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Archive for dicembre 2014

Natale in Messico e #Ayotzinapa

di Fabrizio Lorusso

 Pubblicato: 23/12/2014 12:39 CET Aggiornato: 23/12/2014 12:40 CET

MEXICO-CHIAPAS-SOCIETY-COMMEMORATIONIl Messico riceve oltre 24 milioni di turisti ogni anno, una vera potenza. In queste vacanze natalizie, tra Città del Messico, Oaxaca e soprattutto lo Yucatan, ne arriveranno almeno 500 mila in pochi giorni. Molti di loro pernotteranno e passeranno le giornate in un hotel all inclusive della famosa riviera maya, ottima maniera per rilassarsi e non pensare a niente. Ma il Messico vero, là fuori, non smette di protestare e di mostrare al mondo la vera faccia del paese, il “paese reale”. Quello degli oltre 130 mila morti in 8 anni quello della guerra alle droghe e ai narcos che s’è trasformata in una specie di guerra civile sanguinaria e in un conflitto contro la stessa società, quello dei 27 mila desaparecidos che ormai supererano le cifre delle sparizioni forzate dell’ultima dittatura argentina.

Il periodo di letargo per Natale quest’anno durerà di meno, perché la società pare essersi risvegliata e non c’è giornata che passi senza che venga promossa e realizzata un’iniziativa per i 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, un caso che ha fatto e continua a fare il giro del mondo per la sua crudeltà ed efferatezza, rese ancor più drammatiche dalla certezza che si tratti di un crimine di stato e non di un conflitto tra bande o un problema “politico” di indole locale e circoscritta.

I problemi della violenza e della corruzione in Messico sono strutturali, il tasso di omicidi s’è triplicato in 5 anni, la connivenza del mondo politico e degli apparati di polizia coi narcos e, anzi, il coinvolgimento delle istituzioni (sindaci, funzionari pubblici, esercito, marina, polizia a tutti i livelli, governatori, parlamentari…) nei massacri e nelle desapariciones è evidente: che si tratti di omissioni e coperture o di azioni dirette poco importa.

Il 22 dicembre il National security archive degli Stati Uniti ha reso pubblici dei documenti della procura messicana secondo i quali almeno 17 poliziotti sarebbero stati coinvolti in una delle peggiori mattanze degli ultimi anni, quella di 193 migranti centroamericani a San Fernando, nello stato orientale del Tamaulipas, avvenuta probabilmente nel marzo 2011. Già nell’agosto 2010 altri 72 migranti furono uccisi nella stessa località, in quella che è tristemente nota come la “prima” mattanza di San Fernando. In entrambi i casi la colpa della strage venne attribuita ai membri del cartello degli Zetas, i narcos che dominano le regioni centro-orientali del paese e la zona del Golfo del Messico. Oggi la versione ufficiale viene messa in discussione ed emergono indizi sul coinvolgimento della polizia, come a Iguala il settembre scorso.

La notte del 26 settembre scorso la polizia di Iguala, nello stato meridionale del Guerrero, ha ucciso sei persone. Tre di queste erano studenti della scuola normale rurale di Ayotzinapa che erano lì per fare una colletta e poter così partecipare alla manifestazione nazionale del 2 ottobre nella capitale. La polizia locale ha sparato contro di loro, l’esercito e la polizia federale si sono tappati gli occhi (e stanno emergendo prove di un loro possibile intervento diretto) e infine la polizia di Iguala, aiutata da quella della vicina cittadina di Cocula, ha consegnato 43 studenti ai narcotrafficanti del cartello locale dei Guerreros Unidos. Secondo la procura e tre detenuti, presunti membri del gruppo criminale, nella notte gli studenti sarebbero stati condotti alla discarica di Cocula e bruciati. I loro resti sarebbero stati dispersi nella discarica e nel fiume sottostante. Le ceneri e alcuni resti ossei sono in Austria per dei complessi studi del DNA e, per ora, solo uno studente è stato identificato: si chiamava Alexander Mora.

Ciò non significa che le responsabilità siano state chiarite, anzi. La versione ufficiale fa acqua da tutte le parti. I periti argentini indipendenti che lavorano sul caso per conto dei familiari delle vittime e della società civile, che non si fida delle autoritò, sostengono che l’identificazione di Alexander è corretta, ma che non c’è nessuna certezza del fatto che i resti siano stati trovati effettivamente nella discarica e che non siano stati portati lì in un secondo momento. Aumentano i sospetti sull’esercito, l’istituzione che storicamente nello stato del Guerrero s’è resa protagonista della guerra sporca (la “Guerra sucia”) contro i gruppi dissidenti, i sindacati, i contadini, gli indigeni, le guerriglie e gli studenti, in particolare quelli legati alla scuola di Ayotzinapa.

Ad ogni modo alcune certezze ci sono. Lo stato messicano ha delle chiare responsabilità nella strage, vista la partecipazione diretta della polizia nell’uccisione di tre studenti e di altre tre persone, oltre che nel sequestro dei 43 normalisti che sono tuttora desaparecidos. Le autorità, la procura e il governo, sapevano della situazione “tesa” a Iguala da mesi, se non da anni. Sapevano del narco-sindaco di Iguala, José Luis Abarca, che avrebbe dato l’ordine di catturare gli studenti e ora è in prigione accusato dell’omicidio di un oppositore politico nel 2013. L’ondata di proteste globali e nazionali per quest’ennessima strage, in un Messico che non vede la luce alla fine del tunnel della violenza, rappresenta un punto di svolta, la rottura dei piani riformatori del governo e il risveglio della società civile, dei movimenti sociali e delle coscienze.

In questo dicembre, per le “vacanze” di Natale, l’ombra di Ayotzinapa aleggerà sulla classe politica e dirigente messicana, in attesa di capire se nel 2015 si privilegeranno le soluzioni fast track autoritarie con “mano dura” e i tentativi di chiudere il caso e superarlo rapidamente, come successo finora, o le opzioni di riforma profonda del sistema e di cambiamento che propongono la società, raccolta intorno ai familiari delle vittime, e i movimenti. Dal Chiapas gli zapatisti hanno organizzato un Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni e hanno deciso di cedere ai genitori di Ayotzinapa i loro spazi durante l’evento che è itinerante e dura dal 21 dicembre al 3 gennaio. Ecco la video-notizia dell’innaugurazione del Festival nei dintorni di Città del Messico.

http://www.huffingtonpost.it/fabrizio-lorusso/natale-in-messico_b_6367064.html

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PROCESO-1990-192x250Una serie di articoli della rivista Proceso sulla notte di Iguala, collusioni, complicità, insabbiamenti:  Link agli articoli

 

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manta-entradaEJIDO SAN SEBASTIAN BACHAJON ADERENTE A LA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA. CHIAPAS. MESSICO. 21 DICEMBRE 2014

Alle Giunte di Buon Governo

All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Al Congresso Nazionale Indigeno

Al Festival Mondiale delle Resistenze

AI compagn@ aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona

Ai mezzi di comunicazione di massa ed alternativi

Alla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà

Al Movimento di Justicia por el Barrio di New York

Ai difensori dei diritti umani nazionali ed internazionali

Al popolo del Messico e del mondo

Compagni e compagne, il nostro popolo lotta contro la depredazione e la repressione del malgoverno che ad ogni costo vuole strapparci il nostro territorio, le nostre risorse naturali e la dignità di popolo, ma in tutto questo tempo il nostro popolo si è organizzato per difendersi e far sì che la lotta sia più grande e così il malgoverno non riesce a distruggere questa lotta ed è per questo che ci attacca ed ha assassinato Juan Vázquez Guzmán il 24 aprile 2013, ed al compa Juan Carlos Gómez Silvano il 21 marzo 2014, ci sono anche tre compagni carcerati a Yajalón, Chiapas, Juan Antonio Gómez Silvano, Mario Aguilar Silvano e Roberto Gómez Hernández , che sono stati torturati dalla Polizia Municipale di Chilón e dal Pubblico Ministero Indigeno di Ocosingo, Rodolfo Gómez Gutiérrez, che ha puntato la pistola alla testa del compagno Mario Aguilar Silvano oltre ad un sacchetto di plastica.

Per tutte queste ingiustizie del malgoverno che vuole vederci morti o in prigione, vivere nella miseria e nell’emarginazione perché ci sottrae la nostra terra per darla alle grandi imprese ed ai politici corrotti affinché si arricchiscano, mentre le nostre comunità muoiono di fame, senza ospedali né scuole. Vengono qua solo in campagna elettorale a lasciare le loro briciole per ingannare la gente ed approfittare dei loro bisogni. Respingiamo questa mala politica che sfrutta il popolo, per questo oggi, noi come organizzazione, con le nostre comunità, in assemblea abbiamo deciso di recuperare le terre che ci erano state sottratte dal malgoverno il 2 febbraio 2011, con la complicità del commissario ejidale di allora di San Sebastián Bachajón, Francisco Guzmán Jiménez, alias el goyito ed ora del suo fedele discepolo Alejandro Moreno Gomez ed l suo consigliere Samuel Díaz, che sono al serizio del malgoverno e non del popolo.

Riteniamo responsabili i tre livelli del malgoverno rappresentati dai leader paramilitari Enrique Peña Nieto, Manuel Velasco Coello e Leonardo Guirao Aguilar, di ogni aggressione contro i nostri compagni e compagne che proteggeranno le terre recuperate e che legalmente e legittimamente appartengono al popolo tzeltal di San Sebastián Bachajón e non al malgoverno, che diffidiamo dall’avvicinarsi con i suoi poliziotti o paramilitari.

Chiediamo la liberazione dei nostri prigionieri a Yajalón JUAN ANTONIO GOMEZ SILVANO, MARIO AGUILAR SILVANO e ROBERTO GOMEZ HERNANDEZ; di SANTIAGO MORENO PEREZ, EMILIO JIMENEZ GOMEZ detenuti a Playas de Catazajá; di ESTEBAN GOMEZ JIMENEZ detenuto a El Amate.

Chiediamo a tutti i compagni e compagne, organizzazioni, popoli e comunità del Messico e del mondo di vigilare e di dare la loro solidarietà alla nostra lotta perché insieme possiamo vincere i soprusi e la repressione del malgoverno.

Esprimiamo il nostro totale rifiuto dei megaprogetti di sfruttamento contro i popoli del Chiapas e di tutto il paese, per questo manifestiamo tutta la nostra solidarietà ai compagni e compagne dell’ejido Tila, Los Llanos, Candelaria, San Francisco Xochicuautla, la Tribù Yaqui, compagni e compagne di Puebla, Morelos, Tlaxcala, Oaxaca ed a tutti i popoli che combattono contro la prigione, la morte e la repressione del malgoverno e diciamo loro che continuino a lottare perché non sono soli.

Dalla zona nord dello stato del Chiapas, le donne e gli uomini di San Sebastián Bachajón mandano combattivi saluti.

Nunca más un México sin nosotros.

Atentamente

¡Tierra y libertad! ¡Zapata Vive!

¡Hasta la victoria siempre!

Presos políticos ¡Libertad!

¡Juan Vázquez Guzmán Vive, la Lucha de Bachajón sigue!

¡Juan Carlos Gómez Silvano Vive, la Lucha de Bachajón sigue!

¡No al despojo de los territorios indígenas!

¡Presentación inmediata de los compañeros desaparecidos de Ayotzinapa!

¡JUSTICIA PARA AYOTZINAPA, ACTEAL, ABC, ATENCO!

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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festivalLa Vigilia del Festival

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

19 dicembre 2014

Al Congresso Nazionale Indigeno:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Compas:

Vi mandiamo i nostri saluti. Vi scriviamo per informarvi di come sta andando l’iscrizione dei partecipanti al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e delle Ribellioni contro il Capitalismo: “Dove quelli di sopra distruggono, quelli di sotto ricostruiscono”.

1.- Popoli Originari del Messico.- Hanno confermato la loro partecipazione rappresentanti di organizzazioni, autorità tradizionali e persone dei seguenti popoli originari:

Yaqui.
Yoreme-mayo.
Guarijío.
Tohono Odham (pápago).
Wixárika (huichol).
Náyeri (cora).
Nahua.
Coca.
Zoque.
Purhépecha.
Ñahñú (otomí).
Totonaco.
Popoluca.
Migrantes en ciudad (purhépecha, mazahua, mayo, tojolabal, nahua).
Ñahtó (otomí).
Mazahua.
Mephá (tlapaneco).
Na savi (mixteco).
Nancue ñomndaa (amuzgo).
Tojolabal.
Tzeltal.
Tzotzil.
Chol.
Maya peninsular.
Zoque (ampeng).
Binnizá (zapoteco).
Chinanteco.
Ñu savi (mixteco).
Afromestizo.
Triqui.
Cuicateco,
Mazateco,
Chatino.
Mixe.
Ikoot.

2.- Della Sexta in Messico: singole/i, collettivi, gruppi, organizzazioni dei 32 stati della federazione.

3.- Della Sexta Internazionale: singole/i, collettivi, gruppi, organizzazioni dei seguenti paesi:

Messico.
Germania.
Argentina.
Australia.
Belgio.
Brasile.
Canada.
Cile.
Colombia.
Corea del Sud.
Danimarca.
Ecuador.
Spagna.
Stati Uniti.
Francia.
Grecia.
Guatemala.
Honduras.
Inghilterra.
Iran.
Italia.
Norvegia.
Paesi Baschi.
Russia.
Svizzera.
Tunisia.

4.- Vi ricordiamo che la grande inaugurazione si terrà domenica 21 dicembre 2014 nella comunità Ñathó, San Francisco Xochicuautla, municipio di Lerma, Stato del Messico, Messico, alle ore 14:00.

Le condivisioni avranno luogo a San Francisco Xochicuautla ed a Amilcingo, municipio di Temoac, Morelos, nei giorni 22 e 23 dicembre 2014.

