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Los de Abajo

 Maggiorenne

Gloria Muñoz Ramírez

18 anni fa l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) irrompeva nella vita pubblica del paese e del mondo. Questo primo di gennaio l’insurrezione diventa maggiorenne, una maturità politica rappresentata dal lavoro quotidiano di più di mille comunità indigene che organizzano la propria autonomia in un processo ancora non comparabile con i molti altri presenti in tutto il paese. Nelle cinque regioni del Chiapas dichiarate in ribellione continua ad esserci un esercito regolare armato. Non usa le armi, vero, perché è vigente l’impegno per la pace che ha stipulato con la società civile nelle prime settimane del 1994.

18 anni fa gli zapatisti arrivarono per restare, nonostante le molte offensive militari, paramilitari, di contrainsurgencia, intellettuali, i mezzi di comunicazione ed i partiti, alle quali hanno resistito durante i governi federali di Carlos Salinas, Ernesto Zedillo e Vicente Fox, ed attualmente di Felipe Calderón.

18 anni fa gli zapatisti tzotziles, tzeltales, zoques, mames, tojolabales, choles e meticci, fecero la loro apparizione pubblica con la presa di sette capoluoghi municipali del Chiapas. Non sono gli stessi di allora, come non lo è il paese che li vide nascere nella clandestinità nel 1983, quello che li ricevette l’alba del primo gennaio del 1994, quello che percorsero da sud a nord nel 2006, né quello che in questo momento è infognato in una guerra in “contro il narcotraffico” che è costata la vita a più di 50 mila persone.

Il 6 maggio scorso, in un’affollata manifestazione, dopo cinque anni di assenza al di fuori del loro territorio, più di 20 mila basi di appoggio hanno unito il loro grido e silenzio a quello del Movimento per la Pace. La loro posizione è stata la stessa di 18 anni fa: “Non siamo qui per indicare strade, né per dire che cosa fare, né per rispondere alla domanda: che cosa succederà”.

La lotta zapatista non è nata né è proseguita sulla base di rivendicazioni puramente indigene. Fin dall’inizio, raccontano, si pensò alla lotta nazionale. Il tenente colonnello Moisés una volta spiegò che nel 1983 si domandavano: “Come faremo per avere buona assistenza sanitaria, buona educazione, buone case per tutto il Messico? In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (non lo chiamavamo ancora società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia, perché avremmo combattuto e saremmo morti per lui, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, come sarà? E se non ci accetteranno?” http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/opinion/013o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada-Sabato 31 dicembre 2011

Seminario in Chiapas sui parametri imposti dal potere. Il progresso: falsa promessa dei ricchi per rubare ai poveri

Dopo 18 anni le comunità indigene ancora devono far fronte alla guerra

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 dicembre. Con la sfida di affrontare il concetto innovativo della “potenza dei poveri“, che l’intellettuale tzeltal Xuno López ha definito “provocatorio”, a mezzogiorno è iniziato il secondo Seminario Internazionale di Riflessione ed Analisi, nella Cideci-Università della Terra, in questa città. Ha dato avvio al dibattito la presentazione del libro-conversazione dei pensatori Jean Robert e Majid Rahnema, che ha proprio questo titolo. Come intendere da lì lo sviluppo, il progresso ed in generale i parametri imposti dal potere?

Convocato alla vigilia del diciottesimo anniversario dell’insurrezione dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, nella sessione del mattino il seminario ha anche dato luogo ad una precisa effemeride dell’antropologa Mercedes Olivera, sulla ribellione zapatista e la guerra occulta, economica e paramilitare che ancora devono affrontare le comunità indigene del Chiapas dalla resistenza e l’autonomia, dalle quali emana la loro forza. Sarebbe questa la “potenza” cui allude l’opera di Rahnema e Robert.

Lo stesso Robert, durante la prima sessione, ha enunciato l’opposizione tra “la povertà come sintomo della ricchezza” e “la ricchezza come sintomo della povertà”. Da dove guardare? O come López ha sottolineato: “i poveri, lo sono secondo chi?”, cercando di trovare una traduzione nella sua lingua, oppure in tzotzil, di quel concetto generalizzato dal sistema di dominazione. Poi, Rafael Landerreche, educatore e collaboratore di Las Abejas di Acteal, ha fornito una caratterizzazione di questo “dogma” imposto dall’educazione e dall’ideologia, citando l’infallibile scrittore inglese Chesterton, che diceva che il progresso è la storia che i ricchi raccontano ai poveri ogni volta che i ricchi li vogliono derubare di qualcosa.

Xuno López, originario di Tenejapa, che ha iniziato il suo intervento in tzotzil, in considerazione che questa è la lingua di un gran numero dei presenti, ha fatto un esempio molto eloquente, che di fatto è servito ad illustrare tutta la sessione: “la falsa promessa evidente” della città rurale di Santiago el Pinar, una comunità degli Altos reputata dal governo povera tra i poveri alla quale il governo e diverse imprese hanno costruito una “città” affinché abbandonasse le case sui loro terreni per andare, si presume,” a vivere meglio”.

Seguendo la similitudine del bastone e la carota,utilizzata da quasi tutti i conferenzieri, López ha detto che i coloni di El Pinar, quasi obbligati ad accettare la promessa, “hanno beneficiato di queste case, se così si possono definire” ed abbandonato le proprie abitazioni. Dopo essersi stabiliti nelle nuove case hanno perso ogni illusione. Le loro case di origine erano ampie. Ora andavano a vivere meglio, ma secondo chi? La delusione dei fratelli, ha detto, è dovuta al fatto di aver accettato il concetto di povertà dettato dal sistema, poiché “l’arte di vivere dei popoli parte da quello che è necessario, arte che si può trovare nelle comunità”.

Come ha scritto Landerreche nel libro (“che critica i kaxlanes”), esiste una differenza sostanziale tra “un uomo di potere” e “un essere con potenza”. Da qui “si può rinunciare al potere, non alla potenza” (la possibilità di fare, decidere, governarsi). I popoli originari ed i movimenti organizzati si oppongono alla logica divoratrice dell’accumulo di capitale che Jean Robert colloca al primo paragrafo del Capitale di Karl Marx. La logica che impone una ch’ulel (coscienza, anima o spirito, in lingue maya) sbagliata ed aliena, come diceva López, alle persone che si convincono di avere bisogno di quello di cui non hanno affatto bisogno, accettando il bastone per raggiungere la carota del progresso promesso.

Il “sviluppo” che accompagna il saccheggio capitalista “distrugge la povertà dignitosa con la povertà indegna”, nel senso che il sistema capitalista non smette mai di produrre “poveri”, critica al potere condivisa da tutti i partecipanti, tra i quali ci sono anche la ricercatrice Ana Valadez e lo studioso ed attivista zapoteco Carlos Manzo.

Manzo ha detto di trovare questa “potenza dei poveri” nella resistenza dei popoli, che include resistere al pensiero economico occidentale “che non necessariamente riflette la realtà della vita dei popoli indios”. Sostiene che “sono le vere rivoluziona quelle che permettono la libertà”, realizzate da “coloro che sono gli unici supporti degni delle rivoluzioni che funzionano” e garantiscono la dignità del buon vivere. Ha citato le esperienze oaxaqueñas degli ikoots, gli zapotechi e gli zoques dei Chimalapas come lotte concrete contro il saccheggio e per la dignità, che possono dirci “come costruire questi domani differenti”.

López ha affermato: “I popoli hanno contribuito molto al cammino verso il cambiamento attraverso la costruzione delle autonomie. È lì che si trova la nostra potenza come popoli, contro il ch’ulel dei dominatori”.

Le sessioni del Seminario Internazionale sono proseguite in serata con un incontro tra Xóchitl Leyva, Mercedes Olivera, Jerome Baschet e Ronald Nigh. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/31/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 dicembre 2011

Las Abejas commemorano il massacro di Acteal con una giornata di resistenza. Quattordici anni dopo chiedono di punire i responsabili

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 21 dicembre. Da due giorni, dei tre previsti, si stanno svolgendo le commemorazioni della Società Civile Las Abejas del massacro di Acteal a Yabteclum, municipio di Chenalhó, dove le cinque zone dell’organizzazione tzotzil hanno iniziato da martedì alcune “giornate di digiuno e preghiera”; ma anche “di memoria della resistenza”, di conoscenza dell’attuale “situazione di violenza nel nostro paese”.

Le famiglie di Las Abejas hanno accolto nel pomeriggio la marcia “contro la violenza di Stato, per la pace, la memoria e contro l’impunità”, partita da San Cristóbal all’alba di ieri, per alcuni tratti a piedi ed altri in auto, alla maniera delle “torce” guadalupane. Intanto, adActeal, da martedì stanno giungendo gruppi di indigeni cattolici di Simojovel, Chenalhó, Pantelhó e Mitontic.

Come ogni anno in questo giorno, ed ogni giorno 22 di tutti i mesi dei passati quattordici anni, Las Abejas ricordano i loro 45 morti del 1997 e continuano a chiedere giustizia e rispetto da parte delle autorità, così come la punizione degli autori materiali ed intellettuali del massacro.

A nome dell’organizzazione, Antonio Gutiérrez ha dichiarato che nel nostro paese la giustizia viene “garantita unicamente ad amici e soci” dei governanti di turno. Ha citato la responsabilità nei fatti dell’allora governatore del Chiapas, Julio César Ruiz Fierro; del segretario di Governo, Emilio Chuayffet Chemor, e del presidente della Repubblica, Ernesto Zedillo Ponce de León.

Tutte le processioni convergeranno all’incrocio di Majomut, all’altezza della base militare, per dirigersi ad Acteal e celebrare il ricordo con l’abituale contributo di Las Abejas per la denuncia e la solidarietà, e per manifestare anche “contro l’impunità da nord a sud del nostro paese” e “l’accelerato processo di militarizzazione, paramilitarizzazione e mancanza di controllo sociale”, come deliberata strategia del governo di Felipe Calderón Hinojosa.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 18 dicembre 2011

Sospese le cure mediche al detenuto dell’Altra Campagna Alberto Patishtán

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 17 dicembre. I detenuto dell’Altra Campagna che tra settembre e novembre per 39 giorni avevano sostenuto uno sciopero della fame in tre prigioni del Chiapas, senza però ottenere la libertà, salvo per due di loro, annunciano l’intenzione di proseguire “in questa trincea della nostra resistenza” nelle prigioni, perché si dichiarano innocenti. La liberazione di Alberto Patishtán, oggi in una prigione federale in Sinaloa, continua ad essere la principale richiesta del movimento, che va oltre la protesta del digiuno conclusa il passato 7 novembre, per la mancanza di risposte del governo statale.

Il professor Patishtán “è sottoposto a condizioni molto dure nel carcere di Guasave”, informano i detenuti della Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes dal carcere N. 5 di San Cristóbal. In una conversazione telefonica, lo stesso Patishtán ha denunciato che gli è stato sospeso il trattamento medico contro il glaucoma e che è tenuto in isolamento. Non potrà ricevere nemmeno un libro prima di sei mesi. “Mi hanno completamente ignorato”, ha detto.

Uno dei suoi compagni, il promotore di salute Pedro López Jiménez, a conoscenza della malattia di Patishtán Gómez, racconta che quando questi arrivò nella prigione di El Amate a San Cristóbal nell’aprile del 2009, “ci si accorse che stava perdendo la vista dall’occhio destro; allora fu portato in ospedale dove rimase ricoverato per oltre cinque mesi”, e gli fu diagnosticato il glaucoma.

A causa dello sciopero della fame, del quale era portavoce, Patishtán è stato trasferito in una prigione di massima sicurezza “per isolarlo”. Oggi, aggiunge López Jiménez, “gli hanno tolto le gocce che i medici hanno raccomandato di non sospendere nemmeno per un solo giorno; io, come promotore di salute, conosco la malattia di Alberto perché gli mettevo le gocce tutti i giorni quando ero in quella prigione”. López Jiménez chiede al governo federale “di dare istruzioni affinché le gocce siano nuovamente concesse come trattamento del glaucoma”.

Come hanno dichiarato i suoi compagni Rosario Díaz Méndez, Alfredo López Jiménez, Juan Collazo Jiménez e Juan Díaz López, le autorità hanno trattato Patishtán “come un criminale pericoloso, benché il governo dello stato abbia riconosciuto pubblicamente la sua innocenza”. I detenuti indigeni esortano il governo di Felipe Calderón “ad intervenire per la sua liberazione, così come chiediamo il suo trasferimento vicino alla sua famiglia e le cure per la sua malattia”. Chiedono inoltre al governo di Juan Sabines Guerrero a concedere a tutti loro “la libertà incondizionata che ci è stata rubata”.

Grazie allo sciopero, il 16 novembre Juan Collazo Jiménez è stato trasferito dal carcere N. 6 di Motozintla a quello di San Cristóbal de las Casas. Non è stato rilasciato, ma non è più “in punizione” lontano dalla sua famiglia e dai suoi compagni da un anno, sottoposto a tortura psicologica e punizioni fisiche come parte di “una strategia di destrutturazione sociale e politica”, sostengono i detenuti.

Il 15 novembre, grazie allo sciopero della fame, sono stati liberati due dei detenuti dell’Altra Campagna, Andrés Núñez Hernández e José Díaz López.

Tuttavia, Alfredo López Jiménez e Rosario Díaz Méndez hanno denunciato “la carente assistenza medica” nel carcere N. 5, per mancanza di personale, medicine e risorse materiali. Con queste pratiche, denunciano, “l’istituzione penitenziaria a carico del Sottosegretariato degli Istituti Penali del Chiapas, viola gli articoli 4 e 18 della Costituzione sul diritto alla salute dei reclusi nei penitenziari della Repubblica”, così come i relativi trattati internazionali.

Qualche giorno fa, i detenuti aderenti all’Altra Campagna hanno così ringraziato per la solidarietà internazionale ricevuta: “Anche se non abbiamo ottenuto politicamente nulla, abbiamo ottenuto molto più di quello che immaginavamo, perché abbiamo il vostro immenso appoggio nel chiedere la giustizia e la libertà. Siamo qui con rinnovata volontà di continuare a lottare con coraggio e forza. Non importano gli ostacoli e gli oltraggi, perché noi siamo una famiglia numerosa quante sono le stelle la cui luce è visibile da lontano, che è la solidarietà con le nostre lotte”. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/18/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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IIº Seminario Internazionale di riflessione e analisi “Pianeta terra: movimenti antisistema”. CIDECI, dal 30 dicembre al 2 gennaio

Partecipanti confermati:

… Pablo González Casanova, Sylvia Marcos,
Boaventura de Souza, Fernanda Navarro, Javier
Sicilia, Julieta Paredes (Bolivia),
Jean Robert, Anselm Jappe, Mercedes Olivera,
Gustavo Esteva,
Luis Villoro, Carlos Marentes (Texas), Paulina
Fernández C., Luis Andrango (Ecuador), Xóchitl
Leyva, Nelson Maldonado T., Jérôme Baschet…

30-31 dicembre 2011
1-2 gennaio 2012

CIDECI-UNITIERRA CHIAPAS
Camino Viejo a San Juan Chamula s/n.
Colonia Nueva Maravilla.
San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico
email: unitierra_chiapas@prodigy.net.mx

Questo è quello che ci dicono le loro parole ed i loro silenzi: Che la storia del Messico è tornata a macchiarsi di sangue innocente. Che decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra assurda che non porta da nessuna parte. Che la pace e la giustizia non hanno più posto in nessun angolo del nostro paese. Che l’unica colpa di queste vittime è essere nati o abitare in un paese malgovernato da gruppi legali e illegali assetati di guerra, di morte e di distruzione. Che questa guerra ha come principale bersaglio militare esseri umani innocenti, di tutte le classi sociali, che non hanno niente a che vedere né col narcotraffico né con le forze governative. Che i malgoverni, tutti, federale, statali e municipali, hanno trasformato le strade in zone di guerra senza che chi le percorre e vi lavora fosse d’accordo ed avesse gli strumenti per proteggersi (…) Che i malgoverni hanno creato il problema e non solo non ‘hanno risolto, ma l’hanno esteso ed approfondito in tutto il Messico. Che c’è immenso dolore e pena per tante morti senza senso.  Stop alla guerra. Basta sangue. Ne abbiamo abbastanza. Ora basta.

Parole dell’EZLN a sostegno della Marcia Nazionale per la Pace
7 maggio 2011

Sì, è vero, possiamo organizzarci. E non solo i sapienti malgoverni, anche noi abbiamo una testa, abbiamo idee per pensare a come organizzare, come organizzarci… Anche noi lotteremo con tutto il popolo del Messico… ed invitiamo tutta la gente ad organizzarsi per unirsi alla lotta, perché se non lotteremo, se cederemo ai malgoverni ci inganneranno…  Sì, possiamo governarci, lo abbiamo già visto che possiamo formare il nostro municipio, anche se non piace al malgoverno… ma, lo abbiamo fatto perché è un nostro diritto.

Comandanta Dalia (“Intervista a Radio Insurgente”, Rebeldía, 78, 2011)

 Oggi più che mai le forze globali modellano la vita dei popoli. Il nostro lavoro, salute, casa, educazione e pensioni sono controllate da banche, mercati, paradisi fiscali, corporazioni e crisi finanziarie. L’ambiente è distrutto dall’inquinamento. La nostra sicurezza è determinata da guerre internazionali e dal commercio internazionale di armi, droga e risorse naturali.  Stiamo perdendo il controllo sulle nostre vite. Questo si deve fermare. Questo si fermerà.  I cittadini del mondo devono prendere il controllo sulle decisioni che li colpiscono a tutti i livelli, dal globale al locale. Questa è la democrazia globale. Questo è quello che oggi chiediamo.  Come zapatisti messicani, diciamo “Ora basta. Qui il popolo comanda ed il governo obbedisce!”. Come nelle piazze occupate in Spagna diciamo “Democrazia Vera Adesso! “. Oggi ci rivolgiamo ai cittadini del mondo:  Globalizziamo Piazza Tahrir! Globalizziamo la Puera del Sol!

Manifesto ” Uniti per una democrazia globale” (15 ottobre 2011)

Media liberi che copriranno l’evento dal vivo e con aggiornamenti:

http://chiapas.indymedia.org
http://www.komanilel.org
http://radiopozol.blogspot.com

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/12/08/ii%C2%BA-seminario-internacional-de-reflexion-y-analisis-planeta-tierra-movimientos-antisistemicos-cideci-dic-30-a-ene-02/

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La Jornada – Lunedì 12 dicembre 2011

ONG: I governi del Chiapas e federale minacciano l’integrità dei popoli indigeni, che respingono il programma REDD+, “perché implica la privatizzazione di un bene comune” come l’aria

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 dicembre. Una ventina di comitati ed organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno diffuso una dichiarazione nella quale esprimono il timore della “minaccia costituita sia dal governo del Chiapas sia dal governo federale ed imprese private, per l’integrità dei territori dei popoli indigeni e rurali e dei loro stili di vita”.

Riuniti in questa città nel Forum Regionale per la Difesa dei Diritti Umani “per discutere i problemi e le sfide” della validità di queste garanzie nella regione, organismi indipendenti di tutto lo stato hanno concluso che “la vita delle comunità indigene e contadine deve affrontare molte minacce  di fronte al deterioramento e saccheggio dei territori e dei suoi beni naturali, che genera altra povertà e la rottura del tessuto sociale, che si traduce in crescente emigrazione e scontento”.

Ritengono che “le politiche restrittive di migrazione alle nostre frontiere sud e nord generano condizioni di gravi violazioni dei diritti fondamentali, attentano alla vita, all’integrità fisica ed alla libertà dei migranti da parte degli agenti statali o di gruppi criminali protetti dai primi”.

La protesta sociale derivante “dallo scontento e dall’indignazione” sono “durante soffocate dalle forze di sicurezza o per via giudiziaria, in particolare contro i difensori dei diritti umani”.

Le organizzazioni si sono espresse in particolare contro il programma Reducción de Emisiones por Deforestación y Degradación Evitada plus (REDD+), promosso dai governi chiapaneco e federale, “perché implica la mercificazione e privatizzazione di un bene comune, come l’aria pura, e perché è stato studiato come parte della strategia di saccheggio del territorio ed abuso sociale nella Selva Lacandona, ed implica lo sgombero ed il ricollocamento forzato di 40 comunità indigene”.

Esprimono preoccupazione “per la latente riattivazione” della miniera in Chicomuselo, data in concessione ad una società canadese “che, secondo alcune voci, sarebbe stata trasferita ad un’impresa a capitale cinese”. L’attività della miniera ha già colpito l’ambiente delle comunità limitrofe, senza rispettare il diritto di essere consultate. Il pronunciamento si unisce alle organizzazioni locali che esigono la cancellazione dei permessi di sfruttamento.

Importanti organizzazione del Chiapas come Frayba, Fray Matías de Córdova, Oralia Morales, Digna Ochoa e Melel Xolobal, hanno chiesto di fermare la costruzione delle città rurali “perché colpiscono le forme tradizionali di produzione e di vita della popolazione locale, oltre a non apportare i millantati miglioramenti  nell’accesso ai servizi”. Esprimono preoccupazione perché il ricollocamento “è una forma velata di spostamento forzato in favore di interessi economici alieni alle comunità”. Citano l’annunciata costruzione di una quinta diga sul fiume Grijalva, a Copainalá, di una città rurale nello stesso municipio e di un’altra aIxhuatán, dove sono state denunciate prospezioni minerarie.

Manifestano solidarietà “con la lotta per la terra ancestrale dei fratelli zoques nella regione dei Chimalapas, e si augurano che “le comunità oggi vessate dai governi di Chiapas e Oaxaca trovino accordi di convivenza pacifica”. Nello stesso tempo, si uniscono alla richiesta di tariffe eque rispetto a bollette “irrazionali ed ingiustificate” della Commissione Federale dell’Elettricità.

In particolare, denunciano “il terribile deterioramento ambientale delle paludi di Centla, casa dei nostri fratelli maya chontales , le cui tradizioni culturali legate alla madre terra sono state pregiudicate dallo sfruttamento sconsiderato della Petróleos Mexicanos e dalla gestione delle acque del governo di Tabasco e della Commissione Nazionale dell’Acqua, che deviano l’acqua da Villahermosa verso le paludi, obbligando da cinque anni gli abitanti a vivere inondati. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/12/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Subcomandante Insurgente Marcos. UNA MORTE… O UNA VITA (Quarta lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica)

UNA MORTE… O UNA VITA

Ottobre-Novembre 2011

Chi nomina chiama. E qualcuno accorre, senza appuntamento, senza
spiegazioni, nel luogo in cui il suo nome, detto o pensato, lo sta
chiamando.
Quando ciò accade, si ha il diritto di credere che nessuno se ne va del
tutto finché non muore la parola che chiamando, lo riporta.
Eduardo Galeano.
“Finestra sulla Memoria”, da Las Palabras Andantes. Ed. Siglo XXI.

Per: Luis Villoro Toranzo.
Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Don Luis:

Salute e saluti.

Prima di tutto, auguri per il suo compleanno il 3 novembre. Speriamo che con queste lettere riceva anche l’abbraccio affettuoso che, anche se a distanza, le mandiamo.

Proseguiamo quindi in questo scambio di idee e riflessioni. Forse ora più solitari per la confusione mediatica che si solleva intorno alla definizione dei nomi dei tre bricconi che si disputeranno la guida sugli insanguinati suoli del Messico.

Con la stessa frenesia con cui spediscono le loro fatture per “spese di promozione immagine”, i mezzi di comunicazione si allineano alle diverse parti. Tutti concordano che le scempiaggini che esibiscono con impudicizia i rispettivi aspiranti, si possono coprire solo facendo più rumore sopra quelle dell’avversario.

Il periodo dell’ansia degli acquisti natalizi coincide con la vendita delle proposte elettorali. Chiaro, come la maggioranza degli articoli che si vendono in questo periodo dell’anno, senza garanzia alcuna e senza la possibilità di restituzione.

Dopo le esequie del suo ex-segretario di governo, Felipe Calderón Hinojosa è corso gioioso “all’estremo saluto” per dimostrare che ciò che importa è consumare, non importa che i sottosegretari di Stato siano morituri e con indeterminata data di scadenza.

Ma, anche in mezzo al rumore ci sono suoni per chi sa cercare ed ha la determinazione e la pazienza sufficienti per farlo.

Ed in queste righe che le mando ora, Don Luis, palpitano morti che sono vite.

 

I.- Il potere del Potere.

“La libertà di scelta ti permette di scegliere la salsa con
la quale sarai mangiato.”

Eduardo Galeano.
“Finestra sulle Dittature Invisibili” Ibid.

“Che ci governino, giudichino e se ne occupino le puttane,

visto che i loro figli hanno fallito”
dal blog laputarealidad.org

 

Devo averlo letto o sentito da qualche parte. Era qualcosa come “il Potere non è avere tanti soldi, ma mentire e fare che ti credano molti, tutti, o almeno tutti quelli che contano.”

Mentire in grande e farlo impunemente, questo è il Potere.

Bugie giganti che includono accoliti e fedeli che diano loro validità, certezza, status.

Bugie che diventano campagne elettorali, programmi di governo, progetti alternativi di nazione, piattaforme di partito, articoli su giornali e riviste, commenti in radio e televisione, slogan, credo.

E la bugia deve essere così grande da non essere statica. Deve cambiare, non per diventare più efficace, ma per provare la lealtà dei suoi seguaci. I maledetti di ieri saranno i benedetti appena girate alcune pagine del calendario.

È il Potere – o la sua vicinanza – il grande corruttore?

A lui arrivano uomini e donne con grandi ideali, ed è l’agire perverso e corruttore del Potere quello che li obbliga a tradirli fino ad arrivare a fare il contrario e contraddittorio?

Dal pieno impiego alla guerra sanguinosa (e persa)…

Da “la mafia nel potere” alla “repubblica amorevole”…

Da “seimila pesos al mese bastano per tutto” a “alla fine nemmeno un sondaggio mi è favorevole”…

Da “Dio mio, rendimi vedova” a “Lupita D´Alessio, fammi leonessa di fronte all’agnello”…

Dal gruppo San Ángel allo Yunque totalmente scoperto…

Da… da… da… scusate, ma non trovo niente di significativo che abbia detto Enrique Peña Nieto…

Anzi, trovo che non abbia detto proprio niente, come se si trattasse di una pessima comparsa, di quelle che si vedono nei teleromanzi che balbettano qualche cosa che nessuno capisce. Visto che è così evidente, non gli farebbe male iscriversi al CEA di Televisa (secondo il programma di studi, al primo anno insegnano “espressione verbale”).

So bene che sui mezzi di comunicazione si “è letta” la fotografia della lista di Peña Nieto come unico candidato del PRI (dove appaiono i personaggi principali di questo partito), come dimostrazione del sostegno del partito a questo signore.

Mmh… a prima vista mi era sembrata la foto di una notizia giornalistica su un nuovo colpo al crimine organizzato. Che era stata smantellata una banda di ladri e che il giubbotto antiproiettile, col quale normalmente presentano gli “indiziati”, era stato sostituito dalla camicia rossa.

Poi ho guardato la foto con più attenzione. Beh, quelli non stanno dando dimostrazione di sostegno. È una banda di avvoltoi che si è resa conto che Peña Nieto non è altro che un burattino orfano e che bisogna metterci mano perché, se arriverà alla presidenza, di lui non importerà, ma piuttosto il ventriloquo che lo muove.

La sua designazione come candidato alla presidenza sarà un’ulteriore dimostrazione della decomposizione del Partito Rivoluzionario Istituzionale, e la disputa per vedere chi lo guiderà sarà a morte (e tra i priisti questa non è un’immagine retorica).

Sarà così patetica la situazione che perfino Héctor Aguilar Camín si offrirà per l’adozione… e l’urgente alfabetizzazione della creatura.

Alla fine, continuiamo a chiedere:

È il Potere che corrompe o si deve essere corrotto per accedere al Potere, per restarvi… o per aspirarvi?

Durante uno dei lunghi viaggi dell’Altra Campagna, passando per la capitale del Chiapas, Tuxtla Gutiérrez, dissi che la poltrona governativa chiapaneca doveva avere qualcosa che trasformava persone mediamente intelligenti in stupidi finqueros con pose da piccoli tiranni. Julio guidava, Roger era il copilota. Uno dei due disse “oppure erano già così, ed è per questo che sono diventati governatori”.

Poi aggiunse, parola più, parola meno, il seguente aneddoto: “Passando davanti all’edificio in cui era riunito il congresso, una signora sentì gridare: “Ignorante! Idiota! Puttana! Ladro! Criminale! Assassino!” ed altri epiteti più rudi. La signora, inorridita, si rivolge ad un uomo che fuori dall’edificio legge un libro. “È uno scandalo”, gli dice, “noi li manteniamo con le nostre tasse e questi deputati non fanno altro che litigare e insultarsi”. L’uomo guarda la signora, poi l’edificio legislativo e, tornando al suo libro, dice alla signora: “non stanno litigando né insultandosi, stanno facendo l’appello”.

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II.- Il Potere e la Riflessione sulla Resistenza.

La sinistra è la Voce dei Morti
Tomás Segovia. 1994.

Mmh… il Potere… la prova inconfutabile, il sogno degli intellettuali dell’alto, la ragion d’essere dei partiti politici…

Ora, morto il maestro Tomás Segovia, lo nominiamo, lo evochiamo e lo riportiamo a sedersi tra noi per rileggere, insieme, alcuni dei suoi testi.

Non le sue poesie, ma le sue riflessioni critiche sul e rispetto al Potere.

Pochi, molto pochi, sono stati e sono gli intellettuali che si sono impegnati a capire, non a giudicare, questo nostro accidentato percorso che chiamiamo “zapatismo” (o “neozapatismo” per alcuni). Nell’elenco striminzito ci sono, tra gli altri, Don Pablo González Casanova, Adolfo Gilly, Tomás Segovia e lei Don Luis.

Abbracciamo tutti loro, e lei, come solo abbracciano i morti, cioè, per la vita.

E chi ora ricorda Tomás Segovia solo come poeta, lo fa per scindere quell’uomo dal suo essere libertario. Siccome Don Tomás non può fare niente ora per difendersi e difendere la sua parola completa, si sprecano gli omaggi “taglia e incolla”, che pubblicano e riprendono i pezzi gentili, lascia nell’oblio quelli scomodi… fino a che altr@ incomod@ li ricordano e li citano.

E per non interpretare le sue parole (che può essere intesa come una forma gentile di usurpazione) trascrivo parti di alcuni scritti.

Nel 1994, in piena euforia accusatoria della destra, quella sì istruita perché la guidava Octavio Paz (uno dei suoi cortigiani era l’impresario Enrique Krauze – oh, non si offuschi Don Krauze, agli intellettuali non si può rimproverare di essere di destra o di sinistra, ma, come nel suo caso, che per emergere, invece di usare l’intelletto, ricorrano all’adulazione di ganster come quelli che ora sono al governo -), Tomás Segovia scrisse (le sottolineature sono mie):

Che prevalga una o un’altra forma di fascismo, la verità e la giustizia prendono la forma della Resistenza. 

Ma si può dire che la sinistra è per costituzione resistenza. Senza dubbio la sinistra nel nostro secolo è piombata in un irrimediabile errore storico, e questo errore è stato credere che la sinistra potesse prendere il potere. La sinistra al potere è una contraddizione, la storia di questo secolo ce l’ha abbondantemente dimostrato (…).

Oggi è chiaro, mi sembra, che la sinistra non è diversa dalla destra, collocate entrambe in una relazione opposta ma simmetrica rispetto al potere: la sinistra è innanzitutto l’altro del potere, l’altro ambito e l’altro senso della vita sociale, quello che resta sepolto e dimenticato nel potere costituito, la riscossa del represso, la voce della vita in comune soffocata dalla vita comunitaria, la voce dei diseredati prima di quella dei poveri (e quella dei poveri solo perché sono in maggioranza, ma non esclusivamente, i diseredati) – la sinistra è la Voce dei Morti.

Una delle idee che più ci hanno fatto danno è stata l’idea di “reazionario”, che ci ha fatto pensare che la destra che si oppone al progresso, è resistenza e parla in nome del passato, delle radici, di tutto quanto è “superato”. Così la sinistra si convinceva che la resistenza è il potere nella misura in cui continuava ad essere di destra e si opponeva al progressismo della sinistra nel tentativo disperato di conservare i suoi privilegi e il suo dominio, senza vedere che il potere, sia di destra che di sinistra, è solo resistenza nel significato diverso e molto più semplice: nel rifiutarsi di essere sostituito da un altro potere, sia di sinistra che di destra; ma che di fronte alla storia il potere è sempre progressista.

In Messico, normalmente, questo si vede con particolare nitidezza data la crudezza dei rapporti di potere in questo paese: oggi sappiamo con chiarezza che nessun governo è stato più deciso ed attivamente progressista di quello di Porfirio Díaz, e che ai nostri giorni è il PRI quello che monopolizza e sfrutta la retorica del progresso, del cambiamento, della modernizzazione, del superamento dei nostalgici “emissari del passato”, e perfino di democrazia.

(E questo mi fa pensare che anche la democrazia al potere o del potere è una contraddizione: la democrazia non è “demoarchia” – il popolo al potere è un’utopia o una metafora, molto pericolosa da prendere alla lettera, perché “il popolo”, supponendo che esista o anche se non esiste se non come entelechia, è per definizione ciò che non è al potere, l’altro del potere.)

Ma i miei affascinanti colleghi, quando si consegnano al Governo ben consci che le sue promesse sono false, sono sedotti? Impossibile: la seduzione è desiderio allo stato puro, implica la visione folgorante che il tuo piacere è il mio piacere. Non è possibile una visione in cui il piacere del Potere sia il piacere del “popolo”.

E nel 1996 segnalò:

Parallelamente, in un paese che non pratichi più la proibizione violenta delle espressioni dirette della vita sociale primaria, l’ideologia del potere ci ricatterà chiamandoci puttane – cioè disgregatori, negativi, risentiti, violenti -, o tenterà di persuaderci, come i politologi ed altri intellettuali cercano di persuadere gli zapatisti, come tentano di persuadermi i miei colleghi (incominciando da Octavio Paz), che la “vera” via di esprimerci e di influire sulla vita sociale è entrare nelle istituzioni – o in quell’istituito in generale.

-*-

Don Luis, credo che concorderà con me che, rispondendo a questi testi provocatori di Tomás Segovia, la riflessione su Etica e Politica deve toccare il tema del Potere.

Forse in un’altra occasione, e chiamando altri, possiamo scambiare idee e sentimenti (che altro non sono i fatti che animano queste riflessioni), su questo argomento.

Per adesso, vada questa evocazione a Don Tomás Segovia, che dichiarava di non avere tempo di non essere libero e senza imbarazzo confessava: “quasi tutta la vita l’ho guadagnata onestamente, cioè, non come scrittore”.

Non solo per portare qui la sua parola irredenta, perché capita a proposito.

Ma anche, e soprattutto, perché più che il poeta, è il pensatore che ha aperto una terza porta verso il movimento indigeno zapatista. Guardando, vedendo, sentendo ed ascoltando, Don Tomás Segovia attraversò quella porta.

Cioè, capì.

III.- Il Potere e la Pratica della Resistenza.

Municipio Autonomo Ribelle Zapatista San Andrés Sacamchen de Los Pobres, Altos del Chiapas. La mattina del 26 settembre 2011, il comandante Moisés stava andando a lavorare nella sua piantagione di caffè. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, non riceveva salario o prebenda alcuna. Come tutti i dirigenti dell’EZLN, doveva lavorare per mantenere la sua famiglia. L’accompagnavano i suoi figli.

Il veicolo sul quale viaggiavano si ribaltò. Tutti rimasero feriti, ma le ferite subite da Moisés erano mortali. Quando arrivò alla clinica di Oventik era ormai morto.

Nel pomeriggio, com’è abitudine a San Cristóbal de Las Casas rincorrere le voci, la morte di Moisés attrasse giornalisti avvoltoi che pensarono che il morto era il Tenente Colonnello Insurgente Moisés. Quando seppero che non era lui, ma un altro Moisés, il Comandante Moisés, persero ogni interesse. A nessuno di loro importava qualcuno che non era apparso in pubblico come dirigente, qualcuno che era sempre stato nell’ombra, qualcuno che apparentemente era solo un altro indigeno zapatista…

Nel calendario doveva essere il 1985-1986. Moisés seppe dell’EZLN e decise di unirsi allo sforzo organizzativo quando negli altos del Chiapas gli zapatisti si contava sulle dita delle mani… (ed avanzavano le dita).

Insieme ad altri compagni (Ramona tra loro), cominciò a percorrere le montagne del sudest messicano, ma allora con un’idea di organizzazione. La sua piccola sagoma sbucava dalla nebbia nei territori tzotziles degli Altos. Con la sua parlata lenta snocciolava il lungo elenco di oltraggi perpetrati contro chi è del colore della terra.

“Bisogna lottare”, concludeva.

L’alba del primo gennaio 1994, come uno dei combattenti, scese dalle montagne sull’altezzosa città di San Cristóbal de Las Casas. Era nella colonna che prese la presidenza municipale, costringendo alla resa le forze governative che la difendevano. Insieme agli altri membri tzotziles del CCRI-CG, si affacciò al balcone dell’edificio che dava sulla piazza principale. Dietro, nell’ombra, ascoltò la lettura che uno dei suoi compagni faceva della cosiddetta “Dichiarazione della Selva Lacandona” ad una folla di meticci increduli o scettici, e di indigeni colmi di speranza. Con la sua truppa ripiegò sulle montagne alle prime ore del 2 gennaio 1994.

Dopo aver resistito ai bombardamenti ed alle incursioni delle forze governative, tornò a San Cristóbal de Las Casas come parte della delegazione zapatista che partecipò ai cosiddetti Dialoghi della Cattedrale con rappresentanti del governo supremo.

Ritornò e continuò a percorrere i territori per spiegare e, soprattutto, per ascoltare.

“Il governo non mantiene la parola”, concludeva.

Insieme a migliaia di indigeni, costruì l’Aguascalientes II, ad Oventik, quando l’EZLN subiva ancora la persecuzione zedillista.

Fu uno delle migliaia di indigeni zapatisti che, a mani nude, affrontarono la colonna di carri armati federali che volevano posizionarsi ad Oventik nei giorni funesti del 1995.

Nel 1996, nei dialoghi di San Andrés vigilava, come uno dei tanti, sulla la sicurezza della delegazione zapatista, accerchiata da centinaia di militari.

In piedi, nelle gelate albe degi Altos del Chiapas, resisteva sotto la pioggia che faceva scappare i soldati a rifugiarsi sotto un tetto. Non si muoveva.

“Il Potere è traditore”, diceva come per scusarsi.

Nel 1997, con i suoi compagni, organizzò la colonna tzotzil zapatista che partecipò alla “Marcia dei 1,111”, e raccolse informazioni vitali per fare luce sul massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno, perpetrato dai paramilitari sotto la direzione del generale dell’esercito federale, Mario Renán Castillo, e con Ernesto Zedillo Ponce de León, Emilio Chuayfett e Julio César Ruiz Ferro quali autori intellettuali.

Nel 1998, dagli Altos del Chiapas, organizzò e coordinò l’appoggio e la difesa delle compagne e dei compagni sfollati dagli attacchi contro i municipi autonomi da parte del “Croquetas” Albores Guillén e di Francisco Labastida Ochoa.

Nel 1999 partecipò all’organizzazione e coordinamento della delegazione indigena tzotzil zapatista che partecipò alla consultazione nazionale, quando 5 mila zapatisti (2500 donne e 2500 uomini) coprirono tutti gli stati della Repubblica Messicana.

Nel 2001, dopo il tradimento di tutta la classe politica messicana degli “Accordi di San Andrés” (allora si allearono PRI, PA e PRD per chiudere le porte al riconoscimento costituzionale dei diritti e della cultura dei popoli originari del Messico), continuò a percorrere i territori tzotziles degli Altos del Chiapas, er parlare ed ascoltare. E, dopo aver ascoltato, diceva: “Bisogna resistere”.

Moisés era nato il 2 aprile 1956, ad Oventik.

Senza che se lo fosse prefissato e, soprattutto, senza guadagnarci niente, divenne uno dei capi indigeni più rispettati nell’EZLN.

Dopo pochi giorni prima della sua morte, lo vidi in una riunione del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN, dove si analizzava la situazione locale, nazionale ed internazionale, e si discutevano e decidevano i passi da fare.

Spiegavamo che una nuova generazione di zapatisti stava giungendo ad incarichi di dirigenza. Ragazzi e ragazze nati dopo la sollevazione e che si sono formati nella resistenza, educati nelle scuole autonome, sono ora scelti come autorità autonome ed arrivano ad essere membri delle Giunte di Buon Governo.

Si discuteva e concordava come aiutarli nei loro compiti, come accompagnarli. Come costruire il ponte della storia tra i veterani zapatisti e loro. Come i nostri morti ci lasciano in eredità impegni, memoria, il dovere di andare avanti, di non indebolirsi, di non vendersi, di non tentennare, di non arrendersi.

Non c’era nostalgia in nessuno dei miei capi e cape.

Né nostalgia dei giorni e delle notti in cui, in silenzio, forgiavano la forza di quello che sarebbe stato conosciuto nel mondo come “Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”.

Né nostalgia per i giorni in cui la nostra parola era ascoltata in molti angoli del pianeta.

Non c’erano risate, vero. C’erano facce serie, preoccupate di trovare insieme il percorso comune.

C’era, questo sì, quello che Don Tomás Segovia una volta ha chiamato “nostalgia del futuro”.

“Bisogna raccontare la storia”, disse il Comandante Moisés, a conclusione della riunione. Ed il Comandante tornò nella sua capanna ad Oventik.

Quella mattina del 26 settembre 2011, uscì di casa dicendo “torno subito”, ed andò nel suo campo per ricavare dalla terra il sostentamento e il domani.

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Scrivere di lui mi fa dolere le mani, Don Luis.

Non solo perché siamo stati insieme all’inizio della sollevazione e poi in giorni luminosi e albe gelide.

Ma soprattutto, perché facendo questo rapido resoconto della sua storia, mi rendo conto che sto parlando della storia di ognuno delle mie cape e capi, di questo collettivo di ombre che ci indica la rotta, la strada, il passo.

Di chi ci dà identità ed eredità.

Forse, agli specialisti del pettegolezzo coletos e simili non interessa la morte del Comandante Moisés perché era solo un’ombra tra le migliaia di zapatisti.

Ma a noi lascia un debito molto grande, tanto grande come il senso delle parole con le quali, sorridendo, mi salutò in quella riunione:

“La lotta non è finita”, disse mentre raccoglieva il suo zaino.

-*-

IV.- Una morte, una vita.

Si potrebbe elucubrare su cos’è quello che porta le mie parole a lanciare questo complicato e multiplo ponte tra Don Tomás Segovia ed il Comandante Moisés, tra l’intellettuale critico e l’alto capo indigeno zapatista.

Si potrebbe pensare che è la loro morte, perché evocandoli li riportiamo tra noi, tanto simili perché erano, e sono, diversi.

Ma no, è per le loro vite.

Perché la loro assenza non produce in noi frivoli omaggi o sterili statue.

Perché lasciano in noi una pendenza, un debito, un’eredità.

Perché di fronte alle tentazioni alla moda (mediatiche, elettorali, politiche, intellettuali), c’è chi afferma che non si arrende, né si vende, né tentenna.

E lo fa con una parola che si pronuncia in maniera autentica solo quando si vive: “Resistenza”.

Là in alto la morte si esorcizza con omaggi, a volte monumenti, nomi a strade, musei o festival, premi con i quali il Potere festeggia il tentennamento, il nome in lettere dorate su qualche parete da abbattere.

Così si afferma quella morte. Omaggio, parole di circostanza, giro di pagina e avanti un altro.

Ma…

Eduardo Galeano dice che nessuno se ne va del tutto finché c’è qualcuno che lo nomina.

Il Vecchio Antonio diceva che la vita era un lungo e complicato puzzle che si riusciva a completare solo quando gli eredi nominavano il defunto.

Ed Elías Contreras dice che la morte deve avere la sua dimensione, e che ce l’ha solo quando si mette di fianco ad una vita. Ed aggiunge che bisogna ricordare, quando se ne va un pezzo del nostro cuore collettivo, che quella morte è stata ed è una vita.

Già.

Nominando Moisés e Don Tomás, li riportiamo, completiamo il puzzle della loro vita di lotta, e riaffermiamo che, qua in basso, una morte è soprattutto una vita.

-*-

V.- Arrivederci.

Don Luis:

Credo che con questa missiva possiamo concludere la nostra partecipazione a questo fruttuoso (per noi lo è stato) scambio di idee. Almeno per ora.

La pertinenza delle finestre e delle porte che si sono aperte con l’andare e venire delle sue idee e delle nostre, è qualcosa che, come tutto qua, si andrà sistemando nelle geografie e nei calendari ancora da definire.

Ringraziamo di cuore l’accompagnamento delle penne di Marcos Roitman, Carlos Aguirre Rojas, Raúl Zibechi, Arturo Anguiano, Gustavo Esteva e Sergio Rodríguez Lazcano, e della rivista Rebeldía, che è stata anfitrione.

Con questi testi, né loro, né lei, né noi, siamo in cerca di voti, seguaci, fedeli.

Cerchiamo (e credo troviamo) menti critiche, vigili ed aperte.

Ora in alto proseguirà il frastuono, la schizofrenia, il fanatismo, l’intolleranza, i tentennamenti mascherati di tattica politica.

Poi arriverà la risacca: la resa, il cinismo, la sconfitta.

In basso prosegue il silenzio e la resistenza.

Sempre la resistenza…

Bene Don Luis. Salute e che siano vite quelle che ci lasciano i morti.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Ottobre-Novembre 2011

 

 

VI. P.S. ATTACA DI NUOVO.- Non volevamo dire niente. Non perché non avessimo niente da dire, ma perché chi ora si indigna giustamente contro la calunnia analfabeta, ci ha calunniato fino a chiuderci i ponti verso altri cuori. Ora, piccoli noi e piccola la nostra parola, solo pochi, alcuni di quegli ostinati che fanno ruotare la ruota della storia, cercano il nostro pensiero, ci cercano, ci nominano, ci chiamano.

Non volevamo dire niente, ma…

Uno dei tre imbroglioni che si disputeranno il trono sulle rovine del Messico, è venuto nelle nostre terre a chiederci di stare zitti. È lo stesso che è appena maturato e riconosce i suoi errori ed inciampi. Lo stesso che guida un gruppo avido di potere, pieno di intolleranza, che ha cercato, cerca e cercherà in altri la responsabilità dei suoi errori e schizofrenie. Con un discorso più vicino a Gaby Vargas e Cuauhtémoc Sánchez che ad Alfonso Reyes, ora predica e basa le sue ambizioni nell’amore… per la destra.

Quelli che criticavano a Javier Sicilia le sue dimostrazioni di affetto verso la classe politica, criticheranno ora la “Repubblica Affettuosa”? Quelli che predicavano che Televisa era il male da sconfiggere, criticheranno ora l’affettuosa stretta di mani col lacchè dell’orario stellare?

Octavio Rodríguez Araujo scriverà adesso un articolo per chiedere “coerenza, leader, coerenza”? John Ackerman chiederà radicalità sostenendo che è questo quello che la gente vuole e spera? Il ciro-gómez-leyva di La Jornada, Jaime Avilés, lancerà le sue camicie brune a denunciare per negoziare con i cani e gli impresari, il suo odiato López Dóriga? Il laura-bozzo di La Jornada, Guillermo Almeyra, lo giudicherà e condannerà come collaborazionista intonando il ritornello “via, disgraziato!”?

No, guarderanno dall’altra parte. Diranno che è una questione tattica, che lo sta facendo per guadagnare i voti della classe media. Bene, così niente è ciò che sembra: il presidio di Reforma non era stato fatto per chiedere il riconteggio dei voti che avrebbe reso palese la frode, ma affinché la gente non si radicalizzasse; le critiche a Televisa non erano per denunciare il potere dei monopoli mediatici, ma affinché si aprissero le porte di questa impresa (ed essere di nuovo suo cliente con gli spot elettorali). E poi? Le brigate che raccolgono soldi per il teletón?

Ma potremmo intendere che egli stia solo seguendo una tattica (rozza ed ingenua, secondo noi, ma una tattica). Che non creda sul serio che gli impresari lo appoggeranno, che i cani non lo tradiranno, che il PT ed il Movimento Cittadino sono partiti di sinistra, che Televisa sta cambiando, che il suo interlocutore privilegiato in Chiapas deve essere il priismo (come prima fu il sabinismo). Perfino che creda di essere più intelligente di tutti loro e che li imbroglierà tutti facendo finta di servirli o scambiando usi e costumi nell’impossibile gioco politico di “tutti vincono” e “amore e pace”.

Ok, è una tattica… o una strategia (in ogni caso non si capisce cosa una ecosa è l’altra). Quello che si capisce è che sta raccogliendo a destra (disertori del PAN inclusi) e che non c’è niente alla sua sinistra. Segue gli stessi passi del suo predecessore, Cuauhtémoc Cárdenas Solórzano, che si alleò con i potenti contando sul fatto che le sinistre non avrebbero potuto fare altro che appoggiarlo “perché non si poteva fare altro”. Ok, strategia o tattica, lo spiegheranno i burattini nelle loro sedi. Noi domandiamo solo: quando, in Messico, ha dato risultati positivi alla sinistra, spostarsi a destra? Quando l’essere servili con i potenti è andato oltre il fatto di divertirli? Certo, i “cagnolini” renderanno conto del successo di questa tattica politica (o strategia?), ma non si sta percorrendo la stessa strada… o no?

Nel frattempo, il gruppo di intelligentoni che lo promuove continuerà a fare equilibrismi per giustificare il cambiamento di rotta… o scommetteranno sulla smemoratezza.

In ogni modo, non mancherà chi incolpare del terzo posto, no?

Salve di nuovo.

Il Sup che fuma in attesa della valanga di calunnie che, in nome della “libertà di espressione” e senza diritto di replica, prepara l’opposizione dell’alto.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/12/07/sci-marcos-una-muerte-o-una-vida-carta-cuarta-a-don-luis-villoro-en-el-intercambio-sobre-etica-y-politica/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 7 Dicembre 2011

Gli ejidatarios di Bachajón denunciano l’ingerenza del governo chiapaneco

HERMANN BELLINGHAUSEN

Dopo aver recuperare per due giorni la proprietà del loro ejido in cui si trova la cabina di riscossione per l’ingresso alle cascate di Agua Azul (il “centro ecoturistico” più pubblicizzato dal governo del Chiapas), gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón aderenti all’Altra Campagna denunciano l’intervento del segretario di Governo in persona, sabato scorso, che ha offerto denaro e minacciato di ricorrere alla polizia per sgomberarli.

Gli ejidatarios hanno protestato con una manifestazione sulla strada Ocosingo-Palenque, senza bloccare il traffico, per denunciare il governatore Juan Sabines Guerrero ed il segretario di Governo, Noé Castañón, come “complici” delle autorità ejidali filogovernative, capeggiate da Francisco Guzmán Jiménez (Goyito), nell’esproprio delle terre di proprietà collettiva.

Riferiscono che il 30 novembre, gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona avevano ripreso le installazioni e la cabina di riscossione “allo scopo di recuperare quello che il commissario ufficiale, in complicità con gli enti del governo, vogliono toglierci: più di 600 ettari di terra, falsificando un provvedimento che non è neppure conforme al decreto presidenziale del 29 aprile 1980.”

Per tale ragione, gli ejidatarios hanno occupato il luogo per due giorni, “aspettando che arrivasse il commissario ufficiale a spiegare quello che stava facendo senza il consenso del massimo organo ejidale, poi, improvvisamente, è apparso l’interessato, ‘l’angelo custode’ degli sporchi politici”; cioè, il segretario Castañón, “che è intervenuto come se fosse un altro membro dell’ejido, perché Goyito gli ha dato il ‘permesso’ di fare quello che vuole sulle nostre terre”, sostengono gli indigeni. Il quale ha detto loro che il recupero era un modo di “provocare altra violenza”.

Il funzionario “ha mostrato un accordo già redatto, che non sappiamo nemmeno dove sia stato fatto, obbligandoci a firmare, come se stessimo chiedendo la carità, mentre il nostro obiettivo era recuperare le terre su cui hanno illegalmente costruito un centro di pronto intervento con la presenza permanente della polizia preventiva”.

Sostengono: “Non siamo spinti da interessi economici, tuttavia ci hanno offerto dei soldi”. Dicono che il segretario li ha avvertiti che “se non accettavamo, la polizia ci avrebbe sgomberato con la violenza”.

Il commissario ufficiale si era impegnato a convocare ad un’assemblea degli ejidatarios per domenica 4 dicembre ad Alan Sac Jun, ma non l’ha mai fatto. Si è riunito solo col gruppo filogovernativo a Pamalá (“tana di topi” lo chiamano), “come se fossero gli unici proprietari”, mentre gli altri aspettavano nella casa ejidale del Centro Alan Sac Jun.

Gli indigeni affermano che in questo gruppo ci sono “i veri responsabili di quello che sta succedendo nel nostro ejido, in complicità col malgoverno che finanzia la morte, la violenza, l’abuso e la repressione”.

Ed avvertono: “Che sia chiaro chi sono i responsabili, perché questa volta non cadremo nelle loro bugie e dimostreremo chi siamo e che cosa vogliamo”. Infine, annunciano che “in questi giorni” occuperanno nuovamente la cabina di riscossione. http://www.jornada.unam.mx/2011/12/07/politica/024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Ejidatarios di Bachajón denunciano l’esproprio delle terre da parte del malgoverno del Chiapas ed annunciano la decisione di recuperarle

  Ejido di San Sebastián Bachajon, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, Chiapas, Messico.

30 novembre 2011

A mezzi di comunicazione di massa e alternativi
Ai difensori dei diritti umani nazionali e internazionali
Alle organizzazioni civili e indipendenti
Agli aderenti all’Altra Campagna nazionale e internazionale
Alla Commissione Sesta Internazionale
Alle Giunte di Buon Governo

 Comunicato

Il governo dello stato del Chiapas e Juan Sabines Guerrero, in complicità con le autorità del municipio di Chilon, Chiapas, compreso il commissario ufficiale di San Sebastián Bachajon, Chiapas, dopo diversi tentativi falliti causa il mancato consenso del massimo organo ejidale, in violazione dei diritti umani e dei trattati dell’OIL, il passato mese di febbraio 2011 ha costruito un centro di pronto soccorso, ha permesso la permanenza della polizia statale preventiva, ha preso il controllo e la gestione delle nostre risorse naturali ed aree protette CONANP senza che vi fosse il consenso stabilito in un verbale di assemblea dell’ejido, e si stanno approfittando e distruggendo le nostre risorse ed il patrimonio del popolo per favorire gli interessi politici di qualche gaudente lacchè della politica, come nel caso di C. Manuel Jiménez Moreno, Francisco Guzmán Jiménez (alias Goyito) Juan Álvaro Moreno, Antonio Jiménez Deara, truffatori e parassiti della società che furono gli unici a firmare l’accordo lo scorso 13 febbraio 2011 presso l’Università Tecnologica della Selva, installando un tavolo di accordo e dialogo per la pace quando in verità avevano un’altra intenzione, e precisamente l’esproprio, la repressione e la violenza.  Questo è evidente dall’esposto 274/2011 presentato dagli ejidatarios aderenti all’Altra Campagna, dove denunciano che il governo dello stato de Chiapas, in complicità con la segretaria dell’ambiente e risorse naturali, SEMARNAP, ha elaborato un decreto in contraddizione al Decreto Presidenziale del 29 aprile 1980, per sottrarci più di 600 ettari di terra compresa la cabina di riscossione,  mentre l’ejido San Sebastián Bachajon possiede documentazione e piani definitivi che dimostrano il chiaro interesse del governo dello stato di imporre la legge dell’espropriazione comprando le coscienze, come nel caso delle autorità filogovernative di San Sebastián Bachajon, che per pochi pesos hanno consegnato un pezzo del nostro patrimonio ancestrale ignorando il popolo di uomini, donne, bambini, bambine, giovani che promuovono i loro usi e costumi e costruiscono altri modi di convivenza più degni. Le autorità filogovernative non stanno facendo altro che soddisfare i loro interessi politici con le risorse del popolo. Per tutto questo, noi ejidatarios di San Sebastián Bachajon abbiamo preso la decisione di recuperare le installazioni della cabina di ingresso a pagamento del sito turistico di Agua Azul,  in considerazione del fatto che dette strutture si trovano nelle vicinanze del terreno ejidale senza aver ottenuto il consenso del massimo organo ejidale. Nel caso in cui il governo dello stato del Chiapas e federale adotterà azioni repressive, sarà responsabile di qualunque cosa possa accadere durante il recupero delle strutture da parte degli ejidatarios di San Sebastián Bachajon aderenti all’Altra Campagna.

Distintamente

TIERRA Y LIBERTAD

HASTA LA VICTORIA SIEMPRE

Questo è un spazio aperto per popoli ed organizzazioni che vogliono condividere la loro parola. Le posizioni qui manifestate, non esprimono necessariamente la posizione di questo Centro. Lo spazio di denuncia pubblica è di tutte e tutti. 
Visita il nostro Blog: http://www.chiapasdenuncia.blogspot.com/

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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 23 novembre 2011

La Cocopa presenterà in Parlamento un’iniziativa per la pace in Chiapas

ENRIQUE MÉNDEZ e ROBERTO GARDUÑO

La Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) presenterà al plenum della Camera dei Deputati l’iniziativa a favore della pace in Chiapas e per il riconoscimento dei diritti dei popoli indigeni. Per promuovere tale progetto si terranno tre forum che raccoglieranno l’opinione della società nella valle di San Quintín, in Bassa California; a Comitán, Chiapas, ed un terzo ancora da definire.

Jaime Martínez Veloz, rappresentante del governo dello stato del Chiapas nella Cocopa, sostiene che la questione indigena è ancora in sospeso nell’agenda politica nazionale e che non è possibile in alcun modo la trasformazione democratica dello Stato se non si include la voce e la partecipazione dei popoli indigeni.

“Le comunità zapatiste sono organizzate, vivono, lottano, lavorano e stanno aspettando una risposta positiva da parte delle istituzioni della Repubblica, perché quei popoli sono stati coinvolti in un processo in cui lo Stato messicano aveva offerto le condizioni e generato una legge che permettesse la nascita di un dialogo di questa natura”.

Martínez Veloz ha ricordato che l’ex presidente Ernesto Zedillo Ponce de León è responsabile di aver disatteso, dalla posizione di governo, il patto stabilito con gli indigeni le cui richieste non hanno fino ad ora ricevuto risposte.

“I forum che inizieranno il prossimo 11 dicembre saranno un punto di partenza per generare una nuova offensiva politica per la pace che faccia sì che questo Congresso dell’Unione riconosca quella che fino ad oggi è stata al margine dello Stato messicano:  la questione indigena”.

José Narro Céspedes, membro della Cocopa, ha avvertito che a causa della mancanza di risposte alle istanze dei popoli indigeni nel paese, la possibilità di un sollevamento armato è latente.

“Molti settori esclusi dallo sviluppo nazionale che coinvolgono un numero sempre maggiore di popolazione, si mobilitano contro il governo, e credo che si stiano creando le condizioni affinché la gente opti per la via di una nuova sollevazione”.

Il deputato ritiene che tale minaccia sia su scala nazionale, per questo è necessario inviare segnali a favore della pace, del dialogo e degli accordi.

“Vicente Fox non ha mantenuto il suo impegno di rispettare gli accordi di San Andrés su diritti e cultura indigeni. A partire da Fox gli accordi di San Andrés hanno dormito il sonno dei giusti, ma questo non significa che il problema è risolto”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Previsioni per il 2012

Gloria Muñoz Ramírez

Un esempio di cosa potrebbe succedere nel 2012 è accaduto domenica scorsa nella comunità purépecha di Cherán, durante le elezioni per governatore, sindaci e deputati locali dello stato di Michoacán. L’intera comunità ha deciso in assemblea di non partecipare al voto, perché, hanno detto in un comunicato, ci siamo resi conto che i partiti politici non fanno altro che creare divisioni nella società e dare briciole a simpatizzanti e militanti; e che questi riempiono le loro tasche per recuperare molto più del denaro spese nelle campagne elettorali, perché molte volte superano il limite autorizzato dagli organismi elettorali.

Dal 15 aprile scorso Cherán rappresenta una delle resistenze più emblematiche contro il crimine organizzato e, soprattutto, contro le istituzioni dei tre livelli di governo che, per omissione o coinvolgimento, hanno agito in complicità con la delinquenza che opera impunemente in questa regione della meseta purépecha. Non è poco quello che hanno ottenuto in questa comunità in questi sette mesi, perché anche se i governi statale e federale non hanno risposto alla loro richiesta di garantire la sicurezza della popolazione ed impedire il disboscamento clandestino dei suoi boschi, le ed i comuneros lavorano alla ricostituzione dell’organizzazione comunitaria, affrontando di giorno in giorno la sfide di decidere il proprio destino.

Mentre i tre principali partiti: PAN, PRI e PRD litigano per il risultato elettorale che ha relegato all’ultimo posto il PRD, che dal 2001 era al governo da uno dei suoi principali bastioni, la comunità di Cherán si è trincerata nel suo territorio e non ha permesso l’ingresso della macchina elettorale perché, ha denunciato “i partiti politici corrotti lavorano solo a beneficio dei ricchi, mentre a noi, i poveri, ci porta… la crisi”.

Bisogna dire che il Tribunale Elettorale Giudiziario della Federazione aveva dato parere favorevole a che la popolazione eleggesse il suo sindaco col metodo dei suoi usi e costumi; ma la scelta di deputati e governatore doveva passare per la via elettorale. Questo è stato respinto dall’assemblea che ha deciso, al posto delle elezioni, di rafforzare la sicurezza della comunità e continuare la procedura di elezione delle sue autorità secondo le proprie regole.

