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Archive for gennaio 2017

Valtierra

Gli zapatisti denunciarono che l’8 febbraio 1995, in piena negoziazione col governo federale, Esteban Moctezuma Barragán, come rappresentante di Zedillo, inviò un messaggio al comando dell’EZLN fingendo un dialogo, quando in realtà si stava cercando di localizzare la dirigenza per catturarla, inferendo un colpo mortale all’organizzazione.

Los de Abajo

22 anni di occupazione

Gloria Muñoz Ramírez

“Questa volta ti è andata male, Esteban M. Guajardo. Guadalupe Tepeyac non era Chinameca. Più fortuna, più soldati e più cose da uomo per la prossima”, scrisse l’allora subcomandante Marcos all’allora segretario di Governo, Esteban Moctezuma Barragán. Era il 20 febbraio 1995, 11 giorni dopo il tradimento ai danni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da parte del governo guidato da Ernesto Zedillo Ponce de León.

Gli zapatisti denunciarono che l’8 febbraio 1995, in piena negoziazione col governo federale, Esteban Moctezuma Barragán, come rappresentante di Zedillo, inviò un messaggio al comando dell’EZLN fingendo un dialogo, quando in realtà si stava cercando di localizzare la dirigenza per catturarla, inferendo un colpo mortale all’organizzazione.

Non riuscirono ad arrestare né Marcos né nessuno della Comandancia che riuscirono a sfuggire agli elicotteri che il governo federale inviò nella comunità tojolabal di Guadalupe Tepeyac, luogo dell’appuntamento col messaggero di Moctezuma. Ma entrarono migliaia di soldati che, da quel momento e fino ad oggi, si sono stanziati in centinaia di comunità ribelli che questo febbraio compiono 22 anni di sopravvivenza all’occupazione militare.

L’incursione castrense del 1995 espulse migliaia di tzeltal, tzotil, tojolabal, mam e chol sulle montagne, dove sopravvissero cibandosi di erbe ed arbusti. L’esercito distrusse abitazioni, bruciò case, fece a pezzi le condutture dell’acqua, fece falò dei vestiti e dei libri delle famiglie zapatiste. Si documentò la detenzione e tortura di decine di indigeni e gli abusi che si commisero contro di loro per il fatto di appartenere ad un’organizzazione con la quale si stava dialogando per raggiungere un accordo di pace.

I conti non si coniugano al passato, 22 anni dopo sono città militari quelle che abitano la Selva Lacandona, e la minaccia non finisce.

Questa settimana Andrés Manuel López Obrador ha nominato Moctezuma Barragán, ricordato come traditore dalle comunità indigene, responsabile per lo sviluppo sociale all’interno del Progetto di Nazione 2018-2024 del partito Morena.

Moctezuma ci ha messo 18 anni per cercare di sganciarsi dall’offensiva militare del 1995. In un articolo giornalistico, l’ex priista e uomo di fiducia dell’industriale Ricardo Salinas Pliego, disse che, “inspiegabilmente, il presidente Zedillo prese una serie di decisioni che rompevano totalmente l’accordo con Marcos, fino al punto di inviare l’Esercito per catturarlo con mandato di cattura alla mano”. Marcos, disse nell’intervista, “mi inviò un nuovo messaggio: ‘Ci vediamo all’inferno’ “..

Oggi ritorna per mano de López Obrador.

osylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2017/01/28/opinion/011o1pol

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cni

Dal Messico, una proposta importante

Andrea Cegna

“23 anni fa iniziammo il nostro sollevamento, il nostro percorso era escludente, non potevano partecipare tutte e tutti. Ora, il Congresso Nazionale Indigeno ci chiama a una lotta nella quale possiamo partecipare tutti, tutte, senza discriminazione di età, colore, altezza, razza, religione, lingua, salario, istruzione, forza fisica, cultura, preferenza sessuale. Chi vive, lotta e muore nelle campagne e nelle città ha ora un cammino di lotta in cui si può unire con altre e altri. La lotta a cui ci chiama e ci invita il Congresso Nazionale Indigeno è una lotta per la vita, nella libertà, nella giustizia, nella democrazia, nella dignità. Chi si permetterà di dire che è una lotta non giusta?”.

Subcomandante Insurgentes Moises – Oventik 1 Gennaio 2017

 

Una donna di sangue e cultura indigena si candiderà alle elezioni politiche, come indipendente, in Messico nel 2018.

Sarà la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno, organizzazione politica che racchiude una quarantina di etnie indigene sulle oltre 60 che vivono nel paese.

La proposta nasce dalla mente delle donne e uomini di mais, del sud-est messicano, meglio conosciute e conosciuti come zapatisti e zapatiste. Ma occorre andare oltre alla proposta in sé, e alla sua punta di maggior visibilità, ovvero la candidatura di una donna indigena, per capirla davvero.

 

Attenti osservatori potrebbe rimanere spiazzati dalla notizia che l’EZLN, arrivato al 23esimo anno di sollevazione armata e dopo aver promosso dall’Agosto 2003 l’Autonomia rispetto al governo, possa aver proposto una direzione elettorale al CNI.

Osservatori ancora più attenti potranno ricercare nelle parole della formazione politica nata nel Novembre del 1984 come diretta emanazione delle Fuerzas de Liberación Nacional che non è mai stato scritto che si rifiutava l’opzione elettorale, semplicemente con forza e perseveranza è stato detto che i partiti politici messicani sono uno strumento del capitalismo e del neoliberismo e già da diversi anni il potere politico nazionale è fortemente subordinato (usando un eufemismo) ai poteri economici trans-nazionali. Lasciando libertà di scelta l’EZLN si è così sempre detto altro dai percorsi elettorali, pur giocando strumentalmente dentro e fuori le campagne elettorali. Così nel ’94 ha supportato Amado Avendaño Figueroa come candidato alla presidenza del Chiapas, oppure nel 2001 ha organizzato la marcia del colore della pelle alcuni mesi dopo l’entrata al potere del primo presidente della repubblica non del PRI, Vicente Fox, o come nel 2006 lanciò e organizzò l’altra campagna.

 

Ripartiamo proprio dal 2006: la otra campaña è stato il tentativo di organizzare la società messicana per creare un alternativa non tanto al potere partitico ma ai diversi poteri. Il tentativo di unire lotte, resistenze, pratiche e generare l’alba di una nuova società che avesse nell’autonomia zapatista un esempio. Scommessa in parte persa, anche se per il Messico l’esempio dell’autonomia ha creato percorsi interessanti: da esperienze di autogestione nelle grandi città, alla formazione dei gruppi di autodifesa, soprattutto in Michoacan. Ma la miccia non è esplosa. Negli ultimi anni è cresciuto, per qualità e quantità, il rapporto con il Congresso Nazionale Indigeno. L’idea di andare ad una candidatura indipendente può essere vista prima di tutto come il tentativo, attraverso la costruzione di un percorso su un obiettivo chiaro e materiale, di organizzare, legare, le comunità indigene in resistenza per andare a creare una rete capace di andare oltre al percorso elettorale. Siamo chiari ed onesti, in Messico esistono tante e plurime forme di resistenza locale. Per lo più legate al mondo indigeno. Ma a parte le grandi corporazioni legare al PRI, manca un soggetto politico nazionale. Organizzare la campagna elettorale, la raccolta delle 850mila firme (50 mila per 17 stati), definire il consiglio di governo indigeno che poi andrà ad eleggere la sua portavoce donna, hanno più lo scopo di costruirsi come soggetto politico che vincere le elezioni. Tanto che la donna indigena sarà solo la portavoce di un consiglio di governo. Il consiglio di governo è il grimaldello e punto d’osservazione centrale.

 

Sì, se si guarda oltre la provocazione della candidatura della donna indigena si può vedere una proposta politica radicale e potente che prende linfa e agisce sulle difficoltà organizzative delle resistenze del Messico, oltre che dalla conclamata inconcludenza dei precedenti tentativi di ampliare territorialmente la proposta zapatista.

Girando un po’ la testa quindi si può cogliere come “l’assurda proposta” fatta dall’EZLN al CNI sia invece una ponderata fase di un percorso ben più lungo, e che non fa esodo neppure per un secondo dall’idea di costruire altro al sistema capitalista nelle sue diramazioni. Osservando un po’ più in là dei pruriti bellicosi della forma secondo i quali è scandaloso rivolgersi al percorso elettorale si può vedere come lo strumento della candidatura indipendente dia per la prima volta in Messico la possibilità di organizzare un percorso alternativo a quello dei partiti, sfruttando la temporalità delle elezioni per testarsi su un piano organizzativo e anche potersi contare. Dare il protagonismo alle comunità indigene significa andare a cercare di unire e fortificare le forme di resistenza più radicali all’omologazione capitalista. Allo stesso tempo la proposta è ricevibile anche dai non indigeni, cioè quella parte di società messicana che è stata per anni al centro del dialogo costruttivo dell’EZLN.

 

Occorre ricordare come il CNI nasce nel 1996, e 20 anni dopo la sua formazione scende in campo con una proposta non difensiva ma offensiva. Fa suoi i sette principi fondanti dello zapatismo e conosciuti come “comandare obbedendo”: obbedire e non comandare, rappresentare e non sostituire, abbassarsi e non salire, servire e non servirsi, convincere e non vincere, costruire e non distruggere, proporre e non imporre. Propone una donna come portavoce del consiglio di governo indigeno. Donna e indigena nel Messico del 2017 è come dire l’ultima tra gli ultimi. Il sessismo è un male indescrivibile nel paese, tanto che i movimenti femministi stanno prendendo la scena della lotta per i diritti civili e sociali in gran parte del Messico. Indigena e spesso così messa da parte. Un parallelismo da noi potrebbe essere una migrante senza permesso di soggiorno indicata come futura prima ministra da un lista indipendente. Proposta ponderata, provocatoria, dirompente che oltre allo sguardo oltre la scadenza elettorale gioca una partita nel breve periodo, quella della voce altra rispetto ai megaprogetti (grandi opere diremmo noi) che rischiano, con oltre 400 proposte attive, di trasformare pesantemente il territorio non metropolitano andando così ad incedere sulle relazioni sociali, dell’alternativa alla “guerra al narcotraffico”, costata oltre 100.000 vite umane e 30.000 desaparecidos, è che chiaramente non è mai stata un vero scontro stato-narcos ma un’eccellente diversivo mediatico e pubblico per la creazione di una relazione di potere di continuità tra politica, malavita, e strutture statali. Chi ha pagato il conto sono giornalisti critici, attivisti sociali, difensori dei diritti civili e umanitari, e centinaia di innocenti. Tanto che lo spettacolo legato all’arresto, fuga, ri-arresto ed estradizione de El Chapo ha mostrato come in Messico nulla sia cambiato.

 

Gli USA di Trump che minacciano parti di economia del paese, la paura del crollo del pesos e della chiusura delle grandi fabbriche automobilistiche, e che rischiano di modificare velocemente il laboratorio neoliberale che il Messico è sempre stato per i vicini di casa. Il muro che Obama stava già costruendo, tanto che nel Machete già se ne parla, non spaventa quanto la trasformazione economica che potrebbe portare il nuovo volto della globalizzazione a stelle e strisce. Una nuova incognita sulla fragilità di uno stato svenduto pezzo per pezzo dai tanti governi e che ha trovato in Peña Nieto un capo di stato capace di aggredire e colpire quello che mai era stato toccato ovvero privatizzare il petrolio e modificare le leggi sul lavoro.

 

Morti, scontri e arresti servono a giustificare e coprire lo scambio d’interesse reale, governare con e sulla paura. Agitare lo spettro della crisi economica che il cambio di governo USA può portare è un nuovo segnale della volontà politica di sottostare ai diktat del neoliberalismo. Solo per questo una voce diversa fa paura. Anche solo una voce che può descrivere rapporti economici diversi spaventa. Anche solo perché un punto di vista differente può mostrare una realtà diversa da quella venduta come unica ed ineluttabile destabilizza. E forse per questo che tutte le formazioni politiche nel paese hanno fortemente criticato l’idea e la proposta. Forse proprio per questo essere altro e oltre trasforma una “proposta moderata” come il correre alle elezioni in una proposta possibilmente dirompente, anche se piena d’incognite e di rischi.

 

Una proposta che potrebbe creare un rapporto di forza assolutamente anomalo in un paese che ha fatto della rivolta la sua forma d’opposizione in assenza di organizzazioni di massa capaci di creare contropotere. Una proposta legata alla storia dell’EZLN, con uno sguardo alle FLN, e del Messico. Una proposta che non si può leggere con gli occhi distorti da altre esperienze latinoamericane. Nel Messico della violenza armata e della contiguità tra potere legale ed illegale l’alternativa agita dal CNI e dall’EZLN spaventa. Abbiamo già visto il 26 Settembre 2014 ad Iguala come il narcostato si occupa dei soggetti sociali che operano alternativa e opposizione sociale agli interessi economici, facendo sparire nel nulla 43 studenti della scuola normale Rurale Isido Burgos di Ayotzinapa, e uccidendone sei. Cosa succederà sarà l’incognita del futuro, forse proprio per questo il documento del CNI e dell’EZLN che lancia la candidatura si chiude così: “Per il recupero dei territori invasi o distrutti, per la riapparizione dei desaparecidos del paese, per la libertà di tutte e tutti i prigionieri politici, per la verità e la giustizia per i morti, per la dignità della campagna e della città. Non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo”. http://www.milanoinmovimento.com/mondinmovimento/dal-messico-una-proposta-importante

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Moises 2016

Quel che segue I: Prima e ora

Subcomandante Insurgente Moisés

3 gennaio 2017

Buona notte a tutti e tutte. Anzitutto vogliamo dirvi che si farà tardi, perciò approfittatene per dormire o andarvene.

Bene, prima la compagna che ha parlato ha nominato il Vecchio Antonio, il nome stesso lo dice, Vecchio Antonio. Vale a dire che ormai è morto. I tempi cambiano.

Noi zapatiste e zapatisti vogliamo dirvi in verità, sul serio, che vogliamo imparare ciò che è la scienza per davvero, non ciò nel quale ha camminato il Vecchio Antonio, che è servito per quei tempi, il tempo passato che ora è cambiato perché la vita ora è diversa. E allora vi vogliamo raccontare come va con le compagne e i compagni che ora sono parte di commissioni di delegati, delegate, ciò che hanno affrontato, lungo tutto il tempo della loro lotta di resistenza e perciò il modo in cui hanno vissuto i loro papà, le loro mamme, e che se pure volessero applicarlo ormai non funziona. Come per esempio nella Selva Lacandona, quando seminano il mais, ormai sanno che se prima in 3 mesi c’era la pannocchia, ora la pannocchia spunta già prima. Negli Altos, dalle parti di Oventik, il caracol di Oventik, sapevano che in 6 mesi ci sarebbe stata la pannocchia, e ora in 5 mesi la pannocchia c’è già. Questo li mette in difficoltà perché prima sapevano quando seminare. Iniziano a farsi domande perché una volta conoscevano il vecchio metodo che utilizzava il Vecchio Antonio, certo che lo conoscevano, ma ora è cambiato. E com’è cambiato, e chi lo ha cambiato. Da lì nasce tutto questo. Perciò non stiamo inventando, come ha detto in questi giorni il Sup Galeano, perché il Vecchio Antonio sapeva quando era il tempo del freddo, e cercava la sua legna, il suo carbone, per essere preparato, ma ora non più.

Per cui abbiamo pensato chi ci avrebbe spiegato, e abbiamo sentito dire che ci sono scienziati, scienziate, e ci siamo chiesti che lavoro facciano: non sarà che ci possono aiutare? Perché dicono che sono coloro che studiano per poter spiegare, per poter capire, e poi per poter spiegare se qualcosa si può fare e che cosa. I nostri compagni e compagne hanno bisogno di queste cose, perché risulta che nel loro governarsi autonomamente durante 23 anni sono sorte molte necessità, altre necessità, e non si può procedere come faceva il Vecchio Antonio, che stava resistendo, sopravvivendo; ora, oggi, no: lo stanno costruendo i compagni e le compagne, e lo stanno mettendo in pratica. E al momento di mettere in pratica, iniziano a scoprire ciò che manca loro.

Per esempio, solo per farvi capire quel che vi sto dicendo, nessuna delle compagne basi d’appoggio di 33 anni fa, che sono entrate nella lotta, si è mai sognata che sua figlia o figlio avrebbe saputo usare un apparecchio a ultrasuoni. Ma intanto ora sua figlia lo utilizza, perché ci sono varie compagne, specialmente loro, perché vogliono vedere come sta il bebè durante il processo di crescita; perciò se ne occupano di più le compagne.

E vi racconterò la necessità, la mancanza, perché fu una mancanza e allo stesso tempo un errore, uno sbaglio, perché lo riconosciamo, perché le compagne, o un compagno, stanno riscattando la loro cultura buona, ma mettono da parte quel che è cattivo della loro cultura, no?

Dunque, ci sono promotori, o ci sono levatrici nei villaggi, e allora in un villaggio un compagno va dalla levatrice, e la levatrice controlla la sua compagna e dice loro: pare che siano gemelli, compagna. Così disse loro, e allora il compagno ne è molto contento, ma il compagno sa che nella clinica, nell’Ospedale Autonomo c’è l’apparecchio a ultrasuoni, e allora vuole assicurarsi se davvero sono gemelli, e allora vanno all’ospedale, fanno, diciamo, la fotografia, non so come si dice insomma, e il compagno parla prima alla compagna che sa usare l’apparecchio a ultrasuoni, e dice: la levatrice mi ha detto che pare siano gemelli, e allora io voglio sapere se è vero con la macchina che c’è, no? E allora controllano e fanno la foto, come ho detto, e allora la compagna dice: Sì, sono gemelli, e il compagno è ancora più contento. Bene.

A un certo punto, al momento in cui i gemelli dovevano nascere, se ne sono andati all’ospedale del governo perché la compagna non è potuta uscire in tempo per i troppi dolori, d’emergenza perciò sono andati in un ospedale del governo a Guadalupe Tepeyac, dove hanno pensato a loro e fatto il cesareo alla compagna. Fatto il cesareo, il compagno va a vedere i suoi due gemelli, no, e ne trova solo uno. Allora il compagno dice: no, è che io so che sono gemelli, e ha iniziato a litigare con il direttore o direttrice dell’ospedale. No, è che io so che sono gemelli. Me lo vogliono rubare.

Allora il direttore o direttrice dice: no, signore, no, zapatista, è solo uno. Ma perché stiamo qua a litigare, andiamo da tua moglie perché lei lo ha visto. E quindi il direttore o direttrice va dalla compagna, e il compagno pure, e le dice perché stai permettendo che i direttori dell’ospedale ci rubino i nostri figli? E la compagna dice: No, era soltanto uno.

Ma come? Se la compagna dell’apparecchio a ultrasuoni ci ha detto che sono gemelli di sicuro e pure la levatrice ci ha detto che sono gemelli di sicuro.

Stavano ormai per darsele, perché la compagna dice che è uno e il compagno dice che sono due perché così hanno detto la levatrice e la promotrice di salute e quelli dell’ospedale dicono loro che è uno e basta.

