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Archive for agosto 2009

Minacce a Mitzitón.

La Jornada – Giovedì 27 agosto 2009

Evangelici “non cooperanti” minacciano gli ejidatari tzotzil

Hermann Bellinghausen

Le autorità ejidali di Mitzitón, villaggio tzotzil nel municipio di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, hanno denunciato che questo martedì 24 due membri di un gruppo di evangelici “non cooperanti” hanno minacciato di morte Julio de la Cruz Vicente, ejidatario e aderente dell’Altra Campagna, brandendo i machete davanti a sua moglie sulla porta di casa sua.

Membri del “gruppo di delinquenti”, come definiscono quelli che recentemente hanno aggredito gli ejidatari ed assassinato Aurelio Díaz López il mese scorso, Pedro Heredia Jiménez e “un altro sconosciuto”, secondo la testimonianza degli ejidatari, sono arrivati a bordo di un veicolo Suburban con i vetri oscurati di proprietà del primo. “Erano le 10:20 quando il veicolo si è fermato di fronte alla casa dei nostri compagni, le due persone sono scese, hanno bussato alla porta, e la nostra compagna Sebastiána Hernández Díaz, moglie di Julio de la Cruz, ha aperto. I due uomini, con i machete in mano, hanno detto: ‘E’ qui tuo marito? Che esca il figlio di puttana, che dobbiamo parlargli”‘.

Sebastiana ha detto loro che Julio non c’era. “I due uomini hanno allora risposto: ‘Dicci dov’è che l’andiamo a prendere e presto o tardi gliela faremo vedere’. Poi se ne sono andati”. 

La denuncia sottolinea che questi individui appartengono al gruppo “appoggiato da Edras Alonso González (dirigente della chiesa Alas de Águila e dell’Ejército de Dios) e dal governo del Chiapas”.”

Nel documento si evidenzia che Heredia Jiménez è uno dei “non cooperanti e delinquenti organizzati”. E ricorda che dalla casa di questo, nel febbraio scorso erano usciti “i fratelli migranti picchiati dalla Polizia Statale Preventiva, e tre assassinati, a El Carmen Arcotete (San Cristóbal de las Casas)”. 

Sebastiana “si è molto spaventata e si è rinchiusa in casa”. Più tardi, quando è arrivato suo marito Julio, “ha avvertito le autorità del villaggio”, le quali ora dichiarano: “Nel nostro villaggio abbiamovisto che il malgoverno non ci ha rispettati né ha investigato sull’assassinio del compagno Aurelio né sui cinque gravemente feriti il 21 luglio. Tuttavia, pretende di farci sedere a dialogare per coprire il vero problema che viviamo”.

Chiedono “di punire i paramilitari, i trafficanti di clandestini, ben organizzati ed armati”, e gli assassini di Díaz Hernández. “Noi abbiamo sofferto molto a causa di questi delinquenti, ed hanno perfino costruito false accuse davanti alla Procura Generale della Repubblica. Riteniamo responsabile il malgoverno di tutto quello che potrebbe accadere alla famiglia De La Cruz Vicente, così come a tutti gli abitanti del villaggio”.

Il problema di fondo, eluso dal governo statale, è il passaggio dell’annunciata (e già avviata) autostrada a Palenque su un buon tratto dell’ejido. Solo la settimana scorsa gli stessi ejidatari denunciavano: “I paramilitari continuano a minacciare con armi da fuoco, sparando in aria di notte.”

In questo contesto, il 18 agosto si sono presentati nell’ejido dei funzionari della Segreteria di Comunicazioni e Trasporti (SCT) “per ingannarci e farci firmare un verbale di assemblea che concedeva il permesso di passare sul nostro territorio per costruire la strada”. 

Il governo del Chiapas ha insistito nel dire che la strada non attraverserà Mitzitón, ma i piani della SCT (e le sue azioni, per quanto si è visto) dimostrano che la comunità è considerata “il chilometro zero” della controversa opera. 

“Abbiamo detto loro che qui non avevano niente da fare e di andarsene, perché il governo sa che non diamo il nostro consenso per colpire il nostro territorio, e mente sui mezzi di comunicazione quando dice che il progetto della strada non esiste ancora e che non passerà per Mitzitón”. I governi federale e statale “vogliono ingannarci”, sostengono gli ejidatari. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/27/index.php?section=politica&article=016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo )

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Gli assassini di Acteal.

La Jornada – Lunedì 24 agosto 2009

Carlos Fazio

Gli assassini di Acteal

Il massacro di Acteal fu un’operazione di guerra. E come tale, un crimine di Stato. L’assassinio di 45 indigeni tzotziles per mano di paramilitari provvisti di armi di grosso calibro e pallottole ad espansione diede inizio ad una nuova fase della guerra di bassa intensità del regime di Ernesto Zedillo contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), le sue basi di appoggio comunitarie e gli alleati civili.

L’azione genocida si iscrisse nel contesto di una guerra irregolare studiata dalla Segreteria della Difesa Nazionale (sedena) a fronte dell’insurrezione zapatista. La prima versione della strategia contrainsurgente è contenuta nel Plan de Campaña Chiapas 94, attribuito al generale Miguel Godínez, comandante della settima regione militare (1990-95). L’obiettivo strategico di questo piano era distruggere la volontà di combattere dell’EZLN isolandolo dalla popolazione civile. Come obiettivi tattici figuravano la distruzione, disorganizzazione o neutralizzazione della struttura politica e militare dell’insurgencia, per cui, insieme ad operazioni di intelligenza, psicologiche e di controllo della popolazione, si istruiva l’organizzazione ed addestramento di “forze di autodifesa”.

Si ordinava testualmente di “organizzare segretamente certi settori della popolazione civile, tra gli altri, allevatori, piccoli proprietari ed individui caratterizzati da alto senso patriottico, che saranno impiegati ad eseguire ordini a sostegno delle nostre operazioni“. Secondo il piano, le operazioni militari includevano “l’addestramento, assistenza ed appoggio delle forze di autodifesa ed altre organizzazioni paramilitari“, compiti che rimanevano a carico di istruttori dell’Esercito. I paramilitari dovevano partecipare “ai programmi di sicurezza e sviluppo” della Sedena. Tra altri compiti, dovevano fornire informazioni che alimentassero i diversi rami dell’intelligenza militare (controinformazione, intelligenza di combattimento, intelligenza per l’appoggio di operazioni psicologiche, intelligenza della situazione interna). Inoltre, in coordinamento col governo del Chiapas ed altre autorità, la settima regione militare doveva “applicare la censura” ai mezzi di comunicazione di massa.

La Sedena stimava allora che tra truppe di élite e miliziani l’EZLN contava su 4.800 effettivi, mentre il suo mare territoriale (organizzazioni di massa) comprendeva 200.000 persone. I gruppi paramilitari cominciarono ad agire in Chiapas quasi contemporaneamente all’offensiva militare del 9 febbraio 1995. Questa azione, conosciuta come “il tradimento di Zedillo“, fallì nel suo intento di catturare il subcomandante Marcos e decapitare il comando indigeno, ma diede inizio alla fase di guerra sporca e paramilitarizzazione del conflitto.

La campagna militare fu guidata dal comandante della settima regione militare, generale Mario Renán Castillo (1995-1997), uscito dal Centro di Addestramento alla Guerra psicologica, Operazioni Speciali e Forse Speciali di Fort Bragg, Stati Uniti. Il generale creò la Fuerza de Tarea Arcoiris e gruppi di forze aerotrasportate dell’Esercito. Seguendo l’esempio dei baschi verdi del Pentagono in Vietnam, dentro la strategia di guerra irregolare creò in Chiapas una dozzina di gruppi paramilitari. Tale strategia contrainsurgente, perfezionata dai kaibiles in Guatemala negli anni ’80, consisteva nel reclutare, armare ed addestrare indios per cercare di ammazzare, da dentro, il seme dell’autonomia zapatista. Per i comandi castrensi, i municipi ribelli rappresentavano la nascita di un nuovo soggetto politico indipendente che bisognava distruggere.

Il crimine di lesa umanità di Acteal fu un’azione bellica orchestrata con freddezza. Rispose ad una logica profonda: l’intensificazione del conflitto. Il generale Castillo applicò ad Acteal gli insegnamenti del Manuale di Guerra Irregolare, Operazioni di Controguerriglia e Ristabilimento dell’Ordine, pubblicato dalla Sedena e di cui gli si attribuisce la paternità. In questo manuale si insegna come combattere l‘insurgencia. Citando Mao Tse-Tung si afferma che “il popolo sta alla guerriglia come l’acqua al pesce“. Ma al pesce, aggiunge, si può rendere impossibile la vita nell’acqua, agitandola, introducendo elementi dannosi alla sua sussistenza, o pesci più aggressivi che lo attacchino, lo perseguano e lo obblighino a sparire. Secondo il manuale, per fare della “vita del pesce un incubo” è necessario mantenere azioni interconnesse tra le operazioni per controllare la popolazione civile e le azioni tattiche di controguerriglia. In questo senso il coinvolgimento di civili in operazioni militari fu coordinato con azioni psicologiche, l’azione civica e l’implementazione di un’ampia rete di informazione. Tale strategia fu diretta a tendere un cerchio sanitario intorno all’EZLN, per fissarlo ad un terreno previamente tracciato e, una volta isolato dalla sua base sociale, cercare di distruggerlo ed annichilirlo.

Nei fatti di Acteal la politica e la giustizia rimasero subordinate alla logica della guerra di bassa intensità. Ora, la liberazione di 20 paramilitari, poiché non sono state osservate le procedure del giusto processo, lascia aperto il problema della verità. Un rapporto recentemente desecretato, elaborato dall’Agenzia di Intelligence della Difesa degli Stati Uniti (DIA), conferma il vincolo diretto tra l’Esercito ed i paramilitari in Chiapas e contraddice la storia ufficiale e gli scribi revisionista di Nexos ed il CIDE.