Al terminare della giornata, accompagnata da una brigata dell’Altra Campagna e dai mezzi di comunicazione alternativi che hanno realizzato una copertura eccezionale, i comuneros di Cherán hanno dichiarato che non abbasseranno la guardia né si daranno per vinti, perché “crediamo che la nostra lotta è giusta e soprattutto necessaria, perché non potevamo continuare a vivere con la paura”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/19/opinion/017o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 16 novembre 2011

Rilasciati due degli otto detenuti in sciopero della fame in carcere in Chiapas

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chis. Questa notte sono stati liberati due degli otto indigeni che erano in sciopero della fame da 39 giorni nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de las Casas. Fonti governative hanno comunicato che José Díaz López, oriundo di San Andrés Larráinzar, ed Andrés Núñez Hernández, di San Juan Chamula, sono stati rilasciati intorno alle ore 19, come risultato dell’impegno preso dalle autorità statali di rivedere i loro casi. I due tzotziles, membri solidali del ggruppo di detenuti denominato La Voz del Amate, aderente all’Altra Campagna, sono accusati di omicidio, pratica n. 095/2002, ed erano in prigione da più di nove anni. Díaz López, di 36 anni, e Núñez Hernández, di 39, insieme ad altri otto detenuti avevano partecipato allo sciopero della fame iniziato il 29 settembre scorso e che si è interrotto il passato 6 novembre, quando le autorità statali si sono impegnate a rivedere i loro casi.

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Sostegno mondiale.

La Jornada – Mercoledì 9 Novembre 2011

I familiari dei detenuti dell’Altra Campagna tolgono il presidio a San Cristóbal

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 8 novembre. Dopo un mese, questa mattina è stato tolto il presidio dei familiari dei detenuti dell’Altra Campagna, in sciopero della fame da 39 giorni. Le famiglie indigene che erano accampate davanti alla chiesa di questa città dall’8 ottobre, hanno annunciato che proseguiranno la lotta per la liberazione dei “prigionieri politici”, “in altro modo”, dalle proprie comunità. Questo, due giorni dopo che i detenuti in sciopero della fame hanno interrotto il digiuno, ma non la protesta – come ha dichiarato oggi il loro portavoce, Pedro López Jiménez -, né la denuncia che il governo dello stato è stato sordo alle loro richieste che ritengono giuste.

Intanto, si susseguono le manifestazioni di solidarietà internazionale. Questo lunedì, l’ambasciata messicana in Svizzera e la presidentessa del Bundesrat, la socialdemocratica Micheline Calmy-Rey, hanno ricevuto una lettera di cittadini svizzeri, nell’abito di un’iniziativa prevista dalla legge elvetica, che chiede la liberazione immediata dei “prigionieri politici” che erano in sciopero della fame. Chiedono al governo svizzero di adoperarsi affinché il governo del Messico agisca “secondo gli accordi internazionali che ha firmato, per esempio, relativi alla pratica della tortura”.

Daniela Schicker, ex deputada del consiglio municipale di Zurigo, ha comunicato, a nome di questo gruppo che, inoltre chiedono che “le persone del governo messicano responsabili delle violazioni dei diritti umani e di crimini contro la popolazione siano portate davanti ad un tribunale internazionale e che si esiga a livello mondiale il risarcimento alle vittime di crimini di Stato in Messico”. Ed assicurarono: “Non tollereremo più in silenzio che il governo di quel paese presenti il Messico in Svizzera, senza vergogna, come una bella regione turistica, e nello stesso tempo violi i diritti umani in maniera crudele”.

Si chiede inoltre che gli affari con il Messico siano “messi in discussione” fino a che la situazione dei diritti umani non migliori. La lettera è stata accolta da deputati e funzionari federali della Svizzera, e nella sua versione in spagnolo sarebbe arrivata oggi a Los Pinos, alla Segreteria di Governo ed al palazzo di governo di Tuxtla Gutiérrez. Nel documento si dice: “Non possiamo fare affari e praticare il turismo con un governo come il messicano, e nello stesso tempo agire come se le violazioni costanti dei diritti umani e degli accordi internazionali, ed i crimini contro la popolazione, non abbiano niente a che vedere con gli affari ed il turismo col Messico”.

A Parigi, i collettivi francesi hanno realizzato una seconda protesta di fronte al consolato messicano. Ed un gruppo internazionale di studiosi ha solidarizzato con i detenuti ribadendo la richiesta di “sospensione della persecuzione e coazione contro chi, in maniera pacifica e degna, come i detenuti ingiustamente imprigionati, difendono il rispetto dei loro diritti elementari come detenuti, e la necessità di rivedere i loro processi piagati da irregolarità come tortura, false prove e processi senza la dovuta difesa processuale”.

Professori universitari e ricercatori di Argentina, Brasile, Stati Uniti, Messico e Spagna riconoscono la qualità umana di Alberto Patishtán, per la cui situazione si è pronunciata Amnesty International, e chiedono che sia rimandato in Chiapas (è stato trasferito in una prigione federale a Sinaloa) e rimesso in libertà. I detenuti per i quali si chiede la liberazione sono, oltre a Patishtán, Pedro López Jiménez, Rosario Díaz Méndez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, Juan Díaz López, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/09/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 8 novembre 2011

Indigeni dell’Altra Campagna trasferiscono la protesta e bloccano le strade

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 7 novembre. A quasi 40 giorni di sciopero della fame, e di fronte alla sistematica assenza di risposte da parte del governo del Chiapas, i detenuti hanno deciso di sospendere l’azione per il rischio in cui erano le loro vite, ed il presidio dei familiari degli indigeni ha trasferito la sua protesta alle porte della prigione di questo municipio.

Oggi, a mezzogiorno circa, decine di indigeni hanno bloccato la strasa San Cristóbal-Ocosingo, di fronte al Carcere N. 5.

Su un grande striscione che occupava la carreggiata, dietro una linea di rami di pino, si riassume la domanda chiave: “Libertà immediata per i nostri prigionieri”.

Gli otto reclusi della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna, hanno fatto sapere i motivi della loro nuova azione. Hanno decio ieri sera e questa mattina l’hanno resa pubblica. Ciò nonostante, il governo statale si è affrettato a diffondere la notizia lasciando intendere l’esistenza di un qualche accordo. Facciamo dire, per esempio, a Juan Collazo Jiménez, che partecipa alla protesta, che questa mattina è stato punito con la cella di isolamento, nudo, dal comandante della prigione di Motozintla, come ha denunciato suo padre, Salvador Collazo. “Adesso non sei più in sciopero”, gli hanno detto.

Il motivo per cui i detenuti hanno sospeso lo sciopero sono altre: “Per le complicazioni delle nostre condizioni di salute fisica dovute ai 39 giorni di sciopero della fame per esigere giustizia, mentre il governo ha ignorato le nostre richieste e le istanze del popolo, comunichiamo che ieri 6 novembre alle ore 20:00, a causa della gravità delle nostre condizioni di salute prima che si arrivasse all’irreparabile, abbiamo sospeso lo sciopero della fame, ma non vuole dire che desisteremo dalla lotta; al contrario, lotteremo con più forza fino a vincere questo sistema”.

E precisano: “Abbiamo desistito perché alcuni compagni stanno molto male ma non abbiamo sospeso lo sciopero della fame in cambio di quello che dice il governo, perché noi continueremo a lottare in vita, perché finché c’è vita ci sarà la possibilità di lottare per la giustizia e il benessere di tutti, ma non lo faremo come vorrebbe il malgoverno, continueremo invece ad esortare il governo ad intervenire al più presto per la nostra liberazione, per ridarci la libertà che ci il governo ci ha rubato”.

I reclusi del Carcere N. 5 insistono anche sulla liberazione di Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández, anche loro in sciopero a El Amate.

“Esortiamo inoltre il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa ad agire per la liberazione immediata del compagno Alberto Patishtán Gómez, prigioniero politico della Voz del Amate”.

Infine, invitano le organizzazioni nazionali ed internazionali che li hanno appoggiati “a continuare a chiedere giustizia, perché la nostra lotta non è finita”.

Alle ore17 il blocco è stato tolto dagli stessi indigeni, che per tutto il giorno sono stati controllati, ad una certa distanza, dai veicoli della polizia statale e municipale, che non è intervenuta.

Questa notte, al presidio ancora in corso delle famiglie nella piazza della cattedrale, si discuteva sui passi da fare di fronte all’indifferenza del governo ed al “il tentativo di divisione che ha messo in atto annunciando di voler rivedere i casi di solo otto dei detenuti in sciopero, visto che sono 11; non cita Juan Collazo, Enrique Gómez né il professor Alberto Patishtán”.

Oggi è partita dal Chiapas per Guasave, Sinaloa, una commissione di familiari ed avvocati per fare visita al professore nella prigione federale, dove è in isolamento da due settimane fa, ha informato sua figlia Gabriela Patishtán Ruiz. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/08/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 7 novembre 2011

Saranno rivisti i casi di otto detenuti dell’Altra Campagna, che sospendono lo sciopero della fame

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas., 6 novembre. Fonti ufficiali hanno comunicato che otto detenuti del Carcere N.5 di questo municipio, domenica notte hanno sospeso lo sciopero della fame iniziato il 29 settembre scorso per chiedere la loro liberazione.

Gli otto reclusi accusati di vari reati, hanno interrotto il digiuno dopo che le autorità penitenziarie si sono impegnate a rivedere i loro casi.

Lo sciopero della fame è stato sospeso alle ore 20:00, dopo che gli otto carcerati, aderenti all’Altra Campagna, hanno firmato un documento diretto al direttore della prigione, José Manuel Alarcón.

Nello scritto i reclusi chiedono che si dia seguito alla loro richiesta di rilascio, poiché arrestati ingiustamente.

La lettera è firmata da Rosa López Díaz, Andrés Núñez Hernández, Juan Díaz López, Rosario Díaz Méndez, Alfredo López Girón, Pedro Núñez Jiménez, Alejandro Díaz Santís e José Díaz Gómez.

Secondo queste fonti, terminata la protesta, i carcerati sono stati visitati dal personale medico della prigione che ha fornito loro frutta, avena, atole ed altri liquidi affinché recuperino le energie perse durante i 36 giorni di sciopero della fame.

I detenuti stessi hanno chiesto alle autorità della prigione di avere per la colazione brodo di fegato di pollo e di granchio, richiesta che sarà valutata dai medici della prigione.

Il presidio dei familiari dei detenuti da un mese di fronte alla Cattedrale di questa città è proseguito per tutta la notte ma, secondo l’impegno verbale degli otto indigeni che erano in digiuno, potrebbe essere tolto questo lunedì pomeriggio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Audio: denuncia FINE dello sciopero della fame dei detenuti in Chiapas

A 39 giorni dall’inizio dello sciopero della fame e digiuno i detenuti in Chiapas hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame perché alcuni di loro erano sull’orlo dal subire danni fisici irreversibili, come diceva il bollettino medico della Squadra di Salute relativa ai prigionieri in sciopero della fame da 36 giorni: In conclusione, le condizioni di salute delle persone in sciopero della fame è critica. Non esistono ancora riscontri di danni organici, tuttavia stante l’attuale situazione, bisogna aspettarsi che si verifichino danni nella funzione renale che metterebbero gli scioperanti in una situazione di rischio immediato per la loro vita. La presenza di ipotermia e la perdita di più di 10 kg di peso di alcuni di loro sono segnali di allarme indicativi di una situazione critica. D’altra parte, l’intolleranza all’assunzione di zucchero e di liquidi complica la situazione poiché questo aggrava lo stato di disidratazione ed inanizione degli scioperanti.

Dopo la diffusione di questo bollettino le autorità statali non hanno più permesso alla Brigata di Salute di seguire la situazione degli scioperanti, cosa che ha messo in grave rischio la vita dei detenuti che, di fronte all’omissione del Governo dello Stato e del pericolo della propria vita, hanno deciso di sospendere lo sciopero della fame.

Audio: http://chiapasdenuncia.blogspot.com/2011/11/despues-de-39-dias-de-huelga-y-ayuno-se.html

 All’opinione pubblica 
Ai mezzi di comunicazione statali, nazionali ed internazionali 
Ai media alternativi 
Agli aderenti all’Altra Campagna 
Alla Sesta Internazionale 
Alle organizzazioni indipendenti 
Ai difensori dei diritti umani ONGs

 La Voz del Amate, Voces Inocentes, Solidarios de la Voz del Amate aherenti all’Altra Campagna reclusi nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Per le complicazioni delle nostre condizioni di salute fisica dovute ai 39 giorni di sciopero della fame per esigere giustizia, mentre il governo ha ignorato le nostre richieste e le istanze del popolo, comunichiamo che ieri 6 novembre alle ore 20:00, a causa della gravità delle nostre condizioni di salute prima che si arrivasse all’irreparabile, abbiamo sospeso lo sciopero della fame, ma non vuole dire che desisteremo dalla lotta; al contrario, lotteremo con più forza fino a vincere questo sistema. Abbiamo desistito perché alcuni compagni stanno molto male ma non abbiamo sospeso lo sciopero della fame in cambio di quello che dice il governo, perché noi continueremo a lottare in vita, perché finché c’è vita ci sarà la possibilità di lottare per la giustizia e il benessere di tutti, ma non lo faremo come vorrebbe il malgoverno, continueremo invece ad esortare il governo ad intervenire al più presto per la nostra liberazione, per ridarci la libertà che ci il governo ci ha rubato, così come chiediamo la liberazione del compagno Juan Collazo Jiménez che è in sciopero della fame nel Carcere N. 6 di Motozintla, e del compagno Enrique Gómez Hernández che si trova nella prigione di Motozintla e che sta praticando il digiuno; esortiamo inoltre il governo federale di Felipe Calderón Hinojosa ad agire per la liberazione immediata del compagno Alberto Patishtán Gómez, prigioniero politico della Voz del Amate. Infine, alle compagne, ai compagnia ed alle organizzazioni nazionali ed internazionali diciamo di continuare a chiedere giustizia, perché le nostre lotte non sono finite.

Fraternamente

La Voz del Amate

Voces Inocentes

Solidarios de la Voz del Amate

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 7 novembre 2011

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Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas A.C.
Calle Brasil #14, Barrio Mexicanos,
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Código Postal: 29240
Tel +52 (967) 6787395, 6787396, 6783548
Fax +52 (967) 6783551
denunciapublica@frayba.org.mx
www.frayba.org.mx
Facebook: Chiapas Denuncia Pública
Twitter: chiapasdenuncia

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La Jornada – Domenica 6 novembre 2011

In una lettera al Presidente, ONG e comunità denunciano che nelle zone autonome zapatiste potrebbero riprendere le ostilità

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 novembre. Nello scenario di strategia contrainsurgente, come ha dichiarato il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), “le comunità autonome in resistenza, le cui popolazioni costituiscono le basi di appoggio civili dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, si trovano al centro di un possibile confronto e ripresa delle ostilità, come quelle che conserviamo nella memoria collettiva del Messico ferito”.

Questo, in una lettera rivolta al presidente della Repubblica, Felipe Calderón Hinojosa, ed al governatore Juan Sabines Guerrero, che è stata sottoscritta in pochi giorni da più di 350 organizzazioni, collettivi, comunità e popoli del Messico e di numerosi paesi, che “condividono il significato del profondo oblio in cui l’agenda ufficiale ha collocato le richieste e denunce di centinaia di individui e situazione in Chiapas”.

Il Frayba sottolinea che il documento avverte i governanti su “azioni ed omissioni che ci obbligano a denunciare la loro responsabilità nella sistematica violazione dei diritti dei popoli indigeni” nell’entità. Chiede inoltre che “i governanti di turno forniscano risposte chiare ai popoli e comunità che ogni giorno denunciano gli effetti della guerra generalizzata i cui numeri hanno un nome e rappresentano migliaia di storie di vita”.

In due anni “le ostilità in Chiapas sono aumentate; le azioni dei gruppi paramilitari, in complicità con funzionari pubblici, hanno trasformato l’esproprio di terre recuperate, di proprietà delle comunità autonome, in bottino di guerra”.

Di fronte alle costanti azioni governative a detrimento dei diritti della popolazione, il centro Frayba respinge “le politiche dei governi. Le più ricorrenti: omissione di fronte alle denunce e richieste di intervento; permettere la rottura del tessuto comunitario e sociale con la polarizzazione dei conflitti; generare condizioni di emergenza alimentare e sanitaria in comunità sotto assedio; gestire giuridicamente e politicamente violazioni flagranti dei diritti umani di popolazioni indigene”.

Coloro che seguono le azioni di difesa e l’esercizio dei diritti “esercitate da popoli e comunità originari”, hanno osservato “la guerra che, dal 1994 e con la copertura dei tre livelli di governo, viene condotta in Chiapas contro chi ha deciso di mettere in pratica gli accordi di San Andrés, firmati e negati dallo Stato messicano dal 1996”. Non sono pochi gli “impegni traditi” dai partiti politici che hanno occupato posizioni di governo, il quale continua a rimandare “soluzioni pacifiche al conflitto armato interno irrisolto”.

Osservano “la permanente implementazione” di strategie contrainsurgentes, che lasciano “una lunga scia di detenzioni arbitrarie, omicidi, sparizioni, massacri, sfollamenti ed esproprio di territori”. Ciò deriva dal “mancato disarmo dei gruppi civili armati che operano dal 1996″. Queste azioni erano raccomandate nel ‘Piano della campagna Chiapas 94’ della Segreteria della Difesa Nazionale”; è preoccupante che continuino “ad operare contro popoli e comunità”.

Sono molteplici gli interventi chiesti al governo statale per fermare azioni che attentano ai diritti collettivi e individuali. La risposta “di tutti i livelli di governo” è stata “silenzio e omissione, acuendo l’impunità e l’ingiustizia”.

Infine, la lettera lamenta che il discorso ufficiale abbia trasformato i diritti umani “in slogan pubblicitario, favorendo la simulazione”; la manipolazione mediatica “è costata cifre milionarie all’erario” ma il costo maggiore sono “vite e comunità condannate all’oblio, all’emarginazione e all’ingiustizia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/06/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 5 novembre 2011

Sempre più pressante la richiesta di liberare i detenuti indios in sciopero della fame in carcere in Chiapas

 Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 novembre. “Il governo ha ignorato i nostri diritti. Chiediamo che dia la libertà a noi che siamo in sciopero della fame da 37 giorni”, ha dichiarato oggi Pedro López Jiménez, portavoce della protesta dalla prigione N. 5 di San Cristóbal. “La nostra salute è compromessa”, ha aggiunto. “Il governo sarà responsabile dell’eventuale perdita di vite”.

López Jiménez ha ribadito a La Jornada che è “molto importante anche la liberazione del fratello Alberto Patishtán, portato in una prigione federale a Guasave (Sinaloa)”.

Arrivati a questo punto, finalmente il governo del Chiapas e la chiesa Cattolica hanno dato segni di vita rispetto allo sciopero della fame degli 11 indigeni nelle prigioni N. 5, N. 6 (Motozintla) e N. 14 (El Amate, Cintalapa).

Pueblo Creyente, organizzazione di base della diocesi di San Cristóbal, ha invitato a “pregare per il nostro fratello Alberto Patishtán Gómez, affinché la fede che l’ha sostenuto tutti questi anni, continui a mantenendo forte di fronte a questa dura prova”. Pueblo Creyente, che ebbe un ruolo decisivo nel precedente sciopero della fame dei detenuti nel 2008, durato 41 giorni, ottenendo liberazione di decine di indigeni “prigionieri politici”, ha denunciato che il trasferimento di Patishtán è stato “una nuova rappresaglia per il suo lavoro di presa di coscienza ed evangelizzazione all’interno della prigione”.

Pueblo Creyente ha comunicato che il vescovo locale, Felipe Arizmendi Esquivel, ha chiesto “aiuto” al suo omologo di Sinaloa affinché “si occupino di Alberto in questa nuova e difficile situazione nella prigione N. 8 di Guasave”. L’organizzazione ha affermato: “È molto importante pronunciarci in questo momento per ottenere la liberazione di nostro fratello Alberto”, al quale il vescovo Samuel Ruiz García consegnò un riconoscimento, due anni fa in carcere, “per il suo lavoro come custode del popolo e difensore dei diritti umani”.

Da parte sua, la sottosegreteria del Ministero di Grazie e Giustizia ha comunicato che, “in coordinamento con la Commissione Statale dei Diritti Umani (CEDH), ha esaudito la richiesta di otto internati del Crcere N. 5 di far entrare un gruppo di medici privati”. Il titolare della sottosegreteria, José Antonio Martínez Clemente, ha dichiarato che “si sta fornendo tutta l’assistenza richiesta dai detenuti; inoltre, la CEDH ha sollecitato l’ingresso di medici affinché accertino lo stato di salute dei detenuti”.

Ha detto che, “come misura di negoziazione alle sue richieste, hanno ottenuto l’accordo con la CEDH per non incorrere in mancanze che possano privarli dei loro diritti particolari”. Il funzionario non ha fatto menzione dei detenuti a Motozintla e Cintalapa, Juan Collazo Jiménez ed Enrique Gómez Hernández. Non ha neppure fatto riferimento alla vera richiesta degli indigeni: la loro immediata liberazione.

E, mentre il governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero si è incontrato questo giovedì a Washington col titolare dell’Organizzazione Panamericana di Salute per affrontare “le politiche pubbliche promosse dal Chiapas in materia di salute, come la lotta contro le malattie dovute all’arretratezza”, gli scioperanti hanno informato della morte di Natanael, figlio di Rosa López Díaz ed Alfredo López Jiménez, detenuti tzotziles che partecipano alla protesta.

Il bambino è deceduto dopo essere stato respinto dall’ospedale di San Cristóbal (e prima ancora dall’ospedale di Teopisca), “perché non avevamo soldi”, come ha riferito il nonno del bimbo alle famiglie in presidio nella piazza di San Cristóbal (presidio a ostegno delle istanze dei detenuti). In aggiunta, il personale della clinica ha accusato il padre di Alfredo che, confessa, “non avevo i soldi nemmeno per tornare a casa”. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/05/politica/015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Iniziative pro zapatisti

Gloria Muñoz Ramírez

Questa settimana si registrano una serie di iniziative nazionali ed internazionali intorno alle comunità zapatiste ed ai prigionieri politici in sciopero della fame in Chiapas. Gli appelli non sono solo alla solidarietà, ma all’accompagnamento civile e pacifico, con una lotta che non riguarda unicamente i popoli in resistenza del sud del Messico, bensì la comunità globale che combatte le proprie battaglie e che si è mantenuta attenta a quello che succede tra le comunità in resistenza.

In questi momenti, intorno alla comunità zapatista di San Patricio, appartenente al caracol di Roberto Barrios, nel nord del Chiapas, prosegue l’accerchiamento dei gruppi paramilitari che non permettono alle basi di appoggio dell’EZLN di andare a lavorare nei campi di mais. “La nostra solidarietà è necessaria affinché, nonostante le avversità causate dai gruppi paramilitari, i compagni e le compagne zapatisti resistano contro queste aggressioni provenienti dai tre livelli del governo”, denuncia la Rete Nazionale Contro la Repressione e per la Solidarietà, che sta organizzando una raccolta di denaro, viveri, medicinali e materiale scolastico, tra altre cose.

La Rete stessa ricorda che “dal 7 settembre scorso la comunità di San Patricio, municipio autonomo La Dignità, è minacciata dal gruppo paramilitare Paz y Justicia di invadere e sgomberare il villaggio, col pretesto che non pagano l’imposta prediale, e che se non consegneranno le terre recuperate li massacreranno tutti. Hanno circondato la popolazione e non li lasciano uscire per andare a procurarsi da mangiare, hanno ammazzato gli animali, distrutto i raccolti, intimoriscono le donne e i bambini ed hanno costruito delle capanne sui loro campi coltivati”.

Contemporaneamente si organizzano diverse mobilitazioni per chiedere la liberazione dei 10 prigionieri politici in sciopero della fame in tre prigioni del Chiapas, e del professor Alberto Patishtán Gómez, che è stato trasferito arbitrariamente nella prigione di Guasave, Sinaloa. Tutti loro sono in sciopero della fame e digiuno dal 29 settembre, ed in questi momenti il loro stato di salute è allarmante, perché secondo l’ultimo bollettino medico gli scioperanti accusano vista annebbiata, debolezza e difficoltà a camminare, tra altre complicazioni.

Di fronte alla gravità della situazione ed alla mancanza di risposte da parte del governo statale, gli aderenti all’Altra Campagna lanciano un appello urgente a realizzare azioni, nella maniera che ognuno riterrà più opportuna, il prossimo 7 novembre, “per chiedere la liberazione immediata dei compagni in sciopero della fame e digiuno”. Sta inoltre circolando una raccolta di firme da inviare all’indirizzo di posta elettronica noestamostodxs@riseup.net.

http://www.jornada.unam.mx/2011/11/05/opinion/012o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 3 novembre 2011

Annunciata una mobilitazione mondiale a sostengo degli indigeni in sciopero della fame

Hermann Bellinghauen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 novembre. Collettivi, organizzazioni sociali e comunità dell’Altra Campagna hanno lanciato una mobilitazione nazionale ed internazionale in solidarietà con lo sciopero della fame in Chiapas, per chiedere, con diverse manifestazioni, la liberazione degli indigeni rinchiusi nelle prigioni di San Cristóbal de Las Casas, Cintalapa e Motozintla, che sono da 35 giorni in sciopero della fame. La giornata di protesta avrà luogo il prossimo lunedì 7 novembre.

Spicca la solidarietà nazionale e internazionale registrata già in molti stati del Messico, in Italia, Francia, Spagna, Norvegia, Inghilterra, Svizzera e Finlandia, tra gli altri, che si è manifestata in azioni per chiedere la “liberazione immediata dei compagni”.

Ciò nonostante, si aggiunge nella convocazione, “il governo dello stato continua a tenerli prigionieri, invisibili; ha trasferito a Guasave, Sinaloa, il nostro fratello e compagno Alberto Patishtán e frustato le azioni solidali, in particolare il presidio che i familiari dei detenuti stanno mantenendo dall’8 di ottobre nella piazza della cattedrale di San Cristóbal.

Nella convocazione si ricorda che lo scorso 29 settembre, un gruppo di detenuti appartenenti alla Voz del Amate, Solidarios de la Voz del Amate e Voces Inocentes si sono dichiarati in sciopero della fame e digiuno. Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz, José Díaz López, Pedro López Jiménez, Juan Díaz López e Rosario Díaz Méndez, reclusi nel Carcere N. 5 di San Cristóbal de Las Casas, “hanno iniziato uno sciopero della fame totale per chiedere la loro immediata e incondizionata liberazione”. Con loro hanno iniziato un digiuno di 12 ore al giorno e con le stesse rivendicazioni, Rosa López Díaz, Alberto Patishtán Gómez e Andrés Núñez Hernández.

Il 3 ottobre si sono uniti al digiuno Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14, El Amate, e Juan Collazo Jiménez, nel Carcere N. 6 di Motozintla.

Insieme al presidio dei familiari a sostengo dello sciopero della fame e digiuno, firmano: Red contra la Represión y por la Solidaridad Chiapas, Grupo de Trabajo No estamos Todos, Brigada Feminista, Camino del Viento, Comité Ciudadano para la Defensa Popular (Cocidep), Rebeldeando Dignidad, Consejo Autónomo de la Costa, le comunità di Cruztón, Candelaria el Alto, 24 de Mayo, Busiljá, San Juan las Tunas, Ejido Cintalapa e Frente Popular Francisco Villa Independiente, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 2 novembre 2011

Nel carcere di San Cristóbal gli indigeni sono al 34° giorno di sciopero della fame. La loro salute peggiora nell’indifferenza delle autorità

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º novembre. Proseguono. Saranno invisibili? Su un foglio fissato con del nastro adesivo è riportato il numero dei giorni di presidio di fronte alla cattedrale: oggi sono 26. Sono diverse famiglie che sono aumentate di numero e dimagriscono a fisarmonica durante il giorno. Tenaci, chiedono con la loro presenza, i cartelloni, gli striscioni ed un discreto impianto stereo, la liberazione dei loro familiari. Bambini e anziani di Chamula, Mitontic, Tenejapa, Chenalhó, El Bosque, San Cristóbal, accompagnano da qui i detenuti dell’Altra Campagna in sciopero della fame da 34 giorni.

Il municipio voleva cacciare le famiglie, come parte del radicale e fugace maquillage subito da questa città coloniale in occasione del forum mondiale del turismo “di avventura”; ma poi ha desistito. Lo scorso fine settimana in questa stessa piazza si sono svolti grandi concerti del festival Cervantino Barocco. Ed il presidio sempre lì, con i suoi striscioni per la libertà dei “prigionieri politici”. Come se non ci fossero. E così sotto la pioggia torrenziale di stagione.

Anche se molti passanti, centinaia ogni giorno, si fermano a leggere le loro richieste e guardare con insistenza la serie di ritratti dipinti di tutti i detenuti, sobri ed espressivi, per loro non cambia niente. Come diceva Alberto Pastishtán prima che lo “estradassero” a Guasave, Sinaloa, “il governo è sordo e non ascolta le nostre richieste”. O forse no, perché ha deciso di metterlo a tacere. I giorni passano. Un attivista dell’Altra Campagna che partecipa al presidio indigeno dice: “Il governo ha il tempo dalla sua, può aspettare un’altra settimana, mentre i compagni sono sempre più deboli”.

In relazione alle condizioni degli scioperanti, è stato diffuso un nuovo bollettino medico, che alla fine si è potuto redigere domenica, anche se senza strumenti di nessun tipo, condizione dettata dalle autorità del Carcere N. 5 di San Cristóbal per permettere la visita. Il bollettino riferisce che i detenuti in protesta sono “in netto peggioramento”. Presentano nausea, mal di testa e nel corpo, principalmente le articolazioni, e disturbi gastrici. Crampi giorno e notte. Debolezza costante.

La sintomatologia “si è aggravata in tutti”; alcuni hanno la vista annebbiata, o la voce debole, e così il. Sviluppano intolleranza al miele e difficoltà a stare in piedi o camminare anche per brevi distanze, cosicché giacciono quasi permanentemente nel cortile della prigione.

Secondo il parere medico, si va verso un peggioramento e l’esaurimento delle riserve fisiche, “cosa che implica un maggiore danno fisico man mano che aumentano i giorni di sciopero”. Otto di loro non assumono cibo. Altri due digiunano per 12 ore al giorno. E di Patishtán, a Sinaloa, non si sa nulla.

Nella sezione femminile del carcere di San Cristóbal, Rosa López Díaz digiuna da 34 giorni. Presenta “cambiamenti nell’aspetto, occhiaie, mal di stomaco, nausea, debolezza, stanchezza e intorpidimento”.

Col tempo contro, Pedro López Jiménez, nuovo portavoce della protesta, ha fatto arrivare ai familiari alcuni “pensieri” dal suo sciopero: “La pioggia fa germinare ogni tipo di piante, anche tu puoi con le tue parole”.

Anche Andrés Núñez Hernández ha mandato i suoi: “La lotta è come una luce che ti fa vedere tutti i tuoi cari nel mondo. La lotta è come una torcia che illumina le nostre strade, che ci conduce alla vera libertà. Non lasciare che si spenga!” http://www.jornada.unam.mx/2011/11/02/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera di John Berger ai detenuti in sciopero della fame in Chiapas

 Ai detenuti in Chiapas

John Berger

Oggi ho ricevuto una lettera di undici compagni nelle prigioni messicane che sono in sciopero della fame. Il trattamento che ricevono è un esempio allarmante del disprezzo dell’attuale governo verso le aspirazioni e i diritti dei popoli che reprime e domina. Dobbiamo protestare come possiamo. Agite per favore! Fate sentire la vostra voce! Questa è la risposta che ho inviato ai detenuti:

Grazie per la vostra lettera; è stato un onore riceverla. Site accusati di omicidio perché non osano accusarvi di amore. Ed è il vostro esempio di amore ciò che essi temono.

Il coraggio del vostro sciopero della fame deriva dal fatto che sapete bene che le vostre vite hanno un senso, e questo senso risuona dentro voi e per gli altri durante ogni lungo giorno.

Nel frattempo, i vostri aguzzini sono persi nella violenza del nonsenso.

Vi mando la mia solidarietà ed appigli per la speranza.

John Berger 

Francia

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La Jornada – Martedì 1° Novembre 2011

Negata assistenza medica ai detenuti in sciopero della fame in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 31 ottobre. Questo fine settimana, per due volte, il direttore del Carcere N. 5 di questo municipio ha negato l’accesso ai medici indipendenti che volevano visitare i detenuti in sciopero della fame della Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate, aderenti dell’Altra Campagna.

Reclusi in tre prigioni del Chiapas, gli indigeni hanno annunciato che in occasione del Giorno dei Defunti innalzeranno un altare in memoria degli zapatisti caduti nel 1994, quando “i compagni diedero le loro vite per reclamare giustizia e benessere per tutti; uomini e donne come loro non muoiono mai perché vivono nei nostri cuori”.

Lo scrittore John Berger ha inviato una lettera in solidarietà con lo sciopero della fame, nella quale sostiene che il trattamento che ricevono gli scioperanti “è un esempio allarmante del disprezzo dell’attuale governo verso le aspirazioni ed i diritti dei popoli che reprime e domina”.

Dalla prigione i detenuti oggi dicono: “Il nostro stato di salute sta peggiorando, alcuni dei nostri compagni accusano perdita di memoria e nausea. Il compagno Rosario Díaz Méndez sta molto male, il suo livello di glucosio è troppo alto”.

A 33 giorni di sciopero della fame, tornano a chiedere al governatore Juan Sabines Guerrero di “intervenire immediatamente per la nostra liberazione”. Esortano inoltre il governo federale “a dare istruzioni per il ritorno di Alberto Patishtán Gómez e la sua  immediata liberazione”.

Insistono sui loro ingiusti arresti “per reati che non abbiamo mai commeso”, ma “il governo non ha risolto i nostri casi”. Esigono rispetto per lo sciopero della fame che ha iniziato Juan Collazo Jiménez il 27 ottobre a Motozintla. Aggiungono che il direttore di quella prigione, Pascual Martínez Cervantes, ed il giudice, Rogelio Ángel Camacho, “hanno minacciato il nostro fratello di trasferirlo in un altro centro o di punirlo mettendolo in isolamento”.

E dichiarano: “Siamo in prigione perché siamo poveri, analfabeti e non parliamo lo spagnolo. Esigiamo le nostre libertà che ci hanno rubato”.

Intanto, quattro collettivi dell’Altra Campagna in Chiapas (Red Contra la Represión y por la Solidaridad, Grupo de Trabajo No estamos Todos, La Otra Salud e Colectivo Contra la Tortura y la Impunidad) hanno denunciato che le autorità della prigione di San Cristóbal “hanno impedito diverse volte l’ingresso di personale medico”. Sabato 29 “è stato impedito l’accesso di una brigata medica con personale proveniente da Città del Messico”. Anche domenica, nonostante fosse giorno di visita generale, è stato impedito il loro ingresso. Inoltre, è stato impedito l’ingresso anche di familiare e amici.

Queste misure, come il trasferimento di Patishtán, “sono volte a reprimere il loro diritto di manifestare. I collettivi sottolineano “le violazioni di diritti umani da parte di José Antonio Martínez Clemente, sottosegretario degli Istituti di Pena, e José Miguel Alarcón García, commissario del Carcere N. 5, che mettendo a rischio la vita dei compagni”.

Lo sciopero della fame, sostengono, “è uno strumento riconosciuto a livello universale per difendere i diritti umani e denunciare e dare visibilità alle violazioni”. Per alcuni “costituisce una delle ultime forme pacifiche di difesa, quando altri mezzi anche legittimi e legali sono stati ignorati e soffocati”.

Rilevano che una delle implicazioni della protesta è il rischio per la salute. Per questo, “l’assistenza medica è un diritto indiscutibile, riconosciuto da diverse legislazioni internazionali e la cui privazione non è giustificabile da nessun argomento”. La Convenzione di Malta precisa che gli scioperanti, “in particolar chi si trova privato della libertà, ha diritto a che personale medico esterno all’istituzione penale” fornisca assistenza e accompagnamento. http://www.jornada.unam.mx/2011/11/01/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 28 Ottobre 2011

Si susseguono le dimostrazioni di solidarietà con gli indigeni in sciopero della fame nelle tre prigioni del Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

Si susseguono le espressioni di solidarietà e supporto con lo sciopero della fame e digiuno dei detenuti indigeni in tre prigioni del Chiapas per chiedere la loro scarcerazione, ed in particolare con il professor Alberto Patishtán Gómez, il cui trasferimento alla Prigione N. 8, a Guasave, Sinaloa, ha suscitato lo sdegno del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità (MPJD) e delle organizzazioni civili che promuovono l’assegnazione del premio jTatic Samuel jCanan Lum 2012, che anche loro hanno manifestato solidarietà con i detenuti in sciopero della fame e digiuno nelle prigioni N. 5 a San Cristóbal de Las Casas, N. 14 a Cintalapa e N. 15 a Copainalá, così come dei loro familiari che si trovano in presidio permanente nella Piazza della Cattedrale di San Cristóbal.

Pedro López Jiménez, portavoces della protesta indigena, ha dichiarato a La Jornada che, dopo 29 giorni di sciopero, “la nostra salute si sta deteriorando, abbiamo ormai molti disturbi, ma siamo decisi e proseguiremo per chiedere la nostra liberazione; siamo ingiustamente in carcere, il governo lo sa ma continua a restare sordo”. Ha confermato che non ancora non è stato possibile entrare in contatto con Patishtán.

In un messaggio a Patishtán Gómez, il MPJD, guidato dal poeta Javier Sicilia, dice al detenuto indigeno: “Il suo arresto, la sua condanna ed il suo trasferimento a nord del paese, come fosse un criminale pericoloso, è un’ulteriore chiara prova della mancanza di giustizia che viviamo e che richiede le nostre migliori energie per costruire il paese e la giustizia di cui abbiamo bisogno”.

Il MPJD riferisce: Il 14 ottobre abbiamo informato pubblicamente della sua situazione il presidente Felipe Calderón, il quale aveva detto che si sarebbe informato, e ci siamo indignati del suo improvviso trasferimento a Guasave, Sinaloa, lontano dai tutti i suoi parenti e amici”.

Dice allo “stimato professore”, riconosciuto difensore dei diritti dei detenuti: “Lei ha avuto la solidarietà e la sensibilità permanente dei suoi compagni in prigione, ai quali sono stati violati i diritti umani, e si è dedicato a chiedere giustizia”.

Le organizzazioni del jCanan Lum ricordano che il 26 gennaio 2010 l’allora vescovo emerito di San Cristóbal de Las Casas visitò la Prigione N. 5, per consegnare a Patishtán Gómez il jTatic Samuel jCanan Lum, “come riconoscimento per il suo profondo impegno umano con cui, dalla prigione, porta avanti la causa di chi è ingiustamente imprigionato e, con la sua fede, promuove la difesa dei diritti umani, riuscendo ad ottenere la liberazione di 40 di queste persone, sebbene egli stesso continui a restare in prigione a scontare un’ingiusta condanna”.

Le organizzazioni riaffermano il loro supporto a Patishtán “nella sua lotta per la libertà e la giustizia” e si appellano alle autorità “affinché assicurino il ritorno di Patishtán nel centro di detenzione più vicino alla sua famiglia nel più breve tempo possibile, come indicano gli organismi internazionali dei diritti umani”.

Intanto, L’Altra Campagna ha realizzato una manifestazione davanti alla sede dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) a Città del Messico, a sostegno dei detenuti, denunciando inoltre che l’ONU segue una “Agenda Chiapas” in base alla quale “sostiene e finanzia” il governo del Chiapas “come difensore dei diritti umani”.

Infine, secondo l’ultimo bollettino medico sullo stato di salute degli scioperanti, “la debolezza e nausea aumentano, ed anche la loro voce ormai è debole”. Hanno perso in media otto chili, molti soffrono di diarrea e dolori addominali, condizione che aumenta la  disidratazione. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/28/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 27 ottobre 2011

Gli avvocati ritengono che il caso di Alberto Patishtán debba essere rivisto nel contesto del clima di repressione che si viveva all’eopoca dei fatti

Hermann Bellinghausen

Questa è la storia di Alberto Patishtán Gómez, professore tzotzil e membro della Voz del Amate, da anni uno dei più importanti prigionieri indigeni e di coscienza del Messico. Si dichiarò in digiuno Dal 29 settembre scorso è in sciopero della fame, come i detenuti dell’Altra Campagna che chiedono la loro liberazione.

E’ stato arrestato nel 2000 e condannato a 60 anni di prigione con l’accusa di aver ucciso sette poliziotti a Las Limas (El Bosque) a giugno di quell’anno. Nello stesso processo fu assolto un altro imputato, Salvador López González, base di appoggio zapatista, perché il giudice ritenne che l’unico sopravvissuto, Rosemberg Gómez, “non fu sincero quando lo denuncò”.

Secondo la sua difesa, rappresentata all’epoca del suo primo sciopero della fame, tra febbraio ed aprile del 2008, da Gabriela Martínez López, “l’unico testimone fu indotto in maniera inverosimile a testimoniare contro López e Patishtán”.

Il giudice ignorò le contraddizioni e condannò alla massima pena il secondo, che aveva presentato prove ragionevoli di non aver partecipato all’imboscata. Nonostante l’appello ed il ricorso, a maggio del 2003 fu condannato. “Chi lo conosce sa della sua innocenza e della sua forza morale. La condanna è una vendetta delle autorità nel caso dei poliziotti uccisi”. Avevano bisogno di un “capro espiatorio”, fatto che ricorda il celebre caso del leader lakota Leonard Peltier, condannato all’ergastolo negli Stati Uniti “perché qualcuno doveva pagare” per la morte di un agente dell’FBI.

Patishtán apparteneva ad un gruppo di comuneros in contrasto con l’allora presidente municipale di El Bosque, il priista Manuel Gómez Ruiz, che li teneva sotto minaccia. Un mese prima dell’imboscata marciarono nella capitale dello stato. Il giorno dei fatti Patishtán si trovava nel municipio di Huitiupan insieme ai genitori, perché lì dirigeva un albergo. Le prove sono numerose.

I suoi avvocati hanno ripetutamente chiesto di ripresentare il caso nel contesto di quegli anni, quando la rappresaglia politica era la regola.

Si ricordi che nella zona operava, fuori controllo, il gruppo criminale-paramilitare dei Los Plátanos, circa 80 ragazzi addestrati dalla polizia e dall’Esercito federale che si erano stabiliti nella comunità di Los Plátanos.

Il periodo del governatore Roberto Albores Guillén (1998-2000) “fu un periodi di repressione, morte ed azioni paramilitari”. Il 10 giugno 1998, centinaia di poliziotti e soldati attaccarono le comunità Chavajeval, Unión Progreso e El Bosque, con un saldo di otto morti e più di 50 arresti. Nel 1999 la violenza in Chiapas si rifugiava sotto la protezione dell’Esercito federale che aumentò la sua presenza da 66 a 111 municipi. Alla fine del 2000, solo negli Altos erano avvenute altre otto esecuzioni.

Le prime indagini della Procura Generale della Repubblica indicavano che gli autori potevano essere stati uno dei “gruppi armati” sui quali indagava (alla fine inutilmente) l’Unità Speciale per i Reati Commessi da Presunti Gruppi di Civili Armati, che concluse che il gruppo aggressore si era impadronito delle armi dei sette poliziotti uccisi, armi ad uso esclusivo dell’Esercito. “Come potevano farlo solo due persone? Come avevano potuto mettersi insieme un priista (Patishtán lo era a quel tempo) ed uno zapatista, Salvador López, per tendere un’imboscata ai poliziotti? Non si conoscevano nemmeno. A questo non è mai stata data una spiegazione”, ancora tre anni fa sosteneva la sua difesa..

Patishtán adduce una rappresaglia dell’allora sindaco Gómez Ruiz, chi obbligò suo figlio Rosemberg ad accusarlo.

“Oggi sappiamo dai familiari di Patishtán che la testimonianza fu comprata con un camioncino Ford. Ogni volta che Rosemberg si ubriaca confessa di essere stato costretto a ‘mandare in prigione Patishtán”, riporta la relazione della sua difesa.

Il professore tzotzil è stato trasferito ingiustificatamente in una prigione federale a Guasave, Sinaloa, lo scorso 20 ottobre, e fino ad ora nessuno ha potuto mettersi in contatto con lui. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/27/politica/026n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

 Ingiustizia in Chiapas

Gloria Muñoz Ramírez

Emilia Díaz è la moglie di Rosario Díaz, detenuto nell’Istituto Penitenziario N. 5 di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, dove sta scontando una condanna a 45 anni di prigione accusato di sequestro e omicidio. Rosario, come gli altri 10 prigionieri politici da 24 giorni in sciopero della fame per chiedere la loro liberazione, sta scontando una sentenza frutto di un processo ingiusto e razzista, piagato da irregolarità di cui trabocca l’apparato di giustizia del governo di Juan Sabines e dei suoi predecessori, sia Pablo Salazar Mendiguchía sia Roberto Albores Guillén, in uno stato storicamente emblematico per l’ingiustizia verso gli indigeni.

Torture, testimoni falsi, detenzioni arbitrarie, mancanza di traduttori nei processi ed un’infinità di irregolarità sono presenti nei processi di centinaia di indigeni imprigionati in Chiapas. Di molti si presume l’innocenza, perché è dimostrabile l’arbitrio dei processi giuridici. Il reato di essere indigeno e, la cosa peggiore, di organizzarsi dentro le prigioni per chiedere la propria libertà, ha fatto sì che uno dei leader dello sciopero della fame, Alberto Patishtán Gómez, fosse trasferito improvvisamente in una prigione federale a duemila chilometri di distanza, a Guasave, Sinaloa, azione che è stata criticata da molti settori della società civile e da organismi dei diritti umani, come Amnesty International, che in un comunicato ha denunciato che si è trattato di “una rappresaglia per il suo ruolo attivo nello sciopero della fame e nelle rivendicazioni per il rispetto dei diritti umani dei detenuti”.

Venerdì scorso convocata dalla Rete contro la Repressione e la Solidarietà, si è svolta un’azione di protesta di fronte alla rappresentanza del “malgoverno del Chiapas” a Città del Messico, per chiedere la liberazione immediata degli 11 detenuti dell’Altra Campagna che appartengono alle organizzazioni La Voz del Amate, Voces Inocentes e Solidarios de la Voz del Amate. Contemporaneamente, sta circolando un’Azione Urgente del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, che chiede ai governi federale e statale informazioni su dove si trovi Alberto Patishtán Gómez, così come le ragioni del suo trasferimento; il suo ritorno immediato nella prigione di San Cristóbal de las Casas; che si accolgano le richieste di giustizia che esigono i detenuti in sciopero della fame e si rispettino i diritti delle persone private della libertà; e che si rispetti il diritto di manifestazione, riunione e libertà di espressione dei familiari dei detenuti in sciopero della fame che si sta svolgendo nella Piazza della Cattedrale di San Cristóbal de las Casas, Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/opinion/015o1pol

losylasdeabajo@yahoo.com.mxhttp://desinformemonos.org

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 22 ottobre 2011

Amnesty International chiede la revisione dei casi dei detenuti a San Cristóbal de las Casas

Ángeles Cruz Martínez

Amnesty International chiede alle autorità messicane di rivedere i casi dei detenuti in sciopero della fame nella prigione di San Cristóbal de las Casas, perché esistono le prove dell’irregolarità dei processi e delle sentenze. In particolare, esprime la sua preoccupazione per il trasferimento del professor Alberto Patishtán in una prigione federale di Sinaloa.

Denuncia che la misura sembrerebbe una rappresaglia per la sua partecipazione al digiuno iniziato il 29 settembre insieme ad altri condannati per protestare contro la persecuzione delle autorità penitenziarie. Denunciano anche che hanno negato loro la visita di familiare e amici.

Inoltre, dallo scorso 8 ottobre, i familiari dei detenuti in sciopero della fame sono in presidio permanente nella Piazza della Cattedrale.

Amnesty International segnala che i processi giudiziari contro gli indigeni in sciopero della fame devono essere rifatti secondo gli standard internazionali sul giusto processo, o devono essere messi in libertà.

Amnesty International rivolge anche un appello ai governi federale e statale affinché rispettino il diritto dei detenuti di realizzare lo sciopero della fame ed a procurare adeguata assistenza medica, così come a non ricorrere all’alimentazione forzata.

L’organizzazione segnala che tentare di alimentare gli scioperanti contro la loro volontà è ingiustificato, perché sono nel pieno delle loro capacità mentali, specialmente se questo avviene senza adeguata supervisione di uno specialista, e prima che esista una fondata ragione medica o avvenga in modo crudele.

Un’altra preoccupazione espressa da Amnesty International riguarda le minacce e le intimidazioni delle autorità per porre fine alla protesta. In particolare, si riferisce alla situazione di Rosa López Díaz, anch’ella in sciopero della fame nella prigione, che è stata minacciata di essere separata in maniera permanente da suo figlio.

Intanto, il Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) ha chiesto alla Segreteria di Pubblica Sicurezza federale di “realizzare le azioni necessarie” affinché Patishtán sia riportato nella prigione di San Cristóbal de las Casas, poiché il suo trasferimento nell’Istituto Penitenziario N. 8, con sede a Guasave, Sinaloa, “costituisce una violazione dei suoi diritti umani”.

In un comunicato, il CEDH afferma che il trasferimento dell’indigeno “evidenzia la violazione dell’articolo 69 della legge federale di esecuzione delle sanzioni penali, secondo cui per i trasferimenti degli internati deve essere rispettato l’imperativo costituzionale di protezione dell’organizzazione e dello sviluppo della famiglia”.

Aggiunge che questo principio è stato violato, perché Patishtán è di etnia tzotzil ed allontanandolo gli viene negata l’integrazione personale, familiare e comunitaria. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/22/politica/015n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – 21 ottobre 2011

Trasferito in un carcere di Sinaloa, Alberto Patishtán Gómez, portavoce dei detenuti in sciopero della fame in Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

All’alba di ieri, giovedì, intorno alle 2:30, il direttore della prigione di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, José Miguel Alarcón García, ed il comandante della prigione, scortati da sette agenti di custodia, hanno trasferito nella prigione di Guasave, Sinaloa, il professor Alberto Patishtán Gómez, portavoce dei detenuti da 22 giorni in sciopero della fame.

Secondo i suoi compagni che si trovano nel presidio all’interno del carcere, il trasferimento di Patishtán Gómez “è chiaramente un tentativo di scoraggiare lo sciopero della fame”. Segnalano che le autorità governative “sono consapevoli, come noi, dell’autorità morale che rappresenta Patishtán all’interno della prigione, e più concretamente nello sciopero”.

Nel pomeriggio del giovedì, il governo statale ha annunciato che, “nell’ambito del programma di riduzione del sovraffollamento dei centri penitenziari, questo giovedì la Segreteria federale di Pubblica Sicurezza ha eseguito il trasferimento di 48 detenuti che si trovavano nelle prigioni del Chiapas in diverse prigioni federali del paese”.

In questo gruppo si trova Patishtán Gómez – aggiunge il bollettino ufficiale – “condannato a 60 anni di prigione per reati federali, dopo il suo arresto nel 2000”. Il maestro “si trova in buono stato di salute” ed è stato trasferito nel Carcere N. 8 di Guasave, Sinaloa.

Il sottosegretario degli Istituti Penali in Chiapas, José Antonio Martínez Clemente, ha precisato che tutti i detenuti trasferiti sono condannati per reati in ambito federale. In realtà, le autorità dello stato si sono dissociate dall’operativo. Ricordiamo che nel 2010, il governatore Juan Sabines Guerrero si era personalmente impegnato per la liberazione di Patishtán durante la sua visita all’ospedale di Tuxtla Gutiérrez, dove il professore tzotzil era stato ricoverato per sei mesi per problemi diabetici, per i quali non ha ricevuto l’assistenza adeguata, e si pensa che ne riceverà ancora meno nel nuovo carcere.

Patishtán è stato il portavoce ufficiale dell’azione di protesta pacifica intrapresa dai detenuti indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, El Amate e Motozintla, rispetto al quale “il governo non solo non si è pronunciato, ma ha fatto di tutto per oscurare la protesta”, hanno dichiarato i familiari dei detenuti, ed ora “cerca di spezzare questo sciopero della fame”.

I detenuti e le loro famiglie – in presidio nel centro di San Cristóbal de Las Casas – chiedono la liberazione immediata di Patishtán Gómez e di tutti gli altri carcerati in sciopero della fame. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/21/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 20 ottobre 2011

Negate le visite ai detenuti in sciopero della fame nel carcere di San Cristóbal

HERMANN BELLINGHAUSEN

Pedro López Jiménez, 31 anni, tzeltal di Colonia Sibactel, municipio di Tenejapa, Chiapas, è da 21 giorni in sciopero totale della fame insieme ad altri sei detenuti indigeni nel carcere di San Cristóbal de las Casas. Chiede la sua liberazione perché sostiene di essere innocente dalle accuse per le quali è stato condannato a 14 anni di prigione, e che è stato torturato ed obbligato a dichiararsi colpevole di sequestro e violenza, reati che non ha commesso.

L’hanno arrestato gli agenti della polizia giudiziaria dello stato il 10 maggio 2007 a San Cristóbal de Las Casas. Come riferisce lo stesso López Jiménez, gli agenti non gli mostrarono nessun mandato di cattura. Nemmeno gli dissero il motivo dell’arresto. Condotto in una “casa” gli praticarono la tortura dell’asfissia con una busta di plastica, con l’acqua, gli bendarono gli occhi con uno straccio intriso di sostanza urticante e gli applicarono scariche elettriche. I suoi aguzzini lo bastonarono fino a fargli perdere i sensi.

López Jiménez ha riferito che alle torture partecipò “un numero imprecisato di poliziotti, perché erano in tanti”. Nello stesso luogo dove fu torturato firmò la sua dichiarazione su un foglio in bianco. Il giorno seguente la polizia lo consegnò al Pubblico Ministero (MP) dove, con l’intervento di qualcuno appartenente al Pubblico Ministero stesso, si ratificò la dichiarazione che consegnarono i poliziotti. Non ebbe né l’assistenza di un avvocato né di un interprete in tzeltal. Lo trasferirono in un’altra casa e da lì al Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 5, a San Cristóbal.

Gli formalizzarono l’arresto 9 giorni dopo con una condanna a 14 anni, riconfermata anche in appello. Come succede anche per gli altri casi dei detenuti attualmente in sciopero della fame e digiuno, l’avvocato d’ufficio incaricato del loro caso non li tiene informati dell’andamento dei processi.

Secondo i collettivi dell’Altra Campagna che seguono il suo caso e l’hanno visitato in prigione, “lo stato di sovraffollamento in cui vivono i reclusi è preoccupante”. “Nelle celle di tre per tre metri e mezzo dormono minimo 10 persone”. López Jiménez è membro dell’organizzazione Solidarios de La Voz del Amate, ed ha effettuato digiuni “come forma di denuncia e pressione”. Ha denunciato pubblicamente anche il sovraffollamento in cui vivono i carcerati e la pessima qualità del cibo che ricevono, spesso scaduto.

Al momento del suo arresto era vice presidente dell’istruzione nella sua comunità. Ha cinque figli. Sua moglie, una donna contadina, ha dovuto cominciare a lavorare come salariata. La famiglia si è unita alle azioni in difesa dei detenuti e partecipa al presidio nella piazza di San Cristóbal, in corso da 12 giorni.

Con López Jiménez partecipano allo sciopero della fame, dal 29 settembre, Rosario Díaz Méndez, “prigioniero politico” della Voz del Amate; José Díaz López, Alfredo López Jiménez e Alejandro Díaz Sántiz, dell’organizzazione Solidarios de La voz del Amate, e Juan Díaz López, di Voces Inocentes.

Altri cinque detenuti partecipano con digiuni di 12 ore al giorno: Alberto Patishtán Gómez, della Voz del Amate, Andrés Núñez Hernández e Rosa López Díaz. Juan Collazo Jiménez (a Motozintla) ed Enrique Gómez Hernández (an Cintalapa) si sono uniti al digiuno il 3 ottobre.

Questo lunedì, un gruppo di indigeni cattolici di Huixtán ha chiesto di visitare i detenuti in sciopero nel Carcere N. 5, ma il direttore, José Miguel Alarcón García, ha vietato loro la visita dicendo di ritornare “tra 15 giorni”. Secondo Indymedia Chiapas, “non è la prima visita agli scioperanti che il direttore della prigione proibisce”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 19 ottobre 2011

Prosegue da 20 giorni lo sciopero della fame dei detenuti nelle prigioni del Chiapas

HERMANN BELLINGHAUSEN

Alberto Patishtán Gómez, portavoce della Voz del Amate e tutti i detenuti in sciopero della fame e digiuno nelle tre prigioni del Chiapas, via telefono oggi dal carcere di San Cristóbal de Las Casas, sottolinea che la protesta delle organizzazioni L’Altra Campagna, Voces Inocentes, Solidarios con la Voz del Amate e la comunità di Mitzitón “sono da 20 giorni in sciopero della fame senza alcuna risposta da parte del governo”.

Segnala che i detenuti, in particolare quelli che non assumono cibo dal 29 settembre scorso, accusano orami già forti nausee e debolezza, e che le autorità della prigione hanno ristretto le visite e l’ingresso di personale medico.

Rispetto al suo caso in particolare, il professor Patishtán ricorda “l’impegno (di concedere la sua libertà) preso dal governatore Juan Sabines Guerrero più di un anno fa nell’ospedale in cui era ricoverato; che non rimanga solo a parole, ma si concretizzi nei fatti”.

Dopo la liberazione – nel fine settimana – di Manuel Heredia e Juan Jiménez, della comunità di Mitzitón, nella sezione maschile del Carcere N. 5 restano sei indigeni in sciopero della fame, ed altri due a digiuno per 12 ore al giorno. A loro si uniscono Rosa Díaz López – nella sezione femminile -, Juan Collazo, nel Carcere N. 6 di Motozintla, ed Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 14 di El Amate.

Rispetto alla liberazione di due membri dell’ejido di Mitzitón, le autorità della comunità hanno chiarito – per telefono – che non hanno inviato nessun ringraziamento al governatore né hanno negoziato col governo. I contadini tzotziles liberati sono rimasti in carcere ingiustamente per quasi 10 anni.

Il portavoce di Mitzitón ha ricordato che si è trattato di una lunga lotta; nel gennaio scorso la comunità aveva realizzato un presidio di fronte alla prigione per chiedere la liberazione dei suoi compagni. “C’è stata anche l’azione dei compagni nazionali ed internazionali” (con riferimento alla solidarietà ricevuta). Resta in prigione Artemio Díaz Heredia.

Domenica scorsa, a 17 giorni di protesta, un gruppo dell’Altra Campagna, compreso personale medico, ha visitato la prigione di San Cristóbal. Sui carcerati in sciopero della fame riferiscono che Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Santis e Juan Díaz López sono “esposti alle intemperie ed al freddo ed alla pioggia, fuori dalle celle, in presidio sotto una tettoria di lamiera e teli di plastica”. Accusano mal di testa, petto e stomaco, nausea, riduzione di peso, diarrea, stanchezza, segni di disidratazione, crampi alle gambe e pressione sanguigna bassa. Secondo il rapporto, i segni ed i sintomi osservati indicano “conseguenze fisiche dovute al digiuno; i detenuti sono in una fase in cui il digiuno inizia ormai a produrre effetti sulla salute fisica”.

Nella sezione femminile è a digiuno per 12 ore al giorno Rosa López Díaz che accusa dolori al petto e dolore permanente per ernia ombelicale da vari mesi. “Nell’ultima settimana Tomás Trejo Liévano, che si è presentato come psicologo del Carcere, è stato da le per convincerla a ‘parlare’, nonostante il rifiuto di Rosa”, alla quale sono state esercitate pressioni affinché abbandoni la protesta.

Impossibilitati allo sciopero della fame per motivi di salute, sono a digiuno anche Andrés Núñez Hernández e Patishtán Gómez; nel Carcere N. 14, Enrique Gómez Hernández, nel Carcere N. 6, a Motozintla, Juan Collazo Jiménez, che è “stabile, ma molto preoccupato per la madre che si trova al presidio dei familiari dei detenuti nella piazza di San Cristóbal” dall’8 ottobre.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 17 Ottobre 2011

La donna tzotzil in carcere in Chiapas chiede aiuto alle Mamme Antifasciste di Roma

HERMANN BELLINGHAUSEN

Dal carcere di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Rosa López Díaz così scriveva nell’aprile scorso alle Mamme Antifasciste di Roma che, nella capitale italiana, avevano organizzato un incontro contro la tortura nelle prigioni: “Sono indigena di lingua tzotzil. Sono di famiglia umile e povera. Mi hanno arrestata il 10 maggio del 2007 insieme a mio marito (Alfredo López Jiménez) con l’accusa di un reato che non abbiamo commesso; ho subito trattamenti inumani come la tortura fisica e psicologica, e minacce di morte.

“E’ la cosa più triste che mi sia capitata nella mia vita di donna, non dimenticherò mai i volti delle persone che mi hanno picchiata ingiustamente; uomini e donne che dicono di essere autorità pubbliche non hanno cuore e solo violano i diritti umani imputando reati a persone che non danno loro denaro; e siamo finiti in prigione perché non conosciamo i nostri diritti e così siamo calpestati, ignorati per tutti i nostri diritti come esseri umani”.

