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Archive for marzo 2009

La Jornada – Venerdì 27 marzo 2009

La GBG studia misure contro “gli abusi dei mal governi”

La CFE sospende l’energia elettrica nel villaggio di Pueblo Maya Tzeltal

Hermann Bellinghausen

Dal caracol di La Garrucha, Chiapas, la giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, ha denunciato “gli abusi del malgoverno federale, statale e municipale” contro Pueblo Maya Tzeltal (già barrio San Jacinto, nella città di Ocosingo), località appartenente al municipio autonomo Francisco Gómez. Si tratta di nuovi tagli della luce da parte della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE), “che violano i diritti dei compagni basi di appoggio zapatisti”.

Secondo le indagini della GBG, lo scorso 20 marzo si sono presentti nella comunità menzionata due lavoratori della CFE per tagliare la luce agli zapatisti. “Quelli della CFE dicevano di avere ricevuto l’ordine dal malgoverno di tagliare la luce”. In realtà, del “falso delegato” del quartiere, Ernesto Cruz Gomez. La GBG accusa il presidente municipale panista Carlos Leonel Solórzano di minacciare e voler obbligare le basi zapatiste a pagare il servizio nonostante siano in resistenza.

“Il terreno è stato legalmente donato dalla proprietaria María Tilsia Robledo Ramírez  all’ufficio della GBG, lasciando la scrittura originale per gli usi legali del municipio autonomo. Per questo il delegato Cruz Gómez non può obbligare i compagni zapatisti a effettuare pagamenti per il terreno. Il municipio Francisco Gómez è il proprietario legittimo dei tre ettari ed un quarto che occupa Pueblo Maya Tzeltal.”

Già in precedenza le autorità avevano sospeso l’erogazione elettrica: a marzo del 2007 e maggio 2008. In entrambe le occasioni le basi zapatiste avevano riparato la linea. Nella seconda occasione i lavoratori della CFE “si sono portati via tutti i cavi che i compagni dell’EZLN avevano comprato; la CFE li ha rubati su ordine dei tre livelli del malgoverno che imbroglia, questo sì nei fatti e non a parole”, dichiara la JBG con riferimento allo slogan pubblicitario del governo di Juan Sabines Guerrero (“fatti, non parole”).

“I tre livelli del malgoverno stanno facendo pressioni sulle basi zapatiste per pagare la luce. I nostri compagni basi di appoggio dell’EZLN non pagano la luce perché sono in ribellione”, afferma l’autorità autonoma.

“Pueblo Maya Tzeltal ripristinerà di nuovo la luce”, aggiunge la denuncia. “Se la CFE tornerà a tagliare la luce dei compagni, la GBG prenderà altre misure”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 27 marzo 2009

Chiapas e le sue prospettive future

Jaime Martínez Veloz

Il 27 dicembre 1994 arrivammo per la prima volta in Chiapas come i legislatori di quella che successivamente sarebbe diventata la Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa). Una sola aspirazione univa tutti i membri di quella commissione: la pace in Chiapas con giustizia e dignità.

La sfiducia iniziale e comprensibile dell’EZLN verso la commissione legislativa andò svanendo nella misura in cui il lavoro collettivo cominciò a dimostrare, per la via dei fatti, che l’obiettivo della pacificazione in Chiapas non era un esercizio retorico, ma una convinzione collettiva di quella strana commissione legislativa.

Da allora e fino ad oggi, il proposito di una soluzione giusta e degna delle cause che hanno dato origine all’insurrezione armata zapatista nel 1994 è stato il punto di riferimento della mia presenza in Chiapas. Per quindici anni sono stato testimone delle vicende chiapaneche e modesto collaboratore in alcuni compiti legislativi o pubblici legati alle attività di pacificazione nello stato. L’insurrezione zapatista ha fornito molti insegnamenti al mondo ed al paese. Molti paradigmi sono caduti e ne sono apparsi di nuovi.

In mezzo ad un mare di discrediti, noi membri della Cocopa imparammo che nelle comunità indigene esistevano altri modi di intendere la vita e, pertanto, un altro modo di relazionarsi. Il tempo, i modi, i sogni e perfino il camminare nelle comunità indigene hanno un ritmo molto diverso dalla concezione della politica messicana tradizionale. Imparammo anche che la migliore compagna per riuscire a costruire opportunità tra le parti in conflitto è la discrezione.

Il Chiapas di oggi è diverso da quello del 1994. Sul piano politico esiste una nuova istituzionalità democratica, con nuove variabili, nuovi attori e nuovi modi di intendersi. Sussistono molte inerzie, ma sono lontani i tempi in cui anno dopo anno si cambiavano governatori con la conseguente instabilità con cui questa perniciosa pratica colpiva lo sviluppo delle istituzioni ed i piani e programmi di governo.

