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DSC00733 EJIDO SAN JERONIMO BACHAJON, ADERENTE ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA CHIAPAS; MESSICO 14 LUGLIO 2014

 

 

 

ALL’OPINIONE PUBBLICA

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE NAZIONALI ED INTERNAZIONALI

AI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI

ALLE ORGANIZZAZIONI NON GOVERNATIVE

AGLI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

AI COMPAGNI DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ALLA COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

ALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO

AI POPOLI ED ALLE ORGANIZZAZIONI CHE LOTTANO

 

PER LA GIUSTIZIA E LA DIGNITÀ

SALUTIAMO TUTTI I COMPAGNI E COMPAGNE DELLE DIVERSE ORGANIZZAZIONI E POPOLI CHE LOTTANO ADERENTI ALLA SEXTA DELL’EZLN; UN ABBRACCIO DA PARTE DEGLI ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA DELL’EJIDO SAN JERONIMO BACHAJON, CHIAPAS. IL MESSICO ED IL MONDO, COME VOI, LOTTANO PER AUTONOMIA, GIUSTIZIA E DIGNITÀ, NOI LOTTIAMO DA 7 ANNI CONTRO LA DEPREDAZIONE DEL MALGOVERNO ED IL SUO PROGETTO DELLA SUPERSTRADA SAN CRISTOBAL-PALENQUE CHE COLPISCE IL NOSTRO EJIDO E NON È A BENEFICIO DELLA SOCIETÀ.

nello stesso tempo denunciamo pubblicamente il Presidente Del COMmissariato, Manuel JIMÉNEZ GÓMEZ, IL ConsigliERE Di Vigilanza, Pedro JIMÉNEZ GÓMEZ, IL Segretario, Mariano ESPINOZA GUZMÁN, IL Tesoriere, Manuel GUTIÉRREZ GUZMÁN Ed Il Segretario Del Consiglio Di Vigilanza, Manuel HERNÁNDEZ MORENO (Alias DioS NeGRO), Che IL 12, 13, E 14 Giugno SCORSI IN UN’Assemblea Generale DEi I 3 Centri Di Jet JA, Guadalupe PAXILA E Centro BACHAJON, HANNO DICHIARATO Di VOLER PRIVARE DEL DIRITTO EJIDATARIO Il Nostro Compagno JERONIMO GOMEZ MENDEZ, Originario Di JOL TANCHIBIL YOC Campo, Municipio Di CHILON CHIAPAS, suppostamente SU CONSENSO DEGLI EJIDATARIOS Di Cancellare il Suo Diritto Agrario Senza Che SIANO STATE SVOLTE INDAGINI, PERCHÉ SECONDO Le Autorità il Nostro Compagno NON RISPETTAva I Requisiti Di EJIDATARIO E non Pagava L’Imposta Prediale Da 20 Anni E LO ACCUSAvaNO FALSAMENTE DI AVER SPARATO CONTRO LA Scuola Di Quella Stessa Comunità, MENTRE IN REALTÀ QUESTO COMPAGNO RISPETTA I REQUISITI DI ESSERE EJIDATARIO E PAGA LE IMPOSTE PREDIALI. STANNO SPOGLIANDO IL COMPAGNO DEL SUO TERRENO DOVE HANNO COSTRUITO 7 LATRINE PROMOSSE DAL GOVERNO FEDERALE, STATALE E MUNICIPALE. COME ORGANIZZAZIONE AVEVAMO CHIESTO LA SOSPENSIONE DELLA COSTRUZIONE DI QUEST’OPERA FACENDO RICORSO AL PRESIDENTE MUNICIPALE, AL DELEGATO DI GOVERNO ED ALLE OPERE PUBBLICHE AFFINCHE’ PRENDESSERO POSIZIONE AL RIGUARDO E NON RICEVENDO RISPOSTA LE AUTORITA’ AUTONOME HANNO CITATO PER BEN 3 VOLTE IL RESPONSABILE DEI LAVORI, MA SENZA ALCUNA RISPOSTA PERCHÉ QUELLI DEL GOVERNO VOGLIONO CREARE DIVISIONI TRA LE COMUNITÀ, FARCI LITIGARE, AMMAZZARCI TRA NOI, TRA NOI STESSI INDIGENI, TRA FRATELLI.

 

PER QUESTA RAGIONE IL VILLAGGIO HA CONCORDATO DI PROCEDERE COLLETTIVAMENTE ALLA PULIZIA DEL TERRENO RIMUOVENDO SEI LATRINE. A LAVORO FINITO STAVAMO TORNATO A CASA QUANDO A 500 METRI DAL VILLAGGIO SIAMO STATI AGGREDITI DA 7 PERSONE ARMATE DI PISTOLE E MACHETE CHE HANNO SPARATO IN ARIA A FIANCO DELLA Scuola PrimariA Bilingue “Pablo GALEANA”. I NOMI DI QUESTE PERSONE SONO: DOMIGO GOMEZ MENDEZ 1º, MARIO MENDEZ GUTIERREZ, MIGUEL GOMEZ GUTIERREZ, ANSELMO GOMEZ GUTIERREZ, NICOLAS GOMEZ GUTIERREZ, ARMANDO GOMEZ GUTIERREZ, E DOMINGO GOMEZ MENDEZ 2º. LO Stesso Giorno E’ ARRIVATO SUL POSTO A FABBRICARE I REATI IL DOTT. Manuel MORENO JIMÉNEZ, TESSERA Professionale Numero 5631499, Originario DELLA Comunità Di SACUN CUBWITZ, Municipio Di CHILON, CHIAPAS, CHE ATTUALMENTE VIVE A YAJALON, CHIAPAS. E’ ARRIVATO PERSONALMENTE PER PORTARE Un Documento Falso DI ACCUSA CONTRO IL Nostro Compagno JERONIMO GOMEZ MENDEZ, MENTRE SONO STATE QUELLE PERSONE CITATE SOPRA A SPARARE CON ARMI DA FUOCO. PER QUESTO CHIEDIAMO ALLE AUTORITÀ COMPETENTI DI NON VIOLARE LE GARANZIE INDIVIDUALI ED I DIRITTI UMANI DI NOI INDIGENI.

DISTINTAMENTE

GIUSTIZIA TERRA E LIBERTA’

ADERENTI ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELL’EJIDO SAN JERONIMO BACHAJON

ZAPATA VIVE, LA LUCHA SIGUE

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

Luglio 2014.

Alle compagne e ai compagni della Sexta del Messico e del Mondo:

A tutti quelli che hanno collaborato alla ricostruzione della clinica e della scuola de La Realidad:

Compagni:

Riceviate i nostri saluti come zapatisti che siamo.

Vogliamo farvi sapere come stiamo andando con la raccolta fondi per la costruzione della scuola e della clinica distrutte dai paramilitari ne La Realidad zapatista.

Fino a oggi, 3 luglio, a quasi un mese da quando abbiamo annunciato la ricerca di appoggio alla ricostruzione, abbiamo raccolto un totale di:

Collettivi: dai vari collettivi un totale di 344,612.50 pesos.

Individui: da vari individui un totale di 20,724.00 pesos.

Qui si vede chiaramente che, come sappiamo bene, è meglio in collettivo perché viene di più, viene meglio ed è più gioioso. In totale sono $ 365,336.50 (trecentosessantacinquemilatrecentotrentasei pesos e 50 centesimi).

Questo è il resoconto del conto totale del lavoro di ricerca dei soldi per le costruzioni, secondo il preventivo pianificato dalle compagne e dai compagni zapatisti del villaggio di La Realidad.

Si è riusciti a trovare più di quanto si fosse preventivato, perché avevamo detto $ 200,209.00 e si sono raccolti $ 365,336.50. Fate il conto e saprete la quantità che si è ottenuta in più. La useremo per le attrezzature e le medicine.

Perciò vogliamo ringraziare tutti voi per lo sforzo che avete fatto. Sappiamo bene che vi siete organizzati e che avete svolto eventi per raccogliere i soldi, avete fatto pure i vostri bei tacos e le serate danzanti, i concerti e la vendita di oggetti.

A tutte e tutti, a chi ha organizzato gli eventi e a chi ha partecipato, porgiamo molte grazie per l’appoggio. Ora le compagne e i compagni base d’appoggio sono alla ricerca di mastri carpentieri, che costruiranno o completeranno la costruzione, per vedere quali e quanti materiali si compreranno.

Vedo che già iniziano i movimenti per la costruzione.

Di per sé sono tempi di movimenti. Mi dicono che stanno già lavorando duro sul luogo dove si terranno i lavori con le compagne e i compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

E ci sono già alcune notizie su come si sta lavorando per l’appoggio agli spostamenti e il ritorno delle compagne e dei compagni del CNI per l’iniziativa condivisa.

Ci siamo fatti le domande: quante tornate di condivisione faremo con le compagne e i compagni del CNI? E come li appoggeremo nei loro spostamenti? Questo ci siamo chiesti, e vedo solo che le compagne e i compagni si grattano la testa e dal tanto pensare gli cadono i capelli a ciocche. Ma sappiamo che ognuno di voi appoggerà il CNI nella propria realtà perché possano arrivare fino a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, nel CIDECI. E da lì, i compagni autistologi zapatisti si incaricheranno dei trasporti fin qui a La Realidad, e su come fare questo ce la vediamo noi.

Bene compagne e compagni della Sexta, grattatevi la testa anche voi e occhio che non vi cadano i capelli, ma soprattutto mandateci le vostre idee su come si possano appoggiare le compagne e i compagni del Congresso Nazionale Indigeno per l’iniziativa condivisa che faremo con le compagne e i compagni basi d’appoggio dell’EZLN, che dal 4 all’8 agosto partirà con il primo turno.

Perciò chiederemo ai compagni che lavorano alla pagina internet di Enlace Zapatista che mettano una sezione speciale che sia qualcosa tipo “condivisione per appoggiare la condivisione del CNI”. E che lì mandiate le vostre idee e i lavori che state facendo o farete perché i popoli del CNI che sono invitati possano arrivare a questo primo giro. E poiché ricorderemo e terremo alta la memoria del nostro compagno del CNI, DAVID RUIZ GARCÍA, questa prima condivisione porterà il suo nome.

E così le une e gli altri si faranno un’idea di come fare, perché rimane ormai poco tempo. E serve che in questa occasione si veda chiaro chi si sta facendo orecchie da mercante, perché ricordiamo che alcuni dicevano che non appoggiavano i popoli zapatisti perché non gli stava bene la buonanima SupMarcos, e ora che ormai lui è defunto si vede che il motivo non era quello, ma che era ed è che non gli piace che la gente, i popoli, si comandino da soli e vogliono che obbediscano a loro. E gli danno ordine di votare per una squadra di calcio o un partito politico, che è la stessa cosa essendo ugualmente prezzolati. E dunque vediamo chiaro che il razzismo è anche nella gente che ha studiato. Ossia, il razzismo è nel cuore, anche se la testa è molto studiata.

Ah, un’altra cosa: ricordate, compagni e compagne dei mezzi d’informazione liberi, alternativi, autonomi o come vi chiamate, che siete invitati per quando finisce la condivisione, il giorno sabato 9 agosto 2014, per portare lontano la parola dei popoli originari che parteciperanno. E magari allora sì possiamo fare la conferenza stampa o come si chiama che è rimasta in sospeso dalla volta scorsa. Sono invitati anche tutti gli altri della Sexta.

E’ tutto ciò di cui vi volevamo informare, compagne e compagni.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, Luglio 2014. Nell’anno 20 dall’inizio della guerra contro l’oblio.

Traduzione a cura di Associazione Ya Basta! Milano

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RealidadZapatisti denunciano aggressioni da parte della Cioac-H per un conflitto di terre

Sono gli stessi che hanno ucciso Galeano, dicono

Hermann Bellinghausen

Simpatizzanti zapatisti del villaggio di Primero de Agosto, nella regione tojolabal di Las Margaritas, Chiapas, hanno denunciato aggressioni e spoliazione da parte dei membri della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (Cioac-H) e della Alianza de Organizaciones Sociales y Sindicatos de Izquierda (ASSI). Tra gli aggressori, identificati dagli indigeni ci sono i leader della centrale che hanno partecipato all’attacco contro le basi zapatiste a La Realidad il 2 maggio scorso, quando Galeano è stato assassinato e la scuola autonoma e la clinica sono state distrutte.

Le aggressioni più gravi sono iniziate una settimana dopo gli eventi a La Realidad, ad una ventina di chilometri da Primero de Agosto, quando “è stato gravemente ferito con un colpo di machete sul collo un nostro compagno all’interno del villaggio” affermano gli indigeni. “Carmelino Pérez López, della ASSI, ha affermato che hanno intenzione di uccidere quattro compagni”, aggiungono.

Il gruppo aggredito è costituito da figli di proprietari dell’ejido Miguel Hidalgo, che nel 2011 aveva chiesto la terra. “Sapevamo che c’era un lotto incolto di 73 ettari, recuperato dall’EZLN”. Avevano partecipato a dialoghi tra dicembre 2011 e marzo 2013 con i proprietari dell’ejido, “ma ci hanno attaccato verbalmente, umiliato e cacciati via. Temevamo che ci avrebbero ucciso”. Hanno poi occupato la terra il 1° agosto 2013. “Ora la stiamo coltivando, siamo i guardiani di questa terra”, aggiungono. Sebbene Miguel Hidalgo sia entrato nel 2011 nel Fondo Governativo per il Sostegno dei Nuclei Agrari non Regolarizzati (Fanar), è rimasto fuori da queste terre.

Le aggressioni hanno dei precedenti. Il 14 agosto 2013, Bernardo Román Méndez, della Cioac-H, era entrato a Primero de Agosto “puntando un fucile contro quattro compagni. E noi gli abbiamo detto di andarsene”. Lo stesso giorno, Domingo Méndez Méndez, anche lui della Centrale, “tentò di uccidere sei dei nostri compagni sparando dei colpi”.

I querelanti riferiscono di essersi rivolti alla Giunta di Buon Governo della Realidad, che aveva quindi emesso due avvisi di comparizione (il 9 dicembre e il 20 gennaio), alle autorità di Miguel Hidalgo per risolvere il problema agrario, ma “hanno ignorato la citazione, aumentando la tensione. L’’8 maggio, uomini, donne e bambini della ASSI sono entrati nel villaggio con bastoni e machete per piantare mais nei nostri campi; con modi aggressivi hanno rimosso le recinzioni”.

Il 9 maggio, raccontano, Aureliano Méndez Jiménez, il commissario ejidale Reynaldo López Pérez, Antonio Méndez Pérez, Adolfo Pérez López ed altri membri della ASSI “hanno tagliato le recinzioni, e di nuovo armati di bastoni, machete e lanciasassi”. Méndez Jiménez ha ferito gravemente al collo con un machete Arturo Pérez López, di 24 anni. Altri quattro sono stati presi a bastonate. Nel pomeriggio il commissario ejidale ha picchiato una donna incinta, “dicendole che ci avrebbero ucciso tutti”, e Javier López Pérez, anche lui della ASSI, ha picchiato e derubato tre ragazzi.

Il 23 maggio membri della ASSI e Cioac-H “sono passati nel villaggio provocandoci con i machete”, hanno distrutto un’insegna e proferito minacce. Il 10 giugno le autorità di Miguel Hidalgo (della ASSI) accompagnate da Bernardo Román Méndez, Domingo ed Enrique Méndez Méndez, della Cioac-H, sono entrati nel villaggio armati di machete”.

L’11 giugno, il ferito è stato portato dal Pubblico Ministero di Las Margaritas che ha registrato il caso “come lesioni, mentre si vedeva chiaramente la gravità delle sue condizioni e che volevano ammazzarlo; non avevamo denunciato prima perché avevamo paura di ritorsioni” ed il ferito “non riusciva a parlare”, spiegano. Il 16 giugno lo ha visitato un medico di San Cristóbal, perché ha il braccio sinistro immobilizzato. “Siamo stati all’ospedale di Comitán con tutte le carte; tuttavia chiedono la cartella clinica e l’ospedale di Guadalupe Tepeyac ce l’ha negata”. I querelanti chiedono “che il governo agisca in maniera imparziale, rispettando il nostro diritto di possesso”. http://www.jornada.unam.mx/2014/07/01/politica/017n1pol

La Jornada 1 luglio 2014

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Marcos desaparecido

uno-ezlnA distanza di un mese dall’annuncio della propria scomparsa, Marcos è più che mai presente nelle lotte chiapaneche e messicane.

di Raúl Zibechi 27 / 6 / 2014

Marcos ha annunciato la sua pubblica scomparsa, occupava un posto troppo grande, tale da oscurare a volte, la tenace militanza di migliaia di zappatisti capace, questa, di far vivere giorno dopo giorno il percorso di liberazione partito dalla Selva Lacandona.

Marcos ritorna nell’ombra della foresta dove ha lavorato, prima di apparire, per oltre 10 anni. Marcos sicuramente ha letto Manuel Scorza e ha apprezzato la metafora letteraria di Garabombo, l’indio inca che compare là dove la lotta si esprime e da lì ha potuto trarre ispirazione, sottraendosi alla petulante curiosità del sistema di comunicazione, anche di quella ‘sinistra’ che senza una icona delle lotte, presto tralascia le lotte degli zapatisti.

Quello che segue è un testo di Ràul Zibecchi scritto per l’editorial argentino ‘La vaca’, pubblicato da ‘comune-info’.

Il subcomandante insurgente Marcos è stato una creazione delle comunità zapatiste, le stesse che hanno creato l’Ejército Zapatista de Liberación Nacional (Ezln), gli oltre trenta municipi autonomi e i cinque Caracoles dove funzionano le giunte del Buen Gobierno. Anche la recente “morte” del personaggio Marcos è una decisione collettiva del movimento autonomo che, in questo modo, passa a una tappa differente del suo lungo cammino.

Tutto questo è una ovvietà necessaria, perché i media commerciali hanno capovolto la realtà, come sono soliti fare per gli avvenimenti di cui si occupano: Marcos sarebbe, a loro avviso, il creatore dello zapatismo e non il prodotto del movimento. La cultura occidentale non può concepire l’esistenza di soggetti collettivi, meno ancora se indigeni, e attribuisce un ruolo quasi soprannaturale ai dirigenti, soprattutto se non sono indigeni, sebbene essi si affannino a chiarire che sono solo dei portavoce di un ampio insieme di volontà. La cultura politica egemonica non crede che la gente comune sia capace di fare altro che andare a votare ogni quattro o cinque anni, limitandosi ad agire come consumatori per il resto della propria vita.

In questi venti anni le comunità sono state capaci di creare un’impressionante rete di poteri autonomi nelle terre recuperate ai proprietari terrieri (i quali, a loro volta, le avevano rubate ai contadini e agli indigeni spingendoli a sopravvivere con difficoltà nelle terre peggiori). Si calcola che siano stati recuperati più o meno mezzo milione di ettari nei quali le famiglie organizzate in comunità hanno stabilito le loro colture, familiari e collettive, le scuole, i centri di salute, le cooperative di produzione di donne e diverse imprese nelle aree di agricoltura familiare, salute, educazione, cultura, sport e abitazioni.

Qualcosa di simile hanno fatto, a scala municipale e regionale, con la formazione di una vasta trama di creazioni autonome la cui manifestazione più visibile sono i Caracoles, complessi di costruzioni che includono ospedali, centri di educazione secondaria, laboratori di produzione artigianale e di lavorazione della produzione agricola e del bestiame, e sedi dei diversi livelli del poter autonomo, in particolare le Giunte del Buon Governo che amministrano tutta una regione della quale fanno parte diversi municipi e centinaia di comunità. In ogni Caracol ci sono di solito una radio comunitaria, servizi di Internet, alimentazione e trasporti per la regione, e poi c’è l’infrastruttura sufficiente a ospitare le basi d’appoggio, compresi negozi collettivi che vendono i prodotti che non sono fatti dalle comunità.

L’autonomia zapatista è stata costruita dal basso in alto e il suo nucleo forte sono le comunità. È un’autonomia completa, integrale, perché le comunità sono autosufficienti e non dipendono dal mondo del capitale. Dall’alimentazione all’amministrazione della giustizia, tutto si risolve nella trama autonoma creata dallo zapatismo.

Che senso ha la “morte” del subcomandante Marcos? Nell’immediato, è una risposta al vile omicidio del maestro José Luis Solís López, “Galeano” nell’organizzazione zapatista, che il 2 maggio alla Realidad è stato assassinato in un’imboscata compiuta contro decine di zapatisti da membri dell’organizzazione contadina filo-governativa Cioac-h (Centrale indipendente di operai agricoli e contadini-storica). Il maestro Galeano, che era stato Votán (guida) nella scuoletta zapatista, è stato ucciso in modo crudele e vigliacco: gli hanno sparato tre colpi, lo hanno fatto a pezzi col machete e hanno trascinato il suo corpo.

La Coiac-h è una delle tante organizzazioni nate alcuni decenni fa nel campo popolare e poi cooptate dalle “politiche sociali” dello Stato comprando i dirigenti con i fondi pubblici e la base con l’alcol e piccole donazioni, dal cibo ai materiali per costruire le case. Nel quadro della politica controinsurgente della guerra asimmetrica, le forze armate utilizzano queste organizzazioni per dare fastidio agli zapatisti, distruggere quel che costruiscono e promuovere lo scontro dei poveri contro altri poveri, in modo che il conflitto si possa spacciare per una lotta tra comunità dove l’esercito è costretto a intervenire per “pacificare”. Alla Realidad, membri del Cioac-h hanno tagliato la somministrazione dell’acqua alla popolazione che simpatizza con l’Ezln e hanno rubato un veicolo di trasporto.

La “morte” di Marcos, che rinasce come subcomandante insurgente Galeano, è un omaggio al compagno assassinato, un modo di “dissotterrarlo” per mantenere viva la sua lotta. L’Ezln ha considerato l’attacco parte di un piano che vuole distruggere il Caracol de La Realidad, il luogo più simbolico dello zapatismo.

La seconda ragione di quella decisione, legata al ricambio del portavoce dell’Ezln che diventa il subcomandante insurgente Moisés, viene spiegata nell’ultimo comunicato di Marcos del 25 maggio. Nel testo si spiega che nei venti anni trascorsi dall’apparizione pubblica dello zapatismo, “c’è stato un ricambio molteplice e complesso nell’Ezln”.

Il comunicato, letto davanti a migliaia di persone alla Realidad, sottolinea i diversi cambiamenti: il più visibile è quello generazionale, dal momento che “adesso stanno facendo la lotta e dirigendo la resistenza coloro che erano piccoli o non erano ancor nati all’inizio della sollevazione”. Poi il comunicato chiarisce che “alcuni studiosi non si sono accorti di altri avvicendamenti” importanti quanto quello che si riassume nel fatto che la metà degli zapatisti ha meno di venti anni.

Più avanti Marcos indica gli altri avvicendamenti: “Quello di classe: dalla classe media istruita degli inizi al contadino indigeno. Quello delle origini: dalla direzione meticcia alla direzione nettamente indigena. E il più importante: il cambiamento di pensiero: dall’avanguardia rivoluzionaria al comandare obbedendo; dalla presa del Potere in Alto alla creazione del potere in basso: dalla politica come professione alla vita quotidiana: dai leader ai popoli; dall’emarginazione di genere alla partecipazione diretta delle donne; dalla derisione dell’altro alla celebrazione della differenza”.

Tutti questi cambiamenti li abbiamo potuti verificare direttamente, senza la presenza di Marcos, senza i discorsi, ma condividendo la vita quotidiana e il lavoro, con quelli che hanno partecipato alla scuoletta “La libertà secondo l@s zapatist@s”. Come segnala lo stesso Marcos, chi continua a rimanere aggrappato a una concezione avanguardista, focalizzata sui caudillos e i leader, non può credere “che adesso un indigeno sia il portavoce e il capo”.

Con questa decisione l’Ezln approfondisce i suoi tratti d’identità, si fa più indigeno, più in basso, a immagine e somiglianza dei popoli che lo hanno formato e lo sostengono. Si apre un tempo nuovo, nel quale coloro che continueranno a simpatizzare con il movimento, quelli che terranno viva la propria solidarietà, non avranno più una icona meticcia come riferimento ma indigeni che non parlano “correttamente” il castigliano, né si esprimono con i modi degli accademici e dei politici.

Questa nuova tappa metterà alla prova i mezzi di comunicazione e le diverse sinistre, tanto quelle del nord come quelle del sud, come anche quelle più radicali. “Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che pretende di essere rivoluzionaria”, ha detto il subcomandante Marcos nella notte del suo addio.

http://www.globalproject.info/it/mondi/marcos-desparecido/17434

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Radio Zapatista: La morte del SupMarcos. Un colpo alla superbia rivoluzionaria

 L’addio illuminante del Subcomandante Marcos

di Raúl Zibechi

 

 

Il comunicato di addio del subcomandante insurgente Marcos, letto all’alba del 25 maggio nel caracol della Realidad davanti a migliaia di basi di appoggio e di sostenitori di tutto il mondo, che annunciava la sua morte e reincarnazione (desentierro nelle parole dell’EZLN) è uno dei testi più solidi e potenti emessi in venti anni dalla sua apparizione pubblica il 1° gennaio del 1994.

L’assassinio del maestro Galeano, avvenuto il 2 maggio alla Ralidad per mano di membri della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H), un’organizzazione divenuta gruppo paramilitare per opera e grazie alle politiche sociali contrainsurgentes che comprano persone ed intere collettività, ha fatto precipitare il processo di cambiamento in corso da tempo. La massiccia marcia silenziosa delle 40.000 basi di appoggio zapatiste il 21 dicembre 2012 nelle principali città del Chiapas, e la successiva escuelita ‘La Libertad según l@s zapatistas’, sono stati alcuni degli assi di questo cambiamento che abbiamo potuto apprezzare.

La terza parte del comunicato del 25 maggio, intitolato L’Avvicendamento, descrive molto brevemente quattro cambiamenti interni avvenuti in questi due decenni. Il primo è generazionale, il più visibile dato che la metà degli zapatisti ha meno di 20 anni ed “erano piccoli o non erano nati al momento dell’insurrezione”.

Il secondo è di classe: “Dall’originale classe media istruita, all’indigeno contadino”. Ed il terzo è di razza: “Dalla dirigenza meticcia alla dirigenza nettamente indigena”. Questi due aspetti si manifestano da tempo con la costante e crescente apparizione dei comandanti e delle comandanti nelle diverse apparizioni pubbliche dell’EZLN. Ma la comparsa del subcomandante inurgente Moisés, con lo stesso grado militare di Marcos, ha segnato senza dubbio un punto di svolta che ora si completa con Moisés come portavoce del movimento.

Il comunicato di addio di Marcos rivela che il più importante dei cambiamenti è stato quello di pensiero: “Dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare ubbidendo; dalla presa del Potere dell’Alto alla creazione del potere del basso; dalla politica professionista alla politica quotidiana; dai leader, ai popoli”.

Infine, sottolinea la questione di genere, poiché le donne sono passate dall’emarginazione alla partecipazione diretta, e l’insieme del movimento è passato “dal rifiuto dell’altro, alla celebrazione della differenza”.

Come si può vedere, l’anti-avanguardismo va di pari passo all’insieme dei cambiamenti che si possono riassumere così: le basi del movimento comandano e la comandancia ubbidisce. Non ci sono più dubbi su chi siano i soggetti. In qualche modo, da fuori questi avvicendamenti diventano visibili nel ruolo preponderante che ora gioca Moisés, la cui figura già risaltava nei suoi comunicati sulla escuelita, ma ora acquisisce tutta la sua rilevanza.

In questo modo – in una congiuntura complessa nella quale il governo nazionale messicano e quello dello Stato del Chiapas lanciano una forte offensiva contro i caracol e l’insieme dello zapatismo, nella cornice del recupero di potere da parte dello Stato di fronte ai gruppi di autodifesa di Michoacán ed alla Polizia Comunitaria di Guerrero – l’EZLN completo la svolta plebea, di lungo respiro, di enorme profondità strategica, che mostra ciò di cui sono capaci quelli che stanno in basso.

Scompare la figura mediatica di Marcos, simpatica alle classi medie ed ai mezzi di comunicazione di massa, la personalità in grado di dialogare con intellettuali di tutto il mondo e di farlo da pari a pari, sostituita da indigeni e contadini, gente comune e ribelle. È una sfida politica ed etica di enorme portata che mette con le spalle al muro gli analisti, le vecchie sinistre e gli accademici. D’ora in poi non ci saranno interlocutori colti, ma indigeni e contadini.

“Personalmente – scrive Marcos – non capisco perché gente pensante che afferma che la storia la fanno i popoli si spaventa tanto di fronte all’esistenza di un governo del popolo dove non ci sono gli ‘specialisti’ nel governare”. La risposta la fornisce lui stesso: “Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che si pretende rivoluzionaria”.

Molto forte. Molto azzeccato e molto necessario. Lo zapatismo non dialoga coi politici del sistema, né con quelli di destra né con quelli di sinistra. Si rivolge a chi vuole cambiare il mondo, a chi aspira a costruire un mondo nuovo e, pertanto, decide di non percorre la strada delle istituzioni ma lavorare in basso, con chi sta in basso. E trova che una delle maggiori difficoltà incontrate è la superbia, l’individualismo che definisce come perfettamente compatibili con l’avanguardismo.

Con questo passaggio lo zapatismo colloca l’asticella molto alta, così in alto come non aveva mai fatto nessuna forza politica. Infine, l’individualismo e l’avanguardismo sono due espressioni centrali della cultura occidentale; modi di fare imparentati con il colonialismo ed il patriarcato, dai quali ci costa tanto staccarci nella vita quotidiana e nella politica.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Radio Zapatista: La morte del SupMarcos. Un colpo alla superbia rivoluzionaria

 L’addio illuminante del Subcomandante Marcos

di Raúl Zibechi

Il comunicato di addio del subcomandante insurgente Marcos, letto all’alba del 25 maggio nel caracol della Realidad davanti a migliaia di basi di appoggio e di sostenitori di tutto il mondo, che annunciava la sua morte e reincarnazione (desentierro nelle parole dell’EZLN) è uno dei testi più solidi e potenti emessi in venti anni dalla sua apparizione pubblica il 1° gennaio del 1994.

L’assassinio del maestro Galeano, avvenuto il 2 maggio alla Ralidad per mano di membri della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H), un’organizzazione divenuta gruppo paramilitare per opera e grazie alle politiche sociali contrainsurgentes che comprano persone ed intere collettività, ha fatto precipitare il processo di cambiamento in corso da tempo. La massiccia marcia silenziosa delle 40.000 basi di appoggio zapatiste il 21 dicembre 2012 nelle principali città del Chiapas, e la successiva escuelita ‘La Libertad según l@s zapatistas’, sono stati alcuni degli assi di questo cambiamento che abbiamo potuto apprezzare.

La terza parte del comunicato del 25 maggio, intitolato L’Avvicendamento, descrive molto brevemente quattro cambiamenti interni avvenuti in questi due decenni. Il primo è generazionale, il più visibile dato che la metà degli zapatisti ha meno di 20 anni ed “erano piccoli o non erano nati al momento dell’insurrezione”.

Il secondo è di classe: “Dall’originale classe media istruita, all’indigeno contadino”. Ed il terzo è di razza: “Dalla dirigenza meticcia alla dirigenza nettamente indigena”. Questi due aspetti si manifestano da tempo con la costante e crescente apparizione dei comandanti e delle comandanti nelle diverse apparizioni pubbliche dell’EZLN. Ma la comparsa del subcomandante inurgente Moisés, con lo stesso grado militare di Marcos, ha segnato senza dubbio un punto di svolta che ora si completa con Moisés come portavoce del movimento.

Il comunicato di addio di Marcos rivela che il più importante dei cambiamenti è stato quello di pensiero: “Dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare ubbidendo; dalla presa del Potere dell’Alto alla creazione del potere del basso; dalla politica professionista alla politica quotidiana; dai leader, ai popoli”.

Infine, sottolinea la questione di genere, poiché le donne sono passate dall’emarginazione alla partecipazione diretta, e l’insieme del movimento è passato “dal rifiuto dell’altro, alla celebrazione della differenza”.

Come si può vedere, l’anti-avanguardismo va di pari passo all’insieme dei cambiamenti che si possono riassumere così: le basi del movimento comandano e la comandancia ubbidisce. Non ci sono più dubbi su chi siano i soggetti. In qualche modo, da fuori questi avvicendamenti diventano visibili nel ruolo preponderante che ora gioca Moisés, la cui figura già risaltava nei suoi comunicati sulla escuelita, ma ora acquisisce tutta la sua rilevanza.

In questo modo – in una congiuntura complessa nella quale il governo nazionale messicano e quello dello Stato del Chiapas lanciano una forte offensiva contro i caracol e l’insieme dello zapatismo, nella cornice del recupero di potere da parte dello Stato di fronte ai gruppi di autodifesa di Michoacán ed alla Polizia Comunitaria di Guerrero – l’EZLN completo la svolta plebea, di lungo respiro, di enorme profondità strategica, che mostra ciò di cui sono capaci quelli che stanno in basso.

Scompare la figura mediatica di Marcos, simpatica alle classi medie ed ai mezzi di comunicazione di massa, la personalità in grado di dialogare con intellettuali di tutto il mondo e di farlo da pari a pari, sostituita da indigeni e contadini, gente comune e ribelle. È una sfida politica ed etica di enorme portata che mette con le spalle al muro gli analisti, le vecchie sinistre e gli accademici. D’ora in poi non ci saranno interlocutori colti, ma indigeni e contadini.

“Personalmente – scrive Marcos – non capisco perché gente pensante che afferma che la storia la fanno i popoli si spaventa tanto di fronte all’esistenza di un governo del popolo dove non ci sono gli ‘specialisti’ nel governare”. La risposta la fornisce lui stesso: “Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che si pretende rivoluzionaria”.

Molto forte. Molto azzeccato e molto necessario. Lo zapatismo non dialoga coi politici del sistema, né con quelli di destra né con quelli di sinistra. Si rivolge a chi vuole cambiare il mondo, a chi aspira a costruire un mondo nuovo e, pertanto, decide di non percorre la strada delle istituzioni ma lavorare in basso, con chi sta in basso. E trova che una delle maggiori difficoltà incontrate è la superbia, l’individualismo che definisce come perfettamente compatibili con l’avanguardismo.

Con questo passaggio lo zapatismo colloca l’asticella molto alta, così in alto come non aveva mai fatto nessuna forza politica. Infine, l’individualismo e l’avanguardismo sono due espressioni centrali della cultura occidentale; modi di fare imparentati con il colonialismo ed il patriarcato, dai quali ci costa tanto staccarci nella vita quotidiana e nella politica.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La breccia, Galeano e la degna rabbia

Carlos Fazio

Dall’insurrezione contadino-indigena dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nel 1994, la Segreteria della Difesa Nazionale (SEDENA) ed il suo principale ideologo, socio e patrocinatore, il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, sono andati modificando ed adattando le loro concezioni riguardo al nemico interno e le modalità della guerra. Dalle politiche di contrainsurgencia contenute nel Plan de Campaña Chiapas 94 della SEDENA, 20 anni dopo assistiamo a nuove variabili della guerra irregolare o asimmetrica.

Con specificità ed adattamenti regionali (Valle di Juárez, Tamaulipas, Michoacán, Chiapas), la guerra non convenzionale nel Messico attuale si svolge nella cornice di una strategia di occupazione a completo spettro (full spectrum) che comprende la politica territoriale-spaziale combinata, dove l’ambito militare, economico, mediatico e culturale hanno obiettivi comuni. In questo contesto, e date le sue particolari caratteristiche, il Chiapas occupa un posto centrale sulla mappa del Pentagono. La geografia chiapaneca fa parte della breccia (the gap) in cui si trovano le zone di pericolo sulle quali il soggetto egemone del sistema capitalista mondiale deve avere una politica aggressiva di prevenzione, dissuasione, controllo ed imposizione di norme di funzionamento affini agli interessi corporativi con casa madre negli Stati Uniti, ma anche di persecuzione, disarticolazione ed eliminazione di dissidenti o insorti, considerati nemici.

Il capitalismo non si può capire e spiegare senza il concetto di guerra. La guerra è la forma essenziale di riproduzione dell’attuale sistema di dominio; la guerra è consustanziale all’attuale fase di riconquista neocoloniale di territori e spazi sociali. Ma è anche un affare; un modo di imporre la produzione di nuove merci ed aprire mercati con la finalità del profitto. La breccia chiapaneca è collocata in un’area ricca di biodiversità (compresa la Riserva della Biosfera dei Montes Azules) dove sono presenti anche grandi risorse idriche, petrolio e minerali di uso strategico, tutto quello che dà senso pratico redditizio alla loro appropriazione in termini di territorio e spazio.

Inoltre, il Chiapas, ed in particolare l’area dove sono collocate le autonomie zapatiste, è una zona creativa e di resistenza civile pacifica al progetto neoliberale. Cioè, all’imperialismo del saccheggio. Un’area dove si stanno sviluppando nuove forme di emancipazione, di costruzione di libertà in senso collettivo da parte di diversi soggetti sociali e movimenti antisistemici che esprimono un pensiero critico, etico, anticapitalista, antiegemonico. Forze che agiscono al margine dalle regole imposte dal sistema plutocratico messicano – e dagli usi e costumi dei suoi amministratori di turno e dalla classe politica parlamentare, segnati dalla corruzione e dall’impunità – e che danno battaglia in campo culturale, dove radicano la memoria storica, le cosmovisioni e le utopie. Si tratta di un nuovo soggetto storico che non crede più nelle toppe né nelle riforme del sistema e che alieno alle vecchie e nuove forme di assimilazione e cooptazione, prova un altro modo di fare politica e costruire un potere alternativo dal basso. Un vero potere popolare, autogestito, plurale, di vera democrazia partecipativa con le sue giunte di buon governo, i suoi municipi autonomi e le sue autorità comunitarie.

Per tutto questo l’EZLN, le sue basi di appoggio ed alleati congiunturali rappresentano un pericolo reale; una sfida strategica per Washington e le corporazioni dei settori militare, petrolifero, minerario, biotecnologico, agroalimentare, farmaceutico, alberghiero, dell’imbottigliamento e del falso ecoturismo. Da qui che la guerra asimmetrica sia l’asse portante di una strategia di pulizia e controllo territoriale che vuole sgomberare la popolazione per facilitare l’appropriazione e mercificazione della terra e delle risorse naturali da parte dei grandi capitali. Chi si trova negli spazi e nei territori dove ci sono acqua, boschi, conoscenze ancestrali, codici genetici ed altre merci, è, che lo voglia o no, nemico del capitale. Per questo assistiamo ad un’offensiva conservatrice che nella forma di una guerra integrale occultata, irregolare, prolungata e di usura vuole disciplinare, piegare e/o eliminare la resistenza dei contadini indigeni ribelli per portare a termine una ristrutturazione del territorio secondo gli interessi e le richieste monopolistiche classiste.

Si tratta di una guerra privatizzatrice, di pulizia territoriale e depredazione sociale che utilizza la militarizzazione e la paramilitarizzazione per tentare di scomporre un prolungato conflitto armato irrisolto, che comprende il contenimento dei movimenti sociali e la criminalizzazione della protesta con ulteriori misure eccezionali. Per esempio, il codice per l’uso legittimo della forza (ley bala) approvato dal Congresso chiapaneco, che ha l’obiettivo di favorire il libero accumulo delle multinazionali.

Nel dicembre del 2007 di fronte all’offensiva che preparava Felipe Calderón, il subcomandante Marcos avvertì della ripresa delle aggressioni militari e paramilitari nella zona di influenza zapatista. Disse: Chi ha fatto la guerra sa riconoscere le strade sulle quali si prepara ed avvicina. I segni di guerra all’orizzonte sono chiari. La guerra, la paura, hanno un odore. Ed ora nelle nostre terre si comincia a respirare il suo fetido odore. Non si sbagliava. L’episodio più recente è il vile assassinio del votán-maestro José Luis Solís (compagno Galeano) per mano del gruppo paramilitare Los Luises, il 2 maggio. La provocazione-trappola alla Realidad, luogo emblematico della resistenza pacifica zapatista, è avvenuta sotto lo scudo della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (Cioac-H), che ha agito come strumento della contrainsurgencia. Il paramilitarismo risponde ad una logica di Stato, nella cornice della guerra asimmetrica della SEDENA.

La Jornada 27/05/2014 http://www.jornada.unam.mx/2014/05/26/opinion/017a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Contralínea

Chiapas: militarizzazione e saccheggio minacciano gli indigeni

Nancy Flores

17 giugno 2014

ejercito-armada-300Con la “guerra” al narcotraffico il Chiapas è stato di nuovo militarizzato. Le tensioni tra l’EZLN, le basi di appoggio, la società civile in generale ed il governo sono aumentate al pari della criminalizzazione della protesta pacifica. Nell’intervista, Víctor Hugo López – direttore del Centro dei Diritti Umani Frayba – segnala che con la militarizzazione è aumentato il saccheggio delle risorse naturali, minerali, energetiche

Durante il governo di Felipe Calderón Hinojosa, strade rurali e comunità indigene del Chiapas, poco alla volta sono state occupate da elementi dell’Esercito Messicano e dell’Armata del Messico. Oggi, ancora col pretesto di combattere il narcotraffico, i militari tengono sotto il loro controllo zone che erano state liberate durante la gestione di Vicente Fox Quesada come dimostrazione della “volontà governativa” di pacificare la regione.

Così, il massimo risultato della “guerra” calderonista in questa entità del Sudest messicano non è stato lo sterminio del crimine organizzato, ma il riposizionamento dei militari al punto che la situazione attuale è equiparabile a quella di 20 anni fa, quando l’Esercito Zapatista da Liberazione Nazionale (EZLN) si sollevò in armi.

Nell’intervista con Contralínea, il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), Víctor Hugo López, spiega che, sebbenin Chiapas non si siano viste “scene spettacolari di violenza” e di scontri per le strade, la strategia della “guerra” al narcotraffico ha avuto serie ripercussioni nelle comunità. In principio, perché ha ottenuto il riposizionamento dell’Esercito Messicano e dell’Armata nei diversi territori indigeni ed in tutti i punti di confine dell’entità, caratterizzata da miseria ed emarginazione.

Il giovane difensore dei diritti umani ricorda che una delle condizioni che l’amministrazione foxista mise in campo per mantenere il dialogo con l’EZLN fu la smilitarizzazione: furono eliminate alcune delle zone militari più importanti, dice. Tuttavia, “questa situazione si è persa con la strategia di Calderón: mentre elementi dell’Esercito pattugliano e montano blocchi in tutto il territorio, quelli dell’Armata presidiano i punti di confine, compreso quello con il Guatemala”.

Attualmente, spiega, elementi dell’Esercito Messicano sono presenti in molte comunità e strade rurali dove prima non si erano mai visti. “Realizzano ronde e perfino operativi di sequesto di armi. Discreti [operativi], dicono, ma proprio sulla frontiera o la linea di fuoco qui in Chiapas. Questo è grave, perché sembra che non stiano per nulla valutando la possibilità che si registrare nuovamente uno scontro [armato]”.

Víctor Hugo López osserva che la strategia antidroga ha avuto altre gravi ripercussioni in Chiapas. Una di queste si riferisce alla politica di sicurezza dello stato, perché ora i poliziotti civili sono sotto il comando dei militari.

Riferisce inoltre dell’aumentò della criminalizzazione della società nel suo insieme. E fa l’esempio degli operativi delle unità miste (militari accompagnati da poliziotti municipali e statali). Questi, indica, sono quelli che commettono il maggior numero di detenzioni arbitrarie di giovani (uomini e donne) per le strade solo per il loro modo di essere; commettono anche abusi e torture.

In questo senso sono state rafforzate le leggi e sono state legalizzate forme di violenza e meccanismi di violazione dei diritti umani: “Per esempio, sebbene sia stato eliminato il fermo in Chiapas e questo sia stato pubblicizzato come un successo del governo statale precedente, sono aumentate le case [di sicurezza] della Procura dove si fanno sparire le persone, vengono torturate e fermate in maniera illegale”.

E malgrado sia gli operativi poliziesco-militari sia le riforme legali siano state giustificate come una strategia contro il narcotraffico, il difensore dei diritti umani osserva che la vendita ed il consumo di alcool e di ogni tipo di droga non sono stati affatto sconfitti.

“Contraddicendo il discorso della lotta al narcotraffico ed alla criminalità organizzata, abbiamo visto che, in diverse comunità ed in maniera esponenziale, viene autorizzata e perfino promossa, perché in alcuni casi i padroni sono i sindaci, la proliferazione di locali dove avviene un consumo indiscriminato di droghe, ed ovviamente perfino la tratta delle persone”.

Víctor Hugo López avverte che si stanno creando le condizioni per mantenere lo stato di insicurezza. Esempio di ciò è l’alleanza tra i governi del Messico, Stati Uniti e Guatemala: “il pretesto è che i gruppi della criminalità organizzata ed il narcotraffico non operino tra Chiapas e Guatemala; ma queste politiche hanno indurito non le misure contro la delinquenza, ma contro la popolazione”. In particolare, segnala, dei migranti.

“Per noi, la blindatura della frontiera, il rafforzamento della sicurezza e la lotta alla criminalità organizzata hanno provocato un maggior controllo sociale e maggiore indice di repressione contro la popolazione nel suo insieme. E questo ha colpito in maniera apparentemente invisibile, ma reale. Lo vediamo di continuo qui nei casi che riceviamo ogni di detenzioni arbitrarie.

“Al Frayba riceviamo attualmente una media di tra 900 e 1000 casi in generale; ma 3 anni fa ne ricevevamo da 400 a 500 casi. Ora, di questi 900/1000 casi, circa 400, cioè, il 40%, hanno a che vedere con la criminalizzazione, l’accesso alla giustizia, la detenzione arbitraria, la privazione arbitraria della vita, tortura e processi. Nella nostra analisi vediamo che sono effetti della strategia della guerra contro il narcotraffico e la criminalità organizzata: potremmo dire che un 40% di questi casi è il risultato di questa strategia”.

 

Megaprogetti, l’altra minaccia

Nonostante le prove raccolte dal Frayba relative all’aumento delle violazioni dei diritti umani, i governi federale e statale assicurano che in Chiapas questi diritti sono rispettati. Questi discorsi non solo vorrebbero nascondere la situazione nelle comunità, ma promuovere inoltre gli investimenti stranieri nella regione.

Víctor Hugo López spiega che “lo Stato messicano ha lavorato fatto un lavoro di convincimento impressionante a livello internazionale per dimostrarsi garante, promotore e rispettoso dei diritti umani in Messico, e concretamente in Chiapas, tra le popolazioni indigene; per questo ha ratificato, firmato e proposto ogni tipo di legge, regolamento, convenzione, protocollo che possa essere a sostegno di ciò. Il Messico è promotore della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni e si è cominciato a dire di nuovo che gli Accordi di San Andrés si dovevano legiferare ed approvare; in Chiapas abbiamo leggi locali come la legge indigena, una legge per la protezione delle donne, eccetera. Hanno creato tutta l’impalcatura giuridico-legale per sostenere di fronte ai governi del mondo ed alle agenzie straniere che il Messico garantisce condizioni di rispetto, promozione e protezione dei diritti umani e che, pertanto, i livelli di vita, previdenza sociale, tranquillità e la pace sono garantiti nel nostro stato”.

Aggiunge che recentemente 12 parlamentari europei hanno visitato il Chiapas per conoscere la situazione dei diritti umani, ma, soprattutto, per accertarsi delle condizioni di sicurezza che offre la zona per gli investimenti.

“Quello che stanno dicendo è che il governo messicano sta spingendo o ri-promuovendo progetti di investimento, ecoturistici, minerari, petroliferi, dicendo che in Chiapas esistono tutti gli strumenti per il rispetto e la promozione dei diritti umani che garantiscono sicurezza per i loro investimenti”.

Il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas dice che nell’entità si va delineando una mappa di conflittualità sociale provocata dai megaprogetti di investimento privato. Uno di questi conflitti, spiega, è quello nella zona di Agua Azul. Nell’area delle cascate i contadini si oppongono alla proposta governativa di creare un centro ecoturistico.

“Noi vediamo che si sta incoraggiando la repressione delle comunità che difendono i propri territori perché sono decisi ad imporre i progetti per cui si sono impegnati. E l’abbiamo potuto constatare perché c’è un binomio sicurezza-investimento-diritti umano che si sta vendendo all’estero. I rappresentanti stranieri stanno venendo a vedere se quello che il governo del Messico sta vendendo all’estero è reale. Quindi, da questo momento in poi ci aspettiamo processi di tensione on quelle comunità che si opporranno all’imposizione di quei megaprogetti.

In questo contesto, Víctor Hugo López avverte che nella lotta territoriale c’è un altro attore: la Crociata Nazionale Contro la Fame. Questa, assicura, ha operato come meccanismo di contrainsurgencia: l’unico obiettivo della Crociata è dividere le comunità, generare maggiore dipendenza ed aumentare le condizioni di povertà estrema nell’entità”.

 

Frayba: 25 anni a difesa dei diritti umani

Lo scorso 18 marzo, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha compiuto 25 anni. Fondato dallo scomparso Samuel Ruiz García – allora vescovo della Diocesi di San Cristóbal de las Casas, Chiapas –, attualmente è considerato una delle organizzazioni messicane più importanti nella difesa delle garanzie individuali e collettive.

Rispetto a questi 25 anni di lavoro, il suo attuale direttore, Víctor Hugo López, riflette: “Il Centro esiste da 25 anni, ma da oltre 500 anni è influenzato dai popoli indigeni che hanno continuamente generato proposte ed alternative alla crisi di Stato e del sistema”.

Nel Centro Frayba, sostiene, si apprezza molto che esistano cinque regioni autonome, cinque Giunte di Buon Governo, dove esiste il minor indice di violazione dei diritti umani. “Sono popolazioni che sono riuscite a far fronte a tutto questo sistema di violenza strutturale ed alle sue conseguenze. E’ in questo contesto che arriviamo a 25 anni: riconosciamo che il Frayba da sé non sarebbe riuscito ad essere ciò che è se non grazie all’influenza di questi attori politici e del soggetto che è il popolo indigeno”.

Aggiunge che chi ha conosciuto il progetto e vi collabora è fortunato anche per essere in territorio chiapaneco. “È una terra dove sono presenti contrasti significativi e molto visibili: la ricchezza innegabile delle risorse energetiche, naturali, ma anche la ricchezza culturale e di proposta politica che vediamo nascere in questa terra, e che ha la sua origine non solo a partire dal 1994, ma da oltre 500 anni fa, con un attore fondamentale che sono i popoli indigeni.

Ci sentiamo fortunati del fatto che la nostra culla sia fondamentalmente indigena. Proprio tra le popolazioni indigene del Messico si raggiungono livelli impressionanti di violenza e violazione dei diritti umani. Cioè, se molti di noi messicani affrontiamo il tema della corruzione, discriminazione, ingiustizia, per i popoli indigeni questo tipo di violenza si manifesta nella loro condizione di povertà, per essere indigeni e contadini”.

Víctor Hugo López riferisce che la violenza in Chiapas ha molti fronti: benché il più visibile sia il territorio occupato militarmente, c’è un territorio occupato e circondato da progetti di “sviluppo” che stanno dividendo le comunità e che coinvolgono direttamente interi territori per dividerli e creare conflitti.

Tuttavia, dice, queste condizioni e queste tensioni naturali del sistema stesso generano proposte ed alternative. Per questo, sebbene da 15 anni nell’entità si viva quello che definisce una guerra contro la popolazione, si sono create alternative, molte di queste autonome, di proposta di un’altra giustizia, di ricostruzione del tessuto comunitario che, senza alcun dubbio, possono essere una guida o elementi di esperienza che potrebbero essere utili nel Messico attuale.

In Chiapas, esemplifica, sono avvenute situazioni violente che hanno successivamente hanno riprodotto la loro strategia o i loro effetti a livello nazionale, come il massacro di Acteal, nel 1997, che colpì a livello mondiale: 45 persone più quattro ancora non nati furono massacrati in una comunità. Oggi, nel paese ci sono stati simili massacri in diversi contesti e territori, come Michoacán, Tamaulipas ed in tutti gli stati che stanno affrontando la strategia della lotta alla criminalità organizzata.

 

In Messico è a rischio il 20% della biodiversità

Il Chiapas posiede il 20% di tutta la biodiversità ed occupa il secondo posto nazionale in questo settore, dicono dati del governo statale guidato da Manuel Velasco Coello, del Partito Verde Ecologista del Messico.

Secondo le informazioni ufficiali, alcune delle risorse naturali più importanti sono: 10 bacini idrici e due dei fiumi più abbondanti del paese: Grijalva ed Usumacinta; 266 chilometri di litorale, due canion (sul fiume La Venta e sul Sumidero); possiede sette dei nove ecosistemi più rappresentativi del paese e 46 aree naturali protette (tra queste, la Biósfera di Montes Azules, El Triunfo, La Encrucijada, La Sepultura, El Ocote e le Lagune di Montebello).

Attualmente, l’amministrazione locale prevede di sfruttare queste risorse attraverso i progetti “ecoturistici”. Annunciando che il Chiapas sarà la sede della Fiera de Turismo di Avventura 2014, il 12 maggio scorso è stato reso noto che l’amministrazione statale “sta preparando un piano integrale di sviluppo turistico nella regione Nord e Selva partendo dalla città di Palenque e dalla sua zona archeologica. Questo piano prevede investimenti in infrastrutture, segnaletica, formazione e promozione, che permetterà di consolidare le rotte turistiche della Selva e di altre regioni dello stato”.

Quattro giorni dopo, i governi federale e statale hanno segnalato come “necessità prioritaria” quella di eseguire un ordinamento territoriale della Selva Lacandona, Riserva della Biosfera dei Montes Azules e di aree naturali protette:

“Il governo della Repubblica e del Chiapas esprimono la loro convinzione che è prioritario l’ordinamento territoriale per garantire le condizioni necessarie al pieno sviluppo della comunità lacandona e degli ejidos adiacenti per migliorare la qualità di vita dei loro abitanti nel rispetto dell’ambito giuridico, privilegiando il consolidamento delle aree naturali protette e lo sviluppo sostenibile di queste zone. Inoltre, in conformità con quanto stabilito dalla Legge Generale sull’Equilibrio Naturale e la Protezione dell’Ambiente, articolo 46, che dice ‘nelle aree naturali protette non si potrà autorizzare la fondazione di nuovi centri abitati’, non si potranno regolarizzare gli insediamenti irregolari esistenti dentro la Riserva della Biósfera Montes Azules, né in quelli che si insedieranno in futuro, così come in nessun’altra area naturale protetta. Pertanto non potrà esserci alcuna procedura di indennizzo, perché non c’è, né ci sarà, alcun programma né risorse destinati a questo scopo”. http://contralinea.info/archivo-revista/index.php/2014/06/17/chiapas-militarizacion-saqueo-amenazan-indigenas/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Raccolta Fondi.

CAMPAGNA MONDIALE PER LA RICOSTRUZIONE DELLA SCUOLA E DELLA CLINICA ALLA REALIDAD, CHIAPAS, MESSICO

 Informiamo i compagni e le compagne in Messico e nel mondo che abbiamo aperto un conto corrente bancario intestato alla nostra cara compagna Fernanda Navarro, dove poter inviare aiuti per la campagna di ricostruzione della scuola e della clinica alla Realidad, che sono state distrutte dalla belva al servizio del capitale.

Queste le coordinate:

Numero di CONTO:     0237595986

CLAVE:                      072180002375959868

Intestato a:         FERNANDA SILVIA NAVARRO Y SOLARES

Banca:                      BANORTE

 

Fraternamente,

¡Contra el despojo y la represión, la Solidaridad!

RED CONTRA LA REPRESIÓN Y POR LA SOLIDARIDAD (RvsR)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/06/08/circular-informativa-campana-mundial-para-la-recoconstruccion-de-la-escuela-y-clinica-de-la-realidad-chiapas-mexico/

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Riunione alla Realidad zapatista pochi giorni fa. Subcomandante Insurgente Moisés

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

MESSICO.

Giugno 2014

Per: La Sexta in Messico e nel Mondo.

Compagne e compagni della Sexta del Messico e del mondo. Sorelle e fratelli del Messico e del mondo.

Vi racconto di una riunione che si è tenuta alla Realidad zapatista pochi giorni fa:

Dicono le compagne e compagni zapatisti della Realidad, che i 3 livelli di governo capitalisti che hanno distrutto la loro scuola autonoma e la loro clinica autonoma ed il loro impianto di erogazione dell’acqua, volevano distruggere la lotta zapatista.

Le compagne ed i compagni non dimenticano che distrussero il primo Aguascalientes, e le zapatiste e gli zapatisti ne ricostruirono altri cinque.

E non dimenticano quando distrussero le umili case delle autorità autonome dei MAREZ, Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, nel 1998, di Tierra y Libertad, per mano del “croquetas” Roberto Albores, che distrusse la casa autonoma del MAREZ di Ricardo Flores Magón, del caracol di La Garrucha, quando era governatore del povero Chiapas, povero per colpa dei malgoverni.

Ma che i MAREZ proseguono sulla loro strada ed ora sono più forti.

Non si dimentichi quello che hanno detto le e gli zapatisti: con la legge o fuori dalla legge realizzeremo l’autonomia, che è un diritto e fa parte della cultura indigena.

Tutti i partiti politici del potere legislativo e del potere esecutivo e del potere giudiziario ci hanno detto di andare al diavolo credendo che così il seme non avrebbe germinato. Al contrario, ha preso forza ed è nei fatti e nella pratica dei popoli zapatisti. Il popolo comanda, il governo ubbidisce.

I compagni basi di appoggio dell’EZLN della Realidad dicono che ricostruiranno la loro scuola e la loro clinica col materiale che dà la natura.

Allora io ho detto ai compagni della Realidad, fatemi scrivere ai compas della Sexta del Messico e del mondo.

E per farmi intentendere dai compagni ho detto loro: e se ci accusassero di distruggere la natura perché abbattiamo alberi e palme per costruire il tetto? Mentre i governi capitalisti dicono che loro li proteggono.

Poi ho pensato: – Ma perché ho detto questo.

E parte l’elenco della distruzione degli alberi da parte dei commercianti di legname che hanno il permesso dei governi capitalisti del Chiapas e del Messico.

Trafficanti, dicono i compas, legali per i governi, perché sono loro stessi.

Comprano a pezzi, dice un certo Salomón di Las Margaritas. Comprano in tavole, in lastre, rulli. Quelli che vendono sono dell’ejido Momón, San Francisco, Vicente Guerrero, La Victoria, Pachán, Ejido Tabasco, tutti del municipio di Las Margaritas. E così a San Miguel, municipio di Ocosingo, Carmen Pataté, come a Ocosingo e in tutto il Chiapas.

Per placare la discussione provocata dal mio commento “che i governi capitalisti ci accusano di distruggere la natura”, dico alle ed ai compagni che questo non succederà se scrivo ai compas della Sexta del Messico e del mondo per chiedere di organizzarsi per mettere insieme dei soldi per comprare i materiali.

E le basi di appoggio mi rispondono, bene, non sarà certo la fine dei problemi: sta bene compagno, scrivi e speriamo di ricevere qualcosa dai compagni.

E dico loro:

– Di quanto c’è bisogno per la ricostruzione?

Híjole!, non lo sappiamo.

Un altro dice:

– Dai, portate una calcolatrice che facciamo i conti.

Arriva la calcolatrice. Cominiciano i calcoli ed il compa dice:

Vaaaleeeee! Ma questa porcheria non ha le pile!

E sento un vecchietto che a vocebassa dice:

– Un quarto e qualcosa -, e conta con le dita delle mani.

E subito mi guarda:

– Fatto compa – mi dice.

– Come!? – dico io.

– Sì, ecco i conti: Per una casa di 2 piani di 19 metri per 7 di largnezza, cioè 19×7, c’è bisogno di: 2000 blocchi di cemento, 50 barre di metallo, 400 aste metalliche di tre-ottavi, 60 sacchi di calce, 520 sacchi di cemento, 100 chili di filo di ormeggio, 400 chili di filo di ferro e 84 fogli di lamiera zincata di 3 metri di lunghezza .

Un’altrocompa interrompe e dice, “Perché non gli diciamo solo il costo totale per questi edifici di due piani?”

“D’accordo”, dice un altro.

E poi in coro, “D’accordo!”

In totale sono $ 200,209. Duecentomiladuecentonove pesos.

Il pianterreno è per la scuola di bambine e bambini, e quello di sopra per clinica.

Per sfruttare il terreno.

È solo l’edificio, mancano gloi strumenti sanitari, termometri, etc. etc. e mancano le medicine.

La riunione si chiude.

Questo è quanto, compas della Sexta. Vedete un po’ cosa si può raccogliere.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, Giugno 2014.
Nell’anno 20 della guerra contro l’oblio.

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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INSTALLATO L’ACCAMPAMENTO CIVILE PER LA PACE A LA REALIDAD

4 giunog 2014 Installato dal Frayba l’Accampamento e consegnati i primi apoyos per la ricostruzione della scuola.
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Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas 

Campamento de Paz en La Realidad Chiapas 

Para documentar agresiones a Bases de Apoyo del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, el Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas instalará Campamento Permanente de Paz en La Realidad, Chiapas a partir del miércoles 4 de junio de 2014.Ante los recientes ataques a la autonomía zapatista, el Centro Frayba hace un llamado a la sociedad civil nacional e internacional para realizar tareas de observación en derechos humanos.

En el Caracol de La Realidad, integrantes de la Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos, asesinaron a José Luis Solís, hirieron a 15 bases zapatistas y destruyeron la clínica y escuela de la comunidad, el pasado 2 de mayo.

Las Brigadas civiles de Observación son “un espacio civil que ayuda a mantener la esperanza, conservar la dignidad y tratar de reconstruir el tejido social de las comunidades, con respeto a su dinámica propia y conforme a su autodeterminación de pueblos indígenas.

”Alguno de los requisitos para participar en el Campamento por la Paz en La Realidad son: Contar con una carta aval y preparación de una organización solidaria.

Hablar fluidamente el español. Tener disponibilidad mínimo de una semana de estancia en una comunidad.

Ser mayor de 18 años.

Fotocopia de documentos:

Para mexicanos: credencial de elector, escolar o licencia de conducir vigentes.

Para extranjeros: pasaporte y visa vigente. Una fotografía vigente. Llenar la ficha de registro de participantes. (que se te proporcionara a tu llegada)

Participar en los talleres de preparación que realiza la coordinación, mismos que son impartidos los lunes a las 11:00 a.m.

¿Cumples estos requisitos y quieres participar?

Escríbenos a bricos@frayba.org.mx

Llama al Tel: 967 6787395, 967 6787396O visita directamente las oficinas del Frayba: Brasil 14 Barrio de los Mexicanos, San Cristóbal de las Casas Chiapas Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas. San Cristóbal de Las Casas Chiapas. 2 de junio de 2014.

http://www.frayba.org.mx/observadores.php

 

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ESCUELITA, ACCAMPAMENTI DI PACE, INCONTRO/CONDIVISIONE E RICOSTRUZIONE.

Comunicato del Subcomandante Insurgente Moisés

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

27 Maggio 2014

 

Alle compagne e compagni della Sexta in Messico e nel Mondo:

Alle sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno e popoli originari del nostro paese:

Compas:

Vi saluta il Subcomandante Insurgente Moisés per comunicarvi alcune cose:

Primo.- ESCUELITA. Compagn@ della Sexta del Messico e del mondo. Vi informiamo che intendiamo proseguire con la escuelita, sia per i corsi di primo grado per chi non è riuscito a frequentarli, sia per il secondo grado per chi di quelli che sono venuti sono stati ammessi e quindi possono andare avanti, perché non tutti hanno rispettato in pieno gli impegni presi come alunni. Quindi vi faremo sapere le date dei corsi di primo grado. E così per il secondo grado, ma non per tutt@.

Secondo.- ACCAMPAMENTI DI PACE. Compagne e compagni della Sexta del Messico e del Mondo. Abbiamo accolto l’idea del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas di installare un Accampamento Civile per la Pace nella comunità della Realidad, dove si è compiuto il crimine contro il nostro compagno Galeano. Abbiamo detto al Frayba che sarete i benvenuti e potrete essere testimoni e osservatori e “escucha”, perché la situazione non è affatto risolta. Perché gli assassini sono ancora liberi e la forza che li spinge a fare qualsiasi cosa è l’alcool, oltre al fatto che alcuni di loro hanno precedenti per consumo di droga. I compagni e compagne basi di appoggio zapatisti devono tornare nelle proprie case perché non potranno stare sempre nel caracol, perché devono lavorare per sostenere le famiglie. Quindi è importante l’accampamento civile per la pace. Per questo vi chiediamo di coordinarvi con il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas. Come ci hanno detto, il primo accampamento sarà installato mercoledì 4 giugno 2014.

Terzo.- INCONTRO/CONDIVISIONE. Riprenderemo anche l’incontro con le sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, ma comunicheremo i dettaglia a parte.

Quarto.- RICOSTRUZIONE. Come sapete, i paramilitari al servizio dei malgoverni hanno distrutto la scuola e la clinica delle basi di appoggio zapatiste. E così come abbiamo dissotterrato il compa Galeano, così dobbiamo ricostruire la scuola e la clinica. Le compagne e compagni basi di appoggio della Realidad hanno già individuato un posto dove riscostruire. Vi invitiamo quindi a sostenerci per raccogliere il materiale per la costruzione per la scuola e la clinica.

Così che i malgoverni capiscano che non importa quanto distruggano, noi ricostruiremo sempre. Così è successo quando Zedillo distrusse l’Aguascalientes a Guadalupe Tepeyac, ed allora ricostruimmo 5 Aguascalientes per uno che avevano distrutto.

Infine una precisazione riguardo a quanto è apparso sui media pagati riguardo all’evento alla Realidad. Vedo che è accaduto quanto previsto dal defunto Supmarcos: non hanno né ascoltato, né capito.

Quelli che stanno sopra non lo capiscono che noi non abbiamo perso niente, al contrario abbiamo recuperato un compagno. E non lo capiscono quelli di fuori perché non hanno più finestre per vederci e non trovano nemmeno più la porta per entrare.

Non sentono che proprio lì dove si trovano cresce il suono del dolore e della rabbia. Non lo sentono che ormai sono soli.

E riguardo ai media liberi accusati di stare dalla parte degli zapatisti e di essere pagati dagli zapatisti, sarebbe come se dire la verità sulla realtà della Realidad fosse un lavoro pagato e non un dovere. Ma dicono questo per rabbia perché loro, i media pagati, sono rimasti fuori dalla realidad.

Perché noi zapatisti se abbiamo dei soldi, costruiamo la vita, e non distruggiamo la verità. Non come i malgoverni che usano i soldi per costruire bugie e distruggere vite.

 

Dalle Montagne del Sudest Messcano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Maggio 2014. Nell’anno 20 della guerra contro l’oblio.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/05/28/escuelita-campamento-de-paz-comparticion-y-reconstruccion-comunicado-del-subcomandante-insurgente-moises/

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PAROLE DELLA COMANDANCIA GENERALE DELL’EZLN, NELLA VOCE DEL SUBCOMANDANTE INSURGENTE MOISÉS, NELL’OMAGGIO AL COMPAGNO GALEANO. IL GIORNO 24 MAGGIO 2014 A LA REALIDAD, CHIAPAS, MESSICO

Compagne e compagni, comandanti, compagne e compagni basi di appoggio, miliziani, insurgentes tutti.

Compagni e compagne della sexta. Buon giorno o buona sera o buona notte a tutte e tutti secondo dove stanno.

Compagne e compagni, fratelli e sorelle.

Attraverso la mia voce parla la voce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Attraverso la mia voce parlano il dolore e la rabbia di centinaia di migliaia di indigeni, uomini, donne, bambini e anziani dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Siamo qui con le compagne e i compagni de La Realidad per appoggiarli con tutta la nostra degna rabbia.

I compagni e le compagne della Sexta devono capire qualcosa. L’EZLN non si può intromettere, così come vuole, nelle comunità e nei governi autonomi. Perché noi, come EZLN, non parliamo a vanvera di “rispetto”, questa è la nostra pratica. L’EZLN come forza del popolo entra nei problemi delle comunità zapatiste solo se le autorità autonome lo chiedono. Facciamo così perché i militari, chiunque essi siano, sempre devono rispettare e servire il popolo, i civili.

Quando ci rendemmo conto del vile e crudele assassinio del nostro compagno Galeano, sentimmo molto dolore e molta rabbia. Ma non potevamo fare come volevamo, ma dovevamo rispettare e obbedire il nostro popolo, quale cammino dovevamo percorrere e cosa dovevamo fare come EZLN che siamo.

Il rispetto di cui abbiamo parlato, come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, lo dobbiamo al popolo e alle autorità autonome Zapatiste, così contenemmo la rabbia e il dolore che avevamo.

Questo fino a quando ce lo chiese la Giunta del Buon Governo de La Realidad che ci disse: “Fin qui siamo arrivati noi, ora la Comandancia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale intervenga affinché si faccia giustizia contro l’attacco e l’assassinio contro di noi e contro la nostra organizzazione zapatista”. Allora abbiamo potuto venire.

Con tutta la rabbia siamo venuti ad accompagnare le compagne e i compagni, per stare con loro, per investigare su questo vile assassinio, perché queste persone contras, paramilitari antizapatisti hanno quello che hanno per essere contro di noi , e si fanno passare come se fossero zapatisti e così ottengono i loro progetti, dicendo che sono rappresentanti zapatisti. Sappiamo chi sono costoro e con chi, del mal governo, parlano. Sappiamo che sono gli sciocchi del malgoverno che ci cascano credendo che stanno parlando con noi.

Qui glielo diciamo ancora a questo fottuto malgoverno:

NON siamo mendicanti.

Non riceviamo gli avanzi della loro tavola.

Non cerchiamo, né riceviamo briciole.

Cerchiamo di governarci con il nostro popolo del Messico con Giustizia , Libertà e Democrazia.

Non sono gli zapatisti che parlano con loro.

Non parlano con il malgoverno né oggi né mai.

Non abbiamo la seppur minima fiducia di questi senza cervello.

A noi non ci importa che trattino quelli del malgoverno come stupidi e li ingannino con frottole da venduti. Perché così sono i malgoverni: gente ignorante e stupida, che non ha l’intelligenza per governare, hanno solo mani grandi per rubare. E’ così come lo dimostrano e l’hanno dimostrato i presidenti municipali, i reggenti, il Manuel Velasco, il Peña Nieto. Tutti loro, di qualunque partito appartengano, sono ignoranti che si muovono solo quando c’è da rubare e si pettinano, si fanno belli per fare la foto che andrà sulla stampa prezzolata. Così lo abbiamo vissuto da più di 71 anni del PRI, nei 12 anni del PAN e ora continuano con il PRI.  Inoltre è quello che si vede nei governi locali da dove passano gli altri partiti come il verde ecologista, quello della rivoluzione democratica, il partito del lavoro, il movimento cittadino e qualsiasi altro che hanno e che avranno dei politici professionali.

Compagne e compagni:

La rabbia che abbiamo è contro il capitalismo.

Perché quello che fecero al compagno Galeano fu per mano del capitalismo. E qualsiasi cosa fanno o assassinano a un altro compagno di questa comunità, questa viene pianificata dal mal governo contro di noi come organizzazione EZLN.

Quando vediamo il compagno Galeano, vediamo gli assassini e vediamo anche chi sta dietro questi assassini:

É Velasco e chi sta dietro Velasco è Peña Nieto e chi sta dietro il vendi patria del Peña Nieto è il gran capitale che è il vero criminale disumano del capitalismo neoliberale.

Si stanno lavando le mani o si laveranno le mani. E’ stata una mascherata il fatto che arrestarono questo o quello che sia.

Perché non lo fanno perché ci sia giustizia e perché paghino gli assassini ma per tentare di calmare la grande ondata di dolore e rabbia che si alzò in tutto il mondo. Ossia lo fanno per tranquillizzare a gente come voi, compagne e compagni della Sexta e alunni e alunne della escuelita di tutto il mondo.

Perché sono loro quelli che organizzarono tutto, per fare quello che hanno fatto con noi. Così fecero.   Una tal Florinda Santis di qui de La Realidad, antizapatista e Reggente del PAN a Las Margaritas. E’ lei e altri che li chiamarono per offrire loro denaro che viene dal mal governo. Questa tal Florinda si mette d’accordo con il tale commissario per la pace e si riunisce con gli ex governatori, presidente municipale, governo statale, deputati e senatori e il governo federale. Da tempo prima andavano pianificando insieme. Il tal malvagio Luis H. Alvares. Si riuniva con questa tal Florinda e un certo Carmelino per portare avanti il vile e crudele lavoro paramilitare con queste persone vendute de La Realidad.

Così tra gli uni e gli altri di questi parassiti prepararono il piano insieme a questa gente de La Realidad che, alla fine, divennero gli esecutori, senza rendersi conto di come venivano usati.

Perché come possono vedere questa Florinda Santis, così li orientò, gli diede le istruzioni: “Se fate in modo che gli zapatisti abbiano più problemi con voi, vi procuriamo più denaro, più progetti e vi procuriamo delle armi”. E realizzarono la provocazione fino ad arrivare alla imboscata e uccidere quelli che capitavano sotto mano.

E così fu. Visto che lei sapeva coloro già non sono zapatisti li chiama per organizzarli. E la reggente si mette d’accordo con tutti i governi li porta davanti alle autorità e al governo, li copre di denaro, di progetti e armi. Più impegno ci mettono con queste autorità e più vedono che sono appoggiati dal malgoverno.

Ora che già hanno ucciso, la stessa Florinda torna a ingannare.   I malgoverni hanno bisogno di pulire il crimine affinché non appaia che furono loro a pianificare, organizzare e finanziare tutto. Devono fare in modo che si arrestino gli assassini in modo che si sappia che non furono loro.

Ma la verità è che furono loro.   E’ come un filo o una catena, una dopo l’altra: Florinda la reggente, dirigenti della CIOAC, presidente municipale, governatore, ex governatori che erano d’accordo che si passasse il denaro ai paramilitari e stavano molto in silenzio e ora parlano ma per difendere i criminali e sicuro che questo vale anche per quello che dice di essere il Commissario di Pace che ha mandato gente a offrire denaro e appoggio a dirigenti dell’EZLN in cambio di passare informazioni se il Subcomandante Insurgente Marcos sta molto ammalato, o se già è morto. Ma già avete visto con i vostri occhi se il Sup Marcos è molto ammalato o se è morto. E cosi fanno anche deputati e senatori e il governo federale.   Tutta la forza dei malgoverni l’hanno messa in questo attacco criminale e vengono anche appoggiati, in questo piano, da gente che si dice di sinistra, progressista e democratica.

Compagni e compagne:

Il mal governo ha il piano di assassinare l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale .

Il malgoverno vuole e continua a desiderare che diventiamo come loro che sono macchiati del sangue di un compagno lottatore che non si vendette e non si arrese, non cambiò direzione.

Perché questi uomini e donne ingannati, manipolati stanno obbedendo ai mal governi dei tre livelli. Vedano loro stessi quelloche dicevano quando portarono a termine l’assassinio. Dicevano. “Venite donne, portiamo qualcosa , machete, bastoni, pietre per appoggiare i nostri uomini. Ricordiamoci che così ci ha detto il governo, per questo stiamo ricevendo il Programma di Opportunità”. Così gridavano, così dicevano.

I mal governi pensano e vogliono che ci ammazziamo tra di noi indigeni,.

Vogliono che perdiamo la nostra testa, vogliono che siamo più pazzi di loro , vogliono che siamo più assassini di come sono loro, per poter dire ai mezzi di comunicazione venduti e che hanno comprato che questo è un problema intercomunitario.

I mal governi pensano e vogliono organizzare la gente e dicono loro “Ammazzate gli zapatisti con qualsiasi pretesto così si stancano della loro lotta di liberazione nazionale” . Il piano di questi assassini era quello di assassinarci, sotterrarci, ucciderci tutti.

E continueranno a provarci una volta e un’altra volta ancora e continueranno con questo.

Perché dicono: que vanno a prendere il caracol”.   Così cercheranno di fare con tutti i caracoles.

Pensano che con l’assassinio di un compagno come Galeano, va a finire la lotta, la nostra organizzazione. Ma NON È COSÌ.

Per questo siamo qui, perché sia chiaro che la lotta zapatista NON FINISCE.

Vogliono che finisca l’esempio della nostra lotta, pensano che abbiamo paura che ci ammazzino.

Noi sappiamo che siamo disposti a morire se è necessario così come i compagni caduti nell’anno 1994 che sapevano perché andavano a morire. E continuiamo la nostra lotta come continuò a farla il nostro Compagno Galeano, perché lui segui l’esempio dei nostri compagni caduti. Così noi seguiamo l’esempio del nostro compagno Galeano.   Per loro siamo esempio in Messico e nel mondo.

Compagne e compagni:

Il nostro dovere principale come EZLN sono le comunità zapatiste, i nostri compagni e compagne base di appoggio. Se loro hanno un problema è la prima cosa che vediamo e cerchiamo di appoggiare. Noi non diciamo che venga un altro giorno o lo vediamo dopo o altro pretesto.

Per questo abbiamo sospeso la nostra partecipazione con i compagni del Congresso Nazionale Indigeno e l’omaggio al compagno Luis Villoro.

Non potevamo stare in due luoghi nello stesso tempo. Non potevamo seguire questo grave problema e nello stesso tempo occuparci di ospitare migliaia che avrebbero partecipato a questi incontri venendo da tutto il mondo. Quindi abbiamo dovuto scegliere e abbiamo scelto il nostro popolo.

Siamo venuti fino a La Realidad, il paese del compagno Galeano e della sua famiglia e dei suoi compagne e compagni, dove sta la rabbia e il dolore. Come compagni che siamo e zapatisti veri che siamo, dovevamo stare con le compagne e i compagni e sospendemmo i lavori. Non siamo andati passeggiando in altri luoghi, per esempio all’estero, facendo discorsi .

Perché la cosa più importante per noi sono le compagne e i compagni delle comunità.

Loro sono la nostra forza, nostro alimento, nostro destino.

Loro sono noi.

Compagne e compagni:

Siamo venuti a dissotterrare il nostro compagno Galeano. Tra poco potranno vedere come.

Queste persone che lo hanno assassinato sono sole, sono macchiate dal sangue pulito e puro di un lottatore. Per questo mai potranno lavarsi.   Stanno facendo il lavoro del demonio di Peña Nieto e di Velasco, del demonio del capitalismo neoliberale.

Stanno obbedendo agli ordini del supremo paramilitare che è Peña Nieto e Velasco che perseguitano il popolo, le donne e gli uomini che lottano.

Perseguitano le donne e gli uomini güeros [di pelle bianca NdT], perché ci sono compagne e compagni güeros e güeras che sono in basso e a sinistra.

Perché è chiaro quello che vogliamo, quello che cerchiamo per questo paese e forse per il mondo: quello che diciamo: “Il popolo comanda e il governo obbedisce”.

Andiamo a sotterrare poco a poco questo sistema capitalista ingiusto, fottuto, sorpassato, disuguale, che già puzza e inquina con il suo marciume tutto il mondo.

Siamo mille e mille le zapatiste e gli zapatisti. In questo momento ci sono compagne e compagni nei caracoles che stanno facendo omaggio al compagno Galeano perché non sono potuti venire fin qui.

Ci sono anche compagne e compagni che stanno manifestando e protestando in varie parti del Messico, in varie città di altri paesi. Perché vedono che quello che stiamo costruendo è una alternativa, vedono che è un altro tipo di sistema di un mondo nuovo. Si rendono conto che davvero siamo anticapitalisti.

Per questo fu così tanto crudele la forma con cui assassinarono il compagno Galeano perché così glielo ordinò, così disse loro il mal governo di Peña Nieto e Velasco. E devono obbedire perché per questo sono pagati.

La disgrazia è che c’è gente con la testa fottuta e putrida che non pensano ai loro figli e figlie, che li abbandonano per fare il lavoro per conto di questi criminali. Perché è necessario che si faccia giustizia.

Compagne e compagni:

I mal governi non ci rispettano come indigeni come noi siamo. Ci vedono come cani e pensano che siamo cani perché i cani si mordono tra di loro e si ammazzano tra di loro finché uno vince.

Noi diciamo chiaro “Non siamo cani.

Siamo una organizzazione che lotta per la Liberazione Nazionale, anticapitalista. Lottiamo per la Libertà, Giustizia e la Democrazia. Lottiamo per un mondo migliore, un mondo dove possano entrare tutti i mondi.

Non permetteremo che ci facciano cambiare strada che è quello che vogliono questi brutti stronzi, mal partoriti dei mal governi”.

Ci da dolore e tristezza quello che fecero al nostro compagno Galeano, ma NON andiamo a macchiarci con il male di fronte al male.

Perché lottiamo per la giustizia, per milioni di esseri viventi di questo paese e vogliamo e cerchiamo giustizia per i secoli dei secoli e per sempre e non come questi mal chiamati governi capitalisti che non sanno cos’è la giustizia perché essi sono gli stessi che commettono le ingiustizie.

Continueremo il lavoro che ci ha lasciato il compagno Galeano e andiamo a farlo con la giusta e degna rabbia che ci lasciò, il popolo comanda e il governo obbedisce.

Come lui lo fece, con l’esempio dei compagni caduti nell’anno 1994. Dobbiamo seguirlo. Seguiremo l’esempio delle compagne e dei compagni qualsiasi caduti, non importa se erano comandanti o non comandanti.

Abbiamo davanti molta strada per guadagnare la libertà del nostro popolo del Messico, non come dicono loro che ci sono solo due strade: le elezioni o le armi.

Abbiamo visto durante questi 20 anni che quando dialoghiamo con questi vende patria non è servito a niente. Nessuno dei tre poteri parassiti attuarono quello che avevano detto nel dialogo.

Il dialogo che ci è servito è quello con la gente che sta in basso e a sinistra e che ora sono le compagne e i compagni della Sexta, le compagne e i compagni dei mezzi di comunicazione liberi e alternativi che alcuni stanno qui e altri non poterono venire.

A questo è servito il dialogo con il popolo del Messico e del mondo: ascoltare e apprendere. E ora, questo dialogo di ascolto, è toccato a migliaia di compagne e compagni attraverso la nostra escuelita. Ossia ci stiamo dando il turno a dialogare: comandi e basi con quelli in basso e a sinistra. All’inizio toccava ai comandanti dialogare e ora alle nostre compagne e ai nostri compagni delle comunità gli tocca dialogare. Questa è la verità compagne e compagni. Ossia stiamo diventando tutti e tutte come buoni rappresentanti, come abbiano detto “Il popolo comanda e il governo obbedisce”.

Per questo noi come zapatisti non siamo per lottare al fine di prender il potere né con le elezioni, né con le armi. Ma siamo perché il popolo decida il suo cammino e lo faccia senza partiti politici che lo inganna e non lo rispetta e per difendere il nostro popolo.

Compagne e compagni:

La gente della CIOAC cosa fanno oltre al lavoro di essere paramilitari? E a chi serve questo?   Ai ricchi difendendo quelli che li sfruttano.   E di questo sono responsabili i loro lider, sia statali che nazionali che dicono di essere.

E’ certo: i lider statali e nazionali stavano nella pianificazione ed erano d’accordo con la “Crociata Nazionale contro la fame”. Perché li è dove c’è il denaro per rubare quello che è del popolo. Sono gli avanzi della ruberia quello che va al popolo. Cosi vivono, di questo vivono i lider. Non è un piano contro la fame, è un piano di controinsurrezione.

Tutti i grandi e piccoli lider è li dove apprendono a orientare male al popolo, è li dove apprendono a essere mafiosi, imbroglioni, manipolatori.

Ascoltino quello che è la CIOAC: CIOAC della comunità 20 deNoviembre attaccarono i compagni della comunità 10 de Abril del caracol di Morelia pochi mesi fa. Quelli della CIOAC erano già entrati nella terra recuperata che confina con i compagni del territorio de La Realidad con Morelia, circa una anno fa.   Quelli della CIOAC attaccarono la gente di Guadalupe Los Altos lungo il fiume Euseba con pallottole, circa un mese fa. La CIOAC attaccò sparando alla gente di San José Las Palmas vicino a Las Margaritas ancora circa un mese fa. Quelli della CIOAC, circa 15 giorni fa, si scontrarono con la gente del Ejido Miguel Hidalgo Municipio de Las Margaritas.

Quelli della CIOAC si scontrarono con la loro stessa gente nel Municipio Rayon Norte del Chiapas dove ci fu un morto.

Quelli della CIOAC il 2 di maggio attaccarono, in una imboscata, i compagni de La Realidad, li dove assassinarono, in forma crudele, il compagno Galeano.

Questo è la CIOAC: paramilitari, diretti dai lider paramilitari Los Luises, con i loro capi supremi Peña Nieto e Velasco. Perché cosi dicono i loro padroni del neoliberalismo che sono complici loro.

Allora ci domandiamo: “Che futuro insegnano ai loro figli questa gente della CIOAC? Di essere paramilitari?” O essere assassini? In cambio di denaro per uccidere quelli del proprio popolo.

Questo è quello che hanno preparato i mal governi. Vanno a continuare così in qualsiasi caracol. Sono preparati contro di noi perché si stanno rendendo conto che rimane poca vita al sistema di malgoverni. Per questo cercano di fare qualsiasi cosa , per brutale che sia, contro di noi le zapatiste e gli zapatisti.

Qui a La Realidad il mal governo pianificò e attuò per tentare di assassinare l’EZLN perché noi stiamo costruendo un altro SISTEMA DI GOVERNO, contro l’altro mal SISTEMA capitalista.

Per loro siamo il gran nemico principale ed è la verità che siano loro nemici perché ya basta!. E con il nostro ya basta! c’è il “comandare obbedendo” dove il governo non governa ma il popolo governa e quelli che sono nel governo sono servitori.

Per questo quelli del mal governo pianificano, organizzano, spendono milioni per questo, comprano gente affinché vengano ad assassinarci.

Per questo non dobbiamo sbagliarci: il nemico è quello in alto. Solo se li tiriamo giù cessano di essere il nemico.

Con gli assassini ingannati sì si farà giustizia. Di tutto questo poi lo spieghiamo meglio.

Noi non ci vendichiamo, ci vendicheremo ma contro il capitalismo.

Compagne e compagni:

In verità non sappiamo parlare bene lo spagnolo, non sappiamo scrivere bene, non sappiamo leggere bene i libri, perché ci sono libri buoni e ci sono quelli che di fatto non servono perché anziché orientare ti confondono.

Ma noi leggiamo molto bene la situazione brutta, bruttissima in cui noi messicani viviamo in questo paese e in altri paesi del mondo.

La leggiamo pensando, ascoltando la gente in basso e a sinistra. E con questa lettura andiamo pensando come deve essere una vita migliore, cioè un altro sistema migliore.

Lo spagnolo lo parliamo con molto sforzo per svegliare quelli in basso e a sinistra, per condividere la nostra idea di una costruzione di come governarci nella campagna e nella città.

Per mostrare quello che siamo e apprendere dall’esempio della lotta di altri.

Alcuni scrivono molto perché non appresero nulla nel ministero dell’educazione pubblica, ma si misero solo la penna nel taschino della camicia e solo questo impararono.

Ma noi scriviamo con l’esempio e la pratica delle nostre compagne e compagni. Chiaro, ora sanno scrivere, già costruirono le loro scuole autonome.

Per questo diciamo chiaro che non è un problema se sappiamo o non sappiamo scrivere e parlare spagnolo, se sappiamo o non sappiamo leggere in spagnolo, se sappiamo molto o poco lo spagnolo, perché si cerca e si libera il pensiero e la pratica e così si va migliorando e correggendoci.

E così che le compagne e i compagni basi di appoggio zapatista scrivono nella pratica con la loro creazione di un nuovo sistema di governo contro l’altro mal sistema. Questa è la verità compagne e compagni della Sexta.

Senza sapere dove va la virgola, gli accenti, i segni e altre cose ma sappiamo quale sistema nuovo ha bisogno questo paese. O no compagne e compagni?

Compagne e compagni della Sexta. Lottiamo, lavoriamo, parliamo tra noi che siamo in basso. Non guardiamo più verso l’alto. Li non ci sono occhi né orecchie. Li non c’è rispetto.

Guardino, è come con i mezzi di comunicazione pagati: se lì cerchi informazione su come sta il mal sistema di questo paese non trovi nulla, perché non viene fuori niente.

Questo si; tutti i giorni escono note e notizie dei mal governi, perché sono pagati con migliaia di pesos. Che il Messico sta migliorando grazie a questo governo e quando ti giri per guardare in basso per vedere se è vero quello che dicono i mezzi di comunicazione ben pagati, vedi che è totalmente il contrario.

Quindi bisogna guardare in basso.

Cioè, se vogliamo sapere come lottano altri fratelli di altri paesi bisogna andare a leggere e ascoltare i mezzi di comunicazione alternativi o liberi. “Ascoltatori” li chiamiamo noi. Perché loro ascoltano e diffondono quello che hanno ascoltato senza cambiare nulla e lo mandano per altri lati affinché altre e altri, come noi zapatisti, apprendiamo dalle altre lotte, le ascoltiamo e le appoggiamo.

Cosi che avanzino compagni dei mezzi di comunicazione liberi in basso e a sinistra.

E’ come adesso. Se vogliamo sapere come e cosa stanno facendo ora le compagne e i compagni della Sexta, lo troviamo solo nei mezzi di comunicazione alternativi. Nei mezzi pagati non c’è niente. Perché? Perché non c’è paga in queste notizie.   E così per quanto siano a sinistra e rivoluzionari, ci sono quelli che tengono una gamba da una parte e una gamba dall’altra. Però è così. La dignità è quella che a loro manca.

Nei mezzi di comunicazione alternativi è dove ci siamo resi conto delle mobilitazioni dei compagni della Sexta, dove abbracciano la famiglia del compagno Galeano, salutano e abbracciano le compagne e i compagni de La Realidad con dignità e rabbia sia del Messico come di altri paesi del mondo. Così sappiamo delle mobilitazioni in tutti gli angoli del mondo per appoggiare, abbracciare la famiglia e i compagni del compa Galeano.

In Messico abbiamo visto molte altre proteste nelle città e molte altre forme di protestare nelle pagine di internet e e di twitter, così come lo chiamano, e che in tutto il mondo si incontrano tra di loro.

Compagni tutte e tutti siamo a La Realidad per la realtà che hanno fatto i mal governi che vogliono assassinarci e distruggere quello che si sta costruendo qui ne La Realidad e diciamo al malgoverno: “Il Popolo Zapatista de la Realidad mai permetterà che la distruggano” Sarà un giorno una realtà in questo paese quello che si sta costruendo qui ne La Realidad.   Se non poterono finirci all’alba del 1° di gennaio del 1994 ancor meno ora.   Perché è nostro impegno liberare questo paese , passi quello che passa, costi quello che ci costa e venga quello che viene.

Dalle montagne del sud est messicano

Per i Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale del

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés

Maggio 2014, La Realidad per la realtà di questo paese che un giorno sarà realtà in tutto il mondo. Oggi, anno 20 della guerra contro l’oblio.

 

Traduzione da parte di Gianfranco di Ya Basta Milano-Italia

da

PALABRAS DE LA COMANDANCIA GENERAL DEL EZLN, EN VOZ DEL SUBCOMANDANTE INSURGENTE MOISÉS, EN EL HOMENAJE AL COMPAÑERO GALEANO. EL DÍA 24 DE MAYO DEL 2014 EN LA REALIDAD, CHIAPAS, MÉXICO

Quando ci rendemmo conto del vile e crudele assassinio del nostro compagno Galeano, sentimmo molto dolore e molta rabbia. Ma non potevamo fare come volevamo, ma dovevamo rispettare e obbedire il nostro popolo, quale cammino dovevamo percorrere e cosa dovevamo fare come EZLN che siamo.

Il rispetto di cui abbiamo parlato, come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, lo dobbiamo al popolo e alle autorità autonome zapatiste. Così contenemmo la rabbia e il dolore che avevamo. Questo fino a quando le autorità autonome de La Realidad ci dissero: “Fin li siamo arrivati noi, ora la Comandancia dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale intervenga affinché si faccia giustizia contro l’attacco e l’assassinio contro la nostra organizzazione zapatista”. Allora abbiamo potuto venire con tutta la rabbia siamo venuti ad accompagnare i compagni e le compagne, per stare con loro, per investigare su questo vile assassinio perché queste persone, contras, paramilitari antizapatisti hanno quello che hanno, sono contro di noi , e si fanno passare come se fossero zapatisti, e così ottengono i loro progetti, dicendo che sono rappresentanti zapatisti. Sappiamo chi sono costoro e con chi, del mal governo, parlano. Sappiamo degli sciocchi del malgoverno che ci cascano credendo che stanno parlando con noi.

Qui glielo diciamo ancora a questo fottuto malgoverno: Non siamo mendicanti, non riceviamo gli avanzi della loro tavola, non cerchiamo, né riceviamo briciole, cerchiamo di governarci con il nostro popolo del Messico con giustizia , libertà e democrazia. Non sono gli zapatisti che parlano con loro. Non parlano con il malgoverno oggi né mai. Non abbiamo la seppur minima fiducia di questi senzacervello. A noi non ci importa che questi trattino quelli del malgoverno come stupidi e li ingannino con frottole da venduti. Perché così sono i malgoverni: gente ignorante e stupida, che non ha l’intelligenza per governare, hanno solo mani grandi per rubare. E’ così come lo dimostrano e l’hanno dimostrato i presidenti municipali, i reggenti, il Manuel Velasco, il Peña Nieto. Tutti loro, di qualunque partito appartengano, sono ignoranti che si muovono solo quando c’è da rubare e si pettinano, si fanno belli per fare la foto che andrà sulla stampa prezzolata. Così lo abbiamo visto da più di 71 anni del PRI, nei 12 anni del PAN e ora continuano con il PRI.  Inoltre è quello che si vede nei governi locali da dove passano più partiti come il Verde Ecologista, quello della Rivoluzione Democratica, il Partito del Lavoro, il Movimento Cittadino e qualsiasi altro che hanno e che avranno dei politici professionali.

Compagne e compagni, la rabbia che abbiamo è contro il capitalismo perché quello che fecero al compagno Galeano fu per mano del capitalismo. E qualsiasi cosa fanno o assassinano a un altro compagno di questa comunità, questa viene pianificata dal mal governo contro di noi come organizzazione EZLN. Quando vediamo il compagno Galeano, vediamo gli assassini e vediamo anche chi sta dietro questi assassini: Velasco e chi sta dietro Velasco che è Peña Nieto e chi sta dietro il vendipatria del Peña Nieto che è il gran capitale che è il vero criminale disumano del capitalismo neoliberale. Si stanno lavando le mani o si laverranno le mani. E’ stata una mascherata il fatto che arrestarono questo o quello che sia. Ma non lo fanno perché ci sia giustizia e perché paghino gli assassini ma per tentare di calmare la grande ondata di dolore e rabbia che si alzò in tutto il mondo. Ossia lo fanno per tranquilizzare a gente come voi, compagne e compagni della Sexta e alunni e alunne della escuelita di tutto il mondo. Perché sono loro quelli che organizzaroro tutto, per fare quello che hanno fatto con noi.

E’ così è per una tal Florinda Santis di qui de La Realidad, antizapatista e reggente del PAN a Las Margaritas. E’ lei e altri che chiamarono quelli de La Realidad per offrire loro denaro che viene dal mal governo. Questa tal Florinda si mette d’accordo con il tale Commissario per la Pace e si riunisce con gli ex governatori, presidenti municipali, governo statale, deputati e senatori del governo federale. Da tempo prima andavano pianificando insieme al malvagio Luis H. Alvarez. Si riuniva con questa tal Florinda e un certo Carmelino per portare avanti il vile lavoro paramilitare di queste persone vendute de La Realidad. Così tra gli uni e gli altri di questi parassiti prepararono il piano insieme a questa gente de La Realidad che, alla fine, divennero gli esecutori. Questi non si rendono conto di come vengono usati e usate. Perché possono vedere che, questa Florinda Santis, così lo orientò, gli diede le istruzioni: “Se fanno in modo che gli zapatisti abbiano più problemi con voi, vi procuriamo più denaro, più progetti e vi procuriamo delle armi”. E realizzarono la provocazione fino ad arrivare alla imboscata e uccidere quelli che capitano sotto mano. E così fu. Visto che lei sapeva che già non sono zapatisti li chiama per organizzarli. E la reggente si mette d’accordo con tutti i governi li porta davanti alle autorità e al governo, li copre di denaro, di progetti e armi. Più impegno ci mettono con queste autorità e più vedono che sono appoggiati dal malgoverno e cioè che sono condizionati dalla merda dei progetti, che devono essere paramilitari in modo da ottenere progetti.

Ora che già hanno ucciso, la stessa Florinda torna a ingannare.   I malgoverni hanno bisogno di pulire il crimine affinché non appaia che furono loro a pianificare, organizzare e finanziare tutto. Devono fare in modo che si arrestino gli assassini in modo che si sappia che non furono loro. Ma la verità è che furono loro.   E’ come un filo o una catena, una dopo l’altra: Florinda la reggente, dirigenti della CIOAC, presidente municipale, governatore, ex governatori che erano d’accordo che si passasse il denaro ai paramilitari e stavano molto in silenzio e ora parlano ma per difendere i criminali e sicuro che questo vale anche per quello che dice di essere il Commissario di Pace che ha mandato gente a offrire denaro e appoggio a dirigenti dell’EZLN affinché passino informazioni se il subcomandante insurgente Marcos sta molto ammalato, o se già è morto. Ma già avete visto con i vostri occhi se il Sup Marcos è molto ammalato o se è morto. E cosi fanno anche deputati e senatori del governo federale.   Tutta la forza dei malgoverni l’hanno messa in questo attaco criminale e vengono anche appoggiati, in questo piano, da gente che si dice di sinistra, progressista e democratica.

Compagne e compagni il mal governo ha il piano di assassinare l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale . Il malgoverno vuole e continua a desiderare che diventiamo come loro che sono macchiati del sangue di un compagno lottatore che non si vendette e non si arrese, non cambiò direzione. Perché questi uomini e donne ingannati, manipolati e manipolate stanno obbedendo ai mal governi dei tre livelli. Vedano, loro stessi l’hanno detto quando portarono a termine l’assassinio. Dicevano. “Vengano, portiamo qualcosa , machete, bastoni, pietre per appoggiare i nostri uomini. Ricordiamoci che così ci ha detto il governo, per questo stiamo ricevendo il Programma di Opportunità” Così gridavano, così dicevano. I mal governi pensano e vogliono che ci ammazziamo tra di noi indigeni, vogliono che perdiamo la nostra testa, vogliono che siamo più pazzi di loro , vogliono che siamo più assassini di come sono loro, per poter dire ai mezzi di comunicazione venduti e che hanno comprato che questo è un problema intercomunitario.

I mal governi pensano e vogliono organizzare la gente e dicono loro “Ammazzate gli zapatisti con qualsiasi pretesto così si stancano della loro lotta di liberazione nazionale” . Il piano di questi assassini era quello di integrarci uccidendoci e continueranno a provarci una volta e un’altra volta ancora e continueranno con questo.   Perché dicono: “andiamo a prendere il caracol”.   Così cercheranno di fare in tutti i caracoles . Pensano che con l’assassinio di un compagno come Galeano, va a finire la lotta, la nostra organizzazione. Ma non è così. Per questo siamo qui, perché sia chiaro che la lotta zapatista non finisce. Vogliono che finisca l’esempio della nostra lotta, pensano che abbiamo paura che ci ammazzino. Noi sappiamo che siamo disposti e disposte a morire se è necessario così come i compagni caduti nell’anno 1994 che sapevano perché andavano a morire. E continuiamo la nostra lotta come continuò a farla il nostro compagno Galeano, perché lui segui l’esempio dei nostri compagni caduti. Così noi seguiamo l’esempio del nostro compagno Galeano. Per loro siamo esempio in Messico e nel mondo.

Compagne e compagni il nostro dovere principale come EZLN sono le comunita zapatiste, i nostri compagni e compagne base di appoggio. Se loro hanno un problema è la prima cosa che vediamo e cerchiamo di appoggiare. Noi non diciamo che venga un altro giorno o lo vediamo dopo o altro pretesto. Per questo abbiamo sospeso la nostra partecipazione con le nostre compagne e nostri compagni del Congresso Nazionale Indigeno e l’omaggio al compagno Luis Villoro. Non potevamo stare in due luoghi nello stesso tempo. Non potevamo seguire questo grave problema e nello stesso tempo occuparci di ospitare migliaia che avrebbero partecipato a questi incontri venendo da tutto il mondo. Quindi abbiamo dovuto scegliere e abbiamo scelto il nostro popolo. Siamo venuti fino a La Realidad, il paese del compagno Galeano e della sua famiglia e dei suoi compagne e compagni, dove sta la rabbia e il dolore. Come compagni che siamo e zapatisti veri che siamo dovevamo stare con le compagne e i compagni e sospendemmo i lavori. Non siamo andati passeggiando in altri luoghi come all’estero facendo discorsi perché la cosa più importante per noi sono le compagne e i compagni delle comunità, loro sono la nostra forza, nostro alimento, nostro destino. Loro sono noi.

