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Archive for giugno 2012

La Jornada – Venerdì 29 giugno 2012

Frayba: In Chiapas la tortura è stata istituzionalizzata come metodo di controllo

Hermann Bellinghausen

Un dato chiaro alla fine di questo sessennio in Messico, in particolare in Chiapas, è che la tortura è lo strumento privilegiato di indagine di polizia e di controllo utilizzato dagli agenti statali, malgrado esistano normative vigenti su scala statale, nazionale ed internazionale per proibirla e sanzionarla, sostiene l’ampio rapporto Dalla crudeltà al Cinismo, del Centro dei Diritti Umani o Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), dimostrando che la tortura è una pratica generalizzata e legittimata dalle autorità chiapaneche.

E’ evidente l’inefficienza per sradicarla, segnala il documento di circa 100 pagine. Solo tra gennaio 2010 e dicembre 2011 l’organizzazione ha documentato 47 casi di tortura in Chiapas, otto donne e 39 uomini, che il Frayba considera sopravvissuti a questo crimine di lesa umanità. Inoltre il lettore di La Jornada ricorderà che le decine di detenuti indigeni nello stato che hanno lottato per la loro liberazione durante questo sessennio, sia quelli che hanno ottenuto la libertà sia quelli che ancora sono in carcere, sono stati torturati e a volte per motivi politici.

Il rapporto identifica come esecutori routinari della tortura, con un certo metodo, i poliziotti federali, statali e municipali, i funzionari del Pubblico Ministero, i militari, le autorità giudiziarie e carcerarie. In determinati casi vi partecipano anche civili di organizzazioni filogovernative, alcune riconosciute come paramilitari.

In Chiapas, “gli atti di tortura, maltrattamenti o crudeltà, inumane o degradanti, sono diventati pratica ‘normale’ ed accettata dalle autorità di giustizia, tollerata dall’Esecutivo dello stato”. Questo fa sì che la maggioranza delle denunce presentate al Pubblico Ministero non procedano o trovino ostruzioni, e pertanto rimangano impunite. Questa conclusione si basa sulle informazioni documentate in possesso del Frayba, confrontate con quelle fornite dallo stesso governo statale che nel 2010 ha registrato 11 casi di presunta tortura, per i quali ha presentato al giudice un solo responsabile, e fermato due funzionari dei cinque accusati. A giugno 2011 il governo aveva solo un caso su cui indagare.

Dalla Crudeltà al Cinismo. Rapporto sulla tortura in Chiapas (Jovel, giugno 2012) descrive in dettaglio le torture praticate da funzionari e servitori pubblici del governo di Juan José Sabines Guerrero, e gli effetti psicologici e medici che causano. Si includono i casi documentati nei due anni precedenti come analisi schematica dei metodi e modelli di attuazione dei torturatori.

Si riportano ed analizzano le esperienze di 47 vittime in 15 municipi: Acala, Bella Vista, Comitán, Chilón, Huixtla, El Porvenir, Motozintla, Ocosingo, Palenque, Pueblo Nuevo Solistahuacán, San Cristóbal de Las Casas, Tapachula, Tonalá, Tuxtla Gutiérrez e Villaflores. Si pratica sia su indigeni che meticci. La maggioranza dei casi si pratica nel contesto della guerra dichiarata contro il crimine organizzato dal presidente Felipe Calderón.

I casi a conoscenza del Frayba indicano che queste azioni sono praticate soprattutto da membri della Polizia Ministeriale ascritti alla Procura Generale di Giustizia dello Stato (PGJE) per ottenere informazioni o confessioni. Per questi fatti lo Stato è responsabile per azione diretta ed omissione, poiché una volta perpetrata la tortura, lo stato non interviene per punire i colpevoli garantendo l’impunità e legittimando questa violazione delle garanzie elementari. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/29/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. 

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
18 giugno 2012
Comunicato Stampa No. 06 

Nuovo attacco contro il CIDECI – Centro Indigeno di Formazione 

Lunedì 11 giugno 2012, intorno alle 12:30, all’ingresso del Centro Indigeno di Formazione Integrale “Fray Bartolomé de Las Casas” A.C. –Università della Terra Chiapas (Cideci-Unitierra Chiapas) un perito giudiziario, accompagnato da elementi della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE). Chiedevano di essere ricevuti ed entrare nelle strutture del Cideci per svolgere un controllo degli impianti. I membri del Cideci hanno negato loro l’ingresso. 

Al giorno dopo, martedì 12 giugno, intorno alle 14:30, si sono ripresentate le stesse persone e, dopo il rifiuto di farle entrare, hanno lasciato dei documenti arrotolati sulla porta. I documenti si riferiscono a due pratiche, 585/2012 e 586/2012, nelle quali i periti giudiziari Dott. Ma. del Carmen González Flores e Dott. Victor Hugo Rodríguez García, affermano di aver notificato detti documenti ad un presunto “lavoratore di questa associazione civile”. Tuttavia, questa affermazione è falsa e dolosa, dato che il nome al quale si fa riferimento nelle notifiche non corrisponde a nessun membro della comunità del Cideci, e nessun membro del Cideci ha mai ricevuto tali documenti. 

Bisogna ricordare che a metà maggio, ed agli inizi di giugno, sono avvenuti simili episodi. Questi nuovi attacchi da parte della CFE e del Potere Giudiziario dello Stato del Chiapas avvengono dopo diversi eventi politici che si sono svolti all’interno delle strutture del Cideci, i più recenti sono: L’Incontro “Alternativas frente a la violencia de Estado”, il forum “Exclusión… Inclusión neoliberal, Miradas sobre las Ciudades Rurales Sustentables”, ed il forum “Contra la prisión política y por la libertad para Alberto Patishtán”, eventi che hanno disegnato i meccanismo di repressione dei diversi livelli di governo contro la popolazione organizzata del Chiapas. 

