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La lotta continua.

 

La Jornada – Martedì 31 dicembre 2013

 

I combattimenti durarono 12 giorni; la lotta continua

 

A 20 anni dall’insurrezione in Chiapas, gli zapatisti resistono e si reinventano

 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 30 dicembre.

 

Contrariamente a quanto si continua a dire, e difficilmente confrontabile con la realtà, le comunità autonome zapatiste, senza aiuti governativi (al contrario, il governo messicano risponde alle domande originali di questi popoli con una sostenuta guerra di bassa intensità e logoramento), sono riusciti a realizzare un processo di autogoverno, nel quale sono state fondate decine di nuovi insediamenti sulle terre recuperate dopo la sollevazione del 1994. Questi, sommati agli oltre mille villaggi che formano i municipi autonomi ribelli, danno come saldo non più povertà ed emarginazione, come vorrebbero le cassandre del potere, ma regioni organizzate con sistemi propri ed efficienti di educazione, salute collettiva essenzialmente di prevenzione, produzione agricola per l’autosufficienza, la commercializzazione indipendente di caffè, miele e artigianato. Tutto, al di fuori del consumismo indotto, della dipendenza economica e del controllo politico che implicano, in Chiapas, i piani governativi.

 

Dopo il 1994 lo stato ha sperimentato una virtuale riforma agraria, con l’appropriazione di migliaia di ettari di quello che furono fattorie e proprietà che oggi sono nelle mani dei popoli maya dell’entità. Si parla di 700 mila ettari occupati da indigeni; la maggior parte, in realtà, andarono a beneficio di chi non si era nemmeno ribellato. L’influenza della ribellione zapatista ha raggiunto e portato benefici anche a quelli che si tengono ai margini del governo ed in alcune occasioni sono serviti per osteggiare, aggredire e cacciare i ribelli ed i loro simpatizzanti indigeni. Benché negata sistematicamente dalle autorità, la paramilitarizzazione è un fatto costante, con implicazioni criminali ed impunità garantita.

 

In Chiapas cambiò la vita dei popoli originari

 

Si chiude il mese di dicembre. In queste ore, 20 anni fa, centinaia di comunità maya nel sudest messicano si disponevano finalmente a sollevarsi in armi contro quello che hanno sempre chiamato malgoverno, dopo di anni di preparazione per la guerra di liberazione nazionale. Le famiglie chol, tzeltal, tojolabal, tzotzil, salutavano padri, figli o fratelli miliziani. Gli insorti, molte donne, li avrebbero guidati dalla Selva Lacandona, gli Altos e Zona Nord per occupare simultaneamente diverse città all’alba di fine anno. E così all’alba ad Altamirano a distruggere l’orologio del municipio; a San Cristóbal de Las Casas, alle prime luci del giorno, i locali, i turisti ed i primi giornalisti (Amato Avendaño Figueroa, direttore del Tiempo, il primo fra tutti) andarono a vedere chi aveva occupato e svuotato il palazzo, dal suo balcone lessero, per voce del comandante Felipe notoriamente senza passamontagna, la Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e fecero conoscere le loro richieste. Il subcomandante Marcos, unico meticcio, attrasse immediatamente l’attenzione dei media. Dall’oscurità alla luce, un poco impacciati, si vide che chiunque fossero, erano preparati per quello che volevano fare. Col volto coperto, chiedevano per tutti tutto, niente per noi.

 

Ad Ocosingo, il secondo giorno li aspettava una battaglia sanguinosa e lì sarebbe caduto il maggior numero di ribelli, tra loro il comandante Hugo, rispettato dirigente tzeltal. Molti furono giustiziati dall’Esercito federale (che attaccò proveniente da Palenque) faccia a terra, con le mani legate dietro la schiena, ma la maggioranza morirono in combattimento. La strada verso le vallate fu disseminata di cadaveri di indigeni con la divisa di un esercito contadino che avrebbe ridefinito l’idea di modernità, secondo le classi dominanti. Nelle prime ore era corsa voce che non fossero messicani, che parlavano come stranieri. Devono essere del Guatemala, dissero i caxlanes sbarrandosi in casa. Quasi troppo facile sembrò la presa di Las Margaritas, dove gli insorti affrontarono la polizia; in quell’azione cadde il subcomandante Pedro, ed il mondo non lo avrebbe conosciuto. Le comunità della valle tojolabal lo recuperarono e lo piansero con tutti gli onori.

 

Salvo che ad Ocosingo, il ripiegamento degli insorti fu rapido, quasi misterioso. Lasciando Las Margaritas, i ribelli passarono per la fattoria del generale, ex governatore e proprietario terriero Absalón Castellanos Domínguez e lo fecero prigioniero. Era responsbiale di molte vite di indigene e sarebbe stato giudicato per i suoi crimini. E come ne La voragine, di José Eustasio Rivera, se li divorò la selva. O la montagna tzotzil degli Altos.

 

Le elite credevano che all’alba del 1994 il Messico starebbe entrato nel primo mondo come socio di lusso delle potenze del nord. Col chiasso dei guastafeste indigeni in un lontano angolo della patria, il paese si trovò piuttosto di fronte ad una guerra quasi inverosimile, ad un’eloquenza inedita alla quale nessuno potè essere indifferente. Il loro Ya basta! cambiava le regole del gioco. I media accorsero in massa da tutti i paesi. C’era un nuovo giocatore: i popoli indigeni del Messico. Il resto, è storia.

 

Venti anni dopo

 

Con lo stile saccente tanto caro ai neoliberisti, ora chiedono conto agli zapatisti: che cosa è stato fatto in questi 20 anni?, e tirano fuori cifre, conclusioni errate e menzogne malintenzionate. Dopo quattro lustri, cinque presidenti e otto governatori, la pace non è stata firmata e pertanto la dichiarazione di guerra è ancora in atto. Gli incontri tra i ribelli e le autorità sono stati pochi (l’ultimo risale a 18 anni fa). Gli accordi siglati a San Andrés nel 1996 furono rinnegati il giorno dopo dal governo federale che li aveva firmati, e da allora gli zapatisti vengono ignorati nei censimenti, sono trattati come oggetti nei sondaggi, e combattuti con violenza occultata e cannonate di denaro sotto il nome di programmi, i quali non comprendono mai le comunità che dopo l’insurrezione si sono dichiarate in resistenza.

 

I combattimenti di gennaio durarono 12 giorni. Centinaia di migliaia di persone (si parlò di un milione) uscirono per le strade a chiedere il cessate il fuoco. Da allora esiste una tregua tra le parti, benché ripetutamente violata dal governo (rilevante quella del 9 febbraio 1995, con l’offensiva zedillista a tradimento contro le comunità, e quella del 10 giugno 1998, con l’attacco militare al municipio autonomo San Juan de la Libertad). La guerra del governo non si è fermata un solo istante. I fronti sono molti e non necessariamente armati. Tuttavia, nell’agosto del 1994 gli zapatisti avrebbero fatto una dichiarazione inedita dicendo di essere un esercito che aspirava a non esserlo più. Nei fatti, a differenza dei movimenti insurrezionali dell’America Latina in generale, si sono imbarcati nella costruzione di un regime autonomo, autosostenibile anche se modesto, le donne rivendicano i propri diritti e non devono niente a nessuno. Hanno continuato la guerra senza sparare; hanno conquistato pace e territorio, costruito villaggi, municipi e cinque centri di governo, chiamati Caracol, dove dal 2003 funzionano le originalissime giunte di buongoverno.

 

Giunti al 2014, i popoli zapatisti continuano a reinventare, perché possono farlo. La loro resistenza è stata ardua, hanno sofferto senza piegarsi, e continuano ad albeggiare per celebrare la vita. Una guerra come nessuna, no? http://www.jornada.unam.mx/2013/12/31/politica/036n1pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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 La Jornada – 31 dicembre 2013

Zapatismo: la ricchezza della dignità

Luis Hernández Navarro

Nella comunità Emiliano Zapata, nel caracol Torbellino de Nuestras Palabras, 30 famiglie zapatiste lavorano in forma collettiva. Possiedono in comune una piantagione di caffè, orti e circa 350 capi di bestiame. I suoi abitanti non ricevono aiuti governativi di nessun tipo, ma il loro livello di vita è molto meglio di quello dei villaggi priisti dei dintorni.

Nella comunità c’è un piccolo negozio comunale i cui guadagni sono destinati alle opere di cui necessita il villaggio. Lì, come in tutte le altre regioni ribelli, le risorse delle cooperative servono per finanziare opere pubbliche come scuole, ospedali, cliniche, biblioteche o condotte per l’acqua.

In tutto il territorio ribelle fiorisce un sistema autonomo di benessere basato su una riforma agraria de facto che privilegia l’uso comunitario di terre e risorse naturali, sul lavoro collettivo e sulla produzione di valori d’uso e in pratiche di commercio equo sul mercato internazionale.

Nelle zone di influenza zapatista si è sconfitta la legge di San Garabato, che impone che i contadini debbano comprare a caro prezzo le merci di cui hanno bisogno e vendere a buon mercato i loro prodotti. Succede spesso che i coyote (intermediari commerciali abusivi) siano obbligati a pagare alle basi di appoggio ribelli per i loro raccolti, bestiame ed articoli artigianali, prezzi più alti di quelli che offrono alle comunità non organizzate. Le cooperative zapatiste hanno acquisito un vero parco di autoveicoli per spostarsi e trasportare la loro produzione.

Nelle comunità ribelli è nata una coscienza ambientale. Si pratica l’agricoltura biologica ed è stato bandito l’uso di fertilizzanti chimici. Si effettuano lavori per proteggere i suoli. C’è una preoccupazione genuina e generalizzata per conservare boschi e selve.

Como segnalano gli autori del libro Lotte molto altre: zapatismo e autonomia nelle comunità indigene del Chiapas: le sfide della sostenibilità nella riproduzione comunitaria sottolinea la tensione tra la necessità di sussistere dentro lo schema socioeconomico esistente ed il progetto di trasformazione di questo schema. Quello che lì si profila è, più che un modello economico zapatista, un processo endogeno e diverso delle priorità delle comunità, come alternativa alla sottomissione alla logica distruttrice del capitale transnazionale.

Nei 27 municipi zapatisti non si beve alcool né si coltivano stupefacenti. Si esercita la giustizia senza l’intervento del governo. Più che sulla punizione, si pone l’accento sulla riabilitazione del trasgressore. Le donne hanno conquistato posizioni e responsabilità poco frequenti nelle comunità rurali.

La rete di infrastrutture comuni di educazione, salute, agricoltura biologica, giustizia ed autogoverno che gli insorti hanno costruito al margine delle istituzioni statali, funziona con la propria logica, plurale e diversa. Le comunità zapatiste hanno formato centinaia di promotori di educazione e sanitari e di tecnici agricoli, secondo la loro cultura e identità.

Tutto questo è stato possibile perché gli zapatisti si governano da se stessi e si autodifendono. Costruiscono l’autonomia senza chiedere permesso in mezzo ad una campagna permanente di contrainsurgencia. Resistono alla perenne persecuzione di 51 distaccamenti militari e di programmi assistenziali il cui intento è creare divisioni nelle comunità in resistenza offrendo briciole.

Tuttavia, alla fine di quest’anno si è scatenata una campagna di diffamazione che sostiene che niente di tutto questo è vero. Falsamente, si dichiara che gli zapatisti oggi vivono peggio di 20 anni fa, che distruggono l’ambiente e che dividono le comunità. Si tratta dell’ultimo episodio di una guerra sporca vecchia quanto la sollevazione stessa.

Le calunnie non reggono. Centinaia di testimonianze pubbliche dimostrano che le accuse contro i ribelli non hanno niente a che vedere con la realtà che i calunniatori diffondono. Per esempio, il pittore Antonio Ortiz, Gritón, è stato nella comunità di Emiliano Zapata tra l’11 ed il 16 agosto di quest’anno, nell’ambito della escuelita zapatista, ed ha documentato l’esperienza vissuta in un commovente racconto diffuso su Facebook. L’ha sorpreso vedere che 30 famiglie indigene possedevano 350 capi di bestiame. Il pittore faceva parte di un gruppo di 1.700 persone che, ad agosto di quest’anno, hanno partecipato alla prima escuelita zapatista.

Vi hanno partecipato anche Gilberto López y Rivas e Raúl Zibechi, i quali, dalle pagine de La Jornada, hanno condiviso le loro riflessioni. Lo stesso ha fatto la giornalista Adriana Malvido su Milenio, e la ballerina Argelia Guerrero su pubblicazioni alternative. Tutti hanno constatato in maniera diretta come vivono, lavorano, si istruiscono, si curano e pensano le comunità zapatiste.

Per quasi una settimana i 1.700 invitati sono stati trasportati, ospitati e nutriti dai loro anfitrioni nelle comunità in cui hanno vissuto. Ognuno è stato accompagnato da un quadro zapatista che rispondeva alle loro domande e dubbi sulla loro storia, lotta ed esperienza organizzativa e traduceva dalle lingue indigene allo spagnolo. Questa esperienza si sta ripetendo questo fine d’anno e si ripeterà all’inizio del 2014.

Un’iniziativa educativa di questa grandezza, che presuppone una pedagogia diversa da quella tradizionale, si può reggere solo sull’esistenza di comunità con una base materiale capace di accogliere gli invitati, di un’organizzazione con la destrezza e disciplina necessarie a realizzare un progetto così ambizioso, e migliaia di quadri politici con la formazione adeguata per spiegare la loro vita quotidiana e la loro proposta di trasformazione sociale.

Dal basso, gli zapatisti stanno cambiando il mondo. La loro vita oggi è molto diversa da quella di 20 anni fa. È molto meglio. Negli ultimi due decenni si sono dati una vita degna, liberatrice, piena di significato, al margine delle istituzioni governative. Non lo stanno facendo in poche comunità isolate, ma in centinaia, distribuite in un ampio territorio. Da questo laboratorio di trasformazione politica emancipatrice c’è molto da imparare e di cui ringraziare. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/31/opinion/017a1pol

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Lettera ai nostr@ compagn@ dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Sergio Rodríguez Lascano

Compagn@:

Quasi 20 anni fa, ci svegliammo con la notizia che gli indigeni maya dello stato del Chiapas si erano sollevati in armi contro il malgoverno dell’ineffabile Carlos Salinas de Gortari. A partire da lì, grandi mobilitazioni ed un dialogo non sempre facile si è sviluppato con l’Esercito Zapatista da Liberazione Nazionale.

In maniera fondamentale, una nuova generazione uscì allora per le strade e si identificò con la ribellione zapatista. Furono loro a contrassegnare una buona parte delle mobilitazioni che si realizzarono in quella prima fase della lotta zapatista.

L’insurrezione zapatista del 1° gennaio aveva scosso la coscienza nazionale. Infatti, come disse José Emilio Pacheco: “Abbiamo chiuso gli occhi pensando che l’altro Messico sarebbe sparito se non l’avessimo guardato. Il primo gennaio del 1994 ci siamo svegliati in un altro paese. Il giorno in cui avremmo festeggiato il nostro ingresso nel primo mondo siamo tornati indietro di un secolo fino a trovarci di nuovo di fronte ad una ribellione come quella di Tomochic. Credevamo e volevamo essere nordamericani e ci ha travolto il nostro destino centroamericano. Il sangue versato chiede di porre fine al massacro. Non si può fermare la violenza dei ribelli, se non si ferma la violenza degli oppressori” (José Emilio Pacheco, La Jornada, 5 gennaio).

La sinistra messicana e mondiale in quel momento era in un apparente vicolo cieco. L’11 novembre 1989 cominciarono a cadere, come birilli, le cosiddette “democrazie popolari” (Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania, Albania). Nel 1991 l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si “dissolse” e, al di là di quello che ognuno di noi pensava di quel processo, quello che non si può negare è che, in pratica, il suo crollo fece strada all’arrivo di un capitalismo selvaggio guidato dalla mafia criminale.

In America Latina il 25 febbraio del 1990, i sandinisti perdono le elezioni ed inizia non solo il processo di esproprio contro i contadini nicaraguensi e la fine del cooperativismo, ma si sviluppa anche una dinamica di corruzione tra i dirigenti sandinisti. Non avrei mai pensato che uno dei fondatori del sandinismo e figura emblematica della rivoluzione, Tomás Borge, avrebbe realizzato un libro-lode-libello – mascherato da intervista a Carlos Salinas de Gortari – intitolato “Dilemmi della modernità”.

Il 16 gennaio 1992 si firmano gli accordi di Chapultepec che mettono fine alla guerra in Salvador, senza che una serie di richieste centrali del popolo siano state accolte, in particolare, il diritto alla terra. In mezzo a questo processo, il signor Joaquín Villalobos (“dirigente” del FMLN), che già aveva sulle spalle la terribile decisione di uccidere il grande poeta Roque Dalton, consegna il suo AK-47 a Carlos Salinas de Gortari.

Dopo questo, si cercò di riportare tutto nell’ambito istituzionale della democrazia rappresentativa. Tutti promuovevano una sinistra che si limitasse ad essere il cliente impertinente dello Stato capitalista.

In mezzo all’euforia anticomunista e ai discorsi in cui si proclamava la fine della storia e l’arrivo di un nuovo ordine mondiale, qualcuno descrisse bene l’epoca in cui vivevamo e fece un’affermazione che diede senso alla nostra stoltezza: Eduardo Galeano, che scrisse un testo memorabile: “A Bucarest, una gru si porta via la statua di Lenin. A Mosca, una folla avida fa la coda da McDonald’s. L’abominevole muro di Berlino si vende a pezzi, e Berlino Est conferma che si trova a destra di Berlino Ovest. A Varsavia e a Budapest, i ministri economici parlano come Margaret Thatcher. A Pechino pure, mentre i carri armati schiacciano gli studenti. Il Partito Comunista Italiano, il più importante in Occidente, annuncia il suo prossimo suicidio. Si riducono gli aiuti sovietici all’Etiopia ed il colonnello Mengistu scopre improvvisamente che il capitalismo è buono. I sandinisti, protagonisti della rivoluzione più bella del mondo, perdono le elezioni: Cade la rivoluzione in Nicaragua, titolano i giornali. Sembra non esserci più posto per le rivoluzioni, se non nelle vetrine del Museo Archeologico, né c’è posto per la sinistra, salvo per la sinistra pentita che accetta di sedersi alla destra dei banchieri. Siamo tutti invitati al funerale mondiale del socialismo. Il corteo funebre include, come dicono, l’umanità intera.

Confesso di non crederci. Questi funerali hanno confuso il morto”.

(Eduardo Galeano: El niño perdido a la intemperie).

L’insurrezione zapatista del 1° gennaio aprì un nuovo ciclo di confronti sociali. La capacità di trasmettere il loro messaggio, che era ed è quello dei condannati della terra, aprì una breccia per ri-percorrere la strada nella ricerca di una pratica emancipatrice.

Il pensiero libertario zapatista aprì un grande buco nell’edificio ideologico apparentemente solido del potere del capitale, e permise che da lì si esprimessero vecchie buone idee e nuove buone idee.

Tra l’euforia della classe dominante; mentre si levavano coppe di champagne per brindare al nostro ingresso nel primo mondo (il 1° gennaio entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio); quando il priismo era consolidato, mentre era riuscito a “scoprire” il suo candidato senza che si verificassero rilevanti spaccature al suo interno; quando le 15 famiglie più ricche del paese festeggiavano la capacità degli strumenti di controllo di dominare i “poveracci” (come era solito definire i poveri lo zar della televisione privata: Emilio Azcárraga Milmo); avvenne l’insurrezione dei popoli zapatisti. Scelsero questa data per dimostrare che la memoria non era stata sconfitta da una modernità escludente.

Né il governo ed i partiti di destra, né la sinistra o i settori democratici, avevano la minima idea che sarebbe successo qualcosa di simile. Sapevamo del rancore che covava, ma non pensavamo che avrebbe potuto esprimersi in questa maniera.

Incominciammo a cercare di capire. Ovviamente, non solo non sempre non capivamo esattamente l’insieme della nuova grammatica della ribellione zapatista, ma molte idee ci erano estranee e, molte volte, le fraintendevamo.

La cosa più importante è che il 1° gennaio fu una boccata d’aria fresca. Uscimmo per le strade non solo per chiedere al governo di fermare la guerra, ma per evidenziare che tutti i proclami alla fine della storia erano, prima di tutto, vuoti discorsi ideologici.

L’idea che NON tutto fosse perduto fu la chiave per comprendere che, alla fine, quella ribellione non era altro che una crepa attraverso cui potevamo vedere che c’erano ancora molte lotte da combattere. Che la storia non solo non era finita, ma era, ancora, una-molte pagine in bianco.

Ora possiamo aggiungere che, per noi, l’insurrezione zapatista non è un’effemeride, un evento che corre il pericolo di essere inghiottito dal carattere onnivoro del capitalismo. Che, nonostante i tentativi dei mezzi di comunicazione, lo zapatismo non fa parte della società dello spettacolo.

Lo zapatismo è stato un processo effettivamente ricco di molti brillanti momenti, ma prima di tutto, è stato un processo ininterrotto di lotte, azioni, esperienze che, concatenate tra loro, hanno costituito una nuova pratica della sinistra del basso.

Dunque, nonostante le volte che commentatori ed analisti – che confondono la loro illusione con la realtà – hanno dato per morto lo zapatismo, questo non solo è andato avanti ma ha continuato a generare nuovi processi sociali.

All’interno, con lo sviluppo dell’autonomia (autentico processo di auto-organizzazione senza paralleli nella storia, per lo meno in maniera tanto profonda e prolungata) e la costruzione di nuove relazioni sociali, cioè, di nuove forme di vita. E verso l’esterno, non cercando di egemonizzare od omogeneizzare né dirigere altri movimenti sociali.

Collocandosi sempre al fianco dei perseguitati, vilipesi e offesi, in particolare, dei più perseguitati, più vilipesi e più offesi.

Non in funzione della difesa in astratto della patria o della nazione, bensì in funzione degli esseri umani che, vivendo in basso ed ancora più in basso, sono considerati prescindibili o semplice carne da cannone che non merita nient’altro che seguire sempre i suoi dirigenti sempre pronti a dire loro quando alzare la mano. Quegli esseri umani che sono l’essenza fondamentale della patria o della nazione.

Se qualcuno domandasse ad uno zapatista: Quali sono stati i tuoi anni migliori? Lui risponderebbe: “Quelli che verranno”. Perché alcune delle cose più importanti che ci ha dimostrato lo zapatismo, è la sua permanente volontà di lotta, la sua capacità organizzativa e la sua convinzione – a prova di tutto, perfino dell’incomprensione di molt@ – che vinceremo.

Se la ribellione zapatista – della quale vogliamo essere complici – non è una data, né un compleanno, né un avvenimento, né qualcosa di pietrificato, dogmatico o finito, allora, è qualcosa che si prepara, si costruisce, si consolida ogni i giorno.

Se altri vogliono darsi per sconfitti perché ritengono che ormai si è persa “la madre di tutte le battaglie”, è un suo diritto. Noi preferiamo la visione che, come dicevano gli studenti francesi del maggio 1968: “questo non è che l’inizio, la lotta continua”.

Molta acqua è passata sotto i ponti dal 1° gennaio 1994. E molti gli attacchi dei signori del denaro, della classe politica e dei suoi palafrenieri, “intellettuali” da strapazzo che fin dal primo giorno furono ingaggiati per una missione impossibile: denigrare con una certa credibilità i popoli zapatisti e il suo esercito. Le penne in divisa si offrirono al miglior offerente, dal libello Nexos fino a quello che oggi è il suo specchio: il quotidiano La Razón. Tutti loro hanno accolto diversi legulei disposti a mostrarsi per quello che sono: mercenari che scrivono con la mano destra e riscuotono con la sinistra.

L’impulso vitale che veniva dal basso fu ascoltato e compreso solo da una parte della sinistra messicana. Quella che non soffre di torcicollo a forza di tenere la testa sempre rivolta a guardare in alto, ad aspirare ad un potere che – benché nessuno di loro se ne sia accorto – non esiste più, è un ologramma.

Da parte nostra, quelli che mantenevamo il progetto ribelle dell’Altra Sinistra, decidemmo, con l’aiuto dell’esempio dei popoli zapatisti, di restare in basso e a sinistra. Ostinati nel costruire un’altra realtà, dove i meccanismi comunitari di auto-organizzazione siano il motore delle trasformazioni pratiche e teoriche. Al fianco di chi vive nelle cantine e ai piani bassi del palazzo capitalista.

Per realizzare questa costruzione fu necessario essere dispost@ a ri-apprendere molte cose, come vedremo più avanti.

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In questo processo nel quale “l’educatore deve essere educato”, riapprendere è stato fondamentale.

Naturalmente, la strada non è stata facile. Molti paradigmi teorici del pensiero di sinistra sono stati messi in discussione:

a) L’idea di un’avanguardia che guida dall’esterno il movimento sociale.

b) L’idea che la teoria è ad esclusiva dei pensatori universitari.

c) L’idea che la classe operaia sia l’unica classe rivoluzionaria.

d) L’idea che l’importante nel concetto di lotta di classe, sia il secondo elemento e non il primo.

e) L’idea che la diversità e le differenze siano un ostacolo per lottare insieme.

f) L’idea che lo Stato è l’unico strumento utile per cambiare in maniera duratura le condizioni di vita e l’organizzazione sociale del popolo.

g) L’idea che lottiamo per una rivoluzione socialista alla quale si deve firmare un assegno in bianco, lasciando da parte le cosiddette lotte minoritarie (indigene, donne, omosessuali, lesbiche, altri amori, punk, eccetera).

h) L’idea della sinistra – che ha un pensiero unico – che chi non rientra nella sua visione è un nemico.

Di fronte a questa crisi di paradigmi abbiamo cominciato a costruire un pensiero molto Altro. La prima cosa è stata rompere con la convinzione che la politica sia un compito che possono svolgere solo gli specialisti. Che si tratta di un discorso pieno di arcani segreti non adatto alla popolazione in generale.

Un po’ alla volta abbiamo scoperto che esiste un’altra teoria: quella che nasce in seno ai movimenti veri, quelli che non sono rondini che non fanno primavera. Che è lì nelle comunità, nei quartieri, negli ejidos, nei villaggi, dove la gente comincia a riflettere sul significato di prendere in mano il controllo dei propri destini e, a partire da lì, elaborare una teoria prodotta da sé stessi.

Quell’irruzione dei “pedoni della storia”, come dicono i compagni zapatisti, ha messo in crisi più d’uno di quelli che si considerano possessori del pensiero politico, che hanno le “risposte” a tutto quello che accade nel mondo, che è il prodotto di una lettura profonda… dei giornali. Naturalmente, come sempre succede, nessun popolo presta loro attenzione.

Le ed i clandestini della politica, quelli che non hanno ruoli né titoli universitari sono quelli che, già da molti anni, stanno facendo la vera teoria politica.

La grande domanda a coloro che si ritengono organizzazioni d’avanguardia e a coloro che si considerano “creatori di opinione” è sapere se hanno la modestia di ascoltare queste voci. Se sono capaci di abbassare il volume del frastuono che producono le loro teorie quasi sempre prodotto di piani analogici validi per qualunque momento della storia, cioè, per nessuno.

Si impara ad ascoltare solo quando si tace. Sarà possibile che dopo tanti anni di parlare, la sinistra abbia la capacità di tacere ed ascoltare? Le voci che vengono dal basso, anche se di pochi decibel, sono chiare e nitide. È solo questione di abbassarsi un po’ e prestare attenzione.

Ed allora, ci accorgeremo che dal profondo della società messicana, come un fiume, stanno sgorgando un tale livello di idee e pensieri come quelli che oggi vediamo nella Escuelita Zapatista. Se aguzziamo l’udito per guardare dovremo riconoscere che sì, è vero, le nuove generazioni di zapatisti sono molto più lucide e capaci di quelle che fecero l’insurrezione. Le molteplici voci delle basi di appoggio zapatiste ci confermano che, nonostante l’importante sforzo del suo capo militare e portavoce, lui è riuscito a trasmetterci solo un pallido riflesso di quello che stava accadendo in territorio zapatista.

La ricchezza di questa esperienza ci ha fornito nuovi strumenti pratici e teorici. È nostra responsabilità che il loro uso sia fruttifero. Sappiamo che non è stato facile, e siamo lontani dal successo, ma ci stiamo provando, davvero ci stiamo provando. Ed oggi possiamo dire che siamo qua.

Che non ci arrendiamo, che non ci vendiamo, che non rinneghiamo. Che, senza dubbio, ci siamo sbagliati, ma siamo riusciti a preservare il fuoco e separare la cenere. Che questo fuoco oggi è solo una fiamma, o meglio, una fiammella, ma che tutti i giorni è alimentato da due cose: le azioni distruttive del potere neoliberale escludente e rapace che ci obbliga a mantenerci nell’imperativo categorico di eliminarlo, e la volontà incrollabile di quello che siamo.

Ogni giorno con la nostra pratica e pensiero vegliamo su questa fiamma o fiammella che rappresenta la nostra volontà di lottare contro lo sfruttamento, la spoliazione, la repressione ed il disprezzo, cioè, contro l’essenza del capitalismo.

Facciamo nostre le seguenti parole che voi avete pronunciato al festival della Digna Rabia:

Permettetemi di raccontarvi questo: L’EZLN ebbe la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità. Non solo dopo l’insurrezione, anche prima. Ci fu la tentazione di imporre modi e identità. Che lo zapatismo fosse l’unica verità. Ed in primo luogo furono le comunità ad impedirlo, e poi ci insegnarono che non è così, che non si fa così. Che non potevamo sostituire un dominio con altro e che dovevamo convincere e non vincere chi era ed è come noi ma non è noi. Ci insegnarono che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto

Quello che vogliamo dirvi, è che questa pluralità tanto uguale nella rabbia e tanto diversa nel sentirla, è la direzione e il destino che noi vogliamo e vi proponiamo

Non tutti sono zapatisti (cosa di cui in alcuni casi ci rallegriamo). Non siamo nemmeno tutti comunisti, socialisti, anarchici, libertari, punk, ska, dark e come ognuno chiami la propria differenza …”

(Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: “Sette venti nei calendari e geografie del basso”).

Questa concezione ci sollecita a continuare a formulare una risposta. Di seguito daremo alcune idee che vogliono essere solo una riflessione iniziale.

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Nella Sesta non diciamo che tutti i popoli indios entrino nell’EZLN, né diciamo che guideremo operai, studenti, contadini, giovani, donne, altri, altre. Diciamo che ognuno ha il suo spazio, la sua storia, la sua lotta, il suo sogno, la sua proporzionalità. E diciamo di stringere un patto per lottare insieme per il tutto e per ognuno. Fare un patto tra la nostra rispettiva proporzionalità ed il paese che ne risulti, che il mondo che nasca sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato.

Che quel mondo sia così variopinto che non ci siano gli incubi che assillano chi sta in basso.

Ci preoccupa che in quel mondo partorito da tanta lotta e tanta rabbia, si continui a considerare la donna con tutte le varianti del disprezzo che la società patriarcale ha imposto; che si continuino a considerare stranezze o malattie le diverse preferenze sessuali; che si continui a presumere che i giovani devono essere addomesticati, cioè, obbligati a “maturare”; che noi indigeni continuiamo ad essere disprezzati e umiliati o, nel migliore dei casi, considerati come i buoni selvaggi che bisogna civilizzare.

“Ci preoccupa che quel nuovo mondo non sia un clone di quello attuale, o un transgenico o una fotocopia di quello che oggi ci inorridisce e ripudiamo. Ci preoccupa, dunque, che in quel mondo non ci sia democrazia, né giustizia, né libertà.

Allora vogliamo dirvi, chiedere, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, e ci permetterà di costruire qualcosa di nuovo. Vogliamo dirvi, chiedervi, che quel nuovo sia anche differente”.

(Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: “Sette venti nei calendari e geografie del basso”).

Che cosa scriveremmo se oggi avessimo la pretesa di dire che cosa ci dimostra l’esperienza zapatista?

Ogni volta che un uomo, una donna, un bambino o un anziano basi di appoggio zapatista parla della sua lotta, della sua autonomia, della sua resistenza, c’è una parola che si ripete con insistenza: organizzazione. Ma come arrivarci? Il problema non si risolve utilizzando la parola come una specie di “apriti sesamo” buona per tutto.

Nemmeno si può semplicemente portare a modello quello che loro stessi ci dicono non essere un modello. Loro l’hanno fatto così, ma ci saranno altri modi.

Se respingiamo il pensiero unico della destra, è impossibile pensare ora di introdurre una specie di pensiero unico della sinistra del basso.

No, si tratta invece di imparare dalle esperienze quotidiane che viviamo. E queste esperienze benché simili non saranno uguali. Ma, ci sarebbe qualcosa che ci permetta di orientarci in questo tortuoso cammino?

Sì, molte cose, per lo meno è quello che pensiamo noi.

a) Metterci sempre al fianco dei condannati della terra.

b) Non guardare in alto, ma nemmeno in basso. Cercare sempre di lanciare sguardi di complicità ai lati, cioè dove apparteniamo, in basso.

c) Privilegiare l’ascolto al discorso. Dare l’opportunità che chi sta in basso parli e ci dica quello che sa.

d) Capire che è inevitabile che dal potere e dai suoi media arrivino linciaggi contro quegli altr@ che stonano, che non si inquadrano né quadrano: contro i ribelli.

e) Sfuggire alla tentazione di guidare i movimenti. Questo provoca sempre una vertigine. Sorge sempre la domanda di come si esprimeranno quelli che lottano, la popolazione che vive in basso, se non c’è chi li guidi. Perché la risposta, molto semplice, comporta una grande complessità accettarla: da loro stessi.

f) Rispettare le forme organizzative che ognuno si dà, benché ci sembrino tortuose e disperatamente lente. Ognuno a modo suo.

g) Non perseguire le congiunture che ci impongono dall’alto, bensì lavorare per creare le nostre proprie congiunture. Muovere le tavole della politica vuol dire non rispettare le regole del “politicamente corretto”. Aspiriamo ad essere “politicamente scorretti”.

h) Lavorare e costruire nella differenza. Generando spazi abitabili dove le donne non siano vessate per il semplice fatto di essere donne. Dove si accettino le diverse preferenze sessuali. Dove non si imponga una religione ma neanche l’ateismo. Dove si promuova l’incontro dei diversi, degli altr@.

i) Dove non ci auto-limitiamo perché la polis è molto più complessa della selva. Molti hanno detto che gli zapatisti possono fare ciò che fanno perché la loro società non è complessa. Che nelle grandi città viviamo in una società complessa che impedisce la possibilità che le persone prendano il controllo del proprio destino. Questo è stato teorizzato sia dalla destra che dalla sinistra. Questo “argomento” contiene due stupidaggini: pensare che i popoli zapatisti formino una società semplice. Chi dice questo non è mai stato in territorio zapatista, dove quasi ogni compagn@ è un municipio autonomo. Semplicemente bisogna ricordare che in una Giunta di Buon Governo convivono compagn@ che parlano fino a quattro lingue differenti. L’altra stupidaggine è sottovalutare i popoli delle grandi città ed espropriarli della capacità di decisione per un problema tecnico: la difficoltà di comunicazione. Dico, questi stessi sono quelli che cantano le glorie di Internet e delle reti sociali.

Infine, queste sono solo alcune idee. Non tutte, e molto probabilmente neanche le migliori.

La questione è che come dice qualcuno: la storia ci morde il collo, dobbiamo voltarci e mordere il collo alla storia. Chiaro, tutto questo fatto con grande serenità e pazienza.

In questo processo sorgeranno molte esperienze dalle quali apprendere. Qui sì “fioriranno cento fiori” che rappresentino cento o più forme di organizzazione diverse. Non ci sono altri limiti se non quelli che ci imponiamo noi stessi.

Nelle parole che ricordiamo de@ compagn@ dell’EZLN durante il festival della Digna Rabia, si trova la cosa fondamentale di quella che sarebbe la buona notizia: Sì, è vero, il popolo unito non sarà mai vinto, ma a patto che sarà sempre nella diversità che si costruisca il grande Noi che questo paese ed il mondo necessita.

Da parte nostra, infine, vogliamo dire che dal 1° gennaio del 1994 abbiamo deciso che il nostro futuro è al fianco dei nostri fratelli e sorelle e compagn@ zapatisti. Che non siamo stati di quelli che hanno voluto semplicemente farsi fare una foto nel momento in cui i mezzi di comunicazione, e quelli che seguono sempre la moda, spiavano i dirigenti zapatisti, in particolare il Subcomandante Insurgente Marcos.

Ed oggi, quasi 20 anni dopo la grande insurrezione e 20 anni dopo da quando abbiamo saputo che la vostra ribellione è anche la nostra, compagn@ zapatisti vi diciamo: siamo qua, qua seguiremo, cercando di camminare con voi, spalla a spalla, come parte della Sexta. Vi diciamo che, effettivamente, anche noi abbiamo un obiettivo molto modesto: cambiare la vita, cambiare il mondo.

Per tutto quanto detto sopra e per molte altre ragioni e non, un gruppo di uomini, donne, bambin@, anzian@, altr@, abbiamo deciso di organizzarci, perché abbiamo capito che la ribellione organizzata è una delle strade, per noi la più importante, che ci porterà dove vogliamo andare.

Non a costruire una strada unica e senza ostacoli, bensì una strada dove incontriamo molt@ altr@ e possiamo lavorare insieme senza che questo significhi dire loro: “venite di qua, questo è bene”. Perché dopo venti anni stiamo imparando che le strade si fanno camminando, nell’azione e non in dibattiti teorici senza radici pratiche.

Dalle visioni zapatiste del mondo, del Messico e della vita, vogliamo generare una cornice comune, un rifugio abitabile alla nostra ribellione, una casamatta che sia un punto di appoggio per continuare col nostro lavoro di vecchia talpa (o meglio: di scarabeo chiamato Don Durito de la Lacandona) che corrode le fondamenta del capitale.

Per questo, noi, ribelli ed insubordinati, esprimiamo la volontà di camminare insieme agli zapatisti ed il desiderio di essere vostri compagn@. Vi diciamo che ce la metteremo tutta e che, effettivamente, nella lunga notte che è stato quello che qualcuno chiama giorno, prima o poi “la notte sarà il giorno che sarà il giorno”.

Fuori non è più notte… già si vede l’orizzonte.

Sergio Rodríguez Lascano

Messico, dicembre 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/12/20/carta-a-nuestrs-companers-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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QUANDO I MORTI TACCIONO A VOCE ALTA

(Rewind 1)

(Nel quale si riflette sulle/sugli assenti, le biografie, narra il primo incontro di Durito col Gatto-Cane, e parla di altri temi che non fanno al caso, o cosa, come detterà il post scriptum impertinente)

Novembre-Dicembre 2013

A me pare che abbiamo fatto molta confusione sulla questione della Vita e della
Morte. Mi sembra che quella che chiamano la mia ombra qui sulla terra,
sia la mia
autentica sostanza. Mi pare che, guardando le cose spirituali, siamo
come ostriche che osservano il sole attraverso l’acqua e pensano che
l’acqua torbida sia la più fine delle atmosfere. Mi sembra che il mio corpo
non sia altro che le azioni del mio essere migliore. Di fatto, che si prenda il mio corpo
chiunque voglia, che se lo prenda, dico: non sono io.

Herman Melville “Moby Dick”.

Da molto tempo sostengo che la maggioranza delle biografie non sono altro che una menzogna documentata, e a volte, non sempre, ben scritta. Il biografo medio ha una convinzione previa ed il margine di tolleranza è molto ridotto, se non inesistente. Con questa convinzione comincia a frugare nel puzzle di una vita che gli è estranea (per questo il suo interesse nel fare la biografia), e raccoglie i pezzi falsi che gli permettano di documentare la propria convinzione, non la vita recensita.

La cosa certa è che forse potremmo conoscere con certezza data e luogo di nascita, e, in alcuni casi, data e luogo di morte. Oltre a ciò, la maggior parte delle biografie dovrebbero rientrare nel genere dei “romanzi” o della “fantascienza”.

Che cosa resta dunque di una vita? Tanto o pco, diciamo noi.

Tanto o poco, dipende dalla memoria.

O, piuttosto, dai frammenti che quella vita ha impresso nella memoria collettiva.

Se questo non vale per biografi ed editori, poco importa alla gente comune. Normalmente quello che realmente importa non appare sui mezzi di comunicazione, né si può misurare coi sondaggi.

Ergo, di una persona assente abbiamo solo pezzi arbitrari del complesso puzzle fatto di brandelli, squarci e propensioni che si conoscono come “vita”.

Quindi, con questo inizio confuso, permettetemi di prendere qualcuno di questi pezzi frammentari per abbracciare ed abbracciarci per il passo che oggi ci manca e che ci è necessario…

-*-

Un concerto nel silenzio messicano. Don Juan Chávez Alonso, purépecha, zapatista e messicano, fa un gesto come per allontanare un insetto fastidioso. È la sua risposta alle scuse che gli porgo per uno dei miei rozzi spropositi. Siamo in territorio Cucapá, in mezzo ad un terreno sabbioso. In quelle coordinate geografiche e quando nel calendario è indicata la Sesta 2006 nel Nordovest del Messico, nella grande tenda da campeggio che usa come alloggio, Don Juan prende la chitarra e chiede se vogliamo ascoltare un pezzo che ha composto. Qualche accordo ed inizia un concerto che, letteralmente, narra l’insurrezione zapatista del primo gennaio 1994 fino alla presenza della Comandanta Ramona nella formazione del Congresso Nazionale Indigeno.

Poi il silenzio, come fosse una nota in più.

Un silenzio nel quale tacevano a voce alta i nostri morti.

-*-

Anche nel nordest messicano, la follia sanguinaria del Potere tinge di assurdi ancora impuni il calendario del basso. 5 giugno 2009. L’avidità e il dispotismo governativi hanno dato fuoco ad un asilo infantile. Le vittime mortali, 49 bambini e bambine, sono gli effetti collaterali quando si distruggono archivi compromettenti. All’assurdo che siano i genitori a seppellire i figli, segue quello di una giustizia debole e corrotta: i responsabili non ricevono un mandato di cattura, bensì poltrone nel gabinetto del criminale che, sotto l’azzurro di Azione Nazionale, tenterà di occultare il bagno di sangue nel quale ha sommerso il paese intero.

Dove i biografi interrompono gli appunti “perché pochi anni di vita non sono redditizi”, la storia del basso apre il suo quaderno di altri assurdi: con la sua ingiusta assenza, questi bimbi hanno partorito altri uomini e donne. Da allora, i loro genitori innalzano la domanda di giustizia più grande: che l’ingiustizia non si ripeta.

-*-

Il problema con la vita è che alla fine ti uccide”, avrebbe detto Durito, le cui fantastiche storie cavalleresche divertivano tanto la Chapis. Tuttavia lei avrebbe domandato, con quell’impertinente miscuglio di ingenuità e sincerità che sconcertava chi non la conosceva, “e perché un problema?”. Don Durito de La Lacandona, scarabeo di origine e di mestiere cavaliere errante, avrebbe evitato di polemizzare con lei, dato che, secondo un presunto regolamento della cavalleria errante, non si deve contraddire una signora (soprattutto se la signora in questione ha buone conoscenze “molto in alto”, aggiungeva Durito che sapeva che la Chapis era religiosa, suora, sorella, o come voi chiamate le donne che fanno della fede la loro vita e professione).

La Chapis non ci conosceva. Voglio dire, non come chi ci guarda da fuori e scrive su di noi, parla… o sparla (sapete bene quanto le mode siano passeggere). La Chapis era con noi. E lo era tempo prima che uno scarabeo impertinente si presentasse sulle montagne del sudest messicano e si dichiarasse cavaliere errante.

E forse a farla essere tra noi era che alla Chapis non sembrava inquietare tanto la faccenda della vita e della morte. Quell’atteggiamento tanto nostro, dei neozapatisti, in cui tutto si inverte e non è la morte che preoccupa ed occupa, ma la vita.

Ma la Chapis non era solo tra noi. È chiaro che fummo solo una parte del suo cammino. E se ora vi racconto qualcosa di lei non è per fornire appunti per la sua biografia, ma per dirvi quello che qua sentiamo. Perché la storia di questa credente, la sua storia con noi, è di quelle che fanno dubitare gli atei fanatici.

“La religione è l’oppio dei popoli”? Non lo so. Quello che so è che la spiegazione più brillante che ho sentito sulla distruzione e spopolamento che la globalizzazione neoliberale opera in un territorio, l’ha data non un teorico marxista-leninista-ateista-e-altri-ista, ma… un parroco cristiano, cattolico, apostolico e romano, aderente alla Sexta, e confinato dall’alto clero (“per pensare troppo”, mi disse come chiedendo scusa) in uno dei deserti geografici dell’altopiano messicano.

-*-

Credo (forse mi sbaglio, non sarebbe la prima volta e, certamente, non sarà l’ultima) che molta gente, se non tutta, che si è avvicinata a quello che si conosce come neozapatismo, l’ha fatto cercando risposte a domande fatte nelle storie personali di ognuno, secondo il proprio calendario e geografia. E che ha indugiato solo l’indispensabile per trovare la risposta. Quando si sono accorti che la risposta era il monosillabo più problematico della storia, si sono voltati da un’altra parte ed hanno seguito quella direzione. Non importa quanto dicano e si dicano che continuano a stare qua: sono andati via. Qualcuno più velocemente di altri. E la maggioranza di loro non ci guardano, o lo fanno con la stessa distanza e sdegno intellettuale mostrati calendari prima che albeggiasse il gennaio del 1994.

Credo di averlo detto prima, in qualche altra missiva, non sono sicuro. Ma dico, o ribadisco, che quel pericoloso monosillabo è “tu“. Così, minuscolo, perché questa risposta era ed è intima per ognuno. Ed ognuno la prende con rispettivo terrore.

Perché la lotta è collettiva, ma la decisione di lottare è individuale, personale, intima, come lo è quella di continuare o tentennare.

Voglio dire che le poche persone che sono rimaste (e non mi riferisco alla geografia ma al cuore) non hanno trovato questa risposta? No. Quello che cerco di dire è che la Chapis non venne a cercare quella risposta alla sua personale domanda. Lei già conosceva la risposta ed aveva fatto di quel “tu” la sua strada e meta: il suo essere credente e conseguente.

Molte altre, molti altri come lei, ma diversi, si sono risposti in altri calendari e geografie. Atei e credenti. Uomini, donne ed otroas di tutti i calendari. Sono quelli, quelle, ésoas, che sempre, vivi o morti, si pongono di fronte al Potere non come vittime, ma per sfidarlo con la multipla bandiera della sinistra del basso. Sono le nostre compagne, compagni e compañeroas… benché nella maggioranza dei casi né loro né noi lo sappiamo… non ancora.

Perché la ribellione, amici e nemici, non è patrimonio esclusivo dei neozapatisti. È dell’umanità. E questo è qualcosa che bisogna celebrare. Da tutte le parti, tutti i giorni e a tutte le ore. Perché anche la ribellione è celebrazione.

-*-

Non sono pochi né deboli i ponti che, da tutti gli angoli del pianeta Terra, sono stati lanciati fino a questi suoli e cieli. A volte con sguardi, a volte con parole, sempre con la nostra lotta, li abbiamo attraversati per abbracciare quell’uno altro che resiste e lotta.

Forse di questo e nient’altro si tratta “l’essere compagni”: di attraversare ponti.

Come in questo abbraccio fatto lettere per le sorelle della Chapis alle quali, come a noi, manca e, come noi, hanno bisogno di lei.

-*-

L’impunità, caro Matías, è qualcosa che solo la giustizia
può concedere; è la Giustizia che esercita l’ingiustizia”.

Tomás Segovia, ne “Cartas Cabales”.

Già prima ho detto che, secondo la mia umile opinione, ognuno è l’eroe o l’eroina della propria storia individuale. E che nel sedativo autocompiacimento di raccontare “questa è la mia storia personale”, si pubblicano fatti e misfatti, si inventano le fantasie più incredibili, ed il narrare aneddoti somiglia troppo al fare i conti dell’avaro che ruba il non suo.

L’ancestrale affanno di trascendere la propria morte trova nelle biografie il sostituto dell’elisir dell’eterna giovinezza. Chiaro, anche nella discendenza. Ma la biografia è, per così dire, “più perfetta”. Non si tratta di qualcuno a cui si somiglia, è “l’io” esteso nel tempo grazie alla “magia” della biografia.

Il biografo di sopra ricorre a documenti d’epoca, forse a testimonianze di familiari, amici o compagn@ della vita di cui la morte si appropria. I “documenti” hanno la stessa certezza delle previsioni meteorologiche e le testimonianze ovviano alla sottile separazione tra il “io credo che…” ed il “io so che…”. E la “veridicità” della biografia si misura per la quantità di note a piè di pagina. Per le biografie vale la stessa regola delle fatture per spesa per “immagine” del governo: quanto più sono voluminose, tanto più sono corrette.

Attualmente, con internet, twitter, facebook ed equivalenti, i miti biografici smussano le loro fallacie e, voilà, si ricostruisce la storia di una vita, o suoi frammenti, che poco o niente hanno a che vedere con la storia reale. Ma non importa, perché la biografia è pubblicata, stampata, circola, è letta, citata, recitata… come la menzogna.

Controllate nelle moderne fonti documentali delle biografie future, cioè, Wikipedia ed i blog, Facebook ed i rispettivi “profili”. Ora fate il confronto con la realtà:

Non vi fa rabbrividire pensare che, forse, in un futuro…

Carlos Salinas de Gortari sarà “il visionario che comprese che vendere la Nazione era, oltre ad un affare di famiglia (certo, intendendo come famiglia quella di sangue e quella politica), un atto di moderno patriottismo”, e non il leader di una banda di traditori (non fatevi ingannare, nell’opposizione “matura e responsabile” ce ne sono divers@ che appoggiarono la riforma dell’articolo 27 della Costituzione, lo spartiacque della claudicazione dello Stato Nazionale in Messico);

Ernesto Zedillo Ponce de León non sarà “l’uomo di Stato” che portò la Nazione da una crisi ad un’altra peggiore (oltre ad essere uno degli autori intellettuali, insieme ad Emilio Chuayffet e Mario Renán Castillo, del massacro di Acteal), ma seppe tenere “le redini del paese” con un singolare senso dell’umorismo… per finire ad essere quello che è sempre stato: l’impiegato di una multinazionale;

Vicente Fox sarà la dimostrazione che il posto di presidente di una repubblica e di una filiale di bibite è intercambiabile… e che entrambi i posti possono essere occupati da inetti;

Felipe Calderón Hinojosa sarà un “presidente coraggioso” (perché altri morissero) e non uno psicopatico che rubò l’arma (la presidenza) per i suoi giochi di guerra… e che finì ad essere quello che era sempre stato: l’impiegato di una multinazionale;

Enrique Peña Nieto sarà un presidente colto e intelligente (“è ignorante e stupido ma abile”, è il nuovo profilo che gli si costruisce nei capannelli degli analisti politici), e non un analfabeta funzionale (come dice il proverbio popolare: “ciò che natura non dà, Monex non compra”)…?

Ah, le biografie. Non poche volte sono autobiografie, benché siano i discendenti (o i complici) a promuoverle e così addobbano il loro albero genealogico.

I criminali della classe politica messicana che hanno malgovernato queste terre continueranno ad essere, per coloro che subirono i loro eccessi, criminali impuni. Non importa quante righe si paghino sui media; né quanto si spenda in azioni spettacolari per le strade, sulla stampa scritta, in radio e televisione. Dai Díaz (Porfirio e Gustavo) ai Calderón e Peña, dai Castellanos e Sabines agli Albores e Velasco, è solo il succedersi (sulle reti sociali, perché sui media di massa sono sempre “persone responsabili e mature”) della ridicola frivolezza dei “junior”.

Ma il mondo è rotondo e nel continuo sali scendi dalla politica di sopra, si può passare, in poco tempo, dalla copertina di “Hola”, a “RICERCATO: CRIMINALE PERICOLOSO”; dall’euforia del dicembre del TLC, al dopo sbornia dell’insurrezione zapatista; da “uomo dell’anno”, allo “sciopero della fame” con acqua minerale di marca “chic” (inutile mio caro, perfino per le proteste ci sono classi sociali); dagli applausi per le brutte barzellette, al parricida putativo da concretarsi; dal nepotismo e la corruzione ornate di furberie, alle indagini per legami col narcotraffico; dalle divise militari taglia extra large, all’esilio pavido e macchiato di sangue; dall’euforia del dicembre di svendita a…

-*-

Con tutto questo e quello che segue, voglio dire che non si devono scrivere-leggere biografie? No, ma quello che fa girare la vecchia ruota della storia sono i collettivi, non gli individui… o individue. La storiografia si nutre di individualità; la storia impara dai popoli.

Voglio dire che non bisogna scrivere-studiare la storia? No, ma quello che dico è che è meglio farla nell’unico modo possibile, cioè, con altri ed organizzati.

Perché la ribellione, amici e nemici, quando è individuale è bella. Ma quando è collettiva ed organizzata è terribile e meravigliosa. La prima è materia di biografie, la seconda fa la storia.

-*-

Non con le parole abbracciamo i nostri compagni e compagne zapatisti, atei e credenti,

quelli che di notte si misero in spalla lo zaino e la storia,

quelli che afferrarono con le mani il lampo e il tuono,

quelli che indossarono gli stivali senza futuro,

quelli che si coprirono il volto e il nome,

quelli che, senza aspettarsi nulla in cambio, morirono nella lunga notte

affinché altri, tutti, tutte, in un’alba ancora da venire,

possano vedere il giorno come si deve fare,

ovvero, di fronte, in piedi e con lo sguardo e il cuore in alto.

Per loro né biografie né musei.

Per loro la nostra memoria e ribellione.

Per loro il nostro grido:

libertà! Libertà! LIBERTÀ!

Bene. Salve e che i nostri passi siano grandi come i nostri morti.

Il SupMarcos.

P.S. OVVIE ISTRUZIONI. – Ora siate così gentili da leggere, in calendario inverso, dal Rewind 1 al 3, e forse troverete il gatto-cane ed alcuni dubbi si chiariranno. E sì, siate certi che altre domande sorgeranno.

P.S. CHE SODDISFA, SOLLECITA, I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA. – Ah! Commovente lo sforzo dei contras sui media di massa di tentare di fornire argomenti ai pochi lettori-ascoltatori-spettatori contras che gli rimangono. Ma, generosamente visto il periodo natalizio, vi mando alcuni tips affinché li usiate come materiale giornalistico:

– Se le condizioni delle comunità indigene zapatiste sono le stesse di 20 anni fa e non è progredito nulla nel loro livello di vita, perché l’EZLN – come fece nel 1994 con la stampa di massa – si “apre” con la escuelita affinché la gente del basso veda e conosca direttamente, SENZA INTERMEDIARI, quello che c’è qua?

E messo in “forma interrogativa”, perché nello stesso periodo si è ridotto, in modo esponenziale, il numero di lettori-ascoltatori-spettatori dei mezzi di comunicazione di massa? Pst, pst, potete rispondere che non avete meno lettori-ascoltatori-spettatori – questo ridurrebbe la pubblicità ed il chayote -, ma che adesso siete più “selettivi”.

– Voi chiedete “Che cosa ha fatto l’EZLN per le comunità indigene?” E noi rispondiamo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne.

Ora voi, padroni e azionisti, direttori e capi, rispondete:

Che cosa avete fatto voi, in questi 20 anni, per i lavoratori dei media, uno dei settori più colpiti dal crimine patrocinato e incoraggiato dal regime che tanto adorate? Che cosa avete fatto per i giornalisti, le giornaliste minacciate, rapite ed assassinate? E per le loro famiglie? Che cosa avete fatto per migliorare le condizioni di vita di questi lavoratori? Gli avete aumentato lo stipendio per permettergli una vita degna e non dover vendere la loro parola o il loro silenzio sulla realtà? Avete creato le condizioni perché possano andare in pensione dopo aver lavorato degnamente per voi per anni? Gli avete dato la certezza del lavoro? Voglio dire, il lavoro di una o un reporter non dipende più dall’umore del capo redazione o dai “favori”, sessuali o di altro tipo, che si chiedono a tutti i generi?

Che cosa avete fatto affinché l’essere lavoratore dei media sia un orgoglio che non costi la perdita della libertà o della vita per essere onesti?

Potete dire che il vostro lavoro è più rispettato da governanti e governati rispetto a 20 anni fa?

Che cosa avete fatto contro la censura imposta o tollerata? Potete dire che i vostri lettori-ascoltatori-telespettatori sono meglio informati di 20 anni fa? Potete dire che avete più credibilità di 20 anni fa? Potete dire che sopravvivete grazie ai vostri lettori-ascoltatori-spettatori e non grazie alla pubblicità, in maggior parte governativa?

Forza, rispondete ai vostri lavoratori e lettori-ascoltatori-spettatori, così come noi rispondiamo ai nostri compagni e compagne.

Oh, andiamo, non siate tristi. Non siamo gli unici sfuggiti al vostro ruolo di giudice e boia, a supplicare la vostra assoluzione e ricevere sempre la vostra condanna. C’è anche, per esempio, la realtà.

Bene di nove, o, meglio, di sessanta nove.

Il Sup che dice a se stesso che è meglio il pollice verso che il dito medio alzato.

È territorio zapatista, è Chiapas, è Messico, è America Latina, è la Terra. Ed è dicembre 2013, fa freddo come 20 anni fa e, come allora, oggi ci ripara una bandiera: quella della ribellione.

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Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo.

In una delle scuole autonome zapatiste, bambini e bambine ballano durante una festa scolastica. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=MNGbe_XtiOo

Di e da León Gieco: “El Desembarco”. Attenzione alla lettera, perché “ci sono quelli che resistono e non si lamentano mai /… / non pretendiamo di vedere il cambiamento / solo aver lasciato qualcosa / sulla strada percorsahttp://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sgcxvL9sR6U

Joan Manuel Serrat con il suo “Sería Fantastic”, che potrebbe ben essere un programma di lotta: “Sarebbe fantastico /… / che non perdessero sempre gli stessi / e che ereditassero i diseredati. / Sarebbe fantastico / che vincesse il migliore / e che la forza non fosse la ragione /… / Che tutto fosse come è comandato / e che non comandasse nessuno /…” http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=lzFsO_JjXGg

Hugh Laurie (forse lo conoscete come il dottor Gregory House, in un’interpretazione molto particolare del blues “Saint James Infirmary”. Per quelli che muoioni in piedi. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=WUz-WqUw4Ic

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Dichiarazione di guerra

Gloria Muñoz Ramírez

Tutto è cominciato con una dichiarazione di guerra. L’ultima opzione, dissero, ma una guerra. Molti allora dissero che tutto fu simbolico, che le armi non importavano, che non si trattava di un esercito regolare, bensì di un gruppo di pezzenti con fucili di legno. Ma ci fu e c’è una guerra. Si presero allora sette città, si aprirono le porte delle prigioni stracolme di indigeni innocenti, si distrussero i palazzi municipali, simboli del potere e dell’ignominia; si recuperarono terre, proprietà e bestiame in possesso di proprietari terrieri e cacicchi; si disarmarono poliziotti e guardias blancas; si fece un prigioniero di guerra. E la morte che già c’era, diventò visibile.

20 anni non sono niente? Dipende. Ormai due decenni da che l’EZLN ha iniziato una strada che non fu mai pensata solo per loro. Formato in maggioranza da tzotzil, tzeltal, tojolabal, chol, zoque e mam, non nacque con rivendicazioni puramente indigene. Fin dal principio (novembre 1983 e perfino prima) si proposero la lotta nazionale. Nel 1983 l’EZLN si chiedeva, come faremo per ottenere buona salute, buona educazione, buona casa, per tutto il Messico? È un impegno troppo grande. E così lo vedevamo. In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (perché non lo chiamavamo società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia perché lottiamo e moriamo per loro, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, Come sarà? Se ci accetteranno? Ricordò alcuni anni fa l’attuale subcomandante Moisés, visionario e rivoluzionario capo tzeltal. Il momento arrivò il 1º gennaio 1994. La guerra sorprese il mondo. E l’irruzione di una società civile con la quale si incontrano da 20 anni…. Se c’è qualcosa da riconoscere al movimento, è la sua ostinazione a realizzare iniziative che benché non tutte di successo, la cosa importante è percorrerle, non arrendersi. Oggi gli zapatisti sono gli stessi e altri. Gli stessi perché le loro domande sono attuali quanto prima. Diversi perché gli anni non passano invano, non si compiono impunemente gli anni. Anche il Messico è altro ed è lo stesso. Il salinismo che li vide nel 1994 è quello che domina ora con un altro nome. Il saccheggio non finisce. Nessuno nega allo zapatismo di aver inferto il colpo più duro ad un sistema che inghiotte tutto. Il suo Ya Basta! fu demolitore. Continuano ad essere una lotta molto vigorosa in un mondo impantanato da negoziazioni affaristiche che svendono tutto.

L’organizzazione autonoma dei suoi popoli, unica al mondo in questa modalità, è uno dei loro più notevoli successi. Non l’unico. Limitare lì il lascito zapatista è non vedere la risonanza nazionale e mondiale di un movimento che arriva al suo 20° anniversario (30 dalla sua nascita) senza arrendersi. Qualcuno può dire la stessa cosa senza un po’ di vergogna?

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2013/12/28/opinion/006o1pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Venerdì 27 dicembre 2013

Aggredite basi di appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés, Chilón. Da tre anni resistono ad attacchi, esproprio di terre e minacce dei gruppi filogovernativi

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 26 dicembre. Basi di appoggio dell’EZLN della comunità San Marcos Avilés, a Chilón, denunciano aggressioni, esproprio di terre e minacce in corso dal 15 dicembre scorso da parte di gruppi filogovernativi: Abbiamo avuto pazienza, abbiamo sopportato e resistito a tutto il male che ci fanno i membri dei partiti di questa comunità. La pazienza ora è finita e diciamo basta! E’ arrivato il momento di difenderci costi quel che costi, accada quel che accada.

Gli indigeni avvertono: Non permetteremo più che ci manchino di rispetto e ci neghino il diritto di vivere nella nostra comunità. A partire da questo momento riteniamo responsabili di tutto ciò che accadrà i tre livelli di governo ufficiale per non aver prestato attenzione all’accaduto.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha ricevuto rapporti dalle brigate civili di osservazione internazionali su continue vessazioni, aggressioni, minacce di morte e sgomberi forzati contro gli zapatisti della comunità. E sottolinea che le autorità governative, invece di compiere il loro dovere di garantire l’integrità e la sicurezza personale degli abitanti e cercare una soluzione al conflitto, fino ad giorno la loro unica risposta è stata amministrare il conflitto.

Il Frayba ricorda che da tre anni la giunta di buon governo di Oventic e le basi zapatiste diSan Marcos Avilés hanno resistito agli attacchi del gruppo definito appartenente ai partiti, che ha compiuto azioni contro la scuola ed il progetto di autonomia zapatista con la copertura di funzionari di Chilón e del governo dello stato.

Il Frayba riferisce che l’11 dicembre, alle 6:30, Juan Pérez Cruz e sua moglie María Elena Cruz, entrambi del PRI, sono entrati nella piantagione di caffè di uno zapatista ed hanno rubato il raccolti di 200 pante di caffè. Alle ore 20:00 dello stesso giorno, dalla casa di Pérez Cruz, a 50 metri dall’accampamento della brigata di osservazione civile presente nel villaggio, si sono sentiti spari intimidatori contro le basi zapatiste. Il giorno 12, alle ore 06:00, Pérez Cruz si è presentato alla casa di uno zapatista dicendogli testualmente: Ti avverto che la tua piantagione di caffè non ti appartiene più, è mia perché tu non paghi l’imposta, quindi non tornare più nella piantagione di caffè e nella milpa altrimenti ti ammazzo col machete. Il giorno 14 sono partiti degli spari dalla casa di Pérez Cruz.

Successivamente, il Frayba è stato informato dagli osservatori civili che gli affiliati ai partiti continuano con le aggressioni contro altre basi zapatiste, consistenti in furti nelle milpe ed attrezzi. L’organismo esprime preoccupazione per la grave situazione e chiede al governo statale di controllare quelli che agiscono in maniera impune nella comunità, di sanzionare i responsabili di aggressioni, minacce di morte, furti, saccheggi e sgomberi, e che si rispetti l’esercizio del diritto all’autonomia, alla libertà di pensiero e di espressione, alla proprietà ed al possesso delle terre delle basi di appoggio dell’EZLN.

Il problema risale al 9 settembre 2010, quando 170 indigeni di tutte le età, zapatisti dell’ejido, furono cacciati violentemente da 30 persone del PRI, PRD e Partito Verde Ecologista del Messico, che arrivarono nelle loro case con bastoni, machete ed armi da fuoco. I fatti si verificarono dopo la costruzione della prima scuola autonoma nell’ejido. Quel giorno, per non rispondere all’aggressione, gli zapatisti si rifugiarono in montagna per 33 giorni. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/27/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Giovedì 26 dicembre 2013

LIBERATO ANTONIO ESTRADA

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 dicembre. Martedì, nelle prime ore del pomeriggio, è stato liberato Antonio Estrada Estrada, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed abitante dell’ejido tzeltal San Sebastián Bachajón, che era detenuto nel Centro di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 17, a Playas de Catazjá, a nord del Chiapas.

Il giorno 19 era stato rilasciato Miguel Demeza Jiménez, anch’egli aderente alla Sesta e dello stesso ejido, Con l’uscita di Estrada, San Sebastián Bachajón non ha più prigionieri politici che, nel contesto della resistenza ai progetti turistici del governo ed al saccheggio del territorio da parte di enti federali e statali, ed a costo di dividere gli ejidatarios, erano stati catturati e condannati durante il governo di Juan Sabines Guerrero per reati che non hanno mai commesso.

