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Archive for febbraio 2009

Le cliniche autonome.

La Jornada – Sabato 28 febbraio 2009

Possono contare su cliniche autonome in cui si eseguono interventi chirurgici ed analisi di base

LE COMUNITA’ ZAPATISTE HANNO RAGGIUNTO L’AUTOSUFFICIENZA NEI SERVIZI ALLA SALUTE

Nei nostri villaggi la situazione è cambiata, e non grazie al governo, segnalano i promotori

Hermann Bellinghausen, Inviato

Municipio autonomo 17 de Noviembre, Chis. 27 febbraio. “La situazione sanitaria nei nostri villaggi è cambiata, e non per quello che fa il governo, ma grazie a noi stessi. Sono ormai scarse le diarree che prima uccidevano tanti bambini e quando si presentano, le isoliamo e curiamo. I nostri bambini non muoiono più per questo”. Ciò nonostante, “è difficile mettere in pratica la salute”, ammette José, responsabile della commissione di salute del caracol. “Qualsiasi corso o formazione deve venire dalle necessità di ogni comunità. E col lavoro dei promotori conosciamo come si ammala la nostra gente”.

Con una punta di ironia dice che “dove il governo vede una clinica autonoma, ne apre una dell’IMSS per fare concorrenza”. Al principio “guadagna terreno perché promettono molto e distribuiscono programmi, ma subito dopo si vede che non offrono assistenza, mancano le medicine, non hanno personale o non lo usano”.

Inoltre, “il governo cerca di corrompere i promotori con i soldi, e se non accettano getta discredito sui compagni e crea problemi con la gente che non è in cura e non fa parte della resistenza. Ma noi lavoriamo secondo coscienza, non per denaro”.

In qualsiasi momento si possono presentare casi che necessitano di ospedalizzazione o trattamento da parte di specialisti. “Nelle cliniche autonome ci sono ambulanze, o almeno un’auto, per portarli all’ospedale San Carlos (Altamirano) o al civile di San Cristóbal de las Casas, ma contiamo anche su alcune sale chirurgiche negli ospedali autonomi di Oventik e San José del Río”.

I promotori seguono le gravidanze, “e quasi tutte le compagne partoriscono il bambino in comunità, e se si può, in casa propria, e le assiste un promotore o promotrice, ma se il parto è difficile le portano nella clinica che ha il reparto di ginecologia”. L’assistenza alla donna comprende la ricerca di cancro cervicouterino e la prevenzione e cura delle infezioni. Le brigate sono costanti.

Nella zona del caracol di Morelia sono circa 200 i promotori di salute che coprono diversi settori come donna, dentistico o medicina generale”. Il coordinamento delle regioni che formano la cosiddetta regione Tzotz Choj risale al 1999. “Prima, ognuna si organizzava per conto proprio, così dall’insurrezione del 1994”, racconta José. Ed in alcuni casi, ancora prima.

La clinica del municipio 17 de Noviembre, El Salvador Corazón de Jesús, è sorta nella comunità di Morelia anni prima dell’insurrezione e non ha mai smesso di funzionare. Dotata di ambulatorio, farmacia, laboratorio base di analisi, sala di ginecologia e clinica dentistica, è composte da cinque padiglioni ed è presidiata da quattro promotori che ruotano ogni quattro giorni.

Tutte le cliniche, circa 12 in questo caracol, hanno la farmacia con medicine di base. Le case di salute e la scorta dei medicinali delle comunità sono fornite dalle cliniche autonome. Un’altra costante è la preparazione e l’impiego clinico in erboristeria: sciroppi, unguenti, tinture, disinfettanti ed altri prodotti naturali che fanno parte della farmacia.

Gli zapatisti acquistano i farmaci che non producono loro stessi. Per questi, i malati devono pagare un prezzo molto basso ed uguale per tutti. Che la modesta economia autonoma si eserciti fuori del sistema statale capitalista, non impedisce che sia un’economia in forma.

Periodicamente si susseguono voci e pressioni ufficiali per “introdurre” brigate nei villaggi zapatisti sulla base di supposizioni che lì non si vaccinano i minorenni. Sotto questo aspetto, come in altri, la popolazione zapatista ufficialmente “non esiste”. Non importa quanto efficiente è il sistema zapatista di cartelle e registri, se le istituzioni non “li rilevano”, ritengono che non ci siano.