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas invita a prestare attenzione a queste recenti azioni di attacco giudiziario contro il Cideci, poiché è un spazio che con dignità accoglie ragazzi di molte comunità che costruiscono alternative educative al sistema formale. Inoltre, le sue installazioni sono state e sono sede di forum, dibattiti e incontri che cercano di costruire alternative al sistema sociale dominante. 

Precedenti

I fatti che ora si denunciano hanno precedenti documenti e denunciati da questo Centro dei Diritti Umani nel Comunicato Stampa No. 20 “La CFEperseguita il Cideci-Unitierra Chiapas”, del 15 di ottobre 2010, disponibile alla pagina web: http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/101015_20_hostigamiento_cideci.pdf

È importante sottolineare che il Cideci, dal giugno del 2006 non ha connessione elettrica alcuna con le linee della CFE e le sue installazioni funzionano in maniera alternativa grazie ad un proprio generatore di energia elettrica. 

Comunicate con noi vía Skype: medios.frayba
Gubidcha Matus Lerma
Comunicación Social
Área de Sistematización e Incidencia / Comunicación
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
medios@frayba.org.mx
www.frayba.org.mx

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Brigata di Lavoro Volontario al caracol La Garrucha

6 luglio 2012

Ai compagni, collettivi e organizzazioni aderenti all’Altra Campagna:

A tutt@ i/le compagn@ che sei anni fa hanno aderito all’Altra Campagna ed hanno fatto propria la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, a tutt@ quest@ compagn@ con cui stiamo creando poco a poco un mondo dove stanno tanti mondi, oggi come in ognuno di questi sei anni, mentre qualcuno si ostina ad occuparsi delle elezioni presidenziali e si dimentica di tutti i conflitti presenti nel paese, avanzare dal basso e a sinistra è diventato più necessario che mai. Voltarsi a guardare i compagni a fianco, quelli in basso, quelli che resistono, quelli che sono morti, quelli desaparecidos, è necessario che torniamo ad avanzare insieme, che tutti gli sforzi fatti in questi anni non restino solo aneddoti, ma che riprendiamo l’esperienza acquisita al fine di riprendere il cammino, per far riascoltare la nostra voce ed esigere che si rispettino i nostri bisogni: casa, terra, lavoro, pane, salute, educazione, indipendenza, democrazia, liberta, giustizia e pace.
Riprendiamo il nostro impegno tra compagni aderenti di andare avanti insieme, perché se toccano uno di noi, toccano tutti.

STOP ALLE AGGRESSIONI CONTRO LE COMUNITA’ ZAPATISTE!
STOP AI PARAMILITARI IN CHIAPAS E IN TUTTO IL PAESE!

Pertanto vi invitiamo a partecipare alla  XXIV Brigata di Lavoro Volontario nel caracol di La Garrucha, Chiapas, territorio autonomo ribelle zapatista.
La Brigata partirà da Città del Messico il 6 luglio 2012 e farà ritorno il 16 luglio.

La Brigata svolgerà lavori di manutenzione e costruzione nel caracol III “La Garrucha”

Il costo di partecipazione è di 1.300 pesos (74,00 Euro, per  trasporto, vitto, materiale da lavoro)

PARTECIPA ED ORGANIZZIAMOCI!

Per maggiori informazioni:

TEL. 044 5528115430

TEL. 044 5536748844

brigadavoluntaria@hotmail.com

Facebook: BTV

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 16 giugno 2012

John Holloway: Ci riconosciamo in Patishtán e Sántiz López; soffrono per noi

Hermann Bellinghausen

Ondate su ondate di protesta per la liberazione di Alberto Patishtán e Francisco Sántiz López, lettere su lettere che arrivano da ogni parte del mondo, ci riconosciamo in loro, comprendiamo che stanno soffrendo per noi, ha affermato il pensatore e professore universitario di origine irlandese John Holloway unendosi alla seconda settimana mondiale per la liberazione dei due prigionieri indigeni di Chiapas, il primo aderente all’Altra Campagna, ed il secondo base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).

Anche Gustavo Esteva, articolista de La Jornada, sostiene: Pathistán è in prigione ingiustamente da 10 anni. Non possiamo chiudere gli occhi ed alzare le spalle, aggiungendolo alla lunga lista dei prigionieri politici, né tranquillizzarci pensando che Francisco Sántiz è solo da sei mesi in prigione. La detenzione di questi due compagni deve pesare su noi come fosse la nostra stessa detenzione. Perché lo è.

La lotta degli indigeni per la loro libertà è impressionante, scrive Holloway in una lettera ai prigionieri; è quella di tutti quelli che sognano ancora che ci può essere un futuro, una vita degna. La loro detenzione è semplicemente una ulteriore manifestazione che nel capitalismo non c’è posto per l’umanità.

Il sistema attuale “è un’aggressione costante, una macchina di distruzione che vuole distruggere tutto quello che non si sottomette alla sua logica del denaro, che si oppone alla logica del profitto, ma non ci riesce perché c’è gente come Alberto e Francisco che dicono ‘No’ che non lo accettano”. In altri milioni non lo accettiamo, perché siamo in prigione con loro ed affinché respirino e vivano, affinché noi e voi respiriamo, viviamo, dobbiamo abbattere le pareti delle prigioni del Chiapas, delle prigioni del mondo, del sistema-prigione, conclude Holloway.

A sua volta, Esteva ha annunciato dal suo rifugio oaxaqueño che unisce il cuore, la speranza e l’energia a queste domande di libertà: Dobbiamo rompere le barriere che abbiamo in testa che portano a pensare che cambiando qualche cosetta lassù in alto tutto si sistema. E dobbiamo rompere le catene che legano ancora le nostre mani e piedi e ci impediscono di muoverci alla conquista della nostra autonomia in ogni parte del mondo in cui ci tocca vivere. Solo queste autonomie, consolidate in ogni luogo ed unite in maniera solidale ci permetteranno di uscire dalla prigione.