Arrivano al punto per cui bisogna tirare in mezzo la compagna che ha eseguito gli ultrasuoni nella clinica nell’ospedale zapatista. Arriva la compagna, e perciò ora si trovano quattro parti: il compagno, la compagna a cui hanno fatto il cesareo, e la compagna che ha fatto gli ultrasuoni, e i direttori dell’ospedale. E iniziano a discutere, e il dottore che l’ha seguita dice che dipende dalla maniera con cui hanno preso l’immagine agli ultrasuoni, e allora la compagna che aveva fatto il lavoro con gli ultrasuoni disse: in effetti l’abbiamo presa di lato. Allora il dottore dice: ecco com’è, è un riflesso per cui sembra ce ne siano due, perché la fotografia non è stata fatta come avrebbe dovuto, no? E a quel punto il compagno, il padre del bebè, inizia a comprendere che c’è stato un errore, uno sbaglio nel modo in cui si fa il lavoro da parte della promotrice zapatista, no?

Da ciò abbiamo dedotto che non possiamo dire no, questo è colpa del fottuto capitalismo, perché questa non è cosa del capitalismo, ma è della scienza che c’è stata mancanza, c’è stato un errore e non possiamo dire che non si sa, che lo hanno rubato quelli dell’ospedale perché è del malgoverno, non lo possiamo dire.

Riconosciamo che ci mancò qualcosa, che sbagliammo come zapatisti e non ha nulla a che vedere con l’essere autonomi, perché non per questo non possiamo sbagliare e non sbagliamo nella scienza.

E così ci sono molte altre cose, e il Vecchio Antonio non ha avuto l’opportunità di conoscerle perché ormai è morto, ma grazie al Vecchio Antonio che ha avuto resistenza, ribellione al fine di non essere ammazzati.

Per esempio, costui che vi sta parlando, che si chiama Moisés, questo Moisés è cambiato tre volte. Perché quel Moisés che stava nel suo villaggio, se avesse continuato a essere il Moisés del suo villaggio ora non starebbe parlando qui con voi, no? E come starebbe quel Moisés se fosse rimasto nel suo villaggio? Chissà. Neanche lui stesso lo sa.

Bene. Ma quel Moisés ormai è andato e quindi Moisés entra nell’organizzazione clandestina, e lì cambiò un’altra volta, ormai in clandestinità non è più lo stesso Moisés di quando stava nel suo villaggio. Poi Moisés esce allo scoperto; ha appreso, non ci ripetiamo ma ha appreso la scienza di quel che applicò nel ’94 e da qui a 23 anni dopo non è più lo stesso Moisés della clandestinità, ora è da 23 anni alla luce pubblica di ciò che ha fatto con le sue compagne e compagni, no?

E quindi il Moisés di ora, di oggi 3 gennaio 2017, vede ormai altre cose, questo Moisés, vede tante cose questo Moisés che non è più come vedeva prima, nei dieci anni di clandestinità, cambia, e insomma bisogna studiare scientificamente, con scienza, questo cambiamento che si è fatto, se è per fare qualcosa di buono per il popolo, per amare di più la vita insomma.

Ma allora, che faremo al renderci conto scientificamente che c’è una cosa che va male? Non vorremo limitarci a dire che è male e chiusa lì, no?

Ecco quel che succede ai nostri compagni e compagne, che si imbattono in queste necessità, hanno bisogno di questo, non per il bene di uno o una ma per migliaia e magari milioni che siamo qui in questo paese che si chiama Messico e forse può volare e andare in un altro mondo, no?

Perché oggi, 23 anni dopo, ci sono molte cose che i compagni stanno mettendo in pratica e si imbattono in questa necessità. Hanno bisogno di teoria e hanno bisogno di pratica. Noi indigeni andiamo molto sulla pratica, ovvero nella pratica ci convinciamo se ci fa sognare per ascoltare la teoria, perché altrimenti è puro bla bla bla, e allora inizia il sogno, ma se è nella pratica, i nostri occhi restano molto fissi perché stiamo vedendo come si fa, e se ci piace e capiamo che può risolvere molte necessità, allora sì che stiamo con gli occhi più svelti di quelli di un’aquila.

E quando andiamo sul pratico e vediamo che in effetti risolve le necessità, allora iniziamo a chiederci: e se lo faccio così cosa ne esce? E se lo faccio così cosa succederà? Non sarà che ci possono insegnare di più? Non sarà che ci possono spiegare meglio? Ed ecco che si ha bisogno della teoria, perché ci anima molto il fatto di aver visto che sta risolvendo delle necessità o dei problemi, da quando ci hanno mostrato la pratica.

Il problema che abbiamo è che a volte ci costa molto fornire la teoria, ma facciamo la pratica. Forse si può vedere questo, come immagine della pratica, per esempio, si può vedere quel che ora vi reciterò perché praticamente mi hanno obbligato i nostri compagni e compagne a tenerlo a mente, insomma.

Hanno il loro governo autonomo le donne e gli uomini, e ci sono lotte e lotte perché siano metà e metà: se la Giunta del Buon Governo sono 40 membri, 20 donne e 20 uomini; se sono 20 membri i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, 10 donne e 10 uomini, e così via. E allora fanno il loro lavoro con ciò che hanno capito dei 7 Principi del Comandare Obbedendo. Fanno propria, così, la parola Democrazia che è il fatto che il popolo è chi comanda e il governo chi obbedisce. Le proprie leggi, le discutono donne e uomini, hanno già l’educazione di come pensare ciò che devono apprendere i bambini e le bambine, o ciò che devono apprendere i promotori di educazione, a seconda delle necessità dei loro villaggi. Nel caso della primaria, o del primo livello come dicono in altri Caracol, i compagni e le compagne, insomma i papà e le mamme, dicono che ciò che vogliono è che i loro figli imparino bene a leggere, che sappiano scrivere come si scrive papino o mammina, eh. E da lì poi hanno visto che i giovani alla fine hanno imparato un fottio di roba. Allo stesso modo, come vi ho già detto, nell’area della salute, anche lì ci sono varie cose, cioè, nella salute autonoma ci sono varie aree di lavoro, ad esempio vanno avanti con le piante medicinali, lì hanno identificato varie necessità, perché loro vogliono sapere; dicono per esempio, quando la pianta è verde, o la buccia o la radice, quante sostanze ha? E quando si secca, si conserva o non si conserva, perde o non perde le sue sostanze? Ma ecco dove noi non ce la facciamo, perché ecco che c’è bisogno della scienza e dello studio in laboratorio, e molte altre cose così, insomma.

Hanno ormai le loro radio comunitarie, e magari si bruciano i pezzi dell’apparato, e vogliono sapere come si risolve, o altre comunità vogliono ascoltare, e che arrivi il segnale, e ciò che stanno producendo, emettendo, ma il segnale non arriva. E allora, chi parla in radio si chiede, non ci sarà un modo di dare più forza al segnale, perché arrivi più lontano? E tutto questo non lo avrebbero mai sognato i loro papà e le loro mamme, non lo avrebbe mai pensato Moisés quando stava in clandestinità. Le cose sono cambiate, e ora questi giovani, perché stiamo lavorando con i compagni, ci dicono c’è questo, c’è quest’altro, e quest’altro, e allora come fa Moisés a dirgli, come faccio a comandare? Statti zitto, vattene a lavorare, vai a vedere la tua milpa, vai a… no? Ma si capisce la necessità, perciò sto dicendo che Moisés non è lo stesso di quando era in clandestinità, ora che in questi 23 anni è stato con i villaggi e con il loro governo autonomo.

Ebbene, ciò di cui stiamo e stavamo parlando più di un anno fa, su ciò che è l’idra capitalista, il mostro, noi con i nostri compagni e compagne nei villaggi lo stiamo vedendo sul serio, come è iniziato a sorgere ciò che abbiamo menzionato, l’idra, e allora i compagni e le compagne dei villaggi dicono il modo con cui resisteremo, e cioè che dobbiamo avere alimenti e medicine per poter affrontare tutto ciò. Ed ecco dove iniziano a pensare seriamente su come fare con la terra che non dà più, e parlano del boro, del magnesio, dello zolfo, del molibato. molibaleno, o qualcosa del genere, o zinco, o il pH, ma sanno solo che ciò che dicono è per aiutare la terra, ma come faccio a saperlo solo prendendo un pezzo di terra lì, come faccio a sapere ciò di cui necessita? No? E allora i compagni si chiedono: senti, ma allora chi sono quelli che studiano questo, chi sono a dire questo? Ovvero, da varie parti inizia a venire fuori la necessità, la domanda di voler imparare, di come si fa ad aiutare la terra senza far danni, no?

Ecco, questo è ciò che cercano e di cui hanno bisogno, tra le altre cose, i compagni. Prima di ciò, prima che si sviluppassero di più tali necessità, c’erano altri compagni che vedevano venir fuori altre domande su come costruire l’autonomia, no? Per esempio, un gruppo di compagni vedono che si sta sprecando molta benzina per generare luce nel caracol, e iniziano a immaginare, allora: perché la benzina fa girare il motore e ciò fa sì che si produca la luce, l’energia? Allora, dicono, non si tratta che di una cosa, del fatto che il motore deve girare, e allora, dicono, se è così, perché non lo adattiamo, cerchiamo il modo di adattarlo, il motore? Con il torchio dell’acqua, cioè dove macerano la canna da zucchero, poi con un canale d’acqua e poi, ha le sue ruote con i suoi cassoni dove arriva l’acqua, e lo fa girare: allora troviamo un modo di adattare il motore, ossia il generatore. E lo hanno fatto, ma è stato troppo lento, e non sono potuti passare a quello perché non sono riusciti a moltiplicarlo, insomma, non so come si dice. Allora, dove sono quelli che hanno la scienza per farlo? Perché lì non c’è più bisogno di petrolio per fare benzina o per il gas, per gli oli, ma è la natura stessa ciò di cui si approfitta. E poi i pezzi del motore sono ferri, plastiche, e tutte queste cose.

Le compagne e i compagni hanno molta voglia di imparare nuove cose. Perché ora non è più come prima, come ai tempi del Vecchio Antonio, perché i giovani cercano chi insegni loro queste cose. Non si lasciano convincere se non ottengono una risposta convincente, non restano contenti, e peggio ancora se gli si dicono altre cose. Per esempio, quando è finita l’escuelita nel 2013-14, in un’Assemblea si fece una valutazione e allora venne fuori che alcuni alunni avevano detto, che bello che siete indigeni, che non bisogna mai perdere il fatto di essere indigeni, ma che ormai non sono veri indigeni, perché hanno le scarpe: toglietevi le scarpe, dovete toccare il suolo con la pelle, con il cuoio dei piedi, così continuerete a essere indigeni. In Assemblea dissero che chi aveva detto questo doveva essere chiamato, e quando è il tempo della pioggia, e c’è tanto fango che a volte sprofondano i piedi fino a 50 o 80 centimetri e non ti accorgi che c’è un vetro, o ci sono pietre affilate o stecchi, vediamo, come cammini lì? E poi dicono, noi lavoriamo in montagna, e dovremmo chiedere a chi ci lavora di togliersi i vestiti e lavorare nudo? Vediamo se gli sta bene.

Io ve lo sto raccontando perché ormai non si lasciano fare, ormai no, se capiscono bene quel che si dice e non gli risolve le necessità, semplicemente dicono: vediamo, fallo prima tu e io poi vedo.

Perciò tutto questo vuol dire, fratelli, compagni, compagne, sorelle, come già qui hanno detto, e state vedendo, che è un casino, e c’è molto lavoro. Per prima cosa, cosa bisogna fare, tra voi che studiate la scienza dello scientifico… cosa bisogna fare? E ancora di più ora, che le compagne e i compagni hanno domande a cui bisogna rispondere, ora sì, scientificamente. Vogliono imparare, cioè, vogliono la pratica, il lavoro, perché solo così i compagni e le compagne sentiranno che gli si sta insegnando nella pratica come possibilmente si potrebbero risolvere le necessità che si presentano, o ciò di cui si ha bisogno; nient’altro che questo, bisogna stare attenti che non sia un bugiardo inganno, perché non è questo che si vuole. Vogliono vedere i risultati di ciò che si dice, insomma.

Perciò, in base a ciò che stiamo ascoltando qui, anche se bisogna ancora terminare, vediamo e sentiamo che con questa pratica che stiamo facendo qui ora, ora sì che si capisce perché stiamo facendo un doppio sforzo, no? Perché, per esempio, ho ascoltato qui, che quando partecipate come scienziate, parlate tra di voi come scienziati. E poi, i partecipanti cercano di parlare con le e i delegati, ma voi là state ascoltando e magari vorreste dibattere su ciò che sta dicendo la partecipante o il partecipante, e allora abbiamo una necessità. E allora vediamo che forse conviene che facciamo un altro incontro come dice la compagna, stavolta da scienziati a scienziati, scienziate a scienziate, ossia che parliate, e vogliamo vedere come discutete, vogliamo sentire, in fin dei conti, come arrivate a un accordo come fanno le comunità. Nelle comunità, nei villaggi, si prendono, ma alla fin fine dicono, senti, lasciamoci stare perché ormai abbiamo un accordo, ecco ciò che fanno. E allora vogliamo apprendere, altrimenti quando mai apprenderemo a essere scientifici, scientifiche.

Della scienza, credo che sia qualcosa di scienza ciò di cui vi abbiamo parlato, perché qui c’è un piccolo nuovo sistema di governo che hanno i compagni, piccolino, ma ecco dove stanno applicandola, la scienza, i compagni, ed ecco cosa ci ha obbligato a questa cosa piccolina che stanno facendo i compagni e le compagne: se noi ci stiamo parlando ora, è grazie a questa scienza di governarsi da sé, dei compagni.

E allora, non so come la vedete voi, forse è troppo presto per dire se per dicembre faremo questo incontro, per vedere come fate il dibattito, e come tra voi esce un accordo su che fare e come farlo, se a parte, per collettivo o per individuo, secondo come fate, per trovare un accordo per farvi venire; andate nel Caracol, mettete lì vostro laboratorio, ma non chiedete il laboratorio a noi, che a parte l’ascia e il machete e il… non abbiamo un laboratorio, insomma, ma se lo portate voi è benvenuto. Sicuramente non mancherà il pozol, aspro, ma c’è, i fagioli o la verdura, e non mancheranno alunne e alunni; perché hanno voglia di imparare, e soprattutto la pratica, come vi ho detto.

E quindi ecco il problema che vi abbiamo presentato, cioè come si possono aiutare i compagni che hanno bisogno, non solo su questo, sulla medicina, sulla terra, ma su molte altre cose, che vedrete quando verrete, quando andrete insomma, nel Caracol, nei Caracoles, lì vedrete come si può fare questo e poi l’altro e l’altro ancora, lì lo vedrete, il fatto è che non sono un tecnico, non sono ingegnere, serve uno scienziato per le tante cose di cui hanno bisogno i compagni, insomma.

Perciò avete alcuni mesi per pensarci e mandarci le vostre parole, i vostri pensieri e i vostri piani perché si vedano i frutti di ciò che stiamo facendo, e che ci mettiamo d’accordo perché vediate se per dicembre può esserci l’incontro, tra di voi, e vediamo dove o magari chiediamo al compagno qui, il Doc, se farlo qui o come, insomma ci pensiamo. Ecco ciò di cui volevamo parlarvi, compagni, fratelli e sorelle. Molte grazie.

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/18/que-sigue-i-antes-y-ahora/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Video: https://youtu.be/LKKynuL-l_M

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mujer

ALCHIMIA ZAPATISTA

2 gennaio 2017

Il valore della parola è qualcosa a cui teniamo molto. Quando ci riferiamo a qualcuno, non solo lo nominiamo, ma nominiamo anche il suo stare con noi.

Così diciamo “fratello”, “sorella”; ma quando diciamo “compagna”, “compagno” parliamo di un andare e venire, di qualcuno che non sta fuori, ma che, insieme a noi, guarda ed ascolta il mondo e lotta per lui.

Dico questo perché è qui, insieme a noi, il compagno zapatista Don Pablo González Casanova che, com’è evidente, è in sé stesso un municipio autonomo ribelle zapatista.

Poiché il compagno Pablo González Casanova è qui, tenterò di alzare il livello ed il rigore scientifico della mia esposizione, evitando giri di parole e doppi sensi (grandi o piccoli, fate attenzione).

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Alchimia. Prima che esauriate il vostro credito consultando in “Wikipedia” nei vostri cellulari e tablet cos’è “alchimia” e che mi inondiate con ogni tipo di definizione, vi dico subito che con questo ci riferiamo ad un precedente, al passaggio precedente (se è necessario o no, vedete voi) alla costituzione di una scienza come tale. O come diceva il defunto SupMarcos, “l’alchimia è una scienza malata, una scienza invasa dai parassiti della filosofia, del “sapere popolare”, e le evidenze che saturano il complesso mondo della comunicazione attuale”, come si può leggere in uno dei documenti che ha lasciato alla sua morte.

In quel testo, il defunto segnalava che l’alchimia non era necessariamente il precursore della scienza nel senso che “tutta la scienza era alchimia prima di essere scienza”, ma era una non-scienza che aspirava ad essere scienza. Dice anche che l’alchimia, a differenza delle pseudo scienze, non costruisce in base ad un misto di verità e conoscenze, con evidenze e luoghi comuni. La pseudo scienza, sostiene, non si avvicina alla scienza, ma si separa da essa e diventerà il suo nemico più feroce e con maggiore successo di diffusione in una situazione di crisi; non costituisce una spiegazione alternativa della realtà (come nel caso della religione), bensì un “ragionamento” che supplisce, invade e conquista il pensiero scientifico, battendolo nella battaglia più importante in una società mediatica: quella della popolarità.

La pseudo scienza non vuole né aspira all’argomento della fede, della speranza e della carità, ma offre una spiegazione con una struttura logica che “inganna” la ragione. Semplicemente: la pseudo scienza è una frode propria della ciarlataneria che abbonda nell’accademia.

L’alchimia, d’altra parte, aspira a liberarsi, a “curarsi”, a “purgare” i parassiti che sono gli elementi non-scientifici.

Benché reclami per sé il dubbioso diritto della maternità delle scienze, la filosofia, chiamata “la scienza delle scienze”, è, sempre seguendo il testo del defunto, uno di quei parassiti. “Forse il più pericoloso”, continua la buonanima, “perché si presenta alla scienza come la consolazione dell’affermazione-negazione del “non so” contro cui, presto o tardi, va a sbattere la scienza. L’affanno per il razionale, porta la scienza a supplire alla religione con la filosofia, quando arriva al limite”.

Per esempio, se non avesse la capacità di spiegare scientificamente perché piove, invece di ricorrere all’argomento che è dio che decide le precipitazioni, la scienza preferirà un ragionamento del tipo “la pioggia non è altro che una costruzione sociale, con apparenza teorico-empirica, intorno ad una percezione aleatoria che si presenta nel contesto di una continua conflagrazione tra l’essere e il non-essere; non è che se piove ti bagni, ma la tua percezione di “bagnarti” è parte fluttuante di una decolonizzazione universale”.

Sebbene tutto questo si possa riassumere in “è tipico della pioggia se cade o ti cade addosso”, la scienza abbraccerebbe quella strana spiegazione, tra le altre cose, perché la scienza crede che la sua capacità di spiegazione sta nel linguaggio, e non nel potere di rendere possibile la trasformazione della realtà. “Conoscere per trasformare” ci hanno detto qui qualche giorno fa. La filosofia concede volentieri alla scienza il suo certificato di legittimità: “sei scienza quando raggiungi una logica nel linguaggio, non quando puoi conoscere”.

Se andiamo oltre, per “l’alchimia zapatista”, la scienza non solo conosce la realtà e ne facilita così la trasformazione, ma anche la conoscenza scientifica “si fa strada” e definisce nuovi orizzonti. Cioè, per l’alchimia zapatista, la scienza soddisfa il suo compito arrivando continuamente al “manca quello che manca”.