Vittima di fabbricazioni giudiziarie e condannata a 27 anni di carcere, come suo marito oggi in sciopero della fame, Rosa raccontava alle madri italiane: “Chiedo solo perdono a Dio e che un giorno guarisca le ferite che porto dentro e fuori; la cosa più dolorosa della mia vita è che durante le torture ero incinta di quattro mesi e poi ho dato alla luce un bambino di nome Natanael López López, nato con danni cerebrali, il volto deforme e paralizzato”.

Rosa, da 17 giorni a digiuno, accompagna dalla prigione femminile di San Cristóbal lo sciopero della fame dei detenuti dell’Altra Campagna della sezione maschile del carcere N. 5, che chiedono la loro liberazione; è madre anche di un bambino di due anni, sano, che vive con lei in prigione: “I dottori hanno detto a mia madre che il bambino è nato malato per le torture ricevute al mio arresto”.

Oggi, aggiunge, “chiedo misericordia a Dio affinché mio figlio possa ricevere un trattamento adeguato per la sua malattia; ho bussato a tante porte ma nessuno mi ha ascoltato, oggi chiedo a Dio di toccare i vostri cuori affinché un giorno insieme possiate aiutarmi a superare questo dolore che mi porto giorno dopo giorno sola; non ce la faccio più, ho bisogno di voi, compagne e compagni, affinché insieme sconfiggiamo i malgoverni nei nostri paesi, meritiamo un trattamento degno, meritiamo uguaglianza”.

Funzionari governativi hanno fatto pressioni su Rosa perché abbandoni il digiuno, minacciando di toglierle la custodia del piccolo che vive con lei in prigione.

Dal 29 settembre sono in sciopero della fame Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Sántiz e Juan Díaz López. Oltre ad Alberto Patishtán e Rosa Díaz López, digiunano Andrés Núñez Hernández, Juan Collazo ed Enrique Gómez Hernández. I loro familiari, organizzati nella Voz del Amate, Voces Inocentes, Solidarios de La Voz del Amate e Mitzitón, mantengono una presidio nella piazza centrale di San Cristóbal de Las Casas per chiedere la liberazione dei prigionieri in sciopero della fame.

La comunità di Mitzitón ha comunicato che sabato scorso sono stati liberati dalla prigione di San Cristóbal i primi due detenuti in sciopero della fame: Manuel Heredia Jiménez e Juan Jiménez Pérez, “dopo 9 anni e 4 mesi di reclusione ingiusta”. La comunità tzotzil ribadisce che: “Stiamo lottando per la libertà di chi sta dentro le prigioni e fuori”. Annunciano che continueranno a lottare fino a vedere libero il loro compagno Artemio Díaz Heredia e gli aderenti che proseguono lo sciopero della fame.

“I nostri passi accompagnano quelli delle basi di appoggio dell’EZLN. Continueremo ad essere compagni e per questo vogliamo che cessi la persecuzione contro le comunità zapatiste, il cui unico reato, come noi, è quello di lottare per la propria autonomia”, concludono gli indigeni.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 15 Ottobre 2011

Basi di appoggio zapatiste subiscono aggressioni e saccheggi nella comunità Che Guevara, denuncia la JBG

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, di La Realidad Trinidad, Chiapas, ha denunciato minacce di morte con armi da fuoco, furto di prodotti, saccheggi e tentativi di omicidio contro le basi di appoggio zapatiste del villaggio Che Guevara, o Rancho La Paz, nel municipio autonomo di confine Tierra y Libertad, da parte di persone di insediamenti vicini protette da funzionari governativi.

Nei giorni 6, 7 e 8, Eladio Pérez e Filadelfo Salas, loro familiari ed altre sei persone sono  arrivate a rubare due ettari di piante di caffè ed altrettanti sono stati tagliati da Olegario ed Ángel Roblero. “Le piantagioni di caffè sono coltivate dai nostri compagni, ma queste persone stanno tagliando le piante nel terreno recuperato di Che Guevara, che si trova nel municipio ufficiale di Motozintla”, comunica la JBG.

La mattina del giorno 10, queste persone sono arrivate nuovamente sul terreno di 30 ettari con l’intenzione di tagliare altro caffè, ma le donne di Che Guevara l’hanno impedite. Tra gli intrusi, Bersaín e Misael Escobar si sono scagliati contro le donne a colpi di machete.

“La nostra compagna Martha Zunun Mazariegos è stata aggredita a colpi di machete ed è stata colpita al collo e presa a calci e poi, caduta a terra, minacciata con una pistola da Misael Escobar. Julia Aguilar ha ricevuto un colpo di con machete in testa, uno al braccio ed un calcio nell’addome. La compagna Guadalupe, di 75 anni, è stata aggredita con spintoni e minacce di morte”. Misael ha esploso tre colpi in aria. Sono poi spraggiunti altri sei zapatiste per difendere le donne e sono state minacciate di essere “eliminate una per volta”.

All’alba di martedì 11, Ángel Hernández Hernández, base di appoggio dell’EZLN di Che Guevara, mentre aspettava un’auto alla deviazione del Rancho La Paz, è stato avvicinato dai fratelli Escobar che “gli hanno legato collo e mani e picchiato, portandolo quindi in un’autofficina di proprietà di Misael al crocevia di San Dimas, dove hanno continuato a picchiarlo, e quando ha perso conoscenza hanno deciso di gettarlo nel fiume Río Grande di La Paz, a circa 100 metri, ma una donna che era con loro è intervenuta chiedendo che non lo facessero”. Poi, gli aggressori “hanno detto ad un altro dei nostri compagni, Manuel Barrios, che l’avrebbero ammazzato”.

Il gruppo degli aggressori è guidato da Silvano Bartolomé e Guillermo Pompilio Gálvez Pinto che la JBG accusa, insieme ai tre livelli di governo – municipale, statale e federale – di organizzare e manipolare la gente per provocare le basi zapatiste. “Questi atti criminali ci riempiono di rabbia e indignazione, ancora di più quando le istanze governative alle quali compete di fare giustizia li ignorano lasciandoli nell’impunità”.

La JBG denuncia Rodolfo Suárez Aceituno, presidente municipale di Motozintla, il governatore Juan Sabines Guerrero ed il presidente Felipe Calderón Hinojosa, quali “autori intellettuali” di questi “atti criminali”. Chiede alle autorità di fare giustizia. “Siamo stanchi di quello che fa il malgoverno; imprigiona gli innocenti mentre i criminali godono di piena libertà”.

La giunta zapatista avverte: “Pensano di farci paura affinché i nostri compagni abbandonino le terre che abbiamo riscattato con il sangue dei nostri compagni caduti nel 1994. Non ci arrenderemo, le difenderemo a qualunque costo e se il governo non fa niente al riguardo e l’unica opzione che ci lascia è difenderla con la nostra stessa vita, lo faremo volentieri”.

Se le autorità ufficiali non interverranno, “saranno complici di questi delinquenti”, aggiunge la JBG. “Come zapatisti, non ci vendiamo per le porcherie che distribuisce Juan Sabines, e molto meno per gli avanzi di quello che lui non riesce a mangiare”.

A due settimane dallo sciopero della fame di sette detenuti indigeni di diverse organizzazioni dell’Altra Campagna, ed altri sei a digiuno per 12 ore al giorno, il presidio dei familiari in corso da una settimana nella piazza centrale di San Cristóbal de las Casas denuncia nuove minacce di sgombero da parte del governo statale. Questo, perché lunedì prossimo inizia nello stesso luogo il Forum Mondiale del Turismo di Avventura, e non sembrano molto favorevoli all’immagine del governo chiapaneco le evidenze che si torturano e si imprigionano ingiustificatamente gli indigeni.

Come riferisce Indymedia Chiapas, questo giovedì i parenti in presidio hanno ribadito  che gli indigeni nelle prigioni di San Cristóbal, Cintalapa e Motozintla sono stati torturati sistematicamente. “L’asfissia è una delle forme di tortura più comuni in Chiapas, non solo durante i governi precedenti, ma anche nell’attuale amministrazione la cosa è sistematica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/15/politica/015n1pol

Denuncia della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 12 ottobre 2011

Il Tribunale Permanente dei Popoli darà visibilità agli indigeni

MATILDE PÉREZ U.

Si installato il Tribunale Permanente dei Popoli (TPP) che sarà un luogo per pensare ad una nuova costituente ed opererà affinché i popoli indigeni siano riconosciuti come soggetti di diritto, ha affermato il vescovo di Saltillo, Raúl Vera López, partecipando al forum Messico ed il Mondo Attuale, organizzato da Casa Lamm e La Jornada.

Dopo aver raccontato alcune delle sue esperienze nella lotta dei minatori di Pasta de Conchos, nel lavoro per documentare la sparizione di almeno 200 persone a Coahuila e la creazione della Rete dei Familiari Desaparecidos, Vera López ha riferito che la lotta del vescovo Samuel Ruiz García affinché gli indigeni – i più poveri – fossero considerati soggetti di diritto, continua ed ora con il TPP saranno visibili e saranno presi in considerazione.

In questo tribunale, ha specificato, “si farà una radiografia chiara di chi guida il paese, della mancanza di razionalità e si recupererà il vero sentire politico e della giustizia”.

Luis Hernández Navarro, opinionista di La Jornada, e Magdalena Gómez, collaboratrice di questa testata, hanno descritto i precedenti del TPP, stabilito formalmente nel 1979 a Bologna, Italia, ed il cui compito è dare visibilità ed esaminare i casi in cui si commettono crimini contro l’umanità.

Hernández Navarro ha raccontato che, nei 32 anni di esistenza del TPP, i suoi 130 membri si sono riuniti in più di 40 occasioni per giudicare dai genocidi fino ai crimini ambientali ed abusi commessi dalla Banca Mondiale, dal Fondo Monetario Internazionale e da imprese transnazionali in diversi paesi. Nel caso del Messico si stabilirà dopo quattro anni di intenso lavoro realizzato da Andrés Barreda per giudicare i casi che denunceranno i popoli. “Sarà una tribuna per dare la parola a chi subisce abusi, uno spazio per conservare la memoria; sarà il luogo in cui i popoli che hanno subito gravi violazioni ai propri diritti presentino i loro casi”.

Jorge Fernández Souza, avvocato e studioso dell’Università Autonoma Metropolitana, ha affermato che nel paese lo stato di diritto è praticamente sepolto, perché “si è persa la bussola del diritto; si è distorto tutto, c’è distanza tra la legge e quello che succede nella realtà. La possibilità di accedere ad istanze minimamente credibili è scarsa”.

Ha dichiarato che il TPP farà da cassa di risonanza, perché la sua statura morale è molto alta.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 12 ottobre 2011

Le autorità del PRD premono perché sia rimosso il presidio a San Cristóbal

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 11 ottobre. Funzionari municipali inviati dal sindaco Cecilia Flores, del PRD, hanno esercitato pressioni sugli indigeni accampati nella piazza centrale di questa città, familiari dei detenuti in sciopero della fame nel Carcere N. 5 ed in altre due prigioni chiapaneche, che chiedono la loro liberazione.

Come ha comunicato questa mattina Alberto Patishtán Gómez, membro della Voz del Amate e portavoce dei sette detenuti in sciopero della fame, che oggi sono al 13° giorno di protesta, gli emissari municipali pretendono che si tolga il presidio dalla piazza della cattedrale di San Cristóbal almeno mentre si svolgerà il Forum Mondiale del Turismo di Avventura il prossimo fine settimana. Nei prossimi giorni è previsto l’arrivo dei partecipanti.

Patishtán ha detto a La Jornada che le famiglie hanno risposto alle pressioni “che si ritireranno dalla piazza solo quando usciranno liberi tutti i detenuti rinchiusi ingiustamente”.

Il portavoce dei detenuti ha rivolto un appello alla società civile ed a coloro che simpatizzano con la richiesta di libertà, a realizzare azioni di solidarietà in difesa delle famiglie indigene che sono in presidio permanente, di fronte al pericolo che, ha detto, “vengano cacciati con la forza dalla piazza affinché i governanti possano fare bella figura con la loro festa per promuovere il turismo”.

Mentre il governo non ha praticamente fatto nulla per rispondere alle richieste dei detenuti, alcuni rappresentanti del Consiglio Statale dei Diritti Umani (CEDH) nei giorni scorsi si erano offerti ai detenuti dell’Altra Campagna di intervenire nei loro casi se avessero firmato un documento nel quale designavano lo stesso CEDH come loro rappresentante legale.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha inviato comunicazioni al governatore ed al titolare del sistema penitenziario in Chiapas, e l’unica risposta è stata una notifica della direzione delle carceri secondo la quale i casi saranno “dati in carico” ai tribunali locali delle prigioni corrispondenti. “Non c’è alcuna risposta ufficiale”, sostiene Víctor Hugo López, direttore del Frayba. “Il governo vuole solo prendere tempo”.

Intanto, 15 collettivi, organizzazioni sociali e reti solidali della Sesta Internazionale dell’Altra Campagna in diverse nazioni europee hanno manifestato il loro sostegno allo sciopero ed al digiuno degli indigeni dell’Altra Campagna: “Ci uniamo alla vostra richiesta contro gli arbitri di José Antonio Martínez Clemente, sottosegretario per l’Applicazione delle Sanzioni Penali e Misure di Sicurezza dello stato, e di José Miguel Alarcón García, direttore del Carcere N. 5. Chiediamo che si permetta l’ingresso di familiare, amici, accompagnatori e personale medico”.

Gruppi civili di Francia, Svizzera, Italia, Spagna e Germania ritengono responsabili questi funzionari ed il governatore chiapaneco Juan Sabines Guerrero “di qualunque cosa possa accadere” ai detenuti Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, José Díaz, Alfredo López Jiménez, Alejandro Díaz Santis, Manuel Heredia Jiménez, Juan Díaz López, Alberto Patishtán Gómez, Andrés Núñez Hernández, Rosa López Díaz e Juan Jiménez Pérez.

Chiedono che “cessi il ricatto contro Rosa López Díaz, alla quale hanno minacciato di togliere il figlio” se non interrompe il digiuno. Soprattutto chiedono la “liberazione immediata” dei detenuti di La Voz del Amate, solidali di La Voz del Amate, L’Altra Mitzitón e Voces Inocentes.

I collettivi concludono: “Seguiamo la situazione ed eserciteremo la pressione necessaria per ottenere, tutti insieme, la loro liberazione”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 10 ottobre 2011

Compie due anni Desinformémonos, la rivista elettronica “indipendente e libera” diretta dalla giornalista Gloria Muñoz

Mónica Mateos-Vega

La rivista elettronico Desinformémonos compie due anni e conferma lo spirito che ha animato la sua nascita: dare voce agli indignati nel mondo.

“Non trattiamo né ci preoccupiamo dell’informazione di governi, deputati, presidenti municipali, né dell’informazione calata dall’alto. Qui non passa, a meno che si tratti di mettere in discussione determinati modi di governare, ma non è la cosa più importante, la cosa importante è come agiscono coloro che stanno in basso: che cosa fanno per le strade, come si sta trasformando la politica e come se ne stanno appropriando”, spiega Gloria Muñoz, direttrice di questo progetto “di comunicazione autonoma, libera ed indipendente”.

La giornalista dirige una squadra di comunicatori, “ma anche di persone dei movimenti sociali, persone dei villaggi, giovani dei quartieri e molte donne, che condividono con noi le loro storie di lotta, di resistenza, di sopravvivenza e di repressione”, segnala nell’intervista.

Aggiunge che in due anni la rete dei collaboratori è aumentata (circa 100 persone), con le quali stiamo preparando il numero speciale dell’anniversario che includerà “sogni, attività, lotte, resistenze, illustrazioni, fotografie e video di ragazzi di Messico, Cile, Brasile, Honduras, Guatemala, Cuba, Hawai, Austria, Ucraina, Georgia, Siberia, Nigeria, Spagna, Argentina, Francia, Italia, Stati Uniti, Bolivia, Uruguay, Haiti e Turchia.

La cosa meravigliosa di questo è che tutto proviene da lavoro volontario, molto professionale, di persone che credono in questa trincea e che in qualche modo fa parte delle sue lotte. Sono stati due anni di apprendimento, durante i quali la componente più rilevante è stato l’attivismo”.

Desinformémonos viene pubblicato in sei lingue e viene visitato mensilmente da persone di 125 paesi.

Muñoz, collaboratrice anche della Jornada, ritiene che “la società esige spazi di giornalismo che si occupino di quello che i grandi mezzi di comunicazione non affrontano, di quello che succede in basso, nei quartieri, nelle fabbriche, in campagna.

“Da due anni è in corso il progetto di un laboratorio di giornalismo per le lavoratrici del sesso, con le quali stiamo realizzando un libro di interviste realizzate da loro stesse. Stiamo inoltre facendo scambi tra le comunità.

“C’è un’esplosione di mezzi di comunicazione di cittadini, autonomi, liberi che  rispondono ai bisogni della loro realtà, della società in complesso. Sono la risposta a quello che offrono i grandi media”.

La giornalista aggiunge che negli ultimi 12 mesi “Desinformémonos ha subito un colpo emotivo molto forte: la perdita di Matteo Dean, fondatore, giornalista, giovane, compagno, un uomo che ha dato molta vitalità al progetto. La sua dolorosa e repentina scomparsa ci ha portato a molte riflessioni, e parte del lavoro che si sta facendo per il secondo anniversario, e quello che verrà, è un omaggio a lui”.

Contemporaneamente alla pubblicazione on-line, nelle prossime settimane, per la prima volta, la rivista sarà pubblicata su carta, e prossimamente avrà un’edizione propria in Brasile e Italia. Esiste anche una versione in PDF che si può scaricare e stampare.

Il numero di visitatori della pagina di Desinformémonos si aggira intorno ai 35 mila al mese, e molti dei suoi contenuti sono ripresi da altri siti web e blog, con cui si incrementano le visite.

!La nostra successiva tappa sarà il rafforzamento l’impegno che abbiamo acquisito in questi due anni: maggiore coinvolgimento con quello che succede nel mondo, incominciando con lo stampare la rivista e diventare una rivista quindicinale.

“E’ sempre una scommessa lavorare senza risorse, ma ne vale la pena”, conclude Muñoz, che dirige una squadra formata, nel suo nucleo, da Marcela Salas, Sergio Castro, Jaime Quintana, Amaranta Cornejo, Isabel Sanginés e Adazahira Chávez, oltre ad un gruppo solidale di traduttori in tutto il mondo.

Le celebrazioni per il secondo anniversario della rivista elettronica Desinformémonos partono questo martedì 11 ottobre con la tavola rotonda Etica giornalistica, alla quale partecipano Luis Villoro, Fernanda Navarro, Miguel Ángel Granados Chapa, Hermann Bellinghausen, un rappresentante del laboratorio di giornalismo dei lavoratori del sesso Aquiles Baeza, e Muñoz. L’appuntamento è alle 18:00 presso l’auditorium Ricardo Flores Magón della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.

I festeggiamenti proseguiranno il 22 ottobre con il Fandango de los Nadies, che si svolgerà nella Scuola Emiliano Zapata (Canacuate 12, angolo Cicalco, Santo Domingo, Coyoacán, dalle ore 12 alle 22), ed il 12 novembre con un concerto presso il Foro Alicia (avenida Cuauhtémoc 91-A, colonia Roma).

http://www.jornada.unam.mx/2011/10/10/cultura/a10n1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 9 ottobre 2011

Il movimento di Javier Sicilia esprime il suo sostengo alle basi zapatiste

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 8 ottobre. Javier Sicilia ha espresso “sostegno morale e politico a tutte le basi di appoggio zapatiste” da parte del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità (MPJD).

In un messaggio letto questa mattina dalla Commissione Azioni di Resistenza del MPJD, in conferenza stampa, Sicilia ha dichiarato: “Durante la nostra visita in Chiapas, con la  Carovana del Sud, in settembre scorso, siamo stati informati delle minacce e delle aggressioni contro le basi di appoggio zapatiste, ed in particolare della comunità di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, corrispondente al municipio ufficiale di Sabanilla”.

Nello stesso tempo, il movimento civile ha chiesto ai governi federale e statale “che si garantisca in forma immediata la vita e l’integrità di tutte le basi di appoggio dell’EZLN” nella comunità autonoma di San Patricio, e che si garantisca il libero accesso ed il rispetto delle terre di questa comunità, poiché riteniamo che tali aggressioni sono un attentato, non solo contro le basi di appoggio zapatiste, ma contro una nuova speranza di ricostruzione della nazione: le autonomie”.

La delegazione del MPJD ha inoltre reso noto un messaggio indirizzato alle giunte di buon governo dei caracoles di Roberto Barrios ed Oventic, per annunciare che invierà in Chiapas una delegazione di 13 persone per “conoscere direttamente dalle vostre voci di quello che succede”.

(….) In due messaggi più, rivolti a Las Abejas di Acteal ed ai detenuti in sciopero della fame e digiuno nella prigione di San Cristóbal, il MPJD ha ribadito la sua vocazione pacifica. A questi ultimi ha detto: “Riconosciamo pienamente il digiuno e lo sciopero della fame come due forme di lotta di grande radicalità morale e fisica, il cui scopo è far venire a galla la verità e toccare la coscienza di chi li fa e dell’avversario. Confidiamo pienamente che questo sciopero della fame e digiuno dia i frutti che tutti aspettiamo quanto prima, e che possiamo riunirci in un abbraccio solidale di libertà”.

 

Questa mattina, i famigliari, in maggioranza donne, di questi detenuti indigeni hanno installato un presidio di fianco alla cattedrale, per chiedere la liberazione dei membri della Voz del Amate, Voci Innocenti, Voces Inocentes, Solidarios con la Voz del Amate e la comunità organizzata di Mitzitón.

Nella piazza della soprannominata Cattedrale della Pace il prossimo fine settimana si svolgerà il Forum Mondiale del Turismo di Avventura, in occasione del quale albergatori e ristoratori aspettano un gran numero di visitatori che vengono a visitare le bellezze dello stato. Le autorità hanno già installato una struttura espositiva proprio a pochi metri dal presidio degli indigeni che chiedono giustizia.

Questo presidio è stato dichiarato a tempo indeterminato e fino alla liberazione dei detenuti in sciopero della famer dal 29 settembre in tre prigioni del Chiapas. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/09/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 6 ottobre 2011

Costante aggressione contro le scuole autonome zapatiste. ONG lanciano una “dichiarazione mondiale a difesa dell’ejido San Marcos Avilés

HERMANN BELLINGHAUSEN

Le scuole autonome zapatiste delle comunità del Chiapas, come San Marcos Avilés, Tentic e Las Mercedes, “sono ripetutamente aggredite da gruppi filogovernativi che in tal modo impediscono il loro normale funzionamento colpendo non solo la scolarità dei bambini indigeni, ma la convivenza comunitaria”.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ed il Movimento per la Giustizia del Barrio – dell’Altra Campagna di New York – lanciano una “dichiarazione mondiale” a difesa dell’ejido San Marcos Avilés (municipio di Sitalá): “Lo Stato messicano, per mezzo degli attori politici e delle organizzazioni filogovernative, ha tentato di smantellare il processo che va a compimento, con la sua pratica quotidiana, degli accordi di San Andrés nel progetto di autogoverno, giustizia, lavoro, salute, giusta tecnologia ed educazione”.

I promotori ritengono che “l’avanzamento del Sistema Educativo Ribelle Autonomo Zapatista a San Marcos Avilés ha dato il pretesto per attaccare le basi di appoggio  che hanno subito minacce di morte, persecuzione, furti, aggressioni sessuali e sgomberi forzati con l’intervento di membri dei diversi partiti politici”.

Ricordano che il 9 settembre 2010, dopo la costruzione della prima scuola autonoma dell’ejido, più di 170 basi zapatiste sono state cacciate con violenza dalle proprie case da un gruppo di scontro guidato da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López e da persone affiliate ai partiti PRI, PRD e PVEM. Questo gruppo “armato di machete ed armi da fuoco, fece irruzione nelle abitazioni e cercò perfino di violentare due donne dell’ejido”.

Secondo le testimonianze di abitanti della regione, gli attacchi “intendono indebolire il progetto di educazione autonoma”. Dopo l’accaduto, le basi zapatiste trascorsero più di un mese alle intemperie. Il 12 ottobre dello stesso anno, al loro ritorno – accompagnati da una carovana di solidarietà – “trovarono le loro case saccheggiate, gli animali uccisi, il raccolto, le piantagioni di caffè e gli alberi da frutto distrutti”.

Le vessazioni non sono cessate e questa situazione genera ulteriore violenza, impunità e violazioni dei diritti umani, impedendo la vita quotidiana ed i lavori agricoli degli zapatisti di San Marcos Avilés.

Le condizioni di salute si sono deteriorate. Si registrano “livelli gravi denutrizione e la morte di un neonato di pochi mesi”. A San Marcos e nelle comunità vicine c’è un’epidemia di tifo che ha ucciso almeno un’altro bambino.

Nell’appello si denuncia che, con la violenza, si vuole “soffocare il processo storico in atto nella costruzione della nuova istituzione educativa degli zapatisti” che, come popolo indigeno “hanno il diritto di costruire la propria autonomia, difendere i propri territori ancestrali e creare un sistema educativo che sostenga e rifletta le loro pratiche culturali e intellettuali”.

La dichiarazione chiede la sospensione immediata e permanente delle minacce di morte, saccheggi, espropri, aggressioni sessuali e sgomberi contro le basi di appoggio dell’EZLN, così come il rispetto del loro diritto alla libera determinazione che si esprime nella loro costruzione di autonomia di governo, giustizia, educazione, diritto all’alimentazione e salute.

Nella comunità di Tentic, a circa 20 chilometri dal caracol di Oventic, appartenente al municipio autonomo San Andrés Sakamch’en de los Pobres, i priisti impediscono il funzionamento della scuola autonoma contravvenendo ad un accordo del 2004. Il governo dello stato ha costruito una nuova scuola primaria, mentre gli zapatisti conserverebbero il possesso di quella vecchia, oggi scuola primaria autonoma “Compañero Salvador“. Ciò nonostante, il 10 di maggio scorso, circa 50 priisti hanno abbattuto i muri e messo catene e lucchetti. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/06/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 2 ottobre 2011

“Detenzione e tortura” contro gli aderenti all’Altra Campagna

Hermann Bellinghausen

Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, Chiapas, hanno denunciato detenzioni ingiustificate, furti e torture avvenute nei giorni scorsi contro aderenti dell’Altra Campagna, perpetrati dalla Polizia Statale Preventiva (PEP), in complicità con i gruppi filogovernativi della regione.

Segnalano che Miguel Vázquez Deara era stato catturato dalla PEP lo scorso 26 settembre senza alcun mandato di arresto. “Attraverso montature e falsi testimoni” hanno cercato di accusarlo di diversi assalti alle auto sulla strada Ocosingo-Palenque. L’altro giorno, l’accusato “è apparso” presso la Procura Indigena, riconosciuto da un avvocato della società di trasporto per cui lavora.

La parte in causa ha potuto documentare che il detenuto “è obbligato a dire i nomi dei dirigenti” dell’Altra Campagna, e siccome non ci sono elementi per accusarlo, lo portano su una strada, gli mettono in mano un’arma e così diventa un assaltante”. I poliziotti avrebbero agito su ordine di Juan Alvaro Moreno, dirigente del PVEM, molto vicino al gruppo di ejidatarios che, insieme alla polizia, occupò la cabina di riscossione delle cascate di Agua Azul e la consegnò al governo senza l’accordo della comunità, gruppo guidato da Francisco Guzmán Jiménez, Goyito, e Miguel Ruiz Hernández.

“È evidente che è la polizia stessa a compiere gli assalti su quel tratto di strada”, sostengono gli ejidatarios, che raccomandano ai turisti in visita ad Agua Azul di “prendere misure precauzionali perché può succedere come ad un gruppo di maestri in pensione, che sono stati assaltati a 300 metri dai poliziotti”. Al contrario, “con gli attivisti sociali ci mettono tutto l’impegno”. Il giorno 26, i poliziotti hanno perquisito la casa di Juan Aguilar Guzmán, ex prigioniero politico, “sembra alla ricerca di armi, come principale dirigente dell’Altra Campagna”.

“Sono arrivati sparando, hanno picchiato una donna, spaventato i bambini e non hanno trovato niente”. Gli agenti “hanno rubato uno stereo, un cellulare, delle torce e 5 mila pesos, distruggendo tutto; hanno fatto un disastro e si sono portati via il compagno Jerónimo Aguilar Espinoza senza alcun mandato di arresto, e dopo ore di tortura, il giorno seguente l’hanno liberato, senza nessun documento”.

Il 7 settembre era stato arrestato l’aderente dell’Altra Campagna Antonio Estrada che, dopo cinque giorni “di torture”, è stato processato il giorno 13, “dopo aver montato un presunto assalto al chilometro 100 del tratto stradale, secondo le dichiarazioni della Polizia Federale, mentre invece era stato fermato al chilometro 93 dalla polizia preventiva”.

Queste azioni “sono dirette contro gli attivisti sociali, non contro i delinquenti”. Nella denuncia si sostiene che “c’è molta violenza nell’ejido sempre più disgregato e la presenza della polizia nelle comunità è più violenta, dicono per combattere gli assalti sulla strada di Xanil e Agua Azul”. Ciò nonostante, “grazie alla presenza dei preventivi, gli assalti sono aumentati”. “I veri delinquenti” sono nel gruppo filogovernativo. Solo il 21 era stato sequestrato “ad un gruppo di persone di Jukuton un campo coltivato con stupefacenti”, ma il commissario ejidale li ha coperti.

Le minacce contro L’Altra Campagna sono continue, quando è questa organizzazione “che questo facendo di tutto per fermare i delinquenti, perché i veri delinquenti sono i filogovernativi”, concludono gli ejidatari.

Il quotidiano britannico Financial Times, lo scorso venerdì 30, ha pubblicato un insolito servizio su San Sebastián Bachajón ed il il conflitto per la cabina di riscossione all’ingresso delle cascate. Nell’articolo intitolato “Mexico: paradise in dispute”, Fionn O’Sullivan descrive con obiettività i fatti violenti e le detenzioni illegali (più di 100) contro L’Altra Campagna a San Sebastián. Attribuisce tutto ciò alle ambizioni governative e private per sviluppare un “esclusivo” centro turistico nella località.

“Nonostante un’altra cabina costruita dal governo e le barricate della polizia, non sembra imminente nessuno sviluppo turistico. Per molti, il turismo ecosostenibile implica l’armonia tra i visitatori e l’ambiente. Considerati i punti di vista sul futuro di Agua Azul, tutto indica che i danarosi stranieri ed i messicani ricchi non avranno tanto presto la loro versione del Nirvana”. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/02/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 1° ottobre 2011

In sciopero della fame 11 detenuti in Chiapas; chiedono la scarcerazione

Hermann Bellinghausen

Sette detenuti, considerati “politici”, questo giovedì hanno iniziato uno sciopero dello fame a tempo indeterminato, ed altri quattro sono a digiuno per chiedere la loro “liberazione immediata” dal Centro Statale di Reinserimento Sociale del Penitenziario numero cinque, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Sono membri delle organizzazioni La Voz del Amate e Voces Inocentes, entrambe aderenti all’Altra Campagna, o “solidali” con questi gruppi.

“Dopo aver sopportato le ingiustizie che hanno causato danni alle nostre famiglie con questi ingiusti arresti e la montatura di reati che ci hanno privato della libertà”, in alcuni casi “per aver difeso i nostri diritti ed altri solo perché poveri ed analfabeti”, i detenuti sostengono che sono stati violati i loro diritti e che questo continua a succedere: “Le autorità competenti ci ignorano”.

Per dimostrare la loro “innocenza” hanno iniziato lo sciopero ed il digiuno alle ore 10:30 di ieri. Sette sono in sciopero totale della fame: Rosario Díaz Méndez e Manuel Heredia Jiménez, “prigionieri politici” della voz del Amate; Pedro López Jiménez, José Díaz López, Alfredo López Jiménez e Alejandro Díaz Sántiz , “solidali” con La Voz del Amate, e Juan Díaz López, “prigioniero politico” di Voces Inocentes.

Altri quattro reclusi partecipano con digiuni di 12 ore “per ragioni di salute”: Alberto Patishtán Gómez, anch’egli della La Voz del Amate, Andrés Núñez Hernández e Rosa López Díaz, “solidali”, oltre a Juan Jiménez Pérez, aderente dell’Altra Campagna, originario di Mitzitón.

La protesta è stata dichiarata a tempo indeterminato, “al fine di ottenere la giustizia vera”. Esigono l’intervento immediato del governatore Juan Sabines Guerrero, “per la libertà incondizionata che ci spetta”.

La Rete contro la Repressione e per la Solidarietà, che fa parte dell’Altra Campagna, ha espresso la propria solidarietà con questa azione: “I nostri compagni detenuti hanno più volte denunciato le violazioni dei loro diritti fondamentali, le condizioni inumane in cui vivono dentro la prigione e le prove della loro innocenza ed il diritto di essere liberati”.

La sezione chiapaneca della Rete sostiene: “Ascoltando la storia di ognuno dei detenuti non mancano motivi per esigere la loro immediata liberazione, perché la maggioranza di loro è stata torturata fisicamente e psicologicamente, con lo stesso metodo di tortura che si pratica ogni giorno in Chiapas. Non sono mai state rispettate le garanzie al giusto processo; in prigione sono sottoposti ad un regime autoritario ed arbitrario che quotidianamente calpesta la loro dignità e quella dei loro famigliari”.

Aggiunge: “I compagni si sono organizzati per lottare in maniera instancabile e permanente contro gli abusi delle istituzioni penitenziarie e per non cadere nell’oblio. Ora iniziano uno sciopero della fame, una delle poche armi che resta per chiedere la liberazione, e che mette in pericolo la loro vita”.

La Rete appoggia in particolare la liberazione del “prigioniero politico” Alberto Patishtán Gómez, “privato della libertà dal 2000, accusato di reati che non ha mai commesso e montati da istanze governative”.

Il professore tzotzil Patishtán Gómez, che da anni difende i diritti umani della popolazione carceraria, prima nella prigione El Amate (Cintalapa) ed ora in quella di San Cristóbal, ha comunicato telefonicamente che il presidio pacifico e lo sciopero della fame si svolgeranno all’esterno dell’edificio penitenziario, a Los Llanos, nel municipio di San Cristóbal, “affinché il governo ci restituisca la libertà”.. http://www.jornada.unam.mx/2011/10/01/politica/016n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 30 settembre 2011

Si consolida l’assedio paramilitare della comunità di San Patricio

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, del caracol zapatista Que habla para todos, di Roberto Barrios, ieri ha allertato su nuove “minacce di morte, massacri, furti, danni, saccheggi ed abusi” contro le basi di appoggio dell’EZLN della comunità chiapaneca di San Patricio, municipio autonomo ribelle La Dignidad, da parte del gruppo armato che tiene sotto assedio il villaggio.

Le continue aggressioni sono “guidate dai malgoverni ed eseguite dai loro paramilitari di Paz y Justicia e Uciaf”. Questi gruppi erano attivi nella zona nord tra il 1995 e il 1997, rendendosi “colpevoli di molte morti e sgomberi delle comunità” nella regione chol e nella selva nord.

I filogovernativi, che hanno fatto irruzione lo scorso 10 settembre, continuano a seminare danni ai beni delle famiglie zapatiste. “Il giorno 15 hanno distrutto le recinzioni” dove si allevano gli animali in forma collettiva, mettendo così in pericolo il bestiame. Gli invasori, racconta la JBG, costruiscono case ed occupano gli spazi “con l’intenzione di cacciare i nostri compagni”. Queste persone “non hanno alcun rispetto, sono violenti, aggressivi, e fanno uso di droga; in passato sono stati assassini”, anche se “il malgoverno non ha mai fatto giustizia”.

Il 17 settembre, gli invasori hanno dichiarato che i danni provocati sarebbero stati risarciti dalla presidentessa municipale di Tila, Sandra Luz Cruz Espinosa, “perché è stata lei ad ordinare loro di restare nel podere”. Minacciano di appropriarsi di tutti i beni degli zapatisti e di “uccidere tre dei nostri compagni”. Quel giorno “è passato in sella al suo cavallo José Vera Díaz, della comunità Moyos (Sabanilla), con due armi”, si è unito agli invasori e li ha “diretti”. Il giorno 23 è arrivata un’altra persona armata. “E’ chiaro che si stanno armando e preparando per compiere le loro minacce di morte e massacro”.

La JBG indica i capi degli invasori: Mario Vásquez Cruz, Alfredo Cruz Martínez e Samuel Díaz Díaz. “Reclutano le persone con 500 pesos e con l’inganno dicono loro di aver già ottenuto la terra”.

Inoltre, secondo la JBG, Paz y Justicia sta preparando altri gruppi a Unión Hidalgo (Sabanilla), guidati da Hipólito Ramírez Martínez (Abelino), Rodolfo Guzmán Ramírez e dal militare Germán Gómez Guzmán, “del quale ignoriamo il plotone al quale appartiene”. Assicurano che “per il 7 ottobre massacreranno i compagni”.

Proseguono i furti e l’uccisione degli animali. Il giorno 25 “hanno mietuto 220 piante di mais, che equivalgono a 13 mila 200 chili”. Hanno sottratto yucca, canna, patate dolci, palme commestibili, peperoncini, arance e banani, mentre “proseguono incessanti spari e movimenti notturni in stile militare con armi da fuoco”. La notte del 27, verso le 21, “sono avanzati in colonne a 30 metri da dove si trovano i compagni, e sono rimasti lì fino alle 3 del mattino”.

Di giorno entrano nella comunità “ad esplorare e segnalare le case dei compagni”.

I bambini hanno diarrea, vomito, infezioni, dolori ossei e febbre. E la cosa più preoccupante, “ci sono compagne incinta, vicine al parto”

L’autorità autonoma accusa i “capoccia locali” di essere “gli autori intellettuali di questa manovra governativa”: il sindaco Cruz Espinoza ed il suo direttore delle opere pubbliche Carlos Clever González Cabellos; Genaro Vázquez Pérez, consigliere comunale di Sabanilla, e l’ineffabile Mario Landeros Cárdenas, veterano scissionista e leader fantasma della Xi’nich ufficiale al servizio dei governi. La JBG lo ritrae così: “Bugiardo, baro, venduto, senza scrupoli, è un insolente che usa le persone che si fanno ingannare”.

Di fronte all’invasione armata di San Patricio, i governi federale, statale e municipali “hanno avuto un atteggiamento disumano; invece di risolvere il problema, proteggono e coprono i criminali, negoziando e facendo accordi con loro”. La JBG avverte: “Pensano di demoralizzarci e così farci arrendere. Gli zapatisti non si arrendono. Non negozieremo le terre che abbiamo recuperato con il sangue dei nostri compagni caduti nel 1994. Se servirà altro, siamo pronti a versarlo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/30/politica/024n1pol

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 settembre 2011

Cacicchi invadono e distruggono le scuole bilingui di Chilón, denunciano i maestri

HERMANN BELLINGHAUSEN

Il giorno 24, nella comunità di Guaquitepec, municipio di Chilón, Chiapas, un gruppo di 100 contadini guidati dai cacicchi locali Juan Pérez Gutiérrez; Antonio Mazariegos López, El Azul (su entrambi pendono mandati di cattura), Tomás Gómez Vázquez ed Alejandro López Gómez sono entrati in modo violento ed hanno distrutto le installazioni della secondaria bilingue Emiliano Zapata, così come il liceo interculturale Bartolomé de Las Casas.

Da tre lustri questi istituti forniscono un’istruzione bilingue ed interculturale di qualità. Gli studenti provengono da molte comunità tzeltales di Chilón, Ocosingo, Altamirano e dalla zona chol del nord. Ma, chi distrugge scuole, libri, materiale scolastico?

Le strutture comunitarie saccheggiate fanno parte del progetto Sviluppo comunitario, del Patronato pro Educazione Messicana. Insegnanti e collaboratori di questo progetto denunciano che lo scorso fine settimana si sono verificati scontri nella comunità di Guaquitepec, con un saldo di quattro feriti: “due dei nostri compagni e due dalla loro parte, oltre alla distruzione parziale delle scuole, del laboratorio e quasi dell’intero laboratorio informatico”.

Successivamente, gli aggressori si sono diretti alle case di Antonio Jiménez Álvarez e Juan Pérez Hernández, promotori del progetto educativo dalla sua fondazione: “sono stati tirati fuori a forza, picchiati e tenuti per ore legati nella piazza centrale”. Questo “gruppo di invasori” occupa gli edifici scolastici e da lunedì ha iniziato ad abbattere tutti gli alberi del podere con l’intenzione di radere al suolo completamente le scuole.

Il giorno 24 la tensione era alta ed è culminata negli scontri tra chi difendeva le scuole ed i saccheggiatori. Nel corso della notte sono arrivati circa 50 poliziotti che però non sono intervenuti. Tutti quelli che lavorano al progetto sono minacciati ed alcuni hanno dovuto abbandonare la comunità. Docenti e rappresentanti comunitari hanno poi tenuto una conferenza stampa: “Nonostante gli sforzi delle istanze governative per risolvere in maniera legale il conflitto, ci preoccupa che il ritardo nell’esecuzione dei mandati di cattura già emessi e che il ripristino dell’ordine e della sicurezza nella comunità si traduca in un’escalation di violenza e tensione”. Tutte le scuole della comunità hanno sospeso le lezioni.

Denunciano in particolare l’atteggiamento del delegato di governo, Antonio Moreno López, “attore chiave” nel conflitto, che “ha legami col leader invasore El Azul“, che nel maggio scorso ha sequestrato funzionari pubblici, i quali hanno dovuto sborsare 10 mila pesos per la loro liberazione. In questa occasione, il delegato avrebbe impedito alla polizia di fermare il saccheggio ed arrestare i responsabili.

Bisogna ricordare che il 17 gennaio scorso il gruppo guidato dai cacicchi Mazariegos López, Pérez Gutiérrez, Hernández González e Gómez Vázquez, sui quali oggi pendono mandati di cattura, invase il plesso scolastico della secondaria Emiliano Zapata. Allora “si avviò un processo di negoziazione con l’intermediazione della Segreteria di Governo”. Ciò nonostante, “il gruppo invasore non ha mai ceduto e si è sempre rifiutato di andarsene”. E’ stata quindi sporta denuncia penale per l’abuso ed il giorno 22 i poliziotti giudiziari hanno fermato Hernández González e Gómez Vázquez. “Per rappresaglia, il giorno 23 alle 9:30 gli invasori, guidati da Mazariegos López e Pérez Gutiérrez, hanno sequestrat Marco Antonio López López, poi liberato ad Ocosingo il giorno dopo”.

Michael Chamberlin, a nome dei collaboratori delle scuole attaccate, sottolinea il carattere “simbolico” di una violenza che colpisce decine di comunità e che il delegato Moreno López, quando era sindaco di Chilón, “fomentava il conflitto relativo alla cabina di riscossione a San Sebastián Bachajón” ed è vincolato a gruppi di stampo paramilitare, come Opddic e Chinchulines. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/29/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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OCEZ invade terreno.

DENUNCIA PUBBLICA

Giovedì 22 settembre 2011

Comunità Candelaria el Alto, Municipio de Venustiano Carranza, Chiapas
Aderente all’Altra Campagna

 

Alle Giunte di Buon Governo

Alla sesta Internazionale

Alle/Agli Aderenti all’Altra Campagna Nazionale e Internazionale

Alle Organizzazioni dei Diritti Umani Statali, Nazionali e Internazionali

Ai Mezzi di Comunicazione Indipendenti

Ai Media di Massa

Al Congresso nazionale Indigeno

Al Popolo del Messico e del Mondo

Compagni e compagne, fratelli e sorelle del Messico e del mondo, attraverso questo tramite rendiamo pubblica questa denuncia per i fatti successi ieri 21 settembre 2011.

I fatti:

Il giorno di ieri ci trovavamo nella nostra postazione dove svolgiamo le guardie a causa della situazione che si sta vivendo nella nostra comunità di Candelaria el Alto, per l’occupazione di terre da parte di membri della OCEZ R.C di Nuevo San José la Grandeza, che dal 6 aprile scorso occupano la nostra proprietà El Desengaño. Hanno seminato la nostra terra con mais ed ora fagioli e visto che questi vanno e vengono burlandosi di noi, abbiamo deciso di non farli più passare. Ieri, a tre persone, Bulmaro del la Cruz Méndez, Rey David Solano e Candelario del la Cruz Méndez, è stato impedito di passare. I tre sono tornati nella propria comunità e noi abbiamo continuato le nostre guardie. Qualche ora dopo queste tre persone sono andate ad avvertire altri compagni della OCEZ R.C e sono venute con dieci individui che subito hanno cominciato a provocare e insultare. In quel momento c’era un ragazzino di 14 anni che è fuggito dopo aver ricevuto un pugno in faccia, subito abbiamo scattato delle foto come prova delle ferite al volto. Ci siamo avvicinati a loro a 50 metri di distanza per dire loro che non avevano alcun diritto di stare nelle nostre terre né di aggredirci. Loro si sono avvicinati ed hanno iniziato a tirarci delle pietre; fumavano marijuana e ci hanno aggredito a sassate e noi ci siamo difesi. C’è stato uno scontro tra questi membri della OCEZ R.C e noi che siamo aderenti all’Altra Campagna. La nostra intenzione non era di cercare lo scontro, ma di esigere rispetto.

Durante gli scontri Rubén de la Cruz Méndez, membro della OCEZ R.C ha cercato di colpire un nostro compagno con un coltello ma siamo riusciti a bloccarlo. Dopo lo scontro i membri della OCEZ R.C si sono messi in contatto con le persone che si trovano sulle nostre terre e che appartengono alla colonia San José la Grandeza e che sono della stessa organizzazione. Sono arrivate 60 persone incappucciate e vestite di nero, armate e sparando con armi di grosso calibro. La sparatoria è durata qualche circa due ore e poi se ne sono andati. Inoltre, lo stesso giorno intorno alle 9.30 hanno tagliato l’energia elettrica della comunità cosicché non potessimo comunicare. Da ieri ci minacciano di entrare nelle nostre case ed aggredirci. Sappiamo che queste minacce ed aggressioni hanno lo scopo di farci abbandonare le nostre terre perché se le prendano loro.

Ma questa terra è nostra non intendiamo venderla e tanto meno abbandonarla. Riteniamo urgente dare soluzione al nostro problema e vogliamo essere rispettati perché noi abbiamo avuto sempre buona volontà. Vogliamo ricordare che quando José Manuel Hernández Martinez, alias il “Chema” fu arrestato, il governo ci venne a cercare per farci sporgere denuncia contro la OCEZ R.C per l’esproprio delle nostre terre, ma noi non l’abbiamo fatto perché non pensiamo che metterlo in prigione sia il modo di risolvere il problema, ma che il governo rispetti quanto concordato in occasione della prima invasione di 98 ettari di terra. C’è un verbale di accordo con data 20 luglio 2004 e firmato dalle tre parti, governo, OCEZ R.C e la comunità di Candelaria el Alto. Fino ad oggi il governo non ha mantenuto la sua parola. Nemmeno la OCEZ R.C l’ha mantenuta e dal 2005 tentano di sottrarci un’altra porzione della nostra terra. Il 6 aprile 2011 si sono impossessati di 185 ettari e per farci  pressione non ci lasciarono lavorare la poca terra che ci resta. Vogliamo far notare che nel periodo in cui sono rimasti nella nostra proprietà El Desengaño si sono rubati la maggior parte del filo spinato che divide gli appezzamenti e due cavalli che hanno rubato il 3 gennaio scorso. Il 19 luglio sono tornati a portarsi via altri due cavalli.

Da quando si sono installati nella proprietà hanno bruciato 1 ettaro di canna da zucchero. Hanno ucciso diverse mucche, alcune per mangiarsele ed altre per venderle.

Riteniamo il governo responsabile di quanto sta accadendo perché invece di dare soluzione al problema sta rafforzando la OCEZ R.C gruppo Nuevo San José la Grandeza, Municipio di Venustiano Carranza, e lo riterremo responsabile di qualunque cosa possa succederci. Temiamo per la sicurezza delle nostre famiglie poiché la OCEZ R.C ci minaccia, intimorisce, provoca e circonda le nostre case per aggredirci. Vogliamo dire alla OCEZ R.C che non si può togliere il pane a noi che, come loro, siamo contadini e che si rendano conto del fatto che stanno beneficiando il malgoverno.

Esigiamo che il governo dello stato intervenga il più presto possibile data la situazione di pericolo che le nostre famiglie stanno vivendo.

Distintamente

Comunità organizzata Candelaria el Alto, aderente all’Altra Campagna.

LA TIERRA NON SI VENDE SI LAVORA E SI DIFENDE!

VIVA L’ALTRA CAMPAGNA!

Este es un espacio abierto para pueblos y organizaciones
que buscan compartir su palabra. La postura difundida,
no necesariamente constituye la valoración de este Centro.
El espacio de denuncia pública es de todas y todos.

 

Visita nuestro Blog: http://www.chiapasdenuncia.blogspot.com/

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Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
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Código Postal: 29240
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La Jornada – Venerdì 23 settembre 2011

L’organizzazione Las Abejas si dissocia dalla causa intentata negli Stati Uniti contro Zedillo

ELIO HENRÍQUEZ

San Cristóbal de Las Casas, Chis., 22 settembre. L’organizzazione della società civile Las Abejas ha reso noto che la causa intentata negli Stati Uniti contro l’ex presidente Ernesto Zedillo per il massacro di 45 indigeni di Acteal non è partita da questa organizzazione, “l’unica rappresentante dei sopravvissuti”, il cui obiettivo non è ottenere soldi, ma che si faccia giustizia e si ponga fine all’impunità” per l’omicidio dei suoi membri.

In un comunicato divulgato durante la messa con la quale ieri nella comunità sono stati i 9 uomini, 21 donne e 15 bambini tzotzil uccisi il 22 dicembre 1997, Las Abejas sostengono che la denuncia contiene “forti elementi per supporre che la memoria dei martiri di Acteal venga strumentalizzata a fini politico-elettorali ed economici, estranei alla nostra organizzazione”.

Questo non significa, aggiunge, che l’ex mandatario non abbia responsabilità. “Vogliamo che si giudichi Zedillo ed i suoi complici, ma non taceremo di fronte all’usurpazione della nostra memoria da parte di politici ed opportunisti, né permetteremo che una verità parziale sia usata per oscurare la verità completa”.

Ribadisce che la causa intentata negli Stati Uniti dall’ufficio legale Rafferty Kobert Tenenholtz Bounds & Hess contro Zedillo, che era presidente quando avvenne il massacro, non corrisponde al modo di agire dei sopravvissuti e di Las Abejas.

Questo “non è un’organizzazione dei diritti umani, ma un ufficio abituato a difendere banchieri e grandi corporazioni – come si può vedere nella sua pagina Internet -; è evidente che né Las Abejas né nessun indigeno tzotzil ha denaro sufficiente per pagare le enormi parcelle di questi avvocati”.

Afferma che “se il governo di Felipe Calderón pensa di poter utilizzare il caso Acteal contro il PRI per assicurare la vittoria del proprio partito nel 2012, è un suo problema”, ma “quello che sta ottenendo è la dimostrazione al mondo di quello che abbiamo sempre detto: gli autori intellettuali del massacro di Acteal erano nei posti più alti del potere, e neanche il PAN è esente da colpe.

“L’unico rappresentante legale autorizzato dai sopravvissuti del massacro di Acteal è il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas AC”, tramite il quale “abbiamo portato il caso davanti alle istanze legali competenti nel nostro paese e, quando queste non hanno adempiuto all’obbligo di applicare la giustizia, siamo ricorsi alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani”.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 settembre 2011

Denunciata l’invasione di terre recuperate dagli zapatisti a Nuevo Purísima. Si sostiene che i soldi provenienti dall’ONU attraverso il PNUD siano utilizzati per armare i paramilitari

Hermann Bellinghausen. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 21 settembre. Dal caracol zapatista Resistencia hacia un nuevo amanecer, a La Garrucha, la giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro ha accusato i governi federale, del Chiapas ed i municipi ufficiali di “organizzare i paramilitari”. E sostiene che: “E’ evidente che il denaro fornito dall’ONU tramite il PNUD è per armare i paramilitari contro le nostre basi di appoggio e distruggere l’autonomia”.

Questo, mentre denunciano provocazioni ed esproprio di terre recuperate del villaggio Nuevo Purísima (municipio autonomo Francisco Gómez) da parte di persone provenienti dai quartieri Puerto Arturo e San José las Flores della città di Ocosingo, che dicono di non appartenere a nessuna organizzazione, sebbene ricevano evidente appoggio dal municipio panista.

La JBG sostiene che “Felipe Calderón Hinojosa e Juan Sabines Guerrero sono i principali dirigenti dei paramilitari”. E chiede: “Dove sta la pace di cui tanto parlano? E’ questa è la pace, mandare gente armata a cacciarci dalle nostre terre? Questo è lo sviluppo che danno le Nazioni Unite?”.

I governanti non “fanno niente perché sono loro stessi gli organizzatori, quelli che agiscono col denaro delle imposte del popolo del Messico e quello dell’ONU, impiegano i soldi per distruggere la pace degna che vogliamo noi zapatisti”. La JBG avverte: “Non vogliamo morire, ma i malgoverni ci obbligano a morire, perché ci difenderemo, che sia chiaro”.

Ed aggiunge: “Sappiamo molto bene quali sono i loro piani, i loro inganni, le fregature, organizzano la gente per provocarci, redigono documenti false relativi alle terre recuperate, cioè provocano conflitti per impedire la nostra autonomia”.

I “manipolatori” che favoriscono le provocazioni “sono i presidenti municipali che pagano i dirigenti”, che, secondo la JBG, “sono gli stessi che falsificano i documenti delle terre recuperate”.

Lo scorso 18 settembre, un gruppo di 45 persone, che dicono essere “indipendenti”, sono andati nel villaggio Nuevo Purísima a “prendere possesso”  di un terreno recuperato di 178 ettari dove lavorano le basi di appoggio zapatiste. “Queste persone sono organizzate dal malgoverno e sono venute a provocare le basi di appoggio dell’EZLN. Figurarsi che sono arrivate su due camion della presidenza municipale di Ocosingo, presieduta da Arturo Zúñiga Urbina”.

Interpellata sull’organizzazione, la signora Angélica Matilde, di Ocosingo, che guida il gruppo, “ha risposto in maniera molto minacciosa dicendo che loro non hanno organizzazione e che sono disposti a tutto perché hanno i documenti; tutti sono armati di machete”.

Il giorno 19, verso le ore 8, un altro gruppo di 100 persone delle fattorie Las Conchitas e dell’ejido P’ojcol (municipio di Chilón), “che sono paramilitari”, segnala la JBG, “sono venuti a “prendere possesso” di un terreno recuperato dove lavorano e vivono i nostri compagni basi di appoggio del villaggio Nuevo Paraíso, che appartiene al municipio autonomo Francisco Villa”. Armi in pugno, queste persone “hanno cominciato a misurare i confini del terreno recuperato”.

La JBG assicura che difenderà “tutte le terre recuperate dall’EZLN costi quel che costi, ed il malgoverno sa bene che le terre recuperate sono state già indennizzate dal 1994, e non permetteremo più che ci vengano a strappare le nostre terre né che continuino ad abusare e perseguitare i nostri compagni”.

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 settembre 2011

Artisti, intellettuali e ONG chiedono il ritiro dei mandati di captura e condannano le minacce contro il Centro Digna Ochoa ed il consiglio autonomo

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 settembre. Quaranta artisti e intellettuali ed oltre un centinaio di organizzazioni di 16 nazioni si sono pronunciati a sostegno dei membri del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa ed il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas sollecitando il governo dello stato e la Procura Generale di Giustizia dello stato a desistere dai mandati di cattura contro i suoi membri.

Il documento, sottoscritto, tra gli altri, da Eduardo Galeano, Manu Chao, José Emilio Pacheco, il vescovo Raúl Vera, Paco Ignacio Taibo II, Alfredo López Austin, Raúl Zibechi e Marcos Roitman, riconosce “nella mobilitazione sociale, rappresentata nel Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, una delle molteplici e legittime lotte popolari messicane in difesa dei diritti umani, civili, sociali e politici”.

Il consiglio autonomo ed i suoi membri “rappresentano l’autorganizzazione contro le alte tariffe dell’energia elettrica e per la costruzione dell’autonomia dei popoli e comunità”. Riconosce, a sua volta, il lavoro di denuncia e difesa del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa della città di Tonalá.

“È preoccupante la politica di criminalizzazione, persecuzione e vessazione contro membri del consiglio e del centro Digna Ochoa. Su molti di loro pendono mandati di cattura della giurisdizione federale e statale, accusati di reati che non hanno commesso, per cui le procure Generale della Repubblica (PGR) e di Giustizia dello stato hanno eseguite molte indagini preliminari per falsi reati”.

Le persone sotto accusa sono: Nataniel Hernández Núñez, direttore del centro Digna Ochoa, insieme a Roberto Antonio Cruz, Azariel Orozco Cruz, Orlando Gutiérrez Simón, Arturo Villagrán Sánchez, Octavio Vázquez Solís, Bersaín Hernández Zavala e Guadalupe Núñez Salazar. Nel caso degli ultimi due, veterani fondatori del Fronte Civico Tonalteco, non si conosce di che cosa siano accusati.

Queste accuse “sono utilizzate in Chiapas ed in tutto il paese come meccanismo di controllo dei movimenti sociali e criminalizzazione degli attivisti sociali e dei difensori dei diritti umani”. Per tutto questo, i firmatari invitano il governo del Chiapas e la PGR “a retrocedere dalle azioni giudiziarie e garantire le libertà civili e politiche”.

Ritengono responsabile lo Stato messicano della vita, la libertà e l’integrità dei membri del centro Digna Ochoa e dei membri del consiglio costiero. Condannano “gli atti repressivi” del governo del Chiapas contro tutti loro.

Altri firmatari sono: Rogelio Naranjo, Daniel Giménez Cacho, Julieta Egurrola, Ana Esther Ceceña, Bruno Bichir, Magdalena Gómez, Enrique González Rojo, Gilberto López y Rivas, Gloria Muñoz Ramírez, Fermín Muguruza, Guillermo Almeyra, Leticia Huijara, John Holloway, Elvira Concheiro, Claudio Albertani, Massimo Modonesi, Carlos Fazio, Raquel Gutiérrez Aguilar, Francisco López Bárcenas, Gustavo Esteva e Hernán Ouviña. Ed i musicisti Amparo Sánchez (Amparanoia), Rubén Albarrán (Café Tacuba), Roco Pachukote (Maldita Vecindad), Panteón Rococó e Los de Abajo.

In Chiapas, oltre a diverse organizzazioni civili, appoggiano questo appello le comunità di Oxchuc, Mitzitón, Zinacantán, San Sebastián Bachajón, Santa Anita, Molino Utrilla e Molino de los Arcos, così come decine di organizzazioni e collettivi di tutto il paese ed altre ancora da Argentina, Germania, Austria, Brasil, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Guatemala, Italia, Nuova Zelanda, Porto Rico, Regno Unito e Uruguay. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/21/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 20 settembre 2011

Zedillo, denunciato negli Stati Uniti per il massacro di Acteal

Alfredo Méndez

Sopravvissuti e familiari delle vittime del massacro di Acteal hanno presentato in forma anonima, lo scorso 16 settembre, un’insolita denuncia penale ad una corte federale degli Stati Uniti contro l’ex presidente Ernesto Zedillo che accusano di reati di lesa umanità.

I querelanti accusano il politico priista di essere l’autore intellettuale di una “guerra di bassa intensità” in Chiapas, sfociata nel massacro di 45 persone, tra uomini, donne e bambini indigeni, il 22 dicembre 1997, nella comunità di Acteal.

La denuncia è stata istruita dopo diversi mesi dall’ufficio legale Rafferty Kobert Tenenholtz Bounds & Hess, con sede a Miami, specializzato in diritto internazionale; i  querelanti si sono basati su diverse leggi statutarie degli Stati Uniti che permettono agli stranieri, che siano stati vittime di atti di tortura e crimini di guerra in altri paesi, di denunciare i loro carnefici presso i tribunali statunitensi.

Tra le prove presentate dai querelanti, spicca un Rapporto della Segreteria della Difesa Nazionale che fa riferimento ad un piano dell’Esercito in Chiapas, realizzato nel 1994, il cui obiettivo era creare bande paramilitari, sgomberare la popolazione e distruggere le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

La denuncia è stata presentata alla corte federale del Connecticut, distretto dove Zedillo ha il suo domicilio. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/20/politica/012n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 19 settembre 2011

Il Centro dei Diritti delle Donne del Chiapas (Cdmch) dice che Paz y Justicia sta scatenando la guerra a San Patricio

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 settembre. Il Centro dei Diritti delle Donne del Chiapas (Cdmch) accusa “i paramilitari di Paz y Justicia”, il PRI ed il PVEM “del clima di guerra contrainsurgente scatenato il giorno 7 ed accresciuta con inusitata violenza il giorno 13 contro la comunità San Patricio, municipio autonomo La Dignidad”, da parte di coloni dei municipi ufficiali di Sabanilla e Tila.

La situazione di assedio armato e persecuzione contro San Patricio, nella zona nord dello stato, ha generato diversi pronunciamenti di allarme e solidarietà, e la convocazione della Rete contro la Repressione di una mobilitazione nazionale ed internazionale il prossimo 22 settembre.

Le donne del Cdmch si uniscono alle proteste “per queste aggressioni che terrorizzano le abitanti della regione, attraverso cui si vogliono sottrarre ai compagni zapatisti le terre recuperate dai proprietari terrieri e che coltivano per il loro sostentamento quotidiano”.

L’organizzazione sostiene: “In particolare denunciamo Paz y Justicia che, con l’appoggio del governo e dell’Esercito federale, imperversa da 15 anni nella zona nord, attaccando le comunità organizzate e quelle zapatiste, trasformando le donne in bottino di guerra, per porre fine alla giusta ribellione zapatista e di tutti i contadini che si oppongono alle politiche neoliberiste”.