Compagne e compagni siamo venuti a dissotterrare il nostro compagno Galeano. Tra poco potranno vedere come.

Queste persone che lo hanno assassinato sono sole, sono macchiate dal sangue pulito e puro di un lottatore. Per questo mai potranno lavarsi.   Stanno facendo il lavoro del demonio di Peña Nieto e di Velasco, del demonio del capitalismo neoliberale. Stanno obbedendo agli ordini del supremo paramilitare che è Peña Nieto e Velasco che perseguitano il popolo, le donne e gli uomini che lottano. Perseguitano le donne e gli uomini güeros [di pelle bianca NdT], perché ci sono compagne e compagni güeros che sono in basso e a sinistra. Perché è chiaro quello che vogliamo, quello che cerchiamo per questo paese e forse per il mondo: quello che diciamo: “Il popolo comanda e il governo obbedisce”. Andiamo a mettere sotto terra poco a poco questo sistema capitalista ingiusto, fottuto, sorpassato, disuguale, che già puzza e inquina con il suo marciume il mondo. Siamo mile e mille le zapatiste e gli zapatisti. In questo momento ci sono compagne e compagni nei caracoles che stanno facendo omaggio al compagno Galeano che non sono potuti venire fin qui. Ci sono compagne e compagni che stanno manifestando e protestando in varie parti del Messico, in varie città di altri paesi perché vedono che quello che stiamo costruendo è una alternativa, vedono un altro tipo di sistema di un mondo nuovo, si rendono conto che davvero siamo anticapitalisti. Per questo fu così tanto crudele la forma con cui assassinarono il compagno Galeano perché così glielo ordinò, così disse loro il mal governo di Peña Nieto e Velasco. E devono obbedire perché per questo sono pagati.   La disgrazia è che c’è gente con la testa fottuta e putrida che non pensano ai loro figli e figlie, che li lasciano a fare il lavoro per questi criminali. Perché è necessario avere giustizia.

Compagne e compagni i mal governi non ci rispettano come indigeni come noi siamo. Ci vedono come cani e pensano che siamo cani perché i cani si mordono tra di loro e si ammazzano tra di loro a seconda di chi vince. Noi diciamo chiaro “Non siamo cani. Siamo una organizzazione che lotta per la liberazione nazionale anticapitalista. Lottiamo per la Libertà, Giustizia e la Democrazia. Lottiamo per un mondo migliore, un mondo dove possano entrare tutti i mondi. Non permetteremo che ci facciano cambiare strada che è quello che vogliono questi brutti stronzi, malpartoriti dei mal governi”.   Ci da dolore e tristezza quello che fecero al nostro compagno Galeano, ma non andiamo a macchiarci con il male di fronte al male; perché lottiamo per la giustizia, per milioni di esseri viventi di questo paese e vogliamo e cerchiamo giustizia per i secoli dei secoli e per sempre e non come questi mal chiamati governi capitalisti che non sanno cos’è la giustizia perché essi sono gli stessi che commettono le ingiustizie. Continueremo il lavoro che ci ha lasciato il compagno Galeano e andiamo a farlo con la giusta e degna rabbia che ci lasciò. Il popolo comanda e il governo obbedisce. Come lui lo fece, con l’esempio dei compagni caduti nell’anno 1994. Dobbiamo seguirlo. Seguiremo l’esempio delle compagne compagni qualsiasi caduti, non importa se erano comandanti o non comandanti.

Abbiamo davanti molta strada per guadagnare la libertà del nostro popolo del Messico, non come dicono loro che ci sono solo due strade: le elezioni o le armi. Abbiamo visto durante questi 20 anni che quando dialoghiamo con questi vendepatria non è servito a niente. Nessuno dei tre poteri parassiti attuarono quello che avevano detto nel dialogo. Il dialogo che è servito è quello con la gente che sta in basso e a sinistra e ora sono le compagne e i compagni della Sexta, le compagne e i compagni dei mezzi di comunicazione liberi e alternativi che alcuni stanno qui e altri non poterono venire. A questo è servito il dialogo con il popolo del Messico e del mondo: ascoltare e apprendere. E ora, questo dialogo di ascolto, è toccato a migliaia di compagne e compagni attraverso la nostra escuelita. Ossia ci stiamo dando il turno a dialogare: comandi e basi con quelli in basso e a sinistra. All’inizio toccava ai comandanti dialogare e ora alle nostre compagne e ai nostri compagni delle comunità gli tocca dialogare.

Questa è la verità compagne e compagni. Ossia stiamo diventando tutti e tutte come buoni rappresentanti, come abbiano detto “Il popolo comanda e il governo obbedisce”. Per questo noi come zapatisti non siamo per lottarre al fine di prender il potere né con le elezioni, né con le armi ma siamo perché il popolo decida il suo cammino e lo faccia senza partiti politici che lo inganna e non lo rispetta e per difendere il nostro popolo.

Compagne e compagni la gente della CIOAC cosa fanno oltre al lavoro di essere paramilitari? E a chi serve questo?   Ai ricchi difendendo quelli che li sfruttano.   E di questo sono responsabili i loro lider, sia statali che nazionali che dicono di essere.   E’ certo: i lider statali e nazionali della CIOAC stavano nella pianificazione ed erano d’accordo con la “Crociata Nazionale contro la fame” perché li è dove c’è il denaro per rubare quello che è del popolo, sono gli avanzi quello che va al popolo. Cosi vivono, di questo vivono i lider. Non è un piano contro la fame, è un piano di controinsurrezione. Tutti i grandi e piccoli lider è li dove apprendono a orientare male al popolo, è li dove apprendono a essere mafiosi, imbroglioni, manipolatori.

Ascoltino quello che è la CIOAC:

–        CIOAC della comunità 20 Noviembre attaccarono quelli che erano il popolo della comunità 10 de Abril del caracol di Morelia pochi mesi fa. Quelli della CIOAC erano già entrati nella terra recuperata che confina con i compagni del territorio de La Realidad con Morelia, circa una anno fa.

–        quelli della CIOAC attaccarono la gente di Guadalupe Los Altos lungo il fiume Euseba con pallottole, circa un mese fa. La CIOAC attaccò sparando a lla gente di San José Las Palmas vicino a Las Margaritas.

–        quelli della CIOAC, circa 15 giorni fa, si scontrarono con la gente del Ejido Miguel Hidalgo Municipio de Las Margaritas.

–        quelli della CIOAC si scontrarono con la loro stessa gente nel Municipio Rayon Norte del Chiapas dove ci fu un morto.

–        Quelli della CIOAC il 2 di maggio attaccarono, in una imboscata, i compagni de La Realidad, li dove assassinarono, in forma crudele, il compagno Galeano.

Questo sono la CIOAC: paramilitari. Diretti dai lider paramilitari Los Luises, con i loro capi supremi Peña Nieto e Velasco. Perché cosi dicono i loro padroni del neoliberalismo che sono complici loro. Allora ci domandiamo: “Che futuro insegnano ai loro figli questa gente della CIOAC? Di essere paramilitari?” O essere assassini? In cambio di denaro per uccidere quelli del proprio popolo.   Questo è quello che hanno preparato i mal governi. Vanno a continuare così in qualsiasi caracol. Sono preparati contro di noi perché si stanno rendendo conto che rimane poca vita al sistema del malgoverno. Per questo vanno a fare qualsiasi cosa per brutale che sia contro di noi le zapatiste e gli zapatisti. Qui a La Realidad lo pianificò e lo portò avanti il mal governo per tentare di assassinare l’EZLN perché noi stiamo costruendo un altro sistema di governo, contro l’altro mal sistema capitalista. Per loro siamo il gran nemico principale ed è la verità che siano loro nemici perché ya basta!. E con questo ya basta! c’è il “comandare obbedendo” dove il governo non governa ma il popolo governa e quelli che sono nel governo sono servitori. Per questo quelli del mal governo pianificano, organizzano, spendono milioni per questo, comprano gente affinché vengano ad assassinarci. Per questo non dobbiamo sbagliarci: il nemico è quello in alto. Solo se li tiriamo giù cessano di essere il nemico. Con gli ingannati, gli assassini sì si farà giustiizia e tutto questo poi lo spieghiamo meglio. Noi non ci vendichiamo, ci vendichiamo ma contro il capitalismo.

Compagne e compagni, in verità non sappiamo parlare bene lo spagnolo, non sappiamo scrivere bene, non sappiamo leggere bene i libri, perché ci sono libri buoni e ci sono quelli che di fatto non servono perché anziché orientare ti confondono. Ma noi leggiamo molto bene la situazione brutta, bruttissima in cui noi messicani viviamo in questo paese e in altri paesi del mondo. La leggiamo pensando, ascoltando la gente in basso e a sinistra. E con questa lettura andiamo pensando come deve essere una vita migliore, cioè un altro sistema migliore. Lo spagnolo lo parliamo con molto sforzo per svegliare quelli in basso e a sinistra, per condividere la nostra idea di una costruzione di come governarci nella campagna e nella città, per mostrare quello che siamo e apprendere dall’esempio della lotta di altri. Alcuni scrivono molto perché non appresero nulla nel ministero dell’educazione pubblica, ma si misero solo la penna nel taschino della camicia e solo questo impararono. Ma noi scriviamo con l’esempio e la pratica delle nostre compagne e compagni. Chiaro, ora sanno scrivere, già costruirono le loro scuole autonome. Per questo diciamo chiaro che non è un problema se sappiamo o non sappiamo scrivere e parlare spagnolo, se sappiamo o non sappiamo leggere, se sappiamo molto o poco lo spagnolo, perché si cerca e ci si impegna con il pensiero e la pratica e così si va migliorando e correggendoci. E così che le compagne e i compagni basi di appoggio zapatista scrivono nella pratica con la loro creazione di un nuovo sistema di governo contro il mal sistema. Questa è la verità compagne e compagni della Sexta. Senza sapere dove va la virgola, gli accenti, i segni e altre cose ma sappiamo quale sistema nuovo ha bisogno questo paese. O no compagne e compagni?

(Risposta del popolo) “Si”

Così per domandare per vedere come va.

Compagne e compagni della Sexta. Lottiamo, lavoriamo, parliamo tra noi che siamo in basso. Non guardiamo più verso l’alto. Li non ci sono occhi né orecchie. Li non c’è rispetto. Guardino, è come con i mezzi di comunicazione pagati: se lì cerchi informazione su come sta il mal sistema di questo paese non trovi nulla, non viene fuori niente. Questo si; tutti i giorni escono note e notizie dei mal governi, perché sono pagati con migliaia di pesos, che il Messico sta migliorando grazie a questo governo e quando ti giri per guardare in basso per vedere se è vero quello che dicono i mezzi di comunicazione ben pagati, vedi che è totalmente il contrario.

Quindi bisogna guardare in basso. Cioè se vogliamo sapere come lottano altri fratelli di altri paesi bisogna andare a leggere e ascoltare i mezzi di comunicazione alternativi e liberi. Ascoltali, diciamo noi. Perchè loro ascoltano e diffondono quello che hanno ascoltato senza cambiare nulla e lo mandano per altri lati affinché altre e altri, come noi zapatisti, apprendiamo dalle altre lotte, le ascoltiamo e le appoggiamo. Cosi avanti! compagni dei mezzi di comunicazione liberi in basso e a sinistra E’ come ora. Se vogliamo sapere come e cosa stanno facendo le compagne e i compagni della Sexta ora lo troviamo solo nei mezzi di comunicazione alternativi. Nei mezzi pagati non c’è niente. Perché non c’è paga in queste notizie.   E così per quanto siano a sinistra e rivoluzionari hanno una gamba da una parte e una gamba dall’altra. E’ così: la dignità, è questa che a loro manca.

Nei mezzi di comunicazione alternativi è dove ci siamo resi conto delle mobilitazione delle compagne e compagni della Sexta, dove abbracciano la famiglia del compagno Galeano, salutano e abbracciano le compagne e i compagni de La Realidad con dignità e rabbia sia del Messico come di altri paesi del mondo. Così sappiamo delle mobilitazioni in tutti gli angoli del mondo per appoggiare, abbracciare la famiglia del compagno Galeano e i compagni de La Realidad.

In Messico abbiamo visto molte altre proteste nelle città e molte forme di protestare nelle pagine di internet e di twitter, così lo chiamano. Proteste che in tutto il mondo si incontrano tra di loro.

Compagni tutte e tutti siamo nella realtà de La Realidad per quello che hanno fatto i mal governi che vogliono assassinarci e distruggere quello che si sta costruendo qui ne La Realidad e diciamo al malgoverno: “Il popolo zapatista de la Realidad mai permettarà che la distruggano” Sarà un giorno una realtà in questo paese quello che si sta costruendo qui ne La Realidad.   Se non poterono finirci all’allba del 1° di gennaio del 1994 ancor meno ora.   Perché è nostro impegno liberare questo paese , passi quello che passa, costi quello che ci costa e venga quello che viene.

Dalle montagne del sud est messicano

Per i Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno

Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moises

Maggio 2014

La Realidad per la realtà di questo paese che un giorno sarà realtà in tutto il mondo

Oggi, anno 20 della guerra contro l’oblio.

Grazie compagne e compagni.

 

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Il Subcomandante Marcos annuncia la sua scomparsa

Alle 2:08 dell’alba di oggi, il Subcomandante Marcos ha annunciato che a partire da quel momento smetterà di esistere. In una conferenza stampa con i media liberi che partecipavano all’omaggio a Galeano, lo zapatista assassinato nella comunità zapatista di La Realidad, il capo militare dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), ha detto: “se posso definire Marcos, il personaggio, vi direi senza alcun dubbio che è stata una pagliacciata”.

Dopo più di 20 anni alla guida delll’organizzazione politico-militare sollevatasi in armi il primo gennaio del 1994, Marcos ha annunciato il passaggio di testimone. Ha detto che dopo i corsi della Escuelita Zapatista dell’anno scorso e dell’inizio di questo, “ci siamo resi conto che oramai c’era già una generazione che poteva guardarci, che poteva ascoltarci e parlarci senza bisogno di una guida o leadership, né pretendere sottomissione”. Allora, ha detto, “Marcos, il personaggio, non era più necessario. La nuova tappa della lotta zapatista era pronta”.

Nella comunità emblematica di La Realidad, la stessa in cui il 2 maggio scorso un gruppo di paramilitari della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H), ha assassinato la base di appoggio zapatista Galeano, il subcomandante Marcos è apparso di buon mattino di fronte ai rappresentanti dei media liberi accompagnato da sei comandantes e comandantas del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno e del Subcomandante Insurgente Moisés, al quale nel dicembre scorso aveva trasferito il comando.

“È nostra convinzione e la nostra pratica che per rivelarsi e lottare non sono necessari né leader né capi, né messia né salvatori; per lottare c’è bisogno solo di un po’ di vergogna, una certa dignità e molta organizzazione, il resto o serve al collettivo o non serve”, ha detto Marcos.

Con una benda nera col disegno di un teschio da pirata che copriva l’occhio destro, il fino ad ora portavoce zapatista ha ricordato l’alba del primo gennaio 1994, quando “un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo. Solo qualche giorno dopo, col sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade, ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano. Abituati a guardare gli indigeni dall’alto, non alzavano lo sguardo per guardarci; abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione. Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio che videro con un passamontagna, cioè, non vedevano. I nostri capi e cape allora dissero: ‘vedono solo la loro piccolezza, inventiamo qualcuno piccolo come loro, cosicché lo vedano e che attraverso di lui ci vedano’ “.

Così è nato Marcos, frutto di “una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un gioco malizioso del nostro cuore indigeno; la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione”.

La cronaca della conferenza, firmata dai “mezzi liberi, alternativi, autonomi o come si chiamino”, diffusa su diversi portali di comunicazione alternativa come Radio Pozol, Promedios e Reporting on Resistences, riproduce un clima di applausi ed evviva all’EZLN dopo l’annuncio della Comandancia.

La figura del subcomandante Marcos ha fatto il girò del mondo fin dalle prime ore del primo gennaio 1994. L’immagine di un uomo armato con cartucciere rosse ed un R-15, con indosso una divisa color caffè e nera coperto da un chuj di lana degli Altos del Chiapas, con il volto coperto da un passamontagna che fumava la pipa, era sulle prime pagine dei giornali più importanti del pianeta. Nei giorni e settimane successive arrivavano i suoi comunicati carichi di ironia ed umorismo, provocatori ed irriverenti. Qualche foglio bianco scritto a macchina da scrivere letteralmente raffazzonati per la stampa nazionale e internazionale. Venti anni e quattro mesi dopo, Marcos annuncia la fine di questa tappa.

“Difficile credere che venti anni dopo quel ´niente per noi´ no fosse uno slogan, una frase buona per striscioni e canzoni, ma una realtà, La Realidad”, ha detto Marcos. Ed ha aggiunto: “se essere coerente è un fallimento, allora l’incoerenza è la strada per il successo, per il potere. Ma noi non vogliamo prendere quella strada, non ci interessa. Su queste basi, preferiamo fallire che vincere.”

“Pensiamo”, ha deto, “che è necessario che uno di noi muoia affinché Galeano Viva. Quindi abbiamo deciso che Marcos oggi deve morire”.

“Alle 2:10 il Subcomandante Insurgente Marcos è sceso per sempre dal palco, si sono spente le luci ed è partita un’ondata di applausi degli e delle aderenti della Sexta, seguita da un’ondata ancora più grande di applausi delle basi di appoggio zapatiste, miliziani ed insurgentes“, hanno riferito dalla Realidad.

Fedele al suo stile ironico ed ai suoi tradizionali post scritti, il personaggio di Marcos ha concluso: P.S. 1 Game Over. 2. – Scaccomatto. 3. – Touché. 4. – Così Mhhh, è questo l’inferno? 5. – Cioè, senza l maschera posso andarmene in giro nudo? 6. – Qui è buio, ho bisogno di una torcia…”

Di seguito, la lettera completa di addio del Subcomandante Insurgente Marcos.

http://desinformemonos.org/2014/05/adios-al-subcomandante-marcos-nace-galeano/

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TRA LUCE ED OMBRA

La Realidad, Pianeta Terra

Maggio 2014

Compagna, compañeroa, compagno:

Buona notte, sera, giorno, qualunque sia la vostra geografia, tempo e modo.

Buone albe.

Chiedo in particolare alle compagne, compagni e compañeroas della Sexta che vengono da altre parti, ai media liberi compagni, di avere pazienza, tolleranza e comprensione per quello che dirò, perché queste saranno le mie ultime parole in pubblico prima di smettere di esistere.

Mi rivolgo a voi e a coloro che attraverso di voi ci ascoltano e ci guardano.

Forse all’inizio, o durante questo discorso, potrebbe nascere nel vostro cuore la sensazione che qualcosa sia fuori luogo, che qualcosa non quadri, come se mancassero dei tasselli per dare un senso al rompicapo che si sta delineando. Come se mancasse qualcosa.

Forse dopo giorni, settimane, mesi, anni, decenni si capirà quello che ora diciamo.

Le mie compagne e compagni dell’EZLN a tutti i livelli non mi preoccupano, perché questo è il nostro modo: camminare, lottare, sapendo che manca sempre ancora qualcosa.

Inoltre, nessuno si offenda, ma l’intelligenza delle/dei compas zapatisti è molto al di sopra della media.

Per il resto, ci inorgoglisce che sia davanti a compagne, compagni e compañeroas, sia dell’EZLN che della Sexta che si comunica pubblicamente questa decisione collettiva.

Ed è bello che sarà attraverso i media liberi, alternativi, indipendenti di questo arcipelago di dolori, rabbie e degna lotta che chiamiamo “la Sexta“, che verrete a conoscenza di quello che dirò dovunque vi troviate.

Se a qualcun altro interesserà sapere che cosa è successo in questo giorno dovrà rivolgersi ai media liberi per saperlo.

Bene dunque. Benvenute e benvenuti nella realtà zapatista.

I.- Una decisione difficile.

Quando nel 1994 con sangue e fuoco irrompemmo ed interrompemmo, per noi zapatisti non iniziava la guerra.

La guerra dell’alto, con la morte e la distruzione, la spoliazione e l’umiliazione, lo sfruttamento ed il silenzio imposti al vinto, la stavamo già subendo da secoli.

Quello che per noi inizia nel 1994 è uno dei molti momenti della guerra di quelli che stanno in basso contro quelli che stanno sopra, contro il loro mondo.

Quella guerra di resistenza che si svolge giorno per giorno per le strade di ogni angolo dei cinque continenti, nelle campagne e sulle montagne.

La nostra, come quella di molti e molte del basso, era ed è una guerra per l’umanità e contro il neoliberismo.

Contro la morte, noi chiedevamo vita.

Contro il silenzio, esigevamo la parola ed il rispetto.

Contro l’oblio, la memoria.

Contro l’umiliazione e il disprezzo, la dignità.

Contro l’oppressione, la ribellione.

Contro la schiavitù, la libertà.

Contro l’imposizione, la democrazia.

Contro il crimine, la giustizia.

Chi con un po’ di umanità nelle vene potrebbe o può contestare queste richieste?

Ed in quei momenti molti ascoltarono.

La guerra che iniziammo ci diede il privilegio di raggiungere ascolti e cuori attenti e generosi in geografie vicine e lontane.

Mancava certo qualcosa, e manca ancora, ma allora ottenemmo lo sguardo dell’altro, il suo ascolto, il suo cuore.

Allora ci vedemmo nella necessità di rispondere ad una domanda decisiva:

“Che cosa fare?”

I tetri conti della vigilia non includevano la possibilità di porci domande. Cosicché questa domanda ne portò altre:

Preparare quelli che seguiranno il cammino della morte?

Formare altri e migliori soldati?

Investire impegno nel migliorare la nostra malconcia macchina da guerra?

Fingere dialoghi e disposizione alla pace, ma continuare a preparare nuovi colpi?

Ammazzare o morire come unico destino?

O dovevamo ricostruire il cammino verso la vita, quello che avevano rotto e rompono dall’alto?

La strada non solo dei popoli originari, ma anche di lavoratori, studenti, maestri, giovani, contadini, oltre a tutte le differenze che si celebrano in alto, e sotto si perseguono e si puniscono.

Dovevamo segnare col nostro sangue il cammino che altri dirigono verso il Potere, o dovevamo rivolgere il cuore e lo sguardo verso quelli che siamo e quelli che sono quello che siamo, i popoli originari, guardiani della terra e della memoria?

Nessuno allora sentì, ma con le nostre prime incerte parole avvertimmo che il nostro dilemma non era tra negoziare o combattere, bensì tra morire o vivere.

Chi allora avesse inteso che quel precoce dilemma non era individuale, forse avrebbe capito meglio quello che è successo nella realtà zapatista negli ultimi 20 anni.

Ma vi dicevo che ci imbattemmo in quella domanda e quel dilemma.

Ed abbiamo compiuto una scelta.

Invece di formare guerriglieri, soldati e squadroni, abbiamo formato promotori di educazione, di salute, e sono state lanciate le basi dell’autonomia che oggi stupisce il mondo.

Invece di costruire quartieri militari, migliorare il nostro armamento, innalzare muri e trincee, sono state costruite scuole, ospedali e centri di salute, abbiamo migliorato le nostre condizioni di vita.

Invece di lottare per occupare un posto nel Partenone delle morti individualizzate del basso, abbiamo scelto di costruire la vita.

Tutto questo in mezzo ad una guerra che non perché sorda fosse meno letale.

Perché compas, una cosa è gridare “non siete soli”, ed un’altra affrontare solo col proprio corpo una colonna blindata di truppe federali, come successe nella zona degli Altos del Chiapas, e sperare che con un po’ di fortuna qualcuno lo venga a sapere, e sempre con un po’ di fortuna sperare che chi lo viene a sapere si indigni, e che con un altro poco più di fortuna chi si indigna faccia qualcosa.

Nel frattempo, i blindati vengono fermati dalle donne zapatiste, ed in mancanza d’altro è stato con improperi e pietre che il serpente di acciaio dovette tornare indietro.

E nella zona nord del Chiapas subire la nascita e lo sviluppo delle guardias blancas, riciclate allora come paramilitari; e nella zona Tzotz Choj le aggressioni continue di organizzazioni contadine che di “indipendente” a volte non hanno nemmeno il nome; e nella zona della Selva Tzeltal la combinazione di paramilitari e contras.

Ed una cosa è gridare “tutti siamo marcos” o “non tutti siamo marcos”, a seconda del caso o cosa, ed un’altra la persecuzione con tutto il macchinario di guerra, l’invasione dei villaggi, il “rastrellamento” delle montagne, l’uso dei cani addestrati, le pale degli elicotteri blindati che agitano le cime delle ceibe, l’ordine “vivo o morto” lanciato nei primi giorni di gennaio del 1994 e che raggiunse il suo livello più isterico nel 1995 e nel resto del sessennio dell’allora impiegato di una multinazionale, e che questa zona di Selva di Confine ha patito dal 1995 ed al quale si somma poi la stessa sequenza di aggressioni di organizzazioni contadine, l’uso di paramilitari, la militarizzazione, la persecuzione.

Se c’è un mito in tutto questo non è il passamontagna, ma la menzogna che si ripete fin da quei giorni, perfino ripresa da persone molto istruite, e cioè che la guerra contro gli zapatisti è durata solo 12 giorni.

Non farò un resoconto dettagliato. Qualcuno con un po’ di spirito critico e serietà può ricostruire la storia, e sommare e sottrarre per ottenere il risultato, e dire se sono stati e sono più i giornalisti dei poliziotti e soldati; se sono state più le lusinghe delle minacce e gli insulti, se il prezzo offerto era per vedere il passamontagna o per catturarlo “vivo o morto”.

In quelle condizioni, a volte solo con le nostre forze ed altre con l’appoggio generoso ed incondizionato di gente buona di tutto il mondo, si è andati avanti nella costruzione ancora incompiuta, certo, ma già definita di quello che siamo.

Non è dunque solo una frase, fortunata o sfortunata, a seconda se la si guardi dall’alto o dal basso, questa “siamo qui i morti di sempre, che muoiono di nuovo, ma ora per vivere“. È la realtà.

E quasi 20 anni dopo…

Il 21 dicembre del 2012, quando politica ed esoterismo coincidevano come altre volte nel predire catastrofi che cadono sempre sui soliti, quelli in basso, abbiamo replicato il colpo di mano del 1° gennaio ’94 e, senza sparare un solo colpo, senza armi, col nostro solo silenzio, abbiamo di nuovo soverchiato la superbia della città culla e nido del razzismo e del disprezzo.

Se il primo gennaio 1994 migliaia di uomini e donne senza volto attaccarono e presero le guarnigioni che proteggevano le città, il 21 dicembre 2012 sono state decine di migliaia di persone a prendere senza parole gli edifici da dove si celebrava la nostra scomparsa.

Il solo fatto inappellabile che l’EZLN non solo non si era indebolito, e tanto meno era scomparso, ma che era cresciuto quantitativamente e qualitativamente, sarebbe stato sufficiente per qualsiasi mente mediamente intelligente a rendersi conto che, in questi 20 anni, qualcosa era cambiato all’interno dell’EZLN e delle comunità.

Forse più di qualcuno penserà che sbagliammo nella scelta, che un esercito non può né deve impegnarsi per la pace.

Per molte ragioni, certo, ma la principale era ed è perché con una scelta diversa avremmo finito per sparire.

Forse è vero. Forse abbiamo sbagliato a scegliere di coltivare la vita invece di adorare la morte.

Ma noi abbiamo scelto senza ascoltare quelli di fuori. Non ascoltando quelli che chiedono ed esigono sempre la lotta fino alla morte, quando i morti però li mettono gli altri.

Abbiamo scelto guardandoci ed ascoltandoci, come il Votán collettivo che siamo.

Abbiamo scelto la ribellione, cioè, la vita.

Questo non vuol dire che non sapessimo che la guerra dell’alto avrebbe cercato e cerca di imporre di nuovo il suo dominio su di noi.

Sapevamo e sappiamo che avremmo sempre dovuto difendere ciò che siamo e come siamo.

Sapevamo e sappiamo che continuerà ad esserci la morte affinché ci sia la vita.

Sapevamo e sappiamo che per vivere, moriamo.

II.- Un fallimento?

Da quelle parti dicono che non abbiamo ottenuto niente per noi.

Non smette di sorprendere come si usi con tanta impudenza questa posizione.

Pensano che i figli e le figlie dei comandantes e comandantas dovrebbero godere di viaggi all’estero, di studi in scuole private e poi posti di rilievo in aziende o in politica. Che invece di lavorare la terra per strapparle il cibo con sudore e fatica, dovrebbero esibirsi sui social network mentre si divertono nei locali ad esibire il lusso.

Forse i subcomandanti dovrebbero procreare e passare in eredità ai loro discendenti le cariche, le prebende, le scene, come fanno i politici di ogni dove.

Forse dovremmo, come i dirigenti della CIOAC-H e di altre organizzazioni contadine, ricevere privilegi e soldi in progetti ed aiuti, tenercene la maggior parte e lasciare alle basi solo qualche briciola in cambio di eseguire gli ordini criminali che vengono dall’alto.

Ma è vero, non abbiamo ottenuto niente di tutto questo per noi.

Difficile da credere che 20 anni dopo quel “niente per noi“, adesso si scopre che non era uno slogan, una frase buona per cartelloni e canzoni, ma una realtà, la realtà.

Se l’essere conseguenti è un fallimento, dunque l’incoerenza è la strada per il successo, per il Potere.

Ma noi non vogliamo prendere quella strada.

Non ci interessa.

Su queste basi preferiamo fallire che vincere.

III.- L’avvicendamento.

In questi 20 anni nell’EZLN c’è stato un avvicendamento molteplice e complesso.

Alcuni hanno notato solo il fattore evidente: quello generazionale.

Adesso chi era piccolo o non era nemmeno nato all’inizio dell’insurrezione, lotta e guida la resistenza.

Ma alcuni studiosi non hanno notato altri avvicendamenti:

Quello di classe: dall’originale classe media istruita, all’indigeno contadino.

Quello di razza: dalla dirigenza meticcia alla dirigenza nettamente indigena.

Ed il più importante: l’avvicendamento di pensiero: dall’avanguardismo rivoluzionario al comandare ubbidendo; dalla presa del Potere dall’Alto alla creazione del potere dal basso; dalla politica professionale alla politica quotidiana; dai leader, ai popoli; dall’emarginazione di genere, alla partecipazione diretta delle donne; dallo scherno per l’altro, alla celebrazione della differenza.

Non mi dilungherò oltre, perché il corso “La Libertad según l@s zapatistas” è stata proprio l’occasione di constatare se nel territorio organizzato vale più il personale della comunità.

A livello personale non capisco perché gente pensante che afferma che la storia la fanno i popoli, si spaventi tanto di fronte all’esistenza di un governo del popolo dove non ci sono gli “esperti” del governare.

Perché li terrorizza che siano i popoli a comandare, a muovere e dirigere i propri passi?

Perché scuotono il capo con disapprovazione di fronte al comandare ubbidendo?

Il culto della personalità trova nel culto dell’avanguardismo il suo estremo più fanatico.

Ed è esattamente questo, che gli indigeni comandino e che ora un indigeno sia il portavoce e capo, ciò che li atterrisce, li allontana, ed alla fine li spinge via alla ricerca di qualcuno che abbia bisogno di avanguardie, capi e leader. Perché c’è razzismo anche nella sinistra, soprattutto in quella che si crede rivoluzionaria.

L’ezetaellenne non è di quelli. Per questo non tutti possono essere zapatisti.

IV.- Un ologramma cangiante e a modo. Quello che non sarà.

Prima dell’alba del 1994, ho trascorso 10 anni su queste montagne. Ho conosciuto ed avuto a che fare personalmente con alcuni con la cui morte siamo morti in molti. Conosco ed ho a che fare da allora con altri ed altre che oggi sono qui con noi.

Molte albe mi sono trovato io stesso a cercare di assimilare le storie che mi raccontavano, i mondi che disegnavano con silenzi, mani e sguardi, la loro insistenza nell’indicare qualcosa più in là.

Quel mondo così altro, così lontano, così alieno, era un sogno?

A volte pensavo che erano troppo avanti, che le parole che ci guidavano e guidano venivano da tempi per i quali non c’erano ancora calendari adeguati, persi com’erano in geografie imprecise: il sud degno sempre onnipresente in tutti i punti cardinali.

Poi mi sono accorto che non mi parlavano di un mondo inesatto e, pertanto, improbabile.

Quel mondo procedeva già col suo passo.

Voi non l’avete visto? Non lo vedete?

Non abbiamo ingannato nessuno del basso. Non nascondiamo che siamo un esercito, con la sua struttura piramidale, il suo centro di comando, le sue decisioni dall’alto verso il basso. Non neghiamo quello che siamo per ingraziarci i libertari o per moda.

Ma chiunque adesso può vedere se il nostro è un esercito che soppianta o impone.

E devo dire questo, ho già chiesto l’autorizzazione di farlo al compagno Subcomandante Insurgente Moisés:

Niente di quello che abbiamo fatto, nel bene o nel male, sarebbe stato possibile se un esercito armato, quello zapatista di liberazione nazionale, non si fosse sollevato contro il malgoverno esercitando il diritto alla violenza legittima. La violenza del basso di fronte alla violenza dell’alto.

Siamo guerrieri e come tali sappiamo qual’è il nostro ruolo ed il nostro momento.

All’alba del giorno primo del primo mese dell’anno 1994, un esercito di giganti, cioè, di indigeni ribelli, scese in città per scuotere il mondo al suo passaggio.

Solo pochi giorni dopo, col sangue dei nostri caduti ancora fresco per le strade cittadine, ci rendemmo conto che quelli di fuori non ci vedevano.

Abituati a guardare gli indigeni dall’alto, non alzavano lo sguardo per vederci.

Abituati a vederci umiliati, il loro cuore non comprendeva la nostra degna ribellione.

Il loro sguardo si era fermato sull’unico meticcio con addosso un passamontagna, ovvero, non guardavano.

Allora i nostri capi e cape dissero:

“Vedono solo quanto sono piccoli, creiamo qualcuno piccolo come loro affinché lo vedano ed attraverso lui vedano noi”.

Iniziò così una complessa manovra di distrazione, un trucco di magia terribile e meraviglioso, un malizioso trucco del nostro cuore indigeno, la saggezza indigena sfidava la modernità in uno dei suoi bastioni: i mezzi di comunicazione.

Incominciò allora la costruzione del personaggio chiamato “Marcos”.

Vi chiedo di seguirmi in questo ragionamento:

Supponiamo che ci sia un altro modo per neutralizzare un criminale. Per esempio, creandogli la propria arma micidiale, facendogli credere che è efficace, e sulla base della sua efficacia fargli costruire un piano, e far sì che nel momento in cui si prepara a sparare, “l’arma” torni ad essere quello che è sempre stata: un’illusione.

L’intero sistema, ma soprattutto i suoi mezzi di comunicazione, giocano a costruire notorietà per poi distruggerle se non si piegano ai loro propositi.

Il loro potere risiedeva (ora non più, per questo sono stati soppiantati dai social network) nel decidere che cosa e chi esisteva nel momento in cui sceglievano cosa dire e cosa tacere.

Infine, ma lasciamo stare, come è stato dimostrato in questi 20 anni, io non so niente di mezzi di comunicazione di massa.

Il fatto è che il SupMarcos è passato dall’essere un portavoce all’essere un elemento di distrazione.

Se la strada della guerra, cioè, della morte, ci ha preso 10 anni; quella della vita ci ha preso più tempo e richiesto più sforzi, per non parlare del sangue.

Perché, anche se non lo credete, è più facile morire che vivere.

Avevamo bisogno di tempo per essere e per trovare chi sapesse vederci per quello che siamo.

Avevamo bisogno di tempo per trovare chi ci guardasse non dall’alto, non dal basso, chi ci guardasse di fronte, chi ci guardasse con sguardo compagno.

Vi dicevo che incominciò allora la costruzione del personaggio.

Marcos un giorno aveva gli occhi azzurri, un altro li aveva verdi, o marroni, o miele, o neri, a seconda di chi scriveva l’intervista o scattava la foto. È stato riserva in qualche squadra di calcio, commesso in qualche negozio, autista, filosofo, cineasta, e gli eccetera che potete trovare sui media prezzolati di quei calendari ed in diverse geografie. C’era un Marcos per ogni occasione, cioè, per ogni intervista. E non è stato facile, credetemi, allora non c’era wikipedia e se venivano dallo Stato Spagnolo si doveva sapere se il corte inglés [la più importante catena di grandi magazzini in Spagna – n.d.t.], per esempio, era un taglio d’abito tipico dell’Inghilterra, un negozio di generi alimentari, o un supermercato.

Se posso definire il personaggio Marcos, direi senza indugio che è si è trattato di una caricatura.

Per intenderci, diciamo che Marcos era un Mezzo non Libero (attenzione: non è la stessa cosa di un media prezzolato).

Nella costruzione e mantenimento del personaggio abbiamo fatto alcuni errori.

“Errare è umano”, si dice.

Durante il primo anno esaurimmo tutto il possibile repertorio dei “Marcos“. Quindi all’inizio del 1995 eravamo in difficoltà ed il processo di autonomia dei popoli muoveva i suoi primi passi.

Dunque nel 1995 non sapevamo più cosa fare. È proprio quando Zedillo, PAN alla mano, “scopre” Marcos con lo stesso metodo scientifico con cui trova gli scheletri, cioè, per delazione esoterica.

La storia del tampiqueño ci diede un po’ di respiro, benché la frode successiva della Paca de Lozano ci fece temere che la stampa prezzolata mettesse in dubbio anche lo “smascheramento” di Marcos e scoprisse che si trattava di un’ulteriore frode. Fortunatamente non fu così. Come con questa, i media continuarono a bersi altre simili fandonie.

Qualche tempo dopo, il tampiqueño venne in queste terre. Insieme al Subcomandante Insurgente Moisés andammo a parlargli. Gli proponemmo di convocare una conferenza stampa congiunta così da potersi liberare dalla persecuzione dato che sarebbe stato evidente che lui e Marcos non erano la stessa persona. Non accettò. Venne a vivere qua. Qualche volta ha viaggiato e la sua faccia appare nelle fotografie dei funerali dei suoi genitori. Se volete potete intervistarlo. Ora vive in una comunità, a…. Ah, non vuole nemmeno che si sappia dove vive. Non diremo nient’altro fino a che non sarà lui, se un giorno lo vorrà, a raccontare la storia che ha vissuto dal 9 febbraio del 1995. Da parte nostra non ci resta che ringraziarlo di averci passato informazioni che ogni tanto abbiamo usato per alimentare la “certezza” che il SupMarcos non è quello che in realtà è, una caricatura o un ologramma, ma un professore universitario originario dell’attuale dolente Tamaulipas.

Nel frattempo continuavamo a cercare, a cercarvi, voi che adesso siete qui e chi non è qui ma c’è.

Abbiamo lanciato mille iniziative per incontrare l’altro, l’altra, l’altro compagno. Diverse iniziative per trovare lo sguardo e l’ascolto di cui necessitiamo e che meritiamo.

Nel frattempo, le nostre comunità progredivano e proseguiva l’avvicendamento di cui si è parlato molto o poco, ma che si può constatare direttamente, senza intermediari.

Nella ricerca dell’altro abbiamo spesso fallito.

Quelli che trovavamo, o ci volevano guidare o volevano che li guidassimo.

C’era chi si avvicinava e lo facevano per usarci, o per guardare indietro, sia con la nostalgia antropologica, sia con la nostalgia militante.

Così per qualcuno eravamo comunisti, per altri trotzkisti, per altri anarchici, per altri maoisti, per altri millenaristi, e tralascio altri “isti” che lascio a voi trovare.

Così è stato fino alla Sesta Dichiarazione dalla Selva Lacandona, la più audace e la più zapatista delle iniziative che abbiamo lanciato fino ad ora.

Con la Sexta finalmente abbiamo incontrato chi ci guarda di fronte e ci saluta e abbraccia, ed è così che si saluta e abbraccia.

Con la Sexta finalmente abbiamo incontrato voi.

Finalmente qualcuno che capiva che non cercavamo né pastori che ci guidassero, né greggi da condurre nella terra promessa. Né padroni né schiavi. Né capi né masse senza testa.

Ma mancava di vedere se eravate in grado di guardare ed ascoltare quello che siamo.

All’interno, i progressi delle comunità erano impressionanti.

Poi è arrivato il corso “La Libertad según l@s zapatistas”.

In 3 turni ci siamo accorti che c’era orami una generazione che poteva guardarci negli occhi, che poteva ascoltarci e parlarci senza aspettarsi guide o leadership, né pretendere sottomissione né controllo.

Marcos, il personaggio, non era più necessario.

La nuova tappa della lotta zapatista era pronta.

È successo allora quello che è successo e molte e molti di voi, compagne e compagni della Sexta, lo conoscono in maniera diretta.

Si potrà dire che la faccenda del personaggio fu oziosa. Ma uno sguardo onesto su quei giorni rivelerà quante e quanti ci hanno guardato, con piacere o fastidio, grazie alle messe in scena di una caricatura.

Quindi l’avvicendamento non è per malattia o morte, né per trasferimenti interni, purghe o epurazione.

Segue la logica dei cambiamenti interni all’interno dell’EZLN.

So che questo non quadra con i rigidi schemi dell’alto, ma questa è la pura verità.

E se questo rovina l’indolente e povera elaborazione dei rumorologi e zapatologi di Jovel, pazienza.

Non sono né sono stato mai malato, non sono né sono mai morto.

O sì, benché tante volte mi hanno ucciso, tante volte sono morto, e di nuovo sono qui.

Se abbiamo alimentato queste voci è stato perché così conveniva.

L’ultimo trucco dell’ologramma è stato simulare una malattia terminale, comprese tutte le morti sofferte.

Infatti, il commento “se la salute glielo permette” che il Subcomandante Insurgente Moisés ha usato nel comunicato annunciando l’incontro con il CNI, era l’equivalente di “se il popolo lo chiede” o “se i sondaggi mi favoriscono” o “se dio vorrà” e di altri luoghi comuni che sono stati il ritornello della classe politica negli ultimi tempi.

Se permettete un consiglio: dovreste coltivare un po’ di più il senso dell’umorismo, non solo per la salute mentale e fisica, ma anche perché senza senso dell’umorismo non capirete lo zapatismo. E chi non comprende, giudica; e chi giudica, condanna.

In realtà quella è stata la parte più semplice del personaggio. Per alimentare la diceria è stato solo necessario dire alle persone giuste: “ti svelo un segreto ma prometti di non dirlo a nessuno“.

Ovviamente l’hanno detto.

I principali collaboratori involontari delle voci sulla malattia e morte sono stati gli “esperti in zapatologia” che nella superba Jovel e nella caotica Città del Messico vantano la loro vicinanza allo zapatismo e la sua profonda conoscenza, oltre chiaramente ai poliziotti pagati come giornalisti, giornalisti pagati come poliziotti, e giornalist@ solo pagati, e male, come giornalisti.

Grazie a tutte e tutti loro. Grazie per la loro discrezione. Hanno fatto esattamente come supponevamo avrebbero fatto. L’unico lato negativo di tutto questo, è che adesso dubito che qualcuno confidi loro qualche segreto.

È nostra convinzione e nostra pratica che per ribellarsi e lottare non sono necessari né leader né capi né messia né salvatori. Per lottare c’è bisogno solo di un po’ di vergogna, un tanto di dignità e molta organizzazione.

Il resto, o serve per l’insieme collettivo o non serve.

È stato particolarmente comico quanto provocato dal culto della personalità tra i politologi ed analisti dell’alto. Ieri dicevano che il futuro di questo popolo messicano dipendeva dall’alleanza di 2 personalità. L’altro ieri dicevano che Peña Nieto si emancipava da Salinas de Gortari, senza accorgersi che se criticavano Peña Nieto passavano dalla parte di Salinas de Gortari; e che se criticavano quest’ultimo, appoggiavano Peña Nieto. Ora dicono che bisogna scegliere da che parte stare nella lotta dell’alto per il controllo delle telecomunicazioni, quindi o stai con Slim o stai con Azcárraga-Salinas. E più su, o con Obama o con Putin.

Chi aspira e guarda in alto può continuare a cercare il proprio leader; può continuare a pensare che si rispetteranno i risultati elettorali; che Slim appoggerà la sinistra; che appariranno i draghi e le battaglie di Game of Thrones; che Kirkman sarà fedele al fumetto originale della serie televisiva The Walking Dead; che gli oggetti fatti in Cina non si romperanno al primo utilizzo; che il calcio sarà uno sport e non un affare.

Sì, forse in qualche caso avranno ragione, ma non bisogna dimenticare che in tutti questi casi si tratta di meri spettatori, cioè, consumatori passivi.

Coloro che hanno amato e odiato il SupMarcos ora sanno che hanno odiato ed amato un ologramma. Il loro amore e odio sono stati quindi inutili, sterili, vacui, vuoti.

Non ci saranno dunque case-museo o targhe di metallo con su scritto qui è nato e cresciuto. Né ci sarà chi dirà di essere stato il subcomandante Marcos. Né si erediterà il suo nome o il suo incarico. Non ci saranno viaggi pagati all’estero per tenere conferenze. Non ci saranno trasferimenti né cure in ospedali di lusso. Non ci saranno vedove né eredi. Non ci saranno funerali, né onori, né statue, né musei, né premi, né niente di quello che il sistema fa per promuovere il culto della personalità e per sminuire la collettività.

Il personaggio è stato creato ed ora i suoi creatori, gli zapatisti e le zapatiste, lo distruggono.

Se qualcuno comprende la lezione delle nostre compagne e compagni, avrà compreso uno dei fondamenti dello zapatismo.

Così negli ultimi anni è successo quello che è successo.

Dunque ci siamo resi conto che la caricatura, il personaggio, l’ologramma, non erano più necessari.

Abbiamo più volte pianificato e poi più volte aspettato il momento adatto: il calendario e la geografia precisi per mostrare quello che in realtà siamo a chi in realtà è.

Poi è arrivato Galeano con la sua morte a marcare la geografia ed il calendario: “qui, a La Realidad; adesso: nel dolore e la rabbia”.

V.- Il Dolore e la Rabbia. Sussurri e grida.

Quando siamo arrivati qui nel caracol della Realidad, senza che nessuno ce lo dicesse abbiamo cominciato a parlare sussurrando.

Il nostro dolore parlava sommessamente, sommessamente la nostra rabbia.

Come se cercassimo di evitare che Galeano fosse disturbato dai rumori, dai suoni a lui estranei.

Come se le nostre voci ed i nostro passi lo chiamassero.

Aspetta compa”, diceva il nostro silenzio.

Non andartene”, sussurravano le parole.

Ma ci sono altri dolori ed altre rabbie.

In questo preciso momento, in altri angoli del Messico e del mondo, un uomo, una donna, uno/a altro/a, una bambina, un bambino, un uomo anziano, una donna anziana, una memoria, vengono picchiati crudelmente e impunemente, circondati dal crimine vorace che è il sistema, bastonati, machetati, sparati, finiti, trascinati via fra lo scherno, abbandonati, il loro corpo poi raccolto e pianto, la loro vita sepolta.

Solo qualche nome:

Alexis Benhumea, assassinato nell’Estado de México.

Francisco Javier Cortés, assassinato nell’Estado de México.

Juan Vázquez Guzmán, assassinato in Chiapas.

Juan Carlos Gómez Silvano, assassinato in Chiapas.

El compa Kuy, assassinato nel DF.

Carlo Giuliani, assassinato in Italia.

Aléxis Grigoropoulos, assassinato in Grecia.

Wajih Wajdi al-Ramahi, assassinato in un Campo profughi nella città della Cisgiordania di Ramalla. 14 anni, assassinato con un colpo a schiena sparato da un posto di osservazione dell’esercito israeliano, non c’erano marce, né proteste, non c’era nulla in strada.

Matías Valentín Catrileo Quezada, mapuche assassinato in Chile.

Teodulfo Torres Soriano, compa della Sexta desaparecido a Città del Messico.

Guadalupe Jerónimo e Urbano Macías, comuneros di Cherán, assassinato in Michoacán.

Francisco de Asís Manuel, desaparecido a Santa María Ostula

Javier Martínes Robles, desaparecido a Santa María Ostula

Gerardo Vera Orcino, desaparecido a Santa María Ostula

Enrique Domínguez Macías, desaparecido a Santa María Ostula

Martín Santos Luna, desaparecido a Santa María Ostula

Pedro Leyva Domínguez, assassinato a Santa María Ostula.

Diego Ramírez Domínguez, assassinato a Santa María Ostula.

Trinidad de la Cruz Crisóstomo, assassinato a Santa María Ostula.

Crisóforo Sánchez Reyes, assassinato a Santa María Ostula.

Teódulo Santos Girón, desaparecido a Santa María Ostula.

Longino Vicente Morales, desaparecido in Guerrero.

Víctor Ayala Tapia, desaparecido in Guerrero.

Jacinto López Díaz “El Jazi”, assassinato a Puebla.

Bernardo Vázquez Sánchez, assassinato in Oaxaca

Jorge Alexis Herrera, assassinato in Guerrero.

Gabriel Echeverría, assassinato in Guerrero.

Edmundo Reyes Amaya, desaparecido in Oaxaca.

Gabriel Alberto Cruz Sánchez, desaparecido in Oaxaca.

Juan Francisco Sicilia Ortega, assassinato in Morelos.

Ernesto Méndez Salinas, assassinato in Morelos.

Alejandro Chao Barona, assassinato in Morelos.

Sara Robledo, assassinata in Morelos.

Juventina Villa Mojica, assassinata in Guerrero.

Reynaldo Santana Villa, assassinato in Guerrero.

Catarino Torres Pereda, assassinato in Oaxaca.

Bety Cariño, assassinata in Oaxaca.

Jyri Jaakkola, assassinato in Oaxaca.

Sandra Luz Hernández, assassinata in Sinaloa.

Marisela Escobedo Ortíz, assassinata in Chihuahua.

Celedonio Monroy Prudencio, desaparecido in Jalisco.

Nepomuceno Moreno Nuñez, assassinato in Sonora.

Le/i migranti fatti sparire e probabilmente assassinati in qualche parte del territorio messicano.

I carcerati che si vogliono ammazzare in vita: Mumia Abu Jamal, Leonard Peltier, i Mapuche, Mario González, Juan Carlos Flores.

La continua sepoltura di voci che erano vive, messe a tacere dal cadere della terra su di loro e dal chiudersi delle sbarre.

E la più grande beffa è che con ogni palata di terra lanciata dallo sbirro di turno, il sistema dice: “Non conti niente, nessuno piangerà per te, nessuno si infurierà per la tua morte, nessuno seguirà le tue orme, nessuno può trattenere la tua vita“.

E con l’ultima palata sentenzia: “anche se prenderanno e puniranno quelli che ti hanno ucciso, ne troveremo sempre un altro, un’altra, altri, che tenderanno un’imboscata e ripeteranno la danza macabra che ha posto fine alla tua vita”.

E dice “La tua giustizia piccola, nana, fabbricata affinché i media pagati mentano per calmare le acque dopo il caos suscitato, non mi spaventa, non mi danneggia, non mi punisce”.

Che cosa diciamo a quel cadavere che, in ogni angolo del mondo del basso, viene sepolto dall’oblio?

Che solo il nostro dolore e rabbia contano?

Che solo la nostra indignazione significa qualcosa?

Che mentre sussurriamo la nostra storia, non sentiamo il suo pianto, il suo urlo?

Ha tanti nomi l’ingiustizia e sono tante le grida che provoca.

Ma il nostro dolore e la nostra rabbia non ci impediscono di sentire.

Ed i nostri sussurri non sono solo per piangere la caduta dei nostri morti ingiustamente.

Sono per poter ascoltare altri dolori, fare nostre altre rabbie e proseguire così nel complicato, lungo e tortuoso cammino di trasformare tutto ciò in un urlo che diventi lotta liberatrice.

E non dimenticare che, mentre qualcuno sussurra, qualcun’altro grida.

E solo l’udito attento può sentire.

Mentre ora parliamo ed ascoltiamo, qualcuno grida di dolore, di rabbia.

E così come bisogna imparare a rivolgere lo sguardo, l’ascolto deve trovare la direzione che lo renda fertile.

Perché mentre qualcuno riposa, c’è chi prosegue la salita.

Per vedere questo impegno, basta abbassare lo sguardo ed elevare il cuore.

Ce la fate?

Ce la farete?

La giustizia piccola somiglia tanto alla vendetta. La giustizia piccola è quella che distribuisce impunità, punendo uno, ne assolve altri.

Quella che vogliamo noi, per la quale lottiamo, non si esaurisce con la scoperta degli assassini del compa Galeano e forse della loro punizione (che se avverrà, nessuno si faccia trarre in inganno).

La ricerca paziente e tenace vuole la verità, non il sollievo della rassegnazione.

La giustizia grande ha che vedere col compagno Galeano sepolto.

Perché noi ci chiediamo non che cosa fare della sua morte, ma che cosa dobbiamo fare della sua vita.

Scusate se entro nel paludoso terreno dei luoghi comuni, ma quel compagno non meritava di morire, non così.

Tutto il suo impegno, il suo quotidiano sacrificio, puntuale, invisibile per chi non era noi, era per la vita.

E vi posso dire che era un essere straordinario ed inoltre, e questo è quello che stupisce, ci sono migliaia di compagne e compagni come lui nelle comunità indigene zapatiste, con la stessa dedizione, identico impegno, uguale chiarezza ed unico destino: la libertà.

E facendo conti macabri: se qualcuno merita la morte è chi non esiste né è esistito, se non nella fugacità dei mezzi di comunicazione prezzolati.

Il nostro compagno capo e portavoce dell’EZLN, il Subcomandante Insurgente Moisés, ci ha detto che assassinando Galeano, o uno chiunque degli zapatisti, quelli di sopra volevano assassinare l’EZLN.

Non come esercito, ma come ostinato ribelle che costruisce vita dove loro, quelli di sopra, desiderano la desolazione delle industrie minerarie, industrie petrolifere, turistiche, la morte della terra e di chi l’abita e lavora.

Ed ha detto che siamo venuti qui, come Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, a dissotterrare Galeano.

Pensiamo che sia necessario che uno di noi muoia affinché Galeano viva.

E per soddisfare la morte impertinente, al posto di Galeano mettiamo un altro nome affinché Galeano viva e la morte non si porti via una vita, ma solo un nome, poche lettere prive di senso, senza storia propria, senza vita.

Quindi abbiamo deciso che Marcos da oggi smette di esistere. Lo prenderanno per mano il guerriero ombra e la piccola luce affinché non si perda lungo il cammino. Don Durito se ne andrà con lui, e così anche il Vecchio Antonio.

Non mancherà alle bambine ed ai bambini che gli si facevano intorno per ascoltare i suoi racconti, perché sono ormai grandi, hanno giudizio, lottano per la libertà, la democrazia e la giustizia, che è il compito di ogni zapatista.

Il gatto-cane, e non un cigno, intonerà il canto di addio.

Alla fine chi capirà, saprà che non se ne va chi non c’è mai stato, né muore chi non ha vissuto.

E la morte se ne andrà via ingannata da un indigeno col nome di lotta di Galeano, e sulle pietre posate sulla sua tomba tornerà a camminare ed ad insegnare, a chi lo vorrà, la base dello zapatismo, cioè, non vendersi, non arrendersi, non tentennare.

Oh morte! Come se non fosse evidente che libera quelli di sopra da ogni responsabilità al di là dell’orazione funebre, l’omaggio blando, la statua sterile, il museo controllore.

A noi? Beh, a noi la morte ci impegna alla vita che contiene.

Quindi siamo qui, a deridere la morte nella realtà.

Compas:

Detto questo, alle ore 02:08 del 25 maggio 2014 sul fronte di combattimento sudorientale dell’EZLN, dichiaro che smette di esistere il noto come Subcomandante Insurgente Marcos, l’autodenominato “subcomandante di acciaio inossidabile”.

È tutto.

Per mia voce non parlerà più la voce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Bene. Salute e a mai più… o hasta siempre, chi ha capito sa che questo non ha più importanza, non ne ha mai avuta.

 

Dalla realtà zapatista.

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, 24 maggio 2014

 

P.S.1.- “Game is over”?

P.S.2.- Scacco Matto?

P.S.3.- Touché?

P.S. 4.- Fatevene una ragione, raza, e mandate tabacco.

P.S. 5.- Mmm… e questo sarebbe l’inferno… Quel Piporro, Pedro, José Alfredo! Come? Quei machisti? Naah, non credo, ma se io non ho mai…

P.S.-6.- Quindi, senza travestimento, adesso posso andarmene in giro nudo?

P.S. 7.- Hei, è buio qui, fatemi un po’ di luce.

(…)

(si sente una voce fuori campo)

Compagne e compagni vi auguro buone albe. Il mio nome è Galeano, Subcomandante Insurgente Galeano.

Qualcun altro si chiama Galeano?

(si alzano voci e grida)

Oh, mi avevano detto che quando sarei rinato lo avrei fatto collettivamente.

Così sia dunque.

Buon viaggio. Abbiate cura di voi, e di noi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, maggio 2014

 

Ascolta il discorso del Subcomandante Marcos che annuncia la sua scomparsa

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Testo originale 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 maggio 2014

Messe in discussione dai recenti fatti a Las Margaritas le conclusioni degli accademici istituzionali che davano per morto lo zapatismo, un “mito ideologico”

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 20 maggio. I ricercatori sociali istituzionali che hanno documentato da una prospettiva antizapatista le vicende nelle vallate tojolabal di Las Margaritas tra il 2001 e 2012, devono ora rivedere le loro interviste e ricerche sul campo confrontando i nomi dei loro informatori con i protagonisti centrali della recente violenza a La Realidad, soprattutto con quelli degli assassini dello zapatista Galeano.

Con informatori “disertori”, “oppositori” o falsi seguaci dello zapatismo che in diverse pubblicazioni accademiche gli studiosi hanno celebrato, perché aiutavano a “sostenere” la loro tesi con “imparzialità ed onestà”, le loro investigazioni davano per quasi morto lo zapatismo, una sorta di mito ideologico impermeabile alla verità. Oggi, crudelmente, i loro affanni di purezza sono di fronte alla cruda realtà.

La crisi delle politiche contrainsurgentes

L’aggressione contro le basi zapatiste e la giunta di buon governo che ha portato ad un omicidio premeditato e con accanimento, segna la crisi delle recenti politici contrainsurgentes rivolte alle sempre assediate comunità autonome zapatiste. All’origine solo militare (dal 1994), la lotta allo zapatismo ed alla sua influenza sociale (o “contaminazione”) è evoluta fino a situazioni molto violente nelle zone chol e tzotzil, compresi massacri e sgomberi di migliaia di famiglie ribelli o simpatizzanti con uno schema paramilitare convenzionale, benché dissimulato. Gli anni peggiori vanno dal 1996 al 1998, quando lo stesso Esercito federale partecipava ad azioni letali contro gli zapatisti (almeno a San Juan de la Libertad, El Bosque), seguendo ordini diretti del presidente Ernesto Zedillo.

Dopo i cambiamenti di governo federale e statale, a partire dal 2001 fioriscono nuove forme di contrainsurgencia. Col ritiro di alcune posizioni significative nella “zona di conflitto”, soprattutto quelle vicine ai caracol (allora chiamate Aguascalientes), l’Esercito ed il governo di Vicente Fox creano il miraggio mediatico del ritiro delle truppe nelle regioni indigene del Chiapas, che nei fatti non è mai avvenuto.

Senza mai menzionare l’occupazione militare massiccia nelle Gole e negli Altos (una costante non da poco nella vita comunitaria di centinaia di villaggi), a metà della decade scorsa si forma una corrente di ricerca a partire dal Colegio de México, con a capo il ricercatore Marco Estrada Saavedra, e da alcuni circoli accademici di San Cristóbal de Las Casas. Strettamente legata all’allora delegato federale per il Chiapas, Luis H. Álvarez, questa corrente “entra” nelle “zone zapatiste” da canali ufficiali. Il suo primo prodotto è il voluminoso libro “La comunità armata e l’EZLN” (El Colegio de México, 2006), dello stesso Estrada Saavedra, dedicato esclusivamente alle valli tojolabal della selva Lacandona, il cui epicentro ribelle è a La Realidad.

L’autore sviluppa il concetto di “comunità armata” per opporre agli zapatisti gli altri gruppi politici della regione, in maggioranza ascritti al governo (compresi gli “indipendenti”) e bersaglio continuo della contrainsurgencia educativa, economica e propagandistica. È con questi ultimi che si relazionano Estrada Saavedra ed i suoi aiutanti per il lavoro sul campo.

In un saggio recente, il sociologo e filosofo elabora il dilemma “Impegno o conoscenza?”, e giustifica il suo lavoro – che suppone imparziale, obiettivo e scientifico – nelle vallate tojolabal, squalificando “l’impegno” perché ideologico e parziale, se non fantasioso. E scrive:

“Non meritano gli altri – cioè, quelli con i quali non si è politicamente d’accordo – di essere trattati con imparzialità ed onestà? Ovviamente che lo meritano. Anche questa affermazione risulta politicamente conveniente e più che necessaria per appoggiare le lotte popolari. Occuparsi solo degli attori subordinati facendo storia, antropologia o sociologia ‘dal e con quelli del basso’, risulta unilaterale ed insufficiente tanto quanto dedicare l’attenzione esclusivamente ai gruppi dominanti. Sono le relazioni di entrambi, e non solo le loro posizioni, che spiegano la dominazione e la subordinazione. La pratica reale dei ‘ricercatori impegnati’ si ammanta di mera arroganza populista da logocentrici (sic)”. Relazione 137, El Colegio de Michoacán, inverno 2014).

È stato lungo e sinuoso il cammino del ricercatore e dei suoi colleghi per giungere a queste conclusioni, smascherate ora dagli avvenimenti in quella regione. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/21/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 19 maggio 2014

Organizzazione tojolabal accusa la Cioac-H di legami con Pablo Salazar Mendiguchía

Hermann Bellinghausen. Inviato. Comitán. Chis. 18 maggio. Nel condannare le aggressioni contro le basi di appoggio zapatiste di La Realidad, l’organizzazione tojolabal Luz y Fuerza del Pueblo, con sede a Las Margaritas, afferma: Gli scontri tra comunità, la repressione e la violenza che viviamo attualmente in Chiapas nascono dalle lotte di potere scatenate dai partiti politici ed i loro dirigenti. Inoltre, collega la Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (Cioac-H), indicata come responsabile dell’attacco agli zapatisti nel quale ha perso la vita Galeano, col gruppo politico dell’ex governatore Pablo Salazar Mendiguchía.

Da una parte, precisa l’organizzazione aderente della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, c’è il PRI, guidato da Roberto Albores Gleason, in conflitto con l’attuale governatore, Manuel Velasco Coello, del PVEM, per esautorarlo dal governatorato, e questi si difende raccogliendo forze tra i partiti, con progetti e denaro che distribuisce la Fundación Tierra Verde, facendo in modo che i militanti di PRI e del PRD si fondano o si alleino col PVEM.

Da parte sua, Salazar Mendiguchía sta costituendo il Movimiento de Organizaciones Sociales de Chiapas (Mosech), al quale aderiscono la Cioac Histórica, las Ocez, la Opez, las Arics ed altre organizzazioni che vogliono fare bella figura col padrone e così ottenere poltrone nelle strutture di governo e nelle prossime elezioni.

Luz y Fuerza del Pueblo la settimana scorsa ha realizzato il forum “La resistenza civile di fronte alle riforme strutturali e costruzione di alternative”, nell’ejido Gabino Vázquez, vicino a Las Margaritas, con la partecipazione dei maestri del blocco democratico e di educazione indigena, contadini e studenti tojolabal, comunità ecclesiali di base, cattoliche, chiese evangeliche e rappresentanti contadini di altre regioni del Chiapas. Da questo forum è uscito un documento che descrive la situazione da un punto di vista locale:

“Condanniamo l’aggressione subita dai nostri fratelli zapatisti il 2 maggio nel caracol di La Realidad da parte di persone che appartengono alla Cioac Histórica. Ci dispiace molto che essendo indigeni tojolabal la base sociale di entrambe le organizzazioni, una di esse abbia aggredito l’altra sapendo che la sola cosa ottenuta è una più profonda divisione, altro dolore, rabbia distruzione e morte, e che il vincitore è il governo, nei suoi tre livelli, ed i partiti politici. Negli scontri di questo tipo, a perdere è il popolo”.

I membri di questa organizzazione hanno vissuto sulla propria pelle le divisioni e gli scontri indotti dai partiti e dalle istituzioni: Chi resta in mezzo al fuoco incrociato sono le basi sociali delle comunità, di qualunque partito o organizzazione. Si stanno ricomponendo i gruppi paramilitari e le organizzazioni che dicono di essere di sinistra del PVEM, dove si attua la contrainsurgencia contro il progetto dell’autonomia zapatista.

Nel documento diffuso da Modesto Sánchez, Luz y Fuerza del Pueblo invita le organizzazioni social ed i loro dirigente a non fare il gioco del governo, sia federale che statale. Ed aggiunge: Cerchiamo le strade dell’unità, della riconciliazione, della pace, del dialogo e del bene comune. Costruiamo insieme strade di libertà, soluzioni pacifiche e concordate con le comunità. Non vendiamo le nostre coscienze per progetti che sono solo briciole che il potere distribuisce per mantenersi lì. Fratelli, non perdiamo di vista il nemico comune.

Gli indigeni accusano il governo federale, quello del Chiapas ed il municipale di Las Margaritas per la violenza che subiscono i nostri popoli ed in particolare questa aggressione ai fratelli zapatisti. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/19/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Dolore e rabbia in Chiapas

Cristina Mastrandrea

«Furono il dolore e la rabbia che ci spinsero a sfidare tutto e tutti 20 anni fa. E sono il dolore e la rabbia che ora ci fanno indossare di nuovo gli stivali, mettere l’uniforme, infilare la pistola e colprirci il volto. E rimettermi il vecchio e logoro berretto con le 3 stelle rosse a cinque punte». Dalle montagne del Sudest del Messico parla il subcomandante insurgente Marcos, pochi giorni dopo l’aggressione armata dei paramilitari allo storico Caracol zapatista de la Realidad da parte del Cioac-H (Central independiente de obreros agrícolas y campesinos independiente histórica), un gruppo paramilitare della zona della Selva Lacandona. Lo scorso marzo i paramilitari avevano sequestrato un camion della Giunta del Buon Governo a la Realidad. La sera del 2 maggio, mentre si svolgeva una riunione alla quale era presente anche il Centro per Diritti Umani Fray Bartolomè de las Casas per risolvere pacificamente il problema della camionetta, un centinaio di componenti del Cioac-H hanno attaccato il Caracol la Realidad. Un attacco con pietre, armi da fuoco e machete alla clinica pubblica e alla scuola, più il sabotaggio della rete idrica. «Si è trattato di un’aggressione premeditata, organizzata militarmente — dice il subcomandante Marcos nel suo comunicato – sono implicati anche il Partito verde ecologista (nome in pratica con il quale il Pri governa in Chiapas), il Partito di azione nazionale e il Partito rivoluzionario istituzionale, ma anche il governo dello Stato del Chiapas e in una qualche maniera anche quello federale». I paramilitari hanno poi teso un’imboscata anche a un gruppo di convogli di zapatisti che stavano recandosi a La Realidad. Dal Caracol alcuni zapatisti hanno cercato di raggiungere e soccorrere i loro compagni feriti ma sono stati attaccati nuovamente. E qui è stato ucciso il «compagno Galeano», Josè Luis Solis Lopez: con una pallottola al torace e una alla testa, dopo essere stato colpito con diversi colpi di bastone alla schiena, in testa e con un colpo di machete alla bocca — come si legge nel comunicato del Frayba (Centro per la difesa dei diritti umani Fray Bartolomè de Las Casas, che era presente in loco). «Il compagno Galeano è stato lasciato lì solo – scrive il subcomandante Marcos nel comunicato -. Il suo corpo in mezzo a quello che una volta era territorio degli “accampamentisti”, uomini e donne da tutto il mondo venuti a costruire “l’accampamento della pace” della Realidad. E sono state le compagne, le donne zapatiste della Realidad a sfidare la paura ed andare a recuperare il corpo». Nell’aggressione sono anche rimaste gravemente ferite circa 15 persone.

Cuore del popolo

Galeano era conosciuto da molti anche perché era stato maestro durante la Escuelita Zapatista dell’agosto 2013 e dicembre 2014, Un votan, come viene chiamato dai «compagni zapatisti», termine che indica un «guardiano e cuore del popolo», un riferimento, una guida all’interno della scuola per tutti, indipendentemente dall’età, genere, razza dell’alunno. A 20 anni dalla rivoluzione, la Escuelita, «la scuola della libertà», ha rappresentato il simbolo dell’apertura delle comunità zapatiste verso la solidarietà internazionale, al quale hanno partecipato attivisti da tutto il mondo. A seguito di queste violenze, la Giunta del Buon Governo ha chiesto espressamente all’Esercito zapatista di liberazione nazionale (Eznl) di investigare e fare giustizia e ha annullato gli incontri internazionali di maggio e giugno previsti a Oventik. ll Congresso nazionale indigeno (Cni), che si sarebbe dovuto riunire a fine maggio in territorio zapatista, chiede la fine immediata della guerra contro le sorelle e i fratelli zapatisti e la punizione dei responsabili dell’agguato del maggio. All’incontro, organizzato per fine maggio, avrebbe dovuto partecipare anche l’Eznl, con la probabile presenza anche del subcomandante Marcos. A seguito dei fatti gravissimi accaduti a La Realidad, è stata annullata la partecipazione alla sessione pubblica, così come all’omaggio al filosofo Luis Villoro e al Seminario Etica contro il Sopruso, a San Cristóbal de las Casas, in programma la prima settimana di giugno. Moltissimi gli intellettuali che in questi giorni hanno espresso solidarietà e appoggio al popolo zapatista, un comunicato diffuso su internet porta la firma di personaggi come Noam Chomsky, Arundathi Roy, Naomi Klein, Immanuel Wallerstein, Ivon LeBot, Kristinn Hrafnsson (di WikiLeaks), Manuel Castells, Michael Hardt, Gustavo Esteva, Pierre Beaucage, di persone comuni e organizzazioni messicane ed europee.

Stato di allerta continuo

Le comunità zapatiste sono abituate a vivere in uno stato di continua allerta e in un clima di guerra. Nonostante le violenze, la militarizzazione del territorio e le continue aggressioni da parte dei paramilitari, le comunità cercano di preservare la loro autonomia. Sono organizzate in Municipi Autonomi che si autogovernano attraverso le «Giunte di Buon Governo» basate sulla rotazione degli incarichi e sulla democrazia diretta e assembleare. In questi 20 anni sono riusciti a realizzare scuole, cliniche e case di salute, piccole cooperative di produzione e commercializzazione, e continuano a chiedere l’applicazione degli Accordi di San Andrés del 1996, mai applicati, dove il governo si impegnava a riconoscere costituzionalmente l’autonomia dei popoli indigeni e garantiva il riconoscimento dei diritti politici, giurisdizionali e culturali di questi. La strategia adottata dal governo contro il popolo zapatista è stata principalmente quella di indebolire il processo di autonomia delle comunità. In primo luogo attraverso la così detta «guerra a bassa intensità», che in Chiapas ha avuto inizio dal 1994, basata sulla ricostruzione di gruppi paramilitari locali, finanziati e armati da partiti filogovernativi e addestrati per minacciare e cacciare le comunità zapatiste dalle terre riconquistate nel ’94, facendo apparire il loro sgombero come un conflitto tra indigeni. In secondo luogo, adottando una strategia meno visibile, indebolendo il movimento dall’interno, creando divisioni nella comunità. Molti zapatisti lasciano le fila del movimento perché sempre più incentivati da fondi governativi allo sviluppo e per la realizzazione di progetti per lo più turistici.

Il Manifesto 17 maggio 2014

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La sporca guerra «a bassa intensità» contro gli zapatisti

Abbiamo chiesto ad Annamaria, del Comitato Chiapas “Maribel” di Bergamo (il nome in onore della Maggiore Maribel dell’Ezln, simbolo della condizione femminile e della sua partecipazione attiva alla lotta, alla vita politica e sociale) — formato da un gruppo di persone che dal 1996 hanno deciso di occuparsi del Chiapas dall’Italia – il suo parere su quanto sta accadendo ormai da anni in Chiapas e sul futuro del movimento zapatista e del suo popolo.

Cosa significano oggi per il Messico l’Ezln e le comunità zapatiste?
L’Ezln e le comunità zapatiste sono uno schiaffo morale per il potere politico in Chiapas e in Messico. Dopo 20 anni, cinque presidenti della Repubblica e otto governatori non hanno minimamente scalfito la resistenza e l’autorevolezza dell’Ezln e delle sue comunità che, malgrado siano trattati come «oggetti destinatari di interesse pubblico» (come sancisce la legge truffa del 2001), nonostante la violenza estrema, la militarizzazione dei territori di loro influenza, le aggressioni dei paramilitari con impunità garantita e una sostenuta guerra di bassa intensità e logoramento, oggi continuano a mantenere la loro autonomia con i Municipi Autonomi e si autogovernano attraverso le Giunte di Buon Governo, in contrapposizione al malgoverno ufficiale.

Cos’è e cosa significa «la guerra a bassa intensità»?
È una vera e propria guerra che in maniera occulta, subdola, silenziosa, provoca morte e distruzione come una guerra convenzionale senza però il clamore delle bombe e degli spari a cielo aperto. Il Chiapas continua ad essere un territorio fortemente militarizzato con la presenza di oltre 60.000 soldati dell’Esercito federale installati con i loro accampamenti militari nelle zone indigene. Si susseguono violenze e sgomberi forzati di intere comunità, uomini, donne e bambini che si aggiungono alle decine di migliaia di «profughi interni». È una guerra sporca per stroncare con il terrore, gli omicidi e la fame, la resistenza delle comunità indigene e dell’Ezln) che dal 1994 rispetta il cessate il fuoco e non ha più fatto uso delle armi.

Chi sono i paramilitari e da chi sono finanziati?
I paramilitari sono il braccio armato dei grandi proprietari terrieri locali e delle lobby politiche e finanziarie. Fanno il lavoro sporco che i malgoverni locali non possono compiere. È alla luce del sole il loro legame con i partiti politici locali, di tutti gli schieramenti. Negli ultimi due anni si sono prepotentemente riattivati in Chiapas dopo la scarcerazione dei colpevoli materiali del massacro di Acteal (il 22 dicembre 1997 a Acteal furono massacrati 45 indigeni: 16 tra bambini e adolescenti, 20 donne, alcune incinta, e 9 uomini, ndr) e quasi ogni giorno ormai si ha notizia di aggressioni e vessazioni da parte di elementi paramilitari contro le comunità zapatiste che vivono sulle terre recuperate ai latifondisti nel 1994.

Quanto è successo il 2 maggio credi sia un segnale che porterà ad un’escalation di violenza e di repressione?
Le modalità dell’agguato, le prove della premeditazione, la brutalità dell’assassinio del maestro zapatista José Luis Solís López sono la dimostrazione di questa escalation di violenza che getta le basi per situazioni simili a Acteal. Gli zapatisti anche in questo doloroso frangente stanno dimostrando, come sempre, la loro indiscussa coerenza, lucidità e correttezza. Da parte dei gruppi di potere locale e dai partiti politici ci si può aspettare di tutto. In questi 20 anni non hanno fatto altro che dimostrare in ogni occasione la loro malafede e pericolosità.

Il Manifesto 17 maggio 2014

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La Jornada – Sabato 17 maggio 2014

La CIOAC, una e diversa: la direzione nazionale si dissocia dalla corrente cosiddetta Histórica

Non ci sono nuove informazioni sull’omicidio di Galeano, base dei appoggio a La Realidad

La centrale è passata dalle lotte contadine esemplari a strumento della contrainsurgencia

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 16 maggio. Elementi della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC), appartenenti alla corrente cosiddetta Histórica, 15 giorni fa hanno vilmente assassinato Galeano, base di appoggio zapatista nella comunità La Realidad, municipio autonomo San Pedro de Michoacán con un’azione premeditata, di stampo paramilitare contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), la giunta di buon governo selva-frontiera e dei beni del governo autonomo. Un vero e proprio attacco.

Anche se in maniera tardiva, in un paio di occasioni, per bocca di Federico Ovalle Vaquera, il suo quasi a vita segretario generale, la direzione nazionale, la CIOAC si è dsisociata da questa aggressione, smentendo di essere gruppo paramilitare. Chiede la punizione dei responsabili e si lamenta col segretario di Governo di quella che definisce una campagna di repressione e persecuzione attraverso i mezzi di comunicazione ed i social network contro la CIOAC ed i suoi dirigenti (La Jornada, 15/05/2014).

Cos’è la CIOAC? Da dove viene questa sigla che per quanto si è visto in Chiapas si muove per conto suo? Storicamente di sinistra, si identifica col PRD a livello nazionale ed in Chiapas – concretamente nella zona di Las Margaritas – dal 1994 ad oggi ha avuto sindaci, deputati e funzionari statali. Non è la prima volta che la cosddetta CIOAC H è accusata di azioni ostili contro le basi zapatiste nella regione tojolabal. Solo a novembre del 2013 la JBG di Morelia denunciava l’invasione di abitanti del villaggio 20 de Noviembre delle terre recuperate dalla comunità 10 de Abril (municipio autonomo 17 de Noviembre), indicando come responsabili diretti i noti dirigenti Luis e Antonio Hernández Cruz.

Il 15 febbraio di questo anno, la direzione nazionale della CIOAC si è vista obbligata a dissociars da quella che definisce CIOAC Democrática, che i giorni 27 e 30 gennaio era stata protagonista di una vergognosa aggressione contro personale medico e religiose dell’ospedale San Carlos di Altamirano, nel contesto dell’invasione delle terre di 10 de Abril, senza aver alcun diritto su di esse se non la forza e le promesse elettorali dei suoi leader. Il comitato esecutivo nazionale della centrale si dissocò da queste azioni: “La CIOAC ‘Democrática ‘ non ha niente ha a che vedere con la nostra CIOAC, poiché chi forma questo gruppo si è separato da noi molti anni fa, in particolare in Chiapas” (La Jornada, 16/02/2014).

Tuttavia, l’organizzazione omonima è transitata per il potere politico in Chiapas nello stesso modo e negli stessi partiti politici degli altri rami della CIOAC. In altre regioni da decenni convivono con municipi zapatisti, in particolare quello che va di Bochil a Huitiupán, passando per El Bosque a nord degli Altos, senza l’ostilità dimostrata dai loro pari nella zona della selva di confine.

La CIOAC, nata nel 1975 ai margini dell’allora Partito Comunista, ha scritto pagine esemplari delle lotte contadine e proletarie del paese in quel decennio e nel successivo. Anche in Chiapas. Ha un passato di lotta. Che cosa è successo perché la centrale che ebbe come leader storico Ramón Danzós Palomino sia oggi coinvolta in un volgare assassinio politico in una comunità emblematica di zapatisti pacifici? E per la seconda volta consecutiva, la provocazione iniziale è contro i vaccini dei bambini zapatisti.

La CIOAC arrivo in Chiapas nel 1978, non attecchì e ritornò nel 1979 per restare. Il viaggio di più di tre decenni sperimentato qui dalla centrale ha portato almeno una parte della sua gente ad agire come attori della contrainsurgencia governativa contro gli zapatistas, in particolare nella regione tojolabal di Las Margaritas ed Altamirano, fino a sfociare nella problematica attuale a La Realidad e nell’assassinio deliberato di Galeano, base dell’EZLN. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/17/politica/014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 16 maggio 2014

Dagli Stati Uniti un appello a fermare la guerra contri gli zapatisti e denunciano che l’attacco a La Realidad è la strategia contrainsurgente del governo messicano

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 15 maggio. Intellettuali, artisti ed organizzazioni degli Stati Uniti hanno invitato ad una settimana di azione “contro la guerra alle comunità zapatiste ed un giorno di omaggio al compagno Galeano”, il camionista tojolabal, base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), assassinato a La Realidad il 2 maggio.

Guidano la lista degli organizzatori gli scrittori Alice Walker, Lawrence Ferlinghetti, Rebeca Solnit e Junot Díaz; gli studiosi Noam Chomsky, Cornel West, Michael Hardt e Mike Davis; gli attivista Mumia Abu-Jamal, Angela Davis, Rosa Clemente e Tom Hayden; l’analista e musicista Ángel Luis Lara, gli editori Gregg Ruggiero, Stone Soup e Zuccotti Park Press, ed artisti come Olmeca e Bocafloja.

Gli eventi si terranno dal 18 al 24 maggio. L’attacco (a La Realidad) è il risultato della strategia contrainsurgente di lungo termine promossa dal governo messicano. Data l’esperienza del massacro di Acteal nel 1997, siamo molto preoccupati per la crescente attività paramilitare contro le basi di appoggio zapatiste. È chiaro che se non agiamo ora, la situazione attuale in Chiapas può finire ancora più tragicamente.

La convocazione, appoggiata da organizzazioni e collettivi degli Stati Uniti, sottolinea: “Dal 1994 gli zapatisti hanno dimostrato il fallimento del mondo che ci domina e, più importante, la possibilità di organizzarci in comunità autonome dalla classe politica e dal capitalismo. È questa possibilità di dimostrare che un altro mondo è possibile ed ora – un mondo non basato sullo sfruttamento, l’esproprio, la repressione ed il disprezzo, bensì sulla libertà, democrazia e giustizia – che ci ha ispirati. Un attacco contro gli zapatisti è un attacco contro questo altro mondo che abbiamo cercato di costruire insieme a loro in questi 20 anni”.

Per denunciare le aggressioni ed a sostegno delle comunità zapatiste, gli organizzatori, tra i quali anche Kilombo Galáctico, Industrial Workers of the World (IWW-ISC) e Mexico Solidarity Network, invitano tutti i simpatizzante zapatisti, studenti, militanti contro il sistema carcerario, artisti, lavoratori, intellettuali, maestri, accademici, gruppi LGBTQ, anarchici, comunità religiose, persone private della libertà, comunità ed organizzazioni di gente di colore, popoli indigeni, chicana/os, immigrati e tutti coloro che perseguono un mondo più giusto e non capitalista.

A partire da domenica 18 maggio si svolgeranno cortei e manifestazioni davanti ad ambasciate e consolati messicani, sedi di multinazionali e banche che appoggiano il governo del Messico, riunioni pubbliche, gruppi di discussione, concerti, sessioni informative ed altre azioni civili che termineranno il 24 maggio con un giorno in omaggio al “compagno Galeano“.

Continuano ad arrivare espressioni di solidarietà dal Messico e dal mondo. Tra queste dall’Assemblea dei Messicani in Argentina, Spirale di Solidarietà in Grecia, dal Comitato “Maribel” di Bergamo e collettivi di Castellanza, Milano, Brescia, Como e Pavia (Italia), così come da Washington, Oregon e Nord della California (USA), Ontario (Canada), organizzazioni politiche del nordest del Messico (Partito dei Comunisti, Gioventù Comunista, collettivi aderenti alla sexta di Coahuila e Nuevo León), e da latre parti del paese: Tepoztlán, Cuetzalan, Coronago, Izúcar de Matamoros, Ciudad Nezahualcóyotl, Guanajuato, Città del Messico e San Cristóbal de las Casas, così come da radio comunitarie di Oaxaca, Guerrero e Puebla.

Le organizzazioni del nordest avvertono: Non accetteremo né inganni né ritardi. È tempo che le organizzazioni paramilitari che aggrediscono le comunità indigene zapatiste siano giudicate per i loro delitti, non solamente la CIOAC-H, ma anche la ORCAO, ORUGA, URPA, eccetera. Non vogliamo la guerra, la violenza, la menzogna e la corruzione. Vogliamo giustizia, vogliamo la vita. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/16/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Solidaridad con el EZLN desde Italia de l@s alumn@s de la Escuelita

A las Bases de Apoyo Zapatistas y las Juntas de Buen Gobierno
Al Ejercito Zapatista de Liberación Nacional
A las y los Votanes y las y los maestros de la Escuelita por la Libertad
A l@s compañer@s de la Sexta

Nos sumamos a la indignación y rabia por la agresión del 2 de mayo en contra de las compañeras y compañeros del Caracol de La Realidad y compartimos su rabia y su dolor por el asesinato del compañero Galeano, un Votán y un maestro.

Las acciones de los paramilitares no son casuales y los mandantes son bien conocidos en todos los niveles del mal gobierno.

Desde Italia levantamos nuestro grito de solidaridad. Sabemos que no podemos detener las balas desde la distancia ni la violencia, pero también sabemos que la solidaridad es un arma así como las palabras, tan potente y capaz de superar las distancias.

Fuertes de lo aprendido de los comp@s zapatistas en estos años, y de nuestr@s votanes y maestr@s, haremos lo que se necesita para difundir y hacer en la practica lo que aprendimos en la Escuelita Zapatista. La lucha contra el neoliberalismo sigue en el sureste de México, en Italia y en todo el mundo.

Estamos y siempre estaremos a lado del EZLN y de l@ compañer@s zapatistas!

Desde Italia reciban abrazos fraternales.
Las y los alumn@s de la Escuelita Zapatista de las ciudades de Castellanza, Milano, Bergamo, Brescia, Como, Pavia;
Progetto 20ZLN;
Comitato Chiapas “Maribel” de Bergamo

Italia, 10 de mayo de 2014

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A las Bases de Apoyo Zapatistas y las Juntas de Buen Gobierno

Al Ejercito Zapatista de Liberación Nacional


A las y los Votanes y las y los maestros de la Escuelita por la Libertad


A l@s compañer@s de la Sexta

L@s zapatistas no están sol@s.

Nosotr@s estamos con los zapatistas.

La violencia paramilitar y estatal ha vuelto a matar en el territorio zapatista.

El compañero Galeno, maestro y votán, fue matado a tiros durante una emboscada urdida y organizada por los grupos paramilitares que antes atacaron la Realidad y después esperaron a los compañeros para matar.

La guerra en el Sureste Mexicano nunca ha terminado, solo ha cambiado su modalidad varias veces. Después de varios años, ya han vuelto los tiros de los paramilitares sustenidos por los varios partidos.

Ya sabemos quiénes son los responsables, sabemos quál es la razón, y sabemos de qué lado estar.

Siempre hemos estado de la parte de las comunidades zapatistas y del Ezln, siempre de la parte de la humanidad e contra el neoliberismo.

Estamos compartendo el dolor y la rabia con las compañeras y los compañeros de la Realidad y de todos los municipios autónomos y rebeldes. Fuimos estudiantes de la escuelita, fuimos acampamentistas, fuimos solidales durante todos estos años.

El zapatismo ha sido una escuela de dignidad y de lucha, ejemplo real de autonomía, ejemplo de que otro mundo es posible.

Levantamos un grito colecivo, grito de solidariedad y de cercanía incondicional al Ezln.

No alcanzaremos parar los tiros ni los ataques pero pensamos que esta voz llevará consigo fuerza y energía. La solidariedad, como las palabras, es una arma.

Hemos aprendido mucho, hemos compartido mucho y ahora os decimos que no estábais solos, no estáis solos, y nunca estaréis solos. Estamos con vosotros todos los días, luchando en nuestros países y en nuestras ciudades contra el neoliberismo, las violaciones del territorio, contra los abusos, la explotación y la supresión de los derechos.

Estamos con vosotro, con la solidariedad y con el corazón.

Progetto 20ZLN
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo
Attac Italia
Associazione Ya Basta NordEst
Associazione Ya Basta Emilia Romagna
Associazione Ya Basta Perugia
Associazione Ya Basta Marche
Napoli Project
Progetto Rebeldía / municipio dei beni comuni – Pisa
Ya Basta – Roma
CSOA Corto Circuito – Roma
Centro Sociale Crocevia – Alessandria
Studenti In Movimento –Alessandria
Caffetteria Tatawelo dell’Associazione Ex Lavanderia-Roma
GRafica Independiente Solidaria
Csoa La Strada –Roma
Action – Diritti in Movimento – Roma
Scuola Popolare Piero Bruno – Roma
Core – FreePress Roma
C.S.A. La talpa e l’orologio – Imperia (liguria, Italia)
Collettivo Italia Centro America, CICA
Associazione Lapsus
Comitato Piazza Carlo Giuliani onlus
CSOA Lambretta – Milano
Z.A.M. (Zona Autonoma Milano) 3.0 – Milano
Macao – Milano
Rebelde FC -brescia
Associazione ARCI 690 Onlus – Progetto SAHARAWI Cascina-PI-
Osservatorio sulla Repressione
ACAD – Associazione Contro Abusi in Divisa
Ri Make – Milano
Coordinamento Toscano di sostegno alla lotta Zapatista
Cooperazione Rebelde Napoli
Associazione eQual – Mantova
Coordinamento Associazione Italia-Nicaragua
Nuovo Cinema Palazzo -Roma
Zero81-Zona di Esperienze Ribelli – Napoli
Cantiere Sociale Quarto Mondo
Bancarotta Bagnoli
network Blogo
LaPirata:
– Nodo Solidale (Roma e Messico)
– Nomads (Bologna e Berlino)
– Collettivo Zapatista Lugano
– Aderenti Individuali
Lucha y Siesta – Roma
C.S.O.A. Depistaggio -Benevento

99 Posse
Zero Calcare -Fumettista
Lodo Guenzi – Lo Stato Sociale
Kento
Los Fastidios
KOB Records
Rouge – Fumettista
Giuliano Santoro
Francesca Nava – Giornalista
Angelo Miotto -direttore qcodemag.it
Alfio Nicotra – Giornalista
Andrea Spinelli Barrile – giornalista di Blogo.it
Checchino Antonini, giornalista Popoff
Seri-Al Rappers crew
Nyko Ascia

Fabio Zambetta -Direttore Feltrinelli Milano Garibaldi
Luca Trada
Pietro Custodi
Fabio Bianchi –Italia
Manuela Derosas
Filippo Mondini
Guido Antonelli Costaggini – Roma
Paolo Torresan
Annamaria Pontoglio
Renza Salza
Andrea Mornirol
Claudia Crabuzza
Emiliano Sbaraglia
Marco Pierro
Vanessa Ansini
Italo Di Sabato –Campobasso
Silvio Arcolesse Campobasso
Livia Luberto
Maurizio Acerbo, consigliere regionale Rifondazione Comunista, Abruzzo
Danilo Barreca – Reggio Calabria
Giulio Sensi
Jacopo Custodi
Claudio Oriente
Elio Gattini
Balini Valentino
Paola Staccioli, Roma
Rebecca Rovoletto – Comitato Opzione Zero, Italia
Bartiromo Rosa
Gabriel De Paris
roberto salvatore
Lucietta Bellomo della Segreteria del Partito della Rifondazione Comunista di Biella
Marco Onorati – Roma
Antonio Granese
Nicola Rinaldi
Angela Bellei
Anna Pacchiani
Fabio Amato – L’Altra Europa con Tsipras (candidato all’elezioni europee)
Luca Filisetti
Ettore Torreggiani – delegato FIOM Roma
Marianna Febbi (Santa Fiora, GR)
Ercolani Alessandro (Santa Fiora, GR)
Maria Laura Gabbianelli
Franco Zunino, Consigliere comunale Savona
Silvana Capurso
Antonello Tiddia -operaio Carbosulcis
Amedeo Ciaccheri – consigliere municipale Municipio Roma VIII
Igor Bonazzoli, arluno
Francesca Liccardo
Claudio marotta. Assessore cultura municipio Roma 8
Andrea Catarci. Presidente municipio Roma 8
Gianluca Peciola. Capogruppo SEL ROma capitale
Luca Casarini. L’altra Europa Con tsipras
Elena Giuliani – comitato Piazza Carlo Giuliani onlus
Serena Carpentieri
Luciano Muhlbauer – Presidente Milano X
Roberto Sensi
Emanuela Donat-Cattin, Milano
Andrea Cegna – Collaboratore radiofonico con Radio Popolare e Radio Onda d’Urto
Alice Chiericati
Rocco Santangelo
Furio Dipoppa -Analista Programmatore
Mino Massimei – Presidente Circolo ARCI ” Montefortino 93″
Francesco Pistillo
Sara Fraschini, Milano
Prof. Fiorella Prenna. Mantova
Gaia Capogna, traduttrice, Roma
Marilena Pappagallo
Francesco Gentile -Roma
Gabriele Mainetti
Alfredo Luis Somoza
Andrea Alzetta -Roma
Andrea Spotti
Rossetto Giuliana – Vicenza
Dalla Verde Alfredo – Trissino (VI)
Christian Peverieri, Mestre, CS Rivolta
Stefano Ciccantelli (coordinatore provinciale SEL Federazione di Teramo)
Silvia Restelli
Simone Parasole
Flavio Lorusso
Alessandro Peregalli
Anna Pelosi – Roma
Belladitta Marco
Antonella Salaris
Chiara Siani, Napoli

Qui altre firme e adesioni: http://20zln.noblogs.org/appello-italiano-di-solidarieta-con-ezln-e-le-comunita-in-resistenza-zapatiste/

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FRAMMENTI DELLA REALIDAD I.

Maggio 2014

È l’alba… Saranno le 2 o le 3, vallo a sapere. Il silenzio risuona qui nella realidad. Ho detto “il silenzio risuona”? Sì, perché qua il silenzio ha un proprio suono, come il frinire di grilli, e poi altri, più forti e opposti, altri sempre costanti, in basso. Non c’è luce. Ed ora è la pioggia ad aggiungere il proprio silenzio. Qua è già tempo di pioggia, ma ancora non riesce a ferire la terra. La graffia appena, colpendola sommessamente. Un graffio qui, qualche pozzanghera là. Come per avvisare. Ma il sole, la calura, rapidamente asciugano la terra. Non è tempo di fango. Non ancora. È tempo di ombra. Beh, è sempre tempo di ombra. Dovunque si vada, a qualsiasi ora. Fino a quando splende fiero il sole, lì c’è l’ombra, appiccicata alle pareti, agli alberi, alle pietre, alla gente. Come se la luce le desse più forza. Ah, ma di notte… all’alba, questo è il vero momento dell’ombra. Così come di giorno ti dà sollievo, all’alba ti sveglia come per dirti “e tu dove, tu cosa”. E balbettando le rispondi nel dormiveglia. Fino a che ormai sveglio riesci a rispondere, a risponderti: “nella realidad”.

-*-

(…)

– Non saprei dirti. Penso che in città abbiano l’abitudine, la loro maniera, che quando in una famiglia c’è un defunto, i parenti e gli amici vadano a farle visita per farle sapere che le sono vicini nel loro dolore. Si dice “porgere le condoglianze”, credo. Sì, un modo per dirgli che non sono soli.

(…)

– Da quello che ho letto, la maggioranza delle alunne e degli alunni della escuelita hanno detto che si sentivano come in famiglia, che sono stati trattati come persone di famiglia. Alcuni hanno detto perfino meglio della propria famiglia. Insomma, ci sono famiglie e famiglie, per esempio a…

(…)

– Può essere. Sì, può essere che qualcuna, qualcuno senta il bisogno di venire a porgere le condoglianze alla famiglia dello scomparso Galeano o ai compas di qui, o ad entrambi.

(…)

– Non è così facile, perché qui è molto lontano per loro. Cosa sarà, diciamo 7 ore da San Cristóbal? È lontano. E poi la morte violenta non avvisa, non ha il suo calendario separato né la sua geografia stabilita, ma arriva e si siede, anche se non è invitata. Sì, entra sfondando la porta.

Non è come la morte per vecchiaia o malattia, che un po’ per volta infila prima una gamba, poi la mano, e si mette in un angolo ad aspettare, fino a che si presenta e dice “qui comando io”. In questo caso uno si prepara, si fa un’idea. Ma la morte violenta no. Questa ti colpisce, ti butta a terra, ti stordisce, ti prende a calci, ti strozza, ti squarcia, ti spara, ti ammazza, arriva e ti spara in testa ed ancora si prende gioco di te. Fa così.

Quindi, se pianifichi una condivisione, o una riunione, o come per i corsi della escuelita zapatista, che dici in quel giorno nel tal posto, ed avvisi per tempo, chi vuole si organizza col suo lavoro, il suo studio, la sua famiglia, e si prepara per il viaggio. E tu anche, con calma ti prepari dove riceverli, cosa offrirgli.

Ma siccome la morte violenta non avvisa, non c’è tempo di preparare niente, né per chi arriva né per chi riceve. E poi, di cosa si parlerà? Ci si guarderà gli uni con gli altri e sarà il silenzio col suo suono a farti tacere, come se la morte non solo si fosse portata via il defunto, ma come se ti fossero morte anche le parole.

Dunque è difficile che vengano, e non perché non vogliano, o non vogliano bene a Galeano, o ai compas della Realidad, no, ma solo perché non ci riescono.

Inoltre, dove li metti se questo caracol è piccolo e circondato un’altra volta dai paramilitari? E che cosa gli dai da mangiare? E il bagno, se 25 o 50 persone vogliono lavarsi per la calura o se piove?

(…)

– Eh sì, questi visitatori si dovrebbero portare il proprio cibo e le mantelle per la pioggia, perché adesso le cose sono un po’ diverse, e come ha spiegato la promotrice di salute, bisogna curare l’igiene, insomma non bisogna fare i maialini. Perché c’è gente tanto sporca che nemmeno t’immagini, soprattutto quegli uomini del cacchio. Perché noi donne siamo…

Eh? Sì, per le malattie. Sì, come il colera. Eh? No, quella è la collera, la furia, la rabbia.

(…)

– Come? No, i bravi visitatori avvertono prima, non arrivano all’improvviso. Quando un visitatore arriva senza avvisare lo chiamano, o lo chiamavano, “scroccone”, o “scroccona”, a seconda, non so perché li chiamavano così, ma vuol dire che è arrivato senza invito, ma si è auto invitato. Sì, la morte è come uno “scroccone”, o “scroccona”, a seconda, come un visitatore che arriva senza avvisare, che non chiede permesso. Sì, so che non è la stessa cosa, ma mi è venuta così.

(…)

– Sì, credo che se gli dici tal giorno si può fare, perché qualcuno, qualcuna verrà, non tutti, ma qualcuno sì. Già. Anche se non verranno tutti, qualcuno verrà in un modo o nell’altro. Come “escuchas”, ma al contrario.

Perché la morte si può sconfiggere anche con un altro calendario ed un’altra geografia. Ma, perché dico che “anche”? So quel che dico. Non fateci caso adesso. Forse un giorno vi spiegherò… o vedrete.

(…)

– Quanti? Non ne ho idea. Ma credo possano essere diversi, perché vedo che lì stanno montando un’altra tenda, e stanno spazzando, pulendo. Sì, come se aspettassero visite.

(…)

– Quando? Chiedilo a Emiliano o Max o al SubMoi che l’ho visto che stava parlando con una ragazza di qui. Poi è andato dai comitati.

(…)

– Io? Aspetto. Aspetto che i comitati di zona prendano una decisione, e se mi dicono di scrivere allora scrivo.

(…)

Guarda!… Là!… dove c’è quella luce. Hai visto che strano animale? Sì, sembra un cane… o forse un gatto. Sì, un gatto-cane. È strano, no?

(…)

– Sì, è proprio strana la realidad.

-*-

Stralcio della Pagina 4 del Rapporto di Indagine sull’omicidio del compagno Galeano. Interrogatorio con la compagna S., zapatista, base di appoggio di La Realidad, età 16 anni quasi 17. Data 11 maggio 2014.

(ATTENZIONE: il testo seguente contiene delle parolacce che possono ferire la sensibilità dei reali europei ed aspiranti al trono. – Detto tra noi, niente che non si senta in qualsiasi angolo del mondo del basso -. Procediamo).

“Oggi 11 maggio 2014

(…)

Qui c’è una compagna che ci riferirà su quello che hanno detto, o meglio di quello che ha detto una persona, l’altro non ha parlato. Parla, compagna.

Compagna S: Senta, compa Subcomandante Insurgente Moisés, ora le dirò quello che mi ha detto quell’assassino.

SCIM: E quando te l’avrebbe detto?

Compagna S: Sabato.

SCIM: Il dieci maggio?

Compagna S: Il dieci maggio.

SCIM: A che ora?

Compagna S: Alle 9.

SCIM: Le 9 del mattino?

Compagna S: Sì. Alle 9 mi ha detto:

– Ehi, quanta superbia – mi ha detto, ma io non gli ho risposto.

Poi mi ha detto “fermati”, e mi sono fermata.

– Senti un po’ che ti dico – ed io mi sono fermata.

SCIM: Come si chiama quest’uomo?

Compagna S: Si chiama R.

SCIM: R. Sì, continua.

Compagna S: Mi ha detto “senti quello che ti dico”, ed io l’ho ascoltato.

Mi ha detto:

– Goditi il tuo Caracol. Guardalo tutto perché presto lo prenderemo e questo Caracol sarà nostro. Pensa che bello, finirò la mia casa quando sarà nostro, perché molto presto lo prenderemo.