Se nel pensiero filosofico e scientifico del secolo scorso le scienze “smontavano” le spiegazioni religiose offrendo una conoscenza accertabile, nella crisi a venire le pseudo scienze non affrontano la realtà con una spiegazione magica, ma “invadono” o “parassitano” le scienze, prima con l’obiettivo di “umanizzarle”, poi con lo scopo di soppiantarle.

Le filosofie diventano così, non più il tribunale che sanziona la scientificità secondo la struttura logica del linguaggio, bensì la spiegazione generica, naturista ed omeopatica, di fronte alla spiegazione di “patente” scientifica. Per farmi capire: per la filosofia postmoderna, le micro dosi sono l’arma migliore contro i grandi monopoli farmaceutici.

La popolarità delle pseudo scienze radica nel fatto che non è necessaria la formazione scientifica, basta nutrirsi degli inganni del linguaggio, supplire all’ignoranza con la pedanteria mal dissimulata, ed alle evidenze e luoghi comuni con l’elaborazione linguistica complessa.

Di fronte ad un’affermazione del tipo: “la legge della gravitazione universale afferma che la forza di attrazione che sperimentano due corpi dotati di massa, è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa”, la scienza ricorrerà all’osservazione e alla sperimentazione, mentre la filosofia analizzerà il ragionamento logico nel linguaggio.

Un altro esempio: un’asseverazione delle Neuroscienze, del tipo “una lesione nell’area 17 del lobo occipitale può causare cecità corticale o punti ciechi, a seconda dell’estensione della lesione”, può essere comprovata con una risonanza magnetica funzionale, con un elettroencefalogramma o tecnologie simili.

Per questo, chiaro, è stato necessario che la scienza progredisse fino a riuscire a studiare il cervello e spiegare le sue parti, ma è stato anche necessario lo sviluppo di altre scienze che hanno permesso la tecnologia per ottenere neuro-immagini funzionali.

Quando, su raccomandazione di una compa, ho letto quell’eccellente testo dal titolo “L’uomo che confuse sua moglie con un cappello”, del neurologo Oliver Sacks, ho pensato che Sacks era rimasto con la voglia di aprire la testa a quell’uomo per vedere che cosa passava nel suo cervello. Anche se io avrei preferito aprire la testa alla moglie per capire come aveva potuto sopportare che l’avessero confusa in quel modo e non avesse “sistemato” suo marito a suon di ceffoni.

Ora il progresso scientifico tecnologico renderà possibile studiare, per esempio, quello che succede nel cervello del Gatto-cane senza bisogno di aprirgli la testa.

Tuttavia, di fronte alla spiegazione scientifica del funzionamento del cervello, la pseudo scienza offrirà la propria spiegazione utilizzando un linguaggio apparentemente scientifico e ci dirà che i problemi che abbiamo si devono al fatto che non abbiamo sviluppato la capacità del funzionamento cerebrale. Così pullulano le teorie secondo le quali l’intelligenza si misura sulla percentuale di utilizzo del cervello. Una persona più intelligente è quella che usa una percentuale maggiore del cervello. Per esempio, Donald Trump ed Enrique Peña Nieto avrebbero in comune che usano lo 0,00001% del cervello, mentre Einstein diciamo che ne avrebbe usato il 30%. Il successo del film “Lucy” non è solo del botteghino e perché è di Luc Besson e c’è la mia ex, Scarlett Johansson, ma è perché mostra dei ciarlatani che offrono dei corsi affinché diventiate più intelligenti con “tecniche scientifiche” per approfittare al massimo della capacità cerebrale.

Così si è dimostrato fugace il successo della commercializzazione di prodotti contenenti feromoni per attirare il sesso opposto (“se lei, mio caro, non acchiappa neanche l’autobus, non è perché non si stacca dallo schermo della tv o del computer, ma perché non usa quel sapone profumato che, al primo utilizzo, vedrà come le saltano addosso come se fosse lo youtuber, tuitstar, o il meme di moda. Guardi, solo e soltanto per questa volta abbiamo questa offerta di 333 al prezzo di 2 ma solo se nei prossimi 15 minuti segna il numero che appare sullo schermo. Ricordi di avere a portata di mano il numero della sua carta di credito. Non ha la carta di credito? Mannaggia, per questo lei non becca neppure il raffreddore; no, amico, amica, non le serviranno neppure i feromoni. Meglio cambiare canale o mettersi a guardare video comici, di profezie di Nostradamus o cose simili che le diano materiale di conversazione nelle chat room di sua preferenza).

Ma in loro soccorso arriva la baggianata della “capacità cerebrale”, che sostituisce le lozioni ai feromoni con prodotti che sviluppano le capacità cognitive e tu, amica, amico, potresti essere una persona di successo ed imparare a pilotare e riparare navi interstellari su youtube.

Forse questo progetto, che non è né moderno né postmoderno, non sarebbe così appoggiato perfino da qualche scienziato@, se sapessero che uno dei suoi promotori è stato Dale Carniege, con il suo best seller di promozione personale – che data 1936 – dal titolo “Come conquistarsi gli amici ed avere influenza sulle persone”, il libro preferito di John M. Ackerman.

In sintesi, mentre gli scienziati tentano di confermare o scartare le loro ipotesi su come funziona il cervello, gli pseudo scienziati ti vendono corsi di ginnastica cerebrale e cose per lo stile.

E, in generale, mentre le scienze richiedono rigore, studio, teoria e pratica esaustive, le pseudo scienze offrono il sapere a portata di un click di quell’oscuro oggetto del desiderio del Gatto-cane: il mouse del computer.

Ovvero, la scienza non è facile, costa, esige, richiede, obbliga. È ovvio che non sia popolare neppure tra la comunità scientifica.

E poi la scienza non fa niente per sé stessa e finisce per spezzarti il cuore senza nessuna pietà. A me per esempio, è successo. Dovete essere forti e maturi per quello che vi dirò. Sedetevi, rilassatevi, mettetevi in armonia con l’universo e preparatevi a conoscere una cruda e crudele verità. Siete pronti? Bene, sembra che la moka o moca [dolce al caffè – n.d.t.] non esiste, non c’è una cosa come un albero di moka o un minerale di moka. La moca non è una creazione degli dei primordiali per alleviare la vita e la morte del SupMarcos. Non è il frutto proibito con cui il serpente, mascherato da venditrice di cosmetici ringiovanenti, ha ingannato quella maledetta Eva che, a sua volta, ha irretito il nobile Adamo ed ha fatto crollare tutto. Non è neppure il sacro graal, la pietra filosofale che muove la ricerca della conoscenza. No, risulta che… la moka è un ibrido o un miscuglio o qualcosa di così. Non mi ricordo di cosa con che cosa, perché, quando me l’hanno detto, mi sono depresso più di quando uno degli scienziati ha detto che il più brillante alchimista non era presente, e allora, lo confesso, mi sono dato al vizio e alla perdizione. Mi sono allontanato dalle distrazioni mondane ed allora ho capito il successo delle filosofie e delle pseudo scienze attualmente in voga. Per quale motivo vivere se la moka non è altro che una costruzione dell’immaginario sociale? Allora ho compreso meglio quel filosofo spontaneo che avrebbe avuto un grande successo sui social network e che rispondeva al nome di José Alfredo Jiménez. “Strade di Guanajuato” sarebbe stata la Kritik der reinen Vernunft che Kant non ha potuto elaborare.

Ma, nonostante ferite e cicatrici, i vostri interventi cominciano a produrre effetti:

Un ufficiale insurgente ha ascoltato l’intervento del Dr. Claudio Martínez Debat riguardo all’eredità genetica, ed ha concluso che è vero. “L’ho subito applicato ai popoli e sì, se un compa si comporta in un certo modo, è perché suo papà o anche sua mamma si comportano così. Per esempio, se il SubMoy ha un brutto carattere, è perché suo papà aveva un brutto carattere”.

“Ah”, gli ho detto, “allora il SubMoy si arrabbia con noi, non perché non svolgiamo i nostri compiti, ma perché suo papà aveva un brutto carattere?”.

La ricerca scientifica si è però subito interrotta perché in quel momento è arrivato il SubMoy a controllare se avevamo preparato le cose per andare ad Oventik. Ovvero, ci ha beccato in flagrante.

-*-

Questo è un incontro tra le e gli zapatisti e le scienze. Abbiamo aggiunto “con” a “scienze” non solo per il gioco di parole, ma anche perché l’aver accettato di incontrarci, va oltre il vostro ambito e potrebbe implicare anche una riflessione sul mondo, oltre alla spiegazione di quello di cui vi occupate nelle vostre rispettive specializzazioni.

Già nei nostri precedenti interventi, il Subcomandante Insurgente Moisés e chi dice e scrive questo, ci stiamo sforzando di fornirvi dei dati affinché vi facciate un’immagine (un profilo si direbbe ora), del tipo di zapatista che è interessato ad imparare da voi.

Proseguiamo nell’impegno perché, come abbiamo segnalato anche in un altro intervento, la nostra aspirazione è che questo incontro si ripeta, e si moltiplichi quantitativamente e qualitativamente.

Con i vostri interventi, voi ci date non solo alcuni segni della vostra conoscenza, ma anche del perché avete accettato il nostro invito e siete qui presenti, di persona o attraverso testi, audio e video.

Perché abbiamo bisogno della scienza, siamo qui insieme al SubMoy, a spiegare i nostri incantesimi, per convincervi che qui, con noi, potete e dovete fare scienza.

Per questo non vi parliamo di scienza, bensì di quello che siamo stati e siamo, di quello che vogliamo essere.

Facciamo quello che possiamo. Non possiamo offrirvi borse di studio, risorse, riconoscimenti che ingrossino il vostro curriculum vitae. Non possiamo nemmeno farvi avere, non diciamo un posto di lavoro, ma almeno qualche ora di lezione in cattedra.

Certo, potremmo tentare il ricatto di fare una faccia da “sono un povero zapatista che vive in montagna”.

O insinuare con voce suadente: “Tons qué mi plebeyoa, vámonos a Querétaro las manzanas, poninas dijo popochas, y pin pon papas, ya ve que dicen los científicos que ya no produzcan la producción porque el mundo está como vagón del metro a las 0730, y que ya no hagan productos, que mejor adopten; tons usted y yo vamos como quien dice a darles su surtido rico, de lengua y de maciza, para que tengan opciones, si sale varoncito le damos hasta que salga la niña, o al revés volteado, así hasta por pares, el asunto es que no importa ganar sino competir”.

O con un DM che inviti: “forza, decostruiamo gli abiti e contestualizziamo le nostre parti intime”.

O mandarvi un whatsapp che suggerisca: “tu, io, un acceleratore di particelle, non so, pensaci”.

Potremmo, anche se è sicuro che non avremmo successo.

Quello che pensiamo è di fare quello che stiamo dicendo: mostrarci come siamo e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.

Perché non vi sentiate in imbarazzo nel sapere che siete non solo ascoltati, ma anche valutati (in chiusura di questo incontro, il giorno 4, ci sarà la valutazione dell’incontro da parte dei 200 incappucciati ed incappucciate, nostri compagni e compagne, basi di appoggio zapatiste), cerchiamo di fornirvi degli elementi affinché voi ci valutiate e possiate rispondervi alla complessa domanda se ritornerete, o archivierete questi giorni nella cartelletta “da non ripetere mai più”.

Questa valutazione sarà il nostro primo dissapore, e dovremo decidere se lo supereremo da persone mature ricorrendo ad una terapia di coppia, o se ci fermeremo lì.

In ogni caso, c’è da sperare che nel viaggio di ritorno ai vostri luoghi, vi diciate: “porca miseria, ed io che mi lamentavo del Conacyt e del suo Sistema Nazionale di Ricercatori”.

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Prima vi dicevo che una strada per conoscerci era domandare perché domandavamo quello che domandavamo, cosicché altre domande potrebbero essere “che cosa intendente o sperate dalla scienza e dagli scienziati?”.

Per noi, la scienza significa la conoscenza che non dipende da altri fattori. Attenzione, la scienza, non l’investigazione scientifica. Cioè, per esempio, la scienza esatta per antonomasia, la matematica o le matematiche. C’è una matematica capitalista ed una del basso e a sinistra? Faccio questo esempio estremo perché, a partire da scienze in fase di costituzione, o “giovani” come si dice, con i comprensibili errori e “inciampi” esplicativi, si generalizza e si dice “la scienza è colpevole di questo e quest’altro”. “La scienza è razzista, discrimina, non prende in considerazione il dramma personale e passionale dello scienziato”, e da qui, nell’apocalisse del gatto-cane, si trasforma nella “madre di tutte le disgrazie”.

Noi, zapatiste e zapatisti, non facciamo scienza, ma vogliamo impararla, studiarla, conoscerla, applicarla.

Conosciamo il corteggiamento delle pseudo scienze ed il loro percorso di ottimizzazione della povertà: il voler raggirarci dicendoci che le non-conoscenze che abbiamo sono, in realtà, “sapere“, dicono.

Tralasciando che invariabilmente questa posizione viene da chi non ha mai fatto scienza, cioè, non oltre gli esperimenti di laboratorio alle superiori.

Così ci dicono, e come esempio segnalano che noi sappiamo quando bisogna seminare. Certo che sappiamo quando bisogna seminare, identifichiamo certi “segnali” della natura e, per usi e costumi, sappiamo che bisogna piantare il seme.

Ma non sappiamo perché con quei segnali indicano l’inizio della semina, né quale sia la relazione tra quei segnali.

L’interesse della gioventù zapatista per la scienza (come nell’esempio dell’estafiate [artemisia – n.d.t.] di cui ci ha parlato il Subcomandante Insurgente Moisés alcuni giorni fa) trova eco e sostegno ormai tra adulti ed anziani, perché il cambiamento del clima ha reso i segnali confusi.

Succede che ora, col cambiamento climatico, i tempi di “secca” o di pioggia si sono alterati. Ora piove quando non deve, e non piove quando deve. Il freddo si fa più breve per durata e intensità. Animali che si suppone appartengano a determinate zone, cominciano ad apparire in altre che non hanno né vegetazione né clima simili.

Quando la pioggia tarda e la semina è in pericolo, nei villaggi usano lanciare dei petardi in cielo “affinché la nuvola si svegli”, o per far sapere a dio che è orami tempo di pioggia, cioè ricordare a dio il suo lavoro nel caso si sia distratto. Ma sembra che o dio è molto occupato, o non ascolta, o che non ha niente a che vedere con il prolungarsi della siccità.

Vedete dunque che non basta la conoscenza ancestrale, se si può definire conoscenza.

Così, quello che qualcuno chiama “il sapere ancestrale” degli indigeni, si scontra con un mondo che non capiscono che non conoscono e, invece di consolarsi negli eremi o nelle chiese, o ricorrere alla preghiera, le zapatiste, gli zapatisti, si rendono conto di avere bisogno della conoscenza scientifica, non per curiosità, ma per il bisogno di fare qualcosa di reale per trasformare la realtà o combatterla in condizioni migliori.

Per questo le generazioni che hanno preparato e realizzato la sollevazione, quelle che hanno sostenuto la resistenza con la ribellione, e quelle che sono cresciute nell’autonomia e mantengono la ribellione e la resistenza, cominciano a prendere coscienza di una necessità: la conoscenza scientifica.

-*-

Non sappiamo quanto la scienza sia sensibile all’opinione pubblica, alle reti sociali, all’imposizione di indirizzi o spiegazioni, non per pressione economica, il Potere, il sistema, ma per auto censura.

Non sappiamo se esisterà qualcosa che si possa chiamare “un’altra scienza”, e se questo corrisponderà al tribunale mediatico o sociale che giudica, condanna ed esegue la sentenza contro le scienze.

A chi corrisponde la costruzione dell’altra scienza, se c’è qualcosa che si chiami così?

Noi, zapatiste, zapatisti, pensiamo che corrisponda alla comunità scientifica. Ad essa, indipendentemente dalle vostre fobie e filiazioni, dalla vostra militanza politica o no. E pensiamo che dovete resistere e combattere i parassiti che vi minacciano, o che già sono in voi e vi debilitano.

Per questo, anche se non riusciremo a trovare la maniera di convincervi che anche il nostro è uno sforzo per la vita e che abbiamo bisogno di voi in questa determinazione, voi dovete andare avanti senza sosta, senza darvi tregua, senza fare concessioni, né a noi né a nessuno.

Dovete proseguire perché il vostro impegno è con la scienza, cioè, con la vita.

Molte grazie.

Dal CIDECI-Unitiera, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

SupGaleano.

Messico, gennaio 2017

 

Dea Quaderno di Appunti del Gatto-Cane.

Il 3di3 del Gatto-Cane

Non so se ancora si fa, ma circa 10-12 anni fa, si cantava-ballava lo ska. Ricordo vagamente che si organizzavano concerti per la banda ed in solidarietà con le varie lotte di popolo. Non so neanche se ancora si faccia tutto questo, ma in quei concertini, il ricavato, invece che soldi, la paga, i quattrini, la grana, era un chilo di riso, fagioli o zucchero che venivano poi mandati a quei movimenti. Alcuni di quei concerti erano in appoggio alla resistenza delle comunità zapatiste ed in quell’occasione, credo nel 2004, mi mandarono alcune videocassette dove si vedeva solo una nuvola di polvere in cui, vagamente, la banda saltava come se avesse le formiche nel culo al ritmo di “La Carencia”, che è quello che “Difesa Zapatista” ha trovato cercando in internet il significato della suddetta parola. Dissi al compa che non si vedeva un accidenti, e mi rispose che forse era colpa del mio computer, perché nel suo si vedeva, cito testualmente, “fico, amico, fico”.

Quindi risultò che il suo computer era di quelli ultramoderni, con cambio manuale, eliporto, bowling e minibar, mentre il mio aveva ancora il sistema operativo DOS, e che la cosa più moderna che leggeva erano i dischetti da 5¼ (che era come tentare di leggere la “Pietra del Sole” che si trova, o si trovava, nel Museo Nazionale di Antropologia, con l’aiuto disinteressato di IBM).

Durante una visita in queste montagne, il compa diede una controllata al mio computer portatile e sentenziò, cito testualmente: “no pos está cabreras, y pior que ni es el video original, ése quién sabe de quién es, éste el efectivo, el merengues mendez”, ed inserì un altro video preso al chiosco. E si è così potuto ascoltare il gruppo che aveva vari tipi di pupazzi di peluche. Se ancora questa musica si suona, si canta e si balla, devono essere morti di invidia quando hanno visto i pupazzi di Sherlock Holmes ed Einstein durante il primo incontro.

Bene, sembra che in quel periodo il defunto SupMarcos, con i musicanti che si chiamano “Pantheon Rococò”, registrò un cidi che si chiamava “3 volte 3”, anche se ignoro la causa, il motivo o la ragione di un simile titolo. Questo capita a proposito, perché è qui, forse, dove si può trovare il precedente di quello che chiamano il “3di3”. Ora che è ormai di dominio pubblico che il Congresso Nazionale Indigeno formerà un Consiglio Indigeno di Governo e presenterà la portavoce di detto Consiglio come candidata alla presidenza della repubblica messicana nel 2018, il Gatto-Cane si è sentito in obbligo di presentare la sua dichiarazione “3di3”, e nel caso ti addormentassi, per stare sul sicuro, è meglio che ti siedi altrimenti cadi. Vai:

1 di 3: L’intelligenza Artificiale contro l’Intelligenza Zapatista.

