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NUOVO ATTACCO PARAMILITARE.

Caracol Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer. La Garrucha.

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

25 Giugno 2015

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Come già sappiamo, i malgoverni continuano con le frodi e la violenza. Non importa se sono di un partito o di un altro, il Prepotente vuole sempre stare sopra a costo di quelli che stanno sotto. Per lui a nulla valgono le denunce, è sordo, perché paga profumatamente i media che si vendono affinché parlino bene di lui.

Prima è stato Juan Sabines Guerrero, quello che dicevano di sinistra ed i progressisti di partito venivano perfino ad omaggiarlo, ed il legittimo veniva a gridare “Viva Juan Sabines! “. Juan Sabines Guerrero ha sistemato per bene tutto per far eleggere il “rubio de categoría“, Manuel Velasco Coello, siccome i due appartengono alle famiglie che si spartiscono, insieme ad altre, le poltrone in Chiapas. Juan Sabines Guerrero ha rubato, frodato e compiuto violenze.

Ora Velasco fa lo stesso. Se solo pochi giorni fa ha compiuto una frode con le elezioni violando le stesse leggi di quelli di sopra, ora sta preparando tutto affinché le elezioni locali successive si macchino del sangue di quelli di sotto.

Poiché i governi di sopra non si accontentano solo di mentire, vogliono anche reprimere, imprigionare ed assassinare.

Ora reprimono gli insegnanti democratici che stanno solo dicendo che la cosiddetta riforma della scuola è una menzogna. Perché è una riforma dei padroni contro i lavoratori. Non è per migliorare l’educazione, ma per peggiorarla. E chi la proposta, nemmeno conosce come sono le scuole, né sa come si insegna. Al governo non piace che si dica la verità, quindi mente. Ma siccome nessuno crede più al governo, allora reprime.

Sono talmente senza pudore che il ministro dell’Educazione del governo è un assassino alcolizzato che un giorno dice una cosa ed il giorno dopo dice il contrario. Come fa a proporre una riforma della scuola qualcuno che non sa nemmeno parlare? Si chiama Emilio Chuayffet ed è uno degli assassini di Acteal, è quello che beveva e poi ubriaco diceva un mucchio di sciocchezze. E’ rimasto quello di allora.

Non solo in Chiapas, ma anche a Oaxaca, Guerrero ed in altri stati, i malgoverni vogliono nascondere la verità con le botte, i gas, gli spari e le minacce.

Ormai è evidente che se le loro elezioni “democratiche” non hanno assassinati, picchiati ed imprigionati, a loro non piace. E tutti i partiti litigano per il loro osso e nemmeno si ricordano di chi è stato assassinato, si chiamava Antonio Vivar Díaz ed era maestro, né dei feriti, né degli imprigionati.

I governi di sopra si reggono con l’inganno e la repressione.

Ma in Chiapas, a Manuel Velasco non basta il sangue dei maestri. Vuole anche bere il sangue indigeno delle comunità.

Malgrado le organizzazioni per i diritti umani l’abbiano già denunciato, Velasco continua ad incitare i suoi paramilitari ad attaccare le basi di appoggio zapatiste.

Così succede nel municipio di Ocosingo, Chiapas, dove tre governi si mettono d’accordo per provocare: Enrique Peña Nieto, Manuel Velasco ed Octavio Albores. Questi governi stanno dietro i paramilitari di Pojkol.

Perfino la comunità da dove provengono questi paramilitari li ha rinnegati, ma continuano ad aggredire. Gli stessi indigeni dei partiti dicono di non controllare questi paramilitari che ricevono ordini dal presidente municipale di Ocosingo e dal governo dello stato a Tuxtla Gutiérrez. Da lì ricevono le armi, le attrezzature, i veicoli e gli ordini di attaccare le basi di appoggio.

Questo è successo solo poche ore fa:

Caracol de Resistencia Hacia un Nuevo Amanecer

Giunta di Buon Governo El camino del Futuro

La Garrucha, Chiapas, Messico

24 giugno 2015

Denuncia Pubblica

 All’opinione pubblica:

Ai mezzi di comunicazione alternativi autonomi o come si chiamano:

Alle/Agli aderenti alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle organizzazioni oneste per i diritti umani:

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo:

Denunciamo ancora una volta quello che stanno facendo i gruppi paramilitari dell’ejido Pojkol, del barrio Chiquinibal, Municipio di Chilón e le 21 persone dello stesso gruppo paramilitare del Rosario, municipio ufficiale di Ocosingo, Chiapas.

I fatti:

Oggi, 24 giugno 2015, nel villaggio El Rosario, Municipio Autonomo di San Manuel, dove vivono i nostri compagni basi di appoggio dell’EZLN, alle ore 8:05 a.m. di questo mercoledì sono entrati 28 paramilitari dell’ejido Pojkol del barrio Chiquinibal. Erano a bordo di 8 motociclette e di una Nissan senza targa. Dei 28 paramilitari, in 8 avevano armi calibro 22.

A El Rosario vivono 21 paramilitari che sono appoggiati dal gruppo di 28 paramilitari dell’ejido Pojkol del barrio Chikinibal che hanno invaso la nostra terra recuperata.

Alle ore 10:05 a.m. è arrivato un camioncino RAM di colore bianco senza targa con due persone a bordo: un ingegnere e l’allevatore Guadalupe Flores che vive nella città di Ocosingo, Chiapas, che era il padrone del terreno prima del 1994, si sono incontrati con i 28 paramilitari di Pojkcol ed i 21 paramilitari del Rosario; dopo questo incontro, hanno cominciato a misurare il terreno per costruire una chiesa e delle case, poi l’allevatore ha consegnato alcuni documenti al gruppo paramilitare, si presume il disegno del terreno recuperato. 

Alle ore 1:26 p.m. hanno sparato 10 colpi d’arma da fuoco dietro la casa di un compagno basi di appoggio per intimorire la popolazione.

Alle ore 1:27 p.m. 8 paramilitari di Pojkol sono entrati nella casa di un compagno base di appoggio ma non hanno trovato nessuno perché il proprietario della casa si era già allontanato per evitare scontri, dopo 23 minuti hanno raggiunto la casa di un altro compagno. Alle ore 1:50 p.m. hanno distrutto la casa di un compagno base di appoggio, rubando ogni cosa compreso il tetto formato da 12 lamiere da 3.5, 2 galline, 4 galli, 20 uova, 2 asce, 2 celle solari, 2.000 pesos in contanti, 2 zappe, un registratore, una canna dell’acqua di 100 metri e 150 chili di fagioli. Tutti questi beni del compagno base di appoggio sono stati caricati sul camioncino del presunto ingegnere che si è diretto verso Pojkol con tutto il bottino insieme alle 28 persone di Pojkol.

Per noi autorità della JBG è evidente che quelle due persone, che si sono finte ingegnere ed ex padrone del rancho, sono i consulenti di questi gruppi paramilitari. 

Ed è anche evidente che il malgoverno sta facendo di tutto per attaccarci, sono accaduti molti fatti e sono gli stessi paramilitari che ci hanno ammazzato un toro, hanno distrutto le case, il nostro negozio collettivo, hanno rubato i nostri beni ed inquinato il nostro pascolo  con erbicidi dove si trovava il bestiame collettivo del municipio di San Manuel, dove nell’agosto del 2014 hanno esploso colpi d’arma da fuoco e lasciato una scritta sul terreno che dice “territorio pojkol” e bossoli esplosi.

Sono gli stessi paramilitari dei quali fa parte l’uomo di nome Andrés che il 10 maggio del 2015 ha sparato ad una bambina base di appoggio. 

Questa è la nostra terza denuncia, dove sono riportati i dettagli dei fatti accaduti come nella prima e nella seconda denuncia.

Questi gruppi di persone addestrate e finanziate dal malgoverno federale, statale e municipale ci hanno provocato molte volte con la loro strategia di contrainsurgencia ed il malgoverno pensa di farci cadere nelle sue trappole per macchiarci le mani del sangue dei nostri fratelli indigeni che sono fuori di testa perché sono pagati ed hanno la coscienza sporcata dal cattivo sistema capitalista.

Abbiamo detto chiaramente che non saremmo rimasti con le braccia conserte quando le nostre basi di appoggio sono aggredite da qualsiasi strumento che il malgoverno usa contro di noi, noi difenderemo le nostre terre perché qui siamo nati e di queste viviamo e su di esse moriremo, costi quello che costi.

Fratelli e sorelle, noi continueremo a denunciare quello che succede e speriamo che vigiliate su quello che potrebbe accadere ai nostri compagni ed alle nostre compagne basi di appoggio. 

Riteniamo responsabili direttamente il governo federale, statale e municipale di qualunque cosa possa accadere, così come i responsabili diretti che fanno parte di questo gruppo di persone che più volte abbiamo denunciato.

Distintamente

Autorità della Giunta di Buon Governo di turno

Jacinto Gómez Pérez            Colosio Pérez Lorenzo

Nely Núñez Sánchez                  Alex López Álvarez

 

Così stanno le cose, compagne e compagni della Sexta:

Da quello che vediamo, non è che il malgoverno ignora questi fatti perché è occupato nei suoi annunci e bugie, ma è esso stesso a dare quegli ordini. Altrimenti, come si spiega che si conoscano i nomidei criminali e passeggiano armati e indisturbati di fronte all’autorità? Proprio perché sono al suo servizio. E così dichiarano i paramilitari, che nessuno gli può fare niente perché il governo di Velasco li protegge e li paga.

E’ come sempre: dall’alto arrivano bugie, botte, disprezzo e sfruttamento.

Da sotto deve arrivare l’organizzazione. Per la vita, non per un bagno di sangue, che è ciò che vogliono i capoccia, i servi e caporali del sistema in cui viviamo, che obbediscono agli ordini del loro padrone, il capitalismo neoliberale.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, giugno 2015

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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ayotzinapa7

COMUNICATO URGENTE DI OSCAR GARCIA

STATO D’ASSEDIO A TIXTLA DE GUERRERO, GRO.

Come ci si aspettava, il governo dichiara di voler garantire che la giornata elettorale di domenica prossima si svolga in maniera “pacifica”.

Negli ultimi giorni, un numero impressionante di apparati militari sono stati dispiegati nello stato di Guerrero, con blindati, carri armati, ecc.

Da lunedì pomeriggio un grande numero di posti di blocco sono stati installati da Esercito, Gendarmeria, Polizia federale e Marina Militare sulle tre principali vie di accesso alla città.

Come è di dominio pubblico, noi che lottiamo da 8 mesi per riportare i #43 compagni vivi, ci opponiamo allo svolgimento delle elezioni in Guerrero. I motivi sono stati esposti in molte occasioni, ma tutte convergono in un fatto evidente: molti di quelli che oggi concorrono per occupare posti pubblici, hanno legami con i gruppi della criminalità organizzata.

Non sappiamo se queste misure servano a metterci fuori combattimento in questo periodo elettorale, cioè, senza possibilità di mobilitazioni, o se ci siano altre intenzioni riguardo la nostra scuola. Considerata la lunga storia di aggressioni e di minacce di chiuderla, noi studenti e genitori temiamo il peggio.

Nel pomeriggio di lunedì scorso, otto compagni della scuola sono stati fermati e poi rilasciati qualche ora dopo grazie alla risposta organizzata di genitori, gruppi ed organizzazioni per i diritti umani.

Oggi, martedì, ci sono stati di nuovo scontri violenti tra il movimento e le forze del governo.

Questo non accade solo in Guerrero, la minaccia e la presenza militare è diffusa in Oaxaca, Michoacán e contro il combattivo villaggio di Atenco.

La tensione è forte nel paese.

Non saranno le elezioni a definire il camino del paese, né i cambiamenti. Con o senza le elezioni, la nostra lotta continua.

Chiediamo a tutti di vigilare sugli avvenimenti dei prossimi giorni. Ma soprattutto di prepararsi per quello che seguirà dopo questa scandalosa tornata elettorale.

Lo Stato messicano cerca la legittimità, molte persone sono pronte a legittimare altri omicidi, ingiustizie, povertà e corruzione. Noi NO.

¡PORQUE VIVOS SE LOS LLEVARON!

¡VIVOS LOS QUEREMOS!

Omar García

3 giugno 2015

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sub1Subcomandante Insurgente Galeano

Il Metodo, la Bibliografia e un Drone nelle profondità delle montagne del Sudest Messicano.

 4 maggio 2015

Buongiorno o mezzogiorno.

Questa volta non vi porterò via molto tempo, in modo che possiate apprezzare l’esposizione grafica e riposare un po’, perché il semenzaio si fa sempre più complesso ogni giorno che passa.