I giorni 24, 25 e 26 dicembre a Città del Messico si terrà un Grande Festival Culturale a el Lienzo Charro, a Cabeza de Juárez, Avenida Guelatao #50, Colonia Álvaro Obregón, Delegación Iztapalapa, Messico D.F.

Le condivisioni proseguiranno i giorni 28 e 29 dicembre 2014 a Monclova, municipio di Candelaria, Campeche, Messico.

I giorni 31 dicembre 2014 e 1° gennaio 2015 si svolgerà la Festa della Ribellione e della Resistenza Anticapitalista nel caracol di Oventik, Chiapas, dove avremo l’onore di ricevere todoas, tutte e tutti.

I giorni 2 e 3 gennaio 2015 si terrà la plenaria dele conclusioni, accordi e pronunciamenti presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Il giorno 3 gennaio 2015 ci sarà la chiusura del Festival presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Per l’iscrizione su invito l’indirizzo di posta elettronica è catedratatajuan@gmail.com. Per partecipare al festival culturale l’indirizzo di iscrizione è comparticioncultural@gmail.com.

5.- Gli ospiti d’onore, i famigliari e compagni degli studenti di Ayotzinapa, che mancano a tutt@ noi, hanno confermato la loro partecipazione. Cosicché tutt@ avremo l’opportunità di ascoltarli.

6.- Infine vi informiamo che i nostr@ delegat@ sono pronti a partecipare con ascolto attento e rispettoso. Saremo a volto scoperto per non essere riconosciuti. O meglio, per essere riconosciuti come alcun@ tra i tanti nostri compagni, compagne e compañeroas della Sexta.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Dicembre 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Video delle testimonianze dei sopravvissuti subito dopo il massacro di Acteal

http://regeneracion.mx/causas-justas/matanza-de-acteal-crimen-de-estado-video-inedito/

Regeneración, 18 dicembre 2014. -Il 22 dicembre 1997, ad Acteal, municipio di Chenalhó, Chiapas, paramilitari del PRI, armati ed addestrati dai soldati, assassinarono 45 indigeni, in maggioranza donne e bambini, che stavano pregando in una cappella. Militari e poliziotti restarono a 200 metri da luogo senza intervenire. Le autorità statali e federali furono informate dei fatti ma anche loro non fecero nulla.

Era un mssacro annunciato e indotto dal governo di Zedillo nell’ambito dell’offensiva militare contro le comunità zapatiste e la dirigenza dell’EZLN.

Dopo 17 anni questo crimine di Stato è ancora impunito. I rei confessi del crimine sono stati liberati e sugli autori intellettuali, come Emilio Chuayfett ed Ernesto Zedillo, nessuno indaga.

I sopravvissuti raccontano, il giorno dopo il massacro, come sono andati i fatti e come le autorità sono state complici del crimine.

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Minacce di sgombero ed aggressioni da parte della CIOAC-H contro famiglie tojolabal simpatizzanti dell’EZLN

Frayba Acción Urgente No. 4

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico 17 dicembre 2014

 

Questo Centro dei Diritti Umani ha ricevuto informazioni documentate ed accertate relative a minacce di sgombero ed aggressioni contro famiglie originarie della comunità Primero de Agosto simpatizzanti dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), azione perpetrata da membri della Central Independiente Obrera Agrícola Campesina Histórica (CIOAC-H), che sono protetti dal governo municipale di Las Margaritas.

Secondo le informazioni raccolte, oggi 17 dicembre 2014, intorno alle ore 6:00, sono entrate nella comunità Primero de Agosto, 50 persone membri della CIOAC-H provenienti dall’ejido Miguel Hidalgo, tutte armate di bastoni, machete e qualcuno con armi da fuoco.

La situazione di violenza è critica poiché un gruppo di persone della CIOAC-H sta aggredendo le famiglie simpatizzanti dell’EZLN, distruggendo i recinti degli animali e distruggendo le case.

Questo Centro dei Diritti Umani chiede in maniera Urgente ai governi federale e statale:

Primo: Si protegga in maniera urgente la vita e l’integrità fisica delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN della comunità Primero de Agosto

Secondo: Si impedisca lo sgombero forzato delle famiglie simpatizzanti dell’EZLN, rispettando e garantendo i diritti sanciti nelle dichiarazioni ed accordi internazionali in relazione all’autonomia ed alla libera determinazione dei popoli indigeni.

Terzo: Si puniscano i membri della CIOAC-H che stanno distruggendo i beni ed aggredendo le famiglie della comunità Primero de Agosto.

Precedenti:

17 famiglie tojolabal, spinte dalla necessità di lavorare ed avere accesso alla terra, si sono impossessate di un terreno incolto chiamato “predio el Roble”, terreno che non era occupato da nessuno, né appartiene all’ejido Miguel Hidalgo. Queste terre sono state recuperate nell’anno 1994 dall’EZLN.

Le famiglie di Primero de Agosto hanno subito aggressioni e minacce da parte di ejidatarios di Miguel Hidalgo, da quando questi si sono impossessati delle terre nel 2013.

Questo Centro dei Diritti Umani si è già rivolto alle autorità del municipio di Las Margaritas fin dal principio del conflitto, con fascicolo 052-004-13/EAI-115/2013. Ciò nonostante la situazione di violenza nella zona è aumentata al punto che il giorno 9 maggio del 2014, Arturo Pérez López era stato ferito gravemente al collo con un colpo di machete da Aureliano Méndez Jiménez, Segretario del Consiglio di Vigilanza di Miguel Hidalgo e membro della CIOAC-H, senza che le autorità abbiano mai agito al riguardo.

Infine chiediamo la solidarietà della società civile nazionale ed internazionale nella diffusione dei fatti denunciati, firmando ed inviando questa azione urgente alle autorità in elenco.

Grazie per inviare gli appelli a:

Lic. Raul Plascencia Villanueva Presidente de la Comisión Nacional de los Derechos Humanos Periférico Sur 3469, Col. San jerónimo Lidice, Delegación Magdalena Contreras, C.P. 10200, México D.F. Teléfonos: (55) 56 81 81 25 y (55) 54 90 74 00

Inviare con copia a: Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos, CP: 29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548 Correo: accionesurgentes@frayba.org.mx

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Info-cdhbcasas mailing list

Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org

http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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ostula

Denuncia di attacco paramilitare contro comuneros di Santa María Ostula

AI POPOLI DEL MESSICO ED AI POPOLI DEL MONDO

ALLA RETE CONTRO LA REPRESSIONE E PER LA SOLIDARIETÀ

AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ALLA SEXTA NAZIONALE ED INTERNAZIONALE

Oggi, 16 dicembre 2014, intorno alle tre del pomeriggio un gruppo di 5 persone armate ha teso un’imboscata ad alcuni comuneros di Santa María Ostula, Municipio di Áquila Michoacán, sulla strada costiera numero 200 Manzanillo-Lázaro Cárdenas. Il gruppo di narco-paramilitari voleva uccidere Cemeí Verdía; Comandante ella Polizia Comunitaria di Ostula e Coordinatore Generale delle Autodifese della Costa di Michoacán.

Qualche minuto prima dell’aggressione, Cemeí Verdía insieme ad un gruppo di comuneros di Ostula era arrivato nel villaggio di La Placita, proveniente dal municipio di Coahuayana, dove si erano fermati pochi minuti prima di riprendere la strada costiera 200 in direzione della comunità di Ostula, uno dei camioncini su cui viaggiavano i comuneros è partito per primo e vicino alla località La Peña e stato attaccato dagli uomini armati. In questo attacco sono stati gravemente feriti José Mora Mendoza (24 anni), Félix Mejía Valdovinos (24 anni), Salvatore Mejía Valdovinos (28 anni) ed il bambino Miguel Mejía Mora (5 anni). Tutti sono familiari di José Mora funzionario di Xayakalan, fondata il 29 giugno 2009 sulle terre che la comunità ha recuperato dalle mani di narcotrafficanti e piccoli proprietari del villaggio di La Placita. I comuneros feriti sono stati trasportati d’urgenza nell’ospedale di Tecomán, Colima.

Istanti dopo l’aggressione, la Polizia Comunitaria di Ostula è partita alla caccia degli aggressori riuscendo a fermare Jonathan Aguilar Juan, alias “La changa”, il quale ha confessato che il gruppo armato era formato da cinque persone e guidato da Luis N., alias “el Caracol” che ha partecipato anche alla tortura e successivo assassinio di Trinidad de la Cruz, Don Trino, il 6 dicembre 2011, crimine rimasto impunito. L’aggressore catturato ha detto che la loro intenzione era assassinare Cemeí Verdía, ma hanno sbagliato a colpire l’auto sulla quale viaggiava, e che l’ordine di eseguire l’attacco è stato dato da Federico González, alias “Lico”, capo del cartello dei cavalieri Templari nel municipio di Aquila, e da Mario Álvarez, ex presidente municipale di Aquila ed ex-deputato del PRI.

Bisogna segnalare che Federico González, alias “Lico”, e Mario Álvarez sono i responsabili dei 32 omicidi e 4 sparizioni di comuneros di Ostula tra il 2009 ed il 2012.

La violenza e le aggressioni contro i membri della comunità continuano sotto gli occhi complici dei governi federale, statale e locale.

Chiediamo alla società civile nazionale ed internazionale, così come alle organizzazioni sociali e dei diritti umani solidali, di vigilare su quello che succede nella regione e non permettere un nuovo assassinio, un nuovo sequestro, un nuovo sopruso contro la comunità di Santa María Ostula.

Equipo de Apoyo y Solidaridad con la Comunidad Indígena de Santa María de Ostula.

Messico, 16 dicembre 2014

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/12/18/denuncia-de-ataque-paramilitar-contra-comuneros-de-santa-maria-ostula/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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bergamo ayotzinapa

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Di Ayotzinapa, del Festival e dell’isteria come metodo di analisi e linea di condotta. Subcomandante Insurgente Moisés

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERZIONE NAZIONALE. MESSICO.

Dicembre 2014.

Alle compagne e ai compagni della Sexta nazionale e internazionale: Al Congresso Nazionale Indigeno: Ai familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa:

Sorelle e fratelli:

Ci sono molte cose che vorremmo dirvi. Non le diremo tutte perché sappiamo che ora ci sono questioni più urgenti e importanti per tutte, tutti e tuttei. Ma in ogni caso sono molte cose ed è lunga la nostra presa di parola. Pertanto vi chiediamo pazienza e una lettura attenta.

Noi, le e gli zapasti, qui stiamo. E da qui guardiamo, ascoltiamo, leggiamo che la parola di familiari e compagni degli assassini e scomparsi di Ayotzinapa inizia a restare alle spalle e che ora, per una parte di quelli di là, è più importante…

la parola di altri e altre dalle tribune;

la discussione se i cortei e le manifestazioni appartengano a quelli di buone maniere o ai maleducati;

la discussione su quale tema è più menzionato a maggior velocità nelle reti sociali;

la discussione sulla tattica e la strategia da seguire per “trascendere” il movimento.

E pensiamo che continuano a mancare i 43 di Ayotzinapa, i 49 dell’asilo ABC, le decine di migliaia di assassinate/i e scomparse/i nazionali e migranti, i prigionieri e gli scomparsi politici.

E pensiamo che continua a essere sequestrata la verità, continua a darsi per scomparsa la giustizia.

E pensiamo anche che bisogna rispettare la legittimità e autonomia del vostro movimento.

Le vostre voci, noi zapatisti le abbiamo ascoltate a tu per tu. Migliaia di basi d’appoggio zapatiste lo hanno fatto, e le vostre voci sono poi giunte a decine di migliaia di indigeni. La vostra voce ha quindi parlato in tzeltal, in chol, in tojolabal, in tzotzil, in zoque, in castigliano al nostro cuore collettivo.

Queste voci hanno giudizio, sanno di che parlano, ed è il vostro cuore come il nostro quando diviene dolore e rabbia. Conoscete la vostra strada e la percorrete.

Vi sapete voi. Ci sapete a noi nella rabbia e nel dolore. Non abbiamo nulla da insegnarvi, noi. Abbiamo tutto da imparare da voi.

Perciò ora, quando la vostra voce vuol essere coperta, zittita, dimenticata o distorta, vi mandiamo la nostra parola per abbracciarvi.

Perciò diciamo che la prima cosa, la più importante e urgente, è ascoltare i familiari e compagni dei desaparecidos e assassinati di Ayotzinapa. Sono queste voci ad aver toccato il cuore di milioni di persone in Messico e nel mondo.

Sono queste voci che ci hanno indicato il dolore e la rabbia, che hanno denunciato il crimine e mostrato il criminale.

L’importanza di queste voci è riconosciuta tanto dal governo, che cerca di delegittimarle, quanto dagli avvoltoi, che cercano di distorcerle.

Cerchiamo di restituire il loro luogo e la loro direzione a queste voci.

Queste voci hanno resistito alla calunnia, hanno resistito al ricatto, hanno resistito alla corruzione. Queste voci non si sono vendute, non si sono arrese, non hanno zoppicato.

Queste voci sono solidali. Abbiamo saputo, ad esempio, che quando si accumulavano giovani nelle carceri, e quelli “di buone maniere” consigliavano a quelle voci di non soffermarsi sugli arrestati, che la loro liberazione non era importante perché tanto il governo stava “infiltrando” le mobilitazioni, le voci degne e ferme dei familiari e compagni dei 43 hanno detto, parola più parola meno, che per loro la questione della libertà dei detenuti era parte della lotta per la ricomparsa dei desaparecidos. Ovvero, come si dice, queste voci non si sono fatte ricattare né hanno acquistato la paccottiglia a buon mercato degli “infiltrati”.

