicinano un@ anzian@ ed un bimb@, si fermano di fronte a lui e, con voce innocente e saggia, dicono:

Qui tutte e tutti comandiamo”.

Lo scagnozzo trema, come trema la voce del Capo nel suo ultimo grido.

Lo sguardo si sveglia. “Che strano sogno“, dice tra sé. E, senza che importi il calendario e la geografia, la vita, la lotta, la resistenza proseguono.

Dello strano sogno ricorda solo alcune parole:

Qui tutte e tutti comandiamo”

due: Un altro sguardo da un altro calendario e un’altra geografia.

(frammento di una lettera ricevuta nel quartiere generale dell’ezetelene, senza data)

   “Saluti Compas.

 (…)

   La mia opinione è che è stato tutto una figata. Ma, non nego che tutto questo è in retrospettiva. Sarebbe molto facile dire che capii perfettamente il silenzio e che nulla mi sorprese. Falso, anch’io mi sono spazientito del silenzio (naturalmente non ha niente a che vedere con quello che si dice che gli zapatisti non parlvano, io ho letto tutte le denunce). La questione è che alla luce dei fatti avvenuti, e che stanno avvenendo, naturalmente la conclusione è logica: siamo nel mezzo dell’iniziativa più audac, degli zapatisti, per lo meno dall’insurrezione. E questo riguarda tutto, non solo con la situazione nazionale, ma io credo anche internazionale.

   Permettimi di raccontare quello che io ho capito di quello che, secondo me, è stato il fatto più significativo dell’azione del 21 [di dicembre 2012]. Ci sono naturalmente molte cose: l’organizzazione, lo sforzo militante, la dimostrazione di forza, la presenza dei giovani e delle donne, etc. Ma, quello che più mi ha impressionato è stato che avevano delle tavole di legno e una volta arrivati nelle piazze installavano dei palchi. Intanto si raccontava quello che succedeva, molti media privati, ed alcuni dei media liberi, speculavano sull’arrivo dei leader zapatisti. E non si rendevano conto che i leader zapatisti erano lì. Che erano le persone che salivano sul palco e dicevano, senza parlare, siamo qui, siamo questi, e questi saremo.

Il palco è toccato a chi doveva starci. Nessuno ha notato, credo, che è proprio lì, in questo fatto, in una noce, il significato profondo di un nuovo modo di fare politica. Che rompe con tutto il vecchio, l’unico modo veramente nuovo, l’unico che vale la pena di avere [illeggibile nell’originale] “secolo XXI”.

   L’anima plebea e libertaria di quello che nella storia sono stati momenti congiunturali, qui si è costruito senza grandi voli teorici. Piuttosto con una pratica sotterranea. Ha già troppi anni per essere considerata solo un evento. È ormai un processo storico sociale lungo e solido sul terreno dell’auto organizzazione.

   Alla fine, hanno rimosso il loro palco, tornato ad essere tavole di legno, e tutti dovremmo provare un po’ di vergogna ed essere più modesti e semplici e riconoscere che qualcosa di inaspettato e nuovo sta di fronte ai nostri occhi e che dobbiamo guardare, tacere, ascoltare ed imparare.

 Un abbraccio a tutt@. Spero che, per quanto possibile, stiate bene.

 El Chueco.” 

tre: “Istruzioni su cosa fare nel caso che … vi guardino”

 Se qualcuno vi guarda, e vi accorgete che…

Non vi guarda come se foste trasparenti.

Non vuole convincervi per il sì o per il no.

Non vuole cooptarvi.

Non vuole reclutarvi.

Non vuole guidarvi.

Non vuole giudicarvi-condannarvi-assolvervi.

Non vuole usarvi.

Non vuole dirvi cosa potete o non potete fare.

Non vuole darvi consigli, raccomandazioni, ordini.

Non vuole rimproverarvi perché non sapete, neanche perché sapete.

Non vi disprezza.

Non vuole dirvi quello che dovete fare o non dovete fare.

Non vuole comprarvi la vostra faccia, il vostro corpo, il vostro futuro, la vostra dignità, la vostra volontà.

Non vuole vendervi qualcosa…

(un tempo condiviso, un televisore lcd in 4D, una macchina super-ultra-iper-moderna con pulsante di emergenza istantaneo (attenzione: non confondetevi col pulsante di espulsione, perché la garanzia non comprende amnesia per ridicoli mediatici), un partito politico che cambia ideologia ad ogni cambiar di vento, un’assicurazione sulla vita, un’enciclopedia, un ingresso vip allo spettacolo o rivoluzione o sfilata di moda, un mobile a piccole rate, un piano di telefonia mobile, un’iscrizione esclusiva, un futuro regalato dal leader generoso, un alibi per arrendersi, vendersi, tentennare, un nuovo paradigma ideologico, etc.).

Dunque…

Primo. – Escludete che si tratti di un depravato o depravata. Potete essere la/il più sporc@, brutt@, cattiv@ e volgare che ci sia, ma, ognuno possiede quel tocco sexy e provocante che può risvegliare le più basse passioni di chiunque. Mmh… bene, sì, una pettinata non sarebbe male. Se non si tratta di un(a), depravat@, non scoraggiatevi, il mondo è rotondo e gira, e andate sotto (in questa lista, si capisce).