“Il sistema politico è stato hackerato”, recita il messaggio che lampeggia su tutti gli schermi del sistema di Intelligenza Artificiale della Società del Potere.

La Chat Room si apre. Quasi simultaneamente compaiono diversi “nickname”, alquanto ridicoli.

Inizia un chiacchiericcio confuso che cessa immediatamente quando appare il nickname “Bossy”.

Non è una riunione come un’altra. E non mi riferisco al fatto che nessuno sia presente di persona. Neppure appaiono gli avatar di rigore. Solo voci.

Ma ogni voce conosce il suo posto nella gerarchia. Meno parla, maggiore è il suo rango.

In quel mentre, una voce dice:

“Non credo che ci sia realmente da preoccuparsi. È chiaro che questo non farà altro che saturare ancora di più il centro. Un’opzione in più per chi crede di scegliere e decidere. Non lo vedo come un grande problema, bisogna lasciarli proseguire. E, poi, questa geografia è già definita da tempo. Suggerisco di passare ad un altro argomento…

Un’altra voce si inserisce e dal tono titubante si indovina il suo livello:

“Scusate. Credo che non dobbiamo sottovalutare quello che vogliono. Rendiamoci conto che non era nemmeno contemplato tra le migliaia di scenari previsti dai nostri sistemi. In realtà, non ce ne siamo accorti fino a che gli schermi non ci hanno avvisato.

Quando abbiamo lampeggiare “Warning. Il sistema politico è stato hackerato”, abbiamo pensato che fosse un’altra incursione degli hacker e che non ci sarebbe stato di che preoccuparsi. I firewall si sarebbero incaricati non solo di vanificare l’attacco, ma anche di contrattaccare con un virus che avrebbe riportato l’intruso alla comunicazione con i segnali di fumo. Invece no, il sistema non ha neppure avvertito della presenza di un virus o di un rischio di infiltrazione. Semplicemente ha segnalato che c’era qualcosa di cui non aveva neanche una definizione per classificarlo”.

Altra voce, stesso volume, uguale tono:

“Concordo. La proposta è troppo rischiosa, come se si accontentassero di disputare il centro. Stavo facendo i conti, e credo che mirino a chi neppure appare nelle nostre statistiche. Quella gente ci vuole distruggere”.

Varie voci si sollevano in mormorii. Gli schermi lampeggiano con testi in caratteri illeggibili per i non addetti.

Una voce esclama con autorità:

“Che cosa suggerite?”.

“Il vuoto”, ha detto un’altra voce, “che i media guardino da un’altra parte. E che la sinistra perbene li attacchi. Il razzismo non gli manca, e basterà qualche insinuazione ed andranno avanti per inerzia. L’abbiamo già fatto prima, quindi non ci saranno problemi”.

“Procedete” ha detto la voce con l’autorità e diversi schermi è lampeggiata la parola “Offline”.

Sono rimaste a chattare solo le voci più piccole:

“Bene”, ha detto una, “credo che dovremo combattere un’altra volta con sorprese non previste, come quella del 1994”.

“E tu che cosa faresti?”.

“Mmm… Ricordi la barzelletta di qualche anno fa che se volevi prepararti per il futuro dovevi imparare il cinese? Bene, io raccomanderei di cominciare a studiare lingue originarie. E tu?”.

“Potremmo tentare di trovare un ponte, qualche tipo di comunicazione”.

“Per quale motivo?”.

“Per negoziare condizioni dignitose in prigione. Perché non credo che quella gente possa concedere alcuna amnistia, né anticipata né a posteriori”.

“E tu che cosa suggerisci?”.

Una voce, fino a quel momento rimasta in silenzio, dice:

“Direi di imparare, ma credo che sia ormai troppo tardi per questo”.

“Ma ho un’ipotesi”, continua, “quello che è successo è che l’Intelligenza Artificiale che anima il nostro server centrale funziona con i dati coi quali lo alimentiamo. In base a questi, la IA prevede tutti gli scenari possibili, le loro conseguenze e le misure da prendere. È successo invece che quello che hanno fatto non stava in nessuno dei nostri scenari, la IA, come si dice, è andata in tilt e non ha saputo che cosa fare, ed ha attivato simultaneamente l’allarme anti hacker e antivirus e proposto la reazione allo scenario più a portata di mano, cioè, il SupMarcos come aspirante alla presidenza”.

Un’altra voce lo interrompe: “Ma, il Marcos non è morto?”.

“Sì”, risponde un altro, “ma fa lo stesso”.

“Cioè, ce l’hanno fatta ancora una volta, dannati zapatisti”.

“E non c’è rimedio?”.

“Non so voi, ma io ho già prenotato il volo per Miami”.

“Io guardo con timore quella massa di indios, non avrei mai pensato che avrebbero potuto arrivare a comandare”.

Quasi contemporaneamente, sui vari schermi lampeggia la stessa frase: “Standby mode”.

Le luci rosse restano accese. Le sirene di allarme suonano senza sosta, allarmate, isteriche.

Lontano da lì, alcune donne del colore che siamo della terra, spengono i loro computer, sconnettono il cavo del server, e sorridono parlottando in una lingua incomprensibile.

Sopraggiunge una bambina che chiede in spagnolo: “Mammine, ho finito il compito, possiamo andare a giocare? È che non abbiamo ancora completato la squadra, ma non preoccupatevi mammine, saremo in tanti, presto saremo sempre di più”.

Le donne escono correndo con la bambina. Corrono e ridono come se alla fine ci fosse un domani.

In fede.

Bau-Miao.

 

Nota: Alla domanda del perché la sua dichiarazione “3di3” avesse solo una parte e non le 3 come indica il suo nome, il Gatto-cane ha risposto grugnendo e facendo le fusa: “manca quello che manca”.

 

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/13/alquimia-zapatista/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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mariposa

L’EZLN e la Mariposa

Rebecca Rovoletto – 11 gennaio 2017

Dal V° Congresso Nazionale Indigeno (CNI), dopo due mesi di consultazioni dei popoli rappresentati – 45 consensi su 66 etnie, ma le consultazioni sono ancora in corso – è uscita la decisione di candidare una donna indigena alle prossime elezioni presidenziali del Messico del 2018.

Non entrerò, qui, nel merito dei perché e dei percome sociopolitici implicati in questa scelta, apparentemente lontana dalle nostre sclerotiche realtà. In questo esauriente blog https://chiapasbg.com/ si trovano tutti i comunicati, gli articoli e i commenti tradotti in italiano. Mi interessa la foto che la testata messicana Desinformémonos ha scelto per il testo del Sub Galeano del 20 ottobre 2016, quando l’Esecito Zapatista di Liberazione Nazionale ha presentato la proposta di questa candidatura. Un’immagine che mi ha sedotto prima ancora di capire la portata e il significato, poi reso esplicito dallo stesso EZLN, del nuovo passo del percorso dei popoli viventi del Chiapas. Ritrae una giovane donna zapatista che, durante il CompArte di Oventic della scorsa estate, interpreta la Fata Coscienza. Passamontagna e ali di farfalla.

Nella cultura messicana esiste una figurazione sincretica del pantheon indigeno: la Donna Farfalla. La Mariposa non è una figura graziosa e fragile. Ella è grossa, di fianchi e di natiche, “come l’immensa donna eroica di Diego Rivera, che costruì Città del Messico con una sola piega del polso”. È vecchia come un fiume. “È conveniente che la Donna Farfalla sia vecchia e grossa, perché porta il mondo del tuono in un seno e l’oltretomba nell’altro. La sua schiena è la curva del pianeta Terra con tutti i raccolti e i nutrimenti e gli animali. La nuca porta il sorgere del sole e il tramonto. La gamba sinistra trattiene tutti i poli, la gamba destra tutte le lupe del mondo. Il suo ventre porta tutti i bambini che saranno dati alla luce.”

Seminuda salta da un piede all’altro, danzando con bracciali di conchiglie e sonagli. E con la sua danza viene a dar forza ai deboli… “Son qui… Svegliatevi!”. La Mariposa rappresenta tutto ciò che molti pensano non essere forte: l’età, la farfalla, il femminile, il non-bello. È lo spirito impollinatore e fertilizzante che sposta le montagne. Viene a sovvertire l’idea erronea che la trasformazione sia ad opera dell’eccezionalmente forte. La sua massa di capelli grigi, lunghi fino a terra, la libera di ogni tabù e le dà il privilegio di poter toccare. Lei sola può toccare tutto e tutti, uomini e donne, bambine, vecchi e malati, persino i morti.

Ecco, si dirà che l’accostamento di un popolo ribelle col passamontagna ad un antico numen è un artificio, una forzatura. Che questa fotografia in bianco e nero è bella, ma casuale… Forse è così. Ma esistono sensibilità, individuazione di nessi e aperture di orizzonti. Esiste una piccola bambina a piedi nudi che si chiama Difesa Zapatista e gioca una partita al giorno. E una volta al giorno va a segno.

Se la forza dei deboli, degli ultimi, di quelli di sotto, di quelli del mondo del “non essere” è stata quella di mascherare i propri volti per rendersi visibili; se la loro forza è partita dalla richiesta delle donne di lottare senza armi, resistendo e costruendo; e si esprime in municipi autonomi, case di salute, scuole; se quella forza oggi candida una piccola indigena di sangue e di lingua, con lo scopo dichiarato di non competere con i candidati dei partiti istituzionali e non aspirare a raggiungere il potere; ebbene io vedo l’archetipo della Donna Farfalla, del femminile generativo pienamente all’opera.

Sono le comunità zapatiste che ci dicono “Eccoci, qui siamo… Sveglia!”. La loro parola sempre ci tocca, in molti punti e in modi sorprendenti. Il loro cammino spiraliforme è la danza della Mariposa, antica e irriverente, che ci distoglie dal nostro caracollare da papere.

Testo R.R. – Foto Noé Pineda

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Il potere de abajo

Raúl Zibechi  10 gennaio 2017

Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto grande importanza. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che potrebbe avere ripercussioni in tutta la società, come avvenne nel gennaio del 1994. Raúl Zibechi commenta con ottimismo la decisione presa dall’Ezln e dal Congresso Nazionale Indigeno dopo l’ampia consultazione e l’approvazione della proposta da parte di 43 diversi popoli. L’attenzione dei media “a pagamento” si è concentrata e si concentrerà sulla portavoce indigena che verrà candidata nelle elezioni messicane del 2018 ma la cultura politica che praticano gli zapatisti e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società, non hanno mai voluto governare gli altri. E non hanno alcuna intenzione di competere con i politici professionisti, perché – dicono – “non siamo la stessa cosa”

 

di Raúl Zibechi

Non era mai accaduto, in América Latina, che decine di popoli e nazioni indigene decidessero di dotarsi di un proprio governo. La recente decisione del quinto Congresso Nazionale Indigeno (CNI) di creare un Consiglio Indigeno di Governo che si propone di “governare questo paese” avrà profonde ripercussioni in Messico e nel mondo. La decisione è stata presa sulla base della consultazione e dell’approvazione di 43 popoli.

Come segnala il comunicato “¡Y retembló!“, siamo di fronte a decine di processi di trasformazione radicale, di resistenze e ribellioni che “costituiscono il potere del basso”, che ora si esprimerà nel Consiglio di Governo. Allo stesso modo, quell’organismo avrà come portavoce una donna indigena, che sarà una candidata indipendente nelle elezioni del 2018.

È il modo che i popoli hanno trovato perché “l’indignazione, la resistenza e la ribellione figurino nelle schede elettorali del 2018”. In questo modo, pensano di poter “scuotere la coscienza della nazione”, per “demolire il potere dell’alto e ricostituirci, non più solamente come popoli ma come paese”. L’obiettivo immediato è fermare la guerra, creare le condizioni per organizzarsi e superare in modo collettivo la paura che paralizza e provoca il genocidio (da parte di quelli) in alto.

Nella parte finale, il comunicato sottolinea che questa potrebbe essere forse “l’ultima opportunità, come popoli originari e come società messicana, di cambiare in modo pacifico e radicale le nostre stesse forme di governo, facendo sì che la dignità sia l’epicentro di un mondo nuovo”.

Fin qui, per grandi linee, la proposta e il percorso da seguire per renderla realtà. Guardando a distanza, chiama l’attenzione che le discussioni da ottobre in poi si siano centrate sulla questione della portavoce indigena come candidata nelle elezioni del 2018, lasciando da parte un tema fondamentale come (credo sia) la formazione del Consiglio Indigeno di Governo. È evidente che non si può comprendere la nuova cultura politica che incarnano il CNI e l’EZLN con i paraocchi della vecchia cultura centrata su discorsi mediatici e sulle elezioni come forma pressoché unica di fare politica.

Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto della più grande importanza. Si tratta di popoli e nazioni che non saranno più governati da altri che non loro stessi. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che avrà ripercussioni in tutta la società, come le ebbe la sollevazione del primo gennaio del 1994.

E’ qui che conviene fare alcuni chiarimenti di fronte alle più disparate interpretazioni e, se mi sto sbagliando, anticipo le mie scuse. La cultura politica che praticano lo zapatismo e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società: rurali e urbani, indigeni, contadini, operai, studenti, professionisti e tutti gli altri settori che si vogliono aggiungere. Mai hanno voluto governare gli altri, non vogliono soppiantare nessuno. Il “comandare obbedendo” è una forma di governo per tutti gli oppressi, che ciascuno sviluppa a modo suo.

Il comunicato chiarisce che gli zapatisti non vogliono competere con i politici professionisti, perché “non siamo la stessa cosa”. Nessuno di coloro che hanno conosciuto almeno un po’ lo zapatismo, lungo questi 23 anni, può immaginare che si mettano a contar voti, a inseguire incarichi nei governi municipali, statali o federali. Non si dedicheranno ad aggregare né a dividere le sigle elettorali, perché vanno per un’altra strada.

Foto: Mídia Coletiva

In tempi di guerra contro quelli in basso, credo che la domanda che si fanno il CNI e l’EZLN sia: come contribuire a far sì che i più diversi settori del paese si organizzino? Non è in discussione il fatto che siano loro a organizzarli, quel compito è di ciascuno di essi. Si tratta di capire come appoggiare, come creare le condizioni perché questo sia possibile. La candidatura indigena va in quella direzione, non come un “acchiappavoti”, bensì come possibilità di dialogo, perché altri e altre sappiano come hanno fatto.

La creazione del Consiglio Indigeno di Governo è la dimostrazione che è possibile autogovernarsi; se milioni di persone di popoli e nazioni possono, perché non dovrei poter io nella mia comunità, nel mio distretto, ovunque sia? Così come la sollevazione del 1994 ha moltiplicato le ribellioni, ha contribuito alla creazione del CNI e di molteplici organizzazioni sociali, politiche e culturali, così adesso può accadere qualcosa di simile. Niente è potente quanto l’esempio.

Quest’anno celebriamo il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. L’ossessione dei bolscevichi e di Lenin, che trova conferma nel meraviglioso libro di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo, era che tutti si organizzassero in soviet, anche coloro che fino a quel momento li combattevano. Chiamavano perfino i cosacchi, nemici della rivoluzione, a creare i propri soviet e a inviare delegati al congresso di tutta la Russia. “La rivoluzione non si fa, ma si organizza”, diceva Lenin. Indipendentemente da quel che si pensi sul dirigente russo, quell’affermazione è il nucleo di qualsiasi lotta rivoluzionaria.

Il passare dall’indignazione e la rabbia all’organizzazione, solida e persistente, è la chiave di ogni processo di cambiamenti profondi e radicali. Di rabbia ce n’è anche troppa in quei momenti. Serve organizzarla. Potrà la campagna elettorale messicana del 2018 trasformarsi in un salto in avanti nell’organizzazione dei popoli? Nessuno può rispondere. Ma è un’opportunità che il potere del basso si esprima nelle forme più diverse, perfino in atti e schede elettorali, perché la forma non è l’essenziale.

Pensandoci bene, invece di accusare il CNI e l’EZLN di creare divisioni, i critici, che non sono pochi, potrebbero riconoscerne l’enorme flessibilità. Sono capaci di fare incursioni in terreni che finora non avevano calpestato e di farlo senza abbassare le bandiere, mantenendo in alto i principi e gli obiettivi. I mesi e gli anni a venire saranno decisivi per delineare il futuro delle oppresse e degli oppressi del mondo. È probabile che in pochi anni potremo valutare la formazione del Consiglio Indigeno di Governo come il cambiamento che stavamo aspettando.

 fonte: La Jornada

Traduzione per Comune-info: marco calabria – http://comune-info.net/2017/01/potere-de-abajo/

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PRONUNCIAMENTO CONGUNTO DI CNI ED EZLN PER LA LIBERTÀ DELLA SORELLA MAPUCHE MACHI FRANCISCA LINCOLAO HUIRCAPAN

 Al popolo Mapuche:

Al Popolo Cileno:

Alla Sexta Internazionale:

Ai mezzi di comunicazione:

Popoli, nazioni e tribù che siamo il Congresso Nazionale Indigeno, inviamo un saluto fraterno e solidale a Machi Francisca Lincolao Huircapan, del popolo Mapuche, in Cile, in arresto dal 30 marzo 2016. Sappiamo che lo sciopero della fame della compagna Machi Francisca in resistenza, è per esigere la giustizia che il malgoverno cileno le ha negato, mantenendola sequestrata per il reato di perseguire nella difesa delle risorse naturali, dei luoghi sacri e dei diritti culturali del suo popolo, ed in attesa che la sua salute si deteriori tanto da compromettere la vita della compagna il cui stato di salute è estremamente delicato.

Denunciamo che mentre il governo cileno reprime la Machi Francisca, protegge sfacciatamente i capitalisti transnazionali ed i cacicchi come il latifondista Alejandro Taldriz, il suo disboscamento illegale e la corruzione dello stato che lo protegge.

Il Congresso Nazionale Indigeno e l’EZLN esigono:

  1. La liberazione immediata della compagna Machi Francisca Lincolao Huircapan
  2. La cessazione della repressione contro il degno popolo mapuche e la revoca della Ley Antiterrorista volta solo a criminalizzare la difesa del territorio dei popoli originari cileni e che ha solo scopo razzista e repressivo.
  3. Il rispetto assoluto del territorio Mapuche.

Gennaio 2017

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli.

Mai più un Messico senza di Noi.

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/06/pronunciamiento-conjunto-del-cni-y-el-ezln-por-la-libertad-de-la-hermana-mapuche-machi-francisca-lincolao-huircapan/

 

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Parole dell’EZLN in chiusura della Seconda Tappa del Quinto Congresso del CNI

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

PRIMO GENNAIO 2017

 

Sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno:

 

Compagne, compagni e compañeroas della SEXTA nazionale e internazionale:

 

Popoli del Messico e del mondo:

 

23 anni fa ci sollevammo in armi contro l’oblio.

L’indignazione e la disperazione ci obbligarono a prepararci a morire per vivere,

Per vivere nell’unica maniera per cui vale la pena vivere, in libertà, giustizia e democrazia.

Il popolo messicano ci vide e parlò con noi, ci disse che la nostra lotta e le nostre domande erano giuste, però che non erano d’accordo con la violenza.

Man mano vennero alla luce le condizioni inumane della nostra vita e della nostra morte, tutti concordavano che le cause della nostra insurrezione non si potevano mettere in discussione, nonostante la forma con cui si manifestò il nostro dissenso.