Questo accade anche a livello di censimento. Centinaia di villaggi e comunità zapatiste create dal 1994, e che in alcuni casi costituiscono interi municipi autonomi, neanche “esistono”. Né per i conteggi ufficiali, né per l’accademia che gode a minimizzare lo zapatismo con ignorante volontarismo ideologico. Per loro nessuno esiste fuori dei registri, indici e “programmi” governativi.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

La Jornada – Sabato 28 febbraio 2009

Los de Abajo

La festa delle donne che lottano

Gloria Muñoz Ramírez

Come ogni anno da ormai un quarto di secolo, le donne insurgentes e dei villaggi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si preparano a celebrare il Giorno Internazionale delle Donne che Lottano. I festeggiamenti si realizzeranno i giorni 7 e 8 marzo nel caracol di Oventik, la stessa regione nella quale questa settimana le autorità autonome zapatiste hanno denunciato pattugliamenti aerei e terrestri dell’Esercito federale, col pretesto di cercare coltivazioni di marijuana.

Non è un caso che in vista di un’imminente celebrazione zapatista il governo federale risponda con l’invio di aeroplani, elicotteri e camion pieni di soldati, malgrado nemmeno nei peggiori momenti delle ostilità militari siano riusciti a frenare una festa pacifica dell’EZLN. Anche così, non si può ignorare che sono incrementati i sorvoli negli Altos del Chiapas nelle settimane recenti e sono state rafforzate le mobilitazioni militari terrestri. Il pretesto è vecchio ed illegittimo, perché a questo punto “tutto il mondo sa che nei municipi autonomi ed in tutto il territorio zapatista è proibita la semina, il traffico ed il consumo di droghe e di altre attività illecite”.

L’8 marzo è una data emblematica nelle terre zapatiste. Fu precisamente un Giorno Internazionale della Donna, di 15 anni fa, quando le insurgentas dell’EZLN si presenterano per la prima volta in una cerimonia di fronte ad un piccolo gruppo di giornalisti, in una notte stellata nella comunità tzeltal di Prado Payacal. Una festa intima durante la quale le insurgentas Irma ed Elena, tra molte altre, rivendicarono il ruolo della donna indigena nella lotta per la liberazione del loro popolo. Indossando i loro abiti multicolori, decine di donne, con i bambini in braccio, ascoltavano ed assentivano in silenzio.

Tre lustri dopo quell’umile celebrazione notturna, le bambine che pendevano dagli scialli delle madri vivono un’altra realtà. In così poco tempo sono state protagonise del risultato forse più importante e più difficile delle zapatiste: la rivendicazione dei loro diritti, sforzo che hanno visto concretizzato nella partecipazione di donne tzeltales, tzotziles, tojolabales, choles, mames e meticce nei diversi incarichi dell’autonomia, nei comandi del Comitato Clandestino e nelle file dell’esercito zapatista.

È per questo che, se le zapatiste non decideranno diversamente, questi 7 e 8 marzo ci sarà molto da festeggiare e riflettere. All’evento politico, culturale ed artistico “mamá Corral” parteciperanno donne dell’AltraCampagna e della Zezta Internazional.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Andrés: 13 anni dopo

La Jornada – 27 febbraio 2009

Jaime Martínez Veloz

San Andrés Larráinzar: 13 anni dopo

Il 15 febbraio 1996, secondo giorno dell’assemblea plenaria, le delegazioni del governo federale e l’EZLN concordarono di firmare i primi accordi in materia di diritti e cultura indigeni. La delegazione zapatista consegnò al governo una proposta sulla formazione della commissione di seguimento. Il giorno dopo si chiuse la seconda parte della plenaria risolutiva del tavolo di diritti e cultura indigeni. La delegazione dell’EZLN firmò gli accordi di San Andrés in presenza della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) e della Commissione Nazionale di Intermediazione (Conai). La cerimonia si svolse in uno dei saloni della sede del dialogo in San Andrés Larráinzar. Come presidente di turno della Cocopa firmai il documento, in rappresentanza della commissione legislativa, in qualità di testimone. Successivamente, con un atto protocollare, li firmò la delegazione del governo federale. Da parte del governo firmarono: Marco Antonio Bernal, Jorge del Valle ed Uriel Jarquín, mentre per l’EZLN lo l’avevano fatto i comandanti Tacho, David e Zebedeo.