Certo, queste voci hanno avuto la fortuna di trovare una popolazione ricettiva nella sua coppia di base: la sazietà e l’empatia. La sazietà di fronte alle forme “classiche” del Potere, e l’empatia tra chi soffre i suoi abusi e costumi.

Però questo si poteva ritrovare già in calendari e geografie diverse. Ciò che pone Ayotzinapa sulla mappa mondiale è la dignità dei familiari e compagni dei giovani assassinati e desaparecidos. La loro tenace e intransigente insistenza nella ricerca di verità e giustizia.

E nella vostra voce si sono riconosciuti molte e molti in tutto il pianeta. Nelle vostre parole hanno parlato altri dolori e altre rabbie.

E le vostre parole ci sono giunte a ricordare molte cose. Ad esempio:

Che la polizia non indaga su furti; la polizia sequestra, tortura, fa sparire e assassina persone con o senza affiliazione politica.

Che le istituzioni attuali non sono il luogo atto a dare risposte all’indignazione, le istituzioni sono proprio ciò che provoca indignazione.

Che il sistema non ha soluzioni al problema perché è esso stesso il problema.

Che, da tempo e in molti luoghi:

i governi non governano, simulano;

i rappresentanti non rappresentano, soppiantano;

i giudici non impartiscono giustizia, la vendono;

i politici non fanno politica, fanno affari;

le pubbliche forze dell’ordine non sono pubbliche e non impongono altro ordine che il terrore al servizio di chi paga di più;

la legalità è il travestimento dell’illegittimità;

gli analisti non analizzano, traslano le loro fobie e le loro preferenze sulla realtà;

i critici non criticano, assumono e diffondono dogmi;

gli informatori non informano, producono e distribuiscono parole d’ordine;

i pensatori non pensano, si bevono le fesserie di moda;

il crimine non si castiga, si premia;

l’ignoranza non si combatte, si esalta;

la povertà è la ricompensa per chi produce le ricchezze.

Perché risulta, amici e nemici, che il capitalismo si nutre della guerra e della distruzione.

Perché è finita l’epoca in cui i capitali avevano bisogno di pace e stabilità sociale.

Perché nella nuova gerarchia dentro al capitale, la speculazione regna e comanda, e il suo è il mondo della corruzione, dell’impunità e del crimine.

Perché risulta che l’incubo di Ayotzinapa non è locale, né statale, né nazionale. E’ mondiale.

Perché risulta che non si va soltanto contro giovani, né soltanto contro uomini. E’ una guerra con molte guerre: la guerra contro il diverso, la guerra contro i popoli originari, la guerra contro la gioventù, la guerra contro chi, con il suo lavoro, fa andare avanti il mondo, la guerra contro le donne.

Perché risulta che il femminicidio è tanto annoso, quotidiano e ubiquo in tutte le ideologie, che è già “morte per cause naturali” all’apertura delle indagini.

Perché risulta che è una guerra che ogni tanto prende nome in un calendario e in una geografia qualsiasi: Erika Kassandra Bravo Caro: donna, giovane, lavoratrice, messicana, 19 anni, torturata, assassinata e scuoiata nel “pacificato” (secondo le autorità civili, militari e mediatiche) stato messicano di Michoacán. “Un crimine passionale”, diranno, come quando si dice “vittime collaterali”, come quando si dice “un problema locale in un municipio del provinciale stato messicano di… (metti il nome di qualsiasi entità federativa)”, come quando si dice “è un fatto isolato, bisogna superarlo”.

Perché risulta che Ayotzinapa ed Erika non sono l’eccezione, ma la riaffermazione della regola nella guerra capitalista: distruggere il nemico.

Perché risulta che in questa guerra il nemico siamo tutte, tutti, tutto.

Perché risulta che è la guerra contro tutto, in tutte le sue forme e in ogni luogo.

Perché risulta che è di questo che si tratta, di questo si è trattato sempre: di una guerra, ora contro l’umanità.

In questa guerra, quelli di sotto hanno trovato nei familiari e compagni degli assenti di Ayotzinapa un eco amplificato della loro storia.

Non più soltanto nel loro dolore e rabbia, ma soprattutto nel loro testardo impegno di trovare giustizia.

E con la loro voce sono terminate le menzogne del conformismo, del “sopportiamo tutto”, del “non succede nulla”, de “il cambiamento è in se stessi”.

Tuttavia, nel mezzo del dolore e della rabbia, di sopra volteggiano nuovamente gli avvoltoi, sull’estesa macchia delle morti e sparizioni menzionate.

Perché laddove alcuni contano le assenze ingiustificate, altri contano voti, vetri, incarichi, nomine, intestazioni, marce, firme, likes, follows.

Ma non bisogna lasciare che ciò che realmente conta e importa rimanga in subordine.

Noi, le e gli zapatisti dell’EZLN, pensiamo che è talmente importante ottenere che riprendano il loro posto le voci dei familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, che abbiamo deciso:

  1. Di cedere il nostro spazio al Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo ai familiari e compagni dei Normalisti di Ayotzinapa assassinati e desaparecidos. Pensiamo che nelle loro voci e nelle loro orecchie ci saranno echi generosi verso e per tutte e tutti coloro che, essendo o non essendo presenti, parteciperanno al Festival.
  2. Per questo ci siamo rivolgendo alle compagne e ai compagni del Congresso Nazionale Indigeno nelle distinte sedi, alla Commissione Congiunta del CNI-Sexta per il Festival Culturale, e a chi avrebbe appoggiato la nostra delegazione per ciò che riguarda i trasporti, l’alloggio, l’alimentazione, la sicurezza e la salute, per chieder loro di dedicare e applicare i loro sforzi ai familiari e compagni dei Normalisti di Ayotzinapa che oggi mancano a tutte e tutti noi. Perciò chiediamo che li seguano, ascoltino e gli parlino come fossero i 20 zapatisti, 10 donne e 10 uomini, che avrebbero formato la nostra delegazione.
  3. Per questo chiediamo, rispettosamente, ai familiari e compagni degli assenti di Ayotzinapa che accettino il nostro invito e nominino, al loro interno, una delegazione di 20 persone, 10 donne e 10 uomini, e partecipino come invitati d’onore al Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo che sarà celebrato dal 21 dicembre 2014 al 3 gennaio 2015. Per noi zapatiste e zapatisti è stato molto importante ascoltarvi direttamente. Crediamo che sarà molto ben fatto che tutte le persone che assisteranno al festival abbiano lo stesso onore che è stato concesso a noi. E crediamo anche che vi apporterà molto la conoscenza di altre resistenze e ribellioni sorelle in Messico e nel mondo. Potrete vedere allora quanto è grande ed esteso il “non siete soli”.
  4. L’EZLN parteciperà al Festival. Il nostro orecchio attento e rispettoso sarà lì come uno in più tra le nostre compagne e i nostri compagni della Sexta. Non su palchi o in luoghi speciali. Staremo come ombre, uniti a tutte e tutti, tra tutte e tutti, dietro a tutte e tutti.
  5. La nostra parola per la condivisione è già in un video. Si è data indicazione a “Los Tercios Compas” affinché lo facciano arrivare al momento opportuno nelle diverse sedi del Festival e ai Media Liberi, Alternativi, Indipendenti, Autonomi o come si chiamino, che sono della Sexta, affinché lo diffondiate, se lo considerate pertinente, nei vostri tempi e modi.
  6. Il 31 dicembre 2014 e nel giorno primo dell’anno 2015 sarà un onore per noi ricevere, nel caracol di Oventik, come invitati speciali le donne e gli uomini che, con il loro dolore e la loro rabbia, hanno inalberato in tutto il pianeta la bandiera della dignità che siamo in basso a sinistra.
  7. E non solo, ne approfittiamo anche per invitare tutte, tutti e tuttei quelli della Sexta nazionale e internazionale, incappucciati o no, a partecipare a questa grande condivisione, a parlare delle loro storie e ad ascoltare l’altra, l’altro, l’altroa.

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Dell’isteria come metodo di analisi e linea di condotta.

Noi, le e gli zapatisti, qui stiamo. Da qui vi guardiamo, ascoltiamo, leggiamo.

Nelle recenti mobilitazioni per la verità e la giustizia per i normalisti di Ayotzinapa, si è ripetuta la disputa per imporre il carattere delle mobilitazioni, ora arrivando alla criminalizzazione di chi coincide con uno stereotipo collaudato: giovani, con il volto coperto, vestiti di nero, e che sono o sembrano anarchici. Insomma, sono di cattive maniere. E come tali devono essere espulsi, additati, detenuti, catturati, consegnati alla polizia o alla giusta ira dei settori progressisti.

A questo si è arrivati con reazioni coincidenti o vicine all’isteria in alcuni casi, e alla schizofrenia in altri, impedendo un’argomentazione ragionata e un dibattito necessario.

Anche se abbiamo già assistito in precedenza a tutto questo (nello sciopero della UNAM 1999-2000, nel 2005-2006, nel 2010-2012), il rilancio di questo metodo di analisi e linea di condotta della sinistra di buone maniere, permette alcune riflessioni:

I familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, come quelli di decine di migliaia di desaparecidos e assassinati, non chiedono carità o condoglianze, ma verità e giustizia.

Chi è che può stabilire che queste domande, che sono le domande di qualsiasi essere umano in qualsiasi parte del mondo, debbano esprimersi nella tale o talaltra forma? Chi scrive il “manuale delle buone e cattive maniere” per esprimere il dolore, la rabbia, la discordanza?

Ma va bene, si può e si deve dibattere su come calza meglio la parola “compagn*”. Se con una voce enfatica dall’alto di una tribuna o se con un vetro rotto. Se con un “Trending Topic” o se con una camionetta della polizia in fiamme. Se con un blog o con un graffito. O magari con tutte o magari con nessuna di queste cose, e ognuno a modo suo crea, costruisce, mette in piedi il proprio modo di appoggiare una lotta.

Ma nemmeno chi ha l’autorità morale e la statura umana per dire “così sì” o “così no”, ovvero i familiari e compagni di quelli che mancano di Ayotzinapa, lo ha fatto.

Dunque, chi ha assegnato gli incarichi di commissari del buon comportamento per l’appoggio e la solidarietà? Da dove viene questo allegro additare gli uni o le altre come “agenti del governo”, “infiltrati” e, orrore degli orrori, “anarchici”?

/ E’ ridicolo che si argomenti “questi non sono studenti, sono anarchisti”. Qualsiasi anarchico ha più bagaglio culturale e conoscenze scientifiche e tecniche della media di chi, come poliziotti del pensiero, li addita e ne chiede il rogo. Per non parlare di chi fa motivo di vanto e orgoglio della stupidità e dell’illegalità come metodo poliziesco (“piaccia o non piaccia”) nel governo di Città del Messico. /

Ma, certo, si può inventare un fantoccio preconfezionato (una specie di anarcoinsurrezionalista regione 4) e ridicolizzarlo assegnandogli un corpo teorico caricaturale, perché possa essere spacciato senza inconvenienti in qualsiasi ministero pubblico mediatico o giudiziatio (certo, se è videoregistrata la sua detenzione, altrimenti, tanto, chi ne sentirà la mancanza?). Dopotutto, l’informazione “giornalistica” proviene da fonti affidabili: le delazioni e la polizia politica.

Non è la stessa cosa additare (chi addita accusa, giudica e condanna, e chiede che la polizia esegua la sentenza), e dibattere. Perché per additare è necessario soltanto essere alla moda (che è comodo, facile, e, ebbene sì, aumentano i “likes” e i “follows“). Per additare non è necessaria un’indagine argomentata, basta “postare” alcune foto.

Così nascono i grandi idilli tra i “leader d’opinione” e le masse dei “seguaci”: la fede cieca sintetizzata in 140 caratteri.

Da “io ti seguo e tu mi segui” a “vissero felici e contenti”, a “Non mi ami perché non mi dai RT né Fav né like. Cambierò Sinsajo*”. (*uccello mitologico inventato da Suzanne Collins, autrice di Hunger Games, che in originale suona “Mockingjay”, N.d.T.).

Per dibattere bisogna indagare (attenzione: al di là del fatto che ci siano differenti anarchismi; attenzione reiterata: al di là che l’ “azione diretta” non è necessariamente violenta), pensare, argomentare e, arghhh!, la cosa più pericolosa e difficile: ragionare.

Dibattere è difficile e scomodo. E ci sono conseguenze per chi dibatte (dico, oltre ai pollici versi, i medi alzati e i “non ti seguo più” a cascata).

Nessun problema, poi c’è gente che non percorre la vita cercando di rendere gradito, di conformare, incassare, attrarre.

Dietro ogni essere critico c’è una lunga lista di “seguaci” che disertano, traslocando dove non si debba pensare e dove il RT non sia un autogol.

E quando il giornalismo “prog” supplisce alle fuzioni del pubblico ministero e accusa, interroga, conclude e condanna, sta additando o dibattendo?

O si tratta di dibattere così? Gli anarchici nelle carceri perseguitati o esiliati, e le buone coscienze negli editoriali, nei microfoni e nel cinguettare?

Ok, ok, ok. Ma almeno siamo d’accordo sull’appoggiare i familiari e compagni degli assassinati e desaparecidos di Ayotzinapa, o questo ormai non importa?

Nemmeno i bambini nell’asilo ABC, i desaparecidos di Coahuila, i migranti ignorati, i “danni collaterali” della guerra, le donne violentate e assassinate tutti i giorni a tutte le ore in tutti i luoghi in tutte le ideologie?

Importano solo il cambio di nome delle poltrone o il promuovere il lavoro nelle ditte di vetri, cristalli e mensole?

