Feeds:
Articoli
Commenti

Archive for gennaio 2024

30 Anni dopo l’Insurrezione Zapatista l’EZLN si trasforma

Andrea Cegna – 8 gennaio 2024

Una festa, o meglio, quattro giorni di festa con spettacoli teatrali, tornei sportivi, parate militari. Così l’EZLN, Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ha deciso di ricordare il 1° gennaio 1994, inizio della guerra contro l’oblio. Per quattro giorni, dal 30 dicembre al 2 gennaio, migliaia di persone, soprattutto giovani e zapatisti accompagnati da un migliaio di internazionalisti, hanno preso parte all’evento celebrativo che prevedeva rappresentazioni teatrali, musical, tornei sportivi, proiezioni di film e la parata delL’EZLN alla mezzanotte del 1° gennaio 2024. Una celebrazione che non ha guardato al passato, né ai molteplici risultati raggiunti dall’organizzazione. Lo sguardo è rivolto al futuro, verso ciò che manca e ciò che occorre organizzare per difendere la vita delle comunità indigene senza dover sparare o uccidere.

Tanto che il Subcomandante Insurgente Moisés, leader politico militare e portavoce dell’EZLN dal febbraio 2013, parlando verso mezzanotte dice: “Quello che diciamo qui è che chi lavora mangia, e chi non lavora che si mangi le sue banconote e vediamo se questo soddisfa la sua fame, quindi, non abbiamo bisogno di uccidere. Questo diciamo. Ma per questo abbiamo bisogno di organizzazione: fatelo con i fatti! Giovani, donne, uomini di tutti i settori. È questo, compagni, ciò che dobbiamo dimostrare. Non crediamo più a chi governa, perché il capitalismo è nel mondo. Organizziamoci in ogni geografia e ognuno con il suo calendario”.

Pur restando un esercito, l’EZLN sceglie da anni la via pacifica verso l’autodeterminazione dei popoli maya del Chiapas, rifiutando la logica del potere e, quindi, la classica presa del potere marxista-leninista, proponendo la logica di costruire un’alternativa. Un passaggio che, in effetti, si è storicizzato negli anni, ma che ha trovato in questo trentesimo anniversario un rilancio narrativo. Dopo il 12 dicembre 1994 ci sono stati pochissimi episodi di scontri a fuoco con gli zapatisti. È ancora organizzato come esercito per ragioni di sicurezza, ma negli anni l’impronta militare ha lasciato sempre di più il posto a quella politico/sociale. Certamente la grave situazione di violenza contro le comunità, che negli anni hanno subito aggressioni militari, aggressioni paramilitari, guerre a bassa intensità e infine la nuova ondata di criminalità organizzata, non consente lo scioglimento della struttura di autodifesa. L’allora Subcomandate Marcos, nel maggio 2014, scriveva “Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo. Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita. Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.” e poi aggiunge “Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda. Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone. E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés: Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto”.

Da Ocosingo, una delle sette città occupate militarmente dall’EZLN il 1° gennaio 1994, ci vuole circa un’ora per raggiungere il Caracol VIII a Dolores Hidalgo. Lungo la strada c’è una grande base militare, uno dei 72 avamposti dell’esercito messicano che circondano il territorio zapatista. Una volta superata la base, si iniziano a incontrare i cartelli che annunciano l’avvicinamento a Caracol. Agli zapatisti piace giocare con gli internazionali: nel primo striscione parlano di una distanza di 33 chilometri dal Caracol, nel secondo di 5 e nel terzo di 1. Ma le distanze sono molto diverse, quindi per “l’ultimo chilometro zapatista ” ci vogliono venti minuti buoni in furgone per arrivare a destinazione. A quel punto, svoltando a sinistra, si incontra una discesa dove decine di miliziani controllano il traffico e gestiscono l’arrivo di autobus, auto, taxi e furgoni che portano le migliaia di non indigeni che accompagneranno l’EZLN nella festa. Superati i controlli, una fila di disegni e scritte su tela accompagnano l’arrivo nel Caracol alla festa del trentesimo anniversario. Da 2019 i Caracol sono 12 e sono la sede politico-amministrativa dell’autogoverno inaugurato ufficialmente nell’agosto 2003 dall’EZLN.

Il discorso duro e chiaro pronunciato da Moisés, lontano dalla poetica emotiva a cui l’attuale Capitano Marcos, già Subcomandante Marcos y Galeano, aveva abituato il pubblico internazionale, che riuniva artisti e intellettuali di tutto il mondo, è stato il momento centrale della celebrazione. Un discorso che riflette l’essenza indigena e la storia stessa dell’EZLN, un movimento che è cresciuto con la teoria dell’accumulo delle forze nel silenzio e parlava con franchezza pur fornendo molteplici interpretazioni di ciascuna delle sue proposte. Infatti, una delle sue citazioni più famose nel corso degli anni è stata “facciamo quello che diciamo, diciamo quello che facciamo”.

All’arrivo al Caracol VIII, Dolores Hidalgo, a un’ora di macchina dalla città di Ocosingo, molti si aspettavano qualcosa di più, quasi certamente la presenza visibile del Capitano Marcos, vista la preparazione avvenuta attraverso 20 comunicati con i quali quali l’EZLN ha rotto un silenzio di quasi due anni e l’invito pubblico a partecipare alle celebrazioni. D’altronde, come spesso è accaduto in questi trent’anni, le donne e gli uomini divenuti “famosi” perché si coprivano il volto con un passamontagna e imbracciavano le armi solo per rivendicare diritti, e soprattutto per affermare che potevano essere loro stessi, i popoli indigeni, in un mondo globalizzato e standardizzato, hanno preso una decisione nuova che va contro le aspettative e ancora una volta hanno colto nel segno, sorprendendo e costringendo molti a porsi delle domande.