A maggio, durante la prima settimana di lotta mondiale, gruppi ed individui di tutte parti del Regno Unito hanno consegnato lettere all’ambasciata messicana a Londra per posta, fax, posta elettronica, e perfino a mano. I gruppi solidali avevano chiesto una risposta per la seconda settimana di lotta, che, come consuetudine, è stata che non c’era nessuno in ambasciata che poteva rispondere a tali richieste. Il personale dell’ambasciata suggeriva di richiamare il prossimo lunedì.

I gruppi britannici hanno inoltre diffuso un messaggio solidale di organizzazioni della Turchia: Tutti quelli che lottano per la libertà nel mondo sono nostri compagni. Rivolgiamo un appello a tutti i ribelli che hanno il fuoco della libertà nel cuore e che sono di Atene, Amed, Chiapas, Gaza, Toronto o Seattle. Voi non siete soli, anche in altre terre ci sono persone che lottano.  http://www.jornada.unam.mx/2012/06/16/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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19 Giugno 2012

Giornata contro la prigionia politica e per la libertà di Alberto Patishtan

Rumori metallici di porte che si chiudono.

Passi e sguardi che inciampano su sbarre e torrette armate.

Teste rasate per potare idee e personalità.

Ore marcate al ritmo del niente.

Giusto un pezzetto di cielo…

In tutto il mondo così sono le carceri. Nella città, come nelle campagne, i potenti e i ricchi attaccano chi è sfruttato e non allineato. Ci derubano, ci schiavizzano, ci discriminano e alla fine ci arrestano, quando non ci assassinano.

Cercano così di zittirci, dividerci, intimorirci, però non ci riusciranno perché possiamo continuare a lottare anche  dentro il carcere.

Come sempre l’ha fatto Alberto Patishtan Gomez.

Era il 19 giugno del 2000 quando arrestarono Alberto, maestro tzotzil, accusandolo di un delitto che non aveva commesso e che venne fabbricato per punirlo per aver osato stare al lato della gente e contro il sindaco del suo paese, El Bosque, in Chiapas.

Un’ingiustizia che si perpetua da 12 anni. Oggi il compagno Alberto è detenuto in un carcere federale di massima sicurezza, a Guasave (Sinaloa), a più di 2000 Km dalla sua famiglia, i suoi compagni, la sua terra. Lo si punisce con ferocia e rancore perché Alberto ha fatto di ogni carcere una trincea, con un lavoro di politicizzazione dei prigionieri e lottando con e per loro contro le brutalità del sistema di (in)giustizia dello stato messicano.

Come aderenti alla Sesta Dichiarazione dell’EZLN convochiamo nuovamente una mobilitazione per la libertà di Alberto Patishtan, simbolo della lotta contro la prigione, e per gli altri prigionier* politic* della Otra Campaña e del Messico, secondo gli accordi presi durante il “Forum contro la prigionia politica e per la lbertà di Alberto Patishtan” il 12 e 13 Maggio 2012 (Chiapas), organizzato dalla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà.

Invitiamo quindi le organizzazioni, gruppi, collettivi e individui del Messico e del mondo a mobilitarsi secondo le proprie possibilità, il giorno 19 Giugno 2012 per esigere la libertà dei compagn* arrestat* con lo slogan:

Contro la repressione e l’oblio: la libertà.. dal basso e a sinistra!

Quel giorno, dalle 11.00, avrà luogo nella comunità di Alberto, una manifestazione organizzata dal “Movimiento del pueblo de El Bosque por la libertad de Alberto Patishtan”. Invitiamo a segnalare qualsiasi azione, meeting, manifestazione, striscione, volantinaggio, conferenza, trasmissione, incontro informativo, concerto alla mail: foro.presxs@gmail.com

Abbattiamo i muri delle prigioni!

Prigionier* politic* LIBERTÀ!

I/le partecipanti al “Forum contro la prigionia politica e per la lbertà di Alberto Patishtan”

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La Jornada – Martedì 12 giugno 2012

Si diffonde nel mondo la richiesta di liberazione di Santiz e Patishtán

Hermann Bellinghausen

La diffusione di eventi per chiedere la liberazione di Francisco Santiz López ed Alberto Patishtán Gómez, prigionieri indigeni in Chiapas, ha portato la seconda settimana mondiale, denominata Abbattiamo le pareti delle celle, su decine di siti web e numerosi account di Twitter e Facebook, con immagini che mostrano azioni e proteste in luoghi pubblici di diversi stati della federazione e in decine di città in Europa, Africa, America Latina, Stati Uniti e Canada, molte davanti ad ambasciate e consolati del Messico.

Nel frattempo, la Segreteria degli Affari Giuridici e Diritti Umani della Segreteria di Governo ha dichiarato la sua posizione rispetto alle richieste di liberazione dei prigionieri politici del Chiapas che hanno ricevuto le missioni diplomatiche del Messico nei diversi paesi: “In quanto a concedere la libertà immediata a Francisco Santiz López si informa che questo ente non possiede la facoltà di decretare questa sollecitudine”. Rispetto alla sparizione a Banavil di Alonso López Luna nel dicembre scorso, dopo un’aggressione di priisti armati durante i fatti violenti dei quali è accusato Santiz López, base di appoggio zapatista, semplicemente l’ente comunica che c’è un’indagine in corso “per presunto omicidio” del desaparecido. Firma Carlos Garduño Salinas, direttore generale aggiunto di Investigación y Atención de Casos de Gobernación.

Bisogna ricordare che il 28 maggio scorso, il Movimiento por la Paz con Justicia y Dignidad ha permesso al professor Martín Ramírez, rappresentante del villaggio di El Bosque, di esporre il caso di Patishtán ai quattro candidati presidenziali nel Castello di Chapultepec, anche se nessuno ha poi manifestato un suo impegno al riguardo.

