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Chiapas, il ritorno di Paz y Justicia

Luis Hernández Navarro

15 settembre 2020

Il terrore è tornato a Tila, Chiapas, dalla rinascita del gruppo paramilitare Desarrollo, Paz y Justicia. Uno dopo l’altro si succedono attacchi armati, omicidi, assedi ed ogni tipo di aggressione contro gli 836 ejidatarios che hanno recuperato i loro diritti territoriali.

Tra il 1995 e il 2000, Paz y Justicia nella zona nord del Chiapas ha assassinato oltre 100 indigeni chol, cacciato dalle proprie comunità almeno duemila contadini e le loro famiglie, chiuso 45 chiese cattoliche, attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3 mia capi di bestiame e violentato 30 donne. Equipaggiati con armi di grosso calibro, i paramilitari controllavano strade, amministravano risorse pubbliche.

Il gruppo civile armato contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della settima Regione Militare. Il portavoce castrense confessava – come scrisse Jesús Ramírez Cuevas – che quell’organizzazione era un orgoglio del generale (https://bit.ly/3mik0gy). Giorni prima che il militare lasciasse l’incarico, fu salutato dai leader di Paz y Justicia con parole di complice gratitudine. Non la dimenticheremo mai, signore. Tutto quello che lei ha fatto per noi, obbliga alla gratitudine, gli dissero.

Paz y Justicia è stato l’attore centrale nella guerra di bassa intensità che il governo di Ernesto Zedillo orchestrò contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Cercò di controllare territorialmente il corridoio strategico che mette in collegamento le valli del Chiapas con lo stato di Tabasco e distruggere cn la violenza il processo autonomistico del popolo chol.

Il 2 luglio 1997 il governo chiapaneco decise di consegnare a Desarrollo, Paz y Justicia 4 milioni 600 mila pesos per progetti agroecologici e produttivi. Il documento fu firmato dai capi paramilitari, dall’allora governatore Julio César Ruiz Ferro e da Uriel Jarquín, sottosegretario di Governo dello stato. Il generale Mario Renán Castillo lo firò come testimone d’onore ( Masiosare, 21/12/1997).

Oltre i suoi legami militari, l’iniziativa per formare Paz y Justicia provenne dalle associazioni degli allevatori di Salto de Agua. Nacque al marzo del 1995. I suoi operatori politici furono dirigente priisti di Tila. Secondo una relazione del CDHFBC (https://bit.ly/3mhvTn9), Salto de Agua, Palenque e Playas de Catazajá sono, nella Zona Nord del Chiapas, i municipi nei quali è presente il maggior numero di proprietà private e in cui gli ejidos e le comunità agrarie rappresentano la minore percentuale di proprietà della terra.

Il suo principale capo, oggi in prigione ma prima deputato del PRI, Samuel Sánchez Sánchez, spiegò che la creazione di Paz y Justicia ubbidì alla radicalizzazione dei simpatizzanti zapatisti e perredisti negli ejidos e nelle comunità (di Tila, Sabanilla, Salto de Agua e Tumbalá).

I suoi membri erano parte di Solidaridad Campesino-Magisterial (Socama), organizzazione originariamente formata da parte della dirigenza della sezione 7 della SNTE proveniente dal gruppo Pueblo, guidato da Manuel Hernández, Jacobo Nasar e Pedro Fuentes, ed un gruppo dissidente della CNC, diretto da Germán Jiménez. Il gruppo, che prendeva il nome dal sindacato polacco Solidarnosc, si legolò strettamente con le lotte contadine nello stato. Tuttavia, cominciò la sua deriva filogovernativa a seguito della detenzione dei suoi principali leader nel 1986. Con l’arrivo di Carlos Salinas alla Presidenza divennne rappresentante delle organizzazioni contadine filogovernative e, a partire dall’insurrezione zapatista del 1994, incubatrice di gruppi paramilitari (https://bit.ly/3hvViWq).