Con opere teatrali hanno raccontato la trasformazione dell’organizzazione, la “morte” dei Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti e delle Giunte di Buon Governo, e con essa la nascita dei GAL e dei collettivi di governo territoriale. La nuova struttura zapatista risponde alle trasformazioni “geografiche” del movimento. Dopo 30 anni, l’unità territoriale delle comunità è andata diminuendo, e allo stesso tempo l’influenza zapatista si è estesa a territori diversi da quelli di origine. Non è ancora del tutto chiaro cosa e come funzionerà questa nuova struttura e i prossimi mesi lo diranno. Insieme ad altri, hanno denunciato le molteplici direzioni della guerra che il governo, le grandi potenze economiche e la criminalità organizzata stanno portando avanti contro l’esperienza neozapatista. La guerra per il controllo del territorio si è spostata in Chiapas, dove i gruppi criminali organizzati si contendono le zone di transito sulle rotte migratorie. Il Chiapas confina con il Guatemala con tre valichi di frontiera. Su tutti e tre il conflitto per il controllo è evidente, e nelle zone dove è presente l’EZLN non è diverso. Proprio per questo l’EZLN ha deciso di schierarsi nelle diverse zone del suo “controllo” e quindi essere oggetto di interposizione tra criminali e comunità. Tutto questo mentre il governo di Andrés Manuel López Obrador, con il progetto “Sembrando Vida”, ha esacerbato il conflitto per la terra all’interno delle comunità indigene.

Poi hanno organizzato una parata militare, seria e austera, come al solito, ma anche in questo caso hanno rotto ogni logica “militare” mandando dagli altoparlanti “La Carencia” dei Pantheon Rococò e lasciando il passo libero ai miliziani che hanno rotto le file e iniziato a ballare. “Compagne, compagni zapatisti, questo è ciò che abbiamo dimostrato 30 anni fa. È lì che abbiamo capito. Con i nostri compagni, il Comitato è lieto che voi, giovani uomini e donne, abbiate capito e che le vostre opere teatrali siano molto eloquenti. Tuttavia noi diciamo che dobbiamo farlo con le azioni, non con le parole. Né con poesia, né opere teatrali, né pittura e altre cose” mette in guardia Moisés.

Il centro gravitazionale del discorso di Moisés è stato il concetto di “comune” che gli zapatisti fanno come proposta di pace, tanto che nell’ultimo comunicato scritto dall’EZLN prima delle celebrazioni si leggeva “Ebbene, possiamo tornare a questo e alla nostra proposta: stabilire estensioni dei terreni recuperati a partire dal comune. Senza proprietà. Non privata, non ejidale, non municipale, non federale, non statale, non industriale, niente di niente. Non proprietà della terra. Come si dice: “terreno senza documenti”. Ad esempio, in queste aree ancora da definire, se ci si chiede di chi è quel terreno o chi ne è il proprietario, la risposta può essere: “di nessuno”, decide “la comunità”, e prosegue “Ad esempio: sei un avente diritto con 20 ettari e hai 4 figli. È la prima generazione. Distribuisci la terra o meglio il documento, ed ora c’è un documento per 5 ettari per ciascuno. Poi quei 4 figli fanno altri quattro figli ciascuno, seconda generazione, e distribuiscono i loro 5 ettari e ottengono così poco più di un ettaro ciascuno. Poi quei 4 nipoti hanno altri 4 figli ciascuno, terza generazione, e si dividono i documenti e ciascuno ottiene circa un quarto di ettaro. Poi quei pronipoti hanno 4 figli ciascuno, quarta generazione, e si dividono il documento e prendono un decimo di ettaro a testa. E non vado oltre perché solo in 40 anni, nella seconda generazione, si uccideranno a vicenda. Ecco cosa stanno facendo i malgoverni: seminano morte”.

Per Márgara Millán, antropologa e docente universitaria della UNAM, “uno dei principali sucessi dello zapatismo in questi 30 anni è stato quello di invertire la cultura razzista in Messico”, mentre per Carolina Díaz Iñigo, del Centro di Ricerche e Studi Superiori di Antropologia Sociale (CIESAS), Postdottorato dell’Universidad Iberoamericana – México, “Lo zapatismo è un riferimento non solo a livello nazionale ma anche internazionale nella vita dei popoli indigeni contro il razzismo, il colonialismo e lo sfruttamento. In Messico per anni si è pensato che i popoli indigeni non esistessero più, facevano parte di un passato glorioso ma non del presente. L’EZLN ha detto che questo non è vero, perché noi continuiamo a resistere”.

Secondo Guadalupe Nettel, tra l’altro direttrice della Rivista Unam, “il neo zapatismo è stato costruito con un 30% di donne che hanno combattuto con le armi oltre ad altre compagne che lo hanno sostenuto in modi diversi. Tutte queste donne che hanno partecipato alla concezione del movimento in diversi aspetti, hanno portato idee pratiche su ciò di cui le donne hanno bisogno facendp sì che ci sia un femminismo nelle terre indigene. Questo femminismo è diverso dal femminismo bianco che conosciamo nelle città perché hanno altri bisogni e altre idee, ma hanno anche contribuito a far sì che l’uguaglianza di genere fosse praticata in quei territori”.