Questa settimana sono state diffuse decine di immagini in cui si vedono persone, perfino  gruppi numerosi, che espongono cartelli e foto dei due indigeni chiapanechi e chiedono la loro liberazione immediata in Togo, Olanda, Canada, Belgio e Portogallo. Oppure in città come Valencia, Carcasson, Parigi, Seul, Chicago, Bilbao, Buenos Aires, Torino, Río de Janeiro e Cochabamba.

Nell’edizione di lunedì, il settimanale on line Desinformémonos, per esempio, raccoglie immagini di solidarietà, da Merida e Los Mochis, Valle de Chalco, Cholula, Unión Hidalgo, le spiagge di Huatulco, Cuernavaca, Toluca e Distrito Federal. In Chiapas si sono svolte manifestazioni pubbliche per chiedere giustizia per Santiz e Patishtán a Tapachula, nella Casa del Migrante Hogar de Misericordia in Arriaga, a San Andrés Larráinzar, El Bosque, Oventic ed Acteal. Altre manifestazioni a favore di questa richiesta si sono svolte a Totonacapan, Cherán, San Cristóbal de las Casas, Tuxtla Gutiérrez, Jalapa y Querétaro.

A New York, i gruppi di donne e anti-razzisti del Movimento Occupy Wall Street, si sono uniti alla Seconda Settimana di Lotta Mondiale per la Liberazione di Patishtán e Santiz López.

Tuttavia, né le autorità federali né quelle statali del Chiapas hanno mostrato una migliore disposizione, salvo fare solo dichiarazioni, per rispondere a questa domanda che si basa sulla provata innocenza dei due prigionieri. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/12/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 giugno 2012

A 14 anni dal massacro a El Bosque non ci sono colpevoli

In Chiapas si vuole che cessi la persecuzione giudiziaria contro le comunità indigene

Hermann Bellinghausen

Centinaia di indigeni domenica hanno sfilato nel municipio El Bosque, negli Altos del Chiapas, per chiedere che cessi la persecuzione giudiziaria contro abitanti innocenti di San Pedro Nixtalucum, e la liberazione del professor Alberto Patishtán Gómez e dello zapatista Francisco Santiz López, di Tenejapa. Questo, a 14 anni dal massacro di El Bosque, uno dei crimini di Stato meno indagati degli ultimi anni avvenuto tre giorni dopo il massacro di El Charco, in Gueriero, durante il governo di Ernesto Zedillo. Erano trascorsi sei mesi dalla tragedia di Acteal, ed Alberto Albores Guillén era già il mandatario statale.

Intanto, il dirigente contadino e direttore della rivista Lucha indigena en Perù, Hugo Blanco, ha espresso il suo appoggio alla seconda settimana mondiale per la liberazione di Santiz López e Patishtán Gómez: “In Messico le prigioni non sono per i narcotrafficanti, ma per gli indigeni che non hanno fatto niente di male, come Patishtán e Santiz López”. Il loro “reato” è stato “pensare che il Messico deve essere per tutti i messicani, dove tutti lavorino e vivano tranquillamente, senza sfruttare né essere sfruttati, godendo dei frutti che dà la terra”, in un paese “dove tutti possano ricevere un’educazione e assistenza per la propria salute, dove non ci siano milionari né mendicanti, dove tutti si interessino di tutti, come nelle comunità indigene”.

Il Messico, ha detto Blanco, “è diventato un modello per il potente paese del nord, il più consumatore” di stupefacenti, “dove risiedono i baroni della droga; il paese che invia sostanze chimiche per la produzione di cocaina, dove si lava il denaro e da dove si mandano armi ai narcotrafficanti”. Ed aggiunge: Il “Messico serve da laboratorio per la ‘guerra falsamente chiamata al narcotraffico’. Si è mobilitato l’Esercito in questa guerra nella quale muoiono centinaia di innocenti. Il sogno dei baroni della droga degli Stati Uniti è estendere questo modello a tutta l’America Latina per schiacciare i popoli ed arricchirsi”.

Il 10 giugno 1998, circa mille soldati e centinaia di poliziotti statali e federali attaccarono le comunità Unión Progreso e Chavajeval, ed occuparono El Bosque, governato dal consiglio municipale autonomo zapatista di San Juan de la Libertad, i cui membri furono imprigionati. Ad Unión Progreso otto indigeni furono assassinati, sei dei quali erano stati catturati vivi e poi giustiziati, presumibilmente da truppe federali. Il numero delle vittime a Chavajeval, almeno quattro, non si è mai saputo, perché non tutte erano basi di appoggio zapatiste, morirono anche dei priisti ed i loro padroni non poterono alzare la voce.

Il pretesto delle autorità per quell’operativo fu un cruento assalto, all’alba, sulla strada per El Bosque, compiuto dalla banda criminale della comunità Los Plátanos, efficacemente addestrata come gruppo paramilitare, dedita alla coltivazione e spaccio di marijuana con la protezione della polizia, come fu documentato da La Jornada, e ricorrente assalitrice nei mesi precedenti del vicino Unión Progreso. Dopo l’assalto fuggirono in montagna circa 800 indigeni in condizioni straordinariamente precarie. Inoltre, circa 200 persone di Los Plátanos erano da due mesi rifugiate sulle aspre montagne della zona.