Gli ejidatarios in resistenza ore prima avevano dichiarato: Il nostro cuore ribelle e degno continua a lottare per la giustizia ed il rispetto alla nostra autonomia di popolo, lottando manteniamo viva la lotta del compagno Juan Vázquez Guzmán assassinato mesi fa sulla porta di casa, si presume per la sua partecipazione alla difesa del territorio di San Sebastián Bachajón. Il crimine è ancora impunito.

L’esproprio che denunciano gli ejidatarios risale al 2 febbraio 2011, quando il malgoverno ha costruito un botteghino di ingresso gestito dalla Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette.

Dopo la scarcerazione di Estrada, l’unico aderente della Sesta ancora in carcere è Alejandro Díaz Santiz, solidale della Voz del Amate, recluso nel CERSS numeroro 5 a San Cristobal de las Casas. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/26/politica/010n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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REWIND 2:

DELLA MORTE E DI ALTRI ALIBI

Dicembre 2013

“Uno sa di essere morto quando le
cose che lo circondano hanno smesso di
morire.”
Elías Contreras
Professione: Commissione di Investigazione dell’EZLN
Stato Civile: Defunto.
Età: 521 anni e più.
 

È l’alba, e se me lo domandassero, ma non l’hanno fatto, direi che il problema con i morti sono i vivi.

Perché poi generalmente si scatena la disputa assurda, oziosa e indignante sulla loro assenza.

Quel “io li ho conosciuti-visti-mi hanno detto” è soltanto l’alibi per nascondere il “io sono l’amministratore di quella vita perché amministro la sua morte”.

Qualcosa come il “copyright” della morte, convertita dunque in mercanzia che si possiede, si scambia, circola e viene consumata. Per questo esistono perfino istituzioni: libri storiografici, biografie, musei, effemeridi, tesi, giornali, riviste e dibattiti.

E si cade nella trappola dell’edizione della storia stessa per limare gli errori.

Si usano allora i morti per innalzarsi un monumento su di loro.

Ma, secondo la mia modesta opinione, il problema con i morti è sopravvivergli.

O si muore con loro, un po’ o molto ogni volta.

O ci si aggiudica il titolo di loro portavoce. In fin dei conti non possono parlare, e non è la loro storia, quella loro, che si racconta, ma si giustifica la propria.

O si possono anche usare per pontificare con il noioso “io alla tua/vostra età”. Quando l’unico modo onesto di completare questo ricatto a buon mercato e per nulla originale (quasi sempre rivolto a giovani e bambini), sarebbe concludere con un “aveva commesso più errori di te/voi”.

Dietro il sequestro di questi morti, c’è il culto della storiografia, così di sopra, così incoerente, così inutile. Ovvero, la storia che vale e che conta è quella che sta in un libro, una tesi, un museo, un monumento e negli equivalenti attuali e futuri che non sono altro che un modo puerile di addomesticare la storia del basso.

Perché ci sono quelli che vivono a costo della morte di altri, e sulla loro assenza costruiscono tesi, saggi, scritti, libri, film, ballate, canzoni ed altre forme più o meno eleganti di giustificare la propria inazione… o la sterile azione.

Quel “non è morto” non può che essere solo uno slogan, se nessuno prosegue il cammino. Perché secondo il nostro modesto e non accademico punto di vista, ciò che importa è il cammino non chi lo percorre.

E, approfittando del fatto che sto riavvolgendo questo nastro di giorni, mesi, anni, decenni, domando, per esempio:

Del SubPedro, del señor Ik, della Comandanta Ramona, valgono i loro alberi genealogici? Il loro DNA? I loro certificati di nascita con nome e cognome?

O ciò che vale è il cammino che hanno percorso insieme ai senza nome e senza volto – cioè, senza lignaggio familiare e/o scudo araldico -?

Del SubPedro vale il suo vero nome, il suo volto, il suo stile, raccolti in una tesi, una biografia – cioè, in una bugia documentata secondo convenienza -?

O vale la memoria che di lui esiste nelle comunità che aveva organizzato? Sicuramente i fanatici della religione l’avrebbero accusato, giudicato e condannato per essere ateo, ed i fanatici della razza anche, ma per essere meticcio e non avere la pelle del colore della terra, con quel razzismo al contrario che si pretende “indigeno”.

Ma la decisione di lottare del SubPedro, del Comandante Hugo, della Comandanta Ramona, degli insurgentes Alvaro, Fredy, Rafael, vale perché qualcuno gli mette un nome, un calendario, una geografia? O perché quella decisione è collettiva e c’è chi prosegue?

Quando qualcuno vive e muore lottando, nella sua assenza ci dice “ricordami”, “onorami”, “biasimami”? O ci impone di “proseguire”, “non arrendersi”, “non tentennare”, “non vendersi”?

Voglio dire, io sento (e parlando con altri compas so che non è solo un mio sentimento) che il conto che devo presentare ai nostri morti è che cosa si è fatto, che cosa manca e che cosa si sta facendo per completare ciò che ha motivato questa lotta.

Probabilmente mi sbaglio, e qualcuno mi dirà che il senso di ogni lotta è perdurare nella storiografia, nella storia scritta o parlata, perché è l’esempio dei morti, la loro biografia addomesticata ciò che motiva i popoli a lottare, e non le condizioni di ingiustizia, di schiavitù (il termine reale per definire la mancanza di libertà), di autoritarismo.

Ho parlato con alcuni compagne, compagni, zapatisti dell’EZLN. Certo, non con tutt@, ma con quelli che posso ancora vedere, con i quali posso stare.

C’è stato tabacco, caffè, parole, silenzi, ricordi.

Non è stata l’ansia di durare indefinitamente, bensì il senso del dovere quello che ci ha portati qui, nel bene o nel male. Il bisogno di fare qualcosa di fronte all’ingiustizia millenaria, quell’indignazione che sentiamo come la caratteristica più contundente di “umanità”. Non vogliamo nessun posto in musei, tesi, biografie, libri.

Quindi, nell’ultimo respiro, noi zapatiste, zapatisti, ci domandiamo “mi ricorderanno?”. O ci domandiamo “se cederò di un passo sul cammino?”, “c’è chi lo proseguirà?”.

Noi, quando andiamo sulla tomba di Pedro, gli diciamo quello che abbiamo fatto affinché tutti lo ricordino, o gli raccontiamo quello che si è fatto nella lotta, quello che ancora c’è da fare (sempre manca ciò che manca), quanto siamo ancora piccoli?

Gli rendiamo buon conto se prendiamo il “Potere” e se gli innalziamo una statua?

O se possiamo dirgli “Senti Pedrín, siamo ancora qui, non ci siamo venduti, non tentenniamo, non ci arrendiamo”?

E, a proposito di discussioni…

Il fatto di darsi un altro nome ed occultare il volto, è per nasconderci dal nemico o per sfidare la sua struttura da mausoleo, la sua nomenclatura gerarchica, le sue offerte di compra-vendita truccate da poltrone burocratiche, premi, lodi e lusinghe, club grandi o piccoli di seguaci?

/ sì mio caro, i tempi cambiano, prima il maestro o la maestra – o l’equivalente di mandarino della conoscenza – si corteggiava dedicandogli libri, lusingando le sue parole, guardandol@ con rapimento. Ora si posta nei suoi scritti, si danno “like” nelle sue pagine web, ci si somma al numero di seguaci che cinguettano disordinatamente… /

Voglio dire, ci importa chi siamo? O ci importa quello che facciamo?

La valutazione che ci interessa e colpisce, è quella di fuori o quella della realtà?

La misura del nostro successo o fallimento sta in quello che appare su di noi sui media a pagamento, nelle tesi, nei commenti, nei “pollici in alto”, nei libri di storia, nei musei?

O sta in quanto raggiunto, mancato, consolidato, in sospeso?

E riavvolgendo ancora…

Della Chapis, importa che era credente e cristiana conseguente, o importa che ha vissuto e lottato, con e nel suo essere cristiana, per chi non l’ha mai conosciuta? Certamente i fanatici dell’ateismo l’avrebbero accusata, giudicata e condannata per non professare la religione degli ismo che pretende di monopolizzare la spiegazione e guida di tutte le lotte.

Una volta, dopo avere letto “Il Vangelo secondo Gesù” di José Saramago, la Chapis cercò il letterato e compagno per dirgli non solo che il suo libro non le era piaciuto, ma anche che lei avrebbe scritto la propria versione sull’argomento. Importa se riuscì ad incontrare Saramago, se gli disse questo, se scrisse la sua versione? O importa la sua decisione di farlo?

E di Tata Don Juan, vale solo per i suoi cognomi “Chávez Alonso”, il suo sangue purépecha, il cappello che lo copriva e lo mostrava, come se indossasse un passamontagna? O vale anche per le strade in diversi continenti che hanno avuto l’onore del suo passo originario?

Le bambine ed i bambini assassinati nell’Asilo ABC, ad Hermosillo, Sonora, Messico, che hanno avuto appena una brevissima biografia, valgono per il numero di righe ed i minuti a loro dedicati sui mezzi di comunicazione? O valgono per il sangue che sangue e vita ha dato loro, e che ora si impegna con degna ostinazione e vuole giustizia? Perché quei bambini e bambine valgono anche ora, benché assenti, per i padri e le madri che sono partoriti con la loro morte.

Perché la giustizia, amici e nemici, è anche impedire che si ripeta l’ingiustizia, o che cambi nome, faccia, bandiera, alibi ideologico, politico, razziale, di genere.

-*-

Voglio dire, noi (ed altr@ come noi, molti, molte, tutt@) lottiamo per essere migliori ed accettiamo quando la realtà ci dice che non ci siamo riusciti, ma non per questo smettiamo di lottare.

Perché non è che qua non onoriamo i nostri morti. Lo facciamo. Ma lo facciamo lottando. Tutti i giorni, a tutte le ore. E così fino a che guardiamo il suolo, prima allo stesso livello, poi verso l’alto, coprendoci con il passo compagno.

-*-

Infine, le pagine si allungano e con esse cresce anche la certezza che tutto questo non importa a nessuno, che non è trascendente, che non è quello che la-Nazione-il-momento-storico-la-congiuntura chiede, che è meglio raccontare una storia… o scrivere una biografia… o innalzare un monumento.

E delle 3 cose, sono fermamente convinto che l’unica che vale la pena è la prima.

Quindi vi racconterò, così come me l’ha riferita Durito, la storia del Gatto-Cane (attenzione: adesso sì leggete “Rewind 3”).

Bene. Salute e, dei morti, guardate soprattutto la strada che il loro passo ha percorso, che ha ancora bisogno di passi che la percorrano.

Il Sup mentre si sistema il passamontagna con macabra civetteria.

P.S. CHE PRENDE POSIZIONE IN UN DIBATTITO DI REALE ATTUALITÀ. – “I videogiochi sono la continuazione della guerra con altri mezzi”, sentenzia Durito. Ed aggiunge: “Nella lotta millenaria tra i fanatici del PS e della Xbox può esserci solo un perdente: l’utente”. Non ho osato chiedergli a che cosa si riferisse, ma suppongo che più di un@ capirà.

P.S. TROPPO LUNGO PER STARE IN UN “TWIT” (deve essere per l’ammontare della fattura). – L’autonominato “governatore” del Chiapas, Messico, ha solennemente dichiarato che la sua amministrazione “ha stretto la cinghia” con un programma di austerità. A dimostrazione della sua decisione, si è bevuto più di 10 milioni di dollari per una campagna pubblicitaria nazionale tanto massiccia e costosa quanto ridicola… e illegale. Ma siccome alcuni media hanno avuto la loro fetta di torta, “l’imberbe”, “inesperto” e “immaturo” impiegato di un affare che non è né partito, né è verde, né è ecologista, né è del Messico (beh, né lui è governatore, quindi non c’è motivo di soffermarsi sui dettagli) è ora sulle pagine della stessa stampa che lo attaccava per essere un “bamboccio”, un “uomo di Stato” che non spende per la sua promozione personale, ma per “attrarre turismo in Chiapas”. Sì mio caro, già le agenzie turistiche lanciano il pacchetto “Conosci il Güero Velasco”, “all included”, accompagnato da un “kit” con paraocchi per non vedere i gruppi paramilitari, né la miseria e il crimine che pullulano nelle principali città chiapaneche (Tuxtla Gutiérrez, San Cristóbal de las Casas, Comitán, Tapachula, Palenque), in uno stato dove si suppone che i poveri siano gli indigeni, non i meticci. Se il ladrone, Juan Sabines Guerrero, pagò milionate ai media per simulare un governo dove c’erano solo razzie, l’attuale “junior” della politica locale paga di più perché ha imparato dall’attuale titolare dell’Esecutivo Federale (credo si chiami Enrique Manlio Emilio… no? Vedete lo svantaggio di non avere un account twitter?) che si può passare da un’indagine giudiziaria alla lista di candidati alle presidenziali del 2018, con solo poche decine di milioni di dollari, un buon Photoshop e una telenovela rosa.

P.S. DI CONGIUNTURA REITERATA. – Permetta, signora, signore, signorina, bambino, bambina, altroa. Mi permetta, alla fine impertinente, di non lasciarle chiudere la porta e restare solo, sola, a ruminare la sua frustrazione e cercare responsabili, come si infuria chi ha un altare fisso e un idolo variabile. E se non metto il piede per evitare che lei chiuda la porta e resti in salvo nel suo castello di dogmi, ma, invece, metto il naso dove non devo, lo attribuisca al mio naso, già di per sé impertinente in volume e forma. Suvvia, mi permetta di interrompere il suo odio represso, secco, sterile, inutile.

Venga, si calmi, si sieda, respiri profondamente. Sia forte e si comporti con studiata sensatezza, come quelle coppie che si separano “da persone mature” benché muoiano dalla voglia di spaccare la testa alla suddetta… o suddetto (non dimenticare l’equità di genere).

Dunque, quando ottenete qualcosa è solo grazie al vostro sforzo? Però, quando mietete una sconfitta, allora si democratizzano le responsabilità… e vi autoescludete. “I fiori sono una farsa”, hanno sentenziato. “Non si accettano incappucciati”, hanno decretato (e nemmeno pensare di presentare un reclamo alla CONAPRED per discriminazione nel modo di vestire). “Soltanto noi soli trionferemo e la Nazione ci sarà eternamente grata, i nostri nomi compariranno nei libri di testo, congressi, statue, musei”, si sono entusiasmati anticipatamente.

Poi è successo quello che è successo e, come prima, ora cercano chi incolpare del fallimento di questa lotta di sopra. “È mancata l’unità”, dicono, ma pensano “è mancato che si sottomettessero alla nostra guida”.

La razzia truccata da riforma costituzionale non è cominciata con questo governo. È iniziata con Carlos Salinas de Gortari e la sua riforma dell’Articolo 27. L’esproprio agrario fu “coperto” allora dalle stesse menzogne che ora avvolgono le malchiamate riforme: ora la campagna messicana è completamente distrutta, come se un bombardamento atomico l’avesse spianata. E succede ormai col totale delle riforme. La benzina, l’energia elettrica, l’educazione, la giustizia, tutto sarà più caro, di peggiore qualità, più scarso.

Prima di questo e ancora prima delle attuali riforme, i popoli originari sono stati e sono spogliati dei loro territori, che sono anche della Nazione. L’oro liquido moderno, l’acqua e non il petrolio, è stato rubato senza che questo richiamasse l’attenzione dei grandi media. Al furto del sottosuolo, tanto chiaramente denunciato nella Cattedra Tata Juan Chávez Alonso dal Congresso Nazionale Indigeno, sono state dedicate poche righe svogliate sulla stampa a pagamento che oggi lamenta che IL POPOLO, questa entelechia così politico mediatica, non faccia niente per frenare il furto legalizzato e illegittimo chiamato “riforma energetica”. La razzia è quotidiana e in ogni luogo. Ma è solo ora che si dice che la Patria è stata tradita.

Ed ora lei, che è stato sordo, si indigna perché non l’ascoltano né la seguono.

E dice che non si fa niente perché non vede niente. Dice e si dice: “vale quello che faccio IO o quello che si fa sotto la mia tutela, nel mio calendario e nella mia geografia. Il resto non esiste perché non lo vedo”.

E come potrebbe vedere qualcosa se usa i paraocchi che il Potere le regala?

Solo adesso scopre che lo Stato non solo rinuncia ad essere un ammortizzatore nell’uragano di razzie che è il Neoliberismo, ma che, in aggiunta, si getta rapido a disputarsi le briciole che il vero Potere gli lancia?

Guardi, il mondo è tondo, gira, cambia. E a poco o niente può servirle questo catalogo di evidenze duali: sinistra e destra, reazionario e progressista, antico e moderno, e sinonimi e antonimi tanto di moda nella politica di sopra.

Guardi, il fatto è, semplicemente, che il suo pensiero è decrepito.

Ed ha cominciato a perdere nel momento stesso in cui ha deciso di abbracciare quello di sopra (usando il vecchio trucco – che ora le si ritorce contro – di destra-sinistra-progressista-reazionario, di inventarsi alibi e vestirli delle stesse parole che oggi la intrappolano), dimenticando che quelli di sopra non accettano abbracci, ma genuflessioni.

No, non è che lei non abbia idee e bandiere. È solo che sono a brandelli. Non importa di quanta modernità siano ammantate, né quante parole altisonanti si dicano attorno ad esse, né quanti twit le ripetano, né quanti “like” e commenti raccolgano.

Lei, che si aspettava un proclama, il sangue anonimo versato, bellicosi squilli di tromba, le otto colonne, le immagini col sangue offerto sull’altare della Patria, voi, e solo voi, dovrete redimervi.

/ No mio caro, se le dico che lo zapatismo non è più quello di prima, si ricorda come quasi 20 anni fa ci emozionavamo con le immagini dei morti anonimi che non avevano né volto né nomi, tanto lontani, tanto indigeni, tanto chiapanechi? / Certamente, Ocosingo è in Medio Oriente? / Ah, e le loro iniziative, così brillanti quando c’era un palco per noi. / D’altra parte, chi può prendere sul serio chi rifiuta di iscriversi alla mobilitazione o al movimento (attenzione: non è la stessa cosa, imparate a differenziare) di moda? O analizzarla, classificarla, giudicarla, archiviarla? / Di fatto, sono finiti, non invitano più nemmeno la stampa alle loro celebrazioni, che cosa possono celebrare che non sia la nostra assoluzione o condanna? / Ah, ma quello che non perdoneremo mai a questi zapatones, non è solo che non siano morti tutti – e con ciò ci avrebbero negato il diritto di amministrare le loro morti nel lungo labirinto dei mausolei, delle ballate, dei “non sei morto compagno, la tua morte sarà amministrata” -, ma che anche le loro morti li abbiano resi tanto… tanto… tanto ribelli /.

E niente, invece di questo… post scriptum!

So che non le importa, ma per le incappucciate e gli incappucciati di qua, la lotta che vale non è quella che si è vinto o perso. È quella che prosegue, e per essa si preparano i calendari e le geografie.

Non ci sono battaglie definitive, né per i vincitori né per i vinti. La lotta proseguirà, e chi ora si delizia nel trionfo vedrà il suo mondo crollare.

Per il resto, non si preoccupi. Lei non ha perso niente perché non ha affatto lottato realmente. La sola cosa che ha fatto è delegare ad un altro il conseguimento del monopolio di una vittoria che non arriverà.

Quello di sopra cadrà, senza dubbio. Ma il suo crollo non sarà il prodotto di una lotta monopolizzata, escludente e fanatica.

Se vuole, continui a tirare da sopra, festeggerà ogni piccolo movimento del monolite, ma la corda si spezzerà continuamente.

Le statue e gli autoritarismi si abbattono dal basso, in modo che non rimanga il basamento per un nuovo busto che sostituisca il precedente.

Nel frattempo, ed è la mia umile opinione, la sola cosa che vale la pena fare là in alto è quello che fanno gli uccelli: cagare.

Vale, di gelato di noce, anche se fa freddo.

Il Sup che si prepara per…

………………………………………………………………….

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo.

Del gruppo iberico di Rock Punk Arzua25, il pezzo “Zapatista”, del disco “Bienvenido a la Resistencia”. http://www.youtube.com/watch?v=1-jbz_V3y_8&feature=player_embedded

Il gruppo SKA-FE, dalla Colombia, la canzone “Muerte a la Muerte”. ¡Brincooooolín! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=XTkQGEabRIE

Della serie “Come avrebbe dovuto finire”, i finali alternativi a “Batman, il cavaliere della notte”. Video dedicato alle/ai mascherat@ “cattiv@” (che non sono ben accett@ alle mobilitazioni “trascendentali”), come Gatúbela e Bane (con i passamontagna invertiti e l’eccellente dizione). http://www.youtube.com/watch?v=cfovSTI1csI&feature=player_embedded

Dell’immortale Cuco Sánchez, “No soy monedita de oro”, che parla da sé. http://www.youtube.com/watch?v=6sEnPI1XBk8&feature=player_embedded

Comunicato originale  – (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 ¡FELIZ CUMPLEAÑOS EZLN!

30 de Resistencia20 de Insurrección – 10 de Caracoles

Italia, Diciembre de 2013.

A las mujeres y los hombres del Ejercito Zapatista de Liberación Nacional.
A las Juntas de Buen Gobierno de los cinco Caracoles.
A las mujeres, hombres, ancian@s, niñ@s de las comunidades rebeldes zapatistas.

Reciban sinceras y cariñosas felicidades de tod@s nosotr@s: mujeres, hombres, otr@s, músicos y hip-hop band, grupos y organizaciones, que estamos abajo y a la izquierda, junto con nuestra gratitud porque con su lucha nos enseñan cada día que otro mundo puede ser posible.

Gracias compas, que con su ejemplo nos ayudan a no sentirnos solos, aquí en nuestros lugares, en nuestras luchas por democracia, libertad y justicia para tod@s.

¡Feliz cumpleaños EZLN!

¡Siempre a su lado!

L@s compas: Aldo Zanchetta; Giulia Cordella; Annamaria Pontoglio; Tino Zanchi; Anna Pacchiani; Massimo Vecchi; Giorgio Brembilla; Mauro Marrone; Patrizia Capoferri; Nadia Belli; Emanuela Manfredi; Marco Maccaroni; Andrea Cegna; Alberto Di Monte; Renza Salza; Pietro Custodi; Mauro Armanino; Alessandra Bosco; Monica Cortopassi; Luciano Di Gino; Gianna Berti; Elio Gattini; Franca Rosti; Giovanni Altini; Giulio Vittorangeli; Stefano Mastrogiacomi; Maurizio Cammellini; Andrea Semplici; Raffaella Rizzo; Federica Lombardo; Antonella Bonzio; Rebecca Rovoletto; Angela Bellei; Claudia Fanti; Vincenzo Robustelli; Alessandra Giusti; Rosetta Riboldi; Stefano Battain; Gaia Capogna; Nicoletta Negri; Roberto Sensi; Domenico Bertelli; David Lifodi; Luca Mascheroni.

Grupos y organizaciones: Fondazione Neno Zanchetta; Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo; Spazio Sociale “Barrio Campagnola” – Bergamo; Rebelde FC; Comitato Chiapas Torino; Coordinamento Toscano di Sostegno alla Lotta Zapatista; Collettivo Italia Centro America; Associazione Villaggio Terra; Onlus Amici del Guatemala Siena; Progetto Rebeldia / Municipio dei Beni Comuni – Pisa; Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, Circolo di Livorno; Associazione Italia-Nicaragua – Circolo di Viterbo; Micro Sol Onlus; Associazione Æliante; Rete Radiè Resch; Associazione Peacelink; L@s compañer@s de PRC Circolo Ferrovieri Spartaco Lavagnini de Firenze.

Los músicos y hip-hop band, porque no es fiesta si no hay música digna y rebelde: Bonnot y Assalti Frontali

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DUE AVVISI IMPORTANTI 

19 dicembre 2013 

Compagne e Compagni. 

Vi scrive il Subcomandante Insurgente Moisés per mandare due avvisi: 

1- Vi avviso che chi ha chiesto di essere iscritto alla escuelita ed ha ricevuto l’invito, ma non ha ancora ricevuto la clave de pre-registro per il turno di dicembre o gennaio, può chiedere di essere registrato direttamente al CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Messico: 

I giorni 23 e 24 dicembre, per frequentare il corso dal 25 al 29 dicembre sia presso il CIDECI che in comunità 

I Giorni 1 e 2 gennaio, per frequentare il corso dal 3 al 7 gennaio sia in comunità sia al CIDECI. 

Se non potete in nessuna delle due date, potrete fare richiesta per il prossimo turno quando sarà reso pubblico. 

2- Altra cosa di cui vi avviso è che la festa per i 20 anni della sollevazione ci sarà in tutti i Caracol zapatisti ed è aperta a tutti, tranne che ai giornalisti. 

Dalle montagne del sud-est Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés

Dicembre 2013

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La Jornada – Lunedì 16 dicembre 2013

Ejidatarios chol di Tila denunciano l’invasione di terre

Hermann Bellinghausen

Ejidatarios chol di Tila, aderenti alla Sesta dichiarazione della Selva Lacandona, hanno denunciato che il governo, nei suoi tre livelli, gestisce agenzie turistiche contrarie agli interessi dei coloni. Venerdì 13, riferiscono gli indigeni, un gruppo di tecnici è stato sorpreso mentre realizzava dei sopralluoghi senza l’autorizzazione dell’assemblea generale degli ejidatarios nella comunità di Río Grande, annessa all’ejido di Tila.

Denunciano anche che effettivi dell’Esercito stanno addestrando i poliziotti municipali sulla pubblica via, destabilizzando l’ordine pubblico e la società, e temono nuove azioni repressive.

Il topografo José Zambrano Solís, presentatosi come docente dell’Università delle Scienze e delle Arti del Chiapas (Unicach) di Tuxtla Gutiérrez, e due suoi collaboratori, si sono presentati come “incaricati della Commissione Nazionale dell’Acqua (Conagua) e del rettore della Unicach, Roberto Domínguez Castellanos. Gli ejidatarios riferiscono che il tecnico si è comportato in maniera minacciosa, dicendo che non aveva paura perché sostenuto dai tre livelli di governo ed inoltre è conosciuto ovunque ed è incaricato dal suo padrone.

Gli ejidatarios segnalano: le anomalie dei malgoverni che entrano senza permesso nelle nostre comunità, villaggi e città (l’ejido di Tila include un centro urbano). Accusano i funzionari di escludere le autorità tradizionali nominate dal popolo e di ignorare chi e da dove veniamo. E sostengono: Noi siamo nati in questa terra, conosciamo i nostri fiumi, boschi e risorse naturali, patrimonio dei nostri genitori e nonni che hanno vissuto e continuano a vivere qui con noi nel loro spirito. Riterremo responsabili il governo federale, statale, municipale, la Conagua, la Unicach e l’ing. Zambrano Solís di qualunque repressione, intimidazione e vessazione.

Avvertono di possibili false richieste ed ordini di cattura contro i compagni e compagne, bambini e bambine che difendono i loro patrimoni ancestrali, secondo l’articolo 14, 16 e 2 della Costituzione ed il Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Denunciano anche l’ingegnere agronomo Carlos Domingo Sánchez Martínez, originario della comunità di Cantioc, ed impiegato del municipio di Tila “che perseguita ed intimorisce i nostri compagni della Sexta di Cantioc e compagni ejidatarios di Río Grande.”

Gli organi di rappresentanza degli ejidatarios aderenti alla Sexta avvertono che difenderanno tutto quello che i nostri genitori ci hanno lasciato, e non ci faremo sconfiggere.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Votàn Zapata

Duccio Scotini e Gea Piccardi

“Coloro che avevano scommesso sul fatto che noi esistevamo solo mediaticamente e che, circondati dal silenzio e dalle menzogne, saremmo scomparsi, si sbagliavano. Quando non c’erano videocamere, microfoni, penne, orecchie e sguardi, noi esistevamo”[1]. Gli zapatisti non solo hanno vinto la strategia contrainsurgente del governo messicano ma hanno anche dato prova che l’autonomia può durare negli anni: dal 1983, quando nacquero come organizzazione clandestina, al 2013, anno di inizio dell’Escuelita.

A partire dalla marcia del 21 dicembre 2012 (giorno indicato dai media come quello della fine del mondo e per i Maya l’inizio di una nuova era) si è susseguita una serie di comunicati dal titolo Ellos y Nosotros in cui dichiarano la distanza dalla cultura politica della rappresentanza e da un sistema economico neoliberista, l’esistenza di un’altra maniera di vivere e governarsi e l’esigenza di stabilire nuove connessioni con i movimenti sociali del Messico e del mondo. Per questo prende forma il progetto di organizzare nel mese di Agosto la prima sessione dell’Escuelita zapatista, una “scuola” che ha coinvolto e coinvolgerà oltre le comunità zapatiste, migliaia di persone da tutto il mondo.

Murales di Emory Douglas a Morelia (ph Duccio Scotini e Gea Piccardi)

Durante l’Escuelita abbiamo sperimentato prima di tutto l’apprendimento come etica dell’incontro. Siamo andati a condividere la vita quotidiana con la gente comune non ad ascoltare i comandanti indigeni o il subcomandante Marcos, non abbiamo assistito alla trasmissione discorsiva di un sapere codificato. Migliaia di donne e uomini, indigeni e zapatisti, si sono convertiti, durante la scuola, in Votàn. Ciascun Votàn si prendeva cura del singolo alunno, gli raccontava la storia dei pueblos indigeni zapatisti, la loro identità, la loro organizzazione, con lui studiava i libri di testo, andava a lavorare, rispondeva ai suoi dubbi, e infine traduceva dalle lingue maya allo spagnolo e viceversa.

Termine maya difficilmente traducibile, Votàn per gli zapatisti significa qualcosa come “guardiano e cuore del popolo” o “guardiano e cuore della terra”, o ancora “guardiano e cuore del mondo”. Il Votàn è dunque un’entità singolare e comune allo stesso tempo: una persona ordinaria il cui orecchio e la cui parola sono collettivi. Non è un volto definito, un’individualità riconoscibile: è uno, ma dietro quell’uno potenzialmente si nascondono tutti. Con i nostri Votàn abbiamo preso parte a questa “scuola” dove non c’erano aule, esami e professori. La scuola era il collettivo, lo spazio aperto della comunità.

A noi due hanno assegnato comunità diverse e una di queste era il poblado Vicente Guerrero, presso il Caracol de La Garrucha. Nato nel 2002, Vicente Guerrero è, come la maggior parte del territorio zapatista, tierra recuperada, occupata e sottratta alla proprietà di rancheros e tierratenientes. “Motore dell’autonomia”, diceva un Votàn, sono i trabajos collectivos: lavori di gruppo a cui prendono parte in maniera rotativa tutti i membri della comunità e che non riguardano solo la produzione alimentare, ma anche la scuola, la cura e la comunicazione.

Escuelita autonoma (ph Alex Campos – Nomad Eyes)Il nostro apprendimento consisteva, in buona parte, nella partecipazione diretta ai differenti trabajos della comunità, tuttavia non si è trattato di apprendere un mestiere particolare ma, al contrario, di prendere parte a una forma di organizzazione che è quella dell’autonomia. La partecipazione a questa processualità, che altro non è che la sperimentazione di una democrazia radicale dal basso, si è data soprattutto attraverso un’esperienza di condivisione che può esserci soltanto nella pratica. Per dirla con Gustavo Esteva, altro alunno dell’Escuelita, “sono mancate delle parole perché abbiamo esperito novità radicali che non provengono dai libri, dai ruoli o dalle ideologie, ma dalla pratica e per questo portano con sé un impegno di immaginazione”[2].

Andando oltre le parole d’ordine, le logiche identitarie e i vuoti appelli alla costituzione di “fronti uniti” contro i governi o la crisi, che caratterizzano ancora molte organizzazioni politiche, gli zapatisti affermano: “La nostra analisi del sistema dominante ci ha portato a dire che l’unità di azione può esserci se si rispettano quelli che noi chiamiamo “i modi” di ognuno, ossia le conoscenze che ognuno di noi, individualmente o collettivamente, possiede della sua geografia e calendario. Ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. Quando si parla di unità si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo”[3].

Non si tratta ovviamente di dare dei giudizi di valore, ma di esercitarsi in quello sforzo di immaginazione di cui parla Esteva e in questo senso chiedersi: perché gli zapatisti hanno scelto la forma di una “scuola”? Che nesso c’è tra i processi di apprendimento, a cui abbiamo partecipato durante l’Escuelita, e i modi di costruzione dell’autonomia zapatista? Che relazione c’è tra forme di apprendimento che rifiutano qualsiasi tipo di “pedagogia” e pratiche autonome oltre lo Stato e i sistemi di rappresentanza? Crediamo che questo sia uno dei problemi fondamentali che l’esperienza zapatista ci lascia.

Linea del tiempo (ph. Alex Campos-Nomad Eyes)

Pensare l’apprendimento non come una formazione teorica alternativa, autodidatta, che si pone contro le istituzioni addette all’insegnamento e alla trasmissione di conoscenze, ma come una pratica che sfida, in tutte le sue manifestazioni, la produzione di verità e di sapere attuali e che non concerne solo l’ambito del “teorico” o dell’accademico, ma tutti gli istanti della vita quotidiana. Pensare l’apprendimento come un rapporto tra soggetto ed esperienza significa immaginarsi una pratica politica che si rimpossessi di mezzi e strumenti di percezione del mondo e che parta, prima di tutto, da un non sapere dei corpi. L’apprendimento, quindi, come una forma di soggettivazione che diventa molto forte proprio nel momento in cui la formazione entra in crisi e come pratica politica di organizzazione che si afferma proprio quando le altre pratiche perdono di senso.

Secondo Raúl Zibechi “Ci sarà un prima e un dopo dell’Escuelita zapatista. Della recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento e diffuso, che si farà sentire in alcuni anni e segnerà la vita dei los de abajo durante decadi”[4]. Certamente per gli zapatisti l’Escuelita produce grandi trasformazioni, tuttavia restano aperti dei quesiti che, abbandonando il territorio chiapaneco, si rivolgono da là a qua, inserendosi in quella distanza che intercorre tra l’esperienza vissuta e il ritorno a casa. Quale sarà il nostro “dopo” dell’Escuelita?

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1 Comité Clandestino Revolucionario Indigena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberàtion Nacional – 30 dicembre 2012, ¿Escucharon? Recopilacion de comunicados del EZLN Diciembre 2012-Febrero 2013, El Rebozo, Oaxaca, 2013.Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/02/ezln-annuncia-i-seguenti-passi-comunicato-del-30-dicembre-2012/

2 Gustavo Esteva, Y si, aprendimos, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/018a2pol

3 Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Ellos y nosotros. V. La Sexta, (tomo I), El Rebozo, Oaxaca, 2013. Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/26/ellos-y-nosotros-v-la-sexta-2/

4 Raúl Zibechi, Las escuelitas de abajo, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

5 Alex Campos, autore delle fotografie, è un artista e filmmaker che attualmente lavora in Messico. Qui il link del suo canale www.youtube.com/user/olharesnomadas

fonte: http://www.alfabeta2.it/2013/11/24/votan-zapata/

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La Jornada – Martedì 3 dicembre 2013

Un detenuto denuncia che nel carcere chiapaneco sono state sospese le cure ai reclusi malati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 dicembre. Nel Centro Statale di Reinserimento Sociale dei Condannati (CERSSS) numero 5, a Los Llanos, in questa città, l’amministrazione ha sospeso le medicine ai detenuti malati, ha denunciato oggi Alejandro Díaz Sántiz, simpatizzante della Voz del Amate ed ultimo aderente della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ancora in carcere. Il cattivo sistema che vige nel paese e nei suoi stati ha causato danni dolore, angoscia e rabbia ai migliaia di messicani parenti dei detenuti, aggiunge l’indigeno da 15 anni incarcere, ingiustamente come dice, e che non ha smesso di chiedere la sua liberazione.

Díaz Sántiz, al quale Alberto Patishtán Gómez, liberato un mese fa, ha lasciato il compito di difendere i detenuti di Los Llanos, racconta che fino a venerdì scorso, c’era un uomo in sciopero della fame da oltre una settimana. Miguel Antonio López Santiago, da 12 anni e 11 mesi carcerato ingiustamente, il 19 novembre aveva iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta per chiedere in maniera pacifica giustizia e libertà.

Tuttavia, dieci giorni dopo López Santiago sembra sia stato male e quindi trasferito in un ospedale dove ha sospeso la protesta. Le autorità avrebbero promesso ai famigliari di accelerare la revisione del suo caso al Tavolo di Riconciliazione che analizza i processi impugnati dalla popolazione carceraria. Ciò nonostante, durante i giorni di sciopero della fame ha ricevuto solo minacce e torture psicologiche da parte del gruppo Lobo e del capo della sicurezza, Juan Gabriel Soberano Pimentel, che gli dicevano che l’avrebbero obbligato a mangiare se non si desisteva dal suo sciopero, riferisce Díaz Sántiz.

Di sicuro, la settimana scorsa un altro gruppo di detenuti non organizzati ha realizzato un breve sciopero della fame per chiedere migliori condizioni. Il portavoce di Solidarios de la Voz del Amate chiede che si rispettino i diritti di ogni detenuto che ha sempre il diritto di manifestare pacificamente.

Denuncia che il direttore della prigione, Jaime López, non ha acquisito medicine o ha omesso di consegnarle ai detenuti che le richiedono. Lo stesso Díaz Sántiz, che soffre di disturbi alla vista, il 17 novembre è stato portato fuori dalla prigione per sottoporsi a visita medica e benché gli avessero prescritto dei medicinali, questi non gli sono stati forniti dalle autorità.

Infine, rispetto alla propria situazione, Álex (come lo chiamano i suoi compagni) chiede al governatore Manuel Velasco Coello di mantenere l’impegno preso lo scorso 4 luglio di cercare strumenti e contatti con le autorità di Veracruz (dove si è svolto il suo processo) per ottenere la mia libertà, perché fino ad ora non ho avuto alcuna risposta. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/03/politica/025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 29 novembre 2013

Il Tribunale federale decide a favore degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 novembre. Il tribunale federale di Tuxtla Gutiérrez ha accolto il ricorso presentato dagli ejidatarios di San Sebastián Bachajón contro l’occupazione di una parte del territorio ejidale da parte dei governi federale e statale del febbraio 2011, allo scopo di “imporre un progetto turistico di livello mondiale”, dichiarano gli indigeni coinvolti.

Nella sentenza pubblicata lunedì 25 novembre, il tribunale federale “ha revocato ritenendola illegale la sentenza de 22 luglio 2013 emessa dal giudice settimo di distretto di Tuxtla Gutiérrez, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai contadini tzeltales, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, in difesa delle loro terre”, ha comunicato Ricardo Lagunes Gasca, rappresentante legale degli indigeni.

Nell’udienza del 14 novembre, per decidere sul ricorso 274/2013, il terzo tribunale collegiale del ventesimo circuito della capitale chiapaneca “ha dato ragione agli indigeni dell’ejido San Sebastián Bachajón, situato nella zona nord dell’entità, che difendono le proprie terre dall’esproprio dei governi statale e federale, perpetrato dal 2 febbraio 2011 con la finalità di controllare il loro territorio per imporre un progetto turistico”. Le terre di cui gli ejidatarios reclamano la restituzione, danno accesso anche alle cascate di Agua Azul visitate ogni anno da centinaia di migliaia di turisti.

La difesa spiega: “Il tribunale ha ritenuto che il giudice settimo di distretto, omettendo di notificare all’assemblea generale degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón la richiesta di appello interposta in forma sostitutiva da ejidatarios aderenti alla Sesta, ha infranto le leggi del procedimento e lasciato senza difesa l’ejido querelante”. Inoltre, il tribunale federale “ha dichiarato senza valore giuridico il documento esibito dal commissario ejidale filogovernativo di San Sebastián, Alejandro Moreno Gómez, sottoscritto da lui e da altri rappresentanti dell’ejido, col quale intendevano desistere dal processo di appello senza l’autorizzazione e la conoscenza dell’assemblea generale”.

È la seconda volta che un tribunale federale dichiara illegale la sentenza emessa dal giudice settimo di distretto che “fin dall’ammissione del ricorso, il 4 marzo 2011, si è comportato senza osservare i principi di imparzialità, indipendenza ed obiettività, favorendo in ogni momento l’esproprio attraverso decisioni arbitrarie e soggettive”, sostiene Lagunes Gasca.

“È deplorevole – aggiunge – che dopo due anni dal ricorso, non esista ancora una sentenza che protegga il territorio dal popolo tzeltal di San Sebastián, cosa che favorisce l’impunità, la violenza e l’abuso contro i popoli originari da parte di funzionari statali e agenti privati”.

Di fronte alla “evidente inefficacia” della legge nel proteggere il territorio tzeltal, il 26 maggio di quest’anno, il caso era stato presentato formalmente alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) con sede a Washington. Inoltre, la difesa degli ejidatarios “aveva chiesto l’adozione di misure cautelari nell’ambito della petizione, per garantire l’integrità territoriale del popolo indigeno e l’integrità personale dei suoi difensori, esposta a maggiore rischio e vulnerabilità con l’assassinio impune del leader comunitario Juan Vázquez Guzmán il 24 di aprile” sulla porta di casa.

Il 19 giugno, la CIDH aveva comunicò agli ejidatarios aderenti alla Sesta che aveva sollecitato informazioni in merito al governo messicano, sollecito che, per quanto si sa, non avrebbe ricevuto ancora risposta. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/29/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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POSTI ESAURITI PER IL CORSO DI PRIMO LIVELLO DELLA ESCUELITA ZAPATISTA NELLE DATE DI DICEMBRE 2013 E GENNAIO 2014

 Novembre 2013

Alle compagne e compagni della Sexta:

A chi interessa:

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagni passati, presenti e futuri:

Vi mandiamo i nostri saluti. A buon conto vi diciamo che ci apprestiamo al secondo e terzo turno del corso di primo livello della escuelita zapatista, consci che siamo appena riusciti a coprire le spese del primo turno solo grazie a qualcuno che ha dato di più delle nostre compagne e compagni di dentro e di fuori, e così si è coperto quello che mancava nel contenitore.

Alla luce di ciò, per il secondo e terzo turno del Corso di Primo Livello della escuelita, abbiamo aumentato il numero di compagne e compagni partecipanti alla scuola, ed ora possiamo accogliere fino a 2.250 alunni per ogni turno. Cioè c’era posto per 2.250 nel turno di Dicembre 2013 e per 2.250 nel turno di Gennaio 2014. C’era, perché i posti sono già esauriti.

Le comunità zapatiste hanno compiuto un ulteriore sforzo per accogliere mille allievi in più del turno dell’agosto scorso.

Indubbiamente il problema è vedere se tornano i conti con i 380 pesos per allievo per coprire le spese, ma i nostri compagni e compagne delle squadre di appoggio della Commissione Sexta mi dicono che molti si stanno organizzando per mettere insieme i soldi e non fare figuracce al momento della registrazione. E, quello che ci sembra molto buono, è che gli allievi che sono già stati qui col primo turno, si stanno organizzando per sostenere altri che vengono ad imparare insieme a noi. Cioè, questi alunni ed alunne hanno sì imparato qualcosa da qua.

Nella nuova rivista che faremo e negli scritti che pubblicheremo nella pagina di Enlace Zapatista vi racconteremo delle valutazioni che abbiamo fatto sulla scuola. In questa rivista potrete leggere la parola dei Votán che vi hanno assistito, dei vostr@ Maestr@ e delle famiglie che vi hanno accolto, la valutazione, cioè la loro parola e pensiero su come hanno visto e sentito questi primi alunni ed alunne.

Ora, come incaricato della escuelita, devo informarvi che i posti per i due turni sono già esauriti. Cioè, a dicembre di questo anno 2013 abbiamo raggiunto la quota di 2.250, e così anche a gennaio 2014. Cioè, siamo già al completo, compagne e compagni.

Speriamo abbiate mandato in tempo la vostra domanda e che sia stata scritta correttamente, senza inganni. Ma se non avete fatto in tempo, non temete. Vedremo di poter fare un quarto turno per aprile o agosto dell’anno che viene.

Vi ricordo che saranno iscritti solo coloro che sono stati invitati. Perché qualcuno sta facendo il furbo e manda il suo questionario senza essere stato invitato. Quindi, non fate i furbi. La procedura è questa: voi mandate una richiesta di invito, noi vi mandiamo l’invito, voi rispondete con il questionario, e vi viene spedita la vostra registrazione.

Una cosa molto importante da sapere è che l’iscrizione alla escuelita è individuale. Cioè non vale scrivere “Vengo io più altri 2“, ma ognuno deve chiedere il proprio invito perché ogni alunno deve avere la sua iscrizione individuale, perché ognuno sarà sistemato in una famiglia zapatista e gli sarà assegnato un Votán, cioè un proprio Guardiano o Guardiana. A tutti, uomo, donna, altr@, bambino, bambina, ragazzo, ragazza, adulto o già in là con gli anni.

Quindi è importante che ognuno mandi la propria domanda di iscrizione, se è stato invitato, perché per chi non ha ricevuto l’invito, per questi due turni non c’è più posto. Siete avvisati. Un’altra cosa importante è indicare in quale delle 2 date potete venire. E ancora meglio se potete in ognuna delle date indifferentemente perché così vi sistemiamo più facilmente.

E per favore non iscrivetevi se non verrete. Vi chiediamo di avvisare se siete stati invitati ma non potete venire, perché altrimenti togliete il posto a qualcuno che vuole venire ma non può perché i posti sono esauriti. Perché alcune persone hanno fatto così nel turno di agosto, si sono iscritte ma non sono mai arrivate. E neanche hanno avuto l’educazione di avvisare che non venivano. Meglio avvisare e lasciare il posto a qualcuno che può partecipare in queste date e voi aspettate di vedere se potrete venire nelle prossime date che ci saranno.

Alle nostre sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno e dei Popoli Originari di tutto il mondo, ricordiamo che poi organizzeremo incontri speciali con loro. Ci metteremo d’accordo per questo.

Bene compagni della Sexta, ho detto quello che dovevo è chissà che possiate venire e vedere con i vostri occhi ed ascoltare con le vostre orecchie che cos’è la nostra lotta per la libertà.

Più tardi vi scriverà il SupMarcos, perché adesso l’ha morso il gatto-cane e lo sta medicando il personale del servizio insurgente sanitario. Cioè stanno medicando il gatto-cane perché gli ha fatto male mordere il SupMarcos. Comunque gli ho detto di inserire qualche video per pensare o per cantare e ballare o per tutto questo.

Vi aspettiamo.

SubComandante Insurgente Moisés

Rettore della Escuelita Zapatista

Messico, Novembre 2013

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Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo:

Saluto inviato alla Escuelita Zapatista dal nostro compagno Mayor Insurgente Honorario Félix Serdán Nájera, attivista per tutta la vita. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=luPuHfko4wU

Video realizzato dai compas della Coordinadora Valle de Chalco Libre durante il loro corso di primo livello alla Escuelita Zapatista. http://www.youtube.com/watch?v=pzRjMa4p2lU&feature=player_embedded

Fernando Delgadillo ci avverte della complicità tra l’ignoranza ed il Potere. http://www.youtube.com/watch?v=muF8iVl4lZg&feature=player_embedded

Alejandro Filio e León Gieco, due di quelli che non si vendono, con questo pezzo dal titolo “Un precio”. http://www.youtube.com/watch?v=GOX0xMpdVCo&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Rebobinar 3

Rebobinar 3.

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Buon compleanno EZLN, oggi fan 30

zapatista-women-fighter
Non tutti i libri di storia sono uguali. Non tutti i libri di storia diventano testi ufficiali sui quali si studia. Il libro di storia che tratta di movimenti, lotte, rivolte, rivoluzioni, bandit@, brigant@ e partigian@ non è mai diventato un testo ufficiale, anzi forse questo libro non esiste nemmeno ma se esistesse parlerebbe sicuramente del 17 novembre 1983, data di nascita dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

All’origine erano sei, tre indigeni e tre meticci, il loro sogno era costruire e costituire la più classica delle guerriglie (di matrice Marxista) andando in continuità con la tradizione Sudamericana dal Fronte Sandinista in poi.

La storia ci dice che quella guerriglia non nascerà mai, ma nascerà qualcosa di diverso, quello che il 1 gennaio del 1994 abbiamo conosciuto come EZLN e come movimento di lotta per la dignità ed il riconoscimento dello status “indigeno” e quindi in netta opposizione alla globalizzazione neoliberista.

Ribaltata la logica principe delle guerriglie ovvero di sollevarsi per prendere il potere.

Il potere “Zapatiniamente parlando” è un nemico da combattere e non da sostituire, così come Emiliano Zapata arrivato a Città Del Messico fece l’atto simbolico di non sedersi sulla poltrona del presidente messicano per non farsi corrompere dal gusto del potere gli Zapatisti iniziano la loro lotto per conquistare i diritti e la possibilità di essere se stessi senza sottostare alle logiche omologanti e schiaccianti sia dal punto di vista culturale che “di vita” del neoliberismo.

L’unico esercito al mondo ad avere il 30% di donne al suo interno.

Un esercito che andrà ad imporre dentro le comunità zapatiste la Legge Rivoluzionaria delle Donne .

L’unico esercito che ha come portavoce e capo militare (questo però solo dopo la morte di Pedro il 1 gennaio del 1994) un sub comandante, cioè un sotto comandante perchè chi comanda è il popolo. Se sono solo giochi di parole e costruzione d’immaginario non lo possiamo sapere, quello che sappiamo è che quest’esercito e questa lotta hanno determinato un cambiamento forte nella pratiche e nei linguaggi politici in tutto il mondo.

Perchè l’EZLN cambia rotta nei 10 anni di preparazione al levantamiento? La risposta è semplice l’ibridazione tra le logiche marxiste e l’attitudine collettiva/comunitaria degli indigeni Maya del Chiapas obbliga il gruppo originario a modificare la propria linea guida e obiettivo: non prendere il potere ma imporre giustizia, libertà, e democrazia per le popolazioni indigene e così per tutte le popolazioni mondiali.

Questo cambio di rotta porterà anche ad un uso diverso di immagini e parole. Forse sarà stata la difficoltà di comunicazione tra chi non parla spagnolo ma solo idiomi indigeni e chi parla la lingua dei conquistadores a inventare un modo comune e armonico di dialogo, immagini e parole.

Cosa sia successo veramente non lo saprà mai nessuno, quello che si sa è tra i racconti e i comunicati pubblici che dal 1 gennaio 1994 hanno girato per tutto il mondo. “I Racconti del Vecchio Antonio” è un libro fondamentale (assieme al pamphlet “La quarta guerra mondiale è cominciata”) per capire le origini dell’EZLN e capirne poi le scelte, la logica,e l’ideologia insomma un libro di racconti che però è anche tesi politica di uno dei movimenti più innovativi degli ultimi venti anni.

I libri non sono tutti uguali, non solo quelli di storia ma anche quelli di racconti. Così come i calendari e le geografie non sono le stesse per chi sta in alto e per chi in basso a sinistra. Così come i mondi non sono gli stessi.

Sarebbe bello che esistesse veramente un mondo che contenga tutti i mondi, almeno tutti i mondi che sanno rispettare gli altri mondi.

Mi fermo qui, chiedendomi che cosa ci sarebbe scritto nel libro di storia che nelle scuole non fanno e non faranno mai studiare cioè quello intitolato “di movimenti, lotte, rivolte, rivoluzioni, bandit@, brigant@ e partigian@” sulla pagina della nascita dell’EZLN, sicuramente ci sarebbe più precisione, ci sarebbero più dati, insomma sarebbe un libro di storia e forse per questo non scriverebbe proprio tutto quello che un articolo in prima persona permette di scrivere, sarebbe diverso.

Ma quel libro forse non esiste, e forse dovremmo scriverlo, invece esiste l’EZLN.

Mi fermo qui anche perchè andare vorrebbe dire parlare dei vent’anni della lotta Zapatista, quella pubblica iniziata quando il Trattato di Libero Commercio del Nord America entrò in vigore, e  anche quella è una bella storia, ma inizia dopo e quindi la raccontiamo con i gusti tempi e la giusta calma.

BUON COMPLEANNO EZLN 100 di questi giorni!

http://milanoinmovimento.com/altri-luoghi/buon-compleanno-ezln-oggi-fan-30

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SupMarcos: Rewind 3.

REWIND 3.

Che spiega il perché di questo strano titolo e di quelli che seguiranno, che narra dello straordinario incontro tra uno scarabeo ed uno sconcertante essere (voglio dire, più sconcertante dello scarabeo), e delle riflessioni non congiunturali e senza importanza che scaturirono; così come del modo in cui, approfittando di un anniversario, il Sup cerca di spiegare, senza riuscirci, come l@s zapatistas vedono la propria storia.

Novembre 2013

A chi di interesse:

AVVERTENZA.- Come segnalato nel testo autotitolato “Cattive notizie, ma anche no”, non sono stati pubblicati i testi che precedevano il suddetto. Ergo, quello che faremo sarà “riavvolgere” il nastro (o, come si dice, “rewind”) per arrivare a quello che si supponeva sarebbe apparso il giorno dei morti. Dopo di che, potete procedere alla lettura in ordine inverso all’ordine inverso nel quale appariranno e allora dovrete… mmm… lasciate perdere, perfino io mi sono rimbambito. La cosa importante è che si capisca lo spirito, come dire, “la retrospettiva”, cioè che uno va avanti ma poi torna indietro per vedere com’è che qualcuno ha fatto per arrivare là. Chiaro? No?

AVVERTENZA DELL’AVVERTENZA.- I testi che seguono non contengono nessun riferimento alle situazioni attuali, congiunturali, trascendenti, importanti, ecc., né hanno implicazioni o riferimenti politici, niente di tutto questo. Sono testi “innocenti”, come “innocenti” sono tutti gli scritti di chi si autonomina “il supcomandante di acciaio inossidabile” (cioè, io tapino). Ogni riferimento o somiglianza a fatti o persone della vita reale è pura schizofrenia… sì, come alla situazione internazionale e nazionale dove si può vedere che… ok, ok, ok, niente politica.

AVVERTENZA AL CUBO.- Nel caso molto improbabile che vi sentiate coinvolti da ciò che si dice di seguito, vi sbagliate… o siete un vergognoso fan della teoria della cospirazione ad hoc (che si può tradurre in “per ogni errore, esiste una teoria della cospirazione per spiegare tutto e ripetere gli errori”.

Procediamo:

-*-

P.S. Il primo incontro di Durito con il Gatto-Cane.-

Durito era serio. Ma non con il falso atteggiamento di un qualsiasi funzionario di un qualsiasi governo. Era serio come quando una grande pena ci affligge e non ci si può far niente, se non maledire… o raccontare una storia.

Don Durito de La Lacandona accende la pipa, cavaliere errante o errato, consolazione degli afflitti, gioia dei bambini, impossibile desiderio di donne ed altr@, irraggiungibile specchio per gli uomini, insonnie di tiranni e tirannuncoli, scomoda tesi per ignoranti pedanti.

Guardando rapito la luce delle nostre insonnie, quasi in un sussurro narra, affinché io la trascriva:

LA STORIA DEL GATTO-CANE

(Come Durito conobbe il Gatto-Cane e cosa dissero in quell’alba sui fanatismi).

Ad una prima occhiata il gatto-cane sembra un cane… ma anche un gatto… o cane…fino a che non miagola… o gatto… fino a che non abbaia.

Il gatto-cane è un’incognita per biologi terrestri e marini (in che tabella di classificazione degli esseri viventi sistemiamo questo caso?), caso irrisolvibile per la psicologia (la chirurgia neuronale non scopre il centro cerebrale che definisce la caninità o la gatttinità), mistero per l’antropologia (usi e costumi contemporaneamente simili ed antitetici?), disperazione per la giurisprudenza (che diritti e doveri derivano dall’essere e non essere?), il sacro graal dell’ingegneria genetica (impossibile privatizzare quello sfuggente DNA). Insomma: l’anello mancante che farebbe crollare tutto il darwinismo da laboratorio, cattedra, simposio, moda scientifica del momento.

Ma, permettetemi di raccontarvi quello che accadde:

Come naturale, era l’alba. Una flebile luce definiva le ombre. Tranquillo, camminavo solo con i passi della memoria. Allora sentii chiaramente che qualcuno diceva:

“Un fanatico è qualcuno che, per vergogna, nasconde un dubbio”.

Dandogli ragione tra me e me, mi avvicinai e lo incontrai. Senza fare le presentazioni, gli domandai:

Ah, così lei è… un cane.

Miao − mi rispose.

… O piuttosto un gatto – dissi incerto.

Bau − replicò.

Va bene, un gatto-cane – dissi e mi dissi.

Proprio questo – disse… o credetti di sentire.

Come va la vita? − domandai (ed io trascrissi senza dubitare, pronto a non farmi sorprendere da niente, visto che era uno scarabeo che mi stava dettando questa singolare storia).

A volte bene – rispose con una specie di ronron. A volte da cani e gatti − grugnì.

È un problema di identità? – dissi accendendo la pipa e tirando fuori il mio smartphonetablet multitouch per scrivere (in realtà si tratta di un quaderno a spirale, ma Durito vuole passare per molto moderno – nota dello scrivano -).

Nah, uno non sceglie chi è ma chi può essere – abbaiò risentito il gatto-cane −. E la vita non è altro che questo complicato passaggio, riuscito o interrotto, da una cosa verso l’altra − aggiunse con un miagolio.

Dunque, gatto o cane? – domandai.

Gatto-cane – disse come indicando l’ovvio.

E cosa la porta da queste parti?

Una di queste, che poi sarà.

Ah.

Canterò, affinché alcuni gatti sappiano.

Emm… prima della sua serenata, che non dubito sarà un canto eccelso alla femmina che la turba, mi potrebbe spiegare quello che ha detto all’inizio della sua partecipazione in questo racconto?

La cosa del fanatismo?

Sì, era qualcosa come di qualcuno che nasconde i suoi dubbi di fede dietro il culto irrazionale.

Proprio così.

Ma, come evitare di entrare in una delle tenebrose stanze di quella torva casa di specchi che è il fanatismo? Come resistere ai richiami ed ai ricatti per militare nel fanatismo religioso o laico, il più antico, ma non l’unico attualmente?

Semplice − dice laconico il gatto-cane−, non entrando.

Costruire molte case, ognuno la sua. Abbandonare la paura dell’indifferenza.

Perché c’è qualcosa di uguale o peggiore di un fanatico religioso, un fanatico anti religioso, il fanatismo laico. E dico che può essere peggiore perché quest’ultimo ricorre alla ragione come alibi.

E, chiaramente, i suoi equivalenti: il fanatismo omofobico e maschilista, la fobia per l’eterosessualità ed il femminismo. E ci aggiunga il lungo elenco nella storia dell’umanità.

I fanatici della razza, del colore, del credo, del genere, della politica, dello sport, eccetera, alla fine dei conti sono fanatici di se stessi. E tutti condividono la stessa paura del diverso. E incasellano il mondo intero nella scatola chiusa delle opzioni escludenti: “se non sei tale, allora sei il contrario”.

Vuole dire, mio caro, che quelli che criticano i fanatici sportivi sono uguali? – interruppe Durito.

È lo stesso. Per esempio, la politica e lo sport, entrambi legati ai soldi: in entrambi i fanatici pensano che quello che conta è la professionalità; in ambedue i casi sono meri spettatori che applaudono o fischiando i concorrenti, festeggiano vittorie che non sono loro e si dispiacciono per sconfitte che non appartengono loro; in tutti e due i casi incolpano i giocatori, l’arbitro, il campo, l’opposto; in entrambi i casi sperano “nella prossima volta”; pensano che se cambiano il tecnico, la strategia o la tattica, si risolverà tutto; in ambedue i casi perseguono i fanatici opposti; in entrambi si ignora che il problema è nel sistema.

Sta parlando di calcio? domanda Durito mentre tira fuori un pallone autografato da se stesso.

Non solo di calcio. In tutto, il problema è chi comanda, il padrone, chi detta le regole.

Nei due ambiti si disprezza quello che non fa fare soldi: il calcio dilettante o di strada, la politica che non confluisca in congiunture elettorali. “Se non si guadagna denaro, allora per quale ragione farlo?”, si chiedono.

Ah, sta parlando di politica?

− Neanche per sogno. Sebbene, per esempio, ogni giorno che passa è sempre più evidente che quello che chiamano “lo Stato Nazionale Moderno” è solo un cumulo di macerie in svendita, e che le rispettive classi politiche continuano a rimontare il castello di carte crollato, senza accorgersi che le carte della base sono completamente rotte e rovinate, incapaci di mantenersi dritte, non diciamo poi di sostenere qualcosa.

Mmm… sarà difficile mettere tutto questo in un twit − dice Durito mentre conta per vedere se ci sta in 140 caratteri.

La classe politica moderna si contende chi sarà il pilota di un aereo che da tempo si è schiantato nella realtà neoliberale  − sentenzia il gatto-cane e Durito approva con un assenso.

Dunque, che fare? − chiede Durito mentre ripone con cura il suo gagliardetto dei Los Jaguares de Chiapas.

Eludere la trappola che sostiene che la libertà è poter scegliere tra due opzioni imposte.

Tutte le opzioni definitive sono una trappola. Non ci sono solo due strade, così come non ci sono due colori, due sessi, due credo. Cosicché né lì, né là. Meglio percorrere una nuova strada che vada dove uno vuole andare.

Conclusione? − domanda Durito.

Né cane, né gatto. Gatto-cane, per non servirla.

E che nessuno giudichi né condanni quello che non comprende, perché ciò che è diverso è la dimostrazione che non tutto è perduto, che c’è ancora molto da vedere e sentire, che ci sono ancora altri mondi da scoprire…

Il gatto-cane se ne andò, che, come indica il suo nome, ha gli svantaggi del cane e quelli del gatto… e nessuno dei loro vantaggi, se mai ce ne fossero.

Già albeggiava quando sentii un misto sublime di miagolii e latrati. Era il gatto-cane che cantava, stonato, alla luce dei nostri sogni più belli.

Ed in qualche alba, forse ancora lontana nel calendario ed in incerta geografia, lei, la luce che mi svela e rivela, capirà che ci furono tratti nascosti e fatti per lei, che forse solo allora le saranno rivelati o li riconoscerà adesso in queste lettere, ed in quel momento saprà che non importava che strade avessero percorso i miei passi: perché lei fu, è e sarà sempre, l’unico destino per cui vale la pena.

Tan-tan.

P.S.- Nel quale il Sup tenta di spiegare, in modo multimediale post moderno, come l@s zapatistas vedono e si vedono nella propria storia.

Bene, per prima cosa bisogna chiarire che per noi tutt@, la nostra storia non è solo quello che siamo stati, quello che ci è successo, quello che abbiamo fatto. È anche, e soprattutto, quello che vogliamo essere e fare.

Orbene, in questa valanga di mezzi audiovisivi che vanno dal cinema 4D e le televisioni LED 4K, fino agli schermi policromi e multitouch dei cellulari (che mostrano la realtà a colori che, permettetemi la digressione, non ha niente a che vedere con la realtà), possiamo collocare, in un’improbabile “linea del tempo”, il nostro modo di vedere la nostra storia con… il kinetoscopio.

Sì, lo so, sono partito da lontano, alle origini del cinema, ma con internet ed i vari wikis che abbondano e ridondano, non avrete certo problemi a sapere a che cosa mi riferisco.

A volte, può sembrare che siamo nei dintorni dei formati 8 e super 8, ed anche così il 16 millimetri è ancora lontano.

Voglio dire, il nostro modo di spiegare la nostra storia sembra un’immagine in movimento continuo e ripetitivo, con qualche variazione che dà quella sensazione di mobile immobilità. Sempre attaccati e perseguiti, sempre a resistere; sempre annichiliti, sempre a ricomparire. Forse per questo le denunce delle basi di appoggio zapatiste, diffuse attraverso le loro Giunte di Buon Governo, hanno così poche letture. È come se si fossero già lette molto prima e cambiassero solo i nomi e le geografie.

Ma anche qui ci mostriamo. Per esempio, in:

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/11/13/la-jbg-corazon-del-arco-iris-de-la-esperanza-caracol-iv-torbellino-de-nuestras-palabras-denuncia-hostigamiento-y-agresiones/

Sì, è un po’ come se in quelle immagini in movimento di Edison, del 1894, nel suo kinetoscopio (“Annie Oackley”), noi fossimo la moneta lanciata in aria, mentre la signorina civiltà ci spara ripetutamente (sì, il governo sarebbe l’impiegato servile che lancia la moneta). O come se in “L’arrivo del treno” dei Fratelli Lumière, del 1895, noi fossimo quelli che restano sul marciapiede mentre il treno del progresso va e viene. Alla fine di questo testo troverete alcuni video che vi aiuteranno a capire.

Ma è qui che il collettivo che siamo prende e compone ogni fotogramma, lo disegna e lo dipinge guardando la realtà che fummo e siamo, molte volte con i neri di persecuzioni e prigioni, con i grigi del disprezzo, e col rosso della sottrazione e dello sfruttamento. Ma anche col colore marrone e verde della terra che siamo.

Quando qualcuno di fuori si sofferma a guardare il nostro “film”, generalmente commenta: “che abile tiratrice!” Oppure “che impiegato temerario che getta la moneta in aria senza paura di essere ferito!”, ma nessuno fa commenti sulla moneta.

O, nel treno dei Lumière, dicono: “ma che stupidi, perché stanno sul marciapiede e non salgono sul treno?”. Oppure “è l’ennesima dimostrazione che gli indigeni stanno come stanno perché non vogliono il progresso”. Qualcun altro azzarda “Hai visto che abiti ridicoli usavano in quell’epoca?”. Ma se qualcuno ci chiedesse perché non saliamo su quel treno, noi diremmo “perché le prossime stazioni sono ‘decadenza’, ‘guerra’, ‘distruzione’, e la destinazione finale è ‘catastrofe’”. La domanda pertinente non è perché noi non saliamo, ma perché voi non scendete.