Gli accordi ai quali arrivarono, dopo le consultazioni che ogni parte realizzò, erano che il governo federale e l’EZLN accettavano i documenti emanati dalla prima parte della plenaria risolutiva, accogliendo nel documento le osservazioni che gli zapatisti avevano fatto. L’EZLN insistette nel segnalare: “… la mancanza di soluzione del grave problema agrario nazionale, e la necessità di riformare l’articolo 27 costituzionale che deve riprendere lo spirito di Emiliano Zapata, riassunto in due domande basilari: la terra è di chi la lavora e Terra e Libertà”.

Relativamente al tema Situazione, Diritti e Cultura Indigeni, la delegazione zapatista giudicò insufficienti i punti di accordo. Dichiarò che i popoli indigeni e le autorità dovevano programmare e calendarizzare di mutuo accordo la loro messa in pratica. Circa le Garanzie di accesso pieno alla giustizia, la delegazione zapatista considerò la necessità della nomina di interpreti in tutti i processi in cui erano coinvolti gli indigeni. Nello stesso tempo ritenne indispensabile che si legiferasse per salvaguardare i diritti dei migranti, indigeni e non indigeni, dentro e fuori i confini nazionali.

Al fine di rafforzare i municipi segnalò che dovevano esserci impegni espliciti del governo per garantire il loro accesso alle infrastrutture, alla formazione e risorse economiche adeguate.

Attraverso i mezzi di comunicazione dichiarò necessario che si garantisse l’accesso all’informazione vera, opportuna e sufficiente sulle attività del governo e che i popoli indigeni potessero contare su propri mezzi di comunicazione. Le parti si assunsero l’impegno di inviare la risoluzione alle istanze di discussione e decisionali nazionali, così come a quelle dello stato del Chiapas.

Il documento Pronunciamento congiunto che il governo federale e l’EZLN inviarono alle istanze di dibattito e decisione nazionali, segnò quello che avrebbe dovuto essere una nuova relazione tra il governo ed i popoli indigeni, confermando che questi ultimi erano “… stati oggetto di forme di subordinazione, disuguaglianza e discriminazione che hanno determinato una situazione strutturale di povertà, sfruttamento ed esclusione politica”.

Il governo federale si impegnò a riconoscere i popoli indigeni nella Costituzione Generale della Repubblica, ampliare la loro partecipazione e rappresentanza politica, garantire il pieno accesso alla giustizia col riconoscimento e rispetto delle specificità culturali e sistemi normativi interni, garantendo il pieno rispetto dei diritti umani, promuovere le manifestazioni culturali dei popoli indigeni, assicurare educazione e formazione, garantire il soddisfacimento di necessità basilari, promuovere la produzione ed il lavoro e proteggere gli indigeni migranti.

Sull’impegno assunto dal governo federale di riconoscere nella Costituzione le rivendicazioni indigene, si specificò che queste dovevano contenere: diritti politici, diritti di giurisdizione, diritti sociali, diritti economici e diritti culturali. Ugualmente, il riconoscimento “… nella legislazione nazionale delle comunità come entità di diritto pubblico, il diritto di associarsi liberamente in municipi con popolazione a maggioranza indigena, così come il diritto di diversi municipi di associarsi al fine di coordinare le loro azioni come popoli indigeni”.

La Cocopa dichiarò che per quanto difficile avrebbe potuto essere, “anche tra le più grandi differenze, sempre resterà il ricorso alla parola che rende possibile la comprensione e la riconciliazione”.

L’EZLN affermò: “… alla fine dell’attuale fase del dialogo, riteniamo che solo la più ampia mobilitazione sociale potrà dare corpo a queste domande fondamentali. Questo si otterrà solamente promuovendo l’organizzazione indipendente che nasce come uno dei compiti del Forum Nazionale Indigeno. Che deve estendersi in tutte le regioni del paese”.