Io gli ho risposto:

Se vi sentite così uomini, come dite voi di avere il cazzo e le palle, che vivi o morti prenderete il Caracol, allora prendetelo se davvero avete le palle?

E lui mi ha detto:

– Sì, ho il cazzo e le palle, li vuoi vedere? –mi ha detto.

Ed io gli ho risposto:

– Se li vuoi tirare fuori, mostrali a tua madre –gli ho detto io.

E quando mi ha detto:

– Sei arrabbiata perché abbiamo ammazzato tuo marito?

Io gli ho detto:

– Quel compagno non è mio marito. È un nostro compagno che lotta per la nostra gente, non lotta per le briciole del governo.

Allora si è messo a ridere insieme al suo compagno, e mi ha detto…

SCIM: Come si chiama il suo compagno?

Compañera S: M.

E mi ha detto:

– Andremo a prendere Raúl, Jorge e René. Li prenderemo e li ammazzeremo come abbiamo ammazzato ‘la peluda’ (Nota: “La peluda” è il dispregiativo con cui i paramilitari della CIOAC-H si riferiscono al compagno Galeano).

Allora io gli ho detto che se vogliono farlo, di farlo, che ci provino, ma che non entrino nel Caracol quando non c’è nessuno, come hanno fatto con la scuola, dove sono riusciti ad entrare perché non c’era nessuno. Gli ho detto: provate a prendere il Caracol se siete uomini, e loro si sono messi a ridere e mi hanno detto:

– Ringrazia che non abbiamo ucciso tuo papà.

SCIM: Così ti hanno detto?

Compagna S: Sì.

– Non lo abbiamo ucciso ma lo faremo la prossima volta.

Ed io gli ho risposto:

– E perché non l’avete ucciso?

– Perché non l’abbiamo trovato.

– Allora fatelo. Sta lì nel Caracol.

Ed è stato qui che mi ha detto:

– Sai chi ha ucciso “la peluda”?

Io ho risposto:

– E come faccio a saperlo se non c’ero quando hanno ucciso il nostro compagno?

– Sono stato io ad ucciderlo. Gli ho sparato in testa ed è andato a farsi fottere. E così faremo. Li prenderemo. Faremo quello che ti abbiamo detto. Ma questo a suo tempo. Sai una cosa? Ne abbiamo abbastanza – mi ha detto – perché non è giusto quello che fate. Ne abbiamo abbastanza di voi.

Ma io gli ho risposto:

– Siamo noi che ne abbiamo abbastanza di quello che fate. Ed ancora di più quando abbiamo saputo del nostro compagno e noi donne siamo andate a recuperare il corpo. Lì proprio ne abbiamo avuto abbastanza – e loro ridevano.

– Certo, visto che sono tutti vostri mariti – così mi ha detto.

SCIM: E quando diceva che faranno quello che dicono, hanno detto qualcosa riguardo la Giunta di Buon Governo? Ha detto che…

(non udibile)

SCIM: Già!

Compagna S: Ha detto solo:

– Noi li uccideremo e la faremo finita. Voi siete Giunta di Buon Governo, siete buoni governi, anche se vi facciamo quello che facciamo, voi non ci fate niente. Perché? Perché siete buoni governi.

Io gli ho detto:

– Certo che siamo buoni governi, ma non per molto ancora – io gli ho detto.

– E che cosa mi farete? Anche se scoprirete il vero assassino, non ci farete niente, perché voi siete la Giunta di Buon Governo che protegge tutti. Io non ho paura – dice -. Non temo niente, per questo ti dico che l’ho ammazzato.

Io gli ho risposto:

– Spera che sia così. Perché il giorno che ti toccherà spero tu faccia lo spaccone come fai con me adesso.

– Certo che lo farò. Ma quando? Quel giorno non arriverà – dice -, perché voi siete la Giunta di Buon Governo, siete buoni governi e non ci farete niente.

SCIM: Ti ricordi qualcosa d’altro di quello che ti ha detto? Qualcosa di cui rideva e si burlava.

Compagna S: Sì, rideva e quello che era con lui rideva, ma non parlava.

SCIM: M non ha parlato, rideva soltanto?

Compagna S: Non ha parlato, rideva soltanto. M l’ha toccato per fargli capire di non dire più niente.

SCIM: Ah. Gli ha fatto un gesto?

Compagna S: Sì, l’ha toccato ed hanno cominciato a gridare e mi ha detto:

– Ma vai al diavolo – mi ha detto. Non gli ho risposto.

SCIM: Bene, se ti viene in mente qualcosa d’altro riprenderemo il lavoro per raccogliere tutte le informazioni, perché sono cose che ha detto lui stesso.

Compagna S: Sì.

SCIM: Lui stesso è uscito a dirlo. E tu dici che comunque ti ha chiesto se sapevi chi aveva ucciso il compagno Galeano. E dove era, no?

Compagna S: Sì.

SCIM: Ed ha detto che gli ha sparato in testa.

Compagna S: Il colpo in testa poi è andato a farsi fottere.

SCIM: Bene compagna. Qual’è il tuo nome di battaglia?

Compagna S: Mi chiamo S.

SCIM: S?

Compagna S: Sì.

SCIM: Sta bene, compagna. Quello che vogliamo è che si veda che è una testimonianza diretta, perché tu sei di qui, della Realidad. Quale era l’incarico per cui ti eri preparata per la condivisione ad Oventik?

Compagna S: Escucha.

(Nota: “escucha” [ascolto – n.d.t.] è un incarico o lavoro o compito assegnato ad alcuni compagni e compagne che consiste nell’”ascoltare” quello che si dice in una condivisione per poi raccontarlo al loro villaggio, regione e zona, così che la “condivisione” non sia solo per chi era presente, ma arrivi a tutt@ le/gli zapatisti. È l’equivalente del “relatore” o “relatrice”. I compagni scelgono come “escucha” dei giovani che abbiano buona memoria, che capiscano bene lo spagnolo e si sappiano esprimere nella propria lingua. Per la condivisione col Congresso Nazionale Indigeno (CNI) erano stati mandati come “escuchas” decine di ragazze e ragazzi delle diverse zone, perché era importante che quello che dicevano i nostri compas dei popoli originari del CNI fosse messo a conoscenza di tutte le basi di appoggio zapatiste).

SCIM: Ah, sì, sì, sì. Quello che si sarebbe fatto poi col Congresso Nazionale Indigeno. Bene, compagna S. Grazie.

(non udibile)

 

SCIM:Bene. Quando hai parlato con questo R., era brillo o sobrio?

Compañera S:No. Gli ero vicina e non ho sentito l’odore dell’alcol. E quando sono arrivata a casa di L, lui si è diretto verso casa sua. Si voltava a guardarmi e rideva, ed io lo guardavo arrabbiata.

SCIM:Quindi possiamo dire che ha detto quello che ha detto da sobrio, che non era ubriaco.

Compañera S:No, non era ubriaco.

SCIM: Bene. È tutto, compagna. Grazie.

-*-

Un’altra alba. Arriva il Subcomandante Insurgente Moisés che mi dice:

– Ci siamo. La decisione è che il giorno d’arrivo è venerdì 23 maggio, l’omaggio al compa Galeano il sabato 24 maggio, e domenica 25 maggio tutti se ne tornano a casa. Per le basi di appoggio.

– Anche per quelli che vengono da fuori? – domando.

– Sì, ma per quelli da fuori vale quanto deciso per le basi di appoggio, cioè, si devono portare il proprio cibo e dove dormire.

– Lo dico con un comunicato, una lettera o che altro?

– Vedi tu, ma che sia chiaro, di modo che non siano un peso per questi compas. Vengano dunque a dare sostegno, a portare affetto alla famiglia del defunto e ai compas di qui, ma non a farsi servire. Non è una festa.

Ah, avvertili anche che il giorno 24 maggio, in tutti i caracol le basi di appoggio renderanno omaggio al compa Galeano. E che sarebbe bello se quel giorno anche loro facessero qualcosa nei loro posti, ognuno con i propri modi e tempi.

E un’altra cosa. Se metti l’interrogatorio della compagna, non scrivere il nome di quegli stronzi, ma, solo le iniziali. Perché non sappiamo se sono colpevoli di omicidio o solo di fare i machi e gli sbruffoni per far paura ad una ragazzina.

E metti anche che invitiamo in particolare le compagne ed i compagni dei media liberi o alternativi o autonomi o come si chiamino, cioè quelli che non prezzolati, che sono della Sexta, cioè che sono nostri compagni e compagne e che hanno la loro commissione di “escucha” nelle loro terre. E che forse… sì metti che “forse” la Comandancia Generale dell’EZLN farà una conferenza stampa con i media liberi o come si chiamino, che sono della Sexta. Dico “forse” perché c’è molto da fare in poco tempo e non bisogna fare brutta figura. E che i media prezzolati non sono invitati, né saranno ricevuti.

– Mando la foto del defunto?

– Sì, ma di quando era vivo, non quella del cadavere. Perché noi ricordiamo i nostri compagni per la loro lotta fatta in vita.

– Bene. C’è altro?

Solo che siamo qui, ma credo già lo sappiano che siamo nella realidad.

-*-

Vale. Salute e ascolta.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

Messico, maggio 2014. Nell’anno venti dell’inizio della guerra contro l’oblio.

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Galeano

 

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 La Realidad non mente ma è scomoda

Hermann Bellinghausen

11 maggio 2014

Ricordo quando in un programma televisivo uno dei più noti intellettuali mediatici dichiarò con stupore e perfino scherno, “veramente un villaggio del nostro paese non può chiamarsi La Realidad, se lo sono inventato, è una trovata mediatica”. Per lui, come per i suoi colleghi che si dedicavano a sparlare degli zapatisti e del subcomandante Marcos, doveva risultare davvero insopportabile dire che a La Realidad succedeva questo o quello, che la visitavano persone come Oliver Stone, Manu Chao o Madame Miterrand, che dalla Realidad l’EZLN aveva dichiarato questo e quello. Era un contrattempo che dalla Realidad in Chiapas scrivessero Juan Gelman, Manuel Vázquez Montalbán, Eduardo Galeano, Carlos Monsiváis, Ignacio Ramonet, Juan Bañuelos, Luis Villoro, Adolfo Gilly, Pablo González Casanova e gente così. Decine di fotoreporter e cineasti per anni hanno mostrato scene della Realidad. Le agenzie internazionali datavano le loro notizie stampa dalla Realidad.

Per le teste parlanti, ancor più per gli articolisti che allora proliferavano facendo dello sfogo antizapatista una forma di respirazione, pronunciare quel nome sovvertiva il loro schema verbale. Come accusare di mentire o di fare propaganda su quanto succede o si dice là nella realtà (il parlato non conosce maiuscole) alcuni indios poveri, remoti e ribelli.

La cosa peggiore per i commentatori sprofondati nelle loro poltrone dello studio televisivo, era che esistesse una comunità nella valle di Las Margaritas che da mezzo secolo si chiamava La Realidad Trinitaria. Fondata da coloni tojolabal negli anni cinquanta del XX secolo, col tempo i suoi abitanti finirono per chiamarla colloquialmente La Realidad. Uffa, quante realtà in una. E dopo che c’erano e ci sono centinaia, migliaia di villaggi di diversi nomi tra le montagne del Chiapas che ugualmente meritino di chiamarsi La Realidad. Migliaia di villaggi, quartieri, colonie, ejidos ed accampamenti di indigeni che vivevano nella propria Realidad si sono identificati con quella degli zapatisti. E come si sa, nelle comunità indigene del nostro paese la realtà suole essere crudele, dura, nuda, eloquente, meravigliosa, allarmante, indicibile.

Quando verso il 1994 Carlos Monsiváis riconosceva, ammirato: “gli zapatisti ci parlano con la realtà”, La Realidad era un villaggio lontano e sconosciuto. Sarebbe stato il realissimo attacco a tradimento di Ernesto Zedillo, con la sua guerra il 9 febbraio 1995, a devastare Guadalupe Tepeyac (allora sede dell’EZLN per incontrarsi con l’allora numerosa società civile). Ciò obbligò l’EZLN, con tutto il suo Aguacalientes, a spostare il suo luogo di incontro alcuni chilometri più in là, verso la laguna di Miramar, nel villaggio di La Realidad, che all’improvviso apparve sulle mappe e si trasformò nel più importante scenario della militarizzazione e della guerra occulta del governo messicano. Due decenni dopo, quella guerra continua. La resistenza anche, ma a volte duole.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Article from Desinformémonos: http://desinformemonos.org

URL to article: http://desinformemonos.org/2014/05/entrada-6-zapatistas/

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La Jornada – Domenica 11 maggio 2014

Il Congresso Nazionale Indigeno chiede la punizione dei colpevoli dell’imboscata in cui è morto Galeano

Si moltiplicano le proteste e le espressioni di appoggio di intellettuali ed organizzazioni

Hermann Bellinghausen

Il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) chiede la fine della guerra contro i fratelli e le sorelle zapatisti e la punizione dei responsabili intellettuali e materiali dell’imboscata dello scorso 2 maggio nella quale ha perso la vita José Luis Solís López, Galeano, nella comunità di La Realidad, Chiapas.

Tra le numerose proteste ed espressioni di appoggio ai popoli zapatisti che si moltiplicano da una settimana, sabato ne è stata diffusa una, proveniente da diverse parti del mondo, firmata da Noam Chomsky, Arundathi Roy, Naomi Klein, Immanuel Wallerstein, Ivon LeBot, Kristinn Hrafnsson (di WikiLeaks), Manuel Castells, Michael Hardt, Gustavo Esteva, Pierre Beaucage e da un centinaio di persone, insieme a decine di organizzazioni del Messico e d’Europa.

Nella lettera si dice che l’assassinio di un votán, un maestro, una di quelle molte voci che ora sono la voce attraverso cui l’EZLN parla e condivide col mondo quel mondo altro che cresce nell’autonomia, è un’aggressione contro tutti noi che abbiamo imparato dai molti votán che continuano a mostrare il volto della libertà.

“Che cosa si può capire da questa aggressione paramilitare nel centro della Realidad? Che cosa vogliono quelle pallottole, quei colpi, quell’omicidio? Che cosa vogliono i governi di Manuel Velasco ed Enrique Peña Nieto? Se stanno tentando di valutare quanto possono aggredire e continuare ad aggredire, quanto possono intensificare la guerra contro gli zapatisti, sappiano che il mondo li sta guardando, che né un’altra bugia sulla stampa di conflitti ‘tra comunità od organizzazioni’, né le vecchie voci sugli zapatisti aggressori, né tutto il veleno e la violenza scatenata dal potere potrà nulla contro tanta rabbia, ribellione e solidarietà riversata da ogni parte”.

Da parte loro, i popoli, nazioni e tribù indigene che formano il CNI ripudiano l’imboscata perpetrata il 2 maggio “da paramilitari appartenenti alla Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H), al Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM) ed al Partito Azione Nazionale (PAN), contro le basi di appoggio dell’EZLN nella giunta di buon governo Hacia la Esperanza, caracol Madre de los Caracoles del Mar de Nuestros Sueños”.

L’ultima settimana di maggio il CNI si sarebbe riunito in territorio zapatista. Di fronte alla gravità dell’accaduto alla Realidad, l’EZLN ha cancellato l’incontro e la sua annunciata partecipazione nella sessione pubblica successiva, così come l’omaggio al filosofo Luis Villoro e la sua partecipazione al Seminario Etica contro il Sopruso, a San Cristóbal de las Casas, la prima settimana di giugno.

Questa grave aggressione fa parte dell’accerchiamento e della guerra perpetrati da anni dai tre livelli di governo e dai gruppi paramilitari col fine di sterminare i nostri fratelli zapatisti e distruggere il loro progetto di autonomia e libera determinazione, ha dichiarato il CNI.

Non vogliamo vendetta, ma giustizia

In un comunicato diffuso venerdì, il subcomandante Marcos riferisce: Sono il dolore e la rabbia che ci hanno portato fino alla Realidad. E riprende le parole di uno zapatista del posto: “Vogliamo essere chiari, se non fossimo zapatisti ci saremmo già vendicati ed avremmo fatto un macello, perché siamo molto arrabbiati per quello che hanno fatto al compagno Galeano. Ma siamo zapatisti e non cerchiamo vendetta, ma giustizia. Quindi abbiamo aspettato di vedere quello che ci direte e così faremo”.

Marcos precisa: Non si è trattato di una questione di comunità, dove le bande si affrontano infiammate dal momento. È stato qualcosa di pianificato: prima la provocazione con la distruzione della scuola e della clinica, sapendo che i nostri compagni non avevano armi da fuoco e che sarebbero andati a difendere quello che umilmente hanno costruito con il loro lavoro; poi gli aggressori hanno preso posizione sul percorso che sapevano che i nostri compagni avrebbero seguito dal caracol alla scuola; e, infine, il fuoco incrociato sui nostri compagni.

Marcos cita una foto di Galeano che mostra tutte le ferite e che alimenta il dolore e la rabbia. Ed aggiunge: Naturalmente mi rendo conto che questa foto potrebbe offendere la sensibilità dei reali spagnoli; motivo sufficiente per pubblicare la foto di una scena spudoratamente prefabbricata, con un paio di feriti, e con i giornalisti mobilitati dal governo del Chiapas per vendere la menzogna che ci fosse stato uno scontro.

Quanto successo a Galeano, scrive, “Quanto accaduto al compagno Galeano è straziante: non è caduto nell’imboscata, lo hanno circondato 15 o 20 paramilitari (sì, lo sono, le loro sono tattiche paramilitari); il compa Galeano li ha sfidati a battersi senza armi; gli sono saltati addosso e lui saltava da una parte all’altra schivando i colpi e disarmando i suoi rivali. Vedendo che non riuscivano ad averla vinta su di lui, gli hanno sparato ed un colpo alla gamba l’ha atterrato. Poi c’è stata la barbarie: gli sono andati addosso, l’hanno pestato e colpito col machete. Un’altra pallottola al petto l’ha ferito mortalmente. Ma hanno continuato a colpirlo. E vedendo che ancora respirava, un codardo gli ha sparato alla testa. Ha ricevuto tre colpi a bruciapelo. E tutti e 3 mentre era circondato, disarmato ma non si era arreso. Il suo corpo è stato trascinato per circa 80 metri dai suoi assassini. Le donne della Realidad hanno recuperato il corpo. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/11/politica/005n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Racconto di una morte

Gloria Muñoz Ramírez

José Luis Solís López era zapatista da prima del’insurrezione indigena del 1994. Galeano era il suo nome di battaglia. Coinvolto in ogni iniziativa di pace dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da 20 anni, è stato assassinato da una pallottola calibro 22 nella gamba destra ed un’altra al petto. Ha ricevuto inoltre un fendente in bocca, bastonate alla schiena ed il colpo di grazia in testa.

Maestro di zona della Escuelita Zapatista, JJosé Luis è stato vittima di un attacco da arte di elementi della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (CIOAC) storica, e non di uno scontro con questa organizzazione, come sostenevano le prime versioni. E non è vero neppure che lui ed i suoi compagni fossero armati. Da più di 20 anni gli zapatisti non imbracciano un fucile. Sono un esercito e le sue comunità hanno organizzazione e disciplina. Non sfoderano armi, e non perché non ne abbiano, bensì perché – come dicono gli intellettuali John Berger, Immanuel Wallerstein e Pablo González Casanova, e molti altri che sono solidali con loro – si sono impegnti con una profonda volontà politico-etica a non permettere lo scontro tra indigeni.

Abitante dell’emblematico caracol di La Realidad, per anni la comunità più assediata dall’Esercito, dai piani contrainsurgentes, dalla stampa e dai visitatori nazionali ed internazionali, non si sottraeva mai ad un lavoro o una commissione, come quella di essere nominato Votán della prima generazione della Escuelita Zapatista.

José Luis si trovava all’interno del caracol quando i suoi compagni hanno subito l’imboscata dei paramilitari della CIOAC, del PVEM e del PAN. Sentendo il frastuono delle aggressioni all’ingresso della comunità, era uscito di corsa insieme ad altri zapatisti per andare in aiuto dei suoi compagni, ma non sono riusciti a raggiungerli perché sono stati attaccati con armi da fuoco nel mezzo del villaggio ed è lì dove è caduto il nostro compagno, ha comunicato la giunta di buon governo della zona.

Riguardo alla sua partecipazione alla escuelita l’estate scorsa, Galeano aveva detto: “Loro – riferendosi agli alunni – pensavano che gli zapatisti stava sulle montagne, così dicevano, non pensavano che gli zapatisti sono fatti di carne e ossa e che siamo esseri umani come loro, che viviamo nelle comunità e che siamo organizzati. Per questo credo che la escuelita per me sia un mezzo per comunicare, per conoscere altre persone delle città, del nostro paese e del mondo”.

La testimonianza è stata pubblicata sul primo numero della rivista Rebeldía Zapatista, e diffusa dal Centro de Medios Libres de Chiapas dopo la sua morte. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/10/politica/016o1pol

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

(Traduzione “Maribe” – Bergamo)

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IL DOLORE E LA RABBIA

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

8 maggio 2014

Ai compagni e compagne della Sexta:

Compas:

In realtà il comunicato era pronto. Succinto, preciso, chiaro, come devono essere i comunicati.

Ma… mm… poi.

Ora comincia la riunione con le compagne e compagni basi di appoggio della Realidad.

Li ascoltiamo.

Conosciamo il tono ed il sentimento della loro voce: il dolore e la rabbia.

E mi rendo conto che un comunicato non riflette tutto questo.

O non in tutta la sua dimensione.

Certo, forse neppure una lettera, ma almeno con queste parole posso fare un pallido tentativo.

Perché…

Furono il dolore e la rabbia che ci spinsero a sfidare tutto e tutti 20 anni fa.

E sono il dolore e la rabbia che ora ci fanno indossare di nuovo gli scarponi, mettere l’uniforme, infilare la pistola e coprirci il volto.

E rimettermi il vecchio e logoro berretto con le 3 stelle rosse a cinque punte.

Sono il dolore e la rabbia che hanno portato i nostri passi fino alla Realidad.

Poco fa, dopo che avevamo spiegato di essere arrivati per rispondere alla richiesta di aiuto della Giunta di Buon Governo, un compagno base di appoggio, maestro del corso “La Libertad según l@s Zapatistas” ci ha detto, parola più, parola meno:

“Compagno subcomandante, vogliamo essere chiari, se non fossimo zapatisti ci saremmo già vendicati ed avremmo fatto n macello, perché siamo molto arrabbiati per quello che hanno fatto al compagno Galeano. Ma siamo zapatisti e non cerchiamo vendetta, ma giustizia. Quindi abbiamo aspettato di vedere quello che ci direte e così faremo”.

Ascoltandolo ho provato invidia e pena.

Invidia per chi ha avuto il privilegio di avere donne e uomini, come Galeano e come questo che ora mi parla, come maestre e maestri. Migliaia di uomini e donne di tutto il mondo hanno avuto questa fortuna.

E pena per chi non avrà più Galeano come maestro.

Il compagno Subcomandante Insurgente Moisés ha dovuto prendere una decisione difficile. La sua decisione è inappellabile e, se chiedete la mia opinione (nessuno l’ha chiesta), incontestabile. Ha deciso di sospendere a tempo indefinito la riunione e la condivisione con i popoli originari e le loro organizzazioni nel Congresso Nazionale Indigeno. Ed ha deciso di sospendere anche l’omaggio che avevamo preparato per il nostro compagno scomparso Don Luis Villoro Toranzo, così come sospendere la nostra partecipazione al Seminario “L’Etica di fronte alla Spoliazione” organizzato da compagni artisti ed intellettuali del Messico e del Mondo.

Che cosa l’ha portato a questa decisione? I primi risultati dell’indagine e le informazioni che ci giungono non lasciano ombra di dubbio:

            1.- Si è trattato di un’aggressione premeditata, organizzata militarmente e portata a termine con perfidia, premeditazione e crudeltà. È un’aggressione che si inserisce nel clima creato ed incoraggiato dall’alto.

            2.- Sono implicati i vertici della cosiddetta CIOAC-Histórica, del Partito Verde Ecologista (nome col quale il PRI governa in Chiapas), il Partito Azione Nazionale ed il Partito Rivoluzionario Istituzionale.

            3.- È implicato almeno il governo dello Stato del Chiapas. C’è ancora da definire il grado di coinvolgimento del governo federale.

Una donna dei contras è venuta a raccontarci che tutto è stato pianificato e che si trattava di un piano per far fuori Galeano.

Insomma: non si è trattato di una questione di comunità, dove le bande si affrontano infiammate dal momento. È stato qualcosa di pianificato: prima la provocazione con la distruzione della scuola e della clinica, sapendo che i nostri compagni non avevano armi da fuoco e che sarebbero andati a difendere quello che umilmente hanno costruito con il loro lavoro; poi gli aggressori hanno preso posizione sul percorso che sapevano che i nostri compagni avrebbero seguito dal caracol alla scuola; e, infine, il fuoco incrociato sui nostri compagni.

In quell’imboscata i nostri compagni sono stati feriti da armi da fuoco.

Quanto accaduto al compagno Galeano è straziante: non è caduto nell’imboscata, lo hanno circondato 15 o 20 paramilitari (sì, lo sono, le loro sono tattiche paramilitari); il compa Galeano li ha sfidati a battersi senza armi; gli sono saltati addosso e lui saltava da una parte all’altra schivando i colpi e disarmando i suoi rivali.

Vedendo che non riuscivano ad averla vinta su di lui, gli hanno sparato ed un colpo alla gamba l’ha atterrato. Poi c’è stata la barbarie: gli sono andati addosso, l’hanno pestato e colpito col machete. Un’altra pallottola al petto l’ha ferito mortalmente. Ma hanno continuato a colpirlo. E vedendo che ancora respirava, un codardo gli ha sparato alla testa.

Ha ricevuto tre colpi a bruciapelo. E tutti e 3 mentre era circondato, disarmato ma non si era arreso. Il suo corpo è stato trascinato per circa 80 metri dai suoi assassini che poi l’hanno abbandonato.

Il compagno Galeano è stato lasciato lì solo. Il suo corpo in mezzo a quello che una volta era territorio dei campamentisti, uomini e donne da tutto il mondo venuti a costruire “l’accampamento di pace” della Realidad. E sono state le compagne, le donne zapatiste della Realidad a sfidare la paura ed andare a recuperare il corpo.

Sì, c’è una foto del compa Galeano in questo stato. L’immagine mostra tutte le sue ferite ed alimenta il nostro dolore e la rabbia, nonostante questi non necessitano di alcun rinforzo dopo aver ascoltato i racconti di ciò che è accaduto. Naturalmente mi rendo conto che questa foto potrebbe offendere la sensibilità dei reali spagnoli; motivo sufficiente per pubblicare la foto di una scena spudoratamente prefabbricata, con un paio di feriti, e con i giornalisti mobilitati dal governo del Chiapas per vendere la menzogna che ci fosse stato uno scontro. “Chi paga, fa le regole”. Perché le classi esistono, amico mio. La monarchia spagnola è una cosa, mentre quei “fottuti” indiani ribelli che ti rimproverano [que te mandan al rancho de amlo] solo perché a pochi metri di distanza stanno vegliando il corpo ancora sanguinante del compa Galeano, sono tutt’altra cosa.

La CIOAC-Histórica, la sua rivale CIOAC-Independiente ed altre organizzazioni “campesinas” come la ORCAO, ORUGA, URPA ed altre, vivono per provocare scontri. Sanno che provocare problemi nelle comunità dove siamo presenti, fa cosa gradita ai governi e che saranno premiati con programmi sociali e grosse mazzette di denaro per i loro capi per i problemi che ci causano.

Dalle parole di un funzionario del governo di Manuel Velasco: “ci conviene di più che gli zapatisti siano occupati per problemi creati artificialmente, invece che svolgano attività alle quali partecipano “güeros” da tutte le parti”. Così ha detto: “güeros”. Sì, è comico che si esprima in questi termini il servo di un “güero”.

Ogni volta che i leader di queste organizzazioni “campesinas” vedono calare i loro introiti per i lussi che si concedono, organizzano un problema e vanno dal governo del Chiapas a farsi pagare per “calmarsi”.

Questo “modus vivendi” di capi che non sanno distinguere nemmeno la “sabbia” dalla “ghiaia”, iniziò col priista e tristemente noto “croquetas” Albores, fu ripreso dal lopezobradorista Juan Sabines, e si mantiene con l’autodenominato verde ecologista Manuel “il güero” Velasco.

Aspettate un momento…

Ora sta parlando un compa. Piange. Ma tutti sappiamo che quelle lacrime sono di rabbia. Con la voce strozzata dice quello che tutti sentono, sentiamo: non vogliamo vendetta, vogliamo giustizia.

Un altro lo interrompe: “compagno subcomandante insurgente, non fraintendere le nostre lacrime, non sono di tristezza, sono di ribellione”.

Arriva il verbale di una riunione dei capi della CIOAC-Histórica. I capi dicono testualmente: “con l’EZLN non si può negoziare con i soldi. Lasciamo catturare tutti quelli che appaiono sui giornali, stanno rinchiusi i loro 4 o 5 anni, e dopo che il problema si è placato, si può negoziare col governo la loro liberazione”. Uno altro aggiunge: “o possiamo dire che c’è stato un morto tra i nostri e così siamo pari perché c’è un morto da entrambe le parti e gli zapatisti dovrebbero calmarsi. Ci inventiamo che è morto o lo ammazziamo noi e così il problema è risolto”.

Alla fine questa lettera si è dilungata e non so se riuscite a sentire quello che noi sentiamo. In ogni caso il Subcomandante Insurgente Moisés mi ha incaricato di avvisarvi che…

Aspettate…

Ora stanno parlando nell’assemblea zapatista della Realidad.

Siamo usciti affinché decidano tra loro la risposta ad una domanda che abbiamo posto: “I governi perseguono la comandancia dell’EZLN, lo sapete bene perché c’eravate anche voi all’epoca del tradimento del 1995. Dunque, volete che stiamo qui per occuparci di questo problema e che ci sia giustizia o volete che ce ne andiamo? Perché tutti voi adesso potreste subire direttamente la persecuzione dei governi e dei loro poliziotti e militari”.

Adesso parla un ragazzo. Ha circa 15 anni. Mi dicono che è il figlio di Galeano. Mi affaccio e benché sia ancora un ragazzino, è un Galeano in formazione. Dice di restare, che si fidano di noi per la giustizia e che si trovi chi ha assassinato suo papà. E che sono preparati a tutto. Le voci in questo senso si moltiplicano. Parlano i compagni. Parlano le compagne e perfino i bambini smettono di piangere: sono state loro a ripristinare l’erogazione dell’acqua, nonostante le minacce dei paramilitari. “Sono coraggiose”, dice un uomo, veterano di guerra.

Restiamo, questa è la decisione.

Il Subcomandante Insurgente Moisés consegna alla vedova un contributo economico.

L’assemblea si scioglie. Anche se possiamo vedere che il loro passo è di nuovo fermo, ora c’è un’altra luce nel loro sguardo.

Cosa stavo dicendo? Ah, sì. Il Subcomandante Insurgente Moisés mi ha incaricato di dirvi che le attività pubbliche di maggio e giugno sono sospese a tempo indeterminato, così come i corsi della “libertad según l@s zapatistas”. Quindi vedete voi per le cancellazioni e tutto il resto.

Aspettate…

Adesso stanno dicendo che lassù stanno ri-invocando il cosiddetto “modello Acteal”: “fu un conflitto intercomunitario per un banco di sabbia”. Mm… segue la militarizzazione, lo schiamazzo isterico della stampa addomesticata, le simulazioni, le menzogne, la persecuzione. Non è una coincidenza che ci sia ancora il vecchio Chuayffet, ora con disciplinati studenti nel governo del Chiapas ed in organizzazioni “campesinas”.

Quello che segue già lo conosciamo.

Ma quello che voglio è approfittare di queste righe per chiedervi:

A noi è stato il dolore e la rabbia a portarci fino a qua. Se anche voi li avete sentiti, dove vi hanno portato?

A noi qui, nella realtà (La Realidad). Dove siamo sempre stati.

E voi?

Bene. Salute e indignazione.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Marcos.
Messico, Maggio 2014. Nell’anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

P.S.- Il Subcomandante Insurgente Moisés sta conducendo le indagini ed informerà sui risultati. Lui o per mio tramite.

Altro P.S.- Se mi chiedete di riassumere il nostro faticoso cammino in poche parole, queste sarebbero: i nostri sforzi sono per la pace, i loro sforzi sono per la guerra.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Mercoledì 7 maggio 2014

Non è stato uno scontro ma un’aggressione contro di noi, sostengono gli zapatisti

Hermann Bellinghausen

Di fronte all’omicidio del compagno zapatista Galeano (maestro di zona della Escuelita por la Libertad) ed al problema presente nella comunità di La Realidad, Chiapas, la Giunta di Buon Governo (JBG) Hacia la Esperanza ha annunciato la decisione di trasferire l’intera questione nelle mani della Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) affinché indaghi e si faccia giustizia.

Inoltre, ha smentito che le basi zapatiste siano state armate. Se così fosse stato, il risultato sarebbe stato diverso.

La JBG identifica un buon numero di paramilitari della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H) guidati da quella che nella regione si conosce come “la banda de Los Luises“, tra i molti Luis Hernández Cruz, José Antonio Vázquez Hernández, Roberto Alfaro Velasco, Alfredo Cruz Calvo e Conrado Hernández Pérez. Di tutti loro, la JBG identifica come paramilitare solo Hernández Pérez tra i cinque arresti che ha annunciato il governo.

La giunta ribelle riassume i fatti. Il 16 marzo, mentre si stava realizzando una campagna di salute nel municipio autonomo General Emiliano Zapata, con sede ad Amador Hernández, i cioaquistas della Realidad hanno sequestrato il camioncino della JBG che trasportava i medicinali, col pretesto dell’estrazione di ghiaia su due camion delle basi di appoggio della Realidad.

Anche se sono proprio i paramilitari della Realidad ad accaparrarsi e fare cattivo use della cava di ghiaia collettiva, ma con tale pretesto si sono presi il veicolo e le medicine degli zapatisti, a dispetto dell’accordo che la ghiaia è comune. Organizzati ed addestrati dai tre livelli del malgoverno per la campagna di contrainsurgencia, si sono messi contro la JBG, perché invece di fermare il camion che trasportava la ghiaia, hanno preso il veicolo che è al servizio della salute di migliaia di zapatisti.

La JBG ha cercato una soluzione, ma i cioaquistas si sono rifiutati ed il camioncino alienato è rimasto nella casa ejidale. Di fronte a ciò, la giunta si è rivolta al Frayba (Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas) chiedendo che “andasse a parlare a Los Luises e consegnare loro la citazione con data 31 marzo” in riferimento al problema cioaquista a La Realidad”.

La CIOAC-H non si è presentata allora, né ad una seconda citazione benché entrambe le volte avesse accettato. Il terzo appuntamento era il primo di maggio. Si sono presentati Roberto Alfaro Velasco ed Alfredo Cruz Calvo, della centrale filogovernativa. Il secondo è uscito dicendo che avrebbe parlato con i suoi correligionari della Realidad ma “si è andato con il capo paramilitare dei Los Luises” ed è ritornato nel caracol con altre 15 persone a dirci di lasciare andare Roberto Alfaro.

 

Davanti alla JBG, Alfaro ha chiarito che non era stato né rapito né fermato, nonostante volessero obbligarlo ad ammettere di esserlo.

Ciò nonostante, il 2 maggio la riunione proseguiva e stavamo concordando di proseguire l’incontro il giorno dopo, ma “il capo dei Los Luises ed i 15 fuori stavano organizzando un’altra cosa”. Quel pomeriggio stavano arrivando nel caracol decine di basi zapatiste per svolgere diversi lavori ed i paramilitari erano appostati all’entrata e nel centro della comunità. Armati con armi a canna lunga e corta, machete, bastoni e pietre, prima di compiere l’omicidio hanno distrutto la scuola autonoma e tagliato le tubature dell’acqua del caracol e delle famiglie zapatiste.

Gli aggressori hanno attaccato le basi dell’EZLN con pietre e bastoni. Dal caracol sono usciti altri zapatisti per aiutarli ma non ce l’hanno fatta e sono stati attaccati con le armi nel mezzo del villaggio, dove è caduto il nostro compagno José Luis, maestro di zona della Escuelita por la Libertad. E’ stato colpito da tre colpi, ed un colpo di grazia in testa. Erano le 20:30 del giorno 2. Ai 15 filogovernativi che si trovavano nel caracol è stato chiesto di andare a controllare la loro gente, ma nessuno di loro ha voluto farlo.

Il 5 maggio, aggiunge la JBG, il governo del Chiapas ha detto di aver fermato cinque persone; uno è leader paramilitare della CIOAC; agli altri non li conosciamo, ma loro si conoscono, soprattutto il capo supremo paramilitare Manuel Velasco ed il supremo leader paramilitare (Enrique) Peña Nieto. Così chi ha tolto la vita e dato il colpo di grazia al loro compagno continuano a stare alla Realidad, e provocare, e continueranno a farlo perché questo è il piano del supremo paramilitare.

La JBG sottolinea la presenza sul posto del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, nelle cui dichiarazioni si può capire chiaramente chi sta dicendo menzogne e dove sta la verità. E segnala: Tutto quella che è uscito sulla stampa prezzolata è bugia. Non c’è mai stato uno scontro. Quello che è successo è stato un attacco contro di noi. http://www.jornada.unam.mx/2014/05/07/politica/011n1pol

COMUNICATO DELLA JBG

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas

5 maggio 2014

Comunicato stampa No. 16

 

Aggressione a Basi dell’EZLN nella sede della Giunta di Buon Governo della Realidad

  • Elementi della CIOAC-Histórica, PVEM, PAN aggrediscono Basi di Appoggio dell’EZLN nell’ejido della Realidad.
  • Un omicidio, feriti, distruzione di beni e danni a veicoli sono il risultato dell’aggressione.

Questo Centro dei Diritti Umani ha documentato l’omicidio di José Luis Solís López e le aggressioni alle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN), fatti avvenuti 2 maggio 2014 nell’ejido di La Realidad, Municipio di Las Margaritas, da parte di militanti del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), del Partito di Azione Nazionale (PAN) ed elementi della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos Histórica (CIOAC-H).

Il 2 maggio 2014 una Commissione di Dialogo composta da 15 persone, membri della CIOAC-H, si sono recati presso la Giunta di Buon Governo Hacia La Esperanza (d’ora in poi JBG) del Caracol 1 Madre de los Caracoles Mar de Nuestros Sueños con sede a La Realidad (d’ora in poi Caracol 1) per chiedere la “liberazione” del Professor Roberto Alfaro Velasco, segretario particolare della CIOAC-H; Tuttavia il professore ha testualmente dichiarato che: “Non sono mai stato trattenuto, sono sempre stato libero ed avevo deciso di restare per risolvere questo problema, per il quale ci stiamo incontrando e scambiando informazioni in maniera costante”, e di fronte a questa informazione la Commissione di Dialogo di 15 persone aveva deciso di proseguire la riunione fino alla risoluzione del conflitto e la firma di accordi. Si segnala che il giorno 4 maggio alle ore 22:00 la Commissione di Dialogo della CIOAC-H usciva dal Caracol 1.

La riunione permanente di dialogo si stava svolgendo dal 1º di maggio nella sede della JBG, col consenso e la presenza di rappresentanti della CIOAC-H, di membri della JBG e da due persone di questo Centro dei Diritti Umani in qualità di osservatori. Al pomeriggio del giorno 2 maggio si stava giungendo ad accordi per risolvere la problematica derivata dal sequestro di un veicolo appartenente alla JBG.

Ciò nonostante, alle 18:30, militanti della CIOAC-H, PVEM e PAN che si trovavano fuori dalla sede della JBG hanno cominciato a colpire gli edifici della Scuola e della Clinica autonoma che si trovano a circa 150 metri di distanza. Inoltre si è saputo che il veicolo sequestrato era danneggiato. Di fronte a questa situazione le BAEZLN hanno deciso di rimanere nella sede del Caracol 1 per evitare lo scontro. Da parte sua, la Commissione di Dialogo formata da membri della CIOAC-H ha chiesto di essere accolta nel Caracol 1 per garantirsi la vita, la sicurezza e l’integrità personale.

Qualche minuto dopo, testimoni, comprese le due persone di questo Centro dei Diritti Umani, hanno sentito che circa 68 BAEZLN che si stavano dirigendo nella sede del Caracol 1, a bordo di tre veicoli, avevano subito un’imboscata ed erano stati aggrediti con armi, machete, bastoni e pietre all’entrata dell’ejido da circa 140 persone abitanti dell’ejido di La Realidad appartenenti alla CIOAC-H e membri del PVEM e PAN. Con il risultato di BAEZLN feriti, danni ai veicoli su cui viaggiavano consistenti in vetri rotti, fari rotti, danni alle carrozzerie ed un camion di tre tonnellate preso a bastonate.

Di fronte a questa situazione, questo Centro dei Diritti Umani ha potuto documentare che le BAEZLN che si trovavano nel Caracol 1 andate a soccorrere i loro compagni sono state aggrediti con armi, bastoni e pietre col risultato dell’omicidio di José Luis Solís López, BAEZLN, colpito da tre pallottole calibro .22 mm: una nella gamba destra, un’altra all’altezza del torace lato destro ed un’altra nella parte posteriore del cranio. Inoltre presentava vari colpi di bastone alla schiena, in testa ed un colpo di machete sulla bocca.

La persona assassinata, José Luis, stava partecipando alla riunione con la dirigenza della CIOAC-H. Durante la riunione aveva riferito di diversi atti di vessazione e minacce da parte del Commissari Ejidal Javier López Rodríguez, dell’Agente Municipale Carmelino Rodríguez Jiménez, del Segretario del Commissariato Ejidal Edmundo López Bruno, Jaime Rodríguez Gómez, Eduardo Sántiz Sántiz e Álvaro Sántiz Rodríguez, memebri della CIOAC-H.

La situazione nel Caracol 1 si era aggravata da quando abitanti dell’ejido La Realidad, appartenenti al PVEM, PAN e CIOAC-H, avevano tagliato l’erogazione dell’acqua potabile al Caracol 1.

Stante la situazione, questo Centro dei Diritti Umani condanna l’attacco contro il progetto di autonomia dell’EZLN, l’omicidio di José Luis Solís López, l’aggressione alle BAEZLN, l’irruzione per interrompere il dialogo che si stava svolgendo presso la JBG e la escalation di violenza che mette a rischio la vita e l’integrità di tutte le persone che si trovano nel Caracol 1 di La Realidad.

Pertanto è urgente che il governo dello stato del Chiapas svolga un’indagine pronta ed imparziale che chiarisca i fatti e punisca gli autori materiali ed intellettuali dell’assassinio di José Luis Solís López, BAEZLN; ed un’indagine che chiarisca i fatti e punisca i responsabili delle aggressioni contro le BAEZLN che hanno avuto come conseguenza diverse persone ferite gravemente.

Inoltre il risarcimento dei danni ai beni del progetto autonomistico dell’EZLN: due aule distrutte e gli orti della Scuola Autonoma; la Clinica autonoma distrutta nella sua totalità; veicolo Nissan ancora sequestrato; tre veicoli: un camioncino Ford Ranger modello 2000, una Chevrolet modella 1985, ed un camion di tre tonnellate modello 2002 ed altri danni provocati dall’aggressione.

Ed in maniera Urgente si ripristini l’erogazione dell’acqua potabile interrotta dagli aggressori privando così di questo servizio fondamentale le BAEZLN dell’ejido della Realidad.

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Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org

http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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GIUNTA DEL BUON GOVERNO

HACIA LA ESPERANZA

CARACOL I

MADRE DE LOS CARACOLES MAR DE NUESTROS SUEÑOS

LA REALIDAD, CHIAPAS, MESSICO

5 MAGGIO 2014

 

DENUNCIA PUBBLICA

 

ALLA SOCIETÁ CIVILE NAZIONALE E INTERNAZIONALE

AGLI ALUNNI E ALUNNE DELLA ESCUELITA

ALLE COMPAGNE E COMPAGNI DELLA SEXTA IN MESSICO E NEL MONDO

AGLI ORGANISMI INDIPENDENTI DEI DIRITTI UMANI

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE ALTERNATIVI

ALLA STAMPA NAZIONALE E INTERNAZIONALE

A TUTTE LE PERSONE ONESTE DEL MESSICO E DEL MONDO

 

Compagni e compagne, fratelli e sorelle, denunciamo energicamente i paramilitari CIOACHISTI organizzati dai 3 livelli dei malgoverni contro i nostri popoli base di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale – EZLN.

Il 16 marzo di quest’anno, quando stavamo realizzando una campagna per l’Altra Salute Autonoma con i nostri popoli zapatisti, nel municipio autonomo General Emiliano Zapata con sede in Amador Hernandez, i paramilitari CIOACHISTI de La Realidad, ci hanno sequestrato il camioncino della Giunta di Buon Governo che trasportava i medicinali per la nostra campagna, con la scusa dei due camion di ghiaia che erano serviti ai nostri compagni base di appoggio de La Realidad, per la costruzione di un dormitorio destinato ai promotori e promotrici della clinica autonoma municipale del Municipio San Pedro Michoacán con sede nel La Realidad.

1.- Ecco il pretesto: precedentemente c’era un accordo per usare la ghiaia. I paramilitari de La Realidad la stavano usando per costruire pollai e porcili che i malgoverni danno attraverso il programma “Casa Digna”, ma i paramilitari non permettevano che i nostri compagni usassero questa ghiaia; questo è stato il pretesto.

I paramilitari organizzati dai tre livelli del malgoverno e addestrati per la campagna di contrainsurgencia, hanno provocato i nostri compagni zapatisti e si sono messi contro la Giunta di Buon Governo, perché anziché fermare il camion che trasportava la ghiaia, hanno preso quello che era al servizio della salute di migliaia di zapatisti. Non hanno mai voluto risolvere il problema. Il capo dei paramilitari CIOACHISTI è Javier Lopez Rodriguez commissario ejidal, Carmelino Rodríguez Jiménez agente dei paramilitari, Jaime Rodríguez Gómez, Eduardo Santiz Santiz, Álvaro Santiz Rodríguez, Oscar Rodríguez Gómez.

La provocazione riguardo la ghiaia è stato un pretesto perché c’è un accordo della comunità che la ghiaia è proprietà comune; gli stessi paramilitari CIOACHISTI de La Realidad usano la ghiaia per la costruzione dei porcili che il malgoverno chiama casa digna.

Dunque i compagni hanno pensato che anche loro avevano il diritto di usarla.

I paramilitari de La Realidad sono pagati, comandati ed addestrati dai tre livelli dei malgoverni per dividerci, provocare i popoli zapatisti e il governo autonomo zapatista, hanno ribaltato i fatti e si sono messi contro la Giunta di Buon Governo.

Come Giunta abbiano cercato di trovare una soluzione ma loro non hanno mai voluto capire, perché i dirigenti paramilitari CIOACHISTI de La Realidad spingono la gente contro la Giunta di Buon Governo e così non si è potuto trovare una soluzione ed hanno portato il camioncino della Giunta di Buon Governo fino alla casa ejidale che fino a oggi era nelle loro mani.

2.- Di fronte a questo, come Giunta di Buon Governo abbiamo creduto nella possibilità di arrivare ad un’intesa con altri capi paramilitari CIOACHISTI STORICA e cioé i capi paramilitari Luis Hernández, José Antonio Vázquez Hernández, Roberto Alfaro Velasco, Alfredo Cruz Calvo, Juan Carlos López Calvo, Romeo Jiménez Rodríguez, Víctor García López, Conrado Hernández Pérez, Gustavo Morales López e Roberto Méndez Vázquez. Così, accompagnati da alcuni dei loro militanti come Adrián López Velásquez, Cesar Hernández Santiz della comunità Victoria La Paz, Bernardo Román Méndez, Enrique Méndez Méndez, che sono del Ejido Miguel Hidalgo, Misael Jiménez Pérez, Vidal Jiménez Pérez, Marconi Jiménez Pérez di Guadalupe Tepeyac, Ismael Garcia Perez di San José La Esperanza. E altri complici che operano da fuori: Gilberto Jiménez Hernández, Delmar Jiménez Jiménez, Gerardo Hernandez Perez, questi tre sono i capi paramilitari che operano a Guadalupe Tepeyac.

Ed altri di Guadalupe Los Altos, Julio Rodriguez Aguilar, Carmellino Rodriguez Aguilar, Ranulfo Hernandez Aguilar y Alejandro Vazquez, e di San Carlos Veracruz Gaudencio Jimenez Jimenez che lavora nella presidenza municipale di Las Margaritas, Gabriel Grene Hernandez, Isauro Mendez Santiz, Ivan Mendez Dominguez, Fidel Mendez Zantiz, Alfredo Mendez Rodriguez, questi di Veracruz frazione di San Carlos.

3.- Conoscendo il comportamento di questi capi paramilitari CIOACHISTI e cioè la banda dei Los Luises, ci siamo rivolti al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, spiegando le azioni e le provocazioni subite e chiedendo che fosse il Frayba a parlare ai Los Luises e consegnargli la citazione con data 31 marzo. A quella prima citazione ne è seguita una seconda e una terza. La risposta è stata che se la citazione era per il problema dei CIOACHISTI di Guadalupe Los Altos, Santa Rosa el Copan, Diez de Abril, San Francisco o San Jose el Puente, non la riconoscevano. Il Frayba ha spiegato loro la situazione e inoltre che la citazione specifica era per il problema CIOACHISTA dei paramilitari de La Realidad, ma questi non si sono presentati.

4.- Abbiamo mandato una nuova citazione per mezzo del Frayba. Hanno risposto che sarebbero venuti ma non si sono mai presentati.

Ci siamo preoccupati e così siamo andati negli uffici del Frayba chiedendo che, per dare più forza alla citazione, andassero loro dai capi paramilitari dei Los Luises e che si presentassero con questa terza citazione. Abbiamo chiesto la presenza del Frayba come testimone per arrivare ad una soluzione pacifica ed era stata stabilita la data del Primo maggio del presente anno.

5.- Sono arrivati prima Roberto Alfaro Velasco che è il segretario dell’organizzazione CIOAC e Alfredo Cruz Calvo segretario dei trasporti. Alfredo Cruz Calvo ad un certo punto è uscito a parlare con i suoi compagni CIOACHISTI de La Realidad, ma quando è tornato da noi Giunta di Buon Governo, ci disse che i suoi compagni non avevano compreso bene. Allora ci proposero che uno di loro andasse a parlare con i capi paramilitari de La Realidad, e questo è stato il trucco. Infatti non è andato a parlare con i capi paramilitari de La Realidad, ma è uscito per parlare con i capi paramilitari dei Los Luises. Dopo poco, Alfredo, che si supponeva fosse andato a parlare con i capi paramilitari de La Realidad, ritorna con 15 persone a dirci che dovevamo liberare Roberto Alfaro. Dunque non sono tornati per vedere il problema, ma hanno proposto che alcuni di loro andassero a parlare con i capi de La Realidad.

Detto questo inizia la discussione per chiarire che Roberto Alfaro non è sequestrato né prigioniero e i 15 obbligano Roberto Alfaro a dichiarare che era prigioniero e sequestrato. Di tutto questo il Frayba è testimone ed è sempre stato presente. Roberto Alfaro ha chiesto a questi 15 che andassero a parlare con i capi paramilitari de La Realidad ma questi 15 si sono rifiutati. Il 2 maggio, alle 5 o 6 della sera, abbiamo concordato di proseguire il dialogo per un altro giorno, ma questi 15 con i capi paramilitari dei Los Luises, stavano già organizzando un’altra cosa. La sera del 2 maggio stavano arrivando compagni basi di appoggio zapatisti nel nostro caracol per eseguire alcuni lavori e questi paramilitari già stavano preparando un’imboscata all’entrata della comunità per aggredire i nostri compagni.

I paramilitari del La Realidad erano organizzati ed avevano già il piano di quello che avrebbero fatto. Erano divisi in 2 gruppi, un gruppo all’entrata della comunità ed un altro gruppo nel centro, armati con armi lunghe e corte – machete, bastoni e pietre. Prima di compiere l’omicidio hanno iniziato con la provocazione distruggendo la scuola autonoma dei nostri compagni basi di appoggio della comunità, tagliato le tubature dell’acqua dei nostri compagni zapatisti e del centro del caracol.

Noi non abbiamo sento niente ma in quel momento sono arrivati i compagni per i lavori della zona e immediatamente i paramilitari de La Realidad li hanno imboscati sulla strada all’entrata della comunità e li hanno aggrediti con pietre, bastoni, distruggendo il parabrezza dei camion ed i nostri compagni si sono difesi come hanno potuto.

Come Giunta di Buon Governo veniamo informati dell’aggressione ed altri compagni che si trovavano a lavorare nel caracol sono usciti per aiutarli ma non ci sono riusciti, perchè sono stati aggrediti con le armi nel mezzo del villaggio, ed è lì dove è caduto il nostro compagno José Luis Solís López, maestro di zona della Escuelita Por La Libertad Según Las y Los Zapatistas, colpito da una pallottola calibro 22 alla gamba destra, un’altra al petto, bastonate nella schiena, un fendete in faccia ed è stato finito con un colpo di grazia alla testa.

Gli altri compagni feriti da pallottole, machete, bastoni e pietre, sono:

-Romeo Jimenez Lopez, ferita da sparo alla gamba destra e sinistra calibro 22

-Andulio Gomez lopez, fertia al petto da calibro 22

Il compagno Abacuc Jimenez Lopez, ferita da machete al braccio destro

Il compagno Yadiel Jimenez Lopez, ferita da machete al braccio destro

Il compagno Efrain, ferita da pietre in testa

Il compagno Gerardo, ferita da pietre in volto

Il compagno Ignacio, ferite da pietre nella mano ed in volto

Il compagno Esau, ferite da pietre in volto

Il compagno Noe, ferite da pietre in testa

Il compagno Saul, picchiato e ferite da pietre al braccio destro

Il compagno Elder Darinel, ferite al collo

Il compagno Hector, ferito all’occhio da una pietra

Il compagno Marin, colpito al volto da pietre con distruzione dei denti

Il compagno Nacho, ferito alla mano e un occhio da pietre e machete

Il compagno Jairo, colpito alla schiena

I nostri compagni sono stati portati nel nostro Ospedale Scuola La primera esperanza compañero Pedro, per essere curati

6.- Smentiamo energicamente che eravamo amati, se così fosse stato, il risultato sarebbe stato diverso di quanto accaduto alle ore 20:30 del 2 maggio.

Avevamo chiesto a quei 15 che stavano con noi di andare a controllare la loro gente ma nessuno di loro ha voluto farlo.

7.- Oggi 5 maggio, sentiamo che il malgoverno del Chiapas dice di aver fermato 5 persone, una di loro leader paramilitare della CIOAC, Conrado Hernández Pérez, gli altri non li conosciamo, ma loro sì, si conoscono, soprattutto il grande capo paramilitare Manuel Velasco Coello e sa bene come stanno le cose il supremo leader paramilitare Peña Nieto, ma gli assassini criminali paramilitari che hanno tolto la vita dando il colpo di grazia al nostro compagno José Luis Solis Lopez non sono stati catturati, continuano a vivere alla Realidad e continuano a provocare e continueranno a farlo perché è il piano del supremo paramilitare e del grande paramilitare in Chiapas e dei capi paramilitari della CIOAC.

8.- Come si può vedere da quello che raccontiamo, in ogni momento è stato presente il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas. Per questo abbiamo subito riferito quanto è successo. Per rispetto alla sua mediazione ed alla sua imparzialità, aspettiamo che il Frayba si esprima in maniera neutrale sull’accaduto. Il Frayba può vedere chiaramente chi racconta menzogne e dove sta la verità da chi era presente e non apparteneva ad alcun gruppo.

9.- Ora si sa chiaramente che tutto quanto apparso sulla stampa prezzolata sono bugia. Non c’è mai stato uno scontro. Quanto successo è stato un vero attacco contro di noi.

10.- Di fronte a questo attacco ed al vile assassinio del nostro compagno Galeano, la Giunta di Buon Governo ha deciso di trasferire nelle mani della Comandancia Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale tutta la questione, affinché indaghi e si faccia giustizia. Ora aspettiamo quello che diranno i nostri compagni dell’EZLN.

DISTINTAMENTE

GIUNDA DI BUON GOVERNO

HACIA LA ESPERANZA

ZONA SELVA FRONTERIZA

 

Comunicato originale

(Traduzione a cura di GF e “Maribel” – Bergamo)

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1portadaEditoriale 2. Rebeldía Zapatista. La parola dell’EZLN

 

Compagne e compagni della Sexta e della escuelita zapatista.

Di seguito le parole delle compagne e compagni, famiglie, guardiane e guardiani, maestre e maestri riguardo a come hanno visto le alunne e gli alunni.

 

Come diciamo in queste terre ribelli, non c’è tregua bisogna lavorare duro.

Diciamo così perché è in arrivo un altro lavoro con le compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno. Come vedete, la verità non riposa.

Il riposo viene dopo il lavoro per il sostentamento della famiglia, ma serve per pensare, studiare e fare piani di lavoro di lotta.

Per il semplice fatto che i capitalisti neoliberali non smettono di studiare come essere sempre dominatori.

Come dicono i compagni e le compagne, in uno degli incontri di condivisione che abbiamo fatto: in soli 19 anni abbiamo fatto fuori il cattivo sistema di 520 anni di dominazione, ora siamo padroni della libertà e della democrazia. E siamo solo poche migliaia di donne e uomini a governare i popoli di donne e uomini. Che cosa direbbero se ci organizzassimo con gli altri milioni delle campagne e delle città.

Come direbbero gli stessi compagni e compagne: tutto questo grazie alla nostra organizzazione e consapevolezza della dignità e della resistenza, non ci rassegniamo più con gli avanzi, le elemosine o le briciole ed inganni dopo inganni del malgoverno.

Come dicono i popoli zapatisti: ai nostri trisnonni, bisnonni e nonni non hanno mai dato da mangiare. Al contrario, gli toglievano quello che producevano e gli davano un po’ da mangiare per l’oggi, affinché domani lavorassero per il padrone, così hanno trascorso la loro vita: sfruttati dai padroni e dal malgoverno. E perché ora dovremmo credere che il malgoverno sia più buono, se sono gli stessi bisnipoti e nipoti di quegli sfruttatori e sono i peggiori venditori della patria di adesso?

Per questo adesso i nuovi padroni sono stranieri, se glielo permettiamo, noi i poveri delle champagne e delle città.

È ora che i poveri delle campagne e delle città si organizzino, è ora che i poveri delle campagna e delle citàà prendano nelle proprie mani il loro destino, cioè che si governino i popoli e non solo qualcuno che sta lì solo per diventare ricco, è sotto gli occhi di tutti quello che fanno.

Per questo le compagne ed i compagni basi di appoggio zapatisti si sono organizzati, hanno sognato e lavorato per come sarà il loro destino, è sotto gli occhi di tutti. Il loro governare come popolo è totalmente differente, il popolo comanda ed i suoi rappresentanti ubbidiscono, questo è il vero cambiamento, e non solo un cambio di colori o simboli.

C’è chi dice che non si può, compagne e compagni della escuelita. Sì, si può, perché è il popolo stesso, in modo organizzato, che decide su tutti gli aspetti della vita.

Perché temiamo che i popoli stessi decidano la nuova vita che vogliono? Non temiamo invece la grande atrocità che commettono i tre poteri del malgoverno che decidono contro i nostri popoli? Come dicono le compagne e compagni dell’EZLN, faremo come decideranno i nostri popoli, perché loro decidono per il bene del popolo e non per far del male a loro stessi e se ci saranno errori, allora li correggeremo. Ma questi tre poteri non sentono, non vedono, non accettano consigli, è il loro mondo di dominare, di ingannare. Usciamo da lì, lasciamoli soli e vediamo se riescono a vivere, senza farci sfruttare e tutto il resto.

L’esempio viene dalle compagne e compagni dei popoli zapatisti.

È per questo che qui seguono le parole delle compagne e compagni basi di appoggio dell’EZLN.

E seguiranno.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, Aprile 2014. Anno 20 dell’inizio della guerra contro l’oblio.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/04/24/editorial-2-rebeldia-zapatista-la-palabra-del-ezln/

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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EJIDO SAN SEBASTIAN BACHAJON ADERENTE ALLA SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA. CHIAPAS. MESSICO. 17 APRILE 2014

A tutt@ compagn@ aderenti alla Sesta dichiarazione della selva lacandona

Ai media di massa e alternativi

Alle Giunte di Buon Governo

All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Al Congresso Nazionale Indigeno

Alla Rete contro la Repressione e per la Solidarietà

Al Movimento per la Giustizia del Barrio di New York

A collettivi e comitati solidali a livello nazionale ed internazionale

Ai difensori dei diritti umani nazionali ed internazionali

Al popolo del Messico e del mondo

Compagni e compagne in lotta, il prossimo giovedì 24 aprile si compie un anno dal vile assassinio politico del nostro compagno Juan Vázquez Guzmán, quel giorno pregheremo insieme alla sua famiglia per il riposo eterno del nostro compagno che ora è tra le braccia della nostra madre terra, affinché la sua memoria si mantenga viva e ci dia la forza per resistere alla repressione ed alla politica di morte del malgoverno.

Il 24 aprile inizierà una giornata mondiale per la giustizia per San Sebastián Bachajón ed i nostri compagni caduti Juan Vázquez Guzmán e Juan Carlos Gómez Silvano, convocata dal Movimento per la Giustizia del Barrio di New York, ci uniamo a questa giornata con un atto politico in onore dei nostri compagni Juan Vázquez e Juan Carlos Gómez che faremo sabato 26 aprile a partire dalle ore 10 nella sede dell’organizzazione a Cumbre Nah Choj.

Vi invitiamo ad unirvi, secondo i propri tempi e geografie, alla giornata mondiale di richiesta di giustizia per la comunità e per i compagni caduti Juan Vázquez Guzmán y Juan Carlos Gómez Silvano

Dalla zona nord del Chiapas mandiamo un abbraccio combattivo.

Mai più un Messico senza di noi.

Distintamente

¡Tierra y libertad!
¡Zapata Vive!
¡Hasta la victoria siempre!
Presos políticos ¡Libertad!
¡Juan Vázquez Guzmán Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡Juan Carlos Gómez Silvano Vive, la Lucha de Bachajón sigue!
¡No al despojo de los territorios indígenas! 

—————————————————–

Appello dall’Europa a sostegno di San Sebastián Bachajón per le “Dos Semanas de Acción Mundial: ¡Juan Vázquez Guzmán Vive! ¡La Lucha de Bachajón Sigue!” dea 24 aprile all’8 maggio 2014

Gruppi e/o persone che vogliono sottoscrivere l’appello, mandino la propria firma via email all’indirizzo   dorsetchiapassolidaritygroup@riseup.net , prima delle ore 18.00 di mercoledì 23 aprile.

Saludos rebeldes

Edinburgh Chiapas Solidarity Group, Escocia

 

Desde Europa: Pronunciamiento de apoyo a las Dos Semanas de Acción Mundial: ¡Juan Vázquez Guzmán Vive, La Lucha de
Bachajón Sigue! del 24 de abril al 8 de mayo del 2014.

A nuestras herman@s del Ejido San Sebastián Bachajón:
A nuestr@s compañer@s adherentes a la Sexta:
A nuestras hermanas y hermanos zapatistas:
A los pueblos de México y el mundo:
A los medios de comunicación independientes:
A los Comités de la Palabra Verdadera:

Sabemos que los asesinatos impunes de los compañeros Juan Vázquez Guzmán y Juan Carlos Gómez Silvano del ejido San
Sebastián Bachajón son parte de la guerra de exterminio y despojo en contra de los de abajo que están llevando a cabo
los gobiernos y las corporaciones multinacionales. Su objetivo es la erradicación de los pueblos indígenas de estas
tierras, y convertir el agua, la tierra, hasta la vida misma en mercancía, saqueando y destruyendo de ese modo a
nuestra madre tierra en su codicia y ambición de crear aún más megaproyectos.

La digna lucha de los adherentes a la Sexta Declaración de San Sebastián Bachajón por defender el territorio el cual
les pertenece a ellos así como les perteneció a sus antepasados, por reclamar las tierras de propiedad común que les
fueron robados ilegalmente, y por defender su modo de vida y la construcción de su autonomía, es la causa de estos
asesinatos viles. Los gobiernos y las autoridades locales, con sus fuerzas públicas de estado y sus grupos
paramilitares que han armado y financiado, quieren de una vez por todas acabar con la defensa digna del territorio por
parte de los ejidatarios de Bachajón, a través del uso del terror, con el fin de construir un desarrollo del turismo
de élite.

Pero no van a tener éxito. La lucha colectiva por una vida digna, por “seguir siendo lo que somos”, de l@s compañer@s
de San Sebastián Bachajón sigue, y unimos nuestras luchas con las de ellos. Honramos la memoria y la continua
presencia del compañero Juan Vázquez Guzmán que vive y lucha junto a su pueblo por la justicia, la libertad, la tierra
y el territorio, una lucha que no tiene un final.

Nosotros, los abajo firmantes, exigimos justicia. Denunciamos estos asesinatos crueles. Insistimos en una
investigación justa y abierta, y el castigo de los autores materiales e intelectuales de estos crímenes. Y exigimos
que el Gobierno Mexicano adopte todas las medidas necesarias para garantizar el derecho a la vida, la integridad y la
seguridad personal a los integrantes del ejido de San Sebastián Bachajón adherentes a la Sexta Declaración, así como a
todas las defensoras de los derechos humanos.
Además, hacemos un llamado para la devolución de sus tierras comunales a la población de San Sebastián Bachajón, el
respeto de los derechos de estos pueblos indígenas tzeltales por sus tierras y territorios, el respeto de su derecho a
la libre determinación y la búsqueda de formas alternativas de vida.

Ofrecemos nuestro respeto a los familiares de Juan Vázquez Guzmán y Juan Carlos Gómez Silvano, y enviamos nuestros
saludos de solidaridad y compañerismo a los hombres, mujeres, niños y ancianos de San Sebastián Bachajón. Les decimos
que no los olvidamos y seguimos pendientes y alerta de cuanto ocurra en sus tierras. Nos unimos a sus anhelos por que
la memoria de Juan Vázquez Guzmán se mantenga viva y les siga dando la fuerza para resistir la represión y la política
de muerte del mal gobierno, y para que sigan adelante en su lucha por un mundo mejor.

En la exigencia por justicia para el pueblo de San Sebastián Bachajón y en honor a la memoria de Juan Vázquez Guzmán y
Juan Carlos Gómez Silvano, ofrecemos todo nuestro apoyo a la iniciativa Dos Semanas de Acción Mundial: ¡Juan Vázquez
Guzmán Vive, La Lucha de Bachajón Sigue!

Firmas:
ASSI (Accion Social Sindical Internacionalista)
Caracol Zaragoza
Centro de Documentación sobre Zapatismo -CEDOZ-
CGT – Estado español
Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Aragón
Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid
anna pacchiani e massimo vecchi bergamo – italia
Associazione Jambo, commercio equo Fidenza –Italia
Associazione Ya Basta! Milano
Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo, Italia
GAIA CAPOGNA, Italy
LaPirata:
– Nodo Solidale, Mexico y Roma
– Nomads, Bologna y Berlin
– Collettivo Zapatista Lugano
– Adherentes Individuales
Caracol mundo-eco de latido en solidaridad
Casa Nicaragua, Lieja, Bélgica
Grupo Cafez, Lieja, Bélgica
Les trois passants, Paris, Francia
Mut Vitz 13, Marseille, Francia
UK Zapatista Solidarity Network:
-Dorset Chiapas Solidarity Group
-Edinburgh Chiapas Solidarity Group
-Kiptik (Bristol)
-London Mexico Solidarity Group
-Manchester Zapatista Collective
-UK Education, Culture and Communication team
-UK Zapatista Translation Service
-Zapatista Solidarity Group – Essex
Carol M Byrne, Birmingham
Committee of the True Word for South-West England
Zap Sol UK

Aquí pueden ver más información incluyendo crónicas e informes de las actividades:
http://vivabachajon.wordpress.com/ultimas-noticias/

Aquí pueden ver el video “Bachajón – Despojo es muerte. Vida es resistencia.”:
https://www.youtube.com/watch?v=qJkVziBk214

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La Jornada – Sabato 19 aprile 2014

Lanciate giornate internazionali per la giustizia per San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen

L’ejido San Sebastián Bachajón, del municipio di Chilón, nella zona Nord del Chiapas, ha annunciato la realizzazione di giornate interazionali per la giustizia a favore della lotta di questo ejido, aderente alla Sesta dichiarazione della Selva Lacandona, che si oppone ai tentativi del governo di spogliarlo di parte del suoi territorio a fini turistici e per costruire delle srade senza il consenso degli abitanti.

Il 24 aprile prossimo sarà trascorso un anno dal vile assassinio politico del dirigente Juan Vázquez Guzmán. Gli ejidatari tzeltal dichiarano che, affinché la sua memoria si mantenga viva e continui a darci la forza di resistere alla repressione ed alla politica di morte del malgoverno, quel giorno sarà una giornata mondiale per la giustizia per San Sebastián Bachajón ed i nostri compagni caduti Juan Vázquez Guzmán e Juan Carlos Gómez Silvano, quest’ultimo assassinato il 21 marzo scorso alla periferia di Chilón con più di 20 colpi d’arma da fuoco. Entrambi i crimini rimangono impuni e niente indica che le autorità stiano veramente indagando per trovare i responsabili. Si tratta, semplicemente, di due esecuzioni eseguire da professionisti.

Le giornate internazionali sono convocate dal Movimento per Giustizia del Barrio, di New York, e da gruppi solidali del Regno Unito e India. Il giorno 26 si svolgerà un atto politico nella sede dell’organizzazione indipendente degli ejidatari a Cumbre Nah Choj. Le giornate si concluderanno l’8 di maggio.

“Non c’è ancora giustizia. Non c’è stata un’indagine efficace sull’assassinio di Vázquez Guzmán, ed i suoi assassini e quelli che ordinarono la sua esecuzione sono al sicuro nell’impunità. Nel frattempo, continuano le azioni per defraudare il villaggio di Juan, gli ejidatari aderenti alla Sexta“, si segnala nella convocazione.

I tre livelli di governo, con il suo Esercito, i suoi poliziotti, i suoi alleati nelle ultinazionali, i suoi gruppi paramilitari finanziati localmente ed i suoi lacchè di partito, non cessano gli attacchi ed i saccheggi, con inganni e bugie, minacce, violenza, incarceramento, tortura e perfino omicidi, per impadronirsi delle terre comunali dell’ejido per la costruzione di un complesso turistico di lusso di fianco alle belle cascate di Agua Azul.

Anche la morte di Gómez Silvano, che partecipava alla costruzione dell’autonomia sulla terra recuperata della proprietà Virgen de Dolores, resta nell’impunità. Le organizzazioni che convocano le Due Settimane di Azione Mondiale sostengono: Gli ejidatari non consegneranno le terre che hanno ereditato dai loro nonni affinché ora siano usate per la costruzione di hotel, campi da golf, strade ed eliporti. Non permetteranno che la madre terra e la sua ricchezza naturale, la selva e l’acqua, siano distrutti. http://www.jornada.unam.mx/2014/04/19/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 15 aprile 2014

I profughi sono tornati nell’ejido Puebla in Chiapas

Elio Henríquez. Corrispondente. Ejido Puebla, Chiapas.

Le 17 famiglie cattoliche sfollate nell’agosto scorso da questo ejido del municipio di Chenalhó a causa della disputa di una proprietà a maggioranza evangelica, ieri hanno fatto ritorno accompagnate dal vescovo di San Cristóal de Las Casas, Felipe Arizmendi Esquivel, e dal segretario di Governo, Eduardo Ramírez Aguilar, e da rappresentanti di organismi non governativi ed osservatori civili. Il vescovo ha dichiarato che questo è un ritorno senza giustizia ed ha chiesto di continuare ad appoggiare le famiglie che sono tornate, perché non è certo finita, non solo per quanto riguarda l’ambito materiale, ma soprattutto per la sicurezza, la stabilità, l’armonia e la riconciliazione. Il segretario Ramírez Aguilar ha affermato che il ritorno è un passo importante per la pace e la riconciliazione. http://www.jornada.unam.mx/2014/04/15/politica/017n3pol

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L’EZLN ANNUNCIA LE ATTIVITA’ CON I POPOLI ORIGINARI, L’OMAGGIO A DON LUIS VILLORO ED IL SEMINARIO SU “L’ETICA DI FRONTE AL SOPRUSO”, ED UNA NUOVA INIZIATIVA PER LA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2014

Per: la Sexta in Messico e nel Mondo.

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

 

Compagne, compagni e compañeroas della Sexta:

Saluti da parte di tutte e tutti gli zapatisti dell’EZLN.

Vi informiamo di quello che faremo prossimamente:

1 – Popoli Originari.- La settimana dal 26 al 30 maggio di 2014, in uno dei nostri caracol, avremo una prima condivisione con le sorelle e fratelli di diversi popoli originari ed organizzazioni indigene. In questa occasione condivideremo i nostri pensieri e storie di lotta e resistenza quali popoli indigeni. A questa prima condivisione invitiamo alcune organizzazioni e popoli originari del Messico: Kumiai, Rarámuri, Náyeri, Wixárika, Odam, Nahua, Zoque, Coca, Purépecha, Hñahñu, Mazahua, Amuzgo, Ñuu Savi, Me’phaa, Ñuhu, Totonaco, Popoluca, Binnizá, Chinanteco, Mazateco, Ikoot, Chatino, Afromestizo, Triqui, Maya Peninsular, Tzotzil, Tzeltal, Chol, Zoque, e migranti.

Più avanti inviteremo altri popoli originari del Messico e del mondo. Questa condivisione è a porte chiuse ed è SOLO per i popoli originari invitati in questo primo giro. Non sarà permesso l’ingresso a chi non sarà stato invitato.

2. – Sabato 31 maggio 2014, nel Caracol di Oventik, insieme alle nostre sorelle e fratelli di alcuni popoli originari, comunicheremo le nostre conclusioni ed una dichiarazione sulla lotta di resistenza contro i soprusi che subiamo, ed i nostri diritti e cultura indigeni. Questo evento è aperto e tutt@ sono invitat@ e può parteciparvi chi vorrà e potrà, e si svolgerà alle ore 14:00 circa.

3. – Domenica 1 giugno 2014, sempre nel Caracol di Oventik, si svolgerà una semplice cerimonia in omaggio al nostro compagno scomparso: Don Luis Villoro Toranzo. Questa cerimonia è aperta e sono tutt@ invitat@ e potrà assistervi chi vorrà e potrà. Questo evento si svolgerà alle ore 14:00 circa e vi parteciperanno le comandanti ed i comandanti del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN, lo scrittore Juan Villoro ed il Subcomandante Insurgente Moisés.

4. – Da lunedì 2 giugno 2014 e fino a domenica 8 giugno di quest’anno, nel Caracol di Oventik e nelle strutture del CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, si terrà un seminario, ovvero alcune riflessioni sul tema “L’ETICA DI FRONTE AL SOPRUSO”, sempre in onore del nostro compagno Don Luis Villoro Toranzo. Questo seminario è aperto, e tutt@ sono invitat@ e può parteciparvi chi vorrà e potrà.

Il seminario inizierà con una prima sessione nel Caracol di Oventik il 2 giugno 2014, ad ora da confermare, con la partecipazione dell’EZLN. Il seminario proseguirà il 3 giugno 2014 al CIDECI-UNITIERRA-Chiapas, an San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Questo seminario è organizzato dall’EZLN, il CIDECI-UNITIERRA-Chiapas e dai collettivi di alunni della Escuelita Zapatista in Messico en el Mondo e, tra gli altri, vi parteciperanno le/i seguenti artista e intellettuali:

Carlos González, John Berger, Dr. Pablo González Casanova, Dr. Adolfo Gilly, Dr. Immanuel Wallerstein, Neus Espresate, María de Jesús de la Fuente de O’Higgins, Gustavo Esteva Figueroa, Juan Villoro, Dr. Raymundo Sánchez Barraza, Dra. Paulina Fernández Christlieb, Hugo Blanco Galdós, Raúl Zibechi, Dr. Marcos Roitman, Jean Robert, Dra. Sylvia Marcos, Dr. Gilberto López y Rivas, Greg Ruggiero, Karla Quiñonez, Dr. Carlos Antonio Aguirre Rojas, Corinne Kumar, Dr. John Holloway, Magdalena Gómez, Dra. Luisa Paré, Dra. Alicia Castellanos Guerrero, Maestra Ana Lydia Flores Marín, Dra. María Eugenia Sánchez Díaz, Dr. Eduardo Almeida Acosta, Julieta Egurrola, Dr. Arturo Anguiano Orozco, Dra. Fernanda Navarro, Beatriz Aurora, Efraín Herrera, Antonio Ramírez Chávez, Gloria Domingo Manuel “Domi”, Dra. Márgara Millán, Servando Gajá, Lic. Bárbara Zamora López, Malú Huacuja del Toro, Dr. Sergio Tischler Visquerra, Dr. Jérôme Baschet, Dra. Ángeles Eraña, Maestra Mariana Favela, Profesor Enrique Ávila, Claudia Aguirre, Alejandro Varas Orozco, Rosario Hernández, Manuel Rozental, Vilma Almendra, John Gibler, Dr. Eckart Boege Schmidt, Pablo Reyna Esteves, Roco, Guillermo Velázquez, Moyenei Valdés, Hebe Rosell, Amparo Sánchez “Amparanoia”, Modesto López, Marta de Cea, Nicolás Falcoff, Óscar Chávez, Sergio Rodríguez Lascano ed altri ancora da confermare.

5. – Nel corso di questo seminario l’EZLN comunicherà la proposta di iniziativa per tutta la Sexta nazionale e internazionale.

6. – Nei prossimi giorni forniremo maggiori dettagli.

Vi dico inoltre che, se la salute lo permetterà, conteremo sulla presenza e forse la partecipazione del compagno Subcomandante Insurgente Marcos a qualcuno degli eventi citati.

E’ tutto.

Dalle Montagne del Sudest Messico.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, Marzo 2014, anno 20 della guerra contro l’oblio.

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 29 marzo 2014

Con le parole: Non può essere così! 25 anni fa il Frayba ha cominciato a farsi sentire

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 marzo. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, Frayba, è pioniere in Messico dell’esercizio della difesa dei diritti umani, della quale nessuno Stato che si dica democratico si può disinteressare. Fondato nel marzo del 1989 dal vescovo Samuel Ruiz García in Calle 5 de Febrero di questa città, nasce in un contesto locale di allarmante disuguaglianza, discriminazione e sfruttamento verso i popoli maya di un Chiapas ancora feudale. La vita degli indios non valeva più di quella di una gallina, secondo l’espressione di un allevatore ancora nel 1993. Fino a poco tempo fa qui esistevano ancora l’acasillamiento, il diritto alla prima notte, la brutalità deliberata, la schiavitù.

Ma si andava anche sviluppando un sempre meno isolato processo di coscienza, organizzazione, rivendicazione di identità e diritti collettivi tra i popoli tzotzil, chol, tzeltal, tojolabal. Attori chiave in questo processo sono stati il vescovo e l’organizzazione molto originale della sua diocesi, sul versante del Concilio Vaticano II° che col tempo si sarebbe chiamato della liberazione; ed anche organizzazioni contadine indipendenti legate a movimenti nazionali. Un altro attore, controverso, furono le chiese cristiane, in maggioranza diffuse inizialmente da missionari statunitensi, che promuovevano la ricerca della prosperità sulla base di valori individualisti, in contraddizione con il comunitarismo ancestrale che il cattolicesimo non ha sradicato.

Presieduto dal combattivo Raúl Vera López, ex vescovo ausiliare di Samuel Ruiz ed oggi titolare della diocesi di Saltillo, il Frayba si è emancipato dalla struttura ecclesiastica e si inserisce nello spazio urbano nelle montagne del Chiapas senza tradire il suo obiettivo originale del 1989: la difesa dei diritti delle persone, individuali e comunitarie, preferibilmente dei poveri. Comincia con il sessennio di Carlos Salinas de Gortari. E quello di Patrocinio González Garrido in Chiapas.

La prima cosa che denuncia il Frayba è il carattere antidemocratico ed anticostituzionale delle riforme del codice penale del dicembre del 1988 in Chiapas, e descrive la situazione di allora prendendo come punto di svolta il Congresso Nazionale Indigeno realizzato a San Andrés Larráinzar nel 1974, dove molti analisti collocano l’avvio del processo di liberazione dei popoli. Cita le rappresaglie: Questa situazione trova il suo punto algido agli inizi degli anni ’80, quando a Wolonchán la popolazione viene selvaggiamente repressa con un saldo di molti morti (nessuno li contò) e feriti. A El Paraíson, di Venustiano Carranza, vengono crudelmente massacrati nove contadini.

La storia grigia del Chiapas, disse il Frayba nel suo primo giorno, è difficile da valutare. Secondo fonti pubbliche, solo tra il gennaio del 1974 e luglio 1987 furono presentati 4.731 casi di azioni repressive: omicidi, ferimenti e lesioni, arresti, sequestri e torture, scomparsi, attentati, espulsioni di famiglie, violenze, percosse, sgomberi, violazioni di domicilio, saccheggio di uffici ed archivi, persecuzioni della polizia, furto di documenti agrari, repressione di manifestazioni, distruzione di abitazioni, chiese e scuole. Tutto un programma. Il lavoro era combattere contro il silenzio.

Indignazione e ribellione

Ci scontriamo con una realtà ingiusta e disumanizzante che provoca in noi un’indignazione ed una ribellione che ci fa dire: Non può essere! Sono le prime parole del Frayba 25 anni fa, quando una squadra, alla quale partecipavano Concepción Villafuerte, Gonzalo Ituarte e Francisco Hernández de los Santos comincia a raccontare le storie e risvegliare la memoria degli oltraggi e dell’illegalità del potere.

Nella capitale del paese nascevano centri simili. Lo stesso governo dovette creare la propria Commissione Nazionale dei Diritti Umani. Ma la difesa dei diritti umani in Chiapas era pericolosa quanto le lotte e la mera esistenza dei popoli indio. Senza l’ombrello della Chiesa cattolica non sarebbe stata possibile. Nel gennaio del 1994 le circostanze cambiarono drammaticamente per il centro con l’insurrezione dell’EZLN e la partecipazione del vescovo alla mediazione tra i ribelli ed il governo. Il Frayba, guidato dall’allora sacerdote Pablo Romo, è nell’occhio del ciclone. Ora doveva difendere i diritti dei popoli in mezzo ad una guerra che, sebbene i combattimenti durarono 12 giorni, si è protratta occulta su vari fronti, senza tregua per 20 anni con la militarizzazione.

Gonzalo Ituarte, stretto collaboratore di don Samuel, c nei giorni scorsi ha ricordato il contributo del Frayba all’evoluzione del Chiapas e del Messico, all’azione ed il pensiero dei popoli, delle comunità, della società civile e della Chiesa stessa. Oltre a coprire l’ambito della promozione e della difesa dei diritti umani, “con la sua azione ha portato al rafforzamento di iniziative popolari, di organismi non governativi, di attività di mediazione – in particolare con la Conai (Commissione Nazionale di Intermediazione) – con un ruolo molto rilevante e non sufficientemente analizzato nella complessità del conflitto armato non risolto in Chiapas ed i suoi multipli effetti colaterali”.

Acquisisce legittimità

A partire dal 1996 il Frayba è formato solo da laici, alcuni di loro indigeni. Lo dirigono successivamente due donne (Marina Patricia Jiménez e Blanca Martínez Bustos). Affronta le grandi tragedie del periodo (Chenalhó, El Bosque, la zona Nord) ed accresce la sua legittimità di fronte ai poveri, compresi i popoli zapatisti. Lo Stato si vede obbligato a prenderlo sul serio e per i successivi governatori si trasformerà in un’ossessione, come tutto ciò che sfugge dal suo radar propagandistico. Roberto Albores Guillén, Pablo Salazar Mendiguchía e Juan Sabines Guerrero, così come i servizi segreti federali, non lesinano risorse per controllarlo, intimidirlo, diffamarlo. I tentativi di cooptazione sono intensi e due ex direttori (Marina Patricia Jiménez e Diego Cadenas) si inseriscono nei governi statali, cosa che rafforza l’indipendenza del progetto collettivo come voce, accompagnatore, consulente, difensore legale di popoli e individui determinati a scuotersi dall’oppressione, l’abuso e l’umiliazione. http://www.jornada.unam.mx/2014/03/29/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 28 marzo 2014

In pericolo la CRAC-polizia comunitaria

Gilberto López y Rivas

La Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias (CRAC) e la sua polizia comunitaria, nello stato di Guerrero, costituiscono uno dei processi autonomistici più importanti del paese, in particolare per quanto riguarda le pratiche di giustizia e sicurezza, basate sulle assemblee comunitarie come massimi organi di autorità e decisione, e sui cosiddetti sistemi normativi, pluralismo giuridico di fatto, diritto tradizionale o costumi, propri di queste comunità indigene.

Il concetto indigeno di applicazione della giustizia si distingue notevolmente dai principi del diritto occidentale, imposto in tutte le nazioni della nostra America. Mentre il diritto positivo dà priorità alla difesa dei diritti individuali, il diritto indigeno daà priprità alla difesa dell’equilibrio sociale e dei valori comunitari. La funzione della giustizia indigena, al di là di emettere un giudizio e prima di imporre una decisione esterna, è mediare tra le parti per favorire la conciliazione. All’istruzione scritta del caso, i costumi preferiscono procedure che privilegiano il dialogo. All’applicazione universale della legge scritta, opta per l’applicazione flessibile di norme adattabili. Alle sanzioni economiche e coercitive (arresto e multe), antepone il criterio di riparazione, le manifestazioni di pentimento e le sanzioni morali, questo è la ri-educazione sociale dei trasgressori. In alcuni paesi europei, evoluzioni giudiziarie recenti, come l’istituzionalizzazione della mediazione come alternativa per ricorrere alla giustizia, o le pene sostitutive sotto forma di servizio sociale, riprendono forme di applicazione della giustizia che non sono mai state abbandonate tra le società indigene dell’America Latina.

Ugualmente, le comunità della Costa Chica di Guerrero e della zona della Sierra hanno deciso di creare propri strumenti di sicurezza e protezione di fronte all’incapacità delle istanze governative di provvedere in merito. All’inizio, 56 comunità riunite nella Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias misero in moto un programma di sicurezza interna chiamato Policía Comunitaria, incaricato di vigilare sui villaggi che fanno parte del coordinamento. Inoltre, prestano aiuto ad altre comunità che non rientrano nella loro zona di influenza. In questo modo le comunità hanno intrapreso la pratica autonomistica per dotarsi della sicurezza che le autorità statali e federali non hanno voluto né potuto garantire. La polizia comunitaria ha portato tranquillità semplicemente i suoi membri semplicemente vivono nei territori sotto controllo e prestano un servizio organizzato da loro stessi. Il suo funzionamento si basa sulla visione di prestare servizi comunitari che gli indigeni hanno nella loro organizzazione sociale e politica. Questa caratteristica culturale ha permesso di costruire spazi reali di autonomia che rispondano alle loro necessità e, soprattutto, che le risposte siano soddisfacenti. In larga misura, i risultati positivi della polizia comunitaria si devono alla concezione che hanno della giustizia e del pubblico servizio. Questa polizia non riceve alcun compenso e l’unica gratificazione offerta è il riconoscimento sociale. Alberga un sentimento più profondo della retribuzione in sé: quello della dignità. Le dichiarazioni dei suoi membri sono categorici, perché impartiscono giustizia, non vendono giustizia, dato che la comunitaria non combatte il governo né gli altri poteri, la polizia comunitaria combatte la criminalità.

La polizia comunitaria ha scoperto i grossi interessi oculti tra le forze dell’ordine ed il narcotraffico. Non è più una novità comprendere gli affari rappresentati dalla sicurezza pubblica per chi la controlla e per chi, come poliziotti o militari, riscuotono lo stipendio a carico del contribuente e si dedicano ad organizzare bande criminali. Proprio per questo la polizia comunitaria è stata attaccata violentemente dai governi federale e statale e dall’Esercito, a tal punto che diversi suoi membri sono attualmente in prigione per aver offerto un servizio nei propri villaggi. I poliziotti comunitari hanno affermato che l’impartizione della giustizia secondo i loro usi e costumi non è cosa dell’altro mondo: il fatto è che il governo non vuole riconoscere la capacità autonoma che i popoli indio hanno per risolvere le loro problematiche. Ancora una volta, i popoli indigeni di Guerrero, come in altre parti della Repubblica, hanno dimostrato che possono risolvere i propri problemi se si smette di perseguitarli e vessarli. L’autonomia in questa regione, come in molti altre, dimostra nei fatti che sono capaci di guidarsi sulla base delle proprie regole e dare risultati incoraggianti. Gli indigeni di Guerrero hanno imparato che l’Esercito ed i poliziotti federali e statali non sono lì nelle loro comunità per sradicare il narcotraffico e la criminalità, ma per impedire, scoraggiare e combattere l’enorme potenziale che loro hanno come individui autonomi. La forza pubblica federale e statale è nel loro territorio non per combattere il crimine, ma essenzialmente per attaccare le comunità e le sue forme di autonomia.

C’è inoltre un altro elemento di non poca importanza che alimenta la campagna governativa contro il CRAC, ed è l’interesse delle imprese del settore minerario a cielo aperto per estendere la loro radicale pratica predatrice in Guerrero, favorita dalle concessioni rilasciate in maniera servile dal Ministero dell’Economia in tutto il paese, perché proprio a questo si è opposta in maniera categorica questa organizzazione.

La CRAC-polizia comunitaria è stata oggetto di ogni tipo di attacco, compresi i rinnovati tentativi di ufficializzarla, la cooptazione di alcuni dei suoi fondatori e la corruzione di chi, dall’interno, può provocare un’implosione che distruggerebbe questa straordinaria esperienza di autonomia. Per questo, sono gli stessi popoli che la compongono che, in questi momenti di grave crisi fomentata dallo Stato, devono fare uno sforzo supremo affinché la CRAC-polizia comunitaria prevalga, nonostante i suoi potenti nemici. http://www.jornada.unam.mx/2014/03/28/politica/024a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 25 marzo 2014

Ostula: autodifesa e disarmo

Luis Hernández Navarro

Lusso, raffinatezza e qualità sono le caratteristiche dei veicoli Rolls Royce. Gli interni di molti dei suoi modelli sono realizzati con sangualica, un legno prezioso, duro e pesante, noto anche come granadillo che cresce sulle coste di Michoacan. Per la sua qualità e colore viene usato anche per costruire yacht, bisturi e strumenti musicali.

Considerato in Messico albero in via di estinzione, inserito nella lista NOM-059-SEMARNAT-2010 delle specie protette, il suo elevato prezzo e la grande domanda del mercato asiatico hanno favorito il suo saccheggio e l’esportazione illegale. Nel luglio scorso la Procura Federale per la Protezione all’Ambiente ha bloccato in via precauzionale nel porto di Manzanillo due container con poco più di 39 metri cubi di questa materia prima forestale pronti a partire per la Cina.

Come in tante altre attività illecite perpetrate nei 25 chilometri della regione costiera del municipio di Aquila, nel disboscamento irrazionale della sangualica e la sua vendita in Cina è coinvolta l’industria dei templari. Non è il loro unico affare nella regione. Da lì partono, per la stessa destinazione, anche tonnellate e tonnellate di ferro. Da queste spiagge si approda e si parte dalle zone più impervie della Tierra Caliente. Sulle sue rive sbarcano lance con carichi di coca provenienti dalla Colombia. Nelle fattorie private costruite illegalmente su terreni comunali atterrano aerei da turismo Cessna che trasportano armi e droga.

Su queste coste si disputano palmo a palmo e vita a vita la terra, il territorio e le risorse naturali. Da un lato, i comuneros nahua di Ostula e 22 villaggi vicini; dall’altro, insieme o separati, i piccoli proprietari privati, la compagnia mineraria Ternium-Las Encinas SA (la seconda per importanza nazionale) e Los caballeros templarios.

Questa lotta si trascina da mezzo secolo. È iniziata quando nel 1964, dopo che le sue terre ancestrali erano state riconosciute da un decreto presidenziale, errori tecnici nei documenti hanno permesso ai piccoli proprietari di La Placita di invadere il territorio comunale e di frazionarlo. Quegli invasori oggi sono spesso membri o alleati del crimine organizzato della regione.

È nella cornice di questa resistenza sordida e silente contro l’esproprio e lo sfruttamento che i comuneros di Ostula gridarono il loro primo basta! nella regione, anticipando le lotte dei comuneros di Cherán ed i gruppi di autodifesa della Tierra Caliente. Il 13 e 14 giugno 2009 è stata promulgato in quelle terre il Manifiesto de Ostula. Approvato da popoli e comunità indigene di nove stati della Repubblica presenti con i loro delegati alla 25° assemblea della regione Pacifico-sud del Congresso Nazionale Indigeno, si è proclamato che gli indigeni hanno l’inalienabile diritto, derivato dall’articolo 39 della Costituzione, di organizzarsi e realizzare la difesa della propria vita, sicurezza, libertà e diritti fondamentali e della loro cultura e territori.

Il recupero delle loro terre e l’organizzazione della polizia comunitaria sono stati osteggiati a ferro e fuoco dal narcotraffico e dai cacicchi. In tre anni sono stati assassinati 32 comuneros e fatti sparire altri cinque. Il 6 dicembre 2011 è stato torturato ed assassinato il comunero J. Trinidad de la Cruz, Don Trino, dopo un’aggressione alla Carovana del Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, malgrado a 500 metri si trovasse un posto di blocco della Marina.

La formazione ed espansione dei gruppi di autodifesa nella Tierra Caliente e la loro guerra contro los caballeros templarios hanno creato le condizioni affinché i comuneros di Ostula si riorganizzassero e recuperassero il loro territorio. Lo scorso 8 febbraio, un gruppo di esiliati è tornato nella propria comunità, con l’appoggio dei gruppi di autodifesa dei villaggi vicini di Chinicuila, Coahuayán e Coalcomán hanno tenuto un’assemblea e deciso di ricostituire la propria polizia comunitaria.

La polizia comunitaria si distingue dai gruppi di autodifesa perché è nominata e soggetta alle decisioni dell’assemblea comunale alla quale deve rispondere. Invece, la maggioranza dei gruppi di autodifesa si formano per libera associazione dei suoi membri, senza alcun rapporto con assemblee comunitarie, e senza ordinamenti concordati con essa. Le armi, i veicoli e le risorse di cui dispongono i nahua di Ostula sono molto più modesti e precari di quelli che possiedono i gruppi di autodifesa.

Nonostante il ruolo svolto dai poliziotti comunitari nella lotta contro i templari, lo scorso 19 marzo circa 40 soldati della Marina, agli ordini del comandante Alfredo Valdés de León, hanno disarmato 14 poliziotti comunitari che proteggevano il villaggio di La Placita, fino a poche settimane fa bastione della criminalità organizzata, capeggiata da Federico González Merino, alias Lico, e Mario Álvarez.

In risposta, il giorno dopo circa mille 500 abitanti del villaggio di Santa María Ostula e dei municipi di Aquila, Chinicuila e Coahuayana, insieme a 300 poliziotti comunitari e gruppi di autodifesa, hanno bloccato per due ore la strada 200 Manzanillo-Lázaro Cárdenas all’altezza della base della Marina nel villaggio di La Placita. Chiedono la restituzione delle armi sequestrate.

L’azione dei marins contro le guardie comunitarie di Ostula fa parte dell’offensiva del governo federale per disarmare e smobilitare i gruppi di autodifesa di Michoacán. Ma è anche un ulteriore passo nell’offensiva per colpire e disarticolare i settori più politicizzati della mobilitazione indigena e civica in Michoacán, quelli che lottano per diritti storici e che si scontrano contri grossi interessi, come quello rappresentato dalle compagnie minerarie multinazionali.

La comunità di Ostula ha pagato un’enorme quota di sangue per tentare di difendersi dal crimine organizzato e conservare ricchezze naturali sul punto di estinzione come gli alberi di sagualica. Disarmando le sue guardie comunitarie il governo federale la pone in una posizione di pericolosa vulnerabilità.

Twitter: @lhan55

http://www.jornada.unam.mx/2014/03/25/politica/017a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 24 marzo 2014

L’omicidio del dirigente zapatista è la prova che il governo vuole distruggerci, accusano

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 23 marzo. Venerdì 21 aprile, alle 9 circa del mattino, il giovane tzeltal Juan Carlos Gómez Silvano è stato assassinato con più di 20 colpi d’arma da fuoco di grosso calibro mentre era alla guida del suo furgone all’altezza del crocevia di San José Chapapuyil, in direzione della comunità autonoma Virgen de Dolores, fondata nel 2010 su terre recuperate dai contadini aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona.

Juan Carlos, 22 anni, era coordinatore regionale della Sexta dell’ejido San Sebastián Bachajón e padre di un bimbo di sei mesi, raccontano oggi gli ejidatarios riuniti ad Ocosingo per sporgere denuncia. Sul luogo dei fatti erano giunti poliziotti municipali di Chilón e statali, a scattare foto e video senza rispetto per il defunto e la sua famiglia. Il Pubblico Ministero di Chilón voleva prelevare il corpo per effettuare l’autopsia, ma non l’abbiamo permesso perché questi sono i nostri costumi, e l’abbiamo portato a riposare nella comunità di Virgen de Dolores per gli onori funebri, hanno dichiarato gli indigeni.

Da quando hanno fondato nel 2010 le comunità di Nah Choj e Virgen de Dolores, la nostra organizzazione è stata perseguitata dall’Esercito e dalla polizia con minacce di sgombero per le pressioni di quelli che si dicono proprietari, tra loro un ex presidente municipale.

La strategia governativa è stata fomentare la divisione e comperare le coscienze di qualche ex compagno con le sue briciole, come ha fatto con Carmen Aguilar Gómez e suo figlio dello stesso nome, che si sono venduti a Noé Castañón León, segretario di Governo di Juan Sabines Guerrero, ed hanno organizzato lo sgombero del nostro botteghino di riscossione il 2 febbraio 2011 per strapparci le nostre terre in complicità con l’ex commissario ejidale Francisco Guzmán Jiménez.

Il governo, sostengono, vuole distruggerci assassinando i nostri compagni, come ha fatto con Juan Vázquez Guzmán il 24 aprile 2013, utilizzando i suoi sicari paramilitari che in completa impunità, ormai notte e giorno, sono capaci di assassinare vilmente i nostri compagni che lavorano e lottano per costruire un mondo nel quale stanno altri mondi. Gómez Silvano, a sua volta, aveva partecipato alla fondazione e costruzione dell’autonomia a Virgen de Dolores.

I veri delinquenti, assassini e corrotti sono i politici dei partiti che, nonostante siano arrivati dove stanno con la frode e comprando voti, si ritengono i padroni di quello che esiste sulle nostre terre, vogliono diventare sempre più ricchi e non gli importa quanti indigeni dovranno ammazzare per raggiungere il loro obiettivo.

I querelanti rilevano che l’attuale sindaco di Chilón, Leonardo Guirao Aguilar, del Partito Verde Ecologista, “è uno degli autori dell’esproprio delle nostre terre, perché ha finanziato l’acquisto di armi del gruppo che ha sgomberato i nostri compagni dal botteghino di riscossione nel febbraio del 2011”, all’ingresso delle cascate di Agua Azul.

L’organizzazione della Sexta ha avuto la dignità di continuare a lottare malgrado molti siano stati imprigionati o assassinati. Non abbiamo paura perché stiamo proseguendo il cammino dei nostri antenati che ci hanno dato la saggezza per leggere i segnali della vita e dei tempi; i malgoverni vanno e vengono, ma i popoli che resistono sono qui e lottano.

A poche settimane dal primo anniversario dell’assassinio di Vázquez Guzmán, aggiungono gli ejidatarios, il malgoverno manda i suoi assassini a colpire la comunità Virgen de Dolores, nata con molto lavoro e sacrificio, dove ora crescono milpas e frutti per dare da mangiare ai nostri bambini e bambine.

Gli ejidatarios della Sexta concludono che Manuel Velasco Coello ed Enrique Peña Nieto si sbagliano se pensano di farci fuori con la violenza e la repressione. http://www.jornada.unam.mx/2014/03/24/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 23 marzo 2014

Assassinato un giovane dirigente indigeno a Chilón, Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 22 marzo. Juan Carlos Gómez Silvano, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona del municipio di Chilón, è stato assassinato nei pressi della località stessa. Secondo testimonianze raccolte da La Jornada, l’indigeno è stato colpito da 20 colpi d’arma da fuoco.

Koman Ilel, media alternativo di questa città, segnala che Gómez Silvano, contadino tzeltal di 21 anni, partecipava alla costruzione dell’autonomia nella terra recuperata del podere Virgen de Dolores ed era coordinatore regionale della Sesta Dichiarazione, lanciata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). La sua comunità è organizzata in resistenza con l’ejido San Sebastián Bachajón.