Secondo la Cdmch, “nella congiuntura elettorale, gruppi priisti come Paz y Justicia assumono una posizione belligerante per riprendere il potere della regione e dello stato, facendo conoscere, con i fatti accaduti a San Patricio, le intenzioni del PRI, alleato col PVEM, di recuperare con la violenza e a qualunque prezzo, il potere politico nei municipi e nelle regioni abitate dagli zapatisti”.

Da parte sua, la Rete contro la Repressione, formata da collettivi dell’Altra Campagna, respingono le aggressioni e sostengono che “la violenta pressione che esercitano con impunità i paramilitari” è tale per provocare l’abbandono delle terre da parte delle basi zapatiste. “La minaccia di ucciderli è un’ulteriore dimostrazione della strategia paramilitare, dissimulata da tutti i livelli di governo”, per continuare la guerra contro i popoli zapatisti.

“Chi da diversi luoghi del Messico e del mondo ammira e rispetta il degno percorso zapatista, ha visto che le istituzioni sanno solo generare violenza e guerra, e sappiamo che i responsabili di quello che potrà succedere a San Patricio sono i governi federale e statale, ed i presidenti municipali di Sabanilla, Jenaro Vázquez López, e di Tila, Sandra Luz Cruz Espinoza”.

Nella sua convocazione ad una “mobilitazione nazionale ed internazionale” questa settimana, la Rete denuncia l’incremento delle aggressioni contro le comunità zapatiste. “Da luglio ad oggi, le giunte di buon governo hanno denunciato pubblicamente più di sei aggressioni realizzate da gruppi di stampo paramilitare o con direttivi paramilitari come la ORCAO”.

Il caso di San Patricio “è molto grave, poiché i compagni sono assediati da forze paramilitari e si teme per la loro vita”. Quanto sopra “contrasta con le dichiarazioni del governo statale di aver progredito nella soluzione pacifica dei problemi e col disarmo dei vecchi gruppi armati, che ora si presentano sotto altri nomi e sigle, ma con le stesse persone alla guida e la compiacenza dei poliziotti e dei titolari dei malgoverni”.

Per la Rete, “questo clima di minaccia fisica vuole distruggere l’autonomia zapatista che è uno schiaffo per chi è a capo delle istituzioni, perché mentre queste spendono  migliaia di milioni di pesos nella guerra contro l’insicurezza, sono i territori zapatisti le zone più sicure del paese, e quelle che escono dalla miseria in cui sono stati cacciati comunità e popoli indios”.

Lo scorso 15 settembre, durante la celebrazione nell’ambasciata messicana di Parigi per il “Grido della dipendenza”, come l’hanno ribattezzato, alcuni collettivi francesi hanno distribuito alle centinaia di presenti, informazioni “su cosa c’è dietro la guerra del governo di Calderón e sulle aggressioni paramilitari contro le basi zapatiste a San Patricio”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/19/politica/031n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 18 settembre 2011

La Carovana di Sicilia conclude la sua visita in Chiapas; chiede l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM)

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 17 settembre. La “carovana al sud”, del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, ha concluso il suo viaggio in Chiapas con una carovana di centinaia di candele accese per il viale centrale e simpatia e generosità per gli emigranti centroamericani che entrano nel paese attraverso le frontiere di questo stato e di Tabasco con il Guatemala.

“Chiediamo l’abolizione dell’Istituto Nazionale di Migrazione (INM) per le sue anomalie e gli abusi contro gli emigranti”, ha dichiarato un collettivo di donne chol di Palenque.

La folta accoglienza della carovana guidata da Javier Sicilia ed un gruppo di vittime della violenza di diverse parti del paese per dove è già passata (Ciudad Juárez e Torreón a Cuernavaca e Oaxaca) è stata curata, tra altre, dall’organizzazione Xi’Nich, organismi civili come Sadec, parrocchie della zona nord e comunità ecclesiali di base. Anche di migranti (clandestini, ma qui nella piazza pubblica protetti dalla mobilitazione cittadina), originari di Honduras e Guatemala, che sono stati chiamati “fratelli” da tutti gli oratori.

Le donne di Palenque hanno denunciato che nel quartiere di Pakalná (oggi è quasi un’altra città), a meno di tre chilometri da qui, “i migranti sono alla mercé della criminalità, e le donne sono facili prede”. Chiedono che “le autorità competenti intervengano” e denunciano che gli agenti dell’INM, “chi devono proteggere i migranti”, spesso sono responsabili o negligenti davanti di fronte all’estorsione, il sequestro, le violenze e gli omicidi.

Il Comitato di Difesa della Libertà Indigena Xi’Nich si è espresso contro il narcotraffico, da molti anni presente nella regione. Ma anche, “dalle nostre comunità, denunciamo che la politica di Calderón è di morte e povertà, e di più emigrazione”. Cioè, è anche un problema degli indigeni messicani: “Non ci resta che emigrare verso i centri turistici o alla frontiera nord. Calderón ha trasformato il Messico in un luogo di guerra, non in un posto dove vivere; ha costruito la viva immagine della menzogna e della morte”.

Xi’Nich, un’organizzazione che ha quasi 20 anni, ancora prima della sollevazione zapatista, ha marciato per più di 50 giorni fino a Città del Messico per chiedere la fine della repressione e migliori condizioni di vita, ha chiesto “stop alla guerra di Calderón, salute ed educazione, non la militarizzazione, il rispetto dei fratelli migranti e non più discriminazione contro indigeni e migranti”.

Ai bordi della piazza c’erano due grandi strutture. Una, sfruttando le intricate radici di un grande albero su cui erano montate decine di candele accese, mostrava i nomi di decine di morti e desaparecidos del nord. Sull’altra, migranti honduregni ospitati nella Casa dell’Emigrante di Tenosique, Tabasco, c’erano cartoncini colorati con scritte per chiedere rispetto e pace.

“Padre Alberto”, parroco di Palenque, ha denunciato la diffusa estorsione criminale nella zona chol.

In maniera più drammatica, il frate Tomás González, di Tenosique, che vive sotto minaccia, si è riferito al Messico come un “campo minato” per i centroamericani quando attraversano le nostre frontiere. Qui, dove opera il crimine organizzato, “la loro condizione diventa un incubo”. Ha dichiarato che “le fosse clandestine non sono solo al nord, ma anche al sud”.

E riguardo all’INM, ha detto: “Siamo testimoni del fatto che i suoi agenti operano come il crimine organizzato, ed in Chiapas e Tabasco sono responsabili del fatto che il percorso dei fratelli sia tanto terribile. Li perseguono, li obbligano a nascondersi nelle paludi, li mettono in pericolo”. Inoltre, “le autorità sono responsabili dell’occultamento” in questa regione che è diventata “ingovernabile”.

A sera si è saputo che il religioso è stato fermato a Coatzacoalcos, Veracruz.

C’era anche Alejandro Solalinde, della Casa dell’Emigrante a Ixtepec (Oaxaca) che, riferendosi alle feste patrie ha affermato che “oggi siamo più che mai dipendenti”, e che senza libertà “non ci può essere democrazia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/007n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 18 settembre 2011

Magdalena Gómez: Autonomia zapatista, la più avanzata e completa, a dispetto degli attacchi dello Stato

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 17 settembre. L’autonomia che si sta costruendo nei municipi sovrani del Chiapas è “la più avanzata e di maggior simbolismo, perché qui c’è la culla del movimento zapatista”, ha affermato la ricercatrice Magdalena Gómez.

Se non fosse per “gli attacchi dello Stato con l’inadempimento degli accordi di San Andrés – firmati il 16 febbraio 1996 -, lo zapatismo avrebbe una struttura sociale così indipendente che non possiamo nemmeno immaginare”, ha dichiarato in un’intervista la studiosa del tema.

Ritiene che questa autonomia “non ha ritorno, benché presenti contraddizioni, problemi e conflitti, molti di questi causati dalla stessa politica dello Stato di voler utilizzare gli aiuti ufficiali come via per cooptare e indebolire.

“Credo che nell’ipotesi, nell’illusione e nella speranza che nel paese le cose cambino, non significa certo che si cancelleranno le autonomie costruite in maniera integrale”.

Sostiene che l’indipendenza nelle comunità ribelli “va consolidandosi nella misura in cui resiste in mezzo alle tensioni ed aggressioni, soprattutto della politica dell’attuale governo che apparentemente presenta un progetto basato sui diritti umani e conta su un’ampia copertura delle agenzie dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU)”.

Gómez che è stata intervistata nei giorni scorsi in occasione della presentazione del Rapporto Annuale del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, intitolato Late la tierra en las veredas de la resistencia [La terra pulsa sui sentieri della resistenza – n.d.t.], ha dichiarato che “tra le esperienze presenti nel paese, l’autonomia zapatista continua ad essere la più completa, quella che ha giunte di buon governo, perché abbiamo quella di Guerrero che è molto importante, e benché abbia ampliato la sua azione, continua ad essere molto incentrata sulla polizia comunitaria, sull’applicazione della giustizia, ma non sulla completezza che si ha con le giunte in Chiapas”.

Segnala che l’autonomia ribelle “si è mantenuta come risposta al governo, con un costo molto alto. Insisto, gli zapatisti mantengono l’autonomia rispetto allo Stato quando questo avrebbe l’obbligo di appoggiarla e sostenerla se le cose avvenissero in termini di esercizio del diritto”.

La docente universitaria ed anche collaboratrice di La Jornada, ha sottolineato che è alto “il costo che pagano le comunità zapatiste per non accettare gli aiuti del governo ai quali hanno diritto, perché lo Stato ha l’obbligo di appoggiare e finanziare le autonomie che ha riconosciuto”.

– Questa autonomia può essere una via d’uscita alla violenza che imperversa nel paese?

– In alcune comunità la stanno utilizzando come alternativa di fronte al fallimento dello Stato. Dicono: ‘ora ci autodifendiamo, auto-organizziamo’, ma io dico: se lo Stato non serve a questo, a che cosa serve? Se non è in grado di garantire la sicurezza ed i diritti del popolo che si suppone abbia creato, a che cosa serve? Oggi abbiamo uno Stato assolutamente deviato”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/18/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 15 settembre 2011

Parte la campagna contro l’assedio ai difensori dei diritti umani

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tonalá, Chis., 14 settembre. Pronte per ricevere questo giovedì la carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, le comunità riunite nel Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa, aderenti all’Altra Campagna, hanno comunicato di aver avviato una “campagna nazionale ed internazionale contro la persecuzione giudiziaria e la criminalizzazione dei difensori dei diritti umani”.

In Messico, segnala il consiglio, “non solo è in atto la disastrosa guerra contro il ‘crimine organizzato’, ma anche contro la gente e le sue lotte per una vita degna, gente che non vuole essere calpestata e trattata come merce o come criminali”. Con la persecuzione e la repressione “il governo, ad ogni livello, affronta i popoli che si organizzano per difendere la propria terra e le proprie risorse”.

Il consiglio sostiene che nel nostro paese essere difensore dei diritti umani “è diventato pericoloso”. È così per chi si dedica a questioni legate all’ambiente o ai diritti di donne, contadini, giornalisti, migranti e indigeni.

“Esistono molti interessa economici e la lotta per vendere e possedere le risorse. Quello che disturba questi piani sono i popoli che difendono il loro stile di vita ed il loro lavoro, che vivono e preservano le loro risorse, le loro terre, la loro acqua”.

In Chiapas è il caso, “tra molti altri”, sottolinea il consiglio, di Nataniel Hernández, direttore del Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa, con sede a Tonalá, il quale “ha accompagnato i lavori e la lotta del Consiglio Autonomo Regionale, ed è stato fermato in due occasioni per presunti reati statali e federali”.

Attualmente deve affrontare cinque processi penali “completamente preordinati e fasulli che sono un’ulteriore dimostrazione che in Messico la giustizia non esiste e che è l’impunità a prevalere”.

Il consiglio racconta che negli ultimi cinque anni è nato un movimento di comunità e quartieri che si oppongono alle elevate tariffe dell’energia elettrica imposte dalla Commissione Federale dell’Elettricità

Questo movimento è presente in almeno i1 stati della Repubblica ed uno dei suoi principali bastioni è nella costa del Chiapas. A poche ore dall’arrivo della cosiddetta “carovana del sud”, le comunità sottolineano la persecuzione poliziesca e giudiziaria contro almeno otto dei suoi membri.

“Il movimento di resistenza civile ha promosso molte istanze riguardo l’energia elettrica nel paese, come l’opposizione al modello energetico neoliberista che favorisce la privatizzazione dell’energia”

La Rete Nazionale di Resistenza Civile contro le Alte Tariffe ha denunciato la repressione e criminalizzazione dei suoi membri come una strategia orchestrata da una coalizione di funzionari della CFE, della Procura Generale della Repubblica e dai governi statali, principalmente di Chiapas, Campeche e Veracruz.

 

In altro ordine, il Cntro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), ha inviato comunicazioni al governatore dello stato, Juan Sabines Guerrero; al segretario di Governo, Noé Castañón León, ed al procuratore statale, Raciel López Salazar, così come alle autorità federali, chiedendo di assumersi la propria responsabilità per evitare che la comunità zapatista di San Patricio, nel municipio autonomo La Dignidad (municipio ufficiale di Sabanilla), subisca aggressioni ancor più gravi di quelle che stanno subendo dallo scorso 11 di settembre.

Il Frayba ha emesso un’Azione Urgente un’azione urgente per richiamare l’attenzione della società civile e delle autorità governative su questa situazione che la JBG della zona nord definisce  “molto critica ed insopportabile”.

Chiede che si garantisca “immediatamente” la vita e l’integrità della comunità ed il rispetto del processo di resistenza e autonomia che le basi dell’EZLN esercitano “in conformità ai trattati internazionali sui diritti dei popoli indigeni, la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani e gli Accordi di San Andrés”.http://www.jornada.unam.mx/2011/09/15/politica/014n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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APPELLO FRAYBA.

Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, AC

http://www.frayba.org.mx/index.php

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

14 settembre 2011

Azione Urgente No. 05

Persecuzione e rischio di sfollamento forzato della comunità autonoma

Secondo informazioni pervenute a questo Centro dei Diritti Umani, attraverso la Giunta di Buon Governo (JBG) “Nueva semilla que va a producir” con sede nella comunità di Roberto Barrios, municipio ufficiale di Palenque, esiste il rischio imminenti che diversi atti di minaccia e vessazione sfocino in un possibile sfollamento forzato degli abitanti della comunità autonoma di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, municipio ufficiale di Sabanilla, nella Zona Nord del Chiapas.

Secondo le informazioni raccolte, lo scorso 7 settembre 2011, i signori Ambrocio Díaz Gómez, Santiago Díaz Cruz, Miguel Díaz Díaz si sono presentati a casa di una delle autorità autonome zapatiste di San Patricio minacciando di invadere e cacciare la comunità col pretesto del mancato pagamento dell’imposta prediale, aggiungendo che se non avessero consegnano le terre recuperate, dove attualmente abitano, sarebbero venuti a “massacrare tutti“.

Il 10 settembre, un gruppo di persone ha sparato più volte nei pressi della comunità di San Patricio. Quella stessa notte, un gruppo di circa100 persone ha installato un accampamento permanente a soli 200 metri dalla comunità. L’11 settembre, a diverse ore del giorno, si sono uditi molti spari provenire dall’accampamento installato il giorno precedente. Inoltre, gli aggressori hanno abbattuto alberi, distrutto le coltivazioni di mais e bruciato 18 ettari del terreno di proprietà degli abitanti di San Patricio che appartengono alle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN). Il 12 settembre, sono continuati gli spari con armi di grosso calibro.

Secondo le informazioni fornite a questo Centro dei Diritti Umani, tra gli aggressori riconosciuti dalle BAEZLN, ci sono:

Del Municipio di Tila:

Mario Vázquez Cruz, della Comunitò di Ostelukum. Rogelio Ramírez Vázquez, della Comunità El Porvenir.

Del Municipio di Sabanilla:

Samuel Díaz Díaz, Marcelino Díaz Díaz, Alfredo Cruz Martinez, Abraham Díaz Díaz, Alfredo Díaz Cruz, Esteban Díaz Díaz, Arturo Cruz Martinez ed altre persone appartenenti all’ejido Los Naranjos, comunità Velasco Suárez ed ejido Unión Hidalgo.

Le minacce di sgombero forzato contro la comunità continuano anche con l’uso delle armi. Di fronte a questa situazione i coloni Basi di Appoggio dell’EZLN di San Patricio si trovano nell’impossibilità di raggiungere i propri appezzamenti per lavorare e mietere, cosa che sta provocando condizioni di emergenza alimentare.

Per quanto sopra e con riferimento agli articoli 2, 3 e 9 della Dichiarazione delle Nazioni Unite sul diritto e dovere degli individui, i gruppi e le istituzioni di promuovere e proteggere universalmente i diritti umani e le libertà fondamentali riconosciute in relazione al contenuto dell’articolo 133 della Costituzion e della giurisprudenza della Corte Suprema di Giustizia della Nazione; così come nell’articolo 8 di quest’ultimo ordinamento, questo Centro dei Diritti Umani sollecita in maniera urgente che:

  • · Si garantisca immediatamente la vita e l’integrità personale di tutti i membri delle BAEZLN della comunità autonoma di San Patricio, municipio autonomo La Dignidad, del municipio ufficiale di Sabanilla, che secondo le informazioni fornite dalla JBG di Roberto Barrios sono minacciati di sgombero con la forza da un gruppo di persone armate provenienti da diverse comunità confinanti dei municipi di Sabanilla e Tila.
  • · Si garantisca il rispetto delle terre, proprietà della comunità autonoma di San Patricio, che sono state recuperate dalle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Nello stesso tempo, chiediamo il rispetto del processo di resistenza e autonomia che esercitano le BAEZLN in conformità con i trattati internazionali sui diritti dei popoli indigeni, con la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani e gli Accordi di San Andrés.

Rivolgiamo un appello alla Società Civile nazionale ed internazionale affinché si pronuncino inviando appelli alle seguenti autorità del governo del Chiapas e del Messico.

Inviare l’appello a:

Lic. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa

Presidente de la República

Residencia Oficial de los Pinos, Casa Miguel Alemán

Col. San Miguel Chapultepec, C.P. 11850, México DF

Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376

Correo: felipe.calderon@presidencia.gob.mx

 

Lic. José Francisco Blake Mora

Secretario de Gobernación

Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez, Del. Cuauhtémoc,

C.P. 06600 México D.F. Fax: (52.55) 50933414;

Correo: secretario@segob.gob.mx, contacto@segob.gob.mx

 

Lic. Juan José Sabines Guerrero

Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso

Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México

Fax: +52 961 61 88088 – + 52 961 6188056; Extensión 21120. 21122;

Correo: secparticular@chiapas.gob.mx

 

Dr. Noé Castañón León

Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas

Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso

Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México

Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60. Extensión: 20003;

Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx

 

Lic. Raciel López Salazar

Procuraduría General de Justicia de Chiapas

Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque

C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas

Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00.

Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24, 61 6-34-50.

Correo: raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx

 

Inviare copia a:

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.

Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos,

29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México

Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548

Correo: accionurgente@frayba.org.mx

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La Jornada – Mercoledì 14 settembre 2011

Paramilitari prendono d’assedio un villaggio zapatista e minacciano di uccidere tutti, denuncia la JBG

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis., 13 settembre. La giunta di buon governo (JBG) Nueva semilla que va a producir, del caracol zapatista di Roberto Barrios, nella zona nord dello stato, ha denunciato che la comunità di San Patricio, nel municipio autonomo La Dignidad (municipio ufficiale di Sabanilla), è assediata da oltre un centinaio di paramilitari di diverse comunità di Tila e Sabanilla che nelle ultime ore hanno sparato, bloccato tutte le strade, bruciato 18 ettari di terra, saccheggiato le milpas e minacciano di uccidere gli zapatisti che si rifiutino di abbandonare le terre.

Gli aggressori – di gruppi filogovernativi – si rifanno al tristemente famoso gruppo paramilitare Paz y Justicia che è imperversato nella zona per un decennio dopo la sollevazione zapatista del 1994. Provengono dalle comunità Ostelukum, El Porvenir, Los Naranjos, Velasco Suárez e Unión Hidalgo e sono guidati da Rogelio Ramírez Vázquez, il poliziotto municipale di Tila, Mario Vázquez Cruz, e Samuel Díaz Díaz, di Sabanilla.

La JBG descrive le minacce e le aggressioni come “molto dure e insopportabili” e le collega ad un fatto recente: lo scorso 7 settembre tre presunti paramilitari, (Ambrocio Díaz Gómez, Santiago Díaz Cruz e Miguel Díaz Díaz) si erano presentati a casa di un’autorità autonoma di San Patricio minacciando di “venire ad invadere e cacciare la comunità perché non pagavamo l’imposta prediale, ma era un pretesto per venire a provocare e se non avremmo consegnato le terre avrebbero massacrato tutti (…)”.

Il giorno 10, “questi paramilitari hanno sparato ai confini della comunità”. Quella notte, circa 100 aggressori hanno preso posizione a 200 metri dalla comunità accampandosi nella “casa grande che era del fattore”. Si tratta di terre recuperate dagli zapatisti tre lustri fa. All’alba del giorno 11 “si sono sentiti molti spari provenire dalla loro posizione; alle 10 hanno iniziato ad abbattere gli alberi da legname per il lavoro comunitario”; poi hanno tagliato tutte le milpas intorno a dove si sono posizionati gli aggressori “e se le sono portate a casa”.

Hanno ucciso due maiali sottratti ad uno zapatista alla periferia di San Patricio mentre un altro è “rimasto ferito da un colpo di machete”. Alle 15 ci sono stati nuovi spari, “hanno distrutto le recinzioni del campo collettivo e bruciato 18 ettari”. All’alba del giorno 12 “i paramilitari hanno di nuovo sparato con armi di grosso calibro”.

Il dirigente paramilitare Samuel Díaz Díaz aveva intimato a Manuel Cruz Guzmán, autorità ufficiale del commissariato di San Patricio, che gli zapatisti “devono essere cacciati e le armi sono pronte”.

Questi “delinquenti paramilitari – dice la JBG – rubano nelle comunità ed ora agiscono contro i nostri compagni, li controllano giorno e notte e le basi di appoggio dell’EZLN non possono uscire dalla comunità per andare a lavorare”.

Attualmente, “gli invasori paramilitari sono distribuiti in montagna e nelle strade per bloccare, interrogare ed uccidere i nostri compagni e compagne che eventualmente intendano uscire dalla comunità per qualsiasi necessità”.

La JBG sostiene: “I nostri compagni e compagne sono in grave pericolo”, e nello stesso tempo avvertono che difenderanno la terra recuperata. Ritengono responsabili della situazione e di quello che potrà accadere, il governo de Juan Sabines Guerrero ed i sindaci di Sabanilla, Jenaro Vázquez López, e di Tila, Sandra Luz Cruz Espinoza.

Comunicato della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 settembre 2011

Più di 20 ONG si uniscono alla Carovana per la Pace e chiedono più attenzione per la frontiera sud

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las casas, Chis. 12 settembre. Annunciando la loro partecipazione alla carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità che arriverà in Chiapas questo mercoledì, attivisti, studiosi, cittadini e più di 20 organizzazioni civili hanno ammesso che, “comprensibilmente”, nel paese l’attenzione è rivolta “alla guerra contro il crimine organizzato, in particolare, ma non esclusivamente, nel nord”. Ciò nonostante, hanno ricordato che, “qui viviamo una guerra con gravi e profonde conseguenze da almeno 18 anni, una strategia di contrainsurgencia con una forte occupazione militare del territorio, la formazione di gruppi paramilitari, la repressione e la criminalizzazione della protesta sociale e dei difensori dei diritti umani”.

A partire dalla sollevazione zapatista del 1994, segnalano in un documento, “decine di migliaia di soldati si sono stabiliti in territorio chiapaneco, ai quali bisogna aggiungere quelli che sono recentemente arrivati per rinforzare la frontiera sud”.

Questa “guerra di contrainsurgencia” vuole “sottrarre il territorio dei popoli indigeni per il suo sfruttamento a beneficio di interessi transnazionali”. Ciò porta “predazione e distruzione dei beni naturali, della ricchezza culturale e del tessuto sociale dei popoli originari”. Il documento, presentato oggi in conferenza stampa, elenca i progetti “definiti impropriamente eco turistici”, le concessioni minerarie, la costruzione di dighe, il saccheggio della biodiversità, i progetti di riconversione produttiva.

Inoltre, aggiunge, “in Chiapas cominciamo a vivere le prime fasi della guerra contro il crimine organizzato come conseguenza della sottomissione del governo messicano al desiderio degli Stati Uniti” di aprire alla frontiera sud “un altro fronte” contro il crimine organizzato. “Le condizioni di violenza che si vivono in Messico hanno raggiunto il Guatemala ed altri paesi centroamericani, in larga misura perché in Chiapas, principalmente nella regione di confine, esistono condizioni di grande violenza che sono state ripetutamente nascoste.

Non bisogna dimenticare che dalla frontiera del Chiapas passa tutto: migranti, droga, armi ed ogni tipo di traffico illegale. A sud condividiamo con la frontiera nord i sequestri, la sparizione di migranti, le esecuzioni e l’assassinio di donne”.

Le organizzazioni civili hanno dichiarato che l’arrivo nello stato della carovana guidata da Javier Sicilia “è un’opportunità per incontrarci come popoli, comunità e persone, per condividere le nostre esperienze in relazione alla situazione di violenza e morte” provocata dal governo di Felipe Calderón “col pretesto della lotta al crimine organizzato”.

Segnalano che “l’obiettivo della carovana è l’incontro della società civile e tra chi è stato colpito dalla guerra, e pertanto condanniamo qualunque tentativo delle autorità e dei partiti politici di capitalizzare la mobilitazione a fini politico-elettorali”.

Le organizzazioni hanno espresso solidarietà e simpatia verso le cause del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità ed il loro rifiuto della prevista legge di sicurezza nazionale e “l’impronta militarista”.

Per il Chiapas in particolare hanno chiesto la fine della guerra di contrainsurgencia e della persecuzione contro le comunità zapatiste o aderenti all’Altra Campagna, “e tutti i popoli che difendono il proprio territorio e autonomia”, così come “la liberazione dei prigionieri politici, il libero e sicuro transito dei nostri fratelli migranti e che si realizzino gli accordi di San Andrés”. http://www.jornada.unam.mx/2011/09/13/politica/012n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CONTRALÍNEA Periodismo de investigación

 1 settembre 2011

Contralínea  comunica con immenso dolore la morte delle giornaliste Ana María Marcela Yarce Viveros e Rocío González Trápaga. Le giornaliste sono state assassinate tra la notte del 31 agosto e la mattina del 1 settembre. I loro corpi sono stati ritrovati in un parco di Iztapalapa, a Città del Messico.

Marcela Yarce Viveros, fondatrice e reporter di Contralínea, era a capo dell’area Pubbliche Relazioni del settimanale. Rocío González Trápaga, ex reporter di Televisa e  amica di questa casa editrice, attualmente esercitava il giornalismo in forma indipendente.

La redazione e tutti noi che lavoriamo a questa rivista, con profonda tristezza ma anche con indignazione, esigiamo dalle autorità la massima chiarezza su questi deplorevoli fatti. Ci uniamo al dolore di familiari e amici delle due giornalista e reclamiamo giustizia

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La Jornada – Mercoledì 31 Agosto 2011

Secondo il rapporto del Frayba, i progetti del governo sono un attentato ai diritti degli indigeni

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 30 agosto. I diritti collettivi dei popoli indigeni sono “seriamente minacciati dalla presenza di progetti e piani governativi che fomentano il saccheggio del territorio per interessi estranei ai suoi abitanti ancestrali” afferma il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) nel suo rapporto annuale.

“I popoli indigeni del paese si trovano in una situazione estremamente complessa dovuta, tra le altre ragioni, alla disputa per il controllo territoriale ed alla cultura di violenza generata dallo Stato messicano, che prosegue in un’interminabile voragine”, aggiunge nel rapporto Late la tierra en las veredas de la resistencia (La Terra pulsa sui sentieri della resistenza).

Sottolinea che “all’origine di questo scenario ci sono i progetti ed i piani dei governi federale, statale e municipali, come il Centro Integralmente Planeado, che rispondono ad una politica di esclusione, emarginazione e povertà, e che fomentano il saccheggio del territorio”.

Secondo l’organizzazione presieduta da Raúl Vera López, vescovo di Saltillo, Coahuila, questi piani, collegati al Proyecto Mesoamérica, prima Plan Puebla-Panamá, “hanno causato in Chiapas conflitti con gravi conseguenze sociali nelle regioni dove si trovano le comunità abitate da basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, che stanno costruendo nuove alternative di fronte a progetti di sviluppo indirizzati allo sfruttamento delle risorse naturali e che sono estranei alla cultura dei popoli indigeni”.

Víctor Hugo López, direttore dell’organizzazione, durante la presentazione del rapporto ha detto che col 18% sul totale delle denunce, quelle relative al saccheggio di territori sono state le più ricorrenti nel lasso di tempo che va da marzo 2010 ad aprile 2011.

Ha detto inoltre che l’esercizio dell’autonomia attraverso la libera determinazione “è una questione pendente dello Stato messicano con i popoli indigeni, poiché non c’è la volontà politica del governo di garantire, rispettare e promuovere i diritti collettivi dei popoli, cosa che implica un cambiamento profondo delle basi istituzionali dello Stato, cioè, un cambiamento radicale di sistema di governo”.

In presenza di alcuni invitati, ha dichiarato che “di fronte al disordine nazionale politico e sociale i popoli esercitano e recuperano forme ancestrali di autogoverno”.

Ha affermato che la costruzione delle autonomie che ha luogo in Messico, in particolare in Chiapas, è “come una casa invisibile”, perché “si parla molto dei suoi progressi ma non si guardano o non si vogliono vedere”.

Víctor Hugo López ha precisato che il documento presentato oggi nella sede del Frayba ha tra altri obiettivi quello di “dare conto della situazione dei diritti umani e dei processi di difesa ed esercizio del diritto in quattro ambiti: territorio, criminalizzazione della protesta, autonomia e memoria storica”.

Ha segnalato che l’organizzazione che dirige “ha documentato gli attacchi ai progetti di autonomia in Chiapas relativi a salute, educazione, comunicazione ed autodeterminazione delle comunità e popoli”.

Magdalena Gómez, studiosa dell’argomento, nel suo messaggio ha detto che nelle sue analisi, la relazione “ci pone nella necessità di fare un bilancio a dieci anni dalla controriforma indigena del 2001”.

L’articolista di La Jornada ha aggiunto: “Qui ci sono gli elementi base per rimarcare la ragion di Stato che nel 2001 fu fatta prevalere contro gli accordi di San Andrés: l’impatto di questa controriforma è evidente in tutto il documento”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/31/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Caro Subcomandante Marcos:

Grazie infinite per le parole riservate al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità nella sua terza lettera a Don Luis Villoro. L’abbiamo letta con l’attenzione di chi è aperto all’ascolto. Da questa attenzione e ascolto vogliamo ringraziare per la sua profonda umiltà e solidarietà col Movimento e dirvi che portiamo dolorosamente nel nostro cuore i vostri morti, come Dionisio-Chiapas e Mariano, costruttori di pace. Vogliamo inoltre dirvi che anche se non ci comprendete, sebbene il nuovo vi sconcerti – la capacità di tentare di fare pace perfino con i nostri avversari, perché crediamo che gli errori di un essere umano non sono l’essere umano, ma l’alienazione della sua coscienza che bisogna trasformare con la pazienza dell’amore – condividiamo gli stessi aneliti e speranze, quelli di “un mondo nel quale ci stiano molti mondi”.

La pace, caro Subcomandante, come diceva Gandhi è “la strada”, una strada che si percorre solo tutte e tutti insieme. Voi, 17 anni fa, a fianco della società civile, ce l’avete insegnato non solo rendendo visibile e dando dignità al passato negato e vilipeso della nostra tradizione indigena, ma anche quando, a partire dall’ascolto e dal dialogo, avete aperto la discussione su quello che, nella crisi delle istituzioni, potrebbe essere una nuova speranza di ricostruzione della nazione: le autonomie.

Purtroppo, il potere, che è cieco, gli interessi che non ascoltano i battiti del cuore della storia, e l’egoismo, quella forma atroce dell’io che rompe i vincoli con gli altri, non vi hanno ascoltato – cambiare il cuore il potere è sempre lungo e doloroso -. La conseguenza è la spaventosa emergenza nazionale che vive attualmente il paese il cui epicentro, ironia della sordità, si trova a Juárez, alla frontiera norddelpaese.

Oggi la guerra ha lacerato le quattro parti del Messico (il nord, il sud, l’est e l’ovest), ma nella visibilità delle nostre sofferenze – che sono molte e sempre di più – dei nostri volti, dei nostri nomi e delle nostre storie, ci ha anche unito – nella pace dell’amore che ci porta a procedere, ad abbracciare sofferenze e a dialogare per cercare di smuovere la coscienza dei potenti – per trovare quell’io plurale, quel noi che ci hanno sottratto. Ciò ha potuto nascere solo dal cuore, dalla solidarietà e dalla speranza, cioè, dalla grande riserva morale che ancora c’è nella nazione della quale voi siete una delle parti più belle. Oggi più che mai crediamo che solo con l’unità nazionale di questa riserva – che non sta solo in basso, ma anche sopra ed ai lati, da tutte le parti – possiamo fermare la guerra e trovare insieme la strada della rifondazione nazionale.

Il Messico, caro Subcomandante, è un corpo lacerato, un suolo fratturato che bisogna ricomporre come un corpo ed una terra sani in cui – come ogni corpo ed ogni vera terra – ognuna delle sue parti, quando si armonizza e si coltiva nel bene, sono tanto necessarie quanto importanti.

Camminare, dialogare, abbracciare e baciare – questi quattro modi che troviamo nella nostra storia fatta dal mondo indigeno e dal mondo occidentale – sono le forme che adottiamo non solo per accompagnare gli altri e le altre, ma per ritrovare la strada perduta e fare la pace. Camminare, è incontrare gli altri; dialogare è denudare, palpitare, illuminare la verità – che al principio duole, ma poi consola -; abbracciarsi e baciarsi è non solo fare pace, ma anche rompere le differenze che ci dividono e ci portano in conflitto.

Qualche anno fa con alcuni amici fondammo una rivista – spero ne abbia qualche numero tra le mani –: *Conspiratio*. Il nome viene dalla prima liturgia cristiana dove c’erano due momenti alti: la *conspiratio* e la *comestio*. Il primo si esprimeva con un bacio sulla bocca. Era una co-respirazione, uno scambio di respiri, una condivisione dello spirito che cancellava le differenze e creava un’atmosfera comune, una vera atmosfera democratica – forse da lì deriva il significato che la parola cospirazione ha nella nostra epoca; forse l’impero romano, un impero, come ogni impero, spaventosamente classista, diceva, “chi sono questi che cospirano e mettono in pericolo il potere” -. Quando baciamo ed abbracciamo creiamo quell’atmosfera comune, un’atmosfera – è la realtà di qualunque atmosfera – instabile che rapidamente può sparire, ma non per questo è falsa. È un segno di quello a cui aspiriamo e che improvvisamente, nell’amore, appare pieno di gratuità come la vita stessa. Così, camminare, dialogare abbracciare e baciare è farlo, dal nostro dolore, per i nostri morti – a chi dimentichiamo di dare questo amore -, per i nostri giovani, i nostri bambini e bambine, i nostri indigeni, i nostri migranti, i nostri giornalisti, i nostri difensori dei diritti umani, i nostri uomini e donne, cioè, per tutti. In qualche modo è impedire che l’indolenza, l’imbecillità e la miseria dell’anima ci condannino tutti alla morte, alla corruzione e all’oblio.

Come lei ha ben detto riferendosi al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità – una frase che uso da anni in relazione allo zapatismo -: “Si potranno discutere i metodi, ma non le cause”. È per queste cause che fermare la guerra è compito di tutti e di tutte.

Facciamoci carico di quello che oggi è il Messico, facciamoci carico del dolore e del perdono, prendiamo la strada della pace e lasciamo il giudizio alla storia.

Ci vediamo a sud, caro Subcomandante. Mentre arriviamo con la lentezzadelcamminare ed il dolore in spalla, le mandiamo un grande bacio, quel bacio col quale il nostro cuore non cessa di abbracciarvi. 

Da Arca, vicino alle montagne di Vercors

27 agosto 2011, 5 mesi dopo l’assassinio di Juanelo, Luis, Julio e Gabo.

Per il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità
Pace, Forza e Gioia
Javier Sicilia
http://movimientoporlapaz.mx/2011/08/29/carta-de-javier-sicilia-al-subcomandante-marcos/ 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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FORSE…

Terza Lettera a Don Luis Villoro nello scambio su Etica e Politica

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Luglio-Agosto 2011

Per: Don Luis Villoro
Da: SupMarcos

Don Luis:

Le mando i saluti di tutt@ noi ed un abraccio forte da parte mia. Speriamo che stia meglio in salute e che la pausa in questo scambio sia servita per nuove idee e riflessioni.

Anche se la realtà attuale sembra precipitare vertiginosamente, una seria riflessione teorica dovrebbe essere in grado di “congelarla” un istante per scoprire in essa le tendenze che ci permettano, rivelando la sua gestazione, di vedere verso dove sta andando.

(E parlando della realtà, ricordo che fu a La Realidad zapatista dove proposi a Don Pablo González Casanova lo scambio: lui doveva farmi arrivare un pacchetto di biscotti Pancrema, ed io dovevo inviargli un presunto quanto improbabile libro di teoria politica (per definirlo in qualche modo). Don Pablo lo fece, ed il dilatato procedere del nostro calendario mi ha impedito di compiere la mia parte dello scambio… non ancora. Ma credo che durante le piogge prossime ci saranno altre parole.

Come forse si è andato insinuando nella nostra corrispondenza (e nelle lettere di coloro che, generosamente, hanno aderito a questo dibattito), la teoria, la politica e l’etica si intrecciano in modi non così evidenti.

Certamente non si tratta di scoprire o creare VERITÀ, quelle pesanti pietre che abbondano nella storia della filosofia e nelle sue figlie bastarde: la religione, la teoria e la politica.

Credo che saremmo d’accordo sul fatto che il nostro impegno mira più a tentare di far “saltare” le linee non evidenti, ma sostanziali, di questi ambiti.

“Abbassare” la teoria all’analisi concreta è una delle strade. Un altro è ancorarla alla pratica. Ma nelle epistole non si compie questa pratica, semmai si rende conto di essa. Cosicché credo che dobbiamo continuare ad insistere “nell’ancorare” le nostre riflessioni teoriche alle analisi concrete o, più modestamente, tentare di delimitare le loro coordinate geografiche e temporali. Cioè, insistere nel fatto che le parole si pronunciano (si iscrivono, in questo caso) da un determinato luogo e tempo.

Da un calendario ed in una geografia.

I. Lo specchio locale.

Anno 2011, Chiapas, Messico, il Mondo.

E siamo qua, in questi calendario e geografia, attenti a quello che succede, a quello che si dice e, soprattutto, a quello che si tace.

Nelle nostre terre proseguiamo la resistenza. Proseguono le aggressioni contro di noi provenienti da tutto lo spettro politico. Siamo l’esempio del fatto che è possibile che tutti i partiti politici abbiano uno stesso obiettivo. Sponsorizzati dai governi federale, statale e municipale, tutti i partiti politici ci attaccano.

Prima o dopo ogni aggressione si svolge una riunione tra funzionari governativi e dirigenti “sociali” o di partito. In queste riunioni si parla poco, solo lo stretto necessario per concordare il prezzo e la forma di pagamento.

Quelli che criticano la nostra posizione zapatista secondo cui “tutti i politici sono uguali”, dovrebbero farsi un giro per il Chiapas. Anche se certamente diranno che è qualcosa di strettamente locale, che questo non succede a livello nazionale.

Ma tra la classe politica chiapaneca si ripetono, con i loro timbri autoctoni, le stesse ridicole routine dei periodi preelettorali.

Ci sono regolamenti di conti interni (come nelle bande criminali) che per la classe politica si mascherano di “giustizia”. Ma da tutte le parti si tratta della stessa cosa: liberare la strada all’eletto di turno. Tutto quello che succede in basso viene fatto passare per il complotto di uno o diversi rivali. Tutto quello che succede in alto viene deformato o si tace.

Nella politica mediatica di elargizione degli elogi, quando si tratta del Chiapas non c’è nessuna differenza tra la stampa della capitale del paese e quella della capitale statale.

Ma, si può parlare seriamente di giustizia in Chiapas quando è sempre libero uno dei responsabili del massacro di Acteal, di nome Julio César Ruiz Ferro? “Presidente non si preoccupi, lasci che si ammazzino, poi mando la pubblica sicurezza a portare via i morti”, rispose l’allora governatore del Chiapas, Julio César Ruiz Ferro, a Jacinto Arias Cruz, sindaco di Chenalhó, che lo avvertiva di un imminente scontro ad Acteal il 19 dicembre 1997. (María de la Luz González, El Universal 18 dicembre 2007).

E che dire di “El Croquetas” Roberto Albores Guillén, responsabile del massacro di El Bosque, che ha eretto un impero di crimini e corruttele che ora gli permettono di concorrere contro Juan Sabines Guerrero ed il suo “gallo”, il coleto Manuel Velasco, per tornare a governare il Chiapas? (parlando di “galli”, il lopezobradorismo renderà mai conto, un giorno, di avere aiutato a riciclare il peggio della politico priista chiapaneca?).

Ah, la vecchia rivalità tra le vetuste classi politiche di Comitán, San Cristóbal de Las Casas e Tuxtla Gutiérrez (a proposito, i loro precedenti si possono trovare nel libro di Antonio García de León, “Resistenza e utopia: memorie di oltraggi e cronache di rivolte e profezie accadute nella Provincia del Chiapas negli ultimi cinquecento anni della sua storia” della casa editrice ERA del caro Neus Espresate).

Mentre si addensano le nubi di una bufera nella politica del Chiapas dell’alto, Juan Sabines Guerrero prosegue ostinato nella linea che ha già causato tanti fallimenti al “Croquetas” Albores: attivare gruppi, paramilitari e non, per aggredire le comunità zapatiste; occultare i vertici delle mafie criminali con o senza l’alibi di partito politico; mantenere l’impunità per gli amici; la simulazione come programma di governo.

La stampa, locale e nazionale, ben “oliata” dai soldi, non riesce ad occultare, attraverso l’unanimità, la guerra intestina nella politica dell’alto.

Soprattutto, basta segnalare questo: da tempo le regole interne della classe politica sono rotte. Gli aguzzini di ieri sono gli incarcerati di oggi, ed i persecutori di oggi saranno i perseguiti di domani.

Non è che non si facciano “accordi”, ma non riescono a rispettarli.

Ed una classe politica che non rispetta i suoi accordi interni è un cadavere in attesa di sepoltura.

No, la classe politica di sopra non capisce niente. Ma soprattutto non capisce la cosa fondamentale: il suo tempo è finito.

Governare non è più un lavoro politico. Ora il lavoro per eccellenza dei governanti è la simulazione. Più importanti dei consulenti politici ed economici, sono i consulenti d’immagine, pubblicità e marketing.

Così fanno oggigiorno i governanti in Messico, mentre le realtà locali, regionali e nazionali vanno in pezzi.

Nemmeno i bollettini governativi mascherati da “reportage” e “cronache giornalistiche” riescono a coprire la crisi economica: nelle principali città del Chiapas reale cominciano a vedersi e crescere l’indigenza ed i “lavori” più marginali. La povertà che sembrava essere esclusiva delle comunità rurali inizia a crescere nelle zone urbane del sudest messicano.

Proprio come nel resto del territorio nazionale.

Sembra che stia parlando della politica di sopra a livello nazionale e non locale?

Ah, i frammenti dello specchio rotto, irrimediabilmente rotto…

II. Epitaffio per una classe politica o per una Nazione?

Quando Felipe Calderón Hinojosa (presidente grazie alla colpa ora confessata di Elba Esther Gordillo), travestito da guida turistica per far arrivare in Messico non solo poliziotti e militari nordamericani, si affaccia al Sótano de Las Golondrinas, ad Aquismón, San Luis Potosí, ed esclama “Oh my god!” (http://mexico.cnn.com/nacional/2011/08/17/calderon-promuovere-destino-turistico-in-il-programma-the-royal-tour), potrebbe ben dire la stessa cosa se si affacciasse al pozzo nel quale il paese è sprofondato durante il suo mandato.

Secondo le statistiche rivelate dal Consiglio Nazionale di Valutazione della Politica di Sviluppo Sociale (CONEVAL), il numero di poveri in Messico è passato da 48.8 milioni a 53 milioni. Quasi la metà della popolazione messicana vive in condizioni di povertà. Quasi 12 milioni di persone sono in condizioni di povertà estrema.

E se si riguardano le mappe dello stesso CONEVAL, si vede che le sacche di povertà, prima esclusiva degli stati del sud e sudest del Messico (Guerrero, Oaxaca, Chiapas) cominciano ad estendersi agli stati del nord del paese.

In questo sessennio i prezzi dei generi di largo consumo sono raddoppiati e triplicati.

Secondo i dati del Centro di Analisi Multidisciplinare, per avere il denaro sufficiente al paniere alimentare raccomandato, all’inizio del sessennio di Felipe Calderón Hinojosa si doveva lavorare per 13 ore e 19 minuti al giorno. 5 anni dopo, in questo 2011, si dovrebbe lavorare per 22 ore e 55 minuti.

 

Mentre i profitti dei milionari negli ultimi 10 anni sono quadruplicati.

A tutto questo andrebbero sommate le perdite dei posti di lavoro per la chiusura delle fonti di impiego. Tra le quali il colpo criminale al Sindacato Messicano degli Elettricisti. L’attacco è stato guidato dal facinoroso segretario del lavoro, Javier Lozano Alarcón (che sarà ricordato anche per le estorsioni da gangster – Zhenli Ye Gon ed i 205 milioni di dollari per la frode elettorale del 2006 -), ed “acclamato” dai grandi mezzi di comunicazione di massa.

Tra l’altro, la gigantesca campagna propagandistica contro i lavoratori del Sindacato Messicano degli Elettricisti (che comprende la minaccia di azioni penali contro i suoi dirigenti) che lo stesso accusa di essere indolenti e terroristi, sarebbe in contrasto con la realtà: se questi lavoratori erano pigri ed inutili, com’è che c’era la luce elettrica nella zona centrale del paese? Com’è che funzionavano le televisioni che ora li attaccano, i giornali che li calunniano, le stazioni radio che li diffamano? Ed i disservizi ora presenti con la Compagnia Federale di Elettricità nella maggioranza delle case di quella parte del Messico? E le nuove bollette con cifre esorbitanti?

Ma la resistenza di questi lavoratori non passa inosservata. Non a noi.

E mentre la crisi mondiale si affaccia sull’economia nazionale, la classe politica va avanti, quella sì, nel suo ozio.

Il 2012 nel calendario di sopra è arrivato il 1 dicembre del 2006, ed in questi 5 anni non ha fatto che evidenziare che questi calendari non servono nemmeno per decorare i muri diroccati della casa grande che ancora chiamiamo “Messico”.

Nel PRI un Beltrones ed una Paredes fanno calcoli per spodestare un Peña Nieto più preoccupato di fare passerelle mediatiche (aveva i soldi) che fare politica (non ne era capace).

Nel PRD la coppia López Obrador e Marcelo Ebrard si sta solo ora accorgendo che la cosa fondamentale dipende dalle burocrazie di partito dell’autodenominata “sinistra” istituzionale.

E nel PAN dell’incubo nazionale, un ometto impazzito di morte e distruzione cerca chi gli copra le spalle quando le guardie presidenziali ed il palazzo nazionale non lo faranno più.

Nonostante il discredito e il deterioramento del partito al governo sia grande, Felipe Calderón Hinojosa scommette, e forte, sull’uso di tutte le risorse a sua disposizione per imporre la sua proposta. Se l’ha già fatto nel 2006, potrebbe ripeterlo nel 2012. E ne avrà bisogno, perché le sue carte sono pessime: Un Cordero [in spagnolo significa agnello – n.d.t.] che promette al suo pastore che continuerà ad esserlo; un Lujambio che spera di non ricevere la stoccata della estela de luz [Stele di Luce, Lujambio ministro dell’istruzione accusato di frode nella realizzazione del monumento per la commemorazione del bicentenario – n.d.t.]; un Creel al quale il grigio sta bene (e lo definisce); ed una Vázquez Mota il cui unico argomento è essere donna.

(Ricordo una discussione su Barack Obama e Hillary Rodham Clinton mentre si contendevano la candidatura presidenziale. Alcune femministe chiedevano l’appoggio a Hillary perché donna, alcuni afroamericani chiedevano di appoggiare Obama perché di colore. Il tempo ha dimostrato che in alto non contano né il colore né il genere).

Nel frattempo, come la matrona di un bordello, Elba Esther Gordillo sfoglia la margherita… e non esclude di candidarsi, invece di appoggiare qualcuno.

In questo patetico panorama è logico, e perfino auspicabile, che nascano candidati esterni… e cardellini che li accompagnino.

In realtà, al di fuori delle combriccole di partito, del potere economico e di qualche militante, il passaggio governativo non sembra interessare a nessuno.

L’apatia è sostituita dal rancore, e non sono pochi a sognare di riuscire finalmente a seppellire il sistema politico messicano, e con mani plebee scrivere sulla sua tomba l’epitaffio: “E’ stato difficile, ma alla fine il gioco è finito”.

Nel frattempo la guerra prosegue… e con lei le vittime…

III. Incolpare la vittima.

Uno psicologo nordeamericano, William Ryan, nel 1971 scrisse il libro “Incolpare la vittima” (“Blaming the Victim”). Nonostante la sua intenzione iniziale fosse una critica al cosiddetto “Rapporto Moynihan” che attribuiva la responsabilità della povertà della popolazione nera degli Stati Uniti alle condotte ed ai modelli culturali e non alla struttura sociale, quest’idea è stata applicata principalmente a casi di sessismo e razzismo (più frequentemente nei casi di violenza sessuale, dove si accusa la donna di aver “provocato” il violentatore con l’abbigliamento, l’atteggiamento, il luogo, ecc..).

Anche se detto in altro modo, Theodor Adorno definì il fatto di “incolpare la vittima” come una delle caratteristiche specifiche del fascismo.

Nel Messico contemporaneo sono stati alcuni membri dell’alto clero, autorità governative, artisti e “leader di opinione” dei mezzi di comunicazione a ricorrere a questa bugia per condannare delle vittime innocenti (principalmente donne e minorenni).

La guerra di Felipe Calderón Hinojosa ha trasformato questo tratto fascista in un programma di governo e di applicazione della giustizia. E non sono pochi i mezzi di comunicazione che l’hanno fatto proprio, permeando così il pensiero di chi ancora crede a quello che si dice e si iscrive su stampa, radio e televisione.

Qualcuno, da qualche parte, ha segnalato che i crimini contro gli innocenti racchiudono una triplice ingiustizia: quella della morte, quella della colpa e quella dell’oblio.

Il sistema che subiamo si prende cura, conserva e coltiva il nome e la storia dell’assassino, sia per la sua condanna, sia per la sua glorificazione.

Ma il nome e la storia delle vittime restano dietro.

Le vittime vengono uccise un’altra volta quando sono condannate a diventare un numero, una statistica. Molte volte nemmeno questo.

Nella guerra che Felipe Calderón Hinojosa ha imposto alla società intera del Messico, senza distinzione di classe sociale, razza, credo, genere o ideologia politica, si aggiunge un ulteriore sofferenza: quella di etichettare le vittime innocenti come criminali.

In questo modo, con lo slogan del “regolamento di conti tra narcotrafficanti”, si maschera l’impero d’impunità.

E questa pesantissima lapide cade anche su familiari e amici.

L’ingiustizia imperante non serve solo a garantire l’impunità a funzionari governativi di ogni tipo, federali, statali e municipali. Ma opprime anche le famiglie e le amicizie delle vittime.

Ed opprime anche i loro morti quando a livello sociale si prescinde dal loro nome e dalla loro storia, ed una vita retta viene deformata dagli appellativi prodigati dalle autorità e ripetuti fino alla nausea dai mezzi di comunicazione.

Le vittime della guerra diventano allora colpevoli ed il crimine che li amputa o li uccide altro non è che una forma quasi divina di giustizia: “se la sono cercata”.

Felipe Calderón Hinojosa sarà ricordato come un criminale di guerra, non importa se oggi, avvolto nello scapolare, si dà arie da statista o “salvatore della patria”.

La sua storia sarà ricordata con rancore.

Nemmeno avrà, in mancanza di giustizia, la beffa e lo scherno popolari che normalmente accompagnano l’uscita dei mandatari.

Le sue patetiche imitazioni di “guida turistica”, l’illegalità e l’illegittimità del suo arrivo alla presidenza, i suoi fallimenti politici, le sue responsabilità nella crisi economica, l’essersi circondato di una squadra di picchiatori e guardie del corpo travestiti da funzionari, il nepotismo, il consolidare quello che è ormai noto come “il cartello di Los Pinos”; tutte le sue figuracce resteranno in secondo piano.

Rimarrà la sua guerra, persa, con la sua quota di vittime “collaterali”: la sconfitta, il deterioramento e il discredito irrimediabili delle forze armate federali (i vari telefilm potranno fare poco o niente per contrastarlo); la consegna della sovranità nazionale all’impero delle strisce e le torbide stelle (l’abbiamo già detto: gli Stati Uniti d’America saranno gli unici vincitori di questa guerra); l’annichilimento delle economie locali e regionali; la distruzione irreparabile del tessuto sociale; ed il sangue innocente, sempre il sangue innocente…

Può essere che alla morte non ci sia rimedio.

Che niente possa riempire il vuoto di solitudine e disperazione che lascia la morte di un innocente. 

Può essere che niente di quello che si fa possa riportare in vita le decine di migliaia di innocenti morti in questa guerra.

Ma quello che si può fare è lottare contro la tesi fascista di “incolpare la vittima”, e nominare i morti e con questo recuperare le loro storie.

Liberarli così dalla colpa e dell’oblio.

Alleviare la loro assenza.

IV. Nominare i morti e la loro storia.

Mariano Anteros Cordero Gutiérrez, era il suo nome. Doveva compiere 20 anni quando, il 25 giugno 2009 a Chihuahua, Chihuahua, fu assassinato.

Il padre di Mariano, il dott. Mariano Cordero Burciaga, incontrò l’allora governatore dello Stato di Chihuahua, José Reyes Baeza, e questi gli disse che l’omicidio era dovuto a scontri di strada. Qualche settimana dopo gli avvenimenti, il Collegio degli Avvocati dello Stato chiese chiarimenti sui fatti alle autorità competenti. Queste risposero che di era trattato di “un regolamento di conti tra narcotrafficanti”. Incolpare la vittima.

Di seguito, qualche passaggio della sua storia:

Mariano studiava ingegneria gestionale all’Istituto Tecnologico di Parral (ITP) ed era stato ammesso all’Università Autonoma España de Durango, Campus Parral.

Prima di questi studi era stato volontario presso il Collegio Marista del villaggio di Chinatú, Municipio di Guadalupe y Calvo, Chihuahua. Era responsabile di 32 bambini indigeni che studiavano nella primaria del collegio.

Mariano era un giovane zapatista, di quelli che lottano senza passamontagna. Nel marzo del 2001, insieme al padre, partecipò come cintura di pace alla Marcia del Colore della Terra. Nel 2002 partecipa alle molte manifestazioni della sfera altromondista a Monterrey, Nuevo León, in occasione di un vertice di capi di Stato a cui partecipavano Bush ed anche Fidel Castro. Quando è morto, Mariano conservava nel suo zainetto che usava quotidianamente la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, il Manifesto del Partito Comunista ed il suo ultimo libro da lui acquistato: “Notti di fuoco e insonnie”.

Quando abbiamo percorso il nord del Messico con L’Altra Campagna, al nostro passo per lo stato di Chihuahua il giovane Mariano era presente ad una delle riunioni. Alla fine della riunione chiese di parlare con me privatamente.

La data? 2 novembre del 2006. Alcune settimane prima, il 17 ottobre di quell’anno, Mariano aveva compiuto 17 anni.

Ci sedemmo nella stessa stanza in cui si era svolta la riunione. Parola più, parola meno, Mariano mi manifestò il desiderio di venire a vivere in una comunità zapatista. Voleva imparare.

Mi sorprese la sua semplicità ed umiltà: non disse che voleva venire ad aiutare, ma ad imparare.

Gli dissi la verità: che la cosa migliore era che studiasse e si laureasse, perché qua (e là, e da tutte le parti) le persone d’onore finiscono quello che cominciano; nel frattempo che non smettesse di lottare lì, nella sua terra, con la sua gente.

Che al termine degli studi, se la pesava ancora così, avrebbe avuto un posto tra noi, ma al nostro fianco, non come maestro né come alunno, ma come uno in più di noi.

Chiudemmo il patto con una stretta di mani.

7 anni prima, l’8 maggio 1999, quando Mariano aveva 9 anni, io gli avevo scritto un messaggio su una pagina di quaderno:

“Mariano: Arriverà il momento, (non ancora, ma arriverà, è sicuro) in cui sul tuo cammino ne incontrerai altri che lo attraversano e dovrai sceglierne uno. Quando arriverà questo momento, guardati dentro e saprai che non ci sono opzioni, che la risposta è una sola: essere conseguente con quello che si pensa e si dice. Se questo è vero, non importa la strada né la velocità del passo. Quello che importa è la verità che questo passo porta con sé”.

Oggi nominiamo Mariano, la sua storia, e da questa geografia mandiamo alla sua famiglia un abbraccio zapatista fraterno che, sebbene non guarisca, allevia…

V. Giudicare o tentare di capire?

Anche dalla nostra geografia abbiamo tentato di seguire con attenzione il passaggio del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità guidato da Javier Sicilia.

So bene che giudicare e condannare o assolvere sono la strada preferita dai commissari del pensiero presenti in ogni lato dello spettro intellettuale, ma pensiamo che bisogna fare uno sforzo per tentare di capire varie cose:

La prima è che si tratta di una mobilitazione nuova che, nel suo progetto di costituirsi in movimento organizzato costruisce le proprie strade, con i propri successi e cadute. Come ogni cosa nuova, pensiamo che merita rispetto. Loro possono dire, a ragione, che si possono discutere le forme ed i metodi, ma non le cause.

E merita inoltre attenzione per tentare di comprendere, invece di esprimere giudizi sommari, tanto cari a chi non tollera niente che non sia sotto la sua direzione. 

E per rispettare e comprendere bisogna guardare in alto, ma anche in basso. 

Vero che in alto balzano all’attenzione ed irritano le moine che ricevono i responsabili diretti di tante morti e distruzione.

Ma in basso vediamo che, tra familiari e amici delle vittime, si risveglia speranza, consolazione, unione.

Noi pensavamo che forse era possibile che nascesse un movimento che fermasse questa guerra assurda. Non sembra che sia così, o non ancora.

Ma quello che si può apprezzare, fin d’ora, è che ha reso tangibili le vittime.

Le ha tirate fuori dalla lista nera, dalle statistiche, dalle fantastiche “vittorie” del governo di Felipe Calderón Hinojosa, dalla colpa, dall’oblio.

Grazie a questa mobilitazione, le vittime cominciano ad avere nome e storia. E si sgretola la menzogna della “lotta al crimine organizzato”.

Certo ancora non capiamo il perché si dedichi tanta energia e lavoro ad interloquire con una classe politica che, da tempo, ha perso ogni volontà di governo e non è altro che una banda di facinorosi. Forse lo scopriranno da soli.

Noi non giudichiamo e, pertanto, né condanniamo né assolviamo. Tentiamo di capire i loro passi e l’anelito che li anima.

Insomma, il degno dolore che li unisce e muove merita ed ha il nostro rispetto e ammirazione.

Pensiamo logico dialogare con i responsabili dei problemi. In questa guerra è ragionevole rivolgersi a chi l’ha scatenata e la cavalca. Chi critica che si dialoghi con Felipe Calderón Hinojosa dimentica questo elementare fattore.

Sulle forme che ha preso questo dialogo sono piovute critiche di ogni tipo.

Non credo che a Javier Sicilia tolgano il sonno le critiche vili, per esempio, di Paty Chapoy di La Jornada, Jaime Avilés (di frivolo e isterico), o le viltà del Dottor ORA (….) a cui manca solo di dire che Sicilia ha fatto ammazzare suo figlio per “promuovere” l’immagine di Felipe Calderón Hinojosa; o le critiche di chi gli rimprovera di non essere radicale, fatte proprio da chi si vanta di “non aver rotto neanche un vetro”.

Nella sua corrispondenza (e mi sembra in alcuni eventi pubblici), a Javier Sicilia piace ricordare un poema di Kavafis, in particolare il verso che dice: “Non devi temere né i lestrigoni né i ciclopi, né la collera dell’adirato Poseidón”. Questi critici isterici non arrivano neppure lontanamente a questo, ed i patetici rancori di questi omuncoli non vanno oltre i loro pochi lettori.

In realtà questo movimento sta facendo qualcosa per le vittime. E questo è qualcosa che nessuno dei suoi “giudici” può portare a proprio favore.

Per il resto, né Javier Sicilia né alcuni dei suoi amici disprezzano le osservazioni critiche che ricevono dalla sinistra, che non sono poche e sono serie e rispettose.

Ma non bisogna dimenticare che sono osservazioni, non ordini.

Trascrivo il finale di una delle lettere private che gli abbiamo mandato:

“Personalmente, se me lo permette, le direi di continuare con la poesia, e l’arte in generale, al suo fianco. In essa si trovano sostegni più fermi di quelli che sembrano abbondare nel chiacchiericcio senza senso degli “analisti” politici.