Perciò cercherò di limitarmi solamente a darvi alcuni consigli che, ovviamente, non seguirete, e a raccontarvi il racconto più assurdo di cui io abbia memoria.

Il modo in cui abbiamo organizzato la nostra partecipazione è aver partecipato il Subcomandante Insurgente Moisés e io, a turni.

E’ come una divisione del lavoro: io vi confondo e lui chiarisce.

Io dico le cose in modo complicato e lui le dice in modo semplice.

Facciamo così perché l’uno e l’altro sono modi in cui si presenta il pensiero critico e crediamo che dobbiamo imparare a utilizzare uno e l’altro.

Perché non si tratta di portare adepti all’una o all’altra corrente di analisi, o della forma in cui si esprime una o l’altra corrente di analisi. Bensì di sollecitare idee, pensieri, discussione, dibattiti. Non per vincere su un presunto antagonista ideologico, ma per rispondere alla domanda che tutti, tutte e tuttei finiremo per farci: cosa viene dopo?

Noi zapatisti pensiamo che ci sono una serie di concetti basici dei quali ci avvaliamo per analizzare, e c’è una serie di presupposti fondamentali.

Per esempio, si è convocato questo semenzaio come pensiero critico dinanzi all’idra capitalista.

Così si sta dando per stabilito che:

1.- Il sistema dominante attuale è il capitalismo ed è la sua logica a essere dominante nel mondo.

2.- Che questo sistema capitalista non è dominante in un solo aspetto della vita sociale, ma che ha molteplici teste, ovvero forme e modi diversi di dominare in differenti e diversi spazi sociali. Per metterla nei termini della bambina difesa zapatista: il capitalismo testone non ti morde da un solo lato ma da molti lati.

3.- C’è un elemento inquietante dell’Idra Capitalista in questo. Se si prende l’Idra come animale mitologico, si sa che ha molte teste, che se gliene tagli una ne rinascono due, e che una di esse è come il cuore dell’Idra, la testa madre, per definirla in qualche modo. Ma c’è un’altra idra, il piccolo animale che non soltanto ricostruisce i suoi tentacoli distrutti, ma si adatta, muta ed è capace di rigenerarsi completamente a partire da una delle sue parti.

Chi ha partecipato all’escuelita zapatista e ha studiato i libri di testo, forse ricorderà che abbiamo insistito molto sulle differenti maniere che il sistema usa per attaccarci, e che tali forme sono cangianti.

Forse ci sarà l’opportunità di ritornare su questo più avanti, per il momento basti segnalare che non ci stiamo riferendo a un mostro mitologico o a un animale del genere degli idrozoi idroidi, predatore e più piccolo di due centimetri, bensì a un mostro reale. Il più sanguinario e crudele che abbiano conosciuto la realtà e la finzione da che l’umanità si è divisa in dominatori e dominati.

Chiaramente può darsi che qualcuno sostenga che il capitalismo non sia l’attuale sistema dominante, oppure che lo sia ma soltanto in economia, o soltanto in politica, o solo nel genere.

O può anche darsi che qualcuno sostenga che è lo Stato la testa madre dell’Idra Capitalista e non la relazione sociale di produzione in cui c’è chi ha il capitale e c’è chi non ha che la sua capacità di lavorare.

O che le lotte contro teste differenti dell’Idra sono secondarie o subordinate alla lotta principale, qualsiasi sia. Per esempio, che la lotta di genere è secondaria e la lotta per il potere politico è la principale.

Va bene, si argomenta, si analizza E SI CONFRONTA con la realtà.

Per questo siamo qui. Per procedere, in basso a sinistra, in un dibattito che abbondi in idee e analisi e non in ridondanti aggettivi. Ovvero, non abbiamo motivo di trasformare tutto questo in una versione di rete sociale in cui lo scambio di aggettivi non superi il limite dei 140 caratteri.

4.- C’è un elemento che non è esplicito ma che è fondamentale: la pratica. Ciò che ci chiama a questo inizio di riflessione teorica, perché speriamo che seguano altri semenzai, non è aumentare il nostro bagaglio culturale, apprendere parole nuove, avere argomenti per legare o slegare, o dimostrare che possiamo essere sempre più inintellegibili. Quel che è in gioco qui, e poi in tutti i là di ciascuno secondo il proprio tempo, modo e luogo, è la trasformazione di una realtà.

Perciò siamo noi della Sexta a dover assumere, tra di noi, la responsabilità di mantenere e potenziare questa riflessione. Molto semplicemente, perché ci differenziano molte cose, ma una ci identifica: abbiamo deciso di sfidare il sistema. Non per migliorarlo, non per cambiarlo, non per abbellirlo, ma per distruggerlo.

E questo, la sua distruzione, non si ottiene con i pensieri, anche se, ovviamente, non mancherà chi dirà che dobbiamo unire le nostre menti e ripetere “scompare, scompare” con veritiera fede e persistenza. No, ma i pensieri ci aiutano a capire contro chi ci scontriamo, come funziona, qual è il suo modo, il suo calendario, la sua geografia. Per usare l’espressione dell’escuelita: le forme con cui ci attacca.

5.- Sebbene siamo partiti dal presupposto che il sistema capitalista è il dominante, questo si accompagna alla certezza che non è onnipresente, né immortale. Esistono resistenze. Che le conosciamo o no. Il sistema non impone il suo dominio in maniera piana e senza fratture. Affronta anche resistenze di sopra, ma quelle di sotto sono quelle che lo minacciano. Come abbiamo detto: non stiamo parlando di qualcosa che potrebbe essere, parliamo di qualcosa perché già lo stiamo facendo. E credo sia chiaro che in merito a questo non parlo solo dello zapatismo.

6.- Né teoria senza pratica, né pratica senza teoria, abbiamo detto. Non stiamo parlando però di una divisione del lavoro: di qua quelli che pensano, di là quelli che mettono in pratica. Quel che stiamo sottolineando è che chi fa teoria deve fare pratica, diremmo quasi in maniera scientifica, ma il pensiero critico porta con sé questo veleno: se è solo pensiero, non arriva a essere critico. E chi fa pratica deve riflettere su di essa, non solo perché, se dipende dal fatto che un teorico gliela spieghi e lo guidi, finirà con l’angoscia se votare o no; ma anche e soprattutto perché dobbiamo pensare che la nostra lotta non ha una durata definita ma, al contrario, abbraccia intere generazioni. Queste riflessioni teoriche dovranno servire a chi proseguirà quando il nostro calendario arriverà alla sua ultima data. In una parola: è un’eredità.

7.- Né pensiero debole, né pensiero dogmatico, né pensiero menzognero. Non sappiamo voi, ma se noi zapatisti fossimo deboli nel pensare, staremmo in un partito politico istituzionale.

Se volessimo un dogma, saremmo una setta politica, scusate, volevo dire religiosa.

E se volessimo credere a tutto, ci faremmo guidare dai precetti dei mezzi di comunicazione prezzolati.

Il pensiero critico ha come motore la messa in discussione. Perché questo e non un’altra cosa? Perché così e non in un altro modo? Perché qui e non altrove? Facendo domande si cammina, diciamo noi zapatiste e zapatisti.

8.- Il punto otto non c’è perché vi ho detto chiaro e tondo che non vi avrei portato via molto tempo e per oggi mi mancano ancora alcune cose e un racconto anacronistico.

-*-

Diverse lune fa, in qualche angolo di queste montagne del sudest messicano, si è riunito un gruppo di noi compagne e compagni del Comando Generale dell’EZLN. L’obiettivo era “incrociare” informazioni che si erano raccolte sia nelle comunità che fuori di esse.

Così abbiamo fatto. Non è l’analisi di una persona a determinare il sì e il no, bensì uno scambio di analisi, di riflessioni, di pensieri. Quel che i compagni e le compagne basi d’appoggio zapatiste hanno definito, opportunamente, una “condivisione”.

Spero che ci sarà tempo e modo per dilungarmi su questo più tardi, per il momento basti dire che non è stato sempre così.

In quella riunione c’era qualcosa di comune nei resoconti: si vedevano alterazioni nell’economia controinsurgente nelle comunità, nell’economia locale, nazionale e internazionale.

Dopo aver parlato e ascoltato, giungemmo alla conclusione che vedevamo la stessa cosa: si avvicinava una profonda crisi, non solo economica ma anche economica, una tormenta.

Sintetizzando la condivisione di quell’alba:

I segnali?

Uno.- Una crisi economica mai vista prima. Quel che si vede ora sono soltanto le prime piogge, il peggio deve venire. Gli economisti di sopra sono passati dal segnalare che la turbolenza si sarebbe superata in mesi, ad anticipare che ci vorranno anni. Non hanno il permesso di dire la verità: non hanno la più remota idea di dove condurrà questa crisi. Perché non risulta essere soltanto una crisi economica. Bisogna moltiplicarla per le catastrofi ambientali non naturali, posto che sono l’effetto di una causa non naturale: la trasformazione di tutto, compresi gli elementi base – acqua, aria, luce e ombra, terra e cielo – in merce. Da cui discende il suo sfruttamento fuori da ogni logica elementare. E non solo, ci sono anche le catastrofi fatte di proposito, ma di queste parleremo dopo.

Altro.- La perdita della legittimità delle istituzioni “tradizionali” (partiti, governo, sistema giudiziario, chiesa, esercito, polizia, mezzi di comunicazione, famiglia) e nessun tentativo di recuperarla.

Altro ancora.- La corruzione delle classi politiche tanto scandalosa che vira nella psicopatia. E’ tale il livello di degrado che il vero Potere, quello del denaro, è scandalizzato. A tal punto da temere che quel che non ha fatto l’arbitraria tirannia del denaro, lo faccia la corruzione dei governanti: provocare una ribellione.

Un altro di più.- Siamo di fronte a una realtà che si sintetizza oggi in una parola: Ayotzinapa. Per noi zapatisti, Ayotzinapa non è l’eccezione ma la regola attuale. E’ il ritratto di famiglia del sistema a livello mondiale.

Si è detto che il crimine organizzato o il narcotraffico hanno permeato la politica. E’ stato il contrario: gli usi e costumi di una classe politica corrotta (come quella messicana: nel caso del nostro paese, ma più di una nazione ne ha i requisiti), si sono trasferiti nel crimine organizzato.

Come dire? Vi siete accorti di come sui media e negli show i genocidi e gli assassini seriali vengono presentati in maniera insensibile? Ebbene, la classe politica moderna non è così, non è insensibile. Percepiscono perfettamente e hanno emozioni. Solo che non sono pena, rimorso, contrizione. No, ci godono. Non siamo di fronte a qualcosa di meccanico che tortura, uccide, squarta e fa scomparire o esibisce la vittima. No, si tratta di assaporare il crimine. Di sentire e gustare il potere di sfrattare una persona dalla sua casa, di espropriarla della sua terra, di strapparle i suoi beni, di imporle il terrore, di farle sentire la sua fragilità, di sottolineare il suo essere indifesa, di umiliarla, di disprezzarla, di schiacciarla, di assassinarla, di ucciderla da viva e ucciderla da morta. Senza altra ragione se non l’esercizio del potere e dei suoi ministri nell’intero asse che attraversa la piramide sociale: dal potentato fino al “capo famiglia”, passando per governanti, legislatori, giudici, poliziotti, delatori, amministratori, direttori di scena, capoccia e maggiordomi.

Ad esempio, c’è chi pensa che il modo in cui il governo federale e la classe politica in blocco ha affrontato il crimine di Ayotzinapa ha mostrato la sua debolezza, la sua goffaggine, la sua incapacità. Può darsi. Quel che noi abbiamo visto e vediamo è che l’hanno amministrato godendosi ciascun passaggio. Si sono rallegrati di ogni lacrima dei familiari. Hanno festeggiato la rabbia e l’impotenza. Hanno tratto piacere dal leggere o ascoltare ogni racconto dei sopravvissuti, delle madri e padri di quelli che mancano. Se la gente comune è inorridita e si è commossa, lassù si sono divertiti. I governativi incaricati di affrontare il problema, come il procuratore di giustizia, si sono saziati della tragedia. Non siamo di fronte alla pudica classe benestante di prima, che delegava ad altri (polizia, esercito, paramilitari) la concrezione del crimine. No, quelli di adesso non si accontentano neanche più a stare nel palco vip in prima fila. Vogliono sentire il piacere diretto di disporre di vite, beni, storie. Al fianco del sicario e del poliziotto, ci sono ora gli eredi del Potere reale.

