La nave va
di Juan Villoro* – 9 ottobre 2020
Nella necessaria rivendicazione dei diritti dei popoli nativi, talvolta si pone l’enfasi sulle loro radici vernacolari e il movimento è limitato agli interessi locali. Questo non è il caso dei nuovi zapatisti. Fin dall’inizio, la loro sorprendente ideologia è stata un’avventura di diversità e inclusione (“Un mondo in cui ci stanno molti mondi”), e hanno convocato incontri di ogni tipo, come l’incontro che non hanno esitato a definire “intergalattico”.
Nel 1996 l’EZLN firmò gli Accordi di San Andrés con i rappresentanti del Presidente Zedillo. La fine del conflitto sembrava in vista; l’autonomia dei popoli nativi era garantita senza violare la sovranità. Si arrivò a questo punto dopo intense discussioni. Chi di noi ha partecipato come consigliere degli zapatisti alle sessioni precedenti la firma, non può dimenticare il rifiuto della delegazione governativa di fare proposte e anche di commentare quanto si diceva: “Siamo qui per ascoltare con rispetto”, ripetevano come un mantra. Tuttavia, si raggiunse un’apparente soluzione. Il paradosso è che, mentre i ribelli si fidavano della loro parola, il governo si preparava a tradirla.
Quattro anni dopo, quando Vicente Fox vinse le elezioni, gli Accordi divennero lettera morta. Nella sua campagna elettorale, il “candidato del cambiamento” prometteva di risolvere il problema del Chiapas in 15 minuti e così insisteva durante il suo insediamento.
Gli zapatisti lo presero sul serio e iniziarono la Marcia del Colore della Terra che si concluse nello Zócalo e permise alla Comandante Esther di parlare nel Parlamento (nonostante l’ardente arringa di Felipe Calderón, allora deputato, per impedire a una donna indigena di rivolgersi alla nazione). Il messaggio zapatista era chiaro: rispetto della legalità e diritto di partecipare nella Casa della Parola, il Congresso dell’Unione, cioè, appartenere al paese. Poco dopo, il PRI, il PAN ed il PRD votarono contro la trasformazione in legge degli Accordi di San Andrés. Così sfumò una possibilità storica. Come nel racconto di Kafka “Davanti alla legge”, si chiudeva una porta che non custodiva altro che un’illusione.
Gli zapatisti si rifugiarono nei loro territori e si dedicarono al compito, meno spettacolare ma senza dubbio epico, di trasformare la vita quotidiana. In “Giustizia Autonoma Zapatista”, Paulina Fernández Christlieb offre un dettagliato racconto dei lavori delle Giunte di Buon Governo e della democrazia diretta che si esercita nei cinque “caracoles” zapatisti.
In questa lotta per l’equità è stata decisiva la prospettiva di genere che nel 2018 ha portato all’Incontro Internazionale delle Donne che Lottano (ripreso nel 2019 con la partecipazione di delegate di 49 Paesi).
Coloro che hanno meno, hanno fornito una continua lezione sul rispetto dell’altro in tempi di polarizzazione, dove il disaccordo è sinonimo di inimicizia.
Un paio di giorni fa hanno annunciato che salperanno per l’Europa per commemorare i 500 anni dalla caduta di Tenochtitlan. Non sono animati da un desiderio vendicativo, ma dal desiderio di dialogare nella differenza.
Riferendosi alla Spagna, partono dal riconoscimento elementare dell’esistenza del meticciato, così come dal multiculturalismo. È assurdo chiedere agli spagnoli di oggi di rispondere della politica imperiale di Carlo I e Filippo II. D’altra parte, i messicani non sono estranei al contesto spagnolo. Nel loro ampio comunicato, gli zapatisti ricordano che l’intera specie proviene dall’Africa e che i crimini che condannano sono recenti quanto l’omicidio dell’ambientalista Samir Flores Soberanes, che si opponeva alla centrale termoelettrica di La Huexca, Morelos.
La traversata zapatista mostrerà che il realismo magico può essere pratica e che ciò che è alieno migliora ciò che è proprio: “Parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non pretendere che ci chieda perdono … Per cosa ci dovrebbe chiedere perdono la Spagna? Di aver partorito Cervantes?”.
Gli scettici parleranno di romanticismo delirante e paranoico della manipolazione internazionale. Non sarà la prima volta che un viaggio senza rotte definite sembri assurdo a chi ignora che il nuovo è caratterizzato dal non essere accaduto prima.
“Aprile è il mese più crudele”, ha scritto T. S. Eliot ne “La Terra Desolata”, una poesia concepita tra due guerre mondiali.
Nell’aprile 2021 gli zapatisti proporranno un altro modo di risiedere sulla Terra.
*Juan Villoro. Scrittore, Premio Herralde de Novela 2004 e del Premio Rey de España per il suo testo “La Alfombra Roja, el imperio del narcotráfico”.
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