Ora le condizioni del popolo messicano nelle campagne e nelle città sono peggiori che 23 anni fa.

La povertà, la disperazione, la morte, la distruzione, non riguardano solo chi ha popolato originariamente queste terre.

Ora la disgrazia raggiunge tutte e tutti.

La crisi colpisce anche chi si credeva in salvo e pensava che l’incubo era solo per chi vive e muore in basso.

I governi vengono e vanno, di diversi colori e bandiere, e l’unica cosa che fanno è peggiorare le cose.

Con le loro politiche, l’unica cosa che fanno è far sì che la miseria, la distruzione e la morte arrivino a sempre più persone.

Ora le nostre sorelle e i nostri fratelli delle organizzazioni, dei quartieri, delle nazioni, delle tribù, e dei popoli originari, organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno, hanno deciso di gridare ¡YA BASTA!

Hanno deciso che non permetteranno che si continui a distruggere il nostro paese.

Hanno deciso di non lasciare che il popolo e la sua storia muoiano per la malattia che è il sistema capitalista.

Un sistema che, in tutto il mondo, sfrutta, saccheggia, reprime e disprezza gli esseri umani e la natura.

Il Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di lottare per proteggere le nostre terre e i nostri cieli.

E hanno deciso di farlo seguendo vie civili e pacifiche.

Le loro cause sono giuste, innegabili.

Chi criticherà ora il percorso che hanno scelto e il fatto che ci stanno coinvolgendo tutte, tutti, todoas?

Se non si rispetta, se non si saluta, se non si appoggia questa lotta e il cammino che continua, allora che messaggio darà la società? Quali vie lasceranno all’indignazione?

23 anni fa iniziammo il nostro sollevamento, il nostro percorso era escludente, non potevano partecipare tutte e tutti.

Ora, il Congresso Nazionale Indigeno ci chiama a una lotta nella quale possiamo partecipare tutti, tutte, senza discriminazione di età, colore, altezza, razza, religione, lingua, salario, istruzione, forza fisica, cultura, preferenza sessuale.

Chi vive, lotta e muore nelle campagne e nelle città ha ora un cammino di lotta in cui si può unire con altre e altri.

La lotta a cui ci chiama e ci invita il Congresso Nazionale Indigeno è una lotta per la vita, nella libertà, nella giustizia, nella democrazia, nella dignità.

Chi si permetterà di dire che è una lotta non giusta?

È ora che tutto il popolo lavoratore, insieme ai popoli originari, avvolti nella bandiera del Congresso Nazionale Indigeno, che è la bandiera dei popoli originari, si uniscano in questa lotta che è per chi non ha niente, a parte il dolore, la rabbia e la disperazione.

È l’ora dei popoli, di tutti, dalle campagne alle città.

Questo è quello che ci sta dicendo il Congresso Nazionale Indigeno.

Ci sta dicendo che non c’è più tempo per aspettare che altri e altre ci dicano cosa fare e come, che ci comandino, che ci dirigano, che ci ingannino con promesse e bugie sfacciate.

Ci stanno dicendo che ognuno dal suo posto, col suo modo, con i suoi tempi, comandi sé stesso, sé stessa; che gli stessi popoli governino sé stessi, che non ci siano più bugie, inganni, che non ci siano più politici che vedono il loro lavoro di governo solo come una ricchezza da rubare, tradire e vendere.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la verità e la giustizia.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la democrazia, che vuol dire che il popolo stesso governa.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la libertà.

Chi fa parte del Congresso Nazionale Indigeno è saggia e saggio.

È da secoli che stanno resistendo e lottando per la vita,

Conoscono la resistenza, conoscono la ribellione, conoscono la lotta, conoscono la vita.

Sanno chi è il responsabile delle sofferenze che attanagliano tutte e tutti, in ogni luogo e tempo.

Per questa lotta che oggi intraprende, attaccheranno il Congresso Nazionale Indigeno, lo calunnieranno, cercheranno di dividerlo, cercheranno di comprarlo.

Ci proveranno con tutti i media che si arrenderanno, che si venderanno, che si sottometteranno.

Ma non ce la faranno.

Sono più di 20 anni che ci conosciamo personalmente, e più di 500 anni che ci consociamo nella distruzione, nella morte, nel disprezzo, nel saccheggio, nello sfruttamento, nella storia.

La sua forza, la sua decisione, il suo impegno, non viene da loro stessi e loro stesse.

Viene dalle organizzazioni, dai quartieri, dalle tribù e dai popoli originari nei quali nacquero e si formarono.

Noi zapatiste, zapatisti, ci preparammo 10 anni per iniziare la nostra lotta un primo di gennaio di 23 anni fa.

Il Congresso Nazionale Indigeno si è preparato 20 anni per arrivare a questo giorno e per mostrarci una buona via.

Se ce la faremo o no, sarà una decisione di ognuno e ognuna.

Il Congresso Nazionale Indigeno parlerà con verità, ascolterà con attenzione.

La lotta del Congresso Nazionale Indigeno non è un gioco.

Ci hanno detto che andranno avanti perché tutto sia per tutte e tutti.

Ovvero che sono per:

Il rispetto dei diritti umani.

La libertà di tutte e tutti i prigionieri politici.

La giustizia per chi è stato assassinato.

Verità e giustizia per i 46 assenti di Ayotzinapa.

Sostegno ai contadini e il rispetto della madre terra.

Abitazioni dignitose per tutti quelli che stanno in basso.

Alimentazione sufficiente per tutti gli indifesi.

Lavoro dignitoso e un salario giusto per tutti i lavoratori nei campi e nelle città.

Salute completa e gratuita per tutti i lavoratori.

Educazione libera, gratuita, laica e scientifica.

Terra a chi la lavora.

Fabbriche agli operai e alle operaie.

Negozi e banche agli impiegati e alle impiegate.

Rispetto per il commercio ambulante, e per il piccolo e medio commercio.

Trasporti pubblici e commerciali agli autisti.

Campi ai contadini.

Città ai cittadini.

Territori ai popoli originari.

Per l’autonomia.

Per l’autogestione.

Per il rispetto di ogni forma di vita.

Per le arti e le scienze.

Per la libertà di pensiero, di parola, di creazione.

Per la libertà, la giustizia, la democrazia per il Messico che sta in basso.

A questo ci stanno invitando.

Ognuno deciderà se questa lotta è buona, se è buona l’idea, se risponderà o meno all’appello.

Noi come zapatisti rispondiamo: sì, siamo con voi; sì, siamo con il Congresso Nazionale Indigeno.

Cercheremo le forme per appoggiarli con tutta la nostra forza.

Li appoggeremo perché la lotta che proponete, sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, è forse l’ultima opportunità per non far sparire queste terre e questi cieli in mezzo alla distruzione e alla morte.

A loro diciamo soltanto:

Ascoltate il cuore, il dolore e la rabbia che c’è in ogni angolo di questo paese.

Camminate e che tremi nei suoi centri la terra con i vostri passi.

Che si stupiscano le terre messicane.

Che i cieli vi guardino con sorpresa e ammirazione.

Che i popoli del mondo, dalla vostra decisione e fermezza, imparino e prendano coraggio.

E soprattutto, non importa ciò che succederà, né chi avrete contro, non importa che vi attacchino in ogni modo. Non arrendetevi, non vendetevi, non cedete.

LIBERTÀ!

GIUSTIZIA!

DEMOCRAZIA!

Dalle montagne del Sud-est Messicano

A nome delle donne, degli uomini, dei bambini e anziani dell’EZLN.

Subcomandante Insorgente Moisés

Messico, gennaio 2017

Traduzione a cura di 20zln

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/03/palabras-del-ezln-en-la-clausura-de-la-segunda-etapa-del-quinto-congreso-del-cni/

 

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cni

CNI e EZLN: E TREMÒ! RAPPORTO DALL’EPICENTRO…

Ai Popoli Originari del Messico

Alla Società Civile del Messico e del Mondo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai Media Liberi di Comunicazione

Fratelli, sorelle

È il momento dei popoli, di seminare e di ricostruirci. È il momento di passare all’offensiva e questo è l’accordo che disegniamo nei nostri occhi, negli individui, nelle comunità, nei villaggi, nel Congresso Nazionale Indigeno; è giunto il momento che sia la dignità a governare questo paese e questo mondo e che, al suo passaggio, fioriscano la democrazia, la libertà e la giustizia.

Segnaliamo che, durante la seconda fase del quinto CNI, abbiamo valutato con cura il risultato della consultazione di noi popoli, noi del Congresso Nazionale Indigeno, e che si è tenuta durante i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2016, in cui con tutti i modi, le forme e le lingue che ci rappresentano nella geografia di questo paese, abbiamo emesso accordi tramite assemblee comunali, degli ejidos, dei collettivi, municipali, intercomunali e regionali, che ancora una volta ci portano a capire e ad assumere con dignità e ribellione la situazione che attraversa il nostro paese, e il nostro mondo.

Accogliamo con piacere i messaggi di sostegno, di speranza e di solidarietà che hanno rilasciato  intellettuali, collettivi e popoli che riflettono la speranza della nostra proposta che chiamiamo “Che Tremi nei Suoi Centri la Terra” e che abbiamo reso pubblica durante la prima fase del quinto CNI, accogliamo anche voci critiche, molte di queste con argomenti fondamentalmente razzisti, che riflettono sdegno furioso e disprezzo per pensare che una donna indigena pretenda, non solo, concorrere alle elezioni presidenziali, ma proponga un cambiamento reale, dal basso, a questo paese dolorante.

A tutti loro, diciamo che in effetti la terra ha tremato e noi con essa, e che abbiamo intenzione di squotere la coscienza della nazione, che in effetti vogliamo che l’indignazione, la resistenza e la ribellione appaiano sulle schede elettorali nel 2018, ma che non è nostra intenzione competere in nessun modo con i partiti e con l’intera classe politica che ci deve ancora molto; ogni morto, ogni desaparecido, ogni prigioniero, ogni saccheggio, ogni repressione e ogni disprezzo. Non fraintendeteci, non intendiamo competere con loro perché non siamo la stessa cosa, non siamo le loro parole bugiarde e perverse. Siamo la parola collettiva, dal basso e a sinistra, quella che scuote il mondo quando la terra trema con epicentri di autonomia, e che ci rendono così orgogliosamente diversi che:

  1. Mentre il paese è immerso nella paura e nel terrore che nasce da migliaia di morti e desaparecidos, nei municipi della montagna e della costa di Guerrero i nostri popoli hanno creato condizioni di vera sicurezza e giustizia; e a Santa María Ostula, Michoacán, il popolo Nahua si è unito ad altre comunità indigene per mantenere la sicurezza nelle mani dei villaggi, dove l’epicentro della resistenza è l’assemblea comunale di Ostula, garante dell’etica di un movimento che ha già permeato i comuni di Aquila, Coahuayana, Chinicuila e Coalcomán. Sull’altopiano Purépecha, la comunità di Cherán ha dimostrato che, organizzandosi, togliendo i politici dalla loro posizione di malgoverno e applicando i metodi di sicurezza e di governo propri, non solo si può costruire la giustizia, ma come pure in altre geografie del paese, solo dal basso e dalla ribellione si ricostruiscono nuovi patti sociali, autonomi e giusti, e non smettiamo né smetteremo di costruire dal basso la verità e la giustizia negata ai 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, Guerrero, desaparecidos, ai 3 compagni studenti che sono stati uccisi e ai compagni feriti, tutti dal narco governo messicano e le sue forze repressive. Nel frattempo i malgoverni criminalizzano la lotta sociale, la resistenza e la ribellione, perseguitando, molestando, facendo scomparire, imprigionando e uccidendo gli uomini e le donne d’onore che lottano per giuste cause.
  2. Mentre la distruzione raggiunge tutti gli angoli del paese, e non conosce limiti, allontanando l’appartenenza alla terra e al sacro, il popolo Wixárika, insieme ai comitati in difesa della vita e dell’acqua dell’altopiano potosino, hanno dimostrato che si può difendere un territorio, il suo ambiente e gli equilibri basati sul riconoscersi con la natura, con una visione sacra che rinnova ogni giorno i legami ancestrali con la vita, la terra, il sole e gli antenati, ricoprendo 7 municipi nel territorio sacro e cerimoniale di Wirikuta a San Luis Potosí.
  3. Mentre i malgoverni deformano le politiche dello Stato in materia di istruzione, mettendola al servizio delle multinazionali capitaliste in modo che non sia più un diritto studiare, i popoli originari creano suole elementari, medie, licei e università con i propri sistemi educativi, basati sulla protezione della nostra madre terra, sulla difesa del territorio, sulla produzione, sulle scienze, sulle arti, sulle nostre lingue, e nonostante la maggior parte di questi processi crescano senza il sostegno di alcun livello di malgoverno, sono al servizio di tutte e tutti.
  4. I media a pagamento, portavoce di coloro che prostituiscono ogni parola che diffondono e ingannano mantenendo addormentati i popoli della campagna e della città, facendo passare come criminali coloro che pensano e difendono ciò che gli spetta e vengono descritti sempre come i cattivi, i vandali, i disadattati. Chi vive nell’ignoranza e nell’alienazione è socialmente “buono”, e chi opprime, reprime, sfrutta e saccheggia è sempre “buono”, sono quelli che meritano di essere rispettati e di governare per i propri vantaggi. E mentre accade tutto questo i popoli hanno costruito i propri media, escogitando vari modi per far sì che la coscienza non sia oscurata dalla menzogna imposta dai capitalisti, usandoli oltretutto per rafforzare l’organizzazione dal basso, da dove nasce ogni vera parola.
  5. Mentre la “democrazia” rappresentativa dei partiti politici è diventata una presa in giro della volontà popolare, dove i voti sono comprati e venduti come una mercanzia in più, la gente è manipolata dalla povertà in cui i capitalisti mantengono le società della campagna e delle città, i popoli originari continuano a prendersi cura e a rafforzare le forme di consenso e le assemblee come organi di governo in cui la voce di tutti e tutte fabbrica accordi profondamente democratici, che coprono intere regioni attraverso le assemblee che si svolgono sugli accordi di altre assemblee e queste, a loro volta, derivano dalla profonda volontà di ogni famiglia.
  6. Mentre i governi impongono le loro decisioni per il beneficio di pochi, soppiantando la volontà collettiva dei popoli, criminalizzando e reprimendo chi si oppone ai loro progetti mortali imposti sul sangue del nostro popolo come ad esempio il Nuovo Aeroporto di Città del Messico, facendo finta di consultare le popolazioni mentre impongono la morte. Noi popoli originari abbiamo modi e forme costanti di consultazione preventiva, libera e informata, grande o piccola che sia.
  7. Mentre con le loro riforme di privatizzazione, i malgoverni consegnano la sovranità energetica del paese agli interessi stranieri e gli alti costi della benzina tradiscono la menzogna capitalista che traccia solo percorsi per la disuguaglianza, la risposta ribelle dei popoli indigeni, e non, del Messico è che i potenti non possono nascondersi né tacere; noi popoli, affrontiamo e lottiamo per fermare la distruzione dei nostri territori dal fracking, dai parchi eolici, dall’estrazione mineraria, dai pozzi di petrolio, da condutture e oleodotti in stati come Veracruz, Sonora, Sinaloa, Baja California, Morelos, Oaxaca, Yucatán e tutto il territorio nazionale.
  8. Mentre i malgoverni impongono un’alimentazione tossica e transgenica a tutti i consumatori della campagna e delle città, i popoli Maya mantengono una lotta instancabile per fermare la semina di transgenici nella penisola dello Yucatán e in tutto il paese per preservare la ricchezza genetica ancestrale, che oltretutto significa la nostra vita e l’organizzazione collettiva e la base della nostra spiritualità.
  9. Mentre la classe politica non fa altro che distruggere e promettere, noi popoli per esistere abbiamo costruito, non per governare, l’autonomia e l’autodeterminazione.

Le nostre resistenze e ribellioni costituiscono il potere dal basso, non offrono promesse né idee, ma processi reali di trasformazione radicale ai quali partecipano tutte e tutti e che sono tangibili nelle diverse e vaste geografie indigene di questa nazione. È per questo che noi 43 popoli di questo paese, come Congresso Nazionale Indigeno, riuniti in questo quinto Congresso, CONCORDIAMO di nominare un Consiglio Indigeno di Governo con rappresentanti, uomini e donne, di ciascuno dei popoli, tribù e nazioni che lo compongono. E che questo consiglio si proponga di governare questo paese. E che avrà come portavoce una donna indigena del CNI, di sangue indigeno e che conosca la propria cultura. Vale a dire che avrà come portavoce una donna indigena del CNI che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico per le elezioni del 2018.

È per questo che il CNI, come Casa di Tutti i Popoli, rappresentiamo i principi che caratterizzano l’etica della nostra lotta che racchiude tutti i popoli originari di questo paese, quei principi su cui si basa il Consiglio Indigeno di Governo sono:

Obbedire e non comandare

Rappresentare e non soppiantare

Servire e non servirsi

Convincere e non vincere

Scendere e non salire

Proporre e non imporre

Costruire e non distruggere

È ciò che abbiamo inventato e reinventato, non per piacere, ma come unico modo che abbiamo per continuare ad esistere. Questi nuovi percorsi presi dalla memoria collettiva delle nostre forme di organizzazione sono il risultato della resistenza e della ribellione, per affrontare ogni giorno la guerra che non è mai finita ma che non è riuscita ad ucciderci. In queste forme non solo è stato possibile tracciare il cammino per la ricostruzione integrale dei villaggi, ma anche nuove forme di civiltà, speranze collettive che diventano comunitarie, comunali, regionali, statali e che stanno dando risposte precise a problemi reali del paese, lontano dalla classe politica e dalla sua corruzione.

Da questo quinto Congresso Nazionale Indigeno, invitiamo i popoli originari di questo paese, i collettivi della Sexta, i lavoratori e le lavoratrici, i fronti e i comitati in lotta dalla campagna e dalle città, la comunità studentesca, intellettuale, artistica e scientifica, la società civile non organizzata e tutte le persone di buon cuore a serrare i ranghi e passare all’offensiva, a smantellare il potere dall’alto e ricostituirci non più solo come popoli, ma come un paese, dal basso e a sinistra, a unirci in un’unica organizzazione in cui la dignità sia la nostra ultima parola e la nostra prima azione. Vi invitiamo a organizzarci e fermare questa guerra, a non avere paura di costruirci e seminare sulle rovine lasciate dal capitalismo.

Questo è quello che ci chiedono l’umanità e la nostra madre che è la terra, in questo troviamo che è il momento della dignità ribelle che concretizzeremo convocando un’assemblea costituente del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico nel mese di maggio 2017 e, da questo momento in poi, lanceremo ponti ai compagni e alle compagne della società civile, dei media e dei popoli originari per far tremare nei suoi centri la terra, combattere la paura e riprendere ciò che è dell’umanità, della terra e dei popoli. Per il recupero dei territori invasi o distrutti, per la riapparizione dei desaparecidos del paese, per la libertà di tutte e tutti i prigionieri politici, per la verità e la giustizia per i morti, per la dignità della campagna e della città. Non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo.

Da Oventik, Territorio Zapatista, Chiapas, Messico

Mai più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

 

Traduzione a cura di #20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/02/y-retemblo-informe-desde-el-epicentro/

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pupazzi

Il Gatto-Cane e l’Apocalisse

29 dicembre 2016

Fantascienza.

Ricordatevi questo: fantascienza. Vedrete che, nei vostri prossimi incubi, vi aiuterà a non spaventarvi molto, o almeno a non angustiarvi inutilmente.