Chi viene a stare con noi per guardarci guardandoci, per ascoltarci, per imparare nella escuelita, scopre che, in ogni fotogramma, noi zapatisti abbiamo aggiunto un’immagine che non è percettibile ad una semplice occhiata. Come se il movimento visibile delle immagini occultasse il dettaglio che contiene ogni fotogramma. Ciò che non si vede nell’attività quotidiana è la storia che saremo. E non c’è smartphone che catturi quelle immagini. Solo con un cuore molto grande si possono apprezzare.

Certo non manca chi viene e ci dice che ormai ci sono tablet e cellulari con videocamere davanti e dietro, con colori più vividi di quelli della realtà, che ci sono macchine fotografiche e stampanti tridimensionali, il plasma, l’lcd ed il led, la democrazia rappresentativa, le elezioni, i partiti politici, la modernità, il progresso, la civiltà.

Di lasciar perdere il collettivismo (che, inoltre, fa rima con primitivismo): di abbandonare l’ossessione per la preservazione della natura, il discorso della madre terra, l’autogestione, l’autonomia, la ribellione, la libertà.

Ci dicono tutto questo scrivendo goffamente che è nella loro modernità dove si perpetrano i crimini più atroci; dove i neonati sono bruciati vivi ed i piromani sono deputati e senatori; dove l’ignoranza simula di reggere i destini di una nazione; dove si distruggono le fonti di lavoro; dove gli insegnanti sono perseguiti e calunniati; dove una grande menzogna è oscurata da una più grande; dove si premia ed elogia la disumanità ed ogni valore etico e morale è sintomo di “ritardo culturale”.

Per i grandi media pagati, loro sono i moderni, noi gli arcaici. Loro sono i civilizzati, noi i barbari. Loro sono quelli che lavorano, noi i fannulloni. Loro sono “le persone perbene”, noi i paria. Loro i saggi, noi gli ignoranti. Loro i puliti, noi gli sporchi. Loro sono i belli, noi i brutti. Loro sono i buoni, noi siamo i cattivi.

Ma tutt@ loro dimenticano la cosa fondamentale: questa è la nostra storia, il nostro modo di vederla e di vederci, il nostro modo di pensarci, di costruirci il nostro cammino. È nostra, con i nostri errori, le nostre cadute, i nostri colori, le nostre vite, le nostre morti. È la nostra libertà.

La nostra storia è così.

Perché quando noi zapatisti, zapatiste, disegniamo una chiave in basso e a sinistra in ogni fotogramma del nostro film, non pensiamo quale porta aprire, ma quale casa e quale porta bisogna costruire affinché quella chiave abbia un motivo ed un destino. E se la colonna sonora di questo film ha il ritmo di una polka-ballata-corrido-ranchera-cumbia-rock-ska-metal-reggae-trova-punk-hip-hop-rap-e-tutto-il-resto non è perché non abbiamo nozioni musicali. È perché quella casa avrà tutti i colori e tutti i suoni. Ed avrà allora sguardi e uditi nuovi che comprenderanno il nostro impegno… benché in quei mondi a venire saremo solo silenzio e ombra.

Ergo: noi abbiamo immaginazione, loro hanno solo schemi con opzioni definitive.

Per questo il loro mondo crolla. Per questo il nostro risorge, proprio come quella lucina che anche se piccola riesce a proteggere dall’ombra.

Bene. Salve e che compiamo gli anni molto felici, cioè, lottando.

Il Sup che si fa bello con i video che deve inserire per, come per dire, mettere la candela sulla torta che non dice, ma si sa trentaqualcosa.

Messico, Novembre 17 del 2013

Trentesimo anniversario dell’EZLN

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Video che racconta la storia del “Cane che dentro era un gatto”, di Siri Melchoir. Regno Unito, 2002. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=mOeqShdf-gY

Un gatto-cane in azione. Notare come torna alla sua identità segreta quando viene scoperto. http://www.youtube.com/watch?v=UvMs1v7RWDg&feature=player_embedded

Brevissimo riferimento all’inizio del cinema. Attenzione al mini corto: “Annie Oackley”, secondi dal 20 al 26. http://www.youtube.com/watch?v=3HgRU6DeiGQ&feature=player_embedded

“L’arrivo del Treno”, dei Fratelli Lumiere, 1895. http://www.youtube.com/watch?v=qawVtd32DOQ&feature=player_embedded

Para un compleanno così diverso come quello dell’ezetaelene, Las Otras Mañanitas, con Pedro Infante ed i Beatles. http://www.youtube.com/watch?v=60bLrafCA5c&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 14 novembre 2013

La JBG Corazón del arcoiris de la esperanza denuncia invasione di terre e aggressioni

Hermann Bellinghausen

La Giunta di Buon Governo (JBG) Corazón del arcoiris de la esperanza, del caracol zapatista di Morelia, Chiapas, ha denunciato l’invasione di alcune terre, aggressioni e minacce di morte nell’ejido 10 de Abril, municipio autonomo 17 de Noviembre, da parte di membri della CIOAC-histórica. Il 18 ottobre, circa 60 persone dell’ejido 20 de Noviembre, appartenenti alla CIOAC-histórica, hanno aperto un sentiero sul nostro terreno recuperato. Una commissione della JBG ha chiesto loro perché lo stavano facendo e gli invasori hanno reclamato la proprietà del terreno; la JBG ha chiesto perchè proprio ora la reclamassero se gli zapatisti coltivano queste terre dal 1994.

La JBG identifica come autori intellettuali i dirigenti Antonio Hernández e Luis Hernández, e precisa che le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale su quel terreno, 20 ettari sono coltivati a caffè, fagioli, mais e banane.

Un’altra parte è riserva ecologica. La commissione della JBG aveva citato gli invasori per il 21 ottobre, ma questi non si sono presentati. La JBG ha inviato quindi una nuova citazione per il giorno 25. Allora si sono presentate 60 persone guidate da Tranquelino González López, Arnulfo González Jiménez, Arnulfo Luna Vázquez e Gerónimo Álvarez Vázquez. I rappresentanti della JBG hanno chiesto: Avete qualche documento che garantisce che la terra è vostra? E questi hanno risposto di non aver portato con loro i documenti perché pioveva molto.

E’ stato chiesto loro anche se sapessero quanti ettari si supponessero di loro appartenenza. Hanno risposto di non saperlo ed hanno addotto il pretesto di reclamare queste terre perché già gli ejidatarios dell’ejido 20 de Noviembre hanno frazionato le terre secondo la riforma di legge dell’articolo 27 della Costituzione, fatta da Carlos Salinas, e siccome sono stati esclusi, si stanno mettendo dove lavoriamo noi. Per la JBG, in conseguenza della cattiva politica dei malgoverni, stanno pagando tutti quelli che lottano degnamente.

In quell’incontro non successe niente; loro si impegnavano a non lavorare nel terreno e noi avremmo provveduto ad una consultazione. I cioaquistas hanno violato questo piccolo accordo ed il 6 novembre sono arrivati minacciando di ammazzare uno di noi. Gli invasori avevano già tentato di farlo nel 2007, anche se il sentiero che hanno aperto adesso non coincide con il confine di allora. È evidente che è un furto, sostiene la giunta zapatista.

L’8 novembre hanno aggredito i cameraman della JBG e tagliato la recinzione del pascolo. Il giorno 9 sono venuti pronti allo scontro ed hanno tentato di portare via un compagno. Il lunedì 11 sono venuti con un camioncino per spiarci. Il martedì 12 sono arrivate circa 200 persone in tre gruppi, un gruppo delimitava il terreno, un altro lo recintava ed un altro lo ripuliva. Erano accompagnati da Umberto Torrefa’ MéndeTorres Méndez, del villaggio Gabino Barreda, e Caridad Alcázar López, provenienti da Altamirano; dicevano di essere venuti “su ordine di Manuel Velasco Coello ‘per cercare di dialogare’, ma ci siamo chiesti, dialogare su cosa?, noi non parliamo con i bugiardi”, aggiunge la JBG. Ci siamo accorti che sono protetti ed istruiti dal governo e dal presidente municipale di Altamirano, da dove viene il rappresentante di governo, anche se quelli della CIOAC-histórica  vengono da Comitán; questo vuol solo dire che è tutto pianificato. La JBG rileva che, nonostante ci fosse una commissione di Manuel Velasco, gli aggressori della CIOAC-histórica hanno danneggiato l’insegna dell’ejido.

Gli abitanti del villaggio 10 de Abril conoscono perfettamente la storia del terreno. Quando ci vivevano i nostri sfruttatori, si lavorava duramente senza salario”. Nel 1994 sul terreno pascolavano vacche svizzere e zebù. Negli anni successivi nessuno lo ha reclamato per l’ejido 20 de Noviembre. La JBG sottolinea che gli invasori non hanno problemi a muovere una gran quantità di persone perché in questo sporco gioco ci sono un sacco di soldi; danno cento pesos al giorno a chi si presta a far casino. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/14/politica/021n1pol

Comunicato completo

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 12 novembre 2013

Giunta di Buon Governo denuncia persecuzione contro gli autotrasportatori indipendenti di Ocosingo

Hermann Bellinghausen

La Giunta di Buon Governo (JBG) El camino del futuro, del caracol zapatista di La Garrucha, Chiapas, ha denunciato che dirigenti del sindacato centrale dei camionisti di Ocosingo e l’ex deputato César Yáñez, appoggiati dalle autorità governative, impediscono di lavorare agli autotrasportatori indipendenti, sequestrano i loro mezzi ed hanno fatto emettere mandati di cattura contro otto di loro.

Il 10 aprile scorso è stato sequestrato il camion del compagno Elías, di Ocosingo, che è base di appoggio dell’EZLN. Quelli che hanno sequestrato il camion sono del sindacato centrale dei camionisti, perché il compagno Elías applica tariffe buone e corrette per il trasporto di ghiaia e materiali, segnala la JBG. Lo accusano anche di non avere la concessione del malgoverno, ma questo compagno non ne ha bisogno, perché tutti abbiamo il diritto e la libertà di lavorare.

Le autorità della JBG affermano di aver cercato una soluzione. Abbiamo citato i 10 segretari del sindacato centrale, ma non si sono presentati. Noi volevamo solo cercare una buona soluzione tra le parti, ma non hanno voluto presentarsi e continuano a sequestrare i camion. Ora esigiamo il dissequestro del camion, e che paghino per il lavoro perso in questi sei mesi.

Il 10 settembre, quelli del sindacato centrale hanno sequestrato un camion nero, modello 1992, Mercedes Benz, di proprietà di Roberto Alejandro Ríos Aguilar, del sindacato dei camionisti indipendenti al servizio del popolo. “Sui veicoli c’è la decalcomania del Che e di Zapata”, precisa la JBG.

Il 1º novembre, persone del sindacato centrale hanno sequestrato altri tre camion, uno di proprietà di Jorge Armando Alcázar Aguilar, dello stesso gruppo indipendente, e gli altri di Enrique Heriberto Penagos Ruiz ed Emilio Alcázar. Chi organizza queste provocazioni è César Yáñez, ex deputato federale, insieme a quelli del sindacato centrale di Ocosingo, perché vuole impadronirsi di tutto per arricchirsi. Conosciamo bene inoltre cosa fanno per corrompere le autorità, le quali non fanno niente contro queste provocazioni perché sono loro complici. Yáñez è padrone del deposito di Ocosingo dove si trovano i veicoli.

Quelli del sindacato centrale sono riusciti a far emettere mandati di cattura contro otto autotrasportatori indipendenti di Ocosingo: Orlando Matías García, Carlos Jorge Sánchez Guíen, Hugo Alberto Sánchez Guién, Baltasar Eliseo Trejo Vallinas, Octavio García Trujillo, Leonel Esteban Aguilar e Rósember Nájera. La JBG esige la cancellazione di questi mandati di cattura e la restituzione dei camion sequestrati. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/12/politica/017n1pol

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La Jornada – Domenica 10 novembre 2013

Denuncia di persecuzione giudiziaria contro uno zapatista

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 novembre. La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, del caracol di La Garrucha, denuncia la persecuzione giudiziaria contro Alfonso Cruz Espinosa, base di appoggio zapatista, per l’abbattimento di “un piccolo albero” di sua proprietà, mentre i veri devastatori criminali godono di protezione ufficiale.

Il 23 settembre, la signora María Socorro Trujillo e le sue figlie (madre e sorelle di Cruz Espinosa) chi vivono nella città di Ocosingo e già precedentemente usate dal governo statale per perseguire giudiziariamente Alfonso, “hanno fabbricato delle accuse contro il nostro compagno” che vive a San Antonio Toniná.

L’albero in questione è servito per costruire il negozio di artigianato del municipio ribelle Francisco Gómez, vicino al sito archeologico di Toniná. “Le basi di appoggio zapatiste hanno abbattuto questo alberto su autorizzazione della JBG e dei quattro municipi autonomi”.

La JBG esige la cancellazione immediata del mandato di cattura contro il suo compagno “perché è innocente”, e chiede: “Perché non sono in prigione quei farabutti che saccheggiano, rubano e distruggono le risorse naturali negli ejidos di San Miguel, Nuevo Pataté, Tierra Negra, Pamalá ed in altre comunità in territorio zapatista?”. La JBG denuncia che “i tre livelli del malgoverno hanno dato il permesso di tagliare legna al signor Mauricio, di Comitán”, che ora abbatte “migliaia di pini ogni giorno in tronchi e tavole”.

Le autorità autonome sottolineano che “il governo federale ogni giorno trasmette per radio e televisione che bisogna preservare l’ambiente”, ma è “una bugia”, perché in realtà “stanno distruggendo i boschi ed alberi preziosi”. Chiedono che siano arrestati quelli che rubano gli alberi delle comunità. “Come popoli zapatisti difenderemo quello che è nostro”, avvertono. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/10/politica/013n1pol

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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 novembre 2013

L’indulto a Patishtán non significa giustizia, dicono nel suo villaggio dove lo aspettano

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Juan El Bosque, Chis., 8 novembre. “Non c’è nessun merito di plauso nella liberazione di Patishtán. Non significa giustizia. Non avrebbe mai dovuto stare in prigione. Se è sempre stato innocente, perché abbiamo dovuto aspettare più di 13 anni ed un intervento del presidente della Repubblica?”, sostiene il Movimiento del Pueblo de El Bosque por la Libertad de Alberto Patishtán. “Le autorità dovrebbero chiedere scusa in ginocchio alle persone punite ingiustamente ed ammettere ‘sì, abbiamo sbagliato, siamo colpevoli’. Credono di lavarsene le mani con l’indulto”.

“Qui non c’è posto per il parola ‘indulto’; ci pesa”, sostengono i portavoce del movimento nell’intervista a La Jornada. “Loro sapevano che quella punizione era immeritata, hanno garantito che ciò avvenisse, perché è così che funziona la giustizia”.

Ammettono anche, e lo sottolineano, che tutto il movimento nazionale e internazionale che per anni ha sostenuto la stessa battaglia degli abitanti di questo villaggio tzotzil a nord degli Altos, non sarebbe stato possibile senza il supporto dell’Altra Campagna, dopo la Sexta, e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e da lì tante organizzazioni che si sono sono aggiunte.

Ma, sottolineano, “è stata la comunità di El Bosque a tenere sempre alta la lotta. Senza la sua gente, Patishtán non avrebbe ottenuto la liberazione”.

Martín Ramírez López e Pascual Gómez López si alternano per sostenere la posizione degli indigeni e raccontare come è stata accolta qui la notizia il pomeriggio del 31 ottobre: “La gente applaudiva, alzava i pollici, per strada gridava ‘arriva Patishtán’! Hanno sparato i razzi. Ancora nella notte del 31 ottobre, quando il professore è stato liberato, c’erano gruppi di persone per strada che dopo tanti anni finalmente festeggiavano”.

Il professor Martín racconta: “La famiglia ed il comitato avevano tre impegni col villaggio: comunicare la notizia una volta confermata; spiegare che non ritornerà fino a che non sarà completata la sua cura, e ringraziare tutti nel villaggio, le organizzazioni, le diverse chiese e la gente in generale”. Qui, dice, “il 99% è per la sua innocenza; contrari sono solo quelli che l’hanno accusato”.

Pascual, con una maglietta con stampato il volto di Patishtán (“adesso l’appenderò in casa”), interviene: “Il giorno della sua liberazione nel villaggio non c’era elettricità né campo per i cellulari, ed io che ero il contatto con i compagni a Città del Messico non riuscivo a mettermi in comunicazione. Eravamo disperati. Fino che un signore ci prestò il suo telefono e così riuscimmo a parlare e poi avvisare la famiglia. L’annuncio è stato dato di continuo attraverso la nuova radio FM e la gente era molto contenta”.

Il primo rivela che c’è la proposta di “convocare una carovana che accompagni il suo ritorno da DF”. Non c’è una data, ma nel villaggio lo stanno aspettando. “Il morale è alto e sono tutti contenti. Per 13 anni hanno gridato a livello municipale, nazionale, internazionale. Hanno vinto questa battaglia, è il risultato di tutti i gruppi sociali”. Ed aggiunge: “Il governo credeva che prima o poi la smettessimo, ma non sarebbe mai successo né in 20 o 30 anni. Allora hanno aperto le porte ad un uomo innocente. Ma ce ne sono ancora molti altri”.

Pascual spiega che “il governo non ha concesso nulla, da parte nostra abbiamo sempre fornito ottimi argomenti, ed è vero, sono stati modificati alcuni articoli di legge, ma non ci importa perché il governo non ha voluto dichiarare l’innocenza di Patishtán”. Se ci fosse una vera giustizia “le riforme non sarebbero necessarie; ora molti detenuti impareranno che devono prendere coscienza”.

Ramírez López afferma: “La vera spina è avvenuta nel gennaio del 2006 quando il subcomandante Marcos sostiene i detenuti della prigione di El Amate e Patishtán ed i suoi compagni fanno sapere che dal 2005 fanno parte dell’Altra Campagna. E’ stato molto importante anche quando nel 2012, durante le azioni presso le ambasciate di diversi paesi, c’erano i cartelli con foto dello zapatista Francisco Santiz e del profe. Questo ha aiutato molto”.

Insiste che si deve indagare sui falsi testimoni, in particolare su Manuel Gómez Ruiz, il presidente municipale nel 2000, e suo figlio Rosemberg, il testimone che l’accusava. “Le autorità sanno che bisogna indagare sull’imboscata – che lasciò sette poliziotti morti e per la quale fu accusato e condannato Patishtán Gómez nel 2001 – e stabilire le responsabilità di chi ha usato la giustizia per vendetta contro un innocente”.

Ramírez López, compagno di studi e di lotta del professore da più di 18 anni, conclude: “Patishtán è libero, ma la lotta continua”. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/09/politica/014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 novembre 2013

Sequestrato un ragazzo di 18 anni a San Sebastián Bachajón, Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 6 novembre. Ejidatarios di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno denunciato il sequestro di un giovane nella comunità Xanil, appartenete allo stesso ejido, questo martedì. Il fatto è accaduto verso le ore 13:00, quando quattro individui hanno sequestrato Herminio Estrada Gómez, di 18 anni.

“Non sappiamo dove si trovi e nemmeno se sta bene; non intendono nemmeno consegnarlo al Pubblico Ministero competente – nel caso lo stiano accusando di qualche reato – ma stanno chiedendo denaro in cambio della sua libertà”, hanno denunciato gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, che recentemente sono stati minacciati e vessati dalle autorità ejidales filogovernative.

I querelanti indicano come i sequestratori Santiago Alvaro Moreno, supplente del commissario ejidale ed abitante della comunità Xanil 2ª Sezione, Juan Álvaro Moreno e Santiago Álvaro Gómez, oltre a Manuel Jiménez Moreno della comunità di Pamalha. Hanno inoltre sequestrato la sua auto tipo Pointer, denunciano.

Queste persone sono già note per le loro azioni violente, Álvaro Moreno e Jiménez Moreno erano nel gruppo armato che cacciò i nostri compagni dal botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul il 2 febbraio 2011: sono violenti e sono dei veri delinquenti che non hanno rispetto per nessuno. Questi criminali hanno anche inventato false accuse contro i nostri compagni Miguel Vázquez Deara, ora libero, ed Antonio Estrada Estrada, detenuto a Playas de Catazajá, ed hanno partecipato alla sua cattura insieme ai poliziotti.

Gli ejidatarios della Sexta informano che il giorno 5 è stata presentata una denuncia contro queste quattro persone al Pubblico Ministero per gli affari indigeni di Bachajón, perché è molto grave quello che stanno facendo: senza alcun diritto privano della libertà e della sua auto il nostro compagno, ma ancora non è ci sono state azioni perché il nostro compagno è tuttora sequestrato.

Al governo dello stato chiedono che sia garantita la vita e la libertà immediata del ragazzo Estrada Gómez. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/07/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 novembre 2013

Minaccia di sgombero violento della cava di sabbia dei tzeltal 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 novembre. Gli ejidatarios tzeltal di San Sebastián Bachajón aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona denunciano che il commissario ejidael, affiliato ai partiti e filogovernativo, Alejandro Moreno Gómez, ed il consigliere di vigilanza Samuel Díaz Guzmán, stanno organizzando lo sgombero violento, da un momento all’altro, della nostra cava di sabbia Nah Chawuk, recentemente realizzata come organizzazione ed ejidatarios a beneficio del popolo.

Sostengono che la realizzazione della cava, lo scorso 24 settembre, “è avvenuta in esercizio del nostro diritto come indigeni e ejidatarios di controllare e proteggere il nostro territorio, ed in risposta ai loschi affari che girano intorno alla cava principale che è tuttora nelle mani del malgoverno, come gli fu cosegnata a suo tempo dall’ex commissario Francisco Guzmán Jiménez (El Goyito), così come le terre espropriate il 2 febbraio 2011, sulle quali il malgoverno ha costruito un botteghini di ingresso alle cascate di Agua Azul gestiti dalla Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette”.

Gli indigeni dicono essere a conoscenza che le autorità ejidales filogovernative si stanno recando costantemente a Tuxtla Gutiérrez per chiedere al governo di cacciare con la forza pubblica la cava, dicendo che si tratta della cava principale che però è già in possesso del governo.

Fino a questo momento non sono riusciti a far venire la polizia a picchiare i nostri compagni e compagne che coraggiosamente e con dignità lavorano in forma collettiva a Nah Chawuk. Per questo i filogovernativi stanno cercando di radunare alcune persone dell’ejido per sgomberare la nostra cava di sabbia, come fecero il 2 febbraio del 2011, quando persone di Guzmán Jiménez, e con i finanziamenti di Leonardo Guirao Aguilar, attuale presidente municipale di Chilón, arrivarono armati a sgomberare i compagni che lavoravano al botteghino di ingresso costruito dalla nostra organizzazione a settembre del 2009.

Sostengono che non permetteranno di essere umiliati e discriminati per la loro lotta ed organizzazione. Vogliamo continuare ad essere un popolo, difendere la nostra cultura, identità, vogliamo continuare ad essere quello che siamo, come ha detto il nostro compagno scomparso Juan Vázquez Guzmán, continueremo a lottare costi quel che costi, non abbiamo paura; la nostra organizzazione non cerca lo scontro, sono il malgoverno e le autorità ejidales filogovernative che studiano come distruggere l’organizzazione per non avere ostacoli a vendere la terra e trarne profitti; sono loro i veri provocatori della violenza e vogliono che ci sia sempre divisione perché non vogliono che il popolo si unisca contro la loro corruzione ed il saccheggio del nostro territorio.

Gli ejidatarios della Sexta chiedono la liberazione immediata di due loro compagni di San Sebastián, Antonio Estrada Estrada e Miguel Demeza Jiménez, ingiustamente detenuti a Playas de Catazajá e El Amate, così come di Alejandro Díaz Sántiz, solidario de la Voz del Amate detenuto a San Cristóbal de las Casas. Salutano con gioia il loro compagno Alberto Patishtán Gómez che è riuscito ad abbattere i muri dalla prigione e si trova ora felicemente con la sua famiglia. Salutano anche la campagna internazionale di solidarietà con la loro difesa del territorio, convocata dalla Rete di Solidarietà Zapatista del Regno Unito e dal Movimiento por la Justicia del Barrio di New York. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/06/politica/014n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CATTIVE NOTIZIE, MA ANCHE NO

 Novembre 2013

Alle/Agli student@ che hanno frequentato o vogliono frequentare il primo livello della Escuelita Zapatista:

A chi di competenza:

Compagni, compagne e compagnei,

Come al solito, hanno incaricato me di darvi le brutte notizie. Eccole qua.

PRIMO.- I conti (controllate bene le somme, sottrazioni e divisioni perché la matematica non è il mio forte, voglio dire, proprio non lo è):

A).- Spese del primo livello di agosto 2013 per 1281 allievi:

– Materiale scolastico (4 libri di testo e 2 dvd) per 1281 allievi: $100,000.00 (centomila pesos m/n – 5.674,00 euro).

– Spese di trasporto e vitto per 1281 allievi dal CIDECI alle comunità in cui hanno frequentato il corso e ritorno: $339,778.27 (trecentotrentanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 19.278,44 euro) così suddivisi:

Spese di ogni Zona per portare gli allievi dal CIDECI e distribuirli in ogni villaggio in auto e ritorno al CIDECI, oltre al vitto per i bambini portati dagli allievi.

Realidad ————- $ 64,126.00 – 3.638,40 euro

Oventik—————- $ 46,794.00 – 2.655,00 euro

Garrucha————– $ 122,184.77 – 6.932,56 euro

Morelia—————- $ 36,227.50 – 2.055,49 euro 

Roberto Barrios—- $ 70,446.00 – 3.996,99 euro

Totale generale —– $ 339,778.27 – 19.278,44 euro 

Nota: Sì, anche a me sono balzati agli occhi i “77 centesimi”, ma questi sono i conti che mi hanno passato. Ovvero, non siamo per gli arrotondamenti.

– Spese di trasporto per 200 guardiani al CIDECI dove hanno impartito i corsi e ritorno: $40,000.00 (quarantamila pesos – 2.269,53 euro). Il loro vitto è stato offerto dalle/dai compagn@ del CIDECI-Unitierra. Grazie al Doc Raymundo e a tutte/tutti i compas del CIDECI, in particolare alle/agli addette/i alla cucina (occhio: mi dovete i tamales). 

Totale delle spese delle comunità zapatiste per il corso di primo livello di agosto 2013 per 1281 alunni: $479, 778.27 (quattrocentosettantanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 27.221,80 euro).

Spesa media per allievo: $374.53 (trecentosettantaquattro pesos e cinquantatre centesimi m/n – 21,25 euro).

B).- Entrate della Escuelita Zapatista:

Entrate per l’iscrizione (il contenitore installato al CIDECI): $ 409,955.00 (quattrocentonovemilanovecentocinquantacinque pesos m/n – 23.260,2 euro).

Valuta locale: $ 391, 721.00

Dollari: $ 1,160.00

Euro: $ 175,00 

Entrate medie per il pagamento dell’iscrizione di ogni allievo: $320.02 (trecentoventi pesos e due centesimi – 18,16 euro).

SECONDO.- Riassunto e conseguenze:

In media, ogni allievo è costato $54.51 (cinquantaquattro pesos e cinquantuno centesimi m/n – 3,10 euro), che sono stati coperti grazie alle donazioni solidali. Cioè, gli allievi si sono aiutati tra loro.

Cioè, come si dice, i conti non tornano compas. È stato grazie al fatto che qualche allievo ha versato più dei cento pesos obbligatori (alcuni non hanno versato nulla) ed alle donazioni di persone generose, che siamo riusciti appena ad andare alla pari.

Ringraziamo di cuore coloro che hanno dato di più e chi ha fatto queste donazioni straordinarie. E dovrebbero ringraziarli anche quelli che non hanno versato tutti i cento pesos o non hanno dato assolutamente niente.

Sappiamo che difficilmente si ripeterà che qualche partecipante paghi il corso per altri, quindi ci troviamo di fronte alle seguenti opzioni:

a).- Chiudiamo la escuelita.

b).- Riduciamo il numero a quello che possiamo coprire noi zapatisti. Il Subcomandante Insurgente Moisés mi dice che sarebbero circa 100 per caracol, 500 in totale.

c).- Aumentiamo il costo e lo rendiamo obbligatorio.

Crediamo che non si debba chiudere la escuelita perché ci ha permesso di conoscere e farci conoscere da persone che prima non conoscevamo né ci conoscevano.

Pensiamo anche che se riduciamo il numero dei partecipanti, molti si irriteranno o si arrabbieranno perché hanno già preparato tutto per partecipare e potrebbero restare fuori. Soprattutto ora che sanno che l’essenza del corso sta nelle comunità e nei guardiani. E poi, siccome toccherebbe a me dare la notizia, sarei inondato di insulti.

Quindi non resta che chiedervi di pagare per le vostre spese di trasposto e vitto. Sappiamo che questo, oltre ad infastidire qualcuno, può lasciarne fuori altri. Per questo vi avvisiamo per tempo affinché troviate il modo di provvedere al pagamento per voi o per i vostri compas che vogliono e possono partecipare ma non riescono a provvedere al pagamento. 

Il costo dunque sarà di $ 380.00 (trecentottanta pesos m/n – 21,56 euro) per studente e dovrà essere versato al momento della registrazione al CIDECI nei giorni che saranno indicati. Se inoltre vorrete portare un chilo di fagioli ed uno di riso, sarebbe gradito.

Per favore, vi supplichiamo, vi preghiamo, vi imploriamo di specificare chiaramente con chi venite, quanti siete e che età avete, perché poi arrivano email che dicono “vengo con i miei figli” e quando arrivano sono il doppio del casting di “The Walking Dead”. Tutti quelli che partecipano devono prima registrarsi, che siano bambini, adulti, anziani, morti viventi. 

E specificate le date della vostra partecipazione. Ci sono 2 date, una alla fine di dicembre ed un’altra agli inizi di gennaio. È importante sapere a quale vi iscrivete perché, come sapete, c’è una famiglia indigena che si prepara ad accogliervi ed assistervi, una od un custode che si prepara a guidarvi, un autista che prepara il suo veicolo per trasportarvi, un intero villaggio che vi riceve. E specificate anche se andrete in comunità o frequenterete il corso presso il CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Ah, e venite ad ascoltare ed imparare, perché c’è chi è venuto ad impartire lezioni di femminismo, vegetarianismo, marxismo ed altri “ismo”. Ed ora sono arrabbiati perché gli zapatisti non obbediscono a quello che sono venuti ad insegnare, tipo: che dobbiamo cambiare la legge rivoluzionaria delle donne come dicono loro e non come decidano le zapatiste; che non capiamo i vantaggi della marijuana; che non dobbiamo fare le case di cemento perché sono meglio con fango e paglia; di non usare le scarpe perché camminando scalzi siamo più a contatto con la madre terra. Infine, di obbedire a quello che ci vengono ad ordinare… cioè, di non essere zapatisti. 

CASI PARTICOLARI: Le/Gli Anarchici.

Vista la campagna Anti-Anarchica lanciata dalle anime belle e dalla sinistra di facciata, unite nella santa crociata con la destra ancestrale per accusare giovani e vecchi anarchici di sfidare il sistema (come se l’anarchismo avesse altra opzione), oltre a scomporre le loro scenografie (spegnere la luce è per non vedere gli anarchici?), e portata al delirio con definizioni come “anarco-halcones“, “anarco-provocatori”, “anarco-porros“, “anarco-eccetera” (da qualche parte ho letto la definizione di “anarco-anarchico”, non è sublime?), noi zapatiste e zapatisti non possiamo ignorare il clima di isteria che, con tanta fermezza, chiede ed esige che si rispettino le vetrine (che non mostrano bensì occultano quello che succede proprio dietro il banco: condizioni di lavoro da schiavi, niente igiene, pessima qualità, basso livello di alimentazione, riciclaggio di denaro sporco, evasione fiscale, fuga di capitali).

Perché adesso sembra che queste ruberie mal dissimulate chiamate “riforme strutturali”, che la sottrazione del lavoro ai maestri, che la vendita “outlet” del patrimonio della Nazione, che il furto che il governo perpetra nei confronti dei governati attraverso le imposte, che l’asfissia fiscale – che favorisce solo i grandi monopoli – che tutto è colpa degli anarchici.

Che la gente per bene non scende in strada a protestare (ma lì ci sono le marce, i presidi, i blocchi, le scritte, i volantini. Sì, ma sono dei maestri-autisti-ambulanti-studenti-cioè-ignoranti-di-provincia, io dico gente per bene-bene-del-df. – Ah, la mitica classe media, tanto corteggiata e contemporaneamente disprezzata e defraudata da tutto lo spettro mediatico e politico-), che anche la sinistra istituzionale sottrae gli spazi di manifestazione, che “l’unico oppositore al regime” è stato offuscato ancora una volta dai senza nome, che l’imposizione arbitraria ora si chiama “dialogo e negoziazione”, che l’assassinio di migranti, di donne, di giovani, di lavoratori, di bambini, che tutto è colpa degli anarchici.

Per chi milita e rivendica come appartenente alla “A”, bandiera senza nazioni né frontiere, e che è parte della SEXTA, ma che sia veramente militante e non solo per moda di abbigliamento o di calendario, abbiamo, oltre ad un abbraccio compagno, una richiesta speciale: 

Compas Anarchici: noi zapatisti, non vi attribuiremo le nostre deficienze (compresa la mancanza di immaginazione), né vi riterremo responsabili dei nostri errori, tanto meno vi perseguiteremo per essere chi siete. Inoltre, vi dico che diversi invitati di agosto hanno cancellato l’iscrizione perché dicevano di non poter condividere l’aula con “giovani anarchici, straccioni, punk, gente con gli orecchini e pieni di tatuaggi”, che avrebbero aspettato (quelli che non sono giovani, né anarchici, né straccioni, né punk, né con gli orecchini, né pieni di tatuaggi) una scusa e che si ripulisse il registro. Continuano ad aspettare inutilmente.

Quello che vi chiediamo è che al momento della registrazione, consegnate un breve testo, massimo un foglio, dove rispondete alle critiche ed alle accuse che sono state fatte contro di voi sui media prezzolati. Questo testo sarà pubblicato in una sezione speciale della nostra pagina elettronica (enlacezapatista.ezln.org.mx) ed in una rivista-fanzine-come-si-dice di prossima pubblicazione nel mondo mondialmente mondiale, diretta e scritta da indigeni zapatisti. Sarà un onore per noi avere nel nostro primo numero la vostra parola insieme alla nostra.

Eh?

Sì, sì è valido un foglio con una sola parola che riempia tutto lo spazio: qualcosa come “MENTITE!”. O qualcosa di più esteso come “Vi spiegherei cos’è l’Anarchismo se pensassi che lo capireste”, o “L’Anarchismo è incomprensibile per i nani del pensiero”; o “Le trasformazioni reali prima appaiono nella cronaca nera”; o “Me ne frego della polizia del pensiero”; o la seguente citazione dal libro “Golpes y Contragolpes” di Miguel Amorós: “Tutti dovrebbe sapere che il Black Bloc non è un’organizzazione ma una tattica di lotta di strada simile alla “kale borroka” [guerrigli urbana – n.d.t.] che una costellazione di gruppi libertari, “autonomi” o alternativi, praticava dalle lotte degli squats (“ocupazioni”) negli anni ’80 in molte città tedesche” ed aggiungere qualcosa come “pensateci bene prima di criticare qualcosa. L’ignoranza ben scritta è come un’idiozia ben pronunciata: uguale a inutile”.

Infine, sono sicuro che non vi mancheranno le idee.

TERZO.- Un notizia non tanto cattiva: vi ricordo le date e la modalità per chiedere l’invito e la vostra iscrizione:

Data del secondo turno della escuelita:

Registrazione il 23 e 24 dicembre 2013

Lezioni dal 25 dicembre fino al 29 dicembre di quest’anno. Partenza il giorno 30.

E per chi vuole fermarsi alla festa del 20° anniversario dell’insurrezione zapatista, per festeggiare e ricordare l’alba del 1° gennaio del 1994: festa il giorno 31 dicembre ed il 1° gennaio.

Data del terzo turno della escuelita:

Registrazione il 1° e 2 gennaio 2014

Lezioni dal 3 gennaio al 7 gennaio del 2014. Partenza per i propri luoghi di origine il giorno 8 gennaio 2014.

Per chiedere l’invito e la registrazione, scrivete al seguente indirizzo:

escuelitazapDicEne13_14@ezln.org.mx

QUARTO.- Un’altra non tanto cattiva notizia è che si suppone che io vada ad aprire questa tappa con un testo molto altro, per salutare le/i nostr@ mort@, il SubPedro, Tata Juan Chávez, la Chapis, i bimbi dell’asilo ABC, la classe insegnante in resistenza, e con un racconto di Durito ed il Gatto-Cane. Ma, siccome mi hanno detto che urgeva la questione dei conti e la ratifica delle date, sarà per un’altra volta. Si sa: l’urgenza non lascia tempo alle cose importanti. Così vi siete risparmiati di leggere di cose che non sono “trascendenti-per-la-congiuntura-presente”… per ora.

Bene. Salve e, ci crediate o no, il mondo è più grande del titolo mediatico più scandaloso. È questione di ampliare il passo, lo sguardo, l’udito… e l’abbraccio.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupMarcos

Portinaio della Escuelita e addetto alle cattive notizie.

Messico, novembre 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Kenny Arkana con questo rap dal titolo “V pour Verités” (“V per Verità”). In una parte dice: “benedetti siano quelli che si intromettono, quelli che costruiscono un’altra cosa ”. http://www.youtube.com/watch?v=9DLDPwXzb3Y&feature=player_embedded

Frammento del film “V per Vendetta” sulla relazione tra la paura e l’obbedienza, ed un altro modo di intendere le parole “giustizia” e “libertà”. http://www.youtube.com/watch?v=Go7vXPmZqw4&feature=player_embedded

Pedro Infante con la canzone “Yo soy quien soy”, di Manuel Esperón e Felipe Bermejo, nel film “La Tercera Palabra” con Marga López, Sara García e Prudencia Grifell, 1955, diretto da Julián Soler. Lo metto solo per rompere le palle a chi vuole che facciamo a modo suo o moda sua. http://www.youtube.com/watch?v=zDDXeVSLmqM&list=PL52E9C3142A936003&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 4 novembre 2013

Intervista ad Alberto Patishtán “Nel paese, almeno la metà dei detenuti è innocente”

Blanche Petrich

Guardando avanti, più col cuore che con gli occhi che gradualmente hanno perso la vista a causa di un tumore cerebrale, il maestro Alberto Patishtán, appena liberato dopo 13 anni di prigione ingiusta, valuta le grandi sfide da affrontare per risanare il sistema giudiziario ed evitare che, come sostiene, restino nelle prigioni del paese almeno la metà dei detenuti ammucchiati lì con accuse senza prove, innocenti a pagare reati di altri per la cecità delle autorità.

Nell’intervista con La Jornada, parlata dei detenuti conosciuti nelle prigioni dove ha trascorso la sua prima gioventù: Come posso dimenticarmi di loro se io stesso ho vissuto la prigione ingiusta?

Come il caso di Alejandro Díaz Santiz, tzotzil come lui, di Mitontic, da 15 anni in carcere deve scontarne altri 15 nel Cereso 5, di San Cristóbal. Fu arrestato e processato in un tribunale di Veracruz, accusato di avere ucciso il proprio figlio. Díaz sostiene la sua innocenza e denuncia un altro come l’omicida, ma la sua dichiarazione non fu presa in considerazione. Ebbe traduttore, ma in lingua nahua. E dicono che il suo processo è stato giusto. E’ una bugia!

Quasi un Gandhi per il suo discorso non violento e la sua spiritualità, a 42 anni Patishtán nell’intervista continua: “Sembra impossibile cambiare le cose, ma si deve fare. L’autorità parla di giustizia e democrazia e tutte queste cose, ma non è così. Se abbandonassero tutte le loro smanie ed ambizioni, se sgomberassero la mente e veramente prendessero coscienza… io gli dare i miei occhi affinché potessero vedere il fondo delle cose. Credo che sarebbe diverso”.

– Che cosa¿Qué propone?

– Vorrei aiutare tante persone. Ma credo che il compito principale spetti allo stesso detenuto che deve cominciare a gridare da dove si trova. Perché se non si fanno conoscere, se non fanno conoscere i loro nomi, non avviene il collegamento con la gente che vuole aiutare da fuori.

E poi, sempre perseverare. Che faccia caldo, freddo, che si abbia fame o no, accompagnato o senza compagnia, bisogna sempre avere perseveranza.

Che non si ripeta la stessa storia

Indigeno tzotzil, maestro in più materie, aderente di un movimento di resistenza, gli è piovuta addosso la fabbricazione di prove per l’omicidio di sette poliziotti nel 2000, in una comunità remota negli Altos del Chiapas. Condannato a 60 anni di prigione, Patishtán era il candidato ideale a restare dietro le sbarre fino al fine dei suoi giorni. Invece è diventato il volto di un ampio movimento di solidarietà iniziato con il piccolo collettivo, Ik, che è cresciuto fino ad incorporare le organizzazioni dei diritti umani del Messico e del mondo con qualche competenza sulla questione indigena.

– Diceva che se lei è un simbolo, lo è semmai per quello che ancora c’è da fare. Che cosa manca?

– La gente adesso potrebbe dire, bene abbiamo finito, Patishtán è uscito. No, manca ancora molto da fare affinché non si ripeta la stessa storia. Questo non possiamo permetterlo più. Ci sono molti compagni carcerati che meritano di uscire e che non escono. L’autorità è inflessibile, senza coscienza.

“Quando uno entra in prigione, gli dicono: qui non ci sono diritti. Ma se uno, anche se carcerato, mantiene la propria libertà interiore, può fare molte cose. Il Potere Giudiziario esiste per applicare la legge, ma non la giustizia; loro cercano qualcuno che paghi per un reato, non il colpevole.

“Quando mi arrestarono, chiesi loro di usare gli strumenti tecnologici, di sottoporre me e chi mi accusava alla macchina della verità. Io non sapevo se questi strumenti esistevano, ma li chiedevo. Ma neppure mi ascoltavano….”

E’ stato un prigioniero indomabile. Fin dal primo momento, a Cerro Hueco, Tuxtla Gutiérrez, organizzò i detenuti nella Voz de la dignidad rebelde. Per disarticolare il suo lavoro lo trasferirono nella prigione di El Amate, a Cintalapa, dove fondò La Voz del Amate. Per questo fu trasferito in un carcere federale di massima sicurezza a Guasave, Sinaloa.

Patishtán chiama quella prigione il cimitero dei vivi, l’unica prigione che conosco senza alcuna assistenza medica. Rinchiuso tutta la settimana, con un’ora d’aria, né un orologio, proibito parlare, tutto morto. Ho perfino imparato il linguaggio dei segni dei sordomuti.

– Lì non ha potuto organizzare i detenuti…

– Sì, ci sono riuscito, per poco, solo nella mia cella, con i miei compagni. Raccontavo loro delle storie con una morale, perché molti volevano ormai morire. E cantavo per loro.

Non c’è dubbio, è un uomo che guarda le avversità in maniera differente.

“Eì quello quello che mi hanno insegnato i miei nonni, Mariano e Andrea da parte materna e Lorenzo e María, già scomparsi, dal lato paterno. Mi hanno insegnato che bisogna saper ascoltare più che parlare. Per questo abbiamo due orecchie ed una sola bocca. Per ascoltare molto e parlare poco.

“Mi dicevano di dire le cose come stanno, per non perdere credibilità, perché altrimenti nessuna si fiderà di te. E mi hanno insegnato a fare attenzione alla natura. Quando bisogna tagliare l’albero per la capanna? Se si taglia con la luna crescente, non va bene, solo con la luna piena non ci sarà il pericolo delle tarme. E quando le formiche camminano in fila trasportando il loro cibo, quella stessa settimana pioverà. Quando l’uccello tzuntzerek cambia il suo cinguettio, come una seconda voce, sta avvisando che qualcosa succederà. E se succede, chi lo sa se è per coincidenza o volere di dio….”

– Quanto sono serviti questi insegnamenti in prigione?

– Potevo vedere al fondo delle cose, trascendere quello che si vede in superficie.

Lo zapatismo ed il maestro

Aveva 23 anni quando c’è stata l’insurrezione zapatista. Già era un attivista, simpatizzava con i compagni comprendendo che se la gente si era ribellata era per l’oppressione, per la politica faziosa. Partecipò alla creazione del Movimiento del Pueblo di El Bosque e del municipio autonomo San Juan de la Libertad, smantellato violentemente durante il governo di Roberto Albores Guillén, nel 1998, con una massacro.

“Il mio villaggio, El Bosque – dice –, non è grande. Ma nemmeno tanto piccolo, ma con diffusa emarginazione. I presidenti municipali governavano come se stessero facendo del bene, ma non era così. Loro se ne approfittano sempre, rubano dalle risorse della gente.”

Nel 2000, quando avvenne l’imboscata nella quale morirono sette poliziotti, il presidente municipale Manuel Gómez accusò falsamente Patishtán ed altri compagni.

– Che cosa accadde allora a El Bosque?

– Fecero germogliare i semi che regalai ad ognuno…

– Cosa significa essere portatore di semi?

– Il seme me lo dà un uomo molto conosciuto… il mio Dio. Mi dà questi semi ed io non me li tengo ma li devo condividere. E lì ecco il frutto, il Movimiento del Pueblo de El Bosque che si mantiene fermo, che dice sempre la verità. Non esige né chiede più di ciò di cui ha bisogno la gente, ma ciò che merita. Purtroppo le autorità non la vedono così, non siamo ben visti. Ma anche la mia prigionia ha fatto sì che le persone solidarizzassero di più; che l’organizzazione, invece di scemare, crescesse per la rabbia, il coraggio. La gente sapeva che ero innocente, e lo sa.

– È difficile contare quante marce si sono organizzate a El Bosque per la sua liberazione, vero?

– Il giorno che mi arrestarono fecero un presidio di un mese, occuparono il municipio. Ma il governo di Albores Guillén firmò con loro un accordo affinché lasciassero il municipio in cambio della mia liberazione, ma non rispettarono la parola e non mi liberarono. Per questo hanno continuato ad andare a San Cristóbal, a Tuxtla, fino a Città del Messico, con una piccola commissione per le risorse limitate. Così per 13 anni, fino a pochi giorni fa.

http://www.jornada.unam.mx/2013/11/04/politica/007e1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PATISHTAN E’ LIBERO

Frayba: Indulto, giustizia insufficiente per Patishtán

Giubilo! È la parola, il sentimento, di chi ha atteso questo giorno.I l Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) si unisce alla gioia per la libertà ritrovata del professor Alberto Patishtan Gómez (d’ora in poi professor Patishtán) sottoposto dal governo per più di 13 anni di reclusione ingiusta come prassi nel sistema giuridico messicano nei confronti dei prigionieri politici.

In Messico si violano sistematicamente il diritto alla presunzione di innocenza, al giusto processo, all’uguaglianza di fronte alla legge ed alla non discriminazione nei confronti delle persone indigene detenute.

Riteniamo che l’azione dello Stato messicano dovrebbe comprendere come minimo questi tre passi: …. comunicato completo del Frayba

La Jornada – Venerdì 1° novembre 2013

Patishtán è libero

Il Presidente decreta l’indulto: è stato violato il giusto processo. Rilevate el suo caso gravi violazioni dei diritti umani
Fabiola Martínez

(…articolo completo..)

Lontano da loro padre, in Gabriela ed Héctor è nato il seme dell’impegno sociale

L’emendamento al Codice Penale potrebbe essere la chiave per liberare migliaia di presunti colpevoli detenuti

Blanche Petrich

(…articolo completo.)

Difendevo il mio popolo, per questo mi hanno messo in prigione, sostiene l’indigeno tzotzil

Non serbo rancore, afferma il professore

Fernando Camacho Servín

(… articolo completo..)

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Peña Nieto concederà oggi l’indulto ad Alberto Patishtán

México, DF. Il presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato la decisione di concedere l’indulto ad Alberto Patishtán Gómez dopo l’entrata in vigore della riforma del Codice Penale Federale … (…articolo completo)

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La Jornada – Mercoledì 30 ottobre 2013

Aggressioni contro basi zapatiste nel villaggio Che Guevara

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, dal caracol zapatista di La Realidad, zona selva di frontiera del Chiapas, denuncia aggressioni e minacce contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nel villaggio autonomo Che Guevara. La JBG accusa i gruppi filogovernativi di Motozintla, appoggiati da funzionari statali e municipali, e segnala:

“Diciamo chiaramente che difenderemo questo terreno recuperato dall’EZLN costi quel che costi, perché è nostro diritto e nostra ragione, perché difendiamo solo ciò che è nostro e non stiamo fregando nessuno, come invece stanno facendo loro con i nostri compagni.”

Questi “atti di ingiustizia, provocazioni e furti che nuovamente stanno subendo i nostri compagni e compagne basi di appoggio sul terreno recuperato Che Guevara” stanno accadendo nel municipio autonomo Tierra y Libertad, nella comunità Belisario Domínguez del municipio ufficiale di Motozintla, vicino alla frontiera con il Guatemala.

La JBG riferisce che mesi fa, le famiglie zapatiste erano state minacciate di sgombero “dallo stesso gruppo di persone, manipolate da Guillermo Pompilio Gálvez Pinto, Carmela Oseguera Ramos e Silvano Bartolomé Pérez”, che un anno fa, il 17 ottobre 2012, “aggredirono gravemente con arma da fuoco uno dei nostri compagni.”

Ora, “queste stesse persone ed i loro capi” sono accompagnati nelle aggressioni e tentativi di sgombero “da persone dei malgoverni precisamente un consigliere comunale, un sindaco, cinque poliziotti, due agenti della stradale ed agenti rurali, che rispondono agli ordini del loro padrone, il presidente municipale di Motozintla de Mendoza, Oscar René González Galindo, che a sua volta riceve ordini dal cosiddetto governatore del Chiapas, Manuel Velasco Coello, che a sua volta risponde al latrato del suo padrone più in alto Enrique Peña Nieto, Presidente della Repubblica.”

Il 6 ottobre scorso, i funzionari e gli agenti “sono venuti qui per riconoscere ufficialmente la località ‘Ranchería 8 de Julio’, che è il nome che hanno dato alla parte di loro competenza”, ma hanno incluso il terreno recuperato del villaggio Che Guevara.

Il giorno 23, questo stesso gruppo “ha mandato un documento ad un nostro compagno per intimargli di rimuovere la conduttura” che gli fornisce l’acqua, sostenendo “che passa sul bordo del terreno di loro proprietà”, e gli davano un termine di cinque giorni.

“Bisogna segnalare che la conduttura che fornisce l’acqua” a Silvano Bartolomé Pérez “attraversa la parte di terreno che appartiene ai nostri compagni”, oltre ad una presa d’acqua “che hanno venduto”. La JBG precisa: “Non gli diciamo che tolgano la loro conduttura, perché non vogliamo provocarli, ma neanche vogliamo che ci provochino.”

Sabato 26, “queste persone hanno dato continuità all’invasione” costruendo un’abitazione nella parte in possesso delle basi zapatiste; ciò, ben sapendo che “quelle terre non gli appartengono e sono abitate dai nostri compagni.”

La JBG denuncia che queste “azioni di invasione e provocazione”, sono organizzate, manipolate e sostenute dai tre livelli dei malgoverni; noi zapatisti sappiamo capire e rispettare, a patto che ci rispettino; di fronte a questi fatti, esigiamo che i tre livelli di malgoverno controllino la propria gente affinché non peggiorino le cose e ci costringano a a prendere altri provvedimenti”.

Se i “malgoverni non prenderanno una posizione al riguardo e non controlleranno la loro gente”, saranno loro “i diretti responsabili di quello che potrà accadere”.

Comunicato della JBG

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La Jornada – Lunedì 7 ottobre 2013

Ejidatarios di Mitzitón creano la polizia comunitaria ecologica

Elio Henríquez. Corrispondente. Mitzitón, Chis., 6 ottobre. Gli abitanti di questo ejido appartenente al municipio di San Cristóbal de Las Casas, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno deciso di creare la Polizia Comunitaria Ecologica per difendere i loro boschi e territorio.

L’accordo firmato questo pomeriggio stabilisce che il provvedimento è stato adottato poiché il governo non ha fatto nulla per evitare il disboscamento illegale perpetrato dal 2009 dal gruppo guidato da Carmen Díaz López, Gregorio Gómez Jiménez e Francisco Gómez Díaz, nonostante le numerose denunce presentate al Pubblico Ministero.

In assemblea è stato concordato che gruppi di 20 persone armate di machete vigileranno sull’area della riserva ecologica del villaggio di Mitzitón, nella quale saranno installati dei tabelloni per avvertire che chi abbatterà gli alberi sarà sanzionato dalla comunità. Le guardie saranno sostituite ogni 24 ore.

Si è deciso inoltre di non riconoscere il diritto agrario di 23 famiglie che tagliano alberi in maniera illegale per farne commercio, famiglie capeggiate da Díaz López, Gómez Jiménez e Gómez Díaz, ai quali l’amministrazione precedente due anni fa concesse risorse economiche per il loro ricollocamento nel vicino municipio di Teopisca, e sono stati dati loro tre giorni per abbandonare l’ejido.

Alcuni abitanti hanno affermato che questo gruppo di famiglie hanno accettato il ricollocamento e che le loro abitazioni sono già state costruire col denaro ricevuto dal passato governo statale, e per questo devono lasciare l’ejido.

Nella riunione tenuta dai cattolici tradizionalisti, alla quale ha assistito come osservatore il segretario esecutivo della Commissione Statale dei Diritti Umani, Diego Cadenas Gordillo, è stato approvato il ritorno di 40 famiglie evangeliche che 14 anni fa si erano separate dal gruppo a causa di alcune divergenze.

I rappresentanti di queste famiglie hanno chiesto perdono all’assemblea, perdono che gli è stato concesso dopo che hanno accettato di versare mille pesos ognuna come contributo  per il periodo in cui sono state assenti.

Si sono impegnate a lavorare e collaborare con quanto concordato in assemblea, a rispettare e preservare gli alberi e l’ambiente della comunità dove, su autorizzazione dell’assemblea, potranno utilizzare la legna necessaria ad uso domestico oltre al legname per le loro case ed attrezzi, come gli altri abitanti.

I protestanti della Chiesa Alas de Aguila guidata dal pastore Esdras Alonso González, capo del cosiddetto Ejército de Dios, hanno dichiarato di essere pentiti di aver abbandonato l’assemblea e non avere rispettato i loro obblighi a causa di influenze esterne e di gruppi che hanno creato divisioni nell’ejido.

Le autorità ejidali hanno spiegato che Mitzitón si sviluppa su 1.813 ettari, di cui 1.600 sono destinati alla riserva ecologica, dove vivono circa 300 famiglie. http://www.jornada.unam.mx/2013/10/07/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Manifestazione del 2 ottobre a Città del Messico – Cronaca e foto

Clicca qui per vedere la galleria fotografica della manifestazione del 2 ottobre a Città del Messico.

A quasi due mesi dall’inizio della protesta degli insegnanti e dell’allestimento della loro tendopoli permanente nel centro della capitale messicana, le differenti lotte sociali contro le riforme strutturali del presidente Peña Nieto (riforma educativa, fiscale, energetica in particolare) si stanno sovrapponendo e, in alcuni casi, stanno convergendo. L’occasione del 2 ottobre e della tradizionale manifestazione contro l’autoritarismo e per la memoria delle vittime delle stragi di stato era importante anche in questo senso. L’enorme corteo del 2 ottobre ha espresso la totale solidarietà alla lotta dei professori messicani contro la riforma educativa (vedi storia del movimento link) e questi hanno partecipato alla marcia. La manifestazione è stata pacifica e colorata, una lunga sfilata di organizzazioni e studenti di università pubbliche e private, gruppi di indigeni e sindacati, movimenti e cittadini. Ma in alcuni momenti è stata anche un’altra giornata campale, un pomeriggio di scontri tra polizia federale e locale, da una parte, e manifestanti dall’altra.

La galleria fotografica a questo link racconta in breve i diversi momenti di questo pomeriggio in marcia, tra cortei e camminate nel centro di Città del Messico per commemorare le oltre 300 vittime della mattanza governativa del 2 ottobre 1968 in cui l’esercito sparò sulla folla di studenti e lavoratori riuniti nella Plaza de las Tres Culturas o Tlatelolco. Proprio da qui, ogni anno, parte una mega-manifestazione organizzata dal Comitato 68 che vede sempre la partecipazione di organizzazioni sociali, studenti, sindacati e cittadini. 45 anni dopo la strage, la repressione resta e così anche il partito di governo, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), che giusto l’anno scorso è tornato al potere dopo 12 anni di digiuno.

Nel novecento il PRI ha governato per 71 anni senza interruzioni diventando la forza egemonica e autoritaria che ha diretto il destino del paese. In genere la manifestazione del 2 ottobre si svolge pacificamente, senza eccessi di presenza delle autorità che si limitano a operazioni di controllo dalla distanza e di chiusura di alcuni punti chiave. Invece quest’anno, come conseguenza della strategia di accerchiamento e blindaggio adottata dal nuovo governo a partire dalle proteste del primo dicembre 2012, la tensione era più alta, il centro storico era occupato militarmente (oltre 5000 poliziotti) e non c’erano praticamente vie d’uscita dal corteo per i manifestanti. La marcia è cominciata alle tre e mezza da Tlatelolco, nel centro nord della città, e verso le 4 e 30 è arrivata al cuore della capitale, presso il palazzo di Bellas Artes. Già da lì il gas dei lacrimogeni, lanciati a poche centinaia di metri di distanza contro i manifestanti, s’addensava e provocava i suoi effetti.

Per i camminanti era impossibile proseguire, ma anche uscire dal corteo. Unica alternativa era l’attesa in mezzo a cordoni di poliziotti in tenuta antisommossa e barriere metalliche enormi, sotto il sale, invasi dai gas e dai rumori dei petardi. Infatti, all’incrocio tra Avenida Hidalgo e Reforma, all’inizio dell’ultima parte di strada per arrivare all’Angel de la Independencia, dove si sarebbe conclusa la giornata con un comizio, le scaramucce tra manifestanti e polizia s’erano fatte pesanti, centinaia digranaderos erano accorsi per il primo grosso scontro tra quelli che i media hanno descritto come “anarchici” o “incappucciati” e i poliziotti.

In realtà gli anarchici, vestiti di nero e riconoscibilissimi, si trovavano in fondo al corteo, ben più indietro. O ce n’erano altri, o si trattava di gruppi differenti non definiti ideologicamente. I media messicani stanno utilizzando il termine “anarquista” secondo un canovaccio che già conosciamo in Europa col tormentone Black Bloc o semplicemente come sinonimo di terrorista, indipendentemente da verifiche serie sull’appartenenza delle persone coinvolte in scontri con la polizia. La realtà è ancora difficile da capire e i giornalisti più acuti si chiedono come mai questi gruppi siano comparsi proprio dopo il primo dicembre 2012 ed operino secondo le modalità tipiche degli infiltrati, i cosiddetti “halcones” che lo stesso PRI “inventò” nel 1971, con le stragi dell’11 giugno. Nessuno ha un’ipotesi convincente al 100%, anche perché probabilmente la spiegazione delle violenze si ritrova in molti fattori diversi, non ultimo quello della strategia repressiva adottata dal governo che decide di bloccare e asfissiare, anziché accompagnare o semplicemente permettere la libera circolazione e garantire il diritto a manifestare.

A poche centinaia di metri del primo scontro, verso le 18, una seconda battaglia s’è svolta nei pressi del Monumento a la Revolucion e del Monumento Caballito. Centinaia di granaderos e poliziotti federali, chiusi in una testuggine e protetti da caschi e scudi, hanno Alla fine della giornata gli arresti sono stati oltre un centinaio e i feriti più di 50 tra manifestanti e poliziotti (link).

Molti giornalisti (oltre venti) e difensori dei diritti umani sono stati fermati e malmenati secondo l’organizzazione per la difesa della libertà di stampa Articolo 19. In quel momento il grosso della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación, cioè l’organizzazione dei docenti dissidenti che da quasi due mesi protestano a Città del Messico contro la riforma educativa) si stava unendo alla marcia per arrivare alla zona dei comizi. Un numero indefinito di persone, incappucciati e altri gruppi, stimati in circa 300 unità (ma anche qui le stime sono difficili e mi baso sui media locali e sulla testimonianza diretta), hanno cominciato a lanciare bottiglie e petardi in direzione del blocco dei granaderos che per 10 minuti hanno resistito e si sono protetti con gli scudi, ma poi hanno lanciato un’offensiva che s’è conclusa con una buona dose di arresti arbitrari, con l’uso di manganelli e armi improprie come estintori e pallottole di gomma. Alcuni arresti sono stati realizzati praticamente a casaccio o contro persone che filmavano gli eventi da poliziotti in borghese. “Il 2 ottobre del 68 non è poi così lontano”, hanno ribadito i membri del Comitato 68 che, in quell’epoca, sono stati prigionieri politici e vittime innocenti della repressione.

Fabrizio Lorusso @FabrizioLorusso

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Sulla Escuelita.

Sulla Escuelita Zapatista

L’Italia

La mail dell’8 maggio non si differenziava molto dalle altre. Proponeva, quasi sfidava, i destinatari a rigenerarsi, a ricompattarsi attraverso l’azione. Ma il gruppo di persone che fino a poche stagioni prima giocava affiatato la partita della militanza anticapitalista in una delle molte periferie europee si stava, pur restando l’amicizia, disgregando. E le proposte, le provocazioni, le idee che comunque continuavano a circolare, spesso, sempre più spesso, sfiorivano senza generare frutti.

Così non accadde, almeno in parte, almeno per il sottoscritto, quella volta: l’invito alla prima Escuelita Zapatista per la settimana di ferragosto 2013 fu accettato e nel giro di 3 mesi mi trovai col culo sollevato da un vecchio charter a chilometri di altezza  con in mano il passaporto fresco di Questura.

Meno fresco ed anzi clamorosamente arrugginito, si rivelò invece il mio spirito d’avventura e il mio piglio da compagno internazionalista. I dubbi mi attanagliavano: i figli piccoli, l’amata, i tempi risicati, il castigliano da scuola elementare (italiana), la sospensione della routine, anche politica, che ormai caratterizzava il mio quotidiano. Come se non bastasse i comunicati dal sudest messicano, firmati da quel vecchio poeta che tanto amavo in gioventù, mi suonavano beffardi, preoccupanti, spiazzanti: “Solo scarpe da tennis e mp3, null’altro è necessario se avrete il cuore aperto e le orecchie disponibili all’ascolto”. Si trattava di una presa per il culo? Ora so che lo era solo in parte… la prima.

L’invito a partecipare alla “Escuelita Zapatista – “La libertad según l@s zapatistas” era giunto a noi, piccoli e marginali compagn@ della Franciacorta, grazie al lavoro decennale di appoggio alle comunità indigene del Chiapas. La vendita del caffè, un blog di informazione e traduzione, i banchetti e la partecipazione ad eventi fruttarono questo importante riconoscimento. Nessuno però sapeva, nemmeno chi di noi seguiva senza interruzioni l’evolversi dell’esperienza nata dal levantamiento dell’EZLN nel 1994, cosa ci aspettasse. L’ipotesi più semplice e tranquillizzante era quella di un rilancio della collaborazione internazionalista attraverso occasioni simili alle giornate di incontro tra i Popoli Zapatisti ed i Popoli del Mondo. Leggendo i numerosi comunicati della Comandancia però si capiva che c’era qualcos’altro, che non c’era nulla da rilanciare ma molto da mostrare, condividere, donare.

Il Messico

Non provavo e non provo alcuna attrazione per il Messico da cartolina turistica e le bianche spiagge di Cancun non hanno in nessun modo messo in crisi questo mio sentire. Dei 18 giorni di permanenza in questo Paese almeno la metà sono stati impegnati nel raggiungere e per andarsene dalla Escuelita. Di queste tappe di attraversamento rimane la sensazione amara che danno i luogi senza una chiara identità, incompiuti e indecisi.

Mai sentito così circondato da tante e tanti tipi di forze armate, fortemente armate, pur in un contesto formalmente pacifico.

Mai provato una presenza così asfissiante di attività commerciali e una tanto diffusa offerta “libera” di prodotti di ogni tipo e in ogni dove.

Mai visto divisioni di classe così evidenti esemplificabili nelle opposte luminosità delle architetture: dagli abbaglianti Grand Hotel alle lucenti lamiere delle barcollanti baraccopoli.

Mai capito così chiaramente di trovarmi in una Nazione che aveva venduto tutto il vendibile a Su Majestad il Capitale.

Ma poi:

Le poche volte che abbiamo ascoltato il molesto gracchiare di un notiziario siamo stati informati di come la Polizia Comunitaria nello stato del Guerrero stesse creando non pochi problemi a chi sta in alto (narcotrafficanti, potenti o speculatori non fa differenza).

Le moltissime volte in cui ci siamo fermati e serviti in una delle tante attività di commercio improvvisate abbiamo sentito sulla pelle la vicinanza a quegli uomini e a quelle donne che compravano una povera sussistenza vendendoci i loro prodotti.

Lo stare forzato in alcuni luoghi del turismo di massa ci ha mostrato l’iper-sfruttamento delle persone che ci lavorano e nel contempo l’evidente crisi del turismo industriale.

Durante la nostra esperienza abbiamo capito che, anche per l’indisponibilità di beni pubblici garantiti, gli Stati Uniti Messicani sono uno dei paesi con più lotte attive e maggiori prospettive di autorganizzazione dal basso e oltre lo Stato.