Un altro altro.- Sebbene le vecchie strutture del potere politico ed economico appaiano ancora di tanto in tanto per dire qualche sciocchezza, non sono che l’ombra di quel che sono state. La maggior parte delle grandi imprese una volta nazionali, ora non sono che prestanomi dei grandi capitalisti mondiali, e tutte, assolutamente tutte, sono vincolate e sottomesse alla banca internazionale. Ironia della sorte: sempre timorose di quelli di sotto, sono state depredate da quelli più in alto. A niente è servito coltivare i paramilitari (la “Brigata Bianca” in Messico, i “GAL” nello Stato Spagnolo) per le “guerre sporche” in tutti i sotto del mondo. Ora si consolano reciprocamente nelle sempre decadenti pagine di società di periodici, riviste, programmi frivoli, e feisbuc come opzione più economica.

E mentre i nostalgici del potere economico di un tempo litigano e si uniscono quando la plebe sembra sollevarsi, i grandi monarchi del denaro, quelli che invece di un nome nella lista di FORBES hanno un seggio nel consiglio di amministrazione delle banche e delle industrie, prendono posizione. Quelli che comandano davvero acquisiscono terreni, imprese fallite, “quadri qualificati”. Il lavoro di “ripulitura del personale” lo fanno gli affari che, non lo sanno ancora, dovranno rompere. Entreranno i grandi senza più la zavorra di sindacati, contratti collettivi, personale di fiducia.

Gli apparati repressivi presuntamente nazionali, creati con l’alibi della difesa dalla minaccia esterna e del controllo interno, fanno genuflessioni ridicole verso i loro superiori nelle metropoli. Era certo questo fatto della destabilizzazione alimentata da interessi stranieri, ma la minaccia interna non ha vestito gli abiti da guerriglia, ma è arrivata in giacca e cravatta e scorte d’importazione. Non portava armi da fuoco, bombe molotov, manuali sovversivi, ma crediti illimitati… e impagabili.

Vi spaventate per gli scandali che appaiono o sono apparsi sui mezzi di comunicazione e nelle reti sociali? Vi scandalizzano le gesta di Peña Nieto e Videgaray? La corruzione dei governanti in diversi punti del pianeta? Ebbene, se volete davvero deprimervi, cercate di ottenere una chiacchierata “off the record” con qualcuno dei grandi mezzi prezzolati. Invertite i ruoli, e al posto di essere intervistatei, fate voi le domande. Non chiedetegli di ciò che è stato pubblicato, chiedetegli di ciò che è passato sotto silenzio. Non ciò che si è censurato, ma ciò che non è nemmeno apparso come progetto d’indagine o nota giornalistica. E scoprirete cosa significa vomitare di schifo e di terrore. Se volete, restate ad ascoltare le giustificazioni (ragion di Stato, la gente non è preparata a conoscere tutta la verità – be’, e neppure una parte di essa – siamo stati minacciati, la nomina, il progetto, il casino, la vita).

Un altro e poi basta. – La crisi che viene non manderà un telegramma né si annuncerà con tabelloni e cartelloni. No, mette il piede nella porta prima di riuscire a chiuderla. Cola dalle finestre, dagli spiragli. Cola dalle notizie dello scandalo di moda. Conoscete quella delle rivoluzioni che non si annunciano? Ebbene, le crisi sì, ma apparentemente nessuno prende nota.

La crisi non si può nascondere in un maggiolone azzurro, né sotto a un poncho beige. Non si può mettere in carcere, né far scomparire, né assassinare. Non si può mettere nella lista dei desaparecidos. Né negoziarla nei corridoi dei congressi, delle Nazioni Unite, del Fondo Monetario Internazionale.

Ah, certo. Crisi come queste non vengono da sole. Le accompagnano i saltimbanchi di tutta la storia: profeti, leader, salvatori supremi, nuove religioni, il cambiamento è dentro di te, aiutati che io ti aiuto, pensa positivo, “sorridi, vinceremo”, “saremo il tuo incubo peggiore”.

La Cultura? L’Arte? La Scienza? Saranno attività clandestine se sono indipendenti. Se sono prezzolate, varranno meno della mancia al parcheggiatore del palazzo del centro. Ironia della sorte: abbattuti dalla pirateria (si dice “produzione alternativa”), e trasformati in impiegati delle grandi imprese di intrattenimento, ovvero a produrre quel che comanda chi paga.

Orbene. E se così non fosse? Se si trattasse solo di un’allucinazione dello zapatismo? Se la “libera impresa” locale e nazionale continuasse a galleggiare verso un futuro migliore? Se la banca internazionale non depredasse i beni di famiglie, paesi, continenti? Se il capitalismo mondiale riconoscesse le differenze e la diversità?

Se i partiti di sinistra dessero la priorità ai loro principi e programmi invece che alla loro smania di poltrone? Se i governanti fossero moderati nelle loro ruberie e dedicassero una buona parte del bottino a ricostruire la sicurezza sociale? Se fosse solo una pioggia passeggera, dei nuvoloni senza conseguenze?

Se così fosse, cioè se non succedesse nulla, rispondi: Vi danneggerà esservi organizzati? Ti darà disturbo aver preso, insieme ad altri, altre, altrei, il tuo destino nelle tue mani? Ti infastidirà l’aver ascoltato altrei, uguali, differenti come te? Sarai più povero, sarai meno persona? Ti sentirai vuoto, incompleto, inutile?

Il mondo, il tuo mondo. Sarà peggiore o migliore?

-*-

Ora permettetemi di tornare alla nostra riunione in uno dei nostri angoli.

Dopo aver accertato che la situazione era messa male, passammo alla parte, come suol dirsi, deliberativa.

Vennero quindi decise due cose: una fu di prepararsi per un’epoca di crisi economica, e l’altra di avvisare i nostrei compagnei della Sexta e chiedere ad altri, altre, altrei, della Sexta e non, come la vedono. La prima non presentava difficoltà. Essendo già organizzati alla resistenza, i villaggi zapatisti potevano affrontare questi problemi perché è ciò che fanno e lo fanno collettivamente.

La seconda era più complicata. Due ostacoli monumentali si ergevano di fronte a noi: la geografia e il calendario.

Come zapatisti abbiamo la fortuna di avere compagni nelle più diverse geografie. Anche se era possibile convocare un evento internazionale, come avevamo già fatto in precedenza, il carattere di riflessione che la situazione meritava lo avrebbe reso molto difficile. Anche così, anche se si fosse potuto costruire questo spazio di analisi e riflessione, sarebbe stato centralizzato, e questo significava che ci sarebbero potute essere alcune persone e che molte, la maggioranza, non avrebbero potuto esserci. I soldi non erano l’unico problema, c’erano anche le occupazioni e lotte di ciascuno nei propri luoghi.

Del calendario non parliamo nemmeno.

Pensammo allora di porre un inizio e chiedere ai nostri compagni, compagne e compagnei della Sexta che lo proseguissero, e che costruissero i loro propri spazi secondo i loro tempi, luoghi e modi.

Così è nata l’idea di questo seminario, o meglio semenzaio, perché la bambina difesa zapatista non pensi che stiamo formando dei preti.

-*-

Bene, ora sì il consiglio:

Molti anni fa queste condivisioni di cui vi sto parlando non erano possibili, almeno non direttamente. Il contatto tra le differenti zone era molto sporadico e superficiale. Il ponte attraverso il quale comunicavano era l’EZLN, in particolare il Comando Generale. Lì arrivavano i diversi resoconti, lì si soppesavano, si “incrociavano”, si vedeva cosa sì e cosa no. Chiaro, non c’era nemmeno tanto da soppesare. Eravamo dispersi e l’isolamento che ci proteggeva, ci limitava anche.

Crescemmo. Un movimento come quello zapatista ha questa maledizione: crescere. E non mi sto riferendo a crescere in quantità, ma a crescere in problemi e sfide. Ecco come si fa la nostra storia e come la facciamo nostra.

Noi zapatisti pensiamo che per capire una cosa si debba conoscere la sua genealogia. Vale a dire, la sua storia. Vale a dire, com’è arrivata a essere quel che è.

Vi ricordate quel fatto dell’opzione tra guardare l’albero o il bosco? Ebbene, noi zapatisti guardiamo la radice.

Lo abbiamo già detto prima, ma ora lo torno a ricordare: La nostra ribellione è il nostro “NO” al sistema. La nostra resistenza è il nostro “SI” al fatto che altro sia possibile.

Abbiamo anche fatto notare che la nostra meta-teoria è la nostra pratica.

Be’, sapete che capita che il grado di serietà di una riflessione teorica si stabilisca in base alla quantità di riferimenti bibliografici. Si dice e si scrive “come fa notare tizio o tizia della tal cosa nel tal libro”. Pare un po’ strano, ma più tizi o tizie ci sono in un testo teorico, più è serio, più rispettato… e più noioso. Nah, certo che no. Va molto bene leggere e ascoltare questi pensieri, anche se poi viene fuori che uno sa cosa pensa tizio e caio, ma non ha nessuna idea di quel che pensa l’autore. E uno, una, unoa, pensa: “va be’, se era tanto per dirci cosa dice l’altro, meglio ci avesse rimandato all’altro testo o avesse usato il metodo scientifico del ‘copiaeincolla’”.

Infine, quel che voglio dirvi è che, per tutto ciò che abbiamo scritto e detto, la resistenza zapatista è la nostra bibliografia.

Voi forse non ve ne rendete conto, anche se credo di sì.

Ora qui avete il vostro drone per avere una visuale d’insieme della resistenza zapatista. Chiaro che qualcuno, qualcuna, qualcunoa di voi può dire che è stato in comunità zapatiste e sa della loro resistenza. Ma non mi riferisco alla resistenza di una comunità. Parlo della resistenza zapatista come sforzo collettivo. La resistenza viene da dentro.

Bene, il drone di cui ora avete il privilegio di disporre, si chiama Subcomandante Insurgente Moisés. Per i suoi lavori precedenti e per il suo incarico attuale, lui conosce come nessuno la genealogia della resistenza zapatista, la sua storia, com’è arrivata a essere quello che è, cosa che ci porta a dire, come avete sentito ieri, hay lum tujbil vitil ayotik.

Ascoltatelo. Leggetelo. Attraverso le sue parole vi potrete affacciare a una storia terribile e meravigliosa. Capirete che è come un drone sotterraneo e avrete il privilegio di uno sguardo dalle profondità della resistenza zapatista.

Quel che vi dirò lo diranno e scriveranno sicuramente altri, altre, altrei, meglio di me, con più dati significativi, con migliori argomenti, con conclusioni più contundenti.

Ma quel che lui vi racconterà non lo troverete da nessuna parte, nemmeno chiacchierando con lui. Perché sembra che lui si è preparato per voi come collettivo, e perché precisamente attraverso di lui parliamo come collettivo. Così che il mio consiglio è di non mancare alle sezioni in cui parla lui.

E’ chiaro, non vi diremo quando tocca proprio a lui e quando a me. E’ perché non me ne resti qui da solo io, parlando di gatti-cani, muri sbrecciati, calcio e basket,

/Vi racconto un aneddoto: quando, il giorno 2 di maggio ve ne andaste da Oventik, iniziò a piovere, una grande tormenta, ma le basi d’appoggio continuarono con i balli e i giochi sportivi. Poi venne la premiazione. Ebbene, sapete come si chiama la squadra che ha vinto nel basket femminile? Si chiama “Le sconfitte”/

Sherlock Holmes ed Euclide, refusi, catastrofi pianificate, sconfitte di genere, Iolao* (*Cocchiere mitologico di Eracle attualizzato come personaggio televisivo della serie statunitense Hercules: the legendary journeys) che dà una mano, la guerra, sempre la guerra.

Per questo stiamo facendo un sondaggio su quali siano gli invitati e le invitate con il più alto rating, per potermi mettere dove possa dire al Doc Raymundo “Animo, doc!” e lui, nobile e generoso, mi replichi “Animo, Sup!”.

SupGaleano.

Messico, 4 maggio 2015

Dal quaderno di appunti del gatto-cane.