L’elemento di maggiore rilevanza che ha spinto la modernità chiapaneca è stato quello che ha goduto meno della stessa, cioè, lo zapatismo. Senza l’EZLN il destino del Chiapas e la sua realtà sarebbero differenti. Nel Chiapas attuale persistono ritardi ancestrali, ma oggi lo stato ha un’infrastruttura, un potenziale per il suo sviluppo e maggiori livelli di stabilità rispetto a quelli esistenti fino a prima dell’insurrezione zapatista. Il Chiapas di oggi ha delle prospettive per il futuro.

Dopo l’inadempimento del governo federale degli accordi di San Andrés Larráinzar, le basi di appoggio, le comunità e la comandancia zapatista crearono un metodo innovativo di intendimento, elaborazione delle differenze ed interlocuzione con altre comunità indigene attraverso le giunte di buon governo. Nonostante le loro modeste risorse, i risultati ottenuti dalle giunte di buon governo in materia di salute e educazione sono stati di successo. Il loro lavoro non solo è una maniera esemplare di affrontare l’avversità, ma costituisce inoltre un’esperienza che dovrebbe essere recepita da molte istituzioni messicane.

L’altro elemento distintivo per comprendere la governabilità chiapaneca è l’atteggiamento rispettoso del governatore dello stato, Juan Sabines Guerrero, nei confronti dello zapatismo. Sono lontani i tempi in cui il governante di turno, per fare bella figura col governo federale, incoraggiava le diserzioni di presunti zapatisti o permetteva il rafforzamento delle politiche di contrainsurgencia. Avendo chiaro che le parti in conflitto sono l’EZLN ed il governo federale, il governo dello stato svolge il suo compito, contribuendo con discrezione a distendere potenziali zone di conflitto. Nessun tema è semplice, ma con pazienza, volontà e sforzo si formulano schemi che permettano di ridurre le tensioni e creare condizioni affinché le comunità possano elaborare le loro differenze e trovare soluzioni per ogni situazione, per difficile che sembri.

Un terzo elemento è stato il prezioso apporto della società civile e delle organizzazioni sociali. Non è possibile spiegare quello che succede in Chiapas senza l’apporto dei molteplici sforzi collettivi.

Senza essere gli unici, ma i più rilevanti, potremmo citare in particolar modo quanto fatto dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, fondato da don Samuel Ruiz García, vescovo emerito della diocesi di San Cristóbal. Il suo lavoro è stato un riferimento permanente nella difesa e protezione dei diritti umani dei settori più deboli della popolazione. Un altro sforzo di enorme ripercussione a beneficio delle comunità chiapaneche è quello realizzato dal 1969 dall’associazione civile Sviluppo Economico Sociale dei Messicani Indigeni, più nota come DESMI, con Jorge Santiago a guida della stessa, presente nelle zone Altos, Nord e Sud, dove mediante un metodo di lavoro comunitario si incoraggia e rafforza l’organizzazione comunitaria. Importante come i precedenti è lo sforzo realizzato dal Centro Integrale di Sviluppo e Formazione Indigena (Cideci), dove il dottor Raymundo Sánchez Barraza, alla guida di un collettivo sociale, è riuscito a consolidare un compito in cui, secondo le sue stesse parole, “il Cideci non è un centro solo per, ma anche degli indigeni. È un centro indigeno nel suo fare, nella sua definizione, nel suo modo di lavorare”.

Questo tipo di sforzi della società civile si è costituito come un fattore di equilibrio nel mezzo di una realtà complessa, dove nonostante le molte contraddizioni sociali, politiche ed economiche esiste un insieme di fattori che spiegano come il Chiapas si sviluppa e costruisce il suo futuro, mediante la creatività, l’immaginazione di un popolo o di molti popoli, con una storia ed una cultura centenarie che costituiscono l’orgoglio nazionale. In Chiapas, come nel mondo, niente è per sempre, ma la governabilità attuale e le sue prospettive non sono un argomento di ispirazione, bensì l’espressione di uno sforzo collettivo che si costruisce e si rinnova in quotidianamente.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della OCEZ.

La Jornada – Venerdì 20 marzo 2009

È strumento della contrainsurgencia ufficiale, denuncia la OCEZ

Denunciano assalti ed usurpazioni dell’organizzazione perredista Orcao nell’ejido El Carrizal

Hermann Bellinghausen

L’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata (OCEZ) ha denunciato che un gruppo di elementi dell’Organizzazione Regionale deiColtivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), noto come Los Petules, compie assalti ed usurpazioni di terre contro l’ejido El Carrizal, Chiapas, i villaggi vicini e le persone che transitano sulla strada Cuxuljá-Altamirano, dove hanno stabilito un insediamento su poderi ejidali che non appartengono loro e, secondo la OCEZ, coperti dalle autorità del governo.

La denuncia sottolinea che, dopo che il dirigente della Orcao, José Pérez Gómez, “ha iniziato ad utilizzare la sua organizzazione come strumento della contrainsurgencia ufficiale, ingannando una parte della sua gente affinché operasse come gruppo paramilitare contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”, il leader “si è posto alla testa di questa strategia governativa per distruggere le organizzazioni indipendenti, ed ha ordinato a Los Petules di attaccare anche la OCEZ”.