Coloro che insistono nella via elettorale come opzione unica ed escludente, non sono stati accusati di essere “infiltrati”, “sbirri”, “provocatori” o “soldati di leva in abiti civili”. Li si accusa come illusi, ingenui, stupidi, tonti, cercalavoro, opportunisti, intolleranti, ambiziosi, avvoltoi, tiranni e despoti. Be’, anche come fascisti. Ma non come “infiltrati”, sebbene più di uno quadri alla perfezione con il profilo reale di agente governativo o poliziotto politico.

Sappiamo che gli uni e gli altri sono grandi strateghi (basta vedere i risultati che hanno ottenuto), pensano, propongono e impongono che “bisogna trascendere la mobilitazione”. Gli uni con marce benvestite ed educate cercando di contenere e arginare; gli altri con l’azione diretta, violenta ed escludente della rabbia.

Gli uni e gli altri con l’anelito avanguardista, da élite esclusiva, di dirigere, egemonizzare e omogeneizzare la diversità su modi, tempi e luoghi.

Dal “se rompi un vetro sei infiltrato” al “se non lo rompi… pure”.

Per gli uni e gli altri ciò che conta è il centro geografico e ciò che in esso converge: il potere politico, economico e mediatico.

Se non accade a Città del Messico, non importa, non ha validità, non conta. Lo “storico” è loro patrimonio esclusivo.

Non esistono per essi mobilitazioni nel Guerrero, Oaxaca, Jalisco, Veracruz, Sonora, e altri angoli del Messico e del mondo.

Ma poiché negli uni e negli altri regna la pigrizia per l’analisi critiva, non si rendono conto che non è lì il centro del Potere.

Là sopra le cose sono cambiate, e molto.

Finché si continuerà ad abbandonare l’analisi seria e profonda del nuovo carattere del Potere, seguendo a ruota i calendari di sopra (elettorali e istituzionali) da una data all’altra, o la pressione del “bisogna far qualcosa, qualsiasi cosa” anche se inutile e sterile, si continueranno a reiterare gli stessi metodi di lotta, gli stessi riflussi, le stesse sconfitte.

Verso un dibattito serio:

Sulle azioni dirette nel corso dei cortei di Città del messico, l’8 e il 20 novembre e il 1 dicembre 2014, chissà non sia il caso di ricordare le seguenti parole di Miguel Amorós:

“In tali eventi la sola presenza di cittadinisti e loro alleati basta per seminare la confusione e convertire le migliore intenzioni radicali in puro attivismo, integrato senza difficoltà nello spettacolo e pertanto manipolabile, come argomento dei governanti per giustificare gli eccessi della forza pubblica o come alibi dei cittadinisti per giustificare il fallimento delle loro aspettative. L’attivismo -violento o solo ideologico- è il miglior rivelatore dell’obsolescenza della rivolta al riflettere la povertà teorica e la debolezza strategica dei nemici del capitale e dello Stato. Incalzati gli attivisti dalla necessità di fare “qualcosa”, gli si puntano contro i cannoni, e cadono pertanto nella trappola mediatica e spettacolare, che li taccia di teppisti e provocatori. Il risultato non è utile che ai governi, ai partiti e agli pseudomovimenti, spazzatura che esiste giusto per impedire la più remota possibilità di una lotta autonoma o di un pensiero rivoluzionario”. Amorós, Miguel. “El Ocaso de la Revuelta”, Ottobre 2001. In “Golpes y Contragolpes”, Pepitas de calabaza ed. & Oxígeno dis. Spagna 2005.

Quel che segue: requisiti per manifestare:

Per lui: tessera elettorale o carta d’identità, comprovante il domicilio (se non ha casa di proprietà, copia del contratto d’affitto; se ce l’ha ipotecata, che cosa ci fa lei qui?), giacca e cravatta (no, smoking no, non bisogna ancora esagerare, quello è per quando attraverseremo trionfanti, portati a spalla dalla moltitudine, la sacra porta che gli incoscienti hanno preteso distruggere), mani e facce pulite, senza tatuaggi visibili, senza piercing, senza pettinature strampalate (strampalato: ciò che non appare nelle riviste di moda), scarpe classiche (niente scarpe da tennis o stivali), firmare una contratto con il quale ci si impegna a rispettare qualsiasi segno di autorità e/o di potere in qualsiasi accezione, così come segnalare qualsiasi attitudine o intenzione di separarsi da queste regole.

Per lei: la stessa roba ma con vestito completo. Oh, mi dispiace, sì, bisogna pettinarsi.

Per luei: non ha i requisiti per manifestare. Per cortesia proceda al water successivo.

Dell’avanguardia del proletariato e di quelli di buone e cattive maniere:

Vi rendiamo noto, perché crediamo non lo sappiate, che il Sindacato Messicano degli Elettricisti (SME) ha negato, al CNI e all’EZLN, il prestito di una delle sue strutture per la celebrazioni e le attività culturali, nel Distretto Federale, del Primo Festival Mondiale delle Resistenze e Ribellioni contro il Capitalismo: “Dove quelli di sopra distruggono, noi di sotto ricostruiamo”.

Prima della campagna del “comportati bene e dì NO ai cappucci”, lo SME aveva concesso, generoso, uno dei suoi locali per la festa culturale. Man mano che ha preso piede la campagna del “non temere lo Stato, temi il differente”, sono apparsi i pretesti che preparavano la strada: “è che ci sono le vacanze, non abbiamo chi possa seguire la cosa, non passeremo il Natale così”.

Poi sono stati più chiari e ci hanno detto: “che un settore dentro allo SME era contrario a ciò che si facesse in solidarietà con altre lotte, che in assemblea si era stabilita la necessità di finirla con la storia di stare con quelli di Ayotzinapa, che non era possibile stare da un lato ai negoziati con il governo e dall’altro con un movimento di giovani incazzati, incappucciati, che stavano facendo azioni come quella del Palazzo; e che avevano dovuto bloccare la storia dell’arrivo di giovani che volevano fare sosta nell’impianto sportivo (si riferisce al luogo, proprietà dello SME, che avrebbero prestato), quando sarebbero arrivate le carovane, che poi voi (la Sexta e il CNI) e i vostri incappucciati (nel ruolo degli incappucciati: l’EZLN) che volete fare il vostro festival, che non si può, che cercatevi un altro posto, che sperano che li capiamo”.

Hanno detto altre cose, ma si riferiscono a questioni interne dello SME che non ci spetta ripetere né diffondere.

E quindi? I compagni del Congresso Nazionale Indigeno avevano proposto che fosse in un locale dello SME come riconoscimento e saluto alla loro lotta e resistenza, e noi avevamo appoggiato la loro proposta. E ancora da quelle parti c’è chi pensa che le purghe esisteranno fino all’improbabile momento nel quale l’avanguardia proletaria prenda il Potere.

E allora noi, le e gli zapatisti, comprendiamo. Ma non capiamo. Non capiamo come è potuto accadere che un movimento che ha sofferto una campagna con ogni sorta di calunnie, menzogne e aggressioni (anche più di quella che ora subiscono giovani, anarchici e non anarchici, incappucciati e non incappucciati, studenti e studiosi) come lo SME, si è arreso alla moda di criminalizzare il diverso. Non capiamo come possiate sottoscrivere la moda di turno e decidere di entrare nella cerchia delle buone coscienze e dissociarvi da chi non solo vi rispetta(va), ma per di più vi ammira(va). Questa dissociazione è parte dei principi del nuovo partito politico che costruite? E’ parte della celebrazione dei vostri 100 anni?

Sarebbe stato più facile fare come fanno ora a Città del Messico, e mettere un cartello all’entrata che recitasse “Non sono ammessi gli incappucciati” e via. Non saremmo entrati noi, certo, ma la vostra lotta si sarebbe vista vivificata con tutti i colori che sono il colore della terra nel Congresso Nazionale Indigeno, così come con la diversità di resistenze e ribellioni che, pur non tenendo locali per feste culturali, fioriscono in vari angoli del Messico e del mondo.

Comunque, nelle nostre limitate possibilità, continueremo ad appoggiare la vostra giusta lotta. E, ovviamente, vi mandiamo l’invito al Festival.

Scegli la risposta corretta:

“Vili incappucciati” (o equivalenti con nuovi sinonimi: “anarchici”, “infiltrati”, “provocatori”, “studenti”, “giovani”). Lo ha detto, lo ha twittato, lo ha dichiarato, lo ha firmato, lo ha cantanto, lo ha dipinto, lo ha disegnato, lo ha pensato…

a)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media conservatori prezzolati. b)- un o un’articolista, intellettuale, caricaturista, giornalista, commentatore dei media progressisti prezzolati. c)- una o un artista conservatore. d)- una o un artista progressista. e)- un generale dell’esercito federale. f)- un leader della Patronal*. (*Confindustria,N.d.T.) g)- un leader sindacale operaio dell’avanguardia del proletariato rivoluzionario. h)- un leader di un partito politico allineato alla destra. i)- un leader di un partito politico allineatro ancora piùa destra. j)- un leader di un partito politico allineato… Va be’, per farla breve: un leader di un partito politico qualsiasi. k)- Epi*(*think tank neoiberista statunitense, N.d.T). l)- Enrique Krauze. m)- tutti i precedenti.

Risultato: Qualsiasi lettera tu abbia selezionato è corretta. Se hai scelto l’ultima opzione, hai non solo verificato, ma anche fatto un monitoraggio esaustivo delle reti sociali e dei media prezzolati e liberi. Non sappiamo se esprimerti felicitazioni o condoglianze. Il proverbio: al giorno d’oggi, se non sei ben confuso è perché non sei bene informato.

Nel balcone delle reti sociali:

Un tweet modello della gente perbene dopo la marcia del 20 novembre 2014 a Città del Messico: “perché la polizia ha arrestato arbitrariamente dei civili invece di arrestare gli anarchici?” Occhio: si noti che solo gli anarchici si fa bene ad arrestarli arbitrariamente, visto che non sono “civili”.

Un commento della gente perbene dinanzi a una foto della polizia del Distretto Federale in modalità “piacciaononpiaccia” mentre picchia una famiglia nei dintorni dello zócalo del DF il 20 novembre 2014: “Io li conosco e questi non sono anarchici”. Occhio: se nessuno lo conosce ed è anarchico, si merita quelle botte.

Un’argomentazione della gente perbene all’inizio del movimento, o dopo, non importa: “Di sicuro questi ayotzinacos* (*crasi tra Ayotzinapa e “naco”, termine utilizzato con significato analogo a paria, tamarro o bifolco, N.d.T.) se la sono cercata, chi gli dice di farsela con gli anarchici“. Occhio: no comment.

Il Dialogo Impossibile:

“Che significa che non capisci com’è questa storia degli incappucciati uguale anarchici uguale infiltrati? Guarda, questa gente non vuole fare politica, vuole solo fare disordine. Questo vuol dire anarchismo: disordine. Il fatto di coprirsi il volto è dovuto alla vigliaccheria. E il fatto degli infiltrati è perché servono al governo. Che? Sì, anche gli zapatisti sono incappucciati ed erano incappucciati quelli che si contrapposero a Ulises Ruiz a Oaxaca, e alcuni di quelli che ora si mobilitano nel Guerrero e a Oaxaca. Ah, ma questi non sono qui, nella nostra città (il “nostra” è stato sottolineato da uno sguardo di avvertimento). Gli zapatisti, quelli di oaxaca e quelli del guerrero, ebbene, sono piccoli indios di buon cuore. Certo, senza alcuna direzione politica chiara. E sono lontani, gli si può mandare aiuti umanitari che è come noi chiamiamo il disfarci di ciò che non serve più o è divenuto inutile, o peggio ancora, fuori moda. Ma questi fottuti anarchici sono qui, prendono le nostre strade (si ripete lo sguardo minaccioso nel “nostre”) e, come dirti?, be’, rovinano il paesaggio. Uno sta qui a sforzarsi di fare un bell’happening molto stile retro, sixties, capisci?, molto pace e amore, dell’età dell’acquario, fiori, canzoni, droghe leggere, smartdrinks, buone vibra insomma. Guarda, ho un’applicazione nel mio cell che caccia luci con tonalità intonate a ciò che mi metto. Eh? No, io non sfilo con un contingente, io cammino sul terrapieno, salgo a… No, non è per vedere meglio il corteo, è perché le masse mi vedano meglio. Guarda tipo, tipa o quello che sei, le manifestazioni qui devono essere come andare al club, mi capisci? Si tratta non di protestare ma di vederci tra noi, salutarci, e il giorno dopo confermare che siamo quelli che siamo, non nella sezione società, ma nelle pagine nazionali. E poi, questi di Ayotzi… No, ormai nessuno dice più Ayotzinapa, fa più fico dire “Ayotzi”. Be’, ti stavo dicendo che Ayotzi ha una ripercussione internazionale ovvero ci dà un’aria molto cosmopolita. Ma quale intellighentzia, quella è roba di destra. Noi, le sinistre moderne, ci facciamo riconoscere in questi eventi. Alla prossima, se non si ripresentano questi tamarri, stiamo vedendo di portare Mijares. Sì, perché ci canti quella del “soldado de amor”. E per essere in tono, che venga anche Arjona e irrompa con quella del “soldado raso”. Sì, sarà una figata con tutti quanti che marciano al ritmo, mano nella mano con le guardie presidenziali e i poliziotti. Magari meglio di notte, tiriamo fuori gli accendini e muoviamo le braccia al ritmo di “soldado del amor, en esta guerra entre tú y yo…” e con Arjona “voy marcando el paso, mientras sobrevivo. No tengo coraje, me ganó el olvido”. Sì, stiamo già vedendo perché, alla prossima, Eugenio Derbez sia l’oratore principale. Sarà geniale! Infiltreremo Televisa e la faremo passare dalla nostra parte! Eh? No, ormai non chiederemo che rinunci Peña… Ma perché ormai è passata la scadenza, ora dobbiamo prepararci per il 2018. Eh? Che importano le domande originali di quelli di là. Certo, poveretti, ma perciò devono accettare la direzione di chi ne sa, cioè noi. Guarda, ciò di cui ha bisogno questo paese non è una rivoluzione, ma un buon “Feat.” di massa ossia noi nel ruolo principale e unico, e la plebe nei cori o come attrezzisti, sì, la storia che vale la pena è un “selfie” con noi in primo piano e le masse dietro e sotto, incipriate, che ci acclamano, e… sì, ho già pronte le parole che dirò quando mi supplicherete di salire sul palco… Ehi! Aspetta! Perché ti neghi al dialogo? Fottuto anarco! Mettiti un cappuccio, va’, che si vede da lontano che sei un tamarro! Ah, ecco perché questo paese non va mai avanti! Ma gli ho fatto la foto, ora la carico sul mio feis perché prendano nota di un altro infiltrato, o era infiltrata? Va be’, non ci ho fatto caso, è che vestiva proprio da robboso, proprio da cliché. Che pena Messico…”

Altre linee di indagine:

1.- Le tre parole che sono valse ad Abarca a stare sotto protezione nel penitenziario dell’Altiplano, e la detenzione alla sua lady di ferro regione 4, entrambi fuori dalla portata dei media: “sono stati i federali“. Dopo di che, non gli hanno più chiesto nulla. Non perché non volessero sapere, ma perché lo sapevano già.