Secondo la stampa locale, Gómez Silvano sembra viaggiasse solo, su un furgoncino Nissan. Il suo corpo è stato trovato sulla strada per Chapapujil, vicino a Chilón. Secondo versioni ufficiose delle autorità giudiziarie dello stato, sul luogo era giunto l’agente del Pubblico Ministero, Octavio Bautista Martínez, per prelevare il corpo del giovane dirigente indigeno, ma un folto gruppo di incappucciati lo avrebbe portato via per dargli sepoltura.

Da parte sua, Koman Ilel ricorda che meno di un anno fa è stato giustiziato, sempre a Chilón, Juan Vázquez Guzmán, dirigente della Sexta di San Sebastián Bachajón. Perché li uccidono?, si domanda l’organo d’informazione, e racconta che l’ejido di San Sebastián Bachajón da anni è in lotta contro l’esproprio delle sue terre.

Segnala che diversi attori, tra i quali i governi municipale, statale e federale; multinazionali (Norton Consulting) e gruppi paramilitari mettono in atto strategie legali e illegali per realizzare uno dei progetti più ambiziosi della regione, parte del Plan Puebla-Panama: il Centro Integralmente Planeado Palenque, una rete di infrastrutture e servizi che vuole unire attrattive naturali ed archeologiche per un turismo di élite, trasformando la popolazione indigena in servi, nelle proprie comunità.

Una delle strategie governative per assicurare il controllo del territorio, aggiunge l’informazione di Koman Ilel, è stata la cooptazioneo intimidazione delle autorità ejidales, come la persecuzione giudiziaria e gli omicidi selettivi di coloro che si oppongono ad essere defraudati, come nel caso dei compagni Juan Carlos Gómez Silvano e Juan Vázquez Guzmán.

Chilón attualmente è governata, come il Chiapas stesso, dal Partito Verde Ecologista del Messico. Le autorità sono state complici o negligenti delle aggressioni subite sistematicamente dagli ejidatarios in resistenza. Il sindaco Rafael Guirao Aguilar presiede, inoltre, l’ente statale Fundación Chiapas Verde, che sostiene il suo correligionario, il governatore Manuel Velasco Coello.

http://www.jornada.unam.mx/2014/03/23/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

 

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Los de Abajo

Il Frayba: 25 anni

Gloria Muñoz Ramírez

Il Messico sarebbe ancor più senza difese senza organismi come il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, meglio conosciuto come Frayba, che compie 25 anni difendendo radicalmente le sue posizioni e dichiarandosi, senza indugi, dalla parte dei poveri, esclusi ed organizzati.

Il Frayba arriva a questa data col vescovo Raúl Vera alla guida, in un paese che l’ha visto nascere nel 1989 e che, per sua stessa ammissione, non è più lo stesso, dove alla violenza e minacce dei paramilitari in Chiapas, e prima delle guardie bianche dei grandi finqueros, si somma ora l’esproprio dei territori per saccheggiarne le risorse naturali, come i minerali.

Anche il Chiapas non è lo stesso. L’abbandono, lo scherno e la violenza subiti dai popoli indigeni dell’entità ebbe un forte impatto fino a qui nei territori organizzati dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), dove niente è più come prima. Lo Ya Basta zapatista è esploso al centro di quello che il Frayba denunciava.

Si deve comunque riconoscere che il lavoro del Frayba, lungi dal concludersi, aumenta, insieme alla violenza istituzionale e paramilitare. Oggi, come ieri, il centro creato su iniziativa del vescovo Samuel Ruiz, contribuisce alla costruzione di una società con pieni diritti per tutti. Questo è l’obiettivo.

Benché il governo dello stato gli neghi interlocuzione (mentre avvicina ex collaboratori del centro che ora occultano istituzionalmente quello che in altri tempi denunciavano), il Frayba rivela gli oltraggi di cui sono vittime i popoli maya. Il più recente, per esempio, l’esilio forzato degli abitanti dell’ejido Puebla, in Chenalhó, costretti a fuggire dalle loro case a causa del ritorno degli assassini di Acteal, liberati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione. O l’esproprio agli ejidatarios di Bachajón, perseguiti ed assassinati per strappare loro le terre.

Don Raúl Vera dice che le principali sfide per i diritti umani in Chiapas sono l’autonomia e la pace, che sono legati al compimento degli accordi di San Andrés, gli stessi che il governo firmò con l’EZLN per poi tradirli. Le comunità zapatiste li hanno messi in pratica nelle loro comunità, ma in altre continuano ad essere la meta da raggiungere per difendere i propri territori.

Uno dei maggiori successi del Frayba, segnala il vescovo di Saltillo, è che il centro non lavora più per le comunità, ma appartiene loro. Per questo e per molte altre cose, la celebrazione del Frayba è la celebrazione dei popoli in basso.

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2014/03/22/opinion/015o1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas
http://www.frayba.org.mx/archivo/boletines/140312_boletin_08_ejido_puebla.pdf

 Persiste la violenza contro gli sfollati dell’ejido Puebla

Incendiata la casa di una famiglia di sfollati 

Secondo informazione raccolte dal Centro dei Diritti Umani, Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), oggi, nell’ejido Puebla, Chenalhó, intorno alle ore 01:30, è stata incendiata la casa della famiglia di Normelina Hernández López e Macario Arias Gómez – profighi dal 23 agosto 2013 insieme ad altre 17 famiglie, in totali 100 persone, chi si trovano nella comunità di Acteal, Chenalhó -. Alcuni giorni prima, il 7 marzo 2014, alle ore 06:30, José Cruz Gómez aveva trovato incendiata la porta del salone di catechesi. Bisogna sottolineare che questi fatti sono avvenuti nonostante la presenza di circa 30 elementi della Polizia Statale Preventiva che non si sono accorti dell’accaduto.

Per quanto accaduto, questo Centro dei Diritti Umani esprime la sua preoccupazione per la persistenza del clima di violenza e per la situazione di rischio nella quale si trovano forzatamente le famiglie sfollate. Di fronte alla gravità degli ultimi avvenimenti, il loro ritorno risulta ancora più difficile.

Della situazione riteniamo responsabili per omissione le autorità di governo che, invece di applicare giustizia, mantengono e permettono l’impunità che genera tensione e violenza.1

Per citare alcuni esempi di impunità: il 20 luglio 2013, le stesse autorità dell’ejido Puebla avevano fermato arbitrariamente due Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández ed un’altra persona dell’ejido: Juan López Méndez, con la falsa accusa di avere avvelenato l’acqua della comunità;2il 21 agosto 2013, Manuel Pérez Gómez, parroco di Chenalhó, è stato privato arbitrariamente della libertà per sette ore e mezza;3ed il 21 agosto 2013, per il livello di violenza raggiunto, sono forzatamente sfollate 17 famiglie.4

Come Frayba abbiamo manifestato, in maniera reiterata, la nostra preoccupazione per la mancanza di accesso alla giustizia che provoca l’aumento della violenza e lo stato di profughi delle 100 persone. Tutto questo significa la violazione continuata dei diritti: all’integrità personale, alla libertà di transito, di residenza ed alla casa, stabiliti in strumenti riconosciuti universalmente, vistati e ratificati dallo Stato messicano, tra i quali: la Convenzione Americana sui Diritti Umani agli articoli 5°, 22°; ed il Patto Internazionale dei Diritti Economici, Sociali e Culturali all’articolo 11°, paragrafo primo, oltre alla mancata applicazione dei Principi che regolano i profughi interni.

Precedente:

Il 26 febbraio 2014, nell’ejido Puebla, Eduardo Ramírez Aguilar, Segretario Generale di Governo e Victor Hugo Sánchez Zebadúa, Sottosegretario per gli Affari Religiosi, hanno consegnato ufficialmente la proprietà dell’eremo cattolico alla Diocesi di San Cristóbal de Las Casas; a questa cerimonia era presente Agustín Cruz Gómez, Commissario Ejidale, quale rappresentante legale dell’ejido Puebla.

Inizio dei fatti:

Il 7 aprile 2013, nell’ejido Puebla, Chenalhó, 32 famiglie cattoliche iniziavano i lavori di ristrutturazione e ricostruzione del nuovo eremo, perché il vecchio era in pessimo stato e rappresentava un pericolo per la popolazione. Da quel giorno sono iniziati una serie di aggressioni fisiche, detenzioni arbitrarie, trattamenti crudeli, inumani e degradanti, distruzioni, furti e sgomberi forzati contro 17 famiglie.

 

1 Impunidad ante desplazamiento forzado de 98 personas del ejido Puebla, disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/boletines/131017_pronunciamiento_puebla.doc.pdf

2Escala la violencia en el ejido Puebla, disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130720_au_02_ejido_puebla.pdf; http://frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130721_act_au_02_puebla.pdf

3Liberan bajo presión al párroco de Chenalhó Manuel Pérez Gómez, disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/boletines/130823_boletin_22_ejido_puebla.pdf

4 Desplazamiento forzado de 70 personas del ejido Puebla, disponible en: http://frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130823_au_04_desplazados_chenalho.pdf

Queman casa de familia desplazada del ejido Puebla http://chiapasdenuncia.blogspot.mx/2014/03/denuncian-quema-de-casa-de-familia.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Gli USA, il Messico e la cattura del Chapo Guzmán

di Fabrizio Lorusso

chapo vote forIl capo dei capi dei narcos messicani, Joaquín Guzmán Loera, alias El Chapo, è stato arrestato da un gruppo scelto di militari della marina all’alba di sabato 22 febbraio mentre dormiva in un hotel di Mazatlán, località marittima della costa pacifica. L’operazione, realizzata in collaborazione con l’agenzia americana DEA (Drug  Enforcement Administration), è stata pulita, nessun colpo è stato sparato per catturare il re della droga messicano che è a capo dell’organizzazione più potente delle Americhe e probabilmente del mondo, il cartello di Sinaloa o del Pacifico. Ora il boss è rinchiuso nel penitenziario di massima sicurezza di Almoloya de Juárez, a un’ottantina di chilometri da Mexico City. Il potere e la fama del Chapo hanno superato persino quelle del mitico capo colombiano degli anni ottanta, Pablo Escobar, capo del cartello di Medellin ucciso nel 1993, per cui senza dubbio la sua cattura rappresenta un grosso colpo mediatico dall’alto valore simbolico. Ma le questioni aperte sono tante.

Il lavoro d’intelligence per scovare il boss, ricercato numero uno della DEA, è cominciato nell’ottobre 2013, quando le autorità americane e la marina messicana sono venute a sapere che il Chapo s’era stabilito a Culiacán, capitale dello stato nordoccidentale del Sinaloa, ma solo nel febbraio 2014 i rastrellamenti, i sorvolamenti e i controlli si sono intensificati in diverse zone dello stato. Di fatto la stampa speculava sulla possibilità che venisse preso il numero due dell’organizzazione, “El Mayo” Zambada, e non Guzmán. I capi d’accusa contro di lui sono vari: delitti contro la salute e narcotraffico, delinquenza organizzata, evasione (di prigione).

El Chapo era latitante dal 2001, quando scappò, o meglio fu lasciato uscire impunemente, dal penitenziario di massima sicurezza di Puente Grande, nello stato del Jalisco, in cui faceva la bella vita e controllava tutto e tutti con laute mazzette in dollari americani. Classe 1957 (ma alcune fonti indicano il 1954 come anno di nascita) e originario di Badiraguato, la “Corleone messicana” dello stato di Sinaloa, Joaquín Guzmán comincia a coltivare e trafficare marijuana sin da giovane, quindi negli anni settanta e ottanta si unisce al gruppo fondato dai boss Ernesto Fonseca Carillo “don Neto”, Rafael Caro Quintero e Miguel Ángel Félix Gallardo, el jefe de jefes, cioè il capo del cartello di Guadalajara o Federación. Nel 1989 Gallardo viene arrestato e il suo impero spartito tra alcuni fedelissimi come i fratelli Arellano Félix, che prendono Tijuana, il “Señor de los cielos” Amado Carrillo, che si tiene Ciudad Juárez, e il Chapo che resta nel Sinaloa.

Negli anni novanta, El Chapo sconta una condanna per l’omicidio del cardinale Juan Jesún Posadas Ocampo, commesso a Guadalajara nel 1993, ma la sua “carriera” non può finire in una cella. La versione ufficiale, secondo la quale il boss sarebbe evaso con una mossa astuta, semplicemente nascondendosi in un carrello della lavanderia e facendosi portare fuori, apparve inverosimile fin da principio, ma ebbe il merito di dare inizio alla sua leggenda. Versioni giornalistiche più attente e realiste, come quelle fornite da Anabel Hernandez, autrice de “Los señores del narco”, parlano invece di una totale connivenza delle autorità carcerarie, che erano praticamente sul libro paga di Guzmán, e di possibili implicazioni anche del governo conservatore di Vicente Fox e del suo partito, il PAN (Partido Accion Nacional).

chapo_guzman_detenidoDopo la fuga Guzmán riorganizza gli affari dell’organizzazione criminale, che negli anni settanta e ottanta era nota come La Federación o Cartello di Guadalajara, e la trasforma in una multinazionale della droga, il cartello di Sinaloa o del Pacifico. Introvabile e inarrestabile, El Chapo diventa un fantasma che controlla traffici in tutto il Messico occidentale e centrale, negli Stati Uniti e poi in Europa, grazie ai porti e agli scali sudamericani e africani. Dopo la morte di Bin Laden diventa il ricercato numero uno degli USA, ma il mito del Chapo cresce ancor più quando entra nella lista della rivista Forbes dei 500 uomini più ricchi e influenti della Terra, avendo superato un patrimonio stimato di un miliardo di dollari, condicio sine qua non per figurare nella famosa lista.

Proprio nei due sessenni in cui ha governato il PAN, con Fox e il suo successore Felipe Calderón, il cartello di Sinaloa s’è espanso e s’è stabilito come egemonico a livello nazionale, malgrado le dichiarazioni di guerra che arrivavano da Los Pinos, residenza del presidente messicano. Oggi l’organizzazione di Sinaloa è globale, presente in almeno tre continenti, e rifornisce di cocaina, marijuana e metanfetamine i mercati più grandi del mondo: gli USA e l’Europa, ma anche l’Oceania e l’America del Sud. Inoltre è presente in almeno 54 paesi con imprese legali.

Alcuni quotidiani, un po’ in tutto il mondo, hanno descritto il leader di Sinaloa come il responsabile principale della guerra al narcotraffico e degli oltre 80mila morti e 27mila desaparecidos registrati nel periodo più cruento, corrispondente alla gestione di Calderón (2006-2012). E’ un’operazione mediatica che ingigantisce la portata e le conseguenze dell’arresto e, in qualche modo, cerca di chiudere idealmente un capitolo, quella della narcoguerra, per aprirne un altro, quello dei successi dell’attuale presidente, Enrique Peña Nieto, che secondo il Time sta “salvando il Messico”.

Invece ci sono intere regioni, come Michoacán, fuori controllo e la guerra continua tuttora: i morti legati al conflitto nel 2013 sono stati stimati in circa 17mila. La violenza non può certo essere attribuita a un unico “operatore” o alla spietatezza di una banda. Esistono al contrario molteplici cause e fattori (sociali, storici, economici, politici) che la spiegano, tra i quali bisogna menzionare la strategia di lotta ai narcos adottata da Calderón, e per ora seguita da Peña Nieto, che consiste in una militarizzazione massiccia del territorio, non accompagnata da una politica adeguata contro il malessere sociale ed economico e l’assenza istituzionale che stanno alla base di una tragedia umanitaria senza precedenti nel paese.

Ma queste realtà, “indegne” di un paese “emergente” che sta ripulendo la sua immagine e si presenta come nuovo “global player”, sembrano essere sparite dai mass media, soprattutto fuori dal Messico, grazie a un’offensiva mediatica e diplomatica che vede in prima linea il governo messicano e le sue ambasciate e consolati nel mondo. Insomma non si parla più della narcoguerra, ma solo delle riforme strutturali che, secondo la narrativa ufficiale, in un anno avrebbero modernizzato il paese e attireranno investimenti e prosperità. Intanto le teste mozzate continuano a rotolare per le strade, lasciando dietro di sé strisce di sangue pulite alla meglio da un esercito di spazzini e scribacchini.

Il più grande mercato del mondo, gli Stati Uniti, spartisce 3000 km di frontiera col Messico che è un paese di transito per le droghe sintetiche, come metanfetamine e allucinogeni, e per la cocaina colombiana, peruviana e boliviana. Ma è anche un territorio di produzione di marijuana e papavero da oppio, da cui si ricavano la morfina e l’eroina. Questi “vantaggi competitivi”, la connivenza delle autorità a vari livelli e la storica debolezza istituzionale del Messico hanno da sempre costituito un terreno fertile per la proliferazione delle imprese criminali, foraggiate già negli anni trenta e quaranta del novecento dalla domanda militare statunitense e dalla relativa tolleranza sia dei governi messicani, statali-regionali e nazionali, sia degli USA, bisognosi di sostanze proibite in patria.

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In seguito le pressioni nordamericane contro la produzione e il commercio di stupefacenti si fecero più serie e negli anni settanta e ottanta, in particolare durante le amministrazioni di Ronald “Rambo” Reagan, la “war on drugs” s’affermò come retorica e politica di stato degli Stati Uniti verso l’America Latina, Colombia e paesi andini in testa. Il Messico non era escluso dall’interessamento americano e la DEA è sempre stata presente nel paese.

E così anche la CIA che, per combattere il regime rivoluzionario dei sandinisti in Nicaragua, non esitò a stipulare accordi con Félix Gallardo e la Federación, il progenitore del cartello di Sinaloa, grazie ai quali poteva ricavare dalla vendita della cocaina e della marijuana i fondi necessari per le armi delle Contras, le bande paramilitari e antinsurrezionali che operavano contro il regime nicaraguense partendo dal territorio honduregno. Le ricerche sul coinvolgimento della CIA e della DFS messicana (Dirección Federal de Seguridad, poi trasformata in AFI, Agencia Federal de Investigaciones, e oggi in PM, Policia Ministerial) coi narcos sono state riconfermate dalle rivelazioni, riportate dalla rivista Proceso alla fine del 2013, di ex agenti della DEA che lavoravano in Messico negli anni ottanta e vengono a chiarire almeno un po’ un quadro fosco e inquietante, rappresentato perfettamente dallo scrittore Don Winslow ne “Il potere del cane”: al noto scandalo Iran-Contras si aggiunge quindi quello Narcos-Contras.

L’operazione della marina armata messicana, ma soprattutto il lavoro d’intelligence previo, che ha portato all’arresto del Chapo Guzmán non ha coinvolto integralmente la procura o altri corpi della polizia e dell’esercito per un motivo preciso: la corruzione interna a questi organi e la filtrazione costante di notizie e informazioni riservate che compromettono le investigazioni.

Infatti, aldilà dell’impatto simbolico dell’arresto che probabilmente permetterà a Peña Nieto di prolungare ancora un po’ la sua “luna di miele” con gli elettori, la giornalista Anabel Hernández ha giustamente segnalato come la lotta ai narcos non sia affatto finita e non finirà presto perché il governo non sta toccando il sistema di corruzioni e connivenze che coinvolge politici, giudici, amministratori locali, prelati, burocrati, poliziotti, militari e alte sfere del governo e che ha permesso ai cartelli messicani di diventare quello sono durante decenni.

Inoltre non vengono toccati nemmeno i patrimoni personali dei capi, in Messico e all’estero, e tantomeno le migliaia di imprese legali attribuibili ai leader dell’organizzazione in tutto il mondo. Infine la successione è pronta, come suole accadere. Il cartello era ed è già gestito, in alcune sue diramazioni o “divisioni aziendali”, da diverse figure chiave riconosciute come Ismael “El Mayo” Zambada García e José Esparragoza Moreno, alias El Azul, due membri della vecchia guardia.

L’anno scorso era stata annunciata e celebrata in pompa magna la cattura del capo degli Zetas, il cartello nazionale più importante dopo Sinaloa, ma fondamentalmente le considerazioni e le critiche al trionfalismo andavano nella stessa direzione: continua la corruzione politica, non si attacca il riciclaggio del denaro sporco, né i beni dei boss, e la successione al vertice non sempre è un problema per l’organizzazione. Nel caso degli Zetas un vero e proprio vertice nemmeno esiste, ma si tratta di cellule, reti e alleanze locali collegate tra loro.

In questo senso ignorare le cause strutturali del fenomeno è controproducente così come lo è procrastinare un serio dibattito sulla depenalizzazione e regolazione della produzione, consumo e vendita delle droghe leggere e pesanti. Con l’Uruguay e due stati degli USA, il Colorado e Washington, che hanno legalizzato l’uso ricreativo della marijuana, sarebbe il minimo. Il colpo mediatico di un arresto importante è facile, ma deve essere seguito dall’implementazione di una serie di controlli per riempire i vuoti di potere che in molti stati messicani sono la regola.

chapo-guzman-illustration-story-bodyEdgardo Buscaglia, accademico autore del saggio “Vuoti di potere in Messico”, parla di quattro tipi di controlli che mancano in Messico e senza i quali non è possibile combattere la delinquenza organizzata: giudiziari, patrimoniali, della corruzione e sociali, pensati sia a livello nazionale che internazionale. La costruzione iconica del Chapo Guzmán come “capo dei capi”, sul podio della storia criminale insieme ad Al Capone e Pablo Escobar, si chiude ora con la fine del suo regno, ma non dei suoi affari, e con la richiesta di estradizione che presto arriverà dagli USA. Ma il Messico vuole prima processare il suo capo che, secondo alcuni, potrebbe anche diventare un collaboratore di giustizia e scoperchiare il vaso di Pandora.

L’ex direttore dell’intelligence della DEA, Phil Jordan, sabato scorso sul canale latino statunitense UniVision, ha dato al mondo un assaggio del tipo di rivelazioni che probabilmente un boss mafioso del calibro del Chapo potrebbe fornire in gran quantità. Jordan s’è detto stupito dell’arresto del capo che si sarebbe “lasciato andare”, sicuro di un patto che gli garantiva protezione e che, sorprendentemente, si sarebbe rotto in questi ultimi giorni. Inoltre ha parlato di informazioni d’intelligence che confermerebbero un coinvolgimento diretto del cartello di Sinaloa in politica, di finanziamenti alla campagna elettorale del presidente Peña Nieto, insomma di un’alleanza tra parti del mondo politico messicano e i mafiosi di Sinaloa. Non è un’ipotesi nuova, ma ad ogni conferma, per ogni tassello del puzzle che si incastra, l’idea diventa sempre più realistica e credibile.

La pronta e simultanea smentita della DEA, dell’ambasciata americana e del governo messicano, attraverso il portavoce presidenziale Edoardo Sánchez, non serve a dissipare i sospetti. Evidentemente nessuno dei suddetti ha interesse a che si alzi un polverone politico-giudiziario che potrebbe rivelare al mondo trenta o quarant’anni di losche storie e “collaborazioni” da entrambi i lati della frontiera, oltreché l’ipocrisia di fondo della guerra alle droghe. I soldi in ballo sono troppi. Già ho menzionato le imprese legali, che sono migliaia, controllate dal cartello di Sinaloa in oltre 50 paesi, ma ci sono anche i capitali e gli investimenti finanziari depositati nelle banche americane.

Il 26 febbraio nel programma radio della giornalista Carmen Aristegui su MVS noticias Jordan ha rincarato la dose dicendo che “la verità a volte fa male” e che quando Caro Quintero, boss in prigione da trent’anni, è stato lasciato uscire nel 2013 in seguito all’ordine di un giudice, è sicuro che il PRI (Partido Revolucionario Institucional, al governo) lo sapeva, era ovvio. Per questo, secondo Jordan, “i cartelli hanno dato sempre del denaro ai politici per essere lasciati liberi di trafficare” e in passato il PRI “è sempre stato in buone relazioni coi trafficanti”, come confermato da documenti, testimoni e ricerche negli USA. “Il cartello di Sinaloa non è diverso da altri cartelli e ha messo soldi nella campagna del PRI, non dico direttamente a Peña Nieto”, ha dichiarato l’ex DEA che ha anche ribadito come “la corruzione c’è tanto in Messico come negli USA”.

“Spero che Peña non sia così coinvolto come i presidenti del passato, ma ciò che dico è che in passato il PRI stava nello stesso letto coi cartelli della droga”. Jordan ha fatto alcuni nomi di ex presidenti: Carlos Salinas de Gortari (1988-1994), suo fratello Raul, e Luis Echeverría (1970-1976), ma la lista potrebbe allungarsi. Lo stesso Chapo Guzmán era un sicario al soldo di Caro Quintero e degli altri capi negli anni 80. Quest’ultimo sarebbe stato rilasciato, secondo Jordan, in seguito al versamento di ingenti somme di denaro che avrebbero oliato il sistema politico e giudiziario, siglando un accordo, più o meno esplicito, con il crimine organizzato. Era impossibile, infatti, che Peña Nieto non sapesse che il boss Caro Quintero sarebbe stato rilasciato e non ha fatto nulla per impedirlo. Jordan ha lanciato l’ipotesi secondo cui se Guzmán resta in Messico, potrebbe prima o poi essere rilasciato, o lasciato fuggire, come Quintero. Il governo messicano nega categoricamente e definisce le dichiarazioni dell’americano come delle “sparate” non supportate da prove. Dunque la questione rimane aperta, irrisolta.

In un’intervista al giornalista Julio Schrerer García del 2010 il braccio destro del Chapo, “El Mayo” Zambada, aveva dichiarato: “Si me atrapan o me matan, nada cambia”, “Se mi prendono o mi ammazzano, nulla cambia”. Possiamo credergli.

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La Jornada – Giovedì 6 marzo 2014

Il commissario ejidale di Bachajón inganna gli indigeni tzeltal per sottrarre le loro terre

Hermann Bellinghausen

Ejidatari tzeltal di San Sebastián Bachajón, a Chilón, Chiapas, aderenti alla Sesta Dichiarazione della selva Lacandona, denunciano manovre illegali del commissario filogovernativo per formalizzare la sottrazione di terre ejidali a scopo turistico, contro cui gli ejidatari stanno lottando da anni.

Gli indigeni segnalano che il commissario filogovernativo, Alejandro Moreno Gómez, continua ad ingannare con false promesse la gente del villaggio di San Sebastián Bachajón, perché chiede loro di firmare copie di certificati di diritti agrari in cambio di briciole, dicendo che da governo otterrà progetto per coltivare caffè, ma è una bugia, perché sta raccogliendo firme e documenti per simulare dei verbali di assemblea di ejidatari e chiedere al tribunale settimo di distretto, di Tuxtla Gutiérrez, la cancellazione del nostro ricorso 274/2011, pendente da 3 anni proprio questo 3 marzo, e che il malgoverno non ha potuto ignorare grazie all’organizzazione dal nostro popolo.

Moreno Gómez ed il consigliere Samuel Díaz Guzmán vogliono costruire un verbale di assemblea generale, ma non è vero, perché lo stanno facendo di nascosto, alle spalle del villaggio, come veri delinquenti, aggiungono gli ejidatari della Sexta.

La nostra organizzazione non permetterà che le autorità ejidali filogovernative continuino a derubare il nostro villaggio insieme al malgoverno. Dal 2007 il malgoverno interviene nella vita interna della nostra comunità per imporre rappresentanti ejidali che fanno da cani da uardia per proteggere gli interessi capitalisti e non quelli del loro popolo indigeno. Segnalano che Moreno Gómez non conosce il suo popolo, perché ha vissuto fuori molto tempo, gli interessa solo riempirsi le tasche di soldi, per questo al malgoverno conviene tenere questo commissario, perché può manipolarlo a suo piacimento e per questo l’ha imposto.

Gli ejidatari informano che il 5 febbraio scorso hanno impugnato i verbali di assemblea di elezione degli organi rappresentativi ejidali, datati 18 aprile 2013, nei quali Moreno Gómez era stato imposto da rappresentanti del governo del Chiapas e dalla Procura Agraria di Ocosingo. Esistono irregolarità, come la falsificazione di firme e la mancanza di requisiti secondo la legge agraria, oltre alla mancanza dei bilanci del precedente commissario ejidale Francisco Guzmán Jiménez (alias Goyito).

Gli indigeni della Sexta concludono: Questi falsi rappresentanti sono complici del malgoverno, derubano il proprio popolo e vogliono reprimere la nostra organizzazione con la prigione e la morte. Non lo dicono in senso figurato. Molti di loro sono stati imprigionati (gli ultimi due sono usciti di prigione meno di tre mesi fa). Nell’aprile scorso, Juan Vázquez Guzmán, leader della resistenza, è stato assassinato sulla porta di casa a Bachajón; il crimine rimane impune, e le autorità giudiziarie non fingono nemmeno di indagare sul caso.

http://www.jornada.unam.mx/2014/03/06/politica/021n1pol

Denuncia dell’ejido San Sebastian Bachajón

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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06/03/2014

Filosofo delle cause sociali

Addio a Luis Villoro

Villoro

 

 

 

Luis Villoro Toranzo il 4 gennaio 2009 riceve dalle bimbe Lupita e Toñita il riconoscimento dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, in occasione del primo Festival Mondiale della Digna Rabia, celebrato a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas Foto Moysés Zúñiga Santiago

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La Jornada – Domenica 2 marzo 2014

Appare Rebeldía Zapatista, pubblicazione per far conoscere la parola dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha presentato la sua nuova pubblicazione, Rebeldía Zapatista, diretta dal subcomandante Moisés. Sarà un mezzo, si annuncia, per far conoscere la parola dell’EZLN.

Da ormai 30 anni stiamo lavorando per vivere meglio, è sotto gli occhi del popolo del Messico e del mondo. Umile ma sanamente deciso dalle comunità di decine di migliaia di donne e uomini, come vogliamo governarci autonomamente, spiega il comandante zapatista nell’editoriale del primo numero.

Niente nasconde ciò che stiamo facendo, che perseguiamo, che vogliamo, è sotto gli occhi di tutti. Non è uguale a quello che fanno i malgoverni, cioè i tre cattivi poteri, il sistema capitalista tutto a costo del popolo. Condividiamo con i compagni e le compagne del Messico e del mondo il nostro umile pensiero di un mondo nuovo che sognano e vogliamo.

Nel suo primo numero, Rebeldía Zapatista illustra le testimonianze di decine di guardiani dei cinque caracol ribelli che hanno partecipato ai tre turni della Escuelita Zapatista svolti fino ad ora.

Le zapatiste e gli zapatisti, ribelli nella nostra patria messicana perché minacciati di distruzione insieme alla nostra madre terra, sotto il suolo e sopra il nostro suolo, dalle cattive persone ricche e dai malgoverni che vogliono trasformare in merce tutto quello che vedono, che si chiamano capitalisti neoliberali. Vogliono essere padroni di tutto, scrive Moisés.

Sono distruttori, assassini, criminali, violentatori. Sono crudeli, inumani, torturatori, rapitori, sono corrotti e tutto quello che si può pensare di male, loro sono così, non pensano all’umanità. Sono inumani. Tra loro, alcuni decidono come dominare i popoli che si lasciano dominare, hanno trasformato in loro proprietà i paesi sottosviluppati, hanno designato i loro capoccia nei cosiddetti governi capitalisti sottosviluppati di ogni paese. Nel nostro, segnala, ci sono il presidente Enrique Peña Nieto ed il governatore del Chiapas Manuel Velasco Coello.

In questa lotta e queste pagine, sottolinea il subcomandante Moisés, si tratta di libertà e di costruzione di un mondo nuovo diverso da quello imposto dai capitalisti neoliberali. E quindi è il popolo che si esprime, cioè direttamente la base del popolo, non solo i suoi rappresentanti.

Una parte del numero inaugurale di Rebeldía Zapatista pubblica espressioni e messaggi di ribelli, in questo numero anarchici, che non sono indigeni e dicono ciò che pensano e come vedono questo sistema che vuole distruggere il pianeta terra.

Innanzitutto nella rivista, prevede l’EZLN, cominceranno ad essere scritte le parole ed i pensieri delle nostre compagne e compagni basi di appoggio zapatiste, famiglie, guardiane e guardiani, maestre e maestri della escuelita. Nei primi numeri appariranno “le valutazioni di maestri, votanes, famiglie e coordinatori della escuelita nelle zone dei cinque caracol“. http://www.jornada.unam.mx/2014/03/02/politica/013n1pol

Testo completo del subcomandante Moisés – Traduzione in italiano del testo del subcomandante Moisés

Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Editoriale. Rebeldía Zapatista, la parola dell’EZLN

Noi ribelli zapatisti, insieme alla nostra madre terra, siamo minacciati di distruzione nella nostra Patria messicana. Sia sopra che sotto la superficie della terra, i malgoverni ed i cattivi ricchi, tutti i capitalisti neoliberali, vogliono mercificare tutto quello che vedono.

Vogliono possedere tutto.

Sono distruttivi, sono assassini, criminali, stupratori. Sono crudeli e disumani, torturano e fano sparire le persone e sono corrotti. Sono ogni cosa brutta che si possa immaginare, non si preoccupano per l’umanità. Infatti, loro sono inumani.

Sono pochi, ma decidono tutto ciò che riguarda il modo in cui domineranno i paesi che si lasciano dominare. Hanno fatto dei paesi sottosviluppati i loro poderi, e trasformato i cosiddetti governi capitalisti sottosviluppati di questi paesi, nei loro sorveglianti

Questo è quanto è successo in Messico. Le corporazioni transnazionali neoliberiste sono i padroni, il loro podere si chiama Messico, il sorvegliante attuale si chiama Enrique Peña Nieto, gli amministratori sono Manuel Velasco in Chiapas e gli altri cosiddetti governatori statali, ed i mal nominati “presidenti” comunali sono i capoccia.

Questo è il motivo per cui ci siamo sollevati contro questo sistema all’alba del 1° gennaio 1994.

Per 30 anni abbiamo costruito quello che noi pensiamo sia un modo migliore di vivere, e quello che abbiamo costruito è sotto gli occhi del popolo del Messico e del mondo. È umile ma sanamente determinato da decine di migliaia di uomini e donne che decidono insieme come vogliamo governarci autonomamente.

Niente nasconde quello che facciamo, quello che vogliamo, quello che perseguiamo, ma è tutto visibile.

Il mal governo, vale a dire i tre cattivi poteri ed il sistema capitalista, fa tutto alle spalle del popolo.

Stiamo condividendo la nostra umile idea del nuovo mondo che noi immaginiamo e il desiderio di compagni e compagne provenienti dal Messico e da tutto il mondo.

Ecco perché abbiamo deciso di fare la Escuelita Zapatista.

La Escuelita parla di libertà e della costruzione di un nuovo mondo diverso da quello dei capitalisti neoliberali.

Inoltre, è il popolo stesso, cioè, le basi di appoggio, che condividono queste idee, non solo i loro rappresentanti. Queste persone, non i loro rappresentanti, sono quelle che diranno se stanno facendo bene o se il modo in cui sono organizzati sta funzionando. In questo modo gli altri possono vedere se le cose sono veramente come dicono i rappresentanti del popolo.

Questa grande “condivisione” tra tutti noi, compagni della città e della campagna, è necessaria perché noi siamo quelli che devono pensare a come dovrebbe essere il mondo che vogliamo. Non possono essere solo i nostri rappresentanti o dirigenti a pensare e decidere come dovrebbe essere questo mondo e certamente non possono essere loro a dirci cosa dobbiamo fare come organizzazione. È il popolo, la base, che deve parlare di questo.

Potete dirci se questo è stato utile a coloro che hanno partecipato.

Come potrete leggere negli scritti di questa edizione della nostra rivista REBELDÍA ZAPATISTA, questo processo ha aiutato i compagni e le compagne che sono basi di appoggio ad incontrare brave persone provenienti da altre parti del Messico e di tutto il mondo. Questo è importante perché in Messico non c’è un governo che riconosce gli indigeni in questo paese. Il governo si ricorda di loro solo in tempo di elezioni, come se fossero strumenti elettorali.

È solo attraverso l’organizzazione e la lotta che le basi di appoggio si sono difesi per 30 anni.

Le basi di appoggio hanno fatto tutto il possibile, e tutto ciò che sembrava impossibile, in questi 30 anni e questo è ciò che condividono.

Abbiamo lavorato per creare la Escuelita in modo che le parole delle compagne e compagni che sono le basi di appoggio zapatiste, potessero raggiungere molti di più. Con la Escuelita le loro voci percorrono migliaia e migliaia di chilometri, non come i nostri proiettili il 1° gennaio 1994, che arrivavano solo a 50 metri, o 100 metri, e forse alcuni a 300 o 400 metri. Gli insegnamenti della Escuelita attraversano gli oceani, i confini ed i cieli per raggiungere voi, compagne, compagni.

Noi ribelli indigeni sappiamo che ci sono altre ribellioni indigene che sanno bene cos’è il capitalismo neoliberista.

Ci sono anche fratelli e sorelle ribelli che non sono indigeni, ma che scrivono per condividere in questa edizione cosa pensano e come vedono questo sistema che sta distruggendo il pianeta terra. Ecco perché noi includiamo le parole dei nostri compagni e compagne anarchici in questa edizione della rivista.

Bene, compagni della Sexta, è bene che chi è venuto abbia visto con i propri occhi e sentito con le proprie orecchie quello che succede qui, e sia partito con la volontà di comunicare tutto questo a coloro che non sono potuti venire.

In questa prima edizione della rivista inizieremo a condividere alcune delle parole e delle idee dei nostri compagni e compagne che sono le basi di appoggio zapatiste, famiglie, guardiani e guardiane e insegnanti, su come loro hanno visto gli studenti nella Escuelita. Nel corso delle prime edizioni della nostra pubblicazione condivideremo le valutazioni effettuate dagli insegnanti, votanes, famiglie e coordinatori della Escuelita delle zone dei cinque caracoles.

Proprio come avete parlato o pubblicato quello che avete vissuto, sentito e visto nel nostro territorio zapatista, qui potete leggere come abbiamo visto e sentito quelli che sono venuti ed hanno innalzato la bandiera della REBELDIA ZAPATISTA.

Subcomandante Insurgente Moisés

Messico, Gennaio 2014, 20 anni dall’inizio della guerra contro l’oblio.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 27 febbraio 2014

Da tutti i continenti giunge la condanna per le aggressioni contro i simpatizzanti dell’EZLN

Hermann Bellinghausen

Decine di azioni e manifestazioni si sono svolte nella settimana internazionale di solidarietà Se toccano gli zapatisti, toccano tutti noi, convocata dagli aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona in Messico per condannare le aggressioni contro la comunità 10 de Abril (Chiapas) a gennaio scorso. Iniziate il giorno 16, le giornate si sono chiuse questa settimana.

Nuova e significativa è stata la manifestazione solidale di 56 attivisti, giornalisti e scrittori del Medio Oriente, principalmente Siria, ma anche Palestina, Libano e Giordania: Dalla nostra terra nella regione araba e dall’esilio, esprimiamo il nostro appoggio alla lotta zapatista per libertà, dignità, giustizia e democrazia diretta, una lotta che è di ispirazione per tutti quelli che lottano per smantellare i sistemi di dominio e disumanizzazione che hanno caratterizzato il mondo per cinque secoli, e contro i quali i popoli indigeni d’America continuano a lottare.

Hanno denunciato che le “reiterate aggressioni contro gli zapatisti hanno raggiunto un nuovo apice a gennaio, quando un gruppo chiamato Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos (Cioac) Democrática ha aggredito la comunità 10 de Abril, del municipio autonomo ribelle 17 de Noviembre. Condanniamo tutti i tentativi del malgoverno di distruggere il movimento zapatista attraverso la repressione militare e paramilitare, le tattiche di intimidazione, o per mezzo di donazioni destinate a disattivare la resistenza collettiva.

In quanto coinvolti nella lotta contro il colonialismo e l’esproprio in Palestina e nella rivoluzione per la libertà e la giustizia in Siria, ci identifichiamo pienamente col progetto zapatista che non vuole cambiare il mondo, ma crearne dal basso uno completamente nuovo, dove ci stiano molti mondi, concludono.

In Spagna, la Central General de Trabajadores ha manifestato davanti all’ambasciata messicana di Madrid ed al consolato di Barcellona, e nelle città di Murcia, Valencia e Valladolid. A La Reus, località della Catalogna, la Plataforma del Camp en Defensa de la Terra i el Territori ha denunciato a livello internazionale la serie di persecuzioni contro le comunità zapatiste perché perseguono una vita degna e la propria autonomia.

Altre città in cui si sono svolte azioni ed eventi di protesta contro gli attacchi violenti contro le basi zapatiste sono Oaxaca, Mexicali, Guadalajara, Tepoztlán, Cuernavaca, Chihuahua, Toluca, Fresnillo, San Cristóbal de las Casas, Guanajuato e Città del messico nel nostro Paese, ed a Dorset, Lille, Munster, Milano, San Paulo, Río de Janeiro, Seattle, San Diego, Los Ángeles e Phoenix, oltre a Wellington, Nuova Zelanda, tra altre. Anche a Parigi la solidarietà è stata manifestata davanti all’ambasciata del Messico.

Bisogna ricordare che la Cioac nacional e l’organizzazione Vía Campesina, alla quale appartiene, si sono dissociate dalle aggressioni contro gli abitanti dell’ejido 20 de Noviembre, Las Margaritas, ed i membri della Cioac Democrática nella regione tojolabal del Chiapas.

http://www.jornada.unam.mx/2014/02/27/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Escuelita Zapatista

25-26-27 gen 2013 

Sono molti anni che sento parlare di zapatismo e conoscere da vicino il movimento è un’opportunità che non voglio perdere. Eppure durante il tragitto notturno da Città del Messico a San Cristobal qualche dubbio mi viene. È il mio primo viaggio in Messico, sono in vacanza, non sono mai stato un attivista, non ho particolarmente voglia di sentire sermoni politici; questi pochi giorni di Chiapas potrei spenderli visitando siti archeologici Maya e farmi qualche giorno di mare. Alla fine decido di non cambiare i miei programmi, mi sono iscritto al secondo turno della Escuelita da più di un mese e dare buca agli zapatisti non mi sembra carino.

Giunto a San Cristobal raggiungo il luogo del ritrovo. Troviamo un grande viavai. Gli altri partecipanti all’escuelita sono ragazzi più o meno giovani, qualche adulto; messicani soprattutto, ma anche argentini, statunitensi, qualche spagnolo, pochissimi italiani, una coppia musulmana, un cinese. E ovviamente ci sono gli zapatisti che verificano le iscrizioni ed organizzano i minibus verso i vari caracoles. Questo primo impatto con il mondo degli zapatisti è emozionante, penso di essere nel posto giusto. Il passamontagna che tutti indossano nasconde un mondo tutto da scoprire, gli sguardi lasciano immaginare volti umili e decisi, il pensiero esatto che mi passa per la testa è ‘qui fanno davvero sul serio’.

Vengo destinato al caracol de La Realidad. Il viaggio è scomodo e sembra interminabile, siamo in 20 persone su un minibus da 12. Quando arriviamo c’è un bellissimo cielo stellato e saranno le otto e mezzo di sera anche se mi sembra già notte fonda. Veniamo accolti a La Realidad con i cori “Viva Zapata! Viva la Libertà! Viva l’EZLN!”. Tra un coro e l’altro due marimbe suonano un intermezzo musicale, una melodia allegra e ritmata che ricorda vagamente l’inno zapatista. Ci sediamo insieme agli altri alunni arrivati prima di noi, più di 200.

Ad ogni alunno della escuelita viene presentato il suo accompagnatore. È un momento abbastanza intenso, una sorta di cerimonia. Per ogni coppia chiamata al microfono c’è un applauso. Mentre aspetto di essere chiamato sono contento e penso di essere capitato in un posto unico. Dopo non molto riconosco il mio nome nonostante la pronuncia imprecisa del compas “Alumno Daniel Dawini… guardiano…. Emilio”. Sono proprio io. Mi alzo e vado a stringere la mano al ragazzo che si avvicina verso di me. Emilio mi accompagna verso l’edificio dove ci sistemiamo per passare la notte. Gli faccio un po’ di domande per conoscerlo. Emilio ha 22 anni, 2 figli, 2 anni vissuti negli Stati Uniti, tornato in Chiapas perché, mi dice, si era “stancato” di vivere là. L’escuelita si è svolta nei 3 giorni successivi. Il primo giorno viene fatta una lunga e interessante presentazione dell’autonomia politica del movimento. L’organizzazione all’interno delle singole comunità, il coordinamento tra queste, l’elezione degli organi di rappresentanza, l’organizzazione del sistema scolastico e sanitario. Una buona parte della lezione viene tenuta da donne che spiegano i diritti acquisiti all’interno delle comunità zapatiste. Nei due giorni successivi sono ospite di una famiglia della comunità di Hidalgo, a 2 ore di camion e 1 ora di barca dalla Realidad, nel bel mezzo della Selva Lancandona. In questi giorni ho condiviso la vita quotidiana dei campesinos, la pesca, il lavoro agricolo, il riposo, le discussioni politiche, il gioco con i bambini.

L’escuelita ha un titolo: “La libertà secondo gli zapatisti”. Dove stia questa libertà me lo chiedo e me lo richiedo durante quei giorni. Me lo chiedo perché non riesco a vederla nella sobria vita dei campesinos come nel funzionamento degli organi di governo autonomo. Oltre al fatto che mancano totalmente le strutture che considero necessarie per l’esercizio stesso delle mie libertà: l’accesso ai mezzi di informazione, di comunicazione e di trasporto è limitatissimo.

Cosa sia la libertà non ce l’ho così chiaro. È forse questo il problema? Il gabbiano Jonathan mi dà qualche spunto; la libertà di volare alto, dove nessuno ha mai volato. È una la libertà che ha a che fare con una sfera molto intima dell’individuo. Che comincia con il guardarsi dentro, con l’ascoltare prima di tutto se stessi. Quando penso alla libertà non posso fare a meno di pensare a me stesso. Mi sento libero se innanzi tutto mi riconosco. Gli zapatisti, che da 20 anni nascondono addirittura i loro volti con un passamontagna, sono evidentemente lontani da questa visione; altro che processo di individuazione di cui parlano tanto i nostri psicologi.

Eppure l’aria di rivoluzione si respira in maniera molto definita. Mi emoziono addirittura quando il campesino che mi ospita mi chiede di sostenere la resistenza degli zapatisti del Chiapas. Lo fa prima di salutarmi, mentre per il nono pasto consecutivo, colazioni comprese, mi offre tortillas di mais con fagioli. E lo fa con queste precise parole: “L’ultima cosa che vorrei chiederti è questa, quando tornerai al tuo paese di’ che qui in Chiapas ci sono persone che stanno resistendo”. Ecco la liberdad segun los zapatistas, così lontana dalla mia cultura che mi sono serviti 3 giorni per riconoscerla.

Rivoluzione è una parola immensa, che non si pronuncia quasi più, che fa sentire inadeguati, che attrae ma mette di fronte ai propri limiti. La rivoluzione è una cosa più grande dell’uomo. Chi l’ha fatta infatti è considerato più che un uomo: un eroe. Il merito di questo viaggio è stato riavvicinarmi al senso di questa parola, un senso al quale mi ero allontanato non reputandolo alla mia portata. Rivoluzione e libertà è una buona sintesi di quanto approfondito durante l’escuelita. La relazione tra i due termini è stata per me una scoperta. Mi è toccato apprenderlo dagli stessi che mi chiedono come mai ho preso l’aereo anziché l’autobus per arrivare in Messico. Non so proprio che dire, oltre a ringraziare pubblicamente gli zapatisti, tanto tanto di cappello!

Daniele

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Audio dell’incontro sui vent’anni dell’Insurrezione Zapatista al Barrio Campagnola di Bergamo

22 gennaio 2014

Audio dell’Incontro al Barrio Campanola

22gen2014 BG

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Ojarasca N. 202

Ojarasca N. 202

Ojarasca

 

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La Jornada – Mercoledì 12 febbraio 2014

Dal Chiapas, proclamata una settimana di solidarietà nazionale e internazionale con gli zapatisti

Hermann Bellinghausen

Di fronte alle recenti aggressioni contro basi di appoggio zapatiste in Chiapas, organizzazioni aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale hanno indetto la Settimana Nazionale ed Internazionale di Solidarietà Se Toccano gli Zapatisti, Toccano Tutti Noi, da dal 16 al 23 febbraio.

Diffondendo la convocazione, la Rete contro la Repressione e per la Solidarietà sottolinea: “Mentre i mezzi di comunicazione commerciali dettano agende di ‘discussione’, ‘riflessione’ e ‘analisi’ di una ‘realtà’ che non è altro che menzogna, dove si esalta lo sfruttamento, il disprezzo e la repressione, pilastri del capitalismo”, e mentre le politiche che nascono dai grandi centri finanziari ed organismi di potere fomentano lo scontro e la frammentazione del tessuto sociale, in basso si cominciano a tessere le fondamenta per riconoscerci nella solidarietà come compagne e compagni di lotta.

Gli organizzatori citano l’esempio delle comunità indigene zapatiste con i loro oltre 30 anni di organizzazione, ed i lavori che si svolgono all’interno della Sesta.

Non poche volte il potere ha cercato inutilmente di provocare e distruggere l’organizzazione ed il progetto zapatista: sorvoli ed incursioni militari, espropri di terre, introduzione di programmi sociali in territorio zapatista, fabbricazione di reati, furti, prigione e attacchi paramilitari.

Le recenti aggressioni denunciate dalla giunta di buon governo del caracol di Morelia destano grande preoccupazione, si dice nell’appello. La banda criminale della Central de Obreros Agrícolas y Campesinos (Cioac), insieme alla dirigenza dellaOrganización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (Orcao) ha feriti sei compagni zapatisti. Inoltre hanno aggredito e derubato il personale dell’Ospedale San Carlos.

Nella convocazione si denunciano come responsabili attuali di questa guerra il governatore Manuel Velasco Coello ed il presidente Enrique Peña Nieto, così come i gruppi di potere locali, municipali, nazionali e stranieri, e si fa appello alla solidarietà degli aderenti alla Sexta e ad ogni organizzazione, collettivo e persona onesta del Messico e del mondo, affinché dai loro luoghi tendano la mano alla degna rabbia zapatista. Le comunità zapatiste non sono sole, conclude la convocazione. http://www.jornada.unam.mx/2014/02/12/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Cinque presidenti del Messico hanno incontrato la resistenza delle comunità

Hermann Bellinghausen

9 febbraio 2014

San Cristóbal de las Casas, Chiapas. Le aggressioni contro l’emblematica comunità zapatista 10 de Abril alla fine di gennaio, denunciate dalla Giunta di Buon Governo Corazón del Arco Iris de la Esperanza, con tutte le sue particolarità ed aggravanti (come l’oltraggio e sequestro del personale dello stimato ospedale San Carlos di Altamirano), si collocano nel contesto dell’attuale tappa della guerra di “bassa intensità” contro le comunità in resistenza dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Questa guerra che non si chiama per nome colpisce un certo numero di ejidos e comunità che hanno diversi gradi di affinità con gli zapatisti, come Las Abejas, Xi’Nich, Pueblo Creyente, o le località indigene in Chiapas che si dichiarano aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona. Anche queste si dichiarano in resistenza benché a differenza degli autonomi, siano inserite nell’apparato istituzionale, anche qui a diversi livelli.

I fatti di violenza propriamente detta sembrerebbero sporadici se presi separatamente fino a quando toccano il punto di “crisi”: feriti, o arrestati, o sfollati, o saccheggiati; ma se si osservano nel complesso, rivelano invece una continuità, un gioco sulla mappa degli strateghi della contrainsurgencia, sia militari che civili, che non hanno mai interrotto le loro perniciose attività durante tutti i cinque governi federali e sette o otto (che importa) governi statali. Sono irrilevanti le alternanze dei partiti. (Qualcuno ha parlato di transizione democratica?). Sotto il PRI (Partito Rivoluzionario Istituzionale), come sotto il PAN (Partita Azione Nazionale), il PRD (Partito della Rivoluzione Democratica) & Co. o il PVEM (Partito Verde Ecologista del Messico), le comunità che si oppongono alle nuove ed aggressive politiche agrarie, ai progetti turistici, agroindustriali o estrattivi sono state violentate e represse, paramilitarizzate, divise. Per i promotori della decomposizione tutto ciò che divide è buono: religioni? concessioni di territorio ad interessi privati? campagne elettorali? trattamento diverso nell’applicazione di giustizia, distribuzione agraria, educazione, salute e questioni di soldi?

La contrainsurgencia attacca di nuovo (non ha mai smesso di farlo)

Bisogna fare due esempi di comunità sotto il “tenue” fuoco dei programmi e delle legislazioni agrarie riformate (gravemente deformate), educative, finanziarie e di utilizzo dell’energia e delle risorse naturali. Nel primo consideriamo solo le popolazioni zapatiste. In particolare, i casi recenti coinvolgono i cinque caracol dell’EZLN, si tratta di San Marcos Avilés, Comandante Abel, Che Guevara (Motozintla), Toniná, ejido Puebla, San Ramón, 10 de Abril, o autotrasportatori autonomi di Ocosingo (solo per citare i casi denunciati dalle diverse giunte di buon governo negli ultimi mesi). La loro comparsa in regioni diverse – ed in ogni caso per “un conflitto” particolare sospettosamente simile agli altri – suggerirebbe che le politiche di contrainsurgencia abbiano successo. Tuttavia, alla luce di quanto accade quotidianamente in buona parte dei municipi zapatisti, si potrebbe concludere esattamente il contrario. Per quanto riguarda le comunità autonome, la costosa contrainsurgencia fallisce. Lo hanno potuto constatare direttamente migliaia di alunni della Escuelita Zapatista a partire da agosto del 2013.

Da posizioni sempre ferme, sostenute dalle loro leggi e principi – che hanno conquistato una legittimità che nessun governo federale, statale né municipale può ignorare – gli zapatisti del Chiapas hanno fatto sforzi, come pochi, per recuperare e coltivare i livelli di convivenza e vicinanza con altre organizzazioni politiche, autorità ejidales e confessioni religiose in villaggi e intere regioni. Detto in maniera diversa, senza l’atteggiamento pacifico ma attivo ed incorruttibile delle basi zapatiste, la conflittualità dentro e tra le comunità sarebbe molto più elevata.

Ovviamente i governi statali si auto celebrano per questa diciamo “pace sociale” e con una mano la pubblicizzano mentre con l’altra sottraggono “risorse” pubbliche, private e di tipo diverso per continuare a fare il loro “lavoro”. L’inettitudine di funzionari, negoziatori, consulenti e legislatori è palese e potrebbe risultare disastrosa per le regioni indigene se non fosse per il responsabile esercizio dei governi ribelli, per il loro rispetto dei diritti collettivi e degli accordi tra simili. Rompere questi accordi è una delle pratiche preferite dalla contrainsurgencia che ha ormai compiuto 20 anni e passa. Questi sarebbero i casi di Comandante Abel e 10 de Abril.

Il secondo esempio è rappresentato dalle comunità e organizzazioni che difendono i loro territori e risorse, la loro dignità indigena, la loro libertà di credo, i loro diritti umani, di consultazione, di giustizia – che spesso condividono la lotta degli zapatisti – ed abbraccia tutte le regioni: Selva Lacandona, Altos, Zona Nord, Selva-Frontiera. In alcuni casi si oppongono ai programmi di attribuzione di titoli di proprietà delle terre, alle tariffe dell’energia elettrica, all’impatto delle imprese minerarie, ai megaprogetti di strade e turismo, alle disposizioni ambientali che prevedono espropri, all’accaparramento filogovernativo del trasporto e del commercio, all’inefficienza del sistema sanitario. Tutte difendono le proprie risorse, diritti e territori: San Sebastián Bachajón, ejido Tila, Nuevo Jerusalén, Arroyo Granizo, Nuevo Francisco Gómez, ejido Puebla, Jabaltón, Cuauhtémoc Cárdenas, Mitzitón, Las Llanos, San José El Porvenir, Lacanjá Tzeltal, ejido Nuevo Tila, Banavil. Solo per citare alcuni dei casi documentati negli ultimi mesi.

Ovviamente, ognuno ha vecchi precedenti, con episodi di aggravamento e soluzione, tradimento di accordi, falsificazioni di verbali o usurpazioni di rappresentatività. Significativo è l’assedio delle autorità agrarie per imporre il Fondo de Apoyo para Núcleos Agrarios sin Registro (FANAR), successore dell’infame Procede, entrambi il prodotto della controriforma salinista dell’Articolo 27 della Costituzione. La sua diffusione generalizzata permetterebbe la privatizzazione delle terre ejidales e comunali promossa dal Ministero per lo Sviluppo Agrario, Territoriale e Urbano (SEDATU) e dalla Procura Agraria.

Che cosa hanno in comune le diverse storie di conflitto? Hanno in comune la complicità esplicita o implicita (comunque evidente) del governo. Questo garantisce l’impunità sistematica di aggressori e delinquenti, compresi i suoi sicari a Viejo Velasco, Banavil, San Sebastián Bachajón ed i mai dimenticati né risolti massacri degli anni novanta a Chenalhó, El Bosque, Tila, Sabanilla e Chilón.

Attacco della CIOAC “Democratica” contro 10 de Abril

Fino ad arrivare al 27 e 30 gennaio 2014 nell’ejido zapatista 10 de Abril, nel municipio autonomo ribelle 17 de Noviembre, ubicato tra le città di Altamirano e Las Margaritas, in uno scenario costruito in anni nella comunità tojolabal 20 de Noviembre dalla Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesina (CIOAC), organizzazione una volta indipendente e dal 2001 filogovernativa con l’arrivo del PRD al governo statale, gruppo para-priista rimasto al potere per 12 anni che ha praticato il divisionismo profondo nelle comunità in resistenza che avevano lottato per il recupero delle terre dopo l’insurrezione dell’EZLN nel 1994, stabilendo accordi per creare o trasformare in proprietà private le comunità “recuperate” per tutti due decenni fa.

Il primo di febbraio, la Giunta di Buon Governo del caracol zapatista di Morelia ha denunciato una grave aggressione contro le basi di appoggio dell’EZLN nell’ejido 10 de Abril, perpetrata da circa 300 seguaci dei leader della CIOAC Democratica, Miguel Vázquez Hernández e Jaime Luna González. I fatti sono avvenuti giovedì 30 gennaio, benché le minacce risalgano a lunedì 27. Il pretesto, prendere le terre dell’ejido autonomo e titolarle a favore della clientela cioaquista di 20 de Noviembre che non ha ottenuto terre nella recente tornata di aggiudicazione di titoli di proprietà secondo la legge (cioè, la sinistra Legge Agraria in vigore). È facile e non è nuovo: si va sulle terre recuperate con la copertura del governo e dei partiti politici.

La JBG di Morelia riferisce: “Sono tornati ad aggredirci come avevano minacciato. Sono arrivati su 18 furgoni Nissan in circa 300 persone pronte alla violenza”. Sono scesi a 30 metri ed il furgono “di testa ha tentato di investire gli zapatisti. Gli aggressori erano pronti a colpirci con machete e pietre”.

La relazione della giunta prosegue: “I nostri compagni hanno resistito per non rispondere agli insulti ed alle provocazioni”, ed hanno “tentato di dire loro di smettere di molestarli perché la terra è recuperata dal 1994 e per questo sono lì a preservarla”. Gli aggressori della ClOAC Democratica hanno lanciato pietre, mentre altri brandivano bastoni. “Subito i nostri compagni hanno cominciato a cadere sotto i colpi in faccia, in testa e sulle gambe”, ha denunciato la giunta con laconica drammaticità.

Anche se qualche aggressore è rimasto lievemente ferito, tra gli zapatisti ci sono stati diversi geriti gravi: Sebastián, 20 anni, con frattura dello zigomo sinistro, trauma oftalmico lato sinistro, sanguinamento ed infiammazione grave della retina, fratture al cranio e base nasale; Ismaele, 22 anni, frattura aperta al naso, trauma cranico e contusione alla spalla sinistra, e Jhony, 32 anni, trauma cranico ed oculare sinistro.

Guidavano l’attacco Arnulfo González Jiménez e Jaime Luna González, che hanno sparato con armi da fuoco. A 20 de Noviembre alcuni abitanti è da tempo che cercano di appropriarsi delle terre di 10 de Abril sulle quali non hanno diritti. “Le persone portate qua sono state pagate 100 pesos ognuna per la loro giornata di violenza”.

La cosa non si è fermata lì. Gli zapatisti hanno chiesto soccorso per trasportare i feriti all’ospedale San Carlos, di Altamirano, ma uomini e donne della CIOAC hanno impedito il passaggio al personale sanitario mentre continuavano a picchiare le basi zapatiste. In questo episodio la giunta sottolinea che si è unito alla violenza Francisco Hernández Aguilar dell’Accampamento El Nanze (già membro della OPDDIC, ora leader della ORCAO e da anni aggressore delle basi zapatiste nel municipio 17 de Noviembre); è noto per portare armi di grosso calibro, AKA – 47, AR-15 e 1 M-1. L’elemento paramilitare finisce sempre per emergere.

L’ambulanza del San Carlos, insieme all’autista Filomeno Hernández García, “sono stati sequestrati e portati nel loro ejido”. Il medico, Edgar Ulises Torres, Rodríguez e Edith Garrido Lozada, religiosa, hanno subito la stessa sorte. A 20 de Noviembre i tre sono stati picchiati.

In aiuto all’ambulanza procedevano su un altro veicolo le religiose Patricia Moysén Márquez e Martha Rangel Martínez. Sono state costrette a scendere dalle donne della CIOAC che le hanno picchiate e derubate di portafoglio, documenti e auto.

Il giorno seguente il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha denunciato il governo del Chiapas per “omissione nell’impedire le aggressioni alle basi di appoggio dell’EZLN della comunità 10 de Abril”. E la CIOAC Democratica per “aver violato il territorio dell’EZLN”, aggredito i suoi abitanti ed i lavoratori dell’ospedale San Carlos.

Gli invasori sono stati respinti. Ma, come da copione del governo, gli aggressori sono rimasti impuniti; invece di sanzionarli, le autorità e gli “operatori politici” hanno instaurato con loro “negoziati agrari”; questi aspettano “soluzione” alla loro richiesta di terre, o un nuovo stimolo istituzionale per aggredire i vicini in resistenza.

Ad ogni giro di vite della contrainsurgencia dei governanti e dei suoi opportunisti alleati, la resistenza di questa o quella comunità ribelle intacca l’ingranaggio fino a neutralizzarlo. Ma il potere tira fuori un’altra vite, e poi un’altra. Ha sacchi pieni di viti per serrare la guerra quotidiana.


Articolo da Desinformémonos: http://desinformemonos.org

Testo originale: http://desinformemonos.org/2014/02/agresiones-a-zapatistas-10-de-abril/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Il CNI si rafforza.

Congresso Nazionale Indigeno

RAFFORZA IL SUO SPAZIO PER COMPRENDERE E LOTTARE

Il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) ha allungato il passo a partire dalla riunione che ad agosto, a San Cristóal de las Casas, Chiapas, ha riunito rappresentanti da tutto il paese. Nella riunione sono stati analizzati i conflitti che vivono i popoli, nazioni, comunità, tribù e quartieri, come diceva don Juan Chávez Alonso. Da allora, dagli angoli più insospettati, fervono le riunioni per privilegiare quello che è sempre stato il cuore della sua proposta: rafforzare uno dei pochi spazi di dialogo libero dove la gente può riconoscersi cercando di comprendere insieme.

Fino ad ora si sono realizzate molte riunioni regionali ad Hopelchén, Campeche, il 12 ottobre; a San Lorenzo de Azqueltán, Jalisco, il 9 e 10 novembre; a San Ignacio Arareco, Chihuahua, il 14 e 15 novembre; a Villa de Ayala, Morelos, il 30 novembre; ed a Xpujil, Campeche, il 7 dicembre.

Ci saranno altre riunioni in altre regioni dove la gente possa sistematizzare quanto gli accade e promuovere legami a vari livelli, ma già si consolidano convinzioni e certezze.

Ad Hopelchén il CNI ha dichiarato: “Alziamo la voce per denunciare la sottrazione di terre ejidali in tutta la penisola (dello Yucatan) e delle nostre sementi native da parte delle grandi imprese transnazionali che ce le rubano scambiandole con prodotti transgenici che inquinano la terra ed il miele; denunciamo la discriminazione storica dei popoli maya della penisola che si traduce nella mancanza di riconoscimento dei diritti sanciti dalla Costituzione del nostro paese; denunciamo che i programmi che il governo implementa sono un insulto alla nostra memoria e dignità ed hanno come unica finalità quella di dividerci come popolo; denunciamo la persecuzione e repressione dei governi federale, statali e municipali contro chi lotta per recuperare la memoria”.

A San Lorenzo de Azqueltán il CNI ha affermato: “Denunciamo che gli interessi capitalisti che minacciano e colpiscono i nostri territori sono collusi con gruppi del crimine organizzato nazionale e internazionale insieme ai diversi ordini e livelli di governo che formano un fenomeno complesso che si dota di forme legali e illegali per spogliarci delle nostre risorse e dei nostri territori”.

A San Ignacio Arareco ha detto: “Vediamo che mettono in pratica le loro politiche di disprezzo, di sopruso, di discriminazione e distruzione. Vediamo anche che i partiti politici coi loro deputati e senatori (PAN, PRD, PRI, eccetera) approvano leggi a favore dei capitalisti, come nel caso della riforma all’articolo 27 della Costituzione nel 1992; la legge agraria riformata nel 1992 il cui fine è separare la terra dai contadini, la terra da noi indigeni. Hanno abrogato la legge federale della riforma agraria e con essa gli articoli relativi alla dotazione di terra e bosco ejidali e comunali. Hanno approvato il trattato di libero commercio, la legge del settore minerario a beneficio dei grandi consorzi nazionali e stranieri, la legge sulla biosicurezza degli organismi geneticamente modificati (Legge Monsanto), la legge per la protezione e lo stimolo dei semi migliorati e varietà native messicane (per la coltivazione di transgenici), la legge federale di accesso ed utilizzo delle risorse genetiche (per legalizzare la biopirateria), la legge sulle acque nazionali che legalizza la privatizzazione dell’acqua, la legge sulla proprietà industriale che permette il brevetto di conoscenze e saperi indigeni”.

A Villa de Ayala, Morelos, il CNI ci ha ricordato che “il seme gettato dal nostro generale e capo Emiliano Zapata continua a fiorire”. Ha commemorato il 102° anniversario della promulgazione del Plan de Ayala, “del quale siamo i eredi”, ed ha esortato le donne, bambini, giovani, nonne e nonni, gli uomini di buon cuore, “ad unire la nostra parola per continuare nella difesa della madre terra, dell’acqua, del bosco, degli animali che che la abitano”.

In ultimo a Xpujil, i rappresentanti indigeni hanno ratificato il riconoscimento degli Accordi di San Andrés “come legge suprema nel seno dei nostri popoli ed organizzazioni per vivere l’autonomia”. Ed hanno aggiunto: “Siamo solidali con tutte le lotte degne che si appellano alla vita, alla convivenza ed al rispetto delle differenze. La nostra lotta è permanente e condivideremo la nostra parola, la nostra proposta ancestrale e le nostre esperienze di lotta e resistenza per rafforzarci come popoli, fino al raggiungimento della vita degna che sappiamo essere possibile”.

Ojarasca – Gennaio 2014

Testo originale

Qui il PDF del supplemento de La Jornada: ojarasca201

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Lunedì 3 febbraio 2014

Suore di Altamirano aggredite nell’attacco contro l’ejido 10 de Abril per impedire di soccorrere i feriti

Hermann Bellinghausen. Enviado. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 febbraio. Durante l’attacco di coloni dell’ejido 20 de Noviembre (Las Margaritas) allejido 10 de Abril, municipio autonomo zapatista 17 de Noviembre, il 30 gennaio scorso, denunciato ieri dalla la giunta di buon governo (JBG) del caracol di Morelia, non solo sono stati gravemente feriti tre basi di appoggio dell’EZLN, ma è stato anche aggredito il personale dell’ospedale San Carlos, di Altamirano, e impedito loro di soccorrere i feriti.

La religiosa Patricia Moysén Márquez, conosciuta da anni nella regione di Altamirano per il suo lavoro nell’ospedale San Carlos e la sua vicinanza con le comunità indigene, racconta quanto accaduto: Intorno alle 7:30 abbiamo ricevuto una chiamata di soccorso in aiuto dei feriti nella comunità 10 de Abril. E’ subito partita l’ambulanza con l’autista, un medico e una sorella. L’ho seguita in un pick up, non sapendo il numero di possibili feriti. Al crocevia di San Miguel ci siamo imbattuti in moltissima gente di 20 de Noviembre armati di bastoni e machete. Un altro gruppo li ha intercettati più avanti.

“Suor Martha Rangel Martínez ed io viaggiavamo dietro l’ambulanza. Ci siamo identificate ed abbiamo detto che stavamo andando a soccorrere dei feriti. La loro risposta allora è stata che avrebbero bruciato l’auto perché eravamo del governo e così il problema si sarebbe risolto più rapidamente. Noi abbiamo ribattuto che non siamo governo ma apparteniamo alla Chiesa. Allora ci hanno detto che eravamo zapatisti che stvamo andando in aiuto del nostro gruppo. Noi abbiamo detto che stavamo andando a soccorrere dei feriti di qualunque religione o partito fossero. Il problema che avevano loro non era affare nostro, ma ci preoccupavamo solo dei feriti.”

Hanno fatto scendere l’autista dall’ambulanza ed alcuni hanno detto che potevamo proseguire ma che dovevamo prenderci i feriti delle due parti, altrimenti avrebbero portato l’autista l’andavano a 20 de Noviembre. Ho detto loro che era meglio che andasse l’ambulanza e di prendere noi. Ma è arrivato un altro gruppo che ha detto che non sarebbe passato nessuno perché il governo doveva risolvere la questione e che avrebbero bruciato sia l’ambulanza che l’auto.

Suor Patricia prosegue: Siccome non volevo consegnare la chiave né scendere dall’auto, hanno minacciato di rovesciare l’auto. Abbiamo insistito molto sull’urgenza di andare a salvare la vita di chiunque fosse ferito. Dopo un attimo l’ambulanza è tornata guidata da una persona di 20 de Noviembre. Hanno cominciato a percuotere la nostra auto con i bastoni tentando di aprire le portiere. Sono riusciti ad aprire la portiera del passeggero ed hanno preso Suor Martha. Ho dovuto caricare alcuni di loro insieme a Suor Martha e portarli fino al crocevia, dove sono scesi, ma io non ho voluto consegnare le chiavi, le ho messe nella tasca del mio abito, perché ho visto che con l’ambulanza si sono diretti verso 20 de Noviembre.

Allora, prosegue il suo racconto la religiosa, le donne dello stesso gruppo hanno cominciato ad insultarci ed hanno tentato di prendermi le chiavi. Siccome facevo resistenza, hanno cominciato a spogliarmi. Ci hanno infilato le mani ovunque bloccandoci le braccia. Ci hanno ferito, hanno stracciato il mio giubbotto, si sono presi le chiavi ed il mio portafolgio dove tengo i documenti. Ho chiesto che me lo restituissero ma si sono rifiutati di farlo.

Poco dopo i cioaquistas sono partiti con l’auto e tutti i loro veicoli, che erano tanti e tutti pieni di gente, in maggioranza uomini di 20 de Noviembre; Suor Martha ed io siamo tornate di corsa ad Altamirano a dare l’allarme. Mentre stavamo riferendo sui fatti in ospedale, sono arrivate due persone che si sono identificate come politici del governo dello stato in servizio ad Altamirano, Juan Baldemar Navarro Guillén, sottodelegato, e Jorge Alfredo Jiménez, operatore politico. Verso le 11:40 sono riusciti a tornare l’autista, il dottore e la prima religiosa, ma ambulanza ed il pick up sono rimasti a 20 de Noviembre. Il presidente municipale di Altamirano si è impegnato a recuperarli.

La JBG aveva lanciato l’allarme

Il tentativo di impossessarsi delle terre zapatiste da parte della Cioac è iniziato a sfuggire dal controllo il 13 novembre scorso (https://chiapasbg.com/2013/11/14/jbg-morelia-denuncia/) ma come riferisce questo sabato la JBG del caracol Torbellino de nuestras palabras, la prima volta che hanno tentato di rubarci le terre recuperate nel 1994 risale al 2007. Il 18 ottobre 2013, coloni di 20 de Noviembre ci hanno riprovato.

La più recente provocazione contro le basi zapatiste di 10 de Abril è del 27 gennaio, quando 250 persone della Cioac democratica hanno distrutto le insegne all’ingresso dell’ejido ed hanno abbattuto alberi che appartengono alla riserva ecologica, riferisce la JBG, con cinque motoseghe: nove pini, 40 roveri, 35 piante di caffè e tre di banano. Hanno rubato inoltre attrezzi, tavole, legname, non per usarli ma per venderli, ed hanno riempito 41 furgoni. http://www.jornada.unam.mx/2014/02/03/politica/011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 2 febbraio 2014

Basi di appoggio dell’EZLN aggredite da affiliati alla CIOAC

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º febbraio. La giunta di buon governo (JBG) Corazón del arco iris de la esperanza, del caracol zapatista di Morelia, ha denunciato la grave aggressione contro basi di appoggio dell’EZLN nell’ejido 10 de Abril, municipio autonomo 17 de Noviembre, perpetrata da un gruppo di seguaci dei leader dell’organizzazione Cioac democratica, Miguel Vázquez Hernández e Jaime Luna González. I fatti sono avvenuti lo scorso giovedì 30 gennaio, dopo aver già subito una pesante aggressione il giorno 27.

La JBG riferisce che gli elementi della Cioac ci hanno aggrediti di nuovo concretizzando le loro minacce di tre giorni prima. Sono arrivati su 18 furgoni Nissan in circa 300 persone pronte alla violenza. Si sono fermati a 30 metri dagli zapatisti ed il furgone in testa alla carovana ha cercato di investirli. Gli aggressori avevano tutta l’intenzione di colpirci con i machete e le pietre che tenevano in mano.

La relazione della giunta prosegue: I nostri compagni non hanno risposto alle aggressioni verbali che gli aggressori gli rivolgevano ed hanno cercato di dire loro di smetterla di molestarli perché la terra è recuperata dal 1994 e per questo la stanno lavorando. Gli aggressori della Cioac democratica, dopo una pausa di cinque minuti, hanno cominciato a tirare pietre, mentre altri prendevano dei bastoni per picchiarci; i nostri compagni hanno cominciato a cadere sotto i colpi in faccia, testa, naso e gambe.

Anche alcuni cioaquistas sarebbero finiti nell’ospedale dell’IMSS ad Altamirano per ferite lievi, ma tra gli zapatisti ci sono feriti gravi. Sebastián, 20 anni, presenta frattura dello zigomo sinistro, trauma oftalmico lato sinistro, sanguinamento ed infiammazione severi della retina, fratture al cranio e base nasale, in pericolo di perdere la vista. Ismaele, 22 anni, frattura nasale, trauma cranico, contusione spalla sinistra. Jhony, 32 anni, trauma cranico, trauma oculare sinistro ed edema palpebrale. Altri tre indigeni presentano ferite in testa.

La JBG denuncia i capi Arnulfo González Jiménez e Jaime Luna González, che hanno sparato con armi da fuoco. Poi sono arrivati i loro complici Tranquilino González, maestro bilingue, José Lino Álvarez e Humberto López, originari dell’ejido 20 de Noviembre, dove alcuni coloni da tempo cercano di appropriarsi delle terre di 10 de Abril sulle quali non hanno diritti. Le persone che hanno portato sono state pagate 100 pesos ognuno per la loro giornata di violenza.

Gli autonomi hanno chiesto assistenza all’ospedale San Carlos di Altamirano. Gli aggressori hanno impedito l’accesso al personale medico mentre continuavano a picchiare le basi zapatiste. In quel momento è arrivato Francisco Hernández Aguilar, della Ranchería El Nanze (già membro della OPDDIC ed ora leader della Orcao), che già in precedenza avevamo denunciato, armato di AK-47, AR-15 e M-1.

Hanno sequestrato e portato al loro ejido l’autista dell’ambulanza, Filomeno Hernández García ed il veicolo stesso, il dottor Édgar Ulises Torres Rodríguez e la religiosa Edith Garrido Lozada. Una volta giunti a 20 de Noviembre, i tre sono stati picchiati.

Secondo la JBG, seguiva l’ambulanza un pick up Chevrolet guidato dalla religiosa Patricia Moysén Márquez e dalla sorella Martha Rangel Martínez. Sono state costrette a scendere dal veicolo da donne tojolabales e sono state poi picchiate per essersi rifiutate di consegnare la chiave del veicolo. A Suor Patricia hanno rubato la borsa con i documenti personali. http://www.jornada.unam.mx/2014/02/02/politica/017n1pol

Denuncia della JBG: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/02/01/la-junta-de-buen-gobierno-corazon-del-arco-iris-de-la-esperanza-del-caracol-iv-torbellino-de-nuestras-palabras-denuncia-la-agresion-que-sufrio-bases-de-apoyo-del-ejido-10-de-abril-del-municipio-auto/

Testimonianze del personale dell’ospedale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/02/01/testimonio-del-hospital-san-carlos-con-respecto-a-agresion-a-companeros-bases-de-apoyo/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 30 gennaio 2014

La promozione dei programmi federali in Chiapas provoca divisioni tra le comunità

Hermann Bellinghausen. Inviato. Nuevo Jerusalén, Chis. 29 gennaio. Divisione all’interno delle comunità, perfino tra le famiglie. Promesse consumistiche ed offensive. Distribuzione di assegni. Condizionamento di programmi. Minacce velate e non tanto. Compreso gli inviati federali che promuovono il Fondo de Apoyo para Núcleos Agrarios sin Registro (FANAR, successore del Procede), che si presentano a negoziare offrendo bevande alcoliche, come è successo alla fine del 2013 a Joltulijá, una bella comunità con due lagune dal pericoloso potenziale turistico.

“Sono arrivati ad offrire alcolici ai commissari che li hanno rifiutati dicendo ‘noi stiamo cercando di far smettere alla gente di bere e voi ci venite ad offrire alcool?’ “, racconta un anziano della comunità. In maggioranza siamo in resistenza, ma qualcuno, alle nostre spalle, ha chiesto di ottenere titoli di proprietà al governo che vuole solo derubarci. La sua pressione è grande per l’interesse turistico della zona. Arrivano con funzionari pubblici e per spaventarci ci dicono che manderanno l’Esercito se non accettiamo. In effetti, era arrivato un distaccamento dell’Armata, ma di fronte al rifiuto degli indigeni si è ritirato.

Gli indigeni indicano come responsabili diretti di questa operazione, l’ispettrice agraria Rita Guadalupe Medina Septién e l’avvocato Juan René Rodríguez, entrambi della Procura Agraria di Ocosingo, accompagnati da funzionari del Registro Agrario Nazionale (RAN). Non sono stati ricevuti a in Arroyo Granizo, La Arena, San José Guadalupe e Limonar, mentre sono stati accolti a Nuevo Francisco León y Lacanjá Tzeltal, dove si sono recati ad ottobre. Al loro passaggio, i funzionar lasciano divisioni, a volte di false tinte religiose perché normalmente programmi vengono accettati da persone di confessione evangelica. Se quelli che si oppongono sono cattolici (e non pochi presbiteriani), le divergenze e gli scontri sono garantiti: Ci sono già stati conflitti, perfino tra fratelli. Si dividono le autorità ejidales. Si minacciano tra loro.

Si sono presentati a Nuevo Francisco León in settembre, “a parlare del FANAR, promettendo aiuti, crediti, ed anche se non abbiamo soldi, possiamo andare ai magazzini Elektra a comprare un frigorifero. ‘Ne ricaverete molti benefici se accetterete i progetti del governo’, ci dissero”.

La successione delle testimonianze ha la forza della reiterazione, la conferma del perché le comunità nella selva Lacandona nord rifiutano i procedimenti di titolazione e regolarizzazione agraria spinti dal governo. Molte di loro si trovano, almeno in parte, dentro la cosiddetta zona di contenimento della riserva dei Montes Azules. Per molti anni i governi hanno tentato di limitare i loro diritti territoriali, o di sottrarli. Basti dire che in questa zona ci sono anche numerose basi di appoggio zapatiste che respingono qualunque intromissione governativa, non accettano programmi e difendono il loro territorio.

Ma come dice una donna di Lacanjá Tzeltal, la pressione governativa è servita ad unire cattolici e presbiteriani, molti priisti hanno lasciato il partito a causa del FANAR. Non c’è accordo ma hanno già fatto i rilievi della terra che non è stata consegnata. Li possiamo ancora fermare. Molti si stanno pentendo.

Gli inviati governativi dicono che le vecchie visure non sono più valide. Inoltre, condizionano visure e programmi, come il Procampo, all’accettazione del FANAR. Violano la Legge Agraria poiché senza convocare assemblee per l’approvazione del programma, implementano le regole del FANAR. Le loro azioni fuori della legge hanno causato divisioni.

I ribelli di Nuevo Francisco León e Lacanjá Tzeltal hanno chiesto alla Procura Agraria il rispetto dei diritti agrari e che attraverso i programmi non si vada a cambiare il regime ejidale. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/30/politica/020n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 28 gennaio 2014

Allarme sulla privatizzazione delle terre nel nord della Selva Lacandona

Hermann Bellinghausen. Inviato. Palenque, Chis. 27 gennaio. Lo scontento scorre tra le comunità del nord della selva Lacandona per l’applicazione di programmi governativi che limitano l’uso delle loro terre, in particolare il Fondo de Apoyo para Núcleos Agrarios sin Registro (Fanar), che permetterebbe la privatizzazione dei poderi ed è promosso dal Ministero per lo Sviluppo Agrario, Territoriale ed Urbano, (Sedatu) e dalla Procura Agraria.

Perfino i grandi conglomerati filogovernativi della cosiddetta comunità lacandona (Nueva Palestina, tzeltal, e Frontera Corozal, chol) hanno manifestato il loro dissenso. Loro sono stati colpiti in particolare dal programma Redd Plus, ora concluso, ma che è servito per ottenere la loro firma, durante il governo passato, su una serie di impegni che di fatto impediscono loro di fare uso delle terre, un preambolo alla sottrazione delle terre.

Queste comunità, in particolare Nueva Palestina, hanno una lunga storia di violenze ed abusi contro decine di villaggi di diverse organizzazioni dentro la riserva dei Montes Azules e nella zona di contenimento, con l’episodio più grave, ma non l’unico, il massacro a Viejo Velasco Suárez nel 2006, ancora impunito benché due abitanti dell’ejido Nuevo Tila siano accusati dei fatti ed esistano mandati di cattura contro di loro, nonostante fossero compagni delle vittime. Secondo le organizzazioni indipendenti della zona, i veri responsabili sono abitanti di Nueva Palestina e membri del villaggio lacandone di Lacanjá Chansayab.

I ricatti allo stato dei paramilitari

Un indigeno, testimone del massacro che per ragioni di sicurezza conserva l’anonimato, descrive così la situazione: Chi sono quelli che ora chiedono giustizia e rispetto per il loro territorio? Sono gli indigeni privilegiati dal sistema corrotto del PRI e del PRD, semplicemente chiamati paramilitari dalle comunità. Sono stati utilizzati dallo stato per reprimere, ammazzare, sequestrare, far sparire e bruciare vivi chi ha posizioni politiche diverse, ma in fin dei conti tutti sono indigeni.

Ed aggiunge: “Ogni volta che vogliono più potere e risorse ricattano lo stato. L’hanno fatto con Juan Sabines Guerrero, che ha elargito loro soldi a piene mani con la scusa di preservare la selva Lacandona. I lacandoni hanno ceduto le loro terre con il programma Redd Plus per ‘servizi ambientali’, in cambio di 2 mila pesos al mese. I vecchi comuneros hanno firmato l’accordo senza il consenso dei figli, ed ora questi esigono anche dei soldi.

“Non sappiamo che cosa vogliono, forse giustizia, ma dubitiamo che sia davvero così, piuttosto è una strategia per ottenere più soldi. Quanti milioni ha dissipato Pablo Salazar Mendiguchía per comprare le terre dei lacandoni? Quanti milioni ha saccheggiato Sabines allo stato per darli ai lacandoni per ‘servizi ambientali’? Al governo servono i lacandoni, li utilizzano per giustificare i megaprogetti nella zona”, sostiene.

Durante un giro per la selva nord, La Jornada ha rilevato che questa situazione colpisce quasi tutte le comunità. La cosa nuova è che anche i fedelissimi del governo si sono scoperti in trappola. Quelli di Nueva Palestina ed i lacandoni sono conosciuti come paramilitari dei governi dalle comunità chol, tzeltal e zoque, dai tempi del presidente Luis Echeverría e del governatore Manuel Velasco Suárez, sostiene l’indigeno, membro dellaUnión de Comunidades de la Selva de Chiapas (Ucisech).

I lacandoni ed i loro alleati hanno sempre ottenuto benefici ed immunità e vengono presentati come pacifici, conservazionisti, ospitali col turista, non sono rivoltosi, a differenza dei popoli che vivono nella zona di contenimento e sono considerati dal governo come invasori e ribelli perché difendono il loro territorio.

http://www.jornada.unam.mx/2014/01/28/politica/027n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 21 gennaio 2014

Si vuole costruire un centro commerciale su terre ejidales

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 20 gennaio. Le autorità municipali di Tila, emanazione del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), questo lunedì hanno iniziato un sondaggio, chiamato consultazione cittadina, per cercare il consenso all’esproprio della Sala Civica del Popolo per la costruzione di un centro commerciale su terre ejidali, nel centro della città, dove gli ejidatarios reclamano il riconoscimento dei loro diritti di proprietà comunale.

Il Centro dei Diritti Umani Miguel Agustín Pro contesta la legalità e legittimità di questo sondaggio che non rispetta gli standard minimi di correttezza, in particolare trattandosi di una località indigena.

La consultazione ed il consenso previo, libero e informato non si realizza con due domande insidiose e con il falso pretesto dello sviluppo economico che implicherebbero i cambiamenti strutturali nello stile di vita della comunità. Deve essere realizzata in buona fede, secondo le procedure che utilizzano le comunità per tramite delle loro strutture organizzative, oltre che essere esaustiva, e garantire che l’informazione arrivi ai destinatari mediante diverse forme di comunicazione e nella propria lingua.

Ancora più grave, ritiene il Centro, “è che le autorità promuovano la consultazione con una firma anonima (‘Cittadinanza di Tila, Chiapas’), cosa che la priva di qualsiasi legalità; oltre che si vuole realizzare un sondaggio per disporre di un immobile che non appartiene al municipio, bensì all’ejido Tila”, nella zona nord dello stato.

I fatti si inseriscono nelle azioni delle autorità, particolarmente del municipio, di esproprio sistematico di parte della superficie e strutture che appartengono all’ejido, che difende il suo territorio da più di 50 anni.

Nonostante sentenze favorevoli, il municipio si rifiuta di restituire la superficie e gli edifici alienati, ed attualmente la contesa si trova davanti al plenum della Corte Suprema di Giustizia della Nazione.

Bisogna ricordare che lo scorso 14 gennaio, l’ejido Tila, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, ha denunciato gli ultimi tentativi di consumare l’esproprio ed ha presentato ricorso, poiché il municipio a dicembre ha presentato il modellino di un centro commerciale sulla superficie che attualmente occupa la Sala Civica del Popolo, edificio che risale agli anni ’30, su terreno ejidale. Funzionava come sala riunioni dell’assemblea dell’ejido e delle sue autorità. 23 anni fa fu occupato dalla polizia municipale (Protezione Civile), la stessa che ancora oggi lo gestisce come immobile proprio, essendo che storicamente e legalmente appartiene all’ejido, spiega il centro Pro.

Il 14 novembre 2001, un tribunale collegiale riconobbe all’ejido un ricorso (fascicolo AR 223/2001) contro atti di diverse autorità municipali che avevano danneggiato l’antica presidenza municipale ed avevano usurpato la Sala Civica del Popolo.

“L’esproprio colpisce i valori culturali e le forme di organizzazione proprie della popolazione chol e la sua relazione con questo spazio, dato il significato che riveste la Sala Civica come valore culturale e spazio di interazione comunitaria”, si sottolinea nella denuncia del centro Pro.

Innanzitutto, queste azioni non considerano che questa superficie fa parte dell’ejido Tila e che è un territorio indigeno che non può essere coinvolto senza l’autorizzazione dell’assemblea quale massima istanza di autorità ejidale e indigena. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/21/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 16 gennaio 2014

Ejidatarios di Tila denunciano una vasta operazione di sottrazione di terreni

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 15 gennaio. L’ejido di Tila, nella zona nord dello stato, denuncia una vasta operazione di sottrazione di terreni ejidales nella città di Tila (dove si trova una parte delle loro terre), guidata dal governo municipale e da alcuni leader di commercianti privi di diritti ejidales, e perfino non residenti in città. Gli organi di rappresentanza ejidale, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno rivolto la loro protesta alla giunta di buon governo zapatista Nueva semilla que va a producir, nel caracol cinque della Zona Nord, ed al comando dell’EZLN.

Gli ejidatarios denunciano che, con l’appoggio del governo dello stato, il presidente municipale, Limberg Gregorio Gutiérrez Góme,z ed un piccolo gruppo di venditori ambulanti dipendenti della CROC, provenienti da alcune comunità e guidati da Jesùs Gilberto Gutiérrez Pérez, vogliono sottrarre parte dell’ejido per costruire un centro commerciale senza il consenso dell’assemblea generale, violando così gli articoli 22, 23 e 43 della Legge Agraria.

Gli ejidatarios chol sottolineano: Qualunque atto che abbia per oggetto alienare, prescrivere o sequestrare queste terre sarà nullo, le nostre terre sono inalienabili, imprescrittibili ed insequestrabili. Questo presunto centro commerciale secondo loro è per dare un aspetto migliore al paese, ma è solo per i loro interessi privati e quello che vogliono è creare conflitto tra i contadini che non vogliano avere niente a che fare col malgoverno. Quello che viene dal governo non è sviluppo ma sfruttamento, schiavismo e discriminazione.

Accusano il consigliere comunale, Gutiérrez Pérez, ed altro piccolo gruppo di venditori ambulanti guidato da Vicente Ramírez Jiménez, di qualunque scontro possa sorgere. Gli ejidatarios si dichiarano proprietari delle terre; solo loro possono deciderne l’uso nell’assemblea generale degli ejidatarios. Riferiscono che il consigliere comunale ed il sindaco municipale Sandro Abel Estrada Gutiérrez, il primo ottobre scorso hanno firmato un accordo con un ridotto gruppo di commercianti, senza il consenso almeno di tutti i commercianti della zona, per effettuare lo sgombero.

Il primo gruppo di venditori, senza alcuna attribuzione legale, si è già messa contro la popolazione. Alla festa del Corpus Cristi, a maggio, erano diventati violenti quando la commissione agraria nominata dall’assemblea generale aveva distribuito gli spazi del commercio ambulante. Gli ejidatarios avvertono che non scambieranno le loro terre con opere o regalie. Ciò nonostante, il 10 dicembre, il municipio ha presentato il plastico di un’ipotesi di centro commerciale dicendo che comunità e governo avrebbero lavorato insieme. Il sindaco non rispetta mai i popolo e tanto meno le leggi e sta esercitando le sue funzioni in un territorio ejidale senza averne la competenza.

Aggiungono che hanno vinto una causa (fascicoli 259/1982 e 723/2000), ma i filogovernativi continuano a derubare l’ejido senza essere portati in giudizio, perché quelli che applicano la giustizia sono gli stessi corrotti che appoggiano il migliore offerente. Il governo di qualunque livello, deve rispettare le nostre forme di vita, proteggere i diritti e consultarci ogni volta che sia necessario sulla destinazione d’uso delle nostre terre. Siamo orami stanchi che non succeda niente e che questi non vengano processati. I commercianti che hanno firmato gli accordi non sono ejidatarios, ed anche se lo fossero, tutto deve avvenire dietro accordo dell’assemblea generale che è la massima autorità.

Gli indigeni si dichiarano in allerta massima. Dicono che difenderanno le loro terre ad ogni costo; se toccano una parte dell’ejido, toccano tutti gli ejidatarios. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/16/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 15 gennaio 2014

Autorità del Chiapas indifferenti all’esilio di centinaia di ejidatarios di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las casas, Chis., 13 gennaio. Il punto più critico del presunto conflitto nell’ejido Puebla, municipio di Chenalhó, è l’accusa del commissario ejidale, Agustín Cruz Gómez, contro due ejidatarios basi di appoggio zapatiste, di aver avvelenato l’acqua della comunità il 20 luglio scorso. L’ente sanitario dello stato svolse le analisi delle acque e non riscontrò alcuna presenza di veleni. Tuttavia, i risultati delle analisi non sono mai stati resi pubblici. Questa omissione potrebbe essere stata determinante per il successivo sgombero forzato degli indigeni, accusati infondatamente e, come si vedrà, in mala fede.

Non sono stati neppure diffusi i risultati delle analisi a dimostrazione dell’acqua avvelenata, a parte aver mostrato un liquido coloro caffè, realizzate dalla Procura Generale della Repubblica in Quintana Roo.

Il 12 settembre, i risultati furono inviati al titolare della Direzione Generale Perizie della Procura Generale di Giustizia del Chiapas, César Enrique Pulido Guillén.

Le analisi erano negative per qualsiasi sostanza tossica. Il liquido scuro era semplicemente veleno per topi nel suo contenitore commerciale, cosa che non provava niente.

Cinque mesi di esilio

In assenza della smentita ufficiale, nella comunità la voce causò panico e collera, ed aprì la strada allo sgombero violento, un mese dopo, di più di cento indigeni, membri di Pueblo Creyente e Las Abejas, e di basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e di famiglie di religione battista. Da agosto queste famiglie tzotzil vivono da profughi nell’accampamento di Acteal ed in altre comunità.

Mariano Méndez Méndez e Luciano Méndez Hernández furono accusati di aver avvelenato l’acqua della comunità. La polizia li fermò ma dovette liberarli per mancanza di prove. Quando gli ispettori sanitari vollero esaminare la cisterna presunta inquinata, questa era vuota e la parte accusatrice impedì i controlli.

Ciò nonostante, decine di indigeni furono portati all’Ospedale di San Cristóbal de las Casas. Alcuni presentavano sintomi intestinali; la maggioranza per esercitare pressione. La Jornada è in possesso di copia delle cartelle cliniche dei presunti avvelenati visitati dal personale medico. Le cartelle concordano: Non ci sono segni di avvelenamento, benché alcuni pazienti presentavano patologie infettive di altra origine. Niente di tutto questo è stato reso noto.

Non importa che il delegato regionale della Sanità, Ulises Córdova, avesse negato l’esistenza di casi di intossicazione d’acqua in tutta la zona; la comunità era segnata e le autorità governative non fecero niente per disattivare la falsa accusa.

Le conseguenze sono state gravi. Gli accusati erano stati trascinati per strada da Germán Gutiérrez Arias e le autorità comunitarie, con le mani ed il collo legati ad un bastone, con la minaccia di essere cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Tra gli aggressori c’erano: Nicolás Santiz Arias e Agustín Méndez López, ausiliari municipali, oltre a Calixto e Benjamín Cruz Gómez, figli del commissario ejidale che guida le aggressioni contro il gruppo cattolico della comunità fin dalla scarcerazione di Jacinto Arias Cruz, ex sindaco di Chenalhó condannato per il massacro di Acteal ed originario dell’ejido, che una volta libero è tornato a far visita ai suoi correligionari in aprile. Le aggressioni sono poi cominciate a maggio.

Invece di indagare sugli autori delle numerose aggressioni (comprese quelle rivolte al parroco di Chenalhó, a funzionari e difensori dei diritti umani), cioè i responsabili della situazione precaria delle famiglie esiliate, il governo li considera suoi unici interlocutori e li premia perfino.

Nel frattempo, gli sfollati che vogliono andare a racciogliere il loro caffè, vengono accusati dal governo statale di essere radicali e di “violare gli accordi”. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/14/politica/017n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 12 gennaio 2014

Il governo del Chiapas disapprova la decisione dei tzotzil di tornare all’ejido Puebla

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 11 gennaio. L’annuncio dei tzotzil dell’ejido Puebla, sfollati ad Ateal (Chenalhó), che venerdì prossimo andranno per 10 giorni a raccogliere il caffè nelle terre dalle quali sono stati espulsi ad agosto, non è piaciuto al governo del Chiapas.

Da parte sua, il gruppo priista della comunità, guidato da Agustín Cruz Gómez, ha dichiarato che non permetterà l’ingresso ad organizzazioni civili che non provengano dal municipio stesso, ed è un veto implicito ai difensori dei diritti umani, ai gruppi cattolici della diocesi sancristobalense ed agli osservatori solidali. Il presidente municipale ha confermato il provvedimento di fronte ai suoi 58 agenti rurali.

Questo aumenta i rischi che potrebbero correre i profughi, quasi tutti membri di Las Abejas, che non smettono di proclamare il loro atteggiamento pacifico, ma anche le loro richieste di giustizia e risarcimento dei danni derivati dalle azioni violente contro cattolici e battisti da parte degli evangelici e rappresentanti ejidali.

Il segretario di Governo, Eduardo Ramírez Aguilar, ha dichiarato a Tuxtla Gutiérrez che la decisione di ritornare inasprisce il clima, disapprova l’atteggiamento radicale degli sfollati (un centinaio di persone, la metà minorenni, costretti ad abbandonare le proprie case per salvarsi la vita) ed mostrato chiaramente di intendersi con gli aggressori filogovernativi della comunità e del municipio. Disapprovando questo tipo di azioni, sostiene che l’accordo tra il governo e l’ejido di Puebla (il cui commissario ejidale è il leader degli aggressori, notoriamente legato ai paramilitari della regione) è che tutto debba avvenire in un clima di tranquillità e discrezione. Quindi, che improvvisamente ci sia un intervento di organismi non governativi gli sembra sospetto. Secondo Ramírez Aguilar, lungi da abbonare la pace e la concordia, ad alterare il clima sarebbe l’atteggiamento radicale degli sfollati (Expreso, 10 gennaio).

Ed aggiunge: Ci sono personaggi esterni agli sfollati che per loro convenienza vogliono mantenere nell’agenda mediatica questa questione. Ciò nonostante, la segreteria vigilerà su quello che faranno le famiglie che stanno violando in maniera unilaterale l’accordo siglato con le autorità dell’ejido Puebla.

Con una tale approssimazione del governo chiapaneco al conflitto (iniziato con l’esproprio violento di una proprietà usata da 40 anni dai cattolici per il suo culto), non stupisce che i furti e i saccheggi nelle proprietà delle famiglie sfollate siano avvenuti alla luce del sole e in presenza della polizia statale che controlla il villaggio.

Le testimonianze delle vittime e della squadra parrocchiale di Chenalhó sottolineano la generalizzata disposizione alla violenza dei giovani nell’ejido. Nelle riunioni del coordinatore delle Organizzazioni della Società Civile della Segreteria di Governo, Francisco Yáñez Centeno, e del segretario statale Ramírez Aguilar o i suoi rappresentanti, con gli aggressori e gli sfollati, i primi hanno minimizzato la situazione.

Sono solo ragazzi fuori controllo, dicono. E davanti all’insistenza, il governo ha accettato di impartire corsi di pace per quei giovani visti in azione lo scorso 20 agosto, quando in decine, armati di pietre ed insolenti, hanno impedito il tentativo di ritorno delle famiglie fuggite dalla violenza giorni prima. Gli sfollati denunciano che Javier Cruz López li aveva organizzati per distruggere la chiesa già costruita, e che tra loro è frequente il consumo di alcool e droghe. Il commissario ejidale, Cruz Gómez, si era congratulato con loro per averi mpedito il ritorno.

Rafael Landerreche, da molti anni attivo in ambito sociale nella regione, sostiene: Le autorità devono controllare questi ragazzi, ma non lo fanno. Lo possono fare, ma non vogliono. Secondo il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, Víctor Hugo López, né i rappresentanti del governo, né il delegato per il Dialogo coi Popoli Indigeni, Jaime Martínez Veloz, sono disposti ad essere presenti in occasione del ritorno, ma sostengono che le condizioni ci sono e non sussistono problemi.

Si è saputo che Cruz Gómez aveva cercato il supporto degli agenti rurali del municipio per impedire il passaggio degli sfollati, ma questi non hanno accettato perché non ritengono giusto quanto accaduto.

Il governo statale ha consegnato, o promesso, borse di studio, progetti produttivi, tetti di lamiera, attrezzi, denaro, opere pubbliche e posti di lavoro agli ejidatarios, principalmente al gruppo di Cruz Gómez. Invece di indagare e punirli, li premia. I rappresentanti governativi pensano di risolvere tutto così, che il problema non è religioso né politico, e che non esistono i paramilitari. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/12/politica/013n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada- Sabato 11 gennaio 2014

Frayba: Lo Stato assente di fronte alla crisi degli sfollati di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 10 gennaio. A quattro mesi e mezzo da quando 98 persone sono state sfollate forzatamente dall’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), che ha accompagnato gli indigeni in questo doloroso percorso, testimonia le reiterate omissioni delle autorità statali e federali per risolvere un conflitto la cui gravità avverte che potrebbero ripetersi fatti irreparabili, come già è accaduto negli Altos del Chiapas.

