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La Jornada – Martedì 28 maggio 2012

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón riprendono la battaglia legale in difesa del loro territorio

Hermann Bellinghausen

L’ejido chiapaneco di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, questa settimana riprende la battaglia legale che sostiene da più di tre anni in difesa del suo territorio e del diritto all’autodeterminazione comunitaria. Questo lunedì, i rappresentanti della comunità tzeltal si sono recati presso il Consiglio della Magistratura Federale (CJF) e l’ufficio dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, per chiedere la devoluzione di una parte del suo territorio, della quale si sono arbitrariamente impossessate le autorità federali e del Chiapas il 2 febbraio 2011.

Abbiamo presentato un nuovo scritto al presidente del CJF, Juan Silva Meza, affinché garantisca imparzialità e indipendenza nella soluzione del ricorso presentato nel 2011, ha comunicato Ricardo Lagunes Gasca, rappresentante legale degli ejidatarios che accompagna i delegati indigeni. Il 30 gennaio scorso, il giudice settimo di Tuxtla Gutiérrez ha decretato l’archiviazione del ricorso, ritenendo che l’ejidatario autorizzato dalla comunità, Mariano Moreno Guzmán, non avesse i requisiti di Legge per essere rappresentante dell’ejido. D’altra parte, avevano chiesto che si prendesse in considerazione il carattere apocrifo del verbale di assemblea presentato a loro volta dalla Segretaria Generale di Governo chiapaneco e dal commissario ejidale al suo servizio, Francisco Guzmán Jiménez.

Verbale apocrifo

Il giudice lo ha ritenuto però valido stabilendo che l’ejido aveva dato il suo consenso per l’installazione del botteghino unico di ingresso alle cascate di Agua Azul, avallando così che il governo lo gestisse, anche se il documento non presentava le firme degli ejidatarios né la comunicazione della convocazione di assemblea.

Gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona avevano presentato appello contro la sentenza n. 118/2013, che è stato risolto il 16 maggio scorso. La decisione di un tribunale in Chiapas, pubblicata il giorno 22, revoca la sentenza del 30 gennaio considerandola illegale ed ordina di “depositare il procedimento affinché si notifichi all’assemblea generale il ricorso presentato da Moreno Guzmán, come avrebbe dovuto avvenire il 4 marzo 2011, e non due anni dopo”.

Gli indigeni, ha dichiarato il loro avvocato, hanno detto al ministro Silva Meza che si aspettano che il caso si risolva in conformità con i diritti dei popoli indigeni e le riforme del 10 giugno 2011; che garantisca che il giudice non decida sul tema solo dalla prospettiva del diritto agrario (più restrittivo e meno protettivo delle norme internazionali) e che si garantiscano i più alti standard di protezione dei diritti dei popoli rispetto a territorio, diritto alla consultazione e consenso libero, previo e informato.

Inoltre, le autorità autonome aderenti alla Sesta hanno inviato una petizione alla Commissione Interamericana de Diritti Umani a Washington, in relazione al saccheggio  del loro territorio, alla repressione e criminalizzazione della loro organizzazione da parte del governo del Chiapas.

Intanto, il Movimiento por Justicia del Barrio di New York, il Grupo de Solidaridad con Chiapas del Dorset ed i comitati La Palabra Verdadera ad Alisal e Calcuta, hanno convocato La Settimana di Azione Mondiale a favore di questa lotta, dal 25 giugno al 2 luglio. Puntualizzano che l’iniziativa, appoggiata dagli ejidatarios, è in risposta al selvaggio assassinio di Juan Vázquez Guzmán, dirigente della Sesta a San Sebastián Bachajón, il 24 aprile. Rilevano che le comunità tzeltal sono attaccate dalle forze del capitalismo e dalle imprese transnazionali presenti in ogni angolo del mondo. 

Qui ambiscono alle cascate di Agua Azul per trasformarle in una destinazione turistica di lusso, sostengono. Gli ejidatarios, che hanno ereditato queste terre che preservano, sono un ostacolo, e quindi sono oggetto di minacce, aggressioni, detenzioni arbitrarie, sparizioni, arresti, tortura ed attacchi da parte di forze governative e gruppi paramilitari. http://www.jornada.unam.mx/2013/05/28/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1° febbraio 2013

Respinto l’appello degli jidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis. 31 gennaio. Un giudice federale ha respinto l’appello presentato dagli ejidatarios tzeltales di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, che da due anni chiedono la restituzione delle terre occupate dalle autorità governative e da gruppi filogovernativi locali. Il 2 febbraio del 2011 gli ejidatarios, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, erano stati spossessati violentemente da civili, con il sostegno della forza pubblica, delle terre ad uso comune, per favorire il progetto turistico delle cascate di Agua Azul, municipio di Tumbalá. Gli avvocati Ricardo Lagunes Gasca e Maribel González Pedro, rappresentanti legali degli ejidatarios, denunciano oggi che le considerazioni arbitrarie del giudice José del Carmen Constantino Avendaño costituiscono inequivocabilmente una mancanza di imparzialità ed indipendenza nella sua funzione giurisdizionale e denotano disprezzo per i popoli indigeni e per le riforme costituzionali della difesa e diritti umani. Oggi, come giudice di distretto, Constantino Avendaño ha reso pubblica la sentenza definitiva, emessa questo giovedì, relativa all’appello presentato dall’indigeno Mariano Moreno Guzmán contro la privazione parziale e definitiva di terre di uso comune di San Sebastián Bachajón, da parte di autorità locali e federali, con la complicità del Commissariato e Consiglio di Vigilanza filogovernativi in usurpazione delle loro funzioni. Secondo Lagunes e González Pedro, questa decisione è paradigmatica nell’evidenziare che alcuni giudici cedono davanti alle pressioni delle autorità che derubano i popoli indigeni dei loro territori, e mostra la grande sfida che deve affrontare  il Potere Giudiziale della Federazione per garantire un cambiamento di mentalità tra i suoi funzionari di tutte le gerarchie che permetta una forma diversa di applicare il diritto dalla prospettiva più ampia, progressista e a protezione dei diritti umani. Moreno Guzmán esibì davanti al giudice l’accordo del 13 febbraio di 2011 in cui le autorità ejidali di San Sebastián, senza autorizzazione né consenso dell’Assemblea, consegnarono delle terre di uso comune. Benché, di fatto, queste terre erano “già in possesso dello Stato dal 2 febbraio, dopo lo sgombero violento degli indigeni aderenti alla Sesta da parte di un gruppo di civili armati”. Durante l’iter del processo d’appello, la Segreteria Generale di Governo ed il presidente filogovernativo del Commissariato Ejidale, Francisco Guzmán Jiménez, hanno consegnato un documento definendolo verbale di assemblea. Questo verbale è stato contestato per tempi e forma non essendo conforme agli standard stabiliti dalla legislazione agraria e dai trattati internazionali in materia di diritti dei popoli indigeni. E’ stato “elaborata per simulare la legalità dell’accordo’ “. A giudizio dei difensori, questi documenti non hanno validità né costituiscono un consenso libero, previo e informato del massimo organo dell’ejido rispetto agli atti di esproprio. Inoltre, il comportamento precedente e successivo dei rappresentanti filogovernativi dimostra che non rappresentano gli interessi collettivi della loro comunità, ma proteggono gli interessi del governo per appropriarsi di quel territorio indigeno e minare il movimento sociale che lo difende. http://www.jornada.unam.mx/2013/02/01/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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