Seguendo verso l’alto la catena di comando, la paternità intellettuale del massacro arriva ai due comandanti della settima regione militare dell’epoca; il segretario della Difesa, generale Enrique Cervantes, ed il comandante supremo delle Forze Armate, l’allora presidente Ernesto Zedillo.   http://www.jornada.unam.mx/texto/018a1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo )

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Info del 24 agosto.

La Jornada – Lunedì 24 agosto 2009

RIVIELLO: L’ESERCITO FIN DAL 1984 SI PREPARAVA AD AFFRONTARE L’INSURREZIONE IN CHIAPAS

Jesús Aranda

L’irruzione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) in Chiapas obbligò all’Esercito Messicano a modernizzare la sua struttura operativa, materiale e di armamento; migliorare l’addestramento dei soldati in territorio nazionale ed all’estero; modificare la divisione territoriale ricollocando e creando nuove unità, oltre ad affrontare i problemi di corruzione e mancanza di aiuti economici che colpivano le sociali, la morale e la vita dei soldati e delle loro famiglie. http://www.jornada.unam.mx/texto/008n1pol.htm

 Il caso Acteal debe essere riaperto “a partire dall’ipotesi che fu un crimine di Stato”

Alfredo Méndez

L’origine del massacro di Acteal e l’individuazione dei suoi autori intellettuali e materiali devono essere indagati dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) a partire dall’ipotesi che pongono i rapporti desecretati del servizio di intelligenza del governo degli Stati Uniti, nei quali si rivela che gli ex presidenti Carlos Salinas ed Ernesto Zedillo appoggiarono la creazione di gruppi paramilitari in Chiapas, afferma il costituzionalista Elisur Arteaga Nava.    http://www.jornada.unam.mx/texto/009n1pol.htm

Il caso Acteal per la giustizia internazionale è ancora

Gabriel León Zaragoza

Sebbene i rapporti desecretati dal governo degli Stati Uniti rivelano che gli ex presidenti Carlos Salinas ed Ernesto Zedillo appoggiarono la creazione e l’addestramento di gruppi militari in Chiapas, non si tratta di informazioni nuove, perchè già cinque anni fa queste furono rese note e fanno parte dell’interpellanza presentata alla Corte Interamericana dei Diritti Umani contro lo Stato messicano per il massacro di Acteal, ha sottolineato il Segretariato Internazionale Cristiano di Solidarietà con i Popoli dell’America Latina (Sicsal).   http://www.jornada.unam.mx/texto/010n1pol.htm

 ARIC si dice disposta al dialogo con gli zapatisti

Elio Henríquez

San Cristóbal de las Casas, Chis., 23 agosto. La Asociación Rural de Interés Colectivo (ARIC) Unión de Uniones Independiente y Democrática ha deciso in assemblea generale di “riprendere gli spazi di dialogo con i fratelli zapatisti per cercare soluzioni ai diversi conflitti relazionati con la terra, in maniera pacifica e positiva”. 

Durante l’incontro svolto nei giorni scorsi nella comunità di Las Tazas, municipio di Ocosingo, si è inoltre deciso di appoggiare “totalmente” tre villaggi situati nella riserva dei Montes Azules per impedire che vengano ricollocati o sgomberati con la forza, hanno dichiarato i partecipanti nel loro pronunciamento.

“Ci preoccupa la chiusura delle autorità statali e federali per regolarizzare le terre, perché offrono solo indennità o ricollocamento alle tre comunità situate nel bacino del Río Negro”, hanno affermato i partecipanti. 

Si chiede inoltre di analizzare e risolvere l’inesistenza o precarietà dei servizi prioritari perché solamente nell’ambito della salute la segreteria statale di settore ignora le comunità iscritte all’organizzazione – molte di queste situate nella selva Lacandona – e le strutture esistenti non hanno medicine o le hanno ormai scadute.   http://www.jornada.unam.mx/texto/010n2pol.htm

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La Jornada – Venerdì 21 agosto 2009

Un rapporto dell’Agenzia di Intelligence della Difesa (DIA) parla della partecipazione dell’Esercito

CSG e Zedillo autorizzarono l’appoggio ai paramilitari in Chiapas, dicono gli Stati Uniti

Questi gruppi armati erano sotto la supervisione dell’intelligenza militare messicana nelle date in cui si perpetrò il massacro di Acteal

L’Archivio Nazionale della Sicurezza ha mostrato i documenti

David Brooks – Corrispondente

New York, 20 agosto. L’Agenzia di Intelligence della Difesa degli Stati Uniti (DIA) ha informato circa “l’appoggio diretto” dell’Esercito Messicano ai paramilitari in Chiapas dato fin dalla metà del 1994, con l’autorizzazione dell’allora presidente Carlos Salinas, come parte della strategia contrainsurgente contro le basi zapatiste, e segnala che questi gruppi armati erano sotto la supervisione dell’intelligenza militare messicana durante le date in che si perpetrò il massacro ad Acteal, già con Ernesto Zedillo come titolare dell’Esecutivo. Tutto questo è riportato in documenti ufficiali statunitensi recentemente resi pubblici e presentati oggi dall’organizzazione denominata National Security Archive (Archivio Nazionale di Sicurezza).

Un cablogramma inviato dalla Difesa degli Stati Uniti in Messico alla direzione dell’Agenzia di Intelligence della Difesa (DIA), istanza del Pentagono, datato 4 maggio 1999, informa che “a metà del 1994, l’Esercito Messicano contava sull’autorizzazione presidenziale per istituire squadre militari incaricate di promuovere gruppi armati nelle aree conflittuali del Chiapas. L’intento era addestrare personale indigeno locale per resistere all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Inoltre, durante il massacro di Acteal del 1997, ufficiali dei servizi dell’Esercito erano coinvolti nella supervisione dei gruppi armati negli Altos del Chiapas“.

Descrivendo “l’appoggio diretto” dell’Esercito Messicano a gruppi indigeni armati nella zona del Chiapas dove si trova Acteal, il cablogramma informa di una rete clandestina di “squadre di uomini dell’intelligence” formati dall’Esercito a metà del 1994, con l’autorizzazione dell’allora presidente Carlos Salinas de Gortari. Queste squadre avevano il compito di infiltrare comunità indigene per ottenere informazioni su “simpatizzanti” zapatisti.

Furono queste squadre, aggiunge, a promuovere gruppi armati antizapatisti – che significa, paramilitari – fornendo sia “formazione” sia protezione di fronte alle autorità di pubblica sicurezza ed unità castrensi nella regione. Il cablogramma informa che queste attività si realizzavano già dal dicembre del 1997, quando avvenne il massacro di Acteal.

La cosa più importante sui documenti della DIA è che contraddicono direttamente la storia ufficiale sul massacro raccontata dal governo dell’allora presidente Ernesto Zedillo“, afferma Kate Doyle, direttrice del Progetto México del National Security Archive, nella sua presentazione dei documenti che la sua organizzazione ha ottenuto secondo le leggi sulla libertà di informazione e diffusi attraverso il suo sito internet. Doyle ricorda che la relazione del procuratore generale della Repubblica, Jorge Madrazo, nel 1998, affermava che la Procura Generale della Repubblica aveva documentato l’esistenza di gruppi civili armati a Chenalhó, “non organizzati, articolati, addestrati né finanziati dall’Esercito Messicano né da altre istanze governative, ma la loro nascita ed organizzazione risponde ad una logica interna determinata dallo scontro tra le comunità e dentro le comunità, con le basi di appoggio zapatiste“.

Il cablogramma della DIA offre anche dettagli fino ad ora sconosciuti sul funzionamento delle squadre di “intelligence umana” dell’Esercito Messicano nel concedere questo appoggio. Il cablogramma descrive che queste squadre erano composte “al principio da ufficiali giovani con gradi di capitano in seconda e in primo, così come da alcuni sergenti scelti che parlavano i dialetti della regione“.

Il rapporto inviato alla sede della DIA aggiunge che le squadre di intelligence “erano composte da tre/quattro persone incaricate di coprire le comunità per un periodo di tre o quattro mesi. Dopo tre mesi, gli ufficiali appartenenti alle squadre venivano trasferiti a rotazione in una comunità differente in Chiapas. La preoccupazione per la sicurezza delle squadre era la ragione principale della rotazione di questi ogni tre mesi“.

Per Doyle questi documenti portano alla conclusione che la logica della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) era “una strategia di contrainsurgencia accuratamente studiata che combinava programmi di azione civica – spesso annunciati dalla Segreteria della Difesa con dichiarazioni alla stampa – con operazioni di intelligence segrete studiate per rafforzare i paramilitari e provocare il conflitto contro i sostenitori dell’EZLN“.

Doyle critica la mancanza di accesso da parte del governo messicano a tutta la documentazione su Acteal. “Fino a che l’amministrazione attuale non deciderà di onorare il suo obbligo di informare i cittadini sulla verità del massacro del 1997, il reclamo della gente per i fatti rimarrà perso negli archivi scomodi. Ed a noi non resta che ricorrere agli Stati Uniti alla ricerca di informazioni sull’Esercito Messicano ed Acteal“.

Spiegamento di truppe

Nel secondo dei due documenti declassificati e presentati dal National Security Archive, si trasmettono informazioni sullo spiegamento di 5.000 elementi di truppa da parte del governo di Zedillo – per rinforzare i 30.000 dispiegati permanentemente in Chiapas, o in quella che è chiamata “zona di conflitto” – immediatamente dopo il massacro dei 45 indigeni tzotziles ad Acteal, il 22 dicembre 1997.