La ricostituzione delle comunità chol come popolo e la costruzione della loro autonomia ha una lunga storia. Una storia che, nella sua fase moderna, abbraccia la lotta per la fine del mosojüntel (il tempo in cui eravamo servi), contro l’oppressione kaxlana e delle grandi compagnie produttrici di caffè, la riforma agraria cardenista che permise il recupero della terra, il ritorno alla produzione contadina dei generi di base, la formazione di una chiesa autoctona, l’organizzazione di cooperative di caffè per appropriarsi del processo produttivo, la sollevazione zapatista, la lotta elettorale (1994 e 1995), la riconquista degli ejidos e la formazione di governi autonomi.

All’inizio del nuovo secolo, Paz y Justicia cadde temporaneamente in disgrazia. Prima litigarono tra loro per le risorse economiche. Poi, alcuni dei suoi dirigenti furono arrestati. Tuttavia, riuscirono a ricomporrsi nella regione con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

Nei fatti, chi ha attaccato l’ejido Tila sono l’ex presidente municipale Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, rispettivamente fratello e nipote di Samuel Sánchez Sánchez che si trova ancora in prigione; l’attuale sindaco Limbert Gutiérrez Gómez, del PVEM, così come il delegato regionale di Paz y Justicia e il segretario tecnico dell’Istituto Chiapaneco di Educazione per Giovani e Adulti, Óscar Sánchez Alpuche, socio di Ismael Brito Mazariegos, segretario di Governo dello stato (https://bit.ly/3mjT93S).

La riattivazione di Paz y Justicia nel nord del Chiapas e la sua politica di terrore non sono un fatto isolato. Altri gruppi paramilitari sono risorti a Chenalhó, Chilón, Oxchuc e Ocosingo immediatamente dopo l’annuncio zapatista dell’espansione dei suoi governi autonomi e la sua opposizione alla costruzione del Treno Maya. La guerra di contrainsurgencia continua.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2020/09/15/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Zapatismo, un sogno che abbracci il mondo

Luis Hernández Navarro

Uno dopo l’altro, sia negli Altos che nella Zona Nord del Chiapas, si susseguono numerosi cartelloni con scritte colorate a mano fissati su assi di legno o sui tetti di lamiera corrosa dalla patina, alcuni di questi che raffigurano donne indigene con il paliacate sul volto, avvertono: Siete in territorio zapatista in ribellione. Qui comanda il Popolo ed il Governo obbedisce. Sono firmati dalle giunte di buon governo.

I cartelloni, in molti sensi simili a quelli impiegati sulle strade per dare il benvenuto ai viaggiatori in un’entità federativa, segnano i confini del territorio autogovernato dalle comunità zapatiste e la loro giurisdizione di fatto.

Come ha ricordato Raúl Romero nelle pagine di questo giornale (https://bit.ly/2NcJqgy), la loro origine risale a due momenti diversi. La formazione dei municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), nell’ambito dell’offensiva ribelle del dicembre 1994 contro la frode elettorale di Eduardo Robledo. E la fondazione nel 2003 delle prime cinque giunte di buon governo (caracoles) per esercitare nei fatti l’autonomia senza chiederne il permesso.

La novità in questo processo, come ha reso noto il subcomandante Moisés (https://chiapasbg.com/2019/08/19/ezln-16-caracoles/), è che in Chiapas si sono stabilite nuove linee di confine e nomenclature. I ribelli hanno appena annunciato di aver creato, a margine delle autorità governative, 11 nuovi centri di resistenza autonoma e ribellione zapatista (Crarez): sette di questi caracoles e quattro municipi autonomi. Dunque, in totale oggi esistono 43 centri zapatisti.

Parte di queste istanze di autogoverno in un primo tempo si sono insediate sulle migliaia di ettari occupati a partire dal 1994 e redistribuiti per la coltivazione a beneficio collettivo. Le loro competenze si differenziano per la complessità delle problematiche che ognuna di esse deve risolvere. Due libri decrivono questo processo. Quello di Paulina Fernández Christlieb, Justicia autónoma zapatista: zona selva tzeltal, (https://bit.ly/2Z9n8mp). E Luchas muy otras, de Bruno Baronnet, Mariana Mora e Richard Stahler-Sholk (https://bit.ly/2vGmGdu).