Una prova di forza per l’EZLN che, oltre a convocare migliaia di persone, ha saputo accoglierle dando loro cibo e un letto, oltre a garantire la sicurezza, anche sanitaria, di tutti. Una prova di forza che mira a rispondere, con i fatti e non con le parole, alle critiche che l’EZLN continua a ricevere, alle polemiche sollevate dal governo, e anche alle voci, che provengono da diversi settori, su un suo indebolimento. C’è chi scommette che questa storia non arriverà intatta al 1° gennaio 2034; loro, gli zapatisti, dicono invece che il loro progetto è rovesciare il capitalismo in 120 anni. Chi avrà ragione? https://directa.cat/lezln-es-transforma-trenta-anys-despres-de-laixecament-zapatista/

Read Full Post »

Foto Víctor Camacho

Il comune: il nuovo orizzonte

Raúl Romero*

Il viaggio è stato lungo. A causa delle strade malconce e privatizzate, incontriamo tratti in riparazione e incidenti. L’autista del nostro veicolo dice: bisogna guidare con prudenza, il diavolo è in giro. Un viaggio che dura 14 ore, da Città del Messico a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, lo facciamo in 21 ore. Il clima di violenza nel Paese, quel diavolo che si scatena dal 2006, ci porta a prendere tutte le precauzioni: lasciamo una lista con i contatti di emergenza e un gruppo ci monitora da posti fissi. Ogni quattro ore ricevono la nostra posizione. Se non arriva nessuna segnalazione ci cercano. Se non ci trovano entro un certo tempo, devono avvisare Frayba o la Rete TDT, le organizzazioni indipendenti che accompagnano la Carovana nazionale e internazionale in territorio zapatista. Nessuna precauzione è eccessiva per attraversare questo paese doloroso e la sua geografia del terrore.

Seguirà poi la seconda tappa del viaggio, da San Cristóbal de las Casas al Caracol Resistencia y Rebeldía: Un Nuevo Horizonte, nel comune di Dolores Hidalgo, a poco più di un’ora da Ocosingo. Qui il dilemma è quale strada prendere: quella che solitamente viene percorsa dai gruppi paramilitari e che si fanno pagare il passaggio, quella che ha tratti franosi oppure quella più lunga e piena di curve. Non c’è discussione. Prendiamo la strada tortuosa, alcuni prendono la dramamina e iniziamo il viaggio. Quattro ore e mezza dopo, con i volti pallidi e qualche stomaco svuotato lungo la strada, arriviamo in territorio ribelle. Inviamo l’ultimo rapporto: Siamo arrivati. In territorio zapatista non siamo in pericolo.

All’ingresso del Caracol, i compas – come chiamiamo affettuosamente i popoli zapatisti – hanno messo diversi striscioni che annunciano eventi come la festa danzante, le donne della dignità ribelle, l’idra capitalista… L’ingresso si trasforma in un abbraccio collettivo, centinaia di persone in viaggio da diverse parti del mondo si ritrovano nel territorio zapatista. Le conversazioni durano ore. I cuori sono felici. Iniziano a essere pianificati progetti collettivi. Le diagnosi generano dibattiti. Palestina e Kurdistan sono presenti ai colloqui. Si stringono nuove alleanze. Si rafforza la grande rete di solidarietà globale che si articola attorno all’EZLN. La celebrazione dei 30 anni della guerra contro l’oblio è anche la celebrazione di una nuova tappa dell’internazionalismo.

Nel Caracol si incontrano protagonisti del movimento zapatista. Marijosé, la compagna che più di due anni fa ha viaggiato sulla nave La Montaña dal sud-est messicano all’Europa – ribattezzandola Europa Insumisa –, ora svolge un nuovo incarico: è responsabile della cucina che sfamerà migliaia di persone per giorni. Anche La Verónica, Chinto, Amado e altri membri di spicco del Comando Palomitas – rinforzato da nuovi membri come Remigio – vagano per il Caracol. Cavalcano draghi, unicorni e altre creature fantastiche. Le loro risate e i loro scherzi, una delle armi segrete con cui lo zapatismo ha sedotto l’Europa ribelle, ora invitano anche alla speranza. Un amico commenta: il territorio zapatista è l’unico posto dove non posso vedere le mie figlie e mi sento tranquilla. Uno degli obiettivi dello zapatismo: un mondo in cui una ragazza giochi senza paura.

Se in passato il teatro e le pastorali servivano per evangelizzare le comunità indigene nel nuovo mondo, oggi le comunità indigene zapatiste sovvertono quella funzione e fanno del teatro uno strumento per spiegare pedagogicamente un processo estremamente complesso: la loro storia, la guerra all’oblio, il governo che obbedisce, i municipi autonomi ribelli zapatisti, le giunte di buon governo e qual è il loro nuovo orizzonte, il comune e la non proprietà.

Il 31 dicembre, alle 23,30, l’EZLN mostra la sua forza e la sua organizzazione. Migliaia di miliziani, uomini e donne, eseguono esercizi al ritmo di cumbia e ska. Il messaggio è chiaro, lo zapatismo è un esercito che ha scelto la vita, ma è disposto a difendere i propri territori e il proprio progetto. Contrariamente a quanto dicono intellettuali, specialisti e giornalisti forgiati nel pensiero pigro, lo zapatismo è pieno di gioventù. Tra miliziani e miliziani si percepiscono i volti e i corpi di chi comincia a lasciarsi alle spalle l’adolescenza. Una nuova generazione di zapatisti e una nuova tappa dello zapatismo.