Bisogna segnalare che i fatti denunciati avvengono nella stessa zona dove la Orcao, di filiazione perredista, ha in corso dei conflitti con le comunità del municipio autonomo 17 de Noviembre, como Moisés Gandhi.

Il gruppo “ha provocato molti problemi in tutta la zona”. Nell’ejido El Carrizal “ha rubato i raccolti, distrutto piantagioni di caffè, divelto recinzioni e introduce il suo bestiame nelle nostre milpas; si ubriacano continuamente e si radunano in strada a molestare le persone che passano e gli abitanti di Tomás Munzer, e la cosa peggiore è che molestano sessualmente le ragazze che vanno alla scuola secondaria e le donne che si recano nella clinica”.

Il 25 agosto 2008 hanno cercato di rubare con violenza una motocicletta ad un passante. Gli agenti municipali delle comunità confinanti Chalam del Carmen San Agustín, Viejo Chalam del Carmen e Sacrificio Buenos Aires fermarono e multarono i responsabili, “ma il delegato di governo ed il pubblico ministero di Ocosingo proteggevano i ladri”. Recentemente hanno dato fuoco ad una casa a Tomás Munzer, ed il 13 marzo hanno danneggiato gravemente un trattore di un elemento della OCEZ.

Gli abusi ed i crimini “sono stati coperti dal presunto agente municipale di Nacimiento, il loro villaggio”, si aggiunge nella denuncia. “È evidente che non hanno nessuna volontà di rispettare gli usi e i costumi secondo i quali convivono pacificamente le comunità della zona, e per questo è sempre più necessario che siano spostati lontano da qui”.

L’ostilità di queste persone non è nuova; 15 anni fa “un gruppo di coloni di El Carrizal, nel municipio di Ocosingo, guidati da Pedro López Rodríguez, incominciarono a commettere assalti in strada”. Durante una rapina nel 1994, suo fratello José morì vicino ad Oxchuc, in uno scontro a fuoco con poliziotti giudiziali.

Secondo la OCEZ, i delinquenti cercarono di farsi passare per zapatisti, “ma poi si inserirono nella Orcao”.

La OCEZ, che appartiene al Frente Nacional de Lucha por el Socialismo (FNLS), in diverse occasioni ha denunciato come “paramilitari” organizzazioni della Orcao, appoggiate da suoi dirigenti, funzionari federali, statali e municipali e dalle forze di polizia.

“Los Petules hanno tentato di strappare terre e diritti a 12 membri della OCEZ a El Carrizal con la complicità delle autorità agrarie e ricorrendo a provocazioni ed aggressioni violente contro le nostre famiglie. Noi non lo permettiamo”, perché El Carrizal è “il risultato della lotta fatta dalla OCEZ per recuperare queste terre nel 1985; di fronte al loro fallimento, questo gruppo, nell’aprile del 2007, ha montato un caso dicendo falsamente che il nostro gruppo li aveva sgomberati”.

“L’autosgombero” era stato pianificato. Le autorità “diedero loro rapidamente tutto l’appoggio per installare quel villaggio irregolare che chiamarono Nacimiento. Ci misero la scuola ufficiale, diedero le lamiere per i tetti delle loro case, asfalto ed ora luce elettrica”.

La OCEZ lancia “un appello fraterno” alle basi della Orcao “affinché non permettano che la loro organizzazione continui ad essere usata per nascondere bande di delinquenti e gruppi di scontro”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 18 marzo 2009

La decisione presa di fronte al rifiuto delle autorità di risolvere il conflitto

Gli indigeni faranno pagare il biglietto di ingresso alla cascata di Misol-ha

Il governatore del Chiapas, “cieco e sordo” alle proteste

Hermann Bellinghausen

Gli indigeni che vivono nei pressi della cascata di Misol-ha, appartenenti all’ejido Adolfo Ruiz Cortines, a Salto de Agua, Chiapas, hanno annunciato che installeranno un ingresso a pagamento per l’accesso alle famose cascate che attraggono migliaia di visitatori tutto l’anno. L’assemblea ejidale, alla quale partecipano in armonia membri di diverse organizzazioni, comprese basi di appoggio dell’EZLN, ha preso la decisione di fronte alla mancanza di risposte del governo all’annosa richiesta di rispetto dei loro diritti territoriali sulla strada Ocosingo-Palenque che porta al sito naturale.

Da anni gli indigeni chiedono il rispetto da parte “di chi usufruisce e  viola i nostri diritti ejidali percorrendo la strada che conduce al centro turistico senza nessun permesso o consultazione”, e controlla l’unico ingresso a pagamento.

Denunciano che il governo di Juan Sabines Guerrero non ha risposto alle loro domande “di un popolo violentato e sfruttato”, comportamento che lo porta “sulla stessa strada dei governanti passati”. Nemmeno dal governo federale hanno ottenuto risposta “nonostante le autorità di distretto e di delegazione federali sappiano delle nostre preoccupazioni e delle minacce di morte ricevute dalla società cooperativa ejidale turistica Cascada de Misol-ha” (La Jornada, 13 gennaio).