Carlos Payán Velver, allora senatore perredista e membro della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa), denunciò la “schizofrenia” del governo zedillista che parlava continuamente di pace e volontà di dialogo e contemporaneamente realizzare un operativo “più grave di Acteal”, poiché vi avevano partecipato truppe dell’Esercito con mortai, bazooka ed armi di grosso calibro. Da parte sua, Andrés Manuel López Obrador, in quegli anni dirigente nazionale del Partito della Rivoluzione Democratica, il giorno del massacro dichiarò: “Niente giustifica la decisione del governo di ordinare l’azione dell’Esercito” a El Bosque, Unión Progreso e Chavajeval. L’incursione “è stata criminale ed irresponsabile”, e con questo Zedillo “ha disatteso il suo impegno di non usare la forza per rispondere al conflitto chiapaneco”.

Come dimostra oggi l’incessante lotta per la liberazione di Patishtán, quasi tre lustri dopo quasi sono ancora perte le ferite di quel massacro sul quale non si è mai indagato e per il quale nessuno è stato mai processato. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/11/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Memorie di un’infamia

Atenco non si dimentica

Adolfo Gilly

E’ stato sei anni fa, un giovedì 4 maggio, in piena campagna elettorale presidenziale dell’anno 2006. La Jornada riportò giorno per giorno la repressione poliziesca contro il popolo di San Salvador Atenco scatenata dal governatore dello stato del Messico, Enrique Peña Nieto, e dal presidente degli Stati Uniti Messicani, Vicente Fox. Entrambi, oggi uniti nella campagna per le presidenziali, hanno ammesso pubblicamente la paternità e la responsabilità di quei fatti.

Ci furono due ragazzi uccisi, di 14 e 20 anni; innumerevoli abitanti pestati e umiliati; molte case perquisite e devastate; più di 200 arrestati con violenza.

12 coloni rimasero in carcere per più di quattro anni. A luglio del 2010 la Corte Suprema di Giustizia della Nazione dichiarò la loro innocenza e ne ordinò la scarcerazione. Chi restituirà loro quei quattro anni di vita?

Ci furono infamia mai punita, decine di donne violentate, vessate e umiliate dalle forze di polizia di Fox e Peña Nieto. I responsabili dicono che si trattò di eccessi. Da allora nessuno è stato punito.

Sono riandato alle pagine di La Jordana di quei giorni. Questa è una selezione delle cronache, memorie di un’infamia che i giornalisti, con professionalità e coraggio, registrarono.

* * *

5 maggio 2006

Tremila poliziotti fanno incursione

Con accanimento, la presa di Atenco: altri 110 arresti

Alle cinque e mezza della mattina di giovedì 4 le tenaglie della polizia si sono chiuse intorno a San Salvador Atenco. Mezz’ora più tardi è avvenuto il primo scontro per sgomberare la strada Texcoco-Lechería. Nel villaggio, l’operazione si è sviluppata su vari fronti. C’è stato un bombardamento incessante di gas lacrimogeni. In generale, gli ejidatarios hanno opposto debole resistenza. Subito si sono scatenate una serie di razzie e saccheggi nelle abitazioni nelle quali vengono catturati gli abitanti. Questi sono stati brutalmente picchiati e trascinati sui camion. Secondo le informazioni, al momento sono 217 le persone arrestate in due giorni di violenza.

* * *

7 maggio 2006

La Jornada ha ricevuto alcune lettere degli ejidatarios fermati. Questi sono frammenti delle missive inviate dal carcere di Santiaguito, stato di México:

“Hanno forzato i portoni delle case per accedere dalle terrazze. Una volta all’interno, hanno picchiato anche con le armi e i manganelli i compagni che trovavano nelle stanze, ai quali erano feriti. Sulle donne hanno commesso bassezze, come togliere la biancheria intima e palpeggiarne i seni e le parti intime. Non hanno mai smesso di picchiarci fino a che non ci hanno sbattuto sui camion. Alcuni sono stati trascinati per le scale e presi a calci senza pietà. […] Sui camion sono iniziate le minacce di morte. I soldati erano drogati. E sono cominciate le aggressioni e le violenze sessuali sulle compagne. […]

* * *

8 maggio 2006

189 persone accusate di criminalità organizzata

La Procura Generale dello Stato di México (PGJEM) questa domenica ha consegnato alle 189 persone fermate negli operativi di polizia del 3 e 4 maggio scorsi ad Atenco e Texcoco, un mandato con l’accusa di criminalità organizzata, per cui nessuno dei fermati nella prigione di Santiago potrà ottenere il rilascio. […] L’avvocato Bárbara Zamora ha definito un’infamia accusare di criminalità organizzata persone che sono state tirate fuori con brutalità dalle proprie case.

* * *

Cittadine spagnole raccontano di vessazioni da parte di poliziotti 

María Sastres e Cristina Valls sono due cittadine spagnole che lo scorso mercoledì si trovavano a San Salvador Atenco. […] Dopo l’espulsione, La Jornada le ha intervistate a Barcellona. Si sentono offese e sono molto “colpite” da quanto accaduto a San Salvador Atenco.

Quando la polizia è arrivata in paese hanno lanciato gas lacrimogeni, ci hanno sparato addosso. […] Alla fine una signora i ha aperto la porta di casa e ci siamo rifugiati in circa otto persone. […] Poi ci hanno trovato; ci hanno fatti mettere con la faccia a terra, ci hanno coperto la faccia con dei cappucci e ci hanno legato proprio nel cortile di casa.

Le vessazioni più pesanti sono avvenuti sul camion, insieme a decine di persone: “Ci hanno caricato su un camion dove hanno iniziato a colpirci con calci e manganelli. Ci insultavano pesantemente ed a noi spagnole ci chiamavano militanti di ‘Eta, puttane ed altre cose. Poi ci hanno messo un camion più grande, dove ci hanno contato – credo fossimo 38 – e noi donne siamo state abusate”.

Sugli abusi sessuali subiti, María Sastres racconta: Ci hanno fatto di tutto, e siccome eravamo incappucciate non vedevamo chi erano; riuscivamo solo a vedere il pavimento pieno di sangue ed a sentire le grida di dolore delle persone. Non voglio entrare nei  dettagli delle aggressioni sessuali, ma ci hanno spogliate strappandoci gli abiti e ci passavano da poliziotto a poliziotto, preferisco non dire altro. […] Se cercavamo di parlare con qualche compagno ci insultavano e ridevano di noi.