2.- Ora che là sopra stanno seriamente contemplando la possibilità del “sollievo” a Los Pinos (da cui la subitanea eloquenza dei titolari di marina ed esercito, e le caotiche dissociazioni del potere mediatico), chi prima del 1 dicembre chiedeva la rinuncia di Peña Nieto, ora tirerà fuori un documento che si chiami “La Difesa delle Istituzioni e il Rigetto della Rinuncia Presidenziale. Versione giugno 1996, aggiornata al 2014-2015″?

Segnalare e fare i delatori sul serio:

1.- L’analisi che assegna la responsabilità della repressione alle azioni dirette violente di gruppi “anarchici” dovrebbe essere conseguente e, nel caso del Messico, dare la responsabilità della repressione anche a chi ha svelato lo scandalo della cosiddetta “casa bianca” provocando la stizza della coppia presidenziale (che poi però ha compensato assumendo le funzioni di Pubblico Ministero). Ma no, la ripartizione delle colpe è anch’essa di classe. E sta a quelli di buone maniere inalberare la campagna di criminalizzazione dei giovani poveri (secondo la sequenza di equivalenze: infiltrato=incappucciato=anarchico=giovane=povero), che è la stessa che, a suo tempo, ha messo in moto il lungo incubo chiamato ora “Ayotzinapa”.

2.- Secondo le ultime cose che abbiamo visto, letto e ascoltato, gli infiltrati conclamati non si coprono il volto. Infiltrati dal governo di Città del Messico (“la sinistra istituzionale come alternativa”) e dai loro impiegati, sono stati filmati mentre aggredivano manifestanti, facevano detenzioni arbitrarie e “seminavano” cappucci tra gli aggrediti.

Orbene, seguendo il metodo d’analisi consigliato dall’isteria e la logica impeccabile degli sbirri del pensiero e del ben vestire, c’è da attendersi che tutte le persone che non sfilino incappucciate siano potenziali “infiltrati” e debbano essere segnalate, detenute e messe a disposizione dell’autorità “perché lascino manifestare gli incappucciati secondo le loro richieste”. Così che ora, quando nei cortei vedrete qualcuno di non incappucciato, dovreste additarlo ed espellerlo al coro di “no alla violenza, no alla violenza”.

3.- Un po’ di memoria: Quelli che ora criticano le azioni “violente” non sono contro il patrimonio “storico”, commerciale e finanziario nelle manifestazioni per Ayotzinapa nel DF, gli stessi che bloccarono banche, centri commerciali, occuparono “storicamente a Reforma nel 2006 (In favore al mancato presidente López Obrador, N.d.T.) e aggredirono le impiegate dall’uniforme arancione per il fatto di essere “complici” della frode elettorale del 2012? Ah, sì, è che è più grave una frode elettorale che 43 indigeni desaparecidos e decine di migliaia di persone nella stessa situazione.

4.- Il clamore dell’isterica campagna ha avuto eco e mietuto i suoi primi trionfi: alcuni furbacchioni sono detenuti in una casetta, lontani dalla marcia, mentre raccoglievano fondi di sostegno a proprio beneficio; vengono presi ed esibiti trionfalmente nella “presa di Città del Messico” il 6 dicembre 2014. Poi, per la magia dei media, si convertono in “infiltrati” nel corteo, e si segnala che tra di loro ci sono almeno un poliziotto e un militare. Del presunto poliziotto, niente. Il presunto militare: ha 17 anni e “ha confessato” che tra un mese sarebbe entrato nell’esercito. Nessuno si è preso il disturbo di ricordare che tutti i giovani messicani, al compimento dei 18 anni, devono assolvere al Servizio Militare Nazionale. In ogni caso, l’azione è stata applaudita. Si spera che l’isteria come metodo di analisi e linea di condotta si esaurirà quando ci sarà un linciaggio. Allora tutti si volgeranno altrove.

Il temuto svolgimento in 6 tempi di una rinuncia (completare i nomi):

1.- Un partito in crisi teminale. Card_ rinuncia al partito: “continuerò come un cittadino di più”, dichiara.

2.- Dinanzi alla crisi della politica partitica, inizia a essere incoraggiata l’ “opzione cittadina”. Sulla stampa e nei circoli prog si inizia a parlare del sorgere del “Card_ismo sociale”.

3.- Cresce il movimento e si impone a tutti l’unità incondizionata attorno al “cittadino” Card_.

4.- Lop_ si sottrae.

5.- Nuova frode elettorale. Un gran concentramento nello zócalo capitolino. Tra i manifestanti si possono apprezzare cartelli che riproducono le ultime caricature dei caricaturisti prog: “Quelli di Ayotzinapa sono un’invenzione di Salinas” è il comune denominatore. Giunto il suo turno alla tribuna, Ele_ menziona Lop_. Bordata di fischi dalle masse. Il giorno dopo Ele_ chiarisce di aver menzionato Lop_ senza malizia e che, sul piano personale, lo apprezza molto.

6.- Dopo il presidio di rigore, Card_ annuncia che bisogna continuare la lotta… creando un nuovo partito che contenda alle prossime elezioni. No, se vince non sarebbe andata gente di Epi alla comunicazione sociale, né lo scemo del villaggio a fare il portavoce presidenziale. O sì? Gulp.

La storia che non conta per gli happening progressisti:

Sì, c’è chi ricorda che il 6 dicembre di quest’anno si sono compiuti 100 anni dall’entrata degli eserciti villisti e zapatisti a Città del Messico. Noi, in cambio, ricordiamo lo zapatista gesto negativo e di disprezzo di fronte al trono presidenziale: “quando qualcuno di buono si siede qui, diventa cattivo; quando è cattivo, diventa peggiore”, dicono che disse il capo dell’Esercito Liberatore del Sud. E se non lo disse, di sicuro lo pensò.

Consigli non richiesti e che, ovviamente, nessuno seguirà:

1.- Basta cercare il vostro Sinsajo. Lasciate il treno della disillusione, lì la prossima stazione è “apatia e cinismo”. La vostra destinazione finale: “la sconfitta”.

2.- Non fissatevi con i trending topic o come si dice. Lo stesso con i tweet della gente “famosa”, dei “leader d’opinione” o della gente che si presume “intelligente”. Cercate i tweet della gente comune. Lì troverete veri gioielli letterari in miniatura e pensieri di quelli che valgono la pena, cioè che obbligano a pensare. Lì non c’è tweet che sia piccolo.

I trending topic (i “temi del momento”) servono solo come specchio deformante e sono ridicoli come un salone di masturbazione di massa: alla fine terminano tutti insoddisfatti e abbattuti. E viene un momento nel quale i tweet diventano un dialogo da film porno: “oh, sì, sì,così, non ti fermare!”. O è un gran merito battere l’hashtag #WeLoveYourNewHairJustin o quello di #Sammy?

3.- Dar valore a una persona per il numero di seguaci e non per i suoi pensieri e azioni è ozioso e inutile.

Se la merda avesse feisbuc, avrebbe “likes” (e “licks”) di centinaia di migliaia di mosche.

4.- In difesa delle reti sociali, o meglio in difesa dell’uso delle reti sociali, pensiamo che siano comunque un luogo di condivisione se si sceglie dove dirigere lo sguardo e l’ascolto.

Ci sono grandi scrittrici e scrittori, pensatrici e pensatori, analisti e critici, lottatori sociali che non appaiono né appariranno sui grandi mezzi di comunicazione prezzolati. E molti di essi, non perché non li si “scopra”, ma perché hanno scelto un altro canale per esprimersi. Questo non va solo salutato con favore, va alimentato.

5.- Ma, per grandi che siano le possibilità delle reti sociali, lo sono anche i loro limiti. Oltre all’ovvio, cioè che non si possono twittare silenzi e sguardi, anche se è gigantesco l’universo del loro daffare, continua a essere più grande l’universo che resta escluso.

Le reti sociali non servono a soppiantare la comunicazione basica (guardare, parlare, ascoltare, toccare, odorare, gustare), ma a potenziarla.

“Se non è su twitter non esiste”, imita la caduca sentenza “se non sei sui media non esisti”.

Anche se non lo crederete, ci sono molti mondi fuori dallo spazio cibernetico. E vale la pena di unirsi a loro.

Alla fine ci ritroviamo sempre qui* (*Il titolo sarebbe: “Ahí nos estamos vimos viendo”, ripresa testuale di un passo del comunicato del gennaio 2013 scritto da Marcos come poscritto alla quinta parte di “Loro e noi”, N.d.T.):

Sì, ormai sappiamo che siamo scomodi per gli uni e gli altri. Per alcuni siamo radicali, per altri siamo riformisti.

Tutte e tutti, sopra e sotto, dovrete ingoiare questo:

Qua sotto, ogni volta siamo di più a impegnarci a lottare senza supplicare perdono per essere ciò che siamo e senza chiedere il permesso di esserlo.

Ecco.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés. Messico, 12 dicembre 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Nota: Monitoraggio dei media prezzolati, dei media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o come si chiamino, e di reti sociali, così come l’apporto disinteressato di sarcasmo, divano psicanalitico gratuito, tips di ricerca, consigli inutili, camicie di forza di 140 caratteri in alcune parti e altri effetti speciali: contributo de “Los Tercios Compas” che, come dice il nome, non sono media, né liberi, né autonomi, né alternativi, ma sono compagni. Copyrights annullati a causa dell’uso di cappuccio. Si può citare, recitare e riciclare indicando la fonte come “infiltrata”. Si autorizza la riproduzione totale o parziale di fronte alla torma con uniforme e senza uniforme, sia che si trovi dietro un’arma, uno scudo, una camera, un microfono, uno smartphone, un tablet, o nello spazio cibernetico. In fede: “Winter is coming, perciò non dimenticate le coperte” (uno degli Stark nella prossima stagione di Game of Thrones. Anticipazione a cura de “Los Tercios Compas”. Nah, non c’è di che).

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

 

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ayotzinapa-fue-el-estado1DOPO AYOTZINAPA

LA GUERRA CONTINUA

Il cumulo di abusi, spoliazioni, inganni, imbrogli, arresti, morti, non è iniziato la notte di Iguala, né si ferma ad Ayotzinapa. Quello che invece ora c’è, è un massiccio scontento che si pronuncia e si mobilita. Oltre alla violenza criminale, sempre inclusa, non cessa la catena di aggressioni ed invasioni istituzionali contro i popoli indigeni del paese. Se mettiamo sulla mappa dei puntini rossi, questi coincidono con quasi tutti i territori reali e simbolici dei popoli originari. E questo senza parlare dei delitti e delle discriminazioni che si commettono quotidianamente contro immigrati e residenti indigeni nelle città. La macchina dell’informazione può seguire le proprie rotte, fissazioni, interessi o l’inevitabilità della notizia. I conflitti nelle (e contro) le comunità semplicemente continuano. Non è retorico dire che l’emergenza e l’autodifesa sono parte della loro esistenza quotidiana. E non finisce qui. È proprio in decine di regioni, in centinaia di comunità e villaggi, dove si pratica la resistenza reale, quasi sempre pacifica, anche disarmata, e mai ostile, lì dove il potere applica sistematicamente le sue ricette fatte di aggressione, divisioni deliberate, repressione, persecuzione. Leggi secondarie, decreti perversi, accordi incompiuti. Non dimentichiamo che gli yaqui continuano la lotta contro un governatore ladro di bestiame ed i suoi complici; i wixaritari in Jalisco, Durango e Nayarit sono minacciati ed aggrediti da narcos, cacicchi, poliziotti statali, soldati, ma non mollano. Nella meseta purépecha la vita è stata profondamente alterata dal violento malgoverno nazionale. Lo stesso avviene sulle coste, valli e montagne dei nahua, mixteco, tlapaneca, zapoteca e ñahñú. Nella Huasteca, la catena montuosa di Zongolica ed il nord di Puebla, a chi abbassa la guardia se lo porta via la corrente. Inoltre tutti rivendicano i propri carcerati, assassinati, scomparsi, sfollati; tutti loro gente ammirevole. Le multinazionali e gli investitori collaborano allo spopolamento (sterminio) studiato per i maya di Campeche, gli ijkoot e zapoteco dell’Istmo, gli otomí mexiquense. La guerra contro il mais nativo equivale allo sterminio dei bufali che portò al collasso i popoli indio del Nordamerica. Lo scontento è generalizzato, anche se non si manifesta in egual misura in tutte le parti e non sempre riesce ad articolarsi. Ci sono casi di grande sottomissione, come i mazahua sotto il priismo nello stato del Messico (in particolare sotto l’ex governatore Enrique Peña Nieto, lo stesso di Atenco). O i pima, i mayo-yoreme. O di cooptazione assoluta come i lacandoni.