Da parte sua, Marco Antonio Bernal disse che per il governo questo era “un passo deciso che ci dà la sicurezza che questo conflitto ha una soluzione politica definitiva”.

In retrospettiva è possibile affermare che la tappa che culmina con la firma degli accordi di San Andrés fu la più fruttiuosa del dialogo, nonostante i disaccordi, le provocazioni e la lentezza con le quali si avanzò.

In contrasto con quello che succedeva nel contesto del processo di dialogo tra il governo federale e l’EZLN, nell’ambito nazionale la crisi si notava già in tutta la sua grandezza. Non si era ancora toccato il fondo, ma già si diceva che era la crisi più grave degli uiltimi tempi.

In effetti, fino ad ottobre del 1995 si era registrata un’inflazione superioire al 40% ed il tasso di disoccupazione era il più alto dal 1987. In quei mesi si persero 780 mila posti di lavoro. Gli esperti segnalavano che, per la prima volta, l’economia informale occupava più messicani di quella formale.

La caduta del PIL nel secondo semestre del 1995 era del 10%, la più grave degli ultimi 50 anni. Davanti a questo panorama, tra gennaio e giugno di quell’anno erano usciti dal paese più di 10 mila milioni di dollari.

Le banche naufragavano e già si presentava il caso del Fobaproa. Questo fondo dava con facilità alle banche contributi miliardari e senza che si vedesse alcun chiaro miglioramento della loro situazione. I partiti di opposizione criticavano il funzionamento del fondo ed il modo in cui erano state privatizzate le banche.

In questo contesto, a San Andrés Larráinzar si incontrano due linguaggi o, meglio ancora, vari linguaggi. Quello dell’EZLN è incisivo e diffidente. Nonostante ciò, dialoga e negozia.

Il linguaggio del governo federale è incerto, schivo e cerca sempre di coprirsi di una veste istituzionale che nei fatti non ha. La delegazione negozia senza sapere dove sta andando la barca e tenta di riprendere lin mano ‘iniziativa che nei fatti hanno sempre avuto gli zapatisti. Nonostante tutto, anch’essi negoziano.

Ci sono anche gli altri linguaggi. I legislatori della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) ad ogni passo cercano di mettere da parte le loro differenze di partito ed i loro interessi ed affinità personali, per arrivare prima a raggiungere consensi interni, e poi servire da ponte tra le parti. Costa molto lavoro, ma ci riescono.

Così, il linguaggio della Cocopa e della Conai si costruisce passo, passo per costituirsi nel tentativo delle due istanze di tradurre nel linguaggio della pace le sfide di ognuna delle due parti.

L’EZLN insisteva sul fatto che San Andrés includesse tutti i problemi nazionali. In principio, la delegazione governativa aveva opposto resistenza. Si deve solo concordare la pace, poi si potrà includere quello che si vuole. Come si può raggiungere la pace senza considerare le cause che hanno portato all’esplosione del conflitto?

Le cause profonde del conflitto armato in Chiapas sono le stesse di molte dimostrazioni di dissenso pacifico che esistono in tutto il paese: ingiusta distribuzione della ricchezza; misere condizioni di vita ed un sistema politico escludente ed autoritario. Nel caso delle comunità indigene, i poveri tra i poveri, si aggravano perché si aggiunge l’oppressione razzista verso le loro forme culturali e perfino verso la loro stessa esistenza etnica.

Per i membri della Cocopa di quei tempi, la soluzione del conflitto passava e passa dalla spinta alla riforma democratica dello Stato che è, alla fine, lo scenario nel quale gli accordi che si stabiliscono tra le parti si possono trasferire sul terreno dei fatti.

Sotanzialmente, l’EZLN chiede lo stesso di molti altri milioni di messicani: democrazia, pace con dignità, giustizia ed uno sviluppo economico e sociale includente. Le agende del conflitto e della riforma democratica dello Stato sono gemellate. Per questo la proposta della Cocopa di includere l’EZLN nel dialogo nazionale non solo era auspicabile, ma anche indispensabile. La storia del Messico contemporaneo ha dimostrato che l’EZLN è un attore politico irrinunciabile. Le dirigenze dei partiti ed il governo di Zedillo fecero di tutto per far fallire questo sforzo sincero.