Gli ejidatari pensano di installare un ingresso a pagamento per i turisti, “e utilizzare il 100% del ricavato per la nostra gente dimenticata ed ingannata, perché è nostro diritto di usufrutto, se non c’è alcun documento legale” espropriare il terreno.

Nel gennaio scorso gli ejidatari avevano fissato un termine di 60 giorni per ottenere risposte. Di fronte all’indifferenza del governo hanno deciso di installare l’ingresso a pagamento sul tratto di strada di loro “competenza”. Oggi “entreremo in azione e faremo pagare l’ingresso ai turisti, senza esagerare né abusarne, secondo i prezzi correnti”. Il pagamento dell’ingresso offrirà “un migliore servizio e più rispetto per i visitatori”.

Affermano: “Non vogliamo soldi che influiscano negativamente sullo sviluppo dei nostri figli, ma solo un casello di ingresso a pagamento per avere posti di lavoro e contribuire allo sviluppo del luogo”. Avvertono: “Non cederemo, non useremo la forza. Se il governo imporrà la sua forza con poliziotti, esercito ed altro, noi denunceremo la sua mancanza di leadership ed onestà”.

Esigono “un trattamento giusto, pace ed armonia”, e riterranno responsabili i governi statale e federale, ed i vicini della società cooperativa Cascada de Misol-ha, di “qualsiasi evento che metta a rischio la nostra integrità fisica e la nostra libertà”. Dichiarano che “la terra è di chi la lavora” ed invitano ad esigere dal governo “una politica di uguaglianza e non solo per quelli che hanno di più, né per le proprie fila politiche e gli amici”.

Solo lo scorso 12 marzo il governo del Chiapas aveva riconosciuto “l’impegno dell’iniziativa autonoma di prendersi cura e preservare la riserva di Huitepec”, riconoscendo “la vocazione alla cura e preservazione del villaggio zapatista Bolom Ajaw” (ad Agua Azul, non lontano da Misol-ha). Il comunicato governativo sottolineava “l’atteggiamento rispettoso delle comunità zapatiste nel non realizzare nuove invasioni”.

In questo contesto, diceva, il governo dello stato “contribuirà affinché in queste due località ed in altre le comunità indigene beneficino della loro opera di salvaguardia”. A tale proposito, “in risposta alla domanda crescente”, annunciò che avrebbe reso nota “la prima di una serie di impegni che apriranno molte possibilità di sfruttamento ecoturistico, amministrazione e benefici su basi di autogestione comunitaria nelle immediate vicinanze dei siti archeologici, riserve ecologiche, aree naturali e patrimoni culturali delle comunità stesse”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Guerra batteriologica.

La Jornada – Mercoledì 11 marzo 2009

I PRIISTI TRASFORMANO IN DISCARICA I RIFUGI DEGLI ZAPATISTI AD ACTEAL

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 10 marzo. Il municipio priista di Chenalhó ha scatenato, in silenzio ma sfacciatamente, una nuova tappa dell’ostilità contrainsurgente rivolta alle comunità ed agli accampamenti di rifugiati zapatisti del municipio autonomo San Pedro Polhó. Una rozza ma non meno dannosa forma di guerra batteriologica. Hanno trasformato gli accampamenti di Acteal ed i dontorni nella loro discarica di rifiuti.

Quattro o cinque volte al giorno, i camion del municipio di Chenalhó riversano ogni tipo di rifiuti ed animali morti a circa 300 metri dall’accampamento zapatista di Acteal. Hanno così trasformato l’intera zona in un immondezzaio pestilenziale, che viene dato alle fiamme e che sprigiona permanentemente fumi sopra questo insediamento, colpendo anche gli accampamenti e le comunità di Cacacteal, Chimix e Tzanembolom.

I rifiuti sono così abbondanti che hanno ormai invaso l’unico ruscello della zona. In tutti questi luoghi la maggior parte degli abitanti soffre di infezioni intestinali e respiratorie a causa dell’acqua e dei fumi velenosi, o lamentano costanti mal di testa. La pestilenza è cronica ed arriva ad essere insopportabile.

All’aggressione si è sommato il municipio di Pantelhó, sempre priista, che ha deciso di scricare proprio qui i rifiuti del suo capoluogo municipale senza che le autorità sanitarie del Chiapas intervengano nonostante sappiano che si tratta una delle zone indigene a maggiore fragilità in materia di salute.

A dispetto del disinteresse dell’opinione pubblica, continuano ad essere migliaia i profughi zapatisti che non sono tornati nelle loro comunità dal 1997, quando si scatenò la violenza paramilitare culminata col massacro di Acteal il 22 dicembre di quell’anno. Nonostante gli sforzi del municipio autonomo e di organizzazioni civili come il Fideicomiso para la Salud de los Niños Indios de México (Fisanim), promosso dall’attrice Ofelia Medina, e dell’ospedale di Esquipulas (i cui medici si dicono “spaventati” dalla dimensione del problema). La denutrizione, la disoccupazione e la siccità sono la realtà quotidiana tra questi contadini tzotziles defraudati che continuano ad essere gli ultimi, i più ignorati.