Nota: questo racconto ho cercato di metterlo in formato twitter ma non sono riuscito. Inoltre l’altro giorno ho visto su tuiter un utente che si è sparato tutto un comunicato di soli frammenti di 140 caratteri. No, non mi sono arrabbiato. Mi ha fatto invidia perché è venuto meglio a lui che a me. Ecco:

“Il vascello”

Devo avvertirvi che i racconti del Gatto-Cane sono molto altri. Si è già detto prima che, a differenza dei racconti tradizionali secondo lo schema “c’era una volta”, i racconti zapatisti (e non solo i racconti, ma ora è fuori tema) iniziano con “ci sarà una volta…”. Ebbene, a quanto pare quelli del Gatto-Cane iniziano così: “c’è questa volta…”. Ovvero, i racconti del gatto-cane sono molto moderni perché avvengono “in tempo reale”. Bene, a quanto pare:

“C’è questa volta…

Un vascello. Grande, come una nazione, un continente, un pianeta intero. Con tutto il suo equipaggio e le sue gerarchie, cioè i suoi sopra e i suoi sotto. Le sue dispute per chi comanda, chi vale di più, chi ha di più. La normalità è quindi un luogo dove c’è chi sta sopra e chi sta sotto. Accadde allora che la superba imbarcazione andava a balzi, senza una chiara direzione e facendo acqua da entrambi i lati. Come accade di solito in questi casi, il corpo degli ufficiali reclamò che il capitano venisse sollevato. Complicate come sogliono essere le cose quando le determinano quelli di sopra, si decise che, in effetti, il tempo del capitano era ormai finito e che era d’uopo nominarne uno nuovo. Gli ufficiali discutevano tra loro, contendendo su chi avesse più meriti, chi fosse il migliore, chi di più.

Il baccano arrivò nelle profondità dell’imbarcazione sotto la linea di galleggiamento, dove viveva e lavorava la maggioranza dell’equipaggio. Non per non essere visti, l’importanza di questi era poca. C’è di più, per andar giù piatti: la barca si muoveva grazie al loro lavoro. Il chiasso non era nuovo per quelli di sotto. Sapevano che ogni tanto quelli di sopra litigavano per essere il capitano. Al padrone della barca questo non importava. Fosse uno o l’altro, quel che gli importava era che il vascello producesse, portasse e raccogliesse mercanzie per tutti i mari.

Bene, a quanto pare tra quelli che lavoravano sotto c’era un gruppo che si distingueva per essere molto altro. Essendo uomini, donne e altrei, li chiameremo “glie altrei”. Glie altrei erano esseri piccoli, sporchi, brutti, cattivi e sboccati. E la cosa peggiore è che non si pettinavano.

Dato che il resto dell’imbarcazione non sapeva che c’erano persone che non si potevano incasellare negli schemi che gli avevano insegnato, gli venne da dire che Glie Altrei in realtà erano marziani che volevano impadronirsi dell’imbarcazione per portarla in un’altra galassia. Fortunatamente, il capitano dell’imbarcazione venne a sapere di queste false dicerie e nominò una commissione di illustri intellettuali per dare una spiegazione scientifica all’inquietante presenza deGlie altrei. Gli intellettuali si riunirono in un salone esclusivo realizzato appositamente e, dopo vari giorni e molti soldi, resero noti i risultati dei loro studi. “Glie Altrei, dissero, non sono marziani. In realtà sono fatti in Cina, e i cinesi li hanno fabbricati in Cina e poi mandati sul pianeta Marte, affinché da lì atterrassero sull’imbarcazione e sabotassero l’industria di pettini, spazzolini, shampoo, gel, parrucchieri e saloni di bellezza”. Il capitano del vascello si congratulò con gli scienziati con un tuit ovviamente confuso. Le riviste specializzate diffusero la scoperta.

Nah, non è vero, ma se vi pare una spiegazione assurda, ce n’è di peggiori sui mezzi di comunicazione prezzolati.

Ma torniamo all’imbarcazione.

Glie altrei, essendo tali, passavano il tempo a maledire quelli di sopra e fare marachelle che irritavano, ovviamente, gli ufficiali. Ossia, ogni tanto gli veniva da organizzare ribellioni. Allora gli ufficiali pronunciavano grandi discorsi sulle minacce interplanetarie, si guardavano l’un l’altro calcolando come approfittare dell’occasione, e davano l’ordine di mettere in ordine i disordinati, cioè Glie Altrei.

Glie altrei invitavano le altre persone a ribellarsi. Ma la maggioranza di chi lavorava sotto non s’impicciavano più di tanto ed oltretutto non di rado applaudivano quando qualcunoa de glie altrei veniva portatoa sullo scafo e, con grandi discorsi degli ufficiali circa la razionalità del comando e l’irrazionalità della ribellione, li si obbligava a gettarsi a mare.

C’erano gli squali? Quelli che lavoravano sotto, non lo sapevano. Sapevano ciò che accadeva sopra e fuori solo quando gli ufficiali gli passavano le informazioni. Ma nonostante le celle di rigore, Glie altrei continuavano a battere con il loro “né proprietario, né padrone, né signore, né capoccia”, oltre ad altre idee ugualmente anacronistiche, come quella che “l’imbarcazione dev’essere di chi la fa navigare”. Il vascello, quindi, proseguiva il suo sconclusionato andirivieni senza che nulla degno di nota lo scalfisse. Ogni tanto, unoa altroa viene portato di sopra per essere gettato a mare. Di cosa lo si accusa, lo si giudica e lo si condanna? Al boia non importa. Gli basta constatare che l’individuo è sporco, brutto, cattivo e rozzo per sapere che è colpevole, sebbene lo sia solo per essere quel che è. Ma questa volta accade qualcosa di insolito. La disputa tra ufficiali per succedere al capitano ha provocato tanto chiasso che nessuno si è preoccupato di propinare il discorso di rigore, le lodi all’ordine, al progresso e alla buona tavola. Il boia, abituato agli schemi, non sa che fare, perché manca qualcosa. Va dunque a cercare qualche ufficiale ligio alla tradizione. Per farlo senza che l’accusato-giudicato-condannato scappi, lo manda a Fanculo, cioè alla “Coffa della Vedetta”, nota anche come “Nido di Corvi”.

Il posto di vedetta nella coffa, nel punto più alto dell’albero maggiore delle vele, era visto da tutto l’equipaggio come un castigo. Che fosse per il vento, la pioggia, il sole, le gelate, le tempeste di neve, il “nido di corvi” era considerato la succursale dell’inferno. Da lì si avvistavano nemici, insidie sconosciute, mostri e catastrofi, prosperi porti nei quali si scambiavano mercanzie (cioè persone), isole incomprensibili popolate da glie altrei. Qualsiasi avvistamento si annunciasse, era accolto tra gli ufficiali con collera e scontento. Se si trattava di navi nemiche, il capitano consegnava tutto senza fare storie, e poi brindava con il corpo ufficiali per il progresso che il saccheggio aveva portato in coperta. Sì, sembra stupido, ma è così che funziona tutto sopra la coperta di questo vascello. Se si avvistavano mostri e catastrofi sistemiche, chi era al comando celebrava la modernità… o la postmodernità, secondo la moda che decretano le nuove carte di navigazione. Se si trattava di insidie sconosciute, venivano rapidamente distribuiti tra l’equipaggio volantini e manuali.

In essi si sollecitava a guardare con ottimismo il panorama, e si esortava alla meditazione, al superamento personale e all’amore per il prossimo. “Il cambiamento inizia in se stessi”, soleva essere l’intestazione delle carte che si producevano in grandi quantità… e che non leggeva quasi nessuno. Più con scontento che fastidio veniva accolta la notizia del prossimo porto di sosta. Dai guadagni della compravendita delle merci, gli ufficiali si teneva una mazzetta che però gli sembrava sempre troppo piccola. Essendo grandi i guadagni, per quanto piccola fosse la mazzetta, era più che sufficiente a che gli ufficiali si costruissero nuove case o abbellissero con statue sontuose i musei navali in cui si vantavano del proprio lignaggio.

Se chi ascolta questo racconto pensa che tutto su questo vascello sia stravagante e irrazionale, non ha tutti i torti. Per quanto di sopra si imbastisse un modo di convivenza, con le sue regole di etichetta, i suoi buoni costumi, le sue gerarchie, l’insieme non cessava di essere aberrante. E un’analisi seria dell’organizzazione del vascello, avrebbe portato alla conclusione che l’assurdità fondamentale sta nel fatto che la vita dell’imbarcazione, ciò quello che la tiene a galla, si trova sotto la linea di galleggiamento, nella parte più bassa del superbo vascello. Nonostante i progressi scientifici e tecnologici, le turbine nucleari, i tablet 4G-lte, le immagini a ultra alta definizione e il fast food, il motore principale di questa nave è umano.

Se chi mi ascolta presta attenzione all’organizzazione dell’imbarcazione che vi descrivo, si renderà conto che, nonostante quelli che stanno sotto sono coloro che rendono possibile la navigazione, producono non solo il necessario perché l’imbarcazione funzioni, ma anche le merci che danno senso e scopo al vascello, non possiedono niente se non la loro capacità e le conoscenze necessarie ad assolvere a questo compito. Non hanno nemmeno la possibilità di decidere alcunché sull’organizzazione perché raggiunga il suo obiettivo. Sono gli ufficiali in coperta a deciderlo. Certo, per salvare le apparenze, ogni tanto si fa finta di prendere in considerazione l’opinione dei marinai e delle marinaie, perché su questa imbarcazione c’è parità di genere nell’essere fottuti. Perciò, prima, organizzavano un curioso gioco che consisteva nel presentar loro vari colori e chiedergli di sceglierne uno. Il colore scelto dalla maggioranza, ci mancherebbe altro, veniva usato per dipingere l’armatura della nave, e veniva perfino collocata una bandiera speciale per identificarla. Ma non cambiava nulla, il padrone continuava a essere lo stesso, identica la destinazione e uguale l’organizzazione dell’imbarcazione. Ho detto “prima” perché il corpo ufficiali era attento ai ritrovati moderni e soppiantò quel gioco con il gioco dei sondaggi: che colore vi piacerebbe di più? Fortunatamente, la modernizzazione non ha spento il pudore di chi sta in coperta e continua nel formalismo di votare il colore più bello.

Tuttavia, i venti marini sono sempre più agitati. Più imbarcazioni nemiche appaiono con maggior frequenza, e sono più aggressive. Se chi mi ascolta pensa che il corpo ufficiali, a causa della sua scontata abilità, troverà il modo di affrontare con successo queste nuove minacce, si sbaglia. Occupati a trarre maggior profitto dalla piccola parte che riescono a sottrarre, gli ufficiali si sono fatti più furbi, sì, ma solo a trovare mille e un modo di tenersi più roba, non solo di quel che rubano sotto, ma anche di quel che possono sottrarre ai loro pari. Il fatto è che chi dovrebbe garantire il mantenimento dell’organizzazione interna sull’imbarcazione, in modo che assolva alla sua funzione, di fatto si è defilato. La nave orami da tempo funziona per inerzia.

Ma torniamo al protagonista di questo racconto e al suo amaro destino nella coffa.

Che quel bastione dell’averno si trovasse sopra, era soltanto per uno di quei paradossi che popolano la geografia del mare di turno. Al contrario di quel che si sarebbe potuto pensare, l’individuo in questione, l’altroa, salì con entusiasmo. Abile, come tutti quelli di sotto, si arrampicò con encomiabile destrezza sull’albero maggiore e si sistemò nello stretto posto di vedetta.

Seguendo un impulso sconosciuto, o quantomeno sconosciuto a chi racconta il racconto e chi lo ascolta, lo strano individuo non si autocompatì. Al contrario, approfittò della sua posizione privilegiata per guardare.

Non era poco quello che abbracciava il suo sguardo.

Guardò in coperta e si soffermò un istante sul motto che il padrone del vascello aveva fatto incidere in bronzo sulla parte anteriore dell’imbarcazione: “Bellum Semper. Universum Bellum. Universum Exitium”.

L’altroa non conosce il latino. Be’, nemmeno io. Ma qualcuno ha fatto una traduzione e possiamo dire che suona tipo “Guerra sempre. Guerra Universale. Distruzione Universale”.

Mentre cerchiamo il modo di far avere a L’altroa la traduzione, l’individuo continua a osservare in coperta. Lì, per esempio, si vede un palco pieno di bandierine di un colore, più in là un altro con bandiere dello stesso colore, e poi un altro, e un altro ancora. E’ curioso, ma quel che da vicino sembrano molti colori e forme differenti, a distanza si nota che tutti i palchi hanno lo stesso disegno e lo stesso colore. Annoiatoa, L’altroa guarda all’orizzonte. Resta basito. Aguzza la vista e conferma quel che ha visto. Scende di nuovo in coperta e prosegue per il boccaporto verso la parte inferiore del vascello.

Arrivato, cerca il suo quaderno e comincia a disegnare segni incomprensibili. Chiama Glie Altrei e mostra loro il quaderno. Glie Altrei si guardano tra di loro, guardano il quaderno, tornano a guardarsi reciprocamente, parlando ora una lingua antica. Vai a sapere cosa dicono, perché non c’è un traduttore a portata di mano, ma dopo un po’ di tempo passato a guardarsi e parlarsi, si mettono a lavorare febbrilmente.