Il grido di “mai più un Messico senza di noi” si spiega con le comunità indigene sottomesse ad un’oppressione centenaria, durante la quale hanno perso terre e diritti, anche se non si è riusciti ad annichilirle né a spogliarle della loro ricchezza cultura, che è parte delle radici della nostra patria.

Per questo gli accordi di San Andrés Larráinzar siglati tra il governo federale e l’EZLN 13 anni fa sono l’espressione di una delle costruzioni politiche più importanti degli ultimi venti anni e sono un riferimento fondamentale nella costruzione del Messico democratico al quale aspiriamo. Non c’è né può esserci progresso democratico in Messico senza il loro compimento.

Le forze politiche messicane hanno il dovere di mettere in campo tutti gli strumenti politici e le attibuzioni repubblicane competenti per concretizzare l’aspirazione e gli aneliti dei popoli indios del Messico concordati 13 anni fa tra il governo federale e l’EZLN a San Andrés Larráinzar.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 26 febbraio 2009

Nelle scuole si promuove la prevenzione quale migliore strategia contro le malattie

LO ZAPATISMO AVANZA SUL FRONTE DELLA SALUTE

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ejido Morelia, Chis., 25 febbraio. Il fondamento base della salute pubblica, almeno in teoria e nei discorsi, è la prevenzione. Il sistema di salute autonomo zapatista ha sviluppato da più di un decennio un’esperienza (molto più di un esperimento) che conferma questo principio base. I popoli in resistenza lo fanno senza il “malgoverno”, e non poche volte lo fanno meglio. La medicina dei poveri non è necessariamente una medicina povera.

“Nessun bambino base di appoggio zapatista resta senza vaccinazione”, dice José, coordinatore di salute del caracol di Morelia, con tale sicurezza e tranquillità che gli si chiede se ne è sicuro, se non ne è scappato qualcuno. “Ogni due mesi le brigate si recano in tutti i municipi e le regioni, e se un bambino è rimasto senza vaccinazione perché aveva la febbre o non c’era la volta precedente, viene vaccinato. Tutti hanno una tessera che registra le vaccinazioni fino ai quattro anni”.

Spiega che per ottenere le schede e la documentazione completa non chiedono nulla al governo, ma lo ricevono da medici che li appoggiano in città come Altamirano, Palenque o Comitán, e dalla solidarietà internazionale “che si è organizzata molto bene per farlo”. Questa prevenzione “prosegue a scuola e tiene i bambini in salvo dal tetano e dalle altre infezioni”. E’ rivolta anche alle madri ed alle donne incinta.

Descrive come si coordina la salute nel caracol, “rispettando la cultura dei popoli”. In questa zona, recentemente ristrutturata in tre grandi municipi ed una decina di regioni autonome, esiste una clinica in ognuna di queste sedi. La maggioranza sono modeste, ma funzionano permanentemente, gestite da almeno quattro promotori che lavorano dalle 8 del mattino alle 22 di sera, e siccome dormono lì, stanno di guardia.

“Assistiamo chiunque lo chieda, anche se non sono zapatisti. A volte vengono malati che prima sono andati nella clinica del governo e non hanno ricevuto assistenza, o chiudeva  alle due del pomeriggio o non avevano le medicine”. Conferisce autorità alle sue parole la presenza di tutta la giunta di buon governo (JBG) e di altri membri della commissione di salute. Quasi una ventina. E con una grande partecipazione di donne di diverse età.

“Ogni comunità autonoma ha una cassetta di medicinali in custodia presso i promotori di salute, c’è n’è sempre una, ma quasi sempre più d’una”. Questi si sono formati nel corso degli anni, con costanti laboratori di apprendistato e valutazioni. Inoltre, per il concetto di salute comunitaria in autonomia, è centrale l’educazione. Non solo quella che si impartisce a scuola. Bisogna segnalare che nel caracol di Morelia ogni villaggio ha una scuola che funziona.