A causa delle omissioni governative, il caso è in esame presso la Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Ed ora, senza garanzie che salvaguardino la loro integrità fisica, le famiglie sfollate raccoglieranno il proprio caffè.

L’organizzazione riferisce che dopo innumerevoli riunioni con rappresentanti dei governi statale e federale, rileviamo che lo sfollamento forzato porta con sé molteplici violazioni dei diritti umani, ma il caso è stato sottovalutato dalle autorità. Queste propongono interventi amministrativi senza rispondere a istanze minime di giustizia né dare chiari segnali di voler risolvere un conflitto nel quale lo Stato mostra tutta la sua inefficienza e complicità.

Da parte sua, Agustín Gutiérrez, dirigente di Las Abejas di Acteal, sostiene che le autorità alimentano l’impunità e non applicano la giustizia. I governi non favoriscono la vita nella dignità, preferiscono distruggerci, lasciarci senza terre. Denuncia che si continua a premiare i paramilitari scarcerati con terre, beni, soldi. Agli aggressori dell’ejido di Puebla hanno consegnato attrezzature complete e denaro attraverso i progetti, promettono loro opere pubbliche. Vige la forza dei paramilitari.

Il Frayba constata che le richieste minime al governo dello stato, presentate dagli sfollati, di assicurare le condizioni per il ritorno nella loro comunità, non sono state soddisfatte. Tra queste, la restituzione della proprietà sottratta loro dal gruppo priista guidato dal pastore evangelico Agustín Cruz Gómez, noto membro del gruppo paramilitare che organizzò e perpetrò il massacro di Acteal nel 1997, e della cui appartenenza, secondo testimonianze degli abitanti di Puebla raccolti da La Jornada, si vanta ora davanti ai giovani dell’ejido, a riprova che non succede niente, cioè, che l’impunità è garantita.

Non è stato neppure chiarito pubblicamente il caso delle false voci fatte circolare riguardo l’avvelenamento dell’acqua potabile dell’ejido, né dei provvedimenti presi per riparare il danno causato dai malintenzionati, né i risultati delle tre indagini della Procura di Giustizia Indigena della Procura Generale di Giustizia dello Stato.

In diverse occasioni, segnala il Frayba, Francisco José Yañez Centeno, capo dell’Unità per l’Assistenza alle Organizzazioni Sociali della Segreteria di Governo, ed Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, segretario di Governo del Chiapas, hanno proposto misure economiche, materiali e di apparente riconciliazione e progetti di sviluppo a beneficio degli abitanti dell’ejido, includendo i colpevoli di fatti criminali, in cambio di dimenticare fatti inerenti le indagini, impunità per gli aggressori e firma di accordi privi di sostentamento e senza garanzie di non reiterazione.

Scaduti ormai i termini entro i quali le autorità si erano impegnate a trovare una soluzione, l’organizzazione civile ha annunciato che accompagnerà le famiglie sfollate, rifugiate ad Acteal dall’agosto scorso, in una difficile decisione: tornare nelle loro terre coltivate per raccogliere il loro caffè. Organizzazioni nazionali ed internazionali dei diritti umani accompagneranno la giornata di lavoro dei profughi, dal 17 al 27 gennaio. Queste sottolineano la responsabilità dello Stato per eventuali gravi situazioni o eventi possano accadere.

Il Frayba ribadisce che il conflitto evidenzia i risultati ed costi dell’impunità con la quale le autorità continuano a proteggere attori locali che polarizzano le comunità indigene nel loro tentativo di smantellare il tessuto comunitario che favorisce proposte organizzative, come l’autonomia, in risposta alla crisi di governabilità dello Stato messicano. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/11/politica/011n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Comandanta Ramona

Posted on 06/01/2014 by

Era il 6 gennaio di 8 anni fa. Era l’anno dell’ “Altra Campagna” e del Delegato Zero a.k.a. Subcomandante Marcos in giro per il Messico con la moto, era l’anno delle elezioni che avrebbero decretato come presidente messicano Calderon, presidente eletto con broglio palese nei confronti del candidato del PRD Andre Manuel Lopez Obrador, era l’anno della mattanza e atto repressivo di Atenco del 4 e 5 maggio.

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Sara’ l’anno di tante cose, per molti in Italia sara’ solo l’anno della vittoria del mondiale di calcio per la nazionale Italiana,  ma 8 anni, il 6 gennaio del 2006 e’ l’anno in cui il SupMarcos e’ stato obbligato a dire queste parole : ”Les quiero pedir respetuosamente de favor que no me interrumpan hasta que termine. Esta cosa que estamos haciendo de la otra campaña es para que se escuche la voz de todos. Por eso es importante que todos tengamos paciencia y escuchemos la voz de todos. En mi trabajo como vocero del EZLN hay momentos muy duros, como esto que les voy a decir ahorita. Me acaban de avisar que la compañera comandanta Ramona murió hoy en la mañana. Lo que sabemos es lo que todos saben. La comandanta Ramona le arrancó 10 años a la muerte. Gracias al apoyo de gente como ustedes pudimos operarla y tener un trasplante de riñón. Hoy en la mañana empezó con vómito y con sangre y diarrea, y cuando iba para San Cristóbal de las Casas murió en el camino. En este caso es muy difícil hablar, pero lo que puedo decir es que el mundo perdió una de esas mujeres que paren nuevos mundos. México perdió una de esas luchadoras que le hacen falta. Y pues a nosotros nos arrancaron un pedazo del corazón. Dentro de unos minutos se va a cerrar el caracol de Oventic, y vamos a doler la muerte de esta compañera en privado. Esperamos que los medios de comunicación respeten esto y no conviertan su muerte en un evento mediático.”

Credo non ci sia bisogno di tradurre, si capisce anche in italiano.
La comandanta Ramona muore cosi’, dopo aver lottato 10 anni contro un tumore, muore fisicamente ma lascia un’eredita’ viva e forte anche oggi.

Partiamo dal termine comandanta, non e’ un errore grammaticale e’ una modificazione della lingua che Ramona ha voluto fortemente per rompere le barriere lessicali e ideologiche che volevano, e vogliono, che le cariche di un esercito (e molte altre parole) esitano solo con genere maschile.
La piccola ma grande donna che volle La Legge Rivoluzionaria delle Donne Indigene e negli anni di preparazione al levantamiento del 1 gennaio del 1994 riusci’ a farla diventare uno dei punti focali della lotta dell’EZLN, soprattutto riusci’ a far si che non fosse vissuta come un dato di fatto ma come un obiettivo da raggiungere con il proseguo della lotta, cioe’ non parole vuote ma fatti concreti da raggiungere con i tempi necessari.

Il Sup Marcos nel 1996 la defini’ “l’arma piu’ belligerante ed intransigente dello zapatismo”. La comandata che fu la prima tra tutti gli zapatisti ad andare a Citta’ del Messico, per partecipare alla fondazione della Convention National Indigena, e parlare da un palco con tutta la sua forza degna di indigena rivoluzionaria.

In un freddo mattino di fine gennaio del 1994 nella prima intervista concessa dalla comandancia ai giornalisti dopo l’inizio della guerra Ramona era l’unica donna presente e in un fiero Tzotzil disse “Porque las mujeres también están viviendo en una situación más difícil, porque somos las más explotadas, oprimidas fuertemente todavía. ¿Por qué? Porque las mujeres desde hace tantos años, desde hace 500 años, no tienen sus derechos de hablar, de participar en una asamblea.No tienen derecho de tener educación ni hablar ante el público ni tener algún cargo en su pueblo. No. Las mujeres totalmente están oprimida y explotada”.

La storia con la s maiuscola cosi’ come gli insegnamenti non vengono quasi mai fatti da chi siede in alto o da una cattedra, vengono fatti dalla pratica giornaliera, dal coraggio, dalla voglia di mettersi in gioco, dalla forza e dalla dignita’ di chi dal basso della sua posizione sociale o dal basso della sua statura fisica rompe le barriere della consuetudine e dell’ordine imposto dai paradigmi dominanti. La comandanta Ramona era piccola  di statura, era indigena tzotzil dello stato piu’ povero del Messico,  ma e’ uno di quelle persone che ha fatto la storia e ha insegnato tanto.

Forse e’ solo un gioco del destino che sia morta il 6 gennaio e cosi’ ogni anno pochi giorni dopo la festa per un altro anno di resistenza gli zapatisti, e nel piccolo gli aderenti alla sesta internazionale e nazionale, devono ricordare questa enorme donna nell’unico modo possibile ovvero continuando a lottare e continuando ad avanzare interrogandosi su quanto e’ stato fatto dallo zapatismo e dall’EZLN prendedosi carico anche delle consegne e delle responsabilita’ che la Comandanta lascia.

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Los de Abajo

Grazie allo zapatismo…

Gloria Muñoz Ramírez

Grazie all’insurrezione zapatista di 20 anni fa, le comunità indigene che decisero di prendere un’altra strada e cercare nuove possibilità senza le vie istituzionali, sono meno povere e più libere. Questi popoli, come due decenni fa, continuano a provocare le belle coscienze, le stesse che nel 1994 li accusarono di essere stranieri, guerriglieri superati e perfino narcos. Oggi, né più né meno e senza alcun pudore, li si accusa della povertà dei popoli indio.

Delle prime accuse gli zapatisti si liberarono rapidamente. Dopo alcuni giorni non ci fu più nessuno che osasse mettere in discussione le loro cause, dopo che i ribelli aprirono i loro villaggi per mostrare non solo l’estrema povertà nella quale da sempre sopravvivevano, ma la loro dignità e l’origine dell’insurrezione armata. Oggi gli zapatisti tornano ad aprirsi, non più attraverso i mezzi di comunicazione, ma direttamente con la gente che viene da fuori, dal resto del Messico e da molti altri paesi.

Nei primi giorni di marzo del 1994, carovane di giornalisti di tutto il mondo giunsero nelle comunità ribelli. Per la prima volta molti scoprirono la povertà nel proprio paese, abituati a raccontare le gesta della modernità salinista. Molti altri arrivarono da paesi lontani a testimoniare l’inizio del Trattato di Libero Commercio, e si ritrovarono alle prese con la notizia di un’insurrezione che dava una spallata alla vetrina neoliberale e mostrava il Messico profondo.

Oggi, 20 anni dopo, non sono più migliaia di giornalisti, bensì migliaia di uomini e donne, giovani in maggioranza, quelli che vengono ad incontrarsi direttamente con questi popoli. Questi, che in questi giorni partecipano alla seconda e terza sessione della Escuelita de la Libertad según los Zapatistas, vanno in altre comunità. Non quelle che conoscemmo noi giornalisti nel 1994, ma quelle che hanno costruito in questi più di 20 anni di lavoro autonomo, perché questo processo non è cominciato nel 1994 né con le giunte di buon governo nel 2003, ma ben prima dell’insurrezione.

La comunità di La Garrucha, la prima alla quale arrivammo noi giornalisti, non è minimamente quella che conoscemmo allora. Una semplice ambulanza per trasportare i malati era impensabile a quel tempo. Oggi staziona di fronte alla clinica autonoma che copre la zona. L’educazione in questi villaggi, dove prima c’erano scuole senza maestri, è una realtà che prepara al futuro dove non c’era.

Dai primi mesi di 20 anni fa la sovraesposizione zapatista fu innovatrice. Essi spiegarono allora di aver valutato i pro e i contro dell’apertura, e decisero che la bilancia pendeva a favore di correre il rischio, di rilasciare interviste, permettere l’ingresso nell’intimità della loro organizzazione e spiegare le loro ragioni.

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

Testo originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 2 gennaio 2014

L’EZLN ha festeggiato ballando il suo 20° anniversario ed il 2014

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 1º gennaio.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) ha celebrato l’Anno Nuovo 2014 ed il ventesimo anniversario della sua insurrezione con feste nei cinque Caracol. Cioè, come piace alle comunità: ballando. In Oventic, La Garrucha, La Realidad, Roberto Barrios e Morelia, migliaia di basi di appoggio delle rispettive regioni si sono concentrate nelle sedi dei propri governi autonomi. L’aspettativa che ha suscitato il memorabile anniversario, e la semplicità con cui gli zapatisti hanno mostrato una sorta di pacata contentezza, ci consente di dire che davvero hanno di che festeggiare.

Alle feste nelle cinque circoscrizioni dei municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez) sono accorsi anche centinaia di alunni della Escuelita Zapatista, sia i promossi del corso offerto dai Votán o guide tra il 25 ed il 29 dicembre nelle comunità del territorio autonomo, sia quelli che parteciperanno ai corsi del 3 al 7 gennaio, ai quali si sono iscritte 4.500 persone in totale, provenienti da tutto il Messico e da diversi paesi (Stati Uniti, Francia, Italia, Germania, Argentina, Paesi Baschi, Canada, Brasile e Olanda, tra altri). La notte del primo giorno nelle strutture del Cideci in questa città si sono radunati più di 2.000 nuovi alunni che saranno poi trasferiti dagli stessi zapatisti nelle comunità.

I presenti alle cinque commemorazioni pubbliche sono stati d’accordo nel rilevare l’età giovane delle basi di appoggio zapatiste nei diversi caracol, ed anche della maggioranza degli alunni della Escuelita Zapatista. Quindi, 20 anni dopo il famoso ’94, mentre l’opinione pubblica si distrae aspettando l’apparizione del subcomandante Marcos o speculando sulla sua sospettosa assenza, indigeni e visitatori nati poco prima o dopo l’insurrezione si sono incontrati questo Anno Nuovo sulle montagne del sudest messicano.

Senza nessun pronunciamento dell’organizzazione ribelle, nei raduni dei popoli tzeltal, tzotzil, tojolabal e chol, iniziate il giorno 30, comandanti di ogni regione hanno presieduto la commemorazione durante la mezzanotte dell’ultimo giorno dell’anno. Il 19 dicembre scorso, il subcomandante Moisés aveva annunciato che l’anniversario sarebbe stato aperto al pubblico, ma non alla stampa. Ciò nonostante, almeno nel caracol di Oventic, negli Altos, sono entrati reporter e fotografi senza identificarsi come tali. Un’agenzia internazionale ha riferito che l’accesso per i mezzi di comunicazione è stato difficile.

Il governatore Manuel Velasco Suárez ha rilasciato dichiarazioni benevole sui ribelli dell’EZLN e le giunte di buon governo. Lungi da qualunque pretesa congiunturale, ha detto di riconoscere la dinamica continua di trasformazione generata a partire dal 1994. Il Chiapas, ha detto in un comunicato stampa, deve allo zapatismo innumerevoli cambiamenti. Benché anche al suo predecessore Juan Sabines Guerrero piaceva fare dichiarazioni simili senza nessuna conseguenza pratica sulle bontà dello zapatismo, quella attuale contraddice almeno la corrente di opinione filogovernativa che ritiene l’insurrezione inutile e sostiene che le comunità indigene stanno peggio di prima della sollevazione.

Dunque gli zapatisti sono dei è pazzi. Festeggiano i 20 anni delle loro gesta quando (se si crede alle versioni in uso) dovrebbero lamentarsi. Invece, si mostrano numerosi, rinnovati e contenti, ricevono migliaia di visitatori nelle loro comunità; mostrano loro come vivono e le loro opere quotidiane, come maestri e anfitrioni. In un comunicato del passato 28 dicembre, il subcomandante Marcos segnalava: “Voi chiedete ‘Che cosa ha fatto l’EZLN per le comunità indigene?’ E noi rispondiamo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne”. http://www.jornada.unam.mx/2014/01/02/politica/007n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PAROLE E STORIE PER RISCOPRIRE L’EZLN

PRIMA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

DI COSA CI DEVONO PERDONARE?

PRESENTAZIONE DI DON DURITO DE LA LACANDONA

LA STORIA DEL VECCHIO ANTONIO E IL LEONE

LA STORIA DELLA SPADA E DELL’ACQUA

SETTE PEZZI DEL ROMPICAPO MONDIALE

“LE OFFESE CHE CI CONVOCANO NON SONO NUOVE” EZLN A NURIO, MICHOACAN

LA MARCIA DEL COLORE DELLA TERRA: L’EZLN NELLO ZOCALO DI CITTA’ DEL MESSICO

“SONO INDIGENA E SONO DONNA, ED E’ SOLO QUESTO CHE IMPORTA”: COMANDANTA ESTHER IN PARLAMENTO

IL RIVOLUZIONARIO ED IL RIBELLE DI FRONTE ALLA POLTRONA DEL POTERE

LA MORTE DEGLI AGUASCALIENTE E LA SINDROME DI CENERENTOLA

LA TREDICESIMA STELE: LA NASCITA DEI CARACOL E DELLE GIUNTE DI BUON GOVERNO

SESTA DICHIARAZIONE DELLA SELVA LACANDONA

A DICEMBRE 2012 L’EZLN ANNUNCIA I PROSSIMI PASSI

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20 (30) anni di zapatismo. Riflessioni e critiche sulla lunga lotta per la democrazia

Gianni Proiettis – 1 gennaio 2014

La sfortuna del Messico si è aggravata negli ultimi anni. La presidenza di Felipe Calderón (2006-2012), con la sua ostinata e fallimentare guerra al narcotraffico, ha insanguinato il paese con decine di migliaia di morti, consegnando gran parte del territorio e dei tre livelli di governo – federale, statale e municipale – al controllo dei cartelli della droga.

Il primo anno di governo di Enrique Peña Nieto, che con elezioni comprate ha restaurato la presidenza imperiale del PRI (il Partito Rivoluzionario Istituzionale che ha dominato lo Stato tra il 1929 e il 2000), invece di combattere la violenza e garantire la governabilità, come aveva promesso, è stato impegnato a privatizzare il petrolio, un tabù nella coscienza dei messicani fin dalla sua nazionalizzazione nel 1938 voluta dal presidente Lázaro Cárdenas con l’appoggio popolare. Peña Nieto, legando in un patto politico gli altri due grandi partiti (PAN, Partito di Azione Nazionale, della destra clericale, ed il PRD, Partito della Rivoluzione Democratica, ex centro-sinistra), è riuscito ad imporre alcune riforme fiscali e della scuola di stampo ultraliberista, addomesticando così l’opposizione.

L’opinionista Luis Hernández Navarro scrive: “Tra le élite messicane soffiano venti simili a quelli di vent’anni fa. Come oggi succede ad Enrique Peña Nieto, allora Carlos Salinas de Gortari si sentiva invincibile. Il suo progetto di riformare il Messico in maniera autoritaria e verticale avanzava senza grandi ostacoli e veniva presentato come il superamento di miti e atavismi storici. Aveva posto le fondamenta del potere transessennale. I suoi indici di gradimento presso l’opinione pubblica erano alle stelle”.

Quando vent’anni fa, all’alba del Nuovo Anno 1994, sei città del Chiapas, tra le quali la città coloniale e turistica di San Cristóbal de Las Casas, si svegliarono occupate dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il mondo intero fu scosso dalla notizia.

Ma quell’avvenimento, che sembrava uscito dalla penna di un maestro del realismo magico, oscurava un fatto non meno sorprendente: un esercito donchisciottesco di indios armati di machete, vecchie carabine 30-30 della Rivoluzione e fucili di legno – che, nelle parole dello scrittore Carlos Fuentes, “fecero centro nel cuore della nazione” – era riuscito ad organizzarsi e crescere nel più assoluto segreto, niente meno che per un decennio, nelle profondità della Selva Lacandona. L’atto di nascita dell’EZLN porta la data del 17 novembre 1983.

Mentre la clandestinità dei suoi militanti è una condizione abituale tra le formazioni guerrigliere, non è usuale incontrare guerriglie assolutamente segrete e sconosciute perfino nel nome. Quella fu la prima di una serie di sorprese.

Era dal 1840, quando in un prezioso libro di viaggi alla moda ottocentesca, Incidenti di Viaggio in America Centrale, Chiapas e Yucatan, John L. Stephens e Frederick Catherwood descrissero ed illustrarono la regione maya del sudest del Messico, che il nome Chiapas non risuonava nelle orecchie dell’Occidente. All’alba del 1994 gli zapatisti – non utilizzo il termine “neozapatisti” perché implica una frattura mai avvenuta: Emiliano Zapata non ha mai smesso di cavalcare nella coscienza dei messicani – mostrarono al mondo molte cose che erano rimaste invisibili, intrappolate tra le pieghe della storia.

Per esempio, che la Rivoluzione del 1910 non era mai passata per il Chiapas, poiché l’oligarchia gattopardesca dei proprietari terrieri da sempre aveva scelto di stare dalla parte dei vincitori. Che più di un milione di indios maya, ormai alla fine del XX° secolo , continuava a sopravvivere in condizioni di estrema miseria, emarginazione e sfruttamento, simili a quelle descritte nei romanzi di Rosario Castellanos e B. Traven. Che la firma del Trattato di Libero Commercio con Canada e Stati Uniti, col quale Salinas de Gortari voleva portare il Messico nel primo mondo, aveva spinto centinaia di comunità indigene ad intraprendere la strada di una guerra “disperata ma necessaria”- come l’ha definì il Subcomandante Marcos – precipitando così in una crisi di dimensioni storiche.

Pochi sono riusciti a descrivere questa frattura sociale, paragonabile per profondità solo al trauma della Conquista, come Ana Esther Ceceña:

“Il 1º gennaio 1994 è il giorno in cui il terzo millennio irrompe in Messico. Speranze e disperazioni si annunciano nel confronto tra due distinti orizzonti di civiltà: quello della costruzione dell’umanità e quello del neoliberismo. Il soggetto rivoluzionario, il portatore della resistenza quotidiana e silenziosa che si rende visibile nel 1994, è molto diverso da quello tracciato dalle teorie politiche dominanti. Il suo posto non è la fabbrica ma le profondità sociali. Il suo nome non è proletariato ma essere umano, il suo carattere non è quello di sfruttato ma di escluso. Il suo linguaggio è metaforico, la sua condizione indigena, la sua convinzione democratica, il suo essere, collettivo”.

A livello politico e ideologico, ma anche a livello personale, lo zapatismo ha fatto venire il mal di testa a molti. In particolare tra gli “orfani” del 1989. Fin dal primo momento si è rivelato una nuova, grandiosa utopia, degna di esistere almeno come fermento della coscienza umana. L’ultimo, grande umanesimo includente che si attrezza per sfuggire alla voragine dall’annichilimento, verso cui lo sospinge la locomotiva liberista. Una legione di lillipuziani che reclamano il diritto di esistere. Il primo esercito di liberazione che non lotta per la presa del potere, ma “si accontenta” di instaurare la democrazia. Che non si proclama avanguardia ma compagno della società civile. L’unico esercito che aspira a deporre le armi ed i passamontagna sperando che non siano mai più necessari.

Il cortocircuito amoroso tra gli zapatisti del Chiapas ed i democratici di tutto il mondo è stato folgorante ed universale. Non trovo esempio migliore per spiegare il neologismo “glocale” che quello degli zapatisti: un fenomeno completamente locale, generato dalle condizioni specifiche di un territorio e di una situazione, che attira l’attenzione del villaggio globale – e contribuisce al fronte antagonista – per molto tempo. E che sfrutta le nuove tecnologie.

In Internet rimbalzano le parole d’ordine di una nuova utopia che, a differenza di quella di Thomas More, trova rapidamente posto nella coscienza collettiva: “comandare obbedendo”, “un mondo dove stanno molti mondi”, “camminare domandando”. Lo zapatismo infiamma gli animi dei giovani rivoluzionari che vedono un nuovo Che nel sub Marcos, e stupisce i vecchi rivoluzionari che osservano come una bestia rara “un movimento armato che non ha come riferimento lo Stato ma la società.”

Lungi dal rappresentare una sorta di teologia della liberazione rifritta e condita con i residui ideologici delle guerriglie latinoamericane sconfitte – secondo la prima, spietata definizione di Octavio Paz, che poi ha rivisto la sua posizione – lo zapatismo ha dimostrato una capacità di adattamento al cambiamento delle circostanze che molte organizzazioni politiche vorrebbero avere. È una risorsa preziosa, affine al miglior situazionismo del 1968 – quello della “immaginazione al potere” – inscritto nel suo codice fin dalla nascita, quando un piccolo gruppo di guerriglieri scombinati – già abbastanza démodés per gli anni Ottanta – decide di acculturarsi alle fonti del sapere autoctono, apprende il funzionamento della democrazia comunitaria, basata sulla ricerca del consenso più che sull’imposizione della maggioranza, ed acquisisce una nuova visione, dove l’uomo non è più un mezzo ma il fine e la terra non una proprietà ma la madre.

È così che nascono i principi zapatisti di “comandare obbedendo” e di “tutto per tutti, niente per noi”. Mentre gli undici diritti rivendicati dalla loro lotta – lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, educazione, autonomia, libertà, democrazia, giustizia e pace – non sono mai ammainati, le strategie per conquistarli subiscono varie rettifiche. L’EZLN ha dato prova di un grande istinto di sopravvivenza – l’alternativa sarebbe stata un’autoimmolazione testimoniale – e cessò il fuoco offensivo contro l’esercito federale dopo dodici giorni di combattimenti, rispettando un esplicito mandato della società civile che, il 12 gennaio 1994, inondò le strade di Città del Messico e di molte altre città per fermare il conflitto.

In questi vent’anni, gli zapatisti hanno realizzato due consultazioni, mobilitando più elettori delle consultazioni governative. In entrambi i casi, la società civile che simpatizza con gli zapatisti, ha spinto per la loro entrata nell’arena politica, cosa che hanno fatto solo parzialmente, restando un esercito.

La mancanza di conformità al mandato popolare non si deve tanto alla cattiva volontà dell’EZLN, quanto a vari fattori convergenti. Sebbene, dopo la prima consultazione dell’agosto 1995, gli zapatisti si fossero dichiarati favorevoli alla “costruzione di una forza politica non di partito, indipendente e pacifica”, il governo – e con gli ultimi cinque presidenti concordi – non ha mai permesso loro di deporre le armi attraverso una doppia politica di dialogo e accordi da una parte, e di costante militarizzazione del Chiapas – con tutte le piaghe che questa implica – dall’altra.

Nella primavera del 1995, mentre il Congresso votava una legge di concordia e pacificazione che riconosceva agli zapatisti impunità e diritto di esistenza, il presidente Zedillo li faceva sedere al tavolo del dialogo di San Andrés, che si concluse nel 1996 con la firma degli accordi mai rispettati dal governo.

Durante tutto il periodo del dialogo di San Andrés, che rappresentò un momento di incontro e collaborazione tra indios ribelli e intellighenzia progressista, che stabiliva una saldatura inedita nella storia del Messico, il governo occupò militarmente il Chiapas, scomponendo il suo tessuto sociale, formò e protesse gruppi paramilitari lanciandoli a massacri tristemente celebri come quello di Acteal, seminando il terrore e provocando decine di migliaia di sfollati, rifugiati interni abbandonati alla carità internazionale.

Se hanno dovuto resistere agli assalti di un’economia di guerra – basti solo pensare allo sconvolgimento del ciclo agricolo provocato dalla militarizzazione della Selva Lacandona e ad altre conseguenze devastanti come la prostituzione, le malattie, l’alcolismo, l’inquinamento, la nascita di lavori umilianti e malpagati, la divisione nelle comunità, etc. – gli zapatisti, d’altra parte, hanno potuto contare in questi due decenni sulla solidarietà concreta della società civile nazionale e internazionale e con un continuo, prezioso scambio di esperienze.

A partire dal 1995, quando il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, fondato dal vescovo Samuel Ruiz Garcia, e poi la ONG Enlace Civil cominciarono ad organizzare accampamenti di osservatori internazionali nella zona di conflitto, decine di migliaia di giovani di tutto il mondo si sono alternati nelle comunità zapatiste della Selva Lacandona. Alcuni portavano il frutto di collette di quartiere, altri il mero lavoro manuale, tutti condividevano un periodo, breve ma intenso, di immersione nella vita delle comunità. Un doppio apprendistato, un arricchimento mutuo, che è servito tanto agli zapatisti come una finestra sul mondo, quanto agli internazionali, come un’esperienza utile e positiva. Ed ha aiutato a contenere la guerra sporca dell’esercito federale al prezzo, accettabile, di alcune decine di espulsioni.

Secondo stime locali, la presenza più significativa di stranieri in tutti questi anni è stata quella degli italiani, seguiti – in ordine approssimativo di importanza – da spagnoli, baschi, statunitensi, francesi, norvegesi, tedeschi, svizzeri, canadesi, giapponesi, argentini, brasiliani, portoghesi ed un lungo eccetera. Molti di loro hanno partecipato a progetti di cooperazione che vanno dall’educazione alla salute, alla commercializzazione di caffè ed artigianato, all’alimentazione ed agricoltura biologica, fino all’installazione di stazioni radio in FM.

Il fatto che gli zapatisti non abbiano ancora potuto deporre le armi, arroccati nell’autodifesa e la protezione delle comunità, non ha impedito i tentativi, fino ad ora falliti, di costruire un “braccio civile”. Del Fronte Zapatista, creato nel gennaio del 1996, la cosa migliore che si possa dire è che non ha soddisfatto le aspettative. Se la speranza dell’EZLN era di dotarsi di un futuro braccio politico, questa speranza è andata delusa.

Molto più di successo si è rivelata la pratica dell’autonomia, il processo di autogoverno e gestione del territorio delle comunità zapatiste. Dopo l’infame tradimento istituzionale nel 2011, quando i tre poteri dell’Unione hanno eretto un muro al riconoscimento storico dei popoli originari, beffando con una legge-truffa l’entusiasmo popolare che aveva accompagnato la grande marcia nella capitale – “la marcia del colore della terra” del marzo del 2001, la più importante manifestazione antirazzista nella storia del Messico, secondo Carlos Monsivais – gli zapatisti hanno optato per la pratica dell’autonomia senza chiedere permesso a nessuno e l’hanno formalizzata nell’agosto del 2003 con la nascita dei Caracol, veri organismi di autogoverno regionale.

Simbolo del procedere lento ma sicuro dei gasteropodi, rappresentazione della spirale della vita e del processo di uscita/entrata dell’informazione, i Caracol sono le sedi delle cinque Giunte di Buon Governo, che coordinano l’amministrazione dei municipi autonomi zapatisti. È alle Giunte che devono rivolgersi, da un decennio, tutte le organizzazioni che vogliono presentare nuovi progetti di cooperazione. Sono queste che orientano la società civile in quanto alle priorità.

Le Giunte di Buon Governo rappresentano un passo avanti nell’esercizio dell’autonomia che gli zapatisti non hanno mai smesso di praticare, confermando che la loro vera sfera d’azione è sociale e politica più che militare, e si fonda sull’organizzazione autonoma delle comunità.

All’EZLN non ci sono molte critiche costruttive da fare. I pochi errori commessi nei suoi vent’anni di vita pubblica – come la sfortunata polemica tra Marcos ed il giudice Garzón – sono stati corretti brillantemente. Il lungo silenzio adottato in più di un’occasione di fronte alla verbosità del potere, ha espresso dignità – un valore che gli zapatisti hanno rivissuto a costo di grandi sacrifici – ma si è rivelato controproducente sul piano politico, dove ogni spazio lasciato libero è occupato da altri.

Le attuali posizioni del massimo stratega zapatista, che attacca frontalmente ad ogni occasione il candidato “dei poveri” Andrés Manuel López Obrador, per due volte spogliato della presidenza con la frode, hanno prodotto un certo sconcerto e malessere nella sinistra che si sente scossa da posizioni tanto radicali.

“È la vecchia storia della sinistra che si fa male da sola, dividendosi senza necessità”, afferma la scrittrice Elena Poniatowska, che, sebbene zapatista “de hueso colorado”, appoggia la candidatura di López Obrador e collabora con lui in ambito culturale. “Anche se tentano di squalificarlo come populista, Obrador è un uomo onesto e ben intenzionato”, sostiene la scrittrice, “una vera rarità nella politica messicana”. Attualmente Amlo, come è conosciuto Andrés Manuel López Obrador, si sta riprendendo da un recente infarto e sta per vedere riconosciuto legalmente il suo nuovo partito, il Morena (Movimento di Rigenerazione Nazionale).

Ci sono altre critiche – tutte costruttive – da fare al leggendario subcomandante. La sua politica di alleanze non sempre è stata fortunata, portandolo a relazionarsi con “amici” opportunisti e a lasciare da parte molti alleati di valore non considerandoli politicamente importanti. Non hanno suscitato grandi applausi nemmeno la mancanza di riconoscimento di Evo Morales, che rappresenta in ogni caso un grande avanzamento per il movimento indigeno continentale, né gli attacchi all’opportunista Partito della Rivoluzione Democratica, nominalmente di centro-sinistra ma troppo intelligente per accordarsi col potere. Etichettare il PRD come “un partito di assassini”, senza distinguere i leader dalle basi, a molti è sembrato eccessivo.

Tuttavia, le iniziative sorprendenti, come sono state recentemente le “escuelitas zapatistas” – un tentativo di socializzare l’esperienza dello zapatismo chiapaneco – oltre a rilanciare l’immagine di un leader carismatico come il sub Marcos, che inoltre è un ottimo stratega, una notevole penna ed un vero ponte tra due mondi, hanno fatto riprendere quota ai ribelli col passamontagna. Fino a riservare loro un posto particolare nel movimento “antiglobalizzazione” che dopo le manifestazioni di Cancún nel 2003 ha iniziato a chiamarsi altromondista.

Agli zapatisti, che si simpatizzi o no con loro, non possono essere negati molti meriti. Hanno imposto al paese il rispetto dell’emancipazione indigena. Hanno riattivato il diritto di ribellarsi in un paese che, nonostante le sue origini rivoluzionarie, l’aveva sospeso dal 1968, utilizzando la guerra sporca ed il massacro di Stato. Hanno inviato – e continuano ad inviare – al mondo un messaggio di dignità, forza, rispetto, creatività e altruismo. Hanno rivendicato la presenza dell’etica nella politica. Per la prima volta, hanno fatto risuonare le lingue indigene del Messico all’interno del Congresso federale. Hanno combattuto contro tradizioni retrograde e promulgato una legge delle donne rivoluzionaria. Hanno contribuito alla formazione del Congresso Nazionale Indigeno, massima istanza rappresentativa dei 56 popoli autoctoni del Messico. La loro resistenza ha ispirato tutto il movimento indoamericano, una forza crescente a livello continentale.

Gli zapatisti hanno anche ravvivato l’interesse mondiale verso la cultura maya, divulgando in un linguaggio antico, nuove certezze rivoluzionarie. Hanno suscitato un’onda permanente di solidarietà internazionale come non si vedeva dalla guerra di Spagna. Hanno ispirato analisi, canzoni, siti web, tesi di laurea, formazione di collettivi e centri sociali, libri, articoli, trasmissioni radio e documentari, proposte di legge, festival di appoggio, iniziative di gemellaggio, progetti di sviluppo e manifestazioni di solidarietà in tutto il mondo. Sono stati gli invisibili compagni di strada in tutte le manifestazioni antagoniste da Seattle in poi. Ci ricordano che i principi di libertà, uguaglianza e fraternità, inseparabili dal diritto alla felicità, non sono ancora stati compiuti da nessuna rivoluzione. Che un altro mondo è possibile, necessario, urgente.

 

*Gianni Proiettis, corrispondente del quotidiano italiano Il Manifesto, è stato sequestrato e deportato dal Messico nel 2011 dal governo di Felipe Calderón.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La lotta continua.

 

La Jornada – Martedì 31 dicembre 2013

 

I combattimenti durarono 12 giorni; la lotta continua

 

A 20 anni dall’insurrezione in Chiapas, gli zapatisti resistono e si reinventano

 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 30 dicembre.

 

Contrariamente a quanto si continua a dire, e difficilmente confrontabile con la realtà, le comunità autonome zapatiste, senza aiuti governativi (al contrario, il governo messicano risponde alle domande originali di questi popoli con una sostenuta guerra di bassa intensità e logoramento), sono riusciti a realizzare un processo di autogoverno, nel quale sono state fondate decine di nuovi insediamenti sulle terre recuperate dopo la sollevazione del 1994. Questi, sommati agli oltre mille villaggi che formano i municipi autonomi ribelli, danno come saldo non più povertà ed emarginazione, come vorrebbero le cassandre del potere, ma regioni organizzate con sistemi propri ed efficienti di educazione, salute collettiva essenzialmente di prevenzione, produzione agricola per l’autosufficienza, la commercializzazione indipendente di caffè, miele e artigianato. Tutto, al di fuori del consumismo indotto, della dipendenza economica e del controllo politico che implicano, in Chiapas, i piani governativi.

 

Dopo il 1994 lo stato ha sperimentato una virtuale riforma agraria, con l’appropriazione di migliaia di ettari di quello che furono fattorie e proprietà che oggi sono nelle mani dei popoli maya dell’entità. Si parla di 700 mila ettari occupati da indigeni; la maggior parte, in realtà, andarono a beneficio di chi non si era nemmeno ribellato. L’influenza della ribellione zapatista ha raggiunto e portato benefici anche a quelli che si tengono ai margini del governo ed in alcune occasioni sono serviti per osteggiare, aggredire e cacciare i ribelli ed i loro simpatizzanti indigeni. Benché negata sistematicamente dalle autorità, la paramilitarizzazione è un fatto costante, con implicazioni criminali ed impunità garantita.

 

In Chiapas cambiò la vita dei popoli originari

 

Si chiude il mese di dicembre. In queste ore, 20 anni fa, centinaia di comunità maya nel sudest messicano si disponevano finalmente a sollevarsi in armi contro quello che hanno sempre chiamato malgoverno, dopo di anni di preparazione per la guerra di liberazione nazionale. Le famiglie chol, tzeltal, tojolabal, tzotzil, salutavano padri, figli o fratelli miliziani. Gli insorti, molte donne, li avrebbero guidati dalla Selva Lacandona, gli Altos e Zona Nord per occupare simultaneamente diverse città all’alba di fine anno. E così all’alba ad Altamirano a distruggere l’orologio del municipio; a San Cristóbal de Las Casas, alle prime luci del giorno, i locali, i turisti ed i primi giornalisti (Amato Avendaño Figueroa, direttore del Tiempo, il primo fra tutti) andarono a vedere chi aveva occupato e svuotato il palazzo, dal suo balcone lessero, per voce del comandante Felipe notoriamente senza passamontagna, la Dichiarazione della Selva Lacandona dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e fecero conoscere le loro richieste. Il subcomandante Marcos, unico meticcio, attrasse immediatamente l’attenzione dei media. Dall’oscurità alla luce, un poco impacciati, si vide che chiunque fossero, erano preparati per quello che volevano fare. Col volto coperto, chiedevano per tutti tutto, niente per noi.

 

Ad Ocosingo, il secondo giorno li aspettava una battaglia sanguinosa e lì sarebbe caduto il maggior numero di ribelli, tra loro il comandante Hugo, rispettato dirigente tzeltal. Molti furono giustiziati dall’Esercito federale (che attaccò proveniente da Palenque) faccia a terra, con le mani legate dietro la schiena, ma la maggioranza morirono in combattimento. La strada verso le vallate fu disseminata di cadaveri di indigeni con la divisa di un esercito contadino che avrebbe ridefinito l’idea di modernità, secondo le classi dominanti. Nelle prime ore era corsa voce che non fossero messicani, che parlavano come stranieri. Devono essere del Guatemala, dissero i caxlanes sbarrandosi in casa. Quasi troppo facile sembrò la presa di Las Margaritas, dove gli insorti affrontarono la polizia; in quell’azione cadde il subcomandante Pedro, ed il mondo non lo avrebbe conosciuto. Le comunità della valle tojolabal lo recuperarono e lo piansero con tutti gli onori.

 

Salvo che ad Ocosingo, il ripiegamento degli insorti fu rapido, quasi misterioso. Lasciando Las Margaritas, i ribelli passarono per la fattoria del generale, ex governatore e proprietario terriero Absalón Castellanos Domínguez e lo fecero prigioniero. Era responsbiale di molte vite di indigene e sarebbe stato giudicato per i suoi crimini. E come ne La voragine, di José Eustasio Rivera, se li divorò la selva. O la montagna tzotzil degli Altos.

 

Le elite credevano che all’alba del 1994 il Messico starebbe entrato nel primo mondo come socio di lusso delle potenze del nord. Col chiasso dei guastafeste indigeni in un lontano angolo della patria, il paese si trovò piuttosto di fronte ad una guerra quasi inverosimile, ad un’eloquenza inedita alla quale nessuno potè essere indifferente. Il loro Ya basta! cambiava le regole del gioco. I media accorsero in massa da tutti i paesi. C’era un nuovo giocatore: i popoli indigeni del Messico. Il resto, è storia.

 

Venti anni dopo

 

Con lo stile saccente tanto caro ai neoliberisti, ora chiedono conto agli zapatisti: che cosa è stato fatto in questi 20 anni?, e tirano fuori cifre, conclusioni errate e menzogne malintenzionate. Dopo quattro lustri, cinque presidenti e otto governatori, la pace non è stata firmata e pertanto la dichiarazione di guerra è ancora in atto. Gli incontri tra i ribelli e le autorità sono stati pochi (l’ultimo risale a 18 anni fa). Gli accordi siglati a San Andrés nel 1996 furono rinnegati il giorno dopo dal governo federale che li aveva firmati, e da allora gli zapatisti vengono ignorati nei censimenti, sono trattati come oggetti nei sondaggi, e combattuti con violenza occultata e cannonate di denaro sotto il nome di programmi, i quali non comprendono mai le comunità che dopo l’insurrezione si sono dichiarate in resistenza.

 

I combattimenti di gennaio durarono 12 giorni. Centinaia di migliaia di persone (si parlò di un milione) uscirono per le strade a chiedere il cessate il fuoco. Da allora esiste una tregua tra le parti, benché ripetutamente violata dal governo (rilevante quella del 9 febbraio 1995, con l’offensiva zedillista a tradimento contro le comunità, e quella del 10 giugno 1998, con l’attacco militare al municipio autonomo San Juan de la Libertad). La guerra del governo non si è fermata un solo istante. I fronti sono molti e non necessariamente armati. Tuttavia, nell’agosto del 1994 gli zapatisti avrebbero fatto una dichiarazione inedita dicendo di essere un esercito che aspirava a non esserlo più. Nei fatti, a differenza dei movimenti insurrezionali dell’America Latina in generale, si sono imbarcati nella costruzione di un regime autonomo, autosostenibile anche se modesto, le donne rivendicano i propri diritti e non devono niente a nessuno. Hanno continuato la guerra senza sparare; hanno conquistato pace e territorio, costruito villaggi, municipi e cinque centri di governo, chiamati Caracol, dove dal 2003 funzionano le originalissime giunte di buongoverno.

 

Giunti al 2014, i popoli zapatisti continuano a reinventare, perché possono farlo. La loro resistenza è stata ardua, hanno sofferto senza piegarsi, e continuano ad albeggiare per celebrare la vita. Una guerra come nessuna, no? http://www.jornada.unam.mx/2013/12/31/politica/036n1pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

 

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 La Jornada – 31 dicembre 2013

Zapatismo: la ricchezza della dignità

Luis Hernández Navarro

Nella comunità Emiliano Zapata, nel caracol Torbellino de Nuestras Palabras, 30 famiglie zapatiste lavorano in forma collettiva. Possiedono in comune una piantagione di caffè, orti e circa 350 capi di bestiame. I suoi abitanti non ricevono aiuti governativi di nessun tipo, ma il loro livello di vita è molto meglio di quello dei villaggi priisti dei dintorni.

Nella comunità c’è un piccolo negozio comunale i cui guadagni sono destinati alle opere di cui necessita il villaggio. Lì, come in tutte le altre regioni ribelli, le risorse delle cooperative servono per finanziare opere pubbliche come scuole, ospedali, cliniche, biblioteche o condotte per l’acqua.

In tutto il territorio ribelle fiorisce un sistema autonomo di benessere basato su una riforma agraria de facto che privilegia l’uso comunitario di terre e risorse naturali, sul lavoro collettivo e sulla produzione di valori d’uso e in pratiche di commercio equo sul mercato internazionale.

Nelle zone di influenza zapatista si è sconfitta la legge di San Garabato, che impone che i contadini debbano comprare a caro prezzo le merci di cui hanno bisogno e vendere a buon mercato i loro prodotti. Succede spesso che i coyote (intermediari commerciali abusivi) siano obbligati a pagare alle basi di appoggio ribelli per i loro raccolti, bestiame ed articoli artigianali, prezzi più alti di quelli che offrono alle comunità non organizzate. Le cooperative zapatiste hanno acquisito un vero parco di autoveicoli per spostarsi e trasportare la loro produzione.

Nelle comunità ribelli è nata una coscienza ambientale. Si pratica l’agricoltura biologica ed è stato bandito l’uso di fertilizzanti chimici. Si effettuano lavori per proteggere i suoli. C’è una preoccupazione genuina e generalizzata per conservare boschi e selve.

Como segnalano gli autori del libro Lotte molto altre: zapatismo e autonomia nelle comunità indigene del Chiapas: le sfide della sostenibilità nella riproduzione comunitaria sottolinea la tensione tra la necessità di sussistere dentro lo schema socioeconomico esistente ed il progetto di trasformazione di questo schema. Quello che lì si profila è, più che un modello economico zapatista, un processo endogeno e diverso delle priorità delle comunità, come alternativa alla sottomissione alla logica distruttrice del capitale transnazionale.

Nei 27 municipi zapatisti non si beve alcool né si coltivano stupefacenti. Si esercita la giustizia senza l’intervento del governo. Più che sulla punizione, si pone l’accento sulla riabilitazione del trasgressore. Le donne hanno conquistato posizioni e responsabilità poco frequenti nelle comunità rurali.

La rete di infrastrutture comuni di educazione, salute, agricoltura biologica, giustizia ed autogoverno che gli insorti hanno costruito al margine delle istituzioni statali, funziona con la propria logica, plurale e diversa. Le comunità zapatiste hanno formato centinaia di promotori di educazione e sanitari e di tecnici agricoli, secondo la loro cultura e identità.

Tutto questo è stato possibile perché gli zapatisti si governano da se stessi e si autodifendono. Costruiscono l’autonomia senza chiedere permesso in mezzo ad una campagna permanente di contrainsurgencia. Resistono alla perenne persecuzione di 51 distaccamenti militari e di programmi assistenziali il cui intento è creare divisioni nelle comunità in resistenza offrendo briciole.

Tuttavia, alla fine di quest’anno si è scatenata una campagna di diffamazione che sostiene che niente di tutto questo è vero. Falsamente, si dichiara che gli zapatisti oggi vivono peggio di 20 anni fa, che distruggono l’ambiente e che dividono le comunità. Si tratta dell’ultimo episodio di una guerra sporca vecchia quanto la sollevazione stessa.

Le calunnie non reggono. Centinaia di testimonianze pubbliche dimostrano che le accuse contro i ribelli non hanno niente a che vedere con la realtà che i calunniatori diffondono. Per esempio, il pittore Antonio Ortiz, Gritón, è stato nella comunità di Emiliano Zapata tra l’11 ed il 16 agosto di quest’anno, nell’ambito della escuelita zapatista, ed ha documentato l’esperienza vissuta in un commovente racconto diffuso su Facebook. L’ha sorpreso vedere che 30 famiglie indigene possedevano 350 capi di bestiame. Il pittore faceva parte di un gruppo di 1.700 persone che, ad agosto di quest’anno, hanno partecipato alla prima escuelita zapatista.

Vi hanno partecipato anche Gilberto López y Rivas e Raúl Zibechi, i quali, dalle pagine de La Jornada, hanno condiviso le loro riflessioni. Lo stesso ha fatto la giornalista Adriana Malvido su Milenio, e la ballerina Argelia Guerrero su pubblicazioni alternative. Tutti hanno constatato in maniera diretta come vivono, lavorano, si istruiscono, si curano e pensano le comunità zapatiste.

Per quasi una settimana i 1.700 invitati sono stati trasportati, ospitati e nutriti dai loro anfitrioni nelle comunità in cui hanno vissuto. Ognuno è stato accompagnato da un quadro zapatista che rispondeva alle loro domande e dubbi sulla loro storia, lotta ed esperienza organizzativa e traduceva dalle lingue indigene allo spagnolo. Questa esperienza si sta ripetendo questo fine d’anno e si ripeterà all’inizio del 2014.

Un’iniziativa educativa di questa grandezza, che presuppone una pedagogia diversa da quella tradizionale, si può reggere solo sull’esistenza di comunità con una base materiale capace di accogliere gli invitati, di un’organizzazione con la destrezza e disciplina necessarie a realizzare un progetto così ambizioso, e migliaia di quadri politici con la formazione adeguata per spiegare la loro vita quotidiana e la loro proposta di trasformazione sociale.

Dal basso, gli zapatisti stanno cambiando il mondo. La loro vita oggi è molto diversa da quella di 20 anni fa. È molto meglio. Negli ultimi due decenni si sono dati una vita degna, liberatrice, piena di significato, al margine delle istituzioni governative. Non lo stanno facendo in poche comunità isolate, ma in centinaia, distribuite in un ampio territorio. Da questo laboratorio di trasformazione politica emancipatrice c’è molto da imparare e di cui ringraziare. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/31/opinion/017a1pol

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Lettera ai nostr@ compagn@ dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Sergio Rodríguez Lascano

Compagn@:

Quasi 20 anni fa, ci svegliammo con la notizia che gli indigeni maya dello stato del Chiapas si erano sollevati in armi contro il malgoverno dell’ineffabile Carlos Salinas de Gortari. A partire da lì, grandi mobilitazioni ed un dialogo non sempre facile si è sviluppato con l’Esercito Zapatista da Liberazione Nazionale.

In maniera fondamentale, una nuova generazione uscì allora per le strade e si identificò con la ribellione zapatista. Furono loro a contrassegnare una buona parte delle mobilitazioni che si realizzarono in quella prima fase della lotta zapatista.

L’insurrezione zapatista del 1° gennaio aveva scosso la coscienza nazionale. Infatti, come disse José Emilio Pacheco: “Abbiamo chiuso gli occhi pensando che l’altro Messico sarebbe sparito se non l’avessimo guardato. Il primo gennaio del 1994 ci siamo svegliati in un altro paese. Il giorno in cui avremmo festeggiato il nostro ingresso nel primo mondo siamo tornati indietro di un secolo fino a trovarci di nuovo di fronte ad una ribellione come quella di Tomochic. Credevamo e volevamo essere nordamericani e ci ha travolto il nostro destino centroamericano. Il sangue versato chiede di porre fine al massacro. Non si può fermare la violenza dei ribelli, se non si ferma la violenza degli oppressori” (José Emilio Pacheco, La Jornada, 5 gennaio).

La sinistra messicana e mondiale in quel momento era in un apparente vicolo cieco. L’11 novembre 1989 cominciarono a cadere, come birilli, le cosiddette “democrazie popolari” (Repubblica Democratica Tedesca, Cecoslovacchia, Ungheria, Bulgaria, Polonia, Romania, Albania). Nel 1991 l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche si “dissolse” e, al di là di quello che ognuno di noi pensava di quel processo, quello che non si può negare è che, in pratica, il suo crollo fece strada all’arrivo di un capitalismo selvaggio guidato dalla mafia criminale.

In America Latina il 25 febbraio del 1990, i sandinisti perdono le elezioni ed inizia non solo il processo di esproprio contro i contadini nicaraguensi e la fine del cooperativismo, ma si sviluppa anche una dinamica di corruzione tra i dirigenti sandinisti. Non avrei mai pensato che uno dei fondatori del sandinismo e figura emblematica della rivoluzione, Tomás Borge, avrebbe realizzato un libro-lode-libello – mascherato da intervista a Carlos Salinas de Gortari – intitolato “Dilemmi della modernità”.

Il 16 gennaio 1992 si firmano gli accordi di Chapultepec che mettono fine alla guerra in Salvador, senza che una serie di richieste centrali del popolo siano state accolte, in particolare, il diritto alla terra. In mezzo a questo processo, il signor Joaquín Villalobos (“dirigente” del FMLN), che già aveva sulle spalle la terribile decisione di uccidere il grande poeta Roque Dalton, consegna il suo AK-47 a Carlos Salinas de Gortari.

Dopo questo, si cercò di riportare tutto nell’ambito istituzionale della democrazia rappresentativa. Tutti promuovevano una sinistra che si limitasse ad essere il cliente impertinente dello Stato capitalista.

In mezzo all’euforia anticomunista e ai discorsi in cui si proclamava la fine della storia e l’arrivo di un nuovo ordine mondiale, qualcuno descrisse bene l’epoca in cui vivevamo e fece un’affermazione che diede senso alla nostra stoltezza: Eduardo Galeano, che scrisse un testo memorabile: “A Bucarest, una gru si porta via la statua di Lenin. A Mosca, una folla avida fa la coda da McDonald’s. L’abominevole muro di Berlino si vende a pezzi, e Berlino Est conferma che si trova a destra di Berlino Ovest. A Varsavia e a Budapest, i ministri economici parlano come Margaret Thatcher. A Pechino pure, mentre i carri armati schiacciano gli studenti. Il Partito Comunista Italiano, il più importante in Occidente, annuncia il suo prossimo suicidio. Si riducono gli aiuti sovietici all’Etiopia ed il colonnello Mengistu scopre improvvisamente che il capitalismo è buono. I sandinisti, protagonisti della rivoluzione più bella del mondo, perdono le elezioni: Cade la rivoluzione in Nicaragua, titolano i giornali. Sembra non esserci più posto per le rivoluzioni, se non nelle vetrine del Museo Archeologico, né c’è posto per la sinistra, salvo per la sinistra pentita che accetta di sedersi alla destra dei banchieri. Siamo tutti invitati al funerale mondiale del socialismo. Il corteo funebre include, come dicono, l’umanità intera.

Confesso di non crederci. Questi funerali hanno confuso il morto”.

(Eduardo Galeano: El niño perdido a la intemperie).

L’insurrezione zapatista del 1° gennaio aprì un nuovo ciclo di confronti sociali. La capacità di trasmettere il loro messaggio, che era ed è quello dei condannati della terra, aprì una breccia per ri-percorrere la strada nella ricerca di una pratica emancipatrice.

Il pensiero libertario zapatista aprì un grande buco nell’edificio ideologico apparentemente solido del potere del capitale, e permise che da lì si esprimessero vecchie buone idee e nuove buone idee.

Tra l’euforia della classe dominante; mentre si levavano coppe di champagne per brindare al nostro ingresso nel primo mondo (il 1° gennaio entrava in vigore il Trattato di Libero Commercio); quando il priismo era consolidato, mentre era riuscito a “scoprire” il suo candidato senza che si verificassero rilevanti spaccature al suo interno; quando le 15 famiglie più ricche del paese festeggiavano la capacità degli strumenti di controllo di dominare i “poveracci” (come era solito definire i poveri lo zar della televisione privata: Emilio Azcárraga Milmo); avvenne l’insurrezione dei popoli zapatisti. Scelsero questa data per dimostrare che la memoria non era stata sconfitta da una modernità escludente.

Né il governo ed i partiti di destra, né la sinistra o i settori democratici, avevano la minima idea che sarebbe successo qualcosa di simile. Sapevamo del rancore che covava, ma non pensavamo che avrebbe potuto esprimersi in questa maniera.

Incominciammo a cercare di capire. Ovviamente, non solo non sempre non capivamo esattamente l’insieme della nuova grammatica della ribellione zapatista, ma molte idee ci erano estranee e, molte volte, le fraintendevamo.

La cosa più importante è che il 1° gennaio fu una boccata d’aria fresca. Uscimmo per le strade non solo per chiedere al governo di fermare la guerra, ma per evidenziare che tutti i proclami alla fine della storia erano, prima di tutto, vuoti discorsi ideologici.

L’idea che NON tutto fosse perduto fu la chiave per comprendere che, alla fine, quella ribellione non era altro che una crepa attraverso cui potevamo vedere che c’erano ancora molte lotte da combattere. Che la storia non solo non era finita, ma era, ancora, una-molte pagine in bianco.

Ora possiamo aggiungere che, per noi, l’insurrezione zapatista non è un’effemeride, un evento che corre il pericolo di essere inghiottito dal carattere onnivoro del capitalismo. Che, nonostante i tentativi dei mezzi di comunicazione, lo zapatismo non fa parte della società dello spettacolo.

Lo zapatismo è stato un processo effettivamente ricco di molti brillanti momenti, ma prima di tutto, è stato un processo ininterrotto di lotte, azioni, esperienze che, concatenate tra loro, hanno costituito una nuova pratica della sinistra del basso.

Dunque, nonostante le volte che commentatori ed analisti – che confondono la loro illusione con la realtà – hanno dato per morto lo zapatismo, questo non solo è andato avanti ma ha continuato a generare nuovi processi sociali.

All’interno, con lo sviluppo dell’autonomia (autentico processo di auto-organizzazione senza paralleli nella storia, per lo meno in maniera tanto profonda e prolungata) e la costruzione di nuove relazioni sociali, cioè, di nuove forme di vita. E verso l’esterno, non cercando di egemonizzare od omogeneizzare né dirigere altri movimenti sociali.

Collocandosi sempre al fianco dei perseguitati, vilipesi e offesi, in particolare, dei più perseguitati, più vilipesi e più offesi.

Non in funzione della difesa in astratto della patria o della nazione, bensì in funzione degli esseri umani che, vivendo in basso ed ancora più in basso, sono considerati prescindibili o semplice carne da cannone che non merita nient’altro che seguire sempre i suoi dirigenti sempre pronti a dire loro quando alzare la mano. Quegli esseri umani che sono l’essenza fondamentale della patria o della nazione.

Se qualcuno domandasse ad uno zapatista: Quali sono stati i tuoi anni migliori? Lui risponderebbe: “Quelli che verranno”. Perché alcune delle cose più importanti che ci ha dimostrato lo zapatismo, è la sua permanente volontà di lotta, la sua capacità organizzativa e la sua convinzione – a prova di tutto, perfino dell’incomprensione di molt@ – che vinceremo.

Se la ribellione zapatista – della quale vogliamo essere complici – non è una data, né un compleanno, né un avvenimento, né qualcosa di pietrificato, dogmatico o finito, allora, è qualcosa che si prepara, si costruisce, si consolida ogni i giorno.

Se altri vogliono darsi per sconfitti perché ritengono che ormai si è persa “la madre di tutte le battaglie”, è un suo diritto. Noi preferiamo la visione che, come dicevano gli studenti francesi del maggio 1968: “questo non è che l’inizio, la lotta continua”.

Molta acqua è passata sotto i ponti dal 1° gennaio 1994. E molti gli attacchi dei signori del denaro, della classe politica e dei suoi palafrenieri, “intellettuali” da strapazzo che fin dal primo giorno furono ingaggiati per una missione impossibile: denigrare con una certa credibilità i popoli zapatisti e il suo esercito. Le penne in divisa si offrirono al miglior offerente, dal libello Nexos fino a quello che oggi è il suo specchio: il quotidiano La Razón. Tutti loro hanno accolto diversi legulei disposti a mostrarsi per quello che sono: mercenari che scrivono con la mano destra e riscuotono con la sinistra.

L’impulso vitale che veniva dal basso fu ascoltato e compreso solo da una parte della sinistra messicana. Quella che non soffre di torcicollo a forza di tenere la testa sempre rivolta a guardare in alto, ad aspirare ad un potere che – benché nessuno di loro se ne sia accorto – non esiste più, è un ologramma.

Da parte nostra, quelli che mantenevamo il progetto ribelle dell’Altra Sinistra, decidemmo, con l’aiuto dell’esempio dei popoli zapatisti, di restare in basso e a sinistra. Ostinati nel costruire un’altra realtà, dove i meccanismi comunitari di auto-organizzazione siano il motore delle trasformazioni pratiche e teoriche. Al fianco di chi vive nelle cantine e ai piani bassi del palazzo capitalista.

Per realizzare questa costruzione fu necessario essere dispost@ a ri-apprendere molte cose, come vedremo più avanti.

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In questo processo nel quale “l’educatore deve essere educato”, riapprendere è stato fondamentale.

Naturalmente, la strada non è stata facile. Molti paradigmi teorici del pensiero di sinistra sono stati messi in discussione:

a) L’idea di un’avanguardia che guida dall’esterno il movimento sociale.

b) L’idea che la teoria è ad esclusiva dei pensatori universitari.

c) L’idea che la classe operaia sia l’unica classe rivoluzionaria.

d) L’idea che l’importante nel concetto di lotta di classe, sia il secondo elemento e non il primo.

e) L’idea che la diversità e le differenze siano un ostacolo per lottare insieme.

f) L’idea che lo Stato è l’unico strumento utile per cambiare in maniera duratura le condizioni di vita e l’organizzazione sociale del popolo.

g) L’idea che lottiamo per una rivoluzione socialista alla quale si deve firmare un assegno in bianco, lasciando da parte le cosiddette lotte minoritarie (indigene, donne, omosessuali, lesbiche, altri amori, punk, eccetera).

h) L’idea della sinistra – che ha un pensiero unico – che chi non rientra nella sua visione è un nemico.

Di fronte a questa crisi di paradigmi abbiamo cominciato a costruire un pensiero molto Altro. La prima cosa è stata rompere con la convinzione che la politica sia un compito che possono svolgere solo gli specialisti. Che si tratta di un discorso pieno di arcani segreti non adatto alla popolazione in generale.

Un po’ alla volta abbiamo scoperto che esiste un’altra teoria: quella che nasce in seno ai movimenti veri, quelli che non sono rondini che non fanno primavera. Che è lì nelle comunità, nei quartieri, negli ejidos, nei villaggi, dove la gente comincia a riflettere sul significato di prendere in mano il controllo dei propri destini e, a partire da lì, elaborare una teoria prodotta da sé stessi.

Quell’irruzione dei “pedoni della storia”, come dicono i compagni zapatisti, ha messo in crisi più d’uno di quelli che si considerano possessori del pensiero politico, che hanno le “risposte” a tutto quello che accade nel mondo, che è il prodotto di una lettura profonda… dei giornali. Naturalmente, come sempre succede, nessun popolo presta loro attenzione.

Le ed i clandestini della politica, quelli che non hanno ruoli né titoli universitari sono quelli che, già da molti anni, stanno facendo la vera teoria politica.

La grande domanda a coloro che si ritengono organizzazioni d’avanguardia e a coloro che si considerano “creatori di opinione” è sapere se hanno la modestia di ascoltare queste voci. Se sono capaci di abbassare il volume del frastuono che producono le loro teorie quasi sempre prodotto di piani analogici validi per qualunque momento della storia, cioè, per nessuno.

Si impara ad ascoltare solo quando si tace. Sarà possibile che dopo tanti anni di parlare, la sinistra abbia la capacità di tacere ed ascoltare? Le voci che vengono dal basso, anche se di pochi decibel, sono chiare e nitide. È solo questione di abbassarsi un po’ e prestare attenzione.

Ed allora, ci accorgeremo che dal profondo della società messicana, come un fiume, stanno sgorgando un tale livello di idee e pensieri come quelli che oggi vediamo nella Escuelita Zapatista. Se aguzziamo l’udito per guardare dovremo riconoscere che sì, è vero, le nuove generazioni di zapatisti sono molto più lucide e capaci di quelle che fecero l’insurrezione. Le molteplici voci delle basi di appoggio zapatiste ci confermano che, nonostante l’importante sforzo del suo capo militare e portavoce, lui è riuscito a trasmetterci solo un pallido riflesso di quello che stava accadendo in territorio zapatista.

La ricchezza di questa esperienza ci ha fornito nuovi strumenti pratici e teorici. È nostra responsabilità che il loro uso sia fruttifero. Sappiamo che non è stato facile, e siamo lontani dal successo, ma ci stiamo provando, davvero ci stiamo provando. Ed oggi possiamo dire che siamo qua.

Che non ci arrendiamo, che non ci vendiamo, che non rinneghiamo. Che, senza dubbio, ci siamo sbagliati, ma siamo riusciti a preservare il fuoco e separare la cenere. Che questo fuoco oggi è solo una fiamma, o meglio, una fiammella, ma che tutti i giorni è alimentato da due cose: le azioni distruttive del potere neoliberale escludente e rapace che ci obbliga a mantenerci nell’imperativo categorico di eliminarlo, e la volontà incrollabile di quello che siamo.

Ogni giorno con la nostra pratica e pensiero vegliamo su questa fiamma o fiammella che rappresenta la nostra volontà di lottare contro lo sfruttamento, la spoliazione, la repressione ed il disprezzo, cioè, contro l’essenza del capitalismo.

Facciamo nostre le seguenti parole che voi avete pronunciato al festival della Digna Rabia:

Permettetemi di raccontarvi questo: L’EZLN ebbe la tentazione dell’egemonia e dell’omogeneità. Non solo dopo l’insurrezione, anche prima. Ci fu la tentazione di imporre modi e identità. Che lo zapatismo fosse l’unica verità. Ed in primo luogo furono le comunità ad impedirlo, e poi ci insegnarono che non è così, che non si fa così. Che non potevamo sostituire un dominio con altro e che dovevamo convincere e non vincere chi era ed è come noi ma non è noi. Ci insegnarono che ci sono molti mondi e che è possibile e necessario il mutuo rispetto

Quello che vogliamo dirvi, è che questa pluralità tanto uguale nella rabbia e tanto diversa nel sentirla, è la direzione e il destino che noi vogliamo e vi proponiamo

Non tutti sono zapatisti (cosa di cui in alcuni casi ci rallegriamo). Non siamo nemmeno tutti comunisti, socialisti, anarchici, libertari, punk, ska, dark e come ognuno chiami la propria differenza …”

(Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: “Sette venti nei calendari e geografie del basso”).

Questa concezione ci sollecita a continuare a formulare una risposta. Di seguito daremo alcune idee che vogliono essere solo una riflessione iniziale.

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Nella Sesta non diciamo che tutti i popoli indios entrino nell’EZLN, né diciamo che guideremo operai, studenti, contadini, giovani, donne, altri, altre. Diciamo che ognuno ha il suo spazio, la sua storia, la sua lotta, il suo sogno, la sua proporzionalità. E diciamo di stringere un patto per lottare insieme per il tutto e per ognuno. Fare un patto tra la nostra rispettiva proporzionalità ed il paese che ne risulti, che il mondo che nasca sia formato dai sogni di tutti e di ogni diseredato.

Che quel mondo sia così variopinto che non ci siano gli incubi che assillano chi sta in basso.

Ci preoccupa che in quel mondo partorito da tanta lotta e tanta rabbia, si continui a considerare la donna con tutte le varianti del disprezzo che la società patriarcale ha imposto; che si continuino a considerare stranezze o malattie le diverse preferenze sessuali; che si continui a presumere che i giovani devono essere addomesticati, cioè, obbligati a “maturare”; che noi indigeni continuiamo ad essere disprezzati e umiliati o, nel migliore dei casi, considerati come i buoni selvaggi che bisogna civilizzare.

“Ci preoccupa che quel nuovo mondo non sia un clone di quello attuale, o un transgenico o una fotocopia di quello che oggi ci inorridisce e ripudiamo. Ci preoccupa, dunque, che in quel mondo non ci sia democrazia, né giustizia, né libertà.

Allora vogliamo dirvi, chiedere, di non fare della nostra forza una debolezza. L’essere tanti e tanto differenti ci permetterà di sopravvivere alla catastrofe che si avvicina, e ci permetterà di costruire qualcosa di nuovo. Vogliamo dirvi, chiedervi, che quel nuovo sia anche differente”.

(Stralci del discorso del Subcomandante Insurgente Marcos: “Sette venti nei calendari e geografie del basso”).

Che cosa scriveremmo se oggi avessimo la pretesa di dire che cosa ci dimostra l’esperienza zapatista?

Ogni volta che un uomo, una donna, un bambino o un anziano basi di appoggio zapatista parla della sua lotta, della sua autonomia, della sua resistenza, c’è una parola che si ripete con insistenza: organizzazione. Ma come arrivarci? Il problema non si risolve utilizzando la parola come una specie di “apriti sesamo” buona per tutto.

Nemmeno si può semplicemente portare a modello quello che loro stessi ci dicono non essere un modello. Loro l’hanno fatto così, ma ci saranno altri modi.

Se respingiamo il pensiero unico della destra, è impossibile pensare ora di introdurre una specie di pensiero unico della sinistra del basso.

No, si tratta invece di imparare dalle esperienze quotidiane che viviamo. E queste esperienze benché simili non saranno uguali. Ma, ci sarebbe qualcosa che ci permetta di orientarci in questo tortuoso cammino?

Sì, molte cose, per lo meno è quello che pensiamo noi.

a) Metterci sempre al fianco dei condannati della terra.

b) Non guardare in alto, ma nemmeno in basso. Cercare sempre di lanciare sguardi di complicità ai lati, cioè dove apparteniamo, in basso.

c) Privilegiare l’ascolto al discorso. Dare l’opportunità che chi sta in basso parli e ci dica quello che sa.

d) Capire che è inevitabile che dal potere e dai suoi media arrivino linciaggi contro quegli altr@ che stonano, che non si inquadrano né quadrano: contro i ribelli.

e) Sfuggire alla tentazione di guidare i movimenti. Questo provoca sempre una vertigine. Sorge sempre la domanda di come si esprimeranno quelli che lottano, la popolazione che vive in basso, se non c’è chi li guidi. Perché la risposta, molto semplice, comporta una grande complessità accettarla: da loro stessi.

f) Rispettare le forme organizzative che ognuno si dà, benché ci sembrino tortuose e disperatamente lente. Ognuno a modo suo.

g) Non perseguire le congiunture che ci impongono dall’alto, bensì lavorare per creare le nostre proprie congiunture. Muovere le tavole della politica vuol dire non rispettare le regole del “politicamente corretto”. Aspiriamo ad essere “politicamente scorretti”.

h) Lavorare e costruire nella differenza. Generando spazi abitabili dove le donne non siano vessate per il semplice fatto di essere donne. Dove si accettino le diverse preferenze sessuali. Dove non si imponga una religione ma neanche l’ateismo. Dove si promuova l’incontro dei diversi, degli altr@.

i) Dove non ci auto-limitiamo perché la polis è molto più complessa della selva. Molti hanno detto che gli zapatisti possono fare ciò che fanno perché la loro società non è complessa. Che nelle grandi città viviamo in una società complessa che impedisce la possibilità che le persone prendano il controllo del proprio destino. Questo è stato teorizzato sia dalla destra che dalla sinistra. Questo “argomento” contiene due stupidaggini: pensare che i popoli zapatisti formino una società semplice. Chi dice questo non è mai stato in territorio zapatista, dove quasi ogni compagn@ è un municipio autonomo. Semplicemente bisogna ricordare che in una Giunta di Buon Governo convivono compagn@ che parlano fino a quattro lingue differenti. L’altra stupidaggine è sottovalutare i popoli delle grandi città ed espropriarli della capacità di decisione per un problema tecnico: la difficoltà di comunicazione. Dico, questi stessi sono quelli che cantano le glorie di Internet e delle reti sociali.

Infine, queste sono solo alcune idee. Non tutte, e molto probabilmente neanche le migliori.

La questione è che come dice qualcuno: la storia ci morde il collo, dobbiamo voltarci e mordere il collo alla storia. Chiaro, tutto questo fatto con grande serenità e pazienza.

In questo processo sorgeranno molte esperienze dalle quali apprendere. Qui sì “fioriranno cento fiori” che rappresentino cento o più forme di organizzazione diverse. Non ci sono altri limiti se non quelli che ci imponiamo noi stessi.

Nelle parole che ricordiamo de@ compagn@ dell’EZLN durante il festival della Digna Rabia, si trova la cosa fondamentale di quella che sarebbe la buona notizia: Sì, è vero, il popolo unito non sarà mai vinto, ma a patto che sarà sempre nella diversità che si costruisca il grande Noi che questo paese ed il mondo necessita.

Da parte nostra, infine, vogliamo dire che dal 1° gennaio del 1994 abbiamo deciso che il nostro futuro è al fianco dei nostri fratelli e sorelle e compagn@ zapatisti. Che non siamo stati di quelli che hanno voluto semplicemente farsi fare una foto nel momento in cui i mezzi di comunicazione, e quelli che seguono sempre la moda, spiavano i dirigenti zapatisti, in particolare il Subcomandante Insurgente Marcos.

Ed oggi, quasi 20 anni dopo la grande insurrezione e 20 anni dopo da quando abbiamo saputo che la vostra ribellione è anche la nostra, compagn@ zapatisti vi diciamo: siamo qua, qua seguiremo, cercando di camminare con voi, spalla a spalla, come parte della Sexta. Vi diciamo che, effettivamente, anche noi abbiamo un obiettivo molto modesto: cambiare la vita, cambiare il mondo.

Per tutto quanto detto sopra e per molte altre ragioni e non, un gruppo di uomini, donne, bambin@, anzian@, altr@, abbiamo deciso di organizzarci, perché abbiamo capito che la ribellione organizzata è una delle strade, per noi la più importante, che ci porterà dove vogliamo andare.

Non a costruire una strada unica e senza ostacoli, bensì una strada dove incontriamo molt@ altr@ e possiamo lavorare insieme senza che questo significhi dire loro: “venite di qua, questo è bene”. Perché dopo venti anni stiamo imparando che le strade si fanno camminando, nell’azione e non in dibattiti teorici senza radici pratiche.

Dalle visioni zapatiste del mondo, del Messico e della vita, vogliamo generare una cornice comune, un rifugio abitabile alla nostra ribellione, una casamatta che sia un punto di appoggio per continuare col nostro lavoro di vecchia talpa (o meglio: di scarabeo chiamato Don Durito de la Lacandona) che corrode le fondamenta del capitale.

Per questo, noi, ribelli ed insubordinati, esprimiamo la volontà di camminare insieme agli zapatisti ed il desiderio di essere vostri compagn@. Vi diciamo che ce la metteremo tutta e che, effettivamente, nella lunga notte che è stato quello che qualcuno chiama giorno, prima o poi “la notte sarà il giorno che sarà il giorno”.

Fuori non è più notte… già si vede l’orizzonte.

Sergio Rodríguez Lascano

Messico, dicembre 2013

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/12/20/carta-a-nuestrs-companers-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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QUANDO I MORTI TACCIONO A VOCE ALTA

(Rewind 1)

(Nel quale si riflette sulle/sugli assenti, le biografie, narra il primo incontro di Durito col Gatto-Cane, e parla di altri temi che non fanno al caso, o cosa, come detterà il post scriptum impertinente)

Novembre-Dicembre 2013

A me pare che abbiamo fatto molta confusione sulla questione della Vita e della
Morte. Mi sembra che quella che chiamano la mia ombra qui sulla terra,
sia la mia
autentica sostanza. Mi pare che, guardando le cose spirituali, siamo
come ostriche che osservano il sole attraverso l’acqua e pensano che
l’acqua torbida sia la più fine delle atmosfere. Mi sembra che il mio corpo
non sia altro che le azioni del mio essere migliore. Di fatto, che si prenda il mio corpo
chiunque voglia, che se lo prenda, dico: non sono io.

Herman Melville “Moby Dick”.

Da molto tempo sostengo che la maggioranza delle biografie non sono altro che una menzogna documentata, e a volte, non sempre, ben scritta. Il biografo medio ha una convinzione previa ed il margine di tolleranza è molto ridotto, se non inesistente. Con questa convinzione comincia a frugare nel puzzle di una vita che gli è estranea (per questo il suo interesse nel fare la biografia), e raccoglie i pezzi falsi che gli permettano di documentare la propria convinzione, non la vita recensita.

La cosa certa è che forse potremmo conoscere con certezza data e luogo di nascita, e, in alcuni casi, data e luogo di morte. Oltre a ciò, la maggior parte delle biografie dovrebbero rientrare nel genere dei “romanzi” o della “fantascienza”.

Che cosa resta dunque di una vita? Tanto o pco, diciamo noi.

Tanto o poco, dipende dalla memoria.

O, piuttosto, dai frammenti che quella vita ha impresso nella memoria collettiva.

Se questo non vale per biografi ed editori, poco importa alla gente comune. Normalmente quello che realmente importa non appare sui mezzi di comunicazione, né si può misurare coi sondaggi.

Ergo, di una persona assente abbiamo solo pezzi arbitrari del complesso puzzle fatto di brandelli, squarci e propensioni che si conoscono come “vita”.

Quindi, con questo inizio confuso, permettetemi di prendere qualcuno di questi pezzi frammentari per abbracciare ed abbracciarci per il passo che oggi ci manca e che ci è necessario…

-*-

Un concerto nel silenzio messicano. Don Juan Chávez Alonso, purépecha, zapatista e messicano, fa un gesto come per allontanare un insetto fastidioso. È la sua risposta alle scuse che gli porgo per uno dei miei rozzi spropositi. Siamo in territorio Cucapá, in mezzo ad un terreno sabbioso. In quelle coordinate geografiche e quando nel calendario è indicata la Sesta 2006 nel Nordovest del Messico, nella grande tenda da campeggio che usa come alloggio, Don Juan prende la chitarra e chiede se vogliamo ascoltare un pezzo che ha composto. Qualche accordo ed inizia un concerto che, letteralmente, narra l’insurrezione zapatista del primo gennaio 1994 fino alla presenza della Comandanta Ramona nella formazione del Congresso Nazionale Indigeno.

Poi il silenzio, come fosse una nota in più.

Un silenzio nel quale tacevano a voce alta i nostri morti.

-*-

Anche nel nordest messicano, la follia sanguinaria del Potere tinge di assurdi ancora impuni il calendario del basso. 5 giugno 2009. L’avidità e il dispotismo governativi hanno dato fuoco ad un asilo infantile. Le vittime mortali, 49 bambini e bambine, sono gli effetti collaterali quando si distruggono archivi compromettenti. All’assurdo che siano i genitori a seppellire i figli, segue quello di una giustizia debole e corrotta: i responsabili non ricevono un mandato di cattura, bensì poltrone nel gabinetto del criminale che, sotto l’azzurro di Azione Nazionale, tenterà di occultare il bagno di sangue nel quale ha sommerso il paese intero.

Dove i biografi interrompono gli appunti “perché pochi anni di vita non sono redditizi”, la storia del basso apre il suo quaderno di altri assurdi: con la sua ingiusta assenza, questi bimbi hanno partorito altri uomini e donne. Da allora, i loro genitori innalzano la domanda di giustizia più grande: che l’ingiustizia non si ripeta.

-*-

Il problema con la vita è che alla fine ti uccide”, avrebbe detto Durito, le cui fantastiche storie cavalleresche divertivano tanto la Chapis. Tuttavia lei avrebbe domandato, con quell’impertinente miscuglio di ingenuità e sincerità che sconcertava chi non la conosceva, “e perché un problema?”. Don Durito de La Lacandona, scarabeo di origine e di mestiere cavaliere errante, avrebbe evitato di polemizzare con lei, dato che, secondo un presunto regolamento della cavalleria errante, non si deve contraddire una signora (soprattutto se la signora in questione ha buone conoscenze “molto in alto”, aggiungeva Durito che sapeva che la Chapis era religiosa, suora, sorella, o come voi chiamate le donne che fanno della fede la loro vita e professione).

La Chapis non ci conosceva. Voglio dire, non come chi ci guarda da fuori e scrive su di noi, parla… o sparla (sapete bene quanto le mode siano passeggere). La Chapis era con noi. E lo era tempo prima che uno scarabeo impertinente si presentasse sulle montagne del sudest messicano e si dichiarasse cavaliere errante.

E forse a farla essere tra noi era che alla Chapis non sembrava inquietare tanto la faccenda della vita e della morte. Quell’atteggiamento tanto nostro, dei neozapatisti, in cui tutto si inverte e non è la morte che preoccupa ed occupa, ma la vita.

Ma la Chapis non era solo tra noi. È chiaro che fummo solo una parte del suo cammino. E se ora vi racconto qualcosa di lei non è per fornire appunti per la sua biografia, ma per dirvi quello che qua sentiamo. Perché la storia di questa credente, la sua storia con noi, è di quelle che fanno dubitare gli atei fanatici.

“La religione è l’oppio dei popoli”? Non lo so. Quello che so è che la spiegazione più brillante che ho sentito sulla distruzione e spopolamento che la globalizzazione neoliberale opera in un territorio, l’ha data non un teorico marxista-leninista-ateista-e-altri-ista, ma… un parroco cristiano, cattolico, apostolico e romano, aderente alla Sexta, e confinato dall’alto clero (“per pensare troppo”, mi disse come chiedendo scusa) in uno dei deserti geografici dell’altopiano messicano.

-*-

Credo (forse mi sbaglio, non sarebbe la prima volta e, certamente, non sarà l’ultima) che molta gente, se non tutta, che si è avvicinata a quello che si conosce come neozapatismo, l’ha fatto cercando risposte a domande fatte nelle storie personali di ognuno, secondo il proprio calendario e geografia. E che ha indugiato solo l’indispensabile per trovare la risposta. Quando si sono accorti che la risposta era il monosillabo più problematico della storia, si sono voltati da un’altra parte ed hanno seguito quella direzione. Non importa quanto dicano e si dicano che continuano a stare qua: sono andati via. Qualcuno più velocemente di altri. E la maggioranza di loro non ci guardano, o lo fanno con la stessa distanza e sdegno intellettuale mostrati calendari prima che albeggiasse il gennaio del 1994.

Credo di averlo detto prima, in qualche altra missiva, non sono sicuro. Ma dico, o ribadisco, che quel pericoloso monosillabo è “tu“. Così, minuscolo, perché questa risposta era ed è intima per ognuno. Ed ognuno la prende con rispettivo terrore.

Perché la lotta è collettiva, ma la decisione di lottare è individuale, personale, intima, come lo è quella di continuare o tentennare.

Voglio dire che le poche persone che sono rimaste (e non mi riferisco alla geografia ma al cuore) non hanno trovato questa risposta? No. Quello che cerco di dire è che la Chapis non venne a cercare quella risposta alla sua personale domanda. Lei già conosceva la risposta ed aveva fatto di quel “tu” la sua strada e meta: il suo essere credente e conseguente.

Molte altre, molti altri come lei, ma diversi, si sono risposti in altri calendari e geografie. Atei e credenti. Uomini, donne ed otroas di tutti i calendari. Sono quelli, quelle, ésoas, che sempre, vivi o morti, si pongono di fronte al Potere non come vittime, ma per sfidarlo con la multipla bandiera della sinistra del basso. Sono le nostre compagne, compagni e compañeroas… benché nella maggioranza dei casi né loro né noi lo sappiamo… non ancora.

Perché la ribellione, amici e nemici, non è patrimonio esclusivo dei neozapatisti. È dell’umanità. E questo è qualcosa che bisogna celebrare. Da tutte le parti, tutti i giorni e a tutte le ore. Perché anche la ribellione è celebrazione.

-*-

Non sono pochi né deboli i ponti che, da tutti gli angoli del pianeta Terra, sono stati lanciati fino a questi suoli e cieli. A volte con sguardi, a volte con parole, sempre con la nostra lotta, li abbiamo attraversati per abbracciare quell’uno altro che resiste e lotta.

Forse di questo e nient’altro si tratta “l’essere compagni”: di attraversare ponti.

Come in questo abbraccio fatto lettere per le sorelle della Chapis alle quali, come a noi, manca e, come noi, hanno bisogno di lei.

-*-

L’impunità, caro Matías, è qualcosa che solo la giustizia
può concedere; è la Giustizia che esercita l’ingiustizia”.

Tomás Segovia, ne “Cartas Cabales”.

Già prima ho detto che, secondo la mia umile opinione, ognuno è l’eroe o l’eroina della propria storia individuale. E che nel sedativo autocompiacimento di raccontare “questa è la mia storia personale”, si pubblicano fatti e misfatti, si inventano le fantasie più incredibili, ed il narrare aneddoti somiglia troppo al fare i conti dell’avaro che ruba il non suo.

L’ancestrale affanno di trascendere la propria morte trova nelle biografie il sostituto dell’elisir dell’eterna giovinezza. Chiaro, anche nella discendenza. Ma la biografia è, per così dire, “più perfetta”. Non si tratta di qualcuno a cui si somiglia, è “l’io” esteso nel tempo grazie alla “magia” della biografia.

Il biografo di sopra ricorre a documenti d’epoca, forse a testimonianze di familiari, amici o compagn@ della vita di cui la morte si appropria. I “documenti” hanno la stessa certezza delle previsioni meteorologiche e le testimonianze ovviano alla sottile separazione tra il “io credo che…” ed il “io so che…”. E la “veridicità” della biografia si misura per la quantità di note a piè di pagina. Per le biografie vale la stessa regola delle fatture per spesa per “immagine” del governo: quanto più sono voluminose, tanto più sono corrette.

Attualmente, con internet, twitter, facebook ed equivalenti, i miti biografici smussano le loro fallacie e, voilà, si ricostruisce la storia di una vita, o suoi frammenti, che poco o niente hanno a che vedere con la storia reale. Ma non importa, perché la biografia è pubblicata, stampata, circola, è letta, citata, recitata… come la menzogna.

Controllate nelle moderne fonti documentali delle biografie future, cioè, Wikipedia ed i blog, Facebook ed i rispettivi “profili”. Ora fate il confronto con la realtà:

Non vi fa rabbrividire pensare che, forse, in un futuro…

Carlos Salinas de Gortari sarà “il visionario che comprese che vendere la Nazione era, oltre ad un affare di famiglia (certo, intendendo come famiglia quella di sangue e quella politica), un atto di moderno patriottismo”, e non il leader di una banda di traditori (non fatevi ingannare, nell’opposizione “matura e responsabile” ce ne sono divers@ che appoggiarono la riforma dell’articolo 27 della Costituzione, lo spartiacque della claudicazione dello Stato Nazionale in Messico);

Ernesto Zedillo Ponce de León non sarà “l’uomo di Stato” che portò la Nazione da una crisi ad un’altra peggiore (oltre ad essere uno degli autori intellettuali, insieme ad Emilio Chuayffet e Mario Renán Castillo, del massacro di Acteal), ma seppe tenere “le redini del paese” con un singolare senso dell’umorismo… per finire ad essere quello che è sempre stato: l’impiegato di una multinazionale;

Vicente Fox sarà la dimostrazione che il posto di presidente di una repubblica e di una filiale di bibite è intercambiabile… e che entrambi i posti possono essere occupati da inetti;

Felipe Calderón Hinojosa sarà un “presidente coraggioso” (perché altri morissero) e non uno psicopatico che rubò l’arma (la presidenza) per i suoi giochi di guerra… e che finì ad essere quello che era sempre stato: l’impiegato di una multinazionale;

Enrique Peña Nieto sarà un presidente colto e intelligente (“è ignorante e stupido ma abile”, è il nuovo profilo che gli si costruisce nei capannelli degli analisti politici), e non un analfabeta funzionale (come dice il proverbio popolare: “ciò che natura non dà, Monex non compra”)…?

Ah, le biografie. Non poche volte sono autobiografie, benché siano i discendenti (o i complici) a promuoverle e così addobbano il loro albero genealogico.

I criminali della classe politica messicana che hanno malgovernato queste terre continueranno ad essere, per coloro che subirono i loro eccessi, criminali impuni. Non importa quante righe si paghino sui media; né quanto si spenda in azioni spettacolari per le strade, sulla stampa scritta, in radio e televisione. Dai Díaz (Porfirio e Gustavo) ai Calderón e Peña, dai Castellanos e Sabines agli Albores e Velasco, è solo il succedersi (sulle reti sociali, perché sui media di massa sono sempre “persone responsabili e mature”) della ridicola frivolezza dei “junior”.

Ma il mondo è rotondo e nel continuo sali scendi dalla politica di sopra, si può passare, in poco tempo, dalla copertina di “Hola”, a “RICERCATO: CRIMINALE PERICOLOSO”; dall’euforia del dicembre del TLC, al dopo sbornia dell’insurrezione zapatista; da “uomo dell’anno”, allo “sciopero della fame” con acqua minerale di marca “chic” (inutile mio caro, perfino per le proteste ci sono classi sociali); dagli applausi per le brutte barzellette, al parricida putativo da concretarsi; dal nepotismo e la corruzione ornate di furberie, alle indagini per legami col narcotraffico; dalle divise militari taglia extra large, all’esilio pavido e macchiato di sangue; dall’euforia del dicembre di svendita a…

-*-

Con tutto questo e quello che segue, voglio dire che non si devono scrivere-leggere biografie? No, ma quello che fa girare la vecchia ruota della storia sono i collettivi, non gli individui… o individue. La storiografia si nutre di individualità; la storia impara dai popoli.

Voglio dire che non bisogna scrivere-studiare la storia? No, ma quello che dico è che è meglio farla nell’unico modo possibile, cioè, con altri ed organizzati.

Perché la ribellione, amici e nemici, quando è individuale è bella. Ma quando è collettiva ed organizzata è terribile e meravigliosa. La prima è materia di biografie, la seconda fa la storia.

-*-

Non con le parole abbracciamo i nostri compagni e compagne zapatisti, atei e credenti,

quelli che di notte si misero in spalla lo zaino e la storia,

quelli che afferrarono con le mani il lampo e il tuono,

quelli che indossarono gli stivali senza futuro,

quelli che si coprirono il volto e il nome,

quelli che, senza aspettarsi nulla in cambio, morirono nella lunga notte

affinché altri, tutti, tutte, in un’alba ancora da venire,

possano vedere il giorno come si deve fare,

ovvero, di fronte, in piedi e con lo sguardo e il cuore in alto.

Per loro né biografie né musei.

Per loro la nostra memoria e ribellione.

Per loro il nostro grido:

libertà! Libertà! LIBERTÀ!

Bene. Salve e che i nostri passi siano grandi come i nostri morti.

Il SupMarcos.

P.S. OVVIE ISTRUZIONI. – Ora siate così gentili da leggere, in calendario inverso, dal Rewind 1 al 3, e forse troverete il gatto-cane ed alcuni dubbi si chiariranno. E sì, siate certi che altre domande sorgeranno.

P.S. CHE SODDISFA, SOLLECITA, I MEZZI DI COMUNICAZIONE DI MASSA. – Ah! Commovente lo sforzo dei contras sui media di massa di tentare di fornire argomenti ai pochi lettori-ascoltatori-spettatori contras che gli rimangono. Ma, generosamente visto il periodo natalizio, vi mando alcuni tips affinché li usiate come materiale giornalistico:

– Se le condizioni delle comunità indigene zapatiste sono le stesse di 20 anni fa e non è progredito nulla nel loro livello di vita, perché l’EZLN – come fece nel 1994 con la stampa di massa – si “apre” con la escuelita affinché la gente del basso veda e conosca direttamente, SENZA INTERMEDIARI, quello che c’è qua?

E messo in “forma interrogativa”, perché nello stesso periodo si è ridotto, in modo esponenziale, il numero di lettori-ascoltatori-spettatori dei mezzi di comunicazione di massa? Pst, pst, potete rispondere che non avete meno lettori-ascoltatori-spettatori – questo ridurrebbe la pubblicità ed il chayote -, ma che adesso siete più “selettivi”.

– Voi chiedete “Che cosa ha fatto l’EZLN per le comunità indigene?” E noi rispondiamo con la testimonianza diretta di decine di migliaia di nostri compagni e compagne.

Ora voi, padroni e azionisti, direttori e capi, rispondete:

Che cosa avete fatto voi, in questi 20 anni, per i lavoratori dei media, uno dei settori più colpiti dal crimine patrocinato e incoraggiato dal regime che tanto adorate? Che cosa avete fatto per i giornalisti, le giornaliste minacciate, rapite ed assassinate? E per le loro famiglie? Che cosa avete fatto per migliorare le condizioni di vita di questi lavoratori? Gli avete aumentato lo stipendio per permettergli una vita degna e non dover vendere la loro parola o il loro silenzio sulla realtà? Avete creato le condizioni perché possano andare in pensione dopo aver lavorato degnamente per voi per anni? Gli avete dato la certezza del lavoro? Voglio dire, il lavoro di una o un reporter non dipende più dall’umore del capo redazione o dai “favori”, sessuali o di altro tipo, che si chiedono a tutti i generi?

Che cosa avete fatto affinché l’essere lavoratore dei media sia un orgoglio che non costi la perdita della libertà o della vita per essere onesti?

Potete dire che il vostro lavoro è più rispettato da governanti e governati rispetto a 20 anni fa?

Che cosa avete fatto contro la censura imposta o tollerata? Potete dire che i vostri lettori-ascoltatori-telespettatori sono meglio informati di 20 anni fa? Potete dire che avete più credibilità di 20 anni fa? Potete dire che sopravvivete grazie ai vostri lettori-ascoltatori-spettatori e non grazie alla pubblicità, in maggior parte governativa?

Forza, rispondete ai vostri lavoratori e lettori-ascoltatori-spettatori, così come noi rispondiamo ai nostri compagni e compagne.

Oh, andiamo, non siate tristi. Non siamo gli unici sfuggiti al vostro ruolo di giudice e boia, a supplicare la vostra assoluzione e ricevere sempre la vostra condanna. C’è anche, per esempio, la realtà.

Bene di nove, o, meglio, di sessanta nove.

Il Sup che dice a se stesso che è meglio il pollice verso che il dito medio alzato.

È territorio zapatista, è Chiapas, è Messico, è America Latina, è la Terra. Ed è dicembre 2013, fa freddo come 20 anni fa e, come allora, oggi ci ripara una bandiera: quella della ribellione.

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Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo.

In una delle scuole autonome zapatiste, bambini e bambine ballano durante una festa scolastica. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=MNGbe_XtiOo

Di e da León Gieco: “El Desembarco”. Attenzione alla lettera, perché “ci sono quelli che resistono e non si lamentano mai /… / non pretendiamo di vedere il cambiamento / solo aver lasciato qualcosa / sulla strada percorsahttp://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=sgcxvL9sR6U

Joan Manuel Serrat con il suo “Sería Fantastic”, che potrebbe ben essere un programma di lotta: “Sarebbe fantastico /… / che non perdessero sempre gli stessi / e che ereditassero i diseredati. / Sarebbe fantastico / che vincesse il migliore / e che la forza non fosse la ragione /… / Che tutto fosse come è comandato / e che non comandasse nessuno /…” http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=lzFsO_JjXGg

Hugh Laurie (forse lo conoscete come il dottor Gregory House, in un’interpretazione molto particolare del blues “Saint James Infirmary”. Per quelli che muoioni in piedi. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=WUz-WqUw4Ic

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Los de Abajo

Dichiarazione di guerra

Gloria Muñoz Ramírez

Tutto è cominciato con una dichiarazione di guerra. L’ultima opzione, dissero, ma una guerra. Molti allora dissero che tutto fu simbolico, che le armi non importavano, che non si trattava di un esercito regolare, bensì di un gruppo di pezzenti con fucili di legno. Ma ci fu e c’è una guerra. Si presero allora sette città, si aprirono le porte delle prigioni stracolme di indigeni innocenti, si distrussero i palazzi municipali, simboli del potere e dell’ignominia; si recuperarono terre, proprietà e bestiame in possesso di proprietari terrieri e cacicchi; si disarmarono poliziotti e guardias blancas; si fece un prigioniero di guerra. E la morte che già c’era, diventò visibile.

20 anni non sono niente? Dipende. Ormai due decenni da che l’EZLN ha iniziato una strada che non fu mai pensata solo per loro. Formato in maggioranza da tzotzil, tzeltal, tojolabal, chol, zoque e mam, non nacque con rivendicazioni puramente indigene. Fin dal principio (novembre 1983 e perfino prima) si proposero la lotta nazionale. Nel 1983 l’EZLN si chiedeva, come faremo per ottenere buona salute, buona educazione, buona casa, per tutto il Messico? È un impegno troppo grande. E così lo vedevamo. In quei primi 10 anni acquisimmo molte conoscenze, esperienze, idee, modi di organizzarci. E pensavamo: come ci accoglierà il popolo del Messico (perché non lo chiamavamo società civile)? E pensavamo che ci avrebbero accolto con gioia perché lottiamo e moriamo per loro, perché vogliamo che ci siano libertà, democrazia e giustizia per tutti. Ma nello stesso tempo pensavamo, Come sarà? Se ci accetteranno? Ricordò alcuni anni fa l’attuale subcomandante Moisés, visionario e rivoluzionario capo tzeltal. Il momento arrivò il 1º gennaio 1994. La guerra sorprese il mondo. E l’irruzione di una società civile con la quale si incontrano da 20 anni…. Se c’è qualcosa da riconoscere al movimento, è la sua ostinazione a realizzare iniziative che benché non tutte di successo, la cosa importante è percorrerle, non arrendersi. Oggi gli zapatisti sono gli stessi e altri. Gli stessi perché le loro domande sono attuali quanto prima. Diversi perché gli anni non passano invano, non si compiono impunemente gli anni. Anche il Messico è altro ed è lo stesso. Il salinismo che li vide nel 1994 è quello che domina ora con un altro nome. Il saccheggio non finisce. Nessuno nega allo zapatismo di aver inferto il colpo più duro ad un sistema che inghiotte tutto. Il suo Ya Basta! fu demolitore. Continuano ad essere una lotta molto vigorosa in un mondo impantanato da negoziazioni affaristiche che svendono tutto.

L’organizzazione autonoma dei suoi popoli, unica al mondo in questa modalità, è uno dei loro più notevoli successi. Non l’unico. Limitare lì il lascito zapatista è non vedere la risonanza nazionale e mondiale di un movimento che arriva al suo 20° anniversario (30 dalla sua nascita) senza arrendersi. Qualcuno può dire la stessa cosa senza un po’ di vergogna?

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2013/12/28/opinion/006o1pol

 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Venerdì 27 dicembre 2013

Aggredite basi di appoggio dell’EZLN a San Marcos Avilés, Chilón. Da tre anni resistono ad attacchi, esproprio di terre e minacce dei gruppi filogovernativi

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 26 dicembre. Basi di appoggio dell’EZLN della comunità San Marcos Avilés, a Chilón, denunciano aggressioni, esproprio di terre e minacce in corso dal 15 dicembre scorso da parte di gruppi filogovernativi: Abbiamo avuto pazienza, abbiamo sopportato e resistito a tutto il male che ci fanno i membri dei partiti di questa comunità. La pazienza ora è finita e diciamo basta! E’ arrivato il momento di difenderci costi quel che costi, accada quel che accada.

Gli indigeni avvertono: Non permetteremo più che ci manchino di rispetto e ci neghino il diritto di vivere nella nostra comunità. A partire da questo momento riteniamo responsabili di tutto ciò che accadrà i tre livelli di governo ufficiale per non aver prestato attenzione all’accaduto.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) ha ricevuto rapporti dalle brigate civili di osservazione internazionali su continue vessazioni, aggressioni, minacce di morte e sgomberi forzati contro gli zapatisti della comunità. E sottolinea che le autorità governative, invece di compiere il loro dovere di garantire l’integrità e la sicurezza personale degli abitanti e cercare una soluzione al conflitto, fino ad giorno la loro unica risposta è stata amministrare il conflitto.

Il Frayba ricorda che da tre anni la giunta di buon governo di Oventic e le basi zapatiste diSan Marcos Avilés hanno resistito agli attacchi del gruppo definito appartenente ai partiti, che ha compiuto azioni contro la scuola ed il progetto di autonomia zapatista con la copertura di funzionari di Chilón e del governo dello stato.

Il Frayba riferisce che l’11 dicembre, alle 6:30, Juan Pérez Cruz e sua moglie María Elena Cruz, entrambi del PRI, sono entrati nella piantagione di caffè di uno zapatista ed hanno rubato il raccolti di 200 pante di caffè. Alle ore 20:00 dello stesso giorno, dalla casa di Pérez Cruz, a 50 metri dall’accampamento della brigata di osservazione civile presente nel villaggio, si sono sentiti spari intimidatori contro le basi zapatiste. Il giorno 12, alle ore 06:00, Pérez Cruz si è presentato alla casa di uno zapatista dicendogli testualmente: Ti avverto che la tua piantagione di caffè non ti appartiene più, è mia perché tu non paghi l’imposta, quindi non tornare più nella piantagione di caffè e nella milpa altrimenti ti ammazzo col machete. Il giorno 14 sono partiti degli spari dalla casa di Pérez Cruz.

Successivamente, il Frayba è stato informato dagli osservatori civili che gli affiliati ai partiti continuano con le aggressioni contro altre basi zapatiste, consistenti in furti nelle milpe ed attrezzi. L’organismo esprime preoccupazione per la grave situazione e chiede al governo statale di controllare quelli che agiscono in maniera impune nella comunità, di sanzionare i responsabili di aggressioni, minacce di morte, furti, saccheggi e sgomberi, e che si rispetti l’esercizio del diritto all’autonomia, alla libertà di pensiero e di espressione, alla proprietà ed al possesso delle terre delle basi di appoggio dell’EZLN.

Il problema risale al 9 settembre 2010, quando 170 indigeni di tutte le età, zapatisti dell’ejido, furono cacciati violentemente da 30 persone del PRI, PRD e Partito Verde Ecologista del Messico, che arrivarono nelle loro case con bastoni, machete ed armi da fuoco. I fatti si verificarono dopo la costruzione della prima scuola autonoma nell’ejido. Quel giorno, per non rispondere all’aggressione, gli zapatisti si rifugiarono in montagna per 33 giorni. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/27/politica/016n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Giovedì 26 dicembre 2013

LIBERATO ANTONIO ESTRADA

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 25 dicembre. Martedì, nelle prime ore del pomeriggio, è stato liberato Antonio Estrada Estrada, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed abitante dell’ejido tzeltal San Sebastián Bachajón, che era detenuto nel Centro di Reinserimento Sociale (CERSS) numero 17, a Playas de Catazjá, a nord del Chiapas.