Per questo termino queste righe con le parole di John Berger:

Non posso dirti quello che l’arte fa e come lo fa, ma so che spesso l’arte processa i giudici, chiede vendetta per l’innocente e proietta verso il futuro quello che ha subito il passato, in modo che non sia mai dimenticato.

So anche che il potente teme l’arte in ognuna delle sue forme, ed a volte questa arte passa tra la gente come una diceria e una leggenda perché dà senso a ciò che la brutalità della vita non riesce a dare, un senso che ci unifica, perché alla fine è inseparabile dalla giustizia. L’arte, quando funziona così, diventa il luogo di incontro dell’invisibile, dell’irriducibile, durevole, il valore e l’onore”.

Infine, forse tutto questo è irrilevante…

VI.- Una breve storia.

E forse è irrilevante anche questa breve storia che ora le racconto, Don Luis: 

Il giorno 7 maggio 2011 una colonna di veicoli uscì di buon mattino dalla zona zapatista Tzots Choj con uomini e donne basi di appoggio dell’EZLN che avrebbero partecipato, insieme alle altre zone, alla mobilitazione di appoggio al Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità guidata da Javier Sicilia. Alle ore 06:00 una delle auto uscì di strada e nell’incidente perse la vita il compagno Roberto Santis Aguilar. Ancora molto giovane Roberto diventò zapatista e scelse il nome di lotta “Dionisio”.

La storia del compagno Dionisio è semplice raccontata dai suoi genitori e da sua moglie. Suo padre dice che, nella sua famiglia, fu Dionisio il primo che diventò zapatista:

“Stavamo lavorando qui nella milpa quando ad una certa ora ci disse, andiamo a parlare un momento, c’è un’organizzazione che dicono sia molto buona. Allora incominciò a parlare con noi, con i suoi fratelli, di come era un bene questa organizzazione che pare ci portasse aiuto, così disse. Allora entrammo nell’organizzazione ma prima ascoltammo le parole e poco a poco si avvicinò anche altra gente. E’ così che entrò nell’organizzazione.

A quel tempo eravamo molto sfruttati e non c’era terreno dove poter lavorare perché siamo molto poveri. Siamo andati a parlare col malgoverno per avere un pezzo di terra, ma il malgoverno nemmeno ci prese in considerazione, e quando abbiamo saputo di questa organizzazione ci siamo entrati, era il 1990″.

Quattro anni dopo, ormai miliziano zapatista, il compagno Dionisio, con un fucile calibro 20, era tra le file del reggimento che prese i capoluoghi municipali di Altamirano, Chanal ed Oxchuc. Le guarnigioni governative furono sconfitte in quelle piazze, ma durante il ripiegamento il compagno Dionisio ed altri miliziani furono catturati e torturati dai priisti di Oxchuc.

Don Luis, forse ricorda le immagini che mandarono fino alla nausea i mezzi di comunicazione nazionali ed internazionali: gli zapatisti picchiati e legati in un chiosco del capoluogo di Oxchuc, la torba priista che gridava e minacciava di bruciarli vivi. Un elicottero governativo li trasportò nella prigione di Cerro Hueco dove continuarono ad essere interrogati e torturati. Li tennero 15 giorni senza mangiare, solo con acqua, e li tirano fuori alle 4 del mattino per lavarli con acqua fredda. Non fecero avere nessuna informazione. In seguito fu liberato, insieme ad altri prigionieri zapatisti, in cambio del prigioniero di guerra, il generale Absalón Castellanos.

Poi seguì il Dialogo della Cattedrale, il Dialogo di San Andrés, la firma degli accordi, l’ inadempimento del governo, la resistenza zapatista.

Decine di migliaia di uomini, donne, bambini e anziani rifiutarono l’aiuto del governo ed iniziarono il processo di costruzione della propria autonomia con le proprie forze e l’aiuto della società civile nazionale e internazionale. 

Il compagno Dionisio fu scelto come autorità di un Municipio Autonomo Ribelle Zapatista e fu presidente della commissione di produzione municipale. Quando nacquero le Giunte di Buon Governo, fu membro di una di esse. Alla fine del suo servizio comunitario come autorità autonoma, fu promotore locale nella sua comunità. 

Di come svolgeva il suo compito ci parla sua moglie:

Il compagno diceva che non gli importava il tempo che ci metteva per svolgere il suo lavoro, e nemmeno che non portava soldi a sufficienza, né il luogo dove doveva andare a lavorare, si aiutava col pozol, non gli importava la fatica perché il suo lavoro era necessario alla nostra lotta. Ed era convinto della lotta, non si sarebbe arreso per nessuna sofferenza perché era deciso a lottare. Al compagno piaceva il lavoro, non gli importava se non aveva soldi, ma gli importava il lavoro (….).

Quando il compagno Dionisio svolgeva il compito come consiglio autonomo, sua moglie restava a lavorare nella milpa o raccoglieva legna. E condividevano il lavoro: quando il compagno tornava a casa dal lavoro nel suo ufficio, poi il giorno seguente usciva alle quattro, alle cinque del mattino per vedere il suo lavoro nella milpa o altro, e sua moglie l’accompagnava sempre, così condividevano tra loro il lavoro.

Il giorno della marcia, il 7 maggio di quest’anno, si alzano alle 2 del mattino e si preparano: macinano la pasta per le tortillas, preparano il cibo da lasciare ai figli e si preparano il pozol da portarsi alla marcia. Sua moglie racconta che ogni volta che il compagno Dionisio partiva, le diceva che non sapeva se sarebbe tornato. Quel giorno, all’alba, partì felice. Il corpo del compagno è ritornato accompagnato da molte basi di appoggio zapatiste.

L’hanno portato fino a casa.

Quando abbiamo parlato con i familiari del defunto compagno Dionisio, ci hanno chiesto di trasmettere questo messaggio a coloro che lottano contro la guerra del malgoverno:

Il padre: Questo è un messaggio per il compagno Javier Sicilia ed altri compagni i cui figli sono morti perché cercavano il bene, mando loro questo messaggio per dare coraggio alla loro lotta per sconfiggere il malgoverno.

La moglie: Mando un messaggio al compagno Javier Sicilia ed agli altri compagni i cui figli sono morti per dare coraggio alla loro lotta, perché non smettano di lottare, per lottare insieme.

La madre: Continuate a lottare, coraggio con le vostre lotte, siamo pronti a lottare contro questa situazione, continuate a lottare, non siete soli.

Vero, non sono soli.

La storia del compagno Dionisio è semplice e, come quella di tutte e tutti gli zapatisti, si può riassumere così: non si arrese, non si vendette, non tentennò.

-*-

Mmm… questa lettera è venuta lunga. Immagini quella che sarà indirizzata a Don Pablo González Casanova al quale non devo una missiva, ma un libro.

Ed ora che la rileggo prima di inviarla, mi accorgo che forse tutto quello che c’è scritto  non venga a proposito di quello su cui stiamo riflettendo su etica e politica.

O forse sì?

Bene. Salute e speriamo ci sia più impegno nel capire e meno nel giudicare.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, Luglio-Agosto 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/08/25/sci-marcos-tal-vez-carta-tercera-a-don-luis-villoro-en-el-intercambio-sobre-etica-y-politica/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 24 Agosto 2011

Ejidatarios di Tila denunciano la campagna delle autorità per spogliarli delle terre

HERMANN BELLINGHAUSEN

L’assemblea degli ejidatarios di Tila, Chiapas, ha denunciato il tentativo di esproprio delle terre da parte delle autorità governative ed ha chiesto la rimozione dell’attuale parroco, il discusso sacerdote cattolico Heriberto Cruz Vera, “che il governo federale, statale e municipale utilizza per ingannare e manipolare la popolazione e sottrarci le nostre terre”. Aggiungono che questa “non ha prezzo, non è merce per progetti ‘ecoturistici’ o di presunto ‘sviluppo’, e solo la massima autorità del popolo chol di Tila, che è l’assemblea generale, può determinare la destinazione d’uso” dei suoi 5.405 ettari.

“L’ejido lotta da oltre 30 anni per la difesa e la cura della madre terra contro la discriminazione ed il razzismo del malgoverno municipale, statale e federale”. I suoi fondatori “sono scesi dalla montagna a piedi, patendo la fame, per andare a Tuxtla Gutiérrez e Città del Messico per ottenere la risoluzione presidenziale ed il piano definitivo. Questi documenti, aggiungono gli ejidatarios, “rappresentano la libertà del nostro popolo che ha vissuto da schiavo all’epoca della colonia con l’invasione degli spagnoli e dopo lavorando nelle proprietà degli stranieri”. Solo dopo la “rivoluzione di Emiliano Zapata” si riconobbe “che la terra è degli indigeni, perché sono i soli originari delle terre che occupano”, che sono “di chi le lavora”, e pertanto non si vendono né si indennizzano.

Con un tono inusuale, sostengono: “Ci riempie di tristezza che un pastore di Gesù Cristo non senta il dolore del suo popolo e voglia solo riempirsi le tasche di soldi e vendersi al governo per fare il lavoro sporco di provocare l’ejido e fabbricare accuse contro le quali difendiamo la nostra madre terra”. Dicono che il parroco “umilia gli indigeni e ci ha proibito di accendere candele in chiesa e celebrare le nostre tradizioni”.

L’assemblea generale dell’ejido ha chiesto in tre occasioni al vescovo di San Cristóbal de las Casas, Felipe Arizmendi, di nominare un nuovo sacerdote. Il parroco “raccoglie firme con inganni e pressioni” per impedire la sua rimozione “e così possa continuare ad appoggiare il governo nell’esproprio della terra e discriminare ed abusare del nostro popolo”. L’ejido “non è contro la chiesa, perché la chiesa siamo noi, non solo un sacerdote”, chiariscono gli indigeni offesi. Tuttavia, “non siamo stati ascoltati, sembra che il vescovo voglia proteggerlo e stare col governo per spogliarci”.

“Non è come il nostro Tatik Samuel (Ruiz García), che seppe camminare con noi e sentire il nostro dolore di popolo indigeno povero”. Chiariscono che il santuario “non è un centro turistico di commercio”, bensì “un luogo di fede aperto a tutte le persone di buona volontà; non vogliamo più che il sacerdote Heriberto maltratti il nostro popolo e chi visita il signore di Tila”.

Dicono di trovarsi “in un momento importante della loro lunga lotta” a difesa della terra, per questo chiedono alla Corte Suprema di Giustizia della Nazione, presso cui hanno presentato un esposto “di garantire il rispetto della nostra autonomia e la libera determinazione come popolo indigeno”.

Chiedono ai loro “fratelli di Tila” di non lasciarsi ingannare dal governo e dal suo “operatore politico”, il parroco. Il santuario di Tila non “è di proprietà di una persona, è della nostra comunità e di altre comunità che vengono a visitarlo”.

L’assemblea generale dell’ejido ha deciso che i coloni “ingannati dal municipio nell’acquisto delle terre ejidali come se fossero di proprietà privata, saranno rispettati per quanto riguarda i loro diritti e la loro tranquillità”, e la situazione delle loro case sarà soggetta al regolamento interno dell’ejido, alla legge agraria ed ai trattati internazionali sui popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/24/politica/023n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Le popolazioni del Guerrero iniziano la lotta contro il lavoro delle miniere straniere.

Oggi più di 700 poliziotti comunitari verranno dispiegati nella Costa Chica e nella Montaña.

Il governo federale ha concesso le autorizzazioni alle imprese per sfruttare i giacimenti in un’area di 500 km.

Non “hanno chiesto il permesso”, l’attività è inquinante e si portano via i profitti, dicono.

Sergio Ocampo Arista, corrispondente
La Jornada, domenica 21 di agosto 2011

Chilpancingo, Gro., 20 agosto. Dalle 7 alla mezzanotte di domenica, la Polizia Comunitaria dispiegherà i suoi 700 circa integranti per le strade, i sentieri e i viottoli, così come all’entrata e all’uscita delle 63 comunità dei 10 municipi delle regioni Costa Chica e Montaña, per informare dell’inizio della lotta contro le imprese minerarie canadesi e inglesi che vogliono sfruttare giacimenti di oro e argento, ed altri metalli, senza il consenso dei popoli indigeni.

Così ha reso noto Valentín Hernández, consulente giuridico del gruppo di autodifesa conosciuto anche come Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie (CRAC), che in un’intervista telefonica ha affermato che i poliziotti comunitari installeranno dei posti di blocco dai quali informeranno sui passi in avanti della lotta contro le compagnie minerarie.

Ha ricordato che quelle imprese straniere vogliono sfruttare giacimenti in un’area di 500 km a partire dalle concessioni rilasciate dal governo federale soprattutto nei municipi di San Luis Acatlán, Malinaltepec, Tlacoapa, Zapotitlán Tablas, Iliatenco y Metlatónoc.

Andando oltre, ha detto che questo anno inizierà lo sfruttamento in tre punti: uno, ad opera dell’impresa inglese Hochschild Mining e della sua filiale Minera Zalamera. Questa dovrebbe sfruttare 47 mila ettari concessi a nome del progetto Corazón de Tinieblas, in aree specifiche dei municipi de La Montaña e Costa Chica.

Altri due progetti sono quelli di San Javier e La Diana e saranno a carico della canadese Camsim Minas SA. Il primo ha 15 mila ettari concessi all’impresa Casmin per 46 anni dal governo federale sotto il nome di Diana.

È noto che dal 21 di ottobre del 2010 queste compagnie hanno ricevuto i permessi del governo messicano attraverso la Direzione Generale Ambientale e di Geografia dell’Instituto Nazionale di Statistica e Geografia.

Da allora e sotto l’influenza della CRAC, le assemblee di 30 nuclei agrari hanno rigettato formalmente i progetti delle multinazionali di sfruttare i giacimenti all’aperto in quanto non era stato chiesto il permesso alle comunità e in quanto la loro attività è altamente inquinante e i benefici per gli abitanti sono pochi, poiché la maggior parte dei profitti viene portata via dal paese.

Per rafforzare questo rifiuto, la CRAC mobiliterà questa domenica i suoi 700 poliziotti comunitari, con un’operazione che inoltre sarà di “appoggio alla popolazione in materia di sicurezza, visto che a partire da lunedì 22 di agosto insegnanti e studenti ritorneranno al lavoro e a lezione”.

La mobilitazione servirà anche “per trovare un posto ai compagni del municipio di Marquelia, nella Costa Chica, che sono perseguitati dalla giunta e dai cacicchi in disaccordo con la polizia comunitaria. Essi hanno chiesto l’uscita della polizia comunitaria ma si sbagliano, poiché solo il popolo, nelle sue assemblee, è l’unico che ha facoltà di fare questa richiesta”.

Valentín Hernández ha detto che la polizia smetterà momentaneamente di occuparsi dei casi di sicurezza nella Casa della Giustizia situata nel capoluogo municipale di San Luis de Acatlán, una delle tre con cui conta la CRAC nella regione. “(Lì) proporremo che i quartieri e le colonie si uniscano all’organizzazione perché questo capoluogo non ha la polizia comunitaria”

Ha ricordato che del totale dei casi di giustizia e sicurezza di cui si occupa la Casa della Giustizia, “più della metà provengono dal capoluogo municipale di San Luis de Acatlán”.

La CRAC venne fondata nel 1995 dagli abitanti dei popoli indigeni delle regioni Montaña e Costa Chica del Guerrero. Da allora sono diminuiti fino al 90 per cento gli omicidi, le violenze sessuali, i casi di abigeato e altri reati.

http://www.jornada.unam.mx/2011/08/21/estados/026n1est

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.org)

Link utili
http://www.policiacomunitaria.org/

Messico – Costa Chica del Guerrero: esperienze indigene di lotta e di dignità
La Polizia Comunitaria, la lotta per la terra, l’altra educazione e le radio comunitarie –

Pronunciamiento del “Encuentro Nacional por la Justicia y la Seguridad de los Pueblos” (Guerrero). –

video:
Tenemos Todo y Nos Falta Todo – http://vimeo.com/20859747
Policia Comunitariahttp://desinformemonos.org/2010/11/policia-comunitaria/

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La Jornada – Domenica 21 agosto

La Orcao distrugge la casa delle basi di appoggio dell’EZLN, denuncia la giunta di buon governo. La casa serviva da cucina per gli osservatori civili; è stata completamente distrutta da 150 persone

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Arcoíris de la Esperanza, del caracol zapatista di Morelia, ha denunciato che il 17 agosto scorso nella comunità Patria Nueva, regione Primero de Enero, municipio autonomo Lucio Cabañas, Chiapas, l’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) ha compiuto nuove aggressioni, quando circa 150 persone hanno distrutto una casa delle basi di appoggio dell’EZLN che serviva da cucina per campamentisti ed osservatori civili.

L’attacco è stato guidato dai rappresentanti locali della Orcao: Cristóbal Gómez López, El Saddam, e Manuel Bautista Moshan, El Empresario, a loro volta coordinati dai dirigenti Antonio Juárez Cruz, Alejandro Gómez Navarro e Carlos Ramírez Gómez, ed assistiti da Nicolás López Gómez, El Tzirin, Juan Vázquez López e José Pérez Gómez.

La JBG sostiene: “I tre livelli del malgoverno sono rabbiosi perché non vogliono che si sappiano i loro inganni, per questo organizzano gente ignorante per introdurre i loro progetti di morte nei nostri territori autonomi, dove ci governiamo a modo nostro, come vuole il popolo. Non lottiamo per obbligo o strumentalizzati, come questi rappresentanti locali, regionali, consulenti e presunti governanti federali, statali e municipali, che tengono la povera gente sotto pressione e minaccia, obbligandola ad accettare miserabili progetti e compiere provocazioni”.

Denuncia che la Orcao minaccia di espellere “chi non obbedisce all’ordine di compiere provocazioni in territorio zapatista”.

Gli aggressori hanno cercato di entrare in una “casa di legno” che serve da scuola secondaria autonoma per distruggerla.

“Sappiamo che sono solo manovalanza, perché i veri autori intellettuali si chiamano Felipe Calderón e Juan Sabines Guerrero, che realizzano i progetti di morte e guerra per milioni di pesos nei nostri territori”.

Poi è arrivata una ruspa. “I militanti della Orcao la stavano aspettando e minacciavano di uccidere gli zapatisti a colpi di machete e pallottole”, segnala la JBG. Quindi gli orcaístas hanno formato sette gruppi che comunicavano tra loro con i cellulari. “I governi li hanno ben equipaggiato e addestrati per provocare i nostri compagni”, sottolinea.

Non è l’unica aggressione. Il 10 luglio ad Ocosingo erano stati aggrediti due cameraman del caracol di Morelia. Vicino alla stazione Ocosingo – Altamirano, tre individui li hanno obbligati a salire su un’auto Tsuru di colore bianco, senza targa, e li hanno portati nel quartiere Sauzal, nella stessa città.

Gli zapatisti sono stati derubati di un computer portatile, due videocamere ed una macchina fotografica, un cellulare, 600 pesos ed una valigia. Sono stati rinchiusi per quattro ore. Due dei sequestratori erano usciti lasciandone uno solo di guardia. La JBG racconta: “I nostri compagni hanno visto la possibilità di affrontarlo e poter scappare”. E’ stato riconosciuto come uno degli assalitori di Juan Decelis, originario di Balaxté.

Uno dei rapiti era stato invitato varie volte “a lavorare come spia da una persona che si chiama José Guadalupe, che gestisce progetti per le comunità. Come rappresaglia per non aver accettato, è stato derubato dell’attrezzatura. I tre livelli di governo “sono gli autori responsabili” perché “sviluppano e fomentano le provocazioni; ora non usano più soldati né poliziotti, ma indigeni.

“Per anni hanno speso milioni di pesos per distruggerci e perché regalassimo loro la nostra terra, per distruggere i nostri costumi e la nostra lingua, ma come tutto il mondo può vedere, noi zapatisti siamo ancora vivi e resistiamo.

“Non rispondiamo alle loro provocazioni; noi stiamo costruendo la vita e non la morte, come fanno i malgoverni. Non siamo mendicanti come loro; tuttavia non temiamo alcun governo, nemmeno con i loro milioni di pesos sono riusciti ad eliminarci, e tanto meno con una piccola organizzazione come la Orcao”, conclude la JBG. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/21/politica/015n1pol

Comunicato completo della JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 16 agosto 2011

Basi dell’EZLN denunciano attacchi da parte dell’organizzazione dei coltivatori di caffè di Ocosingo

HERMANN BELLINGHAUSEN 

La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, del caracol zapatista di La Garrucha, Chiapas, ha denunciato atacchi armati da parte di gruppi della Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (Orcao), che descrivono come paramilitari che contano sull’appoggio della polizia statale e municipale. Gli aggressori provengono dagli ejidos Guadalupe Victoria e Las Conchitas (Ocosingo), e da Pojcol (Chilón), che hanno tentato invadere terre delle basi di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Francisco Villa.

Il 12 agosto scorso gruppi organizzati ed armati della Orcao hanno aggredito a coli d’arma da fuoco alcuni contadini tzeltales che si dirigevano a svolgere lavori collettivi nelle loro terre recuperate. “Uomini e donne orcaístas di Guadalupe Victoria hanno impedito il passaggio dei nostri compagni minacciando di bruciare il veicolo con tutte le cose che trasportavano”, ha informato la JBG.

“Uno dei nostri compagni ha tentato di filmare quanto stava accadendo”, e gli è stata strappata la videocamera. “In quel momento sono arrivati altri nostri compagni e l’orcaísta José Alfredo Peñate Gómez tira fuori una pistola calibro 22 ed incomincia a sparare e colpisce Manuel Hernández López.” Gli zapatisti allora decidono di ritirarsi. Poco dopo un altro veicolo del municipio autonomo è arrivato con altri zapatisti che si dirigevano al lavoro e “a mille metri dalla strada un gruppo armato di Pojcol” ha sparato raggiungendo il veicolo con due pallottole calibro 22.

Secondo la JBG, “il malgoverno li ha organizzati come paramilitari perché stanno arrivando persone da Las Conchitas che rubano la nostra terra recuperata”, e dopo sono arrivate persone da Pojcol che “volevano circondare i nostri compagni” ed un altro zapatista è stato ferito in fronte da una sassata “ed all’aggressore è arrivata una bastonata”.

Quelli di Pojcol, che “si sa sono paramilitari”, si sono posizionati sulla colina per sparare con armi di grosso calibro, insieme a quelli di Las Conchitas, “anche loro con armi di grosso calibro”. Gli aggressori “sono forniti di radio consegnate dai tre livelli di governo, perché sanno che non possono utilizzare l’Esercito. Preparano gruppi di indigeni paramilitari per attaccare le basi dell’EZLN”.

Di fronte a questo, gli zapatisti “hanno distrutto le piccole capanne che avevano lì gli invasori”. Il giorno 13 quelli di Pojcol, “sono arrivati di nuovo armati ed hanno abbattuto degli alberi protetti dai paramilitari”, ed hanno sparato 18 colpi “di grosso calibro”. Il giorno 14 sono continuati gli spari.

La JBG accusa il presidente Felipe Calderón, il governatore Juan Sabines Guerrero ed il sindaco Arturo Zúñiga, e ricorda la sua precedente denuncia del 7 luglio relativa ad altre aggressioni. “Si vede chiaramente che queste azioni sono preparate, guidate ed appoggiate dai malgoverni, perché quella notte è arrivata a Guadalupe Victoria un’auto della polizia con due ambulanze. Crediamo che siano arrivate a consegnare altre munizioni ed ha consegnare soldi”.

La JBG denuncia che questo “è uno dei mille modi di fare campagne di contrainsurgencia contro gli zapatisti”, perché i governanti “sono esperti nel manipolare i dirigenti”, e si domanda: “Perché a loro piace tanto che ci siano vedove, bambini e bambine orfani?”. 

Tutto indica che la Orcao sia fuori controllo. Ricordiamo che il 27 luglio, secondo fonti ufficiali, circa 200 membri di questa organizzazione causarono danni nel comune di Ocosingo ed in un hotel vicino per protestare contro il presidente municipale, Arturo Zúñiga, che “non ha mantenuto le promesse fatte loro in campagna elettorale”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/16/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 10 agosto 2011

La Commissione Nazionale per i Diritti Umani esorta al rispetto dei 62 popoli originari

Dalla Redazione

La Commissione Nazionale dei Diritti Umani (CNDH) ha esortato a promuovere le garanzie degli oltre 62 popoli indigeni per proseguire nello sradicamento dei problemi che devono affrontare.

Nella Giornata Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo, celebrata ieri 9 agosto, l’organizzazione ha rilevato che gli indios del Messico sono ancora il settore che vive nelle peggiori condizioni di povertà ed emarginazione.

Secondo le statistiche ufficiali citate dalla CNDH in un comunicato, il 79,6% della popolazione che parla una lingua indigena – 5,4 milioni di persone – vivono in situazione di povertà, e di questi, 3 milioni sono in povertà estrema, in condizioni molto precarie di salute, abitazione, istruzione, lavoro e sicurezza.

Per questo, l’ente diretto da Raúl Plascencia Villanueva, ha comunicato di aver rafforzato il suo Programma di Promozione dei Diritti Umani dei Popoli e Comunità Indigene, mediante il quale ha visitato 90 popolazioni nel primo semestre di quest’anno.

In queste visite, secondo la commissione, sono state realizzate 249 attività di impulso delle garanzie individuali, come incontri, laboratori e conferenze che sono servite a fornire istruzioni su questi temi ad oltre 18 mila persone, con l’aiuto di 50 mila opuscoli e materiale informativo. Inoltre, sono stati realizzati due manuali tematici per la diffusione dei diritti degli adulti maggiorenni che vivono in zone indigene, e che spiegano i servizi che devono essere erogati nei centri di salute.

La CNDH ha ribadito la necessità di raddoppiare gli sforzi affinché l’identità, le tradizioni ed i costumi dei popoli originari del paese siano rispettati e preservati nei territori in cui vivono.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 5 agosto 2011

Gli ex detenuti di Bachajón denunciano minacce da parte dei dirigenti del PVEM

Hermann Bellinghausen

Gli ex prigionieri politici di San Sebastián Bachajón, in Chiapas, aderenti all’Altra Campagna, rilasciati il 23 luglio, denunciano che dopo aver fatto ritorno alle proprie case, hanno ricevuto minacce di morte da parte di dirigenti del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM) del municipio di Chilón.

I contadini tzeltales denunciano direttamente Manuel Jiménez Moreno, figlio dell’ex consigliere comunale di Chilón, Antonio Jiménez García, e Juan Alvaro Moreno, dirigenti del suddetto partito, insieme ad abitanti delle comunità Pamalá Xanil Seconda Sezione e El Paraíso. Negli scorsi 24 e 28 luglio, segnala la denuncia, “ci hanno provocato e minacciato di morte indicandoci verbalmente che siamo ex prigionieri politici; ci provocano per farci cadere nello scontro, come fanno da sempre.

“Così come hanno fatto aggredendoci con la forza pubblica ed accusandoci falsamente lo scorso 3 febbraio insieme ai loro governi, che ci hanno tenuti rinchiusi per sei mesi nella prigione di Playas de Catazajá solo per aver difeso le nostre terre e territori”.

Le autorità volevano negoziare la loro scarcerazione, come hanno già denunciato  “a condizione di consegnare nelle mani del malgoverno le terre dell’ejido che ci hanno lasciato i nostri antenati”.

Poi, “visto che non potevano tenerci in prigione o sotto sequestro, fanno pressione e ci portano rancore ed ora ci provocano nuovamente perché non siamo alleati del malgoverno, ma siamo in lotta ed è il momento di guardare avanti e proseguire per salvare le nostre terre”.

Per questa ragione, aggiungono Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, “esortiamo il governo a prendere posizione al riguardo”, e ad agire contro “le persone che ci stanno provocando” perché, “in caso accadesse qualcosa a qualcuno di noi o ai compagni, riterremo responsabile di questo direttamente il malgoverno”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/05/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 4 agosto 2011

La JBG reclama l’uscita degli invasori dalle terre di Monte Redondo, in Chiapas

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, del caracol zapatista della selva di frontiera a La Realidad, Chiapas, denuncia “provocazioni e danni” da parte delle autorità ed ejidatarios di Monte Redondo (Frontera Comalapa) contro basi di appoggio dell’EZLN appartenenti al municipio autonomo Tierra y Libertad. Accusano di favorire le aggressioni i militanti di quattro partiti politici: PAN, PRD, PRI e PVEM ed il governo statale.

La JBG riferisce che Patricio Domínguez Vázquez, Alba Palacios de León e Carmelino Felipe Pérez, basi zapatiste, dal 1972 hanno acquisito terreni all’interno dell’ejido stesso, terreni che hanno coltivato “senza alcun problema” fino al 1987, quando sono sorti “seri conflitti” che persistono tuttora. Le autorità precedenti ed attuali ed altri ejidatarios hanno compiuto “offese, abusi e furti” di mais, fagioli, frutta e caffè, oltre ad occupare “illegalmente” i terreni.

I rappresentanti autonomi identificano con chiarezza gli invasori di otto ettari di Felipe Pérez, tre di Patricio Domínguez ed otto di Alba de León. Uno di questi, il perredista Conrado Domínguez, aveva occupata un ettaro che ha venduto a marzo di quest’anno per 50 mila pesos “come se fosse il padrone”.

Lo scorso 27 luglio, circa 200 persone, tra le quali le autorità dell’ejido Monte Redondo, “si sono introdotte negli appezzamenti dei nostri compagni ed hanno abbattuto le piante di caffè che stavano girà dando i loro frutti”.

Queste azioni sono favorite dalle autorità e da persone dello stesso ejido: Emar Sánchez Carrillo, commissario ejidale; Filadelfo Hernández Ramírez, segretario del commissario; Miguel de León Moraesi ed Eutimio Méndez Aguilar, del consiglio di vigilanza; Hernán de León, agente municipale, e Óscar Méndez Roblero, supplente dell’agente municipale, tra altri. “I nostri compagni sono i legittimi proprietari di queste terre e sono in possesso dei documenti di proprietà”, sostiene la JBG.

Le “persone senza vergogna che sono provocatori sono ejidatarios con più di 15 ettari ognuno, e se alcune di loro non ne hanno più, è perchè hanno venduto”. Queste persone, “appoggiate dalle tre istanze governative – aggiunge la JBG – sono le stesse che pochi mesi fa imprigionarono il nostro compagno Patricio Domínguez con un’accusa falsa”. Dopo le denunce e l’intervento di organizzazioni dei diritti umani è stato liberato “perché non aveva fatto niente. Ora tornano a provocarci.

“Se credono che non abbiamo coraggio e dignità, si sbagliano. Siamo umili, semplici e ragionevoli con chi ci rispetta, ma non rispettiamo chi non ci rispetta e non ci faremo mai umiliare”.

La JBG segnala che le provocazioni “fanno parte dei piani del malgoverno ed accusa Juan Sabines Guerrero, che inganna e manipola la gente”.

In questo caso “si vede che è attore e complice, mentre altri coloni, che ubbidiscono al loro padrone che li paga, fanno del male agli zapatisti. Ma ci difenderemo perché siamo nella ragione e vogliamo che mandino via queste persone che invadono i terreni”.

La JBG ed i consigli municipali ribelli zapatisti avvertono che “se non lasciano lavorare in pace nelle loro terre i nostri compagni, i filogovernativi avranno seri problemi con la nostra organizzazione”.

Avvertono i governi federale, statale e municipale (di David Escobar) che se non fermeranno le provocazioni, i problemi “saranno sempre peggio, perché non lasceremo umiliare da un branco di ladri che approfittano del lavoro dei nostri compagni, i quali continueranno a lavorare le loro terre”. http://www.jornada.unam.mx/2011/08/04/politica/022n1pol

Comunitato della JBG di La Realidad

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 29 giugno 2011

Gli indigeni di San Sebastián Bachajón ribadiscono la loro lotta a difesa del territorio

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 luglio. Il vescovo Raúl Vera si è incontrato in città con gli ex detenuti di San Sebastián Bachajón e le autorità dell’Altra Campagna della regione che corrisponde a San José en Rebeldía nella cartografia autonoma zapatista, nel cuore storico tzeltal di Chilón. Vera ha ringraziato gli indigeni per il loro “esempio di lotta per il territorio e l’insegnamento di come camminare, resistere e lottare”.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) ha informato che nel contesto della riunione ordinaria del suo consiglio direttivo, presieduto dal vescovo di Saltillo, i cinque ex prigionieri politici “hanno condiviso la gioia” della loro liberazione, e ringraziato a loro volta “per non essere stati lasciati soli in questi frangenti della loro lotta”.

Gli ejidatarios “hanno riaffermato che la loro lotta è per la difesa della terra e del territorio, e che continueranno ad organizzarsi con i compagni e le compagne”.

Da parte sua, il Frayba ha dichiarato che “è in questi momenti di gioia che, a partire dal diritto inalienabile delle persone all’autodeterminazione e dei popoli all’autonomia, diversità culturale e vita degna, il popolo organizzato difende e genera nuove pratiche nell’esercizio del diritto di vivere in pienezza i diritti umani”.

Da parte loro, come per chiudere questo capitolo di una storia che non è finita, gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, aderenti all’Altra Campagna, dalla loro comunità hanno ringraziato per la solidarietà ricevuta: “Grazie per aver confidato in noi, nonostante i ricatti del malgoverno che ha cercando di comprare la nostra dignità per prostituire le nostre terre. Per la nostra lotta, per le nostre sofferenze, noi che siamo in basso resistiamo, siamo qui andremo avanti”.

Hanno spiegato che la liberazione dei loro compagni “non vuol dire che smettiamo di lottare, al contrario, proseguiremo rafforzandoci di giorno in giorno”, perché “la difesa della madre terra e delle sue risorse non ha fine”.

Aggiungono: “Come esseri umani dobbiamo prendere coscienza, perché il malgoverno si sta appropriando della terra come qualcosa su cui lucrare”. Confidano che la loro recente esperienza sia “un esempio chiaro del fatto che il movimento che abbiamo creato non è politico, ma è per la nostra madre terra”, e chiedono “giustizia degna per il popolo ed il mondo”. Gli indigeni invitano collettivi, organizzazioni e media che li hanno appoggiati nei mesi scorsi a continuare a farlo. “Questo è un grazie, non un addio, perché continueremo a lottare”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/29/politica/020n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 26 luglio 2011

ONG chiede di indagare su possibili frodi nella costruzione della città rurale

 Hermann Bellingausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 luglio. La Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (Limeddh) ha esortato il governo statale, e fondazioni come Azteca e Fomento Social Banamex “a indagare su possibili frodi nella costruzione della città rurale Nuevo Juan de Grijalva”. Ha inoltre sollecitato le commissioni nazionale e statale dei diritti umani (CNDH e CDH) a prendere in considerazione le raccomandazioni relative ai detenuti arrestati un anno fa a Tecpatán e Frontera Comalapa, perché “sono vittime di un processo ingiusto”.

Tre anni fa un disastro naturale ha distrutto la comunità Juan de Grijalva (Ostuacán) e fino ad oggi, oltre che ad “offrire l’opportunità” al governo di mettere in moto le caldeggiate città rurali, non si sono risolti i problemi nella zona. Al disastro dovuto allo smottamento del novembre 2007 sul fiume Grijalva, si è aggiunta “l’erronea strategia di recupero di Conagua e CFE” che hanno tenuto per tre mesi sott’acqua 404 case di 33 villaggi. I governi statale e federale, CFE, Conagua e fondazioni private hanno fornito risorse, programmi di aiuto, indennizzi ed acquisto di terreni. Per Limeddh, “sono positive le iniziative per aiutare i disastrati”, ma è preoccupata che si faccia “senza tenere in considerazione l’opinione e i bisogni della popolazione”. Dopo un’indagine durata tre anni, la Limeddh ha rilevato “irregolarità e conflitti sociali” per “abbandono e la corruzione nel conferimento di risorse e realizzazione di progetti”.

Emerge la “bassa qualità” nella costruzione della città rurale, in contrasto con le valutazioni del catasto statale, dove sono indicati materiali migliori di quelli realmente utilizzati, “situazione che porta a supporre una frode milionaria”. Inoltre, gli abitanti manifestano scontento per la lontananza delle case dalle loro terre, e l’inesistenza di spazi per la coltivazione o l’allevamento di animali. Senza possibilità di attivare l’economia interna, affrontano la “disintegrazione sociale”: mentre le famiglie devono abitare le case “per non perderle, come stabilisce il contratto, gli uomini emigrano in cerca di lavoro”.

Lo studio segnala “mancanza di controllo sulla consegna di risorse e l’esproprio di terreni”, ed una “distribuzione irregolare degli aiuti”. Questo “crea bande, conflitti ed un clima di paura”. I disastrati denunciano inadempimento degli impegni statali e municipali, abusi di polizia e pressioni su chi non accetta il trasferimento, “al punto di ritirare i servizi di salute ed educazione alle comunità per forzare il trasferimento nella città rurale”.

Un anno fa, di fronte alle proteste a Tecpatán e Frontera Comalapa, “le autorità risposero in maniera brutale ed indiscriminata”, dice la Limeddh, e ricorda sia i prigionieri di coscienza sia “quelli ingiustamente associati a motivi politici”.

Di fronte alla mancanza di risposte, “le vittime del disastro naturale sono state costretti ad organizzarsi”. C’è la continua minaccia contro chi è in lotta nelle comunità, e 32 sotto processo. I detenuti sono accusati di reati gravi per “tenerli in prigione” e dimostrare “quello che può succedere”, e così si soffoca lo scontento per lo sbarramento del fiume Grijalva.

Più di 300 famiglie, che vivono in capanne malsane costruite come rifugio provvisorio, “aspettano ancora la costruzione della promessa città e la consegna di altre risorse promesse”.

Il rapporto è stato presentato i primi giorni di giugno all’Esecutivo statale, CFE, Conagua, CNDH e CEDH, “come si farà con le fondazioni e le istituzioni private”. Il 16 luglio, il segretario di Governo, Noé Castañón, ha dichiarato di non essere a conoscenza dell’esistenza di dissensi. http://www.jornada.unam.mx/texto/021n1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 25 luglio 2011

Liberati gli ultimi campesinos ancora in carcere dei “cinque di Bachajón”

Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 luglio. Sabato scorso sono stati rilasciati gli ultimi quattro dei “cinque di Bachajón”, campesinos aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, in carcere da oltre cinque mesi nella prigione di Playas de Catazajá, accusati dell’omicidio di un ejidatario di Agua Azul (Tumbalá) e di presunti reati in relazione alle manifestazioni di protesta svolte sul luogo la prima settimana di febbraio.

Sebbene le accuse fossero risultate false, gli indigeni sono rimasti in prigione come “ostaggi” del governo, come ha ripetutamente sostenuto il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba).

Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, che in diverse occasioni hanno denunciato maltrattamenti da parte delle autorità del Centro di Reinserimento Sociale No. 17, si trovano già nella loro comunità. Lo scorso 7 luglio era stato rilasciato Mariano Demeza Silvano, rinchiuso nel centro di reinserimento  minorile di Villa Crisol (Berriozábal).

Bisogna ricordare che questa persecuzione contro gli indigeni è avvenuta nel contesto di un conflitto a San Sebastián Bachajón per il possesso del botteghino di ingresso degli ejidatarios alle cascate di Agua Azul, importante attrazione turistica nella selva a nord dello stato. Il botteghino, installato dagli ejidatarios, era stato attaccato da militanti del PRI e del PVEM (Fondazione Colosio), che “hanno distrutto e rubato tutto quello che hanno trovato al loro passaggio”, e si sono appropriti con violenza del sito agli inizi di febbraio, con il sostegno dell’Esercito federale e della polizia che da allora rimangono acquartierati lì.

Durante gli scontri perse la vita Marcos García Moreno, del gruppo aggressore, e furono accusati quelli dell’Altra Campagna, “quando in realtà ‘l’ideologo” era il segretario generale del Governo”, dissero questi, denunciando l’aggressione come “il prodotto delle riunioni private” tra funzionari ed ejidatarios filogovernativi.

L’arresto degli indigeni, per diversi mesi ha dato origine a decine di azioni di protesta presso Consolati ed Ambasciate del Messico in Europa, Stati Uniti, Sudafrica, Australia ed Argentina, oltre a mobilitazioni in Chiapas ed in altre parti del paese. Sulla costa del Chiapas le proteste dell’Altra Campagna sono state soffocate con nuovi arresti, anche se per pochi giorni.

Il Movimento per la Giustizia del Barrio, di New York, che ha animato e diffuso queste proteste solidali ed ha giocato un ruolo determinante nella loro organizzazione, ieri sera ha confermato la liberazione dei contadini tzeltales, ed oggi l’ha fatto il Frayba, incaricato della loro difesa legale.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna hanno dichiarato che manterranno la resistenza e opposizione ai progetti turistici privati, così come la difesa della loro terra e territorio. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/25/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 24 luglio 2011

Gli indigeni chiapanechi reclamano la liberazione dei tzeltales di Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 23 luglio. Comunità indigene del selva nord del Chiapas reclamano la liberazione immediata ed incondizionata dei quattro tzeltales di San Sebastián Bachajón rinchiusi nella prigione di Playas de Catazajá per motivi politici, che la loro difesa ha definito “ostaggi dello Stato” per aver rivendicato i propri diritti territoriali ed essersi opposti ai progetti turistici as Agua Azul.

“Sono in carcere per aver fatto sentire la propria voce per reclamare quello che spetta loro, perché costruire l’autonomia in Messico è un reato. In Chiapas il malgoverno ha implementato una nuova strategia di contrainsurgencia mascherato da progetti che generano divisioni, violenza, minacce e persecuzioni contro gli attivisti sociali che difendono la madre terra”, affermano i tzeltales di Chilón e choles di Tila. Denunciano anche le condizioni carcerarie del professore tzotzil Alberto Patishtán Gómez, che sta perdendo definitivamente la vista.

Il governo, accusano, “è sempre di più interessato ai suoi progetti transnazionali e reprime la società con la presenza di polizia e militari, come se fosse una zona di guerra”. Sostengono che “(…) il botteghino di ingresso di Agua Azul è strapieno di militari; sarà perché al comandante delle forze armate avanzano soldati, o perché gli interessi vanno oltre le sue ambizioni, per militarizzare le zone dove la popolazione si oppone alla prostituzione delle sue terre”.

Denunciano che “per il malgoverno è un reato difendere quello che è dei nostri antenati; stiamo subendo molte ingiustizie, intimidazioni ed espropri violenti; ci sono molte ragioni per lottare”.

Raccontano: “Ai compagni di Tila sta togliendo le terre, subiscono persecuzioni da parte del municipio e dei paramilitari di Paz y Justicia manipolati dagli alti comandi della sfera politica”; per la loro opposizione “hanno ricevuto persecuzioni ed arresti il Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa e i difensori dei diritti umani, ed ai compagni di Mitzitón che si oppongono alla costruzione di un’autostrada, hanno paramilitarizzato la comunità per generare disordini”.

Dichiarano che “per il malgoverno questa è la sua guerra occulta, non contro la delinquenza ma contro coloro che reclamano giustizia con dignità”, e che “oggi più che mai è necessario prendere misure per fermare questa guerra e ricomporre il tessuto sociale e comunitario”. In “molte comunità autonome del Chiapas che si rifiutano di prostituire le proprie terre impera la violenza e l’insicurezza per la presenza della polizia “.

La situazione non migliora nelle comunità che “giorno dopo giorno sono popolate da veicoli del governo; quando si raggiunge un centro di salute l’unica cosa che si trova è il mal di testa per ottenere le ricette, non ci sono medicine ma, questo sì, dopo l’esproprio violento del botteghino a Bachajón, al governo è venuta l’idea da costruire un’altra clinica, solo per depistare dalla sua vera intenzione: l’avanzata dei i suoi progetti transnazionali”.

A sua volta, Patishtán Gómez, il prigioniero politico più vecchio dello stato, da più di dieci anni dietro le sbarre, e la cui innocenza è stata ben documentata, ha visto aggravarsi seriamente il suo stato di salute senza ricevere adeguata assistenza medica e si trova sul punto di restare cieco per un glaucoma e complicazioni diabetiche.

Patishtán Gómez, portavoce della Voz del Amate ed aderente all’Altra Campagna, rinchiuso nella prigione di San Cristóbal, ha dichiarato in un manoscritto: “I governanti parlano molto di rispetto dei diritti umani, mentre vediamo il grande numero di persone assassinate, scomparso ed imprigionate, senza protezione alcuna da parte delle autorità. A causa di queste violazioni proseguono le nostre reclusioni ingiuste e fabbricazione di reati”.

Il suo problema si colloca in questa “cornice di ingiustizia”, a causa della quale è stato accusato dell’omicidio di alcuni poliziotti durante un’imboscata a El Bosque nel 1998, accusa che non è mai stata dimostrata. Patishtán, rispettato docente che in prigione è diventato attivo difensore dei diritti umani, scrive: “Sono affetto da glaucoma in fase terminale con conseguente cecità, per cui chiedo al presidente Felipe Calderón Hinojosa la mia liberazione incondizionata; Juan Sabines Guerrero, governatore del Chiapas, ha già riconosciuto pubblicamente la mia innocenza”, come fece lo scomparso vescovo Samuel Ruiz.

I reati a suo carico sono di competenza federale, per cui è stato escluso dalla liberazione di oltre 40 prigionieri politici, molti dei quali dell’Altra Campagna, avvenuta dopo numerosi scioperi della fame durante la presente legislatura. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/24/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 23 luglio 2011

Ad Actela denunciano persecuzioni ed il taglio dell’energia elettrica

Hermann Bellinghausen. Inviato. Acteal, Chis., 22 luglio. Presto saranno 14 anni dal massacro compiuto qui, e l’organizzazione della società civile Las Abejas denuncia almeno tre attentati recenti contro l’auto del parroco di Chenalhó, Marcelo Pérez Pérez, che potevano costargli la vita. “È evidente l’intenzione di fare del male a padre Marcelo”, sostengono i tzotziles sopravvissuti di Acteal durante una cerimonia religiosa officiata dallo stesso sacerdote, anch’egli tzotzil e “impegnato per la verità e la giustizia”.

Durante la cerimonia per ricordare i 45 caduti il 22 dicembre 1997, Las Abejas, aderenti all’Altra Campagna, hanno denunciato la persecuzione della Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) a Nuevo Yibeljoj. L’ente parastatale ha tagliato la luce a 10 famiglie dell’organizzazione in resistenza. La cosa dolorosa del fatto è che la CFE ne ha approfittato per mettere contro tra loro le famiglie indigene del villaggio.

“Siamo tutti fratelli nel condividere lo sfollamento del 1997 ed i molti anni di lotta”. Si dicono dispiaciuti che i membri dell’organizzazione oggi chiamata Las Abejas AC, staccatasi da Las Abejas e dalla resistenza per negoziare col governo statale, si siano prestati per attaccarci”.

Il ruolo della CFE è chiaro: “E’ quello che fa il governo e l’ha fatto con lo sfollamento ed il massacro di Acteal, comandare agli indigeni stessi di aggredire i loro fratelli. Ripetiamo che il pagamento della luce è solo un pretesto per attaccarci e creare conflitti ‘intercomunitari’, perché anche alcuni dei membri del gruppo che si fa chiamare ‘Las Abejas AC’, di Nuovo Yibeljoj, non pagano, perché vivono alla giornata come noi, ma a loro non hanno tagliato la luce”.

Giorni dopo, la notte del 13 luglio, un membro di Las Abejas filogovernative è andato a casa di José Alfredo Jiménez Pérez (dirigente di Las Abejas originali) “insultandolo, minacciandolo e prendendosi gioco della resistenza pacifica”. Questo clima di tensione è nuovo. Come ha detto un ragazzo che ha condotto la manifestazione di denuncia prima dellaa messa, “il governo vuole far rinascere la situazione del ’97 ed ingannare per distruggere il popolo”.

Gli indigeni ripetono che la loro resistenza è pacifica, e che i loro compagni di Nuevo Yibeljoj hanno partecipato all’installazione della linea elettrica nel villaggio dove sono tornati dopo il loro esodo. “Speriamo che gli ex compagni ci rispettino e non si lascino strumentalizzare dalla CFE e dal governo, poiché abbiamo sentito voci minacciose secondo le quali ai nostri compagni non permetteranno più di ricollegarsi alla rete.

Durante la cerimonia alla quale hanno partecipato un centinaio di indigeni, con la presenza di osservatori solidali di Messico, Stati Uniti, Stato spagnolo, Italia e Svezia (seguita da due per nulla dissimulate “spie” con cappellini da baseball ed auto ufficiale), Las Abejas hanno dichiarato: “Anche se il governo vuole umiliare la nostra lotta e resistenza, e benché il governo con la sua malvagità, attraverso programmi assistenziali, tenti di rompere il tessuto sociale delle nostre comunità, non permetteremo che questo accada, perché la nostra lotta è legata al cielo e alla terra, è sorella della saggezza della natura”.

Ricordano che il prossimo 12 agosto saranno due anni che la “Corte Suprema di Ingiustizia della Nazione”, ha ordinato la scarcerazione dei paramilitari “che hanno assassinato i nostri fratelli e sorelle di Acteal”. A motivo di ciò, hanno annunciato una protesta per quel giorno “per denunciare questa grave impunità e violazione del nostro diritto di conoscere la verità come sopravvissuti e familiari di quelli massacrati”.

Durante la cerimonia senza fretta, durata diverse ore alla maniera comunitaria indigena, dove ha pure cantato il Coro di Acteal con vera vocazione canora, Las Abejas hanno dichiarato: “Mentre il governo di Juan Sabines Guerrero spende milioni di soldi del popolo per vantarsi delle sue grandi opere, come le città rurali, la realtà delle comunità del Chiapas è molto diversa da quello che ci vogliono far credere sui loro mezzi di comunicazione completamente controllati”.

Si riferiscono alle recenti aggressioni contro le comunità zapatiste dei caracoles di Oventic, La Garrucha e Morelia, ma non solo contro di esse “che da sempre sono critiche nei confronti del governo”. “Aggrediscono anche gli abitanti della città rurale Nuevo Juan de Grijalva, che per tradizione politica e religiosa sono poco critici nei riguardi del governo, e che si sono visti obbligati a protestare per le numerose mancanze e frodi presenti nella loro città rurale, e che per questo sono finiti in prigione”.

Sottolineano che “dietro la sofferenza dei nostri fratelli di Nuevo Juan de Grijalva c’è sempre la CFE, che si conferma il braccio armato del governo per i suoi piani di contrainsurgencia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/23/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 22 luglio 2011

Le comunità del Chiapas lamentano gli impegni disattesi del governo

Hermann Bellingahusen. San Cristóbal de las Casas, Chis. 21 luglio. Nei giorni scorsi sono avvenuti, opuure si sono aggravati, una serie di episodi di repressione contro mobilitazioni e proteste indigene e contadine in diverse regioni della geografia chiapaneca che, nonostante le loro grandi differenze, hanno due cose in comune: sono gruppi che hanno negoziato col governo e partecipato ai suoi programmi sociali, e che ora reclamano (e vengono puniti per questo) gli inadempimenti degli impegni del governo. In altre parole, sono famiglie, comunità od organizzazioni che non sono in resistenza,ma piuttosto sono in stato di assistenza.

Si tratta di ricollocamenti concordati, alcuni consumati, che oggi naufragano. La Lega Messicana per la Difesa dei Diritti Umani (Limeddh), l’Osservatorio delle Prigioni (OPN) e Maderas del Pueblo del Sureste, presentando diversi casi che comprendono ormai un buon numero di arrestati, torturati e sfollati sia nel municipio di Ostuacán che a Frontera Comalapa, Salto de Agua, Jaltenango e Tecpatán, rilevano:

“Sono trascorsi più di tre anni dal disastro che ha cancellato la comunità Juan de Grijalva, e fino ad oggi, oltre ad offrire l’opportunità perfetta al governo di mettere in moto l’ambizioso progetto delle città rurali, più che risolvere i problemi della zona, si è creato lo scontro all’interno delle comunità colpite, la dispersione dei loro abitanti e la repressione dei movimenti sociali sorti in questo ambito, oltre a molte persone arrestate”.

Nel caso della città rurale Nuevo Juan de Grijalva, molti hanno dovuto abbandonare le proprie case perché sono inabitabili, ma non possono più tornare al loro domicilio originale nell’area conosciuta come El Tapón dopo le inondazioni del fiume Grijalva del novembre 2007, quando furono colpite decine di comunità; il governo non ha rispettato gli impegni presi con gli abitanti di La Herradura (Rómulo Calzada), ma ha già dato in concessione le loro terre ad imprese di Giappone e Stati Uniti per allevare pesce. “Chi ci restituirà quello che abbiamo perso? Il governo si era impegnato ma non ha rispettato la parola”, si lamenta il contadino Victorino González.

In questo tipo di casi si trovano alcune famiglie choles che sono stae sfollate sei volte, due dai Montes Azules, ed ora sono state sgomberare “da paramilitari”, dicono, di Las Conchitas (Salto de Agua), dove anni fa le aveva ricollocate il governo con una serie di promesse non mantenute, ed ora non hanno più nemmeno la propria case. Sono state espulse e le autorità non sono intervenute per proteggerle. Oggi sono accampate davanti alla cattedrale di San Cristóbal, sostenute dal Fronte Nazionale di Lotta per il Socialismo (FNLS), per chiedere giustizia.

Balza all’attenzione che, oltre alle proteste delle vittime, sono state represse anche mobilitazioni di appoggio da parte di organizzazioni come MOCRI-CNPA-MLN. Qualche settimana fa, a Tecpatán e Frontera Comalapa, questo appoggio è costato la prigione ad oltre 20 di loro. La metà, di Tecpatán, sono ancora in carcere ed in cattive condizioni. Alcuni sono stati torturati dai poliziotti, come Santos Saas Vázquez, di 60 anni, al quale hanno ustionato col fuoco entrambe le braccia e non ha ricevuto assistenza.

An Jaltenango, decine di famiglie da ricollocare spettano un alloggio e vivono da due anni in un accampamento di rifugiati in condizioni di insalubrità ed abbandono. La Villa Rural (variante delle città reclamizzate) Emiliano Zapata, concordata tra la OPEZ-MLN a Tecpatán ed il governo statale, e che è quasi conclusa, è abbandonata da quasi due anni perché mancano le condizioni di sicurezza, mentre i suoi potenziali abitanti vivono in condizioni insalubri. Nel frattempo la loro organizzazione si è rotta, ci sono dirigenti in prigione ed è in soseso il futuro dei quartieri Rubén Jaramillo, Genaro Vázquez, Nuevo Limoncito, Ricardo Flores Magón e Los Guayabos. Nelle loro proteste hanno occupato le sedi dell’ONU, a motivo “degli Obiettivi del Millennio”.

Tuttavia, tutti loro continuano ad aspettare che il governo “paghi il giusto”, mantenga le promesse e smetta di perseguirli penalmente. http://www.jornada.unam.mx/texto/020n1pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 21 luglio 2011

L’Altra Campagna chiede la fine delle minacce e dei saccheggi e denuncia la “crescente paramilitarizzazione” nei villaggi zapatisti

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 luglio. La minoranza filogovernativa di Jotolá, municipio di Chilón, ora sembra si sia affiliata all’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), una novità. Le costanti aggressioni nella comunità tzeltal contro gli aderenti dell’Altra Campagna hanno  solo cambiato nome.

Visto nell’insieme dei fatti recenti nella regione, che colpiscono le comunità zapatiste, dell’Altra Campagna o perfino di altre organizzazioni, tutto indica che ci troviamo di fronte alla paramilitarizzazione (almeno di una strumentalizzazione contrainsurgente) dell’organizzazione dei coltivatori di caffè col pretesto di presunte dispute per le terre recuperate dagli zapatisti, cosa che annuncia anche l’imminenza della stagione elettorale in Chiapas.

Da parte sua, facendo eco alle nuove denunce delle giunte di buon governo (JBG) di Oventic, Morelia e La Garrucha, la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà si è pronunciata contro fatti come quelli accaduti a Nuevo Paraíso, municipio autonomo Francisco Villa, “dove membri della Orcao hanno occupato violentemente le terre delle basi di appoggio zapatiste”. Come denunciato dalla JBG El Camino del futuro “l’azione della Orcao è dettata dai suoi legami con i tre livelli di governo”.

Non sono fatti isolati. Recentemente la JBG di Oventic ha denunciato che le basi di appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés (Sitalá) “vivono una situazione di forte tensione e paura per le aggressioni e le minacce della gente dei partiti e per la presenza di pattuglie di polizia”.

Questo, mentre la JBG di Morelia ha denunciato che elementi della Orcao “hanno sequestrato e torturato basi zapatiste del municipio autonomo Lucio Cabañas”.

Questo modo di “camuffare il saccheggio del territorio” da parte del governo, “utilizzando l’intervento di gruppi di stampo paramilitare o di scontro, è una strategia di contrainsurgencia elaborata da istanze governative. E’ chiaro che l’esproprio della terra è l’attuale arma che dà accesso ai loro piani economici, ma non solo, è anche il modo attraverso il quale vogliono lacerare un popolo in resistenza, annichilire la sua cultura e distruggerne l’autonomia”.

Citando la JBG di Oventic (primo luglio), la Rete avverte: “Che non pensino di fermare con le provocazioni, le minacce, le aggressioni e le persecuzioni la lotta dei popoli zapatisti per la costruzione della propria autonomia e per la liberazione nazionale. Costi quel che ci costi, succeda quel che succeda, noi andremo avanti perché è nostro diritto”.

Ricorda che tutte queste “terre sono state recuperate nel 1994 nel contesto della sollevazione dell’EZLN, e riassegnate alle famiglie originarie; né i politici corrotti ed i loro gruppi armati, né gli interessi finanziari ed i loro eserciti industriali hanno nessun diritto su di esse, la libertà in territorio zapatista non è quella del libero commercio, ma quella che costruiscono in forma comunitaria partendo dalla loro autonomia”.

L’organizzazione dell’Altra Campagna chiede la sospensione immediata delle minacce e degli espropri contro le basi zapatiste da parte dei tre livelli di governo e della Orcao.

Ma anche a Nuevo Jerusalén (Ocosingo) i coloni, questo martedì, hanno chiesto l’intervento delle autorità governative affinché “cessino le provocazioni” di elementi dellaOrcao, guidati da José Pérez Gómez e Nicolás Bautista Huet, “che hanno tentato di cacciarci dalle nostre case armati di machete, bastoni ed asce”. Precisano che delle 150 famiglie di Nuevo Jerusalén, vicino al sito archeologico di Toniná, solo 8 appartengono alla Orcao. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/21/politica/023n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 19 luglio 2011

I Consigli Autonomi Zapatisti ripristinano i cartelloni che segnalano Toniná come zona ribelle

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 18 luglio. I consigli municipali autonomi zapatisti di Francisco Gómez e San Manuel hanno ripristinato le insegne che identificano Toniná come territorio ribelle e terre recuperate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Queste segnaletiche erano state rimosse da funzionari statali e dal presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga Urbina, il 20 giugno scorso, alla vigilia di una visita del governatore dello stato al sito archeologico.

Con una semplice cerimonia alla quale hanno partecipato decine di basi di appoggio dell’EZLN delle comunità autonome circostanti: Javier López, San Juan la Palma, Maya Tzeltal e La Libertad, i rappresentanti autonomi questa domenica hanno ribadito che i proprietari dei poderi attigui alla piramide di Toniná sono le basi di appoggio ribelli e che i loro territori sono organizzati con la giunta di buon governo (JBG) di La Garrucha.

Prima dell’evento ufficiale che si sarebbe svolto il 21 giugno, a Toniná era arrivato Horacio Schroeder Bejarano quale inviato del governatore Juan Sabines Guerrero, insieme al sopracitato presidente municipale di Ocosingo. Volevano convincere Alfonso Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruiz, basi zapatiste, a rimuovere le insegne che indicavano che si tratta di terreni autonomi. “Non le abbiamo messe noi, è stata la JBG, parlate con loro”, risposero.

Inoltre, gli zapatisti insistettero per il rispetto di un verbale di accordo firmato dallo stesso Schroeder e da altri funzionari tempo addietro, e di altri impegni presi dal governo.

Gli impegni, per il resto, riguardano solo il rispetto verso gli zapatisti, la loro legittimità ed i loro diritti (e non, come d’abitudine, promesse economiche, “aiuti” o regalie). Il sindaco Zúñiga si era impegnato a restituire una delle insegne del municipio autonomo Francisco Gómez, che si erano portati via gli impiegati municipali. Ma questo non è avvenuto.

L’azione dei consigli autonomi zapatisti avviene inoltre nel contesto di un presunto conflitto familiare, indotto dallo stesso governo statale, che ha messo Cruz Espinosa contro due sue sorelle che non risiedono nella proprietà ma se ne vogliono appropriare per consegnarlo al governo, il quale, per il resto, ha già cercato di appropriarsi di queste terre con diversi pretesti. Sono interessati a queste terre l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH), la Segreteria del Turismo e lo stesso presidente municipale di Ocosingo.

Ciò nonostante, nel 2009 le autorità governative finirono per riconoscere Cruz Espinosa proprietario legittimo.

La contabile Julissa Camacho Ramírez, direttrice del museo del sito, è stata molto attiva nell’alimentare il conflitto familiare, secondo gli zapatisti. “Ci ha sempre mancato di rispetto”, sottolineavano alcuni giorni fa.

Con questo argomento continuano a chiedere la destituzione di Camacho Ramírez, uno dei punti nell’incompiuto verbale di accordo firmato dai funzionari mesi fa.