Tan-tan.”

Lo so, io ero tanto indignato quanto voi ora. Ho protestato: “Come ‘tan-tan’? Cosa vide dal posto di vedetta? Cosa disegnò sul suo quaderno? Di cosa parlarono? Cosa accadde dopo?”.

Il gatto-cane miagolò latrando: “Non lo sappiamo ancora”.

Poi latrò miagolando: “Queste 4 parole dovrebbe imparare a usarle chi dice di essere uno scienziato sociale”.

Grazie.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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miriamParole del Subcomandante Insurgente Moisés

8 maggio 2015

Buonasera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

Chissà che con questa continuazione della nostra spiegazione sull’arma che abbiamo scelto, cioè la resistenza e la ribellione, chissà che non vi riesca di capire alcune delle cose di cui hanno parlato i nostri compagni che sono qui al tavolo.

Il fatto è che nella nostra resistenza e ribellione siamo giunti a capire che tali resistenza e ribellione che mettiamo in pratica fanno sì che non permetteremo, e ci sforzeremo di lottare perché non torni, che succeda quel che accadde nel 1910, perché chi ha approfittato della morte di molti dei nostri compatrioti messicani e messicane?

E la nostra resistenza, la nostra ribellione, ci dice che sono i carranzisti, gli obregonisti e i maderisti, i possidenti che ne hanno approfittato per governare, per stare al potere. E tutti questi bastardi che sono su adesso sono i loro bisnipoti, perciò la nostra resistenza, la nostra ribellione ci dice che dobbiamo governare noi.

Ma la nostra resistenza e ribellione ci dice pure che il problema non è essere noi a governare come fossimo della stessa razza: come abbiamo detto dal principio, noi diciamo Giunta di Buon Governo, ma non stiamo dicendo che i suoi membri siano buoni a prescindere: bisogna prestare attenzione, vigilare su di essa.

Per questo sto parlando di ciò che hanno esposto i compagni prima: anche se siamo indigeni che arrivano al potere, se il popolo non è organizzato per vigilare sul suo governo, finirà che saremo ancora peggio, perché l’indigeno povero non ha mai visto le tante cose che ci sono da fare in ufficio: ecco come ci vanno le cose. Quindi non bisogna fidarsi, bisogna organizzarsi per vigilarli, perciò diciamo che il popolo è chi comanda su tutto.

Quando dico che dobbiamo vigliare e che dobbiamo stare attenti e tutto il resto, è in base alla nostra pratica di lotta, di resistenza e ribellione: i nostri governi autonomi non li lasciamo soli, siamo molto altri. Ovviamente ciascuno di noi ha responsabilità perché come compagni abbiamo le aree di lavoro, al fine di imparare, perché diciamo che non si può esser buoni soltanto a pensare ciò che propongono i compagni autorità, bensì tutti e tutte dobbiamo essere capaci di pensare.

Ciò che fanno le nostre autorità è riunirsi, ad esempio un Municipio Autonomo Ribelle: ci possono essere 15 o 20 compagni e compagne, divisi per aree di lavoro: salute, educazione, agroecologia, commercio eccetera. Il compagno o la compagna incaricato di una qualche area dice agli altri: ‘ho questo problema’, dice al collettivo di autorità, cioè agli altri incaricati delle altre aree: ‘ho questo problema’.  Allora iniziano a discutere tra autorità, e perciò lo chiamiamo governo collettivo, e da lì iniziano a venir fuori idee, proposte, ma non è che si applichi subito ciò a cui sono riusciti ad arrivare i compagni.

Non possono: devono andare all’assemblea municipale delle autorità, ovvero dove ci sono anche le commissarie e le agenti, i commissari e gli agenti, ed è lì che lanciano la proposta di discussione di un problema. Allora i compagni autorità, i membri dell’assemblea, le autorità dei villaggi, tutti loro, secondo la nostra legge zapatista, si danno una linea, come abbiamo detto ieri, perché lì possono verificare che ‘questo è già stato discusso, sappiamo già che è permesso, i nostri villaggi lo hanno permesso e pertanto possiamo affermare che la proposta verrà portata avanti’, con l’approvazione dei compagni commissari. I compagni e le compagne autorità sanno che ‘questo non possiamo deciderlo qua dove siamo già d’accordo, dobbiamo consultare i nostri compagni e compagne dei villaggi’.

Quindi le autorità municipali o le giunte di buon governo, quando lanciano la loro proposta in assemblea, hanno il metodo di fare assemblea convocando un’assemblea massima tipo come siamo noi qui ora, e discutere al suo interno, come primo giro di discussione; quando ci si rende conto che non porta a un risultato, che non si trova l’idea, allora si dividono per regioni, tipo in 10, 15, 20 regioni per andare a discutere e poi tornare nuovamente in assemblea finché non se ne venga a capo.

Se non se ne viene a capo, portano tutto ciò che si è discusso, cioè percorso e cercato già, alle comunità, e si estende la discussione a tutte le comunità. Bisogna trovare una soluzione, e può essere che venga da un villaggio, un gruppo o un individuo, una proposta di un compagno o compagna in un villaggio, e questa sua parola, opinione o pensiero arriva all’assemblea massima e lì si sente qual è l’idea migliore tra tutte.

E’ così che le autorità autonome non sono sole in ciò che fanno: il loro lavoro è discusso, stabilito dai compagni base dei villaggi. Non fanno politica per conto loro, per quanto siano buon governo o Giunta di Buon Governo: tutto dev’essere approvato dal popolo. I villaggi sanno fin dal principio cosa si vuole fare e come si pensa di farlo.

Questo ha permesso che le nostre autorità non possano fare ciò che gli pare, che siano nella zona, nella Giunta di Buon Governo o nei MAREZ, nei municipi autonomi ribelli zapatisti, e giù fino alle autorità locali: ci sono sempre assemblee a livello locale nel villaggio. Un’autorità locale non potrà mai fare una cosa fintanto che non ne siano al corrente i villaggi, e lo stesso accade nella Giunta di Buon Governo: non possono far partire un lavoro se non ne sono al corrente le migliaia di uomini e donne.

Ve lo dico, compagni, compagne, fratelli e sorelle, non perché vada male ma perché si usano altre forme; mettiamo il caso di una relazione di lavoro con una delle poche Ong rimaste: questi pensano che se chiedono a me dico di no perché sono io, e se invece chiedono a te dici sì, eccetera. Quel che succede è che noi siamo migliaia, e quindi discutere ogni progetto ci porta via tempo, sia che lo accettiamo o no o dobbiamo dire cosa vogliamo fare in cambio: ci porta via tempo, e quando arriva la risposta ci dicono: ‘no, ormai è trascorso il tempo, non ce n’è più, finito’. Non importa, è per questo che c’è la nostra resistenza e ribellione: se non ce n’è, continueremo a lavorare e andremo avanti.

Con la nostra reistenza e ribellione, i compagni dei villaggi e le loro tre istanze di governo non prescindono da due cose. Una è che tutto ciò su cui si è già accordato il villaggio bisogna rendere conto su come va, su qualsiasi cosa si faccia: salute, educazione, agroecologia e tutti gli altri lavori. Ovvero devono rendicontare: cosa accade? come accade? perché accade? come avete fatto a risolverlo? cosa state facendo? Allo stesso tempo, devono rendicontare su tutte le entrate e sulle spese effettuate.

Con la resistenza e ribellione i compagni e le compagne hanno fatto pratica a partire da come si fanno i rendiconti nelle Giunte di Buon Governo e nei MAREZ, allorché i compagni e le compagne si chiesero: come possiamo credere alla giustezza del rendiconto? Se anche li chiamiamo compagni e compagne, e per di più portano il nome di Giunta di Buon Governo, sarà così?

Perciò i compagni inventano, creano – perché è la mancanza di fiducia – il da farsi perché ci sia fiducia. Ad esempio si inventano il sistema per cui la Giunta di Buon Governo tiene la cassa o come si chiama dove si tengono i soldi, ma la Giunta stessa non può toccarla senza la presenza della Commissione di Vigilanza. La Commissione di Vigilanza sono i turni fatti dalle basi d’appoggio tutti i giorni, mesi, anni, e stanno nel caracol, nella Giunta di Buon Governo, e la Commissione d’Informazione, ovvero sono i compagni e compagne che fanno parte del comitato, o alcuni sono candidati a farne parte, o sono supplenti.

Quindi quei due vanno al luogo della cassa, non da morto ma del denaro, e allora tirano fuori i soldi, qualsiasi delle due commissioni, chiedendo:

– Vediamo, compagno della giunta di buon governo, di quanto hai bisogno?

– Ecco, 15mila pesos.

– Vediamo – tirano fuori i 15mila pesos e glieli consegnano -, contali, così dopo non ci verrai a dire che non erano tutti.

Quindi li contano, e si va a comprare quel che serve. Tornando alla sera si tornano a incontrare le due commissioni, e dinanzi alle due commissioni si vede cos’è successo, perché ti manca questo.

Ecco come si dà fiducia al momento in cui la Giunta di Buon Governo fa il rendiconto, perché si rendono i conti, le informazioni, che sia ogni sei mesi, ogni tre mesi oppure ogni anno. In ogni caso ecco come si controlla, non è che abbiano mano libera: c’è chi può certificare che le cose sono a posto.

Nella nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che ciò ha aiutato molto in fatto di giustizia, è come una parte… come vi posso dire… cioè, è senza fare politica, senza fare discussione politica con gli aderenti ai partiti, ma risolvendo i loro problemi perché la giustizia non si vende, non si compra e nel fare giustizia non si multa, non c’è multa. Ecco dove gli aderenti ai partiti possono rendersi conto e dire ‘andiamo con gli zapatisti, perché se proviamo con il governo ufficiale abbiamo bisogno di soldi’.

Perciò con la nostra resistenza e ribellione andiamo facendo giustizia, noi diciamo neutralizzando, perché non si mettano contro di noi, ma non perché facciamo politica ma perché agiamo: è da lì che possono vederlo.

Un altro nostro modo d’agire che ci ha dato risultati e ci ha fatto costruire la nostra resistenza e ribellione è non forzarli a essere zapatisti o basi d’appoggio. Nelle nostre pratiche comunitarie, ossia in ogni comunità, si parla con loro, con quelli che non sono dei partiti, perché nelle comunità ci sono affiliati ai partiti e no: si parla con loro e se vogliono stare nella scuola, ossia nell’educazione zapatista, ci possono stare senza soldi.

Si richiede solo che mantengano l’accordo della comunità su quando è tempo di lavorare gli orti, cioè che il tale fratello vada a lavorare anche il campo del promotore o della promotrice di educazione, e che vada quando c’è da lavorare la milpa. Diversamente, ci sono comunità zapatiste che raccolgono pannocchie di mais, pugni di fagioli e li danno ai loro promotori di salute, di educazione, e basta così. Pertanto i fratelli che vogliono mandare a scuola i loro figli, anche se non sono zapatisti, devono solo assolvere a questo e possono mandarli alla scuola autonoma zapatista, le figlie e i figli dei fratelli che non sono aderenti ai partiti.

Il risultato di questo lavoro, è che nel momento in cui i compagni celebrano qualcosa nei villaggi, ad esempio il 17 novembre, che è l’arrivo dell’Esercito Zapatista nel 1983, i bambini zapatisti e i bambini e bambine figli dei non affiliati ai partiti, partecipano insieme, recitano le loro poesie, le loro piccole orazioni e fanno pratica secondo quel che vedono fare ai loro genitori.

E quando fanno festa gli officialisti sono a zero, non c’è partecipazione di bambini e bambine, e allora quelli che hanno i figli nella scuola autonoma zapatista si incaricano di dire agli affiliati ai partiti: prendiamo maestri migliori, perché guarda mio figlio, mia figlia, lei sì che sa leggere e scrivere, lei sì che può già fare un piccolo discorso, e guarda invece il tuo o la tua: no, e allora che facciamo, perché siamo contro gli zapatisti? Così partono le discussioni e c’è la dimostrazione di quel che stanno dicendo.

Questo è ciò che ci ha dato la nostra ribellione e resistenza, continuo a dirvelo perché grazie a questo stiamo combattendo, stiamo mostrando che si può fare senza azionare le armi, ecco la sua importanza. Ma non vuol dire che stiamo dicendo che ormai non servono più, un giorno serviranno.

Torno a dire, compagni, compagne, fratelli e sorelle, che non ci può essere resistenza, ribellione, se non si organizza. Perché organizzazione è gente, è donna, è uomo, sono popoli, e se non c’è il popolo, cioè se non c’è donna, uomo, ebbene? Anche se hai maestria nel dire, nel parlare, nel tuo rollar diciamo noi, semplicemente sono parole al vento.