Tra le caratteristiche del Messico moderno spiccano su tutto le disparità di classe, la corruzione, l’uso massiccio delle armi, la bellicosa presenza del narcotraffico e del traffico di persone, la sanguinaria repressione verso i movimenti sociali e la completa sudditanza al modello capitalista neoliberale. Sopra a  tutto questo sta il Grande Vicino USA, con la sua colonizzazione mediatico cuturale a stento arginata dall’originalità e dalla storia dei popoli originari. In un tale contesto la quantità e la qualità delle forme di lotta, di resistenza, di autonomia è imparagonabile alla nostra situazione italiana: dai movimenti studenteschi del Distrito Federal, alla “comune di Oaxaca”, dall’autonomia in costruzione da parte di molti popoli indigeni alle molteplici lotte vittoriose contro i megaprogetti speculativi e distruttori dei territori. Questo profondo sommovimento proveniente dal basso fa del Messico un paese straordinariamente interessante.

San Cristobal

La crisi arrivò, quasi inaspettata dopo una gradevole cena alla Casa del taco di San Cristobal. I compagni italiani che ci avevano accolto con un inaspettato calore e un’eccezionale disponibilità se ne uscirono con due frasi che mi catapultarono nel caos delle paure: “Non è affatto detto che starete insieme e, no, non è proprio buono che tu non parli spagnolo”. Tutto il resto l’avevo digerito senza timori: le probabili fatiche fisiche, le condizioni di vita in una comunità contadina indigena, i lunghi e tortuosi spostamenti che ci attendevano. Quello che mi agitò all’inverosimile fu l’ipotesi di stare 6 giorni da solo, senza i miei compagni di viaggio a farmi da spalla, senza la possibilità di farmi capire appieno da chi stava al mio fianco. Quella notte, l’ultima su un letto, dormii profondamente solo grazie alle parole di conforto di Paolo e Jacopo e dopo essermi ripetuto più volte che, se le cose non si fossero disposte per il verso giusto, non sarei partito, sarei rimasto a fare il turista solitario a San Cristobal.

La mattina dopo quelle paure furono scacciate da una stupenda telefonata con Cristina che mi incitava, rincuorava, caricava e da quello che vidi al CIDECI, l’atipica Università della Terra ispirata dagli zapatisti e messa in piedi dagli indigeni  in una delle periferie baraccate della città. ***Mi impressionò la bellezza del luogo, l’energia che sprigionava e la quantità di persone presenti; gente da tutto il mondo, di diversi colori, culture e lingue ma tutte con il sorriso sul volto. Non avevo mai visto qualcuno così felice di andare a scuola. Tutti sorridenti seppur nessuno sapeva cosa esattamente sarebbe accaduto. Tutti sorridenti perché sicuri di trovarsi nel posto e nel momento giusto. ***

La giornata filò dritta e senza intoppi, a dimostrazione dell’impegno e della forza organizzativa messa in campo dal Movimento: accoglienza, iscrizione, distribuzione del materiale didattico, assegnazione del Caracol di destinazione (per me e Paolo fu il V “Roberto Barrios”), intrattenimento musicale, divisione per gruppi e partenza sui diversi e numerosissimi mezzi di trasporto comunitario. Tutt’intorno a noi i primi indigeni zapatisti, con e senza passamontagna.

La presenza dello zapatismo per le strade della bella città coloniale di San Cristobal non è più così invasiva come ai tempi della “moda EZLN”. Pochi gadget, nessun riferimento nelle insegne, solo scritte spontanee sui muri e il centro CIDECI. ***Il Centro Indigena de Capacitaciòn Integral è un’Università ma molto atipica: non riceve alcun aiuto dallo Stato ed è un vero e proprio ponte tra la città e il mondo indigeno, in particolare quello che si ispira allo zapatismo. E’ una scuola informale che assomiglia più alle università medioevali quando queste erano un vero centro di cultura e ricerca piuttosto che, come oggi, un luogo per produrre laureati. In questa scuola non si certifica nulla perché il sapere non è certificabile, non si insegnano materie specifiche perché il sapere non è a compartimenti stagni, non ci sono registri perché non esistono prove di verifica né obblighi di presenza, non ci sono aule divise per età o grado di avanzamento perché ognuno apprende secondo i suoi ritmi e secondo la propria maturità. *** Anche la collocazione (in una periferia fatta di piccole baracche sorte spontaneamente) e la sua finezza architettonica (è composto da edifici costruiti secondo i principi della bioedilizia collocati sapientemente nella natura boschiva dell’altopiano) ne fanno un fiore all’occhiello per la Città, per il Messico e sopratutto per gli indigeni che l’hanno creato e lo fanno vivere. Come sia stato possibile concretizzare questo incantesimo in uno degli stati più poveri del Paese e facendo perno sulle forze dei soli popoli indigeni è domanda che contiene già la sua risposta: il pensiero perbenista occidentale del povero indigeno vessato e da aiutare è il concetto neo-coloniale più distante dalla realtà costruita da queste genti ed esemplificata dal CIDECI.

Il Caracol V – Roberto Barrios

Otto ore seduti in quattro su un sedile costruito (almeno 15 anni fa) per ospitarne tre. Aver avuto per sorte l’angolo più distante dal portellone d’uscita e dove l’asiento aveva ormai svelato la sua anima d’acciaio e perso qualsiasi affinità con la parola morbido. Una strada che altalenava in ordine sparso ma consequenziale tornanti, buche e maledetti dossi artificiali. Credevo fosse stata una vera sfortuna, mi sbagliai ancora visto che, ogni spostamento motorizzato da quel giorno in avanti sarebbe stato, seppur diverso, ugualmente scomodo. Ma lo rifarei, eccome se lo rifarei, anche solo per un terzo delle emo-le-zioni provate in quella settimana.

Il mio Votan si chiama Jesus. E’ un ragazzo di 19 anni. Corporatura tozza ma passo svelto e morbido. Occhi scuri ed espressivi, capaci di parlare meglio della voce che comunque sà comunicare ottimamente in castigliano, in Chol e in Tzotzil. Dopo la settimana passata insieme, la sua giovane memoria, ripete anche una discreta quantità di parole italiane. Da principio, seduto alla mia sinistra sulla lunga panca in prima fila del grande auditorium, non riesce a nascondere la sua agitazione. Gli tremano le mani e i suoi occhi non mi guardano. L’imbarazzo dura per tutte e due le ore di lezione. Quando ci alziamo diventa direttivo; mi indica più volte la strada per i bagni, per la fila del pranzo, per il dormitorio dove ho lasciato lo zaino e ripete in continuazione che è il momento di salire sul mezzo che ci condurrà alla comunità a cui siamo stati assegnati. E’ sempre al mio fianco e la cosa, da principio, mi sembra molto limitante.

Nei giorni successivi ho benedetto quella presenza costante che man mano diveniva più allegra, più confidenziale, più preziosa. “Per bocca del vostro Votan parleranno tutti gli Zapatisti” diceva uno degli ultimi comunicati che lessi prima di partire. Non solo questo è stato Jesus per me. E’ stato mano a cui aggrapparsi nelle salite, braccio che dava il cambio durante le fatiche, piede che indicava la strada più sicura, occhi che orientavano lo sguardo nella giusta direzione. E’ stata una presenza fraterna, amica. E’ stato un vero compagno.

I Caracol, cinque in tutto il Chiapas, sono il centro dell’organizzazione autonoma Zapatista. Si tratta di luoghi in cui sono concentrate tutte le strutture e le “istituzioni autonome” al servizio della comunità. A Roberto Barios, Zona Nord, vi hanno sede la locale Giunta di Buon Governo, la Commissione di Informazione e la Commissione di Vigilanza tutte composte da indigeni provenienti dalle comunità e dai municipi della Zona. Le persone che compongono queste forme di governo dal basso sono scelte nei singoli luoghi di origine attraverso un voto in assemblea, hanno durata variabile e ruolo a rotazione. Chi fa parte di queste “istituzioni” non percepisce stipendio ma la comunità di origine si impegna nel sostenere, col lavoro collettivo, la sua famiglia. Nel Caracol di Roberto Barrios trovano spazio diverse strutture pubbliche: un grande auditorium, le cucine, i servizi igienici, una clinica, diversi dormitori, il negozio di artigianato, e diversi edifici per la formazione. Gli zapatisti lo utilizzano come centro per gli incontri e per le feste, come punto di riferimento per risolvere problemi legali o sanitari, come luogo della formazione collettiva dei promotori (di salute, dell’educazione e delll’agroecologia). Tutto questo seguendo i 7 principi del comandare obbedendo: Servire e non Servirsi; Rappresentare e non Sostituire; Costruire e non Distruggere; Ubbidire e non Comandare; Proporre e non Imporre; Convincere e non Vincere; Scendere e non Salire.

Nazareth

Le nostre facce spaventate erano velate dal buio e dalla pioggia. L’enorme jeep si fermò in mezzo alla stretta valle dopo aver insistito per almeno un’ora a viaggiare su un sentiero che ci sembrava impossibile. Il piccolo gruppo di studenti, dieci in tutto, ognuno con il proprio Votan al fianco, si arrampicò nel fango di un prato dirigendosi verso una casupola in legno che poi scoprimmo essere la scuola autonoma. Li ci aspettavano, imbarazzati quanto noi, altrettanti uomini che, dopo un breve saluto, ci accompagnarono, una coppia per ogni famiglia, nei nostri alloggi. Non vidi il posto quella sera, o meglio non me ne capacitai. Ricordo solo l’indaffarato lavorio a cui collaborai per appendere le amache ma, appena steso, sprofondai in un sonno comodo.

Poche ore più tardi mi trovavo sulla colma di uno dei monti che affiancavano la valle dove stavano le 20 casupole della Comunità Nazareth. Eravamo nella milpa famigliare del mio duegño. Li mi venne impartita una lezione, forse la più tecnica, sui metodi di coltivazione zapatisti. I campi di mais affidati ai singoli gruppi famigliari dalla riforma agraria di inizio 900 sono spesso distanti dalle abitazioni (noi ci mettemmo un’ora comoda a raggiungerlo) e spesso si tratta di terreni difficili, scoscesi, di montagna. Ma il mio capofamiglia andava fiero del suo coltivo: mais da semi autoprodotti e fagioli che si arrampicano alle sue basi. Niente diserbi, niente insetticidi, niente aiuti dal malgoverno, rifiuto di qualsiasi intervento che possa modificare il fertile equilibrio della Madre Terra. A fine stagione si ripristina l’humus grazie ad altre culture tra le quali il chili. La diversità culturale e l’assenza di artifici chimici erano sottolineati in continuazione così come l’obiettivo di sfamare una famiglia di 10 persone con solo due ettari di terreno. Il paragone con la nostra agroindustria basata sulla monocultura e sul massiccio uso della chimica mi faceva impallidire. Mi stupì anche il livello di preparazione teorico che il campesino dimostrava. Anche su questo gli Zapatisti stavano dimostrando il loro grado di avanzamento. Raccogliemmo due sacchi di pannocchie ancora verdi per il Pozol e ce ne scendemmo con passo svelto ma interrotto dalle molte indicazioni, pronunciate in Chol dal Duegño e tradotte dal mio Votan in castitaliano, delle piante e degli arbusti che, pur crescendo spontaneamente, impreziosivano la dieta della comunità.

L’ultima notte fu la più lunga tra quelle passate nella comunità Nazareth. La festa a base di cerdo bollito durò fino a mezzanotte e, nonostante il maltempo, il clima fra studenti e campesini era ormai rilassato. Non poteva che essere così visto come, la novità rappresentata dalla nostra presenza e soprattutto dalla presenza dei nostri votan in quanto indigeni zapatisti di altre comunità sorelle, aveva animato le giornate di studio e di lavoro. Durante la visita agli edifici comuni (la forneria delle donne, la casa della salute, la tienda), grazie al lavoro nel collettivo de ganado e alla presenza nelle case dove abbiamo collaborato in cucina nei lavori che un tempo erano esclusivamente femminili, si sono create affinità e accorciate le distanze che ci separavano. I discorsi di saluto di quella sera peccavano di un’ufficialità un poco forzata ma riuscirono a volteggiare con parole tanto leggere quanto impegnative.

Partimmo alle 4 del mattino con la stessa jeep che ci aveva scaricato alcuni giorni prima. Quando il sole inizio a schiarire l’aria fredda delle montagne, la luce che trapelava dal telone illuminò i visi sussultanti e assonnati dei giovani passeggeri messicani. Mi accorsi che nelle loro espressioni qualcosa era cambiato. Era come se avessero superato un rito di iniziazione, mi sembravano diversi, più maturi e adulti. Chissà se anche loro hanno notato qualche cambiamento nel mio viso?

Le comunità indigene sono il cuore pulsante dell’Autonomia Zapatista. In questi luoghi sparsi nei posti più irraggiungibili della selva o delle montagne si misurano i miglioramenti effettivi delle condizioni di vita degli aderenti al movimento. In questi luoghi la cultura originaria maya rinasce e si arricchisce in opposizione ai dettami del capitalismo neoliberista e alle pressioni del malgoverno. Qui si lotta ogni giorno per avere cibo sufficiente per tutti, perché non ci si ammali o si guariscano le malattie che prima uccidevano, perchè tutti possano ricevere un’istruzione basata su ciò che potrà servire nella vita della comunità.

Nelle comunità si organizzano e sviluppano quei lavori collettivi che consentono a tutti di essere eletti come rappresentanti nei Caracol, di mandare i figli a formarsi per diventare promotori, di essere curati nelle cliniche autonome e di essere sostenuti nei momenti di difficoltà.

Nelle comunità si misurano gli avanzamenti dei diritti delle donne, la diminuzione dei conflitti famigliari e la cancellazione dei disastri causati dall’uso di alcolici (vietati in tutti i territori zapatisti).

Nelle comunità zapatiste in resistenza si misura la forza di un movimento che rifiuta la classica visione novecentesca della “presa del potere” per concentrarsi sulla costruzione di un’Autonomia che non è statale ma basata sui rapporti di appartenenza comunitari. Nelle comunità non ci si divide fra chi è zapatista e chi no e nei territori zapatisti non si tracciano confini intorno alle comunità filo governative ma si sperimenta una quotidiana mescolanza  perché si è consapevoli che il nemico si trova in alto e non di fianco.

Forse anche per questi motivi, per quest’originalità costruita negli ultimi 20 anni, lo zapatismo non è più fra i riferimenti internazionali dei movimenti europei ed italiani. Facciamo fatica a capirlo, a codificarlo, perché spesso siamo troppo autoreferenziali e supponenti. O forse sono loro ad essere troppo avanti.

Furore MD http://www.di-wan.org/2013/09/sullescuelita-zapatista/

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    Non ci resta altra alernativa che l’organizzazione e la lotta, non solo per la libertà di Alberto Patishtán, ma per la nostra, di tutte e di tutti.

A Alberto Patishtán
A su familia y a sus hijos
A los compañeros y compañeras zapatistas
A la sexta
A la Red contra la Represión
Al pueblo de México
A los pueblos del mundo

15 de septiembre de 2013.

Los colectivos abajo firmantes, como en reiteradas ocasiones lo hemos expresado al compañero Alberto Patishtán: Aquí seguimos, aquí la lucha por su libertad continua…¡No esta usted solo!

Imaginamos el sentimiento del profe, de sus amigos, de su comunidad del Bosque, de los diferentes colectivos y organizaciones en estos momentos de indignación, de coraje, de rabia y de impotencia.

Al menos ese es nuestro sentimiento cuando se espera un mínimo de respeto y en respuesta se obtiene la soberbia, el desprecio y la impunidad. Ya no nos sorprende la actitud con la que actuó el primer tribunal colegiado del vigésimo circuito con sede en Chiapas, al declarar infundadas las pruebas con las cuáles los abogados del profesor Patishtán pretendían obtener su reconocimiento de inocencia, como tampoco nos sorprendió la actitud de la Primera Sala de la Suprema Corte de Justicia de la Nación cuando aquel 6 de marzo determinó por mayoría de tres votos, no asumir la atracción del Incidente de Reconocimiento de Inocencia presentado en favor de Patishtán.

Con respecto a los magistrados, ya no tenemos el mínimo interés para escuchar sus cuentos y mentiras, sus resoluciones y sus acuerdos. Sus declaraciones están vacías, son letra muerta, como la del Gobernador de Chiapas, Manuel Velasco Coello, que sirviéndose de la visita de Peña Nieto al estado de Chiapas, y para quedar bien, aseguró que Patishtán Gómez, debía ser puesto en libertad. Nada se puede esperar cuando los que “hacen la ley” carecen de memoria. Los magistrados Freddy Gabriel Celis Fuentes, Manuel de Jesús Rosales Suárez y Arturo Eduardo Zenteno Garduño que tuvieron en sus manos la posibilidad de poner en libertad a Alberto Patishtán, no son sino un espejo de la justicia servil que mantiene al poder en su lugar, así como la corrupción y el desprecio.

Nosotros si tenemos memoria, por que el atropello que se esta cometiendo con Patishtán, es el mismo con el que por mas de 500 años los indígenas han sido pisoteados, humillados y despreciados; cuantas veces hemos recibido los testimonios de los presos y presas que nos cuentan los tratamientos que reciben por parte de las autoridades penitenciarias, la falta de medicamentos, los malos tratamientos y diagnósticos, la mala alimentación, la falta de traductores, las torturas y desapariciones, la facilidad con la que los grupos de seguridad penitenciaria roban las pertenencias y dinero en efectivo de los reclusos y las construcciones falsas de sus casos. Ese 12 de junio del año 2000, tras una emboscada que dejó seis policías estatales y uno municipal muertos, Pathistán estaba a muchos kilómetros de distancia de dicho lugar, cual ceguera crónica, todo esto no importó … Y hoy, en medio de un sin fin de eventos, reclamos, acciones, comunicados de solidaridad con el profe desde San Cristobal de las casas, pasando por la ciudad de México, Estados Unidos, Barcelona, Valencia, Francia, Italia y Alemania, el tribunal colegiado del vigésimo circuito de Tuxtla Gutiérrez, declara sin un mínimo de seriedad, que las pruebas presentadas son infundadas. Esta respuesta ¡Es una burla !

Varios de nuestros colectivos tuvimos el honor de participar como alumnos al curso de primer grado intitulado : La libertad según los y las zapatistas, sin duda las enseñanzas fueron inmensas y siguen, pero lo que es claro, es que en materia de “justicia”, solo aquella que se construye por el pueblo, con los hombres y mujeres de abajo, con principios como el servir y no servirse, representar y no suplantar, construir y no destruir, obedecer y no mandar, proponer y no imponer, convencer y no vencer, bajar y no subir, darán cabida a esa otra forma de justicia que anhelamos y la libertad que esperamos.

No nos queda otra alternativa que la organización y la lucha, no solamente por la libertad de Patishtán, si no por la nuestra, la de todos y todas nosotras.

La lucha sigue!

En solidaridad:

Les trois passants (Francia)
Grupo de Solidaridad con Chiapas de Dorset (Inglaterra)
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo (Italia)
CGT (Estado español)
Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid
Centro de Documentación sobre Zapatismo-CEDOZ (Estado español)
Tamazgha, association berbère (París, Francia)
Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha-CSPCL(Francia)
Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas (País Vasco)
Grupo Rebelde FC – Brescia (Italia)
ASSI-Acción Social Sindical Internacionalista (Estado español)
Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Aragón (Estado español)
Asociaciòn Ya Basta, Milano (Italia)
Secretariado Internacional de la CNT(Francia)
Comité de solidaridad con los pueblos Indígenas des las Américas
(CSIA-Nitassinan, Francia)
Grupo de apoyo à Leonard Peltier(LPSG-Francia)
Associu Sulidarità (Corsica)
Corsica Internaziunalista (Corsica)
Manchester Zapatista Solidarity Group(Inglaterra)
Union syndicale Solidaires (Francia)
Fédération SUD éducation (Francia)
Espoir Chiapas (Francia)
Colectivo Farma, Atenas (Grecia)
Groupe CafeZ (Bélgica)
La Pirata: Nodo Solidale Roma-México,
Colectivo Zapatista Lugano y Nomads Bologna-Berlino
Gruppe B.A.S.T.A.,Munster(Alemania)

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Sentenza contro Alberto Patishtán, un crimine di Stato

Hermann Bellinghausen

In un certo senso sono irrilevanti, solo un anello inferiore nella catena alimentare in cui si è trasformato il nostro obbrobrioso ed oneroso sistema giudiziario, ma non è superfluo insistere nel nominarli. Freddy Gabriel Celis Fuentes, Manuel de Jesús Rosales Suárez ed Arturo Centeno Garduño, giudici federali di Tuxtla Gutiérrez, hanno respinto in ultima istanza il riconoscimento di innocenza del professor Alberto Patishtán. Grazie a loro l’incubo continua. Nel mezzo del riformismo radicale e regressivo che smantella i contenuti sociali e la difesa della Nazione nel corpo delle leggi, e mentre si riducono le garanzie di giustizia e libertà, il giudizio contro Patishtán costituisce un messaggio dello Stato (come ha segnalato da queste pagine Luis Hernández Navarro) indirizzato agli insegnanti, ai popoli indigeni e ad ogni messicano che dice no.

Separazione dei poteri, indipendenza? Ormai non ci crede più nessuno. Per ragioni di Stato, o per impegni presi in precedenza, questo stesso sistema di tribunali con peregrini sofismi legali e mediatici, ha liberato narcotrafficanti e sequestratori internazionali, politici e loro parenti infangati fino al collo, paramilitari rei confessi di genocidio, e gente così. Comunque, il Consiglio della Magistratura Federale, per mettersi al riparo, ha comunicato che la sentenza “stabilisce che la decisione riguardo questo caso di riconoscimento di innocenza non contiene un pronunciamento sulla responsabilità penale del condannato”.

La divisione dei poteri si riduce ad una rete di complicità e spartizione di prebende tra gruppi mafiosi. Tutti questi giudici della Corte formano una casta esorbitatamente ben pagata, “affinché non vengano corrotti” ed in funzione della loro “alta investitura”. A loro volta legati ad altri gruppi di potere in televisioni, università, classi politiche regionali, non è trascurabile che nella Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) esista, già con una certa tradizione, un certo numero di ministri chiapanechi. Armando Valls e Margarita Luna Ramos, attuali membri della Corte, hanno chiari legami con la classe politica del loro stato. Come nel caso di Patishtán. Lo sdegno e l’arroganza della SCJN, trasmessi tali quali ai giudici di Tuxtla Gutiérrez, hanno permesso a giudici e magistrati di sprecare l’opportunità di procedere con decenza e sensibilità. Si può attribuire al razzismo, a calcoli politici di congiuntura in un momento vertiginoso di smantellamento della sovranità in nome degli affari dei veri soci, o a dettagli microscopici e retorici di tecnica giuridica (che hanno funzionato benissimo nella campagna umanitaria del CIDE per liberare i paramilitari di Acteal e chiudere il cerchio di criminalità di Stato in totale impunità).

Tuttavia, il caso di Patishtán implica un mistero particolare, forse così importante e delicato da renderne impensabile la liberazione. Chi lo arrestò nel 2000 credette che non valesse niente, che fosse eliminabile. Lui solo sta scontando una condanna per un crimine grave che necessariamente fu commesso da numerose persone: un’imboscata da professionisti contro dei poliziotti in un territorio fortemente militarizzato.

Salvo che  per la tremenda corte, è provato che Patishtán non partecipò né ebbe niente a che fare. Ma siccome nessuno pagherà per quelle morti emblematiche (sette poliziotti), il sistema crede che reggerà la pressione sociale. Governava il Chiapas il priista e genocida, come il suo capo Zedillo, Roberto Albores Guillén, ancora oggi parte attiva dei poteri che controllano il governo statale. Nel 2000 presiedeva la corte suprema dell’entità Noé Castañón León, chi fino a poco tempo fa è stato segretario di Governo (ed in un’epoca successiva di “esilio politico”, per presunta corruzione, ministro della SCJN!). Questi politici ed i loro scagnozzi sono parte dello Stato realmente esistente nell’entità. Non bisognerebbe far partire le indagini dalle loro stanze?

Che cosa nascondono? Quale cloaca proteggono questi attori? L’ex prima dama Margarita Zavala de Calderón, “come avvocato”, mostrò interesse, si suppone genuino, per la sua liberazione, ma non fece mai niente. Si dice che fu fermata da Genaro García Luna, il capo polizia agli ordini di suo marito. E che ordini. Il governatore attuale ed il suo predecessore si sono pronunciati per la libertà di Patishtán. A parole si può dire tutto, di modo che sembri che non dipende da loro. E nel codice di polizia, sette agenti imboscati non si coprono con indulto presidenziale.

La trama è scritta. A fronte degli appelli alla giustizia internazionale, lenta come tutte, il governo di Enrique Peña Nieto, il suo docile congresso ed i suoi partiti satelliti di scagnozzi e sgherri, e compagnia cantante, chiudono i lucchetti per proteggersi ed attenuare l’impatto di regolamenti e decisioni internazionali in materia di diritti umani e procedimenti penali. Di giustizia. Per indios.

Fino a prova contraria, dietro l’incarceramento di Patishtán potrebbe esserci un crimine di Stato.

La Jornada, 16 settembre 2013

Video della conferenza stampa in carcere di Alberto Patishtán: http://www.youtube.com/watch?v=vYzvYeO8qeg&feature=player_embedded

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Alberto Patishtán: messaggio di Stato

Luis Hernández Navarro

Alberto Pathistán non è una sequestratrice francese come Florence Cassez, né un narcotrafficante come Rafael Caro Quintero, né uno degli assassini del massacro di Acteal. È un professore toztzil, membro dell’Altra Campagna, ingiustamente carcerato da 13 anni. Lei, loro e lui non sono la stessa cosa. La giustizia ha messo in libertà Cassez, Caro Quintero ed i paramilitari di Chenalhó nonostante siano colpevoli. Il sistema di ingiustizia tiene in prigione il maestro Pathistán nonostante sia innocente.

Il Potere Giudiziario in questi giorni aveva la possibilità di emendare il danno arrecato all’indigeno tzotzil del municipio di El Bosque. Ma questo giovedì il primo tribunale collegiale del ventesimo circuito con sede in Chiapas ha dichiarato infondate le prove con le quali i suoi avvocati cercavano di ottenere la sua assoluzione.

Ignominia su obbrobrio, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha deciso di essere complice dell’ingiustizia e se n’è lavata le mani. Solo lo scorso marzo, la sua prima sezione decise, con tre voti a favore contro due contrari, di non avere competenza sull’incidente di riconoscimento di innocenza del maestro. Il processo fu rimandato al tribunale che ha dichiarato infondate le prove a favore di Pathistán.

In un paese dove l’applicazione del diritto ha in sé un forte risvolto politico e dove raramente i giudici sono indipendenti dall’Esecutivo, la decisione dei giudici del primo tribunale collegiale del ventesimo distretto, Freddy Gabriel Félix Fuentes, Manuel de Jesús González Suárez ed Arturo Eduardo Centeno Garduño, si può interpretare solo come un messaggio di Stato. Un messaggio inviato sia allo stesso prigioniero sia a chi vede in lui un simbolo della lotta contro l’ingiustizia. Il maestro è un ostaggio del potere.

Alberto Pathistán non è un detenuto qualsiasi: è il prigioniero politico più noto nel paese. È una figura emblematica del movimento indigeno nella quale si riassume la discriminazione razziale, la trascuratezza processuale e l’uso fazioso della giustizia riservato ai popoli originari. Un simbolo di dignità di fronte agli abusi del potere.

Letteralmente, migliaia di voci dentro e fuori del Messico hanno chiesto la sua liberazione immediata. Il Pueblo Creyente, l’EZLN, il movimento indigeno, la Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación (CNTE), Amnesty International e centinaia di organismi difensori dei diritti umani ed intellettuali pubblici sono convinti della sua innocenza e chiedono la sua libertà. È a loro che lo Stato ha detto la sua ultima parola: le vostre ragioni non mi importano; vi ascolto ma vi ignoro.

La storia è nota. Il 12 luglio del 2000, a Las Lagunas de Las Limas, Simojovel, furono imboscati sette poliziotti. Quel giorno e a quell’ora, Pathistán si trovava a molti chilometri di distanza da quel luogo. Non importò. Fu accusato ugualmente degli omicidi. Fu condannato per i reati di criminalità organizzata, omicidio aggravato, uso di armi di uso esclusivo delle forze armate e lesioni aggravate. Nel suo processo non ci furono traduttori. I testimoni mentirono e non furono presentate prove certe della sua colpevolezza. I giudici non prestarono attenzione. Egli finì in prigione.

In tutto il paese, i popoli indigeni si oppongono alla devastazione ambientale ed al saccheggio delle loro terre, territori, acque e semi. Per affrontare l’insicurezza pubblica e difendersi hanno formato poliziotti comunitari. Tenere in prigione Pathistán è un avviso del Messico di sopra di quello che può succedere se persistono con l’ostinazione con la quale l’hanno fatto, nella difesa delle loro risorse naturali e le loro forme di esercitare la giustizia.

Centinaia di migliaia di insegnanti chiedono l’abrogazione delle riforme del lavoro mascherate come riforme dell’istruzione recentemente promosse dal Congresso. Nelle loro mobilitazioni e petizioni chiedono che il professore detenuto, uno di loro, sia liberato. Negargli l’uscita di prigione è un avvertimento di quello che li aspetta se non sospendono le loro azioni di disubbidienza.

Lo zapatismo continua imperterrito ad autogovernarsi e mantenersi in armi, al margine delle istituzioni governative. Continua ad essere una fonte di ispirazione ed esempio per molte comunità indigene nel paese. Tenere dietro le sbarre l’aderente dell’Altra Campagna è l’avviso che la guerra contro i ribelli del sudest messicano non è finita.

In un paese in cui il diritto si applica regolarmente contro la giustizia, allo Stato messicano non importa che Alberto Pathistán sia innocente e quello che il suo processo sia pieno di irregolarità. Non lo imbarazza che la sua detenzione sia uno scandalo internazionale. Vuole, solamente e semplicemente, mandare un messaggio affinché chi simpatizza col professore e la sua causa imparino la lezione. Non ci riuscirà. Come fa Pathistán, i molti che solidarizzano con lui resistono e continueranno a resistere.

Twitter: @lhan55

http://www.jornada.unam.mx/2013/09/13/politica/021a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico e ingiustizie: resta in prigione il Prof. Alberto Patishtán

Pubblicato il 13 settembre 2013 · in Osservatorio America Latina ·

di Fabrizio Lorusso

patish 3La fabbrica dei colpevoli messicana non si ferma mai e il professore Alberto Patishtán ne è vittima da 13 anni, accusato e sentenziato ingiustamente per omicidio. Il primo tribunale collegiale del ventesimo circuito del Chiapas ha dichiarato infondate le prove con cui gli avvocati di Alberto Patishtán, professore messicano d’etnia tzotzil detenuto ingiustamente da 13 anni e condannato a 60 anni di reclusione per omicidio, volevano ottenere il riconoscimento della sua innocenza (link notizia Desinformémonos). La “fabbrica” è una scure inarrestabile, la giustizia dei più forti contro i più deboli, l’ingiustizia perpetrata col sostegno della legge, anzi, ormai senza nemmeno quello. Anche quando sbaglia, anche quando è palese, anche quando un paese si mobilita contro i suoi meccanismi perversi e ne dimostra le nefandezze, fuori da ogni ideologia, la fabbrica dei colpevoli non torna indietro perché sarebbe un ammissione di colpa, un’azione culturalmente inaccettabile.

Dunque è meglio affondare la lama e scavare, punire chi alza la voce, beffarsi degli scioperi della fame e del mondo che ti osserva, incredulo. Patishtán è un detenuto politico, discriminato per la sua appartenenza a un gruppo etnico indigeno e per la sua militanza politica nella comunità de El Bosque, Chiapas, di cui è originario.

E proprio in questo territorio del Messico profondo e (para)militarizzato, comincia l’odissea dell’attivista che è stato accusato dell’omicidio di sette poliziotti federali, avvenuto il 12 giugno del 2000, nella cosiddetta “strage di Simojovel” (a questo link un racconto dettagliato in italiano). Il 19 giugno il Profe viene praticamente sequestrato mentre va al lavoro da quattro poliziotti in borghese sprovvisti del mandato di arresto. Il giorno dopo viene preso anche due militanti legati all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i fratelli Manuel e Salvador López González, anche loro accusato di aver preso parte all’imboscata-strage.

Patishtán è stato malmenato, umiliato, torturato e poi messo agli arresti domiciliari per 30 giorni mentre si “raccoglievano” le prove contro di lui. La presenza degli interpreti delle lingue indigene messicane è quasi un’utopia e “el Profe” non fa eccezione, quindi niente traduzione. Come spesso accade in questi casi, in pratica le condanne dell’attivista si basano sul racconto contraddittorio, nel senso che è stato cambiato in diverse occasioni, di un testimone che prima dice di “non aver riconosciuto nessun partecipante dell’imboscata” e poi sostiene di “aver visto il professore poco prima di perdere i sensi”.

Le prove presentate da Patishtán, che lo avrebbero scagionato dimostrando la sua NON partecipazione all’imboscata e il suo alibi, cioè la sua presenza a una riunione in un altra città chiamata Huitiupan, sono state rigettate. Alla fine non sono state “reperite” le prove contro i due attivisti zapatisti. Invece il Profe è rimasto in galera, ha affrontato processi viziati da numerose irregolaritò e da 13 anni la sua lotta contro l’ingiustizia e gli abusi è diventata un caso internazionale, una battaglia epica e disperata contro la fabbrica dei colpevoli e la burocrazia

Quindi il caso è chiuso in Messico e i motivi veri sono chiari, hanno poco a che vedere con il famigerato rispetto dello stato di diritto. Resta solo la possibilità di un ennesimo ricorso, presso la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), che potrebbe esprimersi a favore de “el Profe”, come viene soprannominato l’attivista Patishtán, ed “obbligare” lo stato messicano a metterlo in libertà, sempre che le istituzioni decidano di ascoltare e applicare le risoluzioni della CIDH che spesso passano inosservate. patish libero

I tre magistrati del tribunale chiapaneco con sede a Tuxtla Gutiérrez, la capitale di questo martoriato stato meridionale del Messico, si sono espressi all’unanimità. Niente dubbi, niente perplessità. Fuori dal tribunale, già da vari giorni, c’era un picchetto di sostenitori e difensori della libertà di Patishtán che non si muoveranno da lì finché un funzionario non si sarà presentato per realizzare una chiara e dettagliata esposizione delle motivazioni della sentenza.

“Né Alberto Patishtán né noi come avvocati chiederemo un indulto all’esecutivo”, ha spiegato Lionel Rivero, avvocato difensore del Profe.  ”La decisione è una porcheria per tutti i messicani e non ci arrenderemo” sostiene senza mezzi termini Trinidad Ramírez, del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, che si trovava nell’accampamento di protesta allestito a Città del Messico l’11 settembre scorso. Il Comitato per la Libertà di Patishtán continuerà a lottare per la sua liberazione, rispettando la volontà del professore. Andrea Spotti, in un articolo su Globalist dell’aprile scorso ha ben descritto il contesto della regione in cui si svilupparono e si sviluppano queste vicende:

“Siamo nel Chiapas degli anni successivi all’insurrezione zapatista e la tensione politica e (para)militare nella regione, dove i conflitti locali si moltiplicano, é assai alta. Ad El Bosque, un imponente movimento chiede la destituzione del sindaco Manuel Gómez, priista (membro del PRI, Partido Revolucionario Institucional, al governo attualmente in Messico) accusato di corruzione, nepotismo e abuso di potere; e Patishtán, come spesso accade ai maestri rurali – in molti casi veri e propri intellettuali organici delle loro comunità -, é il portavoce della protesta. Il governo, timoroso che la situazione possa degenerare dando vita a nuove sollevazioni, manda sul posto rinforzi della polizia federale. Durante uno dei pattugliamenti delle forze poliziesche, nei pressi del villaggio di Las Limas, avviene l’imboscata, effettuata da una decina di uomini a volto coperto armati di R-15 e di AK-47. 

Inizialmente, governo statale e federale puntano il dito contro le guerriglie dell’Ezln e dell’Epr (Esercito Popolare Rivoluzionario). Gli zapatisti, attraverso le parole del Subcomandante Marcos, rispondono invece indicando nei gruppi paramilitari legati al Pri  i probabili autori della strage, la quale sarà utilizzata come pretesto per intensificare ulteriormente la militarizzazione della regione. Dopo l’arresto di Patishtán, che scatena immediatamente vivaci proteste nella sua comunità (si arriverà fino ad occupare il palazzo municipale), vengono coinvolti nelle indagini anche due basi d’appoggio dell’Ezln, uno dei quali, Salvador López, sarà arrestato”.

patishtan-12Nel marzo scorso anche la Suprema Corte messicana, che in altri casi s’era dimostrata sensibile a ingiustizie macroscopiche e disposta ad annullare sentenze in base a eventuali vizi di forma dei processi, ha voltato le spalle al Profe ha rigettato il ricorso dei suoi avvocati contro le decisioni dei tribunali del Chiapas. Una recente decisione della Corte Suprema di Giustizia messicana, la quale ha stabilito un orientamento giurisprudenziale in materia di diritti umani, ha aperto la strada all’applicazione interna, a livello costituzionale, dei trattati internazionali che siano considerati migliorativi per quanto riguarda la protezione dei diritti dell’uomo rispetto alle norme vigenti in Messico. Ciononostante l’applicazione di tale orientamento, che potrebbe forse servire a Patishtán una volta ottenuta, eventualmente, una sentenza favorevole della CIDH, è stato depotenziato dalla stessa Corte Suprema con la previsione di eccezioni, casistiche e limiti che hanno fatto parlare addirittura di un retrocesso sul fronte dei diritti. 

In carcere l’attivista ha sempre cercato di rendersi utile, inegnando a leggere a a scrivere ai detenuti analfabeti o fungendo da interprete-traduttore per i compagni di cella che non parlano lo spagnolo. Progressivamente si avvicina agli zapatisti, partecipa alle mobilitazione per il miglioramento delle condizioni di vita in prigione, si fa portavoce degli altri detenuti e nel 2006 entra a far parte della Otra Campaña, l’offensiva politica dell’EZLN, basata sulla VI Dichiarazione della Selva Lacandona, che irrompe nella campagna elettorale e denuncia la corruzione del sistema politico e di tutti partiti che lottano per il potere politico e il controllo dello stato. Sempre in quell’anno fonda

Nel 2006 entra a far parte de La Otra Campaña e fonda, insieme agli altri reclusi aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, il collettivo La Voz del Amate che, collegando tra loro le iniziative di resistenza delle carceri del Chiapas con movimenti sociali esterni, negli anni ha fatto ottenere il rilascio di 137 prigionieri. Nell’ottobre 2012 ha subito un intervento chirurgico per l’asportazione di un umore benigno al cervello e ha vinto la battaglia contro il cancro. In questa breve video-intervista del luglio scorso El Profe parla di un’altra dura battaglia, delle sue sofferenze e dell’allontanamento dalla sua famiglia, ma soprattutto ricorda con dignità al Messico e al mondo che “a volte uno deve passare da queste situazioni affinché altra gente si accorga di quello che viviamo” e che il suo caso è solo “uno dei tanti tra quelli di persone che sono detenute ingiustamente in qualunque prigione, molte volte per non saper parlare spagnolo, per non avere soldi o per non saper leggere e scrivere”.

Segnalo due raccolte di firme per la libertà di Patishtán: 1) qui LINK e 2) Appello e firme di Amnesty International “Nessun giorno in più senza giustizia”: LINK

Documentario sul caso di Alberto Patishtán: LINK

Hashtag Twitter: #LibertadPatishtan

Comitato Città del Messico Twitter @TodosxPatishtan

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Francesca Svampa

Messico. In un video dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, nella quale vive quelli che potrebbero essere i suoi ultimi due giorni dietro le sbarre, il prigioniero tzotzil Alberto Patishtán dichiara che la sua lotta è perché “non posso accettare che mi accusino di un mucchio di reati, quando la mia coscienza è pulita. Non posso accettare di restare prigioniero neppure per due giorni se non sono colpevole di nulla”. (Video)


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http://www.chiapasdenuncia.blogspot.mx/2013/09/denuncia-publica-de-los-desplazados-de.html

 
VIDEO

Denuncia pubblica degli sfollati di Banavil

4 settembre 2013, San Cristobal de Las Casas, Chiapas.

 
Al Congresso Nazionale Indigeno
Ai Centri dei Diritti Umani onesti e indipendenti
Ai mezzi di comunicazione indipendenti
Alla società Civile nazionale e internazionale
Agli Aderenti alla Sexta
Alla Rete Contro la Repressione
Alle Giunte di Buon Governo
All’opinione pubblica 
 
Il 4 dicembre del 2011, in 13 persone siamo state aggredite e costrette a fuggire dai priisti di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, e tutto questo perché crediamo nell’autonomia zapatista. Nostro padre Alonso López Luna è stato fatto sparire dalla gente della comunità e dalle autorità comunitarie. Per un anno e nove mesi non ci hanno completamente ignorato; il governo federale, statale ed il Pubblico Ministero Specializzato nella Giustizia Indigena, Cristóbal Hernández Lopez, sono complici degli aggressori ed appoggiano gli assassini. Ci domandiamo, dov’è lo stato di diritto? Che dovrebbe impartire la giustizia, ma per questo stato la giustizia è lasciare liberi gli assassini ed imprigionare gli innocenti come Lorenzo Lopez Giron e Francisco Santiz Lopez. 
 
Venerdì 30 agosto abbiamo ricordato con grade tristezza i desaparecidos come nostro padre Alonso Lopez Luna e molti altri, a causa della guerra sporca del governo, li ricordiamo con tristezza e con coraggio nei nostri cuori, sperando che un giorno arrivi la verità e la giustizia. Perché la giustizia non è ancora arrivata come dimostra la nostra denuncia che giace da mesi presso il Tribunale di Tuxtla Gutierrez, caso n. 523/2013, affinché si eseguano gli 11 mandati di cattura contro gli aggressori ed assassini. Ma non c’è risposta e l’impunità impera contro di noi popoli indigeni discriminati. 
 

Abbio visto cosa è successo recentemente nell’ejido Puebla, dove sono sfollate 91 persone tra uomini, donne e bambini, ed anche in questo caso il Pubblico Ministero per la Giustizia Indigena, Cristóbal Hernandez, non applica lo stato di diritto, sta solo a guardare quello che fanno ai nostri fratelli sfollati e perfino proibisce loro di diffondere pubblicamente le loro denuncie, che è l’unica forma di difesa dei fratelli cattolici. Ci domandiamo dove sono i nostri diritti come popoli indigeni. E per quanto resteranno impunite le aggressioni contro i nostri fratelli dell’ejido Puebla.

Noi profughi di Banavil viviamo in condizioni inumane e condividiamo con voi la nostra memoria delle molte aggressioni contro di noi ed i nostri fratelli dell’ejido Puebla; essere profughi non è vivere come esseri umani, perché gli esseri umani hanno dei diritti.
 
Che dicano gli aggressori cosa hanno fatto a nostro padre, perché gli aggressori sanno quello che è successo. Sono trascorsi i mesi e la giustizia non arriva. E questi aggressori ed assassini sono liberi e non c’è stata alcuna punizione né prigione per loro, mentre gli innocenti vengono condannati ad anni di prigione.
 
Al signor presidente della repubblica Enrique Peña Nieto ed al Governatore Manuel Velasco Coello:
 

Vogliamo la verità sulla sparizione forzata di nostro padre Alonso López Luna. 
Vogliamo giustizia per i fatti successi il 4 dicembre 2011. 
Vogliamo giustizia per i fratelli sfollati dell’ejido Puebla 
Vogliamo la libertà per il nostro fratello Alberto Patisthan condannato a 60 anni di prigione.

 
Distintamente 
I profughi di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas.
Simpatizzanti dell’EZLN
Lorenzo Lopez Giron 
Miguel Lopez Giron
Petrona Lopez Giron
Anita Lopez Giroz

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Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Quattordici storie su come è stata vissuta la Escuelita : Alfonso Medrano

“L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano”

Alfonso Medrano, dal Cile

Un Votán non è solo un guardiano, è una guida, un maestro consapevole che impara da te come tu da lui, è un tutor, ma soprattutto, un compagno, qualcuno che ha abbracciato i sentieri della lotta e che ti accoglie con umiltà e rispetto, che ti ospita a casa sua per mostrarti come si è sviluppato il lavoro indigeno tinto di zapatismo nello stato di Chiapas.

Personalmente ho avuto la fortuna di avere un Votán che parlasse un castigliano quasi perfetto, in parte perché era promotore di educazione e in parte perché la sua curiosità personale e l’intuizione intellettuale erano molto sviluppate come pure la sua sensibilità, per cui non ci siamo trovati contro barriere linguistiche e abbiamo potuto avvicinarci ulteriormente. Ascoltare il suo racconto di vita è stato un insegnamento totale su ciò che significa assumere i costi di una vita ribelle, che molte volte porta isolamento, fame e dolore. Una delle sue frasi che più mi ha colpito è stata: “in guerra non vince nessuno, ma avevamo bisogno di farla”. M’è sembrata una riflessione molto lucida di come la violenza sia una necessità politica dei popoli, l’autodifesa come voce di un diritto reclamato, ma consapevole dei costi e dei traumi che comporta e anche delle sue piccole e non tanto piccole vittorie.

In 30 anni di organizzazione, resistenza e lotta al malgoverno, il popolo zapatista ha eretto i propri organi di governo, ha trasformato il concetto di democrazia in politica inclusiva dove si è aperto uno spazio per il ritorno del dialogo così da decidere collettivamente come camminare insieme, ha capito che i cambiamenti radicali NON si possono sviluppare sotto il cappello della politica istituzionale e che è necessaria l’autonomia per poter avanzare con più domande che certezze, un percorso che ha contraddizioni ma che non si arresta grazie all’impegno e alla responsabilizzazione di tutti e tutte i comp@ delle comunità di queste terre.

L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano, un punto di fuga, una rottura profonda con questo modello di vita, convivenza e produzione. Quello che accade sulle sue terre liberate è per me davvero ammirabile, un impegno preso con la storia, di passare da semplici spettatori ad attori e costruttori del proprio futuro.

Testo orginale: http://desinformemonos.org/2013/08/la-experiencia-zapatista-es-una-grieta-en-el-territorio-mexicano-alfonso-medrano-de-chile/Quattoridici storie su come è stata vissuta la Escuelita

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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La Jornada – Mercoledì 4 settembre 2013

Las Abejas chiedono aiuti umanitari per le 17 famiglie sfollate da Chenalhó, Chiapas

Hermann Bellinghausen

Il tavolo direttivo della Società Civile Las Abejas ed il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó, Chiapas, chiedono aiuti materiali ed economici per un centinaio di indigeni sfollati dalla colonia Puebla a causa della violenza di un gruppo paramilitare.

Il 26 agosto scorso erano arrivati nella Terra Sacra dei Martiri di Acteal 17 famiglie cattoliche e battiste della colonia Puebla (municipio di Chenalhó), per sfuggire all’aggressione del gruppo capeggiato dal commissario ejidale e pastore evangelico, Agustín Cruz Gómez.

Ma non tutti sono riusciti a fuggire, nella colonia Puebla sono rimaste altre 12 famiglie, e si teme ora per la loro vita.

“E’ evidente che questa violenza è conseguenza dell’impunità e della guerra sporca portata avanti dallo Stato dal 1994, culminata col massacro di Acteal il 22 dicembre del 1997”. La situazione è incerta: “Non sappiamo quanto tempo resteranno profughi, quello che sappiamo invece è che il malgoverno non ha la volontà di applicare la giustizia al gruppo degli aggressori. Sempre di più si conferma che la pace e la giustizia non vengono dal malgoverno, ma siamo noi a dover lavorare duramente per ottenerle, così che i nostri fratelli possano tornare”.

Sollecitando aiuti umanitari per gli sfollati, Las Abejas ed il consiglio parrocchiale della demarcazione tzotzil di Chenalhó precisano che c’è bisogno anche di risorse economiche per affrontare le spese del movimento, lavorare alla costruzione della pace e della giustizia, e creare le condizioni per il ritorno.

Le donne hanno bisogno di materiale per tessere e ricamare, perché non hanno potuto portare con sé nulla per paura di essere scoperte dagli aggressori.

A tale scopo sono stati aperti dei centri di raccolta nella scuola Nueva Primavera di San Cristóbal de las Casas e nella casa parrocchiale di de Yabteclum, a Chenalhó.

Le donazioni in denaro possono essere versate presso la Scotiabank, conto corrente numero 09502179105, clabe: 044130095021791051, a nome di Elena Vázquez Pérez y Juan Gómez Ruiz, sucursal 001, San Cristóbal de las Casas.

Per maggiori informazioni sulla situazione attuale, contesto e cause dello sgombero forzato, consultare la pagina Las Abejas de Acteal. Telefono: 9191214044.

Da parte loro, le famiglie sfollate hanno descritto le difficili condizioni in cui si trovano ad una brigata civile che li ha incontrati ad Acteal il fine settimana. Gli indigeni insistono nel chiedere giustizia. “Sappiamo cosa significa essere sfollati, perché lo siamo già stati nel 1997”. http://www.jornada.unam.mx/2013/09/04/politica/012n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Comunicato Las Abejas

Centri raccolta:

NUEVA PRIMAVERA
Calle Nueva Primavera #46
Col. Explanada del Carmen
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.
Tel. (casa) 01 (967) 678 5070

CENTRO DE PASTORAL
Yabteclum, Chenalhó, Chiapas.

Conto Corrente Bancario: SCOTIABANK
Número de cuenta: 09502179105
Clabe: 044130095021791051
A nome: ELENA VAZQUEZ PEREZ y JUAN GOMEZ RUIZ
Sucursal: 001 SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS
Teléfono de contacto: 9191214044
email: solidaridadche17@gmail.com

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RICHIESTA DI APPOGGIO DELLA POLIZIA COMUNITARIA (CRAC-PC), EL PARAÍSO, AYUTLA DE LOS LIBRES, GUERRERO

Car@ compagn@,

Un saluto fraterno e solidale. Vi mandiamo questa urgente petizione di appoggio per la situazione critica in cui stiamo vivendo nel territorio comunitario nello stato di Guerrero. Come sicuramente avete saputo dai media, la repressione contro la nostra istituzione comunitaria con l’intervento del governo, della marina, dell’esercito e delle forze di polizia aumenta ogni giorno di più. Oltre alle incursioni massicce di elementi della marina e dell’esercito nel nostro territorio negli ultimi giorni e settimane, molti dei nostri poliziotti comunitari sono stati arrestati con uso della violenza, compresa la Coordinatrice Regionale di El Paraíso, Nestora Salgado García, arrestata senza alcun mandato da elementi dell’esercito, ed attualmente reclusa nel Centro Federale di Reinserimento Sociale Nordovest, con l’accusa di sequestro aggravato – ignorando il fatto che stava semplicemente svolgendo il suo lavoro come polizia comunitaria nel nostro territorio – lavoro riconosciuto e tutelato dalla Legge 107 dello stato di Guerrero, dall’articolo 39 della Costituzione Messicana e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Abbiamo bisogno di tutto l’appoggio delle nostre sorelle e fratelli in territorio messicano e all’estero affinché i nostri diritti come popoli indigeni siano rispettati e per impedire altra violenza da parte dello stato. Abbiamo avviato questo progetto più di 15 anni fa per proteggere la dignità dei nostri popoli ed assicurare un futuro ai nostri figli; oggi chiediamo la vostra solidarietà affinché il nostro progetto di vita possa proseguire con gli stessi valori e principi.

Per il momento, chiediamo di firmare, come singoli o organizzazioni, la lettera qui sotto. Come singoli od organizzazioni si possono anche mandare lettere alle autorità menzionate sotto per denunciare gli atti del governo e la detenzione dei nostri compagni. Seguirà presto un nuovo appello per altre azioni di solidarietà e speriamo di contare sulla vostra partecipazione per esercitare pressioni sulle autorità.

 Le firme vanno inviate al seguente indirizzo: comunitaria13@gmail.com

 Nel caso di proprie lettere di denuncia, preghiamo inviarne copia a: comunitaria13@gmail.com

I giornalisti ci possono contattare attraverso lo stesso indirizzo email e volentieri daremo il contatto di membri della nostra organizzazione per concordare interviste e informazioni.  

 LETTERA DI DENUNCIA
29 AGOSTO 2013

OGGETTO: Denuncia della violazione dei diritti di membri della Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias, Policía Comunitaria (CRAC-PC) nello stato di Guerrero, Messico.

ALL’ATTENZIONE DI:ANGEL HELADIO AGUIRRE RIVERO
GOBERNADOR CONSTITUCIONAL DEL ESTADO DE GUERRERO
Palacio de Gobierno Edificio Centro 2do. Piso
Col. Ciudad de los Servicios
C.P. 39074 Chilpancingo Gro.Tel (747).47.1.98.02 y 47.1.98.01
gobernador@guerrero.gob.mx
 
JESUS MURILLO KARAM
Procurador General de la República
Paseo de la Reforma 211-213, Piso 16
Col. Cuauhtémoc, Del. Cuauhtémoc, C.P. 06500 México D. F.
Tel: (52.55) 53460000 ext. 0108
Fax: (52.55) 5346.0928
ofproc@pgr.gob.mx
 
IÑAKI BLANCO CABRERA
Procurador General de Justicia del Estado de Guerrero
Procuraduría General de Justicia del Estado de Guerrero
Boulevard René Juárez Cisneros S/N, esquina calle Juan Jiménez Sánchez
Col. El Potrerito, C.P. 39098, Chilpancingo, Guerrero.
Tel. 01 747 494 29 99
pgj@guerrero.gob.mx
 
Dr. Raúl Plascencia Villanueva
Presidente de la Comisión Nacional de Derechos Humanos
Edificio “Héctor Fix Zamudio”, Blvd. Adolfo López Mateos 1922, 6° piso,
Col. Tlacopac San Angel, Del. Álvaro Obregón, C.P. 01040
Tels. y fax (55) 56 81 81 25 y 54 90 74 00
correo@cndh.org.mx
provictima@cndh.org.mx
 
Dr. Emilio Alvarez Icaza
Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos
1889 F Street, N.W. Washington, D.C., 20006 U.S.A.
Tel: 202-458-6002 Fax: 202-458-3992
cidhoea@oas.org

Con la presente esprimiamo la nostra preoccupazione per la situazione attuale nello stato di Guerrero dove membri della Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias, Policía Comunitaria (CRAC-PC) subiscono gravi violazioni dei loro diritti come cittadini messicani e membri di un’autorità indigena.

Il CRAC-PC da 15 anni svolge un compito strutturato e comunitario a difesa dei diritti umani degli abitanti di oltre 10 città della regione della Costa Chica e della Montaña dello stato di Guerrero, contando sulla partecipazione di più di 1.200 elementi ed oltre 12.000 abitanti della regione. L’organizzazione ha dimostrato l’efficacia del suo lavoro con una riduzione generale dei reati del 95% nella sua zona di azione. È di particolare importanza il lavoro che ha svolto nella riduzione del narcotraffico nella zona e con la cattura di elementi della criminalità organizzata, problema riconosciuto molto critico in ambito nazionale e internazionale. 

L’attività del CRAC-PC è tutelato dall’articolo 39 della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, oltre che dalla legge 701 dello Stato di Guerrero e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Come difensori e promotori dei diritti umani ed in particolare dei diritti indigeni, ci inquietano seriamente le recenti azioni di repressione contro membri della CRAC-PC da parte di elementi della polizia e dell’esercito, che includono incursioni nella zona di operazioni, minacce, maltrattamenti fisici compresa tortura e detenzioni arbitrarie. Una di queste detenzioni riguarda la Coordinatrice della Polizia Comunitaria di Olinalá, Nestora Salgado García, avvenuta senza mandato di cattura da parte di elementi dell’Esercito – una chiara violazione dei suoi diritti costituzionali e delle sue garanzie individuali previste dalla legge statale 701. Inoltre, è a nostra conoscenza che Salgado García è stata tenuta per diversi giorni senza poter contattare il suo avvocato o i familiari e che è stata arrestata senza considerare che il suo lavoro di catturare i criminali come polizia comunitaria è tutelato dalla legge 701 e pertanto non può costituire un atto di sequestro.

Ci uniamo alle richieste della CRAC-PC che includono: La liberazione immediata e incondizionata dei membri dell’organizzazione in prigione, il rispetto dell’autorità dell’istituzione, la cessazione della persecuzione militare e poliziesco del sistema comunitario, l’uscita dell’esercito e della marina dal territorio comunitario, e l’insediamento di un tavolo di dialogo tra il governo federale, la società civile organizzata e l’istituzione comunitaria.

Distintamente,

FIRME

…………………

…………………. 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Link di approfondimento e comunicato dell’organizzazione del 26 agosto:

http://www.caferebeldefc.org/?tag=polizia-comunitaria

http://sipaz.wordpress.com/tag/ayutla-de-los-libres/

http://www.policiacomunitaria.org/

 

COMUNICADO 26 DE AGOSTO

A LOS MEDIOS DE COMUNICACIÓN, PERIODISTAS, ORGANIZACIONES CIVILES, DEFENSORES DE DERECHOS HUMANOS Y LA SOCIEDAD CIVIL NACIONAL Y EXTRANJERA:

De manera respetuosa nos dirigimos a ustedes para exponer y denunciar lo siguiente:

Somos integrantes de la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias , Policía Comunitaria (CRAC-PC) de la casa de justicia de El Paraíso, Municipio de Ayutla de los Libres, Estado de Guerrero. Como es de conocimiento público, llevamos muchos años organizándonos para proteger a nuestros pueblos en contra de la delincuencia en general y ante el abandono de las instituciones gubernamentales; por lo mismo hemos sufrido represión desde nuestro surgimiento.
Haciendo uso de los derechos constitucionales nos basamos principalmente en el artículo 39 de la constitución mexicana, en la ley estatal guerrerense 701, así como el convenio 169 de la Organización Internacional de Trabajo (OIT) y nuestra ley de usos y costumbres de nuestros pueblos indígenas y mestizos así como nuestro reglamento interno. En todos estos años nos hemos enfrentado tanto a la delincuencia organizada como al sistema de gobierno; tan solo en los últimos meses nuestra casa de justicia ha tenido un crecimiento exponencial abarcando los siguientes municipios: Ayutla de los Libres, Tecoanapa, Tixtla de Guerrero, Atlixtac, Olinalá, Huamuxtitlan, Alpoyeca y Cualac. Entre los participantes están comisarios, delegados, comisariados, consejeros, coordinadores regionales, consejeros regionales, comandantes regionales, comandantes, segundos comandantes, cuerpos de policías, reservas y comunidades. La estructura de nuestra institución comunitaria cuenta con más de 1,200 integrantes. Sumando los pueblos que en ellas participan, se cuenta con la participación de alrededor de 12,000 personas.
Los policías comunitarios que se dedican a cuidar, proteger y administrar justicia en todo este territorio portan armamento artesanal y de bajo calibre. Han logrado bajar los índices de robo, asalto, secuestro, asesinatos, violación, presencia de sicarios, fraude, producción y tráfico de enervantes, entre estos resultados. A manera general, el índice de delitos se ha disminuida un 95%. Nuestra institución tenía detenido para su reeducación a más de 90 peligrosos delincuentes, muchos de ellos relacionados con los poderes gubernamentales y delincuencia organizada y eso precisamente es la causa de la inconformidad del gobierno.
Entonces, en un acto de guerra sin aviso, desplegó un impresionante operativo policiaco y militar, con alrededor de seis mil elementos – la mayoría de los llamados grupos de fuerzas especiales y alrededor de 250 vehículos entre Hummers, artillados, de transportes, blindados, helicópteros de la marina y fuerza aérea para vanagloriarse. “Rescataron” a 45 de los peligrosos delincuentes que posteriormente liberaron en un acto de descaro. Asimismo, detuvieron con lujo de violencia, maltrato y tortura, a 29 policías comunitarios que resguardaban a nuestra casa de justicia y a los delincuentes en diferentes regiones. Detuvieron también al coordinador regional de nuestra CRAC-PC de El Paraíso, Municipio de Ayutla de los Libres: Bernardino García Francisco.
De igual manera, elementos de la marina y ejército, con 150 integrantes armados con rifles, apuntando y cortando cartucho, detuvieron desde el miércoles 21 de agosto a la emblemática coordinadora regional del municipio de Olinalá, Nestora Salgado García, bajo cargos de secuestro y tortura. A pesar del anuncio oficial de su detención en el penal de máxima seguridad El Rincón, de Tepic, Nayarit, hasta el día de hoy, no ha sido presentada por autoridad alguna. Sus familiares no se han podido comunicar con ella ni han permitido que algún abogado la pueda ver. Por lo tanto, está en calidad de secuestrada- desaparecida. Igualmente informamos que siguen los operativos militares y policiacos en todo nuestro territorio comunitario y se han detenido varios otros de nuestros compañeros. Hemos mostrado prudencia y madurez pero no podemos aceptar vivir sitiados y amenazados ni con la constante violación a los derechos humanos. Todas las mesas de diálogo que le hemos propuesto al gobierno del estado y federal nos han respondido con prepotencia, engaño, farsa y con más represión.
La posibilidad de una masacre a nuestros grupos de policías comunitarias y a nuestras comunidades está cada vez más cerca. Sólo la denuncia y la solidaridad de los pueblos del mundo puede pararlo, y por lo tanto les pedimos el concurso de su esfuerzo para que este proyecto de vida no sea pisoteada por el mal gobierno. Nosotros como pueblos pobres y en lucha siempre optaremos por la vida, mantendremos en alto la bandera de nuestra dignidad. Desde este rincón de la patria llamado México, de los hombres, mujeres, ancianos, jóvenes y niños que vivimos orgullosamente en territorio comunitario, mandamos el saludo fraterno y el abrazo solidario que, aunque no nos conocen, somos sus hermanos.

Exigimos al gobierno estatal y federal:
La libertad inmediata e incondicional de tod@s nuestr@s compañeros
y compañer@s presos.
El respeto absoluto a nuestra institución de justicia comunitaria.
Cese al acoso militar y policiaco a todo nuestro sistema comunitario.
La salida del ejército y marina de nuestro territorio comunitario.
Castigo a quienes liberaron los delincuentes que tanto daño han causado a nuestros pueblos.
El establecimiento de una mesa de diálogo entre el gobierno federal, la sociedad civil organizada y nuestra institución comunitaria.

Atentamente,
COORDINADORA REGIONAL DE AUTORIDADES COMUNITARIAS,
POLICÍA COMUNITARIA (CRAC-PC).
CASA DE JUSTICIA, EL PARAÍSO, MUNICIPIO DE AYUTLA DE LOS LIBRES, GUERRERO, MÉXICO.
26 DE AGOSTO, 2013

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Comunicado de apoyo a l@ herman@s desplazad@s.

http://espoirchiapas.blogspot.mx/2013/09/comunicado-de-apoyo-l-hermans-desplazads.html

Frente a la desinformación oficial en el caso de los desplazados de Colonia Puebla, y la inactividad de las autoridad para su retorno, cerca de 60 colectivos de mas de 12 países, y 100 individuales se solidarizan con l@s herman@s desplazad@s y exigen la detención inmediata de los evangelistas quienes secuestraron al Padre Manuel y a los lideres, Agustin Cruz Gomez, y Jacinto Arias Cruz, igual exigen un retorno con seguridad de los 100 desplazados.

la Sociedad Civil Las Abejas,
A las bases de Apoyo Zapatista,
A la Junta de Buen Gobierno de Oventik,
A nuestros herman@s de Colonia Puebla, Chenalho,
A la Sociedad Civil,
A los medios libres y rebeldes,

Nosotros, como individuales, kolectivos Nacionales, Europeos, y del Mundo, una vez más nos movilizamos, y gritamos juntos nuestro YA BASTA frente a los últimos acontecimientos que pasaron en Colonia Puebla Chenalho.  Nuestros corazones se quedan dolidos, por saber y por ver que de nuevo en Chiapas, tuvieron que desplazarse forzosamente familias de su comunidad. Compartimos el dolor de esos compañer@s quienes tuvieron que dejar sus pertenencias, su campo, su milpa, para salvar su vida de los altos peligros y amenazas de un grupo de 1000 personas en la comunidad de Colonia Puebla.

No solo estos hechos nos hacen recordar el año 1997, donde todas las broncas y la militarización de Chenalho empiezo después de broncas en Puebla, pero igual nos hace parecer que las malas estrategias del PRI están de regreso.

Nos quedamos sensibles igual a la reactivación de los grupos paramilitares en la región. Y vigilamos bien que el desplazamiento de 80 personas no sea una etapa en una lógica de empoderamiento de guerra de contra insurrección. Denunciamos igual el enlace entre la liberación de los paramilitares autores materiales de la masacre de Acteal, y los actos que se están pasando.

Todo empiezo por la recuperación ilegal, de un grupo de evangelista del terreno de la ermita católica, ellos quienes rechazaron la construcción de una iglesia católica. Pero rápido las mentiras y las mañas re-empezaron, los evangelistas secuestrando y amenazando a 3 compañeros, de envenenar el agua. Ellos 3 tuvieron que desplazarse de la comunidad aunque por nada los hechos son reales. El día martes mientras que ellos habían anunciado su retorno, que una caravana civil les acompañaba pacíficamente, más de 100 jóvenes, unos de 12 años, acompañando por personas con corte militar, recibieron a la caravana con piedras. Tuvo que hacer vuelta. Por la noche quemaron a dos casas comunitarias de los católicos, quienes quedaron escondidos, y amenazados.

EL día miércoles 21 de agosto, un grupo de evangelista secuestraron al Padre Manuel, Sacerdote de la parroquia de Chenalho, durante más de 8 horas. Lo dejaron en las letrinas de la comunidad. Lo golpearon. Nunca el gobierno pudo contestar frente a esas amenazas, y nunca envió la fuerza pública para rescatar al Padre.  El día jueves, después de asustar a todos los católicos por el día, secuestrándolos en sus casas, unas familias decidieron desplazarse. Tomando un camino altamente peligroso y difícil de noche con lluvia. Más de 40 demás les siguieron por la mañana. Por el día de viernes otros tomaron la decisión de quitar su casa y sus pertenencias. Nunca la fuerza pública, aun avisada, tomo las medidas para garantizar la seguridad física de las familias desplazadas.