Il sito di Toniná recentemente è balzato agli onori della cronaca quando lo scorso 6 luglio c’è stato il ritrovamento di due pezzi maya molto importanti del periodo Classico da parte dell’archeologo Juan Yadeum Ángulo e del sindaco di Ocosingo. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/19/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La PIRATA segnala la pubblicazione del nuovo opuscolo, in italiano:

“La Sesta Dichiarazione e nascita dell’Altra Campagna”

Una selezione delle parti dalla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN commentata da compagne e compagni aderenti all’Altra Campagna, in un’intervista realizzata in Chiapas. L’opuscolo ripercorre con parole semplici e colloquiali l’effetto della Sesta Dichiarazione sul movimento sociale in Messico e invita nuovamente a riflettere, in ogni latitudine, sulla costruzione di un movimento anticapitalista, dal basso e non elettorale.

I testi proposti sono una trascrizione e riedizione di questa intervista radio:
http://www.archive.org/details/StorieDistraordinarioMexico-terzaTappaLaOtraCampaa&reCache=1

LEGGI E SCARICA L’OPUSCOLO QUI:
http://www.archive.org/details/OpuscoloSestaDichiarazioneENascitaDellaltraCampagna

Questo libretto è prodotto da:
P.I.R.A.T.A. –
Piattaforma Internazionalista per la Resistenza e l’Autogestione Tessendo Autonomia

formata dai collettivi:

NOMADS (spazio pubblico autogestito XM24, Bologna),
NODO SOLIDALE (Roma e Messico),
COLLETTIVO ZAPATISTA MARISOL (Lugano).

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La Jornada – Mercoledì 13 luglio 2011

Denunciato il piano di costruire 74 multiproprietà in mezzo ai boschi

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 12 luglio. Gli abitanti della ranchería Huitepec Alcanfores, alle falde del monte Huitepec, vicino a questa città, denunciano la distruzione di un bosco e le pretese di trasformare la comunità in colonia urbana e costruire “74 multiproprietà” con il supporto dei governi municipale e statale. Di fronte al dissenso della popolazione, veicoli dell’Esercito federale e dei poliziotti statali e municipali, dal 3 luglio scorso, realizzano pattugliamenti

José Gómez Vázquez, agente ausiliare, a nome dell’assemblea comunitaria, ha dichiarato che non è stata mai chiesta agli abitanti l’autorizzazione al cambiamento d’uso del suolo. Indica come promotore del progetto Juan Manuel García Letona, nipote dell’ex governatore Manuel Velasco Suárez e cugino del senatore del PVEM Manuel Velasco Coello, aspirante alla governatura del Chiapas. Questa famiglia sancristobalense è già stata coinvolta in altri progetti che minacciano l’ambiente ormai molto deteriorato della valle di Jovel.

I contestatori di Huitepec Alcanfores denunciano l’ex agente municipale Alejandro Cabrera Cano, segretario tecnico nella presidenza municipale della perredista Cecilia Flores, come responsabile di queste azioni: “È una persona che si oppone sempre all’assemblea e si rifiuta di partecipare ai lavori della comunità”.

Cabrera Cano ostenta che “il governatore stesso gli ha consegnato la mappa urbana”, mentre l’impresario García Letona “è il diretto responsabile del disboscamento”. Gli abitanti il giorno 5 sono andati alla Procura Federale per la Protezione dell’Ambiente alla quale avevano già presentato una denuncia nel gennaio scorso, e la procura ha notificato loro che il caso “ormai era chiuso”. “Stanno proteggendo il cugino dal senatore Velasco Coello”, hanno dichiarato.

Gli abitanti sostengono che si tratta di ecocidio, perché si vuole distruggere una riserva. Nello stesso Huitepec, straordinario “monte di acqua” condiviso dai municipi di San Cristóbal de la Casas, Zinacantán e Chamula, ci sono due riserve naturali; una privata di competenza di Pronatura, ed un’altra autonoma a Huitepec Ocotal Segunda Sección, di competenza della giunta di buon governo di Oventic e gestita dale basi zapatiste dal 2007.

Huitepec è uno più dei luoghi più feriti della natura chiapaneca. E per qualcosa di peggio dello sviluppo turistico, della voracità immobiliare e dello sfruttamento delle sue risorse idriche. Esistono ormai centri abitanti ai suoi pendii, comprese alcune delle residenze più grandi e fastose di San Cristobal, ma continua ad essere un ricco insieme di boschi umidi e dimora di sette comunità tzotziles dedite all’agricoltura, sulle quali la pressione è continua affinché cedano le loro risorse.

Oltre alla crescita immobiliare, il Huitepec è minacciato dall’industria della sete. La Coca Cola ha un impianto alle sue falde, e così un’industria di imbottigliamento di acqua, ed in maniera alquanto simbolica la Pepsi Cola ha installato un grande deposito esattamente a Huitepec Alcanfores.

I pattugliamenti federali sono proseguiti. “Salgono alla ranchería senza avvisare l’agenzia municipale”, dice l’agente ausiliare: “L’Esercito deve avvisarci. Qui non ci sono armi, droga, né delinquenti. È una comunità pacifica che conserva usi e costumi e merita rispetto. Qui ci occupiamo gli uni degoli altri”. Deplora che i soldati e la polizia accorrano subito alle chiamate di Cabrera Cano, mentre alla comunità non soddisfino le loro richieste. Il funzionario Cabrera Cano sostiene che la sua famiglia “è in pericolo”, ma “noi non gli abbiamo mai mancato di rispetto; è lui ad essere in torto con la comunità”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/13/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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La Jornada – Martedì 12 luglio 2011

A causa delle insegne zapatiste è stata cancellata la visita del presidente a Toniná

Herman Bellinghausen. Inviato.Toniná, Chis., 11 luglio. Le rinnovate pressioni sulle basi di appoggio dell’EZLN nell’area di Toniná, iniziate nel febbraio scorso e denunciate in due occasioni dalla giunta di buon governo del caracol di La Garrucha (La Jornada, 26 maggio e 11 luglio) coincidono puntualmente col lancio del nuovo grande progetto turistico del governo federale: Mundo Maya 2012, annunciato dal presidente Felipe Calderón nel Museo di Antropologia il 21 giugno.

L’intenzione iniziale del governo federale era annunciare l’avvio del programma turistico nella spianata di Toniná, ma quando la squadra logistica di Los Pinos è venuta sul posto alla vigilia dell’evento ed ha visto le bandiere rosso-nere che segnalavano che questo è territorio autonomo zapatista (insegne per il resto abituali in tutte le regioni indigene, in particolare nella Selva Lacandona) ha deciso di cambiare la sede della cerimonia ed evitare che il presidente scendesse dal suo elicottero in territorio zapatista.

Domenica 20 giugno emissari del governo statale avevano rimosso le insegne, se ne sono portate via una ed hanno coperto con un “telo” un grande striscione con i volti di Emiliano Zapata, Che Guevara ed il subcomandante Marcos, che segnala che queste sono terre recuperate dall’EZLN, organizzate nel caracol de La Garrucha.

La mattina del giorno 21 è arrivato il governatore Juan Sabines Guerrero, accompagnato da un vistoso gruppo di lacandoni, e come i mandatari degli altri stati coinvolti, si è collegato via satellite con la cerimonia presidenziale a Città del Messico. Senza insegne.

L’ambizioso programma turistico ideato dalle autorità approfittando della moda mondiale della fine del mondo, secondo presunte “profezie maya”, datata per il 21 dicembre 2012, vuole attirare per i prossimi 18 mesi carrettate di turisti nazionali ed internazionali. Oltre alle infrastrutture, sono annunciati 500 eventi culturali in Campeche, Chiapas, Yucatán, Quintana Roo e Tabasco. L’allora delegato di Governo ed oggi segretario dei Trasporto, Horacio Schroeder Bejarano, ed il presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga, si erano presentati a Toniná un giorno prima dell’annuncio presidenziale per fare pressioni su Alfonso Cruz Espinosa e Benjamín Martínez Ruiz, entrambi basi zapatiste, affinché togliessero le insegne menzionate. “Non le abbiamo messe noi, è stata la JBG, parlate con loro” aveva risposto Cruz Espinosa, citando il verbale di accordo firmato tempo addietri dallo stesso Schroeder e da altri funzionari.

Tra le richieste contenute in questo verbale che i funzionari dissero non poter rispettare in quel momento, ci sono il ritiro delle denunce formulate con prove false contro Cruz Espinosa, per le quali è aperto un procedimento giudiziario (che le autorità stesse hanno riconosciuto non avere alcun fondamento, ma senza ritirare le accuse), così come la destituzione della direttrice del museo del sito, Julieta Camacho Ramírez, “che da sempre fomenta la divisione” ed è stata molto attiva nei tentativi di strappare le terre al proprietario.

Zúñiga, di estrazione panista, e industriale “molto interessato all’affare turistico”, ha minacciato Cruz Espinosa di gravi ritorsioni se “non cambia atteggiamento”.

L’area di Toniná è sempre stata un’enclave “calda”. Qui si trova una grande base dell’Esercito, proprio di fronte alla comunità zapatista Nuevo Jerusalén. Ora, il governo sta completando la costruzione di una scuola primaria adiacente al complesso militare. Benché casi simili siano stati segnalati come inappropriati, mettere insieme scuole e quartieri militari è un basso stratagemma contrainsurgente nelle comunità indigene. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/12/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 11 luglio 2011

La JBG di La Garrucha annuncia che difenderà la zona archeologica di Toniná. Sostiene che queste terre appartengono alle basi di appoggio zapatiste

 

Hermann Bellinghausen. Toniná, Chis. 10 luglio. La giunta di buon governo (JBG) di La Garrucha ha dichiarato che difenderà le terre recuperate dall’EZLN dopo l’insurrezione del 1994, in riferimento specifico alla zona archeologica di Toniná che, per una considerevole porzione, appartiene legittimamente alle basi di appoggio zapatiste, come hanno riconosciuto nel 2009 le autorità dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) ed il governo statale, dopo averlo negato per anni.

Così, quando i visitatori arrivano a Toniná, alla periferia della città di Ocosingo, sono accolti da un grande striscione impermeabile che dichiara il “villaggio di Toniná” territorio zapatista del municipio autonomo Francisco Gómez. Benché la gestione del sito ed il suo museo siano a carico dell’INAH, il terreno circostante fino alla base della famosa piramide, è di proprietà legale di Alfonso Cruz Espinosa, ripetutamente riconosciuto dalla JBG di La Garrucha come base di appoggio zapatista da molti anni, mentre il governo ha tentato varie volte di imprigionarlo per togliergli il terreno.

Il 25 maggio scorso, la JBG denunciò una nuova persecuzione iniziata in febbraio dietro cui c’erano l’INAH ed il governo statale. Rilevava che dal 2009 il governo riconosceva che anche le terre attigue all’accampamento dell’INAH “sono di proprietà di Cruz Espinoza, il quale può disporre di esse senza contravvenire alle norme e regolamenti dell’istituto”, il quale a sua volta “dovrà rispettare i diritti del proprietario”.

In questo caso, il governo applica la stessa tattica contrainsurgente che sviluppa in altre comunità: mediante offerte e negoziazioni parallele con membri della famiglia Cruz Espinoza, torna a minacciare i diritti del legittimo proprietario che vive lì con la sua famiglia.

Ora, la JBG denuncia “energicamente” i governi federale, statale e municipale che “manipolano la signora María Socorro Espinoza Trujillo e le sue figlie Berenice e Dalia Maribel Cruz Espinoza; ‘convincendole’ a vendere la terra recuperata dalle basi dell’EZLN”.

Le autorità zapatiste della selva tzeltal avvertono: “Difenderemo la ricchezza naturale del nostro territorio, perché sappiamo che il governo vuole la terra per venderla ad un altro paese per fare grandi hotel. La JBG la difenderà perché è il patrimonio lasciato dai nostri antenati”. Il governo “offre terreni nei centri turistici ad altri paesi per fare grandi hotel, ristoranti e villaggi turistici a beneficio delle grandi multinazionali”.

Ciò nonostante, “questo patrimonio è del popolo del Messico, e non del governo che offre la terra ad altri paesi. Dunque, difenderemo la zona archeologica di Toninà e le altre ricchezze della madre natura”, sostiene la giunta zapatista.

In senso inverso, cresce la pressione governativa per lo sfruttamento turistico di siti archeologici, lagune, fiumi e tutto quello che ricade nell’ambizioso Programa Mundo Maya 2012. Con questo, l’alienazione e la privatizzazione di territori indigeni nella Selva Lacandona entrerebbe in una spirale incontenibile. Ecoturismo, geoturismo, turismo di avventura, sono il nuovo sogno milionario dei lacandoni di Nahá, Metzabok ed ovviamente Lacanjá. Sono anche un incubo per gli ejidos molto particolari come San Sebastián Bachajón (sul fiume Agua Azul) ed Emiliano Zapata (sulla Laguna di Miramar).

Non è un caso se presto la riserva dei Montes Azules sarà completamente circondata da una strada che aprirà “nuove frontiere” al saccheggio di territori indigeni a beneficio di investitori nazionali e stranieri. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/11/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 10 luglio 2011

Basi zapatiste denunciano saccheggi ed aggressioni compiuti dalla Orcao

Hermann Bellinghausen. Inviato San Cristóbal de las Casas, Chis., 9 luglio.  La giunta di buon governo (JBG) del caracol zapatista di La Garrucha ha denunciato il saccheggio di terre ed aggressioni da parte dell’Organizzazion Regionale dei Coltivatori di Caffé di Ocosingo (Orcao), contro le comunità Nuevo Paraíso e Nuevo Rosario, me municipi autonomi Francisco Villa e San Manuel, rispettivamente.

Secondo la JBG, “i malgoverni di Felipe Calderón, Juan Sabines Guerrero e del presidente municipale di Ocosingo, Arturo Zúñiga, hanno intensificato la campagna di contrainsurgencia manipolando i dirigenti della Orcao”, che a loro volta “manipolano le proprie basi per far scontrare tra loro i contadini, assegnando terre recuperate”.

Le denunce contro la Orcao quale strumento di contrainsurgencia, presentate dalla giunta zapatista El camino del futuro, nella selva tzeltal, si sommano alle denunce della JBG Arco iris de la esperanza, nel caracol di Morelia (22 e 24 giugno), che si riferiscono ad aggressioni e saccheggi nel municipio autonomo Lucio Cabañas.

A Nuevo Paraíso, un gruppo di persone dell’ejido Guadalupe Victoria, dal 3 marzo si è impossessato di terre recuperate dalle basi zapatiste, mentre un gruppo di Las Conchitas (Ocosingo) ed un altro dell’ejido Po’jcol (Chilón) “stanno seminando” nei poderi degli zapatisti. La JBG ha indagato sugli invasioni ed ha documentato che tutti sono membri della Orcao.

La JBG di La Garrucha “ha invitato i dirigenti di questa organizzazione a sgomberare pacificamente le terre recuperate”, ma si sono rifiutati di farlo. Così, per quattro mesi causarono “hanno provocato molti problemi” a Nuevo Paraíso.

Gli zapatisti elencano furti di piante di caffè, milpas, canne da zucchero, bestiame, filo di ferro ed alberi da parte di coloni di Guadalupe Victoria. Intanto, coloni di Po’jcol, “che sono sempre armati”, vendono ad un’impresa edile la ghiaia estratta illegalmente dalle terre recuperate. “Tutti questi fatti avvengono come se nulla fosse, ma la JBG aspetta una risposta da parte delle autorità della Orcao”.”

La giunta di La Garrucha accusa di queste azioni José Peñate Gómez, Osmar, Pedro López García, Marcos Hernández Morales, José Alfredo Peñate Gómez e Miguel Centeno Gutiérrez (Guadalupe Victoria), così come Adolfo Ruiz Gutiérrez, Domingo Gutiérrez Ruiz, Bersaín, Miguel e Baldemar Gutiérrez Gómez, Jerónimo, Andrés ed Eliseo Gutiérrez Pérez (Po’jcol), e Fidelino Gómez Morales, Carmelino Ruiz Guillén, Fidelino Gómez Lorenzo e Marcos Gómez Morales (Las Conchitas).

La JBG chiede che gli elementi della Orcao, “assistiti dai tre livelli di governo”, liberino le terre recuperate dopo il 1994. “Sono nostre e le difenderemo ad ogni costo”, sostiene. “Ne abbiamo abbastanza delle provocazioni”. La JGB chiede al presidente di Orcao, Antonio Juárez Cruz, “che la sua gente sgomberi la terra delle basi di appoggio di Nuevo Paraíso” e, agli invasori, che tolgano lamiere e legni “che hanno portato dalle loro terre”, e che restituiscano il legno rubato. “In caso contrario, se succederanno cose gravi, ne riterremo responsabili direttamente il governo e la dirigenza della Orcao”.

Un altro caso in cui i governi federale, statale e municipale “danno consulenza ai dirigenti di Orcao” per invadere le terre recuperate dall’EZLN, è il villaggio Nuevo Rosario, nel municipio autonomo San Manuel. Lì gli invasori “stanno abbattendo molti alberi per vendere legna ad Ocosingo”. La JBG accusa la dirigenza dei produttori di caffè filogovernativi di affittare indebitamente la terra recuperata all’allevatore Alejandro Alcázar, di San Cristóbal de las Casas.

Questo ha provocato danni alle milpe del municipio zapatista San Manuel, a causa della distruzione del recintato per fare entrare il bestiame. Sono state colpite anche otto famiglie che non appartengono a nessuna organizzazione, abitanti dello stesso Nuevo Rosario. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/10/politica/019n1pol

Comunicato della JBG di La Garrucha

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 luglio 2011

Campesinos denunciano la persecuzione del governo del Chiapas per una presunta invasione di terre

Hermann Bellinghausen 

Rappresentanti delle comunità associate al Fronte Popolare Campesino Lucio Cabañas, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed all’Altra Campagna nella regione selva di confine, hanno denunciato a Las Margaritas, Chiapas, che secondo informazioni della stampa statale di giovedì, contro rappresentanti dell’organizzazione avrebbero spiccato, senza motivo, mandati di cattura. “Il malgoverno manda segnali intimidatori a coloro che si organizzano e lottano per difendere il diritto alla terra e al territorio come popoli indigeni. Respingiamo le accuse contro i rappresentanti del Fronte Lucio Cabañas”, accuse mosse per un’invasione di terre con cui non abbiamo niente a che vedere. Ricordano che il 30 maggio, Matilde Hernández Álvarez, Armando Luna Álvarez, Óscar ed Ernesto López García, quest’ultimo lavoratore del programma Chiapas Solidario, si sono impossessati di una fattoria privata sul tratto stradale Las Margaritas-Comitán, al lato della fattoria Nueva Aurora, ed hanno esposto uno striscione con scritto: “Podere recuperato dall’Organizzazione Campesina Lucio Cabañas”.  I rappresentanti del Fronte denunciano che queste persone non appartengono all’organizzazione. “Sono saccheggiatori che usano il nostro nome e si sono impossessati del terreno al fine di venderlo a lotti, ingannando la gente”.  Caralampio Pérez Aguilar, Eugenio Rodríguez Hernández e Marcelino Jiménez Sántiz, a nome del Fronte Lucio Cabañas, dichiarano: “Non vogliamo avere problemi, provocazioni né scontri tra fratelli indigeni, come abbiamo detto al malgoverno il 31 maggio con nostra denuncia protocollata il 2 giugno presso il sottosegretariato di Governo della regione Meseta comiteca-tojolabal”.  Non abbiamo invaso terreni e proseguiamo decisi la lotta. Sappiamo che è il malgoverno l’attore principale del problema, perché abbiamo fatto denunce pubbliche contro questi intrusi, tuttavia, continuano a dare adito a queste persone”.

In altro ordine, “ora i cinque di Bachajón sono quattro. Con la liberazione, giovedì, del giovane tzeltal Mariano Demeza Silvano, che era recluso nel Centro di Reinserimento Sociale Villa Crisol, municipio di Berriozábal, in prigione ora ci sono ancora Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro, che recentemente hanno denunciato maltrattamenti da parte delle autorità carcerarie di Playas de Catazajá. Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, comunità alla quale appartengono i detenuti, aderenti all’Altra Campagna, affermano che la liberazione di Demeza Silvano è “il primo frutto” delle mobilitazioni e manifestazioni a suo favore realizzate in diverse parti del mondo. “Benché non in totale libertà”, chiariscono, “il governo di Juan Sabines Guerrero lo ha scarcerato dopo cinque mesi di sequestro senza colpe”. Il giovane era “prigioniero politico, perché il suo unico reato è stato alzare la voce per difendere la sua terra e la sua autonomia”. Gli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián ribadiscono “che ci sono ancora quattro compagni ingiustamente reclusi, che il malgoverno tiene in ostaggio per i suoi interessi neoliberali”. Chiedono alla società di continuare a chiedere la loro liberazione dal Centro di Reinserimento Sociale numero 17 di Playas de Catazajá. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/09/politica/024n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 luglio 2011

Difensori dei diritti umani denunciano persecuzione in Chiapas. Accusano il governo di voler arrestare il direttore del Centro Digna Ochoa

HERMANN BELLINGHAUSEN

Attivisti ed avvocati per i diritti umani in Chiapas denunciano persecuzione giudiziaria e reiterate minacce di arresto. Il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa di Tonalá, Chiapas, ha dichiarato che “lo Stato messicano, ed in particolare il governo statale, utilizzano il sistema giudiziario per perseguire, minacciare, imprigionare i difensori dei diritti umani ed i loro familiari”. Tutto questo per informare della recrudescenza delle minacce contro i difensori nell’entità, in particolare verso Nataniel Hernández Núñez, direttore del Centro.

Intanto, a San Cristóbal de las Casas, questa settimana l’attivista Concepción Avendaño Villafuerte è stata citata dalla Procura Generale della Repubblica (PGR) in relazione ad una sua protesta di qualche mese fa durante la visita in città del presidente Felipe Calderón. A questo si aggiungono le minacce e le recenti accuse contro giornalisti di Tuxtla Gutiérrez e l’arresto durato settimane dell’avvocato della comunità Juan de Grijalva, nel municipio di Ostuacán, che alla fine è stato rilasciato.

Hernández Núñez, oltre ad avere a suo carico diversi procedimenti penali da febbraio e marzo, che potrebbero essere ripresi prossimamente, agenti della Procura si sono presentati a casa dei genitori dell’avvocato per consegnare citazioni di “procedura penale”.

Bersaín Hernández Zavala e Guadalupe Núñez Salazar, noti attivisti sociali da decenni, fondatori dello storico Frente Cívico Tonalteco, sarebbero indagati per aver partecipato alle proteste che si sono svolte il 2 marzo scorso dopo la liberazione del loro figlio Nataniel, arrestato dalla Polizia Federale. Il Centro Digna Ochoa esprime la sua preoccupazione per “la costante minaccia contro la famiglia del nostro direttore che in diverse occasioni è stato arrestato con accuse risultate poi false.

Da parte sua, il Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa del Chiapas, aderente all’Altra Campagna, ha annunciato il suo “completo sostengo” all’avvocato ed ai suoi genitori. “Fanno parte del consiglio e non sono soli, sono lavoratori ed attivisti sociali ben noti in tutto lo stato, e sono vicini ai popoli ed alla gente”. Aggiunge che Bersaín è malato, “e si è aggravato a causa della persecuzione da parte dei governi federale, statale e municipale”.

Da Tapachula, sulla costa, il Centro dei Diritti Umani Fray Matías de Córdova, che inicialmente ha sostenuto la difusa di Hernández Núñez e conoce bene il suo, i casi di altri due avvocati e di diversi membri del consiglio regionale arrestati a febbraio e marzo, ha dichiarato: “Per il contesto in cui sono state sollevate le accuse contro il compagno, l’arresto, l’incarceramento ed il processo, non è stato complicato constatare che capi della polizia, un agente del Pubblico Ministero, così come la responsabile per gli affari legali della Segreteria delle Comunicazioni e Trasporti, hanno utilizzato le istituzioni incaricate di applicare la giustizia per reprimere un difensore dei diritti umani”.

Il Fray Matías de Córdova descrive inconsistenze e contraddizioni delle indagini da parte dell’agente del Pubblico Ministero, Carlos Ruperto Sánchez: testimonianze estorte sotto minaccia o tortura, accuse contraddittorie o letteralmente identiche di diversi “testimoni”. Denunciare Hernández Núñez “era l’ordine” giudiziario. Tutto, nel contesto di una protesta del Consiglio Regionale il 22 febbraio, protesta che fu repressa.

L’analisi conclude che “sono state fabbricate ‘prove’ contro Nataniel Hernández”. Il pubblico ministero “ha usato accertamenti ad hoc per incolparlo dolosamente e cerca di sostenere una farsa giudiziaria per perseguire e punire, non già un reato, bensì un difensore dei diritti umani”. Secondo il centro di Tapachula, “una giustizia che persegue gli avvocati, che si basa su prove fabbricate, ordini e accuse d’ufficio, non è giustizia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/08/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 8 luglio 2011

Disposta la scarcerazione dell’attivista di Bachajón

Elio Henríquez. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 7 luglio. Il giudice María Guadalupe Flores Rocha, competente peri il carcere minorile Villa Crisol, ha disposto la libertà condizionata per Mariano Demeza Silvano, uno dei cinque aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, arrestati agli inizi del marzo scorso con l’accusa di omicidio, danneggiamenti ed attentato alla pace pubblica, dopo uno scontro con militanti priisti per la disputa del centro turistico delle Cascate di Agua Azul.

Rappresentanti del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) hanno comunicato che il minorenne, di 17 anni, sarebbe stato scarcerato giovedì per essere assegnato al Sistema per lo Sviluppo Integrale della Famiglia (DIF) municipale di Chilón per svolgere lavori a favore della comunità. (….) http://www.jornada.unam.mx/2011/07/08/politica/020n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 luglio 2011

Denunciati abusi sui detenuti e visitatori nel carcere di Catazajá, Chiapas

Hermann Bellinghausen

Decine di familiari di detenuti nel Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 17, di Playas de Catazajá, Chiapas, hanno denunciato maltrattamenti ed umiliazioni sessuali da parte delle autorità della prigione. Accusano il direttore, David Montero Montero, e chiedono l’intervento del segretario della Sicurezza e Protezione del Cittadino, generale maggiore di cavalleria Rogelio Hernández de la Mata, “sulla base di quanto dispone l’articolo 8 della nostra Carta Magna”.

Prima di passare all’interno del CERSS, “durante la perquisizione ci fanno spogliare completamente, mettendoci a gambe larghe, e ci portano via il cibo che portiamo per i nostri familiari”. Si dicono indignati per l’abuso di autorità del direttore, del personale di custodia e del giudice della prigione, David Arias Jiménez.

In una lettera al segretario ribadiscono “ogni abuso di autorità viene da Montero Montero, direttore del CERSS, dove sono reclusi i nostri familiari, questo funzionario pubblico, insieme al suo personale, ci riserva trattamenti che ledono i nostri diritti umani.

“Gli abusi non sono solo su noi visitatori, ma anche sui nostri familiari rinchiusi nel CERSS di Catazajá”, aggiungono. “Il direttore ha la sfacciataggine ed il cinismo di dire di eseguire ordini superiori, e di fare quello che vogliamo, tanto a lui non importa perché dice di avere molti amici influenti”.

I querelanti spiegano al segretario della Sicurezza chiapaneco che il curriculum di Montero Montero “non è per niente bello, poiché nei centri penitenziari in cui è stato ha agito sempre con abuso di autorità e prepotenza sia con i visitatori che con i detenuti”. Contro il direttore “ci sono molte denunce presso la Commissione Statale dei Diritti Umani, così come su stampa, radio e televisione, per questo chiediamo che si dia corso ad un’indagine approfondita contro questo ed altri funzionari pubblici”. Le famiglie offese chiedono la sua destituzione, perché “non solo commette abusi di autorità, ma molesta sessualmente noi visitatori”.

Chiedono l’intervento del generale Hernández de la Mata, “poiché i nostri familiari reclusi sono molto tesi per gli abusi di questi funzionari pubblici, e vogliamo che i nostri internati stiano bene e si evitino situazioni spiacevoli”.

In questo carcere, dal 3 febbraio scorso si trovano quattro dei cinque indigeni, aderenti dell’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón. Si tratta di Juan Aguilar Guzmán, Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo García Gómez e Domingo Pérez Álvaro. Si considerano “prigionieri politici”, perché è dimostrato che sono innocenti delle accuse mosse contro di loro.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, incaricato della loro difesa, li ritiene “ostaggi” del governo statale, il quale vuole obbligare la comunità ad accettare i progetti turistici imposti nella regione delle cascate di Agua Azul. Inizialmente, il numero degli arrestati era di 117, la maggioranza fu quasi subito liberarta. Da febbraio ci sono state mobilitazioni e campagne internazionali per chiedere la liberazione dei “cinque di Bachajón”, contro i quali i maltrattamenti in carcere sono stati costanti, così come ai loro familiari. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/06/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 3 luglio 2011

Aumentano le minacce contro le basi di appoggio zapatiste. Si teme un’aggressione armata

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, 2 luglio. Le basi di appoggio dell’EZLN dell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Sitalá, si trovano in una situazione allarmante. Dopo mesi di minacce, aggressioni ed espropri da parte di gruppi vincolati ai tre partiti che condividono il potere istituzionale nella regione tzeltal, c’è ora il rischio di un’aggressione armata, perché gli aggressori si sono riforniti di pistole e fucili, molte armi fornite da Ernesto López Núñez, ex poliziotto del vicino municipio di Chilón.

La giunta di buon governo (JBG) Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo, del caracol di Oventic, ha diffuso una denuncia dettagliata della situazione a San Marcos. Dall’anno scorso, segnala, i “nostri compagni vivono una situazione molto difficile a causa di persone dei diversi partiti politici e di autorità della comunità stessa”.

Le minacce di morte, le vessazioni, gli espropri di terre coltivate e gli sgomberi sono cominciati l’anno scorso, “per il fatto di aver dato avvio alla scuola autonoma nel villaggio”. Nel 2010 era stato fermato uno zapatista “ed obbligato a firmare un documento per uscire dall’organizzazione; il nostro compagno si rifiutò ma ricevette minacce e insulti”. Dissero che avrebbero preso le terre degli zapatisti.

Il 24 e 25 agosto si presero delle terre “che erano state comperate più di 10 anni fa”. Sottrassero agli zapatisti 31 ettari, in diversi posti dell’ejido stesso, con 5.850 piante di caffè, 10 ettari di milpa, fagioli, bestiame, sei cavalli e tre case”. Il 9 settembre gli zapatisti furono cacciati e dopo essere rimasti 33 giorni in montagna, il 12 ottobre tornarono. Le loro case, i loro beni e le loro coltivazioni erano stati saccheggiati e distrutti.

Il 2 gennaio, le autorità ufficiali di San Marcos volevano obbligare gli zapatisti in resistenza a pagare l’imposta sull’elettricità minacciandoli di cacciarli nuovamente. L’8 febbraio le autorità dei diversi partiti volevano fargli pagare il podere.

Il 13 febbraio, l’ex poliziotto López Núñez reclamò infondatamente come suo un terreno delle basi dell’EZLN. A partire da quella data le persone dei partiti PRI, PRD e PVEM hanno cominciato ad affittare il terreno a persone degli ejidos Tzajalá e Progreso, oltre ad 8 ettari che appartengono per diritto ejidale agli zapatisti. Il 17 febbraio le autorità ufficiali hanno cercato di pagare l’imposta del terreno “all’Agenzia del Fisco di Chilón, e lì hanno chiesto loro un documento firmato dagli zapatisti dove si diceva che questi ultimi non avrebbero pagato”. Ma i filogovernativi hanno raccolto i soldi per pagare allo scopo di appropriarsi dei terreni delle basi zapatiste”.

Il 25 febbraio gli zapatisti erano andati a lavorare nelle loro piantagioni di caffè mentre 30 dei loro aggressori si riunivano per prendere accordi”, ed il giorno seguente “sono arrivati nella piantagione di caffè, armati e minacciando la JBG ed i nostri compagni”. Inoltre hanno messo in vendita la piantagione di caffè “a 14 mila pesos per ettaro, per comprare altre armi”.

Il 6 aprile nella comunità è stato installato un accampamento civile per la pace e subito gli osservatori sono stati minacciati. Dalla fine di marzo “gli aggressori hanno lavorato gli appezzamenti dei nostri compagni ed hanno abbattuto milpas, canne da zucchero, alberi, banani, piante di caffè”. Gli osservatori hanno documentato la presenza della Polizia Federale nella comunità in ripetute occasioni “col pretesto di controllare i due gruppi”.

Il 20 aprile ci sono stati degli spari mentre proseguivano le minacce e le occupazioni di terre zapatiste. Il gruppo armato di 30 aggressori dei diversi partiti si riuniscono continuamente per programmare azioni “contro gli internazionali e dicono di non aver paura di fare il necessario per disfarsi degli osservatori”. Tutti i lavori che realizzano le basi di appoggio zapatiste sono distrutti. Il 24 aprile, Abraham Kanté López, del PRI, ha detto agli zapatisti “che li avrebbe ammazzati” se raccoglievano legna o mais nel suo terreno. Il 25 aprile, il priísta Manuel Díaz Ruiz ha occupato una milpa di 5 ettari che appartiene ad uno zapatista.

La JBG conferma che gli aggressori hanno almeno una trentina di armi di vario calibro. Il 21 maggio, “alcune donne dei partiti politici hanno accusato di furto gli osservatori quando alcuni funzionari erano venuti a distribuire le briciole del malgoverno a Yokjá e questi ultimi sono stati assaltati da un gruppo di uomini mascherati”.

Il 22 maggio i dirigenti del gruppo aggressore José Cruz Hernández, Ernesto Méndez Gutiérrez, José Guadalupe Kante Gómez, Domingo Ruiz Pérez, Alejandro Núñez Ruiz e Genaro Vázquez Gómez “si erano riuniti, tutti armati, in una bottega sulla strada”. Lorenzo Ruiz Gómez, Carlos Ruiz Gómez ed Ernesto López Núñez sono andati a casa dello zapatista Lorenzo Velasco Mendoza, “e quando sua moglie li ha visti si è messa a gridare e chiamare Lorenzo” e gli aggressori sono fuggiti. “Il loro obiettivo era violentare la compagna e catturare gli osservatori”.

Il 3 giugno è stato bruciato il terreno di Sebastián Ruiz López. “Il loro piano era far accorrere le basi di appoggio per spegnere l’incendio e da lì incominciare uno scontro”, rivela la JBG. Lo stesso giorno, 20 uomini armati “hanno bloccato la strada”. Il giorno 5 i dirigenti dei partiti “hanno steso un verbale di accordo rivolto al capo militare di Ocosingo, Fernando Martínez, per chiedere l’intervento dei soldati”, perché loro “avevano già fatto tutto quanto possibile per farla finita dei compagni, ma non ci sono riusciti”. Quel giorno, i dirigenti degli aggressori sono andati a Sitalá e San Joaquín “per cercare delle persone che sono assassini per uccidere i nostri compagni”.

Il 13 giugno sono iniziati i pattugliamenti militari sulla strada che va a Tacuba. Il giorno 18, un gruppo di basi di appoggio è stato minacciato da Lorenzo Ruiz Gómez, originario di San Marcos e da Vicente Ruiz Pérez, di Tacuba Nueva. Il 25 giugno, all’1 di notte, gli aggressori armati hanno circondato la casa di Juan Velasco Aguilar. Il giorno 30 “si è presento un gruppo di delegati del governo dello stato a parlare col commissari”, ed hanno annunciato che sarebbero tornati sabato, non si sa a che scopo”.

Né le basi di appoggio né la JBG hanno risposto in maniera violenta “né con fatti né con parole, perché noi zapatisti siamo gente ragionevole e di sani principi e non vogliamo scontrarci coi nostri stessi fratelli indigeni, ma i cattivi governanti vogliono a tutti i costi che siamo nemici e che ci uccidiamo tra noi”, sostengono le autorità autonome. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/03/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 1 luglio 2011

Gli ejidatarios di Bachajón denunciano un tentativo di esproprio ad Alan Sac jun

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 giugno. Gli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón), aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno lanciato l’allarme su un tentativo di esproprio ad Alan Sac jun, che fa parte dell’ejido, da parte di gruppi filogovernativi. Nello stesso tempo, la comunità tzeltal denuncia abusi e trattamenti discriminatori delle autorità carcerarie a Playas de Catazajá nei confronti dei familiari progionieri politici della comunità (conosciuti come i cinque di Bachajón, anche se uno di loro si trova in un istituto di correzione ad Ocozocuautla).

Gli ejidatarios accusano di abusi e maltrattamenti David Montero Montero e David Arias Jiménez, direttore e sindaco, rispettivamente, del Centro Statale di Reinserimento (CERS) numero 17, a Playas de Catazajá, “e gli agenti penitenziari, poiché lo scorso 26 giugno un gruppo di familiari dei detenuti sono stati obbligati a mostrare le parti intime prima di far visita ai detenuti”. Gli agenti “non hanno rispettato l’integrità dei parenti, offendendoli verbalmente e fisicamente”.

Riferendosi direttamente al nuovo segretario esecutivo del Consiglio Statale per i Diritti Umani (CEDH), Diego Cadenas Gordillo (che è stato direttore del Frayba, e come tale difensore in varie occasioni degli ejidatarios dell’Altra Campagna di San Sebastián), si domandano dov’è la lealtà che ha giurato assumendo giorni fa questo incarico: “Al suo insediamento, ha giurato lealtà per il rispetto dei diritti umani, o per servire e coprire le malefatte del malgoverno? Perché la verità è che il governo mette un prezzo al rispetto di questi diritti”.

Gli ejidatarios esigono un trattamento giusto e rispettoso verso i parenti dei detenuti, perché quando accedono alla prigione “si sentono minacciati”. Chiedono che il governo “dimostri la volontà di rispettare i diritti umani, e non spenda soldi per comprare personale per il consiglio statale, un ente in più al servizio dell’ingiustizia e maschera del governo per realizzare atti discriminatori”. Ricordiamo che già nei mesi scorsi ci fu un diverbio tra questi indigeni ed i visitatori della CEDH.

Rispetto al conflitto ad Alan Sac jun, denunciano che Manuela Jiménez Pérez è minacciata di esproprio violento di un terreno recuperato dagli ejidatario nel 2009, dopo la sua alienazione fraudolenta dell’allora consigliere di vigilanza ejidale filogovernativo, Pascual Pérez Álvaro.

Melchorio Jiménez Gómez ed altri quattro abitanti di Alan Sac jun, annesso all’ejido stesso, “minacciano Manuela Jiménez Pérez” (attualmente nella comunità di Cacateel) “con l’intenzione di sottrarle un terreno che era stato recuperato dalle mani di Pérez Álvaro”, che aveva acquisito la proprietà “con risorse ricavate dalla sua mala gestione”, e che poi “è stato recuperato dagli aderenti dell’Altra Campagna”.

Attualmente, “in complicità col commissario, inappropriatamente chiamato di ‘unità per la pace sociale’ “, i sopracitati “vogliono impadronirsi con violenza” del terreno, e li ritengono  responsabili “di ogni eventuale aggressione fisica contro la signora Manuela ed i suoi familiari, poiché ci consta che il commissario filogovernativo ha realizzato riunioni private per pianificare l’esproprio, insieme a Melchorio Jiménez Gómez”, che nel 2009, nella veste di agente ausiliare del centro Alan Sac jun, “rilascio una prova di possesso delle terre” alla signora oggi minacciata.

Gli ejidatarios dell’Altra Campagna avvertono: “Non permetteremo questi abusi da parte delle autorità filogovernative. Se attueranno le loro minacce, agiremo come organizzazione per appoggiare la nostra compagna”. Riterranno responsabili i filogovernativi “di quello che potrà succedere in questi giorni nelle vicinanze del terreno”. http://www.jornada.unam.mx/2011/07/01/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 29 giugno 2011

Il Centro Fray Bartolomé de las Casas denuncia la responsabilità dello Stato per omissione, e lancia l’allarme sul rischio di sgombero forzato nel municipio chiapaneco di Chilón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 giugno. Le minacce di espulsione e di morte contro le basi di appoggio dell’EZLN nella comunità San Marcos Avilés, municipio di Chilón, denunciate lunedì, raggiungono proporzioni allarmanti per la seconda volta in meno di un anno. Il 9 settembre 2010, le famiglie zapatiste sono state sfollate per più di un mese dagli ejidatarios affiliati ai partiti politici PRI, PRD e PVEM. Gli stessi sono responsabili delle nuove aggressioni.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) denuncia “la responsabilità dello Stato per omissione” in queste aggressioni, “poiché le autorità non hanno agito per garantire l’integrità e la sicurezza delle basi zapatiste e l’accesso alla terra”. Questo, nonostante le denunce della giunta di buon governo (JBG) di Oventik ed i molti interventi inviati dallo stesso Frayba al governo del Chiapas.

L’organismo presieduto dal vescovo Raúl Vera, chiede la sospensione delle minacce di morte, della persecuzione e dei soprusi contro le basi di appoggio dell’EZLN da parte di elementi dei partiti politici dell’ejido, così come di proteggere e garantire la loro vita e sicurezza, “nel rispetto del loro processo autonomistico che da anni stanno costruendo nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli”, sancito dalla OIL, dall’ONU e firmato dallo Stato messicano.

Le 170 persone sfollate da San Marcos Avilés lo scorso settembre, hanno fatto ritorno il 12 ottobre. In quell’occasione, la JBG di Oventik accusò il governo statale di essere responsabile di qualsiasi nuova aggressione contro i loro compagni che erano, e sono, perseguitati perché praticano l’autonomia in maniera pacifica. Bisogna ricordare che le prime aggressioni sono avvenute nell’agosto scorso, quando gli zapatisti hanno costruito una scuola del sistema educativo ribelle autonomo zapatista.

Il 9 settembre, 30 persone dell’ejido, membri dei partiti citati, capeggiati dar Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, hanno fatto irruzione violentemente, con bastoni, machete ed armi, nelle case degli zapatisti, dove hanno tentato di violentare due donne che sono riuscite a fuggire. Per non rispondere all’aggressione, le basi zapatiste si erano rifugiate in montagna. Dopo 33 giorni di sfollamento forzato, senza cibo e protezioni, hanno fatto ritorno nelle proprie case.

Il Frayba documentò allora che le abitazioni degli sfollati erano state saccheggiate di tutti i loro beni, compresi i raccolti di mais e fagioli. Le coltivazioni e piantagioni di caffè ed alberi da frutta erano stati distrutti e gli animali da cortile rubati.

Da allora, il centro ha informato “molte volte” le autorità sulla situazione in San Marcos Avilés, “al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza degli abitanti, e cercare una soluzione al conflitto”. Ciò nonostante, dal governo “non c’è mai stata risposta”.

Il 6 aprile di quest’anno nell’ejido è stato installato un accampamento civile per la pace i cui osservatori civili sono stati minacciati, cosa senza precedenti che illustra l’escalation delle aggressioni contro le basi zapatiste.

Non sono fatti isolati. Simili situazioni di vessazione da parte di gruppi di partito avvengono di continuo nei municipi autonomi zapatisti Lucio Cabañas e Comandanta Ramona, ed in ejidos di aderenti dell’Altra Campagna, come Jotolá e San Sebastián Bachajón, tutto questo nel municipio ufficiale di Chilón. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/29/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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COMITATO PER I DIRITTI UMANI DI BASE DEL CHIAPAS DIGNA OCHOA

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. 28 giugno 2011

AZIONE URGENTE: Vessazione, persecuzione e criminalizzazione da parte del Governo del Chiapas nei confronti dei giornalisti Ángeles Mariscal ed Isain Mandujano.

Sollecitiamo lo Stato Messicano a garantire il loro diritto alla libertà di stampa e di espressione, così come alla loro vita, integrità e sicurezza personale.

Il Comitato dei Diritti Umani del Chiapas Digna Ochoa è venuto a conoscenza attraverso una lettera pubblica firmata dai giornalisti Angeles Mariscal ed Isain Mandujano, delle minacce, persecuzioni, calunnie e pedinamenti di cui sono stati oggetto da parte di diverse autorità del governo del Chiapas.

Segnaliamo che questo clima di minaccia e criminalizzazione verso l’esercizio giornalistico e la difesa dei diritti umani è una costante nei quattro anni e mezzo dell’attuale Governo del Chiapas. Questo Comitato per i Diritti Umani esprime la sua preoccupazione per l’attuale clima di persecuzione poiché circolano voci secondo le quali il governo del Chiapas, attraverso la Procura, stia eseguendo decine di indagini per emettere mandati di cattura contro giornalisti e difensori dei diritti umani in Chiapas.

Per cui chiediamo di inviare lettere ed appelli ai seguenti indirizzi di posta elettronica, per chiedere quanto segue:

Che il governo del Chiapas operi nel rispetto del diritto alla Libertà di Espressione e del Diritto all’Informazione, sanciti dagli articoli 6 e 7 della Costituzione Politica Messicana; dagli Articoli 18 e 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani; dagli Articoli 18 e 19 del Patto Internazionale dei Diritti Civili e Politici; e dall’Articolo 13 della Convenzione Interamericana sui Diritti Umani.

La sospensione immediata di ogni azione di criminalizzazione, persecuzione, minacce e pressione esercitata contro giornalisti e comunicatori in Chiapas, così come contro tutti i difensori dei diritti umani. 

Che lo stato messicano adotti le misure pertinenti per garantire la vita, l’integrità e la sicurezza personale dei giornalisti Ángeles Mariscal, Isain Mandujano e dei loro familiari ed amici.

COMITATO PER I DIRITTI UMANI DI BASE DEL CHIAPAS DIGNA OCHOA

*****************************************************************

Testo proposto:

Indirizzi a cui inviare la mail:

felipe.calderon@presidencia.gob.mx, secretario@segob.gob.mx, upddh@segob.gob.mx,juansabines@chiapas.gob.mx, correo@cndh.org.mx , secretario@segob.gob.mx, ddhh.chiapas@gmail.com, isainmandujano@gmail.com

Felipe de Jesús Calderón Hinojosa, Presidente della Repubblica

Francisco Blake Mora, Segretario di Governo

Juan José Sabines Guerrero, Governatore dello Stato del Chiapas

Raúl Plascencia Villanueva, Presidente della CNDH

Navanethem Pillay, Alto Commissario dell’ONU per i Diritti Umania

Sr. Ambeyi Ligabo, Relatore Speciale dell’ONU della Commissione per i Diritti Umani sulla promozione e protezione del Diritto alla Libertà di Opinione e di Espressione

Margaret Sekaggya, Relatore Particolare dell’ONU sui Difensori dei Diritti Umani

Santiago A. Cantón, Segretario Esecutivo della CIDH

Souhayr Belhassen, Presidente della FIDH

Ana Hurt, Programma Regionale per l’America, Segretariato Internazionale di Amnesty International

 

Paese, ……….   Data, ……………..

Solicitamos que el Estado Mexicano garantice el derecho a la libertad de prensa y de expresión, así como de la vida, integridad y seguridad personal a los periodistas Ángeles Mariscal e Isain Mandujano.

Que el gobierno de Chiapas se conduzca bajo el respeto al derecho a la Libertad de Expresión y del Derecho a la Información, consagrados tanto en los artículos 6º y 7º de nuestra Constitución Política; en los Arts. 18º y 19º de la Declaración Universal de los Derechos Humanos; como en los Arts. 18º y 19º del Pacto Internacional de Derechos Civiles y Políticos; y en el Art. 13º de la Convención Interamericana sobre Derechos Humanos.

Cese inmediato de toda acción de criminalización, hostigamiento, amenazas y presión, ejercida contra periodistas y comunicadores  en Chiapas, así como a todos los defensores de derechos humanos.

Que el estado mexicano tome las medidas pertinentes para garantizar la vida, la integridad y seguridad personal de los periodistas Ángeles Mariscal, Isain Mandujano, así como de sus familiares y amigos.

Firma

……………

I FATTI

I citati giornalisti denunciano: “contro di noi è stata lanciata una campagna mediatica, attraverso la radio pubblica governativa, sui media stampati e online, su web, blog e social network”.

“Amici che lavorano nell’apparato di governo in Chiapas, ci hanno detto che è stato ingaggiato un gruppo di giovani esperti in sistemi informatici la cui missione è smentire ed attaccare nelle questioni politiche, l’ex governatore predecessore di Sabines, giornalisti come il sottoscritto ed organizzazioni come il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, attraverso le reti sociali di internet”. Questo gruppo di esperti è stato condotto in Chiapas “con un contratto confidenziale e sotto la minaccia di gravi conseguenze se qualcuno dei suoi membri renderà pubblico il suo lavoro”

Raccontano che recentemente “Nella notte tra sabato 18 e domenica 19, è stato aggredito Fausto Jacobo Elnecavé Luttman in un esclusivo bar della città, che non ho mai conosciuto in vita mia”.

Isaín Mandujano denuncia che “Vogliono coinvolgermi in questa aggressione lasciando intendere che sarei l’autore intellettuale, perché segnala la Procura, gli aggressori avrebbero agito a mio nome. Ritengo questo una grossolana nuova azione per spaventarmi non avendo fino ad ora nessun altro elemento per censurare il mio lavoro. Mi dissocio da qualsiasi atto violento”.

“Come ho documentato personalmente, in Chiapas si abusa del potere, della forza pubblica, si piegano i giudici e si distorcono le leggi e ritengo che non esistoao le condizioni per svolgere un giornalismo dove sia garantita la mia sicurezza e principalmente quella della mia famiglia esposta ad elevato rischio di aggressioni.”

” Il mio blog e la mia presenza nei social network disturbano i promotori della “bella immagine” del governo del Chiapas. Per cui non escludiamo che vogliano implicarci in altre denunce o false accuse. Sappiamo che in Chiapas dall’apparato pubblico si cospira contro quello che ritengono attenti contro i loro interessi.”

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La Jornada – Martedì 28 giugno 2011

Minacciate basi di appoggio dell’EZLN

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 giugno. Nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, le basi di appoggio dell’EZLN sono minacciate di morte, perseguitate ed a rischio di sgombero forzato, ha comunicato questa notte il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Gli aggressori sono abitanti dello stesso ejido affiliati a PRI, PRD e PVEM.

Il Frayba ha allertato “sull’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale che subiscono le basi zapatiste di San Marcos Avilés, poiché le minacce di morte sono aumentate”, oltre all’occupazione ed esproprio di terre.

Hanno ricevuto minacce anche i membri dell’Accampamento Civile per la Pace installato nella comunità lo scorso aprile. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/28/politica/015n3pol

Link: Azione Urgente del Frayba

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 27 giugno 2011

Comunità in Chiapas si oppongono alla riforma dei Licei Interculturali

Hermann Bellinghausen. Inviato.San Cristóbal de las Casas, Chis., 26 giugno. Autorità comunitarie e comitati di genitori dei Licei Interculturali della zona Nord respingono il progetto della Segreteria della Pubblica Istruzioni (SEP) di trasformare le loro scuole in parte del sistema di Istruzione Media Superiore a Distanza (Emsad). L’imposizione di questa misura è vista dalle comunità “come una forma di discriminazione e mancanza di rispetto delle garanzie costituzionali”.

Le autorità educative dello stato, aggiungono gli indigeni, “fanno pressione sugli insegnati, sul personale amministrativo e sui genitori affinché accettino la riforma”. Le comunità non sono d’accordo, “perché è molto positivo” il lavoro svolto da questi centri di studio. “Qui si sono formati, nei passati cinque anni, un gran numero di giovani che attualmente frequentano l’università e che rivendicano la propria identità, elaborano progetti comunitari per uno sviluppo sostenibile, rispettano la loro forma di organizzazione e la percezione del mondo”.

In altre entità “i governi statali si sono fatti carico dell’operato di questi licei e ne stanno aprendo di nuovi”.

I Lice Interculturali rappresentano un’esperienza fortunata nelle comunità, principalmente tzeltales, di Chilón e Yajalón. Dal 2005 in Chiapas ci sono quattro licei interculturali: tre a Chilón (San Jerónimo Tuliljá, Nuevo Progreso e Jol Sac Hun) ed uno ad Amado Nervo, municipio di Yajalón.

Questi istituti sono amministrati dal Collegio Liceale del Chiapas ed operavano in base ad un accordo tra la SEP ed il governo statale. Ora, la SEP ha deciso di revocare l’accordo e, secondo le comunità,  “il governo del Chiapas, col pretesto che non riceve più finanziamenti federali, vuole cancellare l’opera di questi istituti e trasformarli in Emsad”.

Una quinta scuola interculturale, a Guaquitepec (Chilón), più antica e con caratteristiche più autonome, nei mesi recenti ha visto minacciata la sua sopravvivenza dai cacicchi filogovernativi e da presunti problemi agrari (La Jornada, 15 e 16 aprile).

Gli indigeni invocano l’articolo 2 della Costituzione, che stabilisce che lo Stato deve “garantire ed incrementare i livelli di scolarità, favorendo l’educazione bilingue e interculturale, l’alfabetizzazione, la conclusione dell’educazione base, la formazione e l’istruzione media superiore e superiore”, e segnalano che il Trattato 169 dell’OIL, sottoscritto dal governo messicano, “riconosce il diritto alla libera determinazione dei popoli indigeni”.

I comitati dei genitori dei Licei Interculturali chiedono al governo di Juan Sabines Guerrero “le risorse necessarie per far funzionare questi licei, e che si adeguino gli stipendi del personale docente ed amministrativo”, che ha ricevuto un trattamento salariale discriminatorio. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/27/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
27 giugno 2011
Azione Urgente No. 3
Minacce di morte, persecuzione e rischio di sgombero forzato a San Marcos Avilés
Secondo informazioni raccolte da questo Centro dei Diritti Umani (Frayba), nell’ejido San Marcos Avilés, municipio di Chilón, esistono minacce di morte, persecuzione, abuso e rischio di sgombero forzato delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) da parte di abitanti dello stesso ejido) affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI), Partito della Rivoluzione Democratica (PRD) e Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).
Di fronte a questa situazione il Frayba manifesta la sua preoccupazione per l’imminente rischio della vita, integrità e sicurezza personale che subiscono le BAEZLN, abitanti dell’ejido San Marcos Avilés, poiché dette minacce di morte sono proseguite ed anzi aumentate nel corso degli ultimi giorni; inoltre l’occupazione ed esproprio di terre impedisce di lavorare nei campi e di raccoglierne i prodotti di base per la comunità e questo provoca la mancanza di cibo con conseguente gravi danni per la salute di bambini, bambine, donne, uomini, anziane ed anziani.
Per questo, le famiglie BAEZLN temono di essere nuovamente sgomberate, ragione per cui questo Centro dei Diritti Umani denuncia:

La responsabilità dello Stato per omissione poiché le autorità governative non hanno agito per garantire l’integrità ela sicurezza fisica delle BAEZLN e l’accesso alla terra nonostante i vari interventi inviati da questo Centro dei Diritti Umani;

e chiede:
• La sospensione delle minacce di morte, persecuzione e sgombero contro le BAEZLN da parte dei membri dei partiti politici dell’ejido San Marcos Avilés;
• Di proteggere e garantire la vita, l’integrità e la sicurezza personale delle BAEZLN nel rispetto del loro processo autonomistico che stanno costruendo da anni nell’ambito del diritto alla libera determinazione dei popoli, stabilito dal Trattato 169 sui popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti e dalla Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni.

Precedenti:
IL 9 settembre 2010 questo Centro dei Diritti Umani ricevette la denuncia della Giunta di Buon Governo Corazón Céntrico de los Zapatistas Delante del Mundo, del Caracol 2 Resistencia y Rebeldía por la Humanidad con sede ad Oventic, San Andrés Sakamch´en de Los Pobres, Chiapas, in relazione alle minacce di sgombero forzato contro 170 persone, tra uomini, donne, bambini BAEZLN, dell’ejido San Marcos Avilés del municipio de Chilón, Chiapas; dopo che nel mese di agosto 2010 le BAEZLN avevano costruito la prima scuola autonoma nell’ejido per l’avvio delle attività previste dal Sistema Educativo Ribelle Autonomo Zapatista.
Quel giorno, 30 persone dell’ejido San Marcos Avilés affiliate ai partiti PRI, PRD e PVEM, guidati da Lorenzo Ruiz Gómez e Vicente Ruiz López, entrarono in maniera violenta, con bastoni, machete ed armi nelle case di Basi dell’EZLN, tentando di violentare due donne che riuscirono a scappare. Per non rispondere all’aggressione, le BAEZLN abbandonarono le proprie case rifugiandosi in montagna. Dopo 33 giorni di allontanamento forzato senza cibo e senza alcuna protezione, il 12 ottobre 2010 famiglie BAEZLN, 50 donne, 47 uomini e 77 bambini; in totale 170 persone fecero ritorno in comunità.
Sulla base di quanto documentato da questo Centro dei Diritti Umani, le case degli sfollati sono state saccheggiate e derubate di tutti i loro beni, mais e fagioli; le loro coltivazioni di caffè ed alberi da frutta sono stati distrutti; sono spariti anche gli animali che ogni famiglia possedeva.
Da quando il Frayba è a conoscenza dei problemi dell’ejido San Marcos Avilés, ha informato in diverse occasioni le autorità governative della situazione, al fine di sollecitare il compimento del loro obbligo di garantire l’integrità e la sicurezza personale degli abitanti e cercare una soluzione al conflitto. Nonostante questo, non c’è stata risposta.
Tuttavia, anche quando la popolazione sfollata ha fatto ritorno nella comunità di origine, abbiamo ricevuto e documenato minacce persistenti e quotidiane nella comunità, per cui esiste il rischio di sgombero forzato. Il giorno 6 aprile 2011, nell’ejido è stato installato un Accampamento Civile per la Pace, composto da osservatori civili per dissuadere possibili azioni violente, tuttavia anche loro stessi sono oggetto di minacce.
*-*
MANDATE LA VOSTRA PROTESTA AGLI INDIRIZZI RIPORTATI IN FONDO AL TESTO CHE PROPONGO, METTENDO SEMPRE IN COPIA IL FRAYBA:

Nos unimos a la solicitación del Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas para señalar la situación de amenazas de muerte, hostigamiento, despojo y riesgo de desplazamiento forzado a Bases de Apoyo del ejercito Zapatista de Liberación Nacional (BAEZLN) por parte de habitantes del mismo ejido, afiliados al Partido Revolucionario Institucional (PRI), Partido de la Revolución Democrática (PRD) y Partido Verde Ecologista de México (PVEM) en el ejido San Marcos Avilés, municipio de Chilón, Chiapas, y exigimos:
• El cese a las amenazas de muerte, hostigamiento y despojo en contra de las BAEZLN por parte de los integrantes de los partidos políticos del ejido San Marcos Avilés;
• Proteger y garantizar la vida, la integridad y seguridad personal de las BAEZLN respetando su proceso autónomo que vienen construyendo desde años en el marco del derecho a la libre determinación de los pueblos, establecido en el Convenio (No. 169) sobre pueblos indígenas y tribales en países independientes y la Declaración de las Naciones Unidas sobre los Derechos de los Pueblos indígenas.

Inviare a:

Lic. Felipe de Jesús Calderón Hinojosa
Presidente de la República
Residencia Oficial de los Pinos
Casa Miguel Alemán
Col. San Miguel Chapultepec,
C.P. 11850, México DF
Tel: (52.55) 2789.1100 Fax: (52.55) 5277.2376 Correo: felipe.calderon@presidencia.gob.mx

Lic. José Francisco Blake Mora
Secretario de Gobernación
Bucareli 99, 1er. Piso, Col. Juárez,
Del. Cuauhtémoc,
C.P. 06600 México D.F.
Fax: (52.55) 50933414;
secretario@segob.gob.mx, contacto@segob.gob.mx

Lic. Juan José Sabines Guerrero
Gobernador Constitucional del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 1er Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Fax: +52 961 61 88088 – + 52 961 6188056
Extensión 21120. 21122; Correo: secparticular@chiapas.gob.mx

Dr. Noé Castañón León
Secretario General de Gobierno del Estado de Chiapas
Palacio de Gobierno del Estado de Chiapas, 2do Piso
Av. Central y Primera Oriente, Colonia Centro, C.P. 29009
Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, México
Conmutador: + 52 (961) 61 2-90-47, 61 8-74-60
Extensión: 20003; Correo: secretario@secgobierno.chiapas.gob.mx

Lic. Raciel López Salazar
Procuraduría General de Justicia de Chiapas
Libramiento Norte Y Rosa Del Oriente, No. 2010, Col. El Bosque
C.P. 29049 Tuxtla Gutiérrez, Chiapas
Conmutador: 01 (961) 6-17-23-00. Teléfono: + 52 (961) 61 6-53-74, 61 6-53-76, 61 6-57-24,
61 6-34-50
raciel.lopez@pgje.chiapas.gob.mx

Dr. Santiago Canton
Comisión Interamericana de Derechos Humanos
1889 F Street, NW
Washington, D.C. 20006
USA
Fax 1-202-458-3992

INVIARE COPIA DELLA VOSTRA PROTESTA A:
Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.
Calle Brasil 14, Barrio Méxicanos,
29240 San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
Tel: 967 6787395, 967 6787396, Fax: 967 6783548: accionurgente@frayba.org.mx

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La Jornada – Domenica 26 giugno 2011

Liberati i due indigeni basi di appoggio dell’EZLN; sono stati torturati e feriti

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 25 giugno. Torturati, feriti e crudelmente vessati, i due indigeni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), del municipio autonome Lucio Cabañas, sono stati liberati giovedì dai loro sequestratori dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao) che li trattenevano dal giorno 20. La situazione continua ad essere tesa nella regione Primero de Enero, vicina a questa città, e le basi zapatiste stanno di guardia nella sede autonoma.

La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arco iris de la esperanza, nel caracol Torbellino de nuestras palabras, nell’ejido Morelia, ha comunicato che Alberto e Pablo, come si sono identificate le vittime, sono feriti. Il giorno 23 si sono ammalati “e non hanno mai ricevuto un trattamento umano”. Sono stati sequestrati per ottenere la loro “resa”.