E allora come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un poeta, ad esempio? Come facciamo in organizzazione e pratica quel che dice un cantante? Come facciamo in pratica e in organizzazione quel che illustra un artista?, ecco, aiutatemi a fare una lista di cose simili. La questione è questa, perché allora ci organizziamo.

Mi ricordo che mi invitarono a una delle discussioni su quali materie avrebbero studiato i giovincelli. Dicevano: in scienze sociali, dice il sistema, il treno ad alta velocità, ma quale treno ad alta velocità passerà mai da qui. No, noi dobbiamo pensare a ciò che serve di scienze sociali qui nel nostro municipio autonomo, nelle nostre zone ribelli. Io gli dico, va bene, è così, e loro dicono:

– Vogliamo che si studi la storia perché nella SEP* (*Segreteria di Educazione Pubblica, ovvero l’autorità governativa che presiede all’istruzione in Messico, N.d.T.), nell’educazione del governo, ci dicono che il Messico ormai ha fatto la rivoluzione, ed è per questo che è morto Zapata, e allora noi vogliamo che si studi bene la storia.

Io chiedo ai compagni, com’è questa storia, e loro mi dicono:

– Sì, perché vogliamo che i giovincelli si sveglino.

– Ma come? – gli chiedo ancora.

– Guarda, come sono le tappe dei modi di produzione o società? Come si dice, quella storia del feudalesimo, schiavismo, capitalismo, imperialismo, e non so quanti altri.

I compagni dicono:

-Nel tempo, all’epoca dello schiavismo, come funzionava la politica, l’ideologia, l’economia, la società, la cultura. Com’era a quel tempo? Abbiamo bisogno di saperlo perché serve a risvegliare i nostri figli, perché sappiano.

Allora rispondo ai compagni: non so, io non ho studiato questo. Non ho studiato del tutto, compagni.

– E allora come facciamo?

– Vediamo chi lo ha studiato.

Perché qui in Messico ci sono molti studenti, e quindi vennero, e glielo chiedemmo, sul fatto delle varie tappe della società e dei modi di produzione.

– Non esiste un libro per questo. Non lo sappiamo neanche noi -, ci dissero.

Qui c’è qualcuno che lo sa? Quel che vogliamo sapere è questo, com’era nell’epoca feudale, com’era la politica a quel tempo, com’era l’ideologia a quel tempo, com’era l’economia a quel tempo, perché ora noi compagni sappiamo com’è per il capitalismo, ora neoliberista, possiamo ormai dire com’è sul piano politico, ideologico, economico e sociale.

Perciò vi dico che con la nostra resistenza e ribellione abbiamo una nuova educazione, una nuova salute. Con la nostra resistenza e ribellione lo abbiamo anche imparato, anche avendo delle lacune.

Guardate, ai tempi in cui non avevamo ancora stabilito per le Ong quanto vi ho già detto l’altroieri, si costruirono ad esempio cliniche o microcliniche secondo dei progetti, e allora noi:

– Clinica, ah, bene, ora sì che ci sarà la salute – così la si comprese.

Ma dopo quattro o cinque anni ci siamo resi conto di no, perché implica, implicò organizzazione, e quando i compagni vollero organizzarsi… Perché ve lo dico? Perché la microclinica o la clinica, fatevi il conto che sia dove siamo ora e che i villaggi siano a cinque o sei ore, e allora perché funzioni questa clinica il promotore o la promotrice di salute deve venire a fare i turni per portare avanti qua. E poi, poiché allo stesso tempo si fecero partire le tre aree, ossia le piante medicinali, allora i compagni e le compagne appresero quale pianta serve per la tosse, l’influenza, i parassiti, i dolori, eccetera, per la diarrea, il vomito, e allora semplicemente non andavano alla clinica, e allora i compagni iniziarono a dire:

– A cosa serve? – è che bisogna dargli da mangiare, al promotore di salute, – A cosa serve se non ci sta assistendo? Chi ci sta assistendo qua è la promotrice di erboristeria.

Queste cose ci cambiarono, ecco cosa c’entra quel che stavamo dicendo ieri, che iniziammo a riorganizzarci e allo stesso tempo a rieducarci. Quel che si è fatto è che i promotori di salute sono partiti con le campagne, portandosi dietro l’apparato per gli ultrasuoni, gli strumenti per il Pap Test, di laboratorio, da dentista. Si sono organizzati e danno servizi per municipi o per regioni, e diagnosticano chi ha problemi di ernie, tumori, appendiciti e cose del genere, e poi avvisano i dottori che ci aiutano, ed è così che noi aiutiamo i dottori, i medici, perché sanno già cos’hanno i pazienti, perché sono già fatte le lastre o gli ultrasuoni.

Allora sì davvero, allora sì c’è una nuova salute perché fin da prima si diagnosticano i problemi che hanno le nostre compagne, compagni, e ovviamente anche gli aderenti ai partiti.

Con la nostra resistenza e ribellione i compagni hanno la libertà di sperimentare quel che pensano a livello locale, per esempio ci sono villaggi che iniziano a creare ciò che chiamano BAC, e se gli chiediamo cosa sia, dicono la Banca Autonoma Comunitaria, ossia dei villaggi: loro stessi le creano.

E con la nostra resistenza e ribellione si stanno migliorando i mezzi di comunicazione, così li chiamiamo, che sono le emittenti comunitarie zapatiste autonome: loro le utilizzano, i compagni delle Giunte di Buon Governo, e da lì trasmettono quel che vogliono far sapere ai villaggi zapatisti e non zapatisti.

Con la nostra resistenza e ribellione si pratica insomma la nuova democrazia. Qui i compagni insieme ai villaggi, con le autorità, sperimentano nuove cose. A volte si sbaglia ma si rendono conto di questo e vedono come migliorare.

Per esempio, è molto importante, ed è una delle cose che ci ha portato a cambiare in meglio, come ho già detto, è la nuova educazione, ossia il fatto che i giovani abbiano appreso a leggere, a scrivere e far di conto. Giovani di 18 o 19 anni vengono nominati a essere autorità e magari quando sono in assemblea sono solamente giovani, sia nel Consiglio o nei MAREZ, sono solamente giovani. Questo è un errore, perché come giovani non hanno avuto esperienza, l’esperienza di essere stato un vecchio zapatista che è stato in clandestinità, con gli sforzi, i sacrifici e tutto il resto, e il grande valore di venire fuori nel ’94… i giovani no, sembra tutto molto facile per loro.

Allora i compagni si rendono conto che si inizia a sbagliare, e allora si inizia a organizzare i giovani, facendo scuola su quale siano i loro compiti, doveri, obblighi, funzioni, e cosa significhi essere autorità zapatista, perciò al momento di essere eletti, in tutti villaggi gli uomini, le donne, i giovani e le giovani ora sanno già quali sono i loro compiti e doveri.

Qui c’è una democrazia che si basa sulla sperimentazione e l’aiuto tra compagni, per esempio non so come si chiami, se è diretta o indiretta o mezzo diretta, non so, sarà compito vostro di verificarlo; per esempio qui siamo autorità, e quindi ci conosciamo già tra tutti noi, ci conosciamo su chi è compagno e compagna, su chi si preoccupa, su chi ha interesse reale, e appoggia, orienta, e che abbiamo visto non solo dire ma anche mettere in pratica.

Allora quel che facciamo noi è proporre come membro quel compagno o quella compagna, ad esempio della Giunta di Buon Governo, che siamo noi come autorità a scegliere. Ma il fatto è che noi ci conosciamo, e quindi proponiamo che sia quella compagna o quel compagno che non decidiamo noi, ma lo sottoponiamo ai villaggi, dove spieghiamo che noi come assembleisti pensiamo che sia la persona adatta a fare un determinato lavoro.

E i villaggi diranno, perché i nostri villaggi fanno domande: è veramente certo quel che ci dite, vi risulta? E noi come autorità dobbiamo dimostrare certe le cose, cioè che abbiamo visto che la compagna è davvero interessata, ha cura, orienta, supporta e ce lo dimostra nel suo modo di fare. Così le autorità aiutano i villaggi, e non perche si sceglie la compagna di qualche altro compagno o compagna.

Per esempio, come fanno i villaggi a vigilare sulle proprie autorità? Abbiamo detto che la Comissione di Vigilanza è presente in ogni momento nei Caracoles (inascoltabile)… è vigilare le proprie autorità, ma tanto i compagni e le compagne hanno bene in testa e nel cuore il vigilare le proprie autorità. Molto recentemente un membro della Giunta di Buon Governo è stato a Tecate, e i nostri compagni hanno verificato dov’era andato il tizio. Ovvero, i nostri compagni seguono le proprie autorità dovunque vadano, le tengono d’occhio.

La democrazia viene insegnata fin nelle classi di bambini e bambine, perché già da bambini e bambine capiscano il perché i loro genitori si riuniscono. E allora i maestri e le maestre dicono:

– Sapete, bambini e bambine, si avvicina la festa – gli spiegano, ad esempio il tre di maggio, e allora organizzano i bambini. Il villaggio farà la celebrazione del tre di maggio, voi bambini e bambine cosa pensate di fare?

– La pignatta, l’opera teatrale – iniziano a dire i bambini, ovvero li si consulta su cosa vogliano presentare.

– Ballate, opere di teatro, o le pignatte, o che altro.

Quindi i bambini imparano così, oltre al fatto che la loro mamma o il loro papà li accompagna in assemblea.

Una cosa che si è vista a partire dalla nostra resistenza e ribellione, è che non avremo paura di proporre ai villaggi le nostre proposte, per difficile che sia. I compagni delle Giunte di Buon Governo stanno appurando che, per quanto difficile sia il da farsi, bisogna proporlo ai villaggi perché loro lo discutano, ci pensino su, e vogliamo che così sia, perché pensiamo che il solo spiegare e parlare bene, cioè il riuscire a far fare al popolo quel che si vuole, non basti a permettere di fare le cose senza consultare il popolo, non so se mi capite su questo punto.

Ad esempio è come se io, poiché i compagni e le compagne mi hanno visto che ci azzecco su quel che vuole il popolo, mi inizi a credere chissà chi e inizi a far andare le cose secondo i miei pensieri, senza consultare voi come villaggi. E allora i compagni dicono ‘non lo permetteremo’. Per quanto ci azzecchiamo, dobbiamo dire le cose ai nostri villaggi, se no iniziamo a creare una cattiva cultura, torniamo a farci una cattiva cultura, mi è venuto in mente quando ha parlato il compagno Zibechi, perché è vero quel che ha detto, l’ex presidente del suo paese mostrava di fuori una bella facciata ma dentro chissà: come diciamo noi messicani, vediamo la faccia ma sul cuore non sappiamo, e ce lo hanno spiegato com’è andata.

Si tratta di una delle cose che abbiamo evinto dalla nostra resistenza e ribellione, perciò diciamo che non lo permetteremo, che il popolo deve sapere, dev’essere consultato. La nostra resistenza e ribellione ci ha aiutato, ci ha dato il tempo di inventare, creare, immaginare, perché non abbiamo un manuale, ecco la verità, non abbiamo un libro. Il nostro libro è valutare il lavoro per migliorarlo, il nostro manuale è il problema che sorge e come va risolto. Ecco come andiamo avanti: affrontando, risolvendo attraverso l’immaginazione e la nostra pratica.

Vale a dire che la nostra resistenza e ribellione implica di non lasciarci andare, di essere testardi e testarde, inamovibili, sul non lasciarci andare: la soluzione va trovata. Ossia prendiamo la nostra resistenza e ribellione come fossimo tra i proiettili e le bombe, ovvero la consideriamo come una guerra in cui abbiamo di fronte il nemico, bisogna cioè prenderla sul serio, perché trovare il modo migliore di governarci è uno dei modi per sconfiggere il nemico. Ci diciamo cioè che la lotta, lo scontro, non si fa solo con le armi e le bombe, ma anche sul piano politico, ideologico, economico, eccetera.

La nostra resistenza e ribellione esiste perché ci stiamo lavorando, la stiamo organizzando, perché siamo lì con i nostri popoli in lotta, dando aiuto, orientando, migliorando. E allo stesso tempo la nostra resistenza ci dà la sicurezza, e insieme ci aiuta a vigilare, cioè ad avere cura di noi. Perché la resistenza sia viva bisogna, come vi ho detto, lavorarci, e noi la consideriamo davvero un’arma di lotta, perché le nostre armi riposano da 20 anni, ma se non facciamo attenzione queste armi reali diventano inservibili… ma siccome abbiamo cura di noi sono uguali al 1994, ovvero sono utili perché ne stiamo avendo cura.