Il giorno 19 era stato rilasciato Miguel Demeza Jiménez, anch’egli aderente alla Sesta e dello stesso ejido, Con l’uscita di Estrada, San Sebastián Bachajón non ha più prigionieri politici che, nel contesto della resistenza ai progetti turistici del governo ed al saccheggio del territorio da parte di enti federali e statali, ed a costo di dividere gli ejidatarios, erano stati catturati e condannati durante il governo di Juan Sabines Guerrero per reati che non hanno mai commesso.

Gli ejidatarios in resistenza ore prima avevano dichiarato: Il nostro cuore ribelle e degno continua a lottare per la giustizia ed il rispetto alla nostra autonomia di popolo, lottando manteniamo viva la lotta del compagno Juan Vázquez Guzmán assassinato mesi fa sulla porta di casa, si presume per la sua partecipazione alla difesa del territorio di San Sebastián Bachajón. Il crimine è ancora impunito.

L’esproprio che denunciano gli ejidatarios risale al 2 febbraio 2011, quando il malgoverno ha costruito un botteghino di ingresso gestito dalla Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette.

Dopo la scarcerazione di Estrada, l’unico aderente della Sesta ancora in carcere è Alejandro Díaz Santiz, solidale della Voz del Amate, recluso nel CERSS numeroro 5 a San Cristobal de las Casas. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/26/politica/010n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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REWIND 2:

DELLA MORTE E DI ALTRI ALIBI

Dicembre 2013

“Uno sa di essere morto quando le
cose che lo circondano hanno smesso di
morire.”
Elías Contreras
Professione: Commissione di Investigazione dell’EZLN
Stato Civile: Defunto.
Età: 521 anni e più.
 

È l’alba, e se me lo domandassero, ma non l’hanno fatto, direi che il problema con i morti sono i vivi.

Perché poi generalmente si scatena la disputa assurda, oziosa e indignante sulla loro assenza.

Quel “io li ho conosciuti-visti-mi hanno detto” è soltanto l’alibi per nascondere il “io sono l’amministratore di quella vita perché amministro la sua morte”.

Qualcosa come il “copyright” della morte, convertita dunque in mercanzia che si possiede, si scambia, circola e viene consumata. Per questo esistono perfino istituzioni: libri storiografici, biografie, musei, effemeridi, tesi, giornali, riviste e dibattiti.

E si cade nella trappola dell’edizione della storia stessa per limare gli errori.

Si usano allora i morti per innalzarsi un monumento su di loro.

Ma, secondo la mia modesta opinione, il problema con i morti è sopravvivergli.

O si muore con loro, un po’ o molto ogni volta.

O ci si aggiudica il titolo di loro portavoce. In fin dei conti non possono parlare, e non è la loro storia, quella loro, che si racconta, ma si giustifica la propria.

O si possono anche usare per pontificare con il noioso “io alla tua/vostra età”. Quando l’unico modo onesto di completare questo ricatto a buon mercato e per nulla originale (quasi sempre rivolto a giovani e bambini), sarebbe concludere con un “aveva commesso più errori di te/voi”.

Dietro il sequestro di questi morti, c’è il culto della storiografia, così di sopra, così incoerente, così inutile. Ovvero, la storia che vale e che conta è quella che sta in un libro, una tesi, un museo, un monumento e negli equivalenti attuali e futuri che non sono altro che un modo puerile di addomesticare la storia del basso.

Perché ci sono quelli che vivono a costo della morte di altri, e sulla loro assenza costruiscono tesi, saggi, scritti, libri, film, ballate, canzoni ed altre forme più o meno eleganti di giustificare la propria inazione… o la sterile azione.

Quel “non è morto” non può che essere solo uno slogan, se nessuno prosegue il cammino. Perché secondo il nostro modesto e non accademico punto di vista, ciò che importa è il cammino non chi lo percorre.

E, approfittando del fatto che sto riavvolgendo questo nastro di giorni, mesi, anni, decenni, domando, per esempio:

Del SubPedro, del señor Ik, della Comandanta Ramona, valgono i loro alberi genealogici? Il loro DNA? I loro certificati di nascita con nome e cognome?

O ciò che vale è il cammino che hanno percorso insieme ai senza nome e senza volto – cioè, senza lignaggio familiare e/o scudo araldico -?

Del SubPedro vale il suo vero nome, il suo volto, il suo stile, raccolti in una tesi, una biografia – cioè, in una bugia documentata secondo convenienza -?

O vale la memoria che di lui esiste nelle comunità che aveva organizzato? Sicuramente i fanatici della religione l’avrebbero accusato, giudicato e condannato per essere ateo, ed i fanatici della razza anche, ma per essere meticcio e non avere la pelle del colore della terra, con quel razzismo al contrario che si pretende “indigeno”.

Ma la decisione di lottare del SubPedro, del Comandante Hugo, della Comandanta Ramona, degli insurgentes Alvaro, Fredy, Rafael, vale perché qualcuno gli mette un nome, un calendario, una geografia? O perché quella decisione è collettiva e c’è chi prosegue?

Quando qualcuno vive e muore lottando, nella sua assenza ci dice “ricordami”, “onorami”, “biasimami”? O ci impone di “proseguire”, “non arrendersi”, “non tentennare”, “non vendersi”?

Voglio dire, io sento (e parlando con altri compas so che non è solo un mio sentimento) che il conto che devo presentare ai nostri morti è che cosa si è fatto, che cosa manca e che cosa si sta facendo per completare ciò che ha motivato questa lotta.

Probabilmente mi sbaglio, e qualcuno mi dirà che il senso di ogni lotta è perdurare nella storiografia, nella storia scritta o parlata, perché è l’esempio dei morti, la loro biografia addomesticata ciò che motiva i popoli a lottare, e non le condizioni di ingiustizia, di schiavitù (il termine reale per definire la mancanza di libertà), di autoritarismo.

Ho parlato con alcuni compagne, compagni, zapatisti dell’EZLN. Certo, non con tutt@, ma con quelli che posso ancora vedere, con i quali posso stare.

C’è stato tabacco, caffè, parole, silenzi, ricordi.

Non è stata l’ansia di durare indefinitamente, bensì il senso del dovere quello che ci ha portati qui, nel bene o nel male. Il bisogno di fare qualcosa di fronte all’ingiustizia millenaria, quell’indignazione che sentiamo come la caratteristica più contundente di “umanità”. Non vogliamo nessun posto in musei, tesi, biografie, libri.

Quindi, nell’ultimo respiro, noi zapatiste, zapatisti, ci domandiamo “mi ricorderanno?”. O ci domandiamo “se cederò di un passo sul cammino?”, “c’è chi lo proseguirà?”.

Noi, quando andiamo sulla tomba di Pedro, gli diciamo quello che abbiamo fatto affinché tutti lo ricordino, o gli raccontiamo quello che si è fatto nella lotta, quello che ancora c’è da fare (sempre manca ciò che manca), quanto siamo ancora piccoli?

Gli rendiamo buon conto se prendiamo il “Potere” e se gli innalziamo una statua?

O se possiamo dirgli “Senti Pedrín, siamo ancora qui, non ci siamo venduti, non tentenniamo, non ci arrendiamo”?

E, a proposito di discussioni…

Il fatto di darsi un altro nome ed occultare il volto, è per nasconderci dal nemico o per sfidare la sua struttura da mausoleo, la sua nomenclatura gerarchica, le sue offerte di compra-vendita truccate da poltrone burocratiche, premi, lodi e lusinghe, club grandi o piccoli di seguaci?

/ sì mio caro, i tempi cambiano, prima il maestro o la maestra – o l’equivalente di mandarino della conoscenza – si corteggiava dedicandogli libri, lusingando le sue parole, guardandol@ con rapimento. Ora si posta nei suoi scritti, si danno “like” nelle sue pagine web, ci si somma al numero di seguaci che cinguettano disordinatamente… /

Voglio dire, ci importa chi siamo? O ci importa quello che facciamo?

La valutazione che ci interessa e colpisce, è quella di fuori o quella della realtà?

La misura del nostro successo o fallimento sta in quello che appare su di noi sui media a pagamento, nelle tesi, nei commenti, nei “pollici in alto”, nei libri di storia, nei musei?

O sta in quanto raggiunto, mancato, consolidato, in sospeso?

E riavvolgendo ancora…

Della Chapis, importa che era credente e cristiana conseguente, o importa che ha vissuto e lottato, con e nel suo essere cristiana, per chi non l’ha mai conosciuta? Certamente i fanatici dell’ateismo l’avrebbero accusata, giudicata e condannata per non professare la religione degli ismo che pretende di monopolizzare la spiegazione e guida di tutte le lotte.

Una volta, dopo avere letto “Il Vangelo secondo Gesù” di José Saramago, la Chapis cercò il letterato e compagno per dirgli non solo che il suo libro non le era piaciuto, ma anche che lei avrebbe scritto la propria versione sull’argomento. Importa se riuscì ad incontrare Saramago, se gli disse questo, se scrisse la sua versione? O importa la sua decisione di farlo?

E di Tata Don Juan, vale solo per i suoi cognomi “Chávez Alonso”, il suo sangue purépecha, il cappello che lo copriva e lo mostrava, come se indossasse un passamontagna? O vale anche per le strade in diversi continenti che hanno avuto l’onore del suo passo originario?

Le bambine ed i bambini assassinati nell’Asilo ABC, ad Hermosillo, Sonora, Messico, che hanno avuto appena una brevissima biografia, valgono per il numero di righe ed i minuti a loro dedicati sui mezzi di comunicazione? O valgono per il sangue che sangue e vita ha dato loro, e che ora si impegna con degna ostinazione e vuole giustizia? Perché quei bambini e bambine valgono anche ora, benché assenti, per i padri e le madri che sono partoriti con la loro morte.

Perché la giustizia, amici e nemici, è anche impedire che si ripeta l’ingiustizia, o che cambi nome, faccia, bandiera, alibi ideologico, politico, razziale, di genere.

-*-

Voglio dire, noi (ed altr@ come noi, molti, molte, tutt@) lottiamo per essere migliori ed accettiamo quando la realtà ci dice che non ci siamo riusciti, ma non per questo smettiamo di lottare.

Perché non è che qua non onoriamo i nostri morti. Lo facciamo. Ma lo facciamo lottando. Tutti i giorni, a tutte le ore. E così fino a che guardiamo il suolo, prima allo stesso livello, poi verso l’alto, coprendoci con il passo compagno.

-*-

Infine, le pagine si allungano e con esse cresce anche la certezza che tutto questo non importa a nessuno, che non è trascendente, che non è quello che la-Nazione-il-momento-storico-la-congiuntura chiede, che è meglio raccontare una storia… o scrivere una biografia… o innalzare un monumento.

E delle 3 cose, sono fermamente convinto che l’unica che vale la pena è la prima.

Quindi vi racconterò, così come me l’ha riferita Durito, la storia del Gatto-Cane (attenzione: adesso sì leggete “Rewind 3”).

Bene. Salute e, dei morti, guardate soprattutto la strada che il loro passo ha percorso, che ha ancora bisogno di passi che la percorrano.

Il Sup mentre si sistema il passamontagna con macabra civetteria.

P.S. CHE PRENDE POSIZIONE IN UN DIBATTITO DI REALE ATTUALITÀ. – “I videogiochi sono la continuazione della guerra con altri mezzi”, sentenzia Durito. Ed aggiunge: “Nella lotta millenaria tra i fanatici del PS e della Xbox può esserci solo un perdente: l’utente”. Non ho osato chiedergli a che cosa si riferisse, ma suppongo che più di un@ capirà.

P.S. TROPPO LUNGO PER STARE IN UN “TWIT” (deve essere per l’ammontare della fattura). – L’autonominato “governatore” del Chiapas, Messico, ha solennemente dichiarato che la sua amministrazione “ha stretto la cinghia” con un programma di austerità. A dimostrazione della sua decisione, si è bevuto più di 10 milioni di dollari per una campagna pubblicitaria nazionale tanto massiccia e costosa quanto ridicola… e illegale. Ma siccome alcuni media hanno avuto la loro fetta di torta, “l’imberbe”, “inesperto” e “immaturo” impiegato di un affare che non è né partito, né è verde, né è ecologista, né è del Messico (beh, né lui è governatore, quindi non c’è motivo di soffermarsi sui dettagli) è ora sulle pagine della stessa stampa che lo attaccava per essere un “bamboccio”, un “uomo di Stato” che non spende per la sua promozione personale, ma per “attrarre turismo in Chiapas”. Sì mio caro, già le agenzie turistiche lanciano il pacchetto “Conosci il Güero Velasco”, “all included”, accompagnato da un “kit” con paraocchi per non vedere i gruppi paramilitari, né la miseria e il crimine che pullulano nelle principali città chiapaneche (Tuxtla Gutiérrez, San Cristóbal de las Casas, Comitán, Tapachula, Palenque), in uno stato dove si suppone che i poveri siano gli indigeni, non i meticci. Se il ladrone, Juan Sabines Guerrero, pagò milionate ai media per simulare un governo dove c’erano solo razzie, l’attuale “junior” della politica locale paga di più perché ha imparato dall’attuale titolare dell’Esecutivo Federale (credo si chiami Enrique Manlio Emilio… no? Vedete lo svantaggio di non avere un account twitter?) che si può passare da un’indagine giudiziaria alla lista di candidati alle presidenziali del 2018, con solo poche decine di milioni di dollari, un buon Photoshop e una telenovela rosa.

P.S. DI CONGIUNTURA REITERATA. – Permetta, signora, signore, signorina, bambino, bambina, altroa. Mi permetta, alla fine impertinente, di non lasciarle chiudere la porta e restare solo, sola, a ruminare la sua frustrazione e cercare responsabili, come si infuria chi ha un altare fisso e un idolo variabile. E se non metto il piede per evitare che lei chiuda la porta e resti in salvo nel suo castello di dogmi, ma, invece, metto il naso dove non devo, lo attribuisca al mio naso, già di per sé impertinente in volume e forma. Suvvia, mi permetta di interrompere il suo odio represso, secco, sterile, inutile.

Venga, si calmi, si sieda, respiri profondamente. Sia forte e si comporti con studiata sensatezza, come quelle coppie che si separano “da persone mature” benché muoiano dalla voglia di spaccare la testa alla suddetta… o suddetto (non dimenticare l’equità di genere).

Dunque, quando ottenete qualcosa è solo grazie al vostro sforzo? Però, quando mietete una sconfitta, allora si democratizzano le responsabilità… e vi autoescludete. “I fiori sono una farsa”, hanno sentenziato. “Non si accettano incappucciati”, hanno decretato (e nemmeno pensare di presentare un reclamo alla CONAPRED per discriminazione nel modo di vestire). “Soltanto noi soli trionferemo e la Nazione ci sarà eternamente grata, i nostri nomi compariranno nei libri di testo, congressi, statue, musei”, si sono entusiasmati anticipatamente.

Poi è successo quello che è successo e, come prima, ora cercano chi incolpare del fallimento di questa lotta di sopra. “È mancata l’unità”, dicono, ma pensano “è mancato che si sottomettessero alla nostra guida”.

La razzia truccata da riforma costituzionale non è cominciata con questo governo. È iniziata con Carlos Salinas de Gortari e la sua riforma dell’Articolo 27. L’esproprio agrario fu “coperto” allora dalle stesse menzogne che ora avvolgono le malchiamate riforme: ora la campagna messicana è completamente distrutta, come se un bombardamento atomico l’avesse spianata. E succede ormai col totale delle riforme. La benzina, l’energia elettrica, l’educazione, la giustizia, tutto sarà più caro, di peggiore qualità, più scarso.

Prima di questo e ancora prima delle attuali riforme, i popoli originari sono stati e sono spogliati dei loro territori, che sono anche della Nazione. L’oro liquido moderno, l’acqua e non il petrolio, è stato rubato senza che questo richiamasse l’attenzione dei grandi media. Al furto del sottosuolo, tanto chiaramente denunciato nella Cattedra Tata Juan Chávez Alonso dal Congresso Nazionale Indigeno, sono state dedicate poche righe svogliate sulla stampa a pagamento che oggi lamenta che IL POPOLO, questa entelechia così politico mediatica, non faccia niente per frenare il furto legalizzato e illegittimo chiamato “riforma energetica”. La razzia è quotidiana e in ogni luogo. Ma è solo ora che si dice che la Patria è stata tradita.

Ed ora lei, che è stato sordo, si indigna perché non l’ascoltano né la seguono.

E dice che non si fa niente perché non vede niente. Dice e si dice: “vale quello che faccio IO o quello che si fa sotto la mia tutela, nel mio calendario e nella mia geografia. Il resto non esiste perché non lo vedo”.

E come potrebbe vedere qualcosa se usa i paraocchi che il Potere le regala?

Solo adesso scopre che lo Stato non solo rinuncia ad essere un ammortizzatore nell’uragano di razzie che è il Neoliberismo, ma che, in aggiunta, si getta rapido a disputarsi le briciole che il vero Potere gli lancia?

Guardi, il mondo è tondo, gira, cambia. E a poco o niente può servirle questo catalogo di evidenze duali: sinistra e destra, reazionario e progressista, antico e moderno, e sinonimi e antonimi tanto di moda nella politica di sopra.

Guardi, il fatto è, semplicemente, che il suo pensiero è decrepito.

Ed ha cominciato a perdere nel momento stesso in cui ha deciso di abbracciare quello di sopra (usando il vecchio trucco – che ora le si ritorce contro – di destra-sinistra-progressista-reazionario, di inventarsi alibi e vestirli delle stesse parole che oggi la intrappolano), dimenticando che quelli di sopra non accettano abbracci, ma genuflessioni.

No, non è che lei non abbia idee e bandiere. È solo che sono a brandelli. Non importa di quanta modernità siano ammantate, né quante parole altisonanti si dicano attorno ad esse, né quanti twit le ripetano, né quanti “like” e commenti raccolgano.

Lei, che si aspettava un proclama, il sangue anonimo versato, bellicosi squilli di tromba, le otto colonne, le immagini col sangue offerto sull’altare della Patria, voi, e solo voi, dovrete redimervi.

/ No mio caro, se le dico che lo zapatismo non è più quello di prima, si ricorda come quasi 20 anni fa ci emozionavamo con le immagini dei morti anonimi che non avevano né volto né nomi, tanto lontani, tanto indigeni, tanto chiapanechi? / Certamente, Ocosingo è in Medio Oriente? / Ah, e le loro iniziative, così brillanti quando c’era un palco per noi. / D’altra parte, chi può prendere sul serio chi rifiuta di iscriversi alla mobilitazione o al movimento (attenzione: non è la stessa cosa, imparate a differenziare) di moda? O analizzarla, classificarla, giudicarla, archiviarla? / Di fatto, sono finiti, non invitano più nemmeno la stampa alle loro celebrazioni, che cosa possono celebrare che non sia la nostra assoluzione o condanna? / Ah, ma quello che non perdoneremo mai a questi zapatones, non è solo che non siano morti tutti – e con ciò ci avrebbero negato il diritto di amministrare le loro morti nel lungo labirinto dei mausolei, delle ballate, dei “non sei morto compagno, la tua morte sarà amministrata” -, ma che anche le loro morti li abbiano resi tanto… tanto… tanto ribelli /.

E niente, invece di questo… post scriptum!

So che non le importa, ma per le incappucciate e gli incappucciati di qua, la lotta che vale non è quella che si è vinto o perso. È quella che prosegue, e per essa si preparano i calendari e le geografie.

Non ci sono battaglie definitive, né per i vincitori né per i vinti. La lotta proseguirà, e chi ora si delizia nel trionfo vedrà il suo mondo crollare.

Per il resto, non si preoccupi. Lei non ha perso niente perché non ha affatto lottato realmente. La sola cosa che ha fatto è delegare ad un altro il conseguimento del monopolio di una vittoria che non arriverà.

Quello di sopra cadrà, senza dubbio. Ma il suo crollo non sarà il prodotto di una lotta monopolizzata, escludente e fanatica.

Se vuole, continui a tirare da sopra, festeggerà ogni piccolo movimento del monolite, ma la corda si spezzerà continuamente.

Le statue e gli autoritarismi si abbattono dal basso, in modo che non rimanga il basamento per un nuovo busto che sostituisca il precedente.

Nel frattempo, ed è la mia umile opinione, la sola cosa che vale la pena fare là in alto è quello che fanno gli uccelli: cagare.

Vale, di gelato di noce, anche se fa freddo.

Il Sup che si prepara per…

………………………………………………………………….

Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo.

Del gruppo iberico di Rock Punk Arzua25, il pezzo “Zapatista”, del disco “Bienvenido a la Resistencia”. http://www.youtube.com/watch?v=1-jbz_V3y_8&feature=player_embedded

Il gruppo SKA-FE, dalla Colombia, la canzone “Muerte a la Muerte”. ¡Brincooooolín! http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=XTkQGEabRIE

Della serie “Come avrebbe dovuto finire”, i finali alternativi a “Batman, il cavaliere della notte”. Video dedicato alle/ai mascherat@ “cattiv@” (che non sono ben accett@ alle mobilitazioni “trascendentali”), come Gatúbela e Bane (con i passamontagna invertiti e l’eccellente dizione). http://www.youtube.com/watch?v=cfovSTI1csI&feature=player_embedded

Dell’immortale Cuco Sánchez, “No soy monedita de oro”, che parla da sé. http://www.youtube.com/watch?v=6sEnPI1XBk8&feature=player_embedded

Comunicato originale  – (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 ¡FELIZ CUMPLEAÑOS EZLN!

30 de Resistencia20 de Insurrección – 10 de Caracoles

Italia, Diciembre de 2013.

A las mujeres y los hombres del Ejercito Zapatista de Liberación Nacional.
A las Juntas de Buen Gobierno de los cinco Caracoles.
A las mujeres, hombres, ancian@s, niñ@s de las comunidades rebeldes zapatistas.

Reciban sinceras y cariñosas felicidades de tod@s nosotr@s: mujeres, hombres, otr@s, músicos y hip-hop band, grupos y organizaciones, que estamos abajo y a la izquierda, junto con nuestra gratitud porque con su lucha nos enseñan cada día que otro mundo puede ser posible.

Gracias compas, que con su ejemplo nos ayudan a no sentirnos solos, aquí en nuestros lugares, en nuestras luchas por democracia, libertad y justicia para tod@s.

¡Feliz cumpleaños EZLN!

¡Siempre a su lado!

L@s compas: Aldo Zanchetta; Giulia Cordella; Annamaria Pontoglio; Tino Zanchi; Anna Pacchiani; Massimo Vecchi; Giorgio Brembilla; Mauro Marrone; Patrizia Capoferri; Nadia Belli; Emanuela Manfredi; Marco Maccaroni; Andrea Cegna; Alberto Di Monte; Renza Salza; Pietro Custodi; Mauro Armanino; Alessandra Bosco; Monica Cortopassi; Luciano Di Gino; Gianna Berti; Elio Gattini; Franca Rosti; Giovanni Altini; Giulio Vittorangeli; Stefano Mastrogiacomi; Maurizio Cammellini; Andrea Semplici; Raffaella Rizzo; Federica Lombardo; Antonella Bonzio; Rebecca Rovoletto; Angela Bellei; Claudia Fanti; Vincenzo Robustelli; Alessandra Giusti; Rosetta Riboldi; Stefano Battain; Gaia Capogna; Nicoletta Negri; Roberto Sensi; Domenico Bertelli; David Lifodi; Luca Mascheroni.

Grupos y organizaciones: Fondazione Neno Zanchetta; Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo; Spazio Sociale “Barrio Campagnola” – Bergamo; Rebelde FC; Comitato Chiapas Torino; Coordinamento Toscano di Sostegno alla Lotta Zapatista; Collettivo Italia Centro America; Associazione Villaggio Terra; Onlus Amici del Guatemala Siena; Progetto Rebeldia / Municipio dei Beni Comuni – Pisa; Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba, Circolo di Livorno; Associazione Italia-Nicaragua – Circolo di Viterbo; Micro Sol Onlus; Associazione Æliante; Rete Radiè Resch; Associazione Peacelink; L@s compañer@s de PRC Circolo Ferrovieri Spartaco Lavagnini de Firenze.

Los músicos y hip-hop band, porque no es fiesta si no hay música digna y rebelde: Bonnot y Assalti Frontali

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DUE AVVISI IMPORTANTI 

19 dicembre 2013 

Compagne e Compagni. 

Vi scrive il Subcomandante Insurgente Moisés per mandare due avvisi: 

1- Vi avviso che chi ha chiesto di essere iscritto alla escuelita ed ha ricevuto l’invito, ma non ha ancora ricevuto la clave de pre-registro per il turno di dicembre o gennaio, può chiedere di essere registrato direttamente al CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Messico: 

I giorni 23 e 24 dicembre, per frequentare il corso dal 25 al 29 dicembre sia presso il CIDECI che in comunità 

I Giorni 1 e 2 gennaio, per frequentare il corso dal 3 al 7 gennaio sia in comunità sia al CIDECI. 

Se non potete in nessuna delle due date, potrete fare richiesta per il prossimo turno quando sarà reso pubblico. 

2- Altra cosa di cui vi avviso è che la festa per i 20 anni della sollevazione ci sarà in tutti i Caracol zapatisti ed è aperta a tutti, tranne che ai giornalisti. 

Dalle montagne del sud-est Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés

Dicembre 2013

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La Jornada – Lunedì 16 dicembre 2013

Ejidatarios chol di Tila denunciano l’invasione di terre

Hermann Bellinghausen

Ejidatarios chol di Tila, aderenti alla Sesta dichiarazione della Selva Lacandona, hanno denunciato che il governo, nei suoi tre livelli, gestisce agenzie turistiche contrarie agli interessi dei coloni. Venerdì 13, riferiscono gli indigeni, un gruppo di tecnici è stato sorpreso mentre realizzava dei sopralluoghi senza l’autorizzazione dell’assemblea generale degli ejidatarios nella comunità di Río Grande, annessa all’ejido di Tila.

Denunciano anche che effettivi dell’Esercito stanno addestrando i poliziotti municipali sulla pubblica via, destabilizzando l’ordine pubblico e la società, e temono nuove azioni repressive.

Il topografo José Zambrano Solís, presentatosi come docente dell’Università delle Scienze e delle Arti del Chiapas (Unicach) di Tuxtla Gutiérrez, e due suoi collaboratori, si sono presentati come “incaricati della Commissione Nazionale dell’Acqua (Conagua) e del rettore della Unicach, Roberto Domínguez Castellanos. Gli ejidatarios riferiscono che il tecnico si è comportato in maniera minacciosa, dicendo che non aveva paura perché sostenuto dai tre livelli di governo ed inoltre è conosciuto ovunque ed è incaricato dal suo padrone.

Gli ejidatarios segnalano: le anomalie dei malgoverni che entrano senza permesso nelle nostre comunità, villaggi e città (l’ejido di Tila include un centro urbano). Accusano i funzionari di escludere le autorità tradizionali nominate dal popolo e di ignorare chi e da dove veniamo. E sostengono: Noi siamo nati in questa terra, conosciamo i nostri fiumi, boschi e risorse naturali, patrimonio dei nostri genitori e nonni che hanno vissuto e continuano a vivere qui con noi nel loro spirito. Riterremo responsabili il governo federale, statale, municipale, la Conagua, la Unicach e l’ing. Zambrano Solís di qualunque repressione, intimidazione e vessazione.

Avvertono di possibili false richieste ed ordini di cattura contro i compagni e compagne, bambini e bambine che difendono i loro patrimoni ancestrali, secondo l’articolo 14, 16 e 2 della Costituzione ed il Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Denunciano anche l’ingegnere agronomo Carlos Domingo Sánchez Martínez, originario della comunità di Cantioc, ed impiegato del municipio di Tila “che perseguita ed intimorisce i nostri compagni della Sexta di Cantioc e compagni ejidatarios di Río Grande.”

Gli organi di rappresentanza degli ejidatarios aderenti alla Sexta avvertono che difenderanno tutto quello che i nostri genitori ci hanno lasciato, e non ci faremo sconfiggere.

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Votàn Zapata

Duccio Scotini e Gea Piccardi

“Coloro che avevano scommesso sul fatto che noi esistevamo solo mediaticamente e che, circondati dal silenzio e dalle menzogne, saremmo scomparsi, si sbagliavano. Quando non c’erano videocamere, microfoni, penne, orecchie e sguardi, noi esistevamo”[1]. Gli zapatisti non solo hanno vinto la strategia contrainsurgente del governo messicano ma hanno anche dato prova che l’autonomia può durare negli anni: dal 1983, quando nacquero come organizzazione clandestina, al 2013, anno di inizio dell’Escuelita.

A partire dalla marcia del 21 dicembre 2012 (giorno indicato dai media come quello della fine del mondo e per i Maya l’inizio di una nuova era) si è susseguita una serie di comunicati dal titolo Ellos y Nosotros in cui dichiarano la distanza dalla cultura politica della rappresentanza e da un sistema economico neoliberista, l’esistenza di un’altra maniera di vivere e governarsi e l’esigenza di stabilire nuove connessioni con i movimenti sociali del Messico e del mondo. Per questo prende forma il progetto di organizzare nel mese di Agosto la prima sessione dell’Escuelita zapatista, una “scuola” che ha coinvolto e coinvolgerà oltre le comunità zapatiste, migliaia di persone da tutto il mondo.

Murales di Emory Douglas a Morelia (ph Duccio Scotini e Gea Piccardi)

Durante l’Escuelita abbiamo sperimentato prima di tutto l’apprendimento come etica dell’incontro. Siamo andati a condividere la vita quotidiana con la gente comune non ad ascoltare i comandanti indigeni o il subcomandante Marcos, non abbiamo assistito alla trasmissione discorsiva di un sapere codificato. Migliaia di donne e uomini, indigeni e zapatisti, si sono convertiti, durante la scuola, in Votàn. Ciascun Votàn si prendeva cura del singolo alunno, gli raccontava la storia dei pueblos indigeni zapatisti, la loro identità, la loro organizzazione, con lui studiava i libri di testo, andava a lavorare, rispondeva ai suoi dubbi, e infine traduceva dalle lingue maya allo spagnolo e viceversa.

Termine maya difficilmente traducibile, Votàn per gli zapatisti significa qualcosa come “guardiano e cuore del popolo” o “guardiano e cuore della terra”, o ancora “guardiano e cuore del mondo”. Il Votàn è dunque un’entità singolare e comune allo stesso tempo: una persona ordinaria il cui orecchio e la cui parola sono collettivi. Non è un volto definito, un’individualità riconoscibile: è uno, ma dietro quell’uno potenzialmente si nascondono tutti. Con i nostri Votàn abbiamo preso parte a questa “scuola” dove non c’erano aule, esami e professori. La scuola era il collettivo, lo spazio aperto della comunità.

A noi due hanno assegnato comunità diverse e una di queste era il poblado Vicente Guerrero, presso il Caracol de La Garrucha. Nato nel 2002, Vicente Guerrero è, come la maggior parte del territorio zapatista, tierra recuperada, occupata e sottratta alla proprietà di rancheros e tierratenientes. “Motore dell’autonomia”, diceva un Votàn, sono i trabajos collectivos: lavori di gruppo a cui prendono parte in maniera rotativa tutti i membri della comunità e che non riguardano solo la produzione alimentare, ma anche la scuola, la cura e la comunicazione.

Escuelita autonoma (ph Alex Campos – Nomad Eyes)Il nostro apprendimento consisteva, in buona parte, nella partecipazione diretta ai differenti trabajos della comunità, tuttavia non si è trattato di apprendere un mestiere particolare ma, al contrario, di prendere parte a una forma di organizzazione che è quella dell’autonomia. La partecipazione a questa processualità, che altro non è che la sperimentazione di una democrazia radicale dal basso, si è data soprattutto attraverso un’esperienza di condivisione che può esserci soltanto nella pratica. Per dirla con Gustavo Esteva, altro alunno dell’Escuelita, “sono mancate delle parole perché abbiamo esperito novità radicali che non provengono dai libri, dai ruoli o dalle ideologie, ma dalla pratica e per questo portano con sé un impegno di immaginazione”[2].

Andando oltre le parole d’ordine, le logiche identitarie e i vuoti appelli alla costituzione di “fronti uniti” contro i governi o la crisi, che caratterizzano ancora molte organizzazioni politiche, gli zapatisti affermano: “La nostra analisi del sistema dominante ci ha portato a dire che l’unità di azione può esserci se si rispettano quelli che noi chiamiamo “i modi” di ognuno, ossia le conoscenze che ognuno di noi, individualmente o collettivamente, possiede della sua geografia e calendario. Ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. Quando si parla di unità si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo”[3].

Non si tratta ovviamente di dare dei giudizi di valore, ma di esercitarsi in quello sforzo di immaginazione di cui parla Esteva e in questo senso chiedersi: perché gli zapatisti hanno scelto la forma di una “scuola”? Che nesso c’è tra i processi di apprendimento, a cui abbiamo partecipato durante l’Escuelita, e i modi di costruzione dell’autonomia zapatista? Che relazione c’è tra forme di apprendimento che rifiutano qualsiasi tipo di “pedagogia” e pratiche autonome oltre lo Stato e i sistemi di rappresentanza? Crediamo che questo sia uno dei problemi fondamentali che l’esperienza zapatista ci lascia.

Linea del tiempo (ph. Alex Campos-Nomad Eyes)

Pensare l’apprendimento non come una formazione teorica alternativa, autodidatta, che si pone contro le istituzioni addette all’insegnamento e alla trasmissione di conoscenze, ma come una pratica che sfida, in tutte le sue manifestazioni, la produzione di verità e di sapere attuali e che non concerne solo l’ambito del “teorico” o dell’accademico, ma tutti gli istanti della vita quotidiana. Pensare l’apprendimento come un rapporto tra soggetto ed esperienza significa immaginarsi una pratica politica che si rimpossessi di mezzi e strumenti di percezione del mondo e che parta, prima di tutto, da un non sapere dei corpi. L’apprendimento, quindi, come una forma di soggettivazione che diventa molto forte proprio nel momento in cui la formazione entra in crisi e come pratica politica di organizzazione che si afferma proprio quando le altre pratiche perdono di senso.

Secondo Raúl Zibechi “Ci sarà un prima e un dopo dell’Escuelita zapatista. Della recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento e diffuso, che si farà sentire in alcuni anni e segnerà la vita dei los de abajo durante decadi”[4]. Certamente per gli zapatisti l’Escuelita produce grandi trasformazioni, tuttavia restano aperti dei quesiti che, abbandonando il territorio chiapaneco, si rivolgono da là a qua, inserendosi in quella distanza che intercorre tra l’esperienza vissuta e il ritorno a casa. Quale sarà il nostro “dopo” dell’Escuelita?

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1 Comité Clandestino Revolucionario Indigena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberàtion Nacional – 30 dicembre 2012, ¿Escucharon? Recopilacion de comunicados del EZLN Diciembre 2012-Febrero 2013, El Rebozo, Oaxaca, 2013.Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/02/ezln-annuncia-i-seguenti-passi-comunicato-del-30-dicembre-2012/

2 Gustavo Esteva, Y si, aprendimos, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/018a2pol

3 Comité Clandestino Revolucionario Indígena-Comandancia General del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, Ellos y nosotros. V. La Sexta, (tomo I), El Rebozo, Oaxaca, 2013. Cfr. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/01/26/ellos-y-nosotros-v-la-sexta-2/

4 Raúl Zibechi, Las escuelitas de abajo, in http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

5 Alex Campos, autore delle fotografie, è un artista e filmmaker che attualmente lavora in Messico. Qui il link del suo canale www.youtube.com/user/olharesnomadas

fonte: http://www.alfabeta2.it/2013/11/24/votan-zapata/

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La Jornada – Martedì 3 dicembre 2013

Un detenuto denuncia che nel carcere chiapaneco sono state sospese le cure ai reclusi malati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 2 dicembre. Nel Centro Statale di Reinserimento Sociale dei Condannati (CERSSS) numero 5, a Los Llanos, in questa città, l’amministrazione ha sospeso le medicine ai detenuti malati, ha denunciato oggi Alejandro Díaz Sántiz, simpatizzante della Voz del Amate ed ultimo aderente della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ancora in carcere. Il cattivo sistema che vige nel paese e nei suoi stati ha causato danni dolore, angoscia e rabbia ai migliaia di messicani parenti dei detenuti, aggiunge l’indigeno da 15 anni incarcere, ingiustamente come dice, e che non ha smesso di chiedere la sua liberazione.

Díaz Sántiz, al quale Alberto Patishtán Gómez, liberato un mese fa, ha lasciato il compito di difendere i detenuti di Los Llanos, racconta che fino a venerdì scorso, c’era un uomo in sciopero della fame da oltre una settimana. Miguel Antonio López Santiago, da 12 anni e 11 mesi carcerato ingiustamente, il 19 novembre aveva iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta per chiedere in maniera pacifica giustizia e libertà.

Tuttavia, dieci giorni dopo López Santiago sembra sia stato male e quindi trasferito in un ospedale dove ha sospeso la protesta. Le autorità avrebbero promesso ai famigliari di accelerare la revisione del suo caso al Tavolo di Riconciliazione che analizza i processi impugnati dalla popolazione carceraria. Ciò nonostante, durante i giorni di sciopero della fame ha ricevuto solo minacce e torture psicologiche da parte del gruppo Lobo e del capo della sicurezza, Juan Gabriel Soberano Pimentel, che gli dicevano che l’avrebbero obbligato a mangiare se non si desisteva dal suo sciopero, riferisce Díaz Sántiz.

Di sicuro, la settimana scorsa un altro gruppo di detenuti non organizzati ha realizzato un breve sciopero della fame per chiedere migliori condizioni. Il portavoce di Solidarios de la Voz del Amate chiede che si rispettino i diritti di ogni detenuto che ha sempre il diritto di manifestare pacificamente.

Denuncia che il direttore della prigione, Jaime López, non ha acquisito medicine o ha omesso di consegnarle ai detenuti che le richiedono. Lo stesso Díaz Sántiz, che soffre di disturbi alla vista, il 17 novembre è stato portato fuori dalla prigione per sottoporsi a visita medica e benché gli avessero prescritto dei medicinali, questi non gli sono stati forniti dalle autorità.

Infine, rispetto alla propria situazione, Álex (come lo chiamano i suoi compagni) chiede al governatore Manuel Velasco Coello di mantenere l’impegno preso lo scorso 4 luglio di cercare strumenti e contatti con le autorità di Veracruz (dove si è svolto il suo processo) per ottenere la mia libertà, perché fino ad ora non ho avuto alcuna risposta. http://www.jornada.unam.mx/2013/12/03/politica/025n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 29 novembre 2013

Il Tribunale federale decide a favore degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 28 novembre. Il tribunale federale di Tuxtla Gutiérrez ha accolto il ricorso presentato dagli ejidatarios di San Sebastián Bachajón contro l’occupazione di una parte del territorio ejidale da parte dei governi federale e statale del febbraio 2011, allo scopo di “imporre un progetto turistico di livello mondiale”, dichiarano gli indigeni coinvolti.

Nella sentenza pubblicata lunedì 25 novembre, il tribunale federale “ha revocato ritenendola illegale la sentenza de 22 luglio 2013 emessa dal giudice settimo di distretto di Tuxtla Gutiérrez, che aveva dichiarato inammissibile il ricorso presentato dai contadini tzeltales, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, in difesa delle loro terre”, ha comunicato Ricardo Lagunes Gasca, rappresentante legale degli indigeni.

Nell’udienza del 14 novembre, per decidere sul ricorso 274/2013, il terzo tribunale collegiale del ventesimo circuito della capitale chiapaneca “ha dato ragione agli indigeni dell’ejido San Sebastián Bachajón, situato nella zona nord dell’entità, che difendono le proprie terre dall’esproprio dei governi statale e federale, perpetrato dal 2 febbraio 2011 con la finalità di controllare il loro territorio per imporre un progetto turistico”. Le terre di cui gli ejidatarios reclamano la restituzione, danno accesso anche alle cascate di Agua Azul visitate ogni anno da centinaia di migliaia di turisti.

La difesa spiega: “Il tribunale ha ritenuto che il giudice settimo di distretto, omettendo di notificare all’assemblea generale degli ejidatarios di San Sebastián Bachajón la richiesta di appello interposta in forma sostitutiva da ejidatarios aderenti alla Sesta, ha infranto le leggi del procedimento e lasciato senza difesa l’ejido querelante”. Inoltre, il tribunale federale “ha dichiarato senza valore giuridico il documento esibito dal commissario ejidale filogovernativo di San Sebastián, Alejandro Moreno Gómez, sottoscritto da lui e da altri rappresentanti dell’ejido, col quale intendevano desistere dal processo di appello senza l’autorizzazione e la conoscenza dell’assemblea generale”.

È la seconda volta che un tribunale federale dichiara illegale la sentenza emessa dal giudice settimo di distretto che “fin dall’ammissione del ricorso, il 4 marzo 2011, si è comportato senza osservare i principi di imparzialità, indipendenza ed obiettività, favorendo in ogni momento l’esproprio attraverso decisioni arbitrarie e soggettive”, sostiene Lagunes Gasca.

“È deplorevole – aggiunge – che dopo due anni dal ricorso, non esista ancora una sentenza che protegga il territorio dal popolo tzeltal di San Sebastián, cosa che favorisce l’impunità, la violenza e l’abuso contro i popoli originari da parte di funzionari statali e agenti privati”.

Di fronte alla “evidente inefficacia” della legge nel proteggere il territorio tzeltal, il 26 maggio di quest’anno, il caso era stato presentato formalmente alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH) con sede a Washington. Inoltre, la difesa degli ejidatarios “aveva chiesto l’adozione di misure cautelari nell’ambito della petizione, per garantire l’integrità territoriale del popolo indigeno e l’integrità personale dei suoi difensori, esposta a maggiore rischio e vulnerabilità con l’assassinio impune del leader comunitario Juan Vázquez Guzmán il 24 di aprile” sulla porta di casa.

Il 19 giugno, la CIDH aveva comunicò agli ejidatarios aderenti alla Sesta che aveva sollecitato informazioni in merito al governo messicano, sollecito che, per quanto si sa, non avrebbe ricevuto ancora risposta. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/29/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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POSTI ESAURITI PER IL CORSO DI PRIMO LIVELLO DELLA ESCUELITA ZAPATISTA NELLE DATE DI DICEMBRE 2013 E GENNAIO 2014

 Novembre 2013

Alle compagne e compagni della Sexta:

A chi interessa:

Da: Subcomandante Insurgente Moisés.

Compagni passati, presenti e futuri:

Vi mandiamo i nostri saluti. A buon conto vi diciamo che ci apprestiamo al secondo e terzo turno del corso di primo livello della escuelita zapatista, consci che siamo appena riusciti a coprire le spese del primo turno solo grazie a qualcuno che ha dato di più delle nostre compagne e compagni di dentro e di fuori, e così si è coperto quello che mancava nel contenitore.

Alla luce di ciò, per il secondo e terzo turno del Corso di Primo Livello della escuelita, abbiamo aumentato il numero di compagne e compagni partecipanti alla scuola, ed ora possiamo accogliere fino a 2.250 alunni per ogni turno. Cioè c’era posto per 2.250 nel turno di Dicembre 2013 e per 2.250 nel turno di Gennaio 2014. C’era, perché i posti sono già esauriti.

Le comunità zapatiste hanno compiuto un ulteriore sforzo per accogliere mille allievi in più del turno dell’agosto scorso.

Indubbiamente il problema è vedere se tornano i conti con i 380 pesos per allievo per coprire le spese, ma i nostri compagni e compagne delle squadre di appoggio della Commissione Sexta mi dicono che molti si stanno organizzando per mettere insieme i soldi e non fare figuracce al momento della registrazione. E, quello che ci sembra molto buono, è che gli allievi che sono già stati qui col primo turno, si stanno organizzando per sostenere altri che vengono ad imparare insieme a noi. Cioè, questi alunni ed alunne hanno sì imparato qualcosa da qua.

Nella nuova rivista che faremo e negli scritti che pubblicheremo nella pagina di Enlace Zapatista vi racconteremo delle valutazioni che abbiamo fatto sulla scuola. In questa rivista potrete leggere la parola dei Votán che vi hanno assistito, dei vostr@ Maestr@ e delle famiglie che vi hanno accolto, la valutazione, cioè la loro parola e pensiero su come hanno visto e sentito questi primi alunni ed alunne.

Ora, come incaricato della escuelita, devo informarvi che i posti per i due turni sono già esauriti. Cioè, a dicembre di questo anno 2013 abbiamo raggiunto la quota di 2.250, e così anche a gennaio 2014. Cioè, siamo già al completo, compagne e compagni.

Speriamo abbiate mandato in tempo la vostra domanda e che sia stata scritta correttamente, senza inganni. Ma se non avete fatto in tempo, non temete. Vedremo di poter fare un quarto turno per aprile o agosto dell’anno che viene.

Vi ricordo che saranno iscritti solo coloro che sono stati invitati. Perché qualcuno sta facendo il furbo e manda il suo questionario senza essere stato invitato. Quindi, non fate i furbi. La procedura è questa: voi mandate una richiesta di invito, noi vi mandiamo l’invito, voi rispondete con il questionario, e vi viene spedita la vostra registrazione.

Una cosa molto importante da sapere è che l’iscrizione alla escuelita è individuale. Cioè non vale scrivere “Vengo io più altri 2“, ma ognuno deve chiedere il proprio invito perché ogni alunno deve avere la sua iscrizione individuale, perché ognuno sarà sistemato in una famiglia zapatista e gli sarà assegnato un Votán, cioè un proprio Guardiano o Guardiana. A tutti, uomo, donna, altr@, bambino, bambina, ragazzo, ragazza, adulto o già in là con gli anni.

Quindi è importante che ognuno mandi la propria domanda di iscrizione, se è stato invitato, perché per chi non ha ricevuto l’invito, per questi due turni non c’è più posto. Siete avvisati. Un’altra cosa importante è indicare in quale delle 2 date potete venire. E ancora meglio se potete in ognuna delle date indifferentemente perché così vi sistemiamo più facilmente.

E per favore non iscrivetevi se non verrete. Vi chiediamo di avvisare se siete stati invitati ma non potete venire, perché altrimenti togliete il posto a qualcuno che vuole venire ma non può perché i posti sono esauriti. Perché alcune persone hanno fatto così nel turno di agosto, si sono iscritte ma non sono mai arrivate. E neanche hanno avuto l’educazione di avvisare che non venivano. Meglio avvisare e lasciare il posto a qualcuno che può partecipare in queste date e voi aspettate di vedere se potrete venire nelle prossime date che ci saranno.

Alle nostre sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno e dei Popoli Originari di tutto il mondo, ricordiamo che poi organizzeremo incontri speciali con loro. Ci metteremo d’accordo per questo.

Bene compagni della Sexta, ho detto quello che dovevo è chissà che possiate venire e vedere con i vostri occhi ed ascoltare con le vostre orecchie che cos’è la nostra lotta per la libertà.

Più tardi vi scriverà il SupMarcos, perché adesso l’ha morso il gatto-cane e lo sta medicando il personale del servizio insurgente sanitario. Cioè stanno medicando il gatto-cane perché gli ha fatto male mordere il SupMarcos. Comunque gli ho detto di inserire qualche video per pensare o per cantare e ballare o per tutto questo.

Vi aspettiamo.

SubComandante Insurgente Moisés

Rettore della Escuelita Zapatista

Messico, Novembre 2013

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Guarda e ascolta i video che accompagnano questo testo:

Saluto inviato alla Escuelita Zapatista dal nostro compagno Mayor Insurgente Honorario Félix Serdán Nájera, attivista per tutta la vita. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=luPuHfko4wU

Video realizzato dai compas della Coordinadora Valle de Chalco Libre durante il loro corso di primo livello alla Escuelita Zapatista. http://www.youtube.com/watch?v=pzRjMa4p2lU&feature=player_embedded

Fernando Delgadillo ci avverte della complicità tra l’ignoranza ed il Potere. http://www.youtube.com/watch?v=muF8iVl4lZg&feature=player_embedded

Alejandro Filio e León Gieco, due di quelli che non si vendono, con questo pezzo dal titolo “Un precio”. http://www.youtube.com/watch?v=GOX0xMpdVCo&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Rebobinar 3

Rebobinar 3.

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Buon compleanno EZLN, oggi fan 30

zapatista-women-fighter
Non tutti i libri di storia sono uguali. Non tutti i libri di storia diventano testi ufficiali sui quali si studia. Il libro di storia che tratta di movimenti, lotte, rivolte, rivoluzioni, bandit@, brigant@ e partigian@ non è mai diventato un testo ufficiale, anzi forse questo libro non esiste nemmeno ma se esistesse parlerebbe sicuramente del 17 novembre 1983, data di nascita dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

All’origine erano sei, tre indigeni e tre meticci, il loro sogno era costruire e costituire la più classica delle guerriglie (di matrice Marxista) andando in continuità con la tradizione Sudamericana dal Fronte Sandinista in poi.

La storia ci dice che quella guerriglia non nascerà mai, ma nascerà qualcosa di diverso, quello che il 1 gennaio del 1994 abbiamo conosciuto come EZLN e come movimento di lotta per la dignità ed il riconoscimento dello status “indigeno” e quindi in netta opposizione alla globalizzazione neoliberista.

Ribaltata la logica principe delle guerriglie ovvero di sollevarsi per prendere il potere.

Il potere “Zapatiniamente parlando” è un nemico da combattere e non da sostituire, così come Emiliano Zapata arrivato a Città Del Messico fece l’atto simbolico di non sedersi sulla poltrona del presidente messicano per non farsi corrompere dal gusto del potere gli Zapatisti iniziano la loro lotto per conquistare i diritti e la possibilità di essere se stessi senza sottostare alle logiche omologanti e schiaccianti sia dal punto di vista culturale che “di vita” del neoliberismo.

L’unico esercito al mondo ad avere il 30% di donne al suo interno.

Un esercito che andrà ad imporre dentro le comunità zapatiste la Legge Rivoluzionaria delle Donne .

L’unico esercito che ha come portavoce e capo militare (questo però solo dopo la morte di Pedro il 1 gennaio del 1994) un sub comandante, cioè un sotto comandante perchè chi comanda è il popolo. Se sono solo giochi di parole e costruzione d’immaginario non lo possiamo sapere, quello che sappiamo è che quest’esercito e questa lotta hanno determinato un cambiamento forte nella pratiche e nei linguaggi politici in tutto il mondo.

Perchè l’EZLN cambia rotta nei 10 anni di preparazione al levantamiento? La risposta è semplice l’ibridazione tra le logiche marxiste e l’attitudine collettiva/comunitaria degli indigeni Maya del Chiapas obbliga il gruppo originario a modificare la propria linea guida e obiettivo: non prendere il potere ma imporre giustizia, libertà, e democrazia per le popolazioni indigene e così per tutte le popolazioni mondiali.

Questo cambio di rotta porterà anche ad un uso diverso di immagini e parole. Forse sarà stata la difficoltà di comunicazione tra chi non parla spagnolo ma solo idiomi indigeni e chi parla la lingua dei conquistadores a inventare un modo comune e armonico di dialogo, immagini e parole.

Cosa sia successo veramente non lo saprà mai nessuno, quello che si sa è tra i racconti e i comunicati pubblici che dal 1 gennaio 1994 hanno girato per tutto il mondo. “I Racconti del Vecchio Antonio” è un libro fondamentale (assieme al pamphlet “La quarta guerra mondiale è cominciata”) per capire le origini dell’EZLN e capirne poi le scelte, la logica,e l’ideologia insomma un libro di racconti che però è anche tesi politica di uno dei movimenti più innovativi degli ultimi venti anni.

I libri non sono tutti uguali, non solo quelli di storia ma anche quelli di racconti. Così come i calendari e le geografie non sono le stesse per chi sta in alto e per chi in basso a sinistra. Così come i mondi non sono gli stessi.

Sarebbe bello che esistesse veramente un mondo che contenga tutti i mondi, almeno tutti i mondi che sanno rispettare gli altri mondi.

Mi fermo qui, chiedendomi che cosa ci sarebbe scritto nel libro di storia che nelle scuole non fanno e non faranno mai studiare cioè quello intitolato “di movimenti, lotte, rivolte, rivoluzioni, bandit@, brigant@ e partigian@” sulla pagina della nascita dell’EZLN, sicuramente ci sarebbe più precisione, ci sarebbero più dati, insomma sarebbe un libro di storia e forse per questo non scriverebbe proprio tutto quello che un articolo in prima persona permette di scrivere, sarebbe diverso.

Ma quel libro forse non esiste, e forse dovremmo scriverlo, invece esiste l’EZLN.

Mi fermo qui anche perchè andare vorrebbe dire parlare dei vent’anni della lotta Zapatista, quella pubblica iniziata quando il Trattato di Libero Commercio del Nord America entrò in vigore, e  anche quella è una bella storia, ma inizia dopo e quindi la raccontiamo con i gusti tempi e la giusta calma.

BUON COMPLEANNO EZLN 100 di questi giorni!

http://milanoinmovimento.com/altri-luoghi/buon-compleanno-ezln-oggi-fan-30

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SupMarcos: Rewind 3.

REWIND 3.

Che spiega il perché di questo strano titolo e di quelli che seguiranno, che narra dello straordinario incontro tra uno scarabeo ed uno sconcertante essere (voglio dire, più sconcertante dello scarabeo), e delle riflessioni non congiunturali e senza importanza che scaturirono; così come del modo in cui, approfittando di un anniversario, il Sup cerca di spiegare, senza riuscirci, come l@s zapatistas vedono la propria storia.

Novembre 2013

A chi di interesse:

AVVERTENZA.- Come segnalato nel testo autotitolato “Cattive notizie, ma anche no”, non sono stati pubblicati i testi che precedevano il suddetto. Ergo, quello che faremo sarà “riavvolgere” il nastro (o, come si dice, “rewind”) per arrivare a quello che si supponeva sarebbe apparso il giorno dei morti. Dopo di che, potete procedere alla lettura in ordine inverso all’ordine inverso nel quale appariranno e allora dovrete… mmm… lasciate perdere, perfino io mi sono rimbambito. La cosa importante è che si capisca lo spirito, come dire, “la retrospettiva”, cioè che uno va avanti ma poi torna indietro per vedere com’è che qualcuno ha fatto per arrivare là. Chiaro? No?

AVVERTENZA DELL’AVVERTENZA.- I testi che seguono non contengono nessun riferimento alle situazioni attuali, congiunturali, trascendenti, importanti, ecc., né hanno implicazioni o riferimenti politici, niente di tutto questo. Sono testi “innocenti”, come “innocenti” sono tutti gli scritti di chi si autonomina “il supcomandante di acciaio inossidabile” (cioè, io tapino). Ogni riferimento o somiglianza a fatti o persone della vita reale è pura schizofrenia… sì, come alla situazione internazionale e nazionale dove si può vedere che… ok, ok, ok, niente politica.

AVVERTENZA AL CUBO.- Nel caso molto improbabile che vi sentiate coinvolti da ciò che si dice di seguito, vi sbagliate… o siete un vergognoso fan della teoria della cospirazione ad hoc (che si può tradurre in “per ogni errore, esiste una teoria della cospirazione per spiegare tutto e ripetere gli errori”.

Procediamo:

-*-

P.S. Il primo incontro di Durito con il Gatto-Cane.-

Durito era serio. Ma non con il falso atteggiamento di un qualsiasi funzionario di un qualsiasi governo. Era serio come quando una grande pena ci affligge e non ci si può far niente, se non maledire… o raccontare una storia.

Don Durito de La Lacandona accende la pipa, cavaliere errante o errato, consolazione degli afflitti, gioia dei bambini, impossibile desiderio di donne ed altr@, irraggiungibile specchio per gli uomini, insonnie di tiranni e tirannuncoli, scomoda tesi per ignoranti pedanti.

Guardando rapito la luce delle nostre insonnie, quasi in un sussurro narra, affinché io la trascriva:

LA STORIA DEL GATTO-CANE

(Come Durito conobbe il Gatto-Cane e cosa dissero in quell’alba sui fanatismi).

Ad una prima occhiata il gatto-cane sembra un cane… ma anche un gatto… o cane…fino a che non miagola… o gatto… fino a che non abbaia.

Il gatto-cane è un’incognita per biologi terrestri e marini (in che tabella di classificazione degli esseri viventi sistemiamo questo caso?), caso irrisolvibile per la psicologia (la chirurgia neuronale non scopre il centro cerebrale che definisce la caninità o la gatttinità), mistero per l’antropologia (usi e costumi contemporaneamente simili ed antitetici?), disperazione per la giurisprudenza (che diritti e doveri derivano dall’essere e non essere?), il sacro graal dell’ingegneria genetica (impossibile privatizzare quello sfuggente DNA). Insomma: l’anello mancante che farebbe crollare tutto il darwinismo da laboratorio, cattedra, simposio, moda scientifica del momento.

Ma, permettetemi di raccontarvi quello che accadde:

Come naturale, era l’alba. Una flebile luce definiva le ombre. Tranquillo, camminavo solo con i passi della memoria. Allora sentii chiaramente che qualcuno diceva:

“Un fanatico è qualcuno che, per vergogna, nasconde un dubbio”.

Dandogli ragione tra me e me, mi avvicinai e lo incontrai. Senza fare le presentazioni, gli domandai:

Ah, così lei è… un cane.

Miao − mi rispose.

… O piuttosto un gatto – dissi incerto.

Bau − replicò.

Va bene, un gatto-cane – dissi e mi dissi.

Proprio questo – disse… o credetti di sentire.

Come va la vita? − domandai (ed io trascrissi senza dubitare, pronto a non farmi sorprendere da niente, visto che era uno scarabeo che mi stava dettando questa singolare storia).

A volte bene – rispose con una specie di ronron. A volte da cani e gatti − grugnì.

È un problema di identità? – dissi accendendo la pipa e tirando fuori il mio smartphonetablet multitouch per scrivere (in realtà si tratta di un quaderno a spirale, ma Durito vuole passare per molto moderno – nota dello scrivano -).

Nah, uno non sceglie chi è ma chi può essere – abbaiò risentito il gatto-cane −. E la vita non è altro che questo complicato passaggio, riuscito o interrotto, da una cosa verso l’altra − aggiunse con un miagolio.

Dunque, gatto o cane? – domandai.

Gatto-cane – disse come indicando l’ovvio.

E cosa la porta da queste parti?

Una di queste, che poi sarà.

Ah.

Canterò, affinché alcuni gatti sappiano.

Emm… prima della sua serenata, che non dubito sarà un canto eccelso alla femmina che la turba, mi potrebbe spiegare quello che ha detto all’inizio della sua partecipazione in questo racconto?

La cosa del fanatismo?

Sì, era qualcosa come di qualcuno che nasconde i suoi dubbi di fede dietro il culto irrazionale.

Proprio così.

Ma, come evitare di entrare in una delle tenebrose stanze di quella torva casa di specchi che è il fanatismo? Come resistere ai richiami ed ai ricatti per militare nel fanatismo religioso o laico, il più antico, ma non l’unico attualmente?

Semplice − dice laconico il gatto-cane−, non entrando.

Costruire molte case, ognuno la sua. Abbandonare la paura dell’indifferenza.

Perché c’è qualcosa di uguale o peggiore di un fanatico religioso, un fanatico anti religioso, il fanatismo laico. E dico che può essere peggiore perché quest’ultimo ricorre alla ragione come alibi.

E, chiaramente, i suoi equivalenti: il fanatismo omofobico e maschilista, la fobia per l’eterosessualità ed il femminismo. E ci aggiunga il lungo elenco nella storia dell’umanità.

I fanatici della razza, del colore, del credo, del genere, della politica, dello sport, eccetera, alla fine dei conti sono fanatici di se stessi. E tutti condividono la stessa paura del diverso. E incasellano il mondo intero nella scatola chiusa delle opzioni escludenti: “se non sei tale, allora sei il contrario”.

Vuole dire, mio caro, che quelli che criticano i fanatici sportivi sono uguali? – interruppe Durito.

È lo stesso. Per esempio, la politica e lo sport, entrambi legati ai soldi: in entrambi i fanatici pensano che quello che conta è la professionalità; in ambedue i casi sono meri spettatori che applaudono o fischiando i concorrenti, festeggiano vittorie che non sono loro e si dispiacciono per sconfitte che non appartengono loro; in tutti e due i casi incolpano i giocatori, l’arbitro, il campo, l’opposto; in entrambi i casi sperano “nella prossima volta”; pensano che se cambiano il tecnico, la strategia o la tattica, si risolverà tutto; in ambedue i casi perseguono i fanatici opposti; in entrambi si ignora che il problema è nel sistema.

Sta parlando di calcio? domanda Durito mentre tira fuori un pallone autografato da se stesso.

Non solo di calcio. In tutto, il problema è chi comanda, il padrone, chi detta le regole.

Nei due ambiti si disprezza quello che non fa fare soldi: il calcio dilettante o di strada, la politica che non confluisca in congiunture elettorali. “Se non si guadagna denaro, allora per quale ragione farlo?”, si chiedono.

Ah, sta parlando di politica?

− Neanche per sogno. Sebbene, per esempio, ogni giorno che passa è sempre più evidente che quello che chiamano “lo Stato Nazionale Moderno” è solo un cumulo di macerie in svendita, e che le rispettive classi politiche continuano a rimontare il castello di carte crollato, senza accorgersi che le carte della base sono completamente rotte e rovinate, incapaci di mantenersi dritte, non diciamo poi di sostenere qualcosa.

Mmm… sarà difficile mettere tutto questo in un twit − dice Durito mentre conta per vedere se ci sta in 140 caratteri.

La classe politica moderna si contende chi sarà il pilota di un aereo che da tempo si è schiantato nella realtà neoliberale  − sentenzia il gatto-cane e Durito approva con un assenso.

Dunque, che fare? − chiede Durito mentre ripone con cura il suo gagliardetto dei Los Jaguares de Chiapas.

Eludere la trappola che sostiene che la libertà è poter scegliere tra due opzioni imposte.

Tutte le opzioni definitive sono una trappola. Non ci sono solo due strade, così come non ci sono due colori, due sessi, due credo. Cosicché né lì, né là. Meglio percorrere una nuova strada che vada dove uno vuole andare.

Conclusione? − domanda Durito.

Né cane, né gatto. Gatto-cane, per non servirla.

E che nessuno giudichi né condanni quello che non comprende, perché ciò che è diverso è la dimostrazione che non tutto è perduto, che c’è ancora molto da vedere e sentire, che ci sono ancora altri mondi da scoprire…

Il gatto-cane se ne andò, che, come indica il suo nome, ha gli svantaggi del cane e quelli del gatto… e nessuno dei loro vantaggi, se mai ce ne fossero.

Già albeggiava quando sentii un misto sublime di miagolii e latrati. Era il gatto-cane che cantava, stonato, alla luce dei nostri sogni più belli.

Ed in qualche alba, forse ancora lontana nel calendario ed in incerta geografia, lei, la luce che mi svela e rivela, capirà che ci furono tratti nascosti e fatti per lei, che forse solo allora le saranno rivelati o li riconoscerà adesso in queste lettere, ed in quel momento saprà che non importava che strade avessero percorso i miei passi: perché lei fu, è e sarà sempre, l’unico destino per cui vale la pena.

Tan-tan.

P.S.- Nel quale il Sup tenta di spiegare, in modo multimediale post moderno, come l@s zapatistas vedono e si vedono nella propria storia.

Bene, per prima cosa bisogna chiarire che per noi tutt@, la nostra storia non è solo quello che siamo stati, quello che ci è successo, quello che abbiamo fatto. È anche, e soprattutto, quello che vogliamo essere e fare.

Orbene, in questa valanga di mezzi audiovisivi che vanno dal cinema 4D e le televisioni LED 4K, fino agli schermi policromi e multitouch dei cellulari (che mostrano la realtà a colori che, permettetemi la digressione, non ha niente a che vedere con la realtà), possiamo collocare, in un’improbabile “linea del tempo”, il nostro modo di vedere la nostra storia con… il kinetoscopio.

Sì, lo so, sono partito da lontano, alle origini del cinema, ma con internet ed i vari wikis che abbondano e ridondano, non avrete certo problemi a sapere a che cosa mi riferisco.

A volte, può sembrare che siamo nei dintorni dei formati 8 e super 8, ed anche così il 16 millimetri è ancora lontano.

Voglio dire, il nostro modo di spiegare la nostra storia sembra un’immagine in movimento continuo e ripetitivo, con qualche variazione che dà quella sensazione di mobile immobilità. Sempre attaccati e perseguiti, sempre a resistere; sempre annichiliti, sempre a ricomparire. Forse per questo le denunce delle basi di appoggio zapatiste, diffuse attraverso le loro Giunte di Buon Governo, hanno così poche letture. È come se si fossero già lette molto prima e cambiassero solo i nomi e le geografie.

Ma anche qui ci mostriamo. Per esempio, in:

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/11/13/la-jbg-corazon-del-arco-iris-de-la-esperanza-caracol-iv-torbellino-de-nuestras-palabras-denuncia-hostigamiento-y-agresiones/

Sì, è un po’ come se in quelle immagini in movimento di Edison, del 1894, nel suo kinetoscopio (“Annie Oackley”), noi fossimo la moneta lanciata in aria, mentre la signorina civiltà ci spara ripetutamente (sì, il governo sarebbe l’impiegato servile che lancia la moneta). O come se in “L’arrivo del treno” dei Fratelli Lumière, del 1895, noi fossimo quelli che restano sul marciapiede mentre il treno del progresso va e viene. Alla fine di questo testo troverete alcuni video che vi aiuteranno a capire.

Ma è qui che il collettivo che siamo prende e compone ogni fotogramma, lo disegna e lo dipinge guardando la realtà che fummo e siamo, molte volte con i neri di persecuzioni e prigioni, con i grigi del disprezzo, e col rosso della sottrazione e dello sfruttamento. Ma anche col colore marrone e verde della terra che siamo.

Quando qualcuno di fuori si sofferma a guardare il nostro “film”, generalmente commenta: “che abile tiratrice!” Oppure “che impiegato temerario che getta la moneta in aria senza paura di essere ferito!”, ma nessuno fa commenti sulla moneta.

O, nel treno dei Lumière, dicono: “ma che stupidi, perché stanno sul marciapiede e non salgono sul treno?”. Oppure “è l’ennesima dimostrazione che gli indigeni stanno come stanno perché non vogliono il progresso”. Qualcun altro azzarda “Hai visto che abiti ridicoli usavano in quell’epoca?”. Ma se qualcuno ci chiedesse perché non saliamo su quel treno, noi diremmo “perché le prossime stazioni sono ‘decadenza’, ‘guerra’, ‘distruzione’, e la destinazione finale è ‘catastrofe’”. La domanda pertinente non è perché noi non saliamo, ma perché voi non scendete.

Chi viene a stare con noi per guardarci guardandoci, per ascoltarci, per imparare nella escuelita, scopre che, in ogni fotogramma, noi zapatisti abbiamo aggiunto un’immagine che non è percettibile ad una semplice occhiata. Come se il movimento visibile delle immagini occultasse il dettaglio che contiene ogni fotogramma. Ciò che non si vede nell’attività quotidiana è la storia che saremo. E non c’è smartphone che catturi quelle immagini. Solo con un cuore molto grande si possono apprezzare.

Certo non manca chi viene e ci dice che ormai ci sono tablet e cellulari con videocamere davanti e dietro, con colori più vividi di quelli della realtà, che ci sono macchine fotografiche e stampanti tridimensionali, il plasma, l’lcd ed il led, la democrazia rappresentativa, le elezioni, i partiti politici, la modernità, il progresso, la civiltà.

Di lasciar perdere il collettivismo (che, inoltre, fa rima con primitivismo): di abbandonare l’ossessione per la preservazione della natura, il discorso della madre terra, l’autogestione, l’autonomia, la ribellione, la libertà.

Ci dicono tutto questo scrivendo goffamente che è nella loro modernità dove si perpetrano i crimini più atroci; dove i neonati sono bruciati vivi ed i piromani sono deputati e senatori; dove l’ignoranza simula di reggere i destini di una nazione; dove si distruggono le fonti di lavoro; dove gli insegnanti sono perseguiti e calunniati; dove una grande menzogna è oscurata da una più grande; dove si premia ed elogia la disumanità ed ogni valore etico e morale è sintomo di “ritardo culturale”.

Per i grandi media pagati, loro sono i moderni, noi gli arcaici. Loro sono i civilizzati, noi i barbari. Loro sono quelli che lavorano, noi i fannulloni. Loro sono “le persone perbene”, noi i paria. Loro i saggi, noi gli ignoranti. Loro i puliti, noi gli sporchi. Loro sono i belli, noi i brutti. Loro sono i buoni, noi siamo i cattivi.

Ma tutt@ loro dimenticano la cosa fondamentale: questa è la nostra storia, il nostro modo di vederla e di vederci, il nostro modo di pensarci, di costruirci il nostro cammino. È nostra, con i nostri errori, le nostre cadute, i nostri colori, le nostre vite, le nostre morti. È la nostra libertà.

La nostra storia è così.

Perché quando noi zapatisti, zapatiste, disegniamo una chiave in basso e a sinistra in ogni fotogramma del nostro film, non pensiamo quale porta aprire, ma quale casa e quale porta bisogna costruire affinché quella chiave abbia un motivo ed un destino. E se la colonna sonora di questo film ha il ritmo di una polka-ballata-corrido-ranchera-cumbia-rock-ska-metal-reggae-trova-punk-hip-hop-rap-e-tutto-il-resto non è perché non abbiamo nozioni musicali. È perché quella casa avrà tutti i colori e tutti i suoni. Ed avrà allora sguardi e uditi nuovi che comprenderanno il nostro impegno… benché in quei mondi a venire saremo solo silenzio e ombra.

Ergo: noi abbiamo immaginazione, loro hanno solo schemi con opzioni definitive.

Per questo il loro mondo crolla. Per questo il nostro risorge, proprio come quella lucina che anche se piccola riesce a proteggere dall’ombra.

Bene. Salve e che compiamo gli anni molto felici, cioè, lottando.

Il Sup che si fa bello con i video che deve inserire per, come per dire, mettere la candela sulla torta che non dice, ma si sa trentaqualcosa.

Messico, Novembre 17 del 2013

Trentesimo anniversario dell’EZLN

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Video che racconta la storia del “Cane che dentro era un gatto”, di Siri Melchoir. Regno Unito, 2002. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=mOeqShdf-gY

Un gatto-cane in azione. Notare come torna alla sua identità segreta quando viene scoperto. http://www.youtube.com/watch?v=UvMs1v7RWDg&feature=player_embedded

Brevissimo riferimento all’inizio del cinema. Attenzione al mini corto: “Annie Oackley”, secondi dal 20 al 26. http://www.youtube.com/watch?v=3HgRU6DeiGQ&feature=player_embedded

“L’arrivo del Treno”, dei Fratelli Lumiere, 1895. http://www.youtube.com/watch?v=qawVtd32DOQ&feature=player_embedded

Para un compleanno così diverso come quello dell’ezetaelene, Las Otras Mañanitas, con Pedro Infante ed i Beatles. http://www.youtube.com/watch?v=60bLrafCA5c&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 14 novembre 2013

La JBG Corazón del arcoiris de la esperanza denuncia invasione di terre e aggressioni

Hermann Bellinghausen

La Giunta di Buon Governo (JBG) Corazón del arcoiris de la esperanza, del caracol zapatista di Morelia, Chiapas, ha denunciato l’invasione di alcune terre, aggressioni e minacce di morte nell’ejido 10 de Abril, municipio autonomo 17 de Noviembre, da parte di membri della CIOAC-histórica. Il 18 ottobre, circa 60 persone dell’ejido 20 de Noviembre, appartenenti alla CIOAC-histórica, hanno aperto un sentiero sul nostro terreno recuperato. Una commissione della JBG ha chiesto loro perché lo stavano facendo e gli invasori hanno reclamato la proprietà del terreno; la JBG ha chiesto perchè proprio ora la reclamassero se gli zapatisti coltivano queste terre dal 1994.

La JBG identifica come autori intellettuali i dirigenti Antonio Hernández e Luis Hernández, e precisa che le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale su quel terreno, 20 ettari sono coltivati a caffè, fagioli, mais e banane.

Un’altra parte è riserva ecologica. La commissione della JBG aveva citato gli invasori per il 21 ottobre, ma questi non si sono presentati. La JBG ha inviato quindi una nuova citazione per il giorno 25. Allora si sono presentate 60 persone guidate da Tranquelino González López, Arnulfo González Jiménez, Arnulfo Luna Vázquez e Gerónimo Álvarez Vázquez. I rappresentanti della JBG hanno chiesto: Avete qualche documento che garantisce che la terra è vostra? E questi hanno risposto di non aver portato con loro i documenti perché pioveva molto.

E’ stato chiesto loro anche se sapessero quanti ettari si supponessero di loro appartenenza. Hanno risposto di non saperlo ed hanno addotto il pretesto di reclamare queste terre perché già gli ejidatarios dell’ejido 20 de Noviembre hanno frazionato le terre secondo la riforma di legge dell’articolo 27 della Costituzione, fatta da Carlos Salinas, e siccome sono stati esclusi, si stanno mettendo dove lavoriamo noi. Per la JBG, in conseguenza della cattiva politica dei malgoverni, stanno pagando tutti quelli che lottano degnamente.

In quell’incontro non successe niente; loro si impegnavano a non lavorare nel terreno e noi avremmo provveduto ad una consultazione. I cioaquistas hanno violato questo piccolo accordo ed il 6 novembre sono arrivati minacciando di ammazzare uno di noi. Gli invasori avevano già tentato di farlo nel 2007, anche se il sentiero che hanno aperto adesso non coincide con il confine di allora. È evidente che è un furto, sostiene la giunta zapatista.

L’8 novembre hanno aggredito i cameraman della JBG e tagliato la recinzione del pascolo. Il giorno 9 sono venuti pronti allo scontro ed hanno tentato di portare via un compagno. Il lunedì 11 sono venuti con un camioncino per spiarci. Il martedì 12 sono arrivate circa 200 persone in tre gruppi, un gruppo delimitava il terreno, un altro lo recintava ed un altro lo ripuliva. Erano accompagnati da Umberto Torrefa’ MéndeTorres Méndez, del villaggio Gabino Barreda, e Caridad Alcázar López, provenienti da Altamirano; dicevano di essere venuti “su ordine di Manuel Velasco Coello ‘per cercare di dialogare’, ma ci siamo chiesti, dialogare su cosa?, noi non parliamo con i bugiardi”, aggiunge la JBG. Ci siamo accorti che sono protetti ed istruiti dal governo e dal presidente municipale di Altamirano, da dove viene il rappresentante di governo, anche se quelli della CIOAC-histórica  vengono da Comitán; questo vuol solo dire che è tutto pianificato. La JBG rileva che, nonostante ci fosse una commissione di Manuel Velasco, gli aggressori della CIOAC-histórica hanno danneggiato l’insegna dell’ejido.

Gli abitanti del villaggio 10 de Abril conoscono perfettamente la storia del terreno. Quando ci vivevano i nostri sfruttatori, si lavorava duramente senza salario”. Nel 1994 sul terreno pascolavano vacche svizzere e zebù. Negli anni successivi nessuno lo ha reclamato per l’ejido 20 de Noviembre. La JBG sottolinea che gli invasori non hanno problemi a muovere una gran quantità di persone perché in questo sporco gioco ci sono un sacco di soldi; danno cento pesos al giorno a chi si presta a far casino. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/14/politica/021n1pol

Comunicato completo

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 12 novembre 2013

Giunta di Buon Governo denuncia persecuzione contro gli autotrasportatori indipendenti di Ocosingo

Hermann Bellinghausen

La Giunta di Buon Governo (JBG) El camino del futuro, del caracol zapatista di La Garrucha, Chiapas, ha denunciato che dirigenti del sindacato centrale dei camionisti di Ocosingo e l’ex deputato César Yáñez, appoggiati dalle autorità governative, impediscono di lavorare agli autotrasportatori indipendenti, sequestrano i loro mezzi ed hanno fatto emettere mandati di cattura contro otto di loro.

Il 10 aprile scorso è stato sequestrato il camion del compagno Elías, di Ocosingo, che è base di appoggio dell’EZLN. Quelli che hanno sequestrato il camion sono del sindacato centrale dei camionisti, perché il compagno Elías applica tariffe buone e corrette per il trasporto di ghiaia e materiali, segnala la JBG. Lo accusano anche di non avere la concessione del malgoverno, ma questo compagno non ne ha bisogno, perché tutti abbiamo il diritto e la libertà di lavorare.

Le autorità della JBG affermano di aver cercato una soluzione. Abbiamo citato i 10 segretari del sindacato centrale, ma non si sono presentati. Noi volevamo solo cercare una buona soluzione tra le parti, ma non hanno voluto presentarsi e continuano a sequestrare i camion. Ora esigiamo il dissequestro del camion, e che paghino per il lavoro perso in questi sei mesi.

Il 10 settembre, quelli del sindacato centrale hanno sequestrato un camion nero, modello 1992, Mercedes Benz, di proprietà di Roberto Alejandro Ríos Aguilar, del sindacato dei camionisti indipendenti al servizio del popolo. “Sui veicoli c’è la decalcomania del Che e di Zapata”, precisa la JBG.

Il 1º novembre, persone del sindacato centrale hanno sequestrato altri tre camion, uno di proprietà di Jorge Armando Alcázar Aguilar, dello stesso gruppo indipendente, e gli altri di Enrique Heriberto Penagos Ruiz ed Emilio Alcázar. Chi organizza queste provocazioni è César Yáñez, ex deputato federale, insieme a quelli del sindacato centrale di Ocosingo, perché vuole impadronirsi di tutto per arricchirsi. Conosciamo bene inoltre cosa fanno per corrompere le autorità, le quali non fanno niente contro queste provocazioni perché sono loro complici. Yáñez è padrone del deposito di Ocosingo dove si trovano i veicoli.

Quelli del sindacato centrale sono riusciti a far emettere mandati di cattura contro otto autotrasportatori indipendenti di Ocosingo: Orlando Matías García, Carlos Jorge Sánchez Guíen, Hugo Alberto Sánchez Guién, Baltasar Eliseo Trejo Vallinas, Octavio García Trujillo, Leonel Esteban Aguilar e Rósember Nájera. La JBG esige la cancellazione di questi mandati di cattura e la restituzione dei camion sequestrati. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/12/politica/017n1pol

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La Jornada – Domenica 10 novembre 2013

Denuncia di persecuzione giudiziaria contro uno zapatista

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 novembre. La giunta di buon governo (JBG) El camino del futuro, del caracol di La Garrucha, denuncia la persecuzione giudiziaria contro Alfonso Cruz Espinosa, base di appoggio zapatista, per l’abbattimento di “un piccolo albero” di sua proprietà, mentre i veri devastatori criminali godono di protezione ufficiale.

Il 23 settembre, la signora María Socorro Trujillo e le sue figlie (madre e sorelle di Cruz Espinosa) chi vivono nella città di Ocosingo e già precedentemente usate dal governo statale per perseguire giudiziariamente Alfonso, “hanno fabbricato delle accuse contro il nostro compagno” che vive a San Antonio Toniná.

L’albero in questione è servito per costruire il negozio di artigianato del municipio ribelle Francisco Gómez, vicino al sito archeologico di Toniná. “Le basi di appoggio zapatiste hanno abbattuto questo alberto su autorizzazione della JBG e dei quattro municipi autonomi”.

La JBG esige la cancellazione immediata del mandato di cattura contro il suo compagno “perché è innocente”, e chiede: “Perché non sono in prigione quei farabutti che saccheggiano, rubano e distruggono le risorse naturali negli ejidos di San Miguel, Nuevo Pataté, Tierra Negra, Pamalá ed in altre comunità in territorio zapatista?”. La JBG denuncia che “i tre livelli del malgoverno hanno dato il permesso di tagliare legna al signor Mauricio, di Comitán”, che ora abbatte “migliaia di pini ogni giorno in tronchi e tavole”.

Le autorità autonome sottolineano che “il governo federale ogni giorno trasmette per radio e televisione che bisogna preservare l’ambiente”, ma è “una bugia”, perché in realtà “stanno distruggendo i boschi ed alberi preziosi”. Chiedono che siano arrestati quelli che rubano gli alberi delle comunità. “Come popoli zapatisti difenderemo quello che è nostro”, avvertono. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/10/politica/013n1pol

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(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 9 novembre 2013

L’indulto a Patishtán non significa giustizia, dicono nel suo villaggio dove lo aspettano

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Juan El Bosque, Chis., 8 novembre. “Non c’è nessun merito di plauso nella liberazione di Patishtán. Non significa giustizia. Non avrebbe mai dovuto stare in prigione. Se è sempre stato innocente, perché abbiamo dovuto aspettare più di 13 anni ed un intervento del presidente della Repubblica?”, sostiene il Movimiento del Pueblo de El Bosque por la Libertad de Alberto Patishtán. “Le autorità dovrebbero chiedere scusa in ginocchio alle persone punite ingiustamente ed ammettere ‘sì, abbiamo sbagliato, siamo colpevoli’. Credono di lavarsene le mani con l’indulto”.

“Qui non c’è posto per il parola ‘indulto’; ci pesa”, sostengono i portavoce del movimento nell’intervista a La Jornada. “Loro sapevano che quella punizione era immeritata, hanno garantito che ciò avvenisse, perché è così che funziona la giustizia”.

Ammettono anche, e lo sottolineano, che tutto il movimento nazionale e internazionale che per anni ha sostenuto la stessa battaglia degli abitanti di questo villaggio tzotzil a nord degli Altos, non sarebbe stato possibile senza il supporto dell’Altra Campagna, dopo la Sexta, e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), e da lì tante organizzazioni che si sono sono aggiunte.

Ma, sottolineano, “è stata la comunità di El Bosque a tenere sempre alta la lotta. Senza la sua gente, Patishtán non avrebbe ottenuto la liberazione”.

Martín Ramírez López e Pascual Gómez López si alternano per sostenere la posizione degli indigeni e raccontare come è stata accolta qui la notizia il pomeriggio del 31 ottobre: “La gente applaudiva, alzava i pollici, per strada gridava ‘arriva Patishtán’! Hanno sparato i razzi. Ancora nella notte del 31 ottobre, quando il professore è stato liberato, c’erano gruppi di persone per strada che dopo tanti anni finalmente festeggiavano”.

Il professor Martín racconta: “La famiglia ed il comitato avevano tre impegni col villaggio: comunicare la notizia una volta confermata; spiegare che non ritornerà fino a che non sarà completata la sua cura, e ringraziare tutti nel villaggio, le organizzazioni, le diverse chiese e la gente in generale”. Qui, dice, “il 99% è per la sua innocenza; contrari sono solo quelli che l’hanno accusato”.

Pascual, con una maglietta con stampato il volto di Patishtán (“adesso l’appenderò in casa”), interviene: “Il giorno della sua liberazione nel villaggio non c’era elettricità né campo per i cellulari, ed io che ero il contatto con i compagni a Città del Messico non riuscivo a mettermi in comunicazione. Eravamo disperati. Fino che un signore ci prestò il suo telefono e così riuscimmo a parlare e poi avvisare la famiglia. L’annuncio è stato dato di continuo attraverso la nuova radio FM e la gente era molto contenta”.

Il primo rivela che c’è la proposta di “convocare una carovana che accompagni il suo ritorno da DF”. Non c’è una data, ma nel villaggio lo stanno aspettando. “Il morale è alto e sono tutti contenti. Per 13 anni hanno gridato a livello municipale, nazionale, internazionale. Hanno vinto questa battaglia, è il risultato di tutti i gruppi sociali”. Ed aggiunge: “Il governo credeva che prima o poi la smettessimo, ma non sarebbe mai successo né in 20 o 30 anni. Allora hanno aperto le porte ad un uomo innocente. Ma ce ne sono ancora molti altri”.

Pascual spiega che “il governo non ha concesso nulla, da parte nostra abbiamo sempre fornito ottimi argomenti, ed è vero, sono stati modificati alcuni articoli di legge, ma non ci importa perché il governo non ha voluto dichiarare l’innocenza di Patishtán”. Se ci fosse una vera giustizia “le riforme non sarebbero necessarie; ora molti detenuti impareranno che devono prendere coscienza”.

Ramírez López afferma: “La vera spina è avvenuta nel gennaio del 2006 quando il subcomandante Marcos sostiene i detenuti della prigione di El Amate e Patishtán ed i suoi compagni fanno sapere che dal 2005 fanno parte dell’Altra Campagna. E’ stato molto importante anche quando nel 2012, durante le azioni presso le ambasciate di diversi paesi, c’erano i cartelli con foto dello zapatista Francisco Santiz e del profe. Questo ha aiutato molto”.

Insiste che si deve indagare sui falsi testimoni, in particolare su Manuel Gómez Ruiz, il presidente municipale nel 2000, e suo figlio Rosemberg, il testimone che l’accusava. “Le autorità sanno che bisogna indagare sull’imboscata – che lasciò sette poliziotti morti e per la quale fu accusato e condannato Patishtán Gómez nel 2001 – e stabilire le responsabilità di chi ha usato la giustizia per vendetta contro un innocente”.

Ramírez López, compagno di studi e di lotta del professore da più di 18 anni, conclude: “Patishtán è libero, ma la lotta continua”. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/09/politica/014n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 7 novembre 2013

Sequestrato un ragazzo di 18 anni a San Sebastián Bachajón, Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 6 novembre. Ejidatarios di San Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno denunciato il sequestro di un giovane nella comunità Xanil, appartenete allo stesso ejido, questo martedì. Il fatto è accaduto verso le ore 13:00, quando quattro individui hanno sequestrato Herminio Estrada Gómez, di 18 anni.

“Non sappiamo dove si trovi e nemmeno se sta bene; non intendono nemmeno consegnarlo al Pubblico Ministero competente – nel caso lo stiano accusando di qualche reato – ma stanno chiedendo denaro in cambio della sua libertà”, hanno denunciato gli ejidatarios aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, che recentemente sono stati minacciati e vessati dalle autorità ejidales filogovernative.

I querelanti indicano come i sequestratori Santiago Alvaro Moreno, supplente del commissario ejidale ed abitante della comunità Xanil 2ª Sezione, Juan Álvaro Moreno e Santiago Álvaro Gómez, oltre a Manuel Jiménez Moreno della comunità di Pamalha. Hanno inoltre sequestrato la sua auto tipo Pointer, denunciano.

Queste persone sono già note per le loro azioni violente, Álvaro Moreno e Jiménez Moreno erano nel gruppo armato che cacciò i nostri compagni dal botteghino di ingresso alle cascate di Agua Azul il 2 febbraio 2011: sono violenti e sono dei veri delinquenti che non hanno rispetto per nessuno. Questi criminali hanno anche inventato false accuse contro i nostri compagni Miguel Vázquez Deara, ora libero, ed Antonio Estrada Estrada, detenuto a Playas de Catazajá, ed hanno partecipato alla sua cattura insieme ai poliziotti.

Gli ejidatarios della Sexta informano che il giorno 5 è stata presentata una denuncia contro queste quattro persone al Pubblico Ministero per gli affari indigeni di Bachajón, perché è molto grave quello che stanno facendo: senza alcun diritto privano della libertà e della sua auto il nostro compagno, ma ancora non è ci sono state azioni perché il nostro compagno è tuttora sequestrato.

Al governo dello stato chiedono che sia garantita la vita e la libertà immediata del ragazzo Estrada Gómez. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/07/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 6 novembre 2013

Minaccia di sgombero violento della cava di sabbia dei tzeltal 

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 5 novembre. Gli ejidatarios tzeltal di San Sebastián Bachajón aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona denunciano che il commissario ejidael, affiliato ai partiti e filogovernativo, Alejandro Moreno Gómez, ed il consigliere di vigilanza Samuel Díaz Guzmán, stanno organizzando lo sgombero violento, da un momento all’altro, della nostra cava di sabbia Nah Chawuk, recentemente realizzata come organizzazione ed ejidatarios a beneficio del popolo.

Sostengono che la realizzazione della cava, lo scorso 24 settembre, “è avvenuta in esercizio del nostro diritto come indigeni e ejidatarios di controllare e proteggere il nostro territorio, ed in risposta ai loschi affari che girano intorno alla cava principale che è tuttora nelle mani del malgoverno, come gli fu cosegnata a suo tempo dall’ex commissario Francisco Guzmán Jiménez (El Goyito), così come le terre espropriate il 2 febbraio 2011, sulle quali il malgoverno ha costruito un botteghini di ingresso alle cascate di Agua Azul gestiti dalla Commissione Nazionale per le Aree Naturali Protette”.

Gli indigeni dicono essere a conoscenza che le autorità ejidales filogovernative si stanno recando costantemente a Tuxtla Gutiérrez per chiedere al governo di cacciare con la forza pubblica la cava, dicendo che si tratta della cava principale che però è già in possesso del governo.

Fino a questo momento non sono riusciti a far venire la polizia a picchiare i nostri compagni e compagne che coraggiosamente e con dignità lavorano in forma collettiva a Nah Chawuk. Per questo i filogovernativi stanno cercando di radunare alcune persone dell’ejido per sgomberare la nostra cava di sabbia, come fecero il 2 febbraio del 2011, quando persone di Guzmán Jiménez, e con i finanziamenti di Leonardo Guirao Aguilar, attuale presidente municipale di Chilón, arrivarono armati a sgomberare i compagni che lavoravano al botteghino di ingresso costruito dalla nostra organizzazione a settembre del 2009.

Sostengono che non permetteranno di essere umiliati e discriminati per la loro lotta ed organizzazione. Vogliamo continuare ad essere un popolo, difendere la nostra cultura, identità, vogliamo continuare ad essere quello che siamo, come ha detto il nostro compagno scomparso Juan Vázquez Guzmán, continueremo a lottare costi quel che costi, non abbiamo paura; la nostra organizzazione non cerca lo scontro, sono il malgoverno e le autorità ejidales filogovernative che studiano come distruggere l’organizzazione per non avere ostacoli a vendere la terra e trarne profitti; sono loro i veri provocatori della violenza e vogliono che ci sia sempre divisione perché non vogliono che il popolo si unisca contro la loro corruzione ed il saccheggio del nostro territorio.

Gli ejidatarios della Sexta chiedono la liberazione immediata di due loro compagni di San Sebastián, Antonio Estrada Estrada e Miguel Demeza Jiménez, ingiustamente detenuti a Playas de Catazajá e El Amate, così come di Alejandro Díaz Sántiz, solidario de la Voz del Amate detenuto a San Cristóbal de las Casas. Salutano con gioia il loro compagno Alberto Patishtán Gómez che è riuscito ad abbattere i muri dalla prigione e si trova ora felicemente con la sua famiglia. Salutano anche la campagna internazionale di solidarietà con la loro difesa del territorio, convocata dalla Rete di Solidarietà Zapatista del Regno Unito e dal Movimiento por la Justicia del Barrio di New York. http://www.jornada.unam.mx/2013/11/06/politica/014n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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CATTIVE NOTIZIE, MA ANCHE NO

 Novembre 2013

Alle/Agli student@ che hanno frequentato o vogliono frequentare il primo livello della Escuelita Zapatista:

A chi di competenza:

Compagni, compagne e compagnei,

Come al solito, hanno incaricato me di darvi le brutte notizie. Eccole qua.

PRIMO.- I conti (controllate bene le somme, sottrazioni e divisioni perché la matematica non è il mio forte, voglio dire, proprio non lo è):

A).- Spese del primo livello di agosto 2013 per 1281 allievi:

– Materiale scolastico (4 libri di testo e 2 dvd) per 1281 allievi: $100,000.00 (centomila pesos m/n – 5.674,00 euro).

– Spese di trasporto e vitto per 1281 allievi dal CIDECI alle comunità in cui hanno frequentato il corso e ritorno: $339,778.27 (trecentotrentanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 19.278,44 euro) così suddivisi:

Spese di ogni Zona per portare gli allievi dal CIDECI e distribuirli in ogni villaggio in auto e ritorno al CIDECI, oltre al vitto per i bambini portati dagli allievi.

Realidad ————- $ 64,126.00 – 3.638,40 euro

Oventik—————- $ 46,794.00 – 2.655,00 euro

Garrucha————– $ 122,184.77 – 6.932,56 euro

Morelia—————- $ 36,227.50 – 2.055,49 euro 

Roberto Barrios—- $ 70,446.00 – 3.996,99 euro

Totale generale —– $ 339,778.27 – 19.278,44 euro 

Nota: Sì, anche a me sono balzati agli occhi i “77 centesimi”, ma questi sono i conti che mi hanno passato. Ovvero, non siamo per gli arrotondamenti.

– Spese di trasporto per 200 guardiani al CIDECI dove hanno impartito i corsi e ritorno: $40,000.00 (quarantamila pesos – 2.269,53 euro). Il loro vitto è stato offerto dalle/dai compagn@ del CIDECI-Unitierra. Grazie al Doc Raymundo e a tutte/tutti i compas del CIDECI, in particolare alle/agli addette/i alla cucina (occhio: mi dovete i tamales). 

Totale delle spese delle comunità zapatiste per il corso di primo livello di agosto 2013 per 1281 alunni: $479, 778.27 (quattrocentosettantanovemilasettecentosettantotto pesos e ventisette centesimi – 27.221,80 euro).

Spesa media per allievo: $374.53 (trecentosettantaquattro pesos e cinquantatre centesimi m/n – 21,25 euro).

B).- Entrate della Escuelita Zapatista:

Entrate per l’iscrizione (il contenitore installato al CIDECI): $ 409,955.00 (quattrocentonovemilanovecentocinquantacinque pesos m/n – 23.260,2 euro).

Valuta locale: $ 391, 721.00

Dollari: $ 1,160.00

Euro: $ 175,00 

Entrate medie per il pagamento dell’iscrizione di ogni allievo: $320.02 (trecentoventi pesos e due centesimi – 18,16 euro).

SECONDO.- Riassunto e conseguenze:

In media, ogni allievo è costato $54.51 (cinquantaquattro pesos e cinquantuno centesimi m/n – 3,10 euro), che sono stati coperti grazie alle donazioni solidali. Cioè, gli allievi si sono aiutati tra loro.

Cioè, come si dice, i conti non tornano compas. È stato grazie al fatto che qualche allievo ha versato più dei cento pesos obbligatori (alcuni non hanno versato nulla) ed alle donazioni di persone generose, che siamo riusciti appena ad andare alla pari.

Ringraziamo di cuore coloro che hanno dato di più e chi ha fatto queste donazioni straordinarie. E dovrebbero ringraziarli anche quelli che non hanno versato tutti i cento pesos o non hanno dato assolutamente niente.

Sappiamo che difficilmente si ripeterà che qualche partecipante paghi il corso per altri, quindi ci troviamo di fronte alle seguenti opzioni:

a).- Chiudiamo la escuelita.

b).- Riduciamo il numero a quello che possiamo coprire noi zapatisti. Il Subcomandante Insurgente Moisés mi dice che sarebbero circa 100 per caracol, 500 in totale.

c).- Aumentiamo il costo e lo rendiamo obbligatorio.

Crediamo che non si debba chiudere la escuelita perché ci ha permesso di conoscere e farci conoscere da persone che prima non conoscevamo né ci conoscevano.

Pensiamo anche che se riduciamo il numero dei partecipanti, molti si irriteranno o si arrabbieranno perché hanno già preparato tutto per partecipare e potrebbero restare fuori. Soprattutto ora che sanno che l’essenza del corso sta nelle comunità e nei guardiani. E poi, siccome toccherebbe a me dare la notizia, sarei inondato di insulti.

Quindi non resta che chiedervi di pagare per le vostre spese di trasposto e vitto. Sappiamo che questo, oltre ad infastidire qualcuno, può lasciarne fuori altri. Per questo vi avvisiamo per tempo affinché troviate il modo di provvedere al pagamento per voi o per i vostri compas che vogliono e possono partecipare ma non riescono a provvedere al pagamento. 

Il costo dunque sarà di $ 380.00 (trecentottanta pesos m/n – 21,56 euro) per studente e dovrà essere versato al momento della registrazione al CIDECI nei giorni che saranno indicati. Se inoltre vorrete portare un chilo di fagioli ed uno di riso, sarebbe gradito.

Per favore, vi supplichiamo, vi preghiamo, vi imploriamo di specificare chiaramente con chi venite, quanti siete e che età avete, perché poi arrivano email che dicono “vengo con i miei figli” e quando arrivano sono il doppio del casting di “The Walking Dead”. Tutti quelli che partecipano devono prima registrarsi, che siano bambini, adulti, anziani, morti viventi. 

E specificate le date della vostra partecipazione. Ci sono 2 date, una alla fine di dicembre ed un’altra agli inizi di gennaio. È importante sapere a quale vi iscrivete perché, come sapete, c’è una famiglia indigena che si prepara ad accogliervi ed assistervi, una od un custode che si prepara a guidarvi, un autista che prepara il suo veicolo per trasportarvi, un intero villaggio che vi riceve. E specificate anche se andrete in comunità o frequenterete il corso presso il CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Ah, e venite ad ascoltare ed imparare, perché c’è chi è venuto ad impartire lezioni di femminismo, vegetarianismo, marxismo ed altri “ismo”. Ed ora sono arrabbiati perché gli zapatisti non obbediscono a quello che sono venuti ad insegnare, tipo: che dobbiamo cambiare la legge rivoluzionaria delle donne come dicono loro e non come decidano le zapatiste; che non capiamo i vantaggi della marijuana; che non dobbiamo fare le case di cemento perché sono meglio con fango e paglia; di non usare le scarpe perché camminando scalzi siamo più a contatto con la madre terra. Infine, di obbedire a quello che ci vengono ad ordinare… cioè, di non essere zapatisti. 

CASI PARTICOLARI: Le/Gli Anarchici.

Vista la campagna Anti-Anarchica lanciata dalle anime belle e dalla sinistra di facciata, unite nella santa crociata con la destra ancestrale per accusare giovani e vecchi anarchici di sfidare il sistema (come se l’anarchismo avesse altra opzione), oltre a scomporre le loro scenografie (spegnere la luce è per non vedere gli anarchici?), e portata al delirio con definizioni come “anarco-halcones“, “anarco-provocatori”, “anarco-porros“, “anarco-eccetera” (da qualche parte ho letto la definizione di “anarco-anarchico”, non è sublime?), noi zapatiste e zapatisti non possiamo ignorare il clima di isteria che, con tanta fermezza, chiede ed esige che si rispettino le vetrine (che non mostrano bensì occultano quello che succede proprio dietro il banco: condizioni di lavoro da schiavi, niente igiene, pessima qualità, basso livello di alimentazione, riciclaggio di denaro sporco, evasione fiscale, fuga di capitali).

Perché adesso sembra che queste ruberie mal dissimulate chiamate “riforme strutturali”, che la sottrazione del lavoro ai maestri, che la vendita “outlet” del patrimonio della Nazione, che il furto che il governo perpetra nei confronti dei governati attraverso le imposte, che l’asfissia fiscale – che favorisce solo i grandi monopoli – che tutto è colpa degli anarchici.

Che la gente per bene non scende in strada a protestare (ma lì ci sono le marce, i presidi, i blocchi, le scritte, i volantini. Sì, ma sono dei maestri-autisti-ambulanti-studenti-cioè-ignoranti-di-provincia, io dico gente per bene-bene-del-df. – Ah, la mitica classe media, tanto corteggiata e contemporaneamente disprezzata e defraudata da tutto lo spettro mediatico e politico-), che anche la sinistra istituzionale sottrae gli spazi di manifestazione, che “l’unico oppositore al regime” è stato offuscato ancora una volta dai senza nome, che l’imposizione arbitraria ora si chiama “dialogo e negoziazione”, che l’assassinio di migranti, di donne, di giovani, di lavoratori, di bambini, che tutto è colpa degli anarchici.

Per chi milita e rivendica come appartenente alla “A”, bandiera senza nazioni né frontiere, e che è parte della SEXTA, ma che sia veramente militante e non solo per moda di abbigliamento o di calendario, abbiamo, oltre ad un abbraccio compagno, una richiesta speciale: 

Compas Anarchici: noi zapatisti, non vi attribuiremo le nostre deficienze (compresa la mancanza di immaginazione), né vi riterremo responsabili dei nostri errori, tanto meno vi perseguiteremo per essere chi siete. Inoltre, vi dico che diversi invitati di agosto hanno cancellato l’iscrizione perché dicevano di non poter condividere l’aula con “giovani anarchici, straccioni, punk, gente con gli orecchini e pieni di tatuaggi”, che avrebbero aspettato (quelli che non sono giovani, né anarchici, né straccioni, né punk, né con gli orecchini, né pieni di tatuaggi) una scusa e che si ripulisse il registro. Continuano ad aspettare inutilmente.