Secondo. – Siete sicuri che guarda proprio voi? Non starà guardando il cartellone pubblicitario dei deodoranti alle vostre spalle? O, non sarà che sta pensando (chi vi guarda, si capisce): “E’ così che sono quando non mi pettino?”. Se avete scartato anche questo, proseguite.

Terzo. – Ha la faccia da poliziotto che deve racimolare la mazzetta da portare al suo superiore? Se sì, correte, siete ancora in tempo a non farvi prendere. Se no, passate al punto successivo.

Quarto. – Restituitegli lo sguardo, con piglio severo. Uno sguardo misto a collera, mal di pancia, fastidio e look da assassin@ seriale può essere utile. No, così sembrate stitic@. Ritentate. Ok, passabile, ma continuate a fare esercizio. Ora, non fugge spaventat@?, non distoglie lo sguardo?, on vi si avvicina esclamando “ehi@! Non ti avevo riconosciuto!  Ma con quella faccia…”? No? Ok, continuate.

Quinto. – Ripetete i passi primo, secondo, terzo e quarto. Possono esserci delle falle nel nostro sistema (è fatto in Cina). Se arrivate sempre a questo punto, passate al punto seguente:

Sesto. – Avete molte probabilità di esservi imbattuti in qualcuno della Sexta. Non sappiamo se congratularci o farvi le condoglianze. In ogni caso, è su vostra decisione e responsabilità quello che seguirà a questo sguardo.

quattro: Uno sguardo in una postazione zapatista.

(calendario e geografia imprecisati)

 Il SupMarcos: Sbrigati perché il tempo sta finendo.

La insurgenta di sanità: Senti Sup, il tempo non finisce, finiscono le persone. Il tempo viene da molto lontano e segue la sua strada fino láaaaaa, dove non riusciamo a vederlo. E noi siamo come pezzetti di tempo, cioè, il tempo non può procedere senza di noi. Noi facciamo che il tempo proceda, e quando noi finiamo arrivo un altro che lo manda avanti, fino che si arriva dove si deve arrivare, ma non vediamo dove arriva ma altri lo vedranno se arriva con tutto a posto o se improvvisamente non ha avuto la forza di arrivare ed allora bisogna spingerlo un’altra volta, fino a che arrivi giusto.

(…)

La capitana di fanteria: Perché ci hai messo tanto?

La insurgenta di sanità: Stavo facendo lezione di politica al Sup, lo stavo aiutando a spiegare bene che bisogna guardare lontano, fino a dove non arriva né il tempo né lo sguardo.

La capitana di fanteria: Ah, e allora?

La insurgenta di sanità: Mi ha punito perché mi sono attardata coi lavori e mi ha mandato in posta.

 (…)

 cinque: Estratto da “Appunti per guardare l’Inverno”.

 (…)

E sì, tutt@ sono saliti sul palco col pugno in alto. Ma non hanno guardato bene. Non hanno guardato lo sguardo di quegli uomini e donne. Non hanno visto che, quando erano lì sopra, volgevano lo sguardo in basso e guardavano le loro decine di migliaia di compagni. Cioè, si sono guardati. Là in alto non hanno visto che ci guardavamo. Là in alto non hanno capito, né capiranno niente.

(…)

sei: Inserite qui il vostro sguardo (o il vostro pensiero).

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(continua…)

 Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Messico, Febbraio 2013 

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas-parte-3-algunas-otras-miradas/ 

Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
7 febbraio 2013

 Nota Informativa URGENTE

ARRESTATO ATTIVISTA DEI DIRITTI UMANI

Secondo informazione ricevute da questo Centro dei Diritti Umani, oggi, intorno alle ore  13:30, nella città di Tonalá, Chiapas, è stato arrestato Nataniel Hernández Núñez, Direttore del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, AC 1.

Nataniel si trovava in una riunione con funzionari del Governo dello Stato del Chiapas, tra i quali Benigno Hernández Hidalgo, Sottosegretario di Governo della Regione IX Istmo Costa del Chiapas. La riunione si svolgeva nell’ambito delle mobilitazioni a livello nazionale convocate dalla Rete Nazionale di Resistenza Civile Contro le Alte Tariffe dell’Energia Elettrica.

Secondo le informazioni ricevute, circa 20 poliziotti federali e della Procura Generale della Repubblica sono entrati nel luogo dove si stava svolgendo la riunione ed hanno trattenuto Nataniel. Fino ad ora non si sa dove si trovi.

Questo Centro dei Diritti Umani manifesta la sua preoccupazione per il fermo di Nataniel Hernández, difensore dei diritti umani, e sollecita le autorità del Messico a comunicare il luogo in cui si trova ed il motivo della sua detenzione.

Seguiamo inoltre con attenzione le notizie che inviano le diverse organizzazioni e comunità che partecipano a questa Giornata di Mobilitazioni a livello statale e nazionale.

-.-
1 Il CDH Digna Ochoa fa parte della Rete Nazionale dei DDHH TdT: http://www.redtdt.org.mx/gruposred.php#CHPS

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/frayba-informa-detienen-a-defensor-de-derechos-humanos/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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All’opinione pubblica
Ai mezzi di comunicazione statale, nazionale e internazionali 
Ai media alternativi
Alla Sexta
Alle organizzazioni indipendenti
Ai difensori dei diritti umani ONG

 Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios del la Voz del Amate, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN detenuti nella prigione numero 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Tutti i prodigi o miracoli di dio sono preziosi e preziosa è la vita che torna alla vita. Il nostro fratello e compagno prigioniero politico Alberto Patishtán Gómez, che stava per perdere la vista a causa del tumore cerebrale che lo ha colpito e che 4 mesi fa ha subito un delicato intervento chirurgico, il giorno 6 febbraio è stato nuovamente trasferito a Città del Messico causa l’evolversi della malattia ed affinché riceva assistenza adeguata per recuperare la vista.

Nello stesso tempo continuiamo ad esigere dal governatore dello stato, Manuel Velasco Coello, che ci liberi immediatamente e incondizionatamente perché siamo in prigione ingiustamente.

Per ultimo invitiamo la società civile, le organizzazioni indipendenti statali, nazionali e internazionale a non abbassare la guardia e vigilare sulla giustizia e le libertà.

Fraternamente,

I prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios del la Voz del Amate.

Prigione numero 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 7 febbraio 2013.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/08/solidarios-y-la-voz-del-amate-informan-de-nuevo-traslado-de-alberto-patishtan/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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DENUNCIA DEI Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate

 9 febbraio 2013 

All’opinione pubblica 
Ai mezzi di comunicazione statale, nazionale e internazionali 
Ai media alternativi 
Alla Sexta 
Alle organizzazioni indipendenti 
Ai difensori dei diritti umani ONG

Le autorità penitenziarie ci tengono nell’oblio, privati della nostra libertà ed ogni giorno aumenta la negligenza medica, e malattie curabili diventano incurabili per la mancanza di assistenza adeguata. 

Come accade nel caso del compagno professor Manuel Gómez Gutiérrez, al queale più di tre mesi fa sono stati diagnosticati due tumori alla schiena e da allora ha ricevuto solo blandi trattamenti che non sono idonei alla sua malattia, ed ora la situazione si è aggravata tanto che il compagno non muove più la mano sinistra, non parla più, non si alza più dalla branda ed ha perso totalmente la flessibilità del corpo. 

Denunciamo pubblicamente tutto questo e chiediamo che il governo statale di Manuel Velasco Coello intervenga il prima possibile nel caso del compagno malato che ha diritto di essere curato.  

Fraternamente,

Prigionieri politici della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN detenuti nel carcere n. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/09/denuncia-voz-del-amate-y-solidarios-falta-de-atencion-medica-a-interno/

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LORO E NOI

VI – Guardare 2

2.- Guardare ed ascoltare dal/in basso.

 Possiamo ancora scegliere dove e da dove guardare?  

Possiamo, per esempio, scegliere tra guardare quelli che lavorano nelle catene dei supermercati, lamentando a@ lavorator@ di essere complici della frode elettorale, e fare scherno dell’uniforme arancione che sono obbligati ad indossare le/gli impiegat@, oppure guardare l’impiegata che, dopo avere consegnato il conto…?

/ La cassiera si toglie il grembiule arancione borbottando per la rabbia che le monta nel sentirsi dire di essere stata complice della frode che ha portato al Potere l’ignoranza e la frivolezza. Lei, donna, giovane o donna matura o madre o nubile o divorziata o vedova o madre celibe o in attesa o senza figli o quello che sia, che inizia a lavorare alle 7 del mattino e se ne va alle 4 del pomeriggio, chiaro, se non ci sono straordinari da fare, e senza contare il tempo che ci vuole per arrivare da casa al lavoro e ritorno, e poi occuparsi della scuola o della casa, dei “lavori-propri-del-suo-sesso-che-si-possono-svolgere-con-un-tocco-di-civetteria”, ha letto in una delle riviste che si trovano di fianco alla cassa, un giorno che non c’era molta gente. Lei, che si suppone sia tra quelli che salveranno, è solo questione di un voto e poi, tatàn, la felicità. “Per caso i padroni indossano un grembiule arancione?”, dice tra sé irritata. Lei sistema un po’ il disordine propositivo col quale riesce a lavorare per non farsi riprendere dal direttore. Esce. Fuori l’aspetta il suo compagno. Si abbracciano, si baciano, si toccano con lo sguardo, camminano. Entrano in un internet-caffè o cyber caffè o come si dice. 10 pesos l’ora, 5 la mezz’ora…/

Mezz’ora – dicono, facendo mentalmente i conti di quanto hanno in tasca-tempo-autobus-percorso.

– Fammi credito Roco, non fare lo stronzo – dice lui.

– Va bene, ma quando ti pagano il mese mi paghi, altrimenti il padrone mi licenzia e poi sarai tu a dovermi prestare i soldi

– Va bene, ma non sarà tanto presto perché sono al lavaggio di auto.

– Beh, amico, lavatela – dice Roco.

I 3 ridono.

La 7 – dice il Roco.

Dai, cerca – dice lei.

Lui inserisce un numero.

No – dice lei -, cerca quando è iniziato tutto.

Navigano. Arrivano a quando sono un poco più di 131. Parte il video.

Sono degli snob – dice lui.

Calmati avanguardia rivoluzionaria. Sei fuori di testa se giudichi le persone per il loro aspetto. A me, che ho la pelle chiara, mi chiamano biondina e snob, e non vedono che non arrivo a metà mese. Bisogna guardare la storia di ognuno e quello che fa, stupido – dice lei, accompagnando l’argomentazione con una botta in testa.

Continuano a guardare.

Guardano, non parlano, ascoltano.

Gliele hanno cantate in faccia a Peña Nieto… sono forti, si vede che hanno le palle -, dice lui.

E le ovaie, stupido – e parte un’altra botta in testa.

Ehi, mia regina, ti denuncio per violenza in famiglia.

Sarà violenza di genere, stupido – e giù un’altra botta in testa.

Finiscono di guardare il video.

Lui: – E’ così che cominciano le cose, con pochi che non hanno paura.

Lei: – Oh sì, invece, hanno paura, ma la controllano.

Mezz’ora! – grida Roco.

Sì, andiamo.

Lei sorride.

E adesso perché ridi?

Niente, mi sono ricordata – gli si avvicina di più – di quando hai detto “in famiglia”. Non è che vuoi che siamo una famiglia?

Lui, senza esitazione:

Calma, piccola, poi è tardi, lo faremo, però senza troppe botte, meglio i baci, e più in basso e a sinistra.

– Non prendermi in giro! – un’altra botta – E niente “mia regina”, non siamo contro la dannata monarchia?

Lui, prima della botta di rigore: – Ok, mia… plebea.

Lei ride. Dopo pochi passi, dice:

– Credi che gli zapatisti ci inviteranno?

– Bè, se il Vins è mio amico e ha detto che lui è suo amico del cuore perché l’ha fatto vincere nel mortal kombat, alle macchinette, non dobbiamo fare altro che dire che siamo della banda del Vins e delle streghe – dice lui entusiasta.

E potrei portare mia mamma?

Certo, parlando di streghe, e con un po’ di fortuna potrebbe restare incastrata nel fango la futura suocera – dice ritraendo la testa aspettandosi la botta che non arriva.

Lei, arrabbiata:

E che diavolo ci potranno dare gli zapatisti se sono così lontani? Magari uno stipendio migliore, mi faranno rispettare, faranno smettere gli stronzi di guardarmi il sedere per strada, e il bastardo del padrone di toccarmi con qualsiasi pretesto? Mi daranno i soldi per pagare l’affitto, per comprare i vestiti ai miei figli? Abbasseranno il prezzo dello zucchero, dei fagioli, del riso, dell’olio? Mi daranno da mangiare? Affronteranno la polizia che tutti i giorni molesta e deruba quelli del quartiere che vendono dischi pirata dicendo che è per non denunciarli al signor o signora Sony…?

Non si dice “pirata”, ma “produzione alternativa”, mia reg… plebea. E non prendertela con me che siamo uguali.

Ma lei è ormai partita e niente la ferma più:

E a te, ti restituiranno il lavoro allo stabilimento, dov’eri già qualificato non so in che cosa? A cosa valgono gli studi, i corsi di formazione e tutto il resto, perché poi quello stronzo del padrone si porti via l’impresa non so dove, e il sindacato e lo sciopero, e tutto quello che hai fatto, per poi finire a lavare automobili? O come il tuo amico del cuore, il chompis, che gli tolgono il lavoro e fanno sparire il padrone perché non possa difendersi ed il governo col suo ritornello di sempre che è per migliorare i servizi e il livello mondiale e la madre del morto e per caso hanno abbassato le tariffe, no sono più care, e la maledetta luce che se ne va via in ogni momento e il bastardo di Calderón che fa lezione di senza-vergogna dai gringos, che sono i veri maestri di questo schifo. E mio papà, che dio l’abbia in gloria, che voleva passare dall’altra parte, non per fare il turista, ma per fare un po’ di soldi, di grana, di denaro, un salario per mantenerci quando eravamo bambini e mentre attraversava la linea l’ha preso la migra come fosse un terrorista e non un onesto lavoratore e non ci hanno ridato neanche il corpo e c’è quello stronzo di Obama che sembra avere il cuore del colore del dollaro.

Dai, frena, mia plebea.

– È che ogni volta che mi ricordo mi fa rabbia, tanto darsi da fare e alla fine si prendono tutto quelli che stanno sopra, ci manca che privatizzino le risate, anche se non credo, perché di queste ce ne sono poche, ma le lacrime sì, queste abbondano e loro diventano ricchi… sempre più ricchi. E poi arrivi tu con la storia degli zapatisti di qua e gli zapatisti di là, e in basso e a sinistra e l’ottava…

La Sexta, non l’ottava – la interrompe.

Quello che è, e questi tizi sono lontani e parlano uno spagnolo peggiore del tuo.

Su, non essere cattiva.

Lei si asciuga le lacrime e sussurra: – Maledetta pioggia che mi rovina il trucco, ed io che mi ero sistemata per piacerti.

Ehi, ma tu mi piaci di più senza niente…. addosso.

Ridono.

Lei, seria: – Bene, ok, ma dimmi, questi zapatisti ci salveranno?

No, mia plebea, non ci salveranno. Questo ed altro lo dovremo fare noi.

E allora?

Ci insegneranno.

Cosa ci insegneranno?

Che non siamo soli.

Lei tace per un momento. Poi, improvvisamente:

E né sole, stupido – altra botta in testa.

L’autobus è stracolmo. Vediamo il prossimo.

Fa freddo, piove. Si abbracciano, non per non bagnarsi, ma per bagnarsi insieme.

Lontano qualcuno aspetta, c’è sempre qualcuno che aspetta. E mentre aspetta, con una vecchia matita e in un vecchio e sgualcito quaderno, tiene il conto del guardare in basso che si vede da una finestra.

(continua…)

 Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

 http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/07/ellos-y-nosotros-vi-miradas-parte-2-mirar-y-escuchar-desdehacia-abajo/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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LORO E NOI VI

LORO E NOI

VI – Guardare

1.- Guardare per imporre o guardare per ascoltare. 

Per una volta potrò dire
Senza che nessuno mi smentisca
Che non è lo stesso chi desidera
Da chi brama qualcosa
Come non sono uguali le parole
Dette per ascoltare
Da quelle dette per essere obbedite
Nemmeno è lo stesso chi mi parla
Per dirmi qualcosa
Da chi mi parla per farmi tacere”.
Tomás Segovia
“Quarta Traccia” in “Tracce ed Altri Poemi”
della casa editrice che ha il buongusto di chiamarsi “Senza Nome”.
Grazie ed un abbraccio a María Luisa Capella, ad Inés e Francisco
(onore al degno sangue che batte nei vostri cuori)
per i libri e le lettere-guida.

 

Guardare è un modo di domandare, diciamo noi zapatisti e zapatiste.

O di cercare…

Quando si guarda nel calendario e nella geografia, per quanto lontano siano l’uno e l’altra, si domanda, si interroga.

Ed è guardare dove l’altro, l’altra, l’altro appare. Ed è guardare dove questo altro esiste, dove si scorge il suo profilo come strano, come alieno, come enigma, come vittima, come giudice e boia, come nemico… o come compagn@.

È guardare dove si annida la paura, ma anche dove può nascere il rispetto.

Se non impariamo a guardare il guardarsi dell’altro, che senso ha il nostro guardare, le nostre domande?

Chi sei?

Qual’è la tua storia?

Dove le tue sofferenze?

Quando le tue speranze?

Ma non solo è importante che cosa o chi si guarda. Ma anche, e soprattutto, è importante da dove si guarda.

E scegliere dove guardare è anche scegliere da dove.

O è la stessa cosa guardare dall’alto il dolore di chi perde i propri amati cari, per la morte assurda, inspiegabile, definitiva, che guardarlo dal basso?

Quando qualcuno in alto guarda quelli in basso e si domanda “quanti sono?”, in realtà si sta chiedendo “quanto valgono?”

E se non valgono niente, che importa quanti sono? Per ovviare a questo inopportuno numero ci sono i grandi mezzi di comunicazione prezzolati, gli eserciti, i poliziotti, i giudici, le prigioni, i cimiteri.

Per il nostro guardare, le risposte non sono mai semplici.

Guardandoci guardare quello che guardiamo, ci diamo un’identità che ha a che vedere con sofferenze e lotte, con i nostri calendari e la nostra geografia.

La nostra forza, se ne abbiamo un po’, sta in questo riconoscimento: siamo quelli che siamo, e ci sono altr@ che sono quelli che sono, e c’è un altro per il quale ancora non abbiamo la parola per nominarlo e, tuttavia, è chi è. Quando diciamo “noi” non stiamo assorbendo, e così subordinando identità, ma risaltiamo i ponti che esistono tra le differenti sofferenze e le diverse ribellioni. Siamo uguali perché siamo differenti.

Nella Sexta, noi zapatiste e zapatisti ribadiamo il nostro rifiuto di ogni tentativo di egemonia, cioè, di ogni avanguardismo, sia che ci tocchi stare davanti oppure, come nel corso di questi secoli, allineati nella retroguardia.

Se con la Sexta cerchiamo i nostri simili per sofferenze e lotte, senza che importino i calendari e le geografie che ci distanzino, è perché sappiamo che non si sconfigge il Prepotente con un solo pensiero, una sola forza, una sola leadership (per quanto rivoluzionaria, conseguente, radicale, ingegnosa, numerosa, potente ed altre cose questa leadership sia).

I nostri morti ci hanno insegnato che la diversità e la differenza non sono debolezza per chi sta in basso, bensì forza per partorire, sulle ceneri del vecchio, il mondo nuovo che vogliamo, di cui abbiamo bisogno, che meritiamo.

Sappiamo che questo mondo non è immaginato solo da noi. Ma nel nostro sogno, questo mondo non è uno, bensì molti, differenti, diversi. Ed è nella sua diversità che risiede la sua ricchezza.

I ripetuti tentativi di imporre l’unanimità, sono responsabili dell’impazzimento della macchina che ad ogni minuto si avvicina al minuto finale della civiltà come conosciuta fino ad ora.

Nella tappa attuale della globalizzazione neoliberale, l’omogeneità non è altro che la mediocrità imposta come divisa universale. E se si differenzia in qualcosa dalla pazzia hitleriana, non è nel suo obiettivo, bensì nella modernità dei mezzi per ottenerla.

-*-

E sì, non solo noi cerchiamo il come, quando, dove, cosa.

Voi, per esempio, non siete Loro. Anche se non sembra abbiate alcun problema ad allearvi con Loro per… ingannarli e sconfiggerli dall’interno? per essere come Loro ma non proprio Loro? per rallentare la velocità della macchina, limare i canini della bestia, umanizzare il selvaggio?

Sì, lo sappiamo. C’è una montagna di argomenti per sostenerlo. Si potrebbero perfino forzare alcuni esempi.

Ma…

Voi ci dite che siamo uguali, che siamo nella stessa barca, che è la stessa lotta, lo stesso nemico… Mmh… no, non dite “nemico“, dite “avversario“. D’accordo, anche questo dipende dall’evenienza di turno.

Voi ci dite che bisogna unirci tutt@ perché non c’è altra strada: o le elezioni o le armi. E voi, che con questo pretesto fallace sostenete il vostro progetto di invalidare tutto quello che non si assoggetti al reiterato spettacolo della politica dell’alto, ci intimate: morite o arrendetevi. Ci offrite perfino l’alibi, perché, sostenete, siccome si tratta di prendere il Potere, ci sono solo queste due strade.

Ah! e noi così disubbidienti: né moriamo, né ci arrendiamo. E, come dimostrato il giorno della fine del mondo: né lotta elettorale né lotta armata.

E se non si tratta di prendere il Potere? O meglio: se il Potere non risiede più in questo Stato Nazione, questo Stato Zombi popolato da una classe politica parassita che pratica la rapina sulle rovine delle nazioni?

E se gli elettori che tanto vi ossessionano (per il fascino delle masse) non fanno altro che votare per qualcuno che altri hanno già scelto, come ogni volta vi dimostrano Loro mentre si divertono con ogni nuovo tipo di trucco?

Sì, vero, vi nascondete dietro i vostri pregiudizi: quelli che non votano? “è per apatia, per disinteresse, per mancanza di educazione, fanno il gioco della destra”… la vostra alleata in tante geografie, in non pochi calendari. Votano ma non per voi? “è perché di destra, ignoranti, venduti, traditori, morti di fame, zombi!

  Nota di Marquitos Spoil: Sì, noi simpatizziamo per gli zombi. Non solo per la rassomiglianza fisica (non abbiamo bisogno di trucco ed anche così sbancheremmo il casting di “The Walking Dead”). Anche e soprattutto perché pensiamo, insieme a George A. Romero, che, in un’apocalisse zombi, la brutalità più folle sarebbe opera della civiltà sopravvissuta, non dei morti che camminano. E se restasse qualche vestigia di umanità, brillerebbe nei paria di sempre, i morti viventi per i quali l’apocalisse inizia alla nascita e non finisce mai. Come succede adesso in ogni angolo di tutti i mondi che esistono. Non c’è film, né fumetto, né telefilm che lo racconti.

Il vostro sguardo è segnato dal disprezzo quando rivolto in basso (anche se allo specchio), e di sospiri d’invidia quando rivolto in alto.

Non riuscite neppure ad immaginare che l’interesse per qualcuno di guardare “in alto” non sia altro che per vedere come toglierselo di dosso.

-*-

Guardare. Dove e da dove. Questo è ciò che ci separa.

Voi credete di essere gli unici, noi sappiamo che siamo uno di più.

Voi guardate in alto, noi in basso.

Voi guardate come sistemarvi, noi come servire.

Voi guardate come guidare, noi come accompagnare.

Voi guardate quanto si guadagna, noi quanto si perde.

Voi guardate quello che è, noi quello che può essere.

Voi guardate numeri, noi persone.

Voi calcolate statistiche, noi storie.

Voi parlate, noi ascoltiamo.

Voi guardate come vi vedete, noi guardiamo lo sguardo.

Voi ci guardate e ci rimproverate dove eravamo quando il vostro calendario segnava le sue urgenze “storiche”. Noi vi guardiamo e non vi chiediamo dove siete stati durante questi più di 500 anni di storia.

Voi guardate come approfittare della congiuntura, noi come crearla.

Voi vi preoccupate dei vetri rotti, noi della rabbia che li rompe.

Voi guardate i molti, noi i pochi.

Voi guardate muri insormontabili, noi le crepe.

Voi guardate le possibilità, noi l’impossibile solo fino alla vigilia.

Voi cercate specchi, noi i vetri.

Voi e noi non siamo uguali.

-*-

Voi guardate il calendario di sopra e ad esso subordinate la primavera delle mobilitazioni, le masse, la festa, la rivolta di massa, le strade colme di canti e colori, slogan, sfide, quelli che sono già molti di più di cento trenta e rotti, le piazze piene, le urne ansiose di riempirsi di voti, e voi accorrete subito perché è-chiaro-che-gli-manca-una-guida-rivoluzianaria-di-partito-una-politica-di-alleanze-ampie-flessibile-perché-quello-elettorale-è-il-loro-destino-naturale-ma-sono-molto-giovani-piccini-“bimb@ bene”-/-e poi-lumpen-quartiere-banda-proletari-numero-di-potenziali-elettori-ignoranti-inesperti-ingenui-rozzi-ostinati, soprattutto ostinati. E vedete in ogni atto di massa il culmine dei tempi. Poi, quando non ci sono più moltitudini ansiose di un leader, né urne, né feste, decidete che è finita, basta, che sarà per un’altra volta, che bisogna aspettare 6 anni, 6 secoli, che bisogna guardare altrove, ma sempre per il calendario di sopra: le liste, le alleanze, i posti.

E noi, sempre con lo sguardo di traverso, rimontiamo il calendario, cerchiamo l’inverno, nuotiamo controcorrente, attraversiamo il torrente, arriviamo alla sorgente. Lì vediamo quelli che cominciano, quelli che sono pochi, i meno. Non ci parliamo, non li salutiamo, non gli diciamo cosa fare, non gli diciamo cosa non fare. Invece li ascoltiamo, li guardiamo con rispetto, con ammirazione. E loro, forse non si accorgeranno mai di questo piccolo fiore rosso, così simile ad una stella, piccolo come un sassolino, e che la nostra mano resta in basso, vicino al loro piede sinistro. Non perché così vogliamo dire loro che il fiore-roccia è nostro, delle zapatiste, degli zapatisti. Non perché prendano questa pietra e la scaglino contro qualcosa, contro qualcuno, anche se non mancano voglia né motivi. Bensì forse perché è il nostro modo di dire loro, a tutt@ loro e a tutt@ nostr@ compagn@ della Sexta, che le case ed i mondi si cominciano a costruire con piccoli ciottoli e poi crescono e quasi nessuno si ricorda di quei sassolini dell’inizio, tanto piccoli, tanto poca cosa, tanto inutili, tanto soli, ed allora arriva una zapatista, uno zapatista, e vede la pietruzza e la saluta e siede al suo fianco e non parlano, perché le piccole rocce, come gli zapatisti, non parlano… fino a quando parlano, e poi secondo il caso, o la cosa, tacciono. No, non tacciono mai, ma succede che non c’è chi senta. O forse perché abbiamo visto più lontano nel calendario e sapevamo, da prima, che questa notte sarebbe arrivata. O forse perché così gli diciamo, anche se non lo sanno, ma lo sappiamo noi, che non sono sol@. Perché è con i pochi che le cose iniziano e ricominciano.

-*-

Voi non ci avete visto prima… e continuate a non guardarci.

E, soprattutto, non ci avete visto guardarvi.

Non ci avete visto guardarvi nella vostra superbia, distruggere stupidamente i ponti, scavare le strade, allearvi con i nostri persecutori, disprezzarci. Convincendovi che quello che non esiste sui media semplicemente non è.

Non ci avete visto guardarvi dire e dirvi che così eravate a riva, che la cosa possibile è sul terreno solido, che tagliavate gli ormeggi di quell’assurda barca di assurdi e impossibili, e che erano quei matti (noi) che andavano alla deriva, isolati, soli, senza rotta, pagando con la nostra esistenza l’essere conseguenti.

Siete riusciti a vedere la rinascita come parte delle vostre vittorie, ed ora la ruminate come un’altra delle vostre sconfitte.

Andate, proseguite per la vostra strada.

Non ascoltateci, non guardateci.

Perché con la Sexta e con le/gli zapatisti non si può guardare né ascoltare impunemente.

Questa è la nostra virtù o la nostra maledizione, dipende dove si guarda e, soprattutto, da dove si solleva lo sguardo.

(continua…) 

Da qualunque angolo di qualunque mondo.

SupMarcos
Pianeta Terra
Febbraio 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/02/06/ellos-y-nosotros-vi-las-miradas/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 febbraio 2013

Gli ejidatarios di Bachajón accusano il governo di “disprezzare gli indigeni”

HERMANN BELLINGHAUSEN

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas) hanno accusato le autorità del governo e la giustizia di dimostrare “disprezzo per noi indigeni” dopo che un giudice federale ha negato loro il ricorso per recuperare le terre loro sottratte per scopi turistici. Esigerono anche la liberazione di tre loro compagni, attualmente detenuti in diverse prigioni dello stato. 

“I nostri compagni Miguel Vázquez Deara (nel carcere N. 16, El Encino, ad Ocosingo), Miguel Demeza Jiménez (nel carcere N. 14, El Amate, a Cintalapa de Figueroa) ed Antonio Estrada Estrada (nel carcere N. 17, a Playa de Catazajá), sono ingiustamente in prigione per reati montati e continuano a subire l’ingiustizia per la mancanza di imparzialità e indipendenza delle autorità giudiziarie che favoriscono gli interessi del malgoverno”.

Lo scorso 30 gennaio il giudice di Tuxtla Gutiérrez, José del Carmen Constantino Avendaño, “quale lacchè e servo del malgoverno che ruba le nostre terre, ha bocciato il ricorso” promosso dal legale degli ejidatarios, Mariano Moreno Guzmán.

“Dopo la violenza, il gruppo armato che lo stesso governo ha istruito per agire con violenza il 2 febbraio 2011, ne ha approfittato per stabilirsi illegalmente sulle nostre terre solo perché il commissario Francisco Guzmán Jiménez ed il consigliere di vigilanza Melchorio Pérez Moreno, filogovernativo, hanno tradit il loro popolo firmando un accordo, il 13 febbraio, di presunta pace e riconciliazione, ma che autorizza la consegna delle nostre terre senza l’autorizzazione dell’assemblea dell’ejido”.

Gli indigeni denunciano: “Più che pace, è un accordo di esproprio e sopruso ai danni del popolo di Bachajón. E se questo non bastasse, al processo di appello, Guzmán Jiménez ed il segretario di Governo, Noé Castañón León, hanno presentato un presunto verbale di assemblea” redatto “senza convocazione né firma degli ejidatarios; non ha alcuna validità perché quell’assemblea non è mai esistita, e c’è solo la firma dei rappresentanti filogovernativi dell’ejido che autorizzano la donazione delle nostre terre”.

Accusano il giudice Constantino Avendaño di “starsene tranquillamente seduto alla scrivania, con un ricco stipendio, e con un tratto di penna nega la giustizia al nostro popolo”, dimostrando di essere al servizio del potere “senza saggezza né onestà”. Dichiarano: “Andremo avanti con la causa e reresisteremo dal nostro territorio alla repressione dello Stato”. Così i loro antenati hanno difeso il territorio, sostengono, “ed è l’eredità che dobbiamo difendere”. 

Gli ejidatarios di San Sebastián riaffermano il loro impegno con la Sesta “nazionale e internazionale” e invitano “dai molti angoli del mondo e forme di lotte, ad adottare alternative per far fronte al mostro capitalista, sempre più impegnato a derubare chi è dei nostri, la nostra dignità per essere quello che siamo”. 

Infine aveertono: “Non ci zittiranno con la loro Crociata Nazionale contro la Fame, non viviamo di elemosina, stiamo ancora aspettando che si realizzino gli accordi di San Andrés firmati dal governo messicano, che riconoscono i nostri diritti come popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/06/politica/018n1pol

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1° febbraio 2013

Respinto l’appello degli jidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis. 31 gennaio. Un giudice federale ha respinto l’appello presentato dagli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, che da due anni chiedono la restituzione delle terre occupate dalle autorità governative e da gruppi filogovernativi locali. Il 2 febbraio del 2011 gli ejidatarios, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, erano stati spossessati violentemente da civili, con il sostegno della forza pubblica, delle terre ad uso comune, per favorire il progetto turistico delle cascate di Agua Azul, municipio di Tumbalá. Gli avvocati Ricardo Lagunes Gasca e Maribel González Pedro, rappresentanti legali degli ejidatarios, denunciano oggi che le considerazioni arbitrarie del giudice José del Carmen Constantino Avendaño costituiscono inequivocabilmente una mancanza di imparzialità ed indipendenza nella sua funzione giurisdizionale e denotano disprezzo per i popoli indigeni e per le riforme costituzionali della difesa e diritti umani. Oggi, come giudice di distretto, Constantino Avendaño ha reso pubblica la sentenza definitiva, emessa questo giovedì, relativa all’appello presentato dall’indigeno Mariano Moreno Guzmán contro la privazione parziale e definitiva di terre di uso comune di San Sebastián Bachajón, da parte di autorità locali e federali, con la complicità del Commissariato e Consiglio di Vigilanza filogovernativi in usurpazione delle loro funzioni. Secondo Lagunes e González Pedro, questa decisione è paradigmatica nell’evidenziare che alcuni giudici cedono davanti alle pressioni delle autorità che derubano i popoli indigeni dei loro territori, e mostra la grande sfida che deve affrontare  il Potere Giudiziale della Federazione per garantire un cambiamento di mentalità tra i suoi funzionari di tutte le gerarchie che permetta una forma diversa di applicare il diritto dalla prospettiva più ampia, progressista e a protezione dei diritti umani. Moreno Guzmán esibì davanti al giudice l’accordo del 13 febbraio di 2011 in cui le autorità ejidali di San Sebastián, senza autorizzazione né consenso dell’Assemblea, consegnarono delle terre di uso comune. Benché, di fatto, queste terre erano “già in possesso dello Stato dal 2 febbraio, dopo lo sgombero violento degli indigeni aderenti alla Sesta da parte di un gruppo di civili armati”. Durante l’iter del processo d’appello, la Segreteria Generale di Governo ed il presidente filogovernativo del Commissariato Ejidale, Francisco Guzmán Jiménez, hanno consegnato un documento definendolo verbale di assemblea. Questo verbale è stato contestato per tempi e forma non essendo conforme agli standard stabiliti dalla legislazione agraria e dai trattati internazionali in materia di diritti dei popoli indigeni. E’ stato “elaborata per simulare la legalità dell’accordo’ “. A giudizio dei difensori, questi documenti non hanno validità né costituiscono un consenso libero, previo e informato del massimo organo dell’ejido rispetto agli atti di esproprio. Inoltre, il comportamento precedente e successivo dei rappresentanti filogovernativi dimostra che non rappresentano gli interessi collettivi della loro comunità, ma proteggono gli interessi del governo per appropriarsi di quel territorio indigeno e minare il movimento sociale che lo difende. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/01/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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