La mancanza di controllo sanitario è tale che i rifiuti, non solo si riversano nella valle avvelenando suolo, acqua ed aria, ma ostruiscono perfino il transito veicolare sulla strada.

L’atteggiamento di disprezzo del governo municipale di Chenalhó, e lo stesso fatto di avere trasformato in discarica di rifiuti una zona che si trova tra la miniera di ghiaia di Majomut (Polhó) ed Acteal, è il proseguimento con altri mezzi la guerra contro le comunità in resistenza.

Nello stesso modo in cui il sistema di salute zapatista è stato capace di soddisfare e risolvere molte minacce alla salute degli indigeni, in particolare dei bambini, così affronta situazioni di grande difficoltà e fuori del suo controllo, come questa sorgente di rifiuti tossicia, una deliberata aggressione del municipio priista che conta sulla complicità, almeno per omissione, del governo statale perredista.

A questo si sommano la mancanza d’acqua (molto acuta in questa stagione), di cibo ed in fin dei conti di casa e terre, visto che le piantagioni di caffè, le case e le capanne degli zapatisti sono stati usurpati dagli stessi che hanno scatenato una guerra civile virtuale dieci anni fa. Sono i frutti a lungo termine dell’impunità.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ancora tagli dell’energia.

La Jornada – 10 marzo 2009

Bollette della luce di 2 mila pesos in una zona dove la gente guadagna meno di 50 pesos al giorno

Abitanti dell’ejido chiapaneco di Lázaro Cárdenas sono in resistenza per gli abusi della Commissione Federale dell’Elettrica (CFE)

Accusano il governo perredista di Pijijiapan di sostenere la commissione nella campagna di vessazioneo

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 marzo. Il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, aderente all’Altra Campagna, denuncia gli abusi della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) e del governo perredista di Pijijiapan contro l’ejido Lázaro Cárdenas, dove “oltre 200 abitanti sono in resistenza per gli alti costi dell’energia elettrica”.

Questo a causa delle bollette bimestrali che vanno tra i 500 e 2 mila pesos, “un abuso della CFE e del governo in una zona dove la gente percepisce meno di 50 pesos al giorno per sopravvivere”. Per questo motivo “sono in lotta da oltre 15 anni come Frente Cívico e da quasi due anni come Consiglio Autonomo Regionale”.

Nella denuncia si segnala che da molti anni la CFE “non viene nella comunità neppure per aggiustare un cavo, un palo o un trasformatore, ma solo per riscuotere ed abusare della gente e obbligarci a pagare la luce, riscossioni abusive ed ingiuste perché siamo gente umile, semplice e povera”. Rivendicano il loro appello “a tutte le resistenze contro la CFE perchè si prosegua organizzati ed andare avanti insieme per resistere a qualsiasi attacco o attentato contro la nostra gente”.

Chiedono la cancellazione dei debiti delle comunità e la liberazione dei loro “prigionieri politici”: Horacio Enríquez Escobar (nel penitenziario 13 di Tonalá), Rigoberto Méndez Mérida (Penitenziario di Tapachula) ed i quattro di Puerto Madero, arrestati per aver fatto resistenza alla CFE.

Chiedono la sospensione dei tagli indiscriminati dell’energia elettroca, la fine della repressione e persecuzione, la manutenzione delle linee elettriche e tariffe giuste per il Chiapas e tutto il Messico. “Ci opponiamo a qualsiasi progetto neoliberista e capitalista, alle privatizzazioni di luce, acqua e delle risorse naturali e vogliamo il rispetto dei diritti umani e dei popoli in resistenza”.

Rivelano abusi della CFE e del municipio di Pijijiapan, guidato da Saín Cruz, che il 21 gennaio ha notificato al commissario ejidale che dopo “una supervisione negli abitati con illuminazione pubblica, si è scoperto che Lázaro Cárdenas non è solvente”, ed “è invitato” a presentarsi negli uffici della CFE “presso gli uffici addetti e con il nome di chi sosterrà il pagamento”.

In un’altra lettera ufficiale inviata dal municipio perredista il 19 gennaio a Maritza López Selvas, agente commerciale a Pijijiapan della CFE, si rimette un accordo del consiglio comunale che ordina che “ogni comunità paghi il servizio di energia elettrica.

Il 26 gennaio, Lázaro Cárdenas ha ricevuto una lettera dalla CFE di Pijijiapan che dice: “Come parte del nostro programma di verifica del servizio, il 17 luglio 2008 abbiamo controllato la vostra linea ed abbiamo riscontrato un’anomalia che consiste in ui-03 (servizio diretto senza contratto), cosa che viola i termini di contratto di erogazione che regolano la prestazione che forniamo”.

Questo “ha fatto sì che del 17 luglio 2008 al 16 gennaio 2009 non sia stato fatturato il totale dell’energia consumata, per una differenza di 9.210 kw/h ed un importo di 20.478 pesos” e si richiede la vostra presenza nell’agenzia Pijijipan “per liquidare la somma succitata entro 72 ore”.