Citando “fonti aperte” ai mezzi di comunicazione, così come segrete, l’ufficio aggiunto della Difesa degli Stati Uniti in Messico informa la DIA nel cablogramma datato 31 dicembre 1997, che circa 2.000 truppe, più altre forze, sono state dispiegate nella zona di Chenalhó per offrire “legge ed ordine” nella regione, così come “compiti sociali” a comunità indigene, in particolare alle comunità sfollate dal gruppo MIRA. Indica che elementi di questo gruppo paramilitare hanno governato la zona con “minacce e violenza nella regione di Chenalhó“. Nello stesso tempo, si informa che altre unità sono state “messe in allerta per intervenire nel caso di un’insurrezione”.

Tra le “fonti aperte” citate dal documento, comprese alcune pubblicazioni, si menziona La Jornada, alla quale si riferisce come “un giornale ritenuto ben scritto, inclinato a sinistra, con buona copertura delle notizie“. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/21/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Giovedì 20 agosto 2009

Il Congresso chiederà a Calderón una nuova inchiesta su Acteal

Si rileva che gli autori intellettuali restano impuniti

C. Pérez Silva e G. Saldierna

La Commissione Permanente del Congresso dell’Unione ha trovato ieri un punto di accordo nel quale si esorta il presidente Felipe Calderón ed il governatore del Chiapas, Juan Sabines, a riaprire una nuova indagine sul massacro del 22 dicembre 1997 nel villaggio di Acteal.http://www.jornada.unam.mx/2009/08/20/index.php?section=politica&article=011n1pol

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ONU chiede giustizia per Acteal.

La Jornada – Mercoledì 19 agosto 2009

ONG chiedono di riaprire il processo di Acteal

Presa di posizione dell’Alto Commissariato dell’ONU che solleverà la richiesta di giustizia in ambito internazionale http://www.jornada.unam.mx/2009/08/19/index.php?section=politica&article=012n1pol

Foto Moysés Zúñiga Santiago

Foto Moysés Zúñiga Santiago

Su invito dell’organizzazione civile Las Abejas, Alberto Brunori, rappresentante in Messico dell’Ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha visitato la località nel municipio di Chenalhó, dove 45 indigeni furono assassinati il 22 dicembre 1997. Il funzionario ha dichiarato che la sentenza della Corte Suprema cheha permesso la liberazione di 20 implicati nel massacro, rivela “che non ci fu un’indagine adeguata alla gravità dei fatti e, pertanto, non è stata garantita giustizia per le vittime”.

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Acteal, un’altra volta.

La Jornada – Martedì 18 agosto 2009

Acteal, un’altra volta

Luis Hernández Navarro

Non è una visione manichea e semplicista. Il massacro di Acteal è quello che è: un crimine di Stato perpetrato dal governo di Ernesto Zedillo. La liberazione di 20 dei paramilitari responsabili del massacro da parte della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), col pretesto che non è stato garantito oro un giusto processo, non copre questo fatto. La ragione giuridica non può occultare la verità storica.

L’imminenza del bagno di sangue ad Acteal era stata avvertita da molti giornalisti, analisti e conoscitori della regione. I drammatici reportage di Hermann Belinhausen, Blanche Petrich e Juan Balboa mostravano le tracce della preparazione del crimine prima ancora che si verificasse. Il sacrificio era annunciato.

Per comprendere appieno la tragedia bisogna capire tanto quello che succedeva nella comunità e in Chiapas. Luoghi come la regione chol ed il municipio di Bachajón vivevano situazioni simili da mesi. Anche se parlava di pace, Ernesto Zedillo faceva la guerra. Nei posti chiave dello stato si promuoveva la formazione di gruppi paramilitari. Ma molte delle sue vittime non furono zapatisti, ma civili pacifici e disarmati che, come nel caso di Acteal, pregavano per la pace.

Editoriali de La Jornada del 22 novembre e del 17 dicembre 1997 dicevano senza ambiguità quello che sarebbe successo ad Acteal. Nel primo si segnalava che (la crescita della violenza) “è estremamente preoccupante poiché il tipo di conflitto in atto a Chenalhó ha grandi similitudini con quanto accaduto nella zona nord dello stato, dove agisce Paz y Justicia“. Il supplemento Masiosare dedicò la copertina del 14 dicembre 1997 a questo tema e titolò: “Chenalhó, un altro giro di guerra“.

Padre Miguel Chateau, parroco di Chenalhó ed uno dei più profondi conoscitori della regione avvertiva: “la guerra di bassa intensità annichilisce il mondo tzotzil” (La Jornada, 15/12/97). Il prete non parlava tanto per dire. Egli stesso era minacciato di morte. Jacinto Arias, presidente municipale del PRI ed uno dei principali promotori dei paramilitari, gli mise una birra in mano e gli disse: “Se non controlla la sua gente, un giorno o l’altro l’ammazziamo. Glielo dico faccia in faccia, padre. Bruceremo il suo corpo perchè non brucino i vermi“.

In un reportage televisivo sugli indigeni sfollati del municipio dai paramilitari, intitolato Chiapas: testimonianza di un’infamia, Ricardo Rocha percepiva la tempesta che si stava avvicinando. Intervistando don Samuel Ruiz e don Raúl Vera, il giornalista confessò loro: “Vengo dagli Altos del Chiapas e sono profondamente indignato, attonito che ancora possano succedere queste cose (…) anche profondamente addolorato per quello che succede là e che sicuramente voi conoscete: è inumano…

Andrés Aubry e Angélica Inda, due dei più grandi conoscitori della dinamica sociale degli Altos del Chiapas, analizzarono con rigore la nascita dei paramilitari nella regione in nove illuminanti articoli pubblicati da La Jornada. Il primo di questi, “Chenalhó in bilico“, apparso il 30 novembre 1997, tre settimane prima del massacro, smontava l’ipotesi che dietro la violenza in corso c’era un conflitto religioso. “A Chenalhó i due dirigenti antagonistici, il presidente costituzionale (del PRI) ed il suo concorrente, il presidente (ribelle) della sede autonoma dello stesso municipio, sono evangelici“, scrivevano.

Mesi prima nell’articolo: “Chenalhó: i pericoli dell’anima“, pubblicato da La Jornada a giugno del 1997, analizzavo la gestazione dell’offensiva paramilitare in quel municipio per concludere: “Quello che oggi è in pericolo non è l’anima, ma la vita degli uomini pipistrello“. Il 2 dicembre, ne “La guerra che non osa dire il suo nome“, scrivevo che la paramilitarizzazione era la risposta governativa all’espansione politica e sociale dello zapatismo, evidenziata dalla trionfale marcia dei mille 111 ribelli a Città del Messico a settembre di quell’anno, così come alla sua crescente installazione in territorio chiapaneco. “I paramilitari – scrivevo – a differenza dell’Esercito o della polizia, non devono rendere conto a nessuno, esulano dal giudizio pubblico. Possono agire con la più assoluta impunità e, perfino, presentarsi come vittime.” Purtroppo la recente sentenza della SCJN dà ragione a quelle parole.

Il massacro non fu un fatto isolato o fortuito, prodotto dalla rivincita di fazioni indigene in lotta per problemi comunitari. Non fu uno scontro. In Chiapas c’è una guerra, e non c’è attività umana più pianificata di questa. Acteal è stata un’azione bellica che rispondeva alla sua logica profonda: l’intensificazione del conflitto, che avviene, secondo Clausewitz, quando due eserciti si affrontano e “devono divorarsi tra loro senza tregua, come l’acqua ed il fuoco che non si equilibrano mai.”

La strategia governativa era tracciata in anticipo. Immediatamente dopo il massacro l’Esercito ampliò la sua presenza in Chiapas con più di 5.000 effettivi oltre a quelli già presenti ed autorizzò la sua partecipazione “nella prevenzione di nuovi fatti violenti“. Si trasferirono verso le Cañadas truppe distaccate in Campeche e Yucatan, mentre si stabilirono nuovi accampamenti nella regione degli Altos. Si volle tendere un nuovo accerchiamento militare allo zapatismo, un nuovo cordone sanitario, per tentare di frenare la sua espansione e l’esrcizio dei municipi autonomi.

Questa logica venne allo scoperto nei mesi successivi. La guerra sporca contro lo zapatismo seguì il suo corso sanguinoso. Acteal fu il segnale di partenza per accrescere l’offensiva bellica. Forze combinate di diverse polizie ed eserciti attaccarono violentemente i municipi di Taniperlas, Amparo Aguatinta, Nicolás Ruiz e El Bosque, fino a che il 6 luglio 1998, a Chavajeval ed Unión Progreso, le forze repressive cozzarono contro un muro.

La liberazione degli assassini di Acteal e la pretesa di riscrivere la storia del massacro non sono un atto di giustizia: sono la continuazione della guerra con altri mezzi. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/18/index.php?section=opinion&article=019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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Su Acteal 16 ago.

La Jornada – Domenica 16 agosto 2009

Tra i paramilitari liberati, uno dei 5 assassini rei confessi
Hermann Bellinghausen
– Attivista: nonostante la loro scarcerazione non cessano di essere colpevoli
– La Corte, un esecutore in più nel massacro di Acteal, dice il CDHFBC http://www.jornada.unam.mx/2009/08/16/index.php?section=politica&article=011n1pol

L’Osservatorio Ecclesiale chiede di fare luce sulla “inusuale” liberazione di 20 autori del massacro di Acteal
Gabriel León Zaragoza
– L’Osservatorio Ecclesiale chiede al governo di porre fine all’impunità nel paese
– La sentenza della Corte Suprema non è un fatto isolato né casuale, ma studiato  http://www.jornada.unam.mx/2009/08/16/index.php?section=politica&article=010n1pol

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Su Acteal 15 ago.