Allora la nostra organizzazione, la nostra ribellione e resistenza ci fanno avere cura di noi, ci danno sicurezza e dobbiamo migliorarle man mano, lavorando.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo visto che i partiti politici non ci hanno diviso in tante parti, cosa che sarebbe stata un po’ diversa. Perché i partiti politici, e con loro anche le organizzazioni sociali cooptate dai partiti politici e fatte da scagnozzi dei partiti politici, sono chi ci divide, provoca, e questo continuerà. Qui vi darò un esempio effettivo di come affrontiamo questa cosa.

Per esempio, voi ricorderete, o se no ve lo ricordo io, che a Zinacantán il PRD, i perredisti, hanno sottratto l’acqua ai nostri compagni basi d’appoggio e al momento in cui andammo a rimettergli l’acqua ci attaccarono a pietrate, bastonate, spari. E allora accadde quel che accadde, la Giunta di Buon Governo compra un pezzo di terra con una fonte d’acqua, consegnandola ai compagni basi d’appoggio. Ma resta il fatto che i partiti politici ci dividono come popoli, e allora quando un gruppo che era di compagni esce, i compagni rimasti dicono ‘non gli daremo più l’acqua, perché è per chi è nell’organizzazione’, e lo vanno a proporre alla Giunta di Buon Governo, ma la giunta gli dice:

– No, compagni. L’acqua è la vita, non possiamo dire che non gli daremo acqua, anche se sappiamo bene che quando siamo venuti a ridarvi l’acqua ci hanno sparato, quei perredisti. Ma noi non faremo così, semplicemente li inviteremo ad aver cura dell’acqua e a rispettare gli alberi che abbiamo seminato, perché l’acqua serve perché crescano.

Vi potrei dire un mucchio di altre cose su questo punto, su come si fregano i popoli, su come ci dividono i partiti, ma è così che combattiamo questo; essere umili a volte funziona a volte no, ma i compagni su questo hanno ragionato con umiltà, e anche i perredisti possono usare l’acqua.

Con la nostra resistenza e ribellione, i compagni delle Giunte di Buon Governo e dei MAREZ si sono messi d’accordo a tutti i livelli di autorità su cosa portare alla discussione, perché c’è discussione interna, e ciò ci ha aiutato a creare, a inventare con loro l’escuelita.

Ci ha dato molta forza perché dalla discussione che hanno fatto i compagni dei MAREZ e delle Giunte di Buon Governo, ci hanno dimostrato che sono i veri maestri e maestre.

Da ciò si vede che è reale quel che è accaduto al tempo del nostro arrivo come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nell’anno 1983. A quel tempo i primi compagni insorti giunsero molto quadrati, ma a contatto con i nostri compagni e compagne dei villaggi, come si dice, si sono riconfigurati dall’essere quadrati.

Perché loro erano già giunti di per sé portati dalla resistenza, di per sé vivevano ormai in comunità, e nel frattempo si vide che i compagni e le compagne dei villaggi erano già in resistenza, perché ci sono villaggi che nominavano un commissariato e il presidente municipale li forzava ad accettare che sia lui a nominare, stiamo parlando di prima dell’83, non c’erano basi d’appoggio, ma alcuni villaggi dissero: ‘non vale ciò che dice il presidente municipale, vale quel che diciamo noi’. E ci sono villaggi che invece lasciano che sia il presidente municipale a nominare.

Quindi c’erano già questi due tipi di villaggio, c’erano già villaggi in resistenza in questo caso, e allora non resta che reinventare ulteriori modi su come fare.

Perciò, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è la nostra esperienza, come vi abbiamo detto abbiamo iniziato da una base piccola piccola come questo mais che ci hanno portato i compagni del nord.

E allora vedete voi quale semenza pensiate sia buona e quale semenza non è buona o non si può mettere in pratica, vedete cosa bisogna fare per prima cosa, e poi la seconda e la terza, e così via.

L’unica cosa che vorrei dire a conferma, è che ricordo che nell’anno ’85 mi toccò stare con un comando, una sezione, e un giorno, riunendo il comando, ci disse e spiegò: siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Ed era una sezione di quattro persone, e allora noi ci guardavamo l’un l’altro, ‘siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, quattro’.

E ci dice: qui ne abbiamo altri due. Lavoreremo e se lavoreremo ci saranno risultati, perché cresceremo, convinceremo il popolo, ci saranno molte compagne e compagni, ma c’è bisogno di molta sicurezza. Se non lavoreremo, ossia non faremo lavoro politico, ci annoieremo a guardarci in faccia tutti i mesi e tutti gli anni perché non vogliamo lavorare.

Bisogna quindi pensare come, e fu così, iniziammo a lavorare, e già nell’anno ’86 c’erano battaglioni di insorti e insorte, c’erano già battaglioni di miliziani e miliziane.

Non dimenticate, compagni, compagne, fratelli e sorelle, se così decidete: abbiamo iniziato come questo qui, piccolo, ma se lavoriamo cresciamo, altrimenti saremo pian piano più piccoli, ovvero moriremo senza aver fatto nulla.

Quindi, compagni, compagne, fratelli e sorelle, questa è stata la nostra partecipazione su cosa è la nostra resistenza e ribellione. Vi lasciamo l’onere di pensare a cosa vi serve e cosa no, e anzitutto il da farsi per ottenere ciò che si vuole fare, ma vi raccomandiamo: la prima cosa da fare è organizzarsi, se non c’è organizzazione non c’è nulla.

Molte grazie, compagni, compagne.

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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la_realidad_moisesParole del Subcomandante Insurgente Moisés

7 maggio 2015 (sessione vespertina).

Buona sera, compagni, compagne, fratelli e sorelle.

(…) Dobbiamo tradurre le cose qui dette dal castigliano a tzeltal, tojolabal, tzotzil, chol, perché ci interessa discutere con i compas le cose che hanno esposto i compagni a questo tavolo.

Proseguiamo a spiegare che cosa è la resistenza e la ribellione per noi zapatisti.

Per noi, come organizzazione in resistenza e lotta, per prima cosa dobbiamo avere ben chiaro il perché della lotta, della resistenza, della ribellione. Se non abbiamo ben chiaro perché? per chi? per cosa? semplicemente non si va avanti.

La resistenza e la ribellione ci danno la vita. Perché? Perché abbiamo ben chiaro il perché, per cosa e per chi, e quindi facciamo quello che abbiamo deciso insieme di fare e poi vediamo se dà i risultati che vogliamo.

E facendo così ci siamo resi conti che sì, se si organizzano la resistenza e la ribellione, queste ci danno vita. E’ proprio grazie alla resistenza ed alla ribellione che siamo qui a parlare con voi. Cioè, se avessimo proseguito con la nostra insurrezione, con tutto il nostro coraggio, non ci saremmo accorti di quello che successe con la mobilitazione del 12 gennaio 1994. Senza quella mobilitazione, chissà dove sarebbero sparse le nostre ossa ora e non saremmo qui a parlare con voi.

Quindi, è grazie alla ribellione ed alla resistenza che siamo riusciti a capirlo, per questo siamo qui con voi. Ma è anche grazie alla ribellione ed alla resistenza che abbiamo potuto costruire per noi, zapatiste e zapatisti, questa piccolissima cosa, quelli che stanno là in fondo la vedono? No? Di questo si tratta, abbiamo cominciato così, con una cosa piccola, che nemmeno si vede, ma se la resistenza e la ribellione si organizzano, si moltiplicherà.

Ci dicevamo ‘un giorno parleremo con le messicane ed i messicani, e con i fratelli e le sorelle, ed i compagni e le compagne del mondo’. Ed ora lo stiamo facendo, ma serve molta resistenza e ribellione.

Non diciamo che la resistenza e la ribellione sono le uniche cose da fare, per questo diciamo di non copiarci, non si tratta di copiare. Per noi zapatiste e zapatisti, il nostro gvernarci, ovvero, la nostra autonomia, è tale grazie alla resistenza ed alla ribellione. Perché se ci fossimo dedicati solo alle bombe, alle pallottole, alla sfera militare, cari compagne e compagni, fratelli e sorelle, non staremmo qui con voi, ora, davvero.

Ma abbiamo capito,abbiamo visto che anche resistere ed organizzare la resistenza è un’arma di lotta, e così ora siamo qua e lo si vede nei fatti, e stiamo dando dei grattacapi al capitalismo. La nostra resistenza e ribellione non hanno una fine. Lo abbiamo capito nella pratica, perché è con la nostra resistenza e la ribellione che risolviamo i nostri bisogni.

Per esempio, abbiamo risolto la mancanza di educazione, abbiamo formato i nostri promotori grazie all’aiuto dei compagni e compagne che li sostenevano. C’era il problema sanitario; bene, abbiamo cercato e preparato compagni e compagne. E bisogna sostenerli ed andare avanti, perché la salute è una cosa seria e ci sono sempre nuove medicine e malattie che dobbiamo affontare e risolvere.

Quindi, passo dopo passo, risolvevamo i problemi, e bisognava organizzare la resistenza e così, per gioco, dicevamo ‘perché vogliamo l’autonomia?’ Ed abbiamo capito: per fottere il capitalismo (…).

Per questo diciamo che non c’è una fine. Ogni passo che facciamo è per costruire, e così accompagnamo la resistenza e la ribellione, ovviamente con l’organizzazione.

La nostra resistenza e ribellione hanno guidato le nostre leggi. Con la nostra resistenza abbiamo migliorato queste leggi e regolamenti sempre con assemblee nei villaggi, sempre in democrazia, cioè, col pensiero e la parola delle comunità.

Con la nostra resistenza si rafforza la nostra giustizia. Voglio farvi un esempio. Per noi fare giustizia è diverso da quello che si intende nel sistema capitalista, ed a volte è difficile da comprendere. Per esempio, nel caso di un omicidio, secondo la nostra legge, se io sono l’assassino devo lavorare perché la mia famiglia possa continuare a vivere, ma anche perché possa continuare a vivere la famiglia di colui che ho ucciso.

E quando succede, si presenta un problema, perché se il colpevole deve lavorare, gli devi dare gli attrezzi da lavoro, e può fuggire; ed allora dovresti ucciderlo per impedire che fugga. Ma questo non potremmo farlo. Perché? Qual’è il problema? Il problema è che non c’è una prigione dove si possano svolgere tutti i tipi di lavoro o per fare un lavoro che produca mais, fagioli e tutto quello che serve per dare da mangiare sia alla famiglia della vittima che alla famiglia del colpevole; ma non c’è, non ci sono risorse per questo. In alcune prigioni del sistema capitalista ci sono strumenti di lavoro, ma se li rubano gli stessi che dovrebbero applicare la giustizia.

Allora, che cosa facciamo quando ci si presenta un problema simile, come ci è già successo? In questo caso, i compagni hanno cercato una mediazione mentre si indagava sull’omicidio. L’autorità parlava con la famiglia dell’omicida e con la famglia della vittima. Mentre si svolgevano le indagini, la famiglia dell’omicida offrì 40 mila pesos di risarcimento alla famiglia della vittima e l’autorità disse: noi non possiamo dire nulla, si deve chiedere alla famiglia della vittima, perché noi come autorità noi diamo un prezzo alla vita di una persona.

Quindi, l’autorità fece da mediatore con la famiglia della vittima fino ad arrivare ad un accordo. Allora è successo così, ed è così che si risolse quel caso in comunità dove si vive in resistenza e ribellione – per questo ieri vi dicevo che di fronte al nemico, al capitalismo. non serve avere solo solo forza e rabbia – ma ci sono anche cose che sappiamo che non possiamo fare, come rubare, ma perché si ruba? perché si fa del male? da dove nasce il problema.

Bisogna indagare i fatti, perché molte volte i furti avvengono a causa della droga, dell’alcool. Allora le autorità fanno delle campagne molto intese nei villaggi affinché non succedano violenze per colpa di ubriachi o drogati, che se la vedranno brutta; o perché non accadano omicidi a causa di ubriachi o drogati, e poi alcool e droga li passano quelli dei partiti.

Poi abbiamo avuto altri problemi, perché è successo che noi ci siamo occupati degli assassini affiliati ai partiti, gli abbiamo dato mangiare, cioè ci siamo trasformati in poliziotti per loro, e bisognava occuparsene perché non scappassero. Quindi, diciamo che la giustizia zapatista si applica a tutti, indipendentemente da tutto. Molto bello a parole, ma nella pratica non è la stessa cosa perché lo devi tenere una settimana, te ne devi occupare, gli devi dare da mangiare, e devi stare attento che la sua famiglia non vada a lamentarsi che si stiano violando i suoi diritti umani perché non gli dai da mangiare. E per noi zapatisti questo era diventato un problema.