Il Consiglio Regionale dichiara che gli ejidatari e vicini, e le autorità ejidali si oppongono al pagamento dell’illuminazione pubblica. “È obbligo dei municipi erogare il servizio pagato dalle nostre tasse e non c’è nessuna normativa che obblighi ejidos o comunità a pagare i servizi di base”.

Gli ejidatari ed il consiglio regionale comunicano che non pagheranno l’illuminazione pubblica “e che se non si rispetterà questo diritto prenderemo misure più drastiche contro la CFE ed il municipio, affinché imparino a rispettare i popoli organizzati”. Tutti gli abitanti dell’ejido sono contrari al pagamento ed avvertono le autorità che “non devono imporsi al popolo che si oppone a queste bugie e farse”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 9 marzo 2009

La festa della donna si conclude con un messaggio della dirigenza dell’EZLN

LE ZAPATISTE NEL GIORNO DELLA DONNA: “È TEMPO DI PRENDERCI I NOSTRI DIRITTI”

Hermann Bellinghausen – Inviato

Oventic, Chis. 8 marzo. “È l’ora di rompere le catene, di rompere il silenzio, di dire ‘basta’ di sentirsi inferiori agli uomini. È tempo di agire, di prenderci i nostri diritti. È tempo di mettersi in marcia”. Le comandanti Hortencia, Rosalinda e Florinda diffondono in castigliano e tzotzil un intenso messaggio del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno (CCRI-CG) dell’EZLN nel Giorno Internazionale della Donna.

“Più della metà della popolazione mondiale sono donne. Bisogna che questa metà si ribelli”, affermano le comandanti mentre scende la sera, accompagnate dalle donne della giunta di buon governo, dei consigli autonomi degli Altos, dalle responsabili di commissione ed insurgentas in divisa e senza armi.

“Non sappiamo quante ne festeggeremo di celebrazioni come questa, perché la guerra continua”, denunciano. “Ma adesso, festeggiamo che siamo vivi”.

Dall’ampio spazio del caracol Resistencia y rebeldía por la humanidad, migliaia di donne indigene, provenienti dai cinque caracol, ascoltano, compatte, i messaggi delle loro compagne. “In tutti i caracol stanno facendo festa molte compagne che non sono venute qua”, informano le comandanti. Finalmente il sole si impietosisce dei presenti.

Dedicano la festa “alle compagne cadute dalla nascita del nostro movimento ed alle desaparecidas, imprigionate ed assassinata dal malgoverno”. Ma “non abbiamo paura della morte”, aggiungono. “Col malgoverno non abbiamo speranza che la situazione nei nostri villaggi cambi. I potenti sperano di distruggerci, come hanno fatto ad Acteal, Unión Progreso, Oaxaca, Atenco e Guerrero”.  Si dicono consapevoli che “il malgoverno può attaccare in qualsiasi momento, e dobbiamo essere preparate.

“Dobbiamo afferrarci alla nostra forza. Altrimenti, che esempio diamo alle nostre figlie, che tributo diamo alle nostre cadute?” Rivolgono un appello “speciale” alle ragazze “delle nuove generazioni affinché partecipino ai lavori di salute, educazione ed altre attività necessarie, perché siete voi quelle che porteranno avanti la nostra lotta”.

Poco prima, le comandanti avevano incitato “le donne zapatiste che ancora non hanno nessuna responsabilità” ad unirsi ai lavori. “Si devono nominare più compagne nel CCRI e nelle JBG. Dobbiamo formare più collettivi”. E propongono di “diventare miliziane”.

Ringraziano gli uomini “che lo hanno compreso ed hanno permesso alle loro compagne di partecipare”, perché dentro lo zapatismo ci sono ancora reticenze maschiliste ai cambiamenti che subiscono migliaia di donne choles, tojolabales, tzeltales, tzotziles, mam e zoques nelle montagne del sudest.

La capitana Elena parla per le truppe insorte dell’EZLN: “Fino a quando continueranno a molestarci i malgoverni?”. Denuncia che “quando le donne si organizzano per protestare, le perseguono ed assassinano.

“Ci vogliono tenere prigioniere, ingabbiate come animali. Sono milioni le donne in questo paese che non hanno mai preso in considerazione”. Critica i politici ed i partiti, che “si scelgono tra loro”, in particolare le donne che diventano legislatrici e funzionarie, perché pur essendo donne “stanno col malgoverno”.

Scende la nebbia. La capitana prosegue: “Dov’è la libertà per le donne? Dov’è la felicità per il popolo del Messico?”. Ed afferma: “Siamo in grado di lavorare, di fare quello che ci chiede il popolo e di combattere di fianco agli uomini”.

Dichiara: “Siamo qui per servire il popolo del Messico”. Ed aggiunge: “Non abbiamo paura delle armi del nemico”.