La Jornada – Sabato 15 agosto 2009

Il caso non è chiuso, c’è una denuncia internazionel
  A rischio i sopravvissuti del massacro: ONG
Gabriel León, Emir Olivares e Elio Henríquez
Il Segretariato Internazionale Cristiano di Solidarietà con i Popoli dell’America Latina (Sicsal) ha segnalato che nonostante la decisione della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) di liberare 20 degli autori materiali del massacro di Acteal),il caso non è chiuso, poiché esiste un processo aperto contro lo Stato messicano – promosso dalle vittime e dal Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas – presso la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), poiché non sono stati arrestati tutti gli autori materiali né si è arrivato ai responsabili intellettuali.  http://www.jornada.unam.mx/2009/08/15/index.php?section=politica&article=012n3pol

I rilasciati chiedono di tornare nelle proprie comunità
Il governatore Juan Sabines chiede loro di non tornare a Chenalhó
Ángeles Mariscal
Alcuni degli indigeni liberati per il caso Acteal che si trovano in un hotel a 15 chilometri da Tuxtla, hanno espresso l’intenzione di tornare nelle loro comunità, mentre il governatore Juan Sabines Guerrero li ha esortati a non farlo – neanche in visita – ed ha annunciato che cercherà di garantire le condizioni affinché siano ricollocati in un luogo “il più lontano possibile” da Chenalhó. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/15/index.php?section=politica&article=011n1pol

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Su Acteal 14 ago.

La Jornada – Venerdì 14 agosto 2009

Amnesty International chiede una nuova indagine
Emir Olivares Alonso
La liberazione dei condannati per il massacro di Acteal “è un’altra dimostrazione delle gravi deficienze del sistema giudiziario messicano che sembra incapace di investigare, processare e sanzionare attraverso un processo giusto i responsabili di violazioni dei diritti umani”, ha dichiarato Amnesty International (AI). http://www.jornada.unam.mx/2009/08/14/index.php?section=politica&article=005n3pol

Gli indigeni liberati “accettano” di non tornare nelle loro comunità
Ángeles Mariscal e Elio Henríquez
– In maniera riservata, sono usciti dalla prigione di El Amate alle 3:15 di giovedì
– Si vogliono “evitare provocazioni ed aggressioni”, dice il governo del Chiapas  http://www.jornada.unam.mx/2009/08/14/index.php?section=politica&article=007n1pol

Condanna di partiti e ONG alla decisione della Corte su Acteal
Alma E. Muñoz, Roberto Garduño e Georgina Saldierna, reporter; Sergio Ocampo Arista, corrispondente
La direzione nazionale del PRD ieri ha chiesto che rendano conto i funzionari politici che erano al corrente dei fatti di Acteal, tra i quali si trovano l’ex procuratore generale della Repubblica Jorge Madrazo Cuéllar, l’ex governatore del Chiapas Julio César Ruiz Ferro, l’ex segretario di Governo Emilio Chuayffet e l’allora presidente Ernesto Zedillo.  http://www.jornada.unam.mx/2009/08/14/index.php?section=politica&article=006n1pol

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La verità occulta.

La Jornada – Giovedì 13 agosto 2009

I becchini di Ruiz Ferro distrussero la scena del crimine

Acteal, il racconto degli assassini e la verità occulta

Niente suggeriva la possibilità di fuoco incrociato o scontro

Hermann Bellinghausen

Era l’alba del 23 dicembre 1997. Forse le cinque e mezzo o le sei del mattino. Era buio. Una colonna di veicoli civili e della polizia, furgoni, auto ed ambulanze, scendevano dagli Altos provenienti da Acteal. Li seguiva nella sua auto il corrispondente di La Jornada Juan Balboa. Ci disse che lì c’erano i corpi che venivano portati a Tuxtla Gutiérrez, e che lui avrebbe seguito il convoglio. L’aveva incontrato più su. I morti, che non eravamo riusciti a contare, sarebbero risultati essere 45, visti solo da quelli che li trasportavano, quindi dai medici forensi.

Inviati dal governatore Julio César Ruiz Ferro, i funzionari responsabili delle operazioni di pulizia (Jorge Enríque Hernández Aguilar, David Gómez Hernández, Uriel Jarquín Gálvez e gli agenti del Publico Ministero) avevano fatto qualcosa di insolito: smontare la scena del crimine. Lì sentii per la prima volta l’ordine che avevano: “Prima che arrivino i giornalisti”.

“Non andateci di notte”

Nessuno della stampa era ancora salito a Chenalhó su raccomandazione di uno dei sopravvissuti la notte precedente nell’ospedale regionale di San Cristóbal de las Casas: “Non andateci di notte. Continuano a sparare alle auto da Acteal Alto”. Gli credemmo.

Mentre le prove materiali del massacro scendevano nella valle di Tuxtla per perdersi nella nebbia burocratica per tutto un giorno (chiave), io con il corrispondente dell’agenzia Reuters Jesús Ramírez Cuevas e l’antropologo Arturo Lomelí proseguimmo verso il luogo dei fatti. Nelle ultime settimane avevamo percorso questa strada innumerevoli volte.

Dopo esserci lasciati alle spalle Chenalhó e Yabteclum senza un’anima, arrivammo nel commovente villaggio di Polhó, già allora immenso accampamento di rifugiati zapatisti. I sopravvissuti del massacro erano concentrati nella sede autonoma. Bambini, anziani, adulti. Credo di ricordare che tutti piangevano. Molti ci circondarono, raccontandoci in tzotzil le loro diverse storie e lamenti, e qualcuno traduceva, per quanto possibile. Molti erano ricoperti di sangue, non il suo, ma quello dei morti e dei feriti. Un bambino di 10 anni, illeso, aveva la maglietta insanguinata del sangue dei suoi genitori morti sopra di lui, salvandogli così la vita.

Da lì proseguimmo per Acteal, pochi chilometri avanti. Ci guidavano un giovane zapatista ed un membro di Las Abejas, che aveva inoltre il compito di trovare una bambina ed un’anziana che mancavano (sarebbero ricomparse vive poco dopo tra i rifugiati). Avevano già l’elenco dei sopravvissuti, quello dei feriti, e per evidenza o deduzione abbastanza precisa, quello dei morti. Il governo dovette ammettere quello stesso giorno che erano deceduti 45 indigeni, di diversa età e sesso. Per il governo non avevano nome. Li restituì numerati.

Ad Acteal, su una collina, l’accampamento di profughi zapatisti era deserto. Tutti erano a Polhó. Poco più avanti incontrammo due poliziotti in uniforme ma senza contrassegni. Poi sapemmo chi erano. Uno, il comandante Roberto García Rivas, con la faccia di circostanza e cercando di mostrarsi sollecito e tranquillo, ci disse che il giorno prima si erano sentiti degli spari, ma gli era sembrato normale, “qui si ammazzano così”, e che non aveva ricevuto l’ordine di intervenire. Non dava importanza al fatto, come se lo avesse sorpreso la quantità di cadaveri estratti dal terrapieno dell’accampamento. Ignoro se il comandante si fosse mai recato sul luogo dei fatti.

Alle nostre spalle, verso l’alto, ad Acteal Alto, spuntavano degli uomini che cercavano di non farsi vedere. “Sono loro”, dissero le nostre guide. Nessuno dubitava che fossero armati.

Scendemmo nel burrone chiamato Campamento Los Naranjos, nome che non dovrebbe significare niente. Nemmeno esistere. La vegetazione circostante la ricordo rovinata, calpestata, distrutta. Le povere casupole e tende dei rifugiati erano distrutte. In una piccola grotta c’erano ancora abiti insanguinati; l’uomo di Las Abejas riconobbe di chi erano. La sterpaglia che scendeva nel burrone fino al fiume mostrava tracce di sangue lascaite durante la fuga, o la caduta, dei sopravvissuti, che poi salirono a Polhó a rifugiarsi con gli zapatisti.

La scena del crimine

In quel momento era ormai impossibile ricostruire la scena del crimine; quello che si poteva ancora fare (ignoro se accadde, ma ne dubito) era rifare la “modifica” realizzata per ordine degli inviati del governo. “Quella” scena del crimine era intatta.

Lì ascoltammo i primi racconti in loco, soprattutto per bocca dell’uomo di Las Abejas. Qui c’era il tal dei tali, qui ce n’era un altro, da lì erano arrivati gli aggressori, gli aggrediti avevano reagito così o così, e come alcuni fossero rimasti nella cappella (per modo di dire: tutto era rudimentale) dove li raggiunse la morte.

Il giovane zapatista riferì che aveva cercato di scendere per due volte il pomeriggio precedente, accompagnato da tre donne, ma la polizia glielo impediva dicendogli: “No, stanno ancora sparando, magari vi arriva una pallottola in testa”; ma alla fine li lasciarono passare e videro i feriti. “Quindi scesi da solo e portai su un ferito, non so se era un bambino o una bambina, lì nel ruscello c’erano alcuni compagni (Abejas), allora l’ho portato nella scuola ed ho chiesto a quei compagni se c’erano altri feriti e morti, e loro dissero che ce n’erano molti altri (…) e lo dissi al capitano” (della polizia); questo si trovava nella scuola, dalla quale non si mosse mai. Arrivarono altri poliziotti e la Croce Rossa, e dissero agli indigeni che i morti “erano dei loro”, e li invitarono a recuperarli. (Dagli appunti di quel giorno.)

Gli stessi indigeni recuperarono i feriti. Chi alla fine raccolse i cadaveri, più tardi, furono gli inviati del governo; li portarono sulla strada, in alto, per portarli a Tuxtla per l’autopsia o qualunque cosa abbiano fatto.