L’espansione dell’autonomia zapatista su nuovi territori smentisce le voci della presunta diserzione delle sue basi sociali come risultato dei programmi assistenziali quali Sembrando Vida o Jóvenes Construyendo el Futuro. Ovviamente, in un processo così controcorrente come questo, che loro portano avanti da 25 anni, ci sono simpatizzanti che si fanno da parte. Ma, il punto centrale per stimarlo è l’impulso e la tendenza generale che prosegue. La recente fondazione di altri 11 Crarez evidenzia che il magma insurrezionale non solo sopravvive, ma cresce in maniera esponenziale, mentre costruisce strade inedite di autonomia.

L’EZLN ha chiamato la sua nuova campagna Samir Flores Vive. Samir era il fabbro nahua, conduttore di Radio Amiltzinko e dirigente dell’Assemblea Permanente dei Popoli di Morelos, che si opponeva alla costruzione della centrale termoelettrica di Huexca. È stato assassinato il 20 febbraio scorso. Questo crimine non è ancora stato risolto.

La nuova campagna zapatista presenta grandi similitudini con le offensive precedenti. È stata processata e concordata (come fatto con la sollevazione armata) in molteplici assemblee comunitarie. Ha rotto l’accerchiamento del governo dispiegandosi come forza politico-sociale attraverso mobilitazioni pacifiche sui generis che hanno cambiato il terreno di confronto con lo Stato, portandolo sul terreno in cui le comunità sono più forti: quello della produzione e riproduzione della loro esistenza.

Invece di chiedere la solidarietà di alleati, amici e collettivi di lotta, invita a costruire con loro una nuova iniziativa politica. Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo propone di intraprendere un foro in Difesa del Territorio e della Madre Terra, capace di articolare una risposta ai megaprogetti e alla spoliazione, aperto a tutti coloro che lottano per la vita.

Esorta l’arcipelago filozapatista urbano a formare una Rete Internazionale di Resistenza e Ribellione non centralizzata, che lavori alla diffusione delle storie del basso e a sinistra. Annuncia riunioni bilaterali con gruppi, collettivi ed organizzazioni che operano nei loro luoghi. Propone ad intellettuali ed artisti di partecipare a festival, incontri, semenzai e feste.

Limitandosi ad essere anfitrioni, suggerisce ai genitori dei desaparecidos e dei carcerati, ed alle organizzazioni che lavorano con loro, a chi lotta per la diversità sessuale ed ai difensori dei diritti umani, di riunirsi nelle terre zapatiste per condividere incubi, dolori ed orizzonti. E, già in marcia, annuncia che le donne zapatiste convocheranno un nuovo incontro di donne che lottano, solo per le donne.

Come spiega il subcomandante Moisés, la creazione di spazi di autogoverno dei popoli zapatisti è il risultata del lavoro politico, principalmente di donne e giovani. Ma, anche, da quanto appreso da incontri e semenzai che, organizzati con la loro immaginazione, creatività e conoscenza, sono stati più universali, cioè, più umani. Hanno appreso, secondo le sue parole, che un sogno che non abbracci il mondo è un piccolo sogno.

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/08/20/opinion/017a1pol

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AMLO a Guadalupe Tepeyac

Luis Hernández Navarro

La comunità tojolabal di Guadalupe Tepeyac in Chiapas è emblematica. Non è casuale che sabato scorso il presidente Andrés Manuel López Obrador abbia inviato da lì un messaggio agli zapatisti. Davanti a circa 300 contadini, il mandatario ha espresso il suo rispetto ai ribelli e richiamato all’unità.

L’appello del Presidente avviene nel contesto di un incremento della militarizzazione nei territori zapatisti. Inoltre, l’arrivo del Presidente a Guadalupe Tepeyac era stato preceduto dall’arrivo di militari nella comunità. Già tre giorni prima erano aumentati i pattugliamenti per quantità e frequenza. I soldati erano entrati nell’ospedale a parlare con i lavoratori della struttura.

Secondo il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, dalla fine del 2018 è raddoppiato il numero delle incursioni dell’Esercito nella sede del Caracol della Realidad, inclusi i sorvoli sulla comunità (https://chiapasbg.com/2019/05/03/aumenta-militarizzazione/https://bit.ly/2GTfvp3). Sono anche aumentate le azioni di gruppi paramilitari che uccidono e cacciano dai loro villaggi la popolazione (https://chiapasbg.com/2019/06/05/navarro-demoni-chiapanechi/https://bit.ly/2xz1Oas). Il Presidente nega che la denuncia del Bartolomé de las Casas sia certa.

Per comprendere il simbolismo di Guadalupe Tepeyac è necessario fare un po’ di storia. L’ejido rappresentava la speranza nella trasformazione pacifica e profonda del paese. Ma, in seguito, è diventato l’emblema del tradimento e della repressione del governo.

Dopo l’insurrezione dell’EZLN la comunità fu la capitale informale dei ribelli, simbolo della rivolta globale contro il neoliberismo. Era una specie di Mecca libertaria in cui arrivavano figure politiche per incontrare il comando ribelle. Come ha ricordato il Presidente, egli stesso andò lì anni fa per parlare col defunto subcomandante Marcos, oggi Galeano.

Situato nel municipio di Las Margaritas, l’ejido Guadalupe Tepeyac è stato fondato nel 1957. Quattro mesi prima dell’insurrezione del 1994, l’allora presidente Carlos Salinas, circondato senza saperlo da centinaia di zapatisti senza uniforme, inaugurò lì un ospedale per tentare di frenare, inutilmente, la sollevazione armata.

I suoi abitanti, emigrati che colonizzarono la selva, si presentarono al mondo durante la consegna del generale Absalón Castellanos Domínguez, il 16 febbraio 1994. A dicembre di quell’anno, l’EZLN lo ribattezzò San Pedro Michoacán.

A luglio del 1994 su quelle terre fu costruita una nave dipinta coi colori della speranza: il primo Aguascalientes. Circa 6 mila delegati di quasi tutto il paese nell’agosto di quell’anno tennero lì la Convenzione Nazionale Democratica (CND) convocata dagli zapatisti, una scommessa per transitare alla democrazia ed aprire sentieri alla pace.

La nave della CND tentò di navigare nelle acque della transizione pacifica. Tuttavia, naufragò il 9 febbraio 1995. Quel giorno, l’EZLN aspettava l’arrivo dell’allora segretario di Governo (oggi Ministro dell’Istruzione della 4T), Esteban Moctezuma, per proseguire con il processo di pace. A tradimento, invece del funzionario arrivarono migliaia di soldati per arrestare il subcomandante Marcos. Una delle richieste dei ribelli era di rifare le elezioni in Tabasco per riparare alla frode elettorale perpetrata contro Andrés Manuel López Obrador.

Il giorno dopo, l’Esercito entrò nell’ejido. Quindici minuti prima delle 10 del mattino i primi elicotteri militari sorvolavano Guadalupe Tepeyac. Prima quattro, poi venti. Molti degli uomini del villaggio erano fuggiti nella selva la notte precedente. L’ordine era di ripiegare.

Poco dopo arrivarono 2.500 soldati su circa 100 veicoli blindati e d’artiglieria appoggiati da elicotteri ed aerei. Due ore più tardi giunse il generale Ramón Arrieta Hurtado, capo della Sezione Paracadutisti e responsabile dell’operazione. Trovò un villaggio deserto con parte dei suoi abitanti rifugiati nell’ospedale.

Il 23 e 24 febbraio 1995 decine di militari sotto il comando del generale Guillermo Martínez Nolasco distrussero l’Aguascalientes. Nello stesso luogo fu eretto un quartiere militare rimasto in funzione fino al 20 aprile 2001. Guadalupe Tepeyac divenne allora l’incarnazione dell’ignominia. In risposta, gli zapatisti edificarono cinque Aguascalientes in altre regioni dello stato.

Da quale delle due Guadalupe Tepeyac il Presidente López Obrador ha inviato il suo messaggio all’EZLN? Dal simbolo della lotta emancipatrice o dall’emblema del tradimento governativo? Immaginiamo come sarebbe interpretato se Donald Trump lanciasse un messaggio di amicizia al Messico da Fort Alamo.

Nel suo discorso, il Presidente ha parlato delle due strade per trasformare il paese: quella pacifica-elettorale e quella armata, ed ha indicato l’EZLN come esempio della seconda. Certo, gli zapatisti si sono sollevati in armi e grazie a questo il paese ha rivolto la sua attenzione ai popoli indigeni. Tuttavia, da quando è stata dichiarata la tregua, benché i ribelli conservino le armi, non le hanno usate. Invece, si sono dedicati a costruire un’esperienza esemplare ed inedita di autogestione ed autonomia indigena. La determinazione non è artificio.

È importante che il Presidente parli direttamente all’EZLN. Ma non sembra sufficiente. Per distendere la relazione, si devono fare altri passi sostanziali nella corretta direzione.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/07/09/opinion/017a1pol#

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Luis Hernández Navarro: I demoni chiapanechi

Il corpo senza vita di Ignacio Pérez Girón è comparso a lato della strada Tuxtla Gutiérrez-San Cristóbal. Presentava segni di tortura. Due giorni prima, il 4 maggio scorso, la sua famiglia ne aveva denunciato la scomparsa.

Pérez Girón era sindaco del municipio indigeno di Aldama, negli Altos del Chiapas. Aveva 45 anni. Mesi prima, a gennaio 2019, aveva denunciato l’attacco armato alla comunità da parte di paramilitari.

Da febbraio 2018, i coloni di Aldama vivono un’autentica crisi umanitaria. Diverse comunità del municipio sono vittime costanti di attacchi armati da parte di gruppi paramilitari. Sono state assassinate 25 persone e ferite varie decine. Inoltre, più di 2 mila sono stati sfollate violentemente dalle proprie case e villaggi. Chi esce dalla sua proprietà per andare a lavorare, corre il pericolo di essere assassinato. Gli aggressori provengono dai villaggi di Santa Martha e Saklum, nel vicino municipio di Chenalhó.

In cinque diverse occasioni, Pérez Girón aveva chiesto al governo statale di installare tavoli di dialogo per disattivare il conflitto. Prima dell’assassinio, il giornalista di Rompeviento Tv, Ernesto Ledesma, in tre occasioni aveva interpellato il presidente Andrés Manuel López Obrador circa le aggressioni in questa regione. Dopo il crimine di Pérez Girón, è tornato a farlo. Dal luogo dei fatti ha realizzato di prima mano quattro reportage con molte testimonianze (https://bit.ly/2wesaOn). Né la presenza della polizia né militare hanno fermato gli attacchi. Chi è in possesso di armi ad uso esclusivo dell’Esercito si muove liberamente.

Il conflitto risale al 1977, quando il governo consegnò a Santa Martha 60 ettari di terra di proprietà di Aldama. Secondo la giunta di buon governo del caracol di Oventik, i tre livelli di governo passati e presenti sono responsabili della divisione, scontro, paura e rottura della vita comunitaria. Perché imbastirono accordi mai realizzati mettendolo ancora più legna sul fuoco per dividere le comunità.

La violenza in Aldama e Chalchihuitán è conseguenza della liberazione degli assassini materiali di Acteal. Il 22 dicembre 1997, ad Acteal, Chenalhó, furono giustiziati selvaggiamente dai paramilitari 45 tra uomini, donne e bambini mentre pregavano per la pace in una cappella (https://bit.ly/2ELb9A8). Malgrado fossero stati pienamente identificati dai parenti delle vittime, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione liberò gli omicidi a partire dal 2009, adducendo che non c’era stato un giusto processo. I criminali non hanno mai consegnato le armi con le quali perpetrarono il massacro.

Il principale promotore della campagna per liberare gli assassini di Acteal è stato Hugo Eric Flores, legato alla teologia della prosperità neo-pentecostale, molto vicino agli inizi della sua corsa politica ad Ernesto Zedillo, presidente del Messico quando fu compiuto il massacro. Dirigente del partito Encuentro Social, attualmente è il superdelegato della Quarta Trasformazione nello stato di Morelos.

I paramilitari di Chenalhó che nell’ultimo anno hanno attaccato i coloni di Aldama sono gli stessi che hanno ucciso i membri di Las Abejas ad Acteal quasi 22 anni fa, o sono parenti dagli assassini. Rosa Pérez, l’ex presidentessa municipale di Chenalhó, figura chiave nella ripresa dei gruppi di civili armati, è parente di chi ha perpetrato il massacro. Abraham Cruz, fino a poco tempo fa tesoriere municipale, è figlio del pastore che benedisse le armi degli assassini.

Come hanno dichiarato gli sfollati di Aldama, Rosa Pérez ed Abraham Cruz, attuale sindaco di Chenalhó, hanno riorganizzato il gruppo paramilitare presente da anni in quel municipio, creato dall’Esercito (https://bit.ly/2Xle8q7).

Quanto successo a Chenalhó, Chalchiuitán ed Aldama non è un fatto isolato. Praticamente in tutti gli angoli della geografia chiapaneca vecchi e nuovi cacicchi (indigeni e meticci), si disputano il controllo del territorio per mezzo della violenza. Membri della comunità chol di San José El Bascán, nel municipio di Salto de Agua, sono a rischio di attacco armato e sgombero forzato.

Invece di servire a mettere in ordine ne demoni del paramilitarismo, la presenza dell’Esercito nello stato sembra essere concentrata nell’accerchiare e vessare i territori zapatisti. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas ha rilevato che dalla fine del 2018 è raddoppiato il numero di incursioni dell’Esercito Messicano nella sede della giunta di buon governo, nel caracol della Realidad.

Lungi dall’affrontare i gruppi di potere locali, il governo statale guidato dal morenista Rutilio Escandón, li protegge. I figli e i nipoti della vecchia oligarchia finquera occupano ora posizioni chiave nell’amministrazione della Quarta Trasformazione chiapaneca. Il mandatario statale ed i suoi funzionari sono parte del problema, non della soluzione.

Il fantasma di Acteal si aggira nel territorio chiapaneco. I demoni sono liberi. Da sopra gli hanno aperto la porta.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/06/04/opinion/016a2pol#

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@lhan55 La morte interminabile

Luis Hernández Navarro

Tra il 2 e il 4 maggio sono stati assassinati tre attivisti indigeni. Il primo era Telésforo Santiago Enríquez, zapoteco di San Agustín Loxicha. Gli altri due, José Lucio Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, erano nahua di Guerrero. Sono gli ultimi di un macabro corollario di corpi senza vita di decine di attivisti sociali poveri, ambientalisti, educatori popolari e comunicatori legati a radio comunitarie.

Telésforo Santiago era maestro in pensione. Faceva parte della Coalizione dei Maestri e Promotori Indigeni di Oaxaca (Cmpio), un’associazione esemplare di insegnanti indigeni, in maggioranza di livello prescolare e primaria, che lavora nell’applicazione di progetti di formazione docente e programmi bilingue. Apparteneva alla delegazione sindacale D-I-211, della sezione 22 del Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE). Era Supervisore del Piano Pilota Miahuatlán. Dal 1987 sono stati assassinati otto professori della Cmpio.

Telésforo è stato un perseguitato politico del governatore Diódoro Carrasco. La regione dei Loxicha ha subito pesanti repressioni tra il 1996 e 1997. Più di 150 abitanti erano stati arrestati (molti torturati) accusati di appartenere all’EPR.

Il maestro Santiago Enríquez ha vissuto per qualche mese negli Stati Uniti. Probabilmente è lì che ha familiarizzato con le radio comunitarie. Nel suo paese natale San Agustín Loxicha ne aveva fondato una, Estéreo Cafetal La Voz Zapoteca, da cui si trasmettevano musiche della regione, canzoni di protesta, il ¡Venceremos! della Unidad Popular, o Celso Piña che interpretava Macondo, mentre parlava della devastazione ambientale, della politica energetica, della gastronomia locale, della difesa della terra e della lingua e del movimento magistrale. Competeva con un’altra stazione radio, La Tejonera, che trasmetteva musica arrecha della Costa e narcocorridos.

Nel 2008 gli abitanti di Loxicha sono riusciti a nominare le proprie autorità secondo i propri usi e costumi. Il 5 aprile 2016 a San Pedro Pochutla è stato ucciso il professor Baldomero Enríquez Santiago, ex prigioniero politico, attivista e candidato comunale. E, a novembre del 2017, la squadra alla quale apparteneva Telésforo ha vinto le elezioni comunali contro il cacicazgo di Óscar Valencia Ramírez, signore di forca e coltello.

Il maestro Telésforo avrebbe fatto parte del consiglio comunale che si eleggerà a San Agustín tra settembre e novembre prossimi. Lo scorso 2 maggio è stato ucciso con colpi d’arma da fuoco in faccia e nel collo. È uno dei tre professori assassinati in meno di 60 giorni nel distretto di Miahutlán.

Due giorni dopo, a Chilapa, Guerrero, a 775 chilometri da dove hanno ucciso Telésforo, hanno tolto la vita a José Lucio Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, promotori del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata (Cipog-EZ). I due erano difensori dei loro territori e cultura, e costruttori dell’autonomia nelle proprie comunità. Nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) avevano partecipato alla formazione del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) ed avevano coordinato la raccolta firme per Marichuy nella loro regione.

Il giorno del loro omicidio avevano partecipato ad una riunione a Chilpancingo, allo scopo di coordinare le mobilitazioni per chiedere ai diversi enti statali e federali la soluzione alle loro istanze sociali e politiche. Sulla strada di ritorno alla loro comunità sono stati intercettati da gruppi armati che li hanno inseguiti ed assassinati a Chilapa.

La Cipog-EZ si oppone ai gruppi narco-paramilitari Los Ardillos e Los Rojos che, con l’appoggio di autorità governative, poliziotti ed Esercito, fanno pressioni sulle comunità perché seminino mais rosso, come nella regione si chiama il papavero. Benché da anni denuncino queste vessazioni, le autorità fanno orecchie da mercante.

La Cipog-EZ è stata fondato nel 2008, molto vicina al Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie dei Popoli Fondatori del Sistema Comunitario di Sicurezza e Giustizia. Le sue origini risalgono alla lotta dei popoli na savi, me’pháá, nahua e ñamnkué, che dal 1992 lottano per il diritto all’autonomia ed alla libera determinazione ed hanno creato il Consiglio Guerrerense 500 anni di Resistenza.

La Cipog-EZ promuove Radio Zapata 94.1 FM, spazio di riflessione in lingue indigene che trasmette musica della regione. Promuove inoltre la creazione di centri di conoscenza per la formazione politica, tecnica e culturale di promotori che fomentino il pensiero comunitario. Vuole essere un facilitatore dell’organizzazione e l’esercizio del diritto collettivo.

I centri di conoscenza sono una proposta educativa per risolvere collettivamente e in forma autogestita le loro istanze e necessità: sicurezza e giustizia, difesa del territorio, alimentazione, produzione e mercato interno, informazione, educazione e salute comunitaria. Per riscattare la loro cultura, la loro memoria e l’esperienza delle proprie comunità.

Purtroppo, questi crimini contro attivisti indigeni non sono gli unici commessi negli ultimi mesi nel paese. A Morelos è ancora oscuro l’omicidio dell’ambientalista e radiofonico Samir Flores. E, a Oaxaca, non ci sono progressi nei casi dei cinque omicidi contro integranti della Codedi e nelle tre esecuzioni di membri della Oidho, Ucio-EZ e Apiidtt.

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/05/07/opinion/014a2pol#

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