Quello che vi chiediamo è che al momento della registrazione, consegnate un breve testo, massimo un foglio, dove rispondete alle critiche ed alle accuse che sono state fatte contro di voi sui media prezzolati. Questo testo sarà pubblicato in una sezione speciale della nostra pagina elettronica (enlacezapatista.ezln.org.mx) ed in una rivista-fanzine-come-si-dice di prossima pubblicazione nel mondo mondialmente mondiale, diretta e scritta da indigeni zapatisti. Sarà un onore per noi avere nel nostro primo numero la vostra parola insieme alla nostra.

Eh?

Sì, sì è valido un foglio con una sola parola che riempia tutto lo spazio: qualcosa come “MENTITE!”. O qualcosa di più esteso come “Vi spiegherei cos’è l’Anarchismo se pensassi che lo capireste”, o “L’Anarchismo è incomprensibile per i nani del pensiero”; o “Le trasformazioni reali prima appaiono nella cronaca nera”; o “Me ne frego della polizia del pensiero”; o la seguente citazione dal libro “Golpes y Contragolpes” di Miguel Amorós: “Tutti dovrebbe sapere che il Black Bloc non è un’organizzazione ma una tattica di lotta di strada simile alla “kale borroka” [guerrigli urbana – n.d.t.] che una costellazione di gruppi libertari, “autonomi” o alternativi, praticava dalle lotte degli squats (“ocupazioni”) negli anni ’80 in molte città tedesche” ed aggiungere qualcosa come “pensateci bene prima di criticare qualcosa. L’ignoranza ben scritta è come un’idiozia ben pronunciata: uguale a inutile”.

Infine, sono sicuro che non vi mancheranno le idee.

TERZO.- Un notizia non tanto cattiva: vi ricordo le date e la modalità per chiedere l’invito e la vostra iscrizione:

Data del secondo turno della escuelita:

Registrazione il 23 e 24 dicembre 2013

Lezioni dal 25 dicembre fino al 29 dicembre di quest’anno. Partenza il giorno 30.

E per chi vuole fermarsi alla festa del 20° anniversario dell’insurrezione zapatista, per festeggiare e ricordare l’alba del 1° gennaio del 1994: festa il giorno 31 dicembre ed il 1° gennaio.

Data del terzo turno della escuelita:

Registrazione il 1° e 2 gennaio 2014

Lezioni dal 3 gennaio al 7 gennaio del 2014. Partenza per i propri luoghi di origine il giorno 8 gennaio 2014.

Per chiedere l’invito e la registrazione, scrivete al seguente indirizzo:

escuelitazapDicEne13_14@ezln.org.mx

QUARTO.- Un’altra non tanto cattiva notizia è che si suppone che io vada ad aprire questa tappa con un testo molto altro, per salutare le/i nostr@ mort@, il SubPedro, Tata Juan Chávez, la Chapis, i bimbi dell’asilo ABC, la classe insegnante in resistenza, e con un racconto di Durito ed il Gatto-Cane. Ma, siccome mi hanno detto che urgeva la questione dei conti e la ratifica delle date, sarà per un’altra volta. Si sa: l’urgenza non lascia tempo alle cose importanti. Così vi siete risparmiati di leggere di cose che non sono “trascendenti-per-la-congiuntura-presente”… per ora.

Bene. Salve e, ci crediate o no, il mondo è più grande del titolo mediatico più scandaloso. È questione di ampliare il passo, lo sguardo, l’udito… e l’abbraccio.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupMarcos

Portinaio della Escuelita e addetto alle cattive notizie.

Messico, novembre 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo:

Kenny Arkana con questo rap dal titolo “V pour Verités” (“V per Verità”). In una parte dice: “benedetti siano quelli che si intromettono, quelli che costruiscono un’altra cosa ”. http://www.youtube.com/watch?v=9DLDPwXzb3Y&feature=player_embedded

Frammento del film “V per Vendetta” sulla relazione tra la paura e l’obbedienza, ed un altro modo di intendere le parole “giustizia” e “libertà”. http://www.youtube.com/watch?v=Go7vXPmZqw4&feature=player_embedded

Pedro Infante con la canzone “Yo soy quien soy”, di Manuel Esperón e Felipe Bermejo, nel film “La Tercera Palabra” con Marga López, Sara García e Prudencia Grifell, 1955, diretto da Julián Soler. Lo metto solo per rompere le palle a chi vuole che facciamo a modo suo o moda sua. http://www.youtube.com/watch?v=zDDXeVSLmqM&list=PL52E9C3142A936003&feature=player_embedded

Comunicato originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Lunedì 4 novembre 2013

Intervista ad Alberto Patishtán “Nel paese, almeno la metà dei detenuti è innocente”

Blanche Petrich

Guardando avanti, più col cuore che con gli occhi che gradualmente hanno perso la vista a causa di un tumore cerebrale, il maestro Alberto Patishtán, appena liberato dopo 13 anni di prigione ingiusta, valuta le grandi sfide da affrontare per risanare il sistema giudiziario ed evitare che, come sostiene, restino nelle prigioni del paese almeno la metà dei detenuti ammucchiati lì con accuse senza prove, innocenti a pagare reati di altri per la cecità delle autorità.

Nell’intervista con La Jornada, parlata dei detenuti conosciuti nelle prigioni dove ha trascorso la sua prima gioventù: Come posso dimenticarmi di loro se io stesso ho vissuto la prigione ingiusta?

Come il caso di Alejandro Díaz Santiz, tzotzil come lui, di Mitontic, da 15 anni in carcere deve scontarne altri 15 nel Cereso 5, di San Cristóbal. Fu arrestato e processato in un tribunale di Veracruz, accusato di avere ucciso il proprio figlio. Díaz sostiene la sua innocenza e denuncia un altro come l’omicida, ma la sua dichiarazione non fu presa in considerazione. Ebbe traduttore, ma in lingua nahua. E dicono che il suo processo è stato giusto. E’ una bugia!

Quasi un Gandhi per il suo discorso non violento e la sua spiritualità, a 42 anni Patishtán nell’intervista continua: “Sembra impossibile cambiare le cose, ma si deve fare. L’autorità parla di giustizia e democrazia e tutte queste cose, ma non è così. Se abbandonassero tutte le loro smanie ed ambizioni, se sgomberassero la mente e veramente prendessero coscienza… io gli dare i miei occhi affinché potessero vedere il fondo delle cose. Credo che sarebbe diverso”.

– Che cosa¿Qué propone?

– Vorrei aiutare tante persone. Ma credo che il compito principale spetti allo stesso detenuto che deve cominciare a gridare da dove si trova. Perché se non si fanno conoscere, se non fanno conoscere i loro nomi, non avviene il collegamento con la gente che vuole aiutare da fuori.

E poi, sempre perseverare. Che faccia caldo, freddo, che si abbia fame o no, accompagnato o senza compagnia, bisogna sempre avere perseveranza.

Che non si ripeta la stessa storia

Indigeno tzotzil, maestro in più materie, aderente di un movimento di resistenza, gli è piovuta addosso la fabbricazione di prove per l’omicidio di sette poliziotti nel 2000, in una comunità remota negli Altos del Chiapas. Condannato a 60 anni di prigione, Patishtán era il candidato ideale a restare dietro le sbarre fino al fine dei suoi giorni. Invece è diventato il volto di un ampio movimento di solidarietà iniziato con il piccolo collettivo, Ik, che è cresciuto fino ad incorporare le organizzazioni dei diritti umani del Messico e del mondo con qualche competenza sulla questione indigena.

– Diceva che se lei è un simbolo, lo è semmai per quello che ancora c’è da fare. Che cosa manca?

– La gente adesso potrebbe dire, bene abbiamo finito, Patishtán è uscito. No, manca ancora molto da fare affinché non si ripeta la stessa storia. Questo non possiamo permetterlo più. Ci sono molti compagni carcerati che meritano di uscire e che non escono. L’autorità è inflessibile, senza coscienza.

“Quando uno entra in prigione, gli dicono: qui non ci sono diritti. Ma se uno, anche se carcerato, mantiene la propria libertà interiore, può fare molte cose. Il Potere Giudiziario esiste per applicare la legge, ma non la giustizia; loro cercano qualcuno che paghi per un reato, non il colpevole.

“Quando mi arrestarono, chiesi loro di usare gli strumenti tecnologici, di sottoporre me e chi mi accusava alla macchina della verità. Io non sapevo se questi strumenti esistevano, ma li chiedevo. Ma neppure mi ascoltavano….”

E’ stato un prigioniero indomabile. Fin dal primo momento, a Cerro Hueco, Tuxtla Gutiérrez, organizzò i detenuti nella Voz de la dignidad rebelde. Per disarticolare il suo lavoro lo trasferirono nella prigione di El Amate, a Cintalapa, dove fondò La Voz del Amate. Per questo fu trasferito in un carcere federale di massima sicurezza a Guasave, Sinaloa.

Patishtán chiama quella prigione il cimitero dei vivi, l’unica prigione che conosco senza alcuna assistenza medica. Rinchiuso tutta la settimana, con un’ora d’aria, né un orologio, proibito parlare, tutto morto. Ho perfino imparato il linguaggio dei segni dei sordomuti.

– Lì non ha potuto organizzare i detenuti…

– Sì, ci sono riuscito, per poco, solo nella mia cella, con i miei compagni. Raccontavo loro delle storie con una morale, perché molti volevano ormai morire. E cantavo per loro.

Non c’è dubbio, è un uomo che guarda le avversità in maniera differente.

“Eì quello quello che mi hanno insegnato i miei nonni, Mariano e Andrea da parte materna e Lorenzo e María, già scomparsi, dal lato paterno. Mi hanno insegnato che bisogna saper ascoltare più che parlare. Per questo abbiamo due orecchie ed una sola bocca. Per ascoltare molto e parlare poco.

“Mi dicevano di dire le cose come stanno, per non perdere credibilità, perché altrimenti nessuna si fiderà di te. E mi hanno insegnato a fare attenzione alla natura. Quando bisogna tagliare l’albero per la capanna? Se si taglia con la luna crescente, non va bene, solo con la luna piena non ci sarà il pericolo delle tarme. E quando le formiche camminano in fila trasportando il loro cibo, quella stessa settimana pioverà. Quando l’uccello tzuntzerek cambia il suo cinguettio, come una seconda voce, sta avvisando che qualcosa succederà. E se succede, chi lo sa se è per coincidenza o volere di dio….”

– Quanto sono serviti questi insegnamenti in prigione?

– Potevo vedere al fondo delle cose, trascendere quello che si vede in superficie.

Lo zapatismo ed il maestro

Aveva 23 anni quando c’è stata l’insurrezione zapatista. Già era un attivista, simpatizzava con i compagni comprendendo che se la gente si era ribellata era per l’oppressione, per la politica faziosa. Partecipò alla creazione del Movimiento del Pueblo di El Bosque e del municipio autonomo San Juan de la Libertad, smantellato violentemente durante il governo di Roberto Albores Guillén, nel 1998, con una massacro.

“Il mio villaggio, El Bosque – dice –, non è grande. Ma nemmeno tanto piccolo, ma con diffusa emarginazione. I presidenti municipali governavano come se stessero facendo del bene, ma non era così. Loro se ne approfittano sempre, rubano dalle risorse della gente.”

Nel 2000, quando avvenne l’imboscata nella quale morirono sette poliziotti, il presidente municipale Manuel Gómez accusò falsamente Patishtán ed altri compagni.

– Che cosa accadde allora a El Bosque?

– Fecero germogliare i semi che regalai ad ognuno…

– Cosa significa essere portatore di semi?

– Il seme me lo dà un uomo molto conosciuto… il mio Dio. Mi dà questi semi ed io non me li tengo ma li devo condividere. E lì ecco il frutto, il Movimiento del Pueblo de El Bosque che si mantiene fermo, che dice sempre la verità. Non esige né chiede più di ciò di cui ha bisogno la gente, ma ciò che merita. Purtroppo le autorità non la vedono così, non siamo ben visti. Ma anche la mia prigionia ha fatto sì che le persone solidarizzassero di più; che l’organizzazione, invece di scemare, crescesse per la rabbia, il coraggio. La gente sapeva che ero innocente, e lo sa.

– È difficile contare quante marce si sono organizzate a El Bosque per la sua liberazione, vero?

– Il giorno che mi arrestarono fecero un presidio di un mese, occuparono il municipio. Ma il governo di Albores Guillén firmò con loro un accordo affinché lasciassero il municipio in cambio della mia liberazione, ma non rispettarono la parola e non mi liberarono. Per questo hanno continuato ad andare a San Cristóbal, a Tuxtla, fino a Città del Messico, con una piccola commissione per le risorse limitate. Così per 13 anni, fino a pochi giorni fa.

http://www.jornada.unam.mx/2013/11/04/politica/007e1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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PATISHTAN E’ LIBERO

Frayba: Indulto, giustizia insufficiente per Patishtán

Giubilo! È la parola, il sentimento, di chi ha atteso questo giorno.I l Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) si unisce alla gioia per la libertà ritrovata del professor Alberto Patishtan Gómez (d’ora in poi professor Patishtán) sottoposto dal governo per più di 13 anni di reclusione ingiusta come prassi nel sistema giuridico messicano nei confronti dei prigionieri politici.

In Messico si violano sistematicamente il diritto alla presunzione di innocenza, al giusto processo, all’uguaglianza di fronte alla legge ed alla non discriminazione nei confronti delle persone indigene detenute.

Riteniamo che l’azione dello Stato messicano dovrebbe comprendere come minimo questi tre passi: …. comunicato completo del Frayba

La Jornada – Venerdì 1° novembre 2013

Patishtán è libero

Il Presidente decreta l’indulto: è stato violato il giusto processo. Rilevate el suo caso gravi violazioni dei diritti umani
Fabiola Martínez

(…articolo completo..)

Lontano da loro padre, in Gabriela ed Héctor è nato il seme dell’impegno sociale

L’emendamento al Codice Penale potrebbe essere la chiave per liberare migliaia di presunti colpevoli detenuti

Blanche Petrich

(…articolo completo.)

Difendevo il mio popolo, per questo mi hanno messo in prigione, sostiene l’indigeno tzotzil

Non serbo rancore, afferma il professore

Fernando Camacho Servín

(… articolo completo..)

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Peña Nieto concederà oggi l’indulto ad Alberto Patishtán

México, DF. Il presidente Enrique Peña Nieto ha annunciato la decisione di concedere l’indulto ad Alberto Patishtán Gómez dopo l’entrata in vigore della riforma del Codice Penale Federale … (…articolo completo)

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La Jornada – Mercoledì 30 ottobre 2013

Aggressioni contro basi zapatiste nel villaggio Che Guevara

Hermann Bellinghausen

La giunta di buon governo (JBG) Hacia la esperanza, dal caracol zapatista di La Realidad, zona selva di frontiera del Chiapas, denuncia aggressioni e minacce contro le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nel villaggio autonomo Che Guevara. La JBG accusa i gruppi filogovernativi di Motozintla, appoggiati da funzionari statali e municipali, e segnala:

“Diciamo chiaramente che difenderemo questo terreno recuperato dall’EZLN costi quel che costi, perché è nostro diritto e nostra ragione, perché difendiamo solo ciò che è nostro e non stiamo fregando nessuno, come invece stanno facendo loro con i nostri compagni.”

Questi “atti di ingiustizia, provocazioni e furti che nuovamente stanno subendo i nostri compagni e compagne basi di appoggio sul terreno recuperato Che Guevara” stanno accadendo nel municipio autonomo Tierra y Libertad, nella comunità Belisario Domínguez del municipio ufficiale di Motozintla, vicino alla frontiera con il Guatemala.

La JBG riferisce che mesi fa, le famiglie zapatiste erano state minacciate di sgombero “dallo stesso gruppo di persone, manipolate da Guillermo Pompilio Gálvez Pinto, Carmela Oseguera Ramos e Silvano Bartolomé Pérez”, che un anno fa, il 17 ottobre 2012, “aggredirono gravemente con arma da fuoco uno dei nostri compagni.”

Ora, “queste stesse persone ed i loro capi” sono accompagnati nelle aggressioni e tentativi di sgombero “da persone dei malgoverni precisamente un consigliere comunale, un sindaco, cinque poliziotti, due agenti della stradale ed agenti rurali, che rispondono agli ordini del loro padrone, il presidente municipale di Motozintla de Mendoza, Oscar René González Galindo, che a sua volta riceve ordini dal cosiddetto governatore del Chiapas, Manuel Velasco Coello, che a sua volta risponde al latrato del suo padrone più in alto Enrique Peña Nieto, Presidente della Repubblica.”

Il 6 ottobre scorso, i funzionari e gli agenti “sono venuti qui per riconoscere ufficialmente la località ‘Ranchería 8 de Julio’, che è il nome che hanno dato alla parte di loro competenza”, ma hanno incluso il terreno recuperato del villaggio Che Guevara.

Il giorno 23, questo stesso gruppo “ha mandato un documento ad un nostro compagno per intimargli di rimuovere la conduttura” che gli fornisce l’acqua, sostenendo “che passa sul bordo del terreno di loro proprietà”, e gli davano un termine di cinque giorni.

“Bisogna segnalare che la conduttura che fornisce l’acqua” a Silvano Bartolomé Pérez “attraversa la parte di terreno che appartiene ai nostri compagni”, oltre ad una presa d’acqua “che hanno venduto”. La JBG precisa: “Non gli diciamo che tolgano la loro conduttura, perché non vogliamo provocarli, ma neanche vogliamo che ci provochino.”

Sabato 26, “queste persone hanno dato continuità all’invasione” costruendo un’abitazione nella parte in possesso delle basi zapatiste; ciò, ben sapendo che “quelle terre non gli appartengono e sono abitate dai nostri compagni.”

La JBG denuncia che queste “azioni di invasione e provocazione”, sono organizzate, manipolate e sostenute dai tre livelli dei malgoverni; noi zapatisti sappiamo capire e rispettare, a patto che ci rispettino; di fronte a questi fatti, esigiamo che i tre livelli di malgoverno controllino la propria gente affinché non peggiorino le cose e ci costringano a a prendere altri provvedimenti”.

Se i “malgoverni non prenderanno una posizione al riguardo e non controlleranno la loro gente”, saranno loro “i diretti responsabili di quello che potrà accadere”.

Comunicato della JBG

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La Jornada – Lunedì 7 ottobre 2013

Ejidatarios di Mitzitón creano la polizia comunitaria ecologica

Elio Henríquez. Corrispondente. Mitzitón, Chis., 6 ottobre. Gli abitanti di questo ejido appartenente al municipio di San Cristóbal de Las Casas, aderenti della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, hanno deciso di creare la Polizia Comunitaria Ecologica per difendere i loro boschi e territorio.

L’accordo firmato questo pomeriggio stabilisce che il provvedimento è stato adottato poiché il governo non ha fatto nulla per evitare il disboscamento illegale perpetrato dal 2009 dal gruppo guidato da Carmen Díaz López, Gregorio Gómez Jiménez e Francisco Gómez Díaz, nonostante le numerose denunce presentate al Pubblico Ministero.

In assemblea è stato concordato che gruppi di 20 persone armate di machete vigileranno sull’area della riserva ecologica del villaggio di Mitzitón, nella quale saranno installati dei tabelloni per avvertire che chi abbatterà gli alberi sarà sanzionato dalla comunità. Le guardie saranno sostituite ogni 24 ore.

Si è deciso inoltre di non riconoscere il diritto agrario di 23 famiglie che tagliano alberi in maniera illegale per farne commercio, famiglie capeggiate da Díaz López, Gómez Jiménez e Gómez Díaz, ai quali l’amministrazione precedente due anni fa concesse risorse economiche per il loro ricollocamento nel vicino municipio di Teopisca, e sono stati dati loro tre giorni per abbandonare l’ejido.

Alcuni abitanti hanno affermato che questo gruppo di famiglie hanno accettato il ricollocamento e che le loro abitazioni sono già state costruire col denaro ricevuto dal passato governo statale, e per questo devono lasciare l’ejido.

Nella riunione tenuta dai cattolici tradizionalisti, alla quale ha assistito come osservatore il segretario esecutivo della Commissione Statale dei Diritti Umani, Diego Cadenas Gordillo, è stato approvato il ritorno di 40 famiglie evangeliche che 14 anni fa si erano separate dal gruppo a causa di alcune divergenze.

I rappresentanti di queste famiglie hanno chiesto perdono all’assemblea, perdono che gli è stato concesso dopo che hanno accettato di versare mille pesos ognuna come contributo  per il periodo in cui sono state assenti.

Si sono impegnate a lavorare e collaborare con quanto concordato in assemblea, a rispettare e preservare gli alberi e l’ambiente della comunità dove, su autorizzazione dell’assemblea, potranno utilizzare la legna necessaria ad uso domestico oltre al legname per le loro case ed attrezzi, come gli altri abitanti.

I protestanti della Chiesa Alas de Aguila guidata dal pastore Esdras Alonso González, capo del cosiddetto Ejército de Dios, hanno dichiarato di essere pentiti di aver abbandonato l’assemblea e non avere rispettato i loro obblighi a causa di influenze esterne e di gruppi che hanno creato divisioni nell’ejido.

Le autorità ejidali hanno spiegato che Mitzitón si sviluppa su 1.813 ettari, di cui 1.600 sono destinati alla riserva ecologica, dove vivono circa 300 famiglie. http://www.jornada.unam.mx/2013/10/07/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Manifestazione del 2 ottobre a Città del Messico – Cronaca e foto

Clicca qui per vedere la galleria fotografica della manifestazione del 2 ottobre a Città del Messico.

A quasi due mesi dall’inizio della protesta degli insegnanti e dell’allestimento della loro tendopoli permanente nel centro della capitale messicana, le differenti lotte sociali contro le riforme strutturali del presidente Peña Nieto (riforma educativa, fiscale, energetica in particolare) si stanno sovrapponendo e, in alcuni casi, stanno convergendo. L’occasione del 2 ottobre e della tradizionale manifestazione contro l’autoritarismo e per la memoria delle vittime delle stragi di stato era importante anche in questo senso. L’enorme corteo del 2 ottobre ha espresso la totale solidarietà alla lotta dei professori messicani contro la riforma educativa (vedi storia del movimento link) e questi hanno partecipato alla marcia. La manifestazione è stata pacifica e colorata, una lunga sfilata di organizzazioni e studenti di università pubbliche e private, gruppi di indigeni e sindacati, movimenti e cittadini. Ma in alcuni momenti è stata anche un’altra giornata campale, un pomeriggio di scontri tra polizia federale e locale, da una parte, e manifestanti dall’altra.

La galleria fotografica a questo link racconta in breve i diversi momenti di questo pomeriggio in marcia, tra cortei e camminate nel centro di Città del Messico per commemorare le oltre 300 vittime della mattanza governativa del 2 ottobre 1968 in cui l’esercito sparò sulla folla di studenti e lavoratori riuniti nella Plaza de las Tres Culturas o Tlatelolco. Proprio da qui, ogni anno, parte una mega-manifestazione organizzata dal Comitato 68 che vede sempre la partecipazione di organizzazioni sociali, studenti, sindacati e cittadini. 45 anni dopo la strage, la repressione resta e così anche il partito di governo, il PRI (Partido Revolucionario Institucional), che giusto l’anno scorso è tornato al potere dopo 12 anni di digiuno.

Nel novecento il PRI ha governato per 71 anni senza interruzioni diventando la forza egemonica e autoritaria che ha diretto il destino del paese. In genere la manifestazione del 2 ottobre si svolge pacificamente, senza eccessi di presenza delle autorità che si limitano a operazioni di controllo dalla distanza e di chiusura di alcuni punti chiave. Invece quest’anno, come conseguenza della strategia di accerchiamento e blindaggio adottata dal nuovo governo a partire dalle proteste del primo dicembre 2012, la tensione era più alta, il centro storico era occupato militarmente (oltre 5000 poliziotti) e non c’erano praticamente vie d’uscita dal corteo per i manifestanti. La marcia è cominciata alle tre e mezza da Tlatelolco, nel centro nord della città, e verso le 4 e 30 è arrivata al cuore della capitale, presso il palazzo di Bellas Artes. Già da lì il gas dei lacrimogeni, lanciati a poche centinaia di metri di distanza contro i manifestanti, s’addensava e provocava i suoi effetti.

Per i camminanti era impossibile proseguire, ma anche uscire dal corteo. Unica alternativa era l’attesa in mezzo a cordoni di poliziotti in tenuta antisommossa e barriere metalliche enormi, sotto il sale, invasi dai gas e dai rumori dei petardi. Infatti, all’incrocio tra Avenida Hidalgo e Reforma, all’inizio dell’ultima parte di strada per arrivare all’Angel de la Independencia, dove si sarebbe conclusa la giornata con un comizio, le scaramucce tra manifestanti e polizia s’erano fatte pesanti, centinaia digranaderos erano accorsi per il primo grosso scontro tra quelli che i media hanno descritto come “anarchici” o “incappucciati” e i poliziotti.

In realtà gli anarchici, vestiti di nero e riconoscibilissimi, si trovavano in fondo al corteo, ben più indietro. O ce n’erano altri, o si trattava di gruppi differenti non definiti ideologicamente. I media messicani stanno utilizzando il termine “anarquista” secondo un canovaccio che già conosciamo in Europa col tormentone Black Bloc o semplicemente come sinonimo di terrorista, indipendentemente da verifiche serie sull’appartenenza delle persone coinvolte in scontri con la polizia. La realtà è ancora difficile da capire e i giornalisti più acuti si chiedono come mai questi gruppi siano comparsi proprio dopo il primo dicembre 2012 ed operino secondo le modalità tipiche degli infiltrati, i cosiddetti “halcones” che lo stesso PRI “inventò” nel 1971, con le stragi dell’11 giugno. Nessuno ha un’ipotesi convincente al 100%, anche perché probabilmente la spiegazione delle violenze si ritrova in molti fattori diversi, non ultimo quello della strategia repressiva adottata dal governo che decide di bloccare e asfissiare, anziché accompagnare o semplicemente permettere la libera circolazione e garantire il diritto a manifestare.

A poche centinaia di metri del primo scontro, verso le 18, una seconda battaglia s’è svolta nei pressi del Monumento a la Revolucion e del Monumento Caballito. Centinaia di granaderos e poliziotti federali, chiusi in una testuggine e protetti da caschi e scudi, hanno Alla fine della giornata gli arresti sono stati oltre un centinaio e i feriti più di 50 tra manifestanti e poliziotti (link).

Molti giornalisti (oltre venti) e difensori dei diritti umani sono stati fermati e malmenati secondo l’organizzazione per la difesa della libertà di stampa Articolo 19. In quel momento il grosso della CNTE (Coordinadora Nacional Trabajadores de la Educación, cioè l’organizzazione dei docenti dissidenti che da quasi due mesi protestano a Città del Messico contro la riforma educativa) si stava unendo alla marcia per arrivare alla zona dei comizi. Un numero indefinito di persone, incappucciati e altri gruppi, stimati in circa 300 unità (ma anche qui le stime sono difficili e mi baso sui media locali e sulla testimonianza diretta), hanno cominciato a lanciare bottiglie e petardi in direzione del blocco dei granaderos che per 10 minuti hanno resistito e si sono protetti con gli scudi, ma poi hanno lanciato un’offensiva che s’è conclusa con una buona dose di arresti arbitrari, con l’uso di manganelli e armi improprie come estintori e pallottole di gomma. Alcuni arresti sono stati realizzati praticamente a casaccio o contro persone che filmavano gli eventi da poliziotti in borghese. “Il 2 ottobre del 68 non è poi così lontano”, hanno ribadito i membri del Comitato 68 che, in quell’epoca, sono stati prigionieri politici e vittime innocenti della repressione.

Fabrizio Lorusso @FabrizioLorusso

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Sulla Escuelita.

Sulla Escuelita Zapatista

L’Italia

La mail dell’8 maggio non si differenziava molto dalle altre. Proponeva, quasi sfidava, i destinatari a rigenerarsi, a ricompattarsi attraverso l’azione. Ma il gruppo di persone che fino a poche stagioni prima giocava affiatato la partita della militanza anticapitalista in una delle molte periferie europee si stava, pur restando l’amicizia, disgregando. E le proposte, le provocazioni, le idee che comunque continuavano a circolare, spesso, sempre più spesso, sfiorivano senza generare frutti.

Così non accadde, almeno in parte, almeno per il sottoscritto, quella volta: l’invito alla prima Escuelita Zapatista per la settimana di ferragosto 2013 fu accettato e nel giro di 3 mesi mi trovai col culo sollevato da un vecchio charter a chilometri di altezza  con in mano il passaporto fresco di Questura.

Meno fresco ed anzi clamorosamente arrugginito, si rivelò invece il mio spirito d’avventura e il mio piglio da compagno internazionalista. I dubbi mi attanagliavano: i figli piccoli, l’amata, i tempi risicati, il castigliano da scuola elementare (italiana), la sospensione della routine, anche politica, che ormai caratterizzava il mio quotidiano. Come se non bastasse i comunicati dal sudest messicano, firmati da quel vecchio poeta che tanto amavo in gioventù, mi suonavano beffardi, preoccupanti, spiazzanti: “Solo scarpe da tennis e mp3, null’altro è necessario se avrete il cuore aperto e le orecchie disponibili all’ascolto”. Si trattava di una presa per il culo? Ora so che lo era solo in parte… la prima.

L’invito a partecipare alla “Escuelita Zapatista – “La libertad según l@s zapatistas” era giunto a noi, piccoli e marginali compagn@ della Franciacorta, grazie al lavoro decennale di appoggio alle comunità indigene del Chiapas. La vendita del caffè, un blog di informazione e traduzione, i banchetti e la partecipazione ad eventi fruttarono questo importante riconoscimento. Nessuno però sapeva, nemmeno chi di noi seguiva senza interruzioni l’evolversi dell’esperienza nata dal levantamiento dell’EZLN nel 1994, cosa ci aspettasse. L’ipotesi più semplice e tranquillizzante era quella di un rilancio della collaborazione internazionalista attraverso occasioni simili alle giornate di incontro tra i Popoli Zapatisti ed i Popoli del Mondo. Leggendo i numerosi comunicati della Comandancia però si capiva che c’era qualcos’altro, che non c’era nulla da rilanciare ma molto da mostrare, condividere, donare.

Il Messico

Non provavo e non provo alcuna attrazione per il Messico da cartolina turistica e le bianche spiagge di Cancun non hanno in nessun modo messo in crisi questo mio sentire. Dei 18 giorni di permanenza in questo Paese almeno la metà sono stati impegnati nel raggiungere e per andarsene dalla Escuelita. Di queste tappe di attraversamento rimane la sensazione amara che danno i luogi senza una chiara identità, incompiuti e indecisi.

Mai sentito così circondato da tante e tanti tipi di forze armate, fortemente armate, pur in un contesto formalmente pacifico.

Mai provato una presenza così asfissiante di attività commerciali e una tanto diffusa offerta “libera” di prodotti di ogni tipo e in ogni dove.

Mai visto divisioni di classe così evidenti esemplificabili nelle opposte luminosità delle architetture: dagli abbaglianti Grand Hotel alle lucenti lamiere delle barcollanti baraccopoli.

Mai capito così chiaramente di trovarmi in una Nazione che aveva venduto tutto il vendibile a Su Majestad il Capitale.

Ma poi:

Le poche volte che abbiamo ascoltato il molesto gracchiare di un notiziario siamo stati informati di come la Polizia Comunitaria nello stato del Guerrero stesse creando non pochi problemi a chi sta in alto (narcotrafficanti, potenti o speculatori non fa differenza).

Le moltissime volte in cui ci siamo fermati e serviti in una delle tante attività di commercio improvvisate abbiamo sentito sulla pelle la vicinanza a quegli uomini e a quelle donne che compravano una povera sussistenza vendendoci i loro prodotti.

Lo stare forzato in alcuni luoghi del turismo di massa ci ha mostrato l’iper-sfruttamento delle persone che ci lavorano e nel contempo l’evidente crisi del turismo industriale.

Durante la nostra esperienza abbiamo capito che, anche per l’indisponibilità di beni pubblici garantiti, gli Stati Uniti Messicani sono uno dei paesi con più lotte attive e maggiori prospettive di autorganizzazione dal basso e oltre lo Stato.

Tra le caratteristiche del Messico moderno spiccano su tutto le disparità di classe, la corruzione, l’uso massiccio delle armi, la bellicosa presenza del narcotraffico e del traffico di persone, la sanguinaria repressione verso i movimenti sociali e la completa sudditanza al modello capitalista neoliberale. Sopra a  tutto questo sta il Grande Vicino USA, con la sua colonizzazione mediatico cuturale a stento arginata dall’originalità e dalla storia dei popoli originari. In un tale contesto la quantità e la qualità delle forme di lotta, di resistenza, di autonomia è imparagonabile alla nostra situazione italiana: dai movimenti studenteschi del Distrito Federal, alla “comune di Oaxaca”, dall’autonomia in costruzione da parte di molti popoli indigeni alle molteplici lotte vittoriose contro i megaprogetti speculativi e distruttori dei territori. Questo profondo sommovimento proveniente dal basso fa del Messico un paese straordinariamente interessante.

San Cristobal

La crisi arrivò, quasi inaspettata dopo una gradevole cena alla Casa del taco di San Cristobal. I compagni italiani che ci avevano accolto con un inaspettato calore e un’eccezionale disponibilità se ne uscirono con due frasi che mi catapultarono nel caos delle paure: “Non è affatto detto che starete insieme e, no, non è proprio buono che tu non parli spagnolo”. Tutto il resto l’avevo digerito senza timori: le probabili fatiche fisiche, le condizioni di vita in una comunità contadina indigena, i lunghi e tortuosi spostamenti che ci attendevano. Quello che mi agitò all’inverosimile fu l’ipotesi di stare 6 giorni da solo, senza i miei compagni di viaggio a farmi da spalla, senza la possibilità di farmi capire appieno da chi stava al mio fianco. Quella notte, l’ultima su un letto, dormii profondamente solo grazie alle parole di conforto di Paolo e Jacopo e dopo essermi ripetuto più volte che, se le cose non si fossero disposte per il verso giusto, non sarei partito, sarei rimasto a fare il turista solitario a San Cristobal.

La mattina dopo quelle paure furono scacciate da una stupenda telefonata con Cristina che mi incitava, rincuorava, caricava e da quello che vidi al CIDECI, l’atipica Università della Terra ispirata dagli zapatisti e messa in piedi dagli indigeni  in una delle periferie baraccate della città. ***Mi impressionò la bellezza del luogo, l’energia che sprigionava e la quantità di persone presenti; gente da tutto il mondo, di diversi colori, culture e lingue ma tutte con il sorriso sul volto. Non avevo mai visto qualcuno così felice di andare a scuola. Tutti sorridenti seppur nessuno sapeva cosa esattamente sarebbe accaduto. Tutti sorridenti perché sicuri di trovarsi nel posto e nel momento giusto. ***

La giornata filò dritta e senza intoppi, a dimostrazione dell’impegno e della forza organizzativa messa in campo dal Movimento: accoglienza, iscrizione, distribuzione del materiale didattico, assegnazione del Caracol di destinazione (per me e Paolo fu il V “Roberto Barrios”), intrattenimento musicale, divisione per gruppi e partenza sui diversi e numerosissimi mezzi di trasporto comunitario. Tutt’intorno a noi i primi indigeni zapatisti, con e senza passamontagna.

La presenza dello zapatismo per le strade della bella città coloniale di San Cristobal non è più così invasiva come ai tempi della “moda EZLN”. Pochi gadget, nessun riferimento nelle insegne, solo scritte spontanee sui muri e il centro CIDECI. ***Il Centro Indigena de Capacitaciòn Integral è un’Università ma molto atipica: non riceve alcun aiuto dallo Stato ed è un vero e proprio ponte tra la città e il mondo indigeno, in particolare quello che si ispira allo zapatismo. E’ una scuola informale che assomiglia più alle università medioevali quando queste erano un vero centro di cultura e ricerca piuttosto che, come oggi, un luogo per produrre laureati. In questa scuola non si certifica nulla perché il sapere non è certificabile, non si insegnano materie specifiche perché il sapere non è a compartimenti stagni, non ci sono registri perché non esistono prove di verifica né obblighi di presenza, non ci sono aule divise per età o grado di avanzamento perché ognuno apprende secondo i suoi ritmi e secondo la propria maturità. *** Anche la collocazione (in una periferia fatta di piccole baracche sorte spontaneamente) e la sua finezza architettonica (è composto da edifici costruiti secondo i principi della bioedilizia collocati sapientemente nella natura boschiva dell’altopiano) ne fanno un fiore all’occhiello per la Città, per il Messico e sopratutto per gli indigeni che l’hanno creato e lo fanno vivere. Come sia stato possibile concretizzare questo incantesimo in uno degli stati più poveri del Paese e facendo perno sulle forze dei soli popoli indigeni è domanda che contiene già la sua risposta: il pensiero perbenista occidentale del povero indigeno vessato e da aiutare è il concetto neo-coloniale più distante dalla realtà costruita da queste genti ed esemplificata dal CIDECI.

Il Caracol V – Roberto Barrios

Otto ore seduti in quattro su un sedile costruito (almeno 15 anni fa) per ospitarne tre. Aver avuto per sorte l’angolo più distante dal portellone d’uscita e dove l’asiento aveva ormai svelato la sua anima d’acciaio e perso qualsiasi affinità con la parola morbido. Una strada che altalenava in ordine sparso ma consequenziale tornanti, buche e maledetti dossi artificiali. Credevo fosse stata una vera sfortuna, mi sbagliai ancora visto che, ogni spostamento motorizzato da quel giorno in avanti sarebbe stato, seppur diverso, ugualmente scomodo. Ma lo rifarei, eccome se lo rifarei, anche solo per un terzo delle emo-le-zioni provate in quella settimana.

Il mio Votan si chiama Jesus. E’ un ragazzo di 19 anni. Corporatura tozza ma passo svelto e morbido. Occhi scuri ed espressivi, capaci di parlare meglio della voce che comunque sà comunicare ottimamente in castigliano, in Chol e in Tzotzil. Dopo la settimana passata insieme, la sua giovane memoria, ripete anche una discreta quantità di parole italiane. Da principio, seduto alla mia sinistra sulla lunga panca in prima fila del grande auditorium, non riesce a nascondere la sua agitazione. Gli tremano le mani e i suoi occhi non mi guardano. L’imbarazzo dura per tutte e due le ore di lezione. Quando ci alziamo diventa direttivo; mi indica più volte la strada per i bagni, per la fila del pranzo, per il dormitorio dove ho lasciato lo zaino e ripete in continuazione che è il momento di salire sul mezzo che ci condurrà alla comunità a cui siamo stati assegnati. E’ sempre al mio fianco e la cosa, da principio, mi sembra molto limitante.

Nei giorni successivi ho benedetto quella presenza costante che man mano diveniva più allegra, più confidenziale, più preziosa. “Per bocca del vostro Votan parleranno tutti gli Zapatisti” diceva uno degli ultimi comunicati che lessi prima di partire. Non solo questo è stato Jesus per me. E’ stato mano a cui aggrapparsi nelle salite, braccio che dava il cambio durante le fatiche, piede che indicava la strada più sicura, occhi che orientavano lo sguardo nella giusta direzione. E’ stata una presenza fraterna, amica. E’ stato un vero compagno.

I Caracol, cinque in tutto il Chiapas, sono il centro dell’organizzazione autonoma Zapatista. Si tratta di luoghi in cui sono concentrate tutte le strutture e le “istituzioni autonome” al servizio della comunità. A Roberto Barios, Zona Nord, vi hanno sede la locale Giunta di Buon Governo, la Commissione di Informazione e la Commissione di Vigilanza tutte composte da indigeni provenienti dalle comunità e dai municipi della Zona. Le persone che compongono queste forme di governo dal basso sono scelte nei singoli luoghi di origine attraverso un voto in assemblea, hanno durata variabile e ruolo a rotazione. Chi fa parte di queste “istituzioni” non percepisce stipendio ma la comunità di origine si impegna nel sostenere, col lavoro collettivo, la sua famiglia. Nel Caracol di Roberto Barrios trovano spazio diverse strutture pubbliche: un grande auditorium, le cucine, i servizi igienici, una clinica, diversi dormitori, il negozio di artigianato, e diversi edifici per la formazione. Gli zapatisti lo utilizzano come centro per gli incontri e per le feste, come punto di riferimento per risolvere problemi legali o sanitari, come luogo della formazione collettiva dei promotori (di salute, dell’educazione e delll’agroecologia). Tutto questo seguendo i 7 principi del comandare obbedendo: Servire e non Servirsi; Rappresentare e non Sostituire; Costruire e non Distruggere; Ubbidire e non Comandare; Proporre e non Imporre; Convincere e non Vincere; Scendere e non Salire.

Nazareth

Le nostre facce spaventate erano velate dal buio e dalla pioggia. L’enorme jeep si fermò in mezzo alla stretta valle dopo aver insistito per almeno un’ora a viaggiare su un sentiero che ci sembrava impossibile. Il piccolo gruppo di studenti, dieci in tutto, ognuno con il proprio Votan al fianco, si arrampicò nel fango di un prato dirigendosi verso una casupola in legno che poi scoprimmo essere la scuola autonoma. Li ci aspettavano, imbarazzati quanto noi, altrettanti uomini che, dopo un breve saluto, ci accompagnarono, una coppia per ogni famiglia, nei nostri alloggi. Non vidi il posto quella sera, o meglio non me ne capacitai. Ricordo solo l’indaffarato lavorio a cui collaborai per appendere le amache ma, appena steso, sprofondai in un sonno comodo.

Poche ore più tardi mi trovavo sulla colma di uno dei monti che affiancavano la valle dove stavano le 20 casupole della Comunità Nazareth. Eravamo nella milpa famigliare del mio duegño. Li mi venne impartita una lezione, forse la più tecnica, sui metodi di coltivazione zapatisti. I campi di mais affidati ai singoli gruppi famigliari dalla riforma agraria di inizio 900 sono spesso distanti dalle abitazioni (noi ci mettemmo un’ora comoda a raggiungerlo) e spesso si tratta di terreni difficili, scoscesi, di montagna. Ma il mio capofamiglia andava fiero del suo coltivo: mais da semi autoprodotti e fagioli che si arrampicano alle sue basi. Niente diserbi, niente insetticidi, niente aiuti dal malgoverno, rifiuto di qualsiasi intervento che possa modificare il fertile equilibrio della Madre Terra. A fine stagione si ripristina l’humus grazie ad altre culture tra le quali il chili. La diversità culturale e l’assenza di artifici chimici erano sottolineati in continuazione così come l’obiettivo di sfamare una famiglia di 10 persone con solo due ettari di terreno. Il paragone con la nostra agroindustria basata sulla monocultura e sul massiccio uso della chimica mi faceva impallidire. Mi stupì anche il livello di preparazione teorico che il campesino dimostrava. Anche su questo gli Zapatisti stavano dimostrando il loro grado di avanzamento. Raccogliemmo due sacchi di pannocchie ancora verdi per il Pozol e ce ne scendemmo con passo svelto ma interrotto dalle molte indicazioni, pronunciate in Chol dal Duegño e tradotte dal mio Votan in castitaliano, delle piante e degli arbusti che, pur crescendo spontaneamente, impreziosivano la dieta della comunità.

L’ultima notte fu la più lunga tra quelle passate nella comunità Nazareth. La festa a base di cerdo bollito durò fino a mezzanotte e, nonostante il maltempo, il clima fra studenti e campesini era ormai rilassato. Non poteva che essere così visto come, la novità rappresentata dalla nostra presenza e soprattutto dalla presenza dei nostri votan in quanto indigeni zapatisti di altre comunità sorelle, aveva animato le giornate di studio e di lavoro. Durante la visita agli edifici comuni (la forneria delle donne, la casa della salute, la tienda), grazie al lavoro nel collettivo de ganado e alla presenza nelle case dove abbiamo collaborato in cucina nei lavori che un tempo erano esclusivamente femminili, si sono create affinità e accorciate le distanze che ci separavano. I discorsi di saluto di quella sera peccavano di un’ufficialità un poco forzata ma riuscirono a volteggiare con parole tanto leggere quanto impegnative.

Partimmo alle 4 del mattino con la stessa jeep che ci aveva scaricato alcuni giorni prima. Quando il sole inizio a schiarire l’aria fredda delle montagne, la luce che trapelava dal telone illuminò i visi sussultanti e assonnati dei giovani passeggeri messicani. Mi accorsi che nelle loro espressioni qualcosa era cambiato. Era come se avessero superato un rito di iniziazione, mi sembravano diversi, più maturi e adulti. Chissà se anche loro hanno notato qualche cambiamento nel mio viso?

Le comunità indigene sono il cuore pulsante dell’Autonomia Zapatista. In questi luoghi sparsi nei posti più irraggiungibili della selva o delle montagne si misurano i miglioramenti effettivi delle condizioni di vita degli aderenti al movimento. In questi luoghi la cultura originaria maya rinasce e si arricchisce in opposizione ai dettami del capitalismo neoliberista e alle pressioni del malgoverno. Qui si lotta ogni giorno per avere cibo sufficiente per tutti, perché non ci si ammali o si guariscano le malattie che prima uccidevano, perchè tutti possano ricevere un’istruzione basata su ciò che potrà servire nella vita della comunità.

Nelle comunità si organizzano e sviluppano quei lavori collettivi che consentono a tutti di essere eletti come rappresentanti nei Caracol, di mandare i figli a formarsi per diventare promotori, di essere curati nelle cliniche autonome e di essere sostenuti nei momenti di difficoltà.

Nelle comunità si misurano gli avanzamenti dei diritti delle donne, la diminuzione dei conflitti famigliari e la cancellazione dei disastri causati dall’uso di alcolici (vietati in tutti i territori zapatisti).

Nelle comunità zapatiste in resistenza si misura la forza di un movimento che rifiuta la classica visione novecentesca della “presa del potere” per concentrarsi sulla costruzione di un’Autonomia che non è statale ma basata sui rapporti di appartenenza comunitari. Nelle comunità non ci si divide fra chi è zapatista e chi no e nei territori zapatisti non si tracciano confini intorno alle comunità filo governative ma si sperimenta una quotidiana mescolanza  perché si è consapevoli che il nemico si trova in alto e non di fianco.

Forse anche per questi motivi, per quest’originalità costruita negli ultimi 20 anni, lo zapatismo non è più fra i riferimenti internazionali dei movimenti europei ed italiani. Facciamo fatica a capirlo, a codificarlo, perché spesso siamo troppo autoreferenziali e supponenti. O forse sono loro ad essere troppo avanti.

Furore MD http://www.di-wan.org/2013/09/sullescuelita-zapatista/

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    Non ci resta altra alernativa che l’organizzazione e la lotta, non solo per la libertà di Alberto Patishtán, ma per la nostra, di tutte e di tutti.

A Alberto Patishtán
A su familia y a sus hijos
A los compañeros y compañeras zapatistas
A la sexta
A la Red contra la Represión
Al pueblo de México
A los pueblos del mundo

15 de septiembre de 2013.

Los colectivos abajo firmantes, como en reiteradas ocasiones lo hemos expresado al compañero Alberto Patishtán: Aquí seguimos, aquí la lucha por su libertad continua…¡No esta usted solo!

Imaginamos el sentimiento del profe, de sus amigos, de su comunidad del Bosque, de los diferentes colectivos y organizaciones en estos momentos de indignación, de coraje, de rabia y de impotencia.

Al menos ese es nuestro sentimiento cuando se espera un mínimo de respeto y en respuesta se obtiene la soberbia, el desprecio y la impunidad. Ya no nos sorprende la actitud con la que actuó el primer tribunal colegiado del vigésimo circuito con sede en Chiapas, al declarar infundadas las pruebas con las cuáles los abogados del profesor Patishtán pretendían obtener su reconocimiento de inocencia, como tampoco nos sorprendió la actitud de la Primera Sala de la Suprema Corte de Justicia de la Nación cuando aquel 6 de marzo determinó por mayoría de tres votos, no asumir la atracción del Incidente de Reconocimiento de Inocencia presentado en favor de Patishtán.

Con respecto a los magistrados, ya no tenemos el mínimo interés para escuchar sus cuentos y mentiras, sus resoluciones y sus acuerdos. Sus declaraciones están vacías, son letra muerta, como la del Gobernador de Chiapas, Manuel Velasco Coello, que sirviéndose de la visita de Peña Nieto al estado de Chiapas, y para quedar bien, aseguró que Patishtán Gómez, debía ser puesto en libertad. Nada se puede esperar cuando los que “hacen la ley” carecen de memoria. Los magistrados Freddy Gabriel Celis Fuentes, Manuel de Jesús Rosales Suárez y Arturo Eduardo Zenteno Garduño que tuvieron en sus manos la posibilidad de poner en libertad a Alberto Patishtán, no son sino un espejo de la justicia servil que mantiene al poder en su lugar, así como la corrupción y el desprecio.

Nosotros si tenemos memoria, por que el atropello que se esta cometiendo con Patishtán, es el mismo con el que por mas de 500 años los indígenas han sido pisoteados, humillados y despreciados; cuantas veces hemos recibido los testimonios de los presos y presas que nos cuentan los tratamientos que reciben por parte de las autoridades penitenciarias, la falta de medicamentos, los malos tratamientos y diagnósticos, la mala alimentación, la falta de traductores, las torturas y desapariciones, la facilidad con la que los grupos de seguridad penitenciaria roban las pertenencias y dinero en efectivo de los reclusos y las construcciones falsas de sus casos. Ese 12 de junio del año 2000, tras una emboscada que dejó seis policías estatales y uno municipal muertos, Pathistán estaba a muchos kilómetros de distancia de dicho lugar, cual ceguera crónica, todo esto no importó … Y hoy, en medio de un sin fin de eventos, reclamos, acciones, comunicados de solidaridad con el profe desde San Cristobal de las casas, pasando por la ciudad de México, Estados Unidos, Barcelona, Valencia, Francia, Italia y Alemania, el tribunal colegiado del vigésimo circuito de Tuxtla Gutiérrez, declara sin un mínimo de seriedad, que las pruebas presentadas son infundadas. Esta respuesta ¡Es una burla !

Varios de nuestros colectivos tuvimos el honor de participar como alumnos al curso de primer grado intitulado : La libertad según los y las zapatistas, sin duda las enseñanzas fueron inmensas y siguen, pero lo que es claro, es que en materia de “justicia”, solo aquella que se construye por el pueblo, con los hombres y mujeres de abajo, con principios como el servir y no servirse, representar y no suplantar, construir y no destruir, obedecer y no mandar, proponer y no imponer, convencer y no vencer, bajar y no subir, darán cabida a esa otra forma de justicia que anhelamos y la libertad que esperamos.

No nos queda otra alternativa que la organización y la lucha, no solamente por la libertad de Patishtán, si no por la nuestra, la de todos y todas nosotras.

La lucha sigue!

En solidaridad:

Les trois passants (Francia)
Grupo de Solidaridad con Chiapas de Dorset (Inglaterra)
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo (Italia)
CGT (Estado español)
Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid
Centro de Documentación sobre Zapatismo-CEDOZ (Estado español)
Tamazgha, association berbère (París, Francia)
Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha-CSPCL(Francia)
Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas (País Vasco)
Grupo Rebelde FC – Brescia (Italia)
ASSI-Acción Social Sindical Internacionalista (Estado español)
Plataforma de Solidaridad con Chiapas de Aragón (Estado español)
Asociaciòn Ya Basta, Milano (Italia)
Secretariado Internacional de la CNT(Francia)
Comité de solidaridad con los pueblos Indígenas des las Américas
(CSIA-Nitassinan, Francia)
Grupo de apoyo à Leonard Peltier(LPSG-Francia)
Associu Sulidarità (Corsica)
Corsica Internaziunalista (Corsica)
Manchester Zapatista Solidarity Group(Inglaterra)
Union syndicale Solidaires (Francia)
Fédération SUD éducation (Francia)
Espoir Chiapas (Francia)
Colectivo Farma, Atenas (Grecia)
Groupe CafeZ (Bélgica)
La Pirata: Nodo Solidale Roma-México,
Colectivo Zapatista Lugano y Nomads Bologna-Berlino
Gruppe B.A.S.T.A.,Munster(Alemania)

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Sentenza contro Alberto Patishtán, un crimine di Stato

Hermann Bellinghausen

In un certo senso sono irrilevanti, solo un anello inferiore nella catena alimentare in cui si è trasformato il nostro obbrobrioso ed oneroso sistema giudiziario, ma non è superfluo insistere nel nominarli. Freddy Gabriel Celis Fuentes, Manuel de Jesús Rosales Suárez ed Arturo Centeno Garduño, giudici federali di Tuxtla Gutiérrez, hanno respinto in ultima istanza il riconoscimento di innocenza del professor Alberto Patishtán. Grazie a loro l’incubo continua. Nel mezzo del riformismo radicale e regressivo che smantella i contenuti sociali e la difesa della Nazione nel corpo delle leggi, e mentre si riducono le garanzie di giustizia e libertà, il giudizio contro Patishtán costituisce un messaggio dello Stato (come ha segnalato da queste pagine Luis Hernández Navarro) indirizzato agli insegnanti, ai popoli indigeni e ad ogni messicano che dice no.

Separazione dei poteri, indipendenza? Ormai non ci crede più nessuno. Per ragioni di Stato, o per impegni presi in precedenza, questo stesso sistema di tribunali con peregrini sofismi legali e mediatici, ha liberato narcotrafficanti e sequestratori internazionali, politici e loro parenti infangati fino al collo, paramilitari rei confessi di genocidio, e gente così. Comunque, il Consiglio della Magistratura Federale, per mettersi al riparo, ha comunicato che la sentenza “stabilisce che la decisione riguardo questo caso di riconoscimento di innocenza non contiene un pronunciamento sulla responsabilità penale del condannato”.

La divisione dei poteri si riduce ad una rete di complicità e spartizione di prebende tra gruppi mafiosi. Tutti questi giudici della Corte formano una casta esorbitatamente ben pagata, “affinché non vengano corrotti” ed in funzione della loro “alta investitura”. A loro volta legati ad altri gruppi di potere in televisioni, università, classi politiche regionali, non è trascurabile che nella Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) esista, già con una certa tradizione, un certo numero di ministri chiapanechi. Armando Valls e Margarita Luna Ramos, attuali membri della Corte, hanno chiari legami con la classe politica del loro stato. Come nel caso di Patishtán. Lo sdegno e l’arroganza della SCJN, trasmessi tali quali ai giudici di Tuxtla Gutiérrez, hanno permesso a giudici e magistrati di sprecare l’opportunità di procedere con decenza e sensibilità. Si può attribuire al razzismo, a calcoli politici di congiuntura in un momento vertiginoso di smantellamento della sovranità in nome degli affari dei veri soci, o a dettagli microscopici e retorici di tecnica giuridica (che hanno funzionato benissimo nella campagna umanitaria del CIDE per liberare i paramilitari di Acteal e chiudere il cerchio di criminalità di Stato in totale impunità).

Tuttavia, il caso di Patishtán implica un mistero particolare, forse così importante e delicato da renderne impensabile la liberazione. Chi lo arrestò nel 2000 credette che non valesse niente, che fosse eliminabile. Lui solo sta scontando una condanna per un crimine grave che necessariamente fu commesso da numerose persone: un’imboscata da professionisti contro dei poliziotti in un territorio fortemente militarizzato.

Salvo che  per la tremenda corte, è provato che Patishtán non partecipò né ebbe niente a che fare. Ma siccome nessuno pagherà per quelle morti emblematiche (sette poliziotti), il sistema crede che reggerà la pressione sociale. Governava il Chiapas il priista e genocida, come il suo capo Zedillo, Roberto Albores Guillén, ancora oggi parte attiva dei poteri che controllano il governo statale. Nel 2000 presiedeva la corte suprema dell’entità Noé Castañón León, chi fino a poco tempo fa è stato segretario di Governo (ed in un’epoca successiva di “esilio politico”, per presunta corruzione, ministro della SCJN!). Questi politici ed i loro scagnozzi sono parte dello Stato realmente esistente nell’entità. Non bisognerebbe far partire le indagini dalle loro stanze?

Che cosa nascondono? Quale cloaca proteggono questi attori? L’ex prima dama Margarita Zavala de Calderón, “come avvocato”, mostrò interesse, si suppone genuino, per la sua liberazione, ma non fece mai niente. Si dice che fu fermata da Genaro García Luna, il capo polizia agli ordini di suo marito. E che ordini. Il governatore attuale ed il suo predecessore si sono pronunciati per la libertà di Patishtán. A parole si può dire tutto, di modo che sembri che non dipende da loro. E nel codice di polizia, sette agenti imboscati non si coprono con indulto presidenziale.

La trama è scritta. A fronte degli appelli alla giustizia internazionale, lenta come tutte, il governo di Enrique Peña Nieto, il suo docile congresso ed i suoi partiti satelliti di scagnozzi e sgherri, e compagnia cantante, chiudono i lucchetti per proteggersi ed attenuare l’impatto di regolamenti e decisioni internazionali in materia di diritti umani e procedimenti penali. Di giustizia. Per indios.

Fino a prova contraria, dietro l’incarceramento di Patishtán potrebbe esserci un crimine di Stato.

La Jornada, 16 settembre 2013

Video della conferenza stampa in carcere di Alberto Patishtán: http://www.youtube.com/watch?v=vYzvYeO8qeg&feature=player_embedded

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Alberto Patishtán: messaggio di Stato

Luis Hernández Navarro

Alberto Pathistán non è una sequestratrice francese come Florence Cassez, né un narcotrafficante come Rafael Caro Quintero, né uno degli assassini del massacro di Acteal. È un professore toztzil, membro dell’Altra Campagna, ingiustamente carcerato da 13 anni. Lei, loro e lui non sono la stessa cosa. La giustizia ha messo in libertà Cassez, Caro Quintero ed i paramilitari di Chenalhó nonostante siano colpevoli. Il sistema di ingiustizia tiene in prigione il maestro Pathistán nonostante sia innocente.

Il Potere Giudiziario in questi giorni aveva la possibilità di emendare il danno arrecato all’indigeno tzotzil del municipio di El Bosque. Ma questo giovedì il primo tribunale collegiale del ventesimo circuito con sede in Chiapas ha dichiarato infondate le prove con le quali i suoi avvocati cercavano di ottenere la sua assoluzione.

Ignominia su obbrobrio, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione ha deciso di essere complice dell’ingiustizia e se n’è lavata le mani. Solo lo scorso marzo, la sua prima sezione decise, con tre voti a favore contro due contrari, di non avere competenza sull’incidente di riconoscimento di innocenza del maestro. Il processo fu rimandato al tribunale che ha dichiarato infondate le prove a favore di Pathistán.

In un paese dove l’applicazione del diritto ha in sé un forte risvolto politico e dove raramente i giudici sono indipendenti dall’Esecutivo, la decisione dei giudici del primo tribunale collegiale del ventesimo distretto, Freddy Gabriel Félix Fuentes, Manuel de Jesús González Suárez ed Arturo Eduardo Centeno Garduño, si può interpretare solo come un messaggio di Stato. Un messaggio inviato sia allo stesso prigioniero sia a chi vede in lui un simbolo della lotta contro l’ingiustizia. Il maestro è un ostaggio del potere.

Alberto Pathistán non è un detenuto qualsiasi: è il prigioniero politico più noto nel paese. È una figura emblematica del movimento indigeno nella quale si riassume la discriminazione razziale, la trascuratezza processuale e l’uso fazioso della giustizia riservato ai popoli originari. Un simbolo di dignità di fronte agli abusi del potere.

Letteralmente, migliaia di voci dentro e fuori del Messico hanno chiesto la sua liberazione immediata. Il Pueblo Creyente, l’EZLN, il movimento indigeno, la Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación (CNTE), Amnesty International e centinaia di organismi difensori dei diritti umani ed intellettuali pubblici sono convinti della sua innocenza e chiedono la sua libertà. È a loro che lo Stato ha detto la sua ultima parola: le vostre ragioni non mi importano; vi ascolto ma vi ignoro.

La storia è nota. Il 12 luglio del 2000, a Las Lagunas de Las Limas, Simojovel, furono imboscati sette poliziotti. Quel giorno e a quell’ora, Pathistán si trovava a molti chilometri di distanza da quel luogo. Non importò. Fu accusato ugualmente degli omicidi. Fu condannato per i reati di criminalità organizzata, omicidio aggravato, uso di armi di uso esclusivo delle forze armate e lesioni aggravate. Nel suo processo non ci furono traduttori. I testimoni mentirono e non furono presentate prove certe della sua colpevolezza. I giudici non prestarono attenzione. Egli finì in prigione.

In tutto il paese, i popoli indigeni si oppongono alla devastazione ambientale ed al saccheggio delle loro terre, territori, acque e semi. Per affrontare l’insicurezza pubblica e difendersi hanno formato poliziotti comunitari. Tenere in prigione Pathistán è un avviso del Messico di sopra di quello che può succedere se persistono con l’ostinazione con la quale l’hanno fatto, nella difesa delle loro risorse naturali e le loro forme di esercitare la giustizia.

Centinaia di migliaia di insegnanti chiedono l’abrogazione delle riforme del lavoro mascherate come riforme dell’istruzione recentemente promosse dal Congresso. Nelle loro mobilitazioni e petizioni chiedono che il professore detenuto, uno di loro, sia liberato. Negargli l’uscita di prigione è un avvertimento di quello che li aspetta se non sospendono le loro azioni di disubbidienza.

Lo zapatismo continua imperterrito ad autogovernarsi e mantenersi in armi, al margine delle istituzioni governative. Continua ad essere una fonte di ispirazione ed esempio per molte comunità indigene nel paese. Tenere dietro le sbarre l’aderente dell’Altra Campagna è l’avviso che la guerra contro i ribelli del sudest messicano non è finita.

In un paese in cui il diritto si applica regolarmente contro la giustizia, allo Stato messicano non importa che Alberto Pathistán sia innocente e quello che il suo processo sia pieno di irregolarità. Non lo imbarazza che la sua detenzione sia uno scandalo internazionale. Vuole, solamente e semplicemente, mandare un messaggio affinché chi simpatizza col professore e la sua causa imparino la lezione. Non ci riuscirà. Come fa Pathistán, i molti che solidarizzano con lui resistono e continueranno a resistere.

Twitter: @lhan55

http://www.jornada.unam.mx/2013/09/13/politica/021a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Messico e ingiustizie: resta in prigione il Prof. Alberto Patishtán

Pubblicato il 13 settembre 2013 · in Osservatorio America Latina ·

di Fabrizio Lorusso

patish 3La fabbrica dei colpevoli messicana non si ferma mai e il professore Alberto Patishtán ne è vittima da 13 anni, accusato e sentenziato ingiustamente per omicidio. Il primo tribunale collegiale del ventesimo circuito del Chiapas ha dichiarato infondate le prove con cui gli avvocati di Alberto Patishtán, professore messicano d’etnia tzotzil detenuto ingiustamente da 13 anni e condannato a 60 anni di reclusione per omicidio, volevano ottenere il riconoscimento della sua innocenza (link notizia Desinformémonos). La “fabbrica” è una scure inarrestabile, la giustizia dei più forti contro i più deboli, l’ingiustizia perpetrata col sostegno della legge, anzi, ormai senza nemmeno quello. Anche quando sbaglia, anche quando è palese, anche quando un paese si mobilita contro i suoi meccanismi perversi e ne dimostra le nefandezze, fuori da ogni ideologia, la fabbrica dei colpevoli non torna indietro perché sarebbe un ammissione di colpa, un’azione culturalmente inaccettabile.

Dunque è meglio affondare la lama e scavare, punire chi alza la voce, beffarsi degli scioperi della fame e del mondo che ti osserva, incredulo. Patishtán è un detenuto politico, discriminato per la sua appartenenza a un gruppo etnico indigeno e per la sua militanza politica nella comunità de El Bosque, Chiapas, di cui è originario.

E proprio in questo territorio del Messico profondo e (para)militarizzato, comincia l’odissea dell’attivista che è stato accusato dell’omicidio di sette poliziotti federali, avvenuto il 12 giugno del 2000, nella cosiddetta “strage di Simojovel” (a questo link un racconto dettagliato in italiano). Il 19 giugno il Profe viene praticamente sequestrato mentre va al lavoro da quattro poliziotti in borghese sprovvisti del mandato di arresto. Il giorno dopo viene preso anche due militanti legati all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, i fratelli Manuel e Salvador López González, anche loro accusato di aver preso parte all’imboscata-strage.

Patishtán è stato malmenato, umiliato, torturato e poi messo agli arresti domiciliari per 30 giorni mentre si “raccoglievano” le prove contro di lui. La presenza degli interpreti delle lingue indigene messicane è quasi un’utopia e “el Profe” non fa eccezione, quindi niente traduzione. Come spesso accade in questi casi, in pratica le condanne dell’attivista si basano sul racconto contraddittorio, nel senso che è stato cambiato in diverse occasioni, di un testimone che prima dice di “non aver riconosciuto nessun partecipante dell’imboscata” e poi sostiene di “aver visto il professore poco prima di perdere i sensi”.

Le prove presentate da Patishtán, che lo avrebbero scagionato dimostrando la sua NON partecipazione all’imboscata e il suo alibi, cioè la sua presenza a una riunione in un altra città chiamata Huitiupan, sono state rigettate. Alla fine non sono state “reperite” le prove contro i due attivisti zapatisti. Invece il Profe è rimasto in galera, ha affrontato processi viziati da numerose irregolaritò e da 13 anni la sua lotta contro l’ingiustizia e gli abusi è diventata un caso internazionale, una battaglia epica e disperata contro la fabbrica dei colpevoli e la burocrazia

Quindi il caso è chiuso in Messico e i motivi veri sono chiari, hanno poco a che vedere con il famigerato rispetto dello stato di diritto. Resta solo la possibilità di un ennesimo ricorso, presso la Corte Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), che potrebbe esprimersi a favore de “el Profe”, come viene soprannominato l’attivista Patishtán, ed “obbligare” lo stato messicano a metterlo in libertà, sempre che le istituzioni decidano di ascoltare e applicare le risoluzioni della CIDH che spesso passano inosservate. patish libero

I tre magistrati del tribunale chiapaneco con sede a Tuxtla Gutiérrez, la capitale di questo martoriato stato meridionale del Messico, si sono espressi all’unanimità. Niente dubbi, niente perplessità. Fuori dal tribunale, già da vari giorni, c’era un picchetto di sostenitori e difensori della libertà di Patishtán che non si muoveranno da lì finché un funzionario non si sarà presentato per realizzare una chiara e dettagliata esposizione delle motivazioni della sentenza.

“Né Alberto Patishtán né noi come avvocati chiederemo un indulto all’esecutivo”, ha spiegato Lionel Rivero, avvocato difensore del Profe.  ”La decisione è una porcheria per tutti i messicani e non ci arrenderemo” sostiene senza mezzi termini Trinidad Ramírez, del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra, che si trovava nell’accampamento di protesta allestito a Città del Messico l’11 settembre scorso. Il Comitato per la Libertà di Patishtán continuerà a lottare per la sua liberazione, rispettando la volontà del professore. Andrea Spotti, in un articolo su Globalist dell’aprile scorso ha ben descritto il contesto della regione in cui si svilupparono e si sviluppano queste vicende:

“Siamo nel Chiapas degli anni successivi all’insurrezione zapatista e la tensione politica e (para)militare nella regione, dove i conflitti locali si moltiplicano, é assai alta. Ad El Bosque, un imponente movimento chiede la destituzione del sindaco Manuel Gómez, priista (membro del PRI, Partido Revolucionario Institucional, al governo attualmente in Messico) accusato di corruzione, nepotismo e abuso di potere; e Patishtán, come spesso accade ai maestri rurali – in molti casi veri e propri intellettuali organici delle loro comunità -, é il portavoce della protesta. Il governo, timoroso che la situazione possa degenerare dando vita a nuove sollevazioni, manda sul posto rinforzi della polizia federale. Durante uno dei pattugliamenti delle forze poliziesche, nei pressi del villaggio di Las Limas, avviene l’imboscata, effettuata da una decina di uomini a volto coperto armati di R-15 e di AK-47. 

Inizialmente, governo statale e federale puntano il dito contro le guerriglie dell’Ezln e dell’Epr (Esercito Popolare Rivoluzionario). Gli zapatisti, attraverso le parole del Subcomandante Marcos, rispondono invece indicando nei gruppi paramilitari legati al Pri  i probabili autori della strage, la quale sarà utilizzata come pretesto per intensificare ulteriormente la militarizzazione della regione. Dopo l’arresto di Patishtán, che scatena immediatamente vivaci proteste nella sua comunità (si arriverà fino ad occupare il palazzo municipale), vengono coinvolti nelle indagini anche due basi d’appoggio dell’Ezln, uno dei quali, Salvador López, sarà arrestato”.

patishtan-12Nel marzo scorso anche la Suprema Corte messicana, che in altri casi s’era dimostrata sensibile a ingiustizie macroscopiche e disposta ad annullare sentenze in base a eventuali vizi di forma dei processi, ha voltato le spalle al Profe ha rigettato il ricorso dei suoi avvocati contro le decisioni dei tribunali del Chiapas. Una recente decisione della Corte Suprema di Giustizia messicana, la quale ha stabilito un orientamento giurisprudenziale in materia di diritti umani, ha aperto la strada all’applicazione interna, a livello costituzionale, dei trattati internazionali che siano considerati migliorativi per quanto riguarda la protezione dei diritti dell’uomo rispetto alle norme vigenti in Messico. Ciononostante l’applicazione di tale orientamento, che potrebbe forse servire a Patishtán una volta ottenuta, eventualmente, una sentenza favorevole della CIDH, è stato depotenziato dalla stessa Corte Suprema con la previsione di eccezioni, casistiche e limiti che hanno fatto parlare addirittura di un retrocesso sul fronte dei diritti. 

In carcere l’attivista ha sempre cercato di rendersi utile, inegnando a leggere a a scrivere ai detenuti analfabeti o fungendo da interprete-traduttore per i compagni di cella che non parlano lo spagnolo. Progressivamente si avvicina agli zapatisti, partecipa alle mobilitazione per il miglioramento delle condizioni di vita in prigione, si fa portavoce degli altri detenuti e nel 2006 entra a far parte della Otra Campaña, l’offensiva politica dell’EZLN, basata sulla VI Dichiarazione della Selva Lacandona, che irrompe nella campagna elettorale e denuncia la corruzione del sistema politico e di tutti partiti che lottano per il potere politico e il controllo dello stato. Sempre in quell’anno fonda

Nel 2006 entra a far parte de La Otra Campaña e fonda, insieme agli altri reclusi aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, il collettivo La Voz del Amate che, collegando tra loro le iniziative di resistenza delle carceri del Chiapas con movimenti sociali esterni, negli anni ha fatto ottenere il rilascio di 137 prigionieri. Nell’ottobre 2012 ha subito un intervento chirurgico per l’asportazione di un umore benigno al cervello e ha vinto la battaglia contro il cancro. In questa breve video-intervista del luglio scorso El Profe parla di un’altra dura battaglia, delle sue sofferenze e dell’allontanamento dalla sua famiglia, ma soprattutto ricorda con dignità al Messico e al mondo che “a volte uno deve passare da queste situazioni affinché altra gente si accorga di quello che viviamo” e che il suo caso è solo “uno dei tanti tra quelli di persone che sono detenute ingiustamente in qualunque prigione, molte volte per non saper parlare spagnolo, per non avere soldi o per non saper leggere e scrivere”.

Segnalo due raccolte di firme per la libertà di Patishtán: 1) qui LINK e 2) Appello e firme di Amnesty International “Nessun giorno in più senza giustizia”: LINK

Documentario sul caso di Alberto Patishtán: LINK

Hashtag Twitter: #LibertadPatishtan

Comitato Città del Messico Twitter @TodosxPatishtan

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Francesca Svampa

Messico. In un video dalla prigione di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, nella quale vive quelli che potrebbero essere i suoi ultimi due giorni dietro le sbarre, il prigioniero tzotzil Alberto Patishtán dichiara che la sua lotta è perché “non posso accettare che mi accusino di un mucchio di reati, quando la mia coscienza è pulita. Non posso accettare di restare prigioniero neppure per due giorni se non sono colpevole di nulla”. (Video)


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http://www.chiapasdenuncia.blogspot.mx/2013/09/denuncia-publica-de-los-desplazados-de.html

 
VIDEO

Denuncia pubblica degli sfollati di Banavil

4 settembre 2013, San Cristobal de Las Casas, Chiapas.

 
Al Congresso Nazionale Indigeno
Ai Centri dei Diritti Umani onesti e indipendenti
Ai mezzi di comunicazione indipendenti
Alla società Civile nazionale e internazionale
Agli Aderenti alla Sexta
Alla Rete Contro la Repressione
Alle Giunte di Buon Governo
All’opinione pubblica 
 
Il 4 dicembre del 2011, in 13 persone siamo state aggredite e costrette a fuggire dai priisti di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas, e tutto questo perché crediamo nell’autonomia zapatista. Nostro padre Alonso López Luna è stato fatto sparire dalla gente della comunità e dalle autorità comunitarie. Per un anno e nove mesi non ci hanno completamente ignorato; il governo federale, statale ed il Pubblico Ministero Specializzato nella Giustizia Indigena, Cristóbal Hernández Lopez, sono complici degli aggressori ed appoggiano gli assassini. Ci domandiamo, dov’è lo stato di diritto? Che dovrebbe impartire la giustizia, ma per questo stato la giustizia è lasciare liberi gli assassini ed imprigionare gli innocenti come Lorenzo Lopez Giron e Francisco Santiz Lopez. 
 
Venerdì 30 agosto abbiamo ricordato con grade tristezza i desaparecidos come nostro padre Alonso Lopez Luna e molti altri, a causa della guerra sporca del governo, li ricordiamo con tristezza e con coraggio nei nostri cuori, sperando che un giorno arrivi la verità e la giustizia. Perché la giustizia non è ancora arrivata come dimostra la nostra denuncia che giace da mesi presso il Tribunale di Tuxtla Gutierrez, caso n. 523/2013, affinché si eseguano gli 11 mandati di cattura contro gli aggressori ed assassini. Ma non c’è risposta e l’impunità impera contro di noi popoli indigeni discriminati. 
 

Abbio visto cosa è successo recentemente nell’ejido Puebla, dove sono sfollate 91 persone tra uomini, donne e bambini, ed anche in questo caso il Pubblico Ministero per la Giustizia Indigena, Cristóbal Hernandez, non applica lo stato di diritto, sta solo a guardare quello che fanno ai nostri fratelli sfollati e perfino proibisce loro di diffondere pubblicamente le loro denuncie, che è l’unica forma di difesa dei fratelli cattolici. Ci domandiamo dove sono i nostri diritti come popoli indigeni. E per quanto resteranno impunite le aggressioni contro i nostri fratelli dell’ejido Puebla.

Noi profughi di Banavil viviamo in condizioni inumane e condividiamo con voi la nostra memoria delle molte aggressioni contro di noi ed i nostri fratelli dell’ejido Puebla; essere profughi non è vivere come esseri umani, perché gli esseri umani hanno dei diritti.
 
Che dicano gli aggressori cosa hanno fatto a nostro padre, perché gli aggressori sanno quello che è successo. Sono trascorsi i mesi e la giustizia non arriva. E questi aggressori ed assassini sono liberi e non c’è stata alcuna punizione né prigione per loro, mentre gli innocenti vengono condannati ad anni di prigione.
 
Al signor presidente della repubblica Enrique Peña Nieto ed al Governatore Manuel Velasco Coello:
 

Vogliamo la verità sulla sparizione forzata di nostro padre Alonso López Luna. 
Vogliamo giustizia per i fatti successi il 4 dicembre 2011. 
Vogliamo giustizia per i fratelli sfollati dell’ejido Puebla 
Vogliamo la libertà per il nostro fratello Alberto Patisthan condannato a 60 anni di prigione.

 
Distintamente 
I profughi di Banavil, municipio di Tenejapa, Chiapas.
Simpatizzanti dell’EZLN
Lorenzo Lopez Giron 
Miguel Lopez Giron
Petrona Lopez Giron
Anita Lopez Giroz

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Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Quattordici storie su come è stata vissuta la Escuelita : Alfonso Medrano

“L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano”

Alfonso Medrano, dal Cile

Un Votán non è solo un guardiano, è una guida, un maestro consapevole che impara da te come tu da lui, è un tutor, ma soprattutto, un compagno, qualcuno che ha abbracciato i sentieri della lotta e che ti accoglie con umiltà e rispetto, che ti ospita a casa sua per mostrarti come si è sviluppato il lavoro indigeno tinto di zapatismo nello stato di Chiapas.

Personalmente ho avuto la fortuna di avere un Votán che parlasse un castigliano quasi perfetto, in parte perché era promotore di educazione e in parte perché la sua curiosità personale e l’intuizione intellettuale erano molto sviluppate come pure la sua sensibilità, per cui non ci siamo trovati contro barriere linguistiche e abbiamo potuto avvicinarci ulteriormente. Ascoltare il suo racconto di vita è stato un insegnamento totale su ciò che significa assumere i costi di una vita ribelle, che molte volte porta isolamento, fame e dolore. Una delle sue frasi che più mi ha colpito è stata: “in guerra non vince nessuno, ma avevamo bisogno di farla”. M’è sembrata una riflessione molto lucida di come la violenza sia una necessità politica dei popoli, l’autodifesa come voce di un diritto reclamato, ma consapevole dei costi e dei traumi che comporta e anche delle sue piccole e non tanto piccole vittorie.

In 30 anni di organizzazione, resistenza e lotta al malgoverno, il popolo zapatista ha eretto i propri organi di governo, ha trasformato il concetto di democrazia in politica inclusiva dove si è aperto uno spazio per il ritorno del dialogo così da decidere collettivamente come camminare insieme, ha capito che i cambiamenti radicali NON si possono sviluppare sotto il cappello della politica istituzionale e che è necessaria l’autonomia per poter avanzare con più domande che certezze, un percorso che ha contraddizioni ma che non si arresta grazie all’impegno e alla responsabilizzazione di tutti e tutte i comp@ delle comunità di queste terre.

L’esperienza zapatista è una crepa nel territorio messicano, un punto di fuga, una rottura profonda con questo modello di vita, convivenza e produzione. Quello che accade sulle sue terre liberate è per me davvero ammirabile, un impegno preso con la storia, di passare da semplici spettatori ad attori e costruttori del proprio futuro.

Testo orginale: http://desinformemonos.org/2013/08/la-experiencia-zapatista-es-una-grieta-en-el-territorio-mexicano-alfonso-medrano-de-chile/Quattoridici storie su come è stata vissuta la Escuelita

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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La Jornada – Mercoledì 4 settembre 2013

Las Abejas chiedono aiuti umanitari per le 17 famiglie sfollate da Chenalhó, Chiapas

Hermann Bellinghausen

Il tavolo direttivo della Società Civile Las Abejas ed il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó, Chiapas, chiedono aiuti materiali ed economici per un centinaio di indigeni sfollati dalla colonia Puebla a causa della violenza di un gruppo paramilitare.

Il 26 agosto scorso erano arrivati nella Terra Sacra dei Martiri di Acteal 17 famiglie cattoliche e battiste della colonia Puebla (municipio di Chenalhó), per sfuggire all’aggressione del gruppo capeggiato dal commissario ejidale e pastore evangelico, Agustín Cruz Gómez.

Ma non tutti sono riusciti a fuggire, nella colonia Puebla sono rimaste altre 12 famiglie, e si teme ora per la loro vita.

“E’ evidente che questa violenza è conseguenza dell’impunità e della guerra sporca portata avanti dallo Stato dal 1994, culminata col massacro di Acteal il 22 dicembre del 1997”. La situazione è incerta: “Non sappiamo quanto tempo resteranno profughi, quello che sappiamo invece è che il malgoverno non ha la volontà di applicare la giustizia al gruppo degli aggressori. Sempre di più si conferma che la pace e la giustizia non vengono dal malgoverno, ma siamo noi a dover lavorare duramente per ottenerle, così che i nostri fratelli possano tornare”.

Sollecitando aiuti umanitari per gli sfollati, Las Abejas ed il consiglio parrocchiale della demarcazione tzotzil di Chenalhó precisano che c’è bisogno anche di risorse economiche per affrontare le spese del movimento, lavorare alla costruzione della pace e della giustizia, e creare le condizioni per il ritorno.

Le donne hanno bisogno di materiale per tessere e ricamare, perché non hanno potuto portare con sé nulla per paura di essere scoperte dagli aggressori.

A tale scopo sono stati aperti dei centri di raccolta nella scuola Nueva Primavera di San Cristóbal de las Casas e nella casa parrocchiale di de Yabteclum, a Chenalhó.

Le donazioni in denaro possono essere versate presso la Scotiabank, conto corrente numero 09502179105, clabe: 044130095021791051, a nome di Elena Vázquez Pérez y Juan Gómez Ruiz, sucursal 001, San Cristóbal de las Casas.

Per maggiori informazioni sulla situazione attuale, contesto e cause dello sgombero forzato, consultare la pagina Las Abejas de Acteal. Telefono: 9191214044.

Da parte loro, le famiglie sfollate hanno descritto le difficili condizioni in cui si trovano ad una brigata civile che li ha incontrati ad Acteal il fine settimana. Gli indigeni insistono nel chiedere giustizia. “Sappiamo cosa significa essere sfollati, perché lo siamo già stati nel 1997”. http://www.jornada.unam.mx/2013/09/04/politica/012n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Comunicato Las Abejas

Centri raccolta:

NUEVA PRIMAVERA
Calle Nueva Primavera #46
Col. Explanada del Carmen
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.
Tel. (casa) 01 (967) 678 5070

CENTRO DE PASTORAL
Yabteclum, Chenalhó, Chiapas.

Conto Corrente Bancario: SCOTIABANK
Número de cuenta: 09502179105
Clabe: 044130095021791051
A nome: ELENA VAZQUEZ PEREZ y JUAN GOMEZ RUIZ
Sucursal: 001 SAN CRISTOBAL DE LAS CASAS
Teléfono de contacto: 9191214044
email: solidaridadche17@gmail.com

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RICHIESTA DI APPOGGIO DELLA POLIZIA COMUNITARIA (CRAC-PC), EL PARAÍSO, AYUTLA DE LOS LIBRES, GUERRERO

Car@ compagn@,

Un saluto fraterno e solidale. Vi mandiamo questa urgente petizione di appoggio per la situazione critica in cui stiamo vivendo nel territorio comunitario nello stato di Guerrero. Come sicuramente avete saputo dai media, la repressione contro la nostra istituzione comunitaria con l’intervento del governo, della marina, dell’esercito e delle forze di polizia aumenta ogni giorno di più. Oltre alle incursioni massicce di elementi della marina e dell’esercito nel nostro territorio negli ultimi giorni e settimane, molti dei nostri poliziotti comunitari sono stati arrestati con uso della violenza, compresa la Coordinatrice Regionale di El Paraíso, Nestora Salgado García, arrestata senza alcun mandato da elementi dell’esercito, ed attualmente reclusa nel Centro Federale di Reinserimento Sociale Nordovest, con l’accusa di sequestro aggravato – ignorando il fatto che stava semplicemente svolgendo il suo lavoro come polizia comunitaria nel nostro territorio – lavoro riconosciuto e tutelato dalla Legge 107 dello stato di Guerrero, dall’articolo 39 della Costituzione Messicana e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro.

Abbiamo bisogno di tutto l’appoggio delle nostre sorelle e fratelli in territorio messicano e all’estero affinché i nostri diritti come popoli indigeni siano rispettati e per impedire altra violenza da parte dello stato. Abbiamo avviato questo progetto più di 15 anni fa per proteggere la dignità dei nostri popoli ed assicurare un futuro ai nostri figli; oggi chiediamo la vostra solidarietà affinché il nostro progetto di vita possa proseguire con gli stessi valori e principi.

Per il momento, chiediamo di firmare, come singoli o organizzazioni, la lettera qui sotto. Come singoli od organizzazioni si possono anche mandare lettere alle autorità menzionate sotto per denunciare gli atti del governo e la detenzione dei nostri compagni. Seguirà presto un nuovo appello per altre azioni di solidarietà e speriamo di contare sulla vostra partecipazione per esercitare pressioni sulle autorità.

 Le firme vanno inviate al seguente indirizzo: comunitaria13@gmail.com

 Nel caso di proprie lettere di denuncia, preghiamo inviarne copia a: comunitaria13@gmail.com

I giornalisti ci possono contattare attraverso lo stesso indirizzo email e volentieri daremo il contatto di membri della nostra organizzazione per concordare interviste e informazioni.  

 LETTERA DI DENUNCIA
29 AGOSTO 2013

OGGETTO: Denuncia della violazione dei diritti di membri della Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias, Policía Comunitaria (CRAC-PC) nello stato di Guerrero, Messico.

ALL’ATTENZIONE DI:ANGEL HELADIO AGUIRRE RIVERO
GOBERNADOR CONSTITUCIONAL DEL ESTADO DE GUERRERO
Palacio de Gobierno Edificio Centro 2do. Piso
Col. Ciudad de los Servicios
C.P. 39074 Chilpancingo Gro.Tel (747).47.1.98.02 y 47.1.98.01
gobernador@guerrero.gob.mx
 
JESUS MURILLO KARAM
Procurador General de la República
Paseo de la Reforma 211-213, Piso 16
Col. Cuauhtémoc, Del. Cuauhtémoc, C.P. 06500 México D. F.
Tel: (52.55) 53460000 ext. 0108
Fax: (52.55) 5346.0928
ofproc@pgr.gob.mx
 
IÑAKI BLANCO CABRERA
Procurador General de Justicia del Estado de Guerrero
Procuraduría General de Justicia del Estado de Guerrero
Boulevard René Juárez Cisneros S/N, esquina calle Juan Jiménez Sánchez
Col. El Potrerito, C.P. 39098, Chilpancingo, Guerrero.
Tel. 01 747 494 29 99
pgj@guerrero.gob.mx
 
Dr. Raúl Plascencia Villanueva
Presidente de la Comisión Nacional de Derechos Humanos
Edificio “Héctor Fix Zamudio”, Blvd. Adolfo López Mateos 1922, 6° piso,
Col. Tlacopac San Angel, Del. Álvaro Obregón, C.P. 01040
Tels. y fax (55) 56 81 81 25 y 54 90 74 00
correo@cndh.org.mx
provictima@cndh.org.mx
 
Dr. Emilio Alvarez Icaza
Secretario Ejecutivo de la Comisión Interamericana de Derechos Humanos
1889 F Street, N.W. Washington, D.C., 20006 U.S.A.
Tel: 202-458-6002 Fax: 202-458-3992
cidhoea@oas.org

Con la presente esprimiamo la nostra preoccupazione per la situazione attuale nello stato di Guerrero dove membri della Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias, Policía Comunitaria (CRAC-PC) subiscono gravi violazioni dei loro diritti come cittadini messicani e membri di un’autorità indigena.

Il CRAC-PC da 15 anni svolge un compito strutturato e comunitario a difesa dei diritti umani degli abitanti di oltre 10 città della regione della Costa Chica e della Montaña dello stato di Guerrero, contando sulla partecipazione di più di 1.200 elementi ed oltre 12.000 abitanti della regione. L’organizzazione ha dimostrato l’efficacia del suo lavoro con una riduzione generale dei reati del 95% nella sua zona di azione. È di particolare importanza il lavoro che ha svolto nella riduzione del narcotraffico nella zona e con la cattura di elementi della criminalità organizzata, problema riconosciuto molto critico in ambito nazionale e internazionale. 

L’attività del CRAC-PC è tutelato dall’articolo 39 della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani, oltre che dalla legge 701 dello Stato di Guerrero e dal Trattato 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL).

Come difensori e promotori dei diritti umani ed in particolare dei diritti indigeni, ci inquietano seriamente le recenti azioni di repressione contro membri della CRAC-PC da parte di elementi della polizia e dell’esercito, che includono incursioni nella zona di operazioni, minacce, maltrattamenti fisici compresa tortura e detenzioni arbitrarie. Una di queste detenzioni riguarda la Coordinatrice della Polizia Comunitaria di Olinalá, Nestora Salgado García, avvenuta senza mandato di cattura da parte di elementi dell’Esercito – una chiara violazione dei suoi diritti costituzionali e delle sue garanzie individuali previste dalla legge statale 701. Inoltre, è a nostra conoscenza che Salgado García è stata tenuta per diversi giorni senza poter contattare il suo avvocato o i familiari e che è stata arrestata senza considerare che il suo lavoro di catturare i criminali come polizia comunitaria è tutelato dalla legge 701 e pertanto non può costituire un atto di sequestro.

Ci uniamo alle richieste della CRAC-PC che includono: La liberazione immediata e incondizionata dei membri dell’organizzazione in prigione, il rispetto dell’autorità dell’istituzione, la cessazione della persecuzione militare e poliziesco del sistema comunitario, l’uscita dell’esercito e della marina dal territorio comunitario, e l’insediamento di un tavolo di dialogo tra il governo federale, la società civile organizzata e l’istituzione comunitaria.

Distintamente,

FIRME

…………………

…………………. 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Link di approfondimento e comunicato dell’organizzazione del 26 agosto:

http://www.caferebeldefc.org/?tag=polizia-comunitaria

http://sipaz.wordpress.com/tag/ayutla-de-los-libres/

http://www.policiacomunitaria.org/

 

COMUNICADO 26 DE AGOSTO

A LOS MEDIOS DE COMUNICACIÓN, PERIODISTAS, ORGANIZACIONES CIVILES, DEFENSORES DE DERECHOS HUMANOS Y LA SOCIEDAD CIVIL NACIONAL Y EXTRANJERA:

De manera respetuosa nos dirigimos a ustedes para exponer y denunciar lo siguiente:

Somos integrantes de la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias , Policía Comunitaria (CRAC-PC) de la casa de justicia de El Paraíso, Municipio de Ayutla de los Libres, Estado de Guerrero. Como es de conocimiento público, llevamos muchos años organizándonos para proteger a nuestros pueblos en contra de la delincuencia en general y ante el abandono de las instituciones gubernamentales; por lo mismo hemos sufrido represión desde nuestro surgimiento.
Haciendo uso de los derechos constitucionales nos basamos principalmente en el artículo 39 de la constitución mexicana, en la ley estatal guerrerense 701, así como el convenio 169 de la Organización Internacional de Trabajo (OIT) y nuestra ley de usos y costumbres de nuestros pueblos indígenas y mestizos así como nuestro reglamento interno. En todos estos años nos hemos enfrentado tanto a la delincuencia organizada como al sistema de gobierno; tan solo en los últimos meses nuestra casa de justicia ha tenido un crecimiento exponencial abarcando los siguientes municipios: Ayutla de los Libres, Tecoanapa, Tixtla de Guerrero, Atlixtac, Olinalá, Huamuxtitlan, Alpoyeca y Cualac. Entre los participantes están comisarios, delegados, comisariados, consejeros, coordinadores regionales, consejeros regionales, comandantes regionales, comandantes, segundos comandantes, cuerpos de policías, reservas y comunidades. La estructura de nuestra institución comunitaria cuenta con más de 1,200 integrantes. Sumando los pueblos que en ellas participan, se cuenta con la participación de alrededor de 12,000 personas.
Los policías comunitarios que se dedican a cuidar, proteger y administrar justicia en todo este territorio portan armamento artesanal y de bajo calibre. Han logrado bajar los índices de robo, asalto, secuestro, asesinatos, violación, presencia de sicarios, fraude, producción y tráfico de enervantes, entre estos resultados. A manera general, el índice de delitos se ha disminuida un 95%. Nuestra institución tenía detenido para su reeducación a más de 90 peligrosos delincuentes, muchos de ellos relacionados con los poderes gubernamentales y delincuencia organizada y eso precisamente es la causa de la inconformidad del gobierno.
Entonces, en un acto de guerra sin aviso, desplegó un impresionante operativo policiaco y militar, con alrededor de seis mil elementos – la mayoría de los llamados grupos de fuerzas especiales y alrededor de 250 vehículos entre Hummers, artillados, de transportes, blindados, helicópteros de la marina y fuerza aérea para vanagloriarse. “Rescataron” a 45 de los peligrosos delincuentes que posteriormente liberaron en un acto de descaro. Asimismo, detuvieron con lujo de violencia, maltrato y tortura, a 29 policías comunitarios que resguardaban a nuestra casa de justicia y a los delincuentes en diferentes regiones. Detuvieron también al coordinador regional de nuestra CRAC-PC de El Paraíso, Municipio de Ayutla de los Libres: Bernardino García Francisco.
De igual manera, elementos de la marina y ejército, con 150 integrantes armados con rifles, apuntando y cortando cartucho, detuvieron desde el miércoles 21 de agosto a la emblemática coordinadora regional del municipio de Olinalá, Nestora Salgado García, bajo cargos de secuestro y tortura. A pesar del anuncio oficial de su detención en el penal de máxima seguridad El Rincón, de Tepic, Nayarit, hasta el día de hoy, no ha sido presentada por autoridad alguna. Sus familiares no se han podido comunicar con ella ni han permitido que algún abogado la pueda ver. Por lo tanto, está en calidad de secuestrada- desaparecida. Igualmente informamos que siguen los operativos militares y policiacos en todo nuestro territorio comunitario y se han detenido varios otros de nuestros compañeros. Hemos mostrado prudencia y madurez pero no podemos aceptar vivir sitiados y amenazados ni con la constante violación a los derechos humanos. Todas las mesas de diálogo que le hemos propuesto al gobierno del estado y federal nos han respondido con prepotencia, engaño, farsa y con más represión.
La posibilidad de una masacre a nuestros grupos de policías comunitarias y a nuestras comunidades está cada vez más cerca. Sólo la denuncia y la solidaridad de los pueblos del mundo puede pararlo, y por lo tanto les pedimos el concurso de su esfuerzo para que este proyecto de vida no sea pisoteada por el mal gobierno. Nosotros como pueblos pobres y en lucha siempre optaremos por la vida, mantendremos en alto la bandera de nuestra dignidad. Desde este rincón de la patria llamado México, de los hombres, mujeres, ancianos, jóvenes y niños que vivimos orgullosamente en territorio comunitario, mandamos el saludo fraterno y el abrazo solidario que, aunque no nos conocen, somos sus hermanos.

Exigimos al gobierno estatal y federal:
La libertad inmediata e incondicional de tod@s nuestr@s compañeros
y compañer@s presos.
El respeto absoluto a nuestra institución de justicia comunitaria.
Cese al acoso militar y policiaco a todo nuestro sistema comunitario.
La salida del ejército y marina de nuestro territorio comunitario.
Castigo a quienes liberaron los delincuentes que tanto daño han causado a nuestros pueblos.
El establecimiento de una mesa de diálogo entre el gobierno federal, la sociedad civil organizada y nuestra institución comunitaria.

Atentamente,
COORDINADORA REGIONAL DE AUTORIDADES COMUNITARIAS,
POLICÍA COMUNITARIA (CRAC-PC).
CASA DE JUSTICIA, EL PARAÍSO, MUNICIPIO DE AYUTLA DE LOS LIBRES, GUERRERO, MÉXICO.
26 DE AGOSTO, 2013

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Comunicado de apoyo a l@ herman@s desplazad@s.

http://espoirchiapas.blogspot.mx/2013/09/comunicado-de-apoyo-l-hermans-desplazads.html

Frente a la desinformación oficial en el caso de los desplazados de Colonia Puebla, y la inactividad de las autoridad para su retorno, cerca de 60 colectivos de mas de 12 países, y 100 individuales se solidarizan con l@s herman@s desplazad@s y exigen la detención inmediata de los evangelistas quienes secuestraron al Padre Manuel y a los lideres, Agustin Cruz Gomez, y Jacinto Arias Cruz, igual exigen un retorno con seguridad de los 100 desplazados.

la Sociedad Civil Las Abejas,
A las bases de Apoyo Zapatista,
A la Junta de Buen Gobierno de Oventik,
A nuestros herman@s de Colonia Puebla, Chenalho,
A la Sociedad Civil,
A los medios libres y rebeldes,

Nosotros, como individuales, kolectivos Nacionales, Europeos, y del Mundo, una vez más nos movilizamos, y gritamos juntos nuestro YA BASTA frente a los últimos acontecimientos que pasaron en Colonia Puebla Chenalho.  Nuestros corazones se quedan dolidos, por saber y por ver que de nuevo en Chiapas, tuvieron que desplazarse forzosamente familias de su comunidad. Compartimos el dolor de esos compañer@s quienes tuvieron que dejar sus pertenencias, su campo, su milpa, para salvar su vida de los altos peligros y amenazas de un grupo de 1000 personas en la comunidad de Colonia Puebla.

No solo estos hechos nos hacen recordar el año 1997, donde todas las broncas y la militarización de Chenalho empiezo después de broncas en Puebla, pero igual nos hace parecer que las malas estrategias del PRI están de regreso.

Nos quedamos sensibles igual a la reactivación de los grupos paramilitares en la región. Y vigilamos bien que el desplazamiento de 80 personas no sea una etapa en una lógica de empoderamiento de guerra de contra insurrección. Denunciamos igual el enlace entre la liberación de los paramilitares autores materiales de la masacre de Acteal, y los actos que se están pasando.

Todo empiezo por la recuperación ilegal, de un grupo de evangelista del terreno de la ermita católica, ellos quienes rechazaron la construcción de una iglesia católica. Pero rápido las mentiras y las mañas re-empezaron, los evangelistas secuestrando y amenazando a 3 compañeros, de envenenar el agua. Ellos 3 tuvieron que desplazarse de la comunidad aunque por nada los hechos son reales. El día martes mientras que ellos habían anunciado su retorno, que una caravana civil les acompañaba pacíficamente, más de 100 jóvenes, unos de 12 años, acompañando por personas con corte militar, recibieron a la caravana con piedras. Tuvo que hacer vuelta. Por la noche quemaron a dos casas comunitarias de los católicos, quienes quedaron escondidos, y amenazados.

EL día miércoles 21 de agosto, un grupo de evangelista secuestraron al Padre Manuel, Sacerdote de la parroquia de Chenalho, durante más de 8 horas. Lo dejaron en las letrinas de la comunidad. Lo golpearon. Nunca el gobierno pudo contestar frente a esas amenazas, y nunca envió la fuerza pública para rescatar al Padre.  El día jueves, después de asustar a todos los católicos por el día, secuestrándolos en sus casas, unas familias decidieron desplazarse. Tomando un camino altamente peligroso y difícil de noche con lluvia. Más de 40 demás les siguieron por la mañana. Por el día de viernes otros tomaron la decisión de quitar su casa y sus pertenencias. Nunca la fuerza pública, aun avisada, tomo las medidas para garantizar la seguridad física de las familias desplazadas.

Así nosotros exigimos, la inmediata detención a los y las que secuestraron al Padre Manuel. Exigimos la inmediata detención de los lideres morales, que son Agustin  Cruz Gomez y Jacinto Arias Cruz, ex paramilitar, ex presidente municipal de Chenalho.

Exigimos que se garantice un pronto retorno con toda seguridad, en la comunidad de Colonia Puebla.

Por fin felicitamos la solidaridad entre los herman@s abejas y zapatistas quienes supieron apoyar al desplazamiento de sus hermanos oprimidos, organizando la solidaridad, desde abajo a la izquierda. Y nos solidarizamos al urgente llamado de acopio desde nuestros rincones.

NO MAS DESPLAZADOS EN CHIAPAS
VIVAN LAS ABEJAS
VIVAN LOS ZAPATISTAS

La Otra Europa:

Caracol Mundo-Eco de latido, Vienna Austria
Asocacion Espoir Chiapas / Esperanza Chiapas, Francia.