Quando dieci anni dopo, nel 2006, cominciò a circolare la voce di una qualche “battaglia” tra bande, o la possibilità che qualcuno, oltre agli aggressori, avesse “deturpato”, “colpito a machete” o “finito” i caduti, mi sembrò molto sorprendente. L’unica fonte di questa “versione” erano gli stessi paramilitari rei confessi e condannati, senza che nessuno a Chenalhó potesse confermarla.

Né l’incontro col comandante García Rivas (sarà poi arrestato), né la testimonianza immediata dei sopravvissuti, né l’ambiente di fratellanza tra zapatisti ed abejas in quei momenti, né il luogo dei fatti suggerivano, nemmeno come ipotesi, la possibilità di fuoco incrociato, scontro o “liquidazione”. Si sa solo che la polizia aveva sparato in aria per proteggersi (almeno così sostengono nelle versioni alla PGR), e che tutti gli altri spari erano dei paramilitari.

Noi fummo i primi ad arrivare “da fuori” (senza contare i barellieri, la cui testimonianza non si sa se esiste). I poliziotti lì distaccati “non uscirono mai dalla scuola”, disse la nostra guida zapatista. Rozzamente, senza dubbio, raccogliemmo le prime testimonianze (tanto difficili da ascoltare, tanto facili da capire), quando neanche i poliziotti avevano margine per mentire.

Chi oggi riesuma i morti attraverso le inchieste ufficiali ed i racconti degli assassini, ha solo una pista concreta, e che persegue: quella dei becchini di Julio César Ruiz Ferro; ovvero, i primi interessati a che la verità esatta non si sapesse mai. Il resto non è né letteratura, ma pura menzogna. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/13/index.php?section=politica&article=007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Giovedì 13 agosto 2009

 L’impunità di Acteal, niente di nuovo

Neil Harvey

Niente di nuovo.” Questa era la risposta ufficiale quando, quel 22 dicembre 1997, si chiedeva ai poliziotti, ‘che cosa sta succedendo ad Acteal?’ Per sette ore più di cento persone armate e vestite da poliziotti di pubblica sicurezza compirono il massacro di 45 indigeni indifesi. Vari degli autori materiali di questo crimine stanno per essere liberati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), nonostante le testimonianze dei sopravvissuti, e questo rappresenta un altro passo indietro per i diritti umani in Messico.

La difesa degli accusati si basa sui vizi procedurali delle istituzioni giuridiche incaricate del caso. Come è ben noto, detti vizi sono molto comuni e colpiscono migliaia di detenuti, soprattutto indigeni ed attivisti sociali come, per esempio, quelli di Atenco e Oaxaca. Tuttavia, l’argomento a favore della liberazione degli accusati del massacro di Acteal commette due errori fondamentali. Il primo è che, contestando le procedure, contesta anche le accuse fatte dai sopravvissuti, mettendo in dubbio la veridicità della loro parola. In secondo luogo, l’argomento evita di intendere il contesto politico di questo massacro, soprattutto la partecipazione di diverse istituzioni dello Stato nel fomentare le attività dei gruppi paramilitari.

Bisogna dire che è preoccupante la maniera in cui il tema è stato affrontato nella trasmissione Espiral, la sera di lunedì 10 agosto su Canal 11.

In quel programma, gli analisti – tutti a favore della decisione di liberare gli accusati – hanno manipolato la verità dei fatti per lo meno in tre punti centrali. Uno, che le prove erano incongruenti perché i sopravvissuti dicevano che gli aggressori portavano passamontagna e, pertanto, come era possibile identificarli con nome e cognome? Secondo, che i testimone erano confusi e realmente non sapevano quanti aggressori c’erano e chi erano, e semplicemente fecero una lista con i nomi di più di cento persone che poi presentarono alle autorità. E, terzo, che non ci si poteva fidare della parola dei sopravvissuti, se questi dicevano che c’erano 45 persone che stavano pregando in una cappella di solamente 12 metri quadrati quando furono assassinati alla schiena. In ognuno di questi punti, i partecipanti al programma hanno cercato di mettere in dubbio la veridicità della parola degli indigeni che sopravvissero a questo attacco. Ci hanno provato, ma hanno fallito.

Basta semplicemente rivedere alcune delle testimonianze per rettificare questa erronea ed offensiva versione dei fatti. Per esempio, citando 11 testimonianze incluse nell’istruttoria, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) , spiega chiaramente che i sopravvissuti non avevano nessun problema ad identificare chi erano gli autori del massacro. (Vedere: CDHFBC, Por la verdad y la justicia: Acteal 11 años 5 meses y 17 días de impunidad. ¿Cuántos más? 8 de junio de 2009, pp. 29-33. http://www.frayba.org.mx/archivo/informes/090608_informe_para_scjn.pdf).

In nessuna di queste testimonianze si parla dell’uso di passamontagna da parte degli aggressori. Invece, quello che notarono fu la diversità di armi lunghe e corte che usavano ed il colore nero o blu delle loro uniformi, nello stile dei poliziotti della Pubblica Sicurezza. Cioè, fu un massacro “sfacciato.” Le stesse testimonianze rendono conto della conoscenza intima degli assassini. In alcuni casi erano vicini, in altri erano altri membri della stessa comunità. Dopo avere subito per diversi mesi la persecuzione dei gruppi paramilitari, per i membri di Las Abejas non era un mistero chi li voleva ammazzare e non dovevano inventare una lista di nomi per chiedere giustizia. È anche ben noto che, benché le vittime fossero riunite a pregare nella cappella, il massacro si è svolto nell’arco di sette ore, durante il quale gli assassini li hanno inseguiti per tutto il villaggio.

Sebbene l’argomento a favore della liberazione degli accusati si basa sui vizi procedurali, questo non implica la loro innocenza e vari sono esattamente quelli identificati nelle testimonianze già citate. Quella che abbiamo imparato dagli indigeni che sono sopravvissuti all’attacco, è l’importanza di intendere il contesto politico nel quale è avvenuto il massacro. Loro parlano dell’esistenza di gruppi che ricevevano armi, uniformi ed addestramento dalle stesse istituzioni dello Stato, che si presume abbia come missione la sicurezza di tutti. Negando l’esistenza di gruppi paramilitari, i difensori degli accusati partecipano alla difesa di misure di contrainsurgencia che portarono alla morte dei 45 indigeni ad Acteal ed allo sfollamento di migliaia di altri prima e dopo il massacro. Se non si mettono in discussione le ragioni politiche che stanno dietro il massacro, come si vuole impedire che in futuro si tornino a commettere crimini della stessa portata?

La liberazione di questi detenuti non è segno di una “nuova epoca” di giustizia per la SCJN e la cittadinanza. Neanche convince quando Calderón manda un messaggio al Congresso degli Stati Uniti dicendo che in Messico si rispettano i diritti umani, affinché continuino ad affluire gli aiuti de programma Iniciativa Mérida. Piuttosto, è un’altra prova dell’indifferenza delle istituzioni quando si tratta di praticare la giustizia. Nel 2009, come nel 1997, l’impunità continua a regnare ad Acteal, “niente di nuovo.”   http://www.jornada.unam.mx/2009/08/13/index.php?section=opinion&article=019a2pol

(*) Professore-ricercatore dell’Università Statale del Nuevo México, Las Cruces, e autore del volume La ribellione in Chiapas (Edizioni Era, 2000)

(Traduzione “Maribel”» – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Giovedì 13 agosto 2009

Con una decisione inedita la Corte libera i condannati per Acteal

Alfredo Méndez

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Vittima e Giudice (Foto di Cristina Rodríguez e Marco Peláez)

In una sessione storica della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN), che per la prima volta dalla riforma del sistema giudiziario penale del 2005 è diventato tribunale di legalità e non solo di costituzionalità – rivedendo tutti i dettagli e le prove di un processo –

ieri quattro ministri hanno accolto il ricorso di 26 indigeni chiapanechi ed hanno ordinato la liberazione immediata di 20 di loro già condannati per il massacro di 45 tzotziles ad Acteal, Chiapas, avvenuto nel dicembre del 1997.

Per quattro voti contro uno, la prima sala (composta da cinque ministri) ha stabilito che la Procura Generale della Repubblica (PGR), insieme ai giudici e magistrati che condannarono questi indigeni, hanno violato gravemente le garanzie processuali di questi, fabbricando prove e testimnianze.

Nei prossimi giorni almeno altri 30 implicati in quei fatti possono venire beneficiati da questa sentenza, la quale, tuttavia, non implica un riconoscimento di innocenza.

“Non si deve intendere che questo tribunale sta assolvendo dei colpevoli. Unicamente la sala sta negando valore a comportamenti contrari all’ordine costituzionale, perché dalle risultanze della causa penale non è possibile affermare che giuridicamente ci siano dei colpevoli”, ha sottolineato il ministro José Ramón Cossío, spiegando le motivazioni dell’accoglimento del ricorso.

“Qui si è solo stabilito che agli accusati non è stato concesso un giusto processo, cosa che non equivale assolutamente ad una sentenza, di facto, di innocenza”, ha aggiunto.    (…………..)

Con questa conclusione, la PGR sostiene che il massacro fu il risultato di un lungo conflitto tra un gruppo di indigeni che simpatizzavano apparentemente con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ed un altro che appoggiava il Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), e che nei mesi precedenti all’uccisione dei 45 indigeni, ad Acteal questo aveva provocato, in fatti diversi, almeno 23 omicidi, la maggioranza di presunti paramilitari priisti. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/13/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Martedì 11 agosto 2009

La Corte ed “i suoi complici”, saranno i colpevoli se la violenza ritornerà ad Acteal: Las Abejas

dalla Redazione

Di fronte alla possibile sentenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione che potrebbe liberare 40 degli indigeni accusati di aver partecipato al massacro di Acteal, l’organizzazione civile Las Abejas, del municipio di San Pedro Chenalhó, riterrà responsabili la Corte e tutti i suoi “complici” – da Héctor Aguilar Camín, agli avvocati del CIDE ed il governo federale di Felipe Calderón – se col ritorno di questi “paramilitari” tornerà anche la violenza in questo municipio dello stato del Chiapas.