Elencare i governatori responsabili sarebbe ridondante: lo sono tutti, non solo gli Ulises, i Padrés, gli Aguirre, i Duarte. Nell’apparente caos dei “casi isolati” si riconosce il metodo. È una vera costruzione bellica. Lo scenario “contrainsurgente” di una guerra insidiosa, lenta ma vera, per svuotare dagli indios la terra utile. Così si conquistò il Far West. Così si domò la Pampa. Così si distrugge ogni giorno l’Amazzonia. I neoliberisti hanno aperto in Messico uno scenario da brivido: la guerra contro tutti nello stesso tempo. Su scala maggiore che in Colombia, dove la strategia anti-indigena è radicale e la praticano tutti i poteri reali (governo, narcos, paramilitari, guerriglia).

A tutto questo le resistenze ed autonomie messicane oppongono “modi di vivere migliori” a costo di immani sforzi per rivendicare i loro territori. I maya e zoque del Chiapas, con le loro Giunte di Buon Governo, sono l’esperienza più eloquente, un faro per il movimento indigeno. Altri modi di governo proprio si trovano in Oaxaca, Guerrero e Michoacán. Tutti loro vengono aggrediti. In Chiapas la guerra è applicata da decenni in maniera tenace, corrosiva, costosa, immorale. Ma la resistenza vince sempre le ricorrenti prognosi e diagnosi sulla sua fine.

Il grido dei popoli zapatisti nelle proprie terre è rinnovato (giovane), moltitudinario come nessun’altro, e continua a diffondersi.

I poteri, la guerra che si portano dietro, non l’hanno sconfitto.

Non si credano.

http://www.jornada.unam.mx/2014/12/13/ojarasca212.pdf

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alexander

Identificati in Messico i resti di uno studente di Ayotzinapa, proteste #1DMX #6DMX #YaMeCanse2

Pubblicato il 8 dicembre 2014

di Fabrizio Lorusso – Da Carmilla

“Compagni, a tutti quelli che ci hanno sostenuto, sono Alexander Mora Venancio. Con questa voce vi parlo, sono uno dei 43 caduti del giorno 26 settembre per mano del narco-governo. Oggi, 6 dicembre, i periti argentini hanno confermato a mio padre che uno dei frammenti delle mie ossa mi appartiene. Mi sento orgoglioso che abbiate alzato la mia voce, la rabbia e il mio spirito libertario. Non lasciate mio padre solo col suo dolore, per lui significo praticamente tutto, la speranza l’orgoglio, il suo sforzo, il suo lavoro, la sua dignità. Ti invito a raddoppiare gli sforzi della tua lotta. Che la mia morte non sia avvenuta invano. Prendi la miglior decisione ma non mi dimenticare. Rettifica se possibile, ma non perdonare. Questo è il mio messaggio. Fratelli, fino alla vittoria”.

I genitori dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, nello stato messicano del Guerrero, hanno diffuso il questo messaggio su Facebook. Sono le quattro del pomeriggio. Mentre Città del Messico si prepara a un pomeriggio di cortei contro il crimine di stato del 26-27 settembre a Iguala, nello stato del Guerrero, e per il ritrovamento in vita dei 43 studentidesaparecidos della scuola normale di Ayotzinapa “Raúl Isidro Burgos”, arriva una notizia inattesa. La piazza grida, chiede la rinuncia del presidente Enrique Peña Nieto e del procuratore della repubblica Jesús Murillo Karam. Alcuni normalisti del comitato studentesco di Ayotzinapa hanno appeno fatto un annuncio importante, le emozioni e le reazioni sono contrastanti.

Tra i resti umani trovati dagli inquirenti nella discarica dei rifiuti di Cocula all’inizio di novembre ci sono quelli del diciannovenne Alexander Mora Venancio, uno degli studenti che, secondo le testimonianze di tre narcotrafficanti in stato di arresto, sarebbero stati bruciati per 15 ore nella stessa discarica. Lo hanno confermato i periti argentini dell’Equipe Argentina di Antropologia Forense i quali, su richiesta dei familiari delle vittime, stanno lavorando con la procura alle prove del DNA. I genitori di Alexander, vittima di un attacco da parte di narcos e poliziotti di Iguala e Cocula insieme ad altri compagni, sono partiti immediatamente per la loro terra d’origine, il paesino di Teconoapa, sulla costa del Pacifico, per le esequie. Sono otto gli studenti scomparsi a Iguala che provengono da questa località e i genitori di tutti loro appartengono all’organizzazione indigena, contadina e popolare Unione dei Popoli e Organizzazioni dello Stato del Guerrero (UPOEG).

L’avvocato della UPOEG, Manuel Vázquez, ha confermato che in questi primi due mesi di ricerche, insieme ai genitori di Ayotzinapa, hanno contribuito al ritrovamento di 200 fosse clandestine nella zona di Iguala e in altri comuni vicini. Alcuni reportage recenti, in particolare uno della televisione France 24, hanno rivelato la probabile scomparsa, per mano della polizia di Cocula secondo alcuni testimoni, di altri 31 studenti nella regione tra il marzo e il luglio del 2013. Le denunce relative a 17 di questi desaparecidos sono state confermate dal governo del Guerrero nella sua pagina web. Il 3 dicembre i familiari di altre 375 vittime della polizia collusa coi narcos hanno preso coraggio, dopo anni di silenzio, e hanno manifestato nella piazza centrale di Iguala per denunciare ladesaparición di tanti loro cari negli ultimi anni. Grazie a un frammento d’osso e un molare è stato possibile ricostruire il DNA di Alexander, ma restano da verificare sia i resti in mano ai forensi argentini e alla procura sia quelli che sono stati rinvenuti nel fiume San Juan di Cocula e inviati in Austria per un complesso esame mitocondriale. E soprattutto restano da verificare le migliaia e migliaia di fosse comuni e di resti umani che emergono dalle terre di mezzo paese. “Ne mancano 42 e li rivolgiamo in vita”, ha detto nel comizio finale della giornata di Azione globale per Ayotzinapa del 6 dicembre, #6DMX +#YaMeCanse2. La rivista di Tijuana, Zeta, da anni specializzata nel confronto di dati ufficiali sulla violenza, ha confermato la cifra allucinante di 41mila morti nei primi 23 mesi del governo del “nuovo PRI”.

Continua la protesta globale

Sono state settimane convulse in Messico. La capitale, lo stato del Guerrero, le città solidali del mondo intero sono in ebollizione per l’indignazione e lo sconforto, per il disanimo, la voglia di reagire, gridare e protestare, accompagnate dalla tristezza e dalla paura che tutto torni come prima. Il letargo mediatico, l’apatia sociale, il conteggio dei morti in un box rosso sui principali quotidiani. Una madre, un padre, una famiglia che cercano i loro figli e cari desaparecidos, moltiplicati per 27mila. Un compa che racconta in radio l’ultima estorsione subita dagli sbirri, un tentativo di sequestro, una minaccia di sparizione forzata. Gli universitari che han scoperto d’essere spiati perché in facoltà hanno nascosto delle telecamere. Altri che vengono attaccati da infiltrati e poliziotti nelle assemblee. Le violenze subite nell’anima e nel corpo delle donne, da Ecatepec a Ciudad Juárez, dalle strade alle maquiladoras. E ancora l’azzeramento delle vittime nei meandri della burocrazia e nei corridoi dell’oblio. La paura travestita da normalità. Crimini di stato trasformati in guerra alle droghe e viceversa, in un turbinio. Meglio risvegliarsi, rifondare, che ignorare e normalizzare una strage, quella degli studenti di Ayotzinapa del 26 settembre, che è solo la punta di un iceberg in un mare d’impunità e corruzione.

Mi appresto a scrivere questo aggiornamento mentre vomito notizie e rimastico cronache. Guardo il video del flash mob, l’ennesimo, che 43 ragazzi hanno realizzato alla Fiera Internazionale del Libro di Guadalajara. Alla fine urlano tutti insieme dall’uno al quarantatré. Per un minuto la Fiera si ferma, la terra non gira, silenzio, giustizia! Finisce il coro, cominciano gli applausi. Un brivido, l’ira, le lacrime, la speranza in un cambiamento. Penso alla grande manifestazione qui a Città del Messico, lunedì primo dicembre, #1DMX. Abbiamo calcolato 50mila persone. Una marcia instancabile ed energetica, nonostante sia finita anche questa volta a manganellate e lacrimogeni, con sette arresti casuali, terribilmente random e violenti, e una serie di incapsulamenti della polizia che solo un cordone di funzionari della Commissione Nazionale per i Diritti Umani, di bianco vestiti, ha potuto bloccare, almeno per un po’. Ora i prigionieri sono tutti liberi, le pressioni internazionali e di tutto il Messico stanno obbligando le autorità a risolvere i problemi da loro stesse provocati in modo più spedito, salvo poi dimenticarsi della legalità e del famigerato stato di diritto non appena i riflettori si spengono. Il rischio è questo, il governo è paziente, ha potere e mezzi per resistere e sfiancare, può aspettare qualche settimana e contrattaccare, sequestrare, riconquistare, offendere. E lo sta già facendo.

Si riconferma la modalità dell’accerchiamento delle forze dell’ordine e dei rastrellamenti a tappeto contro tutto e tutti, ma non contro chi li attacca o ne “giustifica” inizialmente l’intervento. E’ un copione ormai noto: un manipolo di ragazzi incappucciati, ma anche a volto scoperto a volte, causa danni a qualche edificio pubblico o privato. I celerini intervengono, picchiando a destra e a manca senza ritegno, impedendo ai manifestanti disarmati e pacifici di proseguire, di esprimersi, di respirare, per poi catturare un po’ di gente a casaccio. I detenuti del 20 novembre sono stati rilasciati tutti, non c’erano prove né elementi concreti per accusarli di alcunché. I familiari dei prigionieri e dei desaparecidos di Ayotzinapa, accompagnati dalla società civile e dai movimenti, chiedono adesso le dimissioni del procuratore Jesús Murillo Karam, oltre a quelle del presidente della repubblica.

La testimonianza di una signora sotto shock, con la testa spaccata e sanguinante, consolata dalla figlioletta e curata alla buona da un’infermiera (?), diventa virale sui social e suscita la rabbia di chi ha un computer e una connessione, cosa che non è affatto scontata né così generalizzata come molti credono. Le classi medie cittadine hanno internet, ma il Messico guarda la televisione. In TV la storia è sempre un’altra. La padrona delle menti, Nostra Catodica Signora dei rimbecillimenti, passa scene di violenza, immagini di vandalismi e distruzioni, dimenticandosi delle 3 ore di corteo pacifico e del motivo per cui tanta gente scende in piazza sfidando la propaganda governativa e la criminalizzazione delle autorità contro il dissenso sociale.

I 43 studenti desaparecidos non importano più, meglio mostrare due bancomat sfasciati e qualche vetrina imbrattata per giustificare l’azione “gagliarda”, parola usata dal responsabile della sicurezza nella capitale, della polizia. Sì, ma contro chi? Eccoli lì che si scagliano ferocemente contro una signora che cerca lavoro e nemmeno sa che c’è un corteo quel giorno. Eccoli lì che lasciano stare i presunti responsabili degli attacchi nei loro confronti o nei confronti delle “preziosissime” proprietà private e dei palazzi della Avenida Reforma e che aggrediscono famiglie e cittadini, strappano striscioni e rinnegano la loro umanità. Se ti muovi, può toccare anche a te. Se corri, ti prendiamo. Se sei schifato e arrabbiato perché i narcos sono la polizia, lo stato è la mafia o viceversa, e ha sequestrato e ammazzato migliaia di persone in pochi anni, 43 studenti in una notte a Iguala, e poi trova scuse ciniche e idiote per non cambiare nulla, praticando il gattopardismo più becero, meglio che te ne stai zitto e ti dedichi a spendere gli ultimi risparmi, erosi dalla crisi e da un modello consumista sfrenato, per i regali di Natale. Questi i messaggi delle autorità alla gente.

Il cittadino cileno Laurence Maxwell, studente del dottorato in lettere dellaUniversidad Nacional Autonoma de Méxicodetenuto la sera del #20NMX, per cui s’era mosso anche il ministro degli esteri del Cile, denuncerà lo stato messicano per le torture subite e così faranno anche gli altri 10 cittadini detenuti ingiustamente. Ma è l’intero sistema politico ad essere messo alle strette e criticato a fondo, delegittimato come mai prima. La popolarità di Peña è ai minimi storici. E’ scesa al 39%, la più bassa per un presidente dal 1995 ad oggi secondo il quotidiano Reforma. Il 5 dicembre il segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon ha sollecitato un’indagine a fondo del caso Ayotzinapa e di tutte le sparizioni forzate in Messico in una conferenza stampa, ribadendo anche l’importanza del diritto alla libertà d’espressione e la necessità di canalizzare le legittime richieste della gente in modo pacifico, nel rispetto dei diritti umani. Avrà cominciato a percepire l’aria che si respira in Messico e la vena repressiva del governo? Non molto. Dopo le critiche, infatti, Ban Ki-moon ha dato il suo beneplacito alle misure autoritarie promosse dall’esecutivo negli ultimi giorni.