Migliaia di indigeni di bassa statura, insieme a molte donne del resto del paese e di altre parti, concludono la loro festa, ora in onore di doña Concepción “Coral” (come pronunciano ripetutamente le indigene nominando Mamá Corral), madre di desaparecidos politici. Le sue figlie, Adela e Rosario Corral, ascoltano l’omaggio delle comandanti ad un lato della piazza.

Per il caracol di La Realidad parla Everlida; per Morelia, Liliana; per Roberto Barrios, Grisel. Ed infine la bambina Lupita lancia un breve e fulminante avvertimento a nome delle “donne e bambine maltrattate”. Con la sua vocina dice: “Un giorno, col nostro potere, vinceremo”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 7 marzo 2009

GLI ZAPATISTI HANNO ESTIRPATO ALCOLISMO E DROGA

Hermann Bellinghausen – Inviato

Municipio autonomo Lucio Cabañas, Chis., 6 marzo. Un risultato sanitario indiscutibile delle comunità zapatiste è lo sradicamento dell’alcolismo da oramai 20 anni. La differenza nella quotidianità familiare e comunitaria è profonda ed implica meno violenza, che è già un indicatore sanitario. Ancora di più trattandosi di popoli indigeni e conoscendo le stragi che causa tra loro l’alcool, sempre di pessima qualità.

Lo raccontano cronache e romanzi: gli indios si controllano con l’acool. Fernando Benítez negli anni ’70 visitò in Chiapas questi popoli e li trovò prostrati, con la dignità umiliata, ubriachi come un’epidemia. Oggi non si vede più questo nelle comunità in resistenza. Le feste che hanno fatto per 15 anni, visibili o discrete, grandi o piccole, sempre con danze fino all’alba, si svolgono sempre senza una goccia di alcool. È un’eccezione assoluta su scala nazionale, con carnevali e feste patronali a colpi di posh, acquavite o brandy sintetico. E senza andare lontano, ogni fine settimana.

Non bevendo, i contadini, in particolare gli uomini, eliminano il rischio di malattie frequenti nei popoli indigeni: ulcera, cirrosi, denutrizione e ferite di machete provocate dalle risse tra ubriachi. Non si scorge tra gli indicatori di salute delle istituzioni governative, ma il suo effetto sulla salute pubblica, a ben vedere, è eccezionale.

Per non parlare dell’inesistenza di consumo o spaccio di droga, assolutamente non  permessi nelle comunità autonome. Il ritorno all’alcolismo normalmente è il percorso verso la diserzione nelle comunità divise e strumento privilegiato delle strategie di contrainsurgencia dal 1995.

Il murales sulla facciata della clinica autonoma Esperanza de los Pobres, dipinto dai promotori di salute, fiancheggia l’accesso alle strutture, povere come il nome, ma di una pulizia che balza agli occhi. La sua parte principale è come un libro aperto con le istruzioni per il percorso della salute. È un dipinto che potrebbe anche essere esposto in un museo, anche se parla solo dell’igiene personale e comunitaria, della latrina, deimmetodi per separare la spazzatura, legare gli animali, spazzare il patio. Tutto illustrato in maniera molto espressiva.

I promotori di guardia, un ragazzo ed una ragazza, tzotziles molto svegli, permettono a La Jornada di visitare le strutture. Un ambulatorio ampio, arredato solo con un lettino e strumenti base; sotto il vetro della scrivania una foto grande del dottor Ernesto Che Guevara. Una sala di ginecologia per il controllo di gravidanze, parti ed esami. Un’area dentistica. Una farmacia con le cose essenziali ordinate con cura. “Visitiamo qui e a domicilio”, afferma il promotore. “Raramente c’è un medico, ma accompagniamo la gente che deve andare all’ospedale”. Qui si distribuiscono anche i vaccini del municipio autonomo.

Sopra il sedile posteriore di un combi (taxi collettivo – n.d.t.) appoggiato alla parete dell’entrata, si legge: “Sala d’aspetto”. Ci conducono al laboratorio dove si realizzano biometrie, esami delle urine, il test per la tubercolosi, coproculture, paptest. Imbrunisce. Arriva di corsa una famiglia indigena con un neonato in lacrime. Il promotore li accompagna nell’ambulatorio.

“Quella è l’ambulanza”, dice Irma, la promotrice, indicando una combi adattata per trasportare i pazienti. È promotrice da anni, e sembra saperci fare. Se qualcosa risalta nelle cliniche autonome zapatiste è la mancanza assoluta di negligenza. Non potrebbe esserci. Le comunità non lo permetterebbero.

Dall’oscurità della strada spuntano tre figure; una è avvolta in una coperta. È un anziano con grave difficoltà respiratoria. Irma saluta e porta l’anziano all’interno della clinica. Ci sono notti che qui non si dorme, come nei grandi ospedali.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Autosufficienza sanitaria.