In una lunga lettera indirizzata anche alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani, l’organizzazione Las Abejas ha lanciato un appello alle più alte autorità del paese affinché “riflettano su quello che stanno facendo”, perché se ad un’organizzazione come la loro, che respinge la violenza come mezzo per difendere i propri diritti, dicono che il sistema di giustizia e le istituzioni dello Stato stanno dalla parte dei complici del governo, “allora, che strada ci lasciano? Che speranza ha il popolo del Messico? Il governo dice di essere contro la violenza, ma tutti i giorni vediamo che è il primo a promuoverla”, si dice nella lettera.

Respingono apertamente la versione di alcuni mezzi di informazione che dicono che con questa sentenza della Corte Suprema si farà un passo avanti per l’ottenimento della giustizia nel caso Acteal. “E’ piuttosto un passo indietro rispetto a quel poco accertato, ed un passo avanti dell’impunità”, dice l’organizzazione Las Abejas che contesta anche il Centro di Investigazione e Docenza Economica (CIDE) che da due anni ha assunto la difesa dei detenuti accusati del massacro.  (……..) http://www.jornada.unam.mx/2009/08/11/index.php?section=politica&article=010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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Lettera di Hermann Bellinghausen

La Jornada – Martedì 11 agosto 2009 – El Correo Ilustrado

Lettera di Hermann Bellinghausen

Nella sua “Replica” all’articolo “I riesumatori di Acteal”, Héctor Aguilar Camín trova similitudini tra la sua cronaca ed il mio racconto dell’episodio della cattura di una ventina di paramilitari il Natale del 1997. Mancherebbe altro che non ci fossero. Ma bisogna rilevare che, quando i paramilitari furono bloccati dal corteo funebre, gli “incappucciati” zapatisti che lo accompagnavano erano disarmati, siccome erano civili. Le uniche armi presenti erano quelle dei poliziotti municipali che controllavano i paramilitari (uno addirittura con giubbotto antiproiettile). Riportandolo, ora ed allora, ci si appella alla percezione oculare del momento; a quasi 12 anni di distanza continua a sembrarmi obiettiva.

I fermati non furono “denunciati lì“, e basta. Erano chiaramente identificati come membri della banda armata di priisti di Chenalhó, i paramilitari ai quali le indagini successive (fino alla procura specializzata) hanno sempre fatto allusioni con eufemismi per spogliarli di qualsiasi connotazione militare.

Che il processo a partire dalla loro cattura (azzardata, progettata o provvidenziale da parte della PGR) sia stato spazzatura, non dimostra che gli arrestati non meritassero di essere indagati né che fossero liberi da responsabilità penali: l’errore processuale come parte del metodo. Inoltre, chi nel governo di allora voleva andare davvero fino in fondo con le indagini. Se il poco che portarono alla luce costò la poltrona al segretario di Governo ed al governatore del Chiapas, chissà dove avebbero potuto portare le indagini.

Rispetto all’altro punto della “Replica”, riferito al giorno ed a luogo del massacro, non è questo lo spazio per tornare su quell’esperienza.

Hermann Bellinghausen    http://www.jornada.unam.mx/2009/08/11/index.php?section=opinion&article=002a2cor

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Lunedì 10 agosto 2009 – El Correo Ilustrado

Replica di Héctor Aguilar Camín a Hermann Bellinghausen

A Hermann Bellinghausen è sembrato pessimo il mio racconto dell’arresto dei primi catturati per il massacro di Acteal (“I riesumatori di Acteal“, La Jornada 5/8/09 https://chiapasbg.wordpress.com/2009/08/05/i-riesumatori-di-acteal/ ). Ma il mio racconto non è molto diverso da quello da lui pubblicato su questo stesso giornale il 25 dicembre 1997.

Il mior acconto dice: “Mentre il corteo funebre per le vittime di Acteal percorreva la strada, un camioncino con rimorchio trasportava al capoluogo del municipio di Chenalhó diverse prsone delle comunità convocate dal sindaco per una riunione. Erano tutti antizapatisti, della parte contraria alle vittime”.

Il racconto di Hermann dice: “Pochi metri sopra la spianata (quella del villaggio di Acteal) corre la strada… sulla quale stavano passando alcuni dei coinvolti su un veicolo ufficiale, si presume protetti dalla polizia municipale del municipio costituzionale di Chenalhó.”

Il mio racconto prosegue: “Il camioncino fu bloccato dal corteo che, per ragioni di sicurezza, era scortato da agenti della Procura Generale della Repubblica. Alcune donne gridarono indicando le persone che viaggiavano sul camioncino: ‘Sono loro gli assassini. Sono loro’ “. Il racconto di Hermann prosegue: “Furono riconosciuti dalla processione che accompagnava i 45 corpi.”

Il mio racconto conclude: “La PGR fermò 24 persone senza altra prova che la denuncia dei partecipanti al corteo funebre“. Quello di Hermann finisce così: “Siccome con il corteo funebre c’erano agenti della Polizia Giudiziale Federale e la CNDH, i sospettati furono immediatamente catturati.”

Quale è la differenza nei fatti tra i due racconti? Che chi proteggeva il corteo funebre, dice Hermann, non erano gli agenti della PGR, bensì “centinaia” di incappucciati zapatisti. E che furono loro ad impedire il linciaggio degli arrestati: “Un cordone di zapatisti incappucciati circondò il camion, con disciplina ed efficacia, per impedire che la folla raggiungesse i passeggeri del furgone e Samuel Ruiz intervenne per calmare gli animi.

Non ho nessun problema ad aggiungere questo fatto al mio racconto. Il mio punto continua a reggere: la PGR catturò lì su indicazione dei partecipanti al funerae i suoi primi arrestati e non li liberò più. (…..)

Rispetto alla “battaglia” di Acteal precedente al massacro, che tanto molesta Hermann, devo dire che nemeno quella l’ho inventata io. Viene dal racconto fatto dagli aggressori rei confessi di Acteal, e che io citai nella mia cronaca: “Il giorno indicato”, Nexos, dicembre 2007.

In quella stessa cronaca sottolineo alcuni degli enigmi ancora irrisolti nel caso di Acteal. In particolare il fatto che 12 dei 45 corpi ritrovati non morirono per colpi d’arma da fuoco, ma pr i colpi di machete che distrussero le loro teste.

Non c’è niente nelle indagini riguardo queste ferite mortali. Non c’è un solo testimone oculare che le descriva o almeno le menzioni. Ma nell’avvallamento dove furono ammucchiati i cadaveri di Acteal c’erano 12 corpi di persone morte per colpi al cranio.

Forse Hermann, con la sua conoscenza di anni della zona, potrebbe aiutarci a chiarire questo aspetto particolarmente brutale del massacro, sul quale fino ad ora non è riuscito a dirci niente di concreto, dopo migliaia e migliaia e migliaia di parole  .

Héctor Aguilar Camín http://www.jornada.unam.mx/2009/08/10/index.php?section=politica&article=009n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – Domenica 9 agosto 2009

Il dirigente chiede all’Istituto di Migrazione di verificare la “situazione migratoria” dell’inviato de La Jornada

Il leader evangelico denuncia il Frayba e gli ejidatarios di Mitzitón

Hermann Bellinghausen – Inviato

San Cristóbal de las Casas, Chis., 8 agosto. Il dirigente della chiesa evangelica Alas de Águila e dell’Ejército de Dios, Esdras Alonso González, ha sporto denuncia alla Procura Generale della Repubblica (PGR) contro il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC) e contro gli ejidatarios della comunità di Mitzitón.

In maniera rivelatrice ha dichiarato: “Hanno fatto lo stesso ad Acteal nel ’95, ’96 e ’97 (sic), quando hanno portato la nostra gente in prigione accanendosi contro di loro, per questo riterremo responsabile il Frayba di qualsiasi cosa possa accadere ai nostri fratelli; non è un fatto isolato”, ha detto Alonso González questo venerdì ai giornalisti nella piazza di questa città, accompagnato dal pastore Refugio Díaz Ruiz.

Il dirigente che nel 1988 fu uno dei primi difensori dei paramilitari detenuti, insieme al pastore Arturo Farela (essendo il primo, d’ufficio, Pedro Raúl López, oggi ombudsman statale degli avvocati dei diritti umani, e non “un praticante di 19 anni”, come sostengono i suoi nuovi difensori mediatici), approfittando del fatto che la metà dei detenuti per il massacro di Acteal potrebbero uscire liberi, ha comunicato, quale consulente legale degli evangelici di Mitzitón, che la PGR ha aperto la causa APPR6/CHIS/SC/III/075/2009 contro Diego Cadenas Gordillo, direttore del CDHFBC; gli indigeni Silviano Pérez Díaz, Juan Díaz Heredia e Manuel López Heredia, ed il giornalista Hermann Bellinghausen, “perché ci stanno colpendo attraverso Internet con bugie contro noi”. I reati contestati nella denuncia sono “attacco alle vie di comunicazione, contro la pace e la sicurezza delle persone, la biodiversità e violazione di domicilio”.

Sostiene che gli evangelici di Mitzitón vengono aggrediti fin dal 1999 “dai cattolici tradizionalisti”. Ricorda l’esistenza di 11 indagini preliminari “nascoste” presso la Procura degli Altos, dove “purtropo sono state mandate perché di competenza indigena”. Lo stesso Alonso González era stato accusato di promuovere il possesso di armi per il gruppo evangelico Guardián de tu Hermano (antecedente L’Ejército de Dios) nel quartiere La Hormiga.