Alberto presenta “un taglio da bastonata dietro la testa e continua a sanguinare per i colpi subiti, perde sangue da bocca e naso ed ha abrasioni e lividi su tutto il corpo”. E Pablo “è nelle stesse condizioni, perde sangue dalle orecchie, ha il viso tumefatto, le labbra rotte, ha perso un dente e non può parlare né camminare per i colpi subiti alle gambe”.

Il 21 giugno, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) aveva cercato di vederli nel villaggio Patria Nueva, ma i loro sequestratori l’hanno impedito. Con questi ostaggi, la Orcao pretendeva “fare pressione sulla JBG per dialogare con i suoi leader”. La giunta si domanda: “Di che cosa vogliono che parliamo? La terra è recuperata dal 1994, la stiamo coltivando da 16 anni in tutta tranquillità”.

I dirigenti della Orcao, Antonio Suárez Cruz e Cristóbal López Gómez, “El Sadam“, leader di Sibak já, “tentano di nascondere i loro reati dicendo che il terreno dove lavorano i nostri compagni sono stati concessi in amministrazione fiduciaria dal malgoverno”, un programma che risale al periodo di Roberto Albores Guillén (chiamato El Croquetas dagli zapatisti). “Ricorderete la ferocia nel suo governo per smantellare i municipi autonomi e distruggere i popoli zapatisti. Sulle ceneri create da Albores Guillén arde il fuoco che oggi divampa”.

Allora, aggiunge la JBG, “subimmo provocazioni, intimidazioni, vessazioni… affinché la nostra lotta sembrasse una lotta tra indigeni”. Ora, con la presunta “legalizzazione” governativa della terra, “sotto la farsa della legge che loro si sono inventati” vogliono far passare gli zapatisti come “provocatori”.

Gli zapatisti accusano di “riattivare la persecuzione” attraverso la Orcao, i governi federale, statale e municipale, rispettivamente, Felipe Calderón Hinojosa, Juan Sabines Guerrero ed Arturo Zúñiga Urbina (di estrazione panista), che formano “una squadra di sobillatori, incominciando dagli scagnozzi locali e regionali della Orcao chiaramente noti che obbediscono a quello che dicono gli scagnozzi più in alto, attentatori dei nostri diritti perché non condividiamo gli inganni che stanno facendo nel nostro paese”.

La mattina del giorno 23 giugno, davanti ai loro rapitori della Orcao, gli ostaggi hanno raccontato di essere stati picchiati e derubati di mais, fagioli, canna da zucchero, rotoli di filo spinato, materiali per il lavoro nei campi, coperte, zaini e la loro casa è stata bruciata”. Ciò nonostante, “il nostro compagno si è reso conto che molti che militano nella Orcao vengono ingannati”sui motivi dello scontro”. Pablo ed Alberto “di giorno erano rinchiusi nella prigione della comunità e di notte li portavano in una sala della scuola, lontano dalla comunità, sorvegliati da 30 persone. Verso le 3 del mattino ritornavano in prigione. Non hanno mai ricevuto acqua, coperte ed hanno sofferto le punture di zanzare e la fame”.

Alla fine, quelli della Orcao hanno obbligato gli ostaggi a firmare un documento sotto la minaccia di essere nuovamente picchiati; poi li hanno lasciati andare.

In altro ordine, il Comitato dei Diritti umani Oralia Morales, il Frayba ed il Movimento per la Giustizia del Barrio hanno reso nota la liberazione senza accuse, lo scorso 6 giugno, di Patricio Domínguez Vázquez, base di appoggio zapatista dell’ejido Monte Redondo, chi si trovava in carcere senza motivo a Motozintla dal 14 aprile, come aveva denunciato allora la JBG di La Realidad. Le organizzazioni civili manifestano preoccupazione per l’integrità e la sicurezza di Bersaín Palacios de León, anch’egli contadino di Monte Redondo (Frontera Comalapa) che ancora si trova in prigione. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/26/politica/019n1pol

Comunicato completo della JBG di Morelia

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 25 giugno 2011

Si propone un complesso alberghiero senza alcuna garanzia per la comunità chiapaneca dei Montes Azules

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 24 giugno. Tutto sembrava pronto per la costruzione di un complesso alberghiero nella laguna di Miramar, nei Montes Azules, e la Segreteria del Turismo (Sectur) parlava di finire l’opera questo stesso anno. Nel frattempo, la comunità Emiliano Zapata, dove verrebbe realizzata l’opera, è divisa e senza consenso. Secondo coloro che ancora si oppongono, i promotori del progetto sono le precedenti autorità ejidales che rappresentano una minoranza. Inoltre, si teme che tali autorità abbiano ricevuto “ricompense per far passare la proposta”. Per adesso, il progetto è stato sospeso per mancanza di accordo.

Secondo il progetto ufficiale, l’uso di terre e lo sfruttamento turistico della laguna di Miramar seguirà tre fasi. Per i primi dieci anni gli impresari turistici gestiranno direttamente il complesso; la Società di Ecoturismo degli Ejidatarios potrà far parte dell’amministrazione e riceverà il 10% dei guadagni (al netto delle spese dell’hotel che, secondo le ultime notizie della Sectur, non sarebbe un complesso di capanne, non più). Successivamente, gli ejidatarios potranno scegliere se gestire il complesso, “a patto che” si siano qualificati per farlo. In caso contrario, l’amministrazione del complesso rimarrà nelle mani degli stessi impresari, o di altri, per i successivi 10 anni. Nel 2031 si aprirà nuovamente la possibilità di cambiare gestione, prima dell’ultimo periodo di possesso contemplato nell’accordo, nel 2042.

Su questa proposta gli ejidatarios hanno svolto varie assemblee. Il timore principale di molti era perdere il controllo delle proprie terre, che gli impresari “si sentano padroni” e loro diventino “i loro manovali”, restando al margine dei veri guadagni. In una riunione con la Sectur, l’anno scorso, respinsero il progetto. Secondo la testimonianza degli ejidatarios, “la dott.ssa Monica (funzionaria incaricata del negoziato), prima di salire sull’elicottero che la portava sempre qui, ci disse, infastidita: ‘sta bene, se non volete essere ragionevoli, allora il progetto si farà nella comunità di Benito Juárez’ “. La funzionaria assicurò che lì gli ejidatarios avrebbero accettato la proposta, perché chiedevano progetti simili. Anche Benito Juárez, considerato “irregolare” dalla Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali (Semarnat), possiede terreni nella laguna. Secondo quelli di Zapata, lì la strada progettata sarebbe più lunga.

La funzionaria diede un ultimatum e l’assemblea si riunì nuovamente. Il gruppo favorevole al progetto ottenne l’approvazione, dopo una discussione che descrivono “aspra”, per maggioranza di voti dell’assemblea (che esclude donne e giovani senza terra). Allo scadere dell’ultimatum, gli ejidatarios comunicarono telefonicamente alla Sectur l’approvazione del progetto. La funzionaria ritornò “piena di giubilo” ed all’inizio del 2011 è stato firmato l’accordo tra le autorità ejidales, Sectur ed impresari.

Semarnat ha dichiarato in documenti pubblici che la riserva dei Montes Azules è un caso di conservazione “di successo”, per la generazione di progetti di sviluppo che vincolano la popolazione locale alla preservazione dell’ambiente. Allora, si domandano gli ejidatarios, “perché ci hanno sempre bocciato la proposta delle capanne ed ora portano un macroprogetto che trasforma noi padroni di queste terre in impiegati di un’impresa che si installa nell’ejido?”.

Secondo i suoi critici, il progetto della Sectur, approvato da Semarnat, non si propone di generare meccanismi per uno sviluppo sostenibile e duraturo della popolazione, bensì obbedisce a progetti di lungo termine che assicurino il controllo imprenditoriale di spazi strategici. Il complesso che si vuole costruire non garantisce fonti di reddito “sicure e degne” per i contadini, né assicura loro il controllo sui loro territori. Invece, riproduce un modello che divide chi amministra i beni e conserva il 90% dei guadagni, e chi svolge lavori precari e si spartiscono il resto.

Non sembra neppure pesare la considerazione che le famiglie abbiano almeno uno dei propri membri come “illegale” negli Stati Uniti. Secondo il rapporto di un ricercatore dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia, che ha chiesto l’anonimato (La Jornada 22/06/11), “le enormi carenze della popolazione che si trova nelle zone a grande biodiversità sono parte degli elementi che permettono alle autorità di fare pressione sugli abitanti per far accettare posizioni subordinate nelle loro terre e nei progetti che loro stessi hanno gestito”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/25/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 24 giugno 2011

La Semarnat ha concesso alla Sectur il permesso che per anni ha negato agli indigeni. Gli ejidatarios dei Montes Azules avevano ideato un progetto che preserva l’ambiente. Avevano costruito capanne e sentieri per guidare i visitatori; il progetto federale però è bloccato.

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 23 giugno. L’espansione di infrastrutture turistiche in comunità indigene ed aree naturali è sempre più attiva. Governo e investitori privati considerano prevalentemente l’aspetto funzionale dei progetti e l’attrazione di valuta, senza considerare la praticabilità stessa presso le comunità sotto questo nuovo regime economico e lavorativo, così come la contraddizione che lo sfruttamento turistico incrementa il rischio per le ricchezze naturali che, se ancora esistono, lo si deve al fatto che si trovano lontano dalle rotte turistiche.

Oggi non si parla più di ecoturismo. Il nuovo concetto è “geoturismo”. Come nei giorni scorsi spiegava la sottosegretaria della Segreteria del Turismo del Chiapas, Mónica Véjar Corona, “per sviluppare il nuovo (il geoturismo ed il turismo di avventura) dobbiamo creare strategie per distribuire e promuovere le linee di azione che sono l’integrazione di prodotti turistici, la loro commercializzazione e la professionalità degli operatori turistici”.

Si tratta, dunque, di “prodotti”. Nello stesso modo, trasformare in cameriere o parcheggiatore un contadino è “creare posti di lavoro”. Lo scorso giorno 15, la funzionerebbe definiva il geoturismo “un nuovo modo di viaggiare attraverso cui si genera un marchio territoriale”, e lo stato “conta su geografia, cultura, artigianato, gastronomia, tradizioni e stile di vita che sono i principali punti che devono unirsi per essere presenti su scala internazionale”. Ha dichiarato inoltre alla stampa locale che si sta elaborando una “mappa turistica” che sarà avallato dal National Geographic.

Un caso emblematico dei nuovi progetti del governo federale, applicati poi dal governo statale, è quello dell’ejido Emiliano Zapata (Ocosingo), ai bordi dei Montes Azules, dove il fiume Perlas si unisce allo Jataté, e la laguna di Miramar è accessibile dall’esterno della riserva della biosfera che comincia proprio lì. Nel 1999 gli ejidatarios construirono sei capanne nella sede dell’ejido, a cinque kilometri da Miramar, e fondarono la Società di Ecoturismo di Zapata Laguna Miramar, oggi con 125 soci.

La società ha un presidente, un segretario e un tesoriere; il resto dei soci si alterna nei lavori di “vigilanza” e “guide turistiche”. Accompagnano piccoli gruppi di visitatori su sentieri stabiliti. Un aspetto positivo della vigilanza permanente della laguna è che evita la distruzione e la caccia di frodo.

L’esperienza ha dimostrato che i turisti preferiscono accamparsi nella laguna. Per questo, dopo l’inaugurazione delle capanne nel 2002, gli indigeni chiesero alla Commissione per lo Sviluppo dei Popoli Indigeni (CDI) ed alla Segreteria dell’Ambiente (Semarnat) di poter installare altre capanne nelle vicinanze della laguna. Gli ejidatarios riferiscono che l’autorizzazione fu ripetutamente negata dalla Semarnat, “con il pretesto dell’importanza della laguna per la conservazione ambientale”. Da parte loro, gli abitanti di Zapata chiesero una strada per accedere ai propri appezzamenti e coltivazioni e per l’ingresso dei turisti attraversando il fiume Perlas. Richiesta anche questa respinta dalla Semarnat con gli stessi argomenti.

Il rifiuto si è ripetuto per anni. All’improvviso, a detta degli ejidatarios, nel 2010 “è arrivata la risposta”. La Sectur li informò che il progetto era fattibile, ma non con le modeste caratteristiche che loro proponevano, né che sarebbe stato gestito dagli ejidatarios. Il progetto autorizzato si riferiva alla costruzione di un grande complesso alberghiero su un’area di 40 mila metri quadrati, dati in concessione agli ejidatarios per un periodo di 30 anni, a poco più di un chilometro da Miramar, con un investimento iniziale – pubblico e privato – di 22 milioni di pesos, come si disse agli indigeni.

La Sectur offriva di creare posti di lavoro, asfaltare le strade del villaggio, realizzare la richiesta, sistemare le fognature e le case per “meglio presentarle” ai turisti e, “col tempo”, rifare la scuola primaria e la secondaria. Nello stesso tempo, annunciava che i turisti sarebbero arrivati in grandi gruppi con pacchetti “tutto compreso”.

Tuttavia, per le divisioni in seno alla comunità (più precisamente, per le posizioni contrarie), gli ejidatarios dicono di aver incontrato “complicazioni con le persone della Sectur”, ed il progetto è rimasto in sospeso, non si sa per quanto tempo. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/24/politica/020n1pol


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La Jornada – Giovedì 23 giugno 2011

Sequestrati e torturati due zapatisti ad Ocosingo

HERMANN BELLINGHAUSEN

Ocosingo, Chis., 22 giugno. La giunta di buon governo (JBG) del caracol di Morelia ha denunciato aggressioni e tentativi di espulsione e esproprio contro basi di appoggio dell’EZLN da parte di membri dell’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di Caffè di Ocosingo (Orcao), che tengono sotto sequestro e tortura due zapatisti nell’ejido Patria Nueva.

Da anni, dice la giunta, “queste persone ripetono le loro provocazioni per problemi legati alla terra che abbiamo recuperato dopo il gennaio del 1994 e che ci vogliono togliere con la forza”.

I nuovi fatti risalgono al giorno 10 nella comunità Mártires, municipio autonomo Lucio Cabañas, quando gente della Orcao che vive nell’ejido Patwitz (Chilón) è arrivata a casa di Antonio Pérez López ad intimargli di abbandonare l’EZLN e passare alla Orcao. L’hanno interrogato – denuncia la JBG – con “tono minaccioso e dalla sua risposta negativa hanno agito secondo i loro piani”.

Hanno tagliato la piantagione di chile e la milpa di Pérez López. Hanno raccolto un ettaro di caffè dal campo collettivo. Il giorno 11 “sono continuati i danneggiamenti con la distruzione del recinto e si sono ‘presi le misure’ del terreno per per ognuno della Orcao; praticamente ci stavano dicendo che volevano espellerci”.

Il giorno 15 sono tornati “per lavorare il terreno che presumevano spettasse loro; avevano machete, zappe e pompe per fumigare ed inquinare le nostre terre”. Inoltre, hanno rubato l’acqua della famiglia che vive sul posto rimuovendo il recipiente per estrarre l’acqua dal pozzo; “di questo modo hanno avvelenato l’acqua e si sono portati via due rotoli di filo spinato”.

Il giorno 17 “hanno rimosso il recinto di filo di ferro ed i pali” trasformandoli in legna, e si è  persa una mucca. Il giorno 20, le basi zapatiste si sono organizzate “per ripristinare il recinto”. Quelli di Patwitz hanno bloccato la strada che porta a questo terreno. “I nostri compagni sono entrati passando da un’altra parte e quando quelli della Orcao l’hanno saputo sono andati sul posto dove stavamo lavorando”, aggiunge la JBG.

“Hanno cercato dei bastoni per picchiare i compagni, mentre altri si sono diretti verso la loro casa per distruggerla”. Prima di incendiarla, l’hanno saccheggiata ed hanno bruciato gli zaini di quelli che stavano lavorando lì. Due zapatisti, Pablo e Alberto, sono stati catturati e condotti a Patwitz, “li hanno fatti salire in macchina e li hanno picchiati”.

Cristóbal López Gómez (El Sadam) ed i rappresentanti locali della Orcao “hanno convocato una riunione per discutere che cosa fare della casa grande, dove si riuniscono i nostri compagni della regione Primero de Enero, e dei due catturati”. Il 21, hanno raccolto circa 125 persone di diverse comunità per portare i fermati nell’ejido Patria Nueva, vicino ad Ocosingo. Mentre li trasferivano continuavano a picchiarli. Dice la JBG che, fino ad ora, “continuano a minacciare di bruciarli vivi e di distruggere la casa dove facciamo le riunioni”.

La giunta zapatista denuncia che gli aggressori sono guidati da López Gómez (di Patria Nueva) e dai leader della Orcao di Sibak’já  e  El Sacrificio La Esperanza. “Prima non credevamo che fossero paramilitari, ora, con questi fatti, la cosa è chiara”.

La JBG denuncia anche aggressioni e furti di membri di Orcao ad Abasolo contro il nuovo villaggio zapatista di San Diego. Le autorità ribelli segnalano infine che il 20 giugno, “mentre Juan Sabines benediceva mentendo le sue opere ingannevoli nei municipi ufficiali di Sitalá, Pantelhó ed Altamirano, si è visto il buon samaritano regalare zaini a persone manipolate ed alcune banconote per tranquillizzarle”. Questi “attacchi economici ed ideologici contro i nostri popoli” sono accaduti “mentre i suoi complici della Orcao, nello stesso giorno, picchiavano i compagni per la nostra resistenza e per lavorare e difendere le nostre terre”.

Da parte sua, il dirigente della Orcao, Antonio Juárez Cruz, ha ammesso che militanti della sua organizzazione da questo lunedì trattengono due zapatisti a Patwitz, per la presunta disputa di 32 ettari. Afferna che il problema è iniziato quando circa 100 zapatisti si sono impadroniti della proprietà San Antonio Chivaljá, “acquisito dalla Orcao con una fideiussione” col governo. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/23/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 22 giugno 2011

La Segreteria del Turismo (Sectur) autorizza la costruzione di un complesso alberghiero nella riserva dei Montes Azules

Hermann Bellinghausen. Inviato. Ocosingo, Chis., 21 giugno. Nella laguna di Miramar, nella Riserva Integrale della Biosfera Montes Azules (RIBMA), considerata dalle autorità ambientali prioritaria per la conservazione su scala nazionale, sta per iniziare la costruzione di un grande complesso alberghiero. Questo starebbe avvenendo “senza il consenso degli abitanti e senza perseguire un vero sviluppo sostenibile per gli abitanti della regione”, secondo il rapporto confidenziale di un esperto dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH), che ha chiesto l’anonimato, e che è confermato dalle testimonianze degli abitanti tzotziles e choles dell’area.

Nel 2010 funzionari federali della Segreteria del Turismo (Sectur) ed impresari hanno negoziato con i coloni dell’ejido Emiliano Zapata, le cui terre confinano con la bellissima laguna Miramar, “la concessione di quattro ettari per la costruzione di questo complesso, così come il diritto di sfruttamento turistico della laguna per i prossimi 30 anni”.

Analisti, giornalisti ed organizzazioni indigene ed ambientaliste presenti nella selva Lacandona hanno ripetutamente denunciato che le misure di ricollocamento e sgombero di popolazioni insediate nei Montes Azules successivamente al decreto che creò la “riserva della biosfera”, nel 1978, vogliono espellere gli indigeni per sfruttare la zona turisticamente e commercialmente. Questo si rivolge a località considerate “irregolari” in prossimità delle lagune Suspiro, Ocotal e Ojos Azules, principalmente 6 de Octubre e Nuevo San Pedro, a nord dei Montes Azules. Le altre comunità prese di mira sono Nuevo San Gregorio, Nuevo Salvador Allende, Benito Juárez e Ranchería Corozal.

La costruzione, a quanto pare imminente, del complesso turistico a Miramar conferma i piani governativi ed industriali per privatizzare e subordinare le comunità. Secondo il rapporto, in possesso de La Jornada, le autorità “che hanno avallato la costruzione del presente complesso e progetti simili, non vogliono coinvolgere le popolazioni locali nei benefici e nelle responsabilità della conservazione, ma, con le loro azioni di fatto, risultano corresponsabili dall’appropriazione di zone strategiche della selva Lacandona”. In questa concezione di sviluppo si iscrivono i centri di turismo ambientale nelle mani di privati e la riconversione di ampie zone alla monocoltura di palma africana e pinoli per produrre biocombustibili.

Una parte dei coloni coinvolti racconta i precedenti della costruzione del complesso alberghiero. Non stupisce che, come in tanti altri casi, risulti chiave la divisione delle comunità per disattivare qualunque resistenza. Un dato significativo è che la base militare di San Quintín si trova a poco più di un chilometro da Emiliano Zapata, ejido fondato a metà del secolo XX e che ha ottenuto il riconoscimento presidenziale nel 1969.

Così, il decreto della RIBMA, che comprende parte dell’ejido, risulta successivo. Le terre della comunità possiedono caratteristiche “relativamente adeguate” per la produzione agraria e l’ecoturismo: terre pianeggianti, acqua abbondante ed attrazioni turistiche. Vi abitano circa 850 choles e tzotziles. In questa regione, la maggioranza di indigeni tzeltal sono agricoltori “milperos” che producono per autoconsumo. L’unica produzione commerciale è quella del bestiame.

A completamento del complesso alberghiero ci sarà una strada che faciliterà l’affluenza dei turisti. In relazione agli studi di impatto ambientale e all’autorizzazione del progetto da parte della Segreteria dell’Ambiente e Risorse Naturali, la Segreteria del Turismo disse agli ejidatarios “che non dovevano preoccuparsi al riguardo”. Con loro sorpresa, riferiscono gli ejidatarios, seppero che le autorità ambientali “avevano già effettuato gli studi” per autorizzare il progetto, mentre altri loro progetti, più modesti, erano stati respinti per presunte incompatibilità ambientali. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/22/politica/025n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 giugno 2011

Nel corso dell’attuale amministrazione sono almeno 42 i giornalisti assassinati

Dalla Redazione. Nel corso dell’amministrazione di Felipe Calderón sono almeno 42 i giornalisti assassinati in 16 stati, 10 sono scomparsi dopo essere stati prelevati da presunti criminali e molti altri sono stati vittime di aggressioni come rappresaglia per il loro lavoro. Sulla maggioranza dei casi le autorità non hanno fatto chiarezza.

Guida la lista lo stato di Guerrero, con nove giornalisti uccisi e la sparizione di Marco Antonio López, capo informazione del periodico Novedades de Acapulco, che solo il 7 giugno scorso è stato privato illegalmente della libertà da degli sconosciuti.

Tra gli informatori assassinati figurano Jorge Ochoa, direttore dei settimanali El Oportuno e El Sol de la Costa; Juan Rodríguez, corrispondente di El Sol de Acapulco, e sua moglie María Hernández, direttrice del settimanale Nueva Línea, così come Evaristo Pacheco, di Visión Informativa.

Inoltre, Juan Martínez, del Grupo Radiorama Acapulco; Juan Hernández, editore del settimanale El Quijote de Taxco; Jean Ibarra, del giornale El Correo, di Iguala; Amado Ramírez, corrispondente di Televisa, e Misael Tamayo, direttore di El Despertar de la Costa.

Segue Chihuahua, con sei comunicatori assassinati: Luis Carlos Santiago, fotografo di El Diario de Juárez; María Isabella Cordero, incaricata delle pubbliche relazioni della Camera di Commercio; Norberto Miranda, direttore di digital Radio Visión.

Sono stati uccisi anche Ernesto Montañez, editore della rivista Enfoque; José Armando Rodríguez, di El Diario de Juárez; David García, editorialista di El Diario de Chihuahua, e Gerardo Guevara, del settimanale Siglo XXI.

Nello stato di Veracruz, con l’omicidio dell’opinionista Miguel Ángel López Velasco, del quotidiano Notiver, perpetrato ieri, sono cinque i giornalisti privati della vita ed altri quattro sono desaparecidos, anche se di questi ultimi si conosce solo il caso di Evaristo Ortega, direttore dei periodici Espacio e Diario de Misantla.

Gli altri quattro decessi si riferiscono a Hugo Barragán, collaboratore del periodico La Crónica de la Cuenca; Roberto Marcos, della rivista Testimonio; Adolfo Sánchez, corrispondente di Televisa Veracruz; Luis Méndez, conduttore della radio La Poderosa en Tuxpan, e Noel López Olguín, reporter di La Verdad del Sureste.

In Michoacán sono morti quattro giornalisti: Israel García, del periodico La Opinión de Uruapan; Miguel Ángel Villagómez, direttore del quotidiano La Noticia, di Lázaro Cárdenas; Martín Miranda, direttore di Panorama del Oriente, di Zitácuaro, e Hugo Olivera, corrispondente di La Voz de Michoacán, ad Apatzingán.

Altri tre risultano desaparecidos: Mauricio Estrada, reporter di La Opinión de Apatzingán; María Esther Aguilar, corrispondente di Cambio de Michoacán en Zamora, e Ramón Ángeles Zalpa, corrispondente di Cambio de Michoacán nella regione della meseta purépecha.

In Durango nel 2009 sono stati uccisi quattro comunicatori: Carlos Melo, corrispondente del periodico Tiempo de Durango; Eliseo Barrón, reporter di La Opinión; il cameraman Gerardo Esparza, e Bladimir Antuna, reporter del Tiempo de Durango.

In Sonora tre giornalisti sono morti per mano di presunti sicari: Pablo Aurelio Ruelas, che ha lavorato per il periodico Diario del Yaqui; Saúl Noé Martínez, del Diario de Agua Prieta, e Gustavo Alonso Acosta, del giornale Interdiario.

In Coahuila, sconosciuti hanno ucciso due giornalisti: Eliseo Barrón, reporter del periodico La Opinión Milenio, e Valentín Valdés, reporter del giornale Zócalo de Saltillo.

Dei restanti 10 omicidi, due sono stati commessi in Sinaloa: Óscar Rivera, portavoce del settore sicurezza del governo statale, e José Luis Romero, del notiziario radio Línea Directa. Due in Tabasco: Rodolfo Rincón e Alejandro Zenón. Uno in Nuevo León: Luis Emanuel Ruiz, fotografo del periodico La Prensa.

In Quintana Roo, José Velázquez, della rivista Expresiones de Tulum. In Baja California, il fotografo Gerardo Martínez, di El Sol de Tijuana.

In Tamaulipas, Carlos Guajardo, del quotidiano Expreso de Matamoros. In Jalisco, il direttore di Radio Universidad de Guadalajara a Ciudad Guzmán, José Galindo.

In Yucatán risultano desaparecidos due giornalisti. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/21/politica/010n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 giugno 2011

“Pericoloso” difendere i diritti umani in Messico, denuncia il Centro Digna Ochoa

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 20 giugno. La difesa dei diritti umani nel nostro paese oggi è “un lavoro pericoloso”, sostiene il Centro dei Diritti Umani Digna Ochoa (CDHDO). “Coloro che si occupano di questioni che riguardano l’ambiente, i diritti delle donne, contadini, giornalisti, migranti e indigeni,  ricevono quotidianamente minacce all’integrità fisica e psicologica loro e delle loro famiglie”. La situazione “è in continuo peggioramento”.

Il centro che opera nella città di Tonalá, ha annunciato oggi una “campagna nazionale ed internazionale contro la persecuzione giudiziaria e la criminalizzazione di avvocati ed attivisti sociali in Messico”, che inizierà il prossimo giovedì 23. Chiede inoltre la sospensione della persecuzione contro il suo direttore, Nataniel Hernández Núñez, dovuta principalmente all’accompagnamento dell’organizzazione alle proteste del Consiglio Regionale Autonomo della Zona Costa, aderente all’Altra Campagna.

In Messico – aggiunge il CDHDO – “c’è la guerra”, non solo quella “disastrosa” contro il crimine organizzato, bensì una “contro la gente e le sue lotte per una vita degna; gente che non vuole più essere continuamente calpestata e trattata come merce o delinquente”. Si ripetono, dunque, le storie di ingiustizia ed impunità. “La persecuzione e la repressione sono il modo in cui il governo di qualunque livello affronta i popoli che si organizzano per difendere le proprie terre e risorse”.

Ed aggiunge: “C’è la lotta per vendere e possedere le risorse. Quello che disturba i piani del potere e del denaro sono i popoli che difendono il loro stile di vita ed il loro lavoro, che vivono e preservano risorse, terre, acqua”.

In Chiapas c’è il caso, “tra molti altri”, di Nataniel Hernández, direttore del centro che ha accompagnato “i lavori e la lotta del Consiglio Autonomo Regionale della Zona Costa”. E’ stato fermato in due occasioni, “una con accuse di ordine statale e la seconda per reati federali”. Ciò rivela “la strategia di persecuzione contro il compagno e la repressione contro la gente che si organizza e lotta”. Hernández Núñez affronta “più di cinque processi penali assolutamente costruiti e viziati, l’ulteriore dimostrazione che in Messico la giustizia non esiste, prevale l’impunità”.

Per dimostrare che “non è solo, come nessuno altro che a difesa del suo popolo e dei suoi diritti alza la voce e si organizza”, insieme a “compagni e compagne nel paese e nel mondo”, il centro annuncia la sua campagna nazionale ed internazionale.

Questa chiederà “la cancellazione della minaccia giuridica contro gli attivisti sociali ed i difensori comunitari dei diritti umani”, in particolare la cancellazione dei processi “del governo messicano contro il compagno Nataniel, che sono parte di una strategia per fermare il lavoro di osservazione ed accompagnamento del CDHDO”. Nello stesso tempo, si pronuncerà per il rispetto delle garanzie individuali e collettive in Messico. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/21/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 18 giugno 2011

Minacciate le basi zapatiste di San Sebastián; la procura rifiuta di riceverle

Hermann Bellinghausen

Gli aderenti all’Altra Campagna dell’ejido San Sebastián Bachajón (municipio di Chilón, Chiapas) hanno denunciato di aver ricevuto minacce di morte e intimidazioni nella comunità K’anakil, dello stesso ejido, oltre alla mancanza di assistenza, compresi gli insulti del funzionario del Pubblico Ministero del municipio.

I rappresentanti di San Sebastián affermano che il 15 giugno un gruppo di donne aderenti all’Altra Campagna si era recato a Chilón per presentare una denuncia per minacce contro Nicolás Aguilar Mejía, originario di Reforma K’anakil e membro della nota banda criminale Los Aguilares, che insieme al gruppo paramilitare Los Chinculines nel decennio scorso imperversava nella regione.

Denunciano che il funzionario del Pubblico Ministero, José Manuel Pérez Gómez, “non le ha volute ricevere. Sarà perché ancora non avevano un buco nel petto o una mazzetta, ma sono come ogni altra persona che vuole giustizia ed a cui si nega questo diritto”.

Il giorno 12 è stato fermato Aguilar Mejía accusato di abigeato. La Polizia Giudiziaria lo ha trasferito nel carcere numero 12 di Yajalón. Gli ejidatarios temono che sia rilasciato: “In precedenza abitanti delle comunità vicine non hanno voluto denunciarlo per paura di essere sequestrati, picchiati o assassinati. È conosciuto come l’ultimo membro dei Los Aguilares, sequestratori, violentatori, ladri ed assassini”.

Tuttavia, aggiungono gli indigeni dell’Altra Campagna, “Il PM non ha voluto accogliere la denuncia dei cittadini”. Ritengono responsabile l’autorità “dell’integrità fisica degli abitanti di Reforma K’anakil se il delinquente sarà liberato”. Gli abitanti della comunità “sono molto spaventati che i membri della banda criminale possano vendicarsi per l’arresto del loro leader”.

Chiedono alle autorità “le misure necessarie per applicare la legge a quel delinquente, e nel caso fosse rilasciato saranno responsabili di qualunque fatto deplorevole che possa accadere agli abitanti di Reforma K’anakil ed alle comunità vicine”.

In una seconda denuncia, gli stessi ejidatarios accusano Melchorio Pérez Moreno e Francisco Guzmán Jiménez, del consiglio di vigilanza e commissario ufficiale dell’ejido, rispettivamente, i quali “per mancanza di capacità hanno generato la violenza nelle comunità ed imprigionando degli innocenti in complicità con agenti ausiliari e del PM”. Accusano anche i funzionari del Pubblico Ministero di Bachajón, Eduardo Hernández Guzmán, ed il suo segretario “specializzato in ingiustizia indigena”.

Tutto è iniziato il 4 giugno, rivelano, “quando Jerónimo Guzmán Monterrosa (secondo), originario della comunità Ba’pus, centro Alan Sac’un, è venuto a lamentarsi all’agenzia ausiliaria di quella comunità, perché l’autorità ufficiale stava recintando un terreno con l’intenzione di espropriarlo”. Invece di punire l’aggressore “hanno arrestato chi protestava perché sarebbe stato espropriato. E’ stato quindi trasferito a Bachajon dal PM, dove forzatamente gli hanno fatto firmare un verbale e pagare una multa di 1.500 pesos, anche se è l’offeso, un’altra vittima delle autorità filogovernative”.

Aggiungono altri casi di impunità, come quello di San José Pulemal, centro Ch’ich, dello stesso San Sebastián, dove il 2 giugno quattro persone sono rimaste ferite da armi da fuoco mentre altri sono stati arrestati per lo stesso problema agrario, “con violenza, abusi e prigione, la sola cosa che sanno fare”.

I tzeltales concludono: “Riteniamo responsabili le autorità di qualunque aggressione fisica, poiché si stanno immischiando in questioni già risolte dall”Altra Campagna. Vogliamo che si faccia giustizia con questi agitatori della società. Non permetteremo altri abusi”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/18/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PROCESO – 14 GIUGNO 2011

 Si chiede di far luce sulla morte del giornalista Matteo Dean

Homero Campa

MÉXICO, D.F. (apro).- Il giornalista Matteo Dean è morto sabato 11 in un incidente automobilistico avvenuto al casello di La Venta, sull’autostrada México Toluca.

Dean – 36 anni, collaboratore di Proceso e dell’agenzia Apro – è stato investito da un camion Kenworth – targato 0659 – mentre sulla sua motocicletta aspettava di pagare il  pedaggio, come ha riferito la polizia della capitale.

L’autista del camion che si è identificato come Jorge Alberto Martínez Espinoza, di 24 anni, ha dichiarato che il suo veicolo era senza freni.

“La sua morte è stata classificata come omicidio colposo, ma noi, suoi amici e parenti, chiediamo che si apra un’indagine per chiarire l’accaduto”, ha chiesto la moglie di Dean, Sol Patricia Rojo Borrego.

In una breve conversazione, Sol Patricia ha affermato che esistono circostanze strane sulla morte di Dean, come il fatto che il camion non ha suonato il clacson né ha lanciato segnali sul fatto che era senza freni, e non ha fatto alcun tentativo di evitare l’impatto contro Dean il cui corpo è stato trascinato per 30 metri.

Sol Patricia ha detto che fino alla notte di lunedì 13 il Pubblico Ministero non aveva raccolto la deposizione dell’autista del veicolo e mancavano i risultati della perizia per determinare la verità sul presunto difetto meccanico. Non si avevano neppure le immagini dell’incidente riprese dalla videocamera installata al casello.

Collaboratore di diversi media messicani ed europei, Dean era nato a Trieste, Italia. Era arrivato in Messico negli anni ’90 ed era impegnato con diverse organizzazioni che lottano per i diritti civili. In Messico ha incontrato la sua compagna, Sol Patricia Rojo.

Dal Messico viaggiava in diverse parti del mondo per conoscere di prima mano i temi che lo appassionavano: i movimenti civili, i fenomeni migratori, la lotta per i diritti dei lavoratori.

Ha esercitato il giornalismo con la convinzione che questo era essenziale nella ricerca della giustizia, cosa che ha sempre guidato le sue azioni.

“Ti abbiamo voluto bene perché hai fatto di questa parte del mondo la tua dimora senza rinunciare al tuo spirito planetario, alla tua vocazione di un mondo senza barriere né confini”, ha scritto il suo amico David Suárez in un commento alla notizia della sua morte pubblicata dal quotidiano La Jornada, di cui era collaboratore.

La moglie Sol Patricia ha informato che il corpo di Matteo Dean sarà trasferito in Italia. http://www.proceso.com.mx/?p=272505

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Fratello, Amico, Compagno, Addio

México D.F. La notte di sabato 11 giugno è deceduto il nostro compagno Matteo Dean in conseguenza di un incidente automobilistico. Matteo era un collaboratore attivo della nostra rivista. Da più di dieci anni Matteo viveva in Messico, dove, attraverso le sue interviste, articoli e inchieste lanciava ponti per conoscere e capire le realtà sociali dell’America Latina e d’Europa.

Il suo impegno sociale per fare di questo mondo un posto degno e libero l’ha portato a compromettersi sempre dl basso con i movimenti sociali ed uno dei suoi fronti di lotta è stato il giornalismo. Come giornalista indipendente ha collaborato con giornali e riviste come La Jornada, Proceso, Diagonal, Il Manifesto, Global Project, RaiNews24, L’Espresso. Oltre a mantenere attivo il suo stesso blog.

Con la morte di Matteo perdiamo, innanzitutto, un compagno, un fratello, “carnale” direbbe lui stesso. Da Desinformémonos ci uniamo a tutte e tutti i compagni che Matteo ha incontrato nel mondo. http://desinformemonos.org/2011/06/hermano-amigo-companero-adios/

 

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La Jornada – Giovedì 9 giugno 2011

I “prigionieri politici” della Voz del Amate denunciano furti e abusi della polizia

Hermann Bellinghausen

I “prigionieri politici” della Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna reclusi nel Centro Statale di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 5,a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, denunciano un operativo a sorpresa ingiustificato del gruppo chiamato Lobo, che è entrato nelle loro celle rubando oggetti e denaro.

I fatti, denunciati oggi, sono avvenuti lo scorso 25 maggio. Il gruppo di agenti specializzati ha effettuato una “perquisizione a sorpresa” ed ha sequestrato tutti gli elettrodomestici di proprietà dei reclusi. Il direttore della prigione, David Montero Moreno, ha dichiarato che gli utensili, principalmente radio e riproduttori di musica, sono stati consegnati al sottosegretario Gustavo Ferreira Jiménez che li restituirà ai proprietari a condizione che gli mostrino lo scontrino di acquisto.

“Questo è impossibile”, sostengono i detenuti, perché “molti di questi elettrodomestici sono stati comperati all’interno del carcere” da persone che ora non sono più in carcere. Oltre ad essere i legittimi proprietari degli oggetti, dichiarano, “questi ci servono per ascoltare riflessioni di crescita personale e per il nostro reinserimento”.

La Voz del Amate denuncia questi “abusi delle autorità incompetenti”, esige la restituzione dei loro oggetti e rivolge un appello al governatore Juan Sabines Guerrero affinché “dia istruzioni affinché si restituiscano televisori, registratori, riproduttori di dvd”, e tutti gli oggetti di loro appartenenza.

Esta clase de abusos y hostigamientos no son aislados: “En todos los centros penitenciarios del estado la población tiene mucho qué decir, lo cruel y triste que vivimos bajo las amenazas de los que se hacen llamar autoridades”, dicen finalmente los presos que, por lo demás, llevan varios años deman- dando su libertad, dado que sostienen que su encarcelamiento es injusto, pues son inocentes de los cargos por los cuales fueron procesados: es el caso del profesor tzotzil Alberto Patishtán Gómez, quien ha purgado condena durante más de una década por delitos que se sabe no cometió. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/09/politica/025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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La Jornada – Mercoledì 8 giugno 2011

Il Frayba chiede la liberazione di otto campesinos in carcere in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Gli otto chiapanechi abitanti della città rurale Nuevo Juan de Grijalva (municipio deiOsatuacán) ed in carcere da marzo insieme al loro avvocato a Pichucalco, Chiapas, sono vittime di un’ingiustizia ed inoltre non hanno goduto delle garanzie processuali a cui hanno diritto, secondo il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), il quale chiede la loro immediata liberazione e la sospensione delle vessazioni della polizia contro altri loro compagni e familiari.

Il Frayba ricapitola: il 17 marzo, durante una manifestazione pacifica nell’ejidoeJuan del Grijalva sono stati catturati “in maniera arbitraria e con l’inganno” Marcelo Díaz Castellanos, Ceferino Hernández Castro, Fidencio Altunar Cabos, José Francisco López Díaz e Teodoro Sánchez Morales, da poliziotti ministeriali, la Procura del Distretto Nord, il cui responsabile è José Luis Gómez Santaella, e dall’agente del Pubblico Ministero di Ostuacán, con l’appoggio della Polizia Statale Preventiva.

I detenuti sono accusati “di associazione a delinquere, attentato alle vie di comunicazione ed opposizione alla realizzazione di un’opera pubblica”, e durante la sua deposizione erano stati assegnati degli avocati d’ufficio “che si sono limitati a firmare le carte” senza offrire assistenza né difesa adeguate. I primi cinque arrestati hanno firmato documenti di cui ignoravano il contenuto ed il 18 marzo sono stati trasferiti a Quinto Pitiquitos, a Chiapa de Corzo. Dopo 28 giorni, il 14 aprile sono stati messi a disposizione de giudice di prima istanza nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 10 a Pichucalco.

Il 15 aprile, dopo aver fatto visita in prigione ai cinque campesinos, sono stati arrestati Pascacio López Álvarez ed Andrés Díaz Bouchot, così come Juan José Narváez Bautista, avvocato difensore, che si trovava sul posto per assistere i detenuti. Il 25 maggio,a Ostuacán, è stato arrestato Héctor Díaz Castellanos.

“La privazione arbitraria della libertà di queste nove persone avviene in un contesto di criminalizzazione della protesta sociale contro gli ejidatarios di Juan de Grijalva che chiedono il rispetto di un verbale di accordo firmato dal governo dello stato”, sottolinea il Frayba.

L’8 marzo, a Juan del Grijalva, abitanti di quell’ejido, della comunità Loma Bonita e degli ejidos Cuauhtémoc e Playa Larga terza sezione, che vivono nella città rurale, hanno iniziato un blocco ed una manifestazione pacifica sulla strada ejidale che conduce agli uffici del Grupo il México ed alla costruzione dei tunnel sotto il fiume Grijalva.

I manifestanti chiedevano il rispetto dei verbali di accordo firmati a luglio del 2010, nei quali il governo del Chiapas si impegnava a pagare le terre colpite dal disastro naturale del 2007, oltre che a pagare per i lavori che la Commissione Federale di Elettricità (CFE) sta realizzando sulle loro terre attraverso il Grupo México.

Le altre persone che partecipavano alla manifestazione e che oggi risiedono nella città rurale “hanno paura di essere arrestate”, sottolinea il Frayba. Si sa di alcuni che “sono fuggiti in montagna”.

Il Frayba ritiene che il governo del Chiapas eserciti “azioni di repressione contro i coloni dell’ejido”. Solo pochi mesi fa erano i preferiti dalla propaganda governativa.

Il 4 novembre 2007, a Juan del Grijalva c’è stata una grande inondazione. I sopravvissuti sono stati ricollocati nella città rurale Nuevo Juan del Grijalva ed il governo si era impegnato a pagare le loro terre. Attualmente nella zona nota come El Tapón del Grijalva, la CFE sta costruendo due opere pubbliche, una appaltata al Grupo México, una delle principali imprese transnazionali produttrici di rame. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/08/politica/023n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Lettera del Subcomandante Insurgente Marcos al Movimiento Ciudadano por la Justicia 5 de Junio

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Messico, Giugno 2011

“El dolor nos recuerda
Que podemos ser buenos,
Que alguien mejor nos habita,
Que corre en noble sentido el río de las lágrimas.
 
Dolor llamamos al envés de la hoja de la risa,
A la tiniebla que queda al otro lado de la estrella
Que en tu frente tenía apacible nombre
Y orientaba nuestros pasos día a día.
 
Dolor es el combustible con que arde
La llama de recuerdos que ilumina
Una noche del olvido derrotado
Por el rayo de tu risa al revolar.
 
Dolor se llama el duelo

De vivir por tu memoria.”

 Frammento di “49 Globos”.Juan Carlos Mijangos Noh.

Al: MOVIMIENTO CIUDADANO POR LA JUSTICIA 5 DE JUNIO, ai familiari dei bambini e delle bambine morti e feriti all’Asilo ABC il 5 giugno del 2009, ed a tutti coloro solidali con la loro lotta.

Hermosillo, Sonora, Messico.

Da: Subcomandante Insurgente Marcos.

Chiapas, Messico.

Scrivo a nome delle donne, uomini, anziani e bambini dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per salutarvi ed esprimere il nostro rispetto ed ammirazione per la vostra degna lotta.

Non è facile tirar fuori parole dal dolore, noi lo sappiamo.

E dalla rabbia?

Dal sapere che i malgoverni ignorano di proposito il reclamo di giustizia?

Dal vedere come si manipola il calendario per simulare giustizia e per calcolare che la dimenticanza coprirà la morte? La morte assurda di 49 piccoli e le decine di feriti, bimbi senza altra colpa se non quella di essere nati in un paese dove il governo ha unito il nepotismo alla corruzione e all’impunità.

Poco o niente possiamo aggiungere a quello che le vostre degne parole hanno denunciato su quanto accaduto: la disgrazia che si abbatte su chi né l’aspettava né la meritava; l’irresponsabilità che l’ha favorita; la complicità di governi, legislatori e giudici; il continuo rimandare l’indagine approfondita. Ed i nomi e le immagini delle bambine e dei bambini, le azioni e le mobilitazioni per onorarli nel modo migliore, cioè, chiedendo la punizione dei responsabili, la giustizia per le vittime e l’adozione di misure che impediscano che la tragedia si ripeta.

Abbiamo saputo di tutto questo e di altro dalla vostra pagina internet (http://www.movimiento5dejunio.org ) e dal libro “Siamo noi i colpevoli” di Diego Enrique Osorno, che ricostruisce il rompicapo della tragedia.

La morte di una bambina, di un bambino, è sempre sproporzionata. Investe e distrugge tutto quanto le sta intorno. Ma quando questa morte è seminata e coltivata dalla negligenza e dall’irresponsabilità di governi che hanno trasformato l’inettitudine in affare, qualcosa di molto profondo scuote il cuore collettivo che in basso fa girare la pesante ruota della storia.

Dunque le domande crescono: perché? chi sono i responsabili? che cosa si fa affinché mai più si ripeta questa tragedia?

Ed è stato lil vostro impegno ciò che ci ha dato le risposte. Perché dall’alto abbiamo visto solo disprezzo, scherno, simulazioni e bugie.

La bugia è sempre un oltraggio, ma quando dal Potere si trama per nascondere a familiari ed amici, è una vergogna.

Là in alto non si sono pentiti. Non lo faranno. Invece di onorare i bimbi morti nell’unico modo che sarebbe loro permesso, cioè, attraverso la giustizia, continuano nei loro giochi di guerra dove loro vincono e tutti perdono.

Perché non è rassegnazione davanti alla morte quello che si predica da lassù. Quello che vogliono è il conformismo di fronte all’irresponsabilità che ha bruciato e ferito quelle vite.

Lontani come siamo, per calendario e geografia, non mandiamo parole di conformismo né di rassegnazione. Non solo perché né l’uno né l’altro possono far fronte alle conseguenze di questo crimine che ora compie 2 anni. Ma anche, e soprattutto, perché la vostra lotta ci suscita rispetto ed ammirazione per la vostra causa, per il vostro agire ed il vostro impegno.

Là in alto dovrebbero sapere che unisce non solo il dolore, ma anche l’esempio di lotta tenace che si muove in quel dolore.

Perché voi, uomini e donne portati dalla disgrazia in questa lotta, siete esseri straordinari che risvegliano la speranza in molti angoli del nostro paese e del pianeta.

Come sono straordinari quegli uomini e quelle donne che di nuovo, nella Carovana per la Pace con Giustizia e Dignità, ricordano a chi malgoverna, ai criminali ed al paese intero, che è una vergogna non fare niente quando la guerra si impossessa di tutto.

Da uno di questi angoli, dalle terre indigene del Chiapas, le zapatiste, gli zapatisti, vi guardiamo dal basso, sapendo che il dolore ingigantisce anche i passi se sono degni.

E queste righe che ora vi scriviamo, sono animate solo dal desiderio di dirvi una cosa:

Benedetto il sangue che ha dato la vita a queste bambine e bambini, e maledetto il sangue di chi gliel’ha tolta.

E dirvi di contare su di noi che, benché lontani e piccoli, riconosciamo la grandezza di chi sa che la giustizia si ottiene solo con la memoria e mai con la rassegnazione.

Forse un giorno verrete in queste terre. Qua troverete un cuore scuro che vi abbraccerà, orecchie attente per ascoltare, ed una storia pronta ad imparare da voi.

Perché le grandi lezioni, quelle che cambiano il cammino della storia, vengono esattamente dalle persone che, come voi e coloro che ora marciano, fanno della memoria la strada per crescere.

Con voi, e con chi ora marcia, potremo allora, insieme, voi, loro, noi, pronunciare parole dove il dolore sia una cicatrice che ci ricordi e ci impegni a che mai più si ripeta la disgrazia, e che finalmente termini il sanguinoso carnevale con cui in alto festeggiano l’impunità e la vergogna.

Mentre tutto questo accade, da qua continueremo ad ascoltarvi e ad imparare da voi.

Vale. Salute e che finalmente la giustizia avanzi in basso.

Dalle montagne del Sudeste Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, Giugno 2011

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2011/06/06/6-de-junio-sci-marcos-carta-al-movimiento-ciudadano-por-la-justicia-5-de-junio/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 2 giugno 2011

Gli abitanti di Juan de Grijalva, in Chiapas, denunciano persecuzioni

Hermann Bellinghausen

Un gruppo di famiglie della comunità Juan de Grijalva, Chiapas, in maggioranza donne, residenti della cosiddetta “prima città rurale sostenibile del mondo”, ejido Nuevo Juan de Grijalva, municipio di Ostuacán, denunciano persecuzioni e vessazioni da parte della polizia per aver manifestato pacificamente per chiedere al governo il rispetto dei suoi impegni, molto reclamizzati mesi fa. Otto membri della comunità ed il loro avvocato si trovano in carcere dal 13 aprile scorso.

“Oggi la famosa città rurale non ha niente di sostenibile, come afferma il governatore Juan Sabines Guerrero, la cosa vera è che è stato tutto un fallimento”. Nel chiedere la liberazione dei loro famigliari e l’intervento della Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), queste famiglie contadine descrivono un panorama eloquente:

“Vogliamo far sapere della nostra disperazione, la nostra impotenza, la nostra indignazione. La comunità intera è in attesa di altri gravi eventi, l’arresto di molte altre persone, tra queste donne e ragazzi minorenni. La zona sud della città rurale è sola, la maggioranza delle persone hanno dovuto rifugiarsi in posti sicuri per paura delle minacce e della persecuzione”.

Arresto con l’inganno

Nel Centro di Rieducazione Sociale (Cereso) di Pichucalco sono rinchiusi l’avvocato Juan Narváez ed i contadini Teodoro Sánchez Mórales, Marcelo Díaz Castellanos, Héctor Díaz Castellanos, Ceferino Hernández Castro, Fidencio Altunar Cobos, José Francisco López Díaz, Pascasio López Álvarez e Andrés Díaz Bouchot. “Solo per aver fatto una manifestazione affinché il governo e la Commissione Federale dell’Elettricità (CFE) li ascoltassero per negoziare e pagassero per i danni provocati sulle loro terre”. Oggi sono accusati di “associazione a delinquere e sommossa”.

Questo il risultato di una “manifestazione pacifica in una degli appezzamenti dell’ejido” il 17 marzo scorso: “Mentre parte della comunità era raccolta”, raccontano, hanno fatto irruzione 200 o 300 poliziotti “tra loro anche ministeriali”. Gli agenti, “in maniera arbitraria li hanno portati via con l’inganno, con la scusa che li portavano a negoziare il pagamento delle terre e le diverse somme”. In realtà si è trattato di un arresto su ordine, denunciano le famiglie, del pubblico ministero della Procura Generale di Giustizia dello Stato del municipio di Pichucalco, José Luis Gómez Santaella, e del Pubblico Ministero di Ostuacán, Esgar Benjamín Estrada Cervantes.

Ricordano l’origine del loro nuovissimo villaggio, dopo un terribile disastro naturale, la frana di una collina. Era il novembre del 2007, “in un posto attualmente conosciuto come ‘el Tapon’, sulle rive del fiume Grijalva”, al confine con Tabasco.

Il disastro “non solo provocò l’ostruzione del fiume, ma anche la distruzione del nostro villaggio e la morte di molti nostri famigliari, e tutte le case distrutte. Oggi dicono che il loro “lutto è senza fine”.

A causa di questi eventi, “i governi federale e statale diedero risorse ed aiuti ai disastrati”, ma “solo ne momento del disastro”.

Così è stata creata “la prima città rurale sostenibile del mondo”, Nuevo Juan de Grijalva. “Si credeva di cambiare lo stile di vita degli sfollati; in questo non hanno sbagliato, è stato così, ma non per il bene di questa comunità”. http://www.jornada.unam.mx/2011/06/02/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 29 maggio 2011

CDHFBC: Il governo non rispetta i diritti che ratifica a livello mondiale

Hermann Bellinghausen

“Il governo messicano non rispetta, protegge né garantisce i diritti umani che ratifica di fronte alla comunità internazionale, cosa che dimostra l’inefficienza del sistema della giustizia e la mancanza di volontà di ritrovare le vittime di questi crimini di lesa umanità”, ha dichiarato in Chiapas il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (CDHFBC).

Nel contesto della Settimana Internazionale del Detenuto Desaparecido, aggiunge: “Lo abbiamo constatato nei casi di sparizione forzata di persone che questo centro ha documentato”, e si unisce alla richiesta di ripresentare in vita le persone scomparse nel mondo, in America Latina, in Messico, ed in particolare in Chiapas, “dove, durante il conflitto armato interno ancora non risolto, attraverso una guerra di bassa intensità, lo Stato messicano è responsabile di gravi violazioni ai diritti umani”.

Il CDHFBC spiega che in Chiapas, “nel periodo più intenso del conflitto armato interno, la sparizione forzata di persone era una pratica comune”. Tra il 1995 e il 2001, durante il periodo presidenziale di Ernesto Zedillo, il centro documentò, solo nella zona nord dello stato, la sparizione forzata di 32 uomini e 5 donne per azioni del gruppo paramilitare Desarollo, Paz y Justicia, o Paz y Justicia, sparizioni che “rispondevano ad un piano di contrainsurgencia vigente dal 1994, con la finalità di annientare le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale ed i suoi simpatizzanti”. Allora, Paz y Justicia aggrediva la popolazione civile nei municipi di Tila, Tumbalá, Sabanilla, Yajalón e Salto de Agua. Il gruppo si distingueva per la violenza attraverso imboscate, sgomberi, sparizioni, omicidi, violenze sessuali e torture”. L’organizzazione registra anche una trentina di indigeni zapatisti desaparecidos nel gennaio del 1994 durante i combattimenti contro l’Esercito federale.

Ma la situazione è andata avanti: “Con una politica contrainsurgente simile, il 13 novembre del 2006, a Viejo Velasco, Ocosingo, la comunità subì un’imboscata da parte di civili armati dell’Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (OPDDIC), accompagnati da 300 elementi di Pubblica Sicurezza”. L’attacco provocò l’uccisione di quattro persone e la sparizione di Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez e Antonio Peñate López.

La pratica della sparizione forzata, come stabilisce lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, “costituisce un crimine di lesa umanità, dato che implica una violazione multipla e continuata dei diritti umani essenziali”.

L’organizzazione civile rileva che lo Stato messicano figura tra i principali promotori della Convenzione Interamericana sulla Sparizione Forzata delle Persone, lo Statuto di Roma e la Convenzione Internazionale per la Protezione di Tutte le Persone contro le Sparizioni Forzate. “Il paradosso è che ha introdotto riserve molto chiare per quanto riguarda la giurisdizione militare”, cosa che permette “violazioni dei diritti umani perpetrate da personale militare”.

Inoltre, è stata cancellata la procura speciale per i crimini del passato e si è omesso di eseguire “investigazioni adeguate per la sparizione di Edmundo Reyes Amaya e Gabriel Alberto Cruz Sánchez, membri dell’Esercito Popolare Rivoluzionario”, mentre tiene nell’impunità le sparizioni di emigranti che attraversano il territorio messicano”.

Rispetto alla convenzione internazionale per la protezione contro le sparizioni, il governo messicano si è riservato il non riconoscimento della competenza del Comitato Contro la Sparizione Forzata che esamina i casi presentati dalle vittime, i loro familiari o rappresentanti. “Decisione incompatibile con la natura stessa del trattato” che conferma, secondo il CDHFBC, “la mancanza di volontà politica di intraprendere azioni reali per abbattere e sradicare questa pratica”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/29/politica/003n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Governo messicano responsabile della sparizione forzata di persone

Centro dei Diritti Umani
Fray Bartolomé de Las Casas, AC

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
27 di maggio 2011

Comunicato

Nella cornice della Settimana Internazionale del Detenuto Scomparso, questo centro dei Diritti Umani si unisce alla richiesta di rivedere vive le persone forzatamente scomparse nel mondo, nel continente latinoamericano, in Messico e in Chiapas durante il conflitto armato interno ancora non risolto dove, attraverso una guerra di bassa intensità, lo Stato messicano risulta responsabile di gravi violazioni dei diritti umani.

La pratica della sparizione forzata di persone, come stabilisce lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, costituisce un Crimine di Lesa Umanità [1], dato che implica una violazione molteplice e continuata dei diritti umani essenziali quali sono il diritto alla vita, alla libertà personale, all’integrità personale, alla sicurezza personale, ad avere personalità giuridica, protezione e garanzie giudiziarie.

In Chiapas, durante il periodo più acuto del conflitto armato interno, la sparizione forzata di persone era una pratica comune e, nel periodo che va dal 1995 al 2001, questo Centro dei Diritti Umani ha documentato nella zona Nord dello stato, la sparizione forzata di 32 uomini e cinque donne a causa dell’attività del gruppo paramilitare “Desarrollo Paz y Justicia” (Paz y Justicia), le cui azioni rispondevano ad un piano di controinsorgenza vigente dal 1994, con l’obbiettivo di eliminare le Basi d’Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e i suoi simpatizzanti.

In una politica controinsorgente, simile a quella descritta sopra, il 13 di novembre 2006, a Viejo Velasco, nel municipio di Ocosingo, Chiapas, la comunità subì un’imboscata da parte di civili armati identificati come Organizzazione Per la Difesa dei Diritti Indigeni e Contadini (OPDDIC) scortati da 300 elementi della sicurezza pubblica, con il risultato di quattro persone assassinate e la sparizione forzata di Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez y Antonio Peñate López, anche conosciuto come Juan Peñate Montejo.

In questo scenario, è opportuno evidenziare che in ambito internazionale lo Stato messicano figura come uno dei principali promotori della Convenzione Interamericana sulla sparizione forzata di persone, dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale, della Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro la sparizione forzata, tra i tanti strumenti internazionali in materia. Il paradosso è che ha fatto eccezioni molto evidenti per quanto concerne la giustizia militare, così che attraverso di esse continua a permettere violazioni dei diritti umani perpetrati da effettivi militari, oltre ad aver chiuso la procura speciale che investigava i crimini del passato e non aver effettuato le ricerche adeguate sulla sparizione forzata di Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, membri dell’Esercito Popolare Rivoluzionario, così come continua a mantenere impunite le sparizioni forzate delle persone migranti che attraversano il territorio messicano.

Rispetto alla Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate, il governo messicano ha stabilito il non riconoscimento della competenza del Comitato contro La Sparizione Forzata, istituito per ricevere ed esaminare le comunicazioni presentate dalle vittime, dai loro famigliari o rappresentanti. Questa decisione è incompatibile con la natura stessa del trattato e lascia nuovamente vedere la mancanza di volontà politica di intraprendere azioni reali al fine di abbattere e sradicare la suddetta pratica.

Quello che abbiamo verificato attraverso i casi di sparizione forzata di persone documentati da questo Centro dei Diritti Umani, è che il governo messicano non rispetta, né protegge, né garantisce in ambito nazionale i diritti umani che ratifica davanti alla comunità internazionale, la qual cosa dimostra l’inefficacia del sistema giudiziario e la mancanza di volontà di trovare le vittime di questi fatti criminali di lesa umanità

Di fronte alla situazione sopra descritta chiediamo di rivedere vivi:

Amado Gómez Torres, desaparecido forzadamente el 7 de mayo de 1996, en Unión Juárez, Sabanilla.

Antonio González Méndez, desaparecido forzadamente el 19 de enero de 1999, en El Calvario, Sabanilla.

Basilio Gutiérrez López, desaparecido forzadamente el 6 de junio de 2001, en Misopá Chinal, Tila.

Braulio López Pérez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, Tila.

Cándido Vázquez Sánchez, desaparecido forzadamente el 30 de septiembre de 1994 en El Crucero, Tila.

Carmelino Pérez Jiménez o Carmelo Pérez López, desaparecido forzadamente el 5 de junio de 1996 en Los Moyos Sabanilla.

Carmelino Vázquez Sánchez, desaparecido forzadamente entre el 12 y 17 de junio de 1996 en Patastal, Tila.

Cruzindo Álvarez Jiménez, desaparecido forzadamente el 19 de junio de 1996 en Jesús Carranza, Sabanilla.

Domingo Jiménez Sánchez, desaparecido forzadamente el 2 o 3 de septiembre de 1996 en Rancho Santa Rosa, ejido Huanal, Tila.

Domingo Ortiz Gutiérrez, desaparecido forzadamente el 25 de junio de 1996 en Panchuc Corozil, Tila.

Domingo Pérez Martínez, desaparecido forzadamente en junio o julio de 1996, zona Norte.

Emilio Martínez Pérez, desaparecido forzadamente el 10 de septiembre de 1996, en Masojá Grande, Tila.

Encarnación Pérez Pérez, desaparecido forzadamente el 12 de agosto de 1996 en Masojá Chico, Tila.