Probabilmente ricorderete qualche film di fantascienza. Magari qualcuna, qualcuno di voi, è stato indirizzato dalla fantascienza verso il cammino della scienza scientifica.

Io no, magari perché il mio film di fantascienza preferito è “La nave dei mostri”, con l’indimenticabile Eulalio González, “el Piporro”, la cui colonna sonora è stata ingiustamente esclusa dai premi Oscar, dai Golden Globe, o dal rinomato e locale “Pozol de Barro”. Magari ne avete sentito parlare, è un cult, secondo una di queste riviste specializzate, che nessuno legge, nemmeno quelli che le pubblicano. Se ricordate il film e/o lo vedrete, di sicuro capirete perché finì perso nelle montagne del Sudest Messicano, e non disperso nell’asfissiante rete burocratica che, almeno in Messico, affoga la ricerca scientifica.

E celebrerete anche che sia stato questo il mio film di fantascienza di riferimento, e non “2001, Odissea nello spazio” di Kubrik, o “Alien, l’ottavo passeggero” di Ridley Scott (con la tenente Rippley che rompe lo stereotipo del maschio sopravvissuto di Charlton Heston nel “Il pianeta delle scimmie”), o “Blade Runer”, anch’esso di Ridley Scott, dove la domanda “Gli androidi sognano pecore elettroniche?”, è il punto nodale.

Quindi è il “Piporro” e il suo “Estrella del Desello”, e il robot Tor innamorato di un jukebox, che dovete ringraziare per il fatto che io non stia dalla vostra parte in questo incontro.

Alla fine, filie cinefile a parte, ipotizziamo un film più o meno del genere: un’apocalisse in corso o nel passato; l’umanità intera in pericolo; prima un audace ed intrepido maschio come protagonista; dopo, da parte del femminismo innocuo, una donna, anch’essa audace ed intrepida; un gruppo di scienziati sono convocati a un’istallazione super segreta (chiaro, inevitabilmente situata nell’Unione Americana) un militare di alto grado spiega loro: devono realizzare un piano che salvi l’umanità; si realizza, però risulta che hanno bisogno di un individuo o una individua che, tra parentesi, annulli il lavoro collettivo e, all’ultimo secondo, tagli, con una pinza che compare inesplicabilmente, il cavo verde o azzurro o bianco o nero o rosso con una decisione casuale, e zac, l’umanità è salva; il gruppo di scienziati applaudono e fanno un baccano d’inferno; il ragazzo o la ragazza incontrano il vero amore; il rispettabile pubblico esce dalla sala, mentre gli imbucati controllano le poltrone per vedere se qualcuno ha dimenticato qualcosa, ancora da finire, qualche scatola di popcorn, con questo delizioso e ineguagliabile sapore di benzoato di sodio.

La catastrofe ha varie origini: un meteorite ha cambiato rotta con la stessa costanza di un politico che fa dichiarazioni sul gasolinazo; o un tornado di squali; o un pianeta sviato dal suo percorso; o un sole irritato e che ha lanciato fuori dalla sua orbita una di queste lingue ignee; o una malattia proveniente dallo spazio o da una nave extraterrestre; o un’arma biologica fuori controllo che, convertita in gas inodore, trasmuta chi entra in contatto con essa e lo trasforma in politico professionale o in qualcos’altro non altrettanto terribile.

Questo, o l’apocalissi è già un fatto e un gruppo di sopravvissuti deambula senza speranza, introiettando la barbarie esterne nel suo comportamento individuale e collettivo, mentre l’umanità agonizza.

Il finale può variare, però la costante è il gruppo di scienziati, sia come responsabili della catastrofe, sia come speranza di salvezza, chiaro, se un ragazzo o ragazza bella appare al momento opportuno.

O lo svolgimento può fungere da interrogativo, o da modello “dark frustato” (José Alfredo Jiménez ci aveva già avvisato del fatto che “la vita non vale niente”).

Bene, prendiamo come esempio qualsiasi racconto, film o serie televisiva a tema apocalittico o catastrofico. Diciamo una con un tema alla moda: zombie.

Un esempio concreto, la serie televisiva “The Walking Dead”. Per chi non la conosce l’argomento è semplice: per qualche causa indefinita, le persone che muoiono si “trasformano” in zombie; il protagonista deambula, si scontra con un gruppo, stabiliscono un’organizzazione gerarchica in continua crisi, e cercano di sopravvivere. Il successo della serie potrebbe attribuirsi al fatto che mostra persone che in situazioni normali sono mediocri o paria, e si trasformano in eroine ed eroi disposti a tutto. Alcunei di loro:

Michonne, una casalinga annichilita dal marito e dai fratelli, trasformata in una temibile guerriera con katana (interpretata dall’attrice e drammaturga Danai Jekesal Gurira e, non è per farvi invidia, é l’unica della quale do il vero nome perché nel baule lasciato dal SupMarcos ho trovato una sua foto nei panni di Michonne, dedicata al defunto di suo pugno e autografata, ¡arrrrroz con leche!).

Daril, un paria manipolato, trasformato in un “tracker” balestriere temibile. Fino ad ora, il simbolo della renitenza, la resistenza e la ribellione.

Glenn, un fattorino che consegna pizza diventato esploratore famoso. Il mille usi e mille vite della serie, fino a che Rickman ritornò al comic.

Maggie, una giovane alla quale l’apocalisse zombie salva dalla via monotona della fattoria e la trasforma in leader anche se incinta.

Carol, una moglie maltrattata, trasfigurata nella versione femminile di Rambo, però intelligente.

Carl, un adolescente che, dietro una benda, nasconde la personalità di un serial killer, come ben dedusse Negan.

Eugene, il nerd che simbolizza la scienza e passa, da mitomane, ad utile per il collettivo.

Padre Gabriel, il religioso calcolatore e opportunista che si converte e diventa utile.

Tara y Aaron, la lesbica e il gay che assicurano che la trama sia politicamente corretta.

Rosita, il mio sogno umido preferito, la latina che mischia passione, abilità e coraggio.

Morgan, il sopravvissuto in stile monaco shaolin.

Sasha, la donna che muta dal ruolo classico romantico a quello della sopravvissuta realista.

E, nella parte alta della gerarchia, il malconcio simbolo dell’ordine, Rick, un ex agente che difficilmente può occultare le inclinazioni fasciste di qualsiasi poliziotto.

Non so a quale stagione siano arrivati. Dalla quinta smisi di vederla perché il películero che mi inviava le edizioni alternative fu colpito dalla giustizia, e chi sa dov’è (la qual cosa è un dispiacere, perché mi aveva promesso fino alla 10a stagione, anche se nemmeno Kirkman sa se ci sarà una decima stagione). Però, grazie a quello che sono riuscito a vedere, posso rendermi conto del motivo del suo successo.

Volendo, non è difficile seguire la trama, basta ricercare gli spoiler che si pubblicano su twitter nei rispettivi hashtags.

Alcune lune fa, chiesi ad una compagna che cosa sarebbe successo se Rick, o qualsiasi altro del gruppo, avesse saputo anticipatamente che sarebbe successo quello che successe. Scelgo il poliziotto perché sembra che sia l’unico che ha garantita la sopravvivenza, al meno nell’omonimo comic.

Rick si sarebbe preparato? Avrebbe costruito un bunker e accumulato al suo interno alimenti, medicine, combustibile, armi, munizioni, l’opera completa di George Romero?

O magari avrebbe cercato di fermare il disastro?

La compagna zapatista, alla fine, mi rispose con la stessa domanda: cosa pensavo che avrebbe fatto Rick Grimes?

Non dubitai nel risponderle: niente. Anche sapendo quello che sarebbe successo, né Rick né qualsiasi altro dei personaggi avrebbero fatto niente.

E questo per una semplice ragione: nonostante tutti gli indizi, avrebbero continuato a pensare, fino all’ultimo minuto, che non sarebbe successo niente di male, che non era così grave, che qualcuno in un dato momento avrebbe avuto la soluzione, che l’ordine si sarebbe ristabilito, che ci sarebbe stato a chi obbedire e a chi comandare, che, in ogni caso, la disgrazia avrebbe interessato altri, in altri posti, lontani per geografie o lontani per posizione sociale.

Penserebbero fino alla vigilia che la disgrazia è qualcosa destinato, non ad essi, esse, essie, ma a chi sopravvive in basso… e a sinistra.

Zombie a parte, nella maggioranza di queste narrazioni apocalittiche, ci sono uno o vari momenti nei quali qualcuno, invariabilmente il o la protagonista, quando tutti sono circondati da un’orda di zombie, o il meteorite è a poca distanza dalle loro teste, o una situazione limite simile, con serietà e compostezza dice: “Tutto andrà bene”.

E risulta che, in questo incontro, a me è toccato l’ingrato compito del guastafeste. Cosicché devo dirvi quello che stiamo vedendo: No, non è un film di fantascienza, bensì la realtà; e no, non tutto andrà bene, solo alcune poche cose andranno bene se prima non ci prepariamo.

Secondo le nostre analisi (e finora non abbiamo visto nessuno né niente che lo confuti, anzi, lo confermate), siamo già nel mezzo di una crisi che, in termini colloquiali significa, imperio della violenza criminale, catastrofi naturali, carestia e disoccupazione sfrenata, scarsità di servizi basilari, collasso energetico, migrazioni, fame, malattie, distruzione, morte, disperazione, angustia, terrore, disperazione.

In sintesi: disumanizzazione.

È in corso un crimine. Il più grande, brutale e crudele nella breve storia dell’umanità.

Il criminale è un sistema disposto a tutto: il capitalismo.

In termini apocalittici: è una lotta tra l’umanità ed il sistema, tra la vita e la morte.

La seconda opzione, quella della morte, non ve la raccomando.

Meglio che non moriate. Non vi conviene. Credetemi, io ne so qualcosa a riguardo perché sono morto varie volte.

È molto noioso. Visto che gli ingressi al paradiso ed all’inferno soffrono di una pesante burocrazia (anche se non tanto quanto quelle delle università e centri di ricerca), l’attesa è peggiore che in un aeroporto o in una stazione di autobus in dicembre.

L’inferno idem, devi organizzare incontri di arte, scienze esatte e naturali, di scienze sociali, di popoli originari, e cose ugualmente terribili. Ti obbligano a lavarti e pettinarti. Ti iniettano e ti forzano a mangiare zuppa di zucca tutto il tempo. Devi ascoltare Peña Nieto e Donald Trump in una conferenza stampa infinita.

Il paradiso, da parte sua, è uguale, solo che qui devi sorbirti il coro monotono di alcuni angeli scoloriti, e tutti la tirano per le lunghe se vuoi parlare con dio per lamentarti della musica.

Riassumendo: dite no alla morte e sì alla vita.

Però non ingannatevi.

Bisognerà lottare tutti i giorni, a tutte le ore e in ogni luogo.

In questa lotta, prima o poi, vi renderete conto del fatto che solo collettivamente avrete la possibilità di trionfare.

Ed anche così, vedrete che avrete bisogno anche delle arti, e che avrete bisogno anche di noi, e di altri, altre, altroe come noi.

Organizzatevi.

Come zapatisti che siamo non solo vi chiediamo che non abbandoniate il vostro lavoro scientifico, vi domandiamo di continuare in esso, di approfondirlo.

Continuate ad esplorare questo e altri mondi, non fermatevi, non disperate, non arrendetevi, non vendetevi, non claudicate.

Però vi chiediamo anche di cercare le arti. Anche se sembra il contrario, esse “chiariranno” il vostro fare scientifico in ciò che avete in comune: l’umanità.

Godete della danza in qualsiasi delle sue forme. Magari all’inizio non potrete evitare di classificare i movimenti secondo leggi fisiche, ma poi sentirete, punto.

Andate oltre la geometria, la teoria del colore e la neurologia, e godete della pittura e della scultura.

Resistete alla tentazione di trovare una logica scientifica a tale poesia, tale racconto e lasciate che le parole vi rivelino galassie che vivono solo nell’arte.

Arrendetevi di fronte alla mancanza di rigore scientifico nelle storie che nel teatro e nel cinema si affacciano sull’umano imperfetto, volubile e imprevedibile.

E così con tutte le arti.

Adesso immaginatevi che non è la vostra quotidianità, bensì queste arti quelle che sono in pericolo di estinzione.

Immaginate persone, non statistiche, uomini, donne, bambini, anziani, con un viso, una storia, una cultura, minacciata di annichilimento.

Vedetevi in questi specchi.

Comprendete che non si tratta di lottare per loro o al loro posto, bensì con esse.

Vedete voi stesse, voi stessi, come vi vediamo noi, zapatist@s.

La scienza non è il vostro limite, il vostro peso morto, il vostro inutile incarico, l’attività che dovete esercitare nella clandestinità o nascondendosi nei postriboli delle accademie e degli istituti.

Comprendete ora quello che noi abbiamo già compreso: che, come scienziate e scienziati, voi lottate por l’umanità, e cioè, per la vita.

-*-

Ieri ci spiegava il Subcomandante Moisés, che i popoli originari sono già, e lo sono da decenni, nostri maestri, nostri tutori. Che l’interesse per le scienze è nuovo per lo zapatismo. Che è stato stimolato dalle nuove generazioni, per le giovane e i giovani zapatisti che vogliono sapere di più e meglio come funziona e com’è fatto il mondo. Che dai popoli organizzati è arrivata la nuovissima spinta che ci ha portato a stare di fronte a voi.

Quello che forse non conoscete, è quello che vi racconterò di seguito:

Anche nel disporci per affrontare la morte, abbiamo fin dall’inizio avuto la preoccupazione per la vita.

Quelli che hanno qualche anno in più, o maggior interesse nonostante l’età, possono conoscere quello che è stato il sollevamento: la presa dei 7 capoluoghi municipali, i bombardamenti, gli scontri con le forze militari, la disperazione del governo nel vedere che non potevano sconfiggerci, l’insurrezione civile che lo ha obbligato a fermarsi, quello che è seguito in questi quasi 23 anni.

Quello che forse non conoscete, è quello che sto per raccontare:

Ci siamo preparati a uccidere e morire, questo lo ha già ricordato il Subcomandante Insurgente Moisés. Allora avevamo due opzioni di fronte: il paese si incendiava o si annichiliva. Immaginate la nostra sorpresa quando non è successa né l’una né l’altra cosa, però, questa è un’altra storia per la quale magari ci sarà occasione di parlare.

Due opzioni, però avevano entrambe come comune denominatore la morte e la distruzione. Anche se non ci credete, la prima cosa che abbiamo fatto è stata prepararci a vivere.

E non mi riferisco a quelli che hanno combattuto, a quelli la cui conoscenza di resistenza e materiali ci sono serviti per prendere vestiti e coperte durante i combattimenti e i bombardamenti, o alle competenze che hanno permesso a le insurgente di salute di salvare la vita di decine di zapatist@.

Parlo delle basi di appoggio zapatiste, quelle a cui, come ha spiegato l’altra sera il Subcomandante Insurgente Moisés, dobbiamo il cammino, il passo, la via e la destinazione come zaptisti@, così come dobbiamo loro l’interesse per le arti, le scienze, e lo sforzo per coinvolgerci insieme a lavoratori delle campagne e delle città, l’avamposto di lotta, di resistenza e ribellione che si chiama “Sexta”.

Pochi anni prima di quel primo gennaio apparentemente già lontano, nelle comunità zapatiste si sono formati i cosiddetti “battaglioni di riserva”.

La missione che venne affidata loro era la più importante del gigantesco operativo che portò al combattimento migliaia di combattent@: sopravvivere.

Nei mesi gli è stata data istruzione. Migliaia di bambini, bambine, donne, uomini e anziani si addestrarono per proteggersi dai proiettili e dalle bombe, per riunirsi e ripiegare in ordine in caso in cui l’esercito attaccasse o bombardasse i villaggi, per collocare scorte di cibo, acqua e medicine che gli permisero sopravvivere sulle montagne durante tanto tempo.

“Non morire” era l’unico ordine che dovevano rispettare.

Quello che avevamo noi, che uscimmo a combattere, era: “Non arrendersi, non vendersi, non rinunciare”.

Quando tornammo sulle montagne e ci ricongiungemmo con le nostre popolazioni, unimmo i due ordini e li convertimmo in uno solo: “lottare per costruire la nostra libertà”.

E ci mettemmo d’accordo per farlo con tutte, con tutti, con tuttie.

E ricordiamo che, se non era possibile farlo in questo mondo, allora avremmo avuto un altro mondo, uno più grande, migliore, un mondo dove ci sia spazio per tutti i mondi possibili, quello che c’è e che ancora non avevamo immaginato ma che già esiste nelle arti e nelle scienze.

Molte Grazie.

Da CIDECI-Università della Terra

SupGaleano

Messico, dicembre 2016

 

Dal quaderno di Appunti del Gatto-Cane

La Carenza”

Stavo nella mia baracca, rivedendo e analizzando alcuni video delle giocate di Maradona e di Messi.

“Come se fosse una premonizione, arrivò rotolando un pallone fino a dentro. Dietro di esso arrivò “Difesa Zapatista”, entrando senza avvisare né chiedere il permesso. Dietro della bambina, entrò il già menzionato gatto-cane.

“Difesa Zapatista” prese il pallone e si avvicinò a guardare da sopra la mia schiena. Io ero troppo occupato cercando di evitare che il gatto-cane si mangiasse il mouse del computer, così non mi resi conto che la bambina stava guardando con interesse i video.

Ehi Sup”, mi disse, “tu pensi che siano super bravi Maradona e Messi?”

Io non risposi. Per esperienza so che le domande di Difesa Zapatista o sono retoriche, o non le interessa sapere cosa le rispondo.

Lei continuò:

Però non lo stai vedendo dal lato giusto”, disse, “per quanto riguarda l’arte e la scienza, i due hanno una grande carenza”.

Si, disse così: “carenza”. Io allora la interruppi e le domandai. “E tu da dove l’hai tirata fuori questa parola o dove l’hai imparata?”.

Mi rispose indignata: “me l’ha detta il Pedrito, il maledetto. Mi ha detto che non potrei giocare a calcio perché le bambine hanno una carenza di tecnica”.

Io mi infuriai e gli diedi uno schiaffo, perché non sapevo che cosa significa questa parola e chi lo sapeva se era una parolaccia. Chiaro, quel gran maledetto di Pedrito mi accusò con la promotrice dell’educazione e mi chiamarono. Io le spiegai alla maestra come chi parla della situazione nazionale e internazionale, di questa stronza della Idra e tutto il resto. E siccome la promotrice comprese che dobbiamo appoggiarci in quanto donne, non mi sgridarono, però mi misero a cercare che cosa significa la parola “carenza”. E io allora ho pensato che era meglio questo castigo che se mi avessero mandato a mangiare zuppa di zucca”.

Annuii comprensivo, mentre cercavo di rimuovere il mouse dalla bocca del gatto-cane.