Así nosotros exigimos, la inmediata detención a los y las que secuestraron al Padre Manuel. Exigimos la inmediata detención de los lideres morales, que son Agustin  Cruz Gomez y Jacinto Arias Cruz, ex paramilitar, ex presidente municipal de Chenalho.

Exigimos que se garantice un pronto retorno con toda seguridad, en la comunidad de Colonia Puebla.

Por fin felicitamos la solidaridad entre los herman@s abejas y zapatistas quienes supieron apoyar al desplazamiento de sus hermanos oprimidos, organizando la solidaridad, desde abajo a la izquierda. Y nos solidarizamos al urgente llamado de acopio desde nuestros rincones.

NO MAS DESPLAZADOS EN CHIAPAS
VIVAN LAS ABEJAS
VIVAN LOS ZAPATISTAS

La Otra Europa:

Caracol Mundo-Eco de latido, Vienna Austria
Asocacion Espoir Chiapas / Esperanza Chiapas, Francia.

CEDOZ, Mexico.España,
Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid, España
Casa Nicaragua, Belgica
Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas, Pais Vasco
Grupo CafeZ de Lieja, Belgica
LaPirata (Plataforma Internacionalista por la Resistencia y Autogestion Tejiendo Autonomias)
Nomads (Italia, Berlin)
Nodo Solidario(Italia Mexico)
Colectivo Zapatista Mariso (Suiza)
Grupo de Solidaridad con Chiapas de Dorset, ingletera
Gruppe B.A.S.T.A., Münster, Alemania
CGT – Estado Español
Secretaria de la Mujer de la CGT España
Colectivo Tierra Lesbik,
Mut Vitz 13, Marseille, Francia
Comitato Chiapas ” Maribel ” – Bergamo, Italia
Secretaria de Accion Social, CGT ANDALUCIA
Ya Basta Netz Alemania,
Nodo Solidale (Italia y Mexico)
London Mexico Solidarity Group.
La red de Solidaridad Zapatista del Reino Unido
Caracol Zaragoza, España,
Colectivo Farma, Atenas Grecia
Accion Social Sindical Internacionalista ASSI
Plataforma de Solidaridad Con Chiapas de Aragan
Comité de Solidaridad con los Pueblos De Chiapas en lucha, Francia
La Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid,
Télé Directe, Francia,
ABCéditions Ah Bienvenus Clandestins, Francia
Caracol Solidario, Besancon, Francia
Icra International, Francia.
YoSoyUnDosTres, Lyon, Francia

El otro Mexico

Colectivo Educación para la Paz y los Derechos Humanos A.C. (CEPAZDH )
Amig@s de Mumia Mexico,
Kolectivo Ik
Kaos Mexico
Movimiento Migrante Mesoamericano
Kolectivo boca en boca
Maderas del Pueblo del Sureste A.C.
Radio Zapatista
Sector Nacional Obrero y de Trabajadores de la Ciudad, el campo, el Mar, y el Aire, Adherente a la Sexta
Pozol Colectivo ,
Hijo de la tierra,
Organización Zapatista “Educación para la Liberación de nuestros Pueblos”
Pueblos, Barrios y Colonias en Defensa de Atzcapotzalco
Biblioteca popular, Df,
Ejido de Tila, Sexta.
Naranjas de Hiroshima
Cooperativas de Medios

El otro Mundo

Wellington Zapatista Support Group, Nueva Zelandia.
Servicio Paz Y Justicia, SERPAJ, America Latina
Casapueblos, Argentina
Campaña Internacional de apoyo a los juicios genocidas en Argentina
Revista Codo a codo, Argentina
Peace and Diversity Australia


Individuales:

Barabara Gammaracio, Italia
Julie Webb Pullamn, Neo Zelandia
Frederico Noriega, Sevilla, España.-
Grace Leung, Nueva Zelandia
Laure Glenain, France,
Alejandro Reyes Arias
Samira Biabi, France
Lorena Aguilar Aguilar
Marta Sanchez Soler, Coordinacion Ejecutiva, MMM
Gustavo García Rojas, Mexico
Leon Chavez Teixeiro
Joelle Gauvin Racine,
Genevieve Messier,
Alma Rosa Rojas Zamora
Cecilia Granados Salgado, Etnologa ENAH
Ericka Guttierrez
Priscilia Tercero, DF, Mexico
Rocío Servín, Guanajuato
Angel Benhumea
Pedro Rivero
Brenda Porras
Fernando Lopez
Jorge Herrera
Pietro Ameglio
Myriam Fracchia
Daniella Guarrior, Canada,
Tony boulo, France
Oscar Yomero,
Marie Helene Bourdages,
Annie Lapalme, Canada
Jean Lapalme, Canada
Hugo Absalon,
Alvara Gonzalez,
Jose Luis Carrasco,
Anais Gagnon,
Sista Innes
Ivonne Hernandez,
Emi Pot Baggins
Juan Imassi, Argentina, Artista y docente
Maria Amalia Garcia de Argentina
Rachel Fernandez Trujillo, Internacionalista Bolivariana
Felipe I. Echenique March
Cristina Delgado Hughes, Argentina
Daniel Vila, Periodista, Argentina
Isabelle Martineau, France
Hicham Lemlah, France
Lise GIllot, France
Ana Bianca Kludt
Nicte-Ha Dzib, Niñoas en la Otra Campaña, Df
Susana Grau, Jubilaba docente, Ensenada Argentina
Maximina Fueyo, Jubilaba docente, Ensenada Argentina
Carole Radureau, France,
Eve-lyne Clusiault, Canada,
Frédérique Parpouille, France,
Eugénie Taï, France,
Dayli Na, Periodista, France,
Maurixio Sur, Colombia,
Pablo Podesta, Mexico,
Guadalupe Lopez B,

Antonio Piñeiro Fernandez,
Ana Clou, Alemania,
Ana Emilia Palacios,
Viviana Valdovinos,
Liliana Prado,
Sara Garfias,
Maria Gracia Castillo Ramirez,
Fania Vandelay,
Carlos Alberto Jimenez,
Gaspard Ilom
Illiria Ninelth
Claudia Torres
Lucia Ar,
Fernando Villalobos,
Marco Antonio Landeros Rico,
Sandra Luz Garcia Parra,
Chio Martinez Prieto.
Javiera Araya

Fotos del dia del desplazamiento

Fotos del traslado de Yabteclum a Acteal

Accion Urgente COlonia Puebla

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Gli zapatisti, l’arte di costruire un mondo nuovo: Raúl Zibechi

Dai suoi sei anni di altezza, Carlos Manuel abbraccia la vita di suo padre come se non dovesse mai staccarsene. Guarda il tetto e sorride. Julián, suo padre, cerca di liberarsi. Il bambino cede ma rimane vicino al padre. Irma, sua sorella di circa otto anni, osserva da un angolo della cucina dove sua madre, Esther, lavora al fuoco girando le tortillas di mais che continuano ad essere l’alimento base della famiglie contadine.

Gli altri tre figli, compreso il più grande, Francisco, di 16 anni, osservano la scena che si ripete durante i pasti, come se fosse un rituale. La cucina è il luogo delle conversazioni che si spargono lente come il fumo che ascende sui tetti di zinco. Le parole sono frugali e saporite quanto il cibo: fagioli, mais, caffè, banane e qualche verdura. Tutto seminato senza sostanze chimiche, raccolto ed elaborato a mano. Allevato in aperta campagna il pollo ha un sapore diverso, come tutto il cibo in questa comunità tojolabal.

Finito il pasto ognuno lava i propri piatti e le posate, compreso il padre che a tratti collabora nella preparazione del cibo. Chiedo se è normale in queste terre. Rispondono che è un’abitudine nelle terre zapatiste, non è così in quelle del “mal governo”, a cui si rivolgono, senza sarcasmo, chiamandoli “fratelli priisti”. Queste comunità, vicine a quelle che impugnano la stella rossa su sfondo nero, ricevono buoni e alimenti dal governo, che costruisce loro case di mattoni e pavimento di cemento.

In tutta la settimana non c’è stato il più piccolo gesto di aggressività tra padre, madre e figli. Neppure un segno di malcontento o rimprovero. Parrebbe che la proibizione del consumo di alcol ammorbidisca le relazioni umane. Le donne sono quelle che traggono maggiore beneficio dai cambiamenti. “Riconosco gli zapatisti dal modo in cui si alzano in piedi, soprattutto le donne”, commenta il navigato giornalista Hermann Bellinghausen.

Il giorno della fine del mondo

La nuova fase intrapresa dagli zapatisti è cominciata il 21 dicembre 2012, giorno etichettato dai media come la fine del mondo che per i maya è l’inizio di una nuova era. Decine di migliaia di basi d’appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si concentrarono nei cinque capoluoghi municipali del Chiapas, gli stessi che occuparono il 1 gennaio 1994.

La ricomparsa dello zapatismo ha commosso buona parte della società messicana. Non solo non erano scomparsi ma rinascevano con più forza, dimostrando che erano in grado di mobilitare una quantità importante di persone in formazione militare, per quanto senza armi.

Nel comunicato del 30 dicembre, il subcomandante Marcos assicura che “in questi anni ci siamo rafforzati e abbiamo migliorato significativamente le nostre condizioni di vita. Il nostro livello di vita è superiore a quello delle comunità indigene affiliate ai governi di turno, che ricevono l’elemosina e la sprecano in alcol e oggetti inutili”.

Aggiunge che a differenza di quanto succede nelle comunità affiliate al Partido Revolucionario Institucional (PRI), in quelle zapatiste “le donne non vengono vendute come mercanzia” e che “gli indigeni priisti vanno nei nostri ospedali, cliniche e laboratori perché in quelli del malgoverno non ci sono medicine, né apparecchiature, né dottori né personale qualificato”.

È stato possibile verificar qualcosa di tutto ciò per quanti hanno partecipato alla prima escuelita tra il 12 e il 16 di agosto. In realtà sono stati convocati solo i compagni di viaggio, il che fa supporre una virata radicale nelle modalità di relazione con la società civile: “A partire da adesso, la nostra parola comincerà a essere selettiva verso il suo destinatario e, salvo poche occasioni, potrà essere compresa solamente da quanti con noi hanno camminato e camminano, senza arrendersi alle mode mediatiche e congiunturali”, dice il comunicato.

Aggiunge che “pochissimi avranno il privilegio” di conoscere l’altro modo di fare politica. In una serie di comunicati intitolati “Loro e noi”, hanno rimarcato le differenze tra la cultura dei politici del sistema e la cultura dal basso o zapatista, assicurando che non hanno intenzione di “costruire una grande organizzazione con un centro dirigente, un comando centralizzato, un capo, sia individuale o collettivo”.

Risaltano che l’unità d’azione deve rispettare l’eterogeneità dei modi di fare: “ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. Quando si parla di “unità”, si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo. Sul falso altare della “unità” non si sacrificano solo le differenze, si nasconde anche la sopravvivenza di tutti i piccoli mondi di tirannie e ingiustizie in cui viviamo.”

Per comprendere questa prospettiva, che ha portato lo zapatismo a promuovere la escuelita di agosto, si devono capire i problemi che hanno passato con la sinistra elettorale e con le persone che, secondo loro, “si fanno vedere sui palchi e spariscono al momento di lavorare al buio dei riflettori”.

La logica della escuelita è opposta a quella di questa cultura politica. Non si tratta di andare ad ascoltare i comandanti indigeni né il subcomandante Marcos, ma di condividere la vita quotidiana con la gente comune. Non si tratta della trasmissione discorsiva e razionale di un sapere codificato. Si tratta di un’altra cosa: sperimentare una realtà a cui si può accedere solamente attraverso una promessa di impegno, ovvero esserci e condividere.

Una vita nuova

“Non abbiamo più difficoltà”, dice Julián, seduto su uno sgabello di legno grezzo, nella sua casa dal tetto di lamiera, dalle pareti di legno e dal pavimento di terra pressata. Lo dice con naturalezza di fronte a chi da quattro giorni dorme su assi di legno, appena rivestiti da una fine coperta. Julián entrò nell’organizzazione clandestina nel 1989. Marcelino, il mio guardiano o Votán, vi entrò poco prima, nel 1987.

Con soddisfazione raccontano delle riunioni clandestine nelle remote grotte in montagna, a cui arrivavano di notte decine di zapatisti, mentre i padroni e i loro sgherri dormivano. Camminavano tutta la notte e ritornavano in tempo all’alba per andare al lavoro. Le donne cucinavano loro le tortillas di nascosto, per non sollevare sospetti. A ben vedere, ha ragione quando dice che il peggio fa parte del passato. La frusta del proprietario terriero, l’umiliazione, la fame, la violenza e gli stupri delle figlie.

Il 1 gennaio del 1994 i proprietari terrieri scapparono e i loro sgherri gli corsero dietro. La comunità 8 di Marzo, dove è arrivato il nostro gruppo di quindici stranieri-alunni (metà messicani, uno yankee di 75 anni, un francese, un colombiano, due argentini e un uruguayano), si trova nelle terre che un giorno erano occupate da Pepe Castellanos, fratello di Absalón, tenente colonnello, ex governatore e proprietario di 14 tenute su terre usurpate agli indigeni. Il suo sequestro, in quel lontano gennaio, fu la scintilla che accelerò la fuga dei proprietari terrieri.

La comunità dispone di più di mille ettari di terre buone. Non devono più coltivare sui pendii rocciosi e aridi, raccolgono gli alimenti tradizionali e, su raccomandazione della comandancia, anche frutta e verdura. Non solo si sono liberati della frusta ma si alimentano meglio e riescono a risparmiare in un modo molto particolare. Julián raccoglie sei sacchi di caffè. 300 chili circa, di cui un sacco resta per il consumo famigliare e il resto lo vende. A seconda del prezzo, con ogni raccolto riesce a comprare tra le due e le tre vacche. “Le vacche sono la banca e quando abbiamo delle necessità, le vendiamo”.

Per necessità intende problemi di salute. Il suo figlio più grande dovette sottoporsi ad una cura e per sostenere le spese vendette un toro. È la stessa logica che applica la comunità. Nelle terre comunitarie coltivano collettivamente il caffè e con il raccolto comprano cavalli e vacche. Tra gli animali delle famiglie e quelli dei lavori collettivi, possiedono 150 cavalli e quasi 200 bovini.

Giorni prima che arrivassero gli alunni si ruppe il filtro dell’acqua e per ripararlo decisero di vendere una vacca. Allo stesso modo sostengono la casa di salute, la scuola e tutte le spese che richiedono il trasporto e l’alloggio dei compagni che devono ricoprire gli incarichi nei tre livelli dell’autogoverno: quello locale o comunitario, dei municipi autonomi e delle Giunte di Buon Governo.

Anche le donne hanno attività comunitarie. In questa comunità avevano una coltivazione di caffè con cui comprarono sei vacche, e un allevamento di galline con una cinquantina di animali i cui ricavi vengono utilizzati per gli spostamenti e le spese delle donne che occupano incarichi o partecipano ai corsi.

Le poche provviste che non producono le famiglie (sale, zucchero, olio e sapone) le comprano nelle botteghe zapatiste dei capoluoghi municipali, collocate nei locali occupati dopo l’insurrezione del 1994. In questo modo non hanno bisogno di andare al mercato e tutta la loro economia si mantiene all’interno di un circuito che controllano, autosufficiente, vincolato al mercato ma indipendente dallo stesso.

Le botteghe sono gestite a rotazione dai compagni delle comunità. Julián spiega che una volta ogni gli tocca rimanere un mese nella bottega di Altamirano (a un’ora dalla comunità), cosa che lo obbliga a lasciare casa. “In questo caso la comunità ti sostituisce nella milpa [appezzamento di terra solitamente coltivato a mais e fagioli, ndt] per quindici giorni e io appoggio allo stesso modo quello a cui tocca andare alla bottega.”. Esther ebbe un incarico nella giunta, Caracol di Morelia, a mezz’ora dalla comunità, e le sue attività vennero sostenute allo stesso modo, che possiamo chiamare reciprocità.

Salute ed educazione

Ogni comunità, per piccola che sia, ha una scuola e un presidio medico. Nella comunità 8 di Marzo ci sono 48 famiglie, quasi tutte zapatiste. L’assemblea elegge le sue autorità, metà uomini e metà donne, i suoi insegnanti e il personale medico incaricato. Nessuno può sottrarsi perché è un servizio per la comunità.

La scuola si svolge in una sala della grande casa abbandonata da un proprietario terriero. Sopravvive ancora una grata di ferro attraverso cui pagava i suoi braccianti, i quali potevano vedere appena una mano che lasciava cadere monete dato che l’oscurità nascondeva il volto del padrone.

Di mattina presto i bambini si radunano nel campo di basket davanti alla grande casa, marciano in fila con passo marziale, guidati da un giovane della comunità che non deve superare i 25 anni. L’educazione zapatista soffre la mancanza di infrastrutture, i locali sono precari, così come i banchi e il materiale. Gli insegnanti non ricevono uno stipendio ma vengono sostenuti dalla comunità, allo stesso modo del personale medico incaricato.

Tuttavia vi sono enormi vantaggi per gli alunni: i maestri sono membri della comunità, parlano la loro lingua e sono loro pari, nelle scuole di stato invece (quelle del mal governo), i maestri non sono indigeni ma meticci che non parlano la loro lingua, perfino li disprezzano, vivono lontani dalla comunità e mantengono una distanza verticale con i bambini.

Il clima di fiducia nelle scuole autonome facilita relazioni più orizzontali e la partecipazione dei genitori e degli alunni nella gestione della scuola. I bambini prendono parte a molti compiti nella comunità, tra cui il sostegno alla scuola e ai suoi maestri. Non esiste distanza tra scuola e comunità dato che sono parte di uno stesso intreccio di relazioni sociali.

Se la scuola ufficiale ha un percorso di studi opaco attraverso cui trasmette i valori dell’individualismo, delle competenze, dell’organizzazione verticale del sistema educativo e della superiorità dei docenti sugli alunni, l’educazione zapatista è il rovescio. Il percorso di studi si costruisce in forma collettiva e si cerca di far appropriare i bambini della storia della loro comunità perché la riproducano e la sostengano.

La trasformazione e la critica sono permanenti e lavorano per costruire collettivamente la conoscenza, visto che gli alunni sono abituati a lavorare in squadra e buona parte del tempo scolastico lo trascorrono fuori dall’aula, a contatto con gli stessi elementi che configurano la loro vita quotidiana. Quello che nella scuola di stato è separazione e gerarchia (maestro-alunno, aula-ricreazione, sapere-non sapere), nelle scuole autonome è inclusione e complementarietà.

Nella piccola sala di salute convivono medicine dell’industria farmaceutica con un’ampia varietà di piante medicinali. Una ragazza molto giovane si incarica di ricavare sciroppi e pomate da quelle piante. La sala conta con un’ortopedica e un’ostetrica, che completano l’equipe base di salute in tutte le comunità zapatiste. Generalmente affrontano situazioni relativamente semplici e quando si sentono sormontare trasferiscono il paziente alla clinica del caracol. Se non possono risolvere la situazione, vanno all’ospedale statale di Altamirano.

La salute e l’educazione sono suddivise negli stessi tre livelli del potere autonomo zapatista. Nei caracoles di solito si trovano le cliniche più avanzate e uno di essi dispone di una sala operatoria attiva. Nei caracoles, che ospitano le Giunte di Buon Governo, di solito ci sono anche le scuole secondarie autonome.

La escuelita

Ci sono volute sette ore per percorrere i cento chilometri che separano San Cristóbal dal caracol Morelia. La carovana di trenta furgoni e macchine parte tardi e avanza a passo di tartaruga. Verso le due di notte arriviamo al Caracol, un recinto in cui si trova un intreccio di costruzioni che ospitano le istituzioni della regione autonoma: tre municipi, dodici regioni e decine di comunità, governate dalla Giunta di Buon Governo.

Inoltre c’è una scuola secondaria e un ospedale in costruzione, cliniche, anfiteatri, botteghe, mense, calzolerie e altre attività produttive.

Nonostante l’ora, ci aspettavano una lunga fila di uomini e un’altra di donne bardati con i loro paliacate. Ci siamo divisi per sesso e uno a uno siamo andati a conoscere i nostri Votán. Marcelino allunga la mano e mi chiede di accompagnarlo. Andiamo fino all’enorme auditorium dritti a dormire sui banchi durissimi.

La mattina caffè, fagioli e tortillas. Poi parlano i membri della Giunta e spiegano come funzionerà la escuelita. Il pomeriggio, quasi sera, partiamo per la comunità. Tra gli alunni abbiamo visto Nora Cortiñas, delle Madri di Plaza de Mayo, e Hugo Blanco, dirigente contadino ed ex guerrigliero peruviano, entrambi sulla soglia degli ottanta anni.

Arriviamo alla comunità verso mezzanotte, dopo mezz’ora di scivoloni nel cassone di un piccolo camion. Tutta la comunità, divisa in file di uomini, donne e bambini con passamontagna, ci riceve con il pugno in alto. Ci danno il benvenuto e presentano ad ogni alunno la famiglia con cui vivrà. Julián si presenta e quando tutti hanno incontrato la propria famiglia, ce ne andiamo a dormire.

Prima sorpresa. Hanno diviso la casa con una parete, hanno lasciato una stanza per l’ospite con un ingresso a parte e i sette membri della famiglia si sono ammassati su un’uguale superficie. Ci svegliano alle prime luci per la colazione. Poi andiamo, machete alla mano, a pulire la coltivazione di caffè della famiglia fino all’ora di pranzo.

Il secondo giorno abbiamo legato il bestiame per le vaccinazioni e il terzo c’è toccata la pulizia della coltivazione collettiva di caffè. Così ogni giorno, integrando il lavoro con spiegazioni dettagliate sulla vita comunitaria. Nei pomeriggi toccava leggere i quattro quaderni distribuiti sul Governo Autonomo, la Resistenza Autonoma e la Partecipazione delle Donne al Governo Autonomo, con resoconti di indigeni e autorità.

Ogni alunno poteva formulare le domande più disparate, il che vuol dire che non sempre hanno avuto una risposta. Abbiamo potuto convivere con una cultura politica diversa da quella che conosciamo: quando gli si rivolge una domanda, si guardano, dialogano a voce bassa e, alla fine, risponde uno per tutti. È stata un’esperienza meravigliosa, un apprendimento pratico, di condivisione, assaporando la vita quotidiana di popoli che stanno costruendo un mondo nuovo.

Pubblicato in Programa de las Américas

Pubblicato il 2 settembre 2013

Testo originale: http://desinformemonos.org/2013/09/los-zapatistas-el-arte-de-construir-un-mundo-nuevo-raul-zibechi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=los-zapatistas-el-arte-de-construir-un-mundo-nuevo-raul-zibechi

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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Il fiore dell’autonomia non cresce ovunque

Per il direttore dell’Università della Terra a Oaxaca, il grande insegnamento degli zapatisti è che per resistere è indispensabile costruire alternative.
Gustavo Esteva, intellettuale

Messico. Forse non c’è un’altra formazione che per quasi vent’anni è stata bersagliata quotidianamente e permanentemente – da militari, paramilitari e in tutti i modi immaginabili – come gli zapatisti. Quello che impariamo con loro e con altri popoli del paese è che la resistenza non è semplicemente tenere duro. Bisogna resistere, bisogna opporsi ad un programma, ad un’azione, ad una diga o miniera, ma l’unico modo in cui la resistenza potrà aver successo sarà se allo stesso tempo sapremo costruire realmente una diversa possibilità di vita, che è quello che hanno fatto i compagni zapatisti. Hanno un modo diverso di vivere e di governare che nessuno può più distruggere. Possono ucciderli tutti e sarà l’unico modo, ma non possono distruggere quel modo di vivere.

Questo è quanto abbiamo imparato: la resistenza ha successo, può durare, può reggere e può continuare nel tempo se costruisce un’alternativa. Non possiamo tenere duro e basta; perdiamo se restiamo solo a questo livello. E questa costruzione dell’autonomia è ciò che la definisce.

S’è visto in diverse comunità e i compa lo ripetono che il fiore dell’autonomia non cresce ovunque. Bisogna individuare il terreno, dove può germogliare, e bisogna concimarlo con quello che ci dicono i compagni, che vuol dire che dobbiamo organizzarci. Ma l’organizzazione implica innanzitutto saper vedere qual è il terreno in cui la costruzione dell’autonomia può aver luogo.

Testo originale: http://desinformemonos.org/2013/08/la-flor-de-la-autonomia-no-crece-en-todas-partes-gustavo-esteva-intelectual/

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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La Escuelita zapatista

Miguel Concha

La Escuelita zapatista è stata colma di esperienze, saperi e speranze confermate. Sono stati momenti per generare nuovi stimoli in un’epoca che sembra perdere riferimenti di lotta e trasformazione. La vita in comunità ed il lavoro collettivo hanno permesso a 1.700 persone, venute da diverse parti della Repubblica e del mondo, di riconoscersi nel forte desiderio di collaborare nella costruzione di un mondo dove stiano tutti i mondi.

L’invito fatto al Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria OP AC, ed il vissuto di due giovani compagni di questa organizzazione, esortano a diffondere alcune riflessioni al riguardo. Innanzitutto si ringraziano gli zapatisti per l’invito a un così importante esercizio di riflessione e formativo. E si ringraziano le migliaia di famiglie zapatiste che hanno accolto gli allievi. Si riconosce inoltre che questa convocazione è arrivata in un momento in cui i movimenti, collettivi ed organizzazioni sociali hanno bisogno di intessere le rispettive conoscenze con quelle dei popoli che resistono di fronte ad un sistema di morte che sfrutta ed esclude. Lo zapatismo è la dimostrazione che un altro mondo è possibile e, contrariamente a quello che il malgoverno dice, è un riferimento che ispira a continuare nelle lotte per un mondo più degno e giusto. Da quando i popoli zapatisti sono riapparsi il 21 dicembre scorso, si era percepito che c’era un messaggio profondo per il paese e per il mondo. Nei primi mesi dell’anno hanno poi invitato ad incontrarli. E così si è potuto condividere quello che hanno costruito in questi quasi 20 anni, e come lo hanno fatto. Una settimana di incontri è servita affinché i partecipanti si rendessero conto che la lotta zapatista non è mai stata endogamica, ma è partecipata con tutti i popoli del mondo, perché come ben dicono, per tutti tutto, per noi niente.

La pedagogia impiegata è stata quella dell’accompagnamento, dell’attenzione e dell’umiltà. Ogni partecipante è sempre stato accompagnato da una persona che lo ha guidato nella comunità e gli ha comunicato le sue conoscenze sullo zapatismo: il Votán. I popoli zapatisti li hanno accolti con amore, speranza e senza distinzione alcuna. Fin dal primo momento si sentiva l’allegria e il giubilo non solo dei nuovi arrivati, ma anche di tutte le persone che vivono nel territorio autonomo. Al mattino si condividevano il caffè, il mais ed i fagioli che le stesse comunità producono per la loro alimentazione. Poi si stava insieme a svolgere le attività quotidiane nella comunità: pulire la piantagione di caffè, fare tortillas, mettere i fagioli a cuocere, mietere mais tenero per i tamales, andare per legna o fare il pane. Tutto in maniera collettiva. Ed era durante queste attività che si imparava quello che le comunità zapatiste volevano insegnare. Mentre si era nella milpa, o si macinava il mais per le tortillas, erano chiaramente spiegati i sette principi dello zapatismo e le forme di organizzazione dei caracol. Gli allievi hanno compreso cosa implica il comandare ubbidendo, e stando in comunità, con domande ricorrenti, col passare dei giorni hanno conosciuto la libertà secondo gli zapatisti. A poco a poco si sono sentiti parte di quel processo di autonomia e liberazione. Gli zapatisti hanno raccontato come il malgoverno li attacca ripetutamente, ed hanno ascoltato le esperienze degli allievi, quello che il malgoverno fa nei luoghi da dove sono arrivati. Sono stati momenti propizi per capire che le esperienze del basso sono sorelle, perché hanno uno stesso nemico da sconfiggere: il potere oppressore, capitalista, coloniale e patriarcale. Nel pomeriggio tutti si partecipava ad una riunione per chiarire i dubbi.

Le domande si facevano in castigliano; le risposte erano in tzeltal o tzotzil. Tutta la comunità partecipava, e dopo un cenno i Votán spiegavano agli allievi le risposte della comunità. Il Votán era individuale, ma anche collettivo; cioè, tutta la comunità ha insegnato ed accompagnato in maniera unita. Non ci sono mai stati discorsi complicati o discussioni ideologiche. Ha predominato la conversazione amichevole: uno scambio di prospettive ed esperienze.

Questo è stato la Escuelita zapatista, un vissuto molto particolare per chi vi ha partecipato. Verso la fine della settimana sono stati tutti festeggiamenti. Le comunità hanno salutato gli allievi con musica e cibo, con balli e sorrisi. Dopo aver imparato, non restava che ringraziare per la vita e la speranza dei popoli zapatisti. Trent’anni dalla clandestinità e 20 dall’insurrezione sono sufficienti per comprendere le forti radici presenti nel territorio autonomo. Ma, a loro dire, ne mancano ancora molti, fino a che tutte e tutti siano liberi. Dai villaggi, gli allievi sono tornati nei caracol. Le conversazioni tra le e gli allievi al loro rientro erano piene di emozione: erano frastornati da tutto quello che il cuore della comunità aveva dato loro. Le autorità zapatiste hanno spiegato i particolari della loro organizzazione politica ed economica. Hanno descritto cosa e come è organizzata la struttura delle giunte di buon governo e dei municipi autonomi, e com’è che rendono concreto che il popolo comandi ed il governo ubbidisca. Si è esortato a tornare nei luoghi di origine e condividere quanto appreso, ma anche che è dalle proprie azioni che si costruiscono la libertà e l’autonomia. E si cambia il malgoverno. Dai caracol, gli allievi sono tornati al Cideci. Lì si è svolta la cattedra Tata Juan Chávez Alonso. Più di 200 delegati dei popoli indigeni si sono incontrati per condividere le loro lotte. All’unisono hanno denunciato il saccheggio dei loro territori ed i modi in cui il governo e le multinazionali distruggono la vita, la storia e la cultura. Ed hanno riconosciuto ed incoraggiato le lotte per l’autonomia e la libera determinazione dei popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/31/opinion/017a2pol

(Traduzione “Marbel” – Bergamo)

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Principi e modi zapatisti

Neil Harvey *

La escuelita zapatista che si è svolta in Chiapas tra il 12 e 16 agosto ha avuto una doppia funzione: da una parte, si è rivolta agli studenti arrivati da fuori come parte di una nuova iniziativa politica dell’EZLN iniziata con la marcia silenziosa del 21 dicembre 2012. La scuola è lo sforzo degli zapatisti di fare conoscere, dalla loro stessa analisi e testimonianza, la loro esperienza nella costruzione dell’autonomia comunitaria, municipale e di zona, allo scopo che queste lezioni possano essere utili in altri spazi.

Rappresenta in parte la continuazione delle relazioni presentate nell’Incontro dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo, del 2007, ma con maggiore profondità e con nuovi metodi di organizzazione. L’assegnazione di un uomo o una donna delle basi di appoggio ad ogni studente come propri custodi, ha fatto sì che l’interazione fosse più diretta ed arricchente, mentre le presentazioni e sessioni di domande e risposte hanno dimostrato la disponibilità di condividere non solo i progressi, ma anche limitazioni, errori e, soprattutto, nuovi modi di correggerli.

Nello stesso tempo, la escuelita ha avuto impatto all’interno delle comunità zapatiste promuovendo la discussione e l’elaborazione di quattro libri e due dvd sui governi autonomi, l’autonomia e le donne, e la resistenza, lasciando a disposizione un importante strumento per l’educazione autonoma e la nuova generazione di giovani zapatisti. Nel processo si va consolidando la centralità dei sette principi di governo zapatista: ubbidire e non comandare; rappresentare e non sostituire; scendere e non salire; servire e non servirsi; convincere e non vincere; costruire e non distruggere, e proporre e non imporre.

La scuola dunque è uno spazio di dialogo, un’opportunità per conoscere e condividere non unicamente i principi zapatisti, ma anche le sue pratiche o modi. Ma, che cosa sono i modi zapatisti? Sebbene resistano alla definizione, è possibile valutare il modo in cui questi sono espressi nelle decisioni e nelle azioni dei membri dell’EZLN.

Detti modi si manifestano nella pratica, cioè, nella capacità di rispondere in maniera includente e creativa ai problemi che si presentano. Attraverso la loro pratica, gli zapatisti danno significato ai sette principi già menzionati.

Durante la escuelita sono stati affrontati cinque temis: governo autonomo, donne, resistenza, giustizia e democrazia. In ognuno, le pratiche rivelano diversi processi di analisi, consultazione e riflessione che sostentano questo modo zapatista di rispondere a nuove sfide e problemi. 

Per esempio, la creazione delle giunte di buon governo (JBG) su scala regionale ha risposto ai problemi di squilibrio tra i municipi autonomi che si erano presentati alla fine del 1994. Il risultato di questa riorganizzazione, è una migliore distribuzione di aiuti solidali tra tutte le comunità e municipi zapatisti.

In quanto alla partecipazione delle donne, nelle JBG si è conseguita una rappresentanza più equa (per esempio, la composizione della JBG di La Realidad è passata da una a 12 donne tra il 2003 e il 2011), pur tuttavia esistono limitazioni dovute al machismo in molte comunità, che non permettono la partecipazione piena del settore femminile nelle attività organizzative. Gli zapatisti stanno tentando di cambiare questo atteggiamento insegnando che il machismo non viene dalla cultura indigena, bensì dai colonizzatori, e che furono i padroni ed i finqueros ad imporre l’idea che la donna non ha gli stessi diritti degli uomini, di modo che ora sconfiggere il machismo non implica andare contro i costumi indigeni, ma combattere insieme, uomini e donne, contro questo tipo di dominazione e costruire nuove forme di convivenza.

L’autonomia si costruisce anche nella resistenza alle molte strategie contrainsurgentes scatenate in Chiapas. Esempi notevoli sono la decisione di ricostruire cinque Aguascalientes dopo la distruzione dell’Aguascalientes di Guadalupe Tepeyac da parte dell’Esercito nel 1995, ed il modo in cui si affrontano i problemi economici attuali attraverso la creazione di nuove banche zapatiste che permettono di far fronte ad elevate spese mediche ad un tasso di interesse del 2 percento, o promuovere nuove attività collettive che permettono ai giovani di rimanere nelle proprie comunità e così evitare l’emigrazione.

In quanto alla giustizia, gli zapatisti prevedono la riabilitazione come miglior modo di stabilire condizioni reali di maggior sicurezza ed impedire la corruzione associata al pagamento di multe, come avviene nel sistema ufficiale. La riabilitazione molte volte si consegue col lavoro collettivo e l’apprendimento di un mestiere che permette la reintegrazione nella comunità invece della continuazione dei reati. È importante anche segnalare che le autorità zapatiste vogliono che le parti in conflitto giungano ad accordi per evitare problemi più grandi. 

Infine, il modo zapatista di praticare la democrazia persegue la più ampia partecipazione possibile. Per esempio, la JBG di La Garrucha conta su 24 autorità elette con voto segreto. Il suo mandato è di tre anni, ma il lavoro si spartisce tra tre gruppi di otto persone che si alternano ogni 10 giorni. La democrazia non si limita alle elezioni, ma è qualcosa che si promuove in ogni spazio e tempo. Per esempio, le proposte delle JBG per implementare qualsiasi progetto devono essere presentate e discusse nelle assemblee di ogni comunità della zona. Lì si possono modificare le proposte ed includere altre considerazioni.

I modi zapatisti si manifestano così nei modi di governare e creare alternative vitali. Sono le pratiche quelle che mantengono aperti gli spazi necessari affinché tutti possano partecipare come uguagli nella discussione e nell’applicazione dei diversi progetti, e così continuare a costruire, correggere e progredire. Questi sono i modi zapatisti. 

*Professore-ricercatore dell’Università Statale del New México, campus Las Cruces

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/018a2pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Appunti del corso La libertà Secondo l@s Zapatistas

Gilberto López y Rivas

E’ stato un privilegio assistere come alunno al corso di primo grado La Libertà Secondo l@s Zapatistas che si è svolto parallelamente in diversi territori dei governi autonomi, e nel Centro Indigeno di Formazione Integrale – Unitierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dal 12 al 17 agosto. 

Per i suoi molteplici significati politici, strategici, programmatici e tattici nella tragica attualità di un paese devastato dal governo di tradimento nazionale e da suoi soci corporativo-repressivi (includendo il crimine organizzato), il corso impartito da indigeni delle diverse etnie che formano i governi autonomi zapatisti costituisce un appello urgente alla coscienza nazionale, agli uomini e alle donne con dignità e interezza ad organizzarsi, resistere e lottare per un mondo migliore dove si comandi ubbidendo ai popoli a partire da sette principi: 1. Servire e non servirsi. 2. Rappresentare e non sostituire. 3. Costruire e non distruggere. 4. Ubbidire e non comandare. 5. Proporre e non imporre. 6. Convincere e non vincere. 7. Scendere e non salire; e sulla base della massima etica che guida l’EZLN: Per tutti, tutto, per noi, niente, è questo il codice di condotta opposto a quello con cui agisce la classe politica messicana.

In questa settimana memorabile, accompagnati dal nostro Votán, il tutore o cuore-guardiano del popolo e della terra, e dei nostri libri di testo di lettura-consultazione-discussione, noi allievi ci siamo addentrati nello studio della storia del governo autonomo. Si sono ricordati gli anni difficili della clandestinità, con l’arrivo delle Forze di Liberazione Nazionale nella selva Lacandona, il 17 novembre 1983; i 10 anni di preparazione che precedono la dichiarazione di guerra; il processo lento ma diffuso di presa di coscienza sul ruolo da giocare quando ogni tanto sorgono uomini e donne che pensano agli altri, che si ribellano per esigere terra e libertà.

Si è ricordato l’insediamento dei 38 municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), una volta consumato l’inadempimento degli accordi di San Andrés e, successivamente, i maestri e le maestre hanno descritto le condizioni ed i problemi che hanno portato alla creazione delle cinque giunte di buon governo, l’8 agosto 2003. Noi allievi abbiamo imparato come si organizza il governo negli ambiti comunitari, municipali e zonali. Con giri linguistici ed una grande capacità di sintesi e concettualizzazione, i nostri mentori hanno illustrato il percorso di costruzione e rinvigorimento della loro autonomia attraverso la pratica collettiva di uomini, donne, bambini ed anziani, con successi ed errori, scartando quello che non funziona e cambiando il necessario. Se qualcosa viene male, noi lo miglioriamo, sono passati solo 19 anni da quando abbiamo cominciato a costruire la nostra autonomia, contro 520 anni di oppressione!

Nella conduzione, partecipazione e contenuto tematico del corso, si sono evidenziate le conquiste delle donne nei governi autonomi, nelle commissioni di educazione, salute, progetti produttivi, nei cambiamenti nella quotidianità, nei lavori domestici e nella cura dei figli, come nello sport e negli eventi pubblici. Anche qui le maestre hanno ricordato come nella clandestinità sia iniziata l’integrazione delle donne nelle milizie, nelle file degli insorti, rendendo manifesto la parità di genere attuale nei tre livelli di governo. I maschilisti, ce ne sono, si scontrano ora con le autorità autonome, con le assemblee e col diritto delle donne di denunciare qualunque maltrattamento. Se la donna ricopre un incarico, il compagno deve prendersi cura dei figli, cucinare, fare il bucato, mi diceva il mio Votán.

Un altro tema importante delle lezioni è stato la resistenza, perché il malgoverno non ha lasciato in pace gli zapatisti un solo giorno. Sanno bene che i media sono potenti strumenti di propaganda che mentono sempre; per questo hanno creato i propri mezzi di comunicazione. Definiscono i partiti politici di ogni colore come strumenti di divisione e manipolazione che promuovono gli attacchi contro i popoli zapatisti ed i loro governi. Ma in questo conflitto gli zapatisti adottano una politica di non scontro che è tornata a loro beneficio: abbiamo cercato di non alterarci per evitare la violenza. Non alterandoci, ne siamo usciti vincitori. Con la nostra pazienza, siamo riusciti a risolvere molti problemi. La nostra forza è la nostra organizzazione, senza aggredire chi ci fa del male. I maestri raccontano che i fratelli dei partiti sono diventati dipendenti da aiuti e programmi governativi, che abbandonano i lavori produttivi e vendono la terra, mentre gli zapatisti, in maniera collettiva, lavorano nei terreni recuperati e contano sulle proprie risorse e risparmi. Paradossalmente, molti aderenti ai partiti finiscono per chiedere aiuto agli zapatisti, vengono nelle loro cliniche, dove li trattano come esseri umani, e ricorrono ai loro governi per l’applicazione della giustizia e risoluzione rapida dei conflitti. La resistenza ci ha dato ci ha dato la forza di costruire l’autonomia. Dal 1994 il malgoverno ci ha sempre attaccato; ha tentato tutti i modi per attaccarci, ma oggi, siamo qui! Fa la sua politica e noi ci organizziamo e lottiamo per tutti. Così, i nostri educatori ci hanno mostrato come resistono nell’ambito ideologico, economico,  politico, culturale, che è il modo di vivere; hanno dimostrato che né eserciti né paramilitari hanno impedito lo sviluppo delle loro autonomie”. 

Sono stati trattati molti altri argomenti, tutti con profondità, senso dell’umorismo e franchezza, con orgoglio per le conquiste, ma con modestia. Al termine del corso è arrivato il momento di salutare maestr@ e Votán, con un nodo alla gola e pianto aperto di molti. Per gli egresados della escuelita, il mondo non potrà più essere lo stesso. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 agosto 2013

Rischio di massacro nella colonia Puebla, come ad Acteal, avvertono Las Abejas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 agosto. I membri dell’organizzazione della società civile Las Abejas, della colonia Yaxgemel (municipio di Chenalhó), ritengono pericolosa la tardiva presenza della polizia nella colonia Puebla, dove la situazione è allarmante, e citarono le parole di Javier Hernández Cruz, aggressore del parroco di Chenalhó la settimana scorsa, che avrebbe detto: È necessario  far prendere aria e scaldare le munizioni, perché sono chiuse da da anni e si sono raffreddate, in riferimento alle armi che lui e tutti i paramilitari di Puebla hanno conservato dopo il massacro di Acteal.

Lo stesso individuo ha minacciato di morte un catechista di Yaxgemel, mentre altri elementi hanno minacciato uno degli autisti che hanno portato gli sfollati a San Cristóbal de las Casas.

Pronunciandosi contro la violenza sistematica nella località vicina, affermano: 

“A noi che abbiamo subito nella carne lo sgombero forzato del 1997, indigna e deprime psicologicamente lo sfollamento dei nostri fratelli e familiari di Puebla, perché il modo in cui si è sviluppato questo conflitto e la violenza sono identici al processo che portò alla guerra sporca“. Nella colonia Puebla sono nati i primi paramilitari che estesero il conflitto ed incitarono al paramilitarismo in varie comunità di Chenalhó nel 1997.

La nuova violenza è iniziata pretestuosamente come un problema religioso ma è la strategia ed il mascheramento dei malgoverni, ed in fondo un attacco diretto ai nostri compagni, affermano Jacobo Hernández Gómez, Diego Guzmán Gómez e Lázaro Arias Gómez. Il modo in cui si è sviluppato il problema è di carattere contrainsurgente, l’abbiamo già vissuto e sappiamo riconoscere la natura dei conflitti. 

La violenza avrebbe potuto essere risolta senza sgomberi se le autorità avessero la volontà e la capacità di fornire una soluzione pacifica e immediata. Tuttavia, è stato il contrario, come logico, perché tutte le autorità competenti fanno parte degli artefici del conflitto.

Complicità del governo

La complicità dei governi è stata confermata quando nel pomeriggio del giorno 22 gli ora esiliati, rinchiusi e minacciati di morte, hanno chiesto la protezione della forza pubblica per andarsene, ma è stata loro negata. Ciò nonostante, quando le persone minacciate erano già andate via, le autorità della colonia Puebla, i responsabili delle aggressioni, hanno chiesto l’intervento della forza pubblica, che gli è stato concesso. Ora, la polizia si è insediata lì insieme ai responsabili della violenza. 

La presenza della polizia a Puebla sarebbe per fornire protezione, ma in realtà serve a militarizzare le nostre comunità, sostengono i rappresentanti tzotzil. Temiamo un altro massacro; sappiamo che i poliziotti possono addestrare i paramilitari, che sono attivi, e la violenza estendersi ad altre comunità. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/29/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Permetteremo un altro massacro come ad Acteal?

da Medianoche

Mercoledì 28 agosto 2013 21:51 

Il massacro di Acteal nel 1997 ebbe come preludio una serie di provocazioni identiche a quella di oggi nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove ci sono già centinaia di persone sfollate.  I responsabili delle provocazioni di oggi sono i figli dei paramilitari del 1997. 

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 28 agosto 2013.- C’è chi ancora ricorda che l’escalation che portò al massacro di Acteal dove furono assassinate 45 persone, tra le quali bambini, bambine e donne incinta, cominciò con provocazioni ed aggressioni come quelle viste in questi giorni nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove già centinaia di persone sono sfollate. Malgrado nella memoria collettiva rimangano frasi come “Mai più Acteal”, oggi chi lotta ed il pubblico in generale reagiscono poco di fronte alla nuova escalation che può finire in un nuovo massacro. Mentre alcune cronache sui media liberi in questi giorni raggiungono livelli di lettura storici, le notizie sulla escalation delle aggressioni hanno pochissime letture, e la raccolta di viveri a San Cristóbal del las Casas è insignificante. Come società civile nazionale e internazionale e come persone impegnate, permetteremo un altro Acteal a Chenalhó, Chiapas?

La colonia Puebla a Chenalhó, Chiapas, è uno dei due luoghi da dove partirono i paramilitari che eseguirono il massacro di Acteal, salvo un’autorità, il resto degli autori materiali non andò mai in prigione, diversamente dai paramilitari dell’altro luogo da dove partirono: Los Chorros, che furono processati ed imprigionati e che poco tempo fa sono stati rilasciati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione. Dopo la liberazione di questi ultimi, e di fronte all’impunità chiamata giustizia è iniziata l’escalation a Puebla, Chenalhó. Se un gruppo può assassinare impunemente 45 persone, e la Corte Suprema di Giustizia della Nazione lo libera, vuol dire che l’impunità si è fatta legge, la massima legge della nazione. Le famiglie paramilitari della zona agiscono di conseguenza e mandano i loro figli, molti dei quali bambini, a minacciare, perseguitare e lapidare le famiglie non affiliate. Ripetutamente le autorità municipali e statali hanno negato le misure cautelari chieste dalle organizzazioni dei diritti umani in favore delle famiglie minacciate ed aggredite, oggi molte di loro sfollate.

I pretesti per queste aggressioni sono stati diversi e puramente inventati. In questi giorni diverse cronache e notizie riassumono la situazione, qui ne indichiamo quattro: 

 Invitiamo a vigilare e seguire le informazioni, a fare memoria storica, a non permettere un altro Acteal, ad appoggiare con contributi e provviste e a non permettere che l’impunità prenda il nome di Giustizia ancora una volta di fronte al silenzio della società civile e di chi lotta. 

E se volete fare memoria e ricordare i meccanismi di contrainsurgencia in Chiapas ancora attuali, qui ci sono gli articoli di Bellinghausen con il racconto dei precedenti ed il contesto del massacro di Acteal pubblicato nel 2007, poi diventato un libro: A (quince) diez años de Acteal

http://www.kaosenlared.net/america-latina/item/66761-¿permitiremos-otra-matanza-como-la-de-acteal-en-chenalhó-chiapas?.html

Fonte: Centro de Medios Libres 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La falsa battaglia di Puebla

Hermann Bellinghausen

Un dejá vú. È il 2013, non il 1997. Quello che accade nell’ejido (già colonia) Puebla, ai confini di Chenalhó, in Chiapas, che si è voluto presentare come un conflitto religioso, in realtà è la manifestazione esplosiva del risentimento covato nelle famiglie dei paramilitari che all’improvviso accende una voce contagiosa e malintenzionata: Hanno avvelenato l’acqua! Chi? I cattolici, Las Abejas. Contro chi si scaglia inizialmente la turba? Contro le basi di appoggio zapatiste. Ne catturano tre, li legano, torturano e consegnano alla polizia. Poche settimane fa. Ora un centinaio di indigeni, in maggioranza donne e bambini, che non sono neanche zapatisti, percorrono le stazioni dolorose di un per nulla metaforico esodo, sotto l’impavido e declaratorio sguardo del governo statale che si comporta come se il conflitto si potesse dirimere ad un tavolo di dialogo dove le parti si riconcilino e così via.

Siamo alla stele del massacro di Acteal. Non siamo qua perché lo vogliamo, ma perché ci perseguitano. Ci vogliono ammazzare, si sono organizzati per farlo, ed il governo non fa niente, dice questo sabato, sull’orlo del pianto, ma con coraggio, Rosa Sánchez Arias, madre di famiglia che non parla spagnolo e sta fuggendo. Noi non avveleniamo l’acqua. Io dichiaro davanti a voi che non abbiamo fatto niente, sostiene in una spoglia conferenza stampa prima di lasciare la scuola Nueva Primavera a San Cristóbal de las Casas, dove gli sfollati hanno pernottato e si sono lavati, per partire poi verso la scuola parrocchiale di Yabteclum (il vecchio villaggio di Chenalhó), dove arrivano nella notte con l’intenzione di proseguire lunedì fino ad Acteal. Un luogo, ed un altro, ed un altro, Rosa riassume e si duole. L’hanno deciso la notte del 22 e di buon mattino, furtivamente, le famiglie perseguitate sono partite. Sono scese fino alle fattorie di Tenejapa, si sono infangate, disperse, ammalate ed hanno sofferto molto prima di essere localizzate dalle brigate civili che le stavano cercando.

Il 20 agosto, mentre un centinaio di giovani e bambini, autorizzati a fare bullismo, impedivano ai primi profughi di Puebla di avvicinarsi, nella stessa comunità molti altri raccoglievano pietre e circondavano i cattolici che aspettavano i profughi. Hanno distrutto il cibo che avevamo preparato, rubato le pentole e bruciato tutto. Hanno preso una bambina che volevano picchiare. Hanno detto molto brutte parole mentre distruggevano tutto. Hanno bruciato la casa, aggiunge Rosa. Decine di persone, circondate e rinchiuse in una capanna, sentivamo il fumo ed il calore dell’incendio. I bambini erano terrorizzati, quelli di fuori ridevano.

Juan, un altro sfollato: “Alcuni pastori (evangelici) stanno con i gruppi violenti. Hanno fatto correre la voce che quando ritorneremo ci finiranno. Dicono di fare tutto questo perché hanno la parola di Dio e ci vogliono obbligare a perdonarli. Non vogliono giustizia. Parlano di ‘riconciliazione’, e con loro il governo. Dimenticano che hanno delle responsabilità”. Loro hanno torturato, bruciato, oltraggiato il parroco, minacciato di morte. Ed il governo dice che per il ritorno, manca solo la nostra risposta alle sue proposte, omettendo di vedere che dalla sua parte ci sono i delinquenti e che ci stanno aspettando.

Da Puebla e los Chorros si organizzò il gruppo paramilitare che devastò Chenalhó nel 1997 che raggiunse il culmine nell’accampamento di profughi di Acteal quel 22 dicembre. Le polveri della recente liberazione dei paramilitari condannati (sicuramente non quelli di Puebla, perché nessuno andò in prigione, eccetto l’allora sindaco Jacinto Arias Cruz) sono tornate a rivoltare quel fango. Con un candore che non si vedeva dal governo di Julio César Ruiz Fierro prima del massacro, quello di Manuel Velasco Coello spera che i cattolici accettino un accordo che non garantisce giustizia né protezione, e già si è visto che la polizia non riesce a fare niente o sta con gli altri.

La faccenda delle voci fatte circolare è chiave. Come racconta un abitante di Yaxjemel, non lontano da Puebla, settimane prima “il gruppo aggressore di Agustín Cruz non aveva sufficiente sostegno nella sua crociata contro i ‘cattolici’ (anche se alcuni non lo erano), fino alla voce dell’avvelenamento dell’acqua”. Non ha contato nulla che il delegato regionale della Sanità, il poeta Ulises Córdova, negasse l’esistenza di casi di intossicazione d’acqua inquinata in tutta la zona, ma sul posto la cosa ha funzionato. Dando motivo per una vendetta. Come le Torri Gemelle.

Ma non c’è da sorprendersi. Con dignità e ordine impressionanti, gli sfollati nella notte arrivano al rifugio di Yabteclum tra incensi e sussurri. I locali che li accolgono ascoltano le loro testimonianze. Ondate di preghiere in cinguettio tzotzil. Poi offrono fagioli, da un immenso comal pieno di mani di donna escono tortillas senza fine, ed i bambini che due notti fa piangevano terrorizzati ora ridono, mangiano e giocano. Domani proseguirà il loro peregrinare. Gli incubi della mala giustizia generano mostri. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/26/opinion/a11a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Las Abejas rifiutano l’accompagnamento di una commissione governativa a protezione degli sfollati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 agosto. Questo lunedì, l’organizzazione della società civile Las Abejas ha respinto la pretesa di una commissione del governo statale di accompagnare il trasferimento dei rifugiati della colonia Puebla che in mattinata hanno lasciato Yabteclum per stabilirsi nell’accampamento di Acteal, nel municipio di Chenalhó. “Abbiamo detto a questi messaggeri del malgoverno che non accettiamo la loro presenza. Com’è possibile che vogliano ‘accompagnare’ gli sfollati, se sono complici del loro sgombero?”.

Poco prima di partire da Yabteclum, raccontano Las Abejas, è arrivata una commissione di funzionari formata da un delegato della Segreteria di Governo, della Commissione Statale dei Diritti Umani, della Protezione Civile e dal segretario municipale di Chenalhó. Erano accompagnati da persone a noi ben note come spie del malgoverno, che ci scattavano fotografie. La commissione governativa diceva di, “venire per ‘accompagnare’ e dare ‘protezione’ ” agli sfollati.

A quasi quattro mesi dallo scoppio del conflitto per il terreno della Chiesa cattolica nella colonia Puebla, e dopo le denunce pubbliche, è avvenuto lo sgombero forzato. Questo lunedì 26 a mezzogiorno, ad Acteal abbiamo accolto 95 persone di 13 famiglie cattoliche e due di religione battista, vittime dello sgombero e dell’impunità creata e favorita dal malgoverno, insiste l’organizzazione tzotzil. 

Prima dello sgombero, il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó ha fatto di tutto per trovare una soluzione giusta e pacifica al conflitto, ma le autorità della colonia, in complicità col municipio e col governo statale, invece di applicare la giustizia hanno agito come loro abitudine e come indicato dal manuale di guerra irregolare dell’Esercito messicano: generare e favorire la violenza, e concedere impunità agli aggressori. (…). http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Martínez Veloz: La liberazione di Patisthán è d’importanza vitale per il dialogo con l’EZLN

Elio Enríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 27 agosto. Il delegato per il Dialogo con i Popoli Indigeni del Messico, Jaime Martínez Veloz, questo martedì ha visitato Alberto Patishtán nella prigione di San Cristóbal, perché la sua liberazione è fondamentale per generare quei livelli minimi di fiducia con l’EZLN che permettano la riconfigurazione delle condizioni per il compimento degli Accordi di San Andrés. 

Martínez Veloz è arrivato a mezzogiorno nella prigione, e dopo aver parlato con Patishtán Gómez, accompagnato da Sandino Rivero, membro della squadra di avvocati dell’imputato, è tornato a San Cristóbal per tenere una conferenza stampa. Alberto Patishtán sta scontando una condanna a 60 anni di prigione per l’accusa di aver partecipato ad un’imboscata a dei poliziotti che provocò sette morti e due feriti, il 12 giugno del 2000. 

Alla domanda diretta, ha risposto che non si vuole l’indulto per Patishtán Gómez, perché si spera che il verdetto che emetterà prossimamente il primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez sia favorevole, per non dovere ricorrere ad un’altra istanza, ma faremo tutto quanto umanamente possibile e lotteremo per la libertà del professore presso ogni ordine di giudizio e su tutti i fronti. 

Martínez Veloz ha riferito che il colloquio con l’indigeno tzotzil è stato molto buono, e non sarà l’ultimo di un rapporto che possiamo costruire dentro e fuori la prigione. Ha aggiunto che inviterà anche gli altri membri della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) a visitare Alberto Patishtán in prigione, affinché incomincino a conoscere da vicino l’insieme dei problemi che girano intorno al processo di pace. 

Ha ricordato che fin dall’inizio del suo incarico come delegato, ha esposto al segretario di Governo, Miguel Osorio Chong, la necessità di avanzare su cinque aspetti basilari per riprendere la via del dialogo in Chiapas: volontà politica unilaterale, la conformazione della Cocopa, la nomina del delegato per il dialogo, la liberazione di Patishtán Gómez, così come la riproposizione dell’iniziativa di legge che contiene gli Accordi da San Andrés. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Allarme rosso a Chenalhó

Magdalena Gómez

Solo tre settimane fa sostenevo con preoccupazione che non era disattivato il conflitto nellejido Puebla, municipio di Chenalhó, in Chiapas, dove evangelici priisti in alleanza con i paramilitari – liberati dalla Corte Suprema  di Giustizia per presunte mancanze nel processo dove erano stati condannati per la loro partecipazione nel massacro di Acteal – reclamavano presunti diritti sul terreno di una cappella cattolica. Quell’episodio violento ha provocato lo sfollamento di diverse famiglie. Nuovamente ci troviamo di fronte al cocktail esplosivo della presunta componente religiosa che ha causato gravissimi danni in quella zona. 

Il governo dello stato l’8 agosto aveva aperto un tavolo di dialogo dove era stato firmato un accordo di civiltà, distensione e mutuo rispetto tra aggressori ed aggrediti, per questo le famiglie sfollate si erano preparate a ritornare martedì 20 agosto, accompagnate dal rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, e da una pattuglia della polizia statale. Tuttavia, un gruppo di circa 100 giovani ha impedito loro di avanzare. Il giorno dopo, è stato sequestrato e brutalmente picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, insieme ad un rappresentante del governo statale e ad un altro del governo municipale, da elementi delle chiese evangelica e presbiteriana. I fatti descritti sono stati denunciati dal centro Frayba e, come possiamo osservare, sono gravi di per sé ed ancora di più perché il riferimento del contesto precedente al massacro di Acteal non solo è inevitabile, ma ci obbliga a non abbassare la guardia.

Ma ci sono altri elementi che dobbiamo considerare, come il fatto che le prime aggressioni sono avvenute quando stavano per iniziare le attività politiche e pacifiche dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: l’anniversario dei caracol e la Escuelita zapatista che ha visto la partecipazione di circa 2 mila persone provenienti da molti paesi, e la cattedra Tata Juan Chávez Alonso, convocata dalla comandancia zapatista e dal Congresso Nazionale Indigeno, il cui profilo di denuncia di espropri in tutto il paese e di organizzazione per la difesa del territorio dei popoli è stato molto alto. Tutti questi sono stati un messaggio chiaro della forza politica ed organizzativa seguita alla dimostrazione del dicembre dello scorso anno con l’impressionante silenzioso spiegamento di forze.

Quindi, ci domandiamo se è un caso che, una volta conclusa la presenza solidale internazionale nella zona, siano riprese le ostilità a Chenalhó. Ovviamente, l’autonomia di azione non è nell’essenza del paramilitarismo. Quali forze ci sono dietro le aggressioni nell’ejido Puebla? E non possiamo smettere di domandarci se la denuncia del comandante Tacho nella settimana della Escuelita dei voli radenti di elicotteri nella zona, ha una qualche relazione con questa provocazione e minaccia. A dicembre del 2012 si arrivò a dire che in un gesto di volontà politica l’Esercito si era ritirato e non aveva interferito nell’uscita e negli spostamenti verso San Cristóbal delle basi zapatiste. Non sarà il caso di domandarci come valuta l’Esercito l’evidente rinvigorimento dello zapatismo? Se non ampliamo lo sguardo per analizzare questi segnali esecrabili a Chenalhó, possiamo incorrere, senza volerlo, nella visione di conflitto intracomunitario.

D’altra parte, dobbiamo anche domandarci se le autorità statali hanno agito con genuino spirito di mediazione, quando questo compito spetta in ogni caso a spazi civili, mentre a loro, come ha detto l’organizzazione Las Abejas, spetta l’applicazione della legge. Giustamente hanno denunciato che martedì scorso si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, (in riferimento alla cucina comunitaria) a tracciare un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, hanno aggiunto. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono dialoghi tra sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con bugie e violenza”.

E’ strano che il governo dello stato non abbia emesso un bollettino ufficiale riguardo a questi fatti, e che non l’abbia fatto neanche il Sottosegretariato agli Affari Religiosi; senza dubbio bisogna porsi questa domanda. Certamente il movimento sociale e politico progressista in questo momento affronta lotte cruciali, come il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori della Scuola, sottoposto ad un feroce linciaggio mediatico per aver occupato strade ed edifici pubblici, ed un’altra serie importante di forze si sta organizzando per fermare la riforma energetica; dovrebbero guardare al Chiapas ed ai popoli indigeni che anche loro difendono la nazione di fronte al neoliberismo. Nel frattempo, lo Stato né li vede né li sente. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/27/opinion/020a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Ejidatarios di Chilón presentano alla Corte Suprema la rivendicazione del loro territorio

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. Gli ejidatarios deiSan Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno deciso di presentare alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) le loro rivendicazioni per la difesa del territorio contro le imposizioni del governo del Chiapas, appoggiate da enti federali, che hanno implicato l’esproprio di territori degli indigeni, ubbidendo a piani di sfruttamento turistico in favore del vicino ejido di Agua Azul, dove si trovano le famose cascate.

Il 20 agosto scorso, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona del citato ejido tzeltal, ed il suo rappresentante legale, Ricardo Lagunes Gasca, hanno chiesto alla SCJN “che eserciti le sue funzioni per decidere sulla richiesta di revisione presentata contro la sentenza del 22 luglio emessa dal giudice settimo di distretto in Chiapas, nel caso 274/2011, nella quale si stabilisce che gli atti di esproprio del 2 febbraio 2011 da parte delle autorità dello stato e federali non colpiscono i diritti collettivi del popolo tzeltal di Bachajón”.

Il precedente yaqui

La petizione alla Suprema Corte è stata appoggiata dal commissario e dal consiglio di vigilanza autonomi degli aderenti alla Sesta di San Sebastián Bachajón, che si sono rivolti al presidente della SCJN, Juan N. Silva Meza, affinché “si prenda in considerazione la trascendenza e rilevanza sociale e giuridica del caso affinché sia accolto dalla Corte e si sviluppino precedenti importanti beneficio dalla protezione dei territori indigeni e della loro cultura”.

Citano come precedente la sentenza a favore della tribù yaqui, di Sonora, nel ricorso 631/2012, relativo al progetto Acueducto Independencia, imposto dai governi dello stato e federale per sottrarre l’acqua del fiume Yaqui ai popoli indigeni del sud di Sonora.

L’avvocato Lagunes Gasca ritiene che “l’accoglimento del caso di Bachajón da parte della SCJN aprirebbe la possibilità di definire criteri di giurisprudnza sui diritti dei popoli indigeni come la consultazione ed il consenso libero, previo e informato”, prima dell’adozione di misure che coinvolgano il loro diritto alla terra ed al territorio, l’identità culturale, l’autonomia e la libera determinazione. Ciò, “a maggiore tutela legale delle comunità indigene del paese che sono o possono essere colpite da progetti governativi e privati all’interno dei loro territori”. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n1pol.htm

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Operazione pulizia religiosa a Chenalhó collegata ai paramilitari

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. “Di fronte al rischio imminente in cui si trovavano le famiglie cattoliche dell’ejido Puebla, municipio di Chenalhó, all’alba di venerdì sono sfollate 14 famiglie, in maggioranza donne e bambini” ha comunicato ieri il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) dopo l’arrivo degli indigeni nei suoi uffici.

Tuttavia, nel pomeriggio di oggi gli sfollati (che sono già più di 80), dopo aver trascorso la notte nella scuola di Nueva Primavera, e vista l’inutilità della mediazione governativa, hanno deciso di dirigersi a Yabteclum, più vicino alla loro comunità, anche se non c’è alcuna certezza del loro ritorno sicuro. Alcuni sono malati, quindi è anche emergenza sanitaria.

Il “sgombero forzoso” di questi tzotzil di diverse organizzazioni, che in comune hanno la professione della religione cattolica e non appartengono ai partiti politici ufficiali, si deve, secondo il Frayba “al clima di violenza in cui si trova la zona e per le aggressioni, minacce e persecuzioni” avvenute nelle scorse settimane.

Attualmente, riferisce l’organizzazione presieduta dal vescovo di Saltillo, Raúl Vera, “nell’ejido Puebla sono a rischio le famiglie cattoliche (23 persone) di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, e le famiglie battiste e pentecostali che sono rimaste nell’ejido anche se minacciate”.

Il centro dei diritti umani “esige che si garantisca il diritto all’integrità personale e si offra tutta l’assistenza necessaria alle persone sfollate, e si garantisca l’integrità e la sicurezza personale” delle famiglie che rimangono nella tormentata comunità. Anche che si applichi “la normativa internazionale, in specifico i principi regolatori degli sgomberi interni, firmati e ratificati dallo Stato messicano.”