Burle presidenziali e cinismi

Nel maggio 2012, quando mancavano meno di due mesi alle elezioni, l’allora presidente Felipe Calderón annunciò la sua appartenenza al grande movimento studentesco e sociale#YoSoy132, che era nato da una contestazione al candidato Peña Nieto alla Universidad Iberoamericana e aveva poi segnato la fine della campagna elettorale, il ritorno del PRI al governo e l’inizio del mandato presidenziale, con le manifestazioni del primo dicembre 2012, sempre #1DMX, represse nel sangue. Fu una mossa elettorale disperata per provare a creare empatia col movimento e con una parte de. Non funzionò, il risultato della candidata del partito di Calderón (PAN), Josefina Vázquez Mota, fu deludente e il presidente fu ricordato per i 100mila morti e la narco-guerra, non di certo per la sua identificazione con gli studenti.

Dopo il megacorteo del 20 novembre scorso, Peña, emulando il suo predecessore in un disperato e calcolato tentativo di riconciliazione, ha cercato di ribadire la sua identificazione con le vittime di Iguala e del Guerrero dicendo che “Tutti siamo Ayotzinapa”. Come conseguenza è stato mandato letteralmente “affanculo”, cioè a“chingar a su madre”, da uno studente della normale “Isidro Burgos”, oratore durante il comizio finale della manifestazione del primo dicembre. Tra le altre cose, gli ha anche ricordato che lui “non è Ayotzinapa, ma è Atlacomulco”, in riferimento alla città natale del presidente intorno alla quale girano tutto il gruppo di potere e le lobby delle correnti dominanti del PRI e degli impresari ad esse legati.

Superatelo, ja ja. Hashtag #YaSupérenlo

Nel suo discorso del 4 dicembre a Iguala, Guerrero, Peña ha chiesto alla comunità di “superare questa fase”, “questo momento di dolore”, per fare “un passo avanti”, dato che la sua geniale idea è molto semplice: voltare pagina, dimenticare l’inferno e salvare la sua immagine. Ottimo montaggio televisivo, un ponte da inaugurare come scusa per andare ad Iguala e dintorni, e infine un po’ di applausi dei burocrati che lo accompagnavano. Un evento pensato ad hoc per farsi vedere nella zona e prendere di nuovo la parola. Il ponte, distrutto nel settembre 2013 dall’uragano Manuel, è stato ricostruito a Coyuca de Benítez, nella Costa Grande al nord di Acapulco. Peña s’è definito come il “grande alleato degli abitanti del Guerrero” e ha indicato che quanto successo coi normalisti di Ayotzinapa “genererà una svolta, segnerà un momento e permetterà la costruzione di istituzioni migliori”. Ciononostante nessuno ha ancora capito come. La comunità sarà felice per il nuovo ponte dell’oblio, dunque, e per l’inizio del corso di superazione personale che pare voler proporre il presidente con le sue frasi ad effetto. “Hanno detto ‘superatelo’ per i femminicidi nel Chihuahua 15 anni fa, e continuiamo a cercare e lavorare, rispondiamo ‘siamo stanchi’ dell’impunità”, ha scritto via Twitter la giornalista Lydia Cacho.

Occupazione simbolica di Città del Messico nella Giornata d’Azione Globale per Ayotzinapa

Intanto il Messico, e soprattutto Guerrero, continuano a bruciare, le proteste non si fermano e anche all’estero la solidarietà s’esprime nelle forme più fantasiose, incessantemente, giorno dopo giorno. Il 3 dicembre ci sono state mobilitazioni in 43 città degli Stati Uniti con l’hashtag #UStired2, oltre 3000 boliviani sono cesi in piazza a La Paz e oltre 10mila uruguayani hanno marciato per Ayotzinapa a Montevideo il giorno dopo. E’ stata la marcia per i 43 normalisti più numerosa realizzata fuori dal Messico. La settimana scorsa in Italia i movimenti sociali e l’associazione Libera hanno promosso decine di iniziative per denunciare il narco-stato messicano e i crimini di lesa umanità in terra azteca con cortei, flash mob, proteste fuori dai consolati e nelle università, diffusione di comunicati e attività di sensibilizzazione dell’opinione pubblica.

Nel pomeriggio del 5 dicembre un corteo di 43 trattori ha sfilato per l’Avenida Reforma, nel centro di Città del Messico. Sabato 6, invece, in decine di città messicane ci sono state manifestazioni e proteste che nella capitale si sono trasformate in un’occupazione simbolica della città. Infatti, a Città del Messico le mobilitazioni della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educacion), dei genitori dei 43 desaparecidos, protetti dal collettivo Marabunta, degli studenti, del FPFV (Frente Popular Francisco Villa), del Frente de Pueblos para la Defensa de la Tiera di San Salvador Atenco, delle organizzazioni contadine, che sono arrivate a cavallo alle 10 del mattino, e della società in generale sono confluite nella spianata del Monumento a la Revolución.

Hanno dato vita a un’altra oceanica Giornata di Azione Globale per Ayotzinapa per unire la causa dei 43 desaparecidos al rifiuto delle riforme strutturali, alla difesa dell’acqua, la vita e la terra e alla commemorazione dei cento anni dell’ingresso degli eserciti di Francisco Villa ed Emiliano Zapata nella capitale e l’occupazione indigena della città del 6 dicembre 1914. I megafoni della CNTE hanno annunciato la notizia, ufficializzata poco prima dai periti argentini: i resti di uno dei 43 normalisti sono stati identificati, ma lalucha sigue.

A un lato degli insegnanti dodici persone, tre donne e sei uomini, camminano in fila indiana. Hanno le mani legate e una corda li tiene uniti uno all’altro. Sono dei presunti infiltrati a cui i manifestanti della CNTE hanno appiccicato sul petto un cartello con la scritta “infiltrados” per evitare che facciano danni e si mischino con loro. E arriva anche la notizia che il capo della polizia della capitale, Jesús Rodríguez, ha presentato le sue dimissioni, dopo essere stato aspramente criticato per le sue ciniche dichiarazioni sul “valore e la gagliardia della polizia” durante lo sgombero della piazza del Zocalo il 20 novembre scorso.

Javier Sicilia e movimento per la pace

“Dissi a Peña, durante i dialoghi nel Palazzo di Chapultepec coi candidati alla presidenza, che pareva non avere un cuore, una sensibilità, e si arrabbiò perché gli stavo ricordando la repressione di Atenco del 2006, quando era governatore del Estado de México”, ha spiegato Javier Sicilia, leader del movimento per la pace con giustizia e dignità (MPJD), in un’intervista radiofonica. “Col suo discorso l’altro giorno a Iguala mostra anche una mancanza di intelligenza politica oltre all’insensibilità. Si potrebbe lanciare un messaggio del genere, forse, se almeno fossero state fatte le cose necessaria affinché i fatti non si possano più ripetere, se fosse stata fatta giustizia, se il caso fosse stato risolto, ma non così, quando niente è stato risolto e si ha un mandato per farlo che non viene rispettato. Bisogna rompere e rifondare lo stato, spegnere la emergenza nazionale e ricostruire e questo si fa solo con una logica di giustizia, dignità e servizio al paese, cosa che non è stata fatta, invece stanno facendo sparire più gente…”.

Parlando del superamento del dolore, Sicilia ha sottolineato la profondità della crisi strutturale che sta vivendo il Messico: “Con cosa dovremmo superare il dolore? C’è una questione terribile dietro. E se dall’Austria ci dicono che i resti sono degli studenti, saranno comunque solo alcuni, e gli altri? E le fosse? Non è possibile accettare che non ci sia nulla, che ci sia solo la polvere degli studenti, che non resti più nulla. Perciò li vogliamo vivi, li vogliamo presenti, con un corpo almeno.

esecuzioni

Questa situazione non si ripara in nessun modo, solo se non ce ne saranno mai più”. Il poeta e attivista ha ribadito l’obbligo dello stato chiarire cosa è successo coi ragazzi di Ayotzinapa e “l’ondata di proteste deve spingere affinché i fatti di Iguala non succedano mai più, deve esserci un punto di rottura a partire da questo. Le strutture sono corrotte, e Peña non ha nemmeno la legittimità o l’autorità morale per dire quel che dice di fronte al disastro che stiamo vivendo”. Dal “Mexican Moment” vaticinato dal The Economist nel 2012 e dal miraggio di un presidente che, secondo la rivista Time, stava “Salvando il Messico”, siamo passati inevitabilmente a una realtà fatta di tragedie dalle proporzioni immani, sequel spietato del terrore del sessennio precedente, ma ancor più amara perché s’è imposta sulla propaganda e il marketing governativo a forza di desapariciones, fosse comuni, mattanze dell’esercito, come quella di Tlatlaya del giugno scorso, e morti su morti che ritornano dagli inferi.

Anche alcuni settori della chiesa cattolica sono intervenuti per chiedere giustizia e protestare. Qualche giorno fa un gruppo di religiose ha manifestato per le strade della capitale mentre il 4 dicembre i sacerdoti e i seminaristi della diocesi di Saltillo sono scesi in piazza per chiedere la fine della violenza e il chiarimento della strage di Iguala. “Dinnanzi a quello che succede nel paese e nel Guerrero non possiamo stare zitti e far finta di niente”, ha espresso il vescovo e attivista Raul Vera che era alla testa del corteo.

L’idea che si sia raggiunto un punto di rottura, di non ritorno, nella storia recente del Messico si sta facendo strada nei movimenti e nella società. Ma se non si mantiene la pressione interna ed esterna per il cambiamento, per una “rivoluzione pacifica intelligente”, come l’hanno battezzata i normalisti sopravvissuti della strage di Iguala, per una “rifondazione dello stato”, secondo l’augurio di Sicilia, oppure per una fase costituente, come auspicano altri, insomma, “se non manteniamo la lotta e andiamo avanti per cambiare il paese, ci aspettano cose ancora più inaudite, peggiori di quelle che abbiamo vissuto fino ad ora”, prevede lo scrittore.

Il rischio di isolamento e repressione di chi non vuole e non può accomodarsi di fronte alla tragedia nazionale messicana è alto. Le alternative che Peña ha di fronte sono l’apertura di canali seri di dialogo, anche se è lecito chiedersi fino a che punto il sistema sia capace di riformarsi da solo e di ricevere proposte radicali per una “Convenzione” o una fase costituente, o la repressione. Pare che il governo e il gruppo di potere legato al presidente, spalleggiato da amministratori e governatori affini come Miguel Ángel Mancera, sindaco di Città del Messico, non abbiano dubbi sul fatto che renda di più la seconda opzione, costi quel che costi.

Guerrero seguro e Nuevo Guerrero

Guerrero vanta un indice d’impunità dei delitti del 96.7%, sopra la media nazionale del 93% e peggio degli altri 31 stati del paese. Non si contano chiaramente i reati non denunciati, che sono stimati intorno al 90% del totale. Il tasso d’omicidi ogni 100mila abitanti è di 63, il più alto del Messico. Questo significa 3680 omicidi nei primi 23 mesi di governo di Peña e oltre 1000 nei primi otto mesi del 2014. Seguono lo stato di Chihuahua con un tasso di 59 e Sinaloa con 41. Nel 2013 Acapulco è stata la terza città più violenta del mondo, dopo San Pedro Sula in Honduras e Caracas in Venezuela. Nella città costiera, ex perla turistica messicana, durante i primi 22 mesi del nuovo governo sono stati denunciati 132 casi di sequestro di persona, il numero più alto in Messico. Ecatepec, nel feudo priista del Estado de México, intorno alla capitale, ne hanno registrati 114. Con 447 casi Guerrero è il terzo stato con più rapimenti, dopo Tamaulipas e l’Estado de México.

Questa situazione era nota da tempo, evidentemente. Infatti, nel 2011, il presidente Calderón avviò l’operazione speciale Guerrero Seguro e aumento la presenza militare, una delle tante iniziative infruttuose che hanno martoriato il paese dalla fine del 2006 ad oggi. Peña Nieto ha annunciato il 4 dicembre la riedizione di quel programma per la “sicurezza” e ha lanciato un piano di “pacificazione”, un’operazione militare e poliziesca, per le zone note comeTierras Calientes (territori compresi tra la costa pacifica e le catene montuose dellaSierra Madre Occidental negli stati del Michoacan, Guerrero, Oaxaca, Sinaloa e Morelos) e il piano di sviluppo e investimenti pubblici e privati battezzato Nuevo Guerrero. “Rilanciare lo sviluppo economico e sociale” è la finalità ufficiale dell’operazione. Nei giorni scorsi Peña ha parlato anche della creazione di zone economiche speciali negli stati del Chiapas, del Guerrero e del Oaxaca, il che suona come una riedizione del vecchio e fallito Plan Puebla Panamá di integrazione regionale tra il Messico e l’area centroamericana.

L’invio di truppe

Già da una settimana 2000 uomini della Polizia Federale sono stati mandati a Chilpancingo, la capitale dello stato, e altri 1500 ad Acapulco “per difendere i turisti e le famiglie”. Non si sa da chi li dovrebbero difendere, se poi è la polizia stessa che diventa parte integrante dei narco-cartelli. Adesso comunque arrivano i rinforzi, arrivano i “nostri”. Non bisogna essere esperti di sicurezza e politiche pubbliche per capire che la protezione degli investimenti delle multinazionali del settore minerario e turistico, insieme alla stabilità relativa dei narco-affari, soprattutto delle coltivazioni di papavero da oppio e marijuana, e del settore agricolo legale, sono le priorità sottese a questo piano. La protezione speciale, con più poliziotti e più vigilanza, che verrà offerta al porto e all’aeroporto di Acapulco va lette in questa chiave.