“I promotori tengono dei corsi nelle comunità. Insegnano a costruire le latrine, a tenere pulite le case, a separare la spazzatura, a lavarsi le mani, a bere solo acqua precedentemente bollita. E si fanno corsi di nutrizione”.

In questa zona, in qui convivono tzeltales, tzotziles e tojolabales, la denutrizione è un problema meno acuto che in altre parti del Chiapas indigeno. “Si pesano i bambini e li registriamo, e se vediamo che qualcuno ha un problema, insegniamo alla mamma come nutrire meglio il bambino”.

In queste comunità andare in clinica è un po’ come andare a scuola: “I promotori spiegano sempre ai malati ed ai loro parenti qual’è il loro problema e danno indicazioni”.

Alla domanda se esistono epidemie, risponde tranquillamente no. “Abbiamo saputo che in alcune parti di Chilón c’è la tubercolosi, ma da noi abbiamo pochissimi casi e tutti sono in cura nel municipio Comandante Ramona”. Ammette che c’è ancora presenza di varicella, “ma non molto”. Ricorda nei mesi scorsi un focolaio di pertosse a Cancuc (negli Altos, che non risponde a questo caracol): “Nessuno dei bambini malati era zapatista”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Contro il caro-bollette.

La Jornada – Domenica 15 febbraio 2009

La CFE provoca conflitti tra gli abitanti indigeni del Chiapas, denuncia un gruppo civile

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 14 febbraio. Rappresentanti di comunità di 50 municipi che formano la Rete Statale di Resistenza Civile La Voce del Nostro Cuore, aderente all’Altra Campagna, accusano la Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) di sostenere “una strategia di provocazione di conflitti nelle comunità indigene e contadine del Chiapas, cercando di corrompere diverse autorità ejidali, comunali e municipali affinché incitino una parte della popolazione a scontrarsi con le famiglie che partecipano alla giusta e legittima lotta di resistenza contro le alte tariffe”.

La rete denuncia atti di persecuzione, minacce di morte e perfino omicidi, spiti o sostenuti dall’ente parastatale, “in complicità con le autorità municipali.”

Un morto e diversi feriti a Sitalá

Durante l’assemblea, iniziata venerdì e conclusasi oggi, La Voce del Nostro Cuore ha riferito dei fatti successi nelle scorse settimane nella comunità La Gloria, municipio di Venustiano Carranza, “perseguitata dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) con mandati di comparizione” contro tre partecipanti alla resistenza, così come lo scontro tra indigeni nella comunità Don Pedro, municipio di Sitalá, provocato dai lavoratori della CFE lo scorso 6 febbraio.

In questo ultimo caso, un gruppo di abitanti filogovernativi, aizzati dai lavoratori della CFE, volevano “tagliare la luce alle famiglie in resistenza, lasciando sul posto un contadino morto e diversi feriti”, ha ricordato la rete statale.

Rivolgendosi alla società civile, al presidente Felipe Calderón, al governatore Juan Sabines Guerriro ed al direttore della CFE, Alfredo Elías Ayub, i rappresentanti del movimento civile di resistenza alle alte tariffe elettriche condannano queste azioni e ritengono responsabili “in maniera diretta i governi federale, statale e municipale, così come la CFE, di quello che potrebbe accadere dentro e fuori le nostre comunità indigene e contadine”.

Bisogna dire che questa resistenza si è molto diffusa in Chiapas negli ultimi dieci anni. Sulla costa, la frontiera, lo zona nord, gli Altos e la Selva Lacandona si manifesta opposizione al pagamento delle bollette eccessive dell’energia elettrica in comunità povere, mentre vengono esentate o “favorite” le grandi imprese. È uno degli specchi più nitidi della disuguaglianza, e sebbene si manifesti con speciale forza in un importante numero di comunità zapatiste, è una lotta comune per centinaia di comunità e colonie urbane di diverse filiazioni politiche.