Questi indigeni si sommano alle cinque famiglie dello stesso villaggio che, sfollate a luglio, avevano tentato di tornare questa settimana, ed un centinaio di persone, in maggioranza ragazzi, avevano impedito loro in maniera aggressiva, perfino di avvicinarsi all’ejido Puebla. Il problema nasce da un conflitto, apparentemente religioso, creato dalle autorità ejidali, tutti membri di chiese evangeliche e presbiteriane.

Sotto l’apparenza di contendersi la proprietà dove da quarant’anni si trova la appella cattolica, i filogovernativi hanno scatenato una virulenta operazione di “pulizia religiosa”, molto politica, collegata al ritorno dei paramilitari che parteciparono al massacro di Acteal, che condannati, sono stati polemicamente liberati negli anni e mesi recenti su decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione. A Puebla si aggredisce nello stesso modo l basi di appoggio zapatiste, Abejas, Pueblo Creyente, e perfino i seguaci di altre chiese cristiane. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n2pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 24 agosto 2013

La violenza religiosa obbliga 12 famiglie di Chenalhó ad abbandonare le proprie case

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 agosto. Questo pomeriggio 12 famiglie (70 persone, alcune malate) sono sfollate dalla colonia Puebla, a Chenalhó, a cusa alla violenza contro i cattolici da parte di gruppi presbiteriani ed evangelici guidati dalle autorità ejidali. Alla stessa ora, il segretario di Governo dello stato, Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, in un ristorante a ponente di questa città, condceva un tavolo di dialogo tra le parti per evitare lo sgombero e le ostilità.

Poco prima, il Frayba aveva informato che il parroco Manuel Pérez Gómez, sequestrato mercoledì a Puebla, “dopo cinque ore di degradanti maltrattamenti, è stato obbligato a firmare che ‘non avrebbe informato i media delle aggressioni’ e ‘non avrebbe sporto denuncia’.”

Il sacerdote, “alla presenza del commissario ejidale Agustín Cruz Gómez e dell’agente rurale municipale Lorenzo Gutiérrez Gómez, per cinque lunghi minuti è stato colpito selvaggiamente su schiena, viso e gambe da circa dieci persone, accompagnate da altre cento o forse più, e rinchiuso in piedi in una latrina, senza acqua né cibo. Cinque ore dopo l’hanno portato nella piazzuola della scuola, circondato da un migliaio di persone che gli gridavano: ‘Tu sei qui come rappresentante di Gesù Cristo ma andrai comunque all’inferno ‘”. Il Frayba affermava: La situazione è fuori controllo per la debolezza e le omissioni del governo, cosa che mette ancor più a rischio le persone che stanno per lasciare le case.

Questo è già accaduto. Gruppi di civili sono srrivati oggi ad accogliere gli sfollati che a piedi hanno abbandonato la comunità. Nell’ejido restano altri 23 cattolici, le famiglie di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, così come famiglie battiste e pentecostali anch’esse minacciate.

L’organizzazione Las Abejas giovedì ha dichiarato ad Acteal: E’ ormai accertata la riattivazione dei paramilitari nell’ejido Puebla e la possibilità di un massacro di famiglie cattoliche. Torna a confermarsi, ha aggiunto, la negligenza e la complicità del governo nel conflitto. Siccome questo è parte della sua guerra di contrainsurgencia, lascia che agiscano i paramilitari.

Il sequestro del parroco è un reato grave. Ragazzi e bambini lo insultavano con odio e scherno; la maggioranza sono figli dei paramilitari che agirono nel 1997. Tra i loro genitori e le autorità che non fanno niente per impedirlo, si sta creando un nido di piccoli paramilitari che minaccia di avvelenare la vita del nostro municipio.

Las Abejas denunciano: Il commissario e l’agente municipale sono responsabili dell’aggressione alla carovana il giorno 20. Il consigliere comunale José Arias Vásquez ed il sindaco potevano fermare l’aggressione. Hanno lasciato che crescesse la tensione ed ora non riescono a risolvere il problema o sono alleati con le autorità dell’ejido, come nel 1997, quando era sindaco Jacinto Arias Cruz. I paramilitari sono stati scarcerati un poco alla volta; l’ultimo gruppo ad aprile di quest’anno; in questo gruppo c’era Arias Cruz, unico paramilitare di Puebla finito in prigione. Dopo pochi giorni sono cominciati i problemi.

Las Abejas denunciano che questo martedì si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, come un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, aggiungono. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono di sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con le bugie e la violenza”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/24/politica/012n1pol

http://www.frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130823_au_04_desplazados_chenalho.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Sequestrato l’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie

da Media Liberi

Venerdì 23 agosto 2013

 Gaudencio

22 agosto 2013.- All’alba di oggi un gruppo di persone armate hanno fatto irruzione nella casa dell’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie nello stato di Jalisco, portandolo via insieme ad altre due persone, che fino ad ora risultano scomparse. Da tempo le società minerarie che saccheggiano la regione organizzano gruppi armati che agiscono contro la popolazione che si oppone al saccheggio. Gaudencio Mancilla era appena tornato dalla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”, che si è svolta il 17 e 18 agosto a San Cristóbal de las Casas, convocata dal Congresso Nazionale Indigeno e dall’EZLN, e solo questo 17 agosto don Gaudencio diceva nel suo intervento alla Cattedra: “per questo chiedo a tutti i fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno di vigilare, Perché vigilare? Perché succederà qualcosa, la comunità oserà fermare i minatori e non sappiamo cosa succederà”.

All’alba a bordo di 5 furgoni, un gruppo di uomini armati che non si sono identificati hanno fatto irruzione nella casa di Gaudencio Mancilla Roblada, nell’ejido di La Guayaba. Gaudencio è il leader del consiglio dei Mayores della comunità Nahua di Ayotitlán, sulla Sierra di Manantlán, nel municipio di Cuautitlán, Jalisco. Portato via con violenza, ora risulta desaparecido insieme a suo fratello Bonifacio Mancilla Roblada, e con Gerónimo Flores Elías, vicino della comunità Tierras Negras. Le sparizioni sono avvenute malgrado don Gaudencio Mancilla godeva di misure cautelari concesse dalla Commissione Statale dei Diritti Umani di Jalisco (CEDHJ).

Solo nell’ottobre del 2012, Celedonio Monroy, un altro membro del consiglio dei Mayores, era stato privato della libertà e fino ad oggi risulta ancora desaparecido. Nel luglio scorso, un commando aveva fatto la stessa irruzione nella sua casa, in quell’occasione Gaudencio riuscì a fuggire verso la montagna, don Gaudencio è uno strenuo oppositore al disboscamento clandestino ed miniere illegali nella sua comunità.

Il Consorzio Minerario Peña Colorada è una delle compagnie che compiono aggressioni contro le comunità indigene nahua e otomí della regione, fomentando un conflitto che abbraccia territori negli stati di Jalisco e Colima. Una proprietà di 810 ettari in concessione a questa impresa, è uno dei centri del conflitto. Lo sfruttamento di questa proprietà ha provocato l’inquinamento e la perdita delle sorgenti della zona, ed il blocco di strade. Diverse comunità nahua ed otomí delle vicinanze della zona sono state colpite: El Mameyito, San Antonio, Changavilán, Las Maderas, Rancho Quemado, Los Potros, Puertecito de las Parotas e La Piedra, le cui popolazioni sono state parzialmente sgomberate negli anni scorsi.

Il compagno nahua Gaudencio Mancilla, aveva partecipato il fine settimana scorso alla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” (convocata dall’EZLN), ed alla riorganizzazione del Congresso Nazionale Indigeno, dove aveva descritto la grave situazione della sua comunità e le persecuzioni che subiscono.

Fonte: http://www.megafono.lunasexta.org/node/2050

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Le escuelitas del basso

Raúl Zibechi 

Ci sarà un prima e un dopo la scuola zapatista. Di quella recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento, diffuso, che si farà sentire in alcuni anni ma che segnerà la vita di quelli in basso per decenni. Quella che abbiamo vissuto è stata un’educazione non istituzionale, dove la comunità è il soggetto che educa. Autoeducazione faccia a faccia, imparando con l’anima e col corpo, come direbbe il poeta.

Si tratta di una non pedagogia ispirata alla cultura contadina: selezionare i semi migliori, spargerli su suoli fertili ed irrigare la terra affinché si produca il miracolo della germinazione, che non è mai sicura né si può pianificare.

La scuola zapatista, per la quale siamo passati in più di mille allievi nelle comunità autonome, è stato un modo differente di apprendistato e di insegnamento, senza aule né lavagne, senza maestri né professori, senza curricula né voti. Il vero insegnamento comincia con la creazione di un clima di fraternità tra una pluralità di individui prima che con la divisione tra l’educatore, tra potere e sapere, ed allievi ignoranti ai quali si devono inculcare conoscenze.

Tra i molti insegnamenti, impossibili da riassumere in poche righe, voglio sottolineare cinque aspetti, forse influenzato dalla congiuntura che stiamo attraversando nel sud del continente.

Il primo è che gli zapatisti hanno sconfitto le politiche sociale contrainsurgentes, che sono il modo usato da quelli in alto per dividere, cooptare e sottomettere i popoli che si ribellano. Vicino ad ogni comunità zapatista, ci sono altre comunità affini al malgoverno con le loro casette di mattoni, che ricevono sussidi e quasi non lavorano la terra. Migliaia di famiglie hanno ceduto, cosa comune da tutte le parti, ed hanno accettato i regali dall’alto. Ma, la cosa notevole, la cosa eccezionale, è che altre migliaia vanno avanti senza accettare niente.

Non conosco un altro processo, in tutta l’America Latina, che sia riuscito a neutralizzare le politiche sociali. Questo è il più grande merito dello zapatismo, ottenuto con fermezza militante, chiarezza politica ed un’inesauribile capacità di sacrificio. Questo è il primo insegnamento: è possibile sconfiggere le politiche sociali.

L’autonomia è il secondo insegnamento. Anni fa si sono sentiti discorsi sull’autonomia dai più diversi movimenti, certamente qualcosa di coraggioso. Nei municipi autonomi e nelle comunità che formano il caracol di Morelia, posso testimoniare che hanno costruito autonomia economica, di salute, di educazione e di potere. Cioè, un’autonomia integrale che abbraccia tutti gli aspetti della vita. Non ho alcun dubbio che ciò avvenga anche negli altri quattro caracol.

Un paio di parole sull’economia, o la vita materiale. Le famiglie delle comunità non toccano l’economia capitalista. Sfiorano appena il mercato. Producono tutti i loro alimenti, inclusa una buona dose di proteine. Comprano quello che non producono (sale, olio, sapone, zucchero) nei negozi zapatisti. Le eccedenze familiari e comunitarie le investono in bestiame, in base alla vendita del caffè. Quando c’è bisogno, per la salute o per la lotta, vendono alcuni capi di bestiame.

L’autonomia nell’educazione e nella salute risiede nel controllo comunitario. La comunità sceglie chi insegnerà ai propri figli e figlie e chi si occuperà della salute. In ogni comunità c’è una scuola, nell’ambulatorio convivono levatrici, hueseras [aggiusta-ossa – n.d.t.] e chi si specializzerà nelle piante medicinali. La comunità li sostiene, come sostiene le proprie autorità.

Il terzo insegnamento si riferisce al lavoro collettivo. Come ha detto un Votán: I lavori collettivi sono il motore del processo. Le comunità hanno terre proprie grazie all’esproprio degli espropriatori, primo ineludibile passo per creare un mondo nuovo. Uomini e donne svolgono rispettivi lavori ed hanno propri spazi collettivi.

I lavori collettivi sono una delle fondamenta dell’autonomia, i cui frutti generalmente si traducono in ospedali, cliniche, educazione primaria e secondaria, nel rafforzare i municipi e le giunte di buon governo. Niente di tutto quello che si è costruito sarebbe stato possibile senza il lavoro collettivo di uomini, donne, bambini, bambine ed anziani.

La quarta questione è la nuova cultura politica che si definisce nelle relazioni familiari e sfuma poi in tutta la società zapatista. Gli uomini collaborano al lavoro domestico che continua a ricadere sulle donne, badano ai figli quando queste escono dalla comunità per svolgere le mansioni di autorità. Il rapporto tra genitori e figli è di affetto e rispetto, in un clima generale di armonia e buonumore. Non ho visto un solo gesto di violenza o aggressività in casa.

L’immensa maggioranza degli zapatisti sono giovani o molto giovani, e ci sono tante donne quante gli uomini. La rivoluzione non la possono fare altri che i giovani, e su questo non si discute. Quelli che comandano, ubbidiscono, e non sono parole. Ci mettono il corpo, un’altra delle chiavi della nuova cultura politica.

Lo specchio è il quinto punto. Le comunità sono un doppio specchio: nel quale possiamo guardarci e dove possiamo vederle. Non uno o l’altro, ma le due cose contemporaneamente. Ci guardiamo guardandole. In questo andare e venire impariamo lavorando insieme, dormendo e mangiando sotto lo stesso tetto, nelle stesse condizioni, usando le stesse latrine, calpestando lo stesso fango e bagnandoci nella stessa pioggia.

È la prima volta che un movimento rivoluzionario realizza un’esperienza di questo tipo. Fino ad ora l’insegnamento tra rivoluzionario riproduceva i modelli intellettuali dell’accademia, con un sopra e un sotto stratificati, e congelati. Questa è un’altra cosa. Impariamo con la pelle e i sensi.

Infine, una questione di metodo o di forma di lavoro. L’EZLN è nato nel campo di concentramento che rappresentavano le relazioni verticali e violente imposte dai latifondisti. Impararono a lavorare famiglia per famiglia ed in gran segreto, innovando il metodo di lavoro dei movimenti antisistema. Quando il mondo somiglia sempre di più ad un campo di concentramento, i loro metodi possono essere molto utili a chi continua ostinatamente a cercare di creare un mondo nuovohttp://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 23 agosto 2013

Liberato il parroco e i funzionari sequestrati e picchiati nell’ejido Puebla. Il sacerdote obbligato a firmare un documento per la cessione di un podere

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 22 agosto. Il parroco di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, sequestrato il pomeriggio di ieri, legato e minacciato di morte nell’ejido Puebla, è stato liberato alle 23:30 di mercoledì, come riferito dagli abitanti della comunità tzotzil.

Fonti governative hanno informato della liberazione anche di Javier García Mendoza, rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religios, del sindaco di Chenalhó, Andrés Gómez Vázquez e del delegato di governo Alonso Jiménez Gómez.

(…) Dall’ejido, per via telefonica hanno raccontato che Pérez Gómez, legato e picchiato, è stato obbligato a firmare un documento per la cessione ai suoi sequestratori presbiteriani ed evangelici della proprietà della cappella cattolica, la cui disputa ha gravemente minato la convivenza nella colonia Puebla.

E’ anomalo per questi tempi che un sacerdote della diocesi di San Cristóbal de las Casas sia aggredito in questo modo, anche se altri in passato hanno corso seri pericoli, a cominciare dallo scomparso vescovo Samuel Ruiz García. La sfida del gruppo paramilitarizzato mette in serio dubbio la capacità del governo chiapaneco di risolvere il conflitto.

Il fatto, insieme all’aggressione contro gli sfollati che cercavano di tornare avvenuta martedì, incrementa la tensione nell’ejido scatenata a partire dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal, e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó, nota come la culla dei paramilitari che nel 1997 perpetrarono decine di crimini ed espulsioni fino a culminare col massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno.

Il sacerdote cattolico questa mattina si è recato in procura per la deposizione. La negoziazione per liberare i sequestrati è avvenuta con l’appoggio di un centinaio di poliziotti statali guidati dal sottosegretario di Governo della regione Altos, l’ex sindaco coleto Mariano Díaz Ochoa. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

L’Ambasciata del Canada complice dell’omicidio dell’attivista chiapaneco

Ciro Pérez

I familiari di Mariano Abarca Robledo, assassinato il 29 novembre 2009 per essersi opposto alla società mineraria canadese Black Fire, a Chicomuselo, Chiapas, hanno denunciato che l’ambasciata del Canada in Messico, lungi dal provvedere che le sue imprese rispettino le normative ambientali messicane, le assistono per uscire impuni da tutte le violazioni e illegalità. 

In una manifestazione di fronte alla sede della rappresentanza canadese in Polanco, organizzazioni civili, guidate da Otros Mundos Chiapas, hanno chiesto nuovamente giustizia per Mariano Abarca Robledo, minacciato dai dirigenti della Black Fire, imprigionato su richiesta di questi, e fatto assassinare.

L’ambasciata del Canada in Messico era a conoscenza del conflitto e delle irregolarità della società mineraria. Mio marito si incontrò su questo stesso marciapiede, sula quale mi trovo ora, con rappresentanti della delegazione canadese per raccontare loro quello che stava succedendo e per denunciare loro che la sua vita era in pericolo. Ma non l’hanno ascoltato, denuncia Mirna Montejo, moglie di Mariano. 

Afferma che per questo motivo l’ambasciata ed i suoi rappresentanti sono complici dell’assassinio del leader sociale. 

Fuori dalla rappresentanza diplomatica è stato eretto un altare in memoria dell’attivista chiapaneco, mentre diversi oratori hanno sollecitato una risposta dai funzionari dell’ambasciata.

I dipendenti di questa rappresentanza diplomatica, fanno gli interessi dei cittadini o quello delle imprese minerarie assassine? E’ stato più volte chiesto, ma la domanda è rimasta senza risposta. 

La presenza di organizzazioni sociali che denunciano le pratiche irregolari delle società minerarie canadesi è una costante nell’ambasciata di questo paese nordamericano. 

Da Morelos, Chiapas ed altri stati sono arrivate proteste e denunce, ma né le autorità messicane né quelle canadesi hanno offerto una soluzione ai problemi sollevati dalle comunità coinvolte. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

Centro Frayba: Gli evangelici sequestrano e minacciano di morte il parroco di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 21 agosto. Questo mercoledì, alle 13:30 circa, nell’ejido Puebla, è stato sequestrato e picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez. 

Il sacerdote è stato fermato da un gruppo di persone della chiesa evangelica e presbiteriana, portato nella scuola dove è stato legato per diverse ore e minacciato di essere bruciato con la benzina. Sono stati sequestrati anche un rappresentante del governo statale ed un altro del governo municipale. 

Pérez Gómez si trovava lì con le autorità del governo del Chiapas per la firma di un documento relativo al processo di distensione con le autorità dell’ejido, riferisce il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), il quale, di fronte alla gravità della situazione ha chiesto la liberazione immediata del parroco. 

Questa notte, fonti governative hanno assicurato che i sequestrati sono stati liberati dall’intervento di funzionari dello stato, ma non ci sono conferme che ciò sia avvenuto. 

Il fatto incrementa la tensione generata dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó (Puebla, Los Chorros, Quextic).

Nell’ejido Puebla la situazione della minoranza cattolica è allarmante, sia quella delle famiglie sfollate un mese fa sia di quelle che rimangono nella comunità che, secondo le ultime informazioni, si trovano a rischio di subire violenza dopo che martedì è stato impedito il ritorno degli sfollati da decine di giovani provocatori ed aggressivi che si erano appostati sul tragitto della carovana. 

Ieri sera il Frayba ha diffuso un’azione urgente rivolta ai governi federale e statale, per chiedere di garantire le condizioni affinché gli sfollati possano tornare e sollecitare un’indagine seria dei fatti e la punizione dei responsabili della violenza.

Situazione grave

Alle 15:00 di ieri la situazione era grave. Le famiglie riunite nella cappella cattolica avevano comunicato telefonicamente che il gruppo di aggressori li aveva circondati minacciandoli di bruciarli con la benzina. Alle 18:45 confermavano l’incendio dell’edificio in cui si trova la cucina comunitaria. Si teme per la sicurezza delle famiglie, sottolinea il Frayba, e chiede alle autorità i provvedimenti adeguati per salvaguardare la vita e l’integrità della comunità cattolica e di impedire lo sgombero forzato di altri 70 indigeni.

Funzionari e poliziotti statali testimoni ieri dell’aggressione contro gli sfollati e la carovana civile che li accompagnava, non hanno impedito la violenza. Secondo le testimonianze della carovana, erano presenti il sottosegretario per gli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, ed una pattuglia della Polizia Statale Preventiva; vicino all’ejido, la pattuglia era andata in avanscoperta ed era tornata dicendo che tutto era tranquillo. Proprio allora sono comparsi circa 100 ragazzi con fare aggressivo ed armati di pietre, che hanno bloccato il passaggio e chiedevano che fossero loro consegnati Macario Arias Gómez e Francisco López Sántiz, due degli sfollati. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

In Chiapas, nessuna risposta

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis., 21 agosto. Nessun progresso né alcuna risposta hanno incontrato oggi i circa 300 indigeni degli Altos che sono andati nella capitale chiapaneca a chiedere la liberazione di Alberto Patishtán Gómez, ed hanno manifestato davanti alla sede del palazzo di giustizia federale. 

I rappresentanti dei manifestanti sono stati ricevuti dal tribunale incaricato del’istanza di riconoscimento di innocenza numero 4/2012, presentata dalla difesa del professore tzotzil in prigione da 13 anni per scontare una condanna a 60 anni, accusato di reati che è stato ormai dimostrato non aver mai commesso. 

Nonostante il tempo trascorso, è stato comunicato agli attivisti che non è ancora stato designato il magistrato che presenterà il caso ai giudici dell’istanza. Per questo ci vorranno almeno 10 giorni, o più, come sta succedendo da mesi, da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione non ha accolto l’istanza trasferendola a questo tribunale. 

In un documento indirizzato al governatore Manuel Velasco Coello, l’organizzazione Pueblo Creyente chiede che dall’alto della sua carica parli col ministro Juan Silva Meza, presidente del Consiglio della Magistratura Federale, affinché, insieme ai magistrati del primo tribunale, si comportino, come si crede lo faranno, con la dovuta imparzialità, obiettività, professionalità, trasparenza, umanità e impegno sociale. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 agosto 2013

Impedito ai profughi di tornare nella propia comunità 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Yaxjemel, Chis., 20 agosto. Il ritorno degli sfollati cattolici della colonia Puebla (municipio di Chenalhó) è stato impedito da decine di giovani, alcuni di loro quasi bambini, ad alcuni chilometri da questa comunità. 

Si è poi saputo che all’interno della colonia c’erano altri ragazzi tenuti sotto minaccia che aspettavano la carovana che accompagnava il fallito ritorno di cinque famiglie tzotzil che da un mese vivono fuori dalle proprie case. A nulla è servita la presenza da una pattuglia della Polizia Statale Preventiva che non si è neppure avvicinata al luogo in cui si è svolto il fatto, e di una pattuglia della polizia municipale che, di fronte all’atteggiamento aggressivo dei ragazzi (che hanno anche lanciato pietre e inseguito i veicoli della carovana), ha prontamente abbandonato il posto.

Non è servita nemmeno la presenza dall’assessore del sottosegretariato degli Affari Religiosi della Segreteria di Governo, Javier García Méndez, che ha rilevato come la situazione sia stata predisposta dai leader presbiteriani ed evangelici, che a loro volta sono autorità comunitarie. 

Almeno sei individui con taglio di capelli militare aizzavano i ragazzi per aggredire i profughi ed i componenti della carovana. Colpivano le parole di odio pronunciate da bambini di non più di 12 anni, apparentemente preparati alla violenza. 

La carovana degli indigeni del municipio ed alcuni osservatori civili che accompagnava gli esiliati di Puebla, prima di ritirarsi hanno recitato alcune preghiere. Gli aggressori stavano su un pendio sopra al luogo in cui si pregava, mostrando atteggiamenti sempre più aggressivi ed insultando le donne. 

Tutto questo nonostante l’accordo firmato l’8 agosto scorso tra i cattolici, le riluttanti autorità della comunità ed il governo statale. Come si ricorderà, il conflitto nella colonia Puebla è sorto per la presunta disputa sulla cappella cattolica. A Luglio furono catturati con violenza tre indigeni, due di loro basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Brutalmente picchiati e minacciati di essere cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Erano stati falsamente accusati di avvelenare l’acqua; furono portati dal Pubblico Ministero Pubblico a San Cristóbal de Las Casas e rimasero in prigione per due giorni. 

Di fronte all’inefficienza del governo, c’è molta paura per l’integrità delle famiglie cattoliche che rimangono nell’ejido completamente indifese. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/21/politica/013n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
20 agosto 2013
 
AU No. 03
 
Azione Urgente
 
Impedito il ritorno degli sfollati dell’ejido Puebla ed aggredita la carovana civile
Agenti del governo del Chiapas e polizia statale assistono all’aggressione senza impedire la violenza
 
Oggi alle ore 11:00 un gruppo di persone appartenenti ad organizzazioni della società civile e mezzi di comunicazione, erano partiti da San Cristóbal de Las Casas per l’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, per accompagnare il ritorno delle persone che, più di un mese fa, erano state costrette a fuggire per le minacce di morte da parte delle autorità comunitarie. Giunti all’ingresso della comunità, a dieci minuti dalle prime case, la carovana è stata aggredita. E’ durato 30 minuti il tentativo di entrare per ricongiungersi con le famiglie cattoliche che aspettavano nella chiesa comunitaria.

_______________________________________________
Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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Indios contro mostri

Hermann Bellinghausen

Sarà che ormai è già troppo tardi, perfino per i segnali di allarme? Che il disastro nazionale si è già verificato mentre si annunciava? La gente che governa il Messico, quella che si arricchisce esponenzialmente sulle sue spalle, quella che lo domina con la forza e la miseria, quella che assalta le nostre leggi da tutte le parti, incominciando dal Congresso dell’Unione, quella gente non ci dà tregua. E’ così convinta, decisa, ostinata, soddisfatta di amministrare la decomposizione sociale. La disintegrazione del territorio. Il deterioramento dell’educazione. La prostituzione della giustizia. E ci ha dichiarato una guerra feroce. Ci attaccano in basso. E sopra, e ai lati. La riunione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) a San Cristóbal de las Casas questo fine settimana, è uno specchio, di più, una testimonianza assordante da più di cento fronti di resistenza negli stati del Messico e Michoacán. Oaxaca, Guerrero, Chiapas, Sonora, Jalisco, San Luis Potosí, Chihuahua, Puebla, Morelos, Distrito Federal, Yucatán e altri. Non sono nemmeno più denunce, benché alcune siano state pronunciate con un inoccultabile grido di aiuto da mazahuas, nahuas, mixtecos. Parti di guerra nei luoghi dove il combattimento è più cruento, impari e definitivo, ma anche dove l’avidità degli aggressori incontra la maggiore resistenza contro i suoi propositi che, se uno li considera razionalmente non può non trovarli irrazionali, suicidi, stupidi.

Una dopo l’altra, decine di testimonianze, dichiarazioni, pronunciamenti, comunicati, proclami, richieste dei popoli indigeni messicani qui rappresentati documentano invasioni, espulsioni, estorsioni, saccheggi, attacchi, assassini, persecuzioni in nome della legalità, o per cortesia del crimine organizzato. Questo succede di solito sul terreno melmoso (direbbe Raúl Zibechi) dove Stato e criminali si confondono. E sembra che pensino seriamente di consultare gli interessati.

È così doloroso quello che si sente. Un glossario eloquente delle esperienze di quelli in basso (gli ultimi, i più piccoli e dimenticati) dentro il disastro in cui quelli di sopra hanno imbarcato il Messico; che hanno fatto della Nazione moneta di scambio e la giocano irresponsabilmente e goffamente nel casinò dei più grandi squali del pianeta in  liquidazione (il pianeta). Fate le vostre scommesse. Si sono scatenate bande di ladri di bestiame dal collo bianco e mani insanguinate. Bande di banchieri, magnati mediatici, investitori, partiti politici. Fanno lo stesso i formali malviventi, i cattivi. I loro discorsi su sviluppo, creazione di posti di lavoro, incorporazione al dio Mercato, occultano il vero disastro (perdita di identità personale e collettiva, territorialità, spiritualità, memoria, solidarietà), dal quale questi popoli indigeni sono riusciti a salvarsi, o no, ma non si sono arresi.

La sola reiterata enumerazione annoierebbe se non implicasse un’immensa devastazione nella quale l’ultima cosa è il benessere e la libertà dei popoli messicani. Miniere (migliaia di concessioni paramilitarizzate), industrie petrolifere, eoliche, industrie agro-alimentari, costruttrici, catene commerciali, industrie alimentari, trafficanti professionisti dell’acqua e dell’energia elettrica. Chi se ne rende conto? Coloro che la subiscono. Non la popolazione che crede alla stampa ubbidiente e alla televisione. Lo sconvolgimento lottizza, crea scontro, annulla. Se si perde la lotta nell’Ajusco si perde tutto, può dire un comunero di, sì, del Distrito Federal, la bella città dove i capi delle delegazioni di sinistra sono allegramente prevaricatori quanto i governatori di dovunque si voglia, o gli innumerevoli presidenti municipali. Anche il sud capitolino è terreno di lotta, come i suoi immediati vicini Morelos e México. E il resto. La strada. La centrale idroelettrica. Lo sviluppo immobiliare. Il megaprogetto turistico. Il supermercato. La città rurale. Il parco eolico. La raffineria. La miniera. I pozzi. Gli acquedotti (Independencia uno: non risparmiano nemmeno lo humor).

I mezzi di comunicazione di massa non riferiscono di questa umanità, come fosse carne morta o terminale. O di minacciosi gruppi armati che applicano la loro legge (realmente) per indotto timore delle belle coscienze ostaggio delle bugie mediatiche. Nemmeno lo sanno. Questi popoli sono invisibili. Taciuti. Si sterminano sotto la linea del radar.

Ancora una volta l’effetto rivelatore dello zapatismo è servito a dar voce a tutto questo nella Cátedra Tata Juan Chávez Alonso, corroborata dall’esperienza propria di resistenza affermata e liberatrice nelle comunità dell’EZLN. Migrazione, sgomberi, fame, timore-e-paura, inquinamento, saccheggio, diseducazione, corruzione, divisione comunitaria, progetti di morte. Che cosa fare contro i mostri? Resistere e non tacere, costruire, riunirsi. Questo hanno raggiunto la Escuelita e il CNI, che da tempo non si riuniva per i pericoli nel paese. I popoli hanno rotto il cerchio e sono venuti a pronunciarsi. E Poi? http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/a12a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Pronunciamento della Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”

Ai popoli e governi del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Alle allieve e allievi della Escuelita Zapatista.

Come è nel tempo e nella nostra storia della madre terra; i popoli, nazioni e tribù indigene Yaqui, Mayo, Náyeri, Wixárika, Rarámuri, Odam, Nahua, Purépecha, Nañu o Ñuhu, Mazahua, Popoluca, Tzotzil, Chol, Tzeltal, Tojolabal, Zoque, Totonaco, Coca, Mame, Binnizá, Chinanteco, Ikoot, Mazateco, Chontal, Ñu Saavi, Chatino, Triqui, Afromestizo, Mehpa, Nancue Ñomndaa, Ñhato e Maya Peninsular degli stati di Sonora, Chihuahua, Veracruz, Durango, Nayarit, Jalisco, Michoacán, Querétaro, San Luis Potosí, Morelos, Estado de México, Guerrero, Distrito Federal, Puebla, Tlaxcala, Oaxaca, Tabasco, Yucatán e Campeche; insieme ai popoli Ixil, Quiche, Quechua e Nasa di Guatemala, Perù e Colombia con i quali abbiamo camminato vicini e rispettosi, come figli e figlie della madre terra, ci siamo incontrati i giorni 17 e 18 agosto 2013 a San Cristobal de las Casas, Chiapas, nella sede del CIDECI- Unitierra, per ricordare ed agire conseguentemente con la parola viva del nostro fratello Tata Juan Chávez Alonso che ci insegna, ci guida e la cui memoria ad un anno dalla sua assenza si trasforma in speranza e forza per i popoli che abbiamo rifondato e ricostituito perché abbiamo deciso di continuare ad essere gli indios che siamo, continuare a parlare la lingua che parliamo, continuare a difendere il territorio in cui viviamo.

Ci riconosciamo nella lotta per il rispetto del nostro modo di vita ancestrale, lotta che abbiamo intrapreso insieme e durante la quale abbiamo parlato, abbiamo chiesto e siamo stati ripetutamente traditi dai malgoverni.

In questo percorso di lotta abbiamo imparato che i potenti non hanno alcun rispetto per la parola, la tradiscono e la violentano in lungo e in largo di questo paese che si chiama Messico, dal non riconoscimento degli Accordi di San Andrés Sakamchén de Los Pobres, la controriforma indigena del 2001 e gli innumerevoli tradimenti dei nostri popoli delle diverse regioni e lotte in un Messico indio che è vivo, fiero e con un solo cuore che si fa grande, tanto grande quanto il nostro dolore e la speranza per la quale lottiamo, nonostante la guerra di sterminio diventata più violenta che mai.

Ci riconosciamo nel percorso della nostra storia e dei nostri antenati che sono presente, futuro e specchio dell’autonomia esercitata nei fatti, come unica via per il futuro della nostra esistenza e che diventa la nostra vita comunitaria, assemblee, pratiche spirituali, culturali, autodifesa e sicurezza, progetti educativi e di comunicazione propri, rivendicazioni culturali e territoriali nelle città dei popoli sfollati o invasi con una memoria storica viva.

Siamo indios, decisi a ricostituirci in un altro mondo possibile.

Quello specchio profondo, antico e nuovo sono le nostre lotte per le quali ci pronunciamo con un solo cuore ed una sola parola.

1. Chiediamo l’immediata liberazione dei prigionieri politici del nostro paese, in particolare  del nostro compagno indigeno Totzil Alberto Patishtán da 13 anni ingiustamente carcerato a scontare una condanna a 60 anni. Chiediamo inoltre la liberazione di sei nostri fratelli Nahua della comunità di San Pedro Tlanixco, ingiustamente detenuti da 10 anni nella prigione di Almoloya per aver difeso l’acqua della propria comunità. Si tratta dei nostri fratelli Pedro Sánchez, condannato a 52 anni, Teófilo Pérez, condannato a 50 anni, Rómulo Arias, condannato a 54 anni e dei compagni Marco Antonio Pérez, Lorenzo  Sánchez e Dominga González attualmente sotto processo; chiediamo altresì la cancellazione dei mandati di cattura contro Rey Perez Martinez e Santos Alejandro Álvarez, di Tlanixco; la liberazione dei compagni detenuti della comunità tzeltal di Bachajón, Chiapas, Miguel de Meza Jiménez e Antonio Estrada Estrada; dei compagni Loxicha Eleuterio Hernández García, Justino Hernández José, Zacarías Pascual García López, Abraham García Ramírez, Fortino Enríquez Hernández, Agustín Luna Valencia ed Alvaro Sebastián Ramírez, detenuti nel CEFERESO numero sei di Huimanguillo, Tabasco; così come di de Pablo López Álvarez di San Isidro Aloapan, Oaxaca, rinchiuso nel carcere di Villa de Etla.

2. Denunciamo che i malgoverni e le multinazionali si sono avvalse di gruppi paramilitari per imporre megaprogetti estrattivi mediante lo sfruttamento illegale di minerali e legni preziosi, in particolare sulla costa Nahua e sulla meseta purépecha di Michoacán e nella comunità nahua di Ayotitlán, sulla sierra di Manantlán, Jalisco.

3. Chiediamo giustizia per la comunità nahua di Santa María Ostula, sulla Costa di Michoacán, dove i malgoverni, collusi coi cartelli del narcotraffico, hanno favorito il furto delle terre ancestrali della comunità ed il saccheggio delle risorse naturali da parte di gruppi della criminalità organizzata, e la sanguinosa repressione dell’organizzazione comunale che ha provocato uccisioni e sparizioni.

4. Salutiamo la lotta storica della comunità di Cherán, Michoacán ed il degno esercizio del diritto all’autodifesa che è sorto tra il popolo Purépecha in difesa della propria vita, le proprie famiglie, la propria cultura e territorio minacciato dalla complicità dei malgoverni con gruppi paramilitari e narco-paramilitari, i cui bisogni sono la sicurezza, la giustizia e la ricostituzione del territorio.

5. Così pure salutiamo la difesa dei saperi tradizionali e della coltivazione del mais nativo da parte delle comunità e dei quartieri indigeni.

6. Ripudiamo la repressione del popolo Ikoot di San Mateo del Mar e San Dionisio de Mar, così come del popolo binniza di Juchitán e della colonia Álvaro Obregón; chiediamo la liberazione immediata di Alejandro Regalado Jiménez ed Arquímedes Jiménez Luis, e l’immediata cancellazione dei corridoi eolici delle imprese spagnole Endesa, Iberdrola, Gamesa ed Unión Fenosa che nella regione dell’Istmo invadono e distruggono le terre comunali ed i siti sacri dei popoli sopracitati.

7. Chiediamo che si fermi la repressione contro la comunità di San Francisco Xochicuautla dello Stato di México, e la cancellazione definitiva del progetto denominato autostrada privata Toluca-Naucalpan, nello stesso tempo appoggiamo la richiesta al Sistema Interamericano dei Diritti Umani di misure cautelari per gli abitanti di detta comunità.

8. Chiediamo al malgoverno federale la cancellazione della costruzione dell’Acquedotto Independencia che sottrae alla Tribù Yaqui l’acqua del fiume Yaqui che storicamente difende da sempre, e ribadiamo la nostra parola che agiremo di conseguenza di fronte a qualunque tentativo di repressione dell’accampamento di protesta installato sulla strada internazionale all’altezza di Vícam, prima capitale della Tribù Yaqui.

9. Chiediamo che cessi la repressione ed il ritiro della forza pubblica dalla comunità di Huexca, Morelos, per la costruzione di una centrale termoelettrica; la cancellazione dell’acquedotto e l’estrazione dell’acqua dal fiume Cuautla che colpirà 22 ejidos del municipio di Ayala, egualmente la sospensione della persecuzione contro 60 comunità di Morelos, Puebla e Tlaxcala minacciate di saccheggio ed esproprio dall’installazione di un gasdotto, tutto questo come parte del Proyecto Integral Morelos, con il quale si vuole distruggere la vita contadina di questi territori per trasformarli in zone industriali ed autostrade e chiediamo il rispetto del sacro guardiano: il vulcano Popocatépetl, altrettanto depredato dallo smodato disboscamento clandestino dei suoi boschi.

10. Siamo solidali con la lotta della comunità Coca di Mezcala, in Jalisco, per il recupero del proprio territorio e chiediamo la cancellazione dei mandati di cattura contro i comuneros il cui delitto è difendere la propria terra.

11. Chiediamo il rispetto del territorio comunale e dell’assemblea generale dei comuneros di Tepoztlán, e ci uniamo alla richiesta della cancellazione dell’autostrada La Pera-Cuautla, e respingiamo la campagna di menzogne e inganni verso l’opinione pubblica da parte del governo di Morelos per giustificare il saccheggio.

12. Denunciamo l’attacco senza precedenti ai pilastri sacri del mondo, riconosciuti e sostenuti dai popoli originari, che con fierezza difendono in nome della vita dell’Universo, come i territori sacri di Wirikuta e Hara Mara negli stati di San Luis Potosí e Nayarit, minacciati da progetti capitalisti minerari e turistici con la complicità dei malgoverni nazionali e statali, e facciamo nostra la richiesta di cancellazione totale delle concessioni minerarie e turistiche in detti territori e nella totalità dei territori indigeni. Ripudiamo la campagna di scontro portata avanti dalla società mineraria First Majestic Silver e dal malgoverno municipale di Catorce, San Luis Potosí. Salutiamo il degno popolo contadino di Wirikuta che ha deciso di far sentire la propria voce in difesa dalla propria terra, acqua, salute ed ambiente e la fratellanza col popolo Wixárika.

13. Nello stesso senso avvertiamo che non ci terremo al margine del tentativo di distruzione del luogo sacro di Muxatena e di altri 14 luoghi sacri del popolo Náyeri, attraverso il progetto di costruzione della Diga di Las Cruces sul fiume San Pedro Mezquital, nello stato di Nayarit.

14. Denunciamo le invasioni delle imprese agroindustriali nei territori indigeni e contadini che deliberatamente alterano le piogge a proprio beneficio e distruggendo la vita contadina, come nel caso della comunità nahua di Tuxpan, Jalisco e dell’Altopiano Potosino nel territorio sacro di Wirikuta.

15. Chiediamo la cancellazione delle concessioni minerarie nel cuore della sierra di Santa Marta, in territorio Popoluca e denunciamo il tentativo di invasione delle terre comunali di San Juan Volador nel municipio di Pajapan, dell’impresa eolica Dragón, nel sud di Veracruz.

16. Chiediamo la cancellazione del progetto stradale Tuxtepec-Huatulco, il cosiddetto corridoio turistico Chinanteco nel territorio Chinanteco, così come la cancellazione delle riserve ecologiche nella regione nord di Oaxaca.

17. Chiediamo la cancellazione dell’acquedotto promosso dal malgoverno di Guerrero che vuole sottrarre l’acqua del fiume San Pedro, sulla costa Chica di Guerrero, ai popoli Na savi, Nancue Ñomndaa ed Afromestizo.

18. Ripudiamo il tentativo di inondazione dei luoghi sacri del popolo Guarijio di Alamo; Sonora, attraverso la costruzione della diga Pilares, così come la deviazione del fiume Sonora a danno della nazione Komkaak, da 4 mesi privata dell’acqua per favorire i grandi proprietari terrieri agricoli della costa di Sonora.

19. Denunciamo la politica di sterminio da parte del governo del Distrito Federal nei confronti delle comunità e popoli della sierra dell’Ajusco, attraverso l’esproprio e la devastazione dei territori ejidali e comunali di San Miguel Xicalco e San Nicolás Totolapan, appoggiamo e riconosciamo i delegati comunitari in resistenza di San Miguel e Santo Tomas Ajusco.

20. Salutiamo la lotta della Comunità Autonoma di San Lorenzo Azqueltán, nello stato di Jalisco e riconosciamo le sue autorità autonome, e siamo vigili e solidali con la loro lotta per il riconoscimento del loro territorio ancestrale.

21. Salutiamo e riconosciamo il rinnovo delle autorità della comunità autonoma Wixárika di Bancos de San Hipólito, Durango, ugualmente appoggiamo la sua lotta per il riconoscimento territoriale ancestrale che rivendicano da oltre 45 anni.

22. Riteniamo responsabili i funzionari pubblici della delegazione politica di Xochimilco delle minacce al compagno Carlos Martínez Romero del villaggio di Santa Cruz Acalpixca, per aver difeso l’acqua ed il territorio.

23. Ci uniamo agli appelli delle decine di comunità nahua e totonaca della Sierra Norte di Puebla per chiedere la cancellazione delle concessioni alle imprese minerarie e dell’implementazione di progetti idroelettrici, così come la cancellazione delle concessioni minerarie sulla Sierra Sur e Costa di Oaxaca della società Altos Hornos di México.

24. Appoggiamo la lotta della comunità di Conhuas en Calakmul, Campeche, in difesa del territorio e del proprio degno lavoro, contemporaneamente chiediamo la cessazione delle aggressioni contro la comunità da parte del governo di questo Stato.

25. Chiediamo il riconoscimento delle terre comunali di San Pedro Tlaltizapán sulle rive del Chignahuapan, Stato di México, e la sospensione dei progetti immobiliari sui terreni comunali.

26. Chiediamo il rispetto delle terre recuperate dalla Unión Campesina Indígena Autónoma di Río Grande, Oaxaca, e salutiamo il suo accampamento in resistenza.

27. Chiediamo altresì il rispetto del funzionamento della Radio comunitario Ñomndaa, voce del popolo amuzgo di Xochistlahuaca, Gueriero, ed il rispetto di tutte le radio comunitarie nei diversi territori indigeni del paese.

28. Ribadiamo la richiesta allo Stato messicano di garantire le condizioni di sicurezza a Raúl Gatica del Consiglio Indigeno e Popolare di Oaxaca-Ricardo Flores Magón.

29. Chiediamo il rispetto delle economie comunitarie che funzionano in maniera autonoma ed a margine del mercato libero che impone il capitalismo, com’è il caso dell’uso del tumin [valuta basata sul principio del baratto – n.d.t.] nel territorio indio totonaco di Papantla, Veracruz, e del Consiglio del Baratto nelle comunità del municipio di Tianguistenco, nello Stato di México.

Riconosciamo, appoggiamo ed incoraggiamo le lotte per l’autonomia e la libera determinazione di tutti i popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno, dalla Penisola dello Yucatan fino alla Penisola della Bassa California.

Questo siamo, la nostra parola e la nostra lotta irrinunciabile, siamo il Congresso Nazionale Indigeno e nostro è il futuro dei nostri popoli. 

18 agosto 2013

Dal CIDECI- UNITIERRA, San Cristobal de las Casas, Chiapas.

Per la ricostituzione integrale dei nostri popolis

Mai Più Un Messico Senza Di Noi 

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO 

Pronunciamento originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 agosto 2013

Las Abejas denunciano la riattivazione dei paramilitari a Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 agosto. Las Abejas, portando le croci dei loro morti, hanno denunciato la riattivazione dei gruppi paramilitari nelle comunità di Chenalhó. AA quattro anni da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) ha inizato a rilasciare i paramilitari che perpetrarono il massacro di Acteal, l’organizzazione della società civile dichiara: “Per noi è la ‘Suprema Corte dei ricchi e criminali’ che ha scarcerato dal 12 agosto 2009 fino a questo anno, 69 paramilitari (tra di loro molti rei confessi), e in prigione ne restano solo sei”. I paramilitari, puntualizza la direzione di Las Abejas, si sono già riattivati sparando le loro armi e causando sfollamenti come nel 1997.

I tzotzil riferiscono che quando avevano saputo che la SCJN avrebbe rilasciato gli assassini, avevano cercato di parlare con i giudici; tuttavia, non hanno voluto ascoltarli perché la scarcerazione dei paramilitari era progettata dalla presidenza della Repubblica ed Acteal è un crimine di Stato.

Menzionano come una delle attività recenti della loro violenza, quanto accaduto nella colonia Puebla (insieme a Los Chorros è una delle principali culle dei paramilitari), col pretesto di una proprietà della Chiesa cattolica. Quanto accaduto ha le stesse caratteristiche e tattiche della guerra di contrainsurgencia del Plan Chiapas 94, diretto dall’allora presidente Ernesto Zedillo. Grazie alla mancanza di giustizia i paramilitari scarcerati e soprattutto quelli che non sono mai andati in prigione, oggi aggrediscono e vessano impunemente, perché è stato dimostrato loro che per massacrare donne, uomini e bambini, invece di punizioni si ricevono premi.

Un’altra prova del ritorno dei paramilitari è che alla fine di luglio un gruppo guidato da Agustín Cruz Gómez, commissario e pastore presbiteriano a Puebla, ha realizzato un presidio nello Zócalo di Città del Messico. In un comunicato stampa chiedevano l’intervento della Federazione, dell’Esecutivo, dei poteri Legislativo e Giudiziario, per risolvere la terribile situazione dal 1997.

Questo gruppo, dicono Las Abejas, si prende gioco della verità. Si presentano come vittime e ci accusano di essere provocatori ed assassini. Al presidio di Città del Messico erano presenti il paramilitare scarcerato “Roberto Méndez Gutiérrez, comandante paramilitare, assassino reo confesso per il massacro, ed abitant di Los Chorros, e Jiacinto Arias Cruz (di Puebla)”, che come sindaco di Chenalhó, nel 1997 forniva armi alle comunità paramilitari.

Méndez Gutiérrez è stato liberato in gran segreto, non è mai stato reso si pubblico, ed ora “è alleato del gruppo di Agustín Cruz, e si firma nel comunicato di Città del Messico come ‘liberato e reo confesso'”. Da parte sua, Arias Cruz nega di essere coinvolto nel conflitto di Puebla, ma siè smascherato da solo perché ha firmato il citato comunicato stampa, dove si lanciano anche accuse contro il Frayba e La Jornada.

Un altro elemento della ripresa paramilitare a Chenalhó, è stata la presenza al presidio di Manuel Anzaldo Meneses, coordinatore della Sociedad de Trabajadores Agrícolas de los Altos de Chiapas, conosciuto molto bene nel 1997 come leader del Partito Cardenista i cui militanti, insieme ai priisti, perpetrarono il massacro di Acteal. Las Abejas sostengono che “dietro il’attuale conflitto di Puebla ci sono quelli che nel 2007 hanno organizzato la campagna di liberazione dei paramilitare – il Centro de Investigaciones y Docencias Económicas, Héctor Aguilar Camín, un gruppo di pastori evangelici e Manuel Anzaldo Meneses, tra gi altri – “.

Las Abejas dicono agli autori intellettuali del massacro e di altri crimini: Anche se protetti dalla giustizia e crediate di non poter essere giudicati, non siete liberi. La nostra memoria e quella del popolo del Messico e del mondo vi giudicherà. Avrete sempre sulla coscienza il sangue di Acteal. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/13/politica/016n1pol

Comunicato di Las Abejas

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La Jornada – Lunedì 12 agosto 2013

Partiti per i caracol i 1.700 alunni della Escuelita zapatista

Moises

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 11 de agosto. I quasi 1.700 alunni che frequenteranno la Escuelita zapatista a partir e da questo lunedì, coordinati dalla Comandancia General dell’Esercito Zapatista di LiberazioneNazionale (EZLN), sono partiti per i cinque caracol nel pomeriggio di domenica.

La partenza dal Centro Indígena de Capacitación (Cideci) Las Casas è stata coordinata da una decina di comandanti, tra i quali, David, Tacho, Zebedeo, Felipe, Ismael, Bulmaro, Miriam, Susana, Hortencia e Yolanda, ma nessuno ha rilasciato dichiarazioni.

Gli alunni, provenienti di diversi stati del Messico e da altre nazioni, hanno cominciato a partire in carovana dalle ore 15 di domenica su auto, furgoni e camion verso i caracol di La Realidad, municipio di Las Margaritas; La Garrucha, Ocosingo; Roberto Barrios, Palenque; Morelia, Altamirano e Oventic, di San Andrés.

Tra gli invitati speciali che saranno esonerati dalla frequenza, oggi sono arrivati al Cideci l’ex rettore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), Pablo González Casanova; l’attrice Julieta Gurrola; gli intellettuali ed accademici Gustavo Esteva, Sylvia Marcos e Paulina Fernández, così come i rockers Mastuerzo e Rocko, tra altri. (…)

La presenza festosa dei circa 1.700 alunni di diversi paesi ha riportato alla mente molti altri incontri, tra i quali, gli incontri contro il neoliberismo realizzato dall’EZLN negli anni ’90 negli aguascalientes, ora diventati caracol.

Fin dall’alba centinaia di persone di collettivi, organizzazioni ed in forma individuale hanno raggiunto la sede del Cicedi ed al pomeriggio c’erano circa duemila persone tra invitati e basi di appoggio zapatiste che li avrebbero portati nei caracol.

Con il volto coperto dai passamontagna, muniti di radio e telefoni cellulari, i comandanti –Tacho e David, principalmente– hanno iniziato la supervisione e l’organizzazione della partenza dei veicoli a partire dalle ore14:00. Si sono formate lunghe file di alunni in attesa di salire sui veicoli.

Alle ore 20:00 tutti i grupi diretti nei cinque caracol erano partiti, ad eccezione di circa 300 persone in arrivo dall’aeroporto vicino di Tuxtla Gutiérrez, il loro arrivo era previsto per la notte o l’alba di lunedì. Nel pomeriggio e la sera si sono svolti concerti nell’auditorium del Cideci.

Prima di partire, nel Cideci, sede anche dell’Università della Terra Chiapas, a tutti gli alunni che frequenteranno le lezioni di libertà e autonomia nelle comunità indigene zapatiste dal 12 al 17 di questo mese, sono stati consegnati i libri ed l materiale scolastico. Il materiale didattico è composto da due dischetti, quattro libri illustrati con immagini a colori delle basi di appoggio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/12/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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APPRENDERE AD APPRENDERE

Gustavo Esteva

E’ arrivato il momento di apprendere. Questa settimana nei caracoles si effettuerà l’inaugurazione e nella prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. Giungeranno, da molte parti del Messico e del mondo, quanti sono stati espressamente invitati al soggiorno di apprendimento nelle comunità zapatiste. Le feste nei caracoles, dall’8 al 10 di agosto, e gli atti della cattedra Tata Juan Chavez1, il 17 e il 18, saranno aperti a quanti desiderino avvicinarsi a noi.

I lettori de La Jornada hanno potuto seguire, a partire dal 21 dicembre scorso, la serie di comunicati che hanno portato a questi eventi2. E’ anche possibili assistervi in collegamento diretto.

Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere.

Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.

Questa parola origina un riferimento immediato a coloro che la hanno persa e genera solidarietà con quanti sono incarcerati. Non vi è dubbio che ci si debba occupare e preoccupare di costoro: una loro parte consistente è innocente. Si deve lottare per loro e rendere palese la profonda ingiustizia del fatto che li si incarcerino mentre i veri colpevoli dell’orrore che ci circonda passeggiano impunemente nelle strade.

Inviterò ancora una volta all’incontro il poeta John Berger. Un tempo ci disse: se mi vedessi costretto ad impiegare una parola per esprimere ciò che accade nel mondo, penserei alla prigione. In essa stiamo, incluso noi tutti che affermiamo di essere liberi. Si tratta di apprendere cosa è la libertà per gli zapatisti e forse, con questo apprendimento, imparare a vedere le nostre sbarre.

Sempre di libertà parla , inevitabilmente, un comunicato opportuno e necessario che annuncia per il 19 di giugno l’apertura de ‘La casa di tutte e di tutti’ a Monterrey. Si tratta della volontà di essere liberi e dei principi e della morale come fondamenti di un atteggiamento rivoluzionario.

Non può dirsi che sia la famosa casa del dottor Margil, quella che più di 4 decadi or sono vide nascere le Forze di Liberazione Nazionale. Distrutta da vandali alcuni mesi or sono, è ora sotto restauro. Annuncia una pagina, www.casadetodasytodos.org, nella quale verranno via via pubblicati comunicati e materiali di questa organizzazione.

Sappiamo assai poco di questa organizzazione. Il nome è circolato come primogenitura dell’EZLN, però poco ci ha detto della propria storia, della sua gestazione, della sua finalità. Il n. 20 di Contrahistorias, ora in circolazione, pubblica una serie di interviste di quadri dell’EZLN nelle quali si fa riferimenti alle Forze di Liberazione Nazionale. Ma sono solo appunti frammentari dell’organizzazione.

Lo splendido documentario di Luisa Riley, Flor en Otomí, che è stato presentato a Città del Messico il 19 aprile 2012 e da allora circola nei circuiti alternativi, ci ha consentito di spiare la vita di Dení Prieto e l’orrore della casa di Nepantla ma ha accresciuto il desiderio di saperne di più e non di placarlo. E’ bello sapere che ora avremo, dalla fonte originaria, il materiale che consentirà di vincere questa battaglia della memoria contro l’oblio.3

Due ingredienti del comunicato in cui si dà notizia dell’apertura della Casa di tutte e di tutti mostra la continuità con ciò che avverrà nei prossimi giorni. Con riferimento al primo comunicato delle Forze di Liberazione Nazionale del 2 agosto 1971, che circolò in copie fatte con la carta carbone fra i membri dell’organizzazione per dare notizia del primo scontro armato con lo Stato, si evidenzia con tutta chiarezza quanto oggi è in primo piano: che si trattava, già allora, di una lotta per la libertà e che, sempre da allora, i principi, la morale erano il fondamento di ogni comportamento, di ogni azione politica.

Questi comportamenti hanno segnato la differenza, durante quattro decadi, rispetto alle classi politiche, ai governi, ai partiti, e anche a molte forze politiche clandestine con pretese rivoluzionarie. E’ la differenza che oggi più che mai è necessario continuare a sostenere.

Traduzione di A.Z.

1 Trattasi di una cattedra itinerante recentemente creata dall’EZLN, dedicata all’indigeno puerepecha Tata Juan Chavez Alonso (ndt)
2 Reperibili su enlacezapatista.ezln.org.mx. In particolare il testo Ellos y nosotros e il testo Votan.

3 Luisa Riley, autrice del documentario, da adolescente era stata amica di Dení Prieto Stock, una giovane che a 19 anni entrò a far parte di una organizzazione guerrigliera –Fuerzas de Liberación Nacional-. Quattro mesi dopo, il 14 febbraio 1974, Dení venne uccisa assieme a 4 compagni in un assalto dell’Esercito Messicano alla casa dell’organizzazione situata a Neplanta. Il documentario ricostruisce la sua vita a partire dal diario conservata dall’amica Jana.

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Debito storico.

La Jornada – Sabato 10 agosto 2013

Frayba: Il riconoscimento dei diritti indigeni è un debito storico dello Stato

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 agosto. Un debito storico, permanente e pendente dello Stato messicano, è il riconoscimento sancito nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, sostiene oggi il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Ciò nonostante, a livello ufficiale li si strumentalizza per promuovere l’industria del turismo, realizzare festival e mostrare un folclore anacronistico della realtà nazionale.

Nel contesto del Giorno Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo, deciso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1994, e nel decimo anniversario delle giunte di buon governo (JBG) create dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale negli Altos, Zona Nord e nella Selva Lacandona nel 2003, il Frayba sottolinea che in Chiapas si esercita la resistenza e l’autonomia in difesa della terra e del territorio.

Il centro dei diritti umani ha reiterato il debito dello Stato verso i popoli non riconoscendo i loro diritti, dando priorità ad interessi economici ed azioni che violano i diritti collettivi e individuali, come lo sfruttamento minerario, l’imposizione di centrali idroelettriche, progetti eolici, costruzione di autostrade, privatizzazione delle risorse naturali, tra altri, che colpiscono la terra e il territorio in cui vivono da tempi ancestrali i popoli.

Nel paese, e nel caso specifico in Chiapas, chi si organizza per la difesa e l’esercizio dei propri diritti collettivi e differisce dall’interesse patronale neoliberista è criminalizzato, represso, aggiunge il Frayba. Le politiche dei governi mercificano le risorse naturali e l’intera vita nei territori ancestrali in cui vivono i popoli indigeni, in una logica di sfruttamento e mancato riconoscimento delle loro espressioni culturali, con altri sistemi di vita che hanno le proprie radici a prima della colonizzazione e sono parte della diversità che sostenta l’umanità.

I territori indigeni possiedono la biodiversità più ricca del Chiapas ed hanno sempre attirato interessi nazionali e internazionali che i governi federale e statale vogliono imporre, a detrimento dei diritti umani e contro il loro obbligo di promuoverli, rispettarli e garantirli. A proposito, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha stabilito che gli Stati devono adottare misure speciali e specifiche destinate a proteggere, favorire e migliorare l’esercizio dei diritti umani dei popoli indigeni.

Il Frayba segnala in particolare la partecipazione delle donne indigene in Chiapas, protagoniste rilevanti nel processo sociale di difesa del diritto alla terra ed al territorio. Sono rimaste invisibili nelle esperienze condivise di lotta per il territorio. Tuttavia, uno dei pilastri della rivendicazione del loro diritto alla libera determinazione e all’esercizio dell’autonomia, è nell’uso e nello sfruttamento delle risorse naturali, oltre al riconoscimento del loro lavoro e al diritto di vivere una vita libera dalla violenza. L’organizzazione richiama l’attenzione sulla situazione dei bambini indigeni, oggetto di politiche assistenziali, e mai soggetti che partecipano all’esercizio dei loro diritti.

Di fronte al rifiuto del governo di riconoscere il processo di rivendicazione e le lotte dei popoli in Messico, il Frayba conclude che, ciò nonostante, ora i diritti collettivi sono una realtà attraverso l’esercizio degli Accordi di San Andrés, come testimoniato dai dieci anni dei caracol e delle JBG dell’EZLN, dimostrazione esemplare dell’autonomia dei popoli nella costruzione dei propri diritti. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/politica/010n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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OJARASCA N. 196 – Agosto 2013

 

ZAPATISTI: CON LA LIBERTÀ NEGLI OCCHI


Foto: Gildardo Magaña

Da più di vent’anni, nelle montagne dei popoli maya del Chiapas corre la libertà. Molte volte, soprattutto con l’insurrezione nel 1994, sono stati visti con morbosità o paura; il più delle volte non sono visti né nominati dalla “opinione pubblica”. Come se con questo smettessero di esistere. Anche da allora ammirati con empatia, speranza, solidarietà ed anche partecipazione da organizzazioni, gruppi e persone di tutto il Messico e decine di paesi nei cinque continenti. E lì tra loro, non dimentichiamolo, estrassero le armi della comunicazione globale istantanea, oggi tanto comuni. Erano libertà che si incontravano.

Con una concreta autonomia territoriale e di governo, in contruzione dal dicembre del 1994 —e immediatamente colpita con la brutale occupazione militare nel febbraio del 1995—, l’esperienza di governo e autogestione zapatista si è evoluta senza tregua. Nell’agosto del 2003 sono state create le Giunte di Buon Governo, ed i cinque centri di incontro conosciuti prima come Aguascalientes, sono diventati sede di governo regionale, o Caracoles.

L’arduo compito collettivo di costruire una vita diversa e possibile ha occupato i giorni e gli anni di centinaia di popoli campesinos ancestrali, antichi, moderni o appena creati, di tsotsil, tseltal, tojolabal, chol, mam, zoque. Municipi e regioni autonome dove hanno messo in moto sistemi alternativi di salute, educazione, produzione e commercializzazione, giustizia, dibattito e decisione collettiva di governo. In poche parti del mondo qualche comunità – e qui sono centinaia di villaggi – può dire la stessa cosa.

Molte volte hanno nascosto il volto, ma mai i loro occhi, in un cammino verso la libertà che non è iniziato il primo gennaio del 1994. I tempi dello schiavismo, acasillamiento e della manipolazione politica e religiosa sono stati gettati alle spalle. Si sono sollevati perché erano liberi, invocando la liberazione nazionale.

Sono trascorsi gli anni, atroci e traditi in tutto il paese. La corruzione, la violenza, l’ingiustizia, il razzismo, l’illegalità come forma di governo, la devastazione, il saccheggio, le espulsioni e la cessione della sovranità al migliore offerente rappresentano una sfida definitiva alla nostra libertà come messicani, come cittadini, come esseri umani. Negli occhi degli indio zapatisti, nei loro piedi piantati in terra in maniera così potente e distintiva, è viva la risposta. Loro sì hanno reso possibile la possibilità, e sono liberi.

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/oja-ojos.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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A SCUOLA NELLE ESCUELITAS ZAPATISTE

Sono trascorsi quasi 20 anni dall’insurrezione armata degli indigeni zapatisti del Chiapas (1 gennaio 1994) e 30 dall’arrivo, nelle cañadas di Ocosingo, di un esiguo gruppo di militanti cittadini scampati alla guerra sucia: <<un gruppo di illuminati che arriva dalla città per liberare gli sfruttati si trova, più che illuminato, messo a confronto dalla realtà delle comunità indigene […] Quanto tempo ci abbiamo messo per renderci conto che dovevamo imparare ad ascoltare e, dopo, a parlare? Non sono sicuro, sono passate già non poche lune, però io calcolo per lo meno due anni. Cioè, ciò che nel 1984 era una guerriglia rivoluzionaria di tipo classico (sollevazione armata delle masse, presa del potere, instaurazione del socialismo dall’alto, molte statue e nomi di eroi e martiri dappertutto, purghe, eccetera, infine, un mondo perfetto), per il 1986 era già un gruppo armato, indigeno in modo imbarazzante, che ascoltava con attenzione e balbettava appena le sue prime parole con un nuovo maestro: i popoli indios>>. [da Chiapas: La tredicesima stele del Subcomandante Marcos].

Un altro anniversario: l’8 di agosto nei territori zapatisti nascevano i caracoles, la forma di autogestione più radicale che si conosca oggi nel mondo. Nei caracoles appunto questa settimana si sono aperti i festeggiamenti per il ricevimento degli oltre 1800 invitati in Chiapas dove <<nella settimana prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. […] Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere. Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.>> (G. Esteva, Apprendere ad apprendere, www.comune-info.net).

L’insurrezione zapatista riapriva la storia grazie a un pugno di insumisos e ciò avveniva in un angolo sperduto delle montagne del sudest messicano per mano degli ultimi fra gli ultimi, gli indigeni maya, mai definitivamente sottomessi, contrariamente alla storiografia che li descriveva come selvaggi, indolenti, incapaci, falsi, antropofagi (C. Montemayor) tanto che la parola indio, frutto dell’errore geografico di Colombo, divenne nelle società coloniali un feroce insulto.

20 anni or sono, al momento dell’insurrezione e dopo, per vari anni, l’interesse fu vivo nel mondo italiano dei movimenti dove si leggevano e discutevano animatamente i comunicati del “subcomandante” oltre a quelli, più rari e contenuti, della comandancia del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Per molti fu la rinascita di una speranza, per altri, più riflessivi, fu l’inizio di una rigenerazione del pensiero dopo un lungo letargo ideologico.

Il lemma dell’Incontro Intergalattico che gli zapatisti organizzarono due anni dopo, a fine luglio 2006, nella Selva Lacandona, fu esemplare: “Per l’umanità, contro il neoliberismo”. E molti loro slogan -che slogan non erano bensì lunghi ripensamenti condensati e tradotti in norme di comportamento- aiutarono molti di noi a riflettere. “Un mondo capace di contenere molti mondi diversi” proponeva una alternativa alla globalizzazione omogeneizzante. “Per noi nulla, per tutti tutto” era un programma politico preciso, alternativo alla logica dominante. “Parlare e ascoltare” era una norma basica senza il cui rispetto non esiste dialogo alcuno. “Avanzare domandando” era l’antidoto contro le onnisapienti avanguardie “progressiste” e “illuminate”. Ma soprattutto “comandare obbedendo” era una nuova concezione del potere distillata nelle comunità indigene durante 5 secoli, 3 di colonia prima e 2 di colonialismo interno dopo.

Oggi qui in Italia molti che allora si infiammarono si sono dimenticati degli zapatisti. Molti pensano che siano scomparsi. Alcuni degli ‘illuminati’ ritengono l’esperienza zapatista superata, marginale, vana. E’ certo che il Chiapas non fa più “notizia” come allora, e le nuove leve dei movimenti neppure forse conoscono i fatti. Eppure nel dicembre del 98 eravamo in molte migliaia a Roma –chi scrisse 40 mila, ma anche la metà sarebbe stato un numero notevole- per manifestare contro la strage avvenuta nel villaggio di Acteal.

Un giorno forse qualcuno scriverà la storia del movimento “zapatista” in Italia e probabilmente indicherà, fra i vari motivi dell’oblio, come è stato affossato, inseguendo logiche tradizionali di cooptazione politica da parte di sinistre politiche radicali e sconclusionate, aduse all’usa e getta, sempre alla ricerca affannosa e confusa di idee e di miti per rimpolpare le esangui file. O di movimenti “disobbedienti” incapaci di concepire altro che la propria “leadership”. Ma scriverà anche di quello che magari anonimamente è passato di positivo nel pensiero e nei comportamenti di singoli o gruppi.

Ma legami con gli zapatisti, accompagnati da un pensiero critico sempre in ricerca, continuano seppur ridotti, tenuti accesi da piccoli nuclei, una radio comunitaria là, un sito costantemente aggiornato qua, un flusso ridotto ma non spento, di viaggiatori con destinazione i punti di osservazione internazionale nelle zone dove la sicurezza è più critica. Così in questi giorni molti hanno accettato l’invito ad andare a ‘ri-apprendere ad apprendere’, nelle escuolitas zapatiste, cosa siano la dignità, l’autogestione, la libertà. E ci auguriamo che al ritorno ci raccontino e rianimino un dibattito, dibattito che certamente tornerà a riaccendersi a dicembre, in occasione del XX anniversario dell’insurrezione.

PS I Testi del sup Marcos e del sub Moisés riguardanti le modalità e il s9ignificato delle visite alle escolitas sono leggibili sul blog https://chiapasbg.wordpress.com

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La Jornada – Venerdì 9 agosto 2013

Gli zapatisti festeggiano i 10 anni delle giunte di buon governo in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 8 agosto. 10 anni fa, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) annunciava la creazione di cinque giunte di buon governo (JBG), un’innovativa forma di governo autonomo che si mise immediatamente in funzione, anche se per essere precisi, queste attività erano già in corso nei nei municipi ribelli dal 1995 e 1996, contemporaneamente ai dialoghi di San Andrés tra il governo messicano e la comandancia zapatista, accompagnata da rappresentanti della maggior parte dei popoli e tribù indigene del paese.

Come allora, in questi giorni di agosto nei cinque caracol si sono riunite migliaia di basi di appoggio zapatiste. Col passare del tempo, la loro esperienza (ed esperimento) di governo autogestito e libero non ha fatto altro che consolidarsi, e con esso consolidare l’autonomia controcorrente. Se nel 2003 le JBG rappresentavano la risposta esplicita al tradimento finale del governo di Vicente Fox, del Congresso e della Corte Suprema di Giustizia della Nazione agli accordi firmati nel 1996 (e disconosciuti poi dal governo di Ernesto Zedillo, per voce dell’allora segretario di Governo, Emilio Chuayffet), oggi sembrano dimostrare che gli accordi firmati si possono praticare concretamente. E la cosa più strana: possono funzionare. Non è poco in un paese dove le forme di governo legali sono ogni giorno sempre più disfunzionali ed inefficienti.

Siamo forti per lottare

Dieci anni fa, ad Oventic, dove furono presentate le JBG ed i caracol, la comandante Rosalinda disse con disarmante naturalezza: Stiamo dimostrando ancora una volta che siamo forti per lottare. Resistiamo da 10 anni e siamo proti a proseguire. Sì, possiamo farlo. Altri dieci anni, e qua sono avvenuti cambiamenti tangibili e sostanziali nella qualità di vita delle nuove generazioni ribelli delle comunità del Chiapas. Le parole della comandante nel 2003 suonano attuali: I municipi ribelli sono belli e chingones perché sappiamo resistere. Il malgoverno non ci ha sconfitti perché non può. Non scoraggiatevi. Non spaventatevi delle minacce e delle persecuzioni dei malgoverni. La nostra lotta è cresciuta molto.

Bisogna ricordare che poco tempo fa, il 21 dicembre 2012, quarantamila basi di appoggio dell’EZLN hanno sfilato in cinque città. In impressionante silenzio.

Sono comunità dove, per esempio, la medicina preventiva (passata di moda su scala nazionale e globale) si applica con il minimo e produce risultati spettacolari nel controllo delle malattie che prima li uccidevano. Dove, senza il governo organizzato dei territori autonomi, per il malgoverno (come tenacemente lo chiamano lì le JBG ed i consigli municipali autonomi dove il popolo comanda ed il governo ubbidisce) non ci sarebbe governabilità. Lo hanno ammesso pubblicamente gli ultimi tre governatori del Chiapas.

Accompagnano sempre gli zapatisti nella loro lotta, i popoli del CNI. Nel 2003 risposero affermativamente alla decisione di applicare gli Accordi di San Andrés come legge legittima per i popoli indio del Messico. Continuano a farlo. Mentre chi sosteneva che l’autonomia indigena avrebbe balcanizzato il paese, è riuscito esattamente a balcanizzarlo per distruggere i popoli.

Un’altra esatta descrizione è quella del dottor Pablo González Casanova l’11 settembre di quell’anno: “Quello dei caracol è un progetto di popoli-governo che si articolano tra loro e cercano di imporre strade di pace in tutto quanto sia possibile, senza disarmare moralmente o materialmente i popoli-governo, tanto meno in momenti e regioni dove gli organi repressivi dello Stato e le oligarchie seguono le orme sempre più aggressive, crudeli e ignoranti del neoliberismo di guerra che includono la fame, l’insalubrità e ‘l’ignoranza obbligata’ dell’immensa maggioranza dei popoli, per indebolirli e perfino decimarli o distruggerli, se è necessario”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/09/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della Comunità di Candelaria el Alto 

Comunicato della Comunità di Candelaria el Alto 

Al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba)

Alla Rete Contro la Repressione e la Solidarietà

Ai Difensori dei Diritti Umani ONG

Alla Commissione di Riconciliazione Comunitaria (CoReCo)

Al Servizio di Consultazione per la Pace (Serapaz)

A tutte le Donne e tutti gli Uomini che vogliono la Giustizia

Agli Aderenti alla Sexta

Al tutto il Popolo del Messico 

Noi, bambini, giovani, uomini e donne della Comunità di Candelaria el Alto, Aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN, siamo una comunità indigena del Municipio di Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.

La nostra comunità da tre anni non può coltivare le proprie terre a causa del conflitto con Nuevo San José La Grandeza appartenente all’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Region Carranza (OCEZ-RC). In tutti questi anni abbiamo cercato di trovare una soluzione al conflitto per vivere degnamente e lavorare la terra che ci spetta, così da dare cibo alle nostre famiglie. La nostra Comunità ha presentato denunce al Governo ed alle Organizzazioni dei Diritti Umani, ma al governo non ha mai importato nulla fino ad oggi e tutta la comunità si trova in una grave situazione di scarsità alimentare e sta soffrendo la fame. 

Noi siamo una comunità dignitosa che non chiede appoggio al governo per risolvere il problema della mancanza di cibo. Agli inizi del 2013 abbiamo aperto un tavolo di dialogo con Nuevo San José La Grandeza per cercare una soluzione definitiva e vivere in pace e dignità e poter lavorare la nostra terra. Al tavolo di dialogo ci accompagnano e assistono i fratelli del Frayba, CoReCo e Serapaz.

Intanto che il dialogo avanza, noi della comunità di Candelaria el Alto non possiamo lavorare le terre pertanto non abbiamo i nostri generi alimentari di base, come mais e fagioli, e non abbiamo la possibilità di procurarci quello di cui le nostre famiglie hanno bisogno. 

Per questa ragione chiediamo l’appoggio e la solidarietà delle organizzazioni sopra menzionate e di tutte e tutti quelli che si vogliano unire per far fronte all’emergenza umanitaria e alimentare che stiamo soffrendo inviandoci quello che possono come mais, fagioli, riso o aiuti economici.

2 agosto 2013 

Comunità Candelaria el Alto – Municipio diVenustiano Carranza – Chiapas – Messico

Aderente alla Sexta

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/06/denuncia-de-la-comunidad-de-candelaria-el-alto/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Votan IV

Meno 7 Giorni.

Dove si rivela quello che il cuore zapatista ammira in altr@, si avvisa che ci sono esonerat@ e si danno consigli oziosi che nessuno osserverà.

Agosto 2013

Bene, manca poco. Mi riferisco ai giorni che mancano alla scuola, non a quello che dobbiamo e vogliamo dire.

Se cercate una scuola che assegni un maestro, una maestra, ad ogni singolo studente, 24 ore al giorno, che sia gratuita e laica, e che i fornisca vitto e alloggio mentre imparate-insegnate, vi auguriamo buona fortuna.

Come sapete, la scolarità dei partecipanti va dalla materna fino al dottorato all’estero (e per “estero” non ci riferiamo ad altri paesi diversi dal nostro, ma all’essere alieno, straniero, e molte istituzioni educative nel nostro paese sono straniere). Ed i calendari si allungano dai mesi di vita fino agli oltre 90 anni. Tutte e tutti saranno accolti nel nostro cuore collettivo, indipendentemente che vengano in comunità, o gli tocchi andare al CIDECI, o in un’altra geografia per videoconferenza, o che ricevano il materiale scolastico, o che aspettino il loro turno.

Forse vi sarete resi conto dello sforzo organizzativo che la scuola rappresenta per i popoli zapatisti.

Ma non domandatevi perché e come un gruppo di comunità indigene decide di ospitare, nutrire, convivere e condividere le sue conoscenze con un gruppo di stranieri, di diversi, di altr@. O com’è che l’oggetto dell’elemosina, della compassione, della pena e degli altri nomi dietro i quali si nasconde il razzismo, la discriminazione e il disprezzo, cioè, gli indigeni zapatisti, commettono l’audacia di dichiarare che hanno qualcosa da insegnare e per questo costruiscono, come prima una nave assurda in piena selva, ora una scuola così grande da abbracciare il mondo intero.

Oppure sì, ma domandatevi anche com’è possibile che persone dei 5 continenti, di ogni nazionalità (questo trucchetto di bandiere, frontiere e passaporti), di grandi o piccole conoscenze, decide che ha qualcosa da imparare da persone che nei grandi libri e nei discorsi governativi sono catalogate come “ignoranti”, “arretrate”, “emarginate”, “povere”, “analfabete”, e gli eccetera che potete trovare negli “studi” dell’INEGI, nei manuali di antropologia, e nelle parole e nei gesti di schifo di chi dice di governare il mondo.

Perché gente di fama o senza nome, si prende del tempo e lo usa per ascoltare, e nella maggioranza dei casi anche per viaggiare, per imparare dai popoli zapatisti?

A noi zapatisti non meraviglia il nostro continuo e persistente sali e scendi nella lotta per la vita, cioè, per la libertà. Quello che davvero ci sorprende è che esistano persone come voi che, potendo scegliere destinazioni più gradevoli, comode e invitanti, decidono di portare il loro cuore nelle montagne ribelli del sudest messicano per illuminare con un lampo, insieme a noi, un agosto nell’ultimo angolo di mondo, nel più piccolo.

Perché? Sarà perché per caso intuiscono, sanno, conoscono, che la luce non viene dall’alto, ma nasce e cresce dal basso? Che non è il prodotto di un leader, capo, caudillo, saggio, ma della gente comune? Sarà che nei loro conti, il grande comincia piccolo e ciò che ogni tanto scuote il mondo inizia con un mormorio, sommesso, basso, quasi impercettibile? O forse immaginano com’è il rumore di un mondo quando si sgretola. Forse sanno che i mondi nuovi nascono con i più piccoli.

Infine, ciò che in realtà deve sorprendere, siete voi qua e con noi, da questa parte. E credo sia chiaro che non mi riferisco né al calendario né alla geografia.

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LE/GLI ESONERATI

Noi zapatiste, zapatisti, abbiamo avuto la fortuna di contare sull’ascolto, la parola e la mano compagna di uomini e donne che guardiamo dal basso per la loro levatura morale. Alcuni/e di loro non hanno detto niente direttamente su di noi, né a favore, né contro. Ma le loro parole su come gira il mondo, lo fanno.

E ci sono persone che potrebbero ben stare dall’altra parte, con quelli di sopra, o con chi da parti diverse vede in noi un concorrente, un ostacolo, un fastidio, un nemico, un animale impossibile da domare e addomesticare. Là, da quella parte, potrebbero ricevere onori e corteggiamenti, omaggi e complimenti. Per ottenerli, bastava prendere le distanze dal nostro passo o unire il loro silenzio a quello complice di altre, di altri.

Alcune di queste persone hanno accettato l’invito alla scuola zapatista per generosità. Nel lungo percorso del loro degno cammino, hanno sempre mantenuto i ponti verso lo scalino più piccolo, più dimenticato, il nostro.

Ci sono stati anche altri, altre, che prima ci hanno appoggiato? Sì, molti, molte, e poi, sulla cresta dell’onda di turno, ci hanno chiesto sottomissione e soggezione alla nuova casacca che indossavano i nostri persecutori di sempre, ma ora di “sinistra”. Ci hanno chiesto che, prostrati, ringraziassimo per il loro aiuto tacendo di fronte alle ingiustizie di sempre, abbellite di false parole. Come il Prepotente, ci hanno chiesto obbedienza. Come al Prepotente, gli abbiamo risposto con la ribellione.

Ma queste altre persone compas, uomini e donne di differenti calendari e geografie, non ci hanno mai chiesto né sottomissione né di tentennare. E benché non poche volte il loro sguardo sia stato e sia critico riguardo il nostro cammino, è sempre stato ed è compagno. Loro sono la prova che appoggio non è subordinazione (qualcosa che la sinistra mondiale ancora non riesce a capire).

Abbiamo invitato tutti/e loro. Ma non come alunni. Secondo noi, loro capiscono bene che cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti. Li abbiamo invitati per renderli partecipi della gioia di vedere che il nostro passo, benché lento e sconcertante, prosegue e va verso un solo destino, che è anche il loro.

Riporto alcuni nomi. Non ci saranno tutte, tutti. Ma nominandoli, nominandole, nominiamo chi dovrebbe apparire al nostro fianco, ed anche, chi non c’è perché la morte si è presentata sul suo cammino. Ma sono nella nostra memoria, l’unica cosa e la migliore che abbiamo come arma e scudo. Ci mancheranno, per esempio: l’instancabile attivismo della compagna sorella Chapis; la fermezza della compa Rosa di Querétaro; lo sguardo-ponte di Beverly Brancroft; l’allegra risata di Helena, l’ostinata lotta di Martha de Los Ríos, la limpida parola di Tomás Segovia; il saggio ascolto di José Saramago, i sentimenti fraterni di Mario Benedetti, il genio di Manuel Vázquez Montalbán, la serena coerenza di Adolfo Sánchez Vázquez, la profonda conoscenza di Carlos Montemayor, l’abbraccio fraterno di Andrés Aubry e Angélica Inda, tra molti@ altr@.

Tutti loro, e qualche altr@, anche se inclusi nella lista degli invitat@ come alunn@, non lo sono. Sono, per usare il gergo scolastico, esonerati.

Sarà bene accoglierli con un abbraccio, qui o nella geografia dalla quale, generosi, ci guardano e ascoltano. Che vengano o no, saranno con noi per quello che sono: le nostre compagne e compagni.

Ora riporto il nome di pochi/e. Ce ne sono di più. A tutte e tutti loro faremo arrivare, insieme al nostro abbraccio, rinnovati ammirazione e rispetto, la lettera di esonero che è solo una prassi accademica per far loro sapere la nostra gratitudine. Quindi, ecco alcuni degli esonerati, con onore, dal corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”:

.- Nuestras queridas abuelas y madres, las Doñas de Chihuahua y de Sinaloa, en el México de abajo y a la izquierda.
.- Nuestras abuelas y madres de Plaza de Mayo, en la Argentina digna.
.- María Luisa Tomasini, nuestra abuela en Chiapas.
.- Pablo González Casanova.
.- Luis Villoro.
.- Adolfo Gilly.
.- Paulina Fernández C.
.- Óscar Chávez.
.- John Berger.
.- Carlos Aguirre Rojas.
.- Antonio Ramírez Chávez.
.- Domi.
.- Vicente Rojo.
.- Immanuell Wallerstain.
.- Gilberto López y Rivas.
.- Noam Chomsky.
.- María Luisa Capella.
.- Ernesto Cardenal.
.- Neus Espresate Xirau.
.- Marcos Roitman.
.- Arturo Anguiano.
.- Gustavo Esteva Figueroa.
.- Jorge Alonso Sánchez.
.- Hugo Blanco Galdós.
.- Miquel Amorós.
.- Neil Harvey.
.- John Holloway.
.- Malú Huacuja del Toro.
.- Armando Bartra.
.- Michael Hardt.
.- Greg Ruggiero.
.- Raúl Zibechi.
.- Eduardo Galeano.
.- Daniel Viglietti.
.- León Gieco.
.- Sylvia Marcos.
.- Jean Robert.
.- Juan Villoro.
.- Mercedes Olivera.
.- Bárbara Jacobs.
.- Mayor insurgente honorario Félix Serdán.
.- María Jesús de la Fuente Viuda de O’Higgins.
.- Inés Segovia Camelo.
.- Obispo Raúl Vera.
.- Bárbara Zamora.
.- El Mastuerzo.
.- Rocko Pachukote.
.- Francisco Segovia.
.- Zach de la Rocha.
.- Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas.
.- Juan Carlos Mijangos Noh.
.- Sindicato Mexicano de Electricistas (SME), México.
.- Ignacio Del Valle.
.- Confederación General de Trabajadores, Estado Español.
.- Víctor Flores Olea.
.- Magdalena Gómez.
.- Brigada Callejera “Elisa Martínez”.
.- la banda tuitera.
.- la banda de medios alternativos.

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Consigli oziosi (perché so che non mi darete retta).

Su scacchi e incubi.

Se, per esempio, vi tocca la scuola nella zona del Caracol di La Realidad. Dopo una giornata convulsa, con le fiacche su mani e piedi, ma con quel piacevole dolore che solo dà l’apprendere, sedetevi fuori dalla capanna. Accendetevi una sigaretta ed osservate come la luce del pomeriggio cede alle ombre della sera. Guardate come tutto intorno a voi sembra muoversi al rallentatore. Cala il silenzio sulla giornata quotidiana, cosa che ora vi permette di apprezzare l’ostinato frinire dei grilli, la lucina giocosa delle lucciole, lo zzzzzzzzz delle zanzare. Allora decidete di tirare fuori la vostra scacchiera portatile. State sistemando i pezzi, quando si avvicina un bambino o una bambina (calcolate: tra gli 8 e i 10 anni) che vi si siede accanto, coccoloni. Il bambino-bambina guarda con curiosità quello che state facendo e vi chiede, con un’innocenza al di sopra di ogni sospetto: “cos’è quello?” Vi sentite lusingati di avere l’opportunità di insegnare qualcosa, soprattutto dopo che da quando siete arrivati non ricevete altro che correzioni dal vostro Votán e dalla famiglia con la quale ora vivete. Quindi, tirate una boccata dalla sigaretta e dite: “Ah, è un gioco, si chiama scacchi”. E qui arriva il momento decisivo. Avete la tentazione di dire quello che non dovete dire. Pensate che, dopo tutto, è solo un bambino-bambina e che sarà divertente insegnargli quel gioco misterioso di intelligenza, tattica e strategia. Allora dite le parole maledette: “Vuoi che ti insegni a giocare?”. Già. La vostra sorte è segnata. Il bambino-bambina dirà con innocenza, “va bene, vediamo se riesco”. Poi: l’incubo. Dopo le prime spiegazioni “questo si chiama pedone”, “questo alfiere”, “questo cavallo” e così via, il bambino-bambina, si siederà davanti a voi. Passerete tutta la sera e parte della notte a sentirvi ripetere “scaccomatto”. Più tardi, poco prima che il sogno sognato occupi il posto del sogno reale, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa, attingerò al mio pacchetto di biscotti a forma di animaletti e penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho sentito maledire in decine di lingue diverse i “maestri” di scacchi bastonati da@ bambin@ della zona di La Realidad. Dopo tutto, mica per niente questo posto è chiamato “La Realidad”, no?Su scacchi e incubi.

Sul Calcio.

Se, per esempio, vi tocca la zona del Caracol di La Garrucha. Stessa situazione della precedente. Adesso è un bambino che giocherella con le mani con un pallone. Vi dice-domanda-sfida con un “Nel villaggio da dove vieni sapete giocare a calcio?”. Sentite subito scorrervi nelle vene Pelé e Garrincha, Maradona e Cruyff, Ronaldo e Messi (non in una Table Dance, si capisce), Puskas e Di Stéfano (sono andato troppo indietro nel calendario?), o chi vi piace nella vostra geografia e calendario. Io vi consiglio solo di sorridere e di mettervi a discorrere del tempo o di altro, ma… cominciate a vedere rosso e, beh, ho sempre pensato che lo sciovinismo sportivo sia ben tollerato perfino nella sinistra più radicale, cosicché, senza ascoltare il mio consiglio, vi sistemate gli stivali-anfibi-scarpe da tennis-pantofole-dita, vi alzate con un “Se sappiamo giocare a calcio nel villaggio da dove vengo? Adesso vedi. Andiamo”. La notte, quando sarete nel dormiveglia del buon riposo, farete la conta dei danni e vi direte che ha sbagliato il portiere, la difesa, il mediano, l’attaccante, l’arbitro, il campo impervio, il fango e la cacca del bestiame, che dopo tutto i gol subiti non erano tanto male, che ci sarà la rivincita. Ma, con l’ultimo sbadiglio, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa e rilassandomi penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho visto squadre internazionali di autentici “assi” del calcio soccombere sui “campi di calcio” del Caracol di La Garrucha. In quella zona, perfino le mucche conoscono la magia del pallone.

Il Pozol Agrio.

In qualunque zona vi toccherà di ognuno dei 5 Caracoles. “C’è festa!” sentite che dicono. Vi alzate, anche se tutto il corpo vi duole come se aveste passato tutto il giorno a cercare di prendere un autobus nell’ora di punta della vostra geografia. Vi avvicinate alla folla. Allora sentite che gridano con giubilo “pozol agrio!”. Ascoltatemi: girate sui tacchi e tornate nella vostra capanna. Se qualcuno ve lo offre, scusatevi con un “grazie, ma sono pieno” e toccatevi la pancia con soddisfatta enfasi. Ma, due a uno che forse vi direte “Beh, sono venuto per condividere, quindi devo condividere anche l’allegria che sembra provocare quello che chiamano pozol agrio”, e ne chiedete un bicchiere-tazza. Mentre passerete l’intera notte alla latrina, sentirete il bisogno di accendere una sigaretta, anche se non fumate, e alla debole luce dell’accendino penserete: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, non tanto vicino ma sì lontano, accenderò la pipa e mentre mi dirò “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”, mi allontanerò ancora di più perché, credetemi, non c’è tabacco che copra quella puzza.

Il Cibo.

Se pensate che qualcosa può farvi male, o sapete che vi fa male, o non vi va, non lo mangiate. Non sentitevi obbligati a mangiare quello che non riuscite. Non vi guarderanno male, né sarete espulsi dalla scuola, né vi criticheranno, niente di tutto questo. Invece vi daranno medicinali per la pancia e vi domanderanno che cosa potete mangiare che non vi faccia male. Perché noi sappiamo bene che ciò che rallegra e nutre del cibo, è la parola che lo condisce. E sì, potete portare quello che vi piace mangiare, a patto che lo condividiate.

E non mi riferisco al fatto di darne una porzione a ciascuno, ma di condividere come si prepara, come si mangia, qual’è la sua storia. E no, condividere il mal di pancia non fa parte della vita comunitaria.

Il Tempo Libero.

Sì, potete portare un pallone, una chitarra, un’opera teatrale, un film, una storia da raccontare. Ricordate solo: tutto collettivo. No, non il collettivo col quale arrivate, ma il vostro collettivo qua: la vostra famiglia ed il vostro Votán. Se sentite qualcuno che dice “che allegra quella tonelada”, non pensate che si riferisca al peso della catasta di legna o del bidone d’acqua. È solo una di quelle bizzarre traduzioni che qua abbondano: con “tonelada” vogliono dire “tonada” [canzonetta – n.d.t.]. Di niente.

Gli slogan.

“Abbandonate ogni speranza di rima”, dovrebbe essere scritto all’ingresso di una comunità zapatista. Se vicino a voi qualcuno sta cercando di comporre uno “slogan” per la festa di benvenuto o di fine corso, e sentite che dice “non che no, sì che sì, siamo tanti e vinceremo”. Non vi venga in mente di dire che così non va o che manca la rima, perché sarete sommersi da una valanga di “perché? forse non siamo tanti? forse non vinceremo?”. E infine, un “ma si capisce, no?”

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Bene. E non dimenticate di portarvi tre cose importanti: qualcosa per il freddo, qualcosa per la pioggia e qualcosa in cui far tesoro della memoria.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
SupMarcos
Messico, Agosto 2013

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Di Alí Primera, la classica “Non basta pregare” cantata da uno zapatista al Festival della Digna Rabia, in Chiapas, Messico. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0WtBVZ5tobY

Gruppo musicale di compas zapatisti degli Altos del Chiapas. http://www.youtube.com/watch?v=vhR3HEy0i3c&feature=player_embedded

Ballo regionale interpretato da bambine zapatiste in Chiapas, al Festival della Digna Rabia. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oYdUDTThyU0

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/04/votan-iv-dia-menos-7/

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La Jornada – Venerdì 2 agosto 2013

Negato l’appello agli ejidatarios che reclamano le terre di Bachajón

Hermann Bellinghausen 

Un giudice federale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, ha negato il ricorso in appello degli ejidatarios tzeltal di San Sebastián Bachajón che reclamano la restituzione delle terre occupate dal governo due anni fa, contro la volontà dei proprietari e abitanti dell’ejido. 

Questo giovedì, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e rappresentante della comunità, aveva presentanto una richiesta di revisione contro la sentenza del 22 luglio, emessa dal giudice José del Carmen Constantino Avendaño, che aveva determinato l’archiviazione dell’appello 274/2011, ritenendo che gli espropri eseguiti dalle diverse autorità statali e federali il 2 febbraio 2011 erano stati autorizzati dall’assemblea generale degli ejidatarios, e pertanto non costituiscono ragione di querela da parte dell’ejido. 

Secondo l’avvocato degli ejidatarios, Ricardo Lagunes Gasca, la richiesta di revisione dovrà essere inviata nelle prossime settimane al Terzo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutiérrez, per il suo studio e risoluzione. 

Si tratta della seconda sentenza emessa da questo giudice a danno del villaggio tzeltal di San Sebastián, dettata praticamente negli stessi termini della precedente, lo scorso 30 gennaio, revocata successivamente dal Terzo Tribunale Collegiale. (….)

Nonostante la notoria mancanza di imparzialità e indipendenza del giudice, gli ejidatarios avvertono che useranno ogni risorsa legale per proteggere il loro territorio. 

L’avvocato degli indigeni sottolinea la contraddizione tra quanto espresso dal presidente della Suprema Corte di Giustizia della Nazione, Juan N. Silva Culli, sull’importanza dei diritti umani a partire dalla riforma costituzionale e gli impegni assunti con organismi internazionali, “e la pratica dei giudici federali nei luoghi più lontani e poveri, che si conformano agli interessi dei gruppi di potere politico ed economico, eludendo il diritto dei popoli alla protezione del loro territorio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/02/politica/016n1pol 

Comunicato degli ejidatario di Bachajón

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Votán III.

SEZIONE NO FAQ.

Quello che avreste sempre voluto sapere su

le/gli zapatisti, la loro dannata scuola e le conseguenze che può avere frequentarla.

Luglio 2013

Sembra che più o meno si vada chiarendo il panorama riguardo cosa diavolo intendiamo noi zapatisti quando parliamo della scuola.

Ma c’è da sperare che ora abbiate più domande che risposte. Accantonata la preoccupazione per le calzature, restano altri quesiti. Vi viene in mente allora che forse è vero che quella zapatista è una ribellione del XXI° secolo, esperta in tutto quello che ha a che vedere con la cibernetica (hanno perfino un grafitero di muri virtuali). Dunque, andate all’internet caffè più vicino, o accendete il vostro computer e cercate: “Scuola Zapatista, Dubbi, domande frequenti, FAQ, eccetera”.

Sullo schermo apparirà un “elegante effetto cibernetico” per eludere la vigilanza dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale gringa, e sarete introdotti nell’ultra segreto server dei trasgressori della legge: lo ZPS (“Zapatist Pozol Server”, la sigla in inglese). Dopo che sullo schermo appare un convincente “Fuck You XKeyscore”, vi viene chiesta una password per entrare. Voi provate “MARICHIWEU” e lo schermo dice “No”. Provate con “NOSOTR@S” e sullo schermo appare “Neanche”. Tentate con “DURITO” e lo schermo dice “Neanche per sogno”. Irritati/e per gli ostacoli, lasciate un messaggio con una parolaccia rivolta al governo nordamericano e, mentre state mettendo la firma, lo schermo si apre come se fosse una porta in 3D, suono dolby e tutta sta roba, ed appare la scritta “Scuola Zapatista, NO FAQ, -“Domande Non Frequenti. Potete aggiungere la vostra in fondo –”, seguita da un lungo elenco di domande e risposte, come le seguenti:

– Cercate la descrizione che più vi somiglia, collegatela alla domanda e trovate la risposta corrispondente:

– Non ho titolo di studio di scuola superiore / Non sono un artista / Non sono una persona famosa / Non rappresento nessuno / Non sono un dirigente né leader di niente / Sono molto giovane / Sono molto vecchio / Non sono mai andato a scuola / Sono nuovo/a nella conoscenza dello zapatismo e non sono mai stato in una comunità / Non ero ancora nato o ero molto piccolo/a quando voi siete apparsi pubblicamente / Non ne sapevo niente fino al giorno della fine del mondo / L’ho saputo solo poche settimane fa ed ho chiesto l’invito / Non so nemmeno perché mi hanno invitato visto che non mi piacciono gli zapatisti, o meglio gli zapatisti sì mi piacciono, ma il Marcos è un pagliaccio che approfitta dei poveri indios ed io-dirò-loro-di-non-farsi-ingannare-e-li-redimerò / l’eccetera che è di moda / ___________ (il vostro caso particolare)….

Domande:

Mi tratteranno nello stesso modo di chi sa a memoria l’inno zapatista, di chi ha partecipato a tutte le attività dello/sullo zapatismo, di chi ha una maglietta dell’EZLN, di chi sa recitare bene il ritornello “è un onore essere qui…” – ah no, questo è un altro canale -, di chi indossa dei super scarponi ed un’attrezzatura di alpinismo di alta montagna, di chi è stato molte volte in comunità ed ha aiutato mooolto, ma mooolto gli indigeni? È importante tutto questo per la scuola? Questo può essere un impedimento per frequentarla o per chiedere che mi invitino?

Risposte (secondo l’ordine delle domande):

Sì. No. No.

Domanda:

Posso restare a vivere in una comunità zapatista?

Risposta:

No.

Domanda argomentata:

Ma ci ho pensato bene e sono molto convinto/a, Sì?

Risposta ribadita:

No.

Insistenza enfatica:

Per favore? Per favore? Per favore? Sì?

Risposta ugualmente enfatica (secondo l’ordine delle domande):

No. No. No. No.

Domanda:

Posso versare più di 100 pesos per il materiale scolastico, come dimostrazione di solidarietà con le comunità indigene zapatiste?

Risposta:

Sì, ma né noi né altri sapranno la somma, né chi l’ha donata. Registrandovi, passerete davanti ad un contenitore o una scatola (non so esattamente cosa metteranno) e lì potrete depositare i vostri cento pesos o quello che vorrete. Solo voi saprete se avrete versato solo 100 pesos, o di più, o di meno, o se avete messo una carta di credito, o un biglietto della metro, o un insulto. Completate le registrazioni, i compas incaricati vuoteranno il contenitore o la scatola e consegneranno il contenuto ad una commissione della Scuola Zapatista. Così nemmeno noi sapremo chi né quanto ha versato. Così nessuno potrà reclamare o esigere un trattamento particolare o V.I.P perché “tu non sai chi sono io, né tutti gli incarichi e premi che ho avuto, né quanto, ma veramente quanto ho aiutato le comunità / e non mi umilieranno mettendomi insieme a gente che non è mai stata in comunità, / a me non hanno nulla da insegnare, invece, mi devono ringraziare, / l’unica immagine di indigeno che mi va giù è quella di chi, prostrato, mi adora, l’immagine di indigeni ribelli, cioè, ingrati, non mi va giù” (come ha già fatto una “illustrissima” persona del mondo artistico-culturale).

Domanda:

Posso portare qualcosa da regalare alla famiglia che mi ospiterà?

Risposta:

No.

Indubbiamente sarà naturale instaurare una relazione di affetto con le persone con le quali vivrete. Ma, i “regali” personali creano squilibri nella comunità e spostano una relazione politica verso una personale. Si smette di rapportarsi con una causa e si passa a rapportarsi con una persona, cosa non necessariamente cattiva, ma non venite qua per fare amicizie, ma per imparare. Presso il CIDECI potrete lasciare quello che vorrete donare, sia all’arrivo per la registrazione sia alla fine dei corsi. Quanto donato sarà consegnato alle Giunte di Buon Governo che distribuiranno EQUAMENTE tra tutte le comunità zapatiste quanto ricevuto. Tenete presente che per noi, cioè, per le famiglie che vi ospiteranno, la cosa importante è la persona, non ciò che possiede o dà. Anche per voi la cosa importante sono i popoli zapatisti nel loro insieme, non la famiglia o il Votán con il quale entrerete in rapporto, perché non è un gruppo di persone che vi assisterà, ma tutti i popoli zapatisti organizzati, sintetizzati per voi in una famiglia e in un/a, guardiano/a.

Domanda:

Perché non accettate che io regali qualcosa a chi mi accoglie nella sua casa, mi dà da mangiare, si prende cura di me, mi insegna?

Risposta:

Sentite, ci sono famiglie zapatiste che non ospiteranno nessuno, ma che hanno collaborato e collaborano per il cibo, il materiale, i trasporti. Partecipano tanto quanto la famiglia che ospita. Per queste famiglie non c’è regalo perché non le vedrete? A loro non darete i vostri indirizzi nel caso un giorno venissero nella vostra geografia o perché vi chiamino o vi scrivano? Per quei bambini che non conoscerete non ci saranno dolci, abiti, giocattoli, regali?

Per esempio, ci sono comunità zapatiste sotto la minaccia costante di gruppi paramilitari. Siccome lì le condizioni di sicurezza sono precarie, non hanno potuto accogliere gli studenti della scuola, perché non potremmo prenderci cura dei/delle nostr@ invitat@ in quei luoghi. Ma quelle famiglie si sono ugualmente preparate, hanno aiutato le famiglie che vi ospiteranno, hanno costruito, spazzato, lavato, strofinato, verniciato, cucinato, raccolto legna, cooperato per il cibo che vi verrà offerto. Voi non le conoscete, né le conoscerete a scuola. Se le aggressioni dei paramilitari e della polizia aumentano, dovranno sfollare. Forse ne siete al corrente, oppure no (controllate il numero di aperture-letture dell’ultima denuncia delle JBG), ma per voi non avranno nome né volto.

Saranno invisibili, come centinaia di migliaia di zapatisti. C’è chi li tiene in considerazione, anche se sono invisibili per voi e per gli altri?

Sì, noi, i loro compagni e compagne. Per questo quello che si riceve da fuori, si cerca di distribuirlo equamente: si distribuisce di più e meglio a chi ne ha più bisogno.

Un’altra cosa sul tema delle donazioni. Sappiamo che là fuori domina lo stereotipo che gli indigeni sono oggetto di pena ed elemosina, che bisogna dare loro quello che avanza o dà fastidio, invece di buttarlo via. Una specie di sindrome da “Telethon” generalizzata. Il suo equivalente nella classe politica è il photoshop dell’elemosina (niente che non si possa truccare da campagna “contro la fame”… o con una fotocopiatrice).

“L’aspirina della coscienza” la chiamiamo noi zapatisti, zapatiste.

Negli alti e bassi della nostra lunga lotta, abbiamo visto molte cose. Una di queste è che, nei momenti di disgrazia, chi più ha, dà quello che gli avanza; e chi meno ha, dà quello che gli manca. Qualcuno con soldi e cose, dona le coperte che non usa più, i vestiti che non gli vanno più bene, le scarpe passate di moda, i soldi che non gli sono necessari. E chi deve combattere ogni minuto del giorno per un misero salario per avere qualcosa da mettere sulla tavola, oltre ad una logora tovaglia o nemmeno questa, dà quella moneta di cui ha bisogno per la sua sopravvivenza.

Questo popolo indigeno, il popolo zapatista, non merita la vostra pena. Nonostante il disprezzo ricevuto per essere una moda passeggera o per esserci rifiutati di far parte dei pecoroni del movimento “storico” nella congiuntura di turno, ci siamo ribellati con dignità come 20, 50, 500 anni fa. E continueremo a farlo. Non insultateci con l’elemosina.

Non vi abbiamo chiesto niente che non sia giusto: solo il pagamento del costo del materiale scolastico (cento pesos) e la vostra disposizione ad imparare. Noi vi ospiteremo. Noi vi daremo da mangiare. Non sarà un hotel a 7 stelle né un buffet gastronomico, ma in ogni tortilla, fagiolo, verdura, branda o amaca, mantella di plastica per la pioggia, c’è l’affetto ed il rispetto di tutti noi verso di voi, perché siete la nostra invitata, il nostro invitato, il nostro compagno, la nostra compagna, nuestroa compañeroa.

Non ci dovete nulla né si deve nulla. Dalla scuola non deriva la militanza, l’appartenenza organica, la soggezione al comando, il fanatismo. Quello che verrà dalla scuola è qualcosa che spetta solo a voi decidere… ed agire di conseguenza. Non vi abbiamo invitato per reclutarvi, formarvi o deformarvi, programmarvi o, come si direbbe ora, “resettarvi”. Abbiamo aperto una porta e vi abbiamo invitato ad entrare affinché vediate com’è la nostra casa, quella che abbiamo costruito con l’aiuto di persone di tutto il mondo che, quelle sì, non ci hanno dato i loro avanzi, ma i loro sguardi e ascolti da compagni, ed alle quali non è mai venuto in mente che dobbiamo essere loro eternamente grati, né che li dobbiamo venerare come si venera chi possiede e ordina.

Voi siete come siete, e solo a voi tocca decidere di continuare ad essere così o diversamente.

E per concludere questo frammento della sezione Domande Non Frequenti:

Non siete un’importante personalità? Non avete grandi titoli di studio? Non siete mai stati prima in una comunità zapatista? Non eravate neanche nati quando l’EZLN è apparso pubblicamente? Non ne sapevate niente fino al giorno della fine del mondo, o dopo?

Non preoccupatevi né occupatevi di questo. Qua non si guardano i curriculum accademici, né i calendari di anzianità di vita o di lotta, ma i cuori. Qua verrà gente con diverse lauree e chi non ha nemmeno fatto le elementari; persone con più di 90 anni e chi non è ancora arrivato a sfogliare un intero calendario. Accoglieremo tutte, tutti, todoas, con lo stesso affetto, vi assisteremo al meglio possibile, vi dimostreremo ciò che siamo, e ci occuperemo di voi con la stessa cura.

Quindi lasciate obiezioni, traumi e angustie per la vostra serie TV preferita.

Pensate piuttosto, per esempio, che al vostro ritorno potrete raccontare a parenti, amic@, o mettere sul vostro blog o nel vostro profilo, qualcosa tipo:

Mi ricordo quando il Pablo (González Casanova), il Luis (Villoro), Adolfo (Gilly), Immanuel (Wallerstein), la Paulina (Fernández Christlieb), l’Oscar (Chávez), uno che chiamavamo “el Mastuerzo”, un altro che chiamavamo “el Roco” non so perché, alcuni tipi che cantavano con nomi strani come il Comando Cucaracha, SKA-P e Louis Ling and the Bombs, ed altr@ compas i cui nomi ora non ricordo, studiavamo insieme alla scuola e ci rilassavamo durante la ricreazione, e siamo stati anche puniti per non aver fatto i compiti. E un giorno hanno sorpreso il Toño (Ramírez Chávez) e la Domi (l’unica Domi che c’è) mentre disegnavano graffiti sulla parete che dà verso l’esterno, verso i nostri mondi, e, insieme a loro, ognuno ha preso quello che c’era e ci siamo messi tutt@ a dipingere. Ma in quel momento è arrivato il custode e siamo tutt@ scappati via. Il custode ha guardato la parete, si è allontanato ed è tornato con un secchio di pittura ed un pennello. Pensavano che avrebbe cancellato quello che avevamo disegnato con tante figure e colori. Ma niente. Non ci crederete, ma il custode ha afferrato il pennello e si è messo a passarlo sul muro. Ma la cosa strana era che il portiere aveva disegnato solo una crepa sul muro… e poi era andato via. E la cosa ancora più strana è che ogni giorno, quando passavamo per andare a scuola, la crepa disegnata diventava sempre più reale, poi si è ingrandita ed è diventata più profonda. L’ultimo giorno di scuola, ci siamo messi tutti davanti alla parete a guardare ed aspettare di vedere se la crepa finiva per rompere il muro. Mentre eravamo li, è passata una compa zapatista con un passamontagna di molti colori, che molto divertita ci ha detto “Che cosa fate lì se la scuola è finita? Tornate a casa vostra!”. Così ce ne siamo andati. Ve lo racconto affinché vediate che ho studiato. Cosa? Perché la vernice è in una bomboletta spray? No, niente; stavo solo guardando quella parete là di fronte, dove dall’altra parte vive il Prepotente. Quel muro così grande, così ben tenuto, così solido, così potente, così intimidatorio, così indistruttibile, così grigio. Ci ho pensato e mi sono detto “A quel muro manca qualcosa, manca… una crepa”.

-*-

Bene. Saluti e non comprate colori e pennelli, li avete già nel cuore. Solo cercateli bene. Quello che ci fate, è parte della vostra libertà. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupMarcos

Portiere, custode e spazzino della Scuola Zapatista (non lasciate in giro la spazzatura!).

Messico, Luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo. 

Frammento di una stupenda parodia del Telethon e gli equivalenti festival dell’elemosina. 31 minuti di spot per raccogliere fondi e riscattare l’arcimiliardario Señor Manguera, padrone della televisione. Vi raccomando di guardare il programma completo, non l’ho messo tutto perché è molto lungo. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=J86p8X0GQtw

Sivigliane Indignate, jereziane e andaluse, con umore, grazia, talento ed astuta saggezza. Dedicato a chi non si spaventa. http://www.youtube.com/watch?v=dHCMevzImtE&feature=player_embedded

Eduardo Galeano racconta il mondo, cioè, quelli che ci sono nei mondi, e avverte che… bene, ascoltatelo. http://www.youtube.com/watch?v=9V922yOgsXc&feature=player_embedded

Oscar Chávez (uno di quelli che ci ha meglio guardato, cioè, capito) con “Los Paliacates”, accompagnato da Los Morales. http://www.youtube.com/watch?v=EIWkApDvupw&feature=player_embedded 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/01/votan-iii-seccion-no-faq/

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VOTÁN II.

LE/I GUARDIAN@

Luglio 2013

Bene, ora vi spiego la faccenda della scuola (la lista del materiale scolastico, la metodologia, le/i maestr@, il programma, gli orari, ecc.), quindi la prima cosa è…

Il necessario.

La sola cosa di cui avete veramente bisogno per frequentare la scuola zapatista (oltre ad essere stati invitat@, chiaro, ed i cento pesos per il pacchetto libro-dvd) è la disposizione ad ascoltare.

Quindi, non c’è bisogno di seguire i consigli e le raccomandazioni di quelle persone, per quanto ben intenzionate, che vi dicono di portarvi questo o quello, perché loro “sì, sono stati in comunità”.

Chi davvero c’è stato in comunità, non lo ostenta, e sa bene che quello che in realtà serve è saper guardare e ascoltare. Perché di gente che è venuta per parlarci (e pretendere di guidarci o per offrirci elemosine in denaro o “saggezza”) ce n’è stata e ce ne sarà tanta, troppa. E quelli venuti ad ascoltare sono molto pochi. Ma di questo vi parlerò in un’altra occasione.

Quindi, non portate niente in particolare (ho letto che qualcuno ha solo delle vecchie scarpe da tennis, figo). Portatevi dei quaderni ed una penna o matita. Non è obbligatorio avere il computer, lo esmarfon, il tablet o quello che si usa adesso, ma se vi va potete portarli. Dove andrete non c’è campo per i cellulari. In qualche caracol c’è internet ma la sua velocità è, come dire… quella di “pegaso”, il cavallo di Durito. Sì, potete portare il vostro coso come-si-chiama dove ascoltare la musica. Sì, potete portare macchine fotografiche e registratori. Sì, si può registrare e scattare foto e video ma solo secondo le regole che il Subcomandante Insurgente Moisés vi farà sapere. Sì, potete portare il vostro orsacchiotto di peluche o equivalente.

Cose che vi possono essere utili: una torcia. Lo spazzolino da denti ed un asciugamano (se ne avete voglia ed è possibile lavarsi). Almeno un cambio di vestiti, nel caso si sporchino nel fango. I vostri medicinali, se ne avete bisogno e vi sono stati prescritti da uno specialista. Una busta di plastica per i vostri documenti e i soldi (portate sempre con voi soldi e documenti – i documenti vi saranno chiesti al momento della registrazione per controllare che voi siate voi -). Un’altra busta di plastica per il materiale di studio che vi consegneranno. Ed anche la vostra biancheria (intima – se la usate – ed esterna) mettetela in buste di plastica.

Ricordate: potete portarvi quello che volete, ma tutto quello che avete ve lo dovete trasportare voi. Quindi, niente “mi porto il pianoforte perché magari ho il tempo di esercitarmi con do-re-mi-fa-sol-la”. E no, non potete portare nemmeno la vostra Xbox, ps3, wii, e neppure quella vecchia console Atari.

Quello che è imprescindibile non si può acquistare, ma lo portate già incorporato nella vostra persona e lo potete trovare, partendo dal vostro collo, in basso e a sinistra.

Bene, chiarito questo, ecco la lista del necessario per frequentare la scuola in comunità. Senza questi requisiti NON SARETE AMMESSI:

– Indisposizione a parlare e giudicare.

– Disposizione ad ascoltare e guardare.

– Un cuore aperto.

Non importano la vostra razza, età, genere, preferenza sessuale, luogo di origine, religione, scolarità, statura, peso, aspetto fisico, la squadra per cui tifate, la vostra “anzianità” nel seguire lo zapatismo,… né le vostre calzature o se siete scalzi.

Ah, questo sì, non portate scarpe con i tacchi a spillo perché, è vero, stanno molto bene, ma le rompereste subito muovendo i primi passi nello…

Lo Spazio Scolastico e l’orario.

Secondo noi zapatiste, zapatisti, il luogo di insegnamento-apprendimento, la scuola, è il collettivo. Cioè, la comunità. E le/i maestr@ e le/gli alunn@ formano il collettivo. Tutte e tutti. Cosicché non ci sono un maestro o una maestra, ma c’è un collettivo che insegna, che mostra, che forma, ed in esso e con esso la persona impara e, a sua volta, insegna.

Quindi, il primo giorno di scuola in comunità (nelle altre modalità questo cambia), non aspettatevi il modello tradizionale di scuola. Quello che abbiamo preparato per voi, “l’aula” o il “salone scolastico” non è uno spazio chiuso, con una lavagna ed un professore o un’insegnante che impartisce il sapere agli alunni, che li valuta e li punisce (cioè, li classifica: alunni buoni e cattivi), ma lo spazio aperto di una comunità. E non una setta (qui convivono zapatisti e non zapatisti e, in alcuni casi, anti zapatisti), né una comunità egemonica, né omogenea, né chiusa (tutto l’anno la visitano persone di differenti calendari e geografie), né dogmatica (qui si impara anche dalle/dagli altr@).

Per questo non verrete in una scuola con gli orari abituali. Sarete a scuola in tutte le ore e tutti i giorni che durerà il vostro soggiorno. La parte più importante del vostro stare nella scuola zapatista è la vostra convivenza con la famiglia che vi accoglierà. Andrete con loro a fare legna, alla milpa, al ruscello-fiume-sorgente, cucinerete e mangerete con loro (chiaramente mangerete quello che non vi faccia male o secondo le vostre convinzioni – per esempio, se siete vegetariani o vegani non vi daranno carne, ma avvisateli prima perché i compas, quando sono felici per la visita, cucinano pollo o maiale, e la comunità o il municipio autonomo o la giunta di buon governo, per l’occasione usano il bestiame di proprietà della collettività per preparare brodo per tutt@ -), riposerete con loro e, soprattutto, vi stancherete insieme a loro.

Ovvero, come dire, in quei giorni farete parte di una famiglia indigena zapatista.

Per questo non accettiamo che qualcuno arrivi con la sua tenda da campeggio o la sua roulotte. Per questo c’è un numero limitato di iscritti. Perché in queste terre, è vero, ci stanno in molti, ma nelle capanne zapatiste ce ne stanno solo pochi. Se volete fare campeggio, stare nella natura ed i suoi equivalenti bucolici, non fatelo qui e in queste date.

Quindi, non conviverete con la vostra banda, gruppo, collettivo. Né con altr@ cittadin@. Se arrivate con la vostra famiglia, il vostro o la vostra partner, starete con loro se lo vorrete, ma nient’altro. Non è ammesso “noi che veniamo dallo stesso posto stiamo insieme per fare caciara o chiacchierare o cantare alla luce del falò o altro”. Questo lo potete fare nelle vostre geografie ed in altri calendari. Qui venite (soli o con la vostra famiglia, compagno o compagna) per condividere la quotidianità ed il sapere del popolo indigeno zapatista, e, chiaro, anche di indigeni che non sono zapatisti.

Il popolo zapatista è un popolo che ha la particolarità non solo di avere sfidato il potente, e neppure solo di essersi mantenuto in ribellione e resistenza per 20 anni. Ma anche, e soprattutto, per essere riuscito a costruire (nelle condizioni che conoscerete personalmente) la definizione indigena zapatista di libertà: governare e governarci secondo i nostri modi, nella nostra geografia ed in questo calendario.

Sì, “nella nostra geografia ed in questo calendario” segna una notevole distanza rispetto ad altri progetti. Non solo avverte che non è un modello da seguire (a noi alcune cose sono riuscite, altre no), un nuovo vangelo o una moda da esportare. Non è neppure un “manuale di costruzione della libertà”. Neanche per tutti i popoli originari del Messico, ed ancor meno per i popoli che lottano in ogni angolo del mondo.

Inoltre, fate molta attenzione, stiamo definendo un tempo. Quello che vedrete, è valido per noi, adesso. Nuove generazioni costruiranno le proprie strade, con modi propri e tempi propri. Il concetto di libertà non prevede lo schiavismo verso sé stesso.

Perché per noi la libertà è questo: esercitare il diritto di costruirsi il proprio destino, senza nessuno che ci comandi né ci dica sì o no. In altre parole: il nostro diritto di cadere e rialzarci da noi stessi. E sappiamo bene che questo si costruisce con ribellione e dignità, sapendo che ci sono altri mondi ed altri modi, e che, così come noi stiamo costruendo, ognuno costruisce la propria identità, cioè, la propria dignità.

Solo 2 volte nella settimana in cui convivrete con le comunità zapatiste parteciperete ad una riunione con tutt@ le/gli alunn@ nel Caracol della zona che vi spetterà. In quella riunione, dove saranno riuniti molti colori e modi di diversi calendari e geografie, ci saranno un maestro o una maestra che cercherà di rispondere alle domande o dubbi che potrebbero sorgere durante la vostra convivenza. Questo perché pensiamo che sarà bene per voi conoscere i dubbi, per esempio, di chi viene da un altro paese, da un altro continente, da un’altra città, da un’altra realtà.

Ma la cosa fondamentale della scuola la imparerete con il vostro…

Votán.

Per molti mesi, decine di migliaia di famiglie zapatiste si sono preparate per accogliere chi verrà nella scuola in comunità. Insieme a loro, migliaia di donne e uomini, indigeni e zapatisti si sono convertiti in un Votán individuale e collettivo nello stesso tempo.

Dovete dunque sapere qual’è il posto di Votán nella scuola. Perché il Votán è, come dire, la colonna portante della scuola. È il metodo, il piano di studio, il maestro-maestra, la scuola, l’aula, la lavagna, il quaderno, la penna, la scrivania con la mela, la ricreazione, l’esame, il diploma, la toga e il tocco.

Sul significato di “Votán” (o “Uotán”, o “Wotán”, o “Botán”) si è detto e scritto molto: per esempio, che la parola non esiste in lingua maya e che non è altro che la parola, male ascoltata e mal tradotta, “Ool Tá aan”, che sarebbe qualcosa come “Il Cuore che Parla”; che si riferisce al terremoto; o al ruggito del giaguaro; o al palpitare del cuore della terra; o del cuore del cielo; o del cuore dell’acqua; o del cuore della montagna; o tutto questo ed altro. Ma, come in tutto quello che si riferisce ai popoli originari, si tratta di interpretazioni di interpretazioni di chi ha voluto dominare (a volte con la conoscenza) queste terre ed i suoi abitanti. Quindi, a meno che non siate interessati ad elucubrare su interpretazioni di interpretazioni (che finiscono per ignorare i creatori), qui ci riferiamo al significato che le zapatiste, gli zapatisti, danno a “Votán”. E sarebbe qualcosa come “guardiano e cuore del popolo”, o “guardiano e cuore della terra”, o “guardiano e cuore del mondo”.

Ognuno degli studenti della scuola avrà il proprio Votán, un guardiano o guardiana, indipendentemente dall’età, genere, razza dell’alunno.

Cioè, oltre alla famiglia con la quale convivrete in quei giorni, avrete un tutore o tutrice che vi aiuterà a comprendere cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti.

Le/I Guardian@ sono persone comuni. Solo che sono persone che si sono ribellate contro il potente che li sfruttava, disprezzava, derubava e reprimeva, e ci hanno messo la vita in questo. Tuttavia, il Votán in noi non predica il culto della morte, della gloria o del Potere, ma percorre la vita nella lotta quotidiana per la libertà.

Il vostro Votán personale, il vostro Guardiano/a, vi racconterà la nostra storia, vi spiegherà chi siamo, dove stiamo, perché lottiamo, come lo facciamo, con chi lo vogliamo fare. Vi parlerà dei nostri successi e dei nostri errori, studierà con voi sui libri di testo, fugherà per quanto possibile i vostri dubbi (se non ci riuscirà, c’è la riunione generale), vi parlerà in spagnolo (la famiglia con la quale vivrete parlerà in lingua madre), vi tradurrà quello che si dirà in famiglia, e tradurrà alla famiglia quello che voi direte o vorrete sapere, camminerà con voi, verrà con voi nella milpa o a fare legna o a prendere l’acqua, cucinerà con voi, mangerà con voi, canterà e ballerà con voi, dormirà vicino a voi, vi accompagnerà quando andrete in bagno, vi dirà che insetti evitare, controllerà che prendiate le vostre medicine, in sintesi: vi insegnerà e si prenderà cura di voi.

A lui potete chiedere quello che volete: se siamo un orrore di Salinas, se il SupMarcos è morto o è ad abbronzarsi sulle spiagge europee, se il SubMoy verrà, se la terra è rotonda, se crede nelle elezioni, se tifa per i Jaguares, eccetera, eccetera, eccetera. A differenza di altr@ maestr@, il guardiano o la guardiana, se non sa la risposta, vi dirà: “non lo so”.

Il vostro Votán sarà anche il vostro traduttore simultaneo che non ha bisogno di pile. Perché qua vi parleranno sempre in lingua madre. Solo il guardiano o guardiana può parlarvi in castigliano. Così capirete cosa succede quando un indigeno tenta di parlare nella lingua dominante. La differenza fondamentale è che qua non sarete trattati con disprezzo né con scherno perché non capite quello che vi dicono o perché pronunciate male. Ci saranno risate, sì, ma di simpatia per il vostro sforzo di capire e farvi capire. E, attenzione, il vostro Votán vi tradurrà non solo le parole, ma anche colori, sapori, suoni, mondi interi, cioè, una cultura.

Nella riunione alla quale parteciperete insieme ai vostri condiscepoli della zona, non potrete fare una domanda diretta al maestro o alla maestra, ma dovrà farla il vostro guardiano/a, e lui/lei la tradurrà al maestro che risponderà in lingua madre, ed il guardiano la tradurrà per voi. Indubbiamente resterete col dubbio se la vostra domanda sia stata tradotta correttamente e se la risposta che riceverete sia quella fornita dal maestro. Ma, non dicono che è giusto che un indigeno compaia davanti alle istanze governative di giustizia con un interprete? O per caso nei tribunali si traducono culture? Così capirete che quello che chiamano “uguaglianza giuridica” è un’altra delle mostruosità della giustizia nel nostro mondo. Dove sta l’uguaglianza giuridica se la traduzione di parole come “libertà”, “democrazia”, “giustizia” si fa con le stesse parole di chi vuole schiavizzarci, derubarci, farci sparire? Dov’è l’uguaglianza se l’accusa, il processo e la condanna le fa un sistema giuridico, oltre che corrotto, imposto con la lingua del Prepotente? Dov’è la giustizia se il sistema che giudica è basato sulla premessa dello smantellamento culturale?

Per questo la scuola. Per questo il Votán. Perché…

Siamo lui.

Il vostro Votán è un grande collettivo concentrato in una persona. Lui o lei non parla né ascolta come persona individuale. Ogni Votán siamo noi tutte e tutti gli zapatisti.

Qualche settimana fa, noi Subcomandanti Moisés e Marcos abbiamo affidato l’incarico di portavoce dell’EZLN a migliaia di uomini e donne indigene zapatiste per i giorni della scuola. In quei giorni di agosto (e poi in dicembre e gennaio prossimi), per loro voce parlerà tutto l’EZLN, attraverso il loro udito ascolterà, e nel loro cuore palpiterà il grande noi che siamo.

Cosicché in quei giorni della Scuola, avrete come maestro o maestra niente meno che la massima autorità zapatista, il capo/capa suprema dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: Votán.

E Votán si incaricherà anche di…

Le/I Bambin@.

Se l’alunno o alunna è minorenne (12 anni o meno), una guardiana per ogni bambino e bambina accompagnerà sempre la madre e/o padre, aiuterà a prendersene cura, che non si ammali, che prenda le sue medicine, che giochi, che impari, che sia content@. Se sa già leggere, studierà sui libri di testo insieme al bambino o bambina, gli racconterà le storie di come vivevano i bambini indigeni prima dell’insurrezione e come vivono ora, gli racconterà storie terribili e meravigliose, racconti, barzellette, gli canterà “quella del babbuino colorato”.

Tutti i bambini e le bambine, con i familiari che li accompagnano, saranno sistemati nella zona più vicina a San Cristóbal de Las Casas, nelle migliori condizioni che possiamo offrire. Si predisporranno alloggi particolari per loro, insieme alle loro madri/padri, affinché non abbiano freddo, né si bagnino se piove. Ci saranno inoltre dei compas esperti di salute e primo soccorso. E per qualsiasi emergenza, saranno a disposizione, 24 ore su 24, 2 ambulanze e 2 veicoli per trasportare l’infante in città se avesse bisogno di un medico, o per andare a prendere medicinali se ce ne fosse bisogno. Se per qualche emergenza è necessario che la famiglia debba fare ritorno nella sua geografia particolare prima della fine della scuola, abbiamo un piccolo fondo economico per aiutarla con i biglietti, o la benzina.

Riassumendo: le/i bambin@ godranno di un trattamento speciale. Ma, né loro né gli adulti si salveranno da…

La Valutazione.

È la più difficile che abbiate mai immaginato. Non ci sarà un esame, una tesi o un test a risposta multipla; né ci sarà una giuria, o un gruppo sinodale con titoli universitari.

La valutazione la farà la vostra realtà, nel vostro calendario e geografia, ed il vostro sinodo sarà… uno specchio.

Lì vedrete se potrete rispondere all’unica domanda dell’esame finale: Cos’è la libertà secondo te-voi?

-*-

Bene. Salute e credetemi, lo dico per esperienza diretta, quello che più si impara qua, è domandare. E ne vale la pena.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, Luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

Eduardo Galeano narra un aneddoto di un maestro ed i suoi alunn@. http://www.youtube.com/watch?v=t87oqLxy-pA&feature=player_embedded

La libertà, per esempio, è esigere la libertà per tutt@ i prigionier@ Mapuche. La canzone si intitola “Cosas Simples”, del gruppo cileno Weichafe (Guerrero). http://www.youtube.com/watch?v=USY5au7E2fY&feature=player_embedded

“Luna Zapatista”, di Orlando Rodríguez e Miguel Ogando, con “El Problema del Barrio”, disegni di Juan Kalvellido. Edizione video: Orlando Fonseca. http://www.youtube.com/watch?v=B62P53d8ThQ&feature=player_embedded 

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/07/30/votan-ii-ls-guardians/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SupMarcos: Votán I.

Votán I.

UNO SCARABEO IN RETE

(Durito versione freeware)

Luglio 2013

Prima di spiegarvi della scuola (qualcosa tipo una “guida” o un “manuale di cattive maniere” o “manuale di sopravvivenza”), andiamo a vedere che cosa fanno là sopra. Non perché siamo distratti (lo siamo, senza dubbio), ma perché noi cerchiamo di guardare i loro calendari e geografie, cioè, tentiamo di capire.

Dunque, siate gentili e pazienti, e accompagnateci in questo sguardo da qua fino al loro là. Vediamo… mmm…

Tanta congiuntura-storica che cerca, invano, di catturare l’attenzione con titoli di prima pagina. L’impostura mediatica ora sconfitta dagli hashtag – o come si chiamano – (“virali” si dice, perché di massa, non perché nocivi… o no?).

Ah, la disperazione degli esperti di comunicazione, politologi, editorialisti, direttori di giornali: non toccano più gli argomenti di “attualità”, segnalano, impongono le loro analisi – non poche volte ben lubrificate da banconote di tutti i colori -, ma ognuno a modo suo, col proprio calendario, la propria geografia.

Lasciamo da parte per un momento quel patetico rapporto tra personalità dello spettacolo e della politica a tutti i livelli – reali, ministri, presidenti, governatori, legislatori – della cui “trascendenza” si occupa solo il giornalismo frivolo (cioè, quello a pagamento). Le riflessioni di politologi e giornalisti su questo argomento attraggono solo i sempre più scarsi “professionisti del pettegolezzo”.

Frase “tuitera” di Durito: “Della relazione tra il mondo dello spettacolo e la politica, vale a dire: photoshop li crea e poi li accoppia”.

Perché ora sembra che alla gente (quella massa ribelle che non guarda dove le viene ordinato di guardare, né ascolta quello che le viene ordinato di ascoltare) è venuta la mania di mettere il quotidiano in primo piano: come pettinarsi, cosa mi è successo in quel posto, quello che mi piace o non mi piace, quello che ho visto-sentito-mi hanno detto, i crimini che non appaiono sui mezzi di comunicazione a pagamento, la continua ridicolaggine dei governanti (prima nascosta da montagne di denaro nei camerini della comunicazione a pagamento), ora esposta senza controllo.

Il presunto paladino della libertà e della democrazia, il governo nordamericano, spia impunemente, o compie atrocità in tutto il pianeta? Zac! Ecco che la rete diventa la mano irriverente che abbatte la scenografia dietro la quale si nasconde l’ossessione del Potere: controllare tutto e tutti, sapere tutto.

E, all’improvviso, quando il Potere si rende conto che non è valso a niente pagare tanto affinché i riflettori (mediatici) si spegnessero o si concentrassero sullo stupido spettacolo di moda, il pubblico, la gente, la plebe, la banda, accende le sue luci ma non per accompagnare ritmicamente il ballo di sopra, ma per mostrare che il re-principe-ministro-presidente-governante-legislatore è nudo.

Vedendosi esposto, il Potere riesce solo a balbettare incoerenze e, ovviamente, a criminalizzare chi l’ha messo a nudo. Un tal governante o funzionario mostra la patetica sindrome di “lei-no-sa-con-chi-ha-a-che-fare”? Zac! Ecco che arriva lo schiaffo cibernetico e che tutti lo vedano-ascoltino-diffondano. E, chiaramente, la conseguente risposta giuridico-poliziesca dei politici: arresto dei tuiteros; iniziative di legge per controllare le reti sociali; lo spazio aereo mondiale violato dal governo nordamericano, il patetico servilismo dei governi europei (“è solo un indio, fermatelo”).

Prendete il nome che volete di chi è sopra o vuole esserlo: Peña Nieto, Obama, Berlusconi, Rajoy, Putin, tutto l’eccetera che avete dalle vostre parti. Grandi, mediocri e piccoli (tutti cattivi) commedianti che danzano al ritmo frenetico di internet (è inutile dire che non tengono nemmeno il passo?). Riassumendo: internet = (uguale a) globalizzazione immediata e di massa del ridicolo e dell’incapacità della classe politica.

Ma attenzione! Perché là sopra si sono accorti che l’attimo (la prova evidente della loro incompetenza) è anche fugace. E che il rimedio ad uno scandalo, è uno scandalo più grande. Il miglior antidoto contro un “hashtag” virale, è altro uguale. Finché queste denunce non passano al “bisogna fare qualcosa”, da lì a “bisogna fare questo”, e di lì al calendario e la geografia (“bisogna farlo in quel posto, il tal giorno”), non c’è problema. Il Potere non trova inconveniente che le sue ridicolaggini siano argomenti di conversazione, ma se, per esempio, i nuovi “terroristi internazionali”, cioè, le reti sociali, passano dallo scherno alla mobilitazione… allora sì cominciano a far squillare i “telefoni rossi” (ok, lo so che non si usano più, ma mi capite) nei centri del Potere Mondiale, cioè, nei centri finanziari. Perché una cosa è indignarsi individualmente di fronte all’ingiustizia, ed un’altra cosa è diventare collettivo di Indignati. Insomma, il problema si fa serio quando “l’abilità del basso” con la rete, si trasforma in pugni ribelli per strada… e nelle campagne.

Ma là sopra, gli analisti insistono con la citata e stracitata “congiuntura” (il “contesto storico”, mio caro). Ed è lo spettacolo di sempre. Per esempio, le elezioni… Frodi pre-elettorali, elettorali e post-elettorali. Allora la conclusione è quasi unanime: “non servono”… fino a che arriva una nuova stagione elettorale ed un illuminato a modo offre il solito: la libertà anelata a portata di una scheda elettorale. Così, la salvezza sta nel tracciare una croce in un determinato posto su un foglio, con fervore depositarlo in una scatola, e sperare che quell’essere intangibile che è “la maggioranza” appaia come ironico travestimento di chi realmente decide: un pugno di ricconi e riccone.

La Società del Potere”, li chiamiamo noi zapatisti e zapatiste, non fosse altro per segnalare che non è nell’apparato tradizionale, esaltato dalla scienza politica idem e dai politici ibidem, dove risiede il Potere ed il suo criminale esercizio.

Ah, la classe politica e corifei che l’accompagnano. Come se si trovassero ad anni luce dalla realtà, i politici di sopra non hanno capito che quello che vogliono governare non esiste più. Il loro (mal) agire è solo la scenografia dietro la quale si nascondono le macerie di un mondo… del loro mondo…

DURITO Versione π (3.14159265 ecc.)

Un politico è come uno zombie con l’etichetta “vegetariano radicale”, e qualunque sia il suo slogan, in fondo è: “sono sempre lo stesso ma ora mi comporterò bene”, mi dice Durito, che sostiene che Hannibal Lecter non è altro che uno zombie di buone maniere e abilità gastronomiche (di sicuro a scuola arriveranno due specialisti in gastronomia, sicuramente intrigati dagli ingredienti del piatto “Marco´s Special”, non adatto a vegetarian@ e così straordinario, altro che Ratatouille, vorranno rubare la ricetta segreta?).

Sì, è tornato Durito. L’autodenominato “unico supereroe che non usa calzamaglia, né pantaloni sopra la calzamaglia… né sotto la calzamaglia”.

Da giorni Durito insiste che è il suo turno. Alla mia obizione che molti non lo ricordano e che molti di più non sanno neppure della sua esistenza, Durito mi ha dato il suo biglietto da visita e mi chiede di pubblicarlo. Ha insistito e così lo metto qui, nel caso qualche distratto (o distratta, non si dimentichi l’equità di genere) voglia ritagliarlo ed averlo a portata di mano:

Don Durito de La Lacandona A.C. de C.V. de (i)R. (i)L.
Caballero Andante.
Hojita de Huapác # 69.
Montañas del Sureste Mexicano.

So che è stato uno sbaglio, ma gli ho chiesto cosa diavolo voleva dire “A.C. de C.V. de (i)R. (i)L.” e mi ha risposto: “Andante Caballero de Cabalgadura Versátil de Irresponsabilidad Ilimitada”.

Gli ho detto che ormai nessuno più usa i biglietti da visita, che adesso ci sono “blog”, “profili” e cibernetici equivalenti. In risposta alle mie obiezioni, Durito mi ha strappato il biglietto, ci ha scarabocchiato sopra e me l’ha ridato. Ora dice:

Don Durito Punto Com.
Andante Caballero y Grafitero Cibernético.
Arroba más w (pero al triple) punto #yosoy69yomiyomi.
(Se rayan muros
feisbuqueros y de los otros. Presupuesto sin costo)
Versión 7.7 bis.
Descarga gratuita sólo para
linux.
Diga sí al software libre

Ovviamente non gli ho più chiesto cosa significasse tutto questo.

Il fatto è che Durito mi ha detto che ora è il momento, quale momento migliore per fare la sua ricomparsa se non mentre un piccolo, piccolissimo numero di persone, di geografie e calendari così sparsi, stanno aspettando l’inizio delle lezioni della scuola zapatista.

Per chi non lo conosce o non lo ricorda (o per chi, come chi scrive, ha fatto di tutto per dimenticarlo), Durito è uno scarabeo. Certo, non è uno scarabeo qualsiasi. Si dice cavaliere errante (e ci dà a declamare interi paragrafi de “Il Fantastico Hidalgo Don Chisciotte della Mancia”), ha una graffetta deformata come lancia, un pezzo di guscio di cacaté come elmo, il tappo di una boccetta di medicinale come scudo, e come spada, beh, qui volano parole grosse, la sua spada non è niente meno che “Excalibur” (benché abbia l’aspetto di un rametto). Per completare, come cavalcatura non ha un ronzino, ma una tartaruga della dimensione di un pollice, che chiama “Pegaso” (“perché sembra che voli quando prende velocità”, spiega Durito).

Durito o Don Durito de La Lacandona, dice che la sua missione è, scrivo testualmente quello che mi detta, sfidare il potente, soccorrere il debole, strappare sospiri alle femmine, essere un tipo da poster, e… e quello che viene fuori man mano perché non è nemmeno cosa in cui incasellarsi, no? Per esempio, mi occupo anche di ingegneria – sono muratore mezzo cucchiaino da tè -, idraulica, pittura, consigliere d’amore, botiquero, webmaster, mago, assaggiatore di gelati alla noce, scrivano, specialista in trattamenti di bellezza che includono lavaggio, ingrassaggio, lattoniere e verniciatura, eccetera. Non dimenticare di mettere enfasi su “eccetera”.

Quindi, approfittando del fatto che – come milioni di persone – la congiuntura storica non ci prenda in considerazione, e mentre arriva il giorno fatidico in cui iniziano i corsi della scuola zapatista, Durito impartirà ora un corso propedeutico, dice, di “alta politica”.

E per farlo, Durito si pone in modo “Massively Multiplayer Online –MMO-” (affinché tutti capiscano, dice -almeno in Word of Warcraft ed in Call of Duty-) ed inizia con con… Un Twit?!

I partiti politici istituzionali sono il “bioshacker” della lotta per la libertà”

(Durito sorride soddisfatto della sua capacità di sintesi, ma avverte la necessità di dilungarsi quindi… sono dolori…)

Per comprendere il funzionamento contemporaneo della politica di sopra, bisogna frequentare il suo nuovo ateneo: i mezzi di comunicazione a pagamento. Attenzione: notare che non ho usato il tradizionale “mezzi di comunicazione di massa” perché ci sono media alternativi (o liberi o come si chiamino) che sono di massa ed altri che sono terreno di lotta (come internet).

Prendiamo, per esempio, la televisione. Accendete il vostro apparecchio ed osservate come la realtà imita la pubblicità. Ci sono quegli spot con macchine meravigliose che permettono non solo di perdere peso, ma di avere anche una figura da iomeiome, da corri-che-ti prendo.

Acquistando una di queste macchine, potete strafogarvi di grappa, farinacei, carboidrati, idrocarburi, zucchero, benzoato di sodio in generose proporzioni, e mettervi sul letto o sul sofà o sull’amaca o in terra (ci sono ancora le classi sociali, non si creda) e dedicarvi ai videogiochi, alla lettura di un romanzo o alla vostra serie TV. In alcuni giorni, avrete una figura come quella del ragazzo o della signorina che in quel momento sta dimostrando che la macchina è facile da usare, oltre ad essere utile per appendere i vestiti ad asciugare.

Bene, così è la politica di sopra nel momento in cui chiede il vostro voto. Non è necessario che vi organizziate, che lottiate ogni i giorno e dovunque, per costruirvi un destino. Per questo, non manca niente, c’è quel prodotto. Nella sua nuova versione abbiamo incluso un tasto di reset, ed ora include una confezione di gel all’aroma di fiori. Lui si occuperà di tutto. Sedetevi comodamente e vedrete come fioccano le offerte di lavoro, i prestiti a interessi bassi, le scuole laiche, scientifiche e gratuite, la cultura a portata di tutti, le abitazioni con tutti i servizi che servono e a basso costo, cibi sani, ospedali ben attrezzati e personale medico qualificato, le prigioni piene di veri delinquenti (cioè, di banchieri, funzionari e poliziotti), la terra a chi la lavora, le ricchezze naturali di proprietà della Nazione. Insomma, il mondo in cui avete sempre sognato di vivere, ma senza dover fare altro che mettere una croce su questa scheda elettorale. No, non dovete neppure disturbarvi a vigilare che non ci siano trappole o non si contino correttamente i voti, lo facciamo noi per voi!

Ah, il “bioshaker” della libertà: perdete peso senza muovervi (è la macchina che si muove per voi); siate liberi senza lottare (che il leader lotti per voi).

Orbene, non spegnete il televisore. Vediamo che cosa c’è dietro questi spot. Già, quei ragazzi muscolosi e quelle frondose signorine non usano quelle macchine. Se glielo domandate fuori dalla scena vi diranno che sono inutili, che non ne comprerebbero mai una, che un bel corpo si ottiene solo con un’alimentazione adeguata e facendo esercizio. Mi seguite?

E così è in politica: quelli che nel mondo veramente comandano non credono nella democrazia elettorale, sanno bene che lì non si decide niente di fondamentale. Che il comando vero, il Potere, sta da un’altra parte, la LORO parte.

Ma, quando state per cambiare canale, o mettere il dvd “di produzione alternativa” per vedere “The Walking Dead”, appare un altro signore, signora, signorina, che vi dice di non cambiare, che se votate per lui-lei, avrete quello di cui tanto avete bisogno e che meritate, che per averlo, guardate, dovete solo fare un segno qui su questa scheda elettorale su questo simbolo che, è vero!, sembra di cibo spazzatura…

Bene, ed ora un esame a risposta multipla per passare questo corso propedeutico:

Visto quanto sopra, voi…

a).- Ascoltate il signore-signora-signorina e vi dite che bisogna provare, forse sì, bisogna fare un altro partito politico… con gli stessi di sempre.

b).- Cambiate canale o pigiate play al divudi e cominciate a discutere col vostro partner o col vostro cane o gatto, o con tutti e 3, sul perché gli zombie perdono sempre malgrado siano la stragrande maggioranza: Beh, non sempre, quasi mai / Alla fine gli zombie vincono / Come quel film di Romero, dove si vede il tipo di The Mentalist, dove alla fine si vede che gli zombie cercano un posto per loro / Ah, si chiama “Zombie Land”, “Terra dei Morti” / Sì, se ne vanno via forse inorriditi dalla sanguinaria crudeltà dei vivi / Mmm, cioè, dici che gli zombie faranno il proprio municipio autonomo ribelle zapatista? / O vanno alla scuola zapatista / Allora sarà pieno di gente strana / Sì, come tutti noi / E tutte noi, tonto / Schiaffo / Bravo, bacino.

c).- Non l’avete o spegnete il televisore e cercate in rete se qualcuno ha già trovato un autobus per San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dall’8 al 18 agosto, per andare alla festa, andare a scuola, e partecipare alla cattedra dei popoli originari. Mentre il computer si accende, vi provate quegli orribili stivali che qualcuno vi ha detto che vi servirebbero andando in Chiapas.

d).- Non avete letto-capito la domanda.

Autovalutazione (non barate):

Se avete scelto l’opzione a, non venite, vi prendereste solo rabbia. Se avete optato per la risposta b, non preoccupatevi, anche noi sembriamo zombie… beh, però una pettinata non vi farebbe male. Se la vostra opzione è stata la c, sappiate che quegli stivai non vi serviranno a molto. Se avete scelto la d, tornate all’inizio del testo (no, non questo, ma quello che si è cominciato a scrivere più di 500 anni fa).

Tan-tan. Fine del corso propedeutico di Durito

-*-

Gli zapatisti, le zapatiste, quale opzione sceglierebbero? Userebbero macchine per fare ginnastica o una dieta bilanciata, o entrambe? O nessuna – vedrete che gli zapatisti poi si costruiscono la propria opzione -.

Ah, forse troverete queste risposte nel corso “La Libertad según l@s Zapatistas”. Non ve lo garantisco. Quello che è sicuro è che, anche se mancheranno le risposte, abbonderanno le domande.

(Ah, Durito ha portato anche un racconto, “la storia del gatto-cane”, ma lo lascio per un altro giorno).

Bene. Salute e credetemi, ciò per cui vale la pena non è facile, per esempio, arrampicarsi su quella collina per vedere, da lì, come la luce alla fine si rifugia nell’ombra dell’alba.

(Continua)

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

Immagni inedite di Durito. Top Secret.” http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=svo2SEjmi6o

Autore León Gieco e con la voce di Carlos Karel, la canzone “Señor Durito”. http://www.youtube.com/watch?v=jf3oikHlyp8&feature=player_embedded

Parodia della serie televisiva “The Walking Dead” http://www.youtube.com/watch?v=X16IGZyNVoo&feature=player_embedded

Dalla serie popolare “Hitler lo sa”, qui il suo disappunto per le campagne elettorali in Messico ed i nuovi candidati… come il Gatto Morris (attenzione: contiene parole che possono essere offensive, ma niente che non si senta ogni giorno in qualunque parte del mondo): http://www.youtube.com/watch?v=jWXBwuugrSY&feature=player_embedded

 

Link al Comunicato Originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 25 luglio 2013

Liberati i tre indigeni accusati di aver avvelenato l’acqua dell’ejido di Puebla

Hermann Bellinghausen

Martedì notte sono stati liberati i tre indigeni dell’ejido di Puebla, due di loro zapatisti, in stato di fermo presso la procura indigena di San Cristóbal de las Casas dal fine settimana scorso. Si tratta di Mariano Méndez Méndez, Luciano Méndez Hernández y Juan López Santiz. (… segue http://www.jornada.unam.mx/2013/07/25/politica/017n1pol

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La Jornada – Martedì 23 luglio 2013

Frayba denuncia un pestaggio da parte di esponenti evangelici ai danni di tre tzotzil arrestati in Chiapas

Hermann Bellinghausen

Dei tre coloni tzotzil dell’ejido di Puebla (municipio di Chenalhó) Chiapas, arrestati arbitrariamente sabato da un gruppo di evangelici, due di loro risultarono essere basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN): Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández. Il terzo, Juan López Méndez, di confessione battista, è stato fermato per aver espresso il suo disaccordo per la cattura degli zapatisti.

Il Centro dei Diritti Umani Frayba ha potuto documentare che i tre sono feriti da percosse ricevute dagli evangelici, guidati dal commissario ejidale Agustín Cruz Gómez e da altri correligionari dell’ex sindaco priista Jacinto Arias Cruz, già condannato per la partecipazione nel massacro di Acteal e liberato recentemente dalla Suprema Corte di Giustizia della Nazione.

Il Frayba precisa che gli arrestati, “accusati falsamente dalle autorità dell’ejido di avvelenare l’acqua”, sono stati portati verso le 0:30 del giorno 21 negli edifici della Procura Specializzata per la Giustizia Indigena, a San Cristóbal de Las Casas. Alle due del mattino sono stati rinchiusi nelle celle della Procura. 

Testimoni citati dal Frayba affermano che tutti presentano ferite da percosse e che Juan López Méndez, è stato fermato e picchiato solo per essere in disaccordo con le decisioni prese dalle autorità dell’ejido.

Il Frayba ha denunciato la Procura Indigena per ostruzione alla difesa dei diritti umani ed ha dichiarato che, visto il contesto di violenza, il suo personale domenica si è recato alla Procura, ma la pubblico ministero titolare della Sezione numero 4, Socorro Gómez Santiz, non ha permesso loro di verificare la situazione fisica e psicologica dei detenuti, dato che diversi testimoni confermano che sono feriti. 

Ciò nonostante, il commissario Agustín Cruz Gómez domenica stessa ha presentato al Pubblico Ministero le denunce contro i detenuti. Le autorità hanno permesso questo, malgrado l’accusatore sia anche l’esecutore del pestaggio. Tutto indica che sono stati adottate le abituali procedure in Chiapas per incolpare e punire indigeni innocenti. Di questi sono piene le prigioni dello stato, come ha denunciato Alberto Patishtán Gómez dalla sua cella.

Finalmente, questo lunedì gli avvocati sono riusciti a visitare i detenuti, ma il Pubblico Ministero ha impedito che si stimasse il loro stato fisico.

Secondo informazioni raccolte dal Frayba, la popolazione dell’ejido di Puebla si trova senza acqua, poiché le autorità hanno svuotato le cisterne che forniscono la comunità, situazione che sta colpendo gli abitanti e creando disagio. Il clima di provocazione è evidente, le autorità statali non hanno fatto niente per impedirlo e gli ispettori sanitari non hanno confermato la presenza di sostanze tossiche.

Secondo le testimonianze dei coloni, “durante gli arresti del 20 luglio, il commissario ejidale ha accusato la Società Civile Las Abejas di Acteal di dirigere e provocare la situazione di instabilità che si vive nell’ejido a causa della costruzione della nuova cappella. I principali accusati sono Macario Arias Gómez ed il catechista Francisco López Santiz. 

Il Frayba esprime estrema preoccupazione e chiede al governo federale, come a quello del Chiapas, di affrontare i problemi, rilasciare immediatamente Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández, basi zapatiste, e Juan López Méndez, e che sia fornita loro assistenza medica immediata.

Chiede inoltre che si garantisca l’integrità fisica e psicologica dei detenuti e dei membri di Las Abejas di Acteal, in particolare Macario Arias Gómez e Francisco López Santiz.

Il Frayba infine chiede, che il governo affronti la situazione di conflitto nell’ejido di Puebla attraverso il dialogo e che si dia priorità ad accordi tra le parti in conflitto.

Il pomeriggio di lunedì, come riferito dalla Colonia Puebla, il clima era molto teso. Sono stati riportati atti di ostilità contro i cattolici ed alcuni casi di isteria collettiva per la paura del presunto avvelenamento, cosa che acutizza le tensioni.

Al tramonto è giunta comunicazione che due membri dell’organizzazione Azione Sociale Samuel Ruiz (già Caritas Chiapas), il consigliere parrocchiale Pedro López Arias e Gilberto Pérez, che portavano provviste ed acqua alle famiglie aggredite, sono stati fermati a Puebla dai priisti ed alla chiusura della presente edizione del giornale non sono ancora stati liberati. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/23/politica/015n1pol

DENUNCIA DELLA JBG DI OVENTIC 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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NUOVE DATE DELLA ESCUELITA, INFORMAZIONI SU VIDEOCONFERENZE ED ALTRO

Luglio 2013

Per: Le compagne ed i compagni della Sexta e studenti della Escuelita Zapatista.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagne e compagni.

Di seguito mando alcune informazioni sulla Escuelita Zapatista:

Primo.- Informazione per le/i compagn@, uomini, donne, bambini ed anziani, che non hanno trovato posto in questo primo avvio della scuola zapatista nel mese di agosto 2013. Le comunità zapatiste hanno compiuto un ulteriore sforzo estendendo il numero degli iscritti a 1700 studenti ma siamo al completo un’altra volta. Cioè, è stato fatto posto per altri 200 che erano in lista e che sono stati avvisati. Ma ce ne sono molti altri e altre che vogliono venire. Bene, a questi diciamo di non rattristarsi, né di arrabbiarsi per via dei posti esauriti.

Le compagne ed i compagni maestri hanno deciso che le lezioni proseguiranno alla fine dell’anno, ovvero a dicembre 2013 e gennaio 2014. In concreto:

Date della seconda sessione della escuelita:
Iscrizioni il 23 e 24 dicembre 2013.
Lezioni dal 25 dicembre fino al 29 dicembre di quest’anno.
Partenza il giorno 30.

E per chi vuole restare per la festa del 20° anniversario dell’insurrezione zapatista per festeggiare e ricordare l’alba del 1° gennaio del 1994, festa il giorno 31 dicembre e 1° gennaio.

Poi , niente riposo, perché è già deciso che dopo la festa riprenderà il lavoro, cioè la escuelita:

Date della terza sessione della escuelita:
Festa il 31 dicembre 2013 e 1° gennaio 2014.
Iscrizioni il 1° e 2 gennaio 2014.
Lezioni dal 3 gennaio al 7 gennaio 2014.
Partenza per i propri luoghi di origine il giorno 8 gennaio 2014.

ATTENZIONE: Per chiedere l’invito e la clave de registro per la seconda e terza sessione della scuola, anche se già l’avete chiesta attraverso la pagina web o per email, dovete mandare la vostra domanda al seguente indirizzo di posta elettronica (anche a partire da oggi stesso):

escuelitazapDicEne13_14@ezln.org.mx

Abbiamo deciso di procedere in questo modo per organizzare tutto al meglio ed avvisarvi per tempo.

Secondo.- Vi ricordiamo che la festa dei 10 anni dei Caracol e delle Giunte di Buon Governo è aperta a tutt@. La festa incomincia l’8 e prosegue il 9 e 10. I giorni 9 e 10 ci saranno dei concerti ed esibizioni di gruppi artistici di molte parti del Messico e del mondo. Ci sarà un concerto anche al CIDECI il giorno 11 agosto, che è il giorno della registrazione. Poi vi manderemo il programma.

Terzo.- Vi ricordiamo che, per la prima sessione della scuola ad agosto di qust’anno:

– La registrazione, con clave ed un documento di identità, avverrà nei giorni 10 e 11 agosto 2013 presso il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

.- Dovrete versare $100.00 (cento pesos messicani = 7,00 Euro) per il costo del pacchetto di studio composto da 4 libri di testo e 2 dvd (20 pesos ogni libro e 10 pesos ogni dvd).

.- Quando vi registrerete vi daranno il vostro cartellino identificativo, il vostro pacchetto scolastico e vi diranno in quale Caracol siete destinati. Se avete un mezzo proprio vi diranno come raggiungere la destinazione ed a che ora partirà una carovana con un auto che farà da guida. Se non avete un mezzo proprio, vi diranno quali autobus o camion prendere per viaggiare in gruppo. Se avete l’auto, potete archeggiarlo nel Caracol.

.- La partenza per i Caracol è lo stesso giorno 11, mano a mano che si riempiono auto e camion. Se si farà molto tardi, si partirà anche il giorno 12 mattina presto.

.- Le lezioni iniziano il giorno 12 agosto e finiscono il giorno 16, e le partenze con i mezzi sono sono il giorno 17 agosto con destinazione il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas. Lì se volete potete fermarvi per assistere alla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” che terranno dirigenti di diversi popoli originari del nostro paese.

.- Tempi di percorrenza:

I Caracol più lontani sono: La Realidad e Roberto Barrios, in carovana ci vogliono dalle 8 alle 9 ore senza soste e senza perdersi e senza guasti ai mezzi.
Segue: Il Caracol di La Garrucha, 5 o 6 ore senza soste.
Poi segue: Il Caracol di Morelia, da 4 a 5 ore senza soste.
Per ultimo: Il Caracol deiOventik, da 1 ora e mezza a due ore.
Tutti partendo da San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, dal CIDECI.

Un’altra volta vi comunico gli orari delle lezioni, ma prima il SupMarcos vi deve raccontare come funziona tutto questo.

Quarto.-Vogliamo anche dire, avvisare i nostr@ compagn@ della Sexta che non possono frequentare la scuola in agosto, che la possono seguire attraverso i media, perché le lezioni saranno trasmesse in videoconferenza da una squadra speciale di compas zapatisti che spiegheranno e risponderanno a tutti i dubbi sulla faccenda delle “chat“.

Per questo ci aiuteranno i compas dei media liberi Koman Ilel e di altri media liberi.

Di questo vi parleremo in un comunicato a parte. Ma vi anticipo che le videoconferenze saranno i giorni 12, 13, 14, 15 e 16 agosto 2013. E ha almeno in 2 orari: uno affinché possa cominciare alla sera in America e l’altro sarà dopo alcune ore affinché si possa vedere la sera in altri continenti. Si è pensato alla sera perché probabilmente rientrate dal lavoro e potete seguire le lezioni, o seguirle di giorno se lavorate la sera.

Per poter entrare in videoconferenza serve una password che sarà data a coloro che hanno chiesto di seguire le lezioni con questa modalità. Se volete seguire le lezioni in videoconferenza e non avete l’invito, per favore scrivete al seguente indirizzo email, chiedendo di essere inseriti nella videoconferenza:

video@ezln.org.mx

  E sarà inviata la password per entrare in internet. Anche i compagni che organizzano la sessione della videoconferenza nelle proprie sedi in tutto il mondo devono mandare la loro registrazione per coloro che inviteranno presso di loro. Questo per darci un’idea del numero delle persone che seguono le lezioni con questa modalità.

Questo è quanto, compagn@ della Sexta.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, luglio 2013
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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Canzone “Soy el Sol en Movimiento”, del gruppo “El Problema del Barrio”. Parole di Orlando Rodríguez, Musica di Miguel Ogando.  Disegni di Juan Kalvellido. Edizione video: Orlando Fonseca. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=E4AQ7S1T550

Rock! Il gruppo spagnolo “Ilegales” con lil pezzo “Tiempos Nuevos, Tiempos Salvajes”. Edizione de video: Zenodro1000 http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=cJrnJ0n2P9g

Reagge, dalla Costa d Marfil, Africa, con Tiken Jah Fakoli e questo pezzo dal titolo “Plus Rien Ne M’étonne” (“Più nulla mi spaventa”).  Ediczione video: Ben Magec. http://www.youtube.com/watch?v=pj0Y41La43Y&feature=player_embedded

Link al comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Circolare relativa al trasferimento dei condiscepoli della Escuelita Zapatista 

A TUTT@ NOSTR@ CONDISCEPOLI DELLA ESCUELITA ZAPATISTA 

COMPAGN@: 

E’ SEMPRE PIU’ VICINA LA DATA DELL’INIZIO DELLA SCUOLA ZAPATISTA E VI INFORMIAMO CHE SU INIZIATIVA DI ALCUNI COLLETTIVI E COMPAGN@ SONO STATE FATTE LE SEGUENTI PROPOSTE PER IL TRASFERIMENTO DA CITTA’ DEL MESSICO-CHIAPAS-CITTA’ DEL MESSICO.

1) PARTENZA 8 AGOSTO ALLE 17:00, PER INIZIATIVA DEI COMPAS DELLA RED MyCZ, CON TRE OPZIONI:

A) VIAGGIO BREVE SOLO PER PARTECIPARE ALLA FESTA DELL’ANNIVERSARIO DEI COMPAGNI ZAPATISTI, PARTENZA 8 E RITORNO 11/12 AGOSTO: COSTO $850 (51,00 euro, circa).

B) VIAGGIO DALL’8 AL 18/19 AGOSTO PER FESTEGGIARE L’ANNIVERSARIO, FREQUENTARE LA SCUOLA E LA CATTEDRA, COSTO $950 (57,00 euro circa).

C) C’E’ ANCHE UN VIAGGIO DALL’8 AL 17/18 AGOSTO: COSTO $ 950 (57,00 euro circa).

CHI FOSSE INTERESSATO SI METTA IN CONTATTO CON I COMPA CLAUDIA TORRES (CEL 5554353824) E/O ALBERTO CORIA (CEL 5532591338) EMAIL: ctroux@me.com, redmyczapatista@gmail.com alberto.coriajimenez@gmail.com

2) POTREBBERO ESSERCI ALTRE PARTENZE IL 10 AGOSTO ALLE 17:00, PER ESSERE AL CIDECI PRIMA DEL GIORNO 11 AGOSTO PER L’ISCRIZIONE E LA PARTENZA NELLE COMUNITA’, CON RITORNO IL 17/18 AGOSTO. IL COSTO E’ DI $900 A PERSONA (54,00 euro). INTERESSATI TELEFONARE AI NUMERI 55780775 E 55784711 E/O SCRIVERE ALL’EMAIL: laescuelitava@gmail.com

URGE SAPERE QUANTI RICHIEDERANNO QUESTO SERVIZIO. POSSIAMO NOLEGGIARE I BUS NECESSARI PER TUTTI. L’UNICO REQUISITO È METTERSI IN CONTATTO CON I RESPONSABILI E PAGARE IL COSTO DEL TRASPORTO PER NOLEGGIARE I BUS. PER NOLEGGIARE UN BUS SONO NECESSARI ALMENO 40 PASSEGGERI.

LE PARTENZE AVVERRANO DALLA SEDE DI UNÍOS IN VIA DR. CARMONA Y VALLE #32, COLONIA DOCTORES, AD UN ISOLATO E MEZZO DALLA STAZIONE DELLA METROPOLITANA CUAUHTÉMOC (LINEA ROSA).

INOLTRE, I COMPAGN@ STUDENTI CHE ARRIVANO A CITTA’ DEL MESSICO POSSONO PASSARE NELLA SEDE DI UNÍOS PER LASCIARE LE PROPRIE COSE, LAVARSI E PERFINO PERNOTTARE. VI CHIEDIAMO SOLO DI INFORMARCI IN ANTICIPO AI NUMERI DI TELEFONO 55780775 E 55784711 E/O EMAIL: laescuelitava@gmail.com

 FRATERNAMENTE,

CONTRO IL SACCHEGGIO E LA REPRESSIONE, LA SOLIDARIETA’!

RED CONTRA LA REPRESIÓN Y POR LA SOLIDARIDAD (RvsR)


¡CONTRA EL DESPOJO Y LA REPRESIÓN: LA SOLIDARIDAD!
Red Contra la Represión y por la Solidaridad
Correo electrónico: redcontralarepresion@gmail.com
Página: http://www.redcontralarepresion.org/
facebook.com/redcontralarepresion

http://twitter.com/RvsRepresion

Telefono: 55 78 07 75 y 55 78 47 11
Indirizzo: Dr. Carmona y Valle # 32, colonia Doctores, Del. Cuauhtémoc, México Città del Messico. C.P. 06720

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La Jornada – Mercoledì 17 luglio 2013s

I profughi tzeltal di Tenejapa chiedono l’attenzione del governo

Hermann Bellinghausen.

Famiglie filo-zapatiste sfollate dal 4 dicembre 2011 della comunità tzeltal di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, hanno denunciato che, dopo avere vissuto da profughi per 1 anno e 7 mesi in condizioni precarie a in San Cristóbal de las Casas, il governo non le considera. La loro espulsione, dopo un attacco armato di priisti di questa e di altre comunità, ha comportato la sparizione del patriarca della famiglia López Girón, Alonso López Luna, e tutto indica che fu assassinato allora. In quell’occasione morì uno degli aggressori, Pedro Méndez López. In relazione al fatto, e con accuse false, Francisco Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, è rimasto in carcere per un anno.

Chiediamo al governo di Manuel Velasco Coello ed al presidente Enrique Peña Nieto che risolvano al più presto possibile i nostri problemi; fino a quando ci ignoreranno?, hanno dichiarato gli indigeni sfollati.

Inoltre chiediamo giustizia, riguardo i responsabili della sparizione di nostro padre Alonso López Luna, e che ci dicano dove hanno nascosto i suoi resti. I responsabili sono liberi. Il pubblico ministero, Cristóbal Hernández López è loro complice, per questo non ha fatto giustizia, sostengono Lorenzo, Miguel, Petrona ed Amita López Girón. Infine chiedono che al compagno Alberto Patishtán Gómez sia liberato il prima possibile.

Quel 4 dicembre, una cinquantina di elementi del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) aggredirono con le armi quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e li cacciarono dalle loro case e dal villaggio. Ci furono sei feriti. Inizialmente fu arrestato uno dei loro componenti, Lorenzo, oltretutto ferito da una pallottola, con l’accusa di lesioni aggravate. Poco dopo, Santiz López, base di appoggio dell’EZLN, fu arrestato benché non si trovasse sul posto al momento dei fatti, ma qualcuno doveva pagare la morte di Méndez López, perché tutto indica che questa sarebbe stata provocata dallo sparo dei suoi stessi compagni.

López Luna scomparve ma 20 giorni dopo, nell’ejido Mercedes, che confina con Banavil, fu trovato un braccio. La famiglia riconobbe una cicatrice che corrispondeva al padre. Poliziotti statali, il giudice municipale ed il Pubblico Ministero lasciarono passare molti giorni prima di recarsi sul luogo del ritrovamento e non trovarono più niente. 

Per questi fatti, a gennaio del 2012 il Frayba denunciò: Le false accuse e la violenza generata dal gruppo di cacicchi del PRI degli ejidos Banavil, Mercedes e Santa Rosa, a Tenejapa, hanno provocato lo sgombero forzato di quattro famiglie simpatizzanti dell’EZLN e la morte di un membro del PRI. 

L’organizzazione sottolineava allora le continue e sistematiche aggressioni contro le basi zapatiste ed i simpatizzanti dell’EZLN, e chiedeva al governo del Chiapas di trovare López Luna, fare luce sulla morte di Méndez López, misure cautelari per il ritorno degli sfollati, una vera investigazione dei fatti, e di disarmare il gruppo di cacicchi. Niente di tutto questo è avvenuto.

Le vessazioni contro i simpatizzanti zapatisti che si oppongono agli arbitri dei cacicchi risalgono al 2009: esproprio di terre, disboscamento illegale, riscossione di imposte senza fondamento, furti, aggressioni fisiche e negazione del diritto all’istruzione. Da allora le autorità non hanno nemmeno tentato di fare giustizia. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/17/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EZLN con gli Yaqui.

Comunicato del CCRI-CG dell’EZLN e del Congresso Nazionale Indigeno in solidarietà con la Tribù Yaqui

 Alla Tribù Yaqui,

Al Popolo del Messico,

Alla Sexta nazionale e Internazionale,

Ai governi del Messico e del Mondo.

Come Popoli indigeni, Nazioni e Tribù che compongono il Congresso Nazionale Indigeno, inviamo il nostro messaggio dal territorio ribelle zapatista nelle montagne del sudest messicano. Con esso inviamo un fraterno saluto di forza e solidarietà ai membri della Tribù Yaqui e al loro Governo e alla Guardia Tradizionale, sperando che stiate tutti bene.

Salutiamo la capacità storica della Tribù Yaqui di difendere la propria esistenza e territorio, che negli ultimi 40 giorni si è manifestata con la creazione di un accampamento di resistenza sulla Strada Internazionale a Vicam, Sede Principale della Tribù Yaqui, contro il furto dell’acqua da parte del governo attraverso la realizzazione dell’Acquedotto Indipendenza, che non riguarda solo gli Yaqui ma l’intero sud di Sonora. Tutto questo nonostante la Tribù Yaqui abbia seguito e vinto tutti i percorsi legali necessari per fermare questo furto, ma che il governo non ha rispettato. La vostra lotta, compagni, è nostra. Noi, come voi, crediamo che la terra è nostra madre e che l’acqua che scorre nelle sue vene non è in vendita, perché da essa dipende la vita che è un diritto, non una cosa concessa dai malgoverni o dagli imprenditori.

Chiediamo l’immediata cancellazione dei mandati di arresto e delle false accuse contro i membri della Tribù Yaqui e condanniamo la criminalizzazione della loro lotta, e diciamo ai malgoverni emanati dai partiti politici, che il fiume Yaqui è storicamente portatore della continuità ancestrale della cultura e del territorio Yaqui, e a nome del Congresso Nazionale Indigeno ribadiamo che un attacco contro uno, è un attacco contro tutti, per cui risponderemo di conseguenza ad ogni tentativo di reprimere questa lotta e qualsiasi altra lotta.

Infine, rivolgiamo un appello alla comunità internazionale e ai nostri fratelli e sorelle della Sexta Internacional affinché vigilino sugli eventi in territorio Yaqui e di unirsi in solidarietà con la Tribù Yaqui e le sue istanze.

Distintamente

7 luglio 2013

Dal Caracol Zapatista numero 2 – Resistencia y Rebeldía por la Humanidad, di Oventic, Chiapas

Mai più un Messico senza di noi

Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comandancia Generale dell’EZLN

Congresso Nazionale Indigeno

Link Comunicato Originale

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Los de Abajo

Inettitudine politica

Gloria Muñoz Ramírez 

Sebbene il governo del Chiapas abbia voluto trarre vantaggio politico dalla scarcerazione di nove detenuti filo-zapatisti dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, la sua inettitudine politica ha provocato un ritardo ingiustificato lasciandoli tre giorni in più dietro le sbarre in attesa che il governatore Manuel Velasco Coello si liberasse dai suoi impegni e potesse recarsi personalmente a liberarli.

Dalla scorsa domenica erano iniziate a correre le voci sulla loro liberazione. Il mercoledì è arrivata la notifica formale e per due volte hanno firmato i verbali di scarcerazione, che però non è avvenuta perché il governo statale preparava un evento politico per la loro consegna, come se fosse una concessione e non un atto con il quale si ristabilisce il diritto violato.

I nove detenuti aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona sono innocenti. Lo sono sempre stati, come lo sono il professore tzotzil Alberto Patishtán ed Alejandro Díaz Sántiz, che restano però in prigione ingiustificatamente. Il deliberato ritardo del tribunale con sede a Tuxtla Gutiérrez, nel risolvere il caso Patishtán, non fa altro che alimentare la sfiducia nelle istituzioni e la possibilità che vogliano risolvere il caso con una soluzione politica che implichi il perdono presidenziale, e non il riconoscimento di innocenza, che è ciò che dev’essere.

La dignità e l’interezza con le quali i nove indigeni sono usciti di prigione hanno mostrato il frutto della loro organizzazione. Nessuno di loro era attivista né militante prima di essere arrestato. Sono diventati simpatizzanti zapatisti in prigione, al passaggio dell’Altra Campagna. E, senza dubbio, è stata determinante la mano del professor Patishtán nella loro politicizzazione. Oggi è l’organizzazione a rimetterli in libertà, e questo è un chiaro messaggio per il resto dei carcerati dello stato.

È la loro trasformazione da vittime a individui attivi in lotta per i propri diritti ciò che pone i loro familiari in un’altra logica, ciò che convoca la solidarietà internazionale, ciò che, insomma, li libera ancor prima di uscire di prigione. In questo senso, l’Altra Campagna di allora (oggi conosciuta solo come La Sexta), segna un altro successo, invisibile come la maggioranza dei risultati ottenuti.

Qui non vedo croci, ci disse alcuni mesi fa Alfredo, ed usciremo vivi. Questo venerdì è stato il giorno. E, in strada, oltre a ribadire la loro decisione di continuare a lottare per la libertà di Patishtán e del resto dei loro compagni; hanno ringraziato le persone ed i gruppi nel resto del mondo per aver fatto dei loro casi una causa comune per la giustizia.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 5 luglio 2013

Liberati nove indigeni in Chiapas; Patishtán resterà in prigione

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 4 luglio. È la terza volta che Alberto Patishtán Gómez vede uscire i suoi compagni di prigione, dopo una lunga e dolorosa lotta insieme per riacquistare non solo la libertà, ma la dignità rubata, gli anni persi senza motivo né colpa. È la terza volta che resta dentro. 

Infine, questo pomeriggio sono stati liberati nove detenuti aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, dopo tre giorni in attesa che si realizzasse la decisione del governo statale. Erano da molti anni in lotta pacifica, uno sciopero della fame, numerose notti di solitudine e disperazione. Per la loro liberazione (o meglio una correzione del sistema di giustizia imperante in Chiapas, una chiamata dall’erta), hanno dovuto ancora aspettare. Da martedì avevano un piede nella staffa, ma niente. Fuori, sotto la pioggia o il sole, hanno aspettato per due giorni le loro madri, mogli, figli, con irrefrenabile incredulità.

Il governatore Manuel Velasco Coello è arrivato via terra da Tuxtla Gutiérrez, alle 18:15, fino al carcere di Los Llanos, nella zona rurale di San Cristóbal, per consegnare agli indigeni i verbali di scarcerazione, dopo essere entrato nella prigione ed aver parlato con ognuno di loro.

Poi, il professor Alberto Patishtán Gómez, che resterà in prigione insieme ad Alejandro Díaz Sántiz, ha varcato per qualche metro le porte della prigione per ”consegnare” ai loro familiari i compagni scarcerati: ”Vi consegno i compagni; io resto ancora qui, ma non bisogna perdere la speranza”, ha detto sorridente e fiducioso, prima di voltarsi e tornare in prigione, accompagnato dal governatore e da un nugolo di funzionari e guardaspalle.

Le persone che questo giovedì hanno lasciato la prigione statale numero cinque, sono: Rosario Díaz Méndez, Pedro López Jiménez, Juan Collazo Jiménez, Juan Díaz López, Rosa López Díaz, Alfredo López Jiménez, Juan López González y Benjamín López Díaz. Una volta fuori, Pedro López Jiménez ha dichiarato: “Questa è la vittoria di tutti, non solo nostra o vostra”‘, rivolgendosi alle famiglie indigene ed ai simpatizzanti solidali della società civile che liaspettavano. Alcuni di loro sono stati vicni per anni ai detenuti.

“Continueremo a lottare. Non ci fermeremo, né abbandoneremo il compagno Alberto che resta dentro”, ha aggiunto Pedro ai piedi di un masso dove striscioni e voci gridavano “libertà per i prigionieri politici”. Alcune decine di persone hanno abbracciato e salutato in lacrime gli otto uomini e Rosa, l’unica donna del gruppo scarcerato, che a causa delle torture subite durante il suo arresto nel 2007, ha perso un figlio, tra altre cose.

Rosario Díaz Méndez, della Voz del Amate, ha detto: “Continueremo a lottare fino ad ottenere la liberazione del compagno Alberto e di tutti i compagni in carcere”. Anche lui esce riconosciuto innocente. Otto anni dopo il “l’errore”‘ giudiziario che lo aveva condannato a 30 anni per due gravi delitti (mai commessi). Sua moglie non smetteva di abbracciarlo. Sono la coppia più grande, gli altri sono più giovani. 

I nove hanno lasciato la prigione come risultato di uno sforzo collettivo di anni, in molti paesi, soprattutto di loro stessi dentro le prigioni, dove la Voz del Amate e Solidarios de la Voz de Amate sono diventati difensori dei diritti della popolazione carceraria. Nel caso di Los Llanos, con il loro pacifico coraggio civile hanno trasformato la vita dentro la prigione. Se mancherà loro qualcuno, saranno gli altri carcerati. 

È stato un evento politico. Una vittoria degli indigeni che, la maggioranza alla mercé degli avvocati d’ufficio, hanno dimostrato di avere ragione (lo conferma la loro liberazione) sui poliziotti che li hanno arrestati ed anche torturati, sugli agenti del Pubblico Ministero che li hanno consegnati pur sapendoli innocenti, sui giudici che li hanno condannati, sui politici che hanno cavalcato la protesta di questi tzotzil e tzeltal di diverse provenienze.

A sera, gli indigeni liberati si sono recati nella cattedrale di San Cristóbal, come avevano promesso, per visitare la tomba del vescovo Samuel Ruiz García, il loro Tatic. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/05/politica/009n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Alberto Patishtán Gómez risponde all’invito alla Escuelita Zapatista 

Carcere No. 5, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 30 giugno 2013 

FRATELLI SUBCOMANTES INSURGENTES
MARCOS E MOISES 

            Da questo luogo della nostra trincea, mando il mio saluto combattente, e nello stesso tempo Dio vi benedica.

            Compagni è un onore per me il privilegio di ricevere l’invito alla scuola, perché ne abbiamo davvero bisogno per continuare a camminare insieme, grazie di questa grande opportunità che sarà molto utile. Come sapete non c’è strada migliore dell’Amore. L’Amore unifisce, condivide, dispone al servizio, è compassionevole, persegue il bene comune, è sincero, onesto, sa ascoltare, è paziente, dice sempre la verità, aborre la bugia, gioisce della giustizia, parla poco e quando parla, parla fino a far tremare i contrari, si dimentica di sé stesso, infine l’Amore scaccia la paura. Bene fratelli, grazie per le vostre lezioni ed anche per il poco che ho vissuto arricchisco le mie conoscenze per continuare a combattere il nemico; tutto questo ci fa uno solo, e tutti siamo uno nel reclamare la giustizia. Compagni, Dio vi benedica e tanti saluti dai miei fratelli della Voz del Amate e Solidarios della Voz del Amate. 

FRATERNAMENTE.

Prigioniero politico della Voz del Amate

Aderente alla Sexta

Alberto Patishtán Gómez 

Link alla lettera originale

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La situazione in Messico

da: LaPirata http://lapirata.indivia.net/

Messico Attuale – Prima Parte

Messico Attuale – Seconda Parte

Il ritorno al potere del dinosauro PRI, partito onnipresente nella storia post-rivoluzionaria del Messico rappresentato da un presidente dal passato oscuro erede della classe politica che da Carlos Salinas de Gortari in poi ha consegnato il paese nelle mani delle imprese straniere, intrappolandolo nelle maglie del neoliberismo. Enrique Peña Nieto ha preso il potere il primo di dicembre, giornata in cui ci sono state enormi proteste contro il colui che fu il mandante della repressione di Atenco del 2006, proteste violentemente represse, specchio di una “nuova” strategia politica che tende a dividere la gente tra buoni e cattivi, giustificando così repressioni spietate

Seconda parte: Pacto por Mexico, una serie di accordi sottoscritti dai tre maggiori partiti per articolare una lunga serie di riforme tese ad un discutibile modello di sviluppo. Tra le varie riforme messe in atto quella che al momento sta sollevando maggiori proteste è quella della scuola: in tutta la federazione maestri e studenti si sono mobilitati; in questa analisi si riporta brevemente quanto avvenuto nel DF e nello stato di Guerrero.

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La Jornada – Mercoledì 3 luglio 2013

Indigeni tzeltal bloccano la strada Ocosingo-Palenque 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Sebastián Bachajón, Chis., 2 luglio. Centinaia di uomini e donne – vestite secondo l’usanza tzeltal, con fiori ricamati sulla blusa e nastri colorati sulle gonne – sotto il sole e sotto la pioggia bloccano con tre grandi striscioni la strada Ocosingo-Palenque, a pochi metri dalla deviazione per le cascate di Agua Azul. Anche di persona bloccano la strada e danno informazioni; e se non bastasse, hanno posto rami e bastoni sull’asfalto.

La protesta che causa lunghe code di veicoli fermi, è sintetizzata nel più semplice degli striscioni: “Il malgoverno è responsabile della morte del compa Juan Vázquez Guzmán. No all’esproprio delle nostre terre. Libertà immediata dei nostri prigionieri Antonio Estrada Estrada e Miguel Demeza Jiménez. Libertà immediata per Alberto Patishtán e gli altri prigionieri politici in Chiapas”. Siglano con Evviva ai popoli in resistenza ed i caracoles zapatisti.

“Lasciamo passare i malati e le emergenze”, spiega uno degli ejidatarios incaricati della mobilitazione – nel proprio territorio ejidal – degli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Ogni due ore fanno passare auto bus. Ad intervalli gli indigeni leggono al megafono il loro manifesto nel quale chiedono giustizia per l’omicidio del loro leader, rispetto per la loro integrità territoriale e libertà per i compagni in prigione.

Non è l’unico blocco stradale del giorno. Da Tuxtla Gutiérrez a San Cristóbal de las Casas, Ocosingo e Palenque, elementi della Alianza Mexicana de Organizaciones de Transportistas (AMOTAC) bloccano le strade del Chiapas con grossi camion messi di traverso. Ma solo il blocco stradale degli ejidatarios tzeltal è un meeting politico in situ: queste stesse sono le terre che stanno difendendo. 

Approfittando della coda di veicoli che aspettano di passare, bambine e donne dei paraggi vendono frutta, cibi fritti e bibite. Aire fresco, aire fresco [Aria fresca, aria fresca, – n.d.t.] offre una ragazzina, e visto il caldo di mezzogiorno non sembra una brutta idea. Ma la realtà è che i tzeltal non pronunciano la lettera erre, e la bambina vuole dire: Hay refresco, hay refresco [Bibite, bibite – n.d.t.] ed il secchio che porta lo conferma.

Su un volantino con il volto del dirigente assassinato in aprile, da un lato in castigliano e l’altri in inglese imperfetto, gli ejidatarios insistono nella liberazione di Antonio e Miguel, sequestrati in prigione, ed informano la gente (ci sono turisti di diverse nazionalità, e popolazione locale) che dal febbraio del 2011 il governo si è impadronito illegalmente delle loro terre comunali per imporre i suoi progetti capitalisti.

Lo stesso giorno, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) si è unito alla richiesta di giustizia per Juan Vázquez Guzmán ed alla lotta di Bachajón, con questa dichiarazione: Juan, insieme a migliaia di ejidatarios di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione, si è distinto per la lotta in difesa del territorio nonostante le rappresaglie del governo.

Il Frayba rileva che il suo omicidio ha reciso un ramo del grande albero della lotta cosciente e degna del popolo chol e tzeltal della regione; tuttavia, questo ramo ha lasciato orme e percorsi, ha spianato il processo e rinasce in altre ed altri compagni che si uniscono alla difesa del loro popolo nella costruzione dell’autonomia e della libera determinazione. 

L’organizzazione civile esorta il governo del Messico ad adottare immediatamente ed urgentemente le misure necessarie per garantire il diritto alla vita, all’integrità ed alla sicurezza personale, ai membri dell’ejido di San Sebastián Bachajón aderenti alla Sesta Dichiarazione, così come ai difensori dei diritti umani che svolgono il loro lavoro a beneficio del territorio e della vita. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/03/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 1° luglio 2013

Settimana mondiale in memoria dello zapatista assassinato a Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 30 giugno. In solidarietà con la lotta degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón, comincia oggi, e fino a martedì prossimo, una settimana mondiale in memoria del rappresentante indigeno Juan Vázquez Guzmán, assassinato in aprile, e perché la lotta di Bachajón prosegue.

Nella capitale della Nuova Zelanda, il Wellington Zapatista Group ha realizzato una veglia con candele e fiori di fronte alla missione diplomatica del Messico e consegnato all’ambasciatrice Rosaura Leonora Rueda Gutiérrez una petizione al governo di Enrique Peña Nieto: affinché gli assassini di Guzmán compaiano davanti alla giustizia e si ponga fine agli abusi flagranti dei diritti delle comunità tzeltal di San Sebastián Bachajón, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Collettivi di Parigi e Tolosa, Francia, hanno annunciato il loro sostegno alla lotta dell’ejido contro il progetto turistico di Agua Azul sul loro territorio e l’esproprio delle loro proprietà. Denunciano la violenza dispiegata dai gruppi paramilitari collusi con le autorità.

Rispetto a Juan, riconoscono che ha dedicato la vita alla difesa del suo territorio e che il suo è chiaramente un omicidio politico sotto il comando del malgoverno. Sostengono che il crimine non fermerà la resistenza e la determinazione di fronte all’attacco del governo, burattino delle multinazionali.

Venerdì, gli indigeni aderenti alla Sesta hanno ringraziato in particolare il Movimento del Barrio di New York, promotore di questa settimana di protesta. Simultaneamente si sono svolti eventi di solidarietà in Colombia, Inghilterra (Dorset e Londra), Germania (Berlino) e Stati Uniti, e in diverse parti del Messico (Puebla, Veracruz, Michoacán e Distrito Federal).

Gli attivisti neozelandesi nella loro lettera dicono al governo messicano: “Abbiamo seguito con preoccupazione le risposte dei governi federale, statale e municipale (di Chilón) alla resistenza civile degli ejidatario di San Sebastián in difesa delle proprie terre.

Dal 2007 subiscono violenze e repressione da parte del Partito Rivoluzionario Istituzionale e organizzazioni paramilitari. La loro resistenza all’esproprio di terre tradizionalmente tzeltal per progetti transnazionali, in particolare nel sito delle cascate di Agua Azul, li ha collocati sulla linea di fuoco di chi vuole le loro terre con fini di lucro.

I tentativi combinati di dissolvere la comunità e la sua resistenza sono iniziati nel 2009, con la detenzione di otto ejidatarios e l’aggressione contro il loro avvocato in un posto di blocco paramilitare. Due anni più tardi, 117 ejidatarios sono stati catturati dalla polizia per un tentativo di sgombero del botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul, e una decina di loro sono rimasti in carcere senza alcun fondamento”.

La lettera continua: Repressione e violenza sono state accompagnate da abusi legali e giudiziali, condanne della Corte, negazione dei diritti ed arresti e sgomberi per tutto il 2011, favorendo la presa di controllo delle terre, di proprietà collettiva, da parte delle autorità.

I continui assalti all’autonomia di Bachajón sono culminati la notte del 24 aprile 2013 con l’omicidio di Vázquez Guzmán sulla porta di casa. Il segretario generale dei tre centri abitati dell’ejido è stato crivellato con sei colpi d’arma da fuoco, e nessuno è stato accusato.

I solidali neozelandesi chiedono la tutela delle terre di proprietà collettiva degli indigeni, così come l’indagine esaustiva sulla morte di Vázquez Guzmán e la liberazione di Antonio Estrada Estrada, in carcere a Playas de Catazajá, e Miguel Demeza Jiménez, recluso a El Amate, anch’essi aderenti alla Sesta dell’ejido. http://www.jornada.unam.mx/2013/07/01/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 Los de Abajo

Patishtán, causa mondiale

Gloria Muñoz Ramírez

Oggi nessuno può negare la sua innocenza. Sono state presentate tutte le prove che avallano la sua estraneità all’imboscata in cui morirono sette poliziotti e due risultarono feriti; è stato dimostrato il cumulo di irregolarità nel suo processo. Il suo caso concentra la discriminazione, l’oltraggio e l’autoritarismo della giustizia in Messico, in particolare quando si tratta di indigeni.

Si dice che il professore tzotzil Alberto Patishtán, detenuto da 13 anni a scontare una condanna a 60 anni, in queste settimane sia di fronte all’ultima opportunità di uscire libero. Ma l’ultima opportunità non è per il difensore dei diritti indigeni in Chiapas, ma per il sistema di giustizia messicano, in concreto, del tribunale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, istanza che ha accolto il caso dopo il rifiuto della Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN).

Originario della comunità di El Bosque, municipio di Simojovel, negli Altos del Chiapas, il professore è stato condannato per i reati di criminalità organizzata, omicidio aggravato, porto d’armi di uso esclusivo dell’Esercito e lesioni aggravate. La mancanza di traduttori durante il processo, le bugie dimostrate dei testimone, l’assenza di prove ed un’infinità di irregolarità giuridiche, hanno provocato l’indignazione internazionale. Oramai il suo caso non appartiene più al Messico, ma è una causa mondiale.

E proprio per la sua internazionalizzazione, la Confederazione Generale del Lavoro (CGT), dello Stato spagnolo, ha presentato un amicus curiae alle istanze messicane, nel quale concludono che il professor Patishtán è stato condannato ingiustamente, senza salvaguardia delle minime garanzie e diritti secondo la legislazione internazionale e nazionale, concludendo che in presenza di tutti gli elementi concomitanti non resta che stabilire che Alberto Patishtán è stato condannato senza il dovuto rispetto delle norme di applicazione per il suo caso, in violazione dei suoi diritti umani, e secondo diritto non resta che la revoca della sua condanna e la sua conseguente messa in libertà.

Il riconoscimento di innocenza è il giusto procedimento nel caso Patishtán, e di conseguenza la sua immediata liberazione. Il tribunale collegiale, senza dubbio, ha l’ultima opportunità di dimostrare che i processi servono a qualcosa in questo paese. Alberto Patishtán è innocente ed il suo caso non si vede perché dovrebbe avere una soluzione politica, cioè, l’indulto presidenziale, perché? Di che cosa lo perdonano? Non è, dunque, compito del Potere Esecutivo, bensì del Potere Giudiziale, metterlo in libertà.

http://desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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I CONDISCEPOLI V.

LE/GLI STUDENT@.

Giugno 2013 

A le/gli aderenti alla Sexta in Messico e nel Mondo:

A le/gli studenti della Escuelita Zapatista: 

Compagni, compagne e compagnei: 

Vi mando qui qualche dato per darvi un’idea del tipo di plebe… err, di persone che saranno i vostri condiscepoli, o compagn@ di studio, nella Escuelita Zapatista. Ecco:

– Inviti spediti: circa 3 mila.

– Hanno accettato l’invito: circa 2500.

– Non hanno ancora risposto: circa 500.

– Hanno respinto l’invito: 1.

– Di coloro che hanno compilato il modulo di iscrizione, poco più della metà sono maschi, poco meno della metà sono femmine (cioè, gli uomini vincono – nota del Supmarcos che, come si dice, fornisce una “prospettiva di genere”-), oltre ad un numero imprecisato di altr@ che si rivendicano tali.

– Gli alunn@ che frequenteranno la scuola in comunità nelle date di agosto 2013, sono 1.500. Più della metà sono maschi (ehm, ehm), meno della metà sono femmine e 9 si rivendicano altr@.

Di quest@ 1.500 studenti, più di 60 sono bambini e bambini minori di 12 anni. Di questi oltre 60 bambini, 19 hanno meno di 4 anni. Attenzione al seguente dato: Per ogni bambina, ci sono 2 bambini: Ovvero, anche tra i minorenni vinciamo noi – nuovo commento di “prospettiva di genere” del Supmarcos -.

Degli oltre 1.400 adulti che verranno in comunità, più di 200 hanno più di 50 anni.

– Circa 200 persone, nel mese di agosto 2013, frequenteranno il corso presso il CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

– Più di 200 persone parteciperanno al corso in videoconferenza.

– Più di 130 persone hanno chiesto i materiali perché non possono frequentarlo in comunità.

– Circa 500 persone hanno chiesto l’iscrizione al corso per dicembre-gennaio prossimi. Attenzione: se non vi è arrivato l’invito, è a causa dell’esaurimento dei posti, ma ve lo manderemo. Potete mandare una email alla pagina web affinché siate registrati, se ci è sfuggito, nella lista per il corso successivo.

– Ci saranno studenti dei 5 continenti. Questi, alcuni dei paesi di origine degli studenti al corso La Libertad según l@s Zapatistas: Argentina, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Ecuador, Stati Uniti, Honduras, Nicaragua, Panama, Perù, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Uruguay, Venezuela, Germania, Austria, Belgio, Danimarca, Slovenia, Spagna, Francia, Grecia, Olanda, Italia, Paesi Baschi, Regno Unito, Svezia, Svizzera, Corea del Sud, India, Iran, Sri Lanka, Australia, Nuova Zelanda, Sudafrica, Canarie.

Il luogo d’origine più lontano degli studenti è lo Sri Lanka, ad oltre 17 mila chilometri dal territorio zapatista. Seguono: India (più di 15 mila chilometri); Australia (più di 13 mila chilometri) e Nuova Zelanda (più di 11 mila chilometri).

– Gli studenti più grandi hanno più di 90 anni.

– Gli studenti più piccoli compiranno 11 mesi ad agosto 2013. E sono, of course, 2 maschi. I loro nomi: Brian e Eduardo.

– Tra coloro che parteciperanno come studenti, almeno 34 hanno una laurea in diversi campi: filosofia, sociologia, storia, antropologia, letteratura, scienze politiche, fisica, matematica, psicologia, economia, urbanistica, e teologia.

– Più di 50 studenti sono professori-ricercatori universitari.

– Divers@ studenti hanno vinto tornei di Mortal Kombat alle macchinette. Non diciamo i nomi né “nicknames” per proteggere gli innocenti (cioè i maschi, ed anche qui siamo in maggioranza. Amen).

– Alcune delle istituzioni di Scuola Superiore dove alcuni dei compas, adesso studenti della escuelita zapatista, studiano, hanno studiato, lavorano o sono stati professori-ricercatori:

Escuela Normal Superior.

Universidad Nacional Autónoma de México, Messico.

Facultad Latinoamericana de Ciencias Sociales, Messico.

Escuela Nacional de Antropología e Historia, Messico.

Universidad Nicolaíta de Michoacán, Messico.

Universidad Autónoma de Puebla, Messico.

Universidad de Ciencias y Artes de Chiapas, Messico.

Centro de Estudios de México y Centroamérica, Messico.

Universidad Autónoma Metropolitana, Messico.

Instituto Nacional de Antropología e Historia, Messico.

Universidad Iberoamericana, Messico.

Universidad Autónoma de Chiapas, Messico.

Instituto Tecnológico de Monterrey (TEC-Monterrey), Messico.

Universidad Autónoma de Sonora, Messico.

Universidad de Chapingo, Messico.

Universidad de la Tierra Chiapas, Messico.

Universidad de la Tierra Oaxaca, Messico.

Universidad Autónoma de la Ciudad de México (UACM), Messico.

Universidad Autónoma de Zacatecas (UAZ), Messico.

Universidad Autónoma de Aguascalientes (UAA), Messico.

Instituto Politécnico Nacional (IPN), Messico.

Escuela Superior de Guerra, Messico.

Instituto Maurer, Messico.

University of Cambridge, Inghilterra.

University of Oxford, Inghilterra.

École Nationale de Sciencie Politique, Parigi, Francia.

Università delle Nazioni Unite, dell’UNESCO.

University of California, Berkeley, USA.

Stanford University, Calfornia, USA.

University of Chicago, USA.

University of Maryland, USA.

Columbia University, New York, USA.

Yale University, USA.

National Humanity Center, Carolina del Norte, USA.

Université de Toulouse, Francia.

Universidad Nacional Mayor de San Marcos de Lima, Perù.

State University of New York at Binghamton: Fernand Braudel Centre, USA.

Centro ‘Juan Marinello’ de La Habana, Cuba.

Columbia’s Institute for Scholars at Reid Hal, Parigi. Francia.

Universidad de Antioquia, Colombia.

Claremont Graduate University, California, USA.

City University of New York, USA.

Smith University, USA.

Mount Holyoke College, USA.

University of Massachusetts Amherst, USA.

New Hampshire University, USA.

Humanities Research Institute de la Universidad de California, USA.

Drew University, USA.

Harvard University, USA.

Univerza V Ljubljana, Slovenia.

University of California Riverside, USA.

University of Utah, USA.

Universidad de La Habana, Cuba.

CIMI, Brasilia, Brasile.

University of Edimburgo, Gran Bretagna.

McGill University, Canada.

Duke University, USA.

École des Hautes Études en Sciences Sociales, Parigi, Francia.

University of New Mexico, USA.

Universidade Federal do Río de Janeiro, Brasile.

Université Paris- Sorbonne, Francia.

Universidad del País Vasco, Paesi Baschi.

Universidad de la Laguna, Canarie.

– Alcun@ di quest@ ora studenti della scuola zapatista hanno i loro scritti tradotti in: Tedesco, Catalano, Cinese, Coreano, Spagnolo, Francese, Galiziano, Greco, Inglese, Italiano, Polacco, Portoghese, Rumeno, Russo e Turco.

– Console videogiochi su cui alcuni dei nostri imbattibili compas hanno vidimato la loro supremazia con la combo “mega-super-duper-hiper fatality-machoman” (ecco!, niente angry birds e cose da bambine): Macchinette del bar del quartiere, Atari, Sega, Xbox, GameCube, GameBoy, Xbox360, PSP, PS1, PS2, PS3, PS4, PS5… eh?… non c’è la PS5?… ok, ok, ok, errore di stampa. Proseguo: PSVita. Nintendo 64, Wii, WiiU, Nintendo 3DS.

– Più di 100 studenti sono attori, attrici, direttori, musicisti, promotori, pittori, caricaturisti, fotografi, promotori culturali, scrittori, editori, politici, avvocati, sindacalisti e attivisti sociali.

– In generale, dopo un’attenta analisi con le più pre-moderne squadre di intelligence, riguardo agli studenti vi posso dire che un numero non precisato di persone che frequenteranno la scuola – bisogna vederli per contarli – sono sporche, brutte e cattive.

Indipendentemente dalla loro età, credo, colore, peso, cervello e sesso, si sono comportati per tutta la loro vita con assoluta irresponsabilità di fronte al Potere in ogni sua forma; hanno ricevuto il ripudio dei rispettivi circoli sociali per il loro ostinato anticonformismo; hanno scandalizzato le coscienze belle ed i poliziotti del comportamento; hanno reiterato la loro ribellione e la loro passione per la libertà nonostante le circostanze; ed hanno militato secondo la propria coscienza e non secondo le mode. In sintesi: non si sono venduti, non hanno claudicato, non si sono arresi.

Vi avverto perché poi non vi lamentiate che si parli male di voi perché frequentate “brutte compagnie”.

Ah, vero, l’immensa maggioranza delle persone che parteciperanno come studenti sono uomini, donne, bambini, bambine, anziani, anziane, ragazzi e ragazze, che hanno qualcosa di straordinario di cui noi, zapatisti e zapatiste, ringraziamo: sono nostr@ compas.

E non ho scritto tutte e tutti, perché non manca mai qualche infiltrata o infiltrato che viene a vedere se per caso stiamo facendo addestramento militare, invece di insegnare il nostro cuore. 

Bene. Salute e che sia benvenuto il cuore generoso che ci apre le sue finestre. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, Giugno 2013

P.S. CHE FESTEGGIA. – Festeggiare che, per la prima volta in quasi 20 anni di vita pubblica zapatista, i maschi superano le femmine… eh?… ok, ok, ok, le superiamo solo in quantità… per adesso… Che cosa? Certo che non ho barato! Non sono capace… No, i conti li ha fatti una donna della squadra di appoggio… eh?… No, nella squadra di appoggio le donne non sono in maggioranza… o sì?… Beh, non è questo il tema, il punto o la questione.

Proseguo: per celebrare questo fatto che conferma la superi… eh?… ok, ok, ok… per celebrare che l’equità di genere ci favorisce ai punti, abbiamo istituito il premio “