CEDOZ, Mexico.España,
Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid, España
Casa Nicaragua, Belgica
Plataforma Vasca de Solidaridad con Chiapas, Pais Vasco
Grupo CafeZ de Lieja, Belgica
LaPirata (Plataforma Internacionalista por la Resistencia y Autogestion Tejiendo Autonomias)
Nomads (Italia, Berlin)
Nodo Solidario(Italia Mexico)
Colectivo Zapatista Mariso (Suiza)
Grupo de Solidaridad con Chiapas de Dorset, ingletera
Gruppe B.A.S.T.A., Münster, Alemania
CGT – Estado Español
Secretaria de la Mujer de la CGT España
Colectivo Tierra Lesbik,
Mut Vitz 13, Marseille, Francia
Comitato Chiapas ” Maribel ” – Bergamo, Italia
Secretaria de Accion Social, CGT ANDALUCIA
Ya Basta Netz Alemania,
Nodo Solidale (Italia y Mexico)
London Mexico Solidarity Group.
La red de Solidaridad Zapatista del Reino Unido
Caracol Zaragoza, España,
Colectivo Farma, Atenas Grecia
Accion Social Sindical Internacionalista ASSI
Plataforma de Solidaridad Con Chiapas de Aragan
Comité de Solidaridad con los Pueblos De Chiapas en lucha, Francia
La Plataforma de Solidaridad con Chiapas y Guatemala de Madrid,
Télé Directe, Francia,
ABCéditions Ah Bienvenus Clandestins, Francia
Caracol Solidario, Besancon, Francia
Icra International, Francia.
YoSoyUnDosTres, Lyon, Francia

El otro Mexico

Colectivo Educación para la Paz y los Derechos Humanos A.C. (CEPAZDH )
Amig@s de Mumia Mexico,
Kolectivo Ik
Kaos Mexico
Movimiento Migrante Mesoamericano
Kolectivo boca en boca
Maderas del Pueblo del Sureste A.C.
Radio Zapatista
Sector Nacional Obrero y de Trabajadores de la Ciudad, el campo, el Mar, y el Aire, Adherente a la Sexta
Pozol Colectivo ,
Hijo de la tierra,
Organización Zapatista “Educación para la Liberación de nuestros Pueblos”
Pueblos, Barrios y Colonias en Defensa de Atzcapotzalco
Biblioteca popular, Df,
Ejido de Tila, Sexta.
Naranjas de Hiroshima
Cooperativas de Medios

El otro Mundo

Wellington Zapatista Support Group, Nueva Zelandia.
Servicio Paz Y Justicia, SERPAJ, America Latina
Casapueblos, Argentina
Campaña Internacional de apoyo a los juicios genocidas en Argentina
Revista Codo a codo, Argentina
Peace and Diversity Australia


Individuales:

Barabara Gammaracio, Italia
Julie Webb Pullamn, Neo Zelandia
Frederico Noriega, Sevilla, España.-
Grace Leung, Nueva Zelandia
Laure Glenain, France,
Alejandro Reyes Arias
Samira Biabi, France
Lorena Aguilar Aguilar
Marta Sanchez Soler, Coordinacion Ejecutiva, MMM
Gustavo García Rojas, Mexico
Leon Chavez Teixeiro
Joelle Gauvin Racine,
Genevieve Messier,
Alma Rosa Rojas Zamora
Cecilia Granados Salgado, Etnologa ENAH
Ericka Guttierrez
Priscilia Tercero, DF, Mexico
Rocío Servín, Guanajuato
Angel Benhumea
Pedro Rivero
Brenda Porras
Fernando Lopez
Jorge Herrera
Pietro Ameglio
Myriam Fracchia
Daniella Guarrior, Canada,
Tony boulo, France
Oscar Yomero,
Marie Helene Bourdages,
Annie Lapalme, Canada
Jean Lapalme, Canada
Hugo Absalon,
Alvara Gonzalez,
Jose Luis Carrasco,
Anais Gagnon,
Sista Innes
Ivonne Hernandez,
Emi Pot Baggins
Juan Imassi, Argentina, Artista y docente
Maria Amalia Garcia de Argentina
Rachel Fernandez Trujillo, Internacionalista Bolivariana
Felipe I. Echenique March
Cristina Delgado Hughes, Argentina
Daniel Vila, Periodista, Argentina
Isabelle Martineau, France
Hicham Lemlah, France
Lise GIllot, France
Ana Bianca Kludt
Nicte-Ha Dzib, Niñoas en la Otra Campaña, Df
Susana Grau, Jubilaba docente, Ensenada Argentina
Maximina Fueyo, Jubilaba docente, Ensenada Argentina
Carole Radureau, France,
Eve-lyne Clusiault, Canada,
Frédérique Parpouille, France,
Eugénie Taï, France,
Dayli Na, Periodista, France,
Maurixio Sur, Colombia,
Pablo Podesta, Mexico,
Guadalupe Lopez B,

Antonio Piñeiro Fernandez,
Ana Clou, Alemania,
Ana Emilia Palacios,
Viviana Valdovinos,
Liliana Prado,
Sara Garfias,
Maria Gracia Castillo Ramirez,
Fania Vandelay,
Carlos Alberto Jimenez,
Gaspard Ilom
Illiria Ninelth
Claudia Torres
Lucia Ar,
Fernando Villalobos,
Marco Antonio Landeros Rico,
Sandra Luz Garcia Parra,
Chio Martinez Prieto.
Javiera Araya

Fotos del dia del desplazamiento

Fotos del traslado de Yabteclum a Acteal

Accion Urgente COlonia Puebla

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Gli zapatisti, l’arte di costruire un mondo nuovo: Raúl Zibechi

Dai suoi sei anni di altezza, Carlos Manuel abbraccia la vita di suo padre come se non dovesse mai staccarsene. Guarda il tetto e sorride. Julián, suo padre, cerca di liberarsi. Il bambino cede ma rimane vicino al padre. Irma, sua sorella di circa otto anni, osserva da un angolo della cucina dove sua madre, Esther, lavora al fuoco girando le tortillas di mais che continuano ad essere l’alimento base della famiglie contadine.

Gli altri tre figli, compreso il più grande, Francisco, di 16 anni, osservano la scena che si ripete durante i pasti, come se fosse un rituale. La cucina è il luogo delle conversazioni che si spargono lente come il fumo che ascende sui tetti di zinco. Le parole sono frugali e saporite quanto il cibo: fagioli, mais, caffè, banane e qualche verdura. Tutto seminato senza sostanze chimiche, raccolto ed elaborato a mano. Allevato in aperta campagna il pollo ha un sapore diverso, come tutto il cibo in questa comunità tojolabal.

Finito il pasto ognuno lava i propri piatti e le posate, compreso il padre che a tratti collabora nella preparazione del cibo. Chiedo se è normale in queste terre. Rispondono che è un’abitudine nelle terre zapatiste, non è così in quelle del “mal governo”, a cui si rivolgono, senza sarcasmo, chiamandoli “fratelli priisti”. Queste comunità, vicine a quelle che impugnano la stella rossa su sfondo nero, ricevono buoni e alimenti dal governo, che costruisce loro case di mattoni e pavimento di cemento.

In tutta la settimana non c’è stato il più piccolo gesto di aggressività tra padre, madre e figli. Neppure un segno di malcontento o rimprovero. Parrebbe che la proibizione del consumo di alcol ammorbidisca le relazioni umane. Le donne sono quelle che traggono maggiore beneficio dai cambiamenti. “Riconosco gli zapatisti dal modo in cui si alzano in piedi, soprattutto le donne”, commenta il navigato giornalista Hermann Bellinghausen.

Il giorno della fine del mondo

La nuova fase intrapresa dagli zapatisti è cominciata il 21 dicembre 2012, giorno etichettato dai media come la fine del mondo che per i maya è l’inizio di una nuova era. Decine di migliaia di basi d’appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si concentrarono nei cinque capoluoghi municipali del Chiapas, gli stessi che occuparono il 1 gennaio 1994.

La ricomparsa dello zapatismo ha commosso buona parte della società messicana. Non solo non erano scomparsi ma rinascevano con più forza, dimostrando che erano in grado di mobilitare una quantità importante di persone in formazione militare, per quanto senza armi.

Nel comunicato del 30 dicembre, il subcomandante Marcos assicura che “in questi anni ci siamo rafforzati e abbiamo migliorato significativamente le nostre condizioni di vita. Il nostro livello di vita è superiore a quello delle comunità indigene affiliate ai governi di turno, che ricevono l’elemosina e la sprecano in alcol e oggetti inutili”.

Aggiunge che a differenza di quanto succede nelle comunità affiliate al Partido Revolucionario Institucional (PRI), in quelle zapatiste “le donne non vengono vendute come mercanzia” e che “gli indigeni priisti vanno nei nostri ospedali, cliniche e laboratori perché in quelli del malgoverno non ci sono medicine, né apparecchiature, né dottori né personale qualificato”.

È stato possibile verificar qualcosa di tutto ciò per quanti hanno partecipato alla prima escuelita tra il 12 e il 16 di agosto. In realtà sono stati convocati solo i compagni di viaggio, il che fa supporre una virata radicale nelle modalità di relazione con la società civile: “A partire da adesso, la nostra parola comincerà a essere selettiva verso il suo destinatario e, salvo poche occasioni, potrà essere compresa solamente da quanti con noi hanno camminato e camminano, senza arrendersi alle mode mediatiche e congiunturali”, dice il comunicato.

Aggiunge che “pochissimi avranno il privilegio” di conoscere l’altro modo di fare politica. In una serie di comunicati intitolati “Loro e noi”, hanno rimarcato le differenze tra la cultura dei politici del sistema e la cultura dal basso o zapatista, assicurando che non hanno intenzione di “costruire una grande organizzazione con un centro dirigente, un comando centralizzato, un capo, sia individuale o collettivo”.

Risaltano che l’unità d’azione deve rispettare l’eterogeneità dei modi di fare: “ogni tentativo di omogeneità non è altro che un tentativo fascista di dominazione, anche se si nasconde dietro un linguaggio rivoluzionario, esoterico, religioso o simile. Quando si parla di “unità”, si omette di dire che questa “unità” è sotto la direzione di qualcuno o qualcosa, individuale o collettivo. Sul falso altare della “unità” non si sacrificano solo le differenze, si nasconde anche la sopravvivenza di tutti i piccoli mondi di tirannie e ingiustizie in cui viviamo.”

Per comprendere questa prospettiva, che ha portato lo zapatismo a promuovere la escuelita di agosto, si devono capire i problemi che hanno passato con la sinistra elettorale e con le persone che, secondo loro, “si fanno vedere sui palchi e spariscono al momento di lavorare al buio dei riflettori”.

La logica della escuelita è opposta a quella di questa cultura politica. Non si tratta di andare ad ascoltare i comandanti indigeni né il subcomandante Marcos, ma di condividere la vita quotidiana con la gente comune. Non si tratta della trasmissione discorsiva e razionale di un sapere codificato. Si tratta di un’altra cosa: sperimentare una realtà a cui si può accedere solamente attraverso una promessa di impegno, ovvero esserci e condividere.

Una vita nuova

“Non abbiamo più difficoltà”, dice Julián, seduto su uno sgabello di legno grezzo, nella sua casa dal tetto di lamiera, dalle pareti di legno e dal pavimento di terra pressata. Lo dice con naturalezza di fronte a chi da quattro giorni dorme su assi di legno, appena rivestiti da una fine coperta. Julián entrò nell’organizzazione clandestina nel 1989. Marcelino, il mio guardiano o Votán, vi entrò poco prima, nel 1987.

Con soddisfazione raccontano delle riunioni clandestine nelle remote grotte in montagna, a cui arrivavano di notte decine di zapatisti, mentre i padroni e i loro sgherri dormivano. Camminavano tutta la notte e ritornavano in tempo all’alba per andare al lavoro. Le donne cucinavano loro le tortillas di nascosto, per non sollevare sospetti. A ben vedere, ha ragione quando dice che il peggio fa parte del passato. La frusta del proprietario terriero, l’umiliazione, la fame, la violenza e gli stupri delle figlie.

Il 1 gennaio del 1994 i proprietari terrieri scapparono e i loro sgherri gli corsero dietro. La comunità 8 di Marzo, dove è arrivato il nostro gruppo di quindici stranieri-alunni (metà messicani, uno yankee di 75 anni, un francese, un colombiano, due argentini e un uruguayano), si trova nelle terre che un giorno erano occupate da Pepe Castellanos, fratello di Absalón, tenente colonnello, ex governatore e proprietario di 14 tenute su terre usurpate agli indigeni. Il suo sequestro, in quel lontano gennaio, fu la scintilla che accelerò la fuga dei proprietari terrieri.

La comunità dispone di più di mille ettari di terre buone. Non devono più coltivare sui pendii rocciosi e aridi, raccolgono gli alimenti tradizionali e, su raccomandazione della comandancia, anche frutta e verdura. Non solo si sono liberati della frusta ma si alimentano meglio e riescono a risparmiare in un modo molto particolare. Julián raccoglie sei sacchi di caffè. 300 chili circa, di cui un sacco resta per il consumo famigliare e il resto lo vende. A seconda del prezzo, con ogni raccolto riesce a comprare tra le due e le tre vacche. “Le vacche sono la banca e quando abbiamo delle necessità, le vendiamo”.

Per necessità intende problemi di salute. Il suo figlio più grande dovette sottoporsi ad una cura e per sostenere le spese vendette un toro. È la stessa logica che applica la comunità. Nelle terre comunitarie coltivano collettivamente il caffè e con il raccolto comprano cavalli e vacche. Tra gli animali delle famiglie e quelli dei lavori collettivi, possiedono 150 cavalli e quasi 200 bovini.

Giorni prima che arrivassero gli alunni si ruppe il filtro dell’acqua e per ripararlo decisero di vendere una vacca. Allo stesso modo sostengono la casa di salute, la scuola e tutte le spese che richiedono il trasporto e l’alloggio dei compagni che devono ricoprire gli incarichi nei tre livelli dell’autogoverno: quello locale o comunitario, dei municipi autonomi e delle Giunte di Buon Governo.

Anche le donne hanno attività comunitarie. In questa comunità avevano una coltivazione di caffè con cui comprarono sei vacche, e un allevamento di galline con una cinquantina di animali i cui ricavi vengono utilizzati per gli spostamenti e le spese delle donne che occupano incarichi o partecipano ai corsi.

Le poche provviste che non producono le famiglie (sale, zucchero, olio e sapone) le comprano nelle botteghe zapatiste dei capoluoghi municipali, collocate nei locali occupati dopo l’insurrezione del 1994. In questo modo non hanno bisogno di andare al mercato e tutta la loro economia si mantiene all’interno di un circuito che controllano, autosufficiente, vincolato al mercato ma indipendente dallo stesso.

Le botteghe sono gestite a rotazione dai compagni delle comunità. Julián spiega che una volta ogni gli tocca rimanere un mese nella bottega di Altamirano (a un’ora dalla comunità), cosa che lo obbliga a lasciare casa. “In questo caso la comunità ti sostituisce nella milpa [appezzamento di terra solitamente coltivato a mais e fagioli, ndt] per quindici giorni e io appoggio allo stesso modo quello a cui tocca andare alla bottega.”. Esther ebbe un incarico nella giunta, Caracol di Morelia, a mezz’ora dalla comunità, e le sue attività vennero sostenute allo stesso modo, che possiamo chiamare reciprocità.

Salute ed educazione

Ogni comunità, per piccola che sia, ha una scuola e un presidio medico. Nella comunità 8 di Marzo ci sono 48 famiglie, quasi tutte zapatiste. L’assemblea elegge le sue autorità, metà uomini e metà donne, i suoi insegnanti e il personale medico incaricato. Nessuno può sottrarsi perché è un servizio per la comunità.

La scuola si svolge in una sala della grande casa abbandonata da un proprietario terriero. Sopravvive ancora una grata di ferro attraverso cui pagava i suoi braccianti, i quali potevano vedere appena una mano che lasciava cadere monete dato che l’oscurità nascondeva il volto del padrone.

Di mattina presto i bambini si radunano nel campo di basket davanti alla grande casa, marciano in fila con passo marziale, guidati da un giovane della comunità che non deve superare i 25 anni. L’educazione zapatista soffre la mancanza di infrastrutture, i locali sono precari, così come i banchi e il materiale. Gli insegnanti non ricevono uno stipendio ma vengono sostenuti dalla comunità, allo stesso modo del personale medico incaricato.

Tuttavia vi sono enormi vantaggi per gli alunni: i maestri sono membri della comunità, parlano la loro lingua e sono loro pari, nelle scuole di stato invece (quelle del mal governo), i maestri non sono indigeni ma meticci che non parlano la loro lingua, perfino li disprezzano, vivono lontani dalla comunità e mantengono una distanza verticale con i bambini.

Il clima di fiducia nelle scuole autonome facilita relazioni più orizzontali e la partecipazione dei genitori e degli alunni nella gestione della scuola. I bambini prendono parte a molti compiti nella comunità, tra cui il sostegno alla scuola e ai suoi maestri. Non esiste distanza tra scuola e comunità dato che sono parte di uno stesso intreccio di relazioni sociali.

Se la scuola ufficiale ha un percorso di studi opaco attraverso cui trasmette i valori dell’individualismo, delle competenze, dell’organizzazione verticale del sistema educativo e della superiorità dei docenti sugli alunni, l’educazione zapatista è il rovescio. Il percorso di studi si costruisce in forma collettiva e si cerca di far appropriare i bambini della storia della loro comunità perché la riproducano e la sostengano.

La trasformazione e la critica sono permanenti e lavorano per costruire collettivamente la conoscenza, visto che gli alunni sono abituati a lavorare in squadra e buona parte del tempo scolastico lo trascorrono fuori dall’aula, a contatto con gli stessi elementi che configurano la loro vita quotidiana. Quello che nella scuola di stato è separazione e gerarchia (maestro-alunno, aula-ricreazione, sapere-non sapere), nelle scuole autonome è inclusione e complementarietà.

Nella piccola sala di salute convivono medicine dell’industria farmaceutica con un’ampia varietà di piante medicinali. Una ragazza molto giovane si incarica di ricavare sciroppi e pomate da quelle piante. La sala conta con un’ortopedica e un’ostetrica, che completano l’equipe base di salute in tutte le comunità zapatiste. Generalmente affrontano situazioni relativamente semplici e quando si sentono sormontare trasferiscono il paziente alla clinica del caracol. Se non possono risolvere la situazione, vanno all’ospedale statale di Altamirano.

La salute e l’educazione sono suddivise negli stessi tre livelli del potere autonomo zapatista. Nei caracoles di solito si trovano le cliniche più avanzate e uno di essi dispone di una sala operatoria attiva. Nei caracoles, che ospitano le Giunte di Buon Governo, di solito ci sono anche le scuole secondarie autonome.

La escuelita

Ci sono volute sette ore per percorrere i cento chilometri che separano San Cristóbal dal caracol Morelia. La carovana di trenta furgoni e macchine parte tardi e avanza a passo di tartaruga. Verso le due di notte arriviamo al Caracol, un recinto in cui si trova un intreccio di costruzioni che ospitano le istituzioni della regione autonoma: tre municipi, dodici regioni e decine di comunità, governate dalla Giunta di Buon Governo.

Inoltre c’è una scuola secondaria e un ospedale in costruzione, cliniche, anfiteatri, botteghe, mense, calzolerie e altre attività produttive.

Nonostante l’ora, ci aspettavano una lunga fila di uomini e un’altra di donne bardati con i loro paliacate. Ci siamo divisi per sesso e uno a uno siamo andati a conoscere i nostri Votán. Marcelino allunga la mano e mi chiede di accompagnarlo. Andiamo fino all’enorme auditorium dritti a dormire sui banchi durissimi.

La mattina caffè, fagioli e tortillas. Poi parlano i membri della Giunta e spiegano come funzionerà la escuelita. Il pomeriggio, quasi sera, partiamo per la comunità. Tra gli alunni abbiamo visto Nora Cortiñas, delle Madri di Plaza de Mayo, e Hugo Blanco, dirigente contadino ed ex guerrigliero peruviano, entrambi sulla soglia degli ottanta anni.

Arriviamo alla comunità verso mezzanotte, dopo mezz’ora di scivoloni nel cassone di un piccolo camion. Tutta la comunità, divisa in file di uomini, donne e bambini con passamontagna, ci riceve con il pugno in alto. Ci danno il benvenuto e presentano ad ogni alunno la famiglia con cui vivrà. Julián si presenta e quando tutti hanno incontrato la propria famiglia, ce ne andiamo a dormire.

Prima sorpresa. Hanno diviso la casa con una parete, hanno lasciato una stanza per l’ospite con un ingresso a parte e i sette membri della famiglia si sono ammassati su un’uguale superficie. Ci svegliano alle prime luci per la colazione. Poi andiamo, machete alla mano, a pulire la coltivazione di caffè della famiglia fino all’ora di pranzo.

Il secondo giorno abbiamo legato il bestiame per le vaccinazioni e il terzo c’è toccata la pulizia della coltivazione collettiva di caffè. Così ogni giorno, integrando il lavoro con spiegazioni dettagliate sulla vita comunitaria. Nei pomeriggi toccava leggere i quattro quaderni distribuiti sul Governo Autonomo, la Resistenza Autonoma e la Partecipazione delle Donne al Governo Autonomo, con resoconti di indigeni e autorità.

Ogni alunno poteva formulare le domande più disparate, il che vuol dire che non sempre hanno avuto una risposta. Abbiamo potuto convivere con una cultura politica diversa da quella che conosciamo: quando gli si rivolge una domanda, si guardano, dialogano a voce bassa e, alla fine, risponde uno per tutti. È stata un’esperienza meravigliosa, un apprendimento pratico, di condivisione, assaporando la vita quotidiana di popoli che stanno costruendo un mondo nuovo.

Pubblicato in Programa de las Américas

Pubblicato il 2 settembre 2013

Testo originale: http://desinformemonos.org/2013/09/los-zapatistas-el-arte-de-construir-un-mundo-nuevo-raul-zibechi/?utm_source=rss&utm_medium=rss&utm_campaign=los-zapatistas-el-arte-de-construir-un-mundo-nuevo-raul-zibechi

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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Il fiore dell’autonomia non cresce ovunque

Per il direttore dell’Università della Terra a Oaxaca, il grande insegnamento degli zapatisti è che per resistere è indispensabile costruire alternative.
Gustavo Esteva, intellettuale

Messico. Forse non c’è un’altra formazione che per quasi vent’anni è stata bersagliata quotidianamente e permanentemente – da militari, paramilitari e in tutti i modi immaginabili – come gli zapatisti. Quello che impariamo con loro e con altri popoli del paese è che la resistenza non è semplicemente tenere duro. Bisogna resistere, bisogna opporsi ad un programma, ad un’azione, ad una diga o miniera, ma l’unico modo in cui la resistenza potrà aver successo sarà se allo stesso tempo sapremo costruire realmente una diversa possibilità di vita, che è quello che hanno fatto i compagni zapatisti. Hanno un modo diverso di vivere e di governare che nessuno può più distruggere. Possono ucciderli tutti e sarà l’unico modo, ma non possono distruggere quel modo di vivere.

Questo è quanto abbiamo imparato: la resistenza ha successo, può durare, può reggere e può continuare nel tempo se costruisce un’alternativa. Non possiamo tenere duro e basta; perdiamo se restiamo solo a questo livello. E questa costruzione dell’autonomia è ciò che la definisce.

S’è visto in diverse comunità e i compa lo ripetono che il fiore dell’autonomia non cresce ovunque. Bisogna individuare il terreno, dove può germogliare, e bisogna concimarlo con quello che ci dicono i compagni, che vuol dire che dobbiamo organizzarci. Ma l’organizzazione implica innanzitutto saper vedere qual è il terreno in cui la costruzione dell’autonomia può aver luogo.

Testo originale: http://desinformemonos.org/2013/08/la-flor-de-la-autonomia-no-crece-en-todas-partes-gustavo-esteva-intelectual/

(traduzione a cura di caferebeldefc.org)

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La Escuelita zapatista

Miguel Concha

La Escuelita zapatista è stata colma di esperienze, saperi e speranze confermate. Sono stati momenti per generare nuovi stimoli in un’epoca che sembra perdere riferimenti di lotta e trasformazione. La vita in comunità ed il lavoro collettivo hanno permesso a 1.700 persone, venute da diverse parti della Repubblica e del mondo, di riconoscersi nel forte desiderio di collaborare nella costruzione di un mondo dove stiano tutti i mondi.

L’invito fatto al Centro dei Diritti Umani Fray Francisco de Vitoria OP AC, ed il vissuto di due giovani compagni di questa organizzazione, esortano a diffondere alcune riflessioni al riguardo. Innanzitutto si ringraziano gli zapatisti per l’invito a un così importante esercizio di riflessione e formativo. E si ringraziano le migliaia di famiglie zapatiste che hanno accolto gli allievi. Si riconosce inoltre che questa convocazione è arrivata in un momento in cui i movimenti, collettivi ed organizzazioni sociali hanno bisogno di intessere le rispettive conoscenze con quelle dei popoli che resistono di fronte ad un sistema di morte che sfrutta ed esclude. Lo zapatismo è la dimostrazione che un altro mondo è possibile e, contrariamente a quello che il malgoverno dice, è un riferimento che ispira a continuare nelle lotte per un mondo più degno e giusto. Da quando i popoli zapatisti sono riapparsi il 21 dicembre scorso, si era percepito che c’era un messaggio profondo per il paese e per il mondo. Nei primi mesi dell’anno hanno poi invitato ad incontrarli. E così si è potuto condividere quello che hanno costruito in questi quasi 20 anni, e come lo hanno fatto. Una settimana di incontri è servita affinché i partecipanti si rendessero conto che la lotta zapatista non è mai stata endogamica, ma è partecipata con tutti i popoli del mondo, perché come ben dicono, per tutti tutto, per noi niente.

La pedagogia impiegata è stata quella dell’accompagnamento, dell’attenzione e dell’umiltà. Ogni partecipante è sempre stato accompagnato da una persona che lo ha guidato nella comunità e gli ha comunicato le sue conoscenze sullo zapatismo: il Votán. I popoli zapatisti li hanno accolti con amore, speranza e senza distinzione alcuna. Fin dal primo momento si sentiva l’allegria e il giubilo non solo dei nuovi arrivati, ma anche di tutte le persone che vivono nel territorio autonomo. Al mattino si condividevano il caffè, il mais ed i fagioli che le stesse comunità producono per la loro alimentazione. Poi si stava insieme a svolgere le attività quotidiane nella comunità: pulire la piantagione di caffè, fare tortillas, mettere i fagioli a cuocere, mietere mais tenero per i tamales, andare per legna o fare il pane. Tutto in maniera collettiva. Ed era durante queste attività che si imparava quello che le comunità zapatiste volevano insegnare. Mentre si era nella milpa, o si macinava il mais per le tortillas, erano chiaramente spiegati i sette principi dello zapatismo e le forme di organizzazione dei caracol. Gli allievi hanno compreso cosa implica il comandare ubbidendo, e stando in comunità, con domande ricorrenti, col passare dei giorni hanno conosciuto la libertà secondo gli zapatisti. A poco a poco si sono sentiti parte di quel processo di autonomia e liberazione. Gli zapatisti hanno raccontato come il malgoverno li attacca ripetutamente, ed hanno ascoltato le esperienze degli allievi, quello che il malgoverno fa nei luoghi da dove sono arrivati. Sono stati momenti propizi per capire che le esperienze del basso sono sorelle, perché hanno uno stesso nemico da sconfiggere: il potere oppressore, capitalista, coloniale e patriarcale. Nel pomeriggio tutti si partecipava ad una riunione per chiarire i dubbi.

Le domande si facevano in castigliano; le risposte erano in tzeltal o tzotzil. Tutta la comunità partecipava, e dopo un cenno i Votán spiegavano agli allievi le risposte della comunità. Il Votán era individuale, ma anche collettivo; cioè, tutta la comunità ha insegnato ed accompagnato in maniera unita. Non ci sono mai stati discorsi complicati o discussioni ideologiche. Ha predominato la conversazione amichevole: uno scambio di prospettive ed esperienze.

Questo è stato la Escuelita zapatista, un vissuto molto particolare per chi vi ha partecipato. Verso la fine della settimana sono stati tutti festeggiamenti. Le comunità hanno salutato gli allievi con musica e cibo, con balli e sorrisi. Dopo aver imparato, non restava che ringraziare per la vita e la speranza dei popoli zapatisti. Trent’anni dalla clandestinità e 20 dall’insurrezione sono sufficienti per comprendere le forti radici presenti nel territorio autonomo. Ma, a loro dire, ne mancano ancora molti, fino a che tutte e tutti siano liberi. Dai villaggi, gli allievi sono tornati nei caracol. Le conversazioni tra le e gli allievi al loro rientro erano piene di emozione: erano frastornati da tutto quello che il cuore della comunità aveva dato loro. Le autorità zapatiste hanno spiegato i particolari della loro organizzazione politica ed economica. Hanno descritto cosa e come è organizzata la struttura delle giunte di buon governo e dei municipi autonomi, e com’è che rendono concreto che il popolo comandi ed il governo ubbidisca. Si è esortato a tornare nei luoghi di origine e condividere quanto appreso, ma anche che è dalle proprie azioni che si costruiscono la libertà e l’autonomia. E si cambia il malgoverno. Dai caracol, gli allievi sono tornati al Cideci. Lì si è svolta la cattedra Tata Juan Chávez Alonso. Più di 200 delegati dei popoli indigeni si sono incontrati per condividere le loro lotte. All’unisono hanno denunciato il saccheggio dei loro territori ed i modi in cui il governo e le multinazionali distruggono la vita, la storia e la cultura. Ed hanno riconosciuto ed incoraggiato le lotte per l’autonomia e la libera determinazione dei popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/31/opinion/017a2pol

(Traduzione “Marbel” – Bergamo)

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Principi e modi zapatisti

Neil Harvey *

La escuelita zapatista che si è svolta in Chiapas tra il 12 e 16 agosto ha avuto una doppia funzione: da una parte, si è rivolta agli studenti arrivati da fuori come parte di una nuova iniziativa politica dell’EZLN iniziata con la marcia silenziosa del 21 dicembre 2012. La scuola è lo sforzo degli zapatisti di fare conoscere, dalla loro stessa analisi e testimonianza, la loro esperienza nella costruzione dell’autonomia comunitaria, municipale e di zona, allo scopo che queste lezioni possano essere utili in altri spazi.

Rappresenta in parte la continuazione delle relazioni presentate nell’Incontro dei Popoli Zapatisti con i Popoli del Mondo, del 2007, ma con maggiore profondità e con nuovi metodi di organizzazione. L’assegnazione di un uomo o una donna delle basi di appoggio ad ogni studente come propri custodi, ha fatto sì che l’interazione fosse più diretta ed arricchente, mentre le presentazioni e sessioni di domande e risposte hanno dimostrato la disponibilità di condividere non solo i progressi, ma anche limitazioni, errori e, soprattutto, nuovi modi di correggerli.

Nello stesso tempo, la escuelita ha avuto impatto all’interno delle comunità zapatiste promuovendo la discussione e l’elaborazione di quattro libri e due dvd sui governi autonomi, l’autonomia e le donne, e la resistenza, lasciando a disposizione un importante strumento per l’educazione autonoma e la nuova generazione di giovani zapatisti. Nel processo si va consolidando la centralità dei sette principi di governo zapatista: ubbidire e non comandare; rappresentare e non sostituire; scendere e non salire; servire e non servirsi; convincere e non vincere; costruire e non distruggere, e proporre e non imporre.

La scuola dunque è uno spazio di dialogo, un’opportunità per conoscere e condividere non unicamente i principi zapatisti, ma anche le sue pratiche o modi. Ma, che cosa sono i modi zapatisti? Sebbene resistano alla definizione, è possibile valutare il modo in cui questi sono espressi nelle decisioni e nelle azioni dei membri dell’EZLN.

Detti modi si manifestano nella pratica, cioè, nella capacità di rispondere in maniera includente e creativa ai problemi che si presentano. Attraverso la loro pratica, gli zapatisti danno significato ai sette principi già menzionati.

Durante la escuelita sono stati affrontati cinque temis: governo autonomo, donne, resistenza, giustizia e democrazia. In ognuno, le pratiche rivelano diversi processi di analisi, consultazione e riflessione che sostentano questo modo zapatista di rispondere a nuove sfide e problemi. 

Per esempio, la creazione delle giunte di buon governo (JBG) su scala regionale ha risposto ai problemi di squilibrio tra i municipi autonomi che si erano presentati alla fine del 1994. Il risultato di questa riorganizzazione, è una migliore distribuzione di aiuti solidali tra tutte le comunità e municipi zapatisti.

In quanto alla partecipazione delle donne, nelle JBG si è conseguita una rappresentanza più equa (per esempio, la composizione della JBG di La Realidad è passata da una a 12 donne tra il 2003 e il 2011), pur tuttavia esistono limitazioni dovute al machismo in molte comunità, che non permettono la partecipazione piena del settore femminile nelle attività organizzative. Gli zapatisti stanno tentando di cambiare questo atteggiamento insegnando che il machismo non viene dalla cultura indigena, bensì dai colonizzatori, e che furono i padroni ed i finqueros ad imporre l’idea che la donna non ha gli stessi diritti degli uomini, di modo che ora sconfiggere il machismo non implica andare contro i costumi indigeni, ma combattere insieme, uomini e donne, contro questo tipo di dominazione e costruire nuove forme di convivenza.

L’autonomia si costruisce anche nella resistenza alle molte strategie contrainsurgentes scatenate in Chiapas. Esempi notevoli sono la decisione di ricostruire cinque Aguascalientes dopo la distruzione dell’Aguascalientes di Guadalupe Tepeyac da parte dell’Esercito nel 1995, ed il modo in cui si affrontano i problemi economici attuali attraverso la creazione di nuove banche zapatiste che permettono di far fronte ad elevate spese mediche ad un tasso di interesse del 2 percento, o promuovere nuove attività collettive che permettono ai giovani di rimanere nelle proprie comunità e così evitare l’emigrazione.

In quanto alla giustizia, gli zapatisti prevedono la riabilitazione come miglior modo di stabilire condizioni reali di maggior sicurezza ed impedire la corruzione associata al pagamento di multe, come avviene nel sistema ufficiale. La riabilitazione molte volte si consegue col lavoro collettivo e l’apprendimento di un mestiere che permette la reintegrazione nella comunità invece della continuazione dei reati. È importante anche segnalare che le autorità zapatiste vogliono che le parti in conflitto giungano ad accordi per evitare problemi più grandi. 

Infine, il modo zapatista di praticare la democrazia persegue la più ampia partecipazione possibile. Per esempio, la JBG di La Garrucha conta su 24 autorità elette con voto segreto. Il suo mandato è di tre anni, ma il lavoro si spartisce tra tre gruppi di otto persone che si alternano ogni 10 giorni. La democrazia non si limita alle elezioni, ma è qualcosa che si promuove in ogni spazio e tempo. Per esempio, le proposte delle JBG per implementare qualsiasi progetto devono essere presentate e discusse nelle assemblee di ogni comunità della zona. Lì si possono modificare le proposte ed includere altre considerazioni.

I modi zapatisti si manifestano così nei modi di governare e creare alternative vitali. Sono le pratiche quelle che mantengono aperti gli spazi necessari affinché tutti possano partecipare come uguagli nella discussione e nell’applicazione dei diversi progetti, e così continuare a costruire, correggere e progredire. Questi sono i modi zapatisti. 

*Professore-ricercatore dell’Università Statale del New México, campus Las Cruces

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/018a2pol 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Appunti del corso La libertà Secondo l@s Zapatistas

Gilberto López y Rivas

E’ stato un privilegio assistere come alunno al corso di primo grado La Libertà Secondo l@s Zapatistas che si è svolto parallelamente in diversi territori dei governi autonomi, e nel Centro Indigeno di Formazione Integrale – Unitierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dal 12 al 17 agosto. 

Per i suoi molteplici significati politici, strategici, programmatici e tattici nella tragica attualità di un paese devastato dal governo di tradimento nazionale e da suoi soci corporativo-repressivi (includendo il crimine organizzato), il corso impartito da indigeni delle diverse etnie che formano i governi autonomi zapatisti costituisce un appello urgente alla coscienza nazionale, agli uomini e alle donne con dignità e interezza ad organizzarsi, resistere e lottare per un mondo migliore dove si comandi ubbidendo ai popoli a partire da sette principi: 1. Servire e non servirsi. 2. Rappresentare e non sostituire. 3. Costruire e non distruggere. 4. Ubbidire e non comandare. 5. Proporre e non imporre. 6. Convincere e non vincere. 7. Scendere e non salire; e sulla base della massima etica che guida l’EZLN: Per tutti, tutto, per noi, niente, è questo il codice di condotta opposto a quello con cui agisce la classe politica messicana.

In questa settimana memorabile, accompagnati dal nostro Votán, il tutore o cuore-guardiano del popolo e della terra, e dei nostri libri di testo di lettura-consultazione-discussione, noi allievi ci siamo addentrati nello studio della storia del governo autonomo. Si sono ricordati gli anni difficili della clandestinità, con l’arrivo delle Forze di Liberazione Nazionale nella selva Lacandona, il 17 novembre 1983; i 10 anni di preparazione che precedono la dichiarazione di guerra; il processo lento ma diffuso di presa di coscienza sul ruolo da giocare quando ogni tanto sorgono uomini e donne che pensano agli altri, che si ribellano per esigere terra e libertà.

Si è ricordato l’insediamento dei 38 municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), una volta consumato l’inadempimento degli accordi di San Andrés e, successivamente, i maestri e le maestre hanno descritto le condizioni ed i problemi che hanno portato alla creazione delle cinque giunte di buon governo, l’8 agosto 2003. Noi allievi abbiamo imparato come si organizza il governo negli ambiti comunitari, municipali e zonali. Con giri linguistici ed una grande capacità di sintesi e concettualizzazione, i nostri mentori hanno illustrato il percorso di costruzione e rinvigorimento della loro autonomia attraverso la pratica collettiva di uomini, donne, bambini ed anziani, con successi ed errori, scartando quello che non funziona e cambiando il necessario. Se qualcosa viene male, noi lo miglioriamo, sono passati solo 19 anni da quando abbiamo cominciato a costruire la nostra autonomia, contro 520 anni di oppressione!

Nella conduzione, partecipazione e contenuto tematico del corso, si sono evidenziate le conquiste delle donne nei governi autonomi, nelle commissioni di educazione, salute, progetti produttivi, nei cambiamenti nella quotidianità, nei lavori domestici e nella cura dei figli, come nello sport e negli eventi pubblici. Anche qui le maestre hanno ricordato come nella clandestinità sia iniziata l’integrazione delle donne nelle milizie, nelle file degli insorti, rendendo manifesto la parità di genere attuale nei tre livelli di governo. I maschilisti, ce ne sono, si scontrano ora con le autorità autonome, con le assemblee e col diritto delle donne di denunciare qualunque maltrattamento. Se la donna ricopre un incarico, il compagno deve prendersi cura dei figli, cucinare, fare il bucato, mi diceva il mio Votán.

Un altro tema importante delle lezioni è stato la resistenza, perché il malgoverno non ha lasciato in pace gli zapatisti un solo giorno. Sanno bene che i media sono potenti strumenti di propaganda che mentono sempre; per questo hanno creato i propri mezzi di comunicazione. Definiscono i partiti politici di ogni colore come strumenti di divisione e manipolazione che promuovono gli attacchi contro i popoli zapatisti ed i loro governi. Ma in questo conflitto gli zapatisti adottano una politica di non scontro che è tornata a loro beneficio: abbiamo cercato di non alterarci per evitare la violenza. Non alterandoci, ne siamo usciti vincitori. Con la nostra pazienza, siamo riusciti a risolvere molti problemi. La nostra forza è la nostra organizzazione, senza aggredire chi ci fa del male. I maestri raccontano che i fratelli dei partiti sono diventati dipendenti da aiuti e programmi governativi, che abbandonano i lavori produttivi e vendono la terra, mentre gli zapatisti, in maniera collettiva, lavorano nei terreni recuperati e contano sulle proprie risorse e risparmi. Paradossalmente, molti aderenti ai partiti finiscono per chiedere aiuto agli zapatisti, vengono nelle loro cliniche, dove li trattano come esseri umani, e ricorrono ai loro governi per l’applicazione della giustizia e risoluzione rapida dei conflitti. La resistenza ci ha dato ci ha dato la forza di costruire l’autonomia. Dal 1994 il malgoverno ci ha sempre attaccato; ha tentato tutti i modi per attaccarci, ma oggi, siamo qui! Fa la sua politica e noi ci organizziamo e lottiamo per tutti. Così, i nostri educatori ci hanno mostrato come resistono nell’ambito ideologico, economico,  politico, culturale, che è il modo di vivere; hanno dimostrato che né eserciti né paramilitari hanno impedito lo sviluppo delle loro autonomie”. 

Sono stati trattati molti altri argomenti, tutti con profondità, senso dell’umorismo e franchezza, con orgoglio per le conquiste, ma con modestia. Al termine del corso è arrivato il momento di salutare maestr@ e Votán, con un nodo alla gola e pianto aperto di molti. Per gli egresados della escuelita, il mondo non potrà più essere lo stesso. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/30/opinion/019a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 29 agosto 2013

Rischio di massacro nella colonia Puebla, come ad Acteal, avvertono Las Abejas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 28 agosto. I membri dell’organizzazione della società civile Las Abejas, della colonia Yaxgemel (municipio di Chenalhó), ritengono pericolosa la tardiva presenza della polizia nella colonia Puebla, dove la situazione è allarmante, e citarono le parole di Javier Hernández Cruz, aggressore del parroco di Chenalhó la settimana scorsa, che avrebbe detto: È necessario  far prendere aria e scaldare le munizioni, perché sono chiuse da da anni e si sono raffreddate, in riferimento alle armi che lui e tutti i paramilitari di Puebla hanno conservato dopo il massacro di Acteal.

Lo stesso individuo ha minacciato di morte un catechista di Yaxgemel, mentre altri elementi hanno minacciato uno degli autisti che hanno portato gli sfollati a San Cristóbal de las Casas.

Pronunciandosi contro la violenza sistematica nella località vicina, affermano: 

“A noi che abbiamo subito nella carne lo sgombero forzato del 1997, indigna e deprime psicologicamente lo sfollamento dei nostri fratelli e familiari di Puebla, perché il modo in cui si è sviluppato questo conflitto e la violenza sono identici al processo che portò alla guerra sporca“. Nella colonia Puebla sono nati i primi paramilitari che estesero il conflitto ed incitarono al paramilitarismo in varie comunità di Chenalhó nel 1997.

La nuova violenza è iniziata pretestuosamente come un problema religioso ma è la strategia ed il mascheramento dei malgoverni, ed in fondo un attacco diretto ai nostri compagni, affermano Jacobo Hernández Gómez, Diego Guzmán Gómez e Lázaro Arias Gómez. Il modo in cui si è sviluppato il problema è di carattere contrainsurgente, l’abbiamo già vissuto e sappiamo riconoscere la natura dei conflitti. 

La violenza avrebbe potuto essere risolta senza sgomberi se le autorità avessero la volontà e la capacità di fornire una soluzione pacifica e immediata. Tuttavia, è stato il contrario, come logico, perché tutte le autorità competenti fanno parte degli artefici del conflitto.

Complicità del governo

La complicità dei governi è stata confermata quando nel pomeriggio del giorno 22 gli ora esiliati, rinchiusi e minacciati di morte, hanno chiesto la protezione della forza pubblica per andarsene, ma è stata loro negata. Ciò nonostante, quando le persone minacciate erano già andate via, le autorità della colonia Puebla, i responsabili delle aggressioni, hanno chiesto l’intervento della forza pubblica, che gli è stato concesso. Ora, la polizia si è insediata lì insieme ai responsabili della violenza. 

La presenza della polizia a Puebla sarebbe per fornire protezione, ma in realtà serve a militarizzare le nostre comunità, sostengono i rappresentanti tzotzil. Temiamo un altro massacro; sappiamo che i poliziotti possono addestrare i paramilitari, che sono attivi, e la violenza estendersi ad altre comunità. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/29/politica/022n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Permetteremo un altro massacro come ad Acteal?

da Medianoche

Mercoledì 28 agosto 2013 21:51 

Il massacro di Acteal nel 1997 ebbe come preludio una serie di provocazioni identiche a quella di oggi nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove ci sono già centinaia di persone sfollate.  I responsabili delle provocazioni di oggi sono i figli dei paramilitari del 1997. 

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, 28 agosto 2013.- C’è chi ancora ricorda che l’escalation che portò al massacro di Acteal dove furono assassinate 45 persone, tra le quali bambini, bambine e donne incinta, cominciò con provocazioni ed aggressioni come quelle viste in questi giorni nella colonia di Puebla, a Chenalhó, dove già centinaia di persone sono sfollate. Malgrado nella memoria collettiva rimangano frasi come “Mai più Acteal”, oggi chi lotta ed il pubblico in generale reagiscono poco di fronte alla nuova escalation che può finire in un nuovo massacro. Mentre alcune cronache sui media liberi in questi giorni raggiungono livelli di lettura storici, le notizie sulla escalation delle aggressioni hanno pochissime letture, e la raccolta di viveri a San Cristóbal del las Casas è insignificante. Come società civile nazionale e internazionale e come persone impegnate, permetteremo un altro Acteal a Chenalhó, Chiapas?

La colonia Puebla a Chenalhó, Chiapas, è uno dei due luoghi da dove partirono i paramilitari che eseguirono il massacro di Acteal, salvo un’autorità, il resto degli autori materiali non andò mai in prigione, diversamente dai paramilitari dell’altro luogo da dove partirono: Los Chorros, che furono processati ed imprigionati e che poco tempo fa sono stati rilasciati dalla Corte Suprema di Giustizia della Nazione. Dopo la liberazione di questi ultimi, e di fronte all’impunità chiamata giustizia è iniziata l’escalation a Puebla, Chenalhó. Se un gruppo può assassinare impunemente 45 persone, e la Corte Suprema di Giustizia della Nazione lo libera, vuol dire che l’impunità si è fatta legge, la massima legge della nazione. Le famiglie paramilitari della zona agiscono di conseguenza e mandano i loro figli, molti dei quali bambini, a minacciare, perseguitare e lapidare le famiglie non affiliate. Ripetutamente le autorità municipali e statali hanno negato le misure cautelari chieste dalle organizzazioni dei diritti umani in favore delle famiglie minacciate ed aggredite, oggi molte di loro sfollate.

I pretesti per queste aggressioni sono stati diversi e puramente inventati. In questi giorni diverse cronache e notizie riassumono la situazione, qui ne indichiamo quattro: 

 Invitiamo a vigilare e seguire le informazioni, a fare memoria storica, a non permettere un altro Acteal, ad appoggiare con contributi e provviste e a non permettere che l’impunità prenda il nome di Giustizia ancora una volta di fronte al silenzio della società civile e di chi lotta. 

E se volete fare memoria e ricordare i meccanismi di contrainsurgencia in Chiapas ancora attuali, qui ci sono gli articoli di Bellinghausen con il racconto dei precedenti ed il contesto del massacro di Acteal pubblicato nel 2007, poi diventato un libro: A (quince) diez años de Acteal

http://www.kaosenlared.net/america-latina/item/66761-¿permitiremos-otra-matanza-como-la-de-acteal-en-chenalhó-chiapas?.html

Fonte: Centro de Medios Libres 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La falsa battaglia di Puebla

Hermann Bellinghausen

Un dejá vú. È il 2013, non il 1997. Quello che accade nell’ejido (già colonia) Puebla, ai confini di Chenalhó, in Chiapas, che si è voluto presentare come un conflitto religioso, in realtà è la manifestazione esplosiva del risentimento covato nelle famiglie dei paramilitari che all’improvviso accende una voce contagiosa e malintenzionata: Hanno avvelenato l’acqua! Chi? I cattolici, Las Abejas. Contro chi si scaglia inizialmente la turba? Contro le basi di appoggio zapatiste. Ne catturano tre, li legano, torturano e consegnano alla polizia. Poche settimane fa. Ora un centinaio di indigeni, in maggioranza donne e bambini, che non sono neanche zapatisti, percorrono le stazioni dolorose di un per nulla metaforico esodo, sotto l’impavido e declaratorio sguardo del governo statale che si comporta come se il conflitto si potesse dirimere ad un tavolo di dialogo dove le parti si riconcilino e così via.

Siamo alla stele del massacro di Acteal. Non siamo qua perché lo vogliamo, ma perché ci perseguitano. Ci vogliono ammazzare, si sono organizzati per farlo, ed il governo non fa niente, dice questo sabato, sull’orlo del pianto, ma con coraggio, Rosa Sánchez Arias, madre di famiglia che non parla spagnolo e sta fuggendo. Noi non avveleniamo l’acqua. Io dichiaro davanti a voi che non abbiamo fatto niente, sostiene in una spoglia conferenza stampa prima di lasciare la scuola Nueva Primavera a San Cristóbal de las Casas, dove gli sfollati hanno pernottato e si sono lavati, per partire poi verso la scuola parrocchiale di Yabteclum (il vecchio villaggio di Chenalhó), dove arrivano nella notte con l’intenzione di proseguire lunedì fino ad Acteal. Un luogo, ed un altro, ed un altro, Rosa riassume e si duole. L’hanno deciso la notte del 22 e di buon mattino, furtivamente, le famiglie perseguitate sono partite. Sono scese fino alle fattorie di Tenejapa, si sono infangate, disperse, ammalate ed hanno sofferto molto prima di essere localizzate dalle brigate civili che le stavano cercando.

Il 20 agosto, mentre un centinaio di giovani e bambini, autorizzati a fare bullismo, impedivano ai primi profughi di Puebla di avvicinarsi, nella stessa comunità molti altri raccoglievano pietre e circondavano i cattolici che aspettavano i profughi. Hanno distrutto il cibo che avevamo preparato, rubato le pentole e bruciato tutto. Hanno preso una bambina che volevano picchiare. Hanno detto molto brutte parole mentre distruggevano tutto. Hanno bruciato la casa, aggiunge Rosa. Decine di persone, circondate e rinchiuse in una capanna, sentivamo il fumo ed il calore dell’incendio. I bambini erano terrorizzati, quelli di fuori ridevano.

Juan, un altro sfollato: “Alcuni pastori (evangelici) stanno con i gruppi violenti. Hanno fatto correre la voce che quando ritorneremo ci finiranno. Dicono di fare tutto questo perché hanno la parola di Dio e ci vogliono obbligare a perdonarli. Non vogliono giustizia. Parlano di ‘riconciliazione’, e con loro il governo. Dimenticano che hanno delle responsabilità”. Loro hanno torturato, bruciato, oltraggiato il parroco, minacciato di morte. Ed il governo dice che per il ritorno, manca solo la nostra risposta alle sue proposte, omettendo di vedere che dalla sua parte ci sono i delinquenti e che ci stanno aspettando.

Da Puebla e los Chorros si organizzò il gruppo paramilitare che devastò Chenalhó nel 1997 che raggiunse il culmine nell’accampamento di profughi di Acteal quel 22 dicembre. Le polveri della recente liberazione dei paramilitari condannati (sicuramente non quelli di Puebla, perché nessuno andò in prigione, eccetto l’allora sindaco Jacinto Arias Cruz) sono tornate a rivoltare quel fango. Con un candore che non si vedeva dal governo di Julio César Ruiz Fierro prima del massacro, quello di Manuel Velasco Coello spera che i cattolici accettino un accordo che non garantisce giustizia né protezione, e già si è visto che la polizia non riesce a fare niente o sta con gli altri.

La faccenda delle voci fatte circolare è chiave. Come racconta un abitante di Yaxjemel, non lontano da Puebla, settimane prima “il gruppo aggressore di Agustín Cruz non aveva sufficiente sostegno nella sua crociata contro i ‘cattolici’ (anche se alcuni non lo erano), fino alla voce dell’avvelenamento dell’acqua”. Non ha contato nulla che il delegato regionale della Sanità, il poeta Ulises Córdova, negasse l’esistenza di casi di intossicazione d’acqua inquinata in tutta la zona, ma sul posto la cosa ha funzionato. Dando motivo per una vendetta. Come le Torri Gemelle.

Ma non c’è da sorprendersi. Con dignità e ordine impressionanti, gli sfollati nella notte arrivano al rifugio di Yabteclum tra incensi e sussurri. I locali che li accolgono ascoltano le loro testimonianze. Ondate di preghiere in cinguettio tzotzil. Poi offrono fagioli, da un immenso comal pieno di mani di donna escono tortillas senza fine, ed i bambini che due notti fa piangevano terrorizzati ora ridono, mangiano e giocano. Domani proseguirà il loro peregrinare. Gli incubi della mala giustizia generano mostri. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/26/opinion/a11a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Las Abejas rifiutano l’accompagnamento di una commissione governativa a protezione degli sfollati

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 27 agosto. Questo lunedì, l’organizzazione della società civile Las Abejas ha respinto la pretesa di una commissione del governo statale di accompagnare il trasferimento dei rifugiati della colonia Puebla che in mattinata hanno lasciato Yabteclum per stabilirsi nell’accampamento di Acteal, nel municipio di Chenalhó. “Abbiamo detto a questi messaggeri del malgoverno che non accettiamo la loro presenza. Com’è possibile che vogliano ‘accompagnare’ gli sfollati, se sono complici del loro sgombero?”.

Poco prima di partire da Yabteclum, raccontano Las Abejas, è arrivata una commissione di funzionari formata da un delegato della Segreteria di Governo, della Commissione Statale dei Diritti Umani, della Protezione Civile e dal segretario municipale di Chenalhó. Erano accompagnati da persone a noi ben note come spie del malgoverno, che ci scattavano fotografie. La commissione governativa diceva di, “venire per ‘accompagnare’ e dare ‘protezione’ ” agli sfollati.

A quasi quattro mesi dallo scoppio del conflitto per il terreno della Chiesa cattolica nella colonia Puebla, e dopo le denunce pubbliche, è avvenuto lo sgombero forzato. Questo lunedì 26 a mezzogiorno, ad Acteal abbiamo accolto 95 persone di 13 famiglie cattoliche e due di religione battista, vittime dello sgombero e dell’impunità creata e favorita dal malgoverno, insiste l’organizzazione tzotzil. 

Prima dello sgombero, il consiglio parrocchiale di San Pedro Chenalhó ha fatto di tutto per trovare una soluzione giusta e pacifica al conflitto, ma le autorità della colonia, in complicità col municipio e col governo statale, invece di applicare la giustizia hanno agito come loro abitudine e come indicato dal manuale di guerra irregolare dell’Esercito messicano: generare e favorire la violenza, e concedere impunità agli aggressori. (…). http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 28 agosto 2013

Martínez Veloz: La liberazione di Patisthán è d’importanza vitale per il dialogo con l’EZLN

Elio Enríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 27 agosto. Il delegato per il Dialogo con i Popoli Indigeni del Messico, Jaime Martínez Veloz, questo martedì ha visitato Alberto Patishtán nella prigione di San Cristóbal, perché la sua liberazione è fondamentale per generare quei livelli minimi di fiducia con l’EZLN che permettano la riconfigurazione delle condizioni per il compimento degli Accordi di San Andrés. 

Martínez Veloz è arrivato a mezzogiorno nella prigione, e dopo aver parlato con Patishtán Gómez, accompagnato da Sandino Rivero, membro della squadra di avvocati dell’imputato, è tornato a San Cristóbal per tenere una conferenza stampa. Alberto Patishtán sta scontando una condanna a 60 anni di prigione per l’accusa di aver partecipato ad un’imboscata a dei poliziotti che provocò sette morti e due feriti, il 12 giugno del 2000. 

Alla domanda diretta, ha risposto che non si vuole l’indulto per Patishtán Gómez, perché si spera che il verdetto che emetterà prossimamente il primo tribunale collegiale di Tuxtla Gutiérrez sia favorevole, per non dovere ricorrere ad un’altra istanza, ma faremo tutto quanto umanamente possibile e lotteremo per la libertà del professore presso ogni ordine di giudizio e su tutti i fronti. 

Martínez Veloz ha riferito che il colloquio con l’indigeno tzotzil è stato molto buono, e non sarà l’ultimo di un rapporto che possiamo costruire dentro e fuori la prigione. Ha aggiunto che inviterà anche gli altri membri della Commissione di Concordia e Pacificazione (Cocopa) a visitare Alberto Patishtán in prigione, affinché incomincino a conoscere da vicino l’insieme dei problemi che girano intorno al processo di pace. 

Ha ricordato che fin dall’inizio del suo incarico come delegato, ha esposto al segretario di Governo, Miguel Osorio Chong, la necessità di avanzare su cinque aspetti basilari per riprendere la via del dialogo in Chiapas: volontà politica unilaterale, la conformazione della Cocopa, la nomina del delegato per il dialogo, la liberazione di Patishtán Gómez, così come la riproposizione dell’iniziativa di legge che contiene gli Accordi da San Andrés. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/28/politica/018n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Allarme rosso a Chenalhó

Magdalena Gómez

Solo tre settimane fa sostenevo con preoccupazione che non era disattivato il conflitto nellejido Puebla, municipio di Chenalhó, in Chiapas, dove evangelici priisti in alleanza con i paramilitari – liberati dalla Corte Suprema  di Giustizia per presunte mancanze nel processo dove erano stati condannati per la loro partecipazione nel massacro di Acteal – reclamavano presunti diritti sul terreno di una cappella cattolica. Quell’episodio violento ha provocato lo sfollamento di diverse famiglie. Nuovamente ci troviamo di fronte al cocktail esplosivo della presunta componente religiosa che ha causato gravissimi danni in quella zona. 

Il governo dello stato l’8 agosto aveva aperto un tavolo di dialogo dove era stato firmato un accordo di civiltà, distensione e mutuo rispetto tra aggressori ed aggrediti, per questo le famiglie sfollate si erano preparate a ritornare martedì 20 agosto, accompagnate dal rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, e da una pattuglia della polizia statale. Tuttavia, un gruppo di circa 100 giovani ha impedito loro di avanzare. Il giorno dopo, è stato sequestrato e brutalmente picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, insieme ad un rappresentante del governo statale e ad un altro del governo municipale, da elementi delle chiese evangelica e presbiteriana. I fatti descritti sono stati denunciati dal centro Frayba e, come possiamo osservare, sono gravi di per sé ed ancora di più perché il riferimento del contesto precedente al massacro di Acteal non solo è inevitabile, ma ci obbliga a non abbassare la guardia.

Ma ci sono altri elementi che dobbiamo considerare, come il fatto che le prime aggressioni sono avvenute quando stavano per iniziare le attività politiche e pacifiche dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: l’anniversario dei caracol e la Escuelita zapatista che ha visto la partecipazione di circa 2 mila persone provenienti da molti paesi, e la cattedra Tata Juan Chávez Alonso, convocata dalla comandancia zapatista e dal Congresso Nazionale Indigeno, il cui profilo di denuncia di espropri in tutto il paese e di organizzazione per la difesa del territorio dei popoli è stato molto alto. Tutti questi sono stati un messaggio chiaro della forza politica ed organizzativa seguita alla dimostrazione del dicembre dello scorso anno con l’impressionante silenzioso spiegamento di forze.

Quindi, ci domandiamo se è un caso che, una volta conclusa la presenza solidale internazionale nella zona, siano riprese le ostilità a Chenalhó. Ovviamente, l’autonomia di azione non è nell’essenza del paramilitarismo. Quali forze ci sono dietro le aggressioni nell’ejido Puebla? E non possiamo smettere di domandarci se la denuncia del comandante Tacho nella settimana della Escuelita dei voli radenti di elicotteri nella zona, ha una qualche relazione con questa provocazione e minaccia. A dicembre del 2012 si arrivò a dire che in un gesto di volontà politica l’Esercito si era ritirato e non aveva interferito nell’uscita e negli spostamenti verso San Cristóbal delle basi zapatiste. Non sarà il caso di domandarci come valuta l’Esercito l’evidente rinvigorimento dello zapatismo? Se non ampliamo lo sguardo per analizzare questi segnali esecrabili a Chenalhó, possiamo incorrere, senza volerlo, nella visione di conflitto intracomunitario.

D’altra parte, dobbiamo anche domandarci se le autorità statali hanno agito con genuino spirito di mediazione, quando questo compito spetta in ogni caso a spazi civili, mentre a loro, come ha detto l’organizzazione Las Abejas, spetta l’applicazione della legge. Giustamente hanno denunciato che martedì scorso si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, (in riferimento alla cucina comunitaria) a tracciare un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, hanno aggiunto. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono dialoghi tra sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con bugie e violenza”.

E’ strano che il governo dello stato non abbia emesso un bollettino ufficiale riguardo a questi fatti, e che non l’abbia fatto neanche il Sottosegretariato agli Affari Religiosi; senza dubbio bisogna porsi questa domanda. Certamente il movimento sociale e politico progressista in questo momento affronta lotte cruciali, come il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori della Scuola, sottoposto ad un feroce linciaggio mediatico per aver occupato strade ed edifici pubblici, ed un’altra serie importante di forze si sta organizzando per fermare la riforma energetica; dovrebbero guardare al Chiapas ed ai popoli indigeni che anche loro difendono la nazione di fronte al neoliberismo. Nel frattempo, lo Stato né li vede né li sente. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/27/opinion/020a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Ejidatarios di Chilón presentano alla Corte Suprema la rivendicazione del loro territorio

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. Gli ejidatarios deiSan Sebastián Bachajón, municipio di Chilón, hanno deciso di presentare alla Suprema Corte di Giustizia della Nazione (SCJN) le loro rivendicazioni per la difesa del territorio contro le imposizioni del governo del Chiapas, appoggiate da enti federali, che hanno implicato l’esproprio di territori degli indigeni, ubbidendo a piani di sfruttamento turistico in favore del vicino ejido di Agua Azul, dove si trovano le famose cascate.

Il 20 agosto scorso, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona del citato ejido tzeltal, ed il suo rappresentante legale, Ricardo Lagunes Gasca, hanno chiesto alla SCJN “che eserciti le sue funzioni per decidere sulla richiesta di revisione presentata contro la sentenza del 22 luglio emessa dal giudice settimo di distretto in Chiapas, nel caso 274/2011, nella quale si stabilisce che gli atti di esproprio del 2 febbraio 2011 da parte delle autorità dello stato e federali non colpiscono i diritti collettivi del popolo tzeltal di Bachajón”.

Il precedente yaqui

La petizione alla Suprema Corte è stata appoggiata dal commissario e dal consiglio di vigilanza autonomi degli aderenti alla Sesta di San Sebastián Bachajón, che si sono rivolti al presidente della SCJN, Juan N. Silva Meza, affinché “si prenda in considerazione la trascendenza e rilevanza sociale e giuridica del caso affinché sia accolto dalla Corte e si sviluppino precedenti importanti beneficio dalla protezione dei territori indigeni e della loro cultura”.

Citano come precedente la sentenza a favore della tribù yaqui, di Sonora, nel ricorso 631/2012, relativo al progetto Acueducto Independencia, imposto dai governi dello stato e federale per sottrarre l’acqua del fiume Yaqui ai popoli indigeni del sud di Sonora.

L’avvocato Lagunes Gasca ritiene che “l’accoglimento del caso di Bachajón da parte della SCJN aprirebbe la possibilità di definire criteri di giurisprudnza sui diritti dei popoli indigeni come la consultazione ed il consenso libero, previo e informato”, prima dell’adozione di misure che coinvolgano il loro diritto alla terra ed al territorio, l’identità culturale, l’autonomia e la libera determinazione. Ciò, “a maggiore tutela legale delle comunità indigene del paese che sono o possono essere colpite da progetti governativi e privati all’interno dei loro territori”. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n1pol.htm

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La Jornada – Domenica 25 agosto 2013

Operazione pulizia religiosa a Chenalhó collegata ai paramilitari

HERMANN BELLINGHAUSEN

San Cristóbal de las Casas, Chis. 24 agosto. “Di fronte al rischio imminente in cui si trovavano le famiglie cattoliche dell’ejido Puebla, municipio di Chenalhó, all’alba di venerdì sono sfollate 14 famiglie, in maggioranza donne e bambini” ha comunicato ieri il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba) dopo l’arrivo degli indigeni nei suoi uffici.

Tuttavia, nel pomeriggio di oggi gli sfollati (che sono già più di 80), dopo aver trascorso la notte nella scuola di Nueva Primavera, e vista l’inutilità della mediazione governativa, hanno deciso di dirigersi a Yabteclum, più vicino alla loro comunità, anche se non c’è alcuna certezza del loro ritorno sicuro. Alcuni sono malati, quindi è anche emergenza sanitaria.

Il “sgombero forzoso” di questi tzotzil di diverse organizzazioni, che in comune hanno la professione della religione cattolica e non appartengono ai partiti politici ufficiali, si deve, secondo il Frayba “al clima di violenza in cui si trova la zona e per le aggressioni, minacce e persecuzioni” avvenute nelle scorse settimane.

Attualmente, riferisce l’organizzazione presieduta dal vescovo di Saltillo, Raúl Vera, “nell’ejido Puebla sono a rischio le famiglie cattoliche (23 persone) di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, e le famiglie battiste e pentecostali che sono rimaste nell’ejido anche se minacciate”.

Il centro dei diritti umani “esige che si garantisca il diritto all’integrità personale e si offra tutta l’assistenza necessaria alle persone sfollate, e si garantisca l’integrità e la sicurezza personale” delle famiglie che rimangono nella tormentata comunità. Anche che si applichi “la normativa internazionale, in specifico i principi regolatori degli sgomberi interni, firmati e ratificati dallo Stato messicano.”

Questi indigeni si sommano alle cinque famiglie dello stesso villaggio che, sfollate a luglio, avevano tentato di tornare questa settimana, ed un centinaio di persone, in maggioranza ragazzi, avevano impedito loro in maniera aggressiva, perfino di avvicinarsi all’ejido Puebla. Il problema nasce da un conflitto, apparentemente religioso, creato dalle autorità ejidali, tutti membri di chiese evangeliche e presbiteriane.

Sotto l’apparenza di contendersi la proprietà dove da quarant’anni si trova la appella cattolica, i filogovernativi hanno scatenato una virulenta operazione di “pulizia religiosa”, molto politica, collegata al ritorno dei paramilitari che parteciparono al massacro di Acteal, che condannati, sono stati polemicamente liberati negli anni e mesi recenti su decisione della Suprema Corte di Giustizia della Nazione. A Puebla si aggredisce nello stesso modo l basi di appoggio zapatiste, Abejas, Pueblo Creyente, e perfino i seguaci di altre chiese cristiane. http://www.jornada.unam.mx/texto/010n2pol.htm

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Sabato 24 agosto 2013

La violenza religiosa obbliga 12 famiglie di Chenalhó ad abbandonare le proprie case

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 23 agosto. Questo pomeriggio 12 famiglie (70 persone, alcune malate) sono sfollate dalla colonia Puebla, a Chenalhó, a cusa alla violenza contro i cattolici da parte di gruppi presbiteriani ed evangelici guidati dalle autorità ejidali. Alla stessa ora, il segretario di Governo dello stato, Oscar Eduardo Ramírez Aguilar, in un ristorante a ponente di questa città, condceva un tavolo di dialogo tra le parti per evitare lo sgombero e le ostilità.

Poco prima, il Frayba aveva informato che il parroco Manuel Pérez Gómez, sequestrato mercoledì a Puebla, “dopo cinque ore di degradanti maltrattamenti, è stato obbligato a firmare che ‘non avrebbe informato i media delle aggressioni’ e ‘non avrebbe sporto denuncia’.”

Il sacerdote, “alla presenza del commissario ejidale Agustín Cruz Gómez e dell’agente rurale municipale Lorenzo Gutiérrez Gómez, per cinque lunghi minuti è stato colpito selvaggiamente su schiena, viso e gambe da circa dieci persone, accompagnate da altre cento o forse più, e rinchiuso in piedi in una latrina, senza acqua né cibo. Cinque ore dopo l’hanno portato nella piazzuola della scuola, circondato da un migliaio di persone che gli gridavano: ‘Tu sei qui come rappresentante di Gesù Cristo ma andrai comunque all’inferno ‘”. Il Frayba affermava: La situazione è fuori controllo per la debolezza e le omissioni del governo, cosa che mette ancor più a rischio le persone che stanno per lasciare le case.

Questo è già accaduto. Gruppi di civili sono srrivati oggi ad accogliere gli sfollati che a piedi hanno abbandonato la comunità. Nell’ejido restano altri 23 cattolici, le famiglie di Manuel Cruz, Gustavo Santiz e Francisco López, così come famiglie battiste e pentecostali anch’esse minacciate.

L’organizzazione Las Abejas giovedì ha dichiarato ad Acteal: E’ ormai accertata la riattivazione dei paramilitari nell’ejido Puebla e la possibilità di un massacro di famiglie cattoliche. Torna a confermarsi, ha aggiunto, la negligenza e la complicità del governo nel conflitto. Siccome questo è parte della sua guerra di contrainsurgencia, lascia che agiscano i paramilitari.

Il sequestro del parroco è un reato grave. Ragazzi e bambini lo insultavano con odio e scherno; la maggioranza sono figli dei paramilitari che agirono nel 1997. Tra i loro genitori e le autorità che non fanno niente per impedirlo, si sta creando un nido di piccoli paramilitari che minaccia di avvelenare la vita del nostro municipio.

Las Abejas denunciano: Il commissario e l’agente municipale sono responsabili dell’aggressione alla carovana il giorno 20. Il consigliere comunale José Arias Vásquez ed il sindaco potevano fermare l’aggressione. Hanno lasciato che crescesse la tensione ed ora non riescono a risolvere il problema o sono alleati con le autorità dell’ejido, come nel 1997, quando era sindaco Jacinto Arias Cruz. I paramilitari sono stati scarcerati un poco alla volta; l’ultimo gruppo ad aprile di quest’anno; in questo gruppo c’era Arias Cruz, unico paramilitare di Puebla finito in prigione. Dopo pochi giorni sono cominciati i problemi.

Las Abejas denunciano che questo martedì si è visto qualcosa che non si vedeva dai giorni tragici del 1997: il fumo delle case bruciate, come un segnale di morte nel cielo di Chenalhó. Sappiamo leggere questi segnali di fumo, aggiungono. “Ed il governo, invece di applicare la legge convoca ‘tavoli di dialogo’ che sono di sordi, dove firma e fa firmare delle carte, mentre i paramilitari continuano tranquillamente con le bugie e la violenza”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/24/politica/012n1pol

http://www.frayba.org.mx/archivo/acciones_urgentes/130823_au_04_desplazados_chenalho.pdf

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Sequestrato l’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie

da Media Liberi

Venerdì 23 agosto 2013

 Gaudencio

22 agosto 2013.- All’alba di oggi un gruppo di persone armate hanno fatto irruzione nella casa dell’indigeno nahua Gaudencio Mancilla, oppositore delle società minerarie nello stato di Jalisco, portandolo via insieme ad altre due persone, che fino ad ora risultano scomparse. Da tempo le società minerarie che saccheggiano la regione organizzano gruppi armati che agiscono contro la popolazione che si oppone al saccheggio. Gaudencio Mancilla era appena tornato dalla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”, che si è svolta il 17 e 18 agosto a San Cristóbal de las Casas, convocata dal Congresso Nazionale Indigeno e dall’EZLN, e solo questo 17 agosto don Gaudencio diceva nel suo intervento alla Cattedra: “per questo chiedo a tutti i fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno di vigilare, Perché vigilare? Perché succederà qualcosa, la comunità oserà fermare i minatori e non sappiamo cosa succederà”.

All’alba a bordo di 5 furgoni, un gruppo di uomini armati che non si sono identificati hanno fatto irruzione nella casa di Gaudencio Mancilla Roblada, nell’ejido di La Guayaba. Gaudencio è il leader del consiglio dei Mayores della comunità Nahua di Ayotitlán, sulla Sierra di Manantlán, nel municipio di Cuautitlán, Jalisco. Portato via con violenza, ora risulta desaparecido insieme a suo fratello Bonifacio Mancilla Roblada, e con Gerónimo Flores Elías, vicino della comunità Tierras Negras. Le sparizioni sono avvenute malgrado don Gaudencio Mancilla godeva di misure cautelari concesse dalla Commissione Statale dei Diritti Umani di Jalisco (CEDHJ).

Solo nell’ottobre del 2012, Celedonio Monroy, un altro membro del consiglio dei Mayores, era stato privato della libertà e fino ad oggi risulta ancora desaparecido. Nel luglio scorso, un commando aveva fatto la stessa irruzione nella sua casa, in quell’occasione Gaudencio riuscì a fuggire verso la montagna, don Gaudencio è uno strenuo oppositore al disboscamento clandestino ed miniere illegali nella sua comunità.

Il Consorzio Minerario Peña Colorada è una delle compagnie che compiono aggressioni contro le comunità indigene nahua e otomí della regione, fomentando un conflitto che abbraccia territori negli stati di Jalisco e Colima. Una proprietà di 810 ettari in concessione a questa impresa, è uno dei centri del conflitto. Lo sfruttamento di questa proprietà ha provocato l’inquinamento e la perdita delle sorgenti della zona, ed il blocco di strade. Diverse comunità nahua ed otomí delle vicinanze della zona sono state colpite: El Mameyito, San Antonio, Changavilán, Las Maderas, Rancho Quemado, Los Potros, Puertecito de las Parotas e La Piedra, le cui popolazioni sono state parzialmente sgomberate negli anni scorsi.

Il compagno nahua Gaudencio Mancilla, aveva partecipato il fine settimana scorso alla Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso” (convocata dall’EZLN), ed alla riorganizzazione del Congresso Nazionale Indigeno, dove aveva descritto la grave situazione della sua comunità e le persecuzioni che subiscono.

Fonte: http://www.megafono.lunasexta.org/node/2050

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Le escuelitas del basso

Raúl Zibechi 

Ci sarà un prima e un dopo la scuola zapatista. Di quella recente e di quelle che verranno. Sarà un impatto lento, diffuso, che si farà sentire in alcuni anni ma che segnerà la vita di quelli in basso per decenni. Quella che abbiamo vissuto è stata un’educazione non istituzionale, dove la comunità è il soggetto che educa. Autoeducazione faccia a faccia, imparando con l’anima e col corpo, come direbbe il poeta.

Si tratta di una non pedagogia ispirata alla cultura contadina: selezionare i semi migliori, spargerli su suoli fertili ed irrigare la terra affinché si produca il miracolo della germinazione, che non è mai sicura né si può pianificare.

La scuola zapatista, per la quale siamo passati in più di mille allievi nelle comunità autonome, è stato un modo differente di apprendistato e di insegnamento, senza aule né lavagne, senza maestri né professori, senza curricula né voti. Il vero insegnamento comincia con la creazione di un clima di fraternità tra una pluralità di individui prima che con la divisione tra l’educatore, tra potere e sapere, ed allievi ignoranti ai quali si devono inculcare conoscenze.

Tra i molti insegnamenti, impossibili da riassumere in poche righe, voglio sottolineare cinque aspetti, forse influenzato dalla congiuntura che stiamo attraversando nel sud del continente.

Il primo è che gli zapatisti hanno sconfitto le politiche sociale contrainsurgentes, che sono il modo usato da quelli in alto per dividere, cooptare e sottomettere i popoli che si ribellano. Vicino ad ogni comunità zapatista, ci sono altre comunità affini al malgoverno con le loro casette di mattoni, che ricevono sussidi e quasi non lavorano la terra. Migliaia di famiglie hanno ceduto, cosa comune da tutte le parti, ed hanno accettato i regali dall’alto. Ma, la cosa notevole, la cosa eccezionale, è che altre migliaia vanno avanti senza accettare niente.

Non conosco un altro processo, in tutta l’America Latina, che sia riuscito a neutralizzare le politiche sociali. Questo è il più grande merito dello zapatismo, ottenuto con fermezza militante, chiarezza politica ed un’inesauribile capacità di sacrificio. Questo è il primo insegnamento: è possibile sconfiggere le politiche sociali.

L’autonomia è il secondo insegnamento. Anni fa si sono sentiti discorsi sull’autonomia dai più diversi movimenti, certamente qualcosa di coraggioso. Nei municipi autonomi e nelle comunità che formano il caracol di Morelia, posso testimoniare che hanno costruito autonomia economica, di salute, di educazione e di potere. Cioè, un’autonomia integrale che abbraccia tutti gli aspetti della vita. Non ho alcun dubbio che ciò avvenga anche negli altri quattro caracol.

Un paio di parole sull’economia, o la vita materiale. Le famiglie delle comunità non toccano l’economia capitalista. Sfiorano appena il mercato. Producono tutti i loro alimenti, inclusa una buona dose di proteine. Comprano quello che non producono (sale, olio, sapone, zucchero) nei negozi zapatisti. Le eccedenze familiari e comunitarie le investono in bestiame, in base alla vendita del caffè. Quando c’è bisogno, per la salute o per la lotta, vendono alcuni capi di bestiame.

L’autonomia nell’educazione e nella salute risiede nel controllo comunitario. La comunità sceglie chi insegnerà ai propri figli e figlie e chi si occuperà della salute. In ogni comunità c’è una scuola, nell’ambulatorio convivono levatrici, hueseras [aggiusta-ossa – n.d.t.] e chi si specializzerà nelle piante medicinali. La comunità li sostiene, come sostiene le proprie autorità.

Il terzo insegnamento si riferisce al lavoro collettivo. Come ha detto un Votán: I lavori collettivi sono il motore del processo. Le comunità hanno terre proprie grazie all’esproprio degli espropriatori, primo ineludibile passo per creare un mondo nuovo. Uomini e donne svolgono rispettivi lavori ed hanno propri spazi collettivi.

I lavori collettivi sono una delle fondamenta dell’autonomia, i cui frutti generalmente si traducono in ospedali, cliniche, educazione primaria e secondaria, nel rafforzare i municipi e le giunte di buon governo. Niente di tutto quello che si è costruito sarebbe stato possibile senza il lavoro collettivo di uomini, donne, bambini, bambine ed anziani.

La quarta questione è la nuova cultura politica che si definisce nelle relazioni familiari e sfuma poi in tutta la società zapatista. Gli uomini collaborano al lavoro domestico che continua a ricadere sulle donne, badano ai figli quando queste escono dalla comunità per svolgere le mansioni di autorità. Il rapporto tra genitori e figli è di affetto e rispetto, in un clima generale di armonia e buonumore. Non ho visto un solo gesto di violenza o aggressività in casa.

L’immensa maggioranza degli zapatisti sono giovani o molto giovani, e ci sono tante donne quante gli uomini. La rivoluzione non la possono fare altri che i giovani, e su questo non si discute. Quelli che comandano, ubbidiscono, e non sono parole. Ci mettono il corpo, un’altra delle chiavi della nuova cultura politica.

Lo specchio è il quinto punto. Le comunità sono un doppio specchio: nel quale possiamo guardarci e dove possiamo vederle. Non uno o l’altro, ma le due cose contemporaneamente. Ci guardiamo guardandole. In questo andare e venire impariamo lavorando insieme, dormendo e mangiando sotto lo stesso tetto, nelle stesse condizioni, usando le stesse latrine, calpestando lo stesso fango e bagnandoci nella stessa pioggia.

È la prima volta che un movimento rivoluzionario realizza un’esperienza di questo tipo. Fino ad ora l’insegnamento tra rivoluzionario riproduceva i modelli intellettuali dell’accademia, con un sopra e un sotto stratificati, e congelati. Questa è un’altra cosa. Impariamo con la pelle e i sensi.

Infine, una questione di metodo o di forma di lavoro. L’EZLN è nato nel campo di concentramento che rappresentavano le relazioni verticali e violente imposte dai latifondisti. Impararono a lavorare famiglia per famiglia ed in gran segreto, innovando il metodo di lavoro dei movimenti antisistema. Quando il mondo somiglia sempre di più ad un campo di concentramento, i loro metodi possono essere molto utili a chi continua ostinatamente a cercare di creare un mondo nuovohttp://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/opinion/023a1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Venerdì 23 agosto 2013

Liberato il parroco e i funzionari sequestrati e picchiati nell’ejido Puebla. Il sacerdote obbligato a firmare un documento per la cessione di un podere

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 22 agosto. Il parroco di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez, sequestrato il pomeriggio di ieri, legato e minacciato di morte nell’ejido Puebla, è stato liberato alle 23:30 di mercoledì, come riferito dagli abitanti della comunità tzotzil.

Fonti governative hanno informato della liberazione anche di Javier García Mendoza, rappresentante del Sottosegretariato agli Affari Religios, del sindaco di Chenalhó, Andrés Gómez Vázquez e del delegato di governo Alonso Jiménez Gómez.

(…) Dall’ejido, per via telefonica hanno raccontato che Pérez Gómez, legato e picchiato, è stato obbligato a firmare un documento per la cessione ai suoi sequestratori presbiteriani ed evangelici della proprietà della cappella cattolica, la cui disputa ha gravemente minato la convivenza nella colonia Puebla.

E’ anomalo per questi tempi che un sacerdote della diocesi di San Cristóbal de las Casas sia aggredito in questo modo, anche se altri in passato hanno corso seri pericoli, a cominciare dallo scomparso vescovo Samuel Ruiz García. La sfida del gruppo paramilitarizzato mette in serio dubbio la capacità del governo chiapaneco di risolvere il conflitto.

Il fatto, insieme all’aggressione contro gli sfollati che cercavano di tornare avvenuta martedì, incrementa la tensione nell’ejido scatenata a partire dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal, e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó, nota come la culla dei paramilitari che nel 1997 perpetrarono decine di crimini ed espulsioni fino a culminare col massacro di Acteal, il 22 dicembre di quell’anno.

Il sacerdote cattolico questa mattina si è recato in procura per la deposizione. La negoziazione per liberare i sequestrati è avvenuta con l’appoggio di un centinaio di poliziotti statali guidati dal sottosegretario di Governo della regione Altos, l’ex sindaco coleto Mariano Díaz Ochoa. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/23/politica/021n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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 La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

L’Ambasciata del Canada complice dell’omicidio dell’attivista chiapaneco

Ciro Pérez

I familiari di Mariano Abarca Robledo, assassinato il 29 novembre 2009 per essersi opposto alla società mineraria canadese Black Fire, a Chicomuselo, Chiapas, hanno denunciato che l’ambasciata del Canada in Messico, lungi dal provvedere che le sue imprese rispettino le normative ambientali messicane, le assistono per uscire impuni da tutte le violazioni e illegalità. 

In una manifestazione di fronte alla sede della rappresentanza canadese in Polanco, organizzazioni civili, guidate da Otros Mundos Chiapas, hanno chiesto nuovamente giustizia per Mariano Abarca Robledo, minacciato dai dirigenti della Black Fire, imprigionato su richiesta di questi, e fatto assassinare.

L’ambasciata del Canada in Messico era a conoscenza del conflitto e delle irregolarità della società mineraria. Mio marito si incontrò su questo stesso marciapiede, sula quale mi trovo ora, con rappresentanti della delegazione canadese per raccontare loro quello che stava succedendo e per denunciare loro che la sua vita era in pericolo. Ma non l’hanno ascoltato, denuncia Mirna Montejo, moglie di Mariano. 

Afferma che per questo motivo l’ambasciata ed i suoi rappresentanti sono complici dell’assassinio del leader sociale. 

Fuori dalla rappresentanza diplomatica è stato eretto un altare in memoria dell’attivista chiapaneco, mentre diversi oratori hanno sollecitato una risposta dai funzionari dell’ambasciata.

I dipendenti di questa rappresentanza diplomatica, fanno gli interessi dei cittadini o quello delle imprese minerarie assassine? E’ stato più volte chiesto, ma la domanda è rimasta senza risposta. 

La presenza di organizzazioni sociali che denunciano le pratiche irregolari delle società minerarie canadesi è una costante nell’ambasciata di questo paese nordamericano. 

Da Morelos, Chiapas ed altri stati sono arrivate proteste e denunce, ma né le autorità messicane né quelle canadesi hanno offerto una soluzione ai problemi sollevati dalle comunità coinvolte. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/019n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

Centro Frayba: Gli evangelici sequestrano e minacciano di morte il parroco di Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 21 agosto. Questo mercoledì, alle 13:30 circa, nell’ejido Puebla, è stato sequestrato e picchiato il parroco cattolico di San Pedro Chenalhó, Manuel Pérez Gómez. 

Il sacerdote è stato fermato da un gruppo di persone della chiesa evangelica e presbiteriana, portato nella scuola dove è stato legato per diverse ore e minacciato di essere bruciato con la benzina. Sono stati sequestrati anche un rappresentante del governo statale ed un altro del governo municipale. 

Pérez Gómez si trovava lì con le autorità del governo del Chiapas per la firma di un documento relativo al processo di distensione con le autorità dell’ejido, riferisce il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), il quale, di fronte alla gravità della situazione ha chiesto la liberazione immediata del parroco. 

Questa notte, fonti governative hanno assicurato che i sequestrati sono stati liberati dall’intervento di funzionari dello stato, ma non ci sono conferme che ciò sia avvenuto. 

Il fatto incrementa la tensione generata dalla liberazione dei paramilitari responsabili del massacro di Acteal e la riapparizione di alcuni di loro nella regione di Chenalhó (Puebla, Los Chorros, Quextic).

Nell’ejido Puebla la situazione della minoranza cattolica è allarmante, sia quella delle famiglie sfollate un mese fa sia di quelle che rimangono nella comunità che, secondo le ultime informazioni, si trovano a rischio di subire violenza dopo che martedì è stato impedito il ritorno degli sfollati da decine di giovani provocatori ed aggressivi che si erano appostati sul tragitto della carovana. 

Ieri sera il Frayba ha diffuso un’azione urgente rivolta ai governi federale e statale, per chiedere di garantire le condizioni affinché gli sfollati possano tornare e sollecitare un’indagine seria dei fatti e la punizione dei responsabili della violenza.

Situazione grave

Alle 15:00 di ieri la situazione era grave. Le famiglie riunite nella cappella cattolica avevano comunicato telefonicamente che il gruppo di aggressori li aveva circondati minacciandoli di bruciarli con la benzina. Alle 18:45 confermavano l’incendio dell’edificio in cui si trova la cucina comunitaria. Si teme per la sicurezza delle famiglie, sottolinea il Frayba, e chiede alle autorità i provvedimenti adeguati per salvaguardare la vita e l’integrità della comunità cattolica e di impedire lo sgombero forzato di altri 70 indigeni.

Funzionari e poliziotti statali testimoni ieri dell’aggressione contro gli sfollati e la carovana civile che li accompagnava, non hanno impedito la violenza. Secondo le testimonianze della carovana, erano presenti il sottosegretario per gli Affari Religiosi, Javier García Mendoza, ed una pattuglia della Polizia Statale Preventiva; vicino all’ejido, la pattuglia era andata in avanscoperta ed era tornata dicendo che tutto era tranquillo. Proprio allora sono comparsi circa 100 ragazzi con fare aggressivo ed armati di pietre, che hanno bloccato il passaggio e chiedevano che fossero loro consegnati Macario Arias Gómez e Francisco López Sántiz, due degli sfollati. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 22 agosto 2013

In Chiapas, nessuna risposta

Hermann Bellinghausen. Inviato. Tuxtla Gutiérrez, Chis., 21 agosto. Nessun progresso né alcuna risposta hanno incontrato oggi i circa 300 indigeni degli Altos che sono andati nella capitale chiapaneca a chiedere la liberazione di Alberto Patishtán Gómez, ed hanno manifestato davanti alla sede del palazzo di giustizia federale. 

I rappresentanti dei manifestanti sono stati ricevuti dal tribunale incaricato del’istanza di riconoscimento di innocenza numero 4/2012, presentata dalla difesa del professore tzotzil in prigione da 13 anni per scontare una condanna a 60 anni, accusato di reati che è stato ormai dimostrato non aver mai commesso. 

Nonostante il tempo trascorso, è stato comunicato agli attivisti che non è ancora stato designato il magistrato che presenterà il caso ai giudici dell’istanza. Per questo ci vorranno almeno 10 giorni, o più, come sta succedendo da mesi, da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione non ha accolto l’istanza trasferendola a questo tribunale. 

In un documento indirizzato al governatore Manuel Velasco Coello, l’organizzazione Pueblo Creyente chiede che dall’alto della sua carica parli col ministro Juan Silva Meza, presidente del Consiglio della Magistratura Federale, affinché, insieme ai magistrati del primo tribunale, si comportino, come si crede lo faranno, con la dovuta imparzialità, obiettività, professionalità, trasparenza, umanità e impegno sociale. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/22/politica/017n3pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Mercoledì 21 agosto 2013

Impedito ai profughi di tornare nella propia comunità 

Hermann Bellinghausen. Inviato. Yaxjemel, Chis., 20 agosto. Il ritorno degli sfollati cattolici della colonia Puebla (municipio di Chenalhó) è stato impedito da decine di giovani, alcuni di loro quasi bambini, ad alcuni chilometri da questa comunità. 

Si è poi saputo che all’interno della colonia c’erano altri ragazzi tenuti sotto minaccia che aspettavano la carovana che accompagnava il fallito ritorno di cinque famiglie tzotzil che da un mese vivono fuori dalle proprie case. A nulla è servita la presenza da una pattuglia della Polizia Statale Preventiva che non si è neppure avvicinata al luogo in cui si è svolto il fatto, e di una pattuglia della polizia municipale che, di fronte all’atteggiamento aggressivo dei ragazzi (che hanno anche lanciato pietre e inseguito i veicoli della carovana), ha prontamente abbandonato il posto.

Non è servita nemmeno la presenza dall’assessore del sottosegretariato degli Affari Religiosi della Segreteria di Governo, Javier García Méndez, che ha rilevato come la situazione sia stata predisposta dai leader presbiteriani ed evangelici, che a loro volta sono autorità comunitarie. 

Almeno sei individui con taglio di capelli militare aizzavano i ragazzi per aggredire i profughi ed i componenti della carovana. Colpivano le parole di odio pronunciate da bambini di non più di 12 anni, apparentemente preparati alla violenza. 

La carovana degli indigeni del municipio ed alcuni osservatori civili che accompagnava gli esiliati di Puebla, prima di ritirarsi hanno recitato alcune preghiere. Gli aggressori stavano su un pendio sopra al luogo in cui si pregava, mostrando atteggiamenti sempre più aggressivi ed insultando le donne. 

Tutto questo nonostante l’accordo firmato l’8 agosto scorso tra i cattolici, le riluttanti autorità della comunità ed il governo statale. Come si ricorderà, il conflitto nella colonia Puebla è sorto per la presunta disputa sulla cappella cattolica. A Luglio furono catturati con violenza tre indigeni, due di loro basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Brutalmente picchiati e minacciati di essere cosparsi di benzina e dati alle fiamme. Erano stati falsamente accusati di avvelenare l’acqua; furono portati dal Pubblico Ministero Pubblico a San Cristóbal de Las Casas e rimasero in prigione per due giorni. 

Di fronte all’inefficienza del governo, c’è molta paura per l’integrità delle famiglie cattoliche che rimangono nell’ejido completamente indifese. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/21/politica/013n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
20 agosto 2013
 
AU No. 03
 
Azione Urgente
 
Impedito il ritorno degli sfollati dell’ejido Puebla ed aggredita la carovana civile
Agenti del governo del Chiapas e polizia statale assistono all’aggressione senza impedire la violenza
 
Oggi alle ore 11:00 un gruppo di persone appartenenti ad organizzazioni della società civile e mezzi di comunicazione, erano partiti da San Cristóbal de Las Casas per l’ejido di Puebla, municipio di Chenalhó, per accompagnare il ritorno delle persone che, più di un mese fa, erano state costrette a fuggire per le minacce di morte da parte delle autorità comunitarie. Giunti all’ingresso della comunità, a dieci minuti dalle prime case, la carovana è stata aggredita. E’ durato 30 minuti il tentativo di entrare per ricongiungersi con le famiglie cattoliche che aspettavano nella chiesa comunitaria.

_______________________________________________
Info-cdhbcasas mailing list
Info-cdhbcasas@lists.laneta.apc.org
http://lists.laneta.apc.org/listinfo/info-cdhbcasas

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Indios contro mostri

Hermann Bellinghausen

Sarà che ormai è già troppo tardi, perfino per i segnali di allarme? Che il disastro nazionale si è già verificato mentre si annunciava? La gente che governa il Messico, quella che si arricchisce esponenzialmente sulle sue spalle, quella che lo domina con la forza e la miseria, quella che assalta le nostre leggi da tutte le parti, incominciando dal Congresso dell’Unione, quella gente non ci dà tregua. E’ così convinta, decisa, ostinata, soddisfatta di amministrare la decomposizione sociale. La disintegrazione del territorio. Il deterioramento dell’educazione. La prostituzione della giustizia. E ci ha dichiarato una guerra feroce. Ci attaccano in basso. E sopra, e ai lati. La riunione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) a San Cristóbal de las Casas questo fine settimana, è uno specchio, di più, una testimonianza assordante da più di cento fronti di resistenza negli stati del Messico e Michoacán. Oaxaca, Guerrero, Chiapas, Sonora, Jalisco, San Luis Potosí, Chihuahua, Puebla, Morelos, Distrito Federal, Yucatán e altri. Non sono nemmeno più denunce, benché alcune siano state pronunciate con un inoccultabile grido di aiuto da mazahuas, nahuas, mixtecos. Parti di guerra nei luoghi dove il combattimento è più cruento, impari e definitivo, ma anche dove l’avidità degli aggressori incontra la maggiore resistenza contro i suoi propositi che, se uno li considera razionalmente non può non trovarli irrazionali, suicidi, stupidi.

Una dopo l’altra, decine di testimonianze, dichiarazioni, pronunciamenti, comunicati, proclami, richieste dei popoli indigeni messicani qui rappresentati documentano invasioni, espulsioni, estorsioni, saccheggi, attacchi, assassini, persecuzioni in nome della legalità, o per cortesia del crimine organizzato. Questo succede di solito sul terreno melmoso (direbbe Raúl Zibechi) dove Stato e criminali si confondono. E sembra che pensino seriamente di consultare gli interessati.

È così doloroso quello che si sente. Un glossario eloquente delle esperienze di quelli in basso (gli ultimi, i più piccoli e dimenticati) dentro il disastro in cui quelli di sopra hanno imbarcato il Messico; che hanno fatto della Nazione moneta di scambio e la giocano irresponsabilmente e goffamente nel casinò dei più grandi squali del pianeta in  liquidazione (il pianeta). Fate le vostre scommesse. Si sono scatenate bande di ladri di bestiame dal collo bianco e mani insanguinate. Bande di banchieri, magnati mediatici, investitori, partiti politici. Fanno lo stesso i formali malviventi, i cattivi. I loro discorsi su sviluppo, creazione di posti di lavoro, incorporazione al dio Mercato, occultano il vero disastro (perdita di identità personale e collettiva, territorialità, spiritualità, memoria, solidarietà), dal quale questi popoli indigeni sono riusciti a salvarsi, o no, ma non si sono arresi.

La sola reiterata enumerazione annoierebbe se non implicasse un’immensa devastazione nella quale l’ultima cosa è il benessere e la libertà dei popoli messicani. Miniere (migliaia di concessioni paramilitarizzate), industrie petrolifere, eoliche, industrie agro-alimentari, costruttrici, catene commerciali, industrie alimentari, trafficanti professionisti dell’acqua e dell’energia elettrica. Chi se ne rende conto? Coloro che la subiscono. Non la popolazione che crede alla stampa ubbidiente e alla televisione. Lo sconvolgimento lottizza, crea scontro, annulla. Se si perde la lotta nell’Ajusco si perde tutto, può dire un comunero di, sì, del Distrito Federal, la bella città dove i capi delle delegazioni di sinistra sono allegramente prevaricatori quanto i governatori di dovunque si voglia, o gli innumerevoli presidenti municipali. Anche il sud capitolino è terreno di lotta, come i suoi immediati vicini Morelos e México. E il resto. La strada. La centrale idroelettrica. Lo sviluppo immobiliare. Il megaprogetto turistico. Il supermercato. La città rurale. Il parco eolico. La raffineria. La miniera. I pozzi. Gli acquedotti (Independencia uno: non risparmiano nemmeno lo humor).

I mezzi di comunicazione di massa non riferiscono di questa umanità, come fosse carne morta o terminale. O di minacciosi gruppi armati che applicano la loro legge (realmente) per indotto timore delle belle coscienze ostaggio delle bugie mediatiche. Nemmeno lo sanno. Questi popoli sono invisibili. Taciuti. Si sterminano sotto la linea del radar.

Ancora una volta l’effetto rivelatore dello zapatismo è servito a dar voce a tutto questo nella Cátedra Tata Juan Chávez Alonso, corroborata dall’esperienza propria di resistenza affermata e liberatrice nelle comunità dell’EZLN. Migrazione, sgomberi, fame, timore-e-paura, inquinamento, saccheggio, diseducazione, corruzione, divisione comunitaria, progetti di morte. Che cosa fare contro i mostri? Resistere e non tacere, costruire, riunirsi. Questo hanno raggiunto la Escuelita e il CNI, che da tempo non si riuniva per i pericoli nel paese. I popoli hanno rotto il cerchio e sono venuti a pronunciarsi. E Poi? http://www.jornada.unam.mx/2013/08/19/opinion/a12a1cul

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Pronunciamento della Cattedra “Tata Juan Chávez Alonso”

Ai popoli e governi del mondo.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Alle allieve e allievi della Escuelita Zapatista.

Come è nel tempo e nella nostra storia della madre terra; i popoli, nazioni e tribù indigene Yaqui, Mayo, Náyeri, Wixárika, Rarámuri, Odam, Nahua, Purépecha, Nañu o Ñuhu, Mazahua, Popoluca, Tzotzil, Chol, Tzeltal, Tojolabal, Zoque, Totonaco, Coca, Mame, Binnizá, Chinanteco, Ikoot, Mazateco, Chontal, Ñu Saavi, Chatino, Triqui, Afromestizo, Mehpa, Nancue Ñomndaa, Ñhato e Maya Peninsular degli stati di Sonora, Chihuahua, Veracruz, Durango, Nayarit, Jalisco, Michoacán, Querétaro, San Luis Potosí, Morelos, Estado de México, Guerrero, Distrito Federal, Puebla, Tlaxcala, Oaxaca, Tabasco, Yucatán e Campeche; insieme ai popoli Ixil, Quiche, Quechua e Nasa di Guatemala, Perù e Colombia con i quali abbiamo camminato vicini e rispettosi, come figli e figlie della madre terra, ci siamo incontrati i giorni 17 e 18 agosto 2013 a San Cristobal de las Casas, Chiapas, nella sede del CIDECI- Unitierra, per ricordare ed agire conseguentemente con la parola viva del nostro fratello Tata Juan Chávez Alonso che ci insegna, ci guida e la cui memoria ad un anno dalla sua assenza si trasforma in speranza e forza per i popoli che abbiamo rifondato e ricostituito perché abbiamo deciso di continuare ad essere gli indios che siamo, continuare a parlare la lingua che parliamo, continuare a difendere il territorio in cui viviamo.

Ci riconosciamo nella lotta per il rispetto del nostro modo di vita ancestrale, lotta che abbiamo intrapreso insieme e durante la quale abbiamo parlato, abbiamo chiesto e siamo stati ripetutamente traditi dai malgoverni.

In questo percorso di lotta abbiamo imparato che i potenti non hanno alcun rispetto per la parola, la tradiscono e la violentano in lungo e in largo di questo paese che si chiama Messico, dal non riconoscimento degli Accordi di San Andrés Sakamchén de Los Pobres, la controriforma indigena del 2001 e gli innumerevoli tradimenti dei nostri popoli delle diverse regioni e lotte in un Messico indio che è vivo, fiero e con un solo cuore che si fa grande, tanto grande quanto il nostro dolore e la speranza per la quale lottiamo, nonostante la guerra di sterminio diventata più violenta che mai.

Ci riconosciamo nel percorso della nostra storia e dei nostri antenati che sono presente, futuro e specchio dell’autonomia esercitata nei fatti, come unica via per il futuro della nostra esistenza e che diventa la nostra vita comunitaria, assemblee, pratiche spirituali, culturali, autodifesa e sicurezza, progetti educativi e di comunicazione propri, rivendicazioni culturali e territoriali nelle città dei popoli sfollati o invasi con una memoria storica viva.

Siamo indios, decisi a ricostituirci in un altro mondo possibile.

Quello specchio profondo, antico e nuovo sono le nostre lotte per le quali ci pronunciamo con un solo cuore ed una sola parola.

1. Chiediamo l’immediata liberazione dei prigionieri politici del nostro paese, in particolare  del nostro compagno indigeno Totzil Alberto Patishtán da 13 anni ingiustamente carcerato a scontare una condanna a 60 anni. Chiediamo inoltre la liberazione di sei nostri fratelli Nahua della comunità di San Pedro Tlanixco, ingiustamente detenuti da 10 anni nella prigione di Almoloya per aver difeso l’acqua della propria comunità. Si tratta dei nostri fratelli Pedro Sánchez, condannato a 52 anni, Teófilo Pérez, condannato a 50 anni, Rómulo Arias, condannato a 54 anni e dei compagni Marco Antonio Pérez, Lorenzo  Sánchez e Dominga González attualmente sotto processo; chiediamo altresì la cancellazione dei mandati di cattura contro Rey Perez Martinez e Santos Alejandro Álvarez, di Tlanixco; la liberazione dei compagni detenuti della comunità tzeltal di Bachajón, Chiapas, Miguel de Meza Jiménez e Antonio Estrada Estrada; dei compagni Loxicha Eleuterio Hernández García, Justino Hernández José, Zacarías Pascual García López, Abraham García Ramírez, Fortino Enríquez Hernández, Agustín Luna Valencia ed Alvaro Sebastián Ramírez, detenuti nel CEFERESO numero sei di Huimanguillo, Tabasco; così come di de Pablo López Álvarez di San Isidro Aloapan, Oaxaca, rinchiuso nel carcere di Villa de Etla.

2. Denunciamo che i malgoverni e le multinazionali si sono avvalse di gruppi paramilitari per imporre megaprogetti estrattivi mediante lo sfruttamento illegale di minerali e legni preziosi, in particolare sulla costa Nahua e sulla meseta purépecha di Michoacán e nella comunità nahua di Ayotitlán, sulla sierra di Manantlán, Jalisco.

3. Chiediamo giustizia per la comunità nahua di Santa María Ostula, sulla Costa di Michoacán, dove i malgoverni, collusi coi cartelli del narcotraffico, hanno favorito il furto delle terre ancestrali della comunità ed il saccheggio delle risorse naturali da parte di gruppi della criminalità organizzata, e la sanguinosa repressione dell’organizzazione comunale che ha provocato uccisioni e sparizioni.

4. