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Archive for settembre 2020

Sempre al fianco dell’EZLN. Oggi più che mai!

Siempre a lado del EZLN.  ¡Hoy más que nunca!

Come collettivi solidali con la rivoluzione Zapatista iniziata il 1 gennaio del 1994 esprimiamo forte preoccupazione per il clima sempre più violento che sta segnando il presente del Chiapas. Lo scontro per il controllo del territorio sta cambiando le relazioni sociali e politiche anche in questa parte del Messico.

La violenza neoliberista e la politica armano, oggi come ieri, gruppi paramilitari e/o narcotrafficanti per fare il lavoro sporco e perseguire comunità e realtà resistenti. L’esperienza Zapatista subisce oggi una nuova stagione di attacco proprio nel nome delle politiche di sfruttamento del territorio.

Siamo da sempre al fianco dell’esperienza di autonomia delle basi d’appoggio e delle comunità in ribellione vicine all’EZLN. Oggi più che mai!

Como colectivos solidarios con la revolución Zapatista iniciada el 1 de enero de 1994, expresamos fuerte preocupación por el clima cada vez más violento que está marcando el presente en Chiapas.

El combate por el control del territorio está cambiando las relaciones sociales y políticas también en esta parte de México.

La violencia y la política neoliberista arman, hoy como ayer, grupos paramilitares e/o narcotraficantes para hacer el trabajo sucio y perseguir comunidades y realidades en rebeldía y que resisten.

La experiencia Zapatista sufre hoy una nueva etapa de acosos y violencias justo en el nombre de las políticas de explotación del territorio.

Siempre somos al lado de la experiencia de autonomía de las bases de apoyo del EZLN y de las comunidades rebeldes cercanas al EZLN. ¡Hoy más que nunca!

 

Firman:

20zln

Ya Basta – Padova

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

Cooperazione Rebelde Napoli

Ya Basta Edibese

Ya Basta Bologna

Nodo Solidale

Ya Basta Moltitudia Roma

Progetto Libertario Flores Magon-Milano

Centro Sociale Intifada Empoli

Aldo Zanchetta

Andrea Vento

Italia, 18 settembre 2020

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Chiapas, il ritorno di Paz y Justicia

Luis Hernández Navarro

15 settembre 2020

Il terrore è tornato a Tila, Chiapas, dalla rinascita del gruppo paramilitare Desarrollo, Paz y Justicia. Uno dopo l’altro si succedono attacchi armati, omicidi, assedi ed ogni tipo di aggressione contro gli 836 ejidatarios che hanno recuperato i loro diritti territoriali.

Tra il 1995 e il 2000, Paz y Justicia nella zona nord del Chiapas ha assassinato oltre 100 indigeni chol, cacciato dalle proprie comunità almeno duemila contadini e le loro famiglie, chiuso 45 chiese cattoliche, attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3 mia capi di bestiame e violentato 30 donne. Equipaggiati con armi di grosso calibro, i paramilitari controllavano strade, amministravano risorse pubbliche.

Il gruppo civile armato contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della settima Regione Militare. Il portavoce castrense confessava – come scrisse Jesús Ramírez Cuevas – che quell’organizzazione era un orgoglio del generale (https://bit.ly/3mik0gy). Giorni prima che il militare lasciasse l’incarico, fu salutato dai leader di Paz y Justicia con parole di complice gratitudine. Non la dimenticheremo mai, signore. Tutto quello che lei ha fatto per noi, obbliga alla gratitudine, gli dissero.

Paz y Justicia è stato l’attore centrale nella guerra di bassa intensità che il governo di Ernesto Zedillo orchestrò contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Cercò di controllare territorialmente il corridoio strategico che mette in collegamento le valli del Chiapas con lo stato di Tabasco e distruggere cn la violenza il processo autonomistico del popolo chol.

Il 2 luglio 1997 il governo chiapaneco decise di consegnare a Desarrollo, Paz y Justicia 4 milioni 600 mila pesos per progetti agroecologici e produttivi. Il documento fu firmato dai capi paramilitari, dall’allora governatore Julio César Ruiz Ferro e da Uriel Jarquín, sottosegretario di Governo dello stato. Il generale Mario Renán Castillo lo firò come testimone d’onore ( Masiosare, 21/12/1997).

Oltre i suoi legami militari, l’iniziativa per formare Paz y Justicia provenne dalle associazioni degli allevatori di Salto de Agua. Nacque al marzo del 1995. I suoi operatori politici furono dirigente priisti di Tila. Secondo una relazione del CDHFBC (https://bit.ly/3mhvTn9), Salto de Agua, Palenque e Playas de Catazajá sono, nella Zona Nord del Chiapas, i municipi nei quali è presente il maggior numero di proprietà private e in cui gli ejidos e le comunità agrarie rappresentano la minore percentuale di proprietà della terra.

Il suo principale capo, oggi in prigione ma prima deputato del PRI, Samuel Sánchez Sánchez, spiegò che la creazione di Paz y Justicia ubbidì alla radicalizzazione dei simpatizzanti zapatisti e perredisti negli ejidos e nelle comunità (di Tila, Sabanilla, Salto de Agua e Tumbalá).

I suoi membri erano parte di Solidaridad Campesino-Magisterial (Socama), organizzazione originariamente formata da parte della dirigenza della sezione 7 della SNTE proveniente dal gruppo Pueblo, guidato da Manuel Hernández, Jacobo Nasar e Pedro Fuentes, ed un gruppo dissidente della CNC, diretto da Germán Jiménez. Il gruppo, che prendeva il nome dal sindacato polacco Solidarnosc, si legolò strettamente con le lotte contadine nello stato. Tuttavia, cominciò la sua deriva filogovernativa a seguito della detenzione dei suoi principali leader nel 1986. Con l’arrivo di Carlos Salinas alla Presidenza divennne rappresentante delle organizzazioni contadine filogovernative e, a partire dall’insurrezione zapatista del 1994, incubatrice di gruppi paramilitari (https://bit.ly/3hvViWq).

La ricostituzione delle comunità chol come popolo e la costruzione della loro autonomia ha una lunga storia. Una storia che, nella sua fase moderna, abbraccia la lotta per la fine del mosojüntel (il tempo in cui eravamo servi), contro l’oppressione kaxlana e delle grandi compagnie produttrici di caffè, la riforma agraria cardenista che permise il recupero della terra, il ritorno alla produzione contadina dei generi di base, la formazione di una chiesa autoctona, l’organizzazione di cooperative di caffè per appropriarsi del processo produttivo, la sollevazione zapatista, la lotta elettorale (1994 e 1995), la riconquista degli ejidos e la formazione di governi autonomi.

All’inizio del nuovo secolo, Paz y Justicia cadde temporaneamente in disgrazia. Prima litigarono tra loro per le risorse economiche. Poi, alcuni dei suoi dirigenti furono arrestati. Tuttavia, riuscirono a ricomporrsi nella regione con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

Nei fatti, chi ha attaccato l’ejido Tila sono l’ex presidente municipale Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, rispettivamente fratello e nipote di Samuel Sánchez Sánchez che si trova ancora in prigione; l’attuale sindaco Limbert Gutiérrez Gómez, del PVEM, così come il delegato regionale di Paz y Justicia e il segretario tecnico dell’Istituto Chiapaneco di Educazione per Giovani e Adulti, Óscar Sánchez Alpuche, socio di Ismael Brito Mazariegos, segretario di Governo dello stato (https://bit.ly/3mjT93S).

La riattivazione di Paz y Justicia nel nord del Chiapas e la sua politica di terrore non sono un fatto isolato. Altri gruppi paramilitari sono risorti a Chenalhó, Chilón, Oxchuc e Ocosingo immediatamente dopo l’annuncio zapatista dell’espansione dei suoi governi autonomi e la sua opposizione alla costruzione del Treno Maya. La guerra di contrainsurgencia continua.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2020/09/15/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Comunicato del CNI-CIG sui fatti avvenuti a Tila, Chiapas.

13 settembre 2020

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Con dolore e rabbia denunciamo il vile attacco nel quale è stato assassinato il compagno Pedro Alejandro Jiménez Pérez, dell’ejido Tila, Chiapas, lo scorso 11 settembre, quando il gruppo paramilitare Paz y Justicia insieme a persone vicine alla Giunta municipale, hanno attaccato con armi di grosso calibro gli abitanti di Tila che, su accordo dell’assemblea generale, si dirigeva a liberare i blocchi che questi gruppi avevano installato sulle strade di accesso all’abitato per accerchiare la nostra città dove i paramilitari già lo scorso 25 agosto avevano distrutto un portone di sicurezza.

Oltre all’uccisione del compagno Pedro Alejandro, nell’attacco sono rimasti feriti Medardo Pérez Jiménez, Ángel Vázquez Ramírez e Jaime Lugo Pérez.

Denunciamo che il capo paramilitare Arturo Sánchez Sánchez, suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, insieme al presidente municipale Limber Gregorio Gutiérrez Gómez, hanno operato per rafforzare e promuovere l’azione di gruppi armati per distruggere l’autonomia dell’ejido Tila e spogliarlo di un presunto fondo legale per stabilire il loro centro di corruzione e marciume ed aprire la porta al controllo narco-paramilitare.

Attraverso il saccheggio del territorio e con l’appoggio dei tre livelli del malgoverno, hanno cercato di distruggere l’autonomia che tanto è costata al popolo chol di Tila, il quale è e sarà riconosciuto pienamente dal Congresso Nazionale Indigeno e dal Consiglio Indigeno di Governo.

Questi attacchi si inseriscono nell’incremento dell’attività di gruppi armati e la proliferazione di paramilitari intorno alle comunità che formano il Congresso Nazionale Indigeno in Chiapas e le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per accerchiare, terrorizzare, sfollare e smantellare le comunità organizzate.

Il partito Morena-Verde-PRI, che è uno solo, appoggia la violenza seminando divisioni, armando i nemici del popolo e con i suoi vili attacchi, acutizzando la guerra che ha il fine di distruggere la vita collettiva delle comunità indigene, con la loro degna resistenza che protegge la nostra madre terra e, come CNI-CIG, agiremo di conseguenza e in solidarietà con l’ejido Tila.

Denunciamo la cinica complicità del governo dello stato e il governo federale che sono responsabili della violenza che cresce, e invitiamo il popolo del Messico e i popoli del mondo ad alzare la voce per fermare la tragedia che si avvicina.

Distintamente.

Settembre 2020

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno- Consiglio Indigeno di Governo

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/comunicado-del-cni-cig-ante-los-hechos-ocurridos-en-tila-chiapas/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/ejido-tila-chiapas-desmentimos-falsas-versiones-y-exigimos-justicia-por-la-agresion-armada/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/12/ejido-tila-chiapas-denuncia-publica-ataque-armado-a-ejidatarios-que-iban-a-desbloquear-al-grupo-del-ayuntamiento-paramilitar/

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Imparare (a vivere con) la guerra

Gustavo Esteva 8 Settembre 2020

Quegli strani indigeni delle montagne del sud-est messicano, quasi alla fine del secolo scorso, avevano deciso di coprirsi il volto. Indossavano un passamontagna perché il mondo intero, che non aveva voluto vederli per secoli, potesse finalmente vederli. Non brandivano la loro identità, affermavano il diritto alla dignità della vita. Per loro e per tutti. Chiunque, con il volto coperto, può essere Marcos, diceva il loro subcomandante. Nel 2011, poco prima di decidere di scomparire, Marcos mostrava al mondo come su quegli indigeni si impone la paura e la vulnerabilità. Un’imposizione – scrive oggi Gustavo Esteva, che degli zapatisti fu consigliere nelle trattative col governo messicano, al tempo della guerra sucia (sporca) del presidente Calderon – che oggi ha preso la forma-pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana. Serve a imporre condotte che dissolvono l’umano e il confinamento esaspera tutti gli individualismi. Il dispositivo di sicurezza, la mascherina, poi, impedisce di vedere le persone sorridere. Strano il destino delle maschere, no? Oltre vent’anni fa, Marcos ci aveva avvertito che stava cominciando la Quarta guerra mondiale, la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli. Pensavamo fosse una metafora utile per capire meglio e invece era un avvertimento. Oggi, nel caos che domina il nostro tempo, è quasi impossibile trarre conclusioni analitiche, ma è più che probabile che la tormenta segnalata dal subcomandante Galeano e dalle sentinelle zapatiste sia diventata una vera guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse. Non si distrugge fisicamente il genere umano, in questa guerra. Si distrugge la sua umanità, aveva detto il subcomandante. La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita e, tra le altre cose, fin dal secolo scorso ha creato una nuova classe sociale: le persone di cui si può fare a meno, quelle che la classe dominante decide che non serviranno. Mai, nemmeno per essere sfruttate. Eppure, l’impero delle borse finanziarie affronta e affronterà la ribellione (non simmetrica) delle borse della resistenza. Sono ancora parole di Marcos, che aggiungeva: se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivere, esse sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili

Non abbiamo voluto crederci. Ci aveva avvertito, oltre vent’anni fa, il defunto subcomandante Marcos, ma non abbiamo voluto dargli ascolto. Ci sembrò una metafora utile per l’analisi, non quel che era, un avvertimento. Siamo di fronte a una guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse direttamente.

La guerra ha aspetti apertamente criminali. Il Messico è già il paese più violento del mondo, in particolare per certe categorie di persone, come i giornalisti, i dirigenti sociali e i difensori dei diritti umani. Con l’attuale amministrazione (quella progressista guidata da Andrés Manuel López Obrador, AMLO, ndt), si verificano già quattro assassinii ogni ora. Zone sempre più ampie del paese vengono controllate con la forza. In alcune di esse a farlo sono i cosiddetti “cartelli”, che distribuiscono risorse o impongono il coprifuoco. In altre c’è la Guardia Nazionale, che ha un numero di effettivi tre volte superiore a quello della guerra di Calderón, oltre alle forze paramilitari e alle squadre d’assalto. Alcune di queste sono una metamorfosi grottesca di organizzazioni sociali, come quelle che hanno appena attaccato le basi di appoggio zapatiste; altre sono frammenti agguerriti usciti dai sindacati confederali, che controllano lo stesso opere pubbliche e sistemi di trasporto. Nulla di tutto questo, naturalmente, si considera corruzione. Viene consentito e promosso dal governo.

La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita. Riduce le modalità classiche della condizione operaia ed emargina il sindacalismo, che negli Stati Uniti è già tornato ai livelli degli inizi del XX secolo. In Messico la guerra ha smantellato le nostre capacità produttive mediante il “libero commercio”, che fu siglato da Salinas (il presidente che allora AMLO indicava come “il capo di tutte le mafie”, ndt) e si è approfondito lo scorso anno (con AMLO presidente, ndt) con grande entusiasmo di Trump. I lavoratori del settore manifatturiero si trovano soprattutto nelle maquiladoras, nelle quali prevalgono le donne, molte di loro indigene.

Dagli anni Novanta la guerra ha creato una nuova classe sociale: gli scartabili, coloro che mai vorrà impiegare o usare il capitale. La Banca Mondiale ha progettato, per loro, quelli che saranno di troppo, programmi che li manterranno sotto stretti livelli di sussistenza e permetteranno loro di compiere qualche funzione di consumo. Nell’amministrazione del governo di AMLO chiamano questo programmi sociali.

Già nel 2003, il defunto Marcos sembrava anticipare la forma-pandemia di praticare la guerra, quando descriveva la nuova forma del complesso industriale: “Alcune pecore si tosano e altre vengono sacrificate per ottenere alimenti, le “inferme” vengono isolate, eliminate e ‘bruciate’ perché non contaminino il resto“. In questa guerra, “la dignità, la resistenza, la solidarietà, disturbano”. Non si distrugge fisicamente il genere umano, però lo si distrugge “in quanto essere umano”. Non sono solo i funzionari etnocidi e i sicari a perdere la condizione umana. La perdono anche coloro che si attaccano a dispositivi elettronici che li formattano e li controllano. Nel 2011, poco prima di morire, in una lettera a Luis Villoro, il defunto Marcos mostrava come si impone la paura, l’incertezza e la vulnerabilità, una imposizione che da gennaio ha preso la forma pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana, per imporre condotte che dissolvono l’umano. Il confinamento esaspera tutti gli individualismi. La mascherina impedisce di vedere le persone sorridere.

La guerra ha trasformato in nemici le persone di uno stesso settore sociale, nel quale si potevano condividere interessi, essere amici, compagni. Sono, in primo luogo, i desaparecidos che si vedono obbligati ad agire come sicari, oppure coloro che nella vita non trovano altra opzione che una forma di delinquenza, ma sono anche quelli che affidano le proprie illusioni all’apparizione di un qualche messia e poi trasformano in nemici quelli che non ne condividono la fede. Altri ancora formano le onde contrapposte di quello che oggi si chiama “polarizzazione” e che in paesi come gli Stati Uniti prende già forme di guerra civile.

Fin dal 1997, però, lo scomparso Marcos aveva aperto la porta alla speranza. “L’impero delle borse finanziarie affronta la ribellione delle borse della resistenza”, diceva. E aggiungeva: “Se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivenza, di essere migliore, quelle speranze sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili”. (Per questa e tutte le citazioni precedenti: Le 7 tessere ribelli del rompicapo globale – La IV guerra mondiale è cominciata a cura di Camminar Domandando).

Nel 2019 quelle borse si stavano moltiplicavano già da ogni parte. Estese mobilitazioni hanno scosso molti paesi. Si sono formati collettivi sempre più autonomi, che presto si consolideranno come nuclei molto solidi di resistenza. L’8 di marzo di quest’anno la speranza ha acquisito un significato nuovo, di peculiare radicalitàLe donne hanno fatto il passo avanti. Hanno rotto coraggiosamente la presunta “normalità” patriarcale, quella che per migliaia di anni ha “naturalizzato” la gerarchia maschile e il suo esercizio violento e distruttivo. Con loro, dal basso e a sinistra, si tesse ogni giorno il limite della guerra e si creano piccole isole di vita nelle quali entrano ancora il piacere e la speranza, sebbene intorno continuino a perseguitare la pandemia e la violenza, in questa guerra opprimente che sembra senza fine.

Fonte: La Jornada. Titolo originale: Aprender guerrahttps://www.jornada.com.mx/2020/09/07/opinion/026a2pol

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria – https://comune-info.net/imparare-a-vivere-con-la-guerra/

 

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La Jornada – Venerdì 4 settembre 2020

Stop alla guerra contro l’EZLN

di Gilberto López y Rivas

Una delle caratteristiche dell’attuale governo della 4T è non ascoltare né tanto meno rispondere alle gravi denunce riguardo la riattivazione dei gruppi paramilitari in Chiapas, come quelli cheformano l’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo ( Orcao) che il 22 agosto hanno saccheggiato e incendiato gli edifici del del Centro di Commercio Nuevo Amanecer del Arcoíris, nel municipio autonome Lucio Cabañas (Ocosingo). A questa provocazione si sommano quelle di altri gruppi identficati come paramilitari fin dagli anni ’90 come Paz y Justicia e Chinchulines che, di nuovo, hanno perpetrato diverse aggressioni in varie regioni chiapaneche, in particolare nei municipi di Tila e Aldama. Nelle scrose settimane hanno circolato in rete e su vari mezzi di diffusione locali e nazionali comunicati di appoggio all’EZLN uno dei quali, Alto a la guerra contra los zapatistas, è stato sottoscritto da centinaia di organizzazioni, accademici, artisti e reti solidali di 22 paesi (https://alto-a-la-guerra-contra -lxs-zapatistas.webnode.mx/)

L’aggressione del 22 agosto contro le basi di appoggio zapatiste è la continuità della strategia di contrainsurgencia che i governi precedenti hanno perseguito contro i maya zapatisti, che il Grupo de Acción Comunitaria ed il Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, vent’anni fa ha definito guerra di logoramento integrale che si ritrova nei manuali di contrainsurgencia statunitensi come la successione di piccole operazioni che soffocano a poco a poco il nemico sul terreno politico, economico e militare, evitando, per quanto possibile, azioni spettacolari che suscitino l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica internazionali. (Ora si scommette sulla stanchezza. Chiapas: fondamenti psicologici di una guerra contemporanea, 2002). In questo tipo di guerra è fondamentale il ruolo dei gruppi paramilitari. Secondo uno dei manuali di guerra irregolare della Sedena, non si tratta solo di togliere l’acqua al pesce (le basi di appoggio dell’insurgencia), ma di mettere nell’acqua pesci più aggressivi, cioè, i gruppi paramilitari che contano su organizzazione, attrezzature e addestramento militare, ai quali lo Stato delega il compimento di missioni che le forze armate regolari non possono portare a termine apertamente, senza che questo implichi che si riconosca la loro esistenza come parte del monopolio della violenza statale. I gruppi paramilitari sono illegali ed impuni perché così conviene agli interessi dello Stato. L’ambito paramilitare consiste, dunque, nell’esercizio illegale ed impune della violenza dello Stato e nell’occultamento dell’origine di questa violenza. Come nei governi precedenti apertamente neoliberali e contrainsurgentes, il governo della 4T continua a riprodurre il cosiddetto teatro di guerra. Zósimo Camacho sostiene che oggi il maggiore numero di militari si trova in Chiapas essendo, utilizzando una metafora, l’incudine che mantiene un cerchio di penetrazione sulla regione di conflitt, con i suoi quartieri, guarnigioni, convogli, agenti di intelligence, vigilanza aerea e terrestre, ecc. ecc., mentre i gruppi paramilitari, proseguendo la metafora, sono il martello che batte sulle comunità indigene con azioni come quelle del 22 agosto per cercare di introdurre il terrore, creare le condizioni di espulsione e sfollamento di comunità indigene, coalizzandosi con autorità civili, militari e di polizia, identificando il nemico interno che si rifiuta di seguire la logica del capitale con le sue illusioni di progresso, sviluppo e lavoro precario.

Congiuntamente alle azioni dei gruppi paramilitari, in rete e sui mezzi di comunicazione si è intensificata una campagna mediatica contro i maya zapatisti, con grottesche falsità, come quella che il territorio dell’EZLN sia controllato da un cartello del narcotraffico che fornisce armi agli insorti, che sono analizzate con rigore e confutate in profondità da Luis Hernández Navarro nella sua intervista con Ernesto Ledezma Arronte nel suo programma Rompe Viento TV (https://wwwyoutube.com/ watch?v=gdDNI9m_8).

Purtroppo, e all’unisono con questa campagna, c’è stata una sfortunata e molto preoccupante dichiarazione del Presidente della Repubblica durante la sua conferenza mattutina del 28 agosto, in cui ha stigmatizzato e criminalizzato il lavoro delle persone che operano e difendono i diritti umani, giornalisti, accademici e rappresentanti dei popoli indigeni che si oppongono al progetto del Tren Maya, una dei megaprogetti simbolo del riordinamento territoriale di sviluppo al quale si oppongono anche i maya zapatisti. Con questa dichiarazione il governo della Quarta Trasformazione è salito sul vetusto treno della contrainsurgencia dei suoi predecessori.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2020/09/04/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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