La Jornada – Domenica 1 marzo 2009

Non ci sono specialisti né letti, dice il responsabile della clinica nel caracol

Il governo è negligente per la mancanza di servizi medici in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Oventic, Chis., 28 febbraio. Dall’ambulatorio principale della clinica La Guadalupana arriva il pianto intermittente ma intenso di un neonato, il crepitare acuto e fragile dei suoi polmoni. Esce, preoccupato, un medico, “cooperante” europeo, che lavora qui frequentemente. Parla col ‘compagno’, si consulta con due infermieri e rientra nell’ambulatorio.

Un anziano ed un’anziana prendono sono seduti al sole, forse sono stati da poco operati; entrambi indossano le vestaglie azzurre dell’ospedale. Convalescenti e pazienti guardano il viale che attraversa il caracol, animato come sempre. Alle loro spalle un murales con grandi ritratti di Che Guevara ed Emiliano Zapata. Nel laboratorio di erboristeria due donne tzotziles imbottigliano delle sostanze in boccette semitrasparenti di plastica.

Dalla finestra della cucina attigua arrivano le canzoni e le voci zapatiste di Radio Amanecer del Pueblo. Sue due tavoli all’aperto, altri giovani indigeni fanno delle registrazioni: circondati da carte ascoltano le persone che di tanto in tanto li interpellano.

Luis, responsabile di salute del caracol di Oventic e promotore da 15 anni, riceve il giornalista sulla terrazza dell’edificio dove ci sono aule e camere da letto per i promotori di tutti gli Altos. Inquieto, pallido.

– Questo bambino non riesce a respirare. Ha 20 giorni. Ha dei blocchi respiratori – spiega. La conversazione viene interrotta un paio di volte da altri promotori che lo informano in tzotzil sui preparativi di un’auto per il trasferimento. L’ambulanza di cui dispongono, ben equipaggiata, è in riparazione. Hanno dovuto arrangiare un veicolo da carico Nissan.

– Nella nostra zona degli Altos sono molti i problemi di salute. È sempre così nelle comunità indigene. Da parte del governo non ci sono stati cambiamenti reali riguardo all’assistenza. Non è migliorata. Spendono un mucchio di soldi, costruiscono edifici, riempiono le strade con ambulanze e fuoristrada per il trasferimento del loro personale. Ma quando la gente ne ha bisogno non ci sono medici, né personale, tanto meno medicine.

Sempre autocritico, Luis ammette che il servizio autonomo di salute è molto povero. “Ci mancano molte cose”, dice.

– Gli ospedali del malgoverno sono pieni di indigeni. Non ci sono letti, né specialisti, e dicono sempre che il paziente non è grave, anche se lo è. Se ha bisogno di ulteriori analisi, la vedono come un’impossibilità.

A volte la clinica di Oventic conta su medici volontari e sull’appoggio di chirurghi, ma in generale si basa su proprie risorse. “Nell’assistenza alle nostre comunità, con le nostre piccole conoscenze, ci prendiamo cura dei malati e diamo istruzioni alle famiglie”. Ed aggiunge:

– La denutrizione è un problema generale negli Altos. In alcune parti, non in questo municipio di San Andrés, c’è la tubercolosi. Nelle nostre comunità facciamo le vaccinazioni. E scopriamo i casi.

Benché ripeta che “manca molto”, riconosce che “prima c’erano più morti, con i nostri sforzi sono diminuiti”. Smentisce quello che dicono quelli del “malgoverno” sulla salute delle comunità zapatiste: “Non dicono la verità”.

Arriva un’infermiera per avvisarlo che è tutto pronto. Luis interrompe l’intervista, scende e sale al volante della Nissan. Sul sedile posteriore viaggia il bebè, minuto e scuro, in braccio ad una promotrice che aggiusta la mascherina che copre il viso del bimbo. Al suo fianco, la madre, non molto giovane, tenta di sorridere, senza riuscirci. Nella parte posteriore del rimorchio, sotto una tenda nera, il padre della creatura li seguirà fino all’ospedale civile di San Cristóbal de las Casas reggendo la grossa bombola di ossigeno collegata ai polmoni del figlio attraverso lo sportellino.

Intraprendono il viaggio il più velocemente possibile nella valle di Jovel. Più di un’ora tra le montagne e le incessanti curve. Fino all’ospedale nel centro di San Cristóbal. Luis si ferma all’entrata del pronto soccorso, scende dal veicolo ed insieme alla promotrice che porta il bambino entra nell’edificio, apre la porta senza esitazione e senza fermarsi allo sportello né chiedere permesso. Mettono il neonato su una barella e chiedono l’immediato intervento dei medici.

Li avvertono che non ci sono posti, né letti. I promotori zapatisti insistono con fermezza ed un medico finisce per dare loro ascolto. Luis non se ne va fino a che la sua compagna, aiutata da un’infermiera, mette il bambino nel respiratore. Allora esce in strada, parla con la madre in tzotzil. E poi mi dice, più tranquillo ma con i nervi ancora tesi:

– E’ così ogni volta. Se non insistiamo noi, non ci assistono perché siamo indigeni, credono che non lo sappiamo, a loro non importa se i nostri malati muoiono. Se lasciamo fare a loro, sarà sempre troppo tardi, non hanno colpa, se ne lavano le mani.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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