“infine sono andata a cercare sull’internet della Giunta di Buon Governo cos’è la ” carenza” e ho visto che è una canzone di musicisti di lotta, che è bella allegra e che tutti si mettono a ballare e saltare come dove ci sono le formiche operaie. Sono quindi andata con la promotrice dell’educazione e le ho detto che “carenza” è una canzone che dice: “Al mattino mi alzo, non ho voglia di andare a studiare”. La promotrice si è messa a ridere e ha detto “sarà a lavorare”. Le ho quindi detto che le canzoni sono secondo i gusti di ognuno e in base ai problemi che hanno. Vale a dire che le ho dato la spiegazione politica, ma credo che lei non l’abbia capita, perché si limitava a ridere. E poi mi hanno mandato indietro, non importa la canzone, devo sapere cosa vuol dire la parola. Allora andiamo, torno e devo aspettare che chi fa la guardia alla Giunta mandi una denuncia, e sono quindi potuta entrare e vedere che la “carenza” significa che ti manca qualcosa. E sono tornata a fare un altro giro con la promotrice e gliel’ho detto, allora lei mi ha risposto che mi sono resa conto che non è maleducazione e si congratulò con me, ma visto che c’era il Pedrito ficcanaso, gli ho dato un altro schiaffo, perché mi diceva che mi manca la tecnica. E poi la promotrice ha detto che avrebbe detto alle mie mamme che sto facendo così, quindi sono venuta a nascondermi qui, perché so che nessuno viene a trovarti.”

Con eroismo ho sferrato il colpo e sono riuscito a strappare il mouse al gatto-cane.

“Difesa Zapatista” ha continuato con la sua perorazione:

“Ma non ti preoccupare Sup, prima di entrare ho sbirciato per vedere se non stavi guardando foto di donne nude perché, è da non credere Sup, come puoi pretendere che non ti accusi con il collettivo “Come donne che siamo”? Ma ovviamente ti dico che fare così non serve a niente, perché questo significa che soffri una carenza di madri, vale a dire che, come dice il SupMoy quando si arrabbia, sei senza madre.”

Chiarisco qui che non è vero quel che dice “Difesa Zapatista”, è che stavo facendo un corso di anatomia per corrispondenza.

In ogni caso, prima che la bambina continuasse a espormi, le ho chiesto perché aveva detto che Maradona e Messi avevano una grande carenza.

Lei era già quasi sulla soglia della porta, quando mi ha risposto:

“Perché gli manca qualcosa, la cosa più importante: essere donne”.

-*-

“Un Viaggio Interstellare”

  Tra il mucchio di carte e disegni che ha lasciato il defunto SupMarcos, ho trovato questo che vi leggo qui di seguito. Sono una sorta di bozza o appunti per un copione, o qualcosa del genere, di un presunto film di fantascienza. Si chiama:

“Verso dove è rivolto lo Sguardo?”

Pianeta Terra. Un anno lontano nel futuro, diciamo 2024. Tra le nuove mete turistiche, ora si può viaggiare nello spazio e fare il giro del mondo in un satellite costruito “ad hoc” per questo scopo. La navicella spaziale è una replica in scala del satellite lunare, con un grande finestrino che dà sulla Terra durante tutto il viaggio. Sul lato opposto, cioè sulla parte posteriore, c’è una specie di lucernario, della dimensione di una finestra di casa, che dà sempre sul resto della galassia. I turisti, di tutti i colori e nazionalità, si accalcano sulla finestra rivolta verso il pianeta d’origine. Fanno selfie e trasmettono in streaming a parenti e amici le immagini del mondo, “blu come un’arancia”. Ma non tutti i viaggiatori sono da quel lato. Almeno quattro persone stanno di fronte al finestrino opposto. Si sono dimenticati le loro rispettive macchine fotografiche e guardano estasiati il collage screziato di corpi celesti: la linea serpentina di luce polverosa della Via Lattea, il brillante lampo di stelle che potrebbero non esistere più, la danza frenetica degli astri e dei pianeti.

Una delle persone è un artista; non è immobile, nel suo cervello immagina note e ritmi, linee e colori, movimenti, sequenze, parole, rappresentazioni inerti o mobili; le sue mani e le sue dita si muovono involontariamente, le sue labbra balbettano parole e suoni incomprensibili, chiude e apre gli occhi continuamente. Le arti guardano quello che guardano e guardano ciò che può essere guardato.

Un’altra persona è uno scienziato; nulla del suo corpo si muove, guarda in modo fisso, non le luci e i colori vicini, ma i più lontani; nel suo cervello immagina galassie impensate, mondi inerti e pieni di vita, stelle nascenti, buchi neri insaziabili, navicelle spaziali interplanetarie senza bandiere. Le scienze guardano quello che guardano e guardano ciò che può essere guardato.

La terza persona è indigena, di piccola statura, di carnagione scura e caratteristiche ancestrali, guarda e tocca il finestrino. La sua mente e il suo corpo pesano sul materiale solido e trasparente. Nel suo cervello immagina la strada e il passo, la velocità e il ritmo; immagina una destinazione in continua evoluzione. I popoli originari guardano quello che guardano e guardano la vita che può essere creata per essere guardata.

La quarta persona è zapatista, di complessità e carnagione cambianti, guarda attraverso e tocca delicatamente con la mano il cristallo, tira fuori il suo quaderno di appunti e inizia a scrivere freneticamente. Nel suo cervello comincia a fare conti, liste di compiti, di lavori da intraprendere, traccia piani, sogna. Lo zapatismo guarda quel che guarda e guarda il mondo che sarà necessario costruire per far sì che le arti, le scienze e i popoli originari possano realizzare i loro orizzonti.

Alla fine del viaggio, mentre gli altri viaggiatori stanno comprando gli ultimi souvenir nei negozi “duty free”, l’artista corre al suo studio, o quel che sia, in modo che il suo sguardo sia percepito da altri, altre, altrie; lo scienziato convoca immediatamente le altre e gli altri scienziati, perché ci sono teorie e formule da proporre, dimostrare, applicare; l’indigeno si riunisce con i suoi pari e racconta loro quel che ha visto, in modo che, collettivamente, lo sguardo definisca il cammino, il passo, la compagnia, il ritmo, la velocità e la destinazione.

La persona zapatista va alla propria comunità, nell’assemblea del villaggio e spiega nei dettagli tutto quello che c’è da fare per far sì che l’artista, lo scienziato e l’indigena possano viaggiare. La prima cosa che fa l’assemblea è criticare la storia o racconto o copione o qualsiasi cosa sia, perché mancano i lavoratori del campo e della città. Viene quindi proposto che una commissione scriva una lettera al defunto SupMarcos per far sì che metta nel racconto il quinto elemento, cioè il gatto-cane, che si è già mangiato il cavo internet e due USB dei Tercios Compas, e continua ad inseguire il mouse del computer, quindi meglio che ve lo portiate via; e che venga messo, come sesto elemento, anche la Sexta, perché senza la Sexta è la storia è incompleta. Una volta approvato tutto ciò, l’assemblea propone, discute, aggiunge e rimuove, pianifica le tempistiche, distribuisce i lavori, vota l’accordo generale e nomina le commissioni per ogni attività.

Prima che l’assemblea sia considerata conclusa e che tutti vadano a fare quel che gli spetta, una bambina chiede la parola.

Senza passare davanti, in piedi quasi in fondo alla casa comunale, la bambina si sforza di alzare la voce e dice: “propongo che nella lista di cose da portare, mettano una palla e una porzione di pozol”.

Il resto dell’assemblea scoppia a ridere. Il SupMoy, che sta al tavolo che coordina la riunione, incita al rispetto. Raggiunto il silenzio, il SupMoy chiede alla bambina come si chiama. La bambina risponde: “Il mio nome è Difesa Zapatista” e fa una faccia da “no pasarán, nemmeno se fossero extraterrestri”. Il SupMoy chiede quindi a Difesa Zapatista perché propone questo.

La ragazza si arrampica sulla panca di legno e afferma:

“La palla è perché, se non possono giocare, allora vadano liberamente dove vogliono andare. E la porzione di pozol è per fargli prendere forza e che non svengano per la strada. E anche per far sì che laggiù, lontano, dove ci sono gli altri mondi, non si dimentichino da dove sono venuti. “

La proposta della ragazza è approvata per acclamazione.

Il SupMoy sta per dare per conclusa la riunione, quando “Difesa Zapatista” alza la manina per chiedere nuovamente la parola. Le viene concessa.

La bambina parla mentre, con un braccio, regge un pallone da calcio e, con l’altro, abbraccia un animaletto che sembra essere un cane… o un gatto, o un gatto-cane:

“Voglio solo dirvi che non abbiamo completato la squadra, ma non preoccupatevi, perché saremo di più, a breve aumenteremo, saremo di più.”

In fede.

Guau-miau.

Traduzione a cura del’Associazione Ya Basta! Milano e di #20zln

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/01/el-gato-perro-y-el-apocalipsis/

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Una donna di sangue e lingua indigena si candiderà, indipendente, alle elezioni presidenziali 2018 – Andrea Cegna

Il Congresso Nazionale Indigeno ha detto si “all’assurda proposta” della candidatura indipendente di una donna indigena alle elezioni presidenziali in Messico del 2018….. Una proposta che nasce nel solco del (neo)zapatismo e nel protagonismo sempre maggiore delle comunità in resistenza più che dell’EZLN, per quanto la stampa e l’isteria politica possano far dire……. testo completo

Creare un Consiglio Indigeno per governare il Messico, hanno deciso i popoli originari. L’EZLN li appoggia – Pozol.org

“La terra ha tremato e noi con lei”, hanno detto le portavoci del CNI presentando i risultati della consultazione in 525 comunità indigene del Messico, per la creazione di un Consiglio Indigeno di Governo di cui sarà portavoce una donna indigena che sarà candidata alle elezioni presidenziali del 2018. “E’ il momento per i popoli di passare all’offensiva. E’ tempo che la dignità governi”, hanno dichiarato le donne indigene accompagnate dal Comandante Insurgente David dell’EZLN e dal SubComandante Moisés, di fronte all’auditorio stracolmo della Giunta di Buon Governo di Oventic……. testo originale completo

Il Congresso Nazionale Indigeno parteciperà alle elezioni del 2018 e l’EZLN dice “siamo con voi” – Redacción Desinformémonos / Radio Pozol

Nell’assemblea plenaria del Congresso Nazionale Indigenoa, i popoli del CNI hanno annunciato che a maggio 2017 renderanno noto il nome della candidata indigena che li rappresenterà nella contesa elettorale per le presidenziali. “L’EZLN appoggia la vostra proposta, siamo con voi, siamo con il CNI. Avete il nostro appoggio con tutta la nostra forza”, ha dichiarato il subcomandante Moisés, comandante e portavoce zapatista.  Nella cornice del 23° anniversario della sollevazione zapatista e della seconda parte del Quinto Congresso Nazionale Indigeno, i popoli riuniti nel caracol di Oventik, negli Altos del Chiapas, “hanno presentato il risultato della consultazione in 525 comunità indigene del Messico per la creazione del CIG, in cui 430 hanno risposto affermativamente, mentre in 80 è ancora in svolgimento la consultazione…… testo originale completo

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sfida

In attesa di conoscere la decisione di popoli e tribù, comunità e nazioni del CNI e dei rappresentanti dell’EZLN che si trovano in assemblea per condividere i risultati delle rispettive consultazioni, la proposta rappresenta una sfida probabilmente più grande di quella lanciata dagli indigeni del Chiapas esattamente 23 anni fa. Sì, più grande della guerra.

La sfida più grande

Los de Abajo
Gloria Muñoz Ramirez

Le previsioni per il 2017 non potrebbero essere più pessimistiche, ma in mezzo alla desolazione ed alle proteste contro il cosiddetto gasolinazo con cui inizia l’anno, si aspetta la decisione della consultazione che hanno condotto i popoli organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) sulla sua eventuale partecipazione alle elezioni presidenziali del 2018.

Dal novembre scorso l’EZLN è stato incaricato di fare le necessarie precisazioni di fronte all’ondata di reazioni iraconde della sinistra istituzionale, che pensava che i popoli dovessero chiedergli il permesso di valutare la possibilità di presentarsi con una candidata indigena nel prossimo processo elettorale.

In attesa di conoscere la decisione di popoli e tribù, comunità e nazioni del CNI e dei rappresentanti dell’EZLN che si trovano in assemblea per condividere i risultati delle rispettive consultazioni, la proposta rappresenta una sfida probabilmente più grande di quella lanciata dagli indigeni del Chiapas esattamente 23 anni fa. Sì, più grande della guerra.

L’ offensiva che preparano potrebbe essere, se approvata, lo spartiacque nella vita politica del paese, in quanto bisognerebbe immaginare, ad esempio, una candidata indigena (non delle sue fila né delle comunità dell’EZLN) che percorre i villaggi in cui Lo stato ha spogliato, ucciso, incarcerato, torturato e fatto sparire decine di migliaia di persone che hanno trovato conforto soltanto nella propria organizzazione.

Non è il Messico del 1994. Neanche quello attraversato con l’Altra Campagna nel 2005 e nel 2006. È un paese in cui si sono accumulate sofferenze ma che ancora non si piega. Dove c’è l’imposizione di una miniera, una centrale, un acquedotto, una strada, un progetto turistico o di qualsiasi altra natura, lì nasce la resistenza di un popolo che con o senza armi lotta per non smettere di esistere. Molti di questi popoli sono parte del CNI, molti altri non hanno fatto parte di questa rete, altri si sono allontanati dalle sue dinamiche. Oggi è il momento di procedere insieme.

Dire che l’iniziativa è stata studiata da indigeni per indigeni è uguale a considerare la guerra del primo gennaio 1994 come un’offensiva solo dei popoli originari. Una proposta di questa natura comporta e coinvolge tutto il popolo oppresso; vale a dire, la stragrande maggioranza dei messicani.

È urgente combattere. Non c’è domani se non si coniuga al plurale. Il processo di creazione di un Consiglio Indigeno di Governo è una possibilità, per molti l’unica. Questa colonna vi augura un felice e combattivo anno.

http://www.jornada.unam.mx/2016/12/31/opinion/012o1pol

www.desinformemonos.org.mx

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telescopio

Le Arti e le Scienze nella storia del (neo) Zapatismo

28 dicembre 2016

Ieri sera, vi parlavo del pasticcio interplanetario che aveva scatenato la domanda “Perché questo fiore è di questo colore, perché ha questa forma, perché ha quest’odore?

Ok, ho esagerato con questo “interplanetario”. Dovevo dire: il pasticcio che nel microcosmo dello zapatismo provocò la domanda fatta dalla giovane Rosita al Subcomandante Insurgente Moisés.

Anche se credo che sia evidente, non guasta chiarire che la risposta che il SubMoy dette alla ragazzina zapatista fu la stessa che, forse, non so, è probabile, è una supposizione, ha dato combustibile all’avanzamento della scienza dai suoi esordi: “Non so”.

Ora penso che, sicuramente, la giovane sapeva che questa era la risposta, però sperava che il SubMoy capisse che, dentro al fiore, c’era una domanda più grande.

Il Sub Moy, adesso lo sappiamo perché siamo qui, in questo incontro, sapeva che la risposta “Non so”, non solo non era sufficiente, bensì sarebbe stata inutile se non portava ad altre domande.

Ora lui vi racconterà quello che è, come si suol dire, il contesto della domanda… e della sua risposta.

A me adesso tocca raccontarvi brevemente qualcosa della preistoria di questa domanda e di questa risposta.

Le arti e le scienze, prima dell’inizio del sollevamento, all’interno dell’ezetaelene, avevano un universo molto ridotto e una storia breve: entrambe, scienza ed arti, avevano una motivazione, una direzione, una ragione imposta: la guerra.

Prima negli accampamenti dei guerriglieri, poi nei comandi e dopo ancora nelle comunità, le arti si limitavano alla musica, la poesia e qualcosa di disegno e pittura, tutte esclusivamente con messaggi rivoluzionari. Chiaro, non era strano che si facessero passare canzoni d’amore e disamore, corridos, rancheras e finanche qualche ballata di Juan Gabriel, però questo era nella clandestinità dentro la clandestinità.

Il cinema o la cinematografia, aveva come sala esclusiva o “vip”, la nostra immaginazione. Uno degli insurgentes ci raccontava sempre lo stesso film, però trovava il modo di modificarlo in ogni occasione, o di mischiarlo con altri. Fu così che vedemmo l’originale e vari “remake” di “Enter the Dragon”, con Bruce Lee nell’unico ruolo, perché il compa passava ore spiegandoci i movimenti e i colpi. Questo continuò fino a che, con un piccolo generatore ed un pesante ed ingombrate proiettore da 16 millimetri, vedemmo un film vietnamita che credo si chiamasse “Punto di incontro” o qualcosa del genere, e che, ovviamente, era solamente in lingua originale, cosicché con l’immaginazione gli mettevamo dei dialoghi in spagnolo e creavamo un altro film dal film originale. Non sono sicuro, però credo che questo si chiami “intervento artistico”.

Richiamo l’attenzione su di questo, perché credo che fu la prima volta che confluirono le scienze e le arti in un accampamento zapatista. E per le scienze non mi riferisco al generatore portatile ed al proiettore, bensì ai popcorn, che qualcuno ebbe benevolmente ad includere nell’invio dell’apparato e della pellicola.

Ovviamente, ci abbuffammo di popcorn al grido “mangiare oggi o morire domani”, e il giorno successivo quasi si avvera la consegna: dall’alba, con una diarrea collettiva, l’intero battaglione insurgente lasciò i paraggi come se uno stuolo di cinghiali avesse stazionato lì. Poi ci consolammo, pensando che era una dimostrazione di guerra batteriologica. Morale: fate attenzione alle consegne.

Il contatto con i villaggi ampliò questo limitato orizzonte: nelle celebrazioni, i compas stabilivano orari per il “programma culturale”, dicevano, è “per la festa”. Così, in un orario che si andò accorciando con gli anni, si declamavano poesie, si leggevano pensieri e si cantavano canzoni, tutti di lotta. Gradualmente, “la festa” andò ampliando la sua durata e qualità. In questo orario si ballava e cantava quello che era di moda in quell’epoca. Le musiche diciamo “commerciali”, a sua volta, iniziarono ad essere rimpiazzate dalla produzione locale. Prima, cambiando le parole alle canzone; successivamente componendo anche la musica.

Cambiarono i balli: dalle file, al ballo di coppia. Originalmente, nei balli dei villaggi, si facevano due file: una di donne e, di fronte, una di uomini. Questo aveva la sua ragion d’essere: con le file ben disposte delle donne, le mammine potevano controllare le loro figlie, e vedere se scappavano o se si mantenevano nel l’oscillazione continua de “La del moño colorado”. Successivamente, poco a poco e dopo assemblee accalorate, si permise il ballo di coppia, anche se con il medesimo ritmo. Però la linea pesava, così era comune vedere una coppia ballare con lei che guardava da una parte e lui dal lato opposto. Il teatro o “seña” era molto sporadico. I disegni e le pitture dei periodici murali di montagna, si trasferirono alle comunità, però si mantennero i temi.

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Se vi sembra che l’attività artistica era scarsa, quella scientifica era praticamente

nulla (perché il libro di Isaac Asimov, che il defunto portava nello zaino non conta come scienza). Per il contatto con la natura, usavamo le conoscenze delle comunità, cioè, ci limitavamo a conoscere fatti, senza sapere la spiegazione o, spiegandoli in accordo coi racconti e leggende che circolavano nelle comunità.

Per esempio, il tempo della pioggia ed i tempi della semina. C’erano dati empirici che indicavano che stava per piovere o no, e statisticamente funzionava. Negli accampamenti di montagna, per esempio, quando le zanzare aumentavano in numero e aggressività, voleva dire che stava per piovere. Chiaro, avevamo anche barometri e altimetri, però le zanzare erano più carine. Quindi, se ci avessero chiesto qual era la relazione tra le zanzare e la pioggia, avremmo risposto “non so”, tuttavia non saremmo andati oltre, e sapevano che quello che ci competeva era mettere le coperture di plastica o accertarsi di arrivare al villaggio o all’accampamento, e non fare ricerche scientifiche.