La proprietà deve appartenere al popolo ed essere comune e il popolo deve governarsi da solo, ha affermato nel suo intervento il subcomandante Moisés, portavoce dell’EZLN. Bozze che disegnano il nuovo orizzonte teorico e politico lanciato dagli zapatisti. 30 anni dopo la guerra contro l’oblio, lo zapatismo si avvia verso il futuro dell’umanità.

*Sociologo @RaulRomero_mx Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2024/01/07/opinion/012a2pol

Read Full Post »

L’EZLN al biviodi Raúl Vera https://www.facebook.com/raul.vera.338658

L’EZLN celebra il trentesimo anniversario della dichiarazione di guerra allo Stato messicano e lo fa in un momento di crisi. Da un lato, l’irruzione violenta dei gruppi della criminalità organizzata che dall’8 luglio 2021 si contendono il territorio del Chiapas, che comprende i territori che precedentemente controllava l’EZLN o dove l’EZLN aveva basi d’appoggio, e dall’altro la mancanza di progetti produttivi che generino guadagni per i membri di detta organizzazione.

Mentre i cartelli messicani con l’assenza o la compiacenza dello Stato messicano sono vere e proprie imprese che generano un’economia con potenza di fuoco in interi territori sotto il loro controllo (come la regione di confine-montagna), le organizzazioni sociali un tempo forti stanno gradualmente scomparendo, tra cui l’EZLN, a causa della mancanza di progetti che generino benessere economico tra i loro militanti.

L’EZLN, come tutte le organizzazioni sociali che si sono battute per la proprietà della terra in Chiapas, mancano di progetti produttivi. Il fatto che nel 1995 siano stati distribuiti 250.000 ettari, passati dalla proprietà privata all’amministrazione delle comunità appartenenti all’EZLN, non ha comportato necessariamente la modifica dei vecchi metodi di produzione: allevamento estensivo, caffè, mais, fagioli, in Chiapas si semina molto mais, ma la media della raccolta per ettaro è di una tonnellata per autoconsumo, e viene piantato con gli stessi metodi dei Maya di duemila anni fa: tagliare, abbattere, bruciare e battitura.

Le vecchie rivendicazioni di casa, terra, lavoro, pane, salute, istruzione, libertà, indipendenza, giustizia, democrazia e pace sembrano lontane trent’anni dalla loro dichiarazione e per realizzare questa vita c’è bisogno, oltre ai discorsi di autonomia e di comunicati dei dirigenti, di formazione dei quadri delle nuove generazioni. In questi trent’anni non hanno formato né mandato i loro giovani a formarsi su nuove tecniche di produzione che avrebbero reso più redditizia l’economia rurale, pur avendo avuto le porte aperte agli stranieri, poiché gran parte dei finanziamenti provenivano dall’estero. Non lo hanno fatto e oggi questo errore si presenta con un fenomeno migratorio che sta lasciando l’organizzazione senza basi di appoggio.

Nel 2021, l’EZLN ha avvertito che “il Chiapas è sull’orlo di una guerra civile con la presenza di gruppi paramilitari, membri di diversi cartelli che si contendono le piazze e gruppi di autodifesa”.

Poco più di un mese fa ha annunciato attraverso un comunicato cambiamenti nella sua struttura, tra cui spicca la creazione dei Governi Autonomi Locali (GAL), considerati il fulcro dell’autonomia del movimento e coordinati da agenti e commissari autonomi. Ogni GAL, precisa la dichiarazione, “controlla le proprie risorse organizzative autonome – come scuole e cliniche – e il rapporto con le vicine comunità sorelle non zapatiste”.

In diverse interviste agli abitanti della selva spicca un denominatore comune: sottolineano che, indipendentemente dalla loro appartenenza politica, religiosa e organizzativa, si stanno organizzando per affrontare il problema che li affligge tutti: la presenza della criminalità organizzata.

L’EZLN è caduto nella solita visione di pensare che la povertà genera rivoluzionari e rivoluzione, cosa totalmente falsa; paesi come Cuba o Venezuela, che vivono sotto governi di sinistra, soffrono una diaspora mai vista prima, i giovani emigrano verso paesi che garantiscono loro un lavoro per poter vivere, l’unica cosa che la povertà ha generato sono persone vulnerabili che vengono cooptate dai programmi sociali del governo al potere, o quel che è peggio, dalla criminalità organizzata. Un ex membro dell’EZLN ha raccontato che un giorno disse all’allora Subcomandante Marcos, oggi Capitán, che avrebbero dovuto iniziare a sviluppare progetti produttivi per creare posti di lavoro, la risposta fu “siamo in guerra”, una guerra durata solo 11 giorni.

In questo trentesimo anniversario ci si aspettava che venissero annunciate la struttura e le azioni future, tuttavia, nel discorso del Subcomandante Moisés, non è stato specificato in cosa consistessero le nuove modalità di organizzazione della guerriglia. Il messaggio si può riassumere così “oggi, come 30 anni fa, siamo soli” e cioè che l’adesione all’EZLN in quelle che erano le sue roccaforti come La Garrucha, Guadalupe Tepeyac, La Realidad, Oventic, Santiago el Pinar , San Andrés Larráinzar è decimata, le famiglie che continuano ad essere attive nell’EZ si contano sulle dita delle mani in ognuno di questi luoghi. Molti concordano sul fatto che la mancanza di un progetto che migliori il loro reddito li ha spinti a cercare nuove opzioni.

Fuori delle celebrazioni e dell’euforia del trentennale, l’EZLN si trova al bivio della sua esistenza, perché di questo passo non credo che resista altri dieci anni. La sua presenza è importante come contrappeso nella vita pubblica del Paese, superando il lamento dell’eterna vittima del “capitalismo selvaggio” e presentarsi come un’opzione differente per la sua base sociale che migliori la sua qualità di vita ed economia, capace di affrontare fenomeni come il crimine che oggi invade il Chiapas e dove Stato, come nel 1994, è assente

Nel 1994 nonni e genitori marciarono per farsi vedere, denunciarono la povertà e issarono la bandiera anticapitalista contro l’ingresso del Messico nel NAFTA. Oggi i figli e i nipoti di quegli uomini continuano a marciare, ma ora per entrare nel mercato del lavoro nel cuore della bestia capitalista, dell’idra, segnalata come da 30 anni, nel discorso di questo 1º di gennaio, come il mostro di mille teste, il capitalismo degli Stati Uniti.   Testo originale:QUI

Read Full Post »

Discurso del Subcomandante Moisés en el 30 aniversario del levantamiento del EZLN

medioslibres 1 enero, 2024Zapatista https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/

Al filo de la medianoche del 31 de diciembre de 2023, el Subcomandante Insurgente Moisés del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, dio unas palabras, primero en tseltal y luego en español, a 30 años del levantamiento zapatista.

Qui per scaricare l’audio: https://www.centrodemedioslibres.org/wp-content/uploads/2024/01/20231231-Subcomandante-Moises.mp3

Trascrizione del discorso del Subcomandante Insurgente Moisés:

Hermanos que vienen en distintos lados de esta planeta Tierra, compañeros, compañeras:

Están viendo, ahí está, las sillas de los ausentes y ausentas.

No están las madres y los padres buscadoras.
No están las desaparecidas y desaparecidos.
No están las presas políticas y presos políticos.
No están las asesinadas y asesinados.
No están los jóvenes y jóvenas asesinados, asesinadas.
No están las niñas y los niños asesinados.
También no están nuestros tatarabuelos, los que lucharon hace más de 500 años.
Pero también no están nuestros compañeros caídos que ya lo cumplieron su deber.

Compañeros hombres bases de apoyo, compañeras bases de apoyo, aquí estamos aquí hoy, no para recordar su caída de estos compañeros, de hace 40 años, de hace 30 años, aquí estamos aquí compañeros, compañeras zapatistas para que lo tengamos presente el deber. Porque fue un deber a esos compañeros y a esas compañeras. Así es, y eso nosotros las zapatistas y los zapatistas no hemos cumplido. No podemos decir que ya hemos hecho mucho. Hasta que lleguemos también como a esos compañeros que estamos hablando de ellos y de ellas de hace 30 años y de hace 40 años.

No estamos diciendo acá de cómo eran, no, cómo eran en su deber. No estamos buscando para hacer un museo pa que nos recuerdan.

Compañeros, compañeras zapatistas, no necesitamos a que nos vengan a dar explicación o clase o taller político de cómo está el sistema. Tan sencillo y simplemente se ve como está el sistema capitalista. Quienes no quiere ver será su responsabilidad. Hace muchísimos años o nos dicen décadas, otros dicen siglos. Entonces para qué queremos entonces darnos clase de eso, simplemente es ver qué es lo que tenemos que hacer, el bien, pensar el bien.
Eso nos toca compañeros, compañeras.

Eso que estamos diciendo que vamos a hacer común, a lo mejor hay hermanos y hermanas, piensan otra cosa. No, hay cosas que sí son común y hay cosas que no es común. Para eso tenemos cabeza, para pensar, y para eso tenemos ojos para darnos cuenta, y para eso tenemos olfato para poder sentir cuál es común y cuál es no-común. Lo que pasa es que con la obra que hicieron compañeros compañeras jóvenes, está clarísimo, quien no quiere entender va en su cuenta.

Son dos cosas lo que está aquí, la propiedad debe de ser del pueblo y común, y el pueblo se tiene que gobernarse en sí mismo. No necesitamos esos que están ahí. Ellos creen que saben todo, deciden por los maestros, deciden por los doctores, deciden por todos los sectores de trabajadores. Como quien dice que son sabelotodo, son sabelotodo porque ahí ganan dinero sin trabajar, sin sudar. ¡No! Por eso el pueblo es la que tiene que saber gobernarse.

Compañeros, compañeras zapatistas, eso es lo que demostramos hace 30 años. Ahí donde nos dimos cuenta. Con los compañeros, compañeras, el Comité nos da gusto eso de que ustedes entendieron como jóvenes y jóvenas, y hicieron su obra de teatro la más clara. Pero les decimos que tenemos que hacer en los hechos, no discurso. Ni poesía nada más, ni obras de teatro nada más, ni en pintura nada más y todo otras cosas. Documental o cómo se llame.

No estoy diciendo que no sirve, sí sirve para comunicarnos. Una cosa es comunicarnos, otra cosa es pasar siglos y siglos comunicándonos y no se hace, como quien alguien que predique y predique, muere y nunca hay nada.

Así que compañeros, compañeras zapatistas, aquí nos están escuchando nuestros hermanos de otras partes del mundo, y también nuestros hermanos de aquí de este pueblo de México. Y nos están escuchando a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena. Cómo es que nos decimos, y porque les estoy hablando ustedes compañeros, compañeras zapatistas. Así que entonces lo tenemos que hacerlo en la práctica, claro lo dijeron: No tenemos manual, no tenemos libro. No hay libro que lo vamos a encontrar en donde podemos encontrar esto. El libro es la que ustedes mostraron acá de nuestros bisabuelos y de nuestros tatarabuelos, ese es el libro, común.
Lo que pasa es que en ese tiempo no había otros sectores de trabajadores como lo que hoy actualmente hay muchos.

Así que compañeros, compañeras, como ustedes demostraron pues en su obra. Los invitamos pues así a los hermanos, si quieren venir, vamos a compartir nuestras ideas a ver cuál la más mejor para la vida. Nosotros lo que estamos diciendo acá es de que entonces quien trabaja come, quien no trabaja, pues que coma su billete y que coma su moneda, a ver si con eso se satisface su necesidad de hambre, es lo que estamos diciendo, no necesitamos matar. Es eso lo que estamos diciendo eso, pero para eso se necesita organización. ¡Hacer en los hechos!, jóvenes, mujeres, hombres y de todos los sectores. Y eso compañeros, compañeras, es lo que tenemos que demostrar pues eso. Ya no creemos esos que están gobernando por ai, porque está en el mundo el capitalismo. Organicémonos en cada geografía y cadi quien con su calendario. Porque nadie es, nosotros es lo que decimos y por lo que se ve, así está.

Porque nadie va a ir a luchar en donde viven cada uno, somos nosotros ahí, en donde están, donde viven, no hay nadie quien va a luchar ahí. ¿Alguien cree que se puede humanizar al capitalismo?

– No

– No

– No

– No

Lo mismo nosotros decimos, no se puede humanizar al capitalismo, no va a decir el capitalismo: “Me rindo de explotar”. Nadie desde el más pequeño no quiere dejar de engañar de robar y de explotar, ni se diga a los grandototes.

Así que no se necesita mucho estudio, lo que se necesita ya es pensar cómo cambiar esto y nadie nos va a decir, somos nosotros los pueblos, mujeres, hombres.

Nosotros vamos a seguir ese camino y nos vamos a defender. No necesitamos matar a los soldados y a los malos gobiernos. Pero si vienen nos vamos a defender. Y por eso nosotros los hemos hecho a un lado a ellos a lo largo de 30 años, nos bastó 30 años para darnos cuenta lo que presentaron nuestros compañeros y compañeras jóvenes, no sirve el pirámide. No sirve. Y si a alguien cree que sí, por eso decimos cadi quien en su geografía demuéstrenos y nosotros vamos a demostrar también.

Entonces compañeros, compañeras, bases de apoyo, estamos comprometido ahora.

Compañeros, compañeras bases de apoyo, estamos solos, como hace 30 años. Porque solos hasta ahorita hemos descubierto ese nuevo camino que vamos a seguir, ¡común!

Aquí nos hace falta todavía que nos demuestran si están de acuerdo a nuestros compañeros, compañeras del Congreso Nacional Indígena y al pueblo de México. Como aquí estamos y aquí vivimos, vamos a ir viendo y vamos a ir conociendo, quién.

Esa es nuestra tarea compañeros, compañeras zapatistas, bases de apoyo, es lo que vamos a estar haciendo a lo largo de estos años. Pueblo manda y el gobierno obedece y los medios de producción es en común y es el pueblo la que va a ver.

Muchas gracias es todo nuestra palabra.

Read Full Post »

Unità dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Ezln) durante le celebrazioni a Dolores Hidalgo – foto Ap/Eduardo Verdugo

MESSICO. Duro discorso del subcomandante insurgente Moisés al culmine delle celebrazioni nel Caracol VII. L’Ezln ora guarda dentro di sé. Con gli spettacoli teatrali e il ballo popolare a ritmo di cumbia va in scena la trasformazione.

Il Manifesto, 2 gennaio 2024Andrea Cegna, OCOSINGO, CHIAPAS

Uomini e donne di tutto il mondo hanno accompagnato ieri e l’altro ieri l’Ezln nelle giornate centrali delle celebrazioni per i 30 anni dell’inizio della rivolta zapatista. Per cogliere la varietà geografica dei partecipanti basta guardare il cartello che indica la vendita di ghiaccioli: è scritto il 24 lingue, dall’italiano al giapponese, passando per il curdo, l’arabo fino a diverse lingue indigene del Messico. Ma protagoniste e protagonisti sono stati zapatiste e zapatisti, sia nella loro componente civica che militare.

PER ENTRARE NEL CARACOL fondato nel 2018 si fa una discesa abbastanza ripida e in fondo, ai due lati della strada, dei miliziani indicano la strada e controllano che tutto si svolga in sicurezza. L’atto centrale, e politico, inizia domenica verso le 22.30 nel Caracol VII, quello di Dolores Hidalgo. Prima delle parole della Comandancia General sono i miliziani e le miliziane a prendere il centro della scena con una sorta di parata/esibizione a tempo di musica e sulle note del gruppo Panteón Rococò e de Los Ángeles Azules. Ancora prima ci sono stati spettacoli teatrali e concerti con cui le comunità indigene hanno raccontato la loro vita e affrontato i temi portanti dell’autonomia indigena. Proprio con gli spettacoli teatrali hanno messo in scena le trasformazioni dell’organizzazione e raccontato ai tanti non zapatisti le tensioni inter-comunitarie.