Così, il Coordinamento Statale del Chiapas del Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo (FNLS), dopo l’aggressione a Sitalá, questo venerdì ha sottolineato “l’enorme responsabilità della CFE e del governo dello stato nel deplorevole evento”, poiché “invece di rispondere ai giusti e legittimi richiami di centinaia di comunità per le elevate tariffe dell’energia elettrica, hanno scelto di criminalizzare la nostra lotta e sono ricorsi ad inganni, come i suoi programmi Luce Amica, Tariffa Vita Migliore ed ora Luce Solidale, cercando con diversi mezzi di far scontrare e dividere le comunità e generare scontri tra chi paga il servizio e chi è in resistenza. Quanto accaduto a Sitalá è un fatto serio degno di attenzione ed una conseguenza di questa criminale politica”.

Intanto, l’assemblea della Voce del Nostro Cuore solidarizza con gli abitanti di Candelaria, Campeche, un altro luogo “dove la CFE cerca di usare le leggi per reprimere i popoli che difendono i loro diritti”; anche con i membri del Centro di Ricerche Economiche e Politiche di Azione Comunitaria (Ciepac) “che hanno subito minacce e vessazioni da parte dello Stato”.

Persecuzione

Giovedì scorso Ciepac ha reso noto che Norma Iris Cacho Niño, coordinatrice operativa dell’organizzazione non governativa, con sede a San Cristóbal de las Casas, ha subito spionaggio e minacce telefoniche dopo la marcia-carovana delle donne che ha attraversato il paese da Ciudad Juárez, Chihuahua, fino in Chiapas, realizzata tra il 25 novembre ed il 2 dicembre. Cacho ha partecipato attivamente a questa protesta.

L’assedio “si inserisce in un contesto di aggressioni, minacce e persecuzioni avvenute tra l’ottobre 2008 e gennaio 2009 a San Cristóbal de las Casas, fatti che ricordano il clima repressivo che si viveva in Chiapas dal 1995 al 1997”.

Il Ciepac lo considera “parte di una diffusa strategia di repressione contro le comunità, le organizzazioni e le persone, in particolare le donne”, dentro una “crescente tendenza repressiva, fomentata dai gruppi di potere e da diverse istituzioni di governo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Persecuzione contro zapatisti.

La Jornada – Martedì 10 febbraio 2009

Luis Hernández Navarro

LA PERSECUZIONE CONTRO LE COMUNITA’ ZAPATISTE

In Chiapas, la persecuzione contro le comunità zapatiste segue una direzione precisa. Come se si trattasse di una staffetta, gruppi contadini legati al governo dello stato si alternano in diverse regioni per cercare di sfinire la resistenza indigena. In lungo e in largo per i territori ribelli, un esercito di sigle che parlano a nome dei contadini provocano regolarmente e sistematicamente le basi di appoggio che rifiutano di avere rapporti col governo.

La provocazione non ha tregua. Si tratta di non concedere respiro a chi ha osato costruire l’autonomia senza chiedere il permesso. Un giorno occupano le loro terre, un altro rubano il loro caffè o il loro bestiame, un altro ancora rompono i recinti, il giorno dopo distruggono i piccoli orti. Stanno in agguato in attesa del momento opportuno per tendere imboscate ai ribelli, brandire il machete o sparare con la fionda.

Una coltre di impunità protegge gli aggressori. La legge non è per loro. Far scontrare contadini contro contadini ed indigeni contro indigeni è stata una pratica comune del potere. Loro sono lo strumento. Per i loro servizi succhiano le risorse pubbliche destinate alla lotta alla povertà o allo sviluppo agropecuario e, se hanno più fortuna, occupando qualche incarico pubblico.

Durante gli anni successivi all’insurrezione armata, la maggioranza delle organizzazioni mercenarie appartenevano alle file del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI). Nomadi della politica, dall’anno 2000 hanno cambiato domicilio alla sede del Partito della Rivoluzione Democratica (PRD). Il sole azteco in Chiapas non è solo il veicolo per compiere frodi contro i suoi e favorire dirigenti come Jesús Ortega, ma anche, è covo di paramilitari.

Uno degli ultimi episodi della guerra che non si dice contro gli zapatisti, è a carico dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffé di Ocosingo (Orcao). Mentre l’EZLN celebrava nella città di San Cristóbal il Festival della Degna Rabbia, elementi di questa organizzazione hanno tentato di sottrarre ad un gruppo di indigeni zapatisti una proprietà di 500 ettari che si trova a Bosque Bello, nel municipio autonomo Che Guevara.