Nell’intervista per la radio sancristobalense XEWM, l’ex pastore “ha chiesto” al governo ed a l’Istituto Nazionale di Migrazione di verificare “la situazione migratoria” dell’inviato di La Jornada e che, “come straniero”, che cosa fa in Chiapas e Mitzitón. Lo stesso ha chiesto per Cadenas Gordillo, che accusa di “introdurre stranieri nelle comunità”.

Da parte sua il governo del Chiapas ha diffuso un comunicato sugli avvenimenti di Mitzitón, citando la sua Legge Contro la Discriminazione ed il suo pronunciamento alle giunte di buon governo zapatiste (2008).

In quanto al progetto dell’autostrada San Cristóbal-Palenque, denunciato come origine del conflitto che ha causato già la morte di un ejidatario che si opponeva alla sua realizzazione sulle sue terre, dice che, “sebbene sia reale, non è ancora un progetto esecutivo”, e “si sta ancora studiando il suo tracciato, data l’estrema attenzione al coinvolgimento di terre comunitarie o collettive, zone archeologiche, impatti ecologici e per evitare la divisione trai comunità”.

Riferisce che la Segreteria pr lee Comunicazioni e Trasporti “non ha terminato il progetto, né il governo del Chiapas ha conoscenza del tratto definitivo”, ma assicura che l’autostrada “non passa per Mitzitón, quindi nessuno in questa comunità deve farsi ingannare da chi non ha convenienza per i suoi interessi particolari e per la pace duratura che viviamo in Chiapas dalla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN”.

Chiede “l’apertura di un tavolo di discussione e accordo per Mitzitón, nella sede di Governo di San Cristóbal”, considerando che i problemi “agrari, religiosi e sociali” devono essere “dipanati” per “garantire la convivenza sociale ed armonica della comunità”. Per questo chiede “rispettosamente” al querelato CDHFBC “la volontà di intervenire per cooperare alla mediazione tra le parti discordi”. Invita inoltre la presidenza municipale di San Cristóbal, le autorità della comunità “ed ai rappresentanti dei diversi gruppi religiosi”.

Questa “decisione unilaterale” del governo di Chiapas (che non menziona l’indigeno morto ed i cinque feriti del 21 luglio), “è la dimostrazione della volontà permanente per la distensione dei conflitti sociali attraverso l’apertura al dialogo”. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/09/index.php?section=politica&article=007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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La Jornada – mercoledì 5 agosto 2009

Acteal, una lunga catena di indagini e poca giustizia

Ángeles Mariscal – Corrispondente

Tuxtla Gutiérrez, Chis., 4 agosto. Con l’omicidio di 45 indigeni ad Acteal – compiuto il 22 dicembre 1997 – iniziò il fiorire di gruppi paramilitari nelle zone di influenza dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), la cui esistenza era smentita e ritenuta solo “un mito”.

Dopo il massacro, l’allora titolare della Procura Generale della Repubblica (PGR), Jorge Madrazo Cuéllar, ammise solo l’esistenza di “civili armati” ed intraprese l’arresto in massa degli avversari dell’organizzazione civile Las Abejas, alla quale appartenevano le vittime.

Tra dicembre 1997 e marzo 1998 la PGR avviò 13 indagini preliminari e fermò 87 indigeni e 15 funzionari di secondo e terzo livello; iniziato il processo, nel cosiddetto Libro Bianco di Acteal sostenne che il massacro derivò da un conflitto per il possesso di un banco di sabbia o fu la vendetta per l’assassinio di Agustín Vázquez Secum, commessi giorni prima da persone di Acteal.

La procura argomentò che mesi prima del multiplo omicidio la disputa tra Las Abejas ed i suoi rivali – tra i quali c’erano militanti del Partito Rivoluzionario Istituzionale e del Fronte Cardenista – provocò la morte di una trentina di persone di entrambe le parti senza che le autorità statali e municipali intervenissero, cosa che scatenò mutuo rancore.

Con tale argomento la PGR voleva invalidare l’ipotesi che il massacro fosse stato commesso da un gruppo paramilitare creato per resistere all’avanzata dell’EZLN, e la oggi estinta Unità Speciale per i Delitti Commessi da Probabili Gruppi Civili Armati, creata ex professo, dopo quattro anni di indagini concluse che la maggioranza dei gruppi paramilitari “non esistevano”.

Inoltre – nell’agosto del 2001 – l’allora pubblico ministero Armando del Río Leal disse che le 56 indagini preliminari avviate e la comparizione di 948 persone non aveva permesso di accreditare l’esistenza di gruppi civili armati eccetto per Paz y Justicia, che più che un gruppo paramilitare era una “banda criminale”.

Oggi, a quasi 12 anni dai fatti, solo cinque degli indigeni civili detenuti: Roberto Méndez, Lorenzo Pérez, Alfredo Hernández, Felipe Luna e Mariano Luna hanno confessato la loro partecipazione, ma secondo il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (che sostiene Las Abejas nel processo) le indagini mancarono sempre di tecnica scientifica.

Questo – assicura – ha lasciato nell’impunità le autorità locali, statali, della polizia e dell’Esercito implicate nei fatti, e contraddistingue la politica contrainsurgente dello Stato. “Questo brutale massacro si inseriva in un contesto di guerra in cui le azioni paramilitari erano parte della strategia implementata dal governo federale contro l’EZLN”.

Attualmente, salvo Jacinto Arias Cruz (ex sindaco di Chenalhó) tutti gli ex dipendenti pubblici processati sono liberi perché le loro condanne non superavano gli 8 anni; mentre degli 87 indigeni sei sono stati assolti e gli altri scontano pene da 18 a 40 anni di prigione, ma sono ancora pendenti 27 mandati di cattura ed il risarcimento dei danni. http://www.jornada.unam.mx/2009/08/05/index.php?section=politica&article=019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I riesumatori di Acteal.

Acteal_2I riesumatori di Acteal

Hermann Bellinghausen

Sono terminate le deliziose e molto meritate ferie dei magistrati della Corte Suprema di Giustizia della Nazione ed inizia la nuova stagione di caccia. In un paese in cui non si punisce mai la responsabilità governativa, per quanto criminale possa essere (dal ’68 all’asilo ABC di Hermosillo e la violenza istituzionale oggi contro il narco e i migranti e, non ultimi, i legittimi movimenti sociali che protestano), un gruppo di intellettuali ed avvocati si sono dati il nobile compito di difendere alcuni indigeni del Chiapas che ritengono indebitamente arrestati come “colpevoli costruiti”. Si tratta dei paramilitari condannati per il massacro di Acteal del 1997. Perché una cosa è certa: tutti gli arrestati erano paramilitari. Il gruppo al quale appartenevano deve rispondere non solo delle vite di Acteal, ma di molte altre nei mesi precedenti il massacro.

Il “salvataggio” dei detenuti per Acteal è già stato tentato nel 2007 dagli stessi che lo fanno ora. Con gli stessi mezzi, con gli stessi argomenti studiati fin dal 2006 dal dipartimento giuridico del Centro di Ricerche e Docenza Economiche (CIDE) e da avvocati evangelici.

Essendoci tanti indigeni ingiustamente detenuti in tutto il Messico (per non parlare dei morti, sfollati, usurpati, donne violentate), quale notevole forzo è prendere proprio ‘questi‘ per provare che la giustizia messicana è fallita e opportunista.

O “era”, come suggerisce Ana Laura Magaloni, che, facendo sfoggio di benevolenza, ritiene che ormai siamo in democrazia, che i governi priisti sono “il vecchio regime” e questo incarceramento irregolare di indigeni è la remora di un Messico che non esiste più. Cose che succedevano “negli anni dell’autoritarismo messicano” (Reforma, 1° agosto 2009).

A qualcuno verrebbe da pensare che gente come questa ricercatrice legga qualcosa di più dei giornali per sapere come vanno le cose. O almeno i giornali. Nel paese militarizzato di oggi, “l’autoritarismo” non esiste, per quanto si vede. E la giustizia è giusta ed equilibrata, senza nessuna influenza politica, davvero indipendente. E lo si vedrà quando uscirà qualcuno di questi paramilitari: sarà il trionfo della giustizia “in democrazia”.

Questi avvocati hanno le loro ragioni. Fanno un’elaborazione meticolosa e fantasiosa. Soprattutto di certi episodi della loro “ricostruzione”, già descritta alla fine del 2007 da Ricardo Raphael ne El Universal; Héctor Aguilar Camín, in Nexos, così come Magaloni ed altri studiosi ed editorialisti. Un esempio di questa ricostruzione sarebbe la fantastica “battaglia” di Acteal (Nexos, dicembre 2007). Un altro, la cattura di 24 paramilitari durante il corteo funebre di Las Abejas e delle basi di appoggio dell’EZLN diretti ad Acteal, il 24 dicembre 1997.

Secondo Aguilar Camín (Milenio, 4 agosto), quel Natale la PGR fermò queste persone “nel modo seguente”: “Mentre si svolgeva il corteo funebre per le vittime di Acteal, un camioncino a rimorchio diretto verso il capoluogo del municipio di Chenalhó trasportava diversi personaggi delle comunità convocati dal sindaco per una riunione.

“Erano tutti antizapatisti, della fazione avversaria. Il camioncino fu bloccato dal corteo che, per ragioni di sicurezza, era scortato da agenti della PGR. Alcune donne gridarono indicando quelli che viaggiavano sul camioncino: ‘Sono gli assassini. Sono loro’. La PGR fermò 24 persone senza altra prova che la segnalazione dei partecipanti al corteo.”