Finite le esibizioni, uomini e donne dell’Ezln si sono messi in posizione di “difesa” e la parola é passata al capo militare della struttura, il subcomandante insurgente Moisés. 40 minuti di discorso rivolto principalmente “all’interno” della struttura, tanto che viene pronunciato prima in tzeltal e quindi in castigliano.

Un discorso duro e netto, come quelli che consuetamente vengono fatti da Moisés. La poetica che era di Marcos/Galeano lascia spazio alla pragmaticitá e alla schiettezza. Ci si aspettava forse un discorso di più ampio respiro, invece l’Ezln, sorprendendo nuovamente e rompendo logiche di comunicazione occidentali-centriche, ha preferito guardare dentro di sé guardando al prossimo futuro e al Messico da una visione soggettiva, mettendo al centro il concetto di «comune». Una prospettiva che si scontra con le logiche del potere capitalista e della politica istituzionale.

NON SONO CERTO MANCATE frecciatine a Morena e più che altro a quella parte del mondo indigeno e dei movimenti sociali che si sono avvicinati al partito del presidente Andrés Manuel López Obrador. Moisés ha ripetuto, come qualche anno fa che zapatiste e zapatisti sono soli nella costruzione dell’autonomia e che la loro storia di libertà é fatta di sperimentazioni ed errori, di correzioni in corso e di intransigenza. Una chiamata alle armi, ma pacifica, che cerca, utilizzando l’idea del «comune» e rappresentazioni teatrali, di riaffaccare le conflittualità intra-comunitarie togliendo a crimine organizzato e governo gli interstizi in cui alimentare guerre e tensioni locali.

30 ANNI DOPO il 1 gennaio 1994 l’Ezln non solo esiste ancora ma si fa portatore di nuove idee e pratiche di trasformazione del contesto indigeno e messicano, alimentando il sogno di un paese dove tutte e tutti abbiano un posto degno di vita, così che guerra, patriarcato, povertà e razzismo vengano cancellati dalla storia.

Ci vorrà pazienza dicono, forse anche 120 anni, ma promettono di esserci ancora come organizzazione e così poter finalmente festeggiare il nuovo mondo. Poi è iniziato il ballo popolare, a ritmo di cumbia, fino alle prime ore di quell’alba che 30 anni fa fu di fuoco e sangue. https://ilmanifesto.it/la-festa-e-il-concetto-di-comune-a-30-anni-dalla-rivolta-zapatista

Read Full Post »

Messico, 30 anni fa nasceva l’EZLN. Così, nel bene e nel male, la lotta zapatista ha cambiato faccia al Paese

di Andrea Cegna | 1 GENNAIO 2024

Il 1 gennaio 1994 il “sogno” messicano di entrare nel “primo mondo” grazie al Trattato di Libero Commercio con Usa e Canada si scontrava con l’opposizione ideologica e materiale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. “All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio” scrisse il Subcomandante Marcos. Nelle prime ore di quel capodanno uomini e donne indigeni, di origine Maya con diverse lingue e abiti, occupavano sette municipi del Chiapas rifiutando l’idea di omologazione neoliberista, rivendicando la politica della differenza, ricordando le distanze culturali e organizzative del mondo indigeno rispetto a quello urbano, mettendo al centro la vita, il bene comune, e l’idea di collettività contro quella della singolarità, aprendo così una crepa,ancora aperta, nel muro del pensiero unico e facendo una proposta di Messico possibile per tutte e tutti ed un “mondo capace di contenere tanti mondi”.

Uomini e donne indigene, con il volto coperto dal passamontagna, cambiarono in maniera imprevista il Messico e la storia rivisitando l’idea di rivoluzione, utilizzando l’insurrezione armata non per prendere il potere se non per rivendicare diritti universali partendo dalla decostruzione interna della cosmogonia indigena imponendo discorsi e pratiche femministe e di convivenza pacifica nelle comunità originarie e ricordando che il mondo è un congiunto di varietà non omogenizzabili. Indigeni ed indigene sono, oggi, un soggetto riconosciuto e presente nel dibattito politico, tanto che candidati e candidate alle presidenziali cercano il loro supporto, ma il Messico ancora non si definisce, per costituzione, plurinazionale.

30 anni fa, a San Cristobal de Las Casas, i popoli originari soffrivano un razzismo violentissimo: era loro precluso camminare sui marciapiedi o entrare nei negozi, il turismo non esisteva ed il meticciato “coleto” viveva nel ricordo di essere l’antica capitale dello stato di confine con il Guatemala. Ora camminano a testa alta, aprono locali, c’è chi di loro vive il contesto urbano senza tradire le proprie tradizioni, chi si fa assorbire dalla società occidentale, chi resta in comunità, chi è vicino ad un partito, chi al sogno rivoluzionario. Nelle aperte e conclamate contraddizioni esistenti, forse la più grande conquista dell’EZLN è che le indigene e gli indigeni del Messico hanno acquisito libertà e diritti, per quanto ancora insufficienti, impensabili quando Salinas De Gortari firmava il Nafta con Usa e Canada.