La cosa più scientifica che si faceva era calcolare l’energia e la traiettoria del proiettile, la resistenza dei materiali (perché bisognava sapere dove proteggersi dagli spari del nemico), allineare mirini telescopici, fabbricare artefatti esplosivi, e la “navigazione terrestre” con l’uso di mappe, altimetri e il clinometro, per il quale era necessario studiare le basi della trigonometria, algebra e calcolo. Stavamo per imparare ad usare il sestante, per poterci orientare di notte, però non arrivammo a tanto. E non era necessario, perché i compas dei villaggi conoscevano così bene il terreno, che non avevano bisogno di nessuna macchina per orientarsi. E potevano “predire” fenomeni naturali a partire da altri, o da usi e costumi.

Allora il mondo era abitato da personaggi magici, come il Sombreron e Xpaquinté che percorrevano strade, sentieri, si perdevano, e sedevano con noi, negli accampamenti insurgentes delle montagne del sudest messicano.

In medicina si applicavano due metodi fondamentali. Visto che non conoscevamo l’esistenza della cura con il quarzo, il biomagnetismo o cose simili con equivalente rigore scientifico, allora ricorrevamo alla suggestione imposta o all’autosuggestione. Visto che non poche volte non avevamo medicine, ma sì avevamo la febbre, ci dicevamo e ripetevamo: “Non ho la febbre, è tutto nella mia testa”. A voi farà ridere probabilmente, però il fu SupMarcos raccontava che affrontò vari casi di salmonellosi con questo metodo, “E funzionava?”, gli chiedevamo in queste occasioni. Lui rispondeva con la sua solita modestia: “Bé, guardatemi, sono vivo e più bello che mai”. Bene, fu prima che gli dessimo morte.

Quando invece avevamo medicine, usavamo il metodo scientifico del “prova e sbaglia”. Cioè, qualcuno si ammalava, gli davamo la medicina, se non guariva, un’altra diversa, e così, fino a che lo conseguivamo o il male, sicuramente annoiato dal metodo, cedeva.

Un altro metodo scientifico di cura era il chiamato “schioppettata”. Se qualcuno aveva sintomi di una infezione, gli davamo antibiotici ad ampio spettro. Quasi sempre guariva e, chiaro, rimaneva chimicamente puro, al meno per sopravvivere fino alla prossima infezione.

Anni dopo, racconta il defunto, i trattamenti medici che prescriveva si basavano in semplice statistica: in montagna, tali e tali sintomi si curavano con tali medicinali, nel x % dei casi; se in una truppa di X numero di combattenti, tanti si ammalavano con tali sintomi, c’è la x % di probabilità di che si tratti della stessa malattia.

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Un aneddoto di montagna, raccontato anni fa sempre dal defunto SupMarcos, può servire per confrontarlo con quello che ora vi mostriamo: raccontava il defunto che, in una esplorazione nel profondo della Selva Lacandona, una sezione insurgente di fanteria rimase lontana dall’accampamento base, vedendosi obbligata a pernottare senza altro riparo che le volte degli alberi e le foglie delle piante; fecero un focolare per vedere se potevano arrostire una vipera nuyaca che era l’unica preda che avevano potuto cacciare. Il SupMarcos allora non era “sup”, bensì tenente insurgente di fanteria e stava al comando di questa unità militare.

Com’era abitudine in quell’epoca, quando la notte alla fine scendeva dagli alberi e si sedeva con los insurgentes, con le ombre scendevano anche a sedersi con il fuoco ogni tipo di storia, racconti e leggende che, tra l’altro, soddisfacevano la missione di mitigare la fame ed asciugare i vestiti che il sudore e la pioggia avevano impregnato. L’allora tenente di fanteria, rimase appartato e si limitò ad ascoltare quello di cui discuteva la truppa.

Ad uno dei nuovi era successo che, camminando si allontanò dal sentiero, il contatto con le foglie della pianta chiamata La´aj, od ortica, gli aveva provocato l’orticaria ad una mano e si era gonfiata. Tra il dolorante e il lamentoso, la recluta chiese ad un altro combattente perché o cosa aveva questa pianta che faceva così tanto danno. Il veterano, sentendosi obbligato ad educare al nuovo, gli rispose: “Guarda compa, te lo dico chiaramente, questo solo dio e le foglie lo sanno”.

Forse, per tutto questo che vi racconto, il defunto SupMarcos, quando era il portavoce zapatista, abbondava e ridondava di leggende e aneddoti spesso riferiti a spiegazioni della realtà legate alla cultura ancestrale. I racconti del vecchio Antonio, per esempio.

Se il defunto era una finestra per affacciarsi allo zapatismo di allora ed ora lo è il Subcomandante Insurgente Moisés, non solo è cambiata la finestra, ma anche quello che si vede ed ascolta attraverso questa finestra. Lo zapatismo odierno nelle comunità, é quantitativamente e qualitativamente diverso, già non diciamo da 30 anni fa, ma sopratutto da quello degli ultimi 10-12 anni, che dev’essere il periodo nel quale é nata la bambina che si autodefinisce “Difesa zapatista”.

Con questo voglio dirvi che, se i bambini di 25-30 anni fa nacquero durante i preparativi del alzamiento e quelli di 15-20 anni fa nascono nella resistenza e la ribellione; quelli degli ultimi 10-15 anni nascono in un processo di autonomia già consolidato, con nuove caratteristiche, alcune delle quali, tra le quali c’è la necessità della Scienza, vi saranno presentate dal Subcomandante Insurgente Moisés, al quale cedo la parola…

Buona sera fratelli e sorelle, compagni e compagne.

La scienza di cui stiamo parlando qui, noi, le zapatiste, vorremmo fosse una scienza per la vita. Come vi ha detto il SupGaleano, non c’è nient’altro da dire, non vi spiegherò di più, la scienza noi l’abbiamo studiata quando eravamo in montagna, durante l’addestramento. Visto che siamo riusciti ad applicare la scienza, vale a dire la guerra, l’uccidere e il morire, i nostri compagni e le nostre compagne dei villaggi, basi d’appoggio, ci hanno spiegato un altro modo di fare la guerra senza perdere i principi di quello che vogliamo. Quindi, da allora, il meglio è stato che, noi combattenti e combattente, abbiamo riconosciuto che c’era qualcosa nei nostri compagni e nelle nostre compagne, cioè i villaggi. Abbiamo quindi cominciato a imparare, abbiamo cominciato a capire che un esercito, qualunque esercito – tanto l’esercito del ricco che quello del povero che lotta – è escludente, perché non tutti gli uomini, le donne e i bambini combattono. E quel che ci hanno proposto i nostri compagni e le nostre compagne è di combattere insieme per ottenere quel che vogliamo, e ci hanno detto che le armi con le quali bisogna lottare sono la resistenza e la ribellione. La questione è che non vogliamo il mal governo, il cattivo sistema, si tratta di rifiutare ogni forma di inganno e, quindi, noi, combattenti, insorgenti, insorgente, abbiamo imparato in che modo farlo, come bisogna farlo. Quindi, noi, abbiamo capito come sia necessario lottare insieme, così come finora le comunità hanno vissuto, in comune, collettivamente. Il sistema, il mal governo, tenta di dividerci, ma non ci è ancora riuscito, le comunità si capiscono. Ad esempio, in alcune comunità ci sono vari partiti politici, o varie religioni, ma sono in una comunità. Se, in questa comunità, un pezzo di terreno è invaso da un’altra comunità, la comunità invasa si unisce immediatamente, vale a dire che si dimenticano di quel che sono, del fatto che sono divisi da vari partiti politici o da diverse religioni. È così che funziona, è così che non viene cancellato cosa significhi essere comuni, essere comunità. Da allora abbiamo cominciato a capire quel che dicevano, quel che ci hanno detto le nostre compagne e i nostri compagni, basi d’appoggio, è che dobbiamo lottare insieme. È stato dunque molto meglio di quel che avevano pensato loro, perché il combattente non è l’unico a lottare, ma tutti e tutte e, quindi, noi combattenti abbiamo cominciato a lavorare insieme a loro. Quel che è successo è stato allora che in questa lotta, in questa organizzazione, si è costruito il modo di ottenere quel che si cerca. Voglio dire che quel che hanno visto i compagni e le compagne è che bisogna mettere in pratica, nel proprio piccolo, quel che si vuole, quel che si cerca, con la propria autonomia. Con il governo autonomo dei nostri compagni e delle nostre compagne è cominciato qualcosa che non conoscevamo durante il periodo della clandestinità, della nostra preparazione. Abbiamo dunque capito che è questo il modo di pensare e di operare il cambiamento. A dire la verità, durante i 23 anni di autogoverno delle nostre comunità, non ci sono stati tanti morti da arma da fuoco, o feriti o torturati, o rapimenti rispetto a prima del ’94. In questi 23 anni, quel che ci hanno mostrato i compagni e le compagne è che c’è un’altro modo fare guerra al sistema, senza morire né uccidere, ma per questo ci vuole organizzazione, ci vuole un accordo, ci vuole lavoro e bisogna lottare e mettere in pratica. Ora sappiamo che, con queste armi di lotta che sono la resistenza e la ribellione, il sistema non ha potuto fare nulla contro i nostri compagni e le nostre compagne. Hanno fatto di tutto per farci abbandonare, ma il sistema non ci è riuscito, perché le compagne e i compagni l’hanno vissuto per 23 anni. Per quel che loro hanno costruito, come diceva il SupGaleano, noi stessi siamo rimasti sorpresi. Non sognavamo tutto questo, non lo vedevamo. I compagni e le compagne ci sono arrivati tramite il proprio pensiero, vedendo le proprie necessità, pensando quel che è necessario fare, dopo aver ottenuto qualcosa, per migliorare, seguendo i passi per fare il bene dei nostri popoli. Quindi adesso, le stesse compagne, gli stessi compagni,verificano tra di loro, e le mamme e i papà, chiaramente, li incitano, perché non l’avevano visto. Ad esempio, ci sono compagne che sono già, non so come si dice, di quelle che aiutano i dottori, come i meccanici che, ecco qui la tua pinza, ecco il tuo martello, ecco la tua mazza, o come si chiami. Ma le compagne, ormai sono loro che aiutano il medico passandogli quel che ha bisogno durante la chirurgia che sta facendo. Sanno ormai maneggiare gli apparati per l’ultrasuono, i medici hanno detto loro che possono dire, vale a dire diagnosticare, che sanno ormai leggere cosa mostra la piastra o la foto che produce l’ultrasuono. Così, le compagne e i compagni sanno ormai maneggiare molti altri tipi di apparati, per il Papanicolau e varie altre cose per la salute, dell’area della salute, del laboratorio. Non pesavamo tutto ciò. Ora pensiamo e diciamo: in 23 anni di pallottole avremmo potuto costruire tutto questo? E la nostra risposta è che non saremmo qui, adesso, a parlare con voi, fratelli, sorelle, compagni, compagne, scienziati, scienziate. Se fossero stati 23 anni di pallottole, non ci saremmo conosciuti. Ma, grazie al vostro modo di vedere, grazie ai nostri compagni e alle nostre compagne, siamo qui a parlare con voi. Il progresso dei nostri compagni e delle nostre compagne è stato tale che, chiaramente, ha dovuto separarsi dai metodi dello sfruttatore, del capitalismo o del mal governo per creare il proprio modo di pensare la libertà, che abbiamo conquistato e cominciato a costruire a modo nostro. Quindi, è così che funziona ora la loro educazione, hanno la loro agro ecologia, la loro radio comunitaria, fanno i propri scambi di esperienze, condividono, i nostri compagni e le nostre compagne, perché quel che vogliono è la vita. Ad esempio, come ci ha detto il SupGaleano, abbiamo parlato anche con lui e condividiamo che non muoia nessuno, come nel caso di una delle domande: cuociono la placenta del bebè, o la fanno bollire, in modo da restituirgli la vita. Questo si fa, semplicemente, con la lotta, non esiste un vero studio che dimostri che è il modo migliore. Quindi, tutto questo è stato tramandato per diverse generazioni. Quel che vi diceva il SupGaleano sulla colpa del fiore è che, nell’Educazione Autonoma Zapatista, abbiamo avanzato talmente tanto che i giovani e le giovane si sono accorti di aver imparato molto. Quindi quel che è successo è che il figlio di un compa -il figlio di un compa dei Tercios Compas- ha cominciato a chiedere, ha detto a suo padre che, avendo già finito le elementari, il primo ciclo -così dicono i compagni nei villaggi- il figlio del compa gli ha detto: “papà, ho già finito la scuola, ma continuerò perché voglio imparare di più”. Il Compa Tercio, che è il padre, ha dunque detto al figlio: “vediamo, perché il secondo ciclo -vale a dire la scuola media- è ancora in fase di pianificazione; è in fase di pianificazione perché, con l’educazione che vogliamo, non imparerete cose che non servono, ma di cui c’è bisogno. È pensata per far si che impariate cose utili” ha detto il compa a suo figlio. Allora il ragazzino, intorno ai 13, 14 anni, ha detto: “papà, non pensare di mandarmi qui, al Cideci, perché lì si impara la sartoria, la calzoleria e altre cose che si possono fare qui nel Caracol, ma per farlo manca che si mettano d’accordo” ha detto il ragazzino a suo padre. Quindi il ragazzino dice che, quel che vuole imparare, è di che sostanza è fatta l’artemisia e cosa cura. E quindi il compa, con il figlio presente, voleva che gli dicessi dove e quando può imparare tutto ciò. Io gli ho detto: “vediamo, perché non lo so”. Persino io sono rimasto molto sorpreso, pensando “si potrà imparare?”. Ho quindi parlato con il SupGaleano che dice che questo spetta agli scienziati, la scienza, quelli che studiano la scienza, gli scienziati insomma. Quindi ci accorgiamo che le future generazioni vedono altre possibilità e il meglio è che stanno pensando. Quel che vi sto dicendo è che nelle comunità c’è condivisione -o come si dice- delle tre aree, vale a dire dove vanno i compagni e le compagne a scambiarsi esperienze sulle piante medicinali, tra lavatori e levatrici, tra osteopati e osteopate. Cosí il ragazzino ha sentito parlare di molte piante che si dice curino questo e quello, no? Ma non si sa cosa, che sostanze contengono e dove impararlo. Quindi le compagne e i compagni dei villaggi si basano sulla pratica stessa di quel che fanno, sulle conoscenze di quel che fanno. Questo aprirà le porte a nuove esperienze, ma, allo stesso tempo, aprirà le porte ad altre necessità di voler imparare sempre di più. Quindi io credo che, ascoltando quel che viene proposto qui, tra di noi, speriamo che veniate a metterlo in pratica in un villaggio, in collettivo, i compagni e le compagne sarebbero molto contenti. In questo modo questa conoscenza sarebbe sfruttata di più. Con quel poco che hanno i compagni e le compagne… come dire… quel che viene fatto, quel che stanno costruendo i compagni e le compagne lo vedono anche altri fratelli e sorelle che non sono zapatisti. Ad esempio, negli ospedali dei compagni, gli ospedali autonomi, sono di più i fratelli partidistas ad essere operate e operati che gli zapatisti. È così che la gente non zapatista, cioè partidista come la chiamiamo noi, si rende conto che è molto meglio quel che stanno facendo gli zapatisti. Ormai dicono apertamente che è molto meglio quello che stanno facendo gli zapatisti. Ma non è solo nel campo della salute che i compagni e le compagne hanno fatto progressi, ma aiutano anche a fare politica. Orientano sul perché sono ingannati e manipolati così, sul perché sono dominati in questo modo. Quindi, se ci fosse più sostegno da parte della scienza, ci sarebbero più progressi dei compagni e delle compagne. Quel che vogliamo dirvi, allora, è che speriamo davvero di cominciare, qui e ora, con i nostri compagni e le nostre compagne dei villaggi, a vedere come fare per organizzare lezioni, laboratori, cose pratiche. Ciò che le compagne e i compagni considerano interessante e importante per affrontare la idra capitalista è la necessità di migliorare la salute e l’alimentazione, ma per questo è necessario imparare, ci vuole la scienza. I compagni e le compagne si danno da fare, come si è già detto più volte è con gli usi e i costumi, ovvero si fa la prova coltivando in un posto per vedere se ti cresce qualcosa, la zucca, o “el camote”, che è quello che cresce lì, perché non c’è uno studio scientifico lì, si tratta di quello che cresce in quel terreno e di che cosa non cresce lì. E si vive così con molta sofferenza, però se ci fosse lì una scienza, un laboratorio per esempio, lì sarebbe diverso, non é come fare delle prove ma si tratta di fare uno studio scientifico su quello che manca in quel terreno a madre natura o di quello che ti può dare in quest’altro. Quindi è così, allo stesso modo fanno degli studi anche i compagni e le compagne e che quindi siamo a questo punto. la verità è questa dell’artemisia di cui parla il ragazzino, quello che vuole sapere qual è la sostanza e che quindi da lì si é reso conto che esiste il resto, Scuole Autonome Zapatiste che hanno altre necessità rispetto a quello che vogliono apprendere i giovani.

Quindi fratelli, sorelle, compagni, compagne, coloro che abbiamo invitato con i compagni e le compagne e con cui stiamo formando un collettivo, le e gli zapatist@s come collettivo ci muoviamo e mostriamo al popolo Messicano che il popolo, il suo popolo può creare per se stesso il modo di vivere e non abbiamo bisogno di qualcuno che manipoli così la nostra ricchezza o di quelli che espropriano ciò che è nostro in quanto popolo, per questo abbiamo bisogno di stare uniti come popoli originari e con la scienza degli scienziati e la scienza degli artisti, immaginiamo, o costruiamo, o pratichiamo e dimostriamo a noi stessi che si si può fare, così come i compagni e le compagne della base di appoggio che, grazie al loro sforzo, la loro resistenza e il loro modo di pensare, di vedere e di creare, immaginare hanno dimostrato che, anche se non sanno leggere né scrivere, e anche se non hanno la padronanza della lingua spagnola, anche se nei fatti si ce l’hanno, quello che qui diciamo quindi, è che il sistema, il mal governo del Messico si é fatto da parte e stiamo praticando quello che noi pensiamo e che crediamo, pero non é solo questo, gli sfruttati, gli indigeni messicani, ma ci sono anche i fratelli e le sorelle delle compagne cosí come delle città. Ma per questo abbiamo bisogno di Scienza, per capire come costruiremo il mondo nuovo.

Abbiamo bisogno, c’è tanta necessità di questo come del ragazzino di cui parliamo, che essendo ragazzino sta già pensando che vuole conoscere, che vuole sapere perché è così importante la sostanza di cui è fatta l’artemisia, perché ascolta molto nel collettivo, nella condivisione che si fa con le compagne e i compagni. Quindi questo è quello che vogliamo proporvi, che quindi speriamo di unirci per creare un’ altra maniera di vivere, un’altro modo di pensare, immaginare come costruiremo un cambiamento, che cosa é veramente il cambiamento non solo di nome, né tantomeno di colore.

Questo è quello che vi possiamo offrire compagni e compagne, fratelli e sorelle. 

Subcomandante Insorgente Moisés                                          Subcomandante Insorgente Galeano

Testo originale

Traduzione a cura del’Associazione Ya Basta! Milano  e di   20zln

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