Fernando López Martínez, desaparecido forzadamente el 19 de junio de 1996 en Jesús Carranza, Sabanilla.

Florencio Gutiérrez Vázquez, desaparecido forzadamente el 3 de junio de 1996 en zona Norte.

Florentino Pérez Sánchez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995 en el municipio Tila.

Guadalupe Hernández Jiménez, (indígena Chol) desaparecido forzadamente el 4 de junio de 1996, Los Moyos, Sabanilla.

Guadalupe Sánchez López, desaparecida forzadamente el 25 de junio de 1995 en Pachuc Corozil, Tila.

Gustavo Hernández Parcero, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, en El Crucero, Tila.

Hermelinda Pérez Torres, desaparecida forzadamente el 21 de junio de 1996, en Miguel Alemán, Tila.

Juan Ramírez Torres, desaparecido forzadamente el 4 o 5 de junio de 1996, en Miguel Alemán, Tila.

Lorenzo García García, desaparecido forzadamente el 20 de noviembre de 1994, Tzaquil, Tila.

María López Méndez, desaparecida forzadamente el 24 de marzo de 1995, Emiliano Zapata, Tumbalá.

María Rebeca Pérez Pérez, desaparecida forzadamente el 12 de agosto de 1996, Masojá Chico, Tila.

Mateo Arcos Guzmán, desaparecido forzadamente el 1 de agosto de 1997, Aguascalientes, Tila.

Mateo Jiménez López, desaparecido forzadamente el 24 de mayo de 1996, Usipá, Tila.

Mateo Méndez Jiménez, desaparecido forzadamente el 24 de mayo de 1996, Usipá, Tila.

Miguel López López, desaparecido forzadamente el 4 de septiembre de 1996, municipio Tila.

Miguel Parcero Parcero, desaparecido forzadamente el 1 de agosto de 1997, 1 de Enero de 1997.

Minerva Guadalupe Pérez Torres, desaparecida forzadamente el 20 de junio de 1996, Miguel Alemán, Tila.

Oscar Jiménez Jiménez, desaparecido forzadamente el 19 o 20 de junio de 1996 en Pachuc Corozil, Tila.

Pascual Ortiz Sánchez, desaparecido forzadamente el 25 de junio de 1995, Panchuc Corozil, Tila.

Pascual Ramírez Gómez, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Pedro Álvaro Arcos, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Ramón Ramírez López, desaparecido forzadamente el 14 de julio de 1995, municipio Tila.

Sebastián Vázquez Martínez, desaparecido forzadamente el 14 o 15 de agosto de 1996, municipio Tila.

Gerónimo Gómez López, desaparecido forzadamente el 20 de diciembre de 2000 en Simojovel.

José Hidalgo Pérez, desaparecido forzadamente el 10 de junio de 1999, San Cristóbal de Las Casas.

Antonio Guzmán González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Fernando Ruiz Guzmán, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Marco Guzmán Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Doroteo Ruiz Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Diego Aguilar Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Eliseo Hernández Cruz, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Eusebio Jiménez González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Santiago Pérez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Marcos Pérez Córdoba, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juan, Ocosingo.

Juan Mendoza Lorenzo, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Miguel, Ocosingo.

Elíseo Sánchez Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Miguel, Ocosingo.

Leonardo Méndez Sántiz, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Garrucha, Ocosingo.

Carmelo Méndez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Pataté, Ocosingo.

Javier Hernández López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Pataté, Ocosingo.

Enrique González García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Marcelo Pérez Jiménez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Manuel Sánchez González, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Nicolás Cortez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Vicente López Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Patiwitz, Ocosingo.

Javier López Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Nuevo Suchilá, Ocosingo.

Alejandro Sánchez López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Galeana, Ocosingo.

Enrique Hernández Vázquez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Martinica, Ocosingo.

Juan N, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Ibarra, Ocosingo.

Floriberto López Pérez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Pedro López García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Alfredo Sánchez Méndez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Santiago Ramírez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Juanito, Ocosingo.

Apolinar López López, desaparecido forzadamente en enero de 1994, San Francisco, Ocosingo.

Rogelio García García, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Carmen Chiquito, Ocosingo.

Silverio Gómez Alvarez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Norte de Chiapas, Ocosingo.

Bartolo Pérez Cortés, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Prado, Ocosingo.

Marcos Gómez Velasco, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Chanal, Ocosingo.

Arturo Aguilar Jiménez, desaparecido forzadamente en enero de 1994, Yaxkul, Ocosingo.

Francisco Gómez Hernández, desaparecido forzadamente en enero de 1994, La Sultana, Ocosingo.

Mariano Pérez Guzmán, Miguel Moreno Montejo, Pedro Núñez Pérez y Antonio Peñate López, también conocido como Juan Peñate Montejo, desaparecidos forzadamente el 13 de noviembre de 2006 en Viejo Velasco, Ocosingo.

Edmundo Reyes Amaya y Gabriel Alberto Cruz Sánchez, desaparecidos forzadamente el 24 de mayo de 2007, Oaxaca de Juárez, Oaxaca.

Le e i migranti spariti forzatamente in territorio messicano.

[1] Convenzione Interamericana sulla sparizione forzata di persone. Disponibile qui: http://www.oas.org/juridico/spanish/Tratados/a-60.html

Convenzione Internazionale per la protezione di tutte le persone contro le sparizioni forzate. Disponibile qui: http://www2.ohchr.org/spanish/law/disappearance-convention.htm

Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale. Disponibile qui: http://www.derechos.net/doc/tpi.html

(traduzione a cura di rebeldefc@autistici.orghttp://www.caferebeldefc.org)

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La Jornada – Giovedì 26 maggio 2011

Gli zapatisti denunciano un tentativo di esproprio a San Antonio Toniná. La proprietà si trova nelle immediate vicinanze di un sito archeologico

HERMANN BELLINGHAUSEN

La giunta di buon governo zapatista (JBG) El camino del futuro, corrispondente al caracol di La Garrucha, Chiapas, ha allertato su un nuovo tentativo di esproprio nelle vicinanze del sito archeologico di Toniná, contro un proprietario che è base di appoggio dell’EZLN. La proprietà, denominata San Antonio Toniná, appartiene legalmente e legittimamente ad Alfonso Cruz Espinosa, del municipio autonomo Francisco Gómez. Gli zapatisti accusano l’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) ed il governo statale di non rispettare un accordo firmato più di due anni fa.

A febbraio di quest’anno, Cruz Espinosa era stato citato presso il giudice di distretto di Ocosingo. Ora, il magistrato “minaccia di sgomberare il compagno ed agenti di Pubblica Sicurezza si introducono nel campo senza rispetto apponendo i timbri della INAH”. La JBG dichiara che quella terra è “dell’EZLN, non del malgoverno”.

La JBG ricorda che l’11 febbraio 2009, rappresentanti dell’INAH, il governo statale ed autorità municipali firmarono un verbale di consegna-ricevimento di San Antonio Toniná al suo proprietario legittimo, dopo un conflitto scoppiato nell’aprile 2008, quando Cruz Espinosa realizzò un laghetto nella sua proprietà – “affinché i suoi animali potessero bere” – e la INAH cercò di cacciarlo, arrestarlo e fargli pagare una multa per presunti danni sui terreni della zona archeologica. Dopo l’intervento del consiglio municipale autonomo e della JBG, il delegato dell’INAH, la segretaria di Governo del Chiapas, insieme a diversi funzionari, firmarono l’accordo menzionato, col quale il problema era apparentemente risolto.

Ora, vogliono approfittare dei familiari di Cruz Espinosa, i quali, “consigliati dal malgoverno, vogliono appropriarsi delle terre per negoziarle con il malgoverno stesso”, come denuncia la giunta zapatista. Questa dichiara che la proprietà è stata recuperata con il suo intervento, “e alla fine consegnata al compagno, legalmente e di diritto, ed esistono documenti che avallano che la terra gli appartiene”.

La nuova persecuzione contro il proprietario è iniziata a febbraio di quest’anno. A sostegno della sua argomentazione, la denuncia zapatista è accompagnata da una copia dell’accordo firmato. Lì si specifica che anche le terre attigue all’accampamento dell’INAH “sono di proprietà di Alfonso Cruz Espinosa, il quale può disporre di esse senza contravvenire alle norme e regole dell’istituto”, il quale “dovrà rispettare i diritti del proprietario”, facilitare la reinstallazione dell’energia elettrica e la fornitura di acqua nella proprietà.

Le autorità autonome dichiarano: “Noi dell’EZLN ne abbiamo abbastanza delle minacce”. Ed aggiungono: “che sia chiaro al malgoverno di Felipe Calderón che queste terre recuperate sono dell’EZLN e sono per le sue basi di appoggio”. La terra “non si cede, non si compra e non si vende; la difenderemo e non permetteremo che si continuino a vessare le basi di appoggio”.

Ritengono direttamente responsabili i tre livelli del governo di qualunque azione “che attenti all’integrità fisica del compagno e della sua famiglia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/26/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della Comunità di Cruztón, Municipio di Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.

23 maggio 2011

 Alla Giunta di Buon Governo della Zona Altos, con sede in Oventic, Chiapas.

Alle e agli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Alla Zezta Internazionale.

Ai Media Alternativi.

Alle Organizzazioni per i Diritti Umani.

Compagne e compagni:

Prima di tutto mandiamo un grande saluto da parte de@ compagn@ aderenti a L’Altra Campagna della nostra comunità. Oggi vogliamo informarvi di quanto sta accadendo.

Il giorno 5 aprile 2011 alle 12:30pm circa, stavamo lavorando nella nostra proprietà, quando sono arrivate quattro persone che hanno detto di chiamarsi Mariano Pérez Pérez, Dionisio Pérez Díaz, Pedro Pablo Pérez Pérez e Domingo López López, i primi tre primi hanno detto di essere di Nuevo Amatenango e l’ultimo del Poblado Nuevo San Juan, entrambi del municipio di Teopisca, e che venivano da parte della Procura Agraria e del dirigente Felipe Gómez Díaz perché qui ci sono alcune terre abbandonate ed che inoltre ce ne sono in abbondanza. Noi abbiamo risposto che si trovavano sulle nostre terre recuperate e che qui non ce ne sono altre, e che da anni sono le nostre terre perché le hanno coltivate i nostri nonni e noi le abbiamo recuperate nel 2007 ed a giugno del 2009 il malgoverno ha risolto questo conflitto lasciando in nostro possesso i 249-39-06.574 ettari patrimonio delle nostre famiglie.

Dal 5 aprile al 16 maggio di quest’anno, girano voci che ci siano persone della comunità che si stiano unendo in gruppo per sottrarci le nostre terre e che in questo gruppo ci siano persone della nostra stessa comunità. Inoltre abbiamo saputo che il signor Valentín Jiménez González, che è stato Presidente del Commissariato Ejidale dell’Ejido San José Cerro Grande I, che con l’inganno invase la nostra proprietà e che più tardi la regolarizzò come un nuovo ejido grazie al programma Procede, e che nel giugno del 2009 ha ricevuto “un aiuto economico con la finalità di saldare la controversia sociale agraria” e questo accordo prevedeva che le terre restassero in legittimo possesso di noi, gli Aderenti all’Altra Campagna, sta organizzando le persone per tornare a sottrarci le nostre terre.

Secondo le voci che circolano, il signor Valentín ha venduto per 60 mila pesos al signor Guadalupe Cruz, i documenti del suo presunto Ejido San José Cerro Grande I, documenti che dal giugno del 2009 sono senza valore perché ha rinunciato ai propri diritti agrari vigenti in relazione ai 249-39-06.574 ettari. per risolvere il problema, nei quali si prevede che le terre restano in nostro legittimo possesso ed inoltre si impegnava a non esercitare al presente o in futuro nessuna azione, nei fatti o per vie legali, per riprendersi le nostre terre. Per questo il signor Valentín vuole ingannare la gente per ricreare il conflitto e riprendersi la “sua parte” se il nuovo gruppo riuscirà a sottrarci le nostre legittime terre. Noi abbiamo sempre denunciato che i presunti ejidatarios dello scomparso Ejido San José Cerro Grande I, creano sempre problemi ed invadono le terre per poi fare affari con la nostra madre terra.

Per questo chiediamo al malgoverno di rispettare le nostre legittime terre che ci spettano di diritto. E che la Procura Agraria smetta di fomentare le persone ad invadere e creare altri problemi. Poiché noi lavoriamo e coltiviamo le nostre legittime terre, in maniera limpida, per il sostentamento dei nostri figli.

Riteniamo responsabile il malgoverno per quello che potrebbe accadere nella nostra comunità e che inoltre ci nformi immediatamente del risultato del “Accordo Quietanza” firmato il 3 giugno 2009 e presentato al Tribunale Unitario Agrario per la sua ratifica.

È per questo che vi chiediamo, compagne e compagni Aderenti all’Altra Campagna, di tenersi al corrente della nostra situazione, perché di nuovo il malgoverno vuole creare conflitti sulle nostre legittime terre.

Distintamente,

Comunità di Cruztón, Municipio di Venusiano Carrranza, Chiapas; Messico

Viva l’EZLN! Viva l’EZLN! Viiva l’EZLN!

La terra è di chi la lavora!

La terra non si vende, si coltiva e si difende!

Viva L’Altra Campagna!

Basta con la guerra di Calderón!

Visita il nostro Blog: http://www.chiapasdenuncia.blogspot.com/
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Área de Sistematización e Incidencia / Denuncia Pública
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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, México
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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 20 maggio 2011

“Dichiarazione Mondale” de personalità e ONG per chiedere la liberazione dei 5 indigeni chiapanechi. Tra i firmatari anche Chomsky, American Indian Movement e lo scrittore guatemalteco Sergio Tischler

Hermann Bellinghausen

Per la liberazione dei cinque contadini tzeltales di San Sebastián Bachajón arrestati in Chiapas si sono pronunciati l’intellettuale Noam Chomsky; l’American Indian Movement negli Stati Uniti; lo scrittore uruguaiano Raúl Zibechi ed il ricercatore Sergio Tischler in Guatemala, con una “Dichiarazione Mondiale” appoggiata da 55 organizzazioni nazionali e 33 statunitensi.

In questa si chiede “il rispetto del diritto alla libera determinazione e l’esercizio di autonomia del popolo di San Sebastián, aderente all’Altra Campagna”, come stipulato dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti, la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti di detti popoli e gli Accordi di San Andrés, tutti firmati dallo Stato messicano.

Il pronunciamento esige ” Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle risorse naturali che come Popoli originari hanno preservato nel corso di secoli “, e la liberazione immediata di Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán, Domingo García Gómez e Mariano Demeza Silvano. Infine, chiede “il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, esattamente agli accessi dello stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è gestito dai governi statale e federale”.

Sottoscrivono queste istanze Fernanda Espinosa (Ecuador), Val Thien Tlapaltic (Filippine), Nikolitsa Angelepulou (Grecia), Benjamin Fogel e Jared Sacks (Sudafrica), e centinaia di altre persone in particolare da Messico, Stati Uniti e Italia, insieme ad organizzazioni di Spagna Svizzera, Germania, Argentina, Francia, Austria, Slovenia, Nuova Zelanda, Canada, Regno Unito, Uruguay, Belgio e Costa Rica. Inoltre, Abahlali Base Mjondolo (Movimento drgli Abitanti delle Case di Cartone) e Studenti per la Giustizia dell’Università Rhodes, in Sudafrica, e Calcutta for Global Justice, in India. (…)

Secondo la denuncia internazionale, la regione di Agua Azul, dove si trova San Sebastián, “è diventato il chiaro esempio dove i governi statale e federale esercitano con tutta la forza dello Stato per saccheggiare il territorio dei popoli indigeni”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/20/index.php?section=politica&article=021n1pol

Testo completo della dichiarazione: https://chiapasbg.wordpress.com/2011/05/20/dichiarazione-mondiale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Dichiarazione Mondiale a Sostegno degli Idigeni Tseltales di San Sebastián Bachajón Aderenti all’Altra Campagna

In Chiapas gli investimenti nel turismo e nelle infrastrutture, nella logica di “sviluppo” governativo attraverso il progetto Centro Integralmente Planificado Palenque (CIPP) che a sua volta fa parte del progetto più ambizioso denominato Mesoamérica (già noto come il Plan Puebla Panamá), sono ormai una contesa cruciale contro la costruzione di alternative di vita dei Popoli originari in Chiapas che lottano ormai da anni per il riconoscimento della propria autonomia come popoli nella cornice della libera determinazione, e che nella pratica esercitano il loro processo autonomistico. Sono loro che storicamente conservano le risorse naturali ed il proprio territorio, in un equilibrio di relazione razionale e umana. In quella lotta per la sopravvivenza si colloca la resistenza civile delle e degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón (SSB) aderenti all’Altra Campagna (LOC) nella zona di Agua Azul.

I Popoli che resistono in difesa dei loro diritti devono affrontare, da parte dei governi neoliberali, molteplici azioni con le quali si intende distruggere l’organizzazione ed il lavoro di costruzione di altri mondi possibili. Oggi, il governo del Chiapas ha arbitrariamente arrestato e tiene sotto costante vessazione e minacce, 5 ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, tutti innocenti dei reati di cui sono accusati, sono vittime del sistema giudiziario messicano corrotto, che ubbidisce alla voce degli interessi degli investimenti nazionali ed internazionali. Questo sistema serve a reprimere e distruggere i Popolo, le organizzazioni o le persone che non concordano con gli interessi del governo neoliberale, interessi che stanno provocando stragi e la morte di chi scommette su una vita in cui i diritti umani si sviluppino e si vivano in pienezza.

L’azione di repressione più recente affrontata dagli ejidatarios è avvenuta lo scorso passato 9 aprile 2011, quando circa 800 agenti della Polizia Statale Preventiva, Polizia Federale e Militari hanno sgomberato gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna che ore prima avevano preso il controllo del botteghino di ingresso alle cascate, lo stesso che era stato sottratto loro il 2 febbraio con un piano messo a punto dal governo del Chiapas insieme agli ejidatarios “filogovernativi”. La regione di Agua Azul è il chiaro esempio dove i governi statale e federale esercitano tutta la forza dello Stato per lo storico saccheggio del territorio dei Popoli indigeni.

Per le innumerevoli violazioni dei diritti umani compiute contro gli ejidatarios di San Sebastian Bachajón dell’Altra Campagna, collettivi, comitati, movimenti, organizzazioni sociali e società civile così ci pronunciamo:

1. Per il rispetto del diritto alla libera determinazione e all’esercizio della propria autonomia del Popolo tseltal di San Sebastián Bachajón aderente all’Altra Campagna, come stipulato nel Trattato No.169 su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti; Dichiarazione delle Nazioni Unite sui Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1, 3. 1. Documento 2, II, IV (2. 3.); Documento 3.1 (c, d); Documento 1, Principio della nuova relazione 5.

2. Per il rispetto del diritto all’uso e sfruttamento delle risorse naturali che come Popoli originari hanno preservato nel corso di secoli.  Diritto sancito dal Trattato No.169, su popoli indigeni e tribali in paesi indipendenti art. 13.2; Dichiarazione delle Nazioni Unite su Diritti dei Popoli Indigeni e gli Accordi di San Andrés, Documento 1.4 B. 2.; Documento 1, Principio della nuova relazione 2

3. Per la liberazione immediata di: Jerónimo Guzmán Méndez, ejidatario dell’Altra Campagna; Domingo Pérez Álvaro, membro della Commissione di promozione dell’Altra Campagna; Juan Aguilar Guzmán, cassiere dell’Altra Campagna; Domingo García Gómez, membro del Comitato di Difesa dei Diritti Umani; Mariano Demeza Silvano, minorenne dell’Altra Campagna.

4. Per il ritiro immediato dei corpi di polizia e militari che tengono sotto assedio la zona dell’Ejido di San Sebastián Bachajón, esattamente agli accessi dello stabilimento balneare di Agua Azul che oggi è gestito dai governi statale e federale.

FIRME

Italia

Associazione Ya Basta! Italia

Associazione culturale “I Commedianti della Pieve”

Associazione onlus Le Case degli Angeli di Daniele

Collettivo Italia Centro America

Comitato Chiapas “Maribel” di Bergamo

 Profesor Mario Zunino, Italia
Università di Urbino, Italia
Luca Brogioni, Italia
Rete Radiè Resch, Italia
Silvana Capurso, Italia
Patrizia Capoferri, Italia
Aderiamo All’appello, Italia
Anna Pacchiani, Italia
Massimo Vecchi, Italia
Angela Bellei, Italia
Francesco Biago, Italia
Rete Radie Resch Treviso, Italia
Bruno Bartolozzi, Italia
Nedda Alberghini, Italia
Fortunato Po, Italia
Gianni Borgatti, Italia
Elena Fornaciari, Italia
Simona Tuffoli, Italia
Cinzia Mantovani, Italia
Giovannino Albanese, Italia
Francesca di Cristofaro, Italia
Iole Benelli, Italia
Wanda Banzi, Italia
Venusta Biagi, Italia
Paola Govoni, Italia
Vittorio Cavallini, Italia
Paola Vancini, Italia
Piero Zannarini, Italia
Federica Govoni, Italia
Stefano Lodi, Italia
Lara Munurati, Italia
Stefano Sandoni, Italia
Virna Calzolari, Italia

Messico

Acción Directa Autogestiva

Amig@s de Mumia de México

Asamblea Nacional de Braceros

Brigada Callejera de Apoyo a la Mujer “Elisa Martínez”, A. C.

Brigada Feminista por la Autonomìa

Cauce Ciudadano A.C., Miguel Ángel Mendoza Sanchez

Ce-Acatl, A.C.

Celula Revolucionaria Independiente Almaye

Centro de Alojamiento Junax, A.C.

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A. C.

Centro de Estudios Antropológicos

Centro de Investigación y Acción de la Mujer Latinoamericana

Centro de Promoción y Educación Profesional Vasco de Quiroga, A. C.

Central de Organizaciones Campesinas y Populares Chiapas-Mexico

Colectivo Contra la Tortura y la Impunidad, A.C.

Colectivo de Estudios Críticos en Derecho-RADAR

Colectivo de Mujeres Tejiendo Resistencias
Colectivo Heroes de Acteal, Maria de Lourdes de la Parra Garcia

Colectivo la Otra Ciudad de Chihuahua

Colectivo Utopia Puebla

Colectivo Votán Zapata

Comisión de Seguimiento del Tribunal Internacional de Conciencia de los Pueblos en Movimiento, Camilo Perez Bustillo

Comisión para la Defensa de los Derechos Humanos, A. C. Ana María Vera

Comité Cerezo Mexico

Comité de Campesinos Pobres

Consejo Ciudadano Cultural para las Artes de Morelos, A. C.

Consejo Nacional Urbano y Campesino, A.C.

Cooperativa Máteru Kurhinta

Coordinadora Valle de Chalco

Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas, A. C.

Equipo Indignación A.C.

Espacio social y kultural La Karakola

Foro Lomas del Poleo

Frente Magisterial Independiente Nacional

Frente Mexicano Pro Derechos Humanos, A. C.

Frente Nacional de Organizaciones BRACEROPROA, A. C., Martha Suarez Cantu, Presidenta Binacional

Frente Popular “Ricardo Flores Magon”

jovenes en resistencia alternativa

La Otra Campaña Tlaxcala

La Otra Chilanga, Sebastián Liera

La Otra Fresnillo

La Voldora Radio 97.3 FM

Municipio Autónomo de San Juan Copala

Niñas y Niños en La Otra Campaña-DF, Nicte-Há Dzib Soto

Organización Zapatista “Educación para la Liberación de Nuestros Pueblos”

Pozol Colectivo

Radio Ñomndaa, La Palabra del Agua

Red Magisterial Popular Chiapas-Mexico

Red de Mujeres de la Tierra Unidas por un Futuro y un Mundo Mejor, A. C.

Regional Sur Poniente de La Otra Campaña-DF, Gustavo García Rojas

Sector de Trabajadores Región Centro y de la Otra Totonacapan

Union Popular Apizaquense Democratica e Independiente

Xochimilco Zapatista

Zapateando, al son de los medios abajo y a la izquierda

Stati Uniti

American Indian Movement-West

Anti-Racism Committee of the National Lawyers Guild, Garrett Wright, Co-Chair

Association of Junior Leagues International, Lyndell Brookhouse Gil

Bend-Condega Friendship Project, Tim Jeffries, Coordinator

Chelsea Tenant Action Committee, Rosa María de la Torre

Chiapas Support Committee/Comité de Apoyo a Chiapas

Coatlicue Theatre Company, Inc., Hortencia Colorado, Elvira Colorado y Shaun Colorado Finnerty

Colectivo Radio Zapatista, México/EU.

Colectivo de Radio Zapatista Sudcaliforniano

Colectivo Zapatista, Bertha Gutierrez

Eastside Café, Sirena Pellarolo

El Kilombo Intergaláctico

Frente Zapatista Sudcaliforniano

Friends of Brad Will

Harlem Tenants Council, Nellie Hester Bailey
Harlem Fightback Against War at Home & Abroad

In Solidarity With Immigrants, Jaymes Winell
Institute for Anarchist Studies, Joshua Stephens

Just Cause

Justseeds Artists’ Cooperative, Kevin Caplicki

Kolectivo de Medios

Long Island Jobs with Justice, Charlene Obernauer, Executive Director

Marin Task Force on the Americas, Dale Sorensen, Director

Mexico Solidarity Network

Misioneros de San Columbano, Pbo. Guillermo Morton

Movimiento por Justicia del Barrio

New Jewel Movement

NYCLU, Arianna Gil

Office of the Americas, Blase Bonpane, Ph.D. Director

Resist and Multiply, Claudia Aukuwilka

West Harlem Coalition, Tom DeMott

The Wild Poppies Collective

Sudafrica

Abahlali baseMjondolo (Movimiento de Habitantes de Casas de Carton)

Students for Social Justice – Universidad Rhodes

India

Kolkata for Global Justice

Francia

Colectivo Chiapas-Ariège

Comité de solidarité avec les peuples du Chiapas en lutte

Grupo Les trois passants

Svizzera

Colectivo Zapatista Marisol de Lugano

Solidaridad directa con Chiapas

Spagna

Centro de Documentación sobre Zapatismo (Cedoz)

Colectivo ¿Qué pasa en el mundo?

Confederación General del Trabajo (CGT)

Grupo IRU

Para Todos Todo de Pina de Ebro- Zaragoza

Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Madrid

Red de Apoyo Zapatista de Madrid

Red Libertaria Apoyo Mutuo

Catalogna

Acción de los Cristianos para la Abolición de la Tortura

Associació Cultural el Raval “El Lokal”

Barrikada Zapatista en Barcelona

Grupo de Apoyo a la Zona de Costa de Barcelona

La Reus, Cultural i Solidària per la Pau

Pasi Baschi

Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas

Slovenia

Colectivo Dostje!

Grecia

Colectivo ALANA (Solidaridad, Resistencia, Dignidad)

VOID NETWORK

Austria

Café del Mundo

Caracol Mundo-Eco de Latido en Solidaridad

Casa Mexico

Restaurant “Los Mexicas”

Nuova Zelanda

Wellington Zapatista Solidarity Committee

Canada

Building Bridghes Humand Rights Observers

2110 Centre for Gender Advocacy

Regno Unito

UK Solidarity Network

Inghilterra

Dorset-Chiapas Solidarity Group

Kiptik

London Mexico Solidarity Group

Reel News Videoactivist Collective

Scozia

Glasgow Chiapas Solidarity Group
Grupo Solidario Edimburgo-Chiapas
Edimburgo

Argentina

Pax Social

Red de Solidaridad con Chiapas de Vicente Lopez

Belgio

Collectif Chiapas de Liège

Germania

Gruppe B.A.S.T.A.

La Red YA-BASTA-NETZ

Uruguay

Colectivo Contraimpunidad

Costa Rica

Comité Ave Fénix

Raul Zibechi, Uruguay

Noam Chomsky, Estados Unidos

Fernanda Espinosa, Ecuador
Val Thien Tlapaltic, Filipinas
Julie Webb-Pullman, Nueva Zelanda
Benjamin Fogel, Sudafrica
Jared Sacks, Sudafrica
Nikolitsa Angelopoulou, Grecia
Patricia Rodriguez Jurado, Argentina
Elisa Amanda Mata, Argentina
Sergio Tishler, Guatemala
Violeta Pacay Zamora, Guatemala
J Montano Lozano, Canada
Brett Story, Canada
William M. Burton, Canada
Katie Earle, Canada
Martha E Sánchez, Costa Rica
Shaun Dey, Inglaterra
Fliss Premru, Inglaterra
Angie Taylor, Inglaterra
John Sinha, Inglaterra
José Mª Olaizola Albeniz, Euskadi
David E. Tavárez, Estados Unidos
Alex van Schaick, Estados Unidos
Anastasia Hardin,Estados Unidos
Christopher Beach, Estados Unidos
Terri Bennett, Estados Unidos
Guadalupe Lizárraga, Estados Unidos
Laura Waldman, Estados Unidos
Arnoldo García, Estados Unidos
Michael Kozart, Estados Unidos
Marianna Rivera, Estados Unidos
Todd Davies, Estados Unidos
David L. Wilson, Estados Unidos
Jose Plascencia, Estados Unidos
Mary Ann Tenuto, Estados Unidos
Sylvia Romo, Estados Unidos
Carolina Dutton, Estados Unidos
Michael Cucher, Estados Unidos
Cecile Lumer, Estados Unidos
Nati Carrera, Estados Unidos
Marisa Handler, Estados Unidos
Ariana Kalinic, Estados Unidos
Odin Cortes Cabrera, Estados Unidos
Molly Talcott, Estados Unidos
Jorge Herrera, Estados Unidos
T M Scruggs, Estados Unidos
Molly Reagh, Estados Unidos
Marilyn Naparst, Estados Unidos
Joanne Castronovo, Estados Unidos
Sheila Thorne, Estados Unidos
Tricia Boreta, Estados Unidos
Usha, Estados Unidos
Rudy Nevel, Estados Unidos
Cary Escovedo, Estados Unidos
Elizabeth Martinez, Estados Unidos
Luz Lee, Estados Unidos
Norma J. Harrison, Estados Unidos
Amanda Bloom, Estados Unidos
Dale Sorensen, Estados Unidos
Aran Watson, Estados Unidos
Christine Knight, Estados Unidos
Sara Diamond, Estados Unidos
Dana Bellwether, Estados Unidos
George Cammarota, Estados Unidos
Wendy Wood, Estados Unidos
Joanne Shansky, Estados Unidos
Sarait Martínez, Estados Unidos
Ernesto Saavedra, Estados Unidos
Meredith Staples, Estados Unidos
Susan Marsh, Estados Unidos
Charlotte Cote, Estados Unidos
Heidi Sarabia, Estados Unidos
Kate Savkovich, Estados Unidos
Túlio Zille, Estados Unidos
Diana Bohn, Estados Unidos
Malú Huacuja del Toro, Estados Unidos
Denisse Andrade, Estados Unidos
George Caffentzis, Estados Unidos
Diana Warwin, Estados Unidos
Louise Seamster, Estados Unidos
Luis Lopez, Estados Unidos
Samantha Bobila, Estados Unidos
Jesse Villalobos, Estados Unidos
Barbara Larcom, Estados Unidos
Shauna Gunderson, Estados Unidos
Luis Feliz, Estados Unidos
Katherine Feliz, Estados Unidos
Nicole Feliz, Estados Unidos
Zuinda Leon, Estados Unidos
Cathy de la Aguilera, Estados Unidos
RJ Maccani, Estados Unidos
Charlie Perez, Estados Unidos
Hillary Lazar, Estados Unidos
Montserrat Mendez, Estados Unidos
Hankyung Kim, Estados Unidos
Saydee Villarruel, Estados Unidos
Ralph Torres, Estados Unidos
Alexander Dwinell, Estados Unidos
Yuri Rojas, Estados Unidos
Ainsley B. Story, Estados Unidos
Jonathan Fox, Estados Unidos
Birdie Gutierrez, Estados Unidos
Aleida Lomeli, Estados Unidos
Piera Segre, Estados Unidos
Grace de la Cruz, Estados Unidos
Kate Savkovich, Estados Unidos
Jill Dowling, Estados Unidos
Jennifer Sullivan, Estados Unidos
Amarela Varela, Mexico
Dorinda Moreno, Mexico
Alejandra Vargas, Mexico
Guillermo Schneider H., México
Graciela Najera Allende, Mexico 
Pedro Guzmán, Mexico
Xilonen Pérez Bautista, Mexico
Cristina Coronado Flores, Mexico
Juan Carlos Martíez Prado, Mexico
Rodrigo Gutiérrez, México.
Jorge Peláez, México
Mylai Burgos, México
Yacotzin Bravo, México
Aline Rivera, México
Liliana López, México
Lena García Feijoo, Mexico
Laura Castellanos, Mexico
Eva Luz leal Castro, Mexico
Cynthia Ramírez Ríos, Mexico
Luisa Elena Yannini Mejenes, Mexico
Isabel Lozano Maurer, Mexico
Cecilia Zeledon, Mexico
Maria Rodriguez, Mexico
Ana Rodriguez, Mexico
Lucia Rodriguez, Mexico
Francisco Rodriguez, Mexico
Ana Lidia Flores, Mexico
Maria Luisa Maurer, Mexico
Adriana Maurer, Mexico
Sebastian Mantelli, Mexico
Sofia Lozano, Mexico
Daniel Lozano, Mexico
Pamela Walls, Mexico
Marina Rojo, Mexico
Cuauhtemoc Padilla M., Mexico
Sergio Pliego, Mexico
Maria Luisa Rios, Mexico
Alejandra de la Mora, Mexico
Diego de la Mora, Mexico
Judith Flores Carmona, Mexico
Luis Deloya, Mexico
Carlos Mc Brigthe, Mexico
Marina Kaplan, Mexico
Juan Anzaldo Meneses, Mexico
Esperanza Estrada L., Mexico
Sandra Luz Garcia, Mexico
Ramon Menza, Mexico
Jesus Guevara, Mexico
Oscar Hernandez López, Mexico
Maria Armendra Hernandez López, Mexico
Maria Asuncion Hernández López, Mexico
Esperanza Marina Hernández López, Mexico
Geronimo Alberto Hernández López, Mexico
Ana Maria Hernández López, Mexico
Roberto Valentina Hernández López, Mexico
Xochitl Guevara, Mexico
Huixil Guevara, Mexico
Ixchel  Guevara, Mexico
Esperanza López Espada, Mexico
Jovita Patricia Gómez Cruz, Mexico
MA. Esther Piña Soria Calderon, Mexico
Ricardo Antonio Sanchez Piña Soria, Mexico
Hector Ricardo Sanchez Coronado, Mexico
María Consuelo Niembro Domínguez, Mexico
Ines Segivia Camelo, Mexico
Adriana Chávez Tejeda, Mexico
Héctor Vicario Montiel, Mexico
Adriana Vicario Chávez, Mexico
Dr.Raùl Pàramo Ortega, Mexico
Carmen Huerta, Mexico
Susana Karina Navarrete Guerrero, Mexico
Cristina Coronado Flores, Mexico
Claudia Ytuarte Núñez, Mexico
Rodrigo Servín Camacho, Mexico
Esther Pérez Aboytes, Mexico
Julio Cesar Rincon, Mexico
Albert Moliner Fernandez, Catalunya
Iñaki García García, Catalunya
Lola de Querol Duran, Catalunya
Francesc Laporta, Catalunya
José L. Humanes Bautista, Estado Español

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La Jornada – Giovedì 12 maggio 2011

I “prigionieri politici” della Voz del Amate e i “prigionieri solidali” chiedono di essere scarcerati

Herman Bellinghausen

I “prigionieri politici” della Voz del Amate, aderenti all’Altra Campagna dell’EZLN, ed il gruppo di “prigionieri solidali” con loro, rinchiusi tutti nel penale numero cinque di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, chiedono di essere liberati immediatamente, perché il loro arresto è ingiustificato.

Alberto Patishtán Gómez e Rosario Díaz Gómez hanno inoltre dichiarato che “la soluzione dei molti problemi che angosciano il Messico non è aumentare le retribuzioni del personale dell’Esercito federale e poi militarizzare tutto il paese, tanto meno far sparire ed assassinare civili innocenti ed opprimere la povera gente”.

“Non vale nemmeno arrestare gente innocente”. Così facendo, il presidente Felipe Calderón “che vuole dare l’immagine di un paese stabile e di pace”, fa il contrario. “Qui si vedono solo i diritti umani violati e l’impunità in molti casi”.

Comunicano di essersi uniti come La Voz del Amate “alla marcia silenziosa convocata dall’EZLN il 7 maggio”, con un digiuno e preghiera di 12 ore, “in solidarietà con la Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, per l’omicidio dei ragazzi e della famiglia del compagno Javier Sicilia che sono Juan Sicilia Ortega, Luis Antonio Romero Jaime, Julio César Romero Jaime e Gabriel Alejo Escalera”.

Dicono “basta alla guerra di Calderón, non più sangue”, e sostengono: “Ne abbiamo abbastanza delle ingiustizie e degli arresti per reati fabbricati. Chiediamo a tutto il Messico di fermare questa guerra di morti e odi, e chiedere la liberazione di tutti i prigionieri politici del paese”.

Il professore tzotzil Alberto Patishtán, in prigione da più di dieci anni, non desiste dal chiedere la sua libertà. Il governo di Juan Sabines Guerrero ha promesso di intercedere per lui presso le autorità giudiziarie della Federazione, ma a tre anni dallo sciopero della fame con cui si ottenne la liberazione di decine di “prigionieri politici”, il suo caso non è ancora risolto.

Ora, inoltre, c’è un nuovo “prigionieri politico” zapatista, Patrizio Domínguez Vázquez, contadino base di appoggio dell’EZLN del municipio autonomo Tierra y Libertad, originario della comunità Monte Redondo, ingiustificatamente in prigione dal 12 aprile a Motozintla, dopo che la sua casa era stata bruciata da gruppi filogovernativi appoggiati dal presidente municipale di Frontera Comalapa, David Escobar.

Altri detenuti dell’Altra Campagna, i cosiddetti “5 di Bachajón”, sono dietro le sbarre dal 3 febbraio senza che le autorità chiapaneche diano segno di liberarli. Si tratta di Jerónimo Guzmán Méndez, Domingo Pérez Álvaro, Juan Aguilar Guzmán e Domingo García Gómez, nel Centro Statale di Reinserimento Sociale numero 17, a Playas de Catazajá, e Mariano Demeza Silvano nel Carcere Minorile di Villa Crisol, municipio di Berriozábal.

La loro difesa ha dimostrato che sono tenuti imprigionati come “ostaggi politici”, nonostante non siano responsabili dei reati che imputano loro. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/12/index.php?section=politica&article=018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 11 maggio 2011

Elementi dell’Ejército de Dios sparano contro basi dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

Il popolo organizzato di Mitzitón, aderente all’Altra Campagna, ha denunciato aggressioni e spari da parte di elementi del cosiddetto Ejército de Dios durante e dopo la marcia delle basi di appoggio dell’EZLN e dell’Altra Campagna nel centro di San Cristóbal de las Casas, Chiapas,sabato scorso.

Di fronte alla massiccio mobilitazione zapatista e dell’Altra Campagna, sostengono gli indigeni, “il governo risponde subito alla nostra dimostrazione di organizzazione civile e pacifica dell’unica maniera che conosce: con la violenza, oggi per mano dei suoi paramilitari, domani con la sua polizia”.

Gli ejidatarios riferiscono che quel giorno si sono uniti alla Marcia Nazionale per la Giustizia e contro l’Impunità, “vicino ai nostri compagni basi di appoggio zapatisti dei cinque caracoles aderenti all’Altra Campagna; 120 uomini e donne siamo andati a San Cristóbal, il resto delle famiglie sono rimaste in comunità a svolgere le loro attività quotidiane”.

Intorno alle 13 “alcune compagne stavano pascolando le pecore su terreni che confinano con la 31 Zona Militare di Rancho Nuevo”, quando hanno iniziato a sparare contro di loro. “Sono riuscite a vedere due paramilitari aggressori, ma hanno riconosciuto solo il figlio di Roberto Vicente Pérez, noto paramilitare padrone dell’autoveicolo utilizzato nell’attacco che abbiamo subito il 13 febbraio, e che grazie all’impunità e complicità del malgoverno è libero anche se ci sono molte prove dell’attacco armato ed un compagno è stato gravemente ferito”.

Passate le 19 di sabato, “stavamo rientrando dalla marcia quando abbiamo sentito quattro detonazioni”. Un’ora dopo, “i paramilitari hanno esploso altri spari”. I poliziotti appostati nella comunità “dicevano di aver riferito della situazione al loro comandante, ma a noi dicevano che erano petardi”. Due aggressori sono stati riconosciuti: Andrés Jiménez Hernández Segundo e Pascual Zainé Díaz Jiménez. Ce n’era un altro, “ma non sappiamo se ce n’erano altri”.

Alle 21, aggiungono, “Gregorio Gómez Jiménez, leader dei paramilitari dell’Ejército de Dios, col suo camioncino da casa sua percorreva la strada internazionale e la strada sterrata, come se cercasse qualcuno di noi. Ancora adesso continuano la tensione e le minacce”.

Ricordano che il 3 maggio la stampa locale ha pubblicato la dichiarazione del delegato della Segreteria di Comunicazioni e Trasporti, Ernesto Jáuregui Asomoza, che diceva che il progetto dell’autostrada San Cristóbal-Palenque “non è morto e che sarà realizzato come è stato tracciato”.

Denunciano: “Deve essere per questo e perché vedono che siamo organizzati e non siamo soli, ci vogliono provocare, torturare, reprimere ed assassinare affinché smettiamo di difendere il nostro territorio. Il malgoverno di Juan Sabines e di Felipe Calderón deve pensare che in questo modo noi siamo presi solo dalla paura e da difenderci dai paramilitari, ma non dimentichiamo i motivi della nostra lotta, i notri diritti di popoli indigeni, la difesa della nostra terra e territorio e la costruzione della nostra autonomia”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/11/index.php?section=politica&article=017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 10 maggio 2011

Le donne indigene sostengono che i governi uccidono non solo con le armi, ma con la povertà e la fame

Hermann Bellinghausen

“Non è più tempo di essere vigliacchi. Quando c’è violenza nel nostro paese proviamo tristezza per la gente, la nostra famiglia e la nostra comunità, ed a volte perfino piangiamo quando sappiamo di quelle brutte notizie. Proviamo rabbia perché ci violentano e ci uccidono, ed i governi non fanno niente, invece mettono in prigione gli innocenti e non i colpevoli”.

In un comunicato rivolto alle donne del Messico ed all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionali, alcuni collettivi di donne delle comunità Aguacatenango, La Grandeza, Napité, Corostik, Coquiteel, Sulupwitz, Frontera Comalapa, Santa Rosa de Cobán, Yaluma, Chihuahua, e Bella Vista del Norte, delle regioni nord, Altos e sierra di confine, tutti nello stato del Chiapas, sostengono: “La terra è con noi”.

Ed aggiungono: “I governi non ammazzano solo con le armi, ma anche con la povertà, la fame che usano per ingannarci con progetti che ci tolgono il tempo e la fermezza, ci inculcano le loro idee, fanno sì che ci dividiamo e non ci organizziamo. Siamo indigene, contadine, attiviste e lavoratrici, coltiviamo la madre terra, la seminiamo e la curiamo, è nostra e la rispettiamo. I governi ed i grandi paesi vengono a togliercela, ma diciamo loro che la terra non si vende, è nostra madre, di lei viviamo e ci alimentiamo e lottiamo per lei”.

Elencano le loro richieste che includono in maniera significativa il diritto delle donne a possedere e coltivare la terra: “Non vogliamo che la nostra terra, né l’acqua siano privatizzate da grandi imprese come la Coca Cola. Non vogliamo più agenti chimici né transgenici perché portano malattie. Nemmeno progetti per coltivare la palma africana e pinoli, perché esauriscono la forza della terra, danneggiano la nostra salute e non ci fanno produrre più cibo per l’alimentazione, ma ci fanno produrre carburante per le auto e quindi moriremo di fame”.

Respingono le miniere, i programmi governativi quali il Programa de Certificación de Derechos Ejidales y Titulación de Solares Urbanos (Procede), il Programa de Certificación de Bienes Comunales (Procecom) ed il Fondo de Apoyo para los Núcleos Agrarios sin Regularizar (Fanar) “perché sottraggono la madre terra e dividono le nostre comunità”. Nel loro ampio ripudio, le donne indigene organizzate comprendono l’alcool e la droga nelle proprie comunità, “perché provoca violenza”.

“Vogliamo dire ai governi che è bugia che non ci sia più povertà. Non vogliamo militari, poliziotti né posti di blocco, ci controllano sempre e ci fanno violenza. Stanno vicino alle nostre comunità, ci fanno paura, è una bugia che gli eserciti aiutano il popolo, ci violentano e ci uccidono”.

Contadini e contadine “non abbiamo terra, perché i malgoverni la privatizzano, consumata da agenti chimici e monocolture, comprano a basso prezzo i nostri prodotti, il nostro cuore soffre, cerchiamo altri lavori e lasciamo la nostra terra perché i nostri figli hanno fame.”

Chiedono giustizia, non più violenza, che si riconosca il diritto delle donne alla proprietà, alla semina e alla presa di decisioni. “Che rispettino le nostre lingue e cultura e non ci discriminino”.

Dicono agli uomini e alle donne del Messico: “Non cedete, lottate per la terra ed il vostro territorio. È nostra, coltivatela, non vendetela, difendetela”. Invitano ad organizzarsi “perché solo insieme abbiamo la forza per combattere la violenza ed i malgoverni”. Infine, “ai compagni zapatisti diciamo che grazie alla loro lotta abbiamo potuto vedere la realtà in cui viviamo e per questo diciamo loro di prendere in considerazione le donne perché siamo con loro, lottiamo per la stessa cosa ed uniremo le forze”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/10/index.php?section=politica&article=013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 8 maggio 2011

Migliaia di indigeni con i passamontagna provenienti dalle cinque regioni sotto l’influenza dell’EZLN hanno percorso le strade di San Cristóbal

Speciale di Gloria Muñoz Ramírez. San Cristóbal de las Casas, Chiapas. 7 maggio. Nel più sorprendente ed assoluto silenzio, più di 15 mila basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), secondo calcoli prudenti, oggi hanno inondato le strade di questa città nella riapparizione pubblica delle comunità in ribellione e dello stato maggiore del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia Generale dell’EZLN dopo più di cinque anni senza manifestare fuori dal proprio territorio.

Nel discorso principale, davanti ad una piazza colma di zapatisti e di organizzazioni e collettivi dell’Altra Campagna in Chiapas, il Comandante David ha espresso con chiarezza la posizione dell’EZLN rispetto alla guerra ed alle diverse correnti: “Non si tratta di vedere chi vince tra cattolici, evangelici, mormoni, presbiteriani o di qualunque religione o non credenti. Non si tratta di vedere chi è indigeno e chi no. Non si tratta di vedere chi è più ricco o più povero. Non si tratta di chi è di sinistra, di centro o di destra. Non si tratta se sono migliori i panisti o i priisti o i perredisti o come si chiamino o se sono tutti ugualmente cattivi. Non si tratta di chi è zapatista o non lo è. Non si tratta di stare col crimine organizzato o col crimine disorganizzato che è il malgoverno. No. Si tratta che per essere quello che ognuno sceglie di essere, per credere o non credere, per scegliere un’ideologica, politica o religiosa, per discutere, concordare o essere in disaccordo, sono necessarie la pace, la libertà, la giustizia”.

Migliaia di indigeni con i passamontagna provenienti dalle cinque regioni sotto l’influenza dell’EZLN (La Realidad, La Garrucha, Morelia, Roberto Barrios e Oventic) sono arrivati in camion dalle prime ore della mattina. Con i volti coperti e con la disciplina che li caratterizza, sono partiti in fila dal Centro Indigeno di Formazione Integrale (Cideci), alla periferia di questa città, fino alla Piazza della Pace, dove sono arrivati dopo oltre quattro ore, e quando la testa del corteo è arrivata nella piazza, la strada per San Juan Chamula, il quartiere di San Ramón, il Puente Blanco e alle Diego de Mazariegos erano piene di zapatisti.

Quasi al termine del suo discorso, il Comandante David ha ripetuto per sette volte un messaggio rivolto a tutte le vittime e familiari della guerra di Calderón: “Non siete soli”, una consegna che li accompagna da oltre 17 anni e che in quest’occasione hanno espresso in un solo grido, col pugno sinistro alzato, in uno dei momenti più emozionanti della manifestazione.

Gli zapatisti hanno segnalato chiaramente che con la loro adesione alla mobilitazione nazionale, ed in particolare con la loro presenza silenziosa a San Cristóbal de las Casas, non intendono indicare strade né rispondere alla domanda su che cosa succederà. Inoltre hanno detto, “non siamo qui per parlare dei nostri dolori, delle nostre lotte, dei nostri sogni, delle nostre vite e morti… Oggi siamo qui per rappresentare decine di migliaia di indigeni zapatisti, molto più di che oggi si vedono, per dire a questo dignitoso passo silenzioso che nella sua domanda di giustizia, che nel suo lottare per la vita, che nel suo anelito di pace, che nella sua esigenza di libertà, noi li comprendiamo e li appoggiamo. Oggi siamo qui per rispondere all’appello di chi lotta per la vita, al quale il malgoverno risponde con la morte”.

Più di 30 Comandanti dell’EZLN, tra loro Tacho, Zebedeo, Bulmaro, Guglielmo, Miriam ed Ester, hanno occupato il palco davanti alla Cattedrale della Pace. Da lì, il Comandante David ha spiegato che l’appello alla marcia nazionale nasce da persone che “non ci stanno chiamando o convincendo ad abbracciare una religione, un’idea, un pensiero politico o una posizione sociale. Non ci stanno chiamando a cacciare un governo per metterne un altro. Non ci stanno diiendo che bisogna votare per uno o per un altro. Queste persone ci stanno convocando a lottare per la vita. E può esserci vita solo se ci sono libertà, giustizia e pace. Per questo questa è una lotta tra chi vuole la vita e chi vuole la morte”.

In incredibile silenzio e con migliaia di piccoli cartoncini con le parole “Non più sangue”, “Ne abbiamo abbastanza” e “Stop alla guerra di Calderón”, gli zapatisti tzotziles, tzeltales, tojolabales, choles, zoques e mames hanno sfilato con enormi striscioni con i seguenti messaggi: “fratelli e sorelle, proviamo dolore per la perdita dei vostri cari, per questa guerra crudele di Calderón” e “Viva la vita, la libertà, la giustizia e la pace”.

Alla fine, dopo di più di 5 ore di mobilitazione, senza contare le ore impiegate per raggiungere questa città, la maestra di cerimonia ha detto: “Abbiamo detto quello che dovevamo dire. Anche se siamo stanchi, ma questa  la lotta”. E sulle traduzioni in tzotzil, tzeltal, tojolabal e chol ha detto con humor zapatista, “sappiamo che non avete capito niente, ma ci avete sopportat. Grazie per la vostra pazienza”. Poi ha salutato, “come siamo venuti, ora ce ne andiamo”. http://www.jornada.unam.mx/2011/05/08/index.php?section=politica&article=003n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico, il reclamo di pace con giustizia e dignità

di Matteo Dean

Quando l’insensatezza occupa la vita pubblica,
la poesia ha la ragione.
Dunque, facciamo parlare la poesia
perché tacciano gli insensati.

Un silenzio assordante. È così che si può riassumere la lunga marcia “per la pace con giustizia e dignità” che iniziata lo scorso 5 maggio a Cuernavaca (cento chilometri a sud di Città del Messico) si è conclusa questa domenica nella piazza centrale della capitale messicana. Silenzio, spiega Javier Sicilia, premio nazionale di poesia, giornalista e padre di Juan Francisco, assassinato dai sicari del narcotraffico il 28 marzo scorso; silenzio perché “il nostro dolore è così grande e così profondo, che non vi sono più parole per nominarlo”. Il giorno dopo la straordinaria manifestazione zapatista a San Cristobal de Las Casas in Chiapas, sono Città del Messico ed almeno altre venti città le protagoniste di questa giornata convocata da Javier Sicilia. Cominciata con la partecipazione di meno di mille persone, la marcia è terminata con l’arrivo di almeno 200 mila persone nello zocalo di Città del Messico. Una moltitudine che ha compreso padri e madri, figli e parenti delle oltre 40 mila vittime che la “guerra al narcotraffico” lanciata dall’attuale amministrazione federale messicana di Felipe Calderon; ma anche migliaia tra militanti delle più diverse organizzazioni sociali messicane, giovani, studenti, artisti, migranti, indigeni e molti altri.

Una manifestazione moltitudinaria nel vero senso del termine. Poche volte vi è occasione di vedere i contadini di Atenco, assieme ai migranti della carovana migrante (che ha risalito il Messico dalla frontiera sud “riappropriandosi” del treno merci che ogni giorno trasporta centinaia di migranti privi di documenti esponendoli ad ogni genere di violenza), assieme agli studenti riuniti nell’Assemblea dei Giovani in Emergenza Nazionale, assieme agli indigeni del Municipio Autonomo di San Juan Copala, assieme ai membri della Polizia Comunitaria della Montagna di Guerrero, assieme ai genitori del Movimento 5 Giugno , assieme alle famiglie di Ciudad Juarez, assieme ai parenti delle vittime del feminicidio, assieme ad artisti ed intellettuali di diversa provenienza, assieme alle anime democratiche della Chiesa cattolica, assieme e migliaia di persone non organizzate che però oggi – domenica, quando scriviamo – in piazza ci son volute andare. Le ragioni di questa manifestazione sono molte ed articolate. Ma forse è possibile riassumerle semplicemente raccontando quel silenzio degno che ha accompagnato per oltre quattro giorni la carovana. Un silenzio che si è rotto solo nelle piazze raggiunte dalla carovana. Un silenzio che ha ceduto la parola ai padri ed alle madri delle vittime. O che, in altre occasioni, è stato rotto dall’impossibilità di contenere rabbia e dolore.

Difficile raccogliere tutte queste storie, raccontare tanto vissuto. Eppure, il movimento che oggi è sceso in piazza si è dato pure quest’obiettivo, perché troppe volte assassinati, sequestrati, scomparsi, o le centinaia di corpi che in queste settimane affiorano nelle sempre più numerose fossi comuni diventano numeri. Numeri per riempire le tabelle che il governo offre in pasto alla stampa. Ma che in realtà nascondono vite e speranza stroncate. Sarebbero 40 mila i morti sinora (dal dicembre 2006) di questa “guerra al narcotraffico”. A questa cifra, si aggiungono almeno 10 mila orfani di guerra (secondo altre fonti, questi sarebbero 30 mila), 10 mila migranti sequestrati solo lo scorso anno,  e quasi mezzo milione di sfollati, ovvero gente che è scappata dal proprio quartiere, dalla propria città, dal proprio stato, dal Messico. Numeri che fanno orrore, ma che appunto non servono a descrivere la realtà, anche se il governo si ostina a chiamarli “vittime collaterali”.

Quel che è certo – e forse possiamo permetterci di segnalare come una prima vittoria del movimento – è il fatto che finalmente il tema della violenza e, soprattutto, dell’insicurezza è stato per il momento sottratto alla destra conservatrice che detiene il potere nel paese. E non parliamo solo della destra al potere. Parliamo soprattutto dei settori benestanti di questa ed altre città, che non si fanno mai vedere, che scompaiono ogni giorno dietro gli alti muri dei loro quartieri-bunker ma che davanti i casi più tragici hanno a volte alzato la voce. Sono loro, quegli stessi settori che oggi negli anni scorsi si sono arricchiti pure chiudendo un occhio davanti agli affari del narcotraffico, che oggi accusano Javier Sicilia ed il movimento che oggi è in piazza di voler “far cadere il governo”. Forte di questo sostegno minoritario sul piano dei numeri, ma strategico sul piano del potere economico e politico, Calderon avverte i manifestanti: “Non dovete dire a noi di smettere con la violenza, ma ai delinquenti”. Rispondono i manifestanti: “Siete voi, classe politica, che avete la responsabilità di frenare la violenza”. È la classe politica messicana, “corrotta e collusa con la criminalità organizzata, che militarizza il tema della pubblica sicurezza, che ha trasformato il Messico in un campo di battaglia, che ha reso i cittadini ostaggi della violenza, che umiliate le istituzioni repubblicane”.

Ma per fortuna, il reclamo della moltitudine che oggi è scesa in piazza non si rivolge solo alla classe politica. E neanche ai narcos che insanguinano il paese con “la complicità dei tre livelli di governo”. La società civile messicana s’interroga e si domanda dove e quando si è cominciata a perdere la dignità. E la risposta se la da sola, guardandosi in faccia, dialogando e lanciando una proposta articolata in sei punti, complessi e che dimostrano il mungo sforzo di mediazione “tra più di cento organizzazioni sociali”. La proposta si traduce in un documento che il movimento chiama Patto Nazionale. Un documento che – si comprende al leggerlo – riunisce anche le diverse anime di questo movimento. La proposta chiama in causa prima la società civile stessa, convocata a restituire la memoria a quei 40 mila morti e a fare uno sforzo di pressione perché quel 98 per cento di casi ancora irrisolti siano finalmente chiariti dalle autorità competenti. Si esige poi un cambiamento di visione della “pubblica sicurezza”, ovvero che questa non riceva più un punto di vista “militare” ma piuttosto cittadino. In questo senso, quando si parla di militarizzazione della pubblica sicurezza, è importante dire che non si tratta solo dei 90 mila soldati – e marines – dispiegati nelle strade messicane, ma anche il fatto che oltre 500 militari attualmente hanno la licenza di assumere ruoli di comando all’interno delle diverse polizie locali del paese.

Su questo punto, il movimento insiste che la nuova proposta di Legge di Sicurezza Nazionale – che, tra l’altro, darebbe facoltà al presidente di imporre lo stato d’eccezione e di utilizzare l’esercito contro ogni movimento che metta in pericolo la stabilità dello Stato – non deve essere approvata così com’è stata proposta, ma deve essere oggetto di una discussione plurale. In questo senso, il movimento sta convocando ad un incontro nazionale tra tutte le esperienze di “giustizia autonoma” perché vi sia un confronto ed una proposta “dal basso”. Il Patto Nazionale propone poi di combattere a fondo la corruzione diffusa in seno ai partiti ed al sistema politico, restituendo autonomia al potere giudiziario – in Messico, esiste la figura del Procuratore Generale nominato dal presidente della repubblica – ed esige al Congresso nazionale di eliminare l’immunità parlamentare entro i prossimi sei mesi. Nel documento vi è anche l’esigenza di attaccare realmente la florida economia del narcotraffico e di stabilire politiche precise e verificabili in favore dei giovani che attualmente, in Messico, “hanno solo due prospettive di vita: entrare nelle file dell’esercito o fare il narco”. Infine. Il documento esige che si approvino le riforme necessarie che rendano “la democrazia messicana” una democrazia partecipativa, introducendo la figura delle candidature indipendenti, del referendum popolare – tuttora inesistente nel sistema politico messicano -, la revoca del mandato popolare per i governanti, tra le altre proposte. Il movimento, però, non si ferma alla proposta. Avverte il governo ed il Congresso federale: “Se non ci ascoltate, se farete di testa vostra, avremo solo un modo per obbligarvi: resistenza civile e pacifica”.

8 maggio 2011

Scarica qui il discorso completo di Javier Sicilia in formato .pdf

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PAROLE DELL’EZLN ALLA MANIFESTAZIONE DI APPOGGIO ALLA MARCIA NAZIONALEPER LA PACE

7 MAGGIO 2011

 Madri, padri, familiari ed amici delle vittime della guerra in Messico:

Compagne e compagni basi di appoggio zapatiste delle differenti zone, regioni, villaggi e municipi autonomi ribelli zapatisti:

Compagne e compagni dell’Altra Campagna ed aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in Messico e nel mondo:

Compagne e compagni della Zezta Internazionale:

Sorelle e fratelli delle differenti organizzazioni sociali:

Sorelle e fratelli delle organizzazioni non governative e che difendono i diritti umani:

Popolo del Messico e popoli del mondo:

Sorelle e fratelli:

Compagne e compagni:

Oggi siamo qui in migliaia di uomini, donne, bambini ed anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale per dire la nostra piccola parola.

Oggi siamo qui perché persone dal cuore nobile e dignità ferma ci hanno convocati a manifestare per fermare la guerra che ha riempito di tristezza, dolore e indignazione i suoli del Messico.

Perché ci siamo sentiti chiamati dal reclamo di giustizia di madri e padri di bambini e bambine che sono stati assassinati dalla pallottola e dall’arroganza e scempiaggine dei malgoverni.

Perché ci sentiamo chiamati dalla degna rabbia delle madri e dei padri dei giovani assassinati dalle bande criminali e dal cinismo governativo.

Perché ci sentiamo convocati dai familiari di morti, feriti, mutilati, scomparsi, rapiti e imprigionati senza avere colpa o reato alcuno.

E questo è quello che ci dicono le loro parole ed i loro silenzi:

Che la storia del Messico è tornata a macchiarsi di sangue innocente.

Che decine di migliaia di persone sono morte in questa guerra assurda che non porta da nessuna parte.

Che la pace e la giustizia non trovano più posto in nessun angolo del nostro paese.

Che l’unica colpa di queste vittime è essere nate o vivere in un paese mal governato da gruppi legali e illegali assetati di guerra, di morte e di distruzione.

Che questa guerra ha avuto come principale bersaglio militare esseri umani innocenti, di tutte le classi sociali, che non hanno niente a che cosa vedere né col narcotraffico né con le forze governative.

Che i malgoverni, tutti, federale, statali e municipali, hanno trasformato le strade in zone di guerra senza che chi le percorre e lavora fosse d’accordo e ci fosse modi di protegg