La loro scommessa era alta. Se quello che si voleva fare era delegittimare gli zapatisti, la rappresentazione teatrale non avrebbe potuto essere in un momento migliore. In una riunione internazionale ad alto livello, di fronte a centinaia di invitati di diversi paesi, con i riflettori dei media puntati addosso, l’organizzazione dei coltivatori di caffè si è presentata come la vittima, “presentando” i ribelli come una forza “contesa” da un gruppo di indigeni. La provocazione non è stata casuale, né un fatto “sfuggito dal controllo”. E’ stato qualcosa di programmato.

L’Orcao non è sempre stata così. Per anni è stata in stretto contatto con lo zapatismo. Tuttavia, tra il 1997 e 1999 questo vincolo si ruppe e la sua dirigenza cominciò ad essere critica con la base sociale ribelle, accettando appoggi governativi e incarichi di rappresentanza popolare dei suoi dirigenti. Con l’arrivo al governo dello stato di Pablo Salazar, la rottura si trasformò in conflitto crescente. Nel 2002 le aggressioni dell’organizzazione dei coltivatori di caffè contro le basi zapatiste crebbero drammaticamente.

La Orcao si formò nel 1988, con 12 comunità di Sibacjá, nel municipio di Ocosingo.In poco tempo si unirono altri villaggi, fino ad arrivare quasi a 90. Le sue domande originali consistevano sia nella ricerca di migliori prezzi per il caffè (nel 1989 crollarono drasticamente), sia nella soluzione dell’arretratezza agraria. Nel 1992, nel contesto della commemorazione dei 500 anni di resistenza indigena, nera e popolare, rivendicò l’autodeterminazione indigena, si oppose alla riforma dell’articolo 27 Costituzionale e chiese libertà, giustizia e democrazia.

Orcao fa parte dell’Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (Unorca) in Chiapas. Come è successo a quasi tutte le organizzazioni contadine dello stato, nazionali e locali, quelle che formano Unorca soffrono di un inarrestabile processo di decomposizione, dispersione e divisione interni. Orcao guida la Unorca nello stato. Juan Vazquez, uno dei suoi principali leader, è commissario per la riconciliazione nel governo di Juan Sabines. L’organizzazione ha stretti vincoli con questa amministrazione. La maggioranza dei suoi leader fanno parte del PRD.

A dicembre del 2007 l’EZLN ha avviato una distribuzione agraria dal basso, avallata dalla Legge Agraria Zapatista. Il provvedimento rispondeva, in parte, alla decisione governativa di riconoscere, a certi gruppi di contadini, dei diritti sulla terra occupata dai ribelli. Con ciò, l’amministrazione pubblica federale e statale seminarono il seme della discordia tra i poveri. Il 15 maggio 2008 gli zapatisti informarono la Orcao che avrebbero delimitato le terre recuperate nel 1994 per quantificarne gli ettari e distribuirli. La risposta dell’organizzazione dei coltivatori di caffè non si è fatta attendere: affittò e vendette le sue terre, invase proprietà di basi zapatiste, rubò e ferì animali dei suoi avversari ed aggredì violentemente le comunità ribelli.

I ribelli non sono l’unica associazione che ha gravi conflitti con la Orcao. L’Organizzazione Contadina Emiliano Zapata (OCEZ), che non ha niente a che vedere con l’EZLN, ha protestato pubblicamente davanti a Juan Sabines che “diversi funzionari del governo che lei guida hanno compiuto abusi, truffe, inadempimenti di accordi e costanti provocazioni commesse dall’attuale ex consigliere comunale di Ocosingo, José Pérez Gómez, e dal gruppo paramilitare inserito nella Orcao che egli stesso dirige, che pretende di commettere la vergognosa ingiustizia di spogliare dei loro legittimi diritti ejidali 10 indigeni tzeltales, che sono nostri compagni della OCEZ-FNLS”.

Quanto successo a Bosque Bello non è stato uno scontro, ma un’aggressione della Orcao contro gli zapatisti, una provocazione che non è degenerata solo grazie alla prudenza dei ribelli.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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