Come nel Michoacan e nel Tamaulipas pare che anche qui si stia cercando un accordo, un nuovo equilibrio tra i gruppi mafiosi in lotta in modo da regolarizzare il business e limitare la violenza: un compito molto complicato, vista la presenza di forti movimenti sociali organizzati e anche la frammentazione estrema, favorita dal tipico effetto cucaracha(scarafaggi che fuggono all’impazzata in ogni dove), che la dissoluzione del cartello dei Beltran Leyva ha portato con sé. In secondo piano passano, invece, la tutela delle comunità più povere e insicure e il rilancio delle zone rurali depresse e di quelle colpite dagli uragani degli ultimi anni. Parte dell’infrastruttura distrutta è stata ricostruita, ma l’economia non decolla. Nel suo complesso l’operazione puzza di controllo sociale e controllo delle proteste che, proprio a Chilpancingo e nel resto del Guerrero, stanno assumendo le forme più rabbiose e violente, con attacchi praticamente quotidiani alle sedi dei partiti e delle istituzioni cui si somma l’occupazione e gestione autonoma di almeno 13 comuni. Quasi non se ne parla, ma le diverse forme di autogoverno e autonomia come quelle dei caracoles zapatisti e della comunità autonoma di Cherán nel Michoacan sono una realtà in tante comunità del Messico.

Il decalogo di Peña Nieto

Il 28 novembre Peña ha enunciato un decalogo di misure e proposte del governo per provare a uscire dall’impasse. E’ una lista imbevuta di autoritarismo, di volontà accentratrice e di vecchie ricette dell’epoca di Calderón che attentano contro i diritti umani. A queste “nuove tavole della legge” si aggiunge anche una beffa: la legge anti-cortei. In questo contesto di escalation delle proteste e della repressione, in attesa di una possibile diminuzione della pressione internazionale e della partecipazione popolare per l’avvicinarsi del periodo natalizio e la chiusura delle università, i legislatori del PRI, del PAN e del Verde Ecologista hanno approvato la cosiddetta “Legge Anti-Corteo”.

Si tratta di una riforma degli articoli 11 e 73 della costituzione affinché il governo federale, le amministrazioni locali e i governi statali possano emettere leggi in materia di mobilità che potranno essere usate dalle autorità per impedire le manifestazioni e la libertà d’espressione e riunione. In pratica si attribuisce la facoltà di promulgare leggi e ordinanze sulla mobilità cittadina, provinciale e regionale che però in realtà nascondono l’inganno e giustificheranno la restrizione del diritto a manifestare e rappresaglie verso diverse forme di protesta sociale. Tra le misure che saranno discusse in parlamento c’è la creazione di un solo corpo di polizia per ogni stato, l’abolizione delle polizie locali o comunali, la possibilità per il governo di dissolvere comuni con infiltrazioni mafiose, la fissazione di un Codice Unico d’Identità personale, la creazione del numero 911 per tutte le emergenze, una riforma della giustizia e nuove operazioni militari per la sicurezza negli stati fuori controllo.

La stretta anti-libertaria del governo non ha comunque bisogno di molte nuove leggi dato che continuano le “vecchie” pratiche del sequestro, dell’arresto arbitrario e delladesaparición come nei casi di tre studenti della Universidad Nacional Autónoma de México che hanno denunciato il tentativo di farli sparire della polizia federale, in azione contro di loro a Città del Messico. Sandino Bucio è stato avvicinato da

Fabbrica di colpevoli

Il 15 novembre il ventiseienne Bryan Reyes e la sua fidanzata Jaqueline Santana, rispettivamente maestro di flamenco e studentessa di economia, entrambi militanti del gruppo Acampada Revolucion 132, stavano camminando in una zona periferica della capitale, si dirigevano al famoso mercato della Merced. Mentre passavano su un cavalcavia sono stati catturati da 14 poliziotti, otto uomini e sei donne, in borghese. Convinti che si trattasse di un sequestro di persona, dato che gli agenti non si sono identificati e li hanno picchiati per forzarli ad entrare con la violenza in un taxi e in un’automobile privata, i due hanno cominciato a gridare. Ulises Chavez, un amico che era con loro, è riuscito a scappare e un poliziotto locale è stato richiamato sul posto dai rumori e le urla, ha puntato la pistola in faccia a uno dei federali e gli ha intimato di liberare i ragazzi.

Quando il federale s’è identificato il poliziotto l’ha lasciato stare ma questo “contrattempo” ha forse salvato la vita a Jaqueline e Bryan che sono stati portati in questura e poi in prigione con delle accuse assurde ma, per lo meno, in vita. Senza il minimo rispetto dei diritti umani e del dovuto processo, in spregio al fatto che i poliziotti federali hanno cercato di sequestrare e, probabilmente, far sparire i due ragazzi, questi sono stati rinchiusi per furto aggravato per aver rubato 30 euro a una poliziotta proprio sul cavalcavia in cui sono stati immobilizzati e rapiti dai federali (in questo video-link la testimonianza della sorella di Bryan). I detenuti del 20 novembre e del primo dicembre sono stati liberati, Bryan e Jaqueline no, e da stanno portando avanti uno sciopero della fame dal 23 novembre.

Una situazione simile ha vissuto Sandino Bucio, studente di Filosofia e Lettere e attivista che lo scorso 28 novembre è stato praticamente sequestrato da alcuni agenti in borghese della polizia federale all’uscita dell’università, dopo aver partecipato all’assemblea degli studenti della sua facoltà. Picchiato e costretto a salire su una macchina bianca, anonima, come se si trattasse di un rapimento o di una sparizione forzata. Per fortuna i passanti e gli studenti che si trovavano nei paraggi hanno filmato l’arresto e hanno diffuso immediatamente l’informazione. Si sono mosse subito le reti sociali e quelle dell’attivismo universitario per organizzare un picchetto di protesta fuori dalla sede della procura, dove intanto era stato condotto Sandino. Dopo poche ore la pressione mediatica e popolare è riuscita a far liberare lo studente. Gli agenti federali coinvolti sono stati sospesi, ma resta critico il livello di guardia dei movimenti e dei cittadini di fronte alle rozze azioni d’intimidazione della polizia, alle sue operazioni delinquenziali e alle offensive legislative del mondo politico. http://lamericalatina.net/2014/12/08/identificati-in-messico-i-resti-di-uno-studente-di-ayotzinapa-proteste-1dmx-6dmx-yamecanse2/

Reportage precedenti: Ayotzinapa @CarmillaOnLine

  1. La strage degli studenti in Messico: Narco-Stato e Narco-Politica
  2. Il Messico e Ayotzinapa gridano: 43 con vida ya!
  3. Benvenuti in Messico: desaparecidos e morti di #Ayotzinapa #Fueelestado
  4. Due mesi dopo la strage: le vene aperte del Messico e #Ayotzinapa

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Fuera Pena NietoMessico, Peña Nieto promette riforme (e reprime la protesta)

Federico Mastrogiovanni

3 dicembre 2014

Nell’anniversario dell’insediamento, il presidente illustra un piano poco credibile per rimettere ordine nei rapporti tra polizia e istituzioni corrotte e criminalità organizzata. Continuano ovunque le proteste per chiedere verità sulla sparizione e strage dei 43 studenti

A più di due mesi dalla sparizione forzata di 43 studenti della scuola di Ayotzinapa e l’uccisione di altri sei, non si placa la protesta della società civile messicana. Il primo dicembre era una data importante, il giorno in cui, due anni fa, ha prestato giuramento il presidente della Repubblica, Enrique Peña Nieto e già allora, nel 2012 il primo dicembre si è caratterizzato per proteste di massa dirette al neopresidente e al suo Partito della Rivoluzione Istituzionale (PRI), tornato al potere dopo 12 anni lontano dal governo.

In molti, dalla sparizione degli studenti in poi chiedono che Peña Nieto rinunci, e che si vada a elezioni anticipate. In molti lo hanno fatto di nuovo il primo dicembre con una grande manifestazione pacifica finita male dopo che il corpo di polizia dei granaderos, l’ha dispersa con la violenza. Molte persone sono state ferite dalle manganellate delle forze dell’ordine, tra queste anche alcune donne e ragazzi, colpiti alla testa e al volto.

Il 27 novembre scorso, a due mesi esatti dalla desaparición forzada dei 43 studenti di Ayotzinapa, il presidente Peña Nieto, in un discorso di 46 minuti definito “conferenza stampa” ma che non ha previsto alcuna domanda, ha presentato un piano in 10 punti per risolvere il grave problema della sicurezza in Messico. Nel suo discorso ha menzionato due volte l’espressione “desaparición forzada”, che implica la partecipazione in un sequestro di forze appartenenti allo Stato, sia militari che civili, per azione o per omissione, ma non l’ha mai applicata alla sparizione forzata dei 43 studenti di Ayotzinapa. Nel loro caso ha parlato di semplice privazione illegale della libertà, benché siano stati sequestrati da agenti della polizia municipale di Iguala, con l’appoggio del presidente municipale e con la colpevole distrazione dell’esercito a cui i ragazzi braccati si erano rivolti per chiedere aiuto. Parlando del caso di Iguala Peña Nieto ha parlato di “debolezza istituzionale” invece che di responsabilità diretta delle istituzioni municipali, statali, federali e militari.

I dieci punti di riforma annunciati dal presidente si caratterizzano per la genericità degli interventi. Si parte dalla proposta, al primo punto, di commissariare i municipi in cui ci siano infiltrazioni del crimine organizzato. Una misura potenzialmente positiva, ma sono molti i municipi che, proprio per espellere i rappresentanti dei partiti politici, collusi e legati a doppio filo al crimine organizzato, stanno percorrendo la strada dell’autonomia, prevista dalla Costituzione messicana, alternativa a quella di un controllo rafforzato dei poteri federali che spesso sono collusi o indifferenti verso il crimine locale.

Si parla inoltre di chiarire ruoli istituzionali nelle investigazioni, la costituzione di polizie statali uniche (con enormi costi da parte della Federazione), una blanda riforma del sistema giudiziario, senza specificare in che modo dovrebbe funzionare meglio, la creazione di un pubblico ministero speciale anticorruzione.

Il punto che più ha suscitato proteste e ilarità sui social network è il quarto: la creazione di un numero di telefono federale per le emergenze (già esiste lo 066), che sia, come negli Stati Uniti d’America, il 911, a causa della familiarità dei messicani con i film e le serie statunitensi (sic). In generale le misure presentate sono le stesse già proposte nei governi precedenti, alcune (come la polizia statale) non sono state mai approvate. Ciò che appare chiaro è che di fronte all’opposizione e alle proteste generate dall’impunità, Peña Nieto ha deciso di attribuire la responsabilità ai governi municipali, reiterando l’estraneità del governo federale alle infiltrazioni mafiose e alle collusioni con i gruppi criminali.

Alla fine del suo discorso Peña Nieto ha ripreso il motto di questi ultimi mesi: “Todos somos Ayotzinapa” (Siamo tutti Ayotzinapa). In risposta a quella che molti hanno percepito come una provocazione, uno degli studenti della Normale di Ayotzinapa, al termine della manifestazione del 1 dicembre ha risposto alle parole del presidente: “Vogliamo dire a Peña Nieto che lui non è Ayotzinapa. Ayotzinapa siamo noi e tutta la gente che ci ha appoggiato ovunque siamo andati e che ci ha offerto solidarietà. Come Ayotzinapa abbiamo dignità. Ayotzinapa sono i contadini di origine indigena e non i politici ipocriti collusi con la delinquenza organizzata”.

La protesta si mantiene per lo più pacifica. Ad ogni manifestazione vengono arrestate e picchiate decine di giovani, come i 31 ragazzi arrestati il 20 novembre scorso. Sono per lo più accusati di terrorismo, portati in carceri federali per poi essere generalmente rilasciati per mancanza di prove. Venerdì 28 novembre Sandino Bucio, uno studente di filosofia dell’Universidad Nacional Autónoma de México (UNAM) è stato caricato su un’auto senza insegne da un gruppo di uomini armati con armi da assalto e portato via in pieno giorno in una delle uscite dell’università a Città del Messico. Si trattava di agenti federali in borghese. Il giovane dopo essere stato picchiato, minacciato e torturato è stato rilasciato, anche grazie all’intervento di amici, colleghi e società civile. Sandino, rilasciato poche ore dopo, è accusato di aver fatto parte di un gruppo di incappucciati che durante la manifestazione del 20 novembre lanciava molotov alla polizia.

Taibo

(Gli scrittori Juan Viloro e Paco Ignacio Taibo II partecipano alla protesta – Getty Images)

In appoggio ai familiari dei 43 desaparecidos si aggiungono sempre più voci di gruppi della società civile, messicani e stranieri. Il 30 novembre la dirigente storica delle Abuelas de Plaza de Mayo, Estela de Carlotto ha raggiunto alcune madri dei normalistas di Ayotzinapa nella sede del Centro Miguel Agustín Pro Juárez, uno dei centri di difesa di diritti umani più importanti del Messico, che accompagna i familiari delle vittime. La “abuela” argentina, che dopo 36 anni ha ritrovato suo nipote, nato da sua figlia desaparecida in un campo di concentramento durante la dittatura, ha esortato il popolo messicano a far fronte comune in appoggio alle famiglie di Ayotzinapa “Se questi crimini passeranno impuni c’è il pericolo che continuino ad accadere”.

L’incontro è stato molto forte emotivamente per le madri dei normalistas presenti: “Quello che ci ha detto è che dobbiamo essere forti. E lo saremo. Ci ha raccontato come è stato passare per quello che stiamo vivendo noi e per questo motivo sentiamo che ci capisce” ha affermato Hilda Hernández Rivera, madre di César Manuel González, uno dei 43 di Ayotzinapa. “All’inizio non parlavamo a causa di tanto dolore” ha dichiarato Cristina, madre di Benjamín, un altro dei 43 “ma adesso cominciamo a parlare e non ci azzittiranno. Al governo diciamo: non veniteci a dire che i nostri figli sono nelle fosse quando sappiamo che non li state nemmeno cercando!”.

@Fedemast  http://www.pagina99.it/news/mondo/7626/Messico–Pe-a-Nieto-promette.html

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