Come molti altri testimoni, anche io mi trovavo lì. Il momento è stato filmato. Chi scortava il corteo erano centinaia di zapatisti incappucciati, non agenti della PGR, ed i defunti erano accompagnati dal vescovo Samuel Ruiz García. Il dolore e l’orrore dei presenti era immenso. In quel momento, con precisione sospetta, arrivò in direzione opposta un camion a rimorchio pieno di contadini scortato dalla polizia municipale di Chenalhó. Letteralmente, si scontrò con i morti di Acteal, ad Acteal. E con i sopravvissuti.

Immediatamente salirono le voci, il clamore, e non solo delle donne. I partecipanti al corteo funebre li identificarono come paramilitari. Un momento di insostenibile tensione. Non ho mai smesso di pensare che qualcuno aveva preparato a tavolino la situazione per un linciaggio. Con cronometrica perversione. Ma non era un corteo violento, e non lo sarebbe diventato. Un cordone di zapatisti incappucciati circondò il camion, con disciplina ed efficacia, per impedire che la folla raggiungesse i passeggeri e Samuel Ruiz intervenne per calmare gli animi.

In quel momento nessuno dei paramilitari negò di esserlo. La loro fu la reazione di colpevolezza e di paura. Chinarono la testa. Perché nessuno disse “non sono stato io”? Almeno uno. Non sarebbe stata la cosa più normale? No, poi scoprirono solo di essere stati ingannati. Usati.

Per il resto, non fu la PGR che li “salvò” dalla folla. Semplicemente, agli occhi del mondo e delle vittime vive, la polizia federale si vide obbligata a compiere il suo dovere. Qualsiasi camion con passeggeri visibili a bordo avrebbe suscitato quella denuncia immediata e dolorosa? Sono sicuro di no.

Non è l’unico episodio inesatto nelle ricostruzioni del revisionismo storico degli autonominati riesumatori di Acteal. Uguali le loro versioni della violenza nella cava di Majomut mesi fa, e la “battaglia” di Acteal dove un presunto (e indimostrabile) fuoco incrociato avrebbe liquidato 45 persone che si trovavano lì in mezzo, in ginocchio, a pregare.

In un’intervista ancora inedita, registrata questo anno, Aguilar Camín spiega diffusamente la sua versione di tutto questo, con disinvoltura da storiografo convinto delle sue fonti. E per esemplificare la tesi secondo la quale i cattivi non erano i cattivi, e neanche i buoni erano così buoni, sostiene con soddisfazione che Las Abejas di Acteal, “sono api di notte, e bestie di giorno” (dove bestie equivale a zapatisti armati, come sono riuscito a capire).

Il linguaggio non perdona.

La Jornada – Mercoledì 5 agosto 2009 http://www.jornada.unam.mx/2009/08/05/index.php?section=opinion&article=019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo )

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La Jornada – Martedì 4 agosto 2009

I responsabili appartengono al gruppo evangelico chiamato “non cooperanti”

Sequestrate cinque bambine di Mitzitón

Hermann Bellinghausen

San Cristóbal de las Casas, Chis., 3 agosto. A  Mitzitón proseguono le aggressioni contro gli ejidatarios da parte degli evangelici denominati “non cooperanti”. Ora sono state sequestrate da questo gruppo cinque bambine della famiglia Heredia Heredia, praticamente in presenza degli agenti della Polizia Statale Preventiva (PEP). I fatti sono avvenuti venerdì 31 luglio e fino ad oggi le ragazze sono ancora rinchiuse nella casa di Pascual Heredia Díaz, uno degli aggressori che lo scorso 21 luglio ferirono cinque indigeni e causarono la morte di Aurelio Díaz Hernández.

Le autorità ejidali riferiscono che “mentre la famiglia del nostro compagno Fernando Heredia Heredia discuteva del problema presente nella comunità, della distruzione del loro camioncino e di una delle sorelle che appartiene al gruppo dei non cooperanti, è arrivata la Polizia Statale Preventiva.”.

Nel frattempo, “il signor Pascual Heredia Díaz è entrato in casa dei genitori di Fernando, Julio Heredia Hernández e Juana Heredia Ruiz, ed insieme ai suoi tre figli ha preso con violenza e portato a casa sua nel quartiere di Calvario le sorelline di Fernando: María di 16 anni; Carmela di 11; María Magdalena di 7 e Teresa Heredia Heredia di 4.” Ed anche la più grande, Olga, che è evangelica.

Il camioncino sopracitato, di colore bianco, è quello che è stato distrutto il giorno 21 dai seguaci della chiesa Alas de Águila e membri dell’Ejército de Dios. Lo stesso Fernando era stato gravemente ferito a bastonate mentre lo tirarono fuori a botte dal veicolo, qualche attimo prima che un veicolo Chevrolet blu degli aggressori investisse quattro indigeni, uccidendo uno di loro.

“Fino ad oggi non vuole consegnare le bambine”. I parenti hanno saputo “che stanno male, perché non danno loro da mangiare.”

Il commissario ejidale Juan Díaz Heredia ed il consiglio di vigilanza, guidato da Jesús Heredia de la Cruz, dopo aver sporto denuncia presso il Palazzo di Giustizia di San Cristóbal de las Casas , questo pomeriggio hanno dichiarato: “Quest’azione dei ‘non cooperanti’ e delinquenti sempre per farci cadere nella loro provocazione, ma la nostra comunità sarà sempre vigile per difendere la sua autonomia ed il suo diritto. Chiediamo al malgoverno il suo intervento immediato affinché queste bambine siano riconsegnate ai loro famigliari. Perché conosce molto bene quali sono gli accordi della nostra comunità.”.

Inoltre, venerdì scorso erano stati fermati altri due membri del gruppo di evangelici guidato da Carmen Díaz López, mentre trasportavano 47 clandestini centroamericani. Nonostante la flagranza del reato, Miguel Díaz Gómez e Julio Gómez Hernández sono stati liberati due ore dopo, senza accuse.

Mercoledì 29 luglio, l’avvocato e pastore evangelico Esdras Alonso González, capo dell’Ejército de Dios, ha tenuto una conferenza stampa in questa città per difendere i suoi correligionari dalle accuse mosse loro dagli ejidatarios di Mitzitón, rispetto all’invasione di terre comunali per far passare l’autostrada a Palenque, ed al ferimento di cinque indigeni e l’uccisione di un altro.

Alonso González ha dichiarato che la chiesa Alas de Águila “non proteggerà mai chiunque sia fuori dalle legge. ” Ed ha aggiunto: “Il traffico di clandestini non è cosa di adesso, ma dura da molto tempo. L’autostrada, se passerà da qui, bloccherà il traffico di clandestini ed è un bene che si faccia. Si puniscano i responsabili.”

In una curiosa contraddizioni in termini, ha dato ad intendere che l’opposizione alla strada a Mitzitón “è perché colpisce gli interessi del traffico di clandestini e del disboscamento illegale”, attribuendo i reati agli ejidatarios dell’Altra Campagna.

Il pastore ha ammesso: “Non siamo contro la costruzione dell’autostrada perché è per lo sviluppo. Se loro hanno le loro ragioni, che le espongano e le difendano, ma senza metterci in mezzo, perché da tre o quattro mesi ci accusano di avere degli interessi nella costruzione dell’autostrada, ma non è vero.”

Due giorni dopo cadevano nelle mani dai poliziotti due polleros (trafficanti di clandestini – n.d.t.) della sua chiesa, Alas de Águila. Per la terza volta, con tutto la “mercanzia”. E per la terza volta sono stati immediatamente liberati. Ciò nonostante, il pastore insiste nell’incolpare gli ejidatarios del traffico illegale, e perfino di aver ammazzato il loro proprio compagno. Tale versione è sostenuta da lui e da Refugio Alcázar, quali avvocati degli evangelici.   http://www.jornada.unam.mx/texto/014n1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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Scontri tra basi EZLN e Orcao.

La Jornada – Martedì 4 agosto 2009

Si riaccendono gli scontri tra le basi di appoggio dell’EZLN e la Orcao

Ángeles Mariscal

Tuxtla Gutiérrez, Chis., 3 agosto. Più di 15 persone sono rimaste ferite dopo uno scontro tra basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e militanti dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) che si disputano la proprietà Bosque Bonito ed una porzione di El Prado, nella zona di Cuxuljá, municipio di Ocosingo.

Gli scontri si sono verificati venerdì, ma la Segreteria di Pubblica Sicurezza del Chiapas lo ha reso noto solo oggi, comunicando che diverse persone sono state aggredite con armi da taglio. 

Alcune persone si erano recate presso la presidenza municipale di Ocosingo per riferire dello sgombero che presumevano avrebbero commesso le basi di appoggio dell’EZLN residenti nel municipio autonomo di Moisés Gandhi.

La stessa presidenza ha comunicato che secondo la Segreteria della Riforma Agraria le due proprietà non superano i 2.000 ettari, su cui vivono circa 600 coloni, ma fanno parte di circa 50 poderi che nel 1994 occuparono prendendone possesso gli indigeni di Ocosingo, in azioni congiunte con l’EZLN e le organizzazioni contadine e sociali della zona.

Quindi i gruppi si separarono ed a Bosque Bonito e El Prado la Orcao gestì i terreni a suo favore. Fece sì che li comprasse il governo federale grazie al cosiddetto Fideicomiso 95; ma le basi di appoggio dell’EZLN hanno continuato a reclamarli come propri e lo scorso venerdì hanno cercat di recuperarli. 

Elementi della Orcao hanno chiesto alle organizzazioni non governative ed al “popolo credente della diocesi di San Cristóbal” di accorrere nella zona e fare da mediatori nel conflitto.                                            http://www.jornada.unam.mx/texto/014n2pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo  https://chiapasbg.wordpress.com )

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