* * *

9 maggio 2006

Violentate diverse ragazze durante il trasferimento in  prigione

Dal Cile, deportata, in un’intervista con Blanche Petrich, la studentessa di cinematografia Valentina Palma denuncia:

“Posso dirlo con assoluta certezza: diverse ragazze arrestate ad Atenco, con le quali ho condiviso 12 ore in carcere ad Almoloyita, sono state violentate durante il trasferimento. Più di cinque, senza dubbio.

“Le ragazze piangevano; erano coperte di sangue ed  avevano i vestiti stracciati. Nessuna pronunciava la parola violentata, ma era evidente. Le donne, quando subiscono questa violenza, la bloccano. Non hanno voluto farsi visitare dal medico legale. Una disse: ‘mi hanno già messo le mani addosso e non aprirò le gambe ad un altro’. Perché non c’era una dottoressa. C’era un medico senza sensibilità ed estremamente scortese.”

La studentessa del Centro di Formazione Cinematografica narra la sua detenzione:

Ci hanno portato di fianco alla chiesa dove c’erano già molti fermati e ci hanno costretto a metterci in ginocchio. Continuavano a picchiarci. […] Mi hanno rubato tutto: documenti, il mio materiale, la telecamera. Poi ci hanno caricato su un furgone. Mi hanno gettata su alcuni corpi insanguinati. Uno dei soldati mi ha ordinato di mettermi con la faccia sul pavimento, ma c’era una pozzanghera di sangue. Siccome facevo resistenza mi ha schiacciato la testa con lo stivale. Lì sono cominciati gli abusi sessuali. […] Quando siamo arrivati nella prigione, Valentina aveva i pantaloni abbassati ed il corpo macchiato di sangue, suo e di altri. […]

Quando siamo scesi dai camion ci hanno coperto “la testa e fatto passare tra due file di poliziotti che ci prendevano a calci. Hanno poi separato gli uomini dalle donne. Lì ho visto una poliziotta e mi sono detta ‘grazie, finalmente’. Ma appena quella mi ha visto, mi ha detto ‘lasciate a me questa cagna’, ed ha cominciato a picchiarmi sulle orecchie. Ho visto delle ragazze con i pantaloni e la biancheria intima strappati che piangevano. Eravamo 25 o 30 donne, molte in stato di shock. Conosco quella reazione, la crisi dopo un episodio di violenza sessuale. Almeno due avevano subito violenza con penetrazione, anche se nessuna pronunciava quella parola.”

* * *

La Jornada e El Universal in quei giorni pubblicarono una lettera datata 13 maggio 2006, firmata da 2.500 donne, eccone un estratto:

“Le 2.500 donne firmatarie di questa lettera: studiose, attrici, ballerine, registe, deputate, designer, scrittrici, studentesse, femministe, fotografe, medici, designer, membri di ONG, direttrici di musei, musiciste, pittrici, giornaliste, professioniste, religiose, restauratrici, eccetera:

“Esprimiamo la nostra indignazione e orrore per la violenza, gli abusi sessuali e le violazioni esercitati dai poliziotti statali e federali contro le donne feramte ad Atenco il 3 e 4 maggio. […]

“Sono pubbliche le testimonianze di Valentina Palma, studentessa cilena illegalmente espulsa; di Cristina Valls e di María Sastres, cittadine spagnole espulse. Le tre dichiarano di essere state palpeggiate, abusate, picchiate, insultate ed umiliate in ogni modo. È pubblica la testimonianza di due studentesse, tuttora in arresto, che riferiscono la stessa cosa. Tutte dicono che questo è accaduto a tutte le donne fermate, arrivate in prigione piangendo e con i vestiti lacerati. […]

“Le autorità hanno detto che si tratta di bugie e propaganda e che siccome non ci sono denunce non si può indagare. Ma “ci sono denunce formali, fino ad ora 23 casi denunciati più le tre espulse. […] Siamo di fronte alla violenza sessuale di gruppo di personale di polizia in servizio. […] Non si tratta che ogni donna abusata denunci. Si tratta di punire tutti i responsabili. […]

“Noi crediamo alla testimonianza delle donne abusate. Sappiamo quanto sia difficile denunciare, mancano le parole per esprimere quanto si è subito. E sappiamo che possono ricevere minacce. Diamo loro solidarietà, rispetto e sostegno. […]

Vogliamo la punizione dei responsabili diretti e dei mandanti. Lo vogliamo non solo perché è chiaramente una questione di giustizia, ma perché questo crescente impiego dell’abuso sessuale da parte della polizia deve essere fermato quanto prima. Non possiamo permettere che diventi abituale e che noi donne in Messico dobbiamo vivere sotto questa minaccia. “

* * *

Queste sono le memorie. Atenco non si dimentica. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/09/politica/013a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 3 giugno 2012

La disputa per la selva Lacandona e le sue risorse nasce da due visioni distinte

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 2 giugno. Secondo una ricerca dell’Università Autonoma Metropolitana (UAM) Xochimilco, intorno alle risorse della selva Lacandona ed alla loro gestione esistono due posizioni fondamentali: Chi ritiene che la natura deve essere conservata e non c’è spazio per i gruppi umani, e che luoghi come la Lacandona valgono a partire dalla loro mercificazione, dove le comunità locali hanno poca partecipazione nella presa delle decisioni rispetto alle risorse presenti nei loro. Questa visione conservazionista tende solo a recuperare l’ambito locale, perché si è scoperto che si può commercializzare in uno schema globalizzato: ecoturismo, bioprospezione, monocolture. Progetti di questo tipo sono presentati come opportunità produttive che garantiscono l’attenzione per l’ambiente, ma in realtà quello che perseguono è il saccheggio e lo sfruttamento delle comunità locali.

