La Jornada – Mercoledì 20 marzo 2013
Rapporto del Frayba sulle violazioni dei diritti individuali e collettivi. Nel sessennio passato, in Chiapas tortura e militarizzazione
Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 19 marzo. El Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha diffuso il suo rapporto Entre la política sistémica y las alternativas de vida [Informe_Frayba], un accurato resoconto delle violazioni delle garanzie individuali e collettive in Chiapas durante il passato sessennio, quando i governi federale e statale hanno implementato i progetti neoliberisti volti alla sottrazione del territorio ed hanno cercato di frenare i processi autonomistici.
Il Frayba sottolinea la legalità dell’espropriazione rappresentata dal Proyecto de Integración y Desarrollo de Mesoamérica, “serie di progetti infrastrutturali, di ecoarcheoturismo, lotta alla povertà e ‘sviluppo’, volti alla sottrazione del territoriale ed al genocidio, che hanno approfondito la divisione” tra le comunità che si oppongono. Di fronte a ciò, i popoli organizzati difendono il territorio come parte della loro autonomia, struttura simbolica, spirituale e materiale.
Senza grande difficoltà, il Frayba colloca il sistema di giustizia apertamente al servizio dello Stato, come provano la strategia di sicurezza nazionale, la repressione, la criminalizzazione di organizzazioni, avvocati e giornalisti. In Chiapas i detenuti subiscono un sistema carcerario inefficiente e che viola i diritti. Si sottolinea l’insistente uso della tortura come metodo di indagine da parte dei funzionari, dei diversi corpi di polizia e dalle istituzioni di applicazione della giustizia, e si documentano 105 casi di tortura in 18 città durante il governo di Juan Sabines Guerrero.
Il documento è stato presentato da Abel Flores, dell’organizzazione Pueblo Creyente, Marina Pagés e Michael Chamberlin (coordinatori rispettivamente di Sipaz e Inicia), la ricercatrice Mercedes Olivera e Víctor Hugo López, direttore del Frayba.
Il conflitto armato, secondo il rapporto, è stato continuamente contrassegnato dalla contrainsurgencia in una guerra di usura prolungata che il governo, con la sua doppia faccia e azione mediatica, ha implementato per distruggere i processi di resistenza, in particolare quelli delle Giunte di Buon Governo (JBG) e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN).
Nei governi di Felipe Calderón e Sabines, in nome della sicurezza sono stati usati strumenti di terrore e controllo attraverso la militarizzazione, la tortura come metodo di indagine, le sparizioni, gli omicidi. La lotta alla criminalità organizzata continua ad essere il pretesto perfetto. In questo senso, i mezzi di comunicazione al servizio dello Stato rappresentano i diritti umani come un ostacolo per la sicurezza nazionale.
Le prigioni in Chiapas confermano la routinaria violazione dei diritti nel sistema penitenziario. La maggioranza degli internati sono poveri, indigeni o immigrati, in situazione vulnerabile. La criminalizzazione della protesta, la persecuzione dei leader sociali e degli avvocati parlano di uno Stato repressore che cambia i discorsi ma non i metodi, il cui presunto rispetto delle comunità autonome e delle JBG è falso e vuoto di contenuto.
Nel sessennio che si è chiuso, la forbice tra i diritti riconosciuti dei popoli indigeni e l’esercizio di questi si è sempre più allargata. La sottrazione legale di territorio è proseguita attraverso progetti che contemplano elementi di sicurezza nazionale e protezione degli investimenti di imprese legate ai governi che hanno interessi in questi territori colmi di ricchezze naturali. Il modello economico neoliberale ha maggiore impatto sulle comunità indigene, poiché le imprese stanno occupando i loro territori per entrarne in possesso.
Ciò nonostante, le comunità in resistenza continuano nella difesa dei territorio e delle terre come indicato negli Accordi di San Andrés, a 17 anni dalla loro mancata applicazione.
Tra il 2006 ed il 2012 il conflitto armato in Chiapas è stato caratterizzato dalla continua presenza militare nelle comunità, soprattutto nella zona di influenza dell’EZLN. La strategia contrainsurgente è stata indirizzata all’applicazione di progetti sociali insieme alle agenzie delle Nazioni Unite, nel contesto degli Objetivos de Desarrollo del Milenio.
Infine, il rapporto sostiene che la memoria, nel contesto sociale e comunitario, è una risorsa ancestrale di riconoscimento dei popoli. La ricercatrice Mercedes Olivera ha sottolineato il ruolo delle donne nella lotta contro l’oblio, perché sono loro le costruttrici della memoria.
Rispondi