Vi sto raccontando questo, compagni, compagne, affinché non vi scoraggiate o demoralizzate. È perché capiate che bisogna organizzarsi per governarsi, bisogna considerare ogni aspetto della vita per governarsi.

Allora per risolvere questo problema, abbiamo detto a quelli dei partiti: sentite signor commissario, noi risolviamo il caso, facciamo l’investigazione e tutto, ma voi dovete tenervi l’assassino nella vostra comunità; o datelo al governo che volete, cioè al malgoverno. Ma la famiglia del colpevole dice: no, vogliamo che si risolva qui il problema perché là non sappiamo dove lo portano, non sappiamo quante violazioni commetteranno, e poi non abbiamo i soldi per andare avanti e indietro e per gli avvocati.

Allora gli abbiamo detto di incarcerarlo nella loro comunità, per rendersi conto di quanto è difficile e costoso occuparsi dell’assassino, perché devi dargli da mangiare, e nascono tanti problemi. E’ così che abbiamo educato anche quelli dei partiti ed un po’ alla volta cominciano a combattere la tossicodipendenza e capiscono le difficoltà ed anche l’inefficienza del governo perché ci dicono perfino: noi abbiamo preso il colpevole ed è già quattro o cinque volte che lo consegnamo al governo, ma il malgoverno non sa che fare e lo lascia andare.

Andiamo avanti con la nostra resistenza e ribellione e con la pratica cerchiamo di migliorare i nostri sette principi del comandare ubbidendo, perché è il popolo che comanda ed il governo ubbidisce.

Voglio farvi un esempio di cosa significa il popolo comanda, il governo ubbidisce. Per esempio, in un’assemblea municipale, che può essere di tre, quattro regioni – le regioni hanno decine di villaggi, per questo la definiamo assemblea del municipio autonomo – le autorità dei MAREZ, dei municipi autonomi, lanciano, una proposta riguardo una cooperativa o un lavoro collettivo. Quindi si va nei villaggi a sentire il parere degli abitanti e la maggioranza dice ‘sì siamo di accordo ‘, ma uno o due villaggi dicono: ‘noi non siamo d’accordo’.

Allora comincia la discussione sulle ragioni del disaccordo con le proposte del lavoro collettivo, e quelli che non sono d’accordo espongono i loro argomenti, tipo: siamo lontani dal luogo dove si svolge il lavoro, avremmo troppe spese. Allora le autorità del municipio autonomo, cercano un modo diverso di organizzare il lavoro collettivo per andare incontro alle esigenze di chi non è d’accordo. Non so se mi sono spiegato.

Allora si ritorna a discutere nel villaggio che non accetta la proposta, ma che ribadisce il suo disaccordo. Allora le autorità chiedono perché.

– Diciamo no, perché il popolo comanda.

Allora le autorità rispondono:

– Vi sbagliate compagni del villaggio x, non è così. Avete capito al contrario. E’ la maggioranza che comanda, perché la maggioranza dei villaggi del municipio autonomo è d’accordo.

Quindi l’autorità spiega un’altra volta che è la maggioranza a decidere, fino a che riesce a convincerli. Deve andare direttamente l’autorità municipale nei villaggi a spiegare le cose e lì si scoprono molte cose. Cioè, è l’autorità municipale che va nel villaggio a parlare direttamente con le basi, compiendo quello che dicono i nostri sette principi che bisogna convincere il popolo ma non vincerlo, e lì magari scopre che è l’autorità di quel villaggio a non volere il lavoro collettivo; quindi, il villaggio automaticamente punisce la sua autorità perché si è sostituita alla volontà della comunità.

Per questo non dico che non riusciamo a governarci, ma che dobbiamo lottare molto per poterlo fare. Cioè, noi siamo riusciti a farlo con la nostra resistenza e ribellione perché facciamo molto lavoro politico, ideologico, molte discussioni e spiegazioni e molte valutazioni anche su come siamo come organizzazione.

Ci rendiamo conto che non ci resta che lottare con tenacia, lavorare molto, con molto sacrificio, cioè molta resistenza e molta ribellione. Solo così possiamo mantenere e continuare la lotta, perché sappiamo bene che il capitalismo non ci lascia in pace.

La nostra resistenza e ribellione ci hanno dato la forza di mettere in pratica quello in cui crediamo, come esercitare la libertà collettiva, perché con la pratica, nel nostro governare, con la nostra libertà scopriamo sempre come migliorare. Tutte le zone stanno preparando la nuova generazione di ragazzi e ragazze, perché in questi 20 anni abbiamo capito che si fa un gran parlare, ma non si fa niente.

Allora, nel momento in cui scopriamo che cosa è la cosa importante, la cosa necessaria da fare, raccogliamo la decisione del popolo ed iniziamo a lavorare. Per primo bisogna prendere in considerazione la parola, la decisione del popolo, e da lì si comincia, perché dobbiamo scoprire se va bene oppure no, dobbiamo sperimentare, e così riusciamo anche a migliorare.

Per questo diciamo che la nostra resistenza e ribellione ci hanno aiutato a migliorare mettendo in pratica quello che vogliamo fare. Per esempio i compagni, compagne dei villaggi sono liberi di sostituire l’autorità che non rispetta il regolamento, o richiamare l’autorità che non rispetta il regolamento, o sanzionare l’autorità che non rispetta il regolamento.

La nostra resistenza e ribellione ci hanno dato la libertà di creare, inventare, immaginare come far funzionare al meglio il nostro governare per avere una vita migliore, e ci stanno aiutando a scoprire come migliorare l’azione di governo dei nostri governi autonomi.

Grazie alla nostra resistenza e ribellione, i popoli zapatisti, donne ed uomini, hanno il diritto di dire la loro parola, cioè la libertà di espressione, ed hanno il diritto di essere ascoltati, che si sia o no d’accordo, tutti devono essere ascoltati. E nello stesso tempo, le donne e gli uomini zapatisti, che hanno libera espressione, che sono liberi di pensare e parlare e di dire la loro, sono liberi di proporre come migliorare o proporre cose nuove; sono liberi di studiare, pensare e presentare nuove proposte. Sono liberi di analizzare e poi dire cosa ne pensano, sono liberi di discutere fino ad arrivare ad un accordo vantaggioso per tutti, ed infine le nostre comunità hanno il diritto di decidere cosa fare.

Con la nostra resistenza e ribellione, grazie alla pratica delle compagne, abbiamo scoperto molto su levatrici, guaritrici di ossa e piante medicinali, perché dicevano che bisognava riscattare quell’antica cultura che non aveva bisogno dei medici – perché neanche li conoscevano – basata sulle piante, radici, foglie. Perché le compagne hanno detto che la saggezza e l’intelligenza dei nostri morti era ben sotterrata e custodita nelle loro tombe, e che ora dovevamo riscattarle.

Abbiamo riflettuto ed abbiamo capito il significato politico di tutto questo. Ci siamo chiesti, ‘cosa è successo nel 1810? cosa è successo nel 1910? Quando Villa e Zapata muoiono, la lotta finisce ‘, cioè, la rabbia, la saggezza, l’intelligenza, l’arte, l’arte di lottare, di combattere erano concentrate su una sola persona. Quindi, i comandanti politici del comitato clandestino hanno dovuto pensare che cosa fare.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo detto: affinché non succeda questo, dobbiamo consegnare un’eredità ai compagni, cioè alla nuova generazione – non è terra, non è una vacca, ma è la lotta, l’organizzazione EZLN e l’autonomia – e nel momento in cui stavamo passando l’esperienza, uno dei nostri compagni e compagne dice:

Ma, compas, manca qualcosa.

No, è tutto.

No.

E cosa manca?

Manca che ci insegnate quale sarà l’eredità della Sexta, o della Otra.

E ci siamo chiesti ‘quale altra, quale sexta?’, manca come organizzazione, non come autonomia che è già l’organizzazione delle comunità, donne e uomini che già si governano ed anche l’EZLN è un’organizzazione. Allora, quale Altra, o quale Sexta?, ma ‘lo vedremo poi, compagni’.

Ma noi non abbiamo nessuna eredità da lasciare, al contrario. Sono i nostri compagni e compagne dei villaggi che devono lasciare un’eredità ai compagni e compagne che davvero vogliono aderire alla Sexta. Così è nata la escuelita, a questo servono i compagni, le compagne.

Prima della escuelita, con i compas che sono stati maestri e maestre, guardani e guardiane, abbiamo capito quello di cui parlavano le compagne sul fatto di riscattare e non seppellire. E’ vero, versiamo lacrime quando muore un nostro caro, e con lui seppelliamo la sua saggezza ela sua intelligenza. Ma non dobbiamo essere egoisti, dobbiamo insegnare ai compagni, alle compagne, oltre che a noi, perché non siamo eterni su questa terra, se non ci ammazza prima il nemico, o se non moriamo in qualche incidente, ad ogni modo ce ne andremo, ma dobbiamo anche ritornare.

Questo ci ha fatto riflettere sul perché eravamo sempre noi a parlare in questo microfono, ‘perché sempre io?’, ci siamo detti, ‘perché abbiamo paura del popolo?’. Il popolo ormai si governa da sé, dunque che sia un’eredità completa. Quindi, sono i compagni e le compagne che devono essere le maestre ed i maestri.

Dunque abbiamo dovuto organizzare tutto questo, dare coraggio ai compagni ed alle compagne dei villaggi che devono sapere cosa fare quando noi non ci siamo. Questa era la sfida, dovevamo dare loro spazio, loro sanno spiegare le cose meglio di noi, davvero. Io sono insurgente, vivo nell’accampamento, non in un villaggio, sono loro che vivono la quotidianità della vita, io no, io sto nell’accampamento, ovviamente a dare ordini.

Con la nostra resistenza e ribellione abbiamo saputo risolvere il problema del dare ordini, perché i compagni, quelli che hanno governato per 20 anni, non hanno nessuna colpa di ciò, e nemmeno noi, perché era necessario che fosse così, che si eseguissero gli ordini. Nell’ambito militre, gli ordini si eseguono, non si discutono, non c’è democrazia, è così che abbiamo preparato i compagni miliziani e miliziane ed abbiamo potuto controllare le migliaia di combattenti, perché era così che funzionava, un ordine non si discuteva, ma nel momento di costruire l’autonomia ci è costata molta fatica togliere dalla testa che per governare non si tratta di dare ordini, ma di gestire accordi.

Ma quando siamo organizzati possiamo creare e possiamo fare e disfare. Abbiamo dovuto fare un’altra volta lavoro politico, ideologico, per far capire ai compagni cosa è una cosa e cosa è l’altra, come funziona in un modo e in un altro, e per fare questo c’è bisogno di organizzazione.

Questa mattina vi dicevo che ‘non mi piace stare qui ‘, ma secondo le regole della nostra organizzazione, bisogna fare quello che dicono le nostre communità. Noi siamo stati tanti anni in prima linea, ed ora vogliamo che siano i compagni ad andare avanti. Ma i compagni dicevano, ‘è difficile parlare lo spagnolo ‘, ma si deve fare perché così comandano i compas.

È il nostro modo di anadare avanti, lavorare, lottare, che poi sono la nostra resistenza e ribellione. Pensiamo che noi rappresentanti, non siamo indispensabili, e dunque tutti e tutte dobbiamo imparare, fare pratica, lavorare, cosicché se qualcuno deve andare via, ci sia subito un’altra, un altro, che lo sostituisca come medico per esempio, e noi lo possiamo e dobbiamo aiutare anche con la nostra esperienza. Non è la stessa cosa stare lì, seduti ad ascoltare i compagni e le compagne che parlano, ma poi devono parlare, prendere il microfono e parlare, e vedete che non gli trema più la mano, ma fino a poco tempo fa gli tremavano le mani, davvero non è la stessa cosa.

Quindi è necessario che i compagni facciano pratica e che noi li aiutiamo, perché quando sei morto o morta non lo puoi più aiutare, no? E’ così. Non è la stessa cosa che avere vicino chi ti aiuta, oggi, domani, sempre e potergli chiedere ‘senti, compagno, compagna, secondo te è scritto bene così? va bene come spiegherò questo?’. Così li aiutiamo.

Per questo diciamo che noi siamo molto altri, molto altre, molto diversi, perché facciamo come si fa per un paio di scarpe, un abito, si prendono le misure e si prova e si riprova fino a che va bene. Siamo così, compagni, compagne, fratelli e sorelle, nella nostra resistenza e ribellione.

Continueremo domani.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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