Trent’anni dopo il mondo è molto diverso da quel giorno del 1994, e sono diversi San Cristobal, il Chiapas ed il Messico. Il turismo, per esempio, in questo stato di confine con il Guatemala, è da anni la prima industria locale e le trasformazioni urbane ed infrastrutturali sono scusa e causa dell’espulsione dalle città di povere e poveri, sgomberare comunità indigene, e cambiare in maniera irreversibile il territorio. L’accelerazione del processo di turistificazione è stata una delle risposte del governo messicano alla rivolta zapatista, nel tentativo di cooptare comunità originarie, arricchendo il territorio e frazionando così le necessità collettive. Ciò dice chiaramente che, a prescindere dall’idea che si possa avere dell’azione rivoluzionaria dell’EZLN, il Messico sarebbe un paese diverso, oggi, e con il paese anche i movimenti sociali del continente ed europei che hanno trovato nel neo-zapatismo un referente innovativo e eterodosso.

Una storia imperfetta, fatta di errori ed inciampi, rotture ed innamoramenti, conflitti interni alle comunità e alla struttura, una storia che ha appassionato intellettuali di mezzo mondo e artisti, e vive in uno scontro aperto con Andres Manuel Lopez Obrador, attuale presidente del Messico, per il quale la sconfitta elettorale nel 2006 è figlia non solo del possibile broglio del PRI ma anche del posizionamento dell’EZLN che si disse distante e non interessato al risultato delle presidenziali. Per “AMLO”, il mancato endorsment dell’EZLN e la critica del sistema istituzionale messicano tutto segnò la sconfitta. Uno scontro che prosegue anche oggi, apertamente, in maniera bi-direzionale. La rivendicazione della propria imperfezione è metodo politico e pratico per gli zapatisti. Dopo aver creato i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (MAREZ) e quindi le Giunte di Buon Governo (JBG), inventandosi un governo alternativo a quello federale anche grazie “all’edificazione” di scuole e cliniche e così aver pensato un sistema di salute, educazione e giustizia autonomo non hanno esitato a mettere tutto in discussione. Hanno ammesso i proprio errori, con una serie di comunicati pubblici che hanno accompagnato il countdown per le celebrazioni dei primi 30 anni di lotta.

“In sintesi, ti dico che MAREZ e JBG ci hanno aiutato a imparare che la teoria senza pratica è pura chiacchiera” scrive Marcos il 14 novembre di quest’anno, non più subcomandante ma Capitano come all’inizio della sua “carriera” nell’EZLN. “La pratica senza teoria è camminare come un cieco. E poiché non esiste una teoria su ciò che abbiamo iniziato a fare, cioè non esiste un manuale o un libro, allora abbiamo dovuto creare anche la nostra teoria. A tentoni abbiamo fatto teoria e pratica. Penso che sia per questo che non piacciamo molto ai teorici e alle avanguardie rivoluzionarie, perché non solo gli togliamo il lavoro, ma mostriamo loro anche che le chiacchiere sono una cosa e la realtà è un’altra. Ed eccoci qui, gli ignoranti e arretrati, come ci chiamano, che non riescono a trovare la strada perché siamo solo campesinos. Ma eccoci qui e anche se ci negano, esistiamo. È così”.

L’EZLN ha resistito a 5 presidenti, alla militarizzazione del territorio (oggi in Chiapas ci sono 72 accampamenti o basi militari che circondano l’area di influenza zapatista), alla para militarizzazione (tristemente famoso il massacro di Acteal nel 1997), e alla guerra a bassa intensità. Oggi si trovano a confrontarsi resistendo anche al crimine organizzato e la violenza congiunta di criminali e grandi interessi economici, forse anche per questo hanno deciso di cambiare, al netto dei proprio sbagli, le forme organizzative. Quasi sicuramente anche per questo, pur non sparando più un colpo di fucile dal 12 gennaio del 1994, persistono ad essere un esercito sognando di poter smettere di esserlo, ma come scrisse sempre Marcos, “se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni”.

IlFattoQuotidiano https://www.ilfattoquotidiano.it/2024/01/01/messico-30-anni-fa-nasceva-lezln-cosi-nel-bene-e-nel-male-la-lotta-zapatista-ha-cambiato-faccia-al-paese/7397199/

Read Full Post »

Video e foto del 30° Anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio
31 dic 2023
Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.facebook.com/LosTejemedios/videos/219341304589556

Video Discorso del Subcomandante Insurgente Moisés: https://www.centrodemedioslibres.org/2024/01/01/discurso-del-subcomandante-moises-en-el-30-aniversario-del-levantamiento-del-ezln/?s=09

https://radiozapatista.org/?p=47166
https://fb.watch/pitNHu63t1/

*Facebook
https://www.facebook.com/LosTejemedios https://www.facebook.com/LosTejemedios/videos/219341304589556
https://www.facebook.com/CdhFrayba https://fb.watch/pitNHu63t1/ https://fb.watch/pitQ3z3s7D/
https://www.facebook.com/RedAjmaq

*Peertube:
https://wacha.punks.cc/w/4PLeguXj31q8FjV5PGc1ws

*https://www.facebook.com/OtomiyRebeldia
*Icecast
https://stream.espora.org/30aniversarioezln

*Youtube
https://www.youtube.com/live/aSmBORB7i10?feature=shared

Read Full Post »