La seconda posizione sarebbe il contrario, sottolinea la ricercatrice Adriana Gómez Bonilla: È la visione dell’autonomia, la quale critica il neoliberismo e ritiene che devono essere gli attori locali a decidere come utilizzare le risorse, ma soprattutto quali devono essere le strategie per preservarle, e che nello stesso tempo si rispetti il modo in cui interagiscono con l’ambiente.

La disputa tra le due posizioni si fa sempre più accesa perché i conservazionisti hanno fretta, aggiunge Gómez Bonilla. Tuttavia, la resistenza delle comunità zapatiste è maggiore. Davanti ai fallimenti degli sgomberi delle comunità per impadronirsi delle risorse naturali e della loro conoscenza, gli interessi conservazionisti, in complicità col governo messicano, hanno optato per la violenza sotto forma di militarizzazione, col pretesto di un drammatico aumento delle attività criminali, in particolare del narcotraffico.

Un buon esempio della posizione conservazionista è fornito dalla monografia Usumacinta. Bases para una política de sustentabilidad ambiental, pubblicata da Julia Carabias e Javier de la Maza (Natura y Ecosistemas Mexicanos e Instituto Mexicano de Tecnología del Agua, 2011). Parte dalla premessa, fondata, dell’allarmante deterioramento ambientale al quale si deve provvedere con urgenza. Essendo i suoi autori ex funzionari ambientali ed attori attivi nell’attuale gestione della selva Lacandona e Montes Azules, la pubblicazione, impattante per il suo contenuto visivo, può essere interpretata anche come un progetto politico, una proposta per il prossimo governo.

Riferendosi al bacino del grande fiume mesoamericano, il volume propone linee strategiche di azione immediata per le unità socioambientali della regione selvaggia messicana, dopo l’analisi delle cause del degrado ambientale. Benché citi gli abitanti della zona, si tratta di un’argomentazione istituzionale in continuità con le politiche di conservazione che ha promosso nella zona.

Sebbene in Usumacinta siano assenti i concetti di ecoturismo, bisogna segnalare che l’organizzazione privata Natura, col sostegno del Ministero dell’Ambiente e delle Risorse Naturali, è esattamente il promotore del centro turistico nella laguna di Miramar, già preso in esame dal nostro giornale.

La seconda posizione rispetto alla preservazione della selva alla quale alludee Gómez Bonilla, venendo dal basso, affronta enormi sfide e non poche contraddizioni. Il suo studio (nel volume collettivo Luchas muy otras. Zapatismo y autonomía en las comunidades indígenas de Chiapas, UAM, Ciesas y Universidad Autónoma de Chiapas, 2011) postula che, riprendendo la terra tra il 1994 e il 1998, gli zapatisti hanno avviato un processo di recupero degli ecosistemi, principalmente il sistema alta selva perennifoglia. Ma è danneggiata, “ci vorrà motlo perché torni ad essere ‘montagna’, perché qui per molto tempo ci sono state le mucche”, dice un abitante del municipio autonomo Ricardo Flores Magón.

Tra le cause del deterioramento percepite dagli indigeni ci sono i programmi governativi, come quello della Certificazione dei Diritti Ejidales e di Proprietà dei Casolari Urbani (Procede), Oportunidades e Procampo. Prima arrivano nelle comunità quelli del malgoverno che dicono che bisogna accettare il Procede, che porterà vantaggi e che gli indigeni avranno le loro terre in maniera più sicura. Ma non è vero, perché quando avviene la certificazione arriva gente da fuori e compra le terre, e le comunità devono andare via, e quelli che hanno comperato la terra introducono ecoturismo, biocoyotes, palma africana, e con la terra ormai venduta i popoli non possono fare più niente. Alla fine, col Procede le autorità vogliono mettere in conflitto tra loro le comunità e distruggere l’organizzazione. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/03/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 2 giugno 2012

Le comunità si oppongono ai progetti ecoturistici nella Lacandona. Per gli zapatisti, la finalità è spogliarli delle loro terre

  • Analisi della ricercatrice Alicia Gómez della UAM-Xochimilco

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º giugno. Come rivela un recente studio, le comunità zapatiste del nord della selva Lacandona, dalla sua resistenza si oppongono ai progetti ecoturistici nella regione, così come alle monocolture ed alle industrie dell’agro-alimentare, agli agenti chimici usati in agricoltura, alla bioprospezione (dei biocoyotes), e percepiscono i programmi sociali del governo come strategie per dividere le comunità ed alienare le loro terre ed i mezzi di sussistenza. Lo studio conclude che i contadini autonomi hanno una chiara coscienza del deterioramento della selva e dell’impegno per la preservazione ed il ristabilimento dell’ecosistema.

No, l’ecoturismo non serve. E’ una bugia che sia di aiuto agli indigeni. Io sono stato a Chajul, per Benemerito de las Américas, dove c’è uno di questi progetti. La gente è proprio fregata, perché non ha più la terra. Dicono che non hanno distrutto la selva, ma non è vero, io ho visto che hanno tagliato molti alberi e quando attraversano la laguna lo fanno con una lancia che sporca l’acqua, e poi quelli che vengono qui per l’hotel si portano via animali e piante. L’ecoturismo è solo per i gringos che stanno col malgoverno, che vogliono portarsi via le ricchezze e le vogliono privatizzare perché non appartenga più alle comunità.

Sulla base di testimonianze come questa, la ricercatrice Alicia Gómez Bonilla, dell’Università Autonoma Metropolitana (UAM) Xochimilco, ha realizzato un’analisi su Visioni e sensazioni sul deterioramento ambientale (2011) delle basi di appoggio zapatiste nel municipio autonomo Ricardo Flores Magón. Dopo diversi anni di osservazione diretta, Gómez Bonilla ha scoperto che per gli zapatisti i problemi ambientali sono causati direttamente o indirettamente dalle politiche governative, e la loro conseguenza è una diminuzione della qualità della vita. Anche che la gestione sostenibile è un punto importante per garantire l’autonomia del municipio zapatista.

Lo studio che si basa sulle percezioni ambientali della società zapatista, e sull’osservazione delle sue pratiche agricole e di relazione con l’ambiente naturale, ha rilevato che la bioprospezione promossa dai conservazionisti di professione della selva, secondo i popoli non apportano niente, rappresentano una mancanza di rispetto ed un furto della conoscenza delle comunità che va solo a beneficio delle imprese farmaceutiche.

Le monocolture spinte dal governo, come le fumigazioni del programma Moscamed, danneggiano la natura; il secondo è stato utilizzato come parte della contrainsurgencia. Anche gli zapatisti ritengono che gli incendi, che negli anni passati hanno colpito la selva, furono provocati dai paramilitari, il governo lì pagò per farlo. L’idea di distruggere la montagna era per lasciare senza risorse le basi di appoggio e indebolire la resistenza. Altri responsabili del fuoco furono i militari che bruciarono la montagna col pretesto di snidare gli zapatisti, scrive Gómez Bonilla.

Un sentimento comune degli intervistati è che è ingiusto incolpare i popoli del deterioramento ambientale. Molti dicono che sono i popoli che distruggono la selva, che tagliano gli alberi, che cacciano, e con questo pretesto vogliono toglierci le nostre terre e mandarci da un’altra parte, ma ai grandi proprietari terrieri non dicono niente anche se sono loro a disboscare la selva, si dice in un’altra testimonianza. Per i contadini adulti, i progetti di conservazione del governo sono una contraddizione, poiché per molti anni hanno promosso il disboscamento.

Un altro problema che documenta lo studio è il deterioramento del suolo per uso agricolo, ed in particolare per l’impiego di sostanze chimiche, che a Flores Magón praticamente non esiste. Gli indigeni all’inizio li rifiutavano perché venivano dal governo, ma col tempo hanno scoperto che era meglio non usarli, danneggiano la terra e ci rendono dipendenti; è come una droga. In quello che risulta essere più di una metafora della politica governativa, uno zapatista dice: I priisti, ogni volta che seminano ne hanno sempre più bisogno. Il contrario dell’autonomia e della sostenibilità. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/02/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1 giugno 2012

Municipi aderenti all’Altra Campagna denunciano aggressioni dei paramilitari

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 31 maggio. I rappresentanti delle comunità in resistenza che fanno parte dell’organizzazione Pueblos Unidos por la Defensa de la Energía Eléctrica (PUDEE), aderenti all’Altra Campagna nel municipio di Tila, Sabanilla, Tumbalá, Yajalón e Salto de Agua hanno denunciato aggressioni dei “i gruppi paramilitari di Paz y Justicia” che operano nella zona nord, in particolare nella comunità di Jolnopá Guadalupe (Tila), guidati da Efraín Encino Parcero, Roberto López Vázquez, Luciano Martínez Encino e Bernardo Encino García, oggi delegati ed attivisti del Partito Verde Ecologista del Messico, in alleanza col Partito Rivoluzionario Istituzionale, al quale prima appartenevano.

Riferiscono che il 7 maggio,  vicino alla casa del menzionato Encino Parcero, un trasformatore ed un cavo che fornisce l’energia elettrica sono brucati a causa di un incidente atmosferico. Da tre settimane siamo senza energia elettrica. Da quella data i nostri compagni in resistenza vengono minacciati e vessati da questi paramilitari. I nostri compagni si sono organizzati riparare il guasto. I paramilitari che non permettono che si facciano le riparazioni, hanno detto alla Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) che siamo noi i responsabili, quando in realtà non c’è stato alcun responsabile. I tecnici della CEF sono solo venuti a vedere, ma non hanno eseguito riparazioni.

Il 25 maggio si è presentata una persona della CFE per tagliare il cavo passante di un membro della PUDEE, lasciandolo sul soffitto di una casa, e minacciando di lasciare senza luce i nostri compagni in resistenza e basi di appoggio dell’EZLN adducendo ordini del governo.

La popolazione in resistenza accusa i paramilitari di Paz y Justicia che hanno agito sempre in questa comunità e nella zona nord in complicità con i malgoverni ed i partiti politici. La PUDEE ricorda che questi gruppi sono gli autori materiali ed intellettuali degli omicidi avvenuti nella zona bassa di Tila ed in altri municipi tra il 1995 e 1996, e particolarmente sono quelli che hanno compiuto l’attentato contro la carovana del vescovo Samuel Ruiz, mentre rientrava da una visita pastorale a Jolnopá Guadalupe.

Vengono inoltre accusati di avere diviso la comunità con uno scisma cattolico quando hanno realizzato il tempio di San Pedro sulla strada Tila-Limar. Fanno parte della contrainsurgencia creata dal malgoverni e tentano di impedire la costruzione dell’autonomia dei popoli.

Denunciano che il leader Encino Parcero è commissario della comunità e condiziona le donne che ricevono gli aiuti del programma Oportunidades, mentre si prende gioco di quelli che si oppongono al pagamento dell’energia elettrica. Col proprio funzionario rurale, il gruppo opera congiuntamente con l’autorità municipale, statale e federale.

PUDEE esige dalla CFE il ristabilimento del servizio e l’intervento delle autorità competenti per evitare scontri e che si violi la pace e l’armonia nella comunità. Chiedono il rispetto delle proprie garanzie come indigeni: Solo con l’autonomia dei nostri popoli possono tornare la pace e la tranquillità. http://www.jornada.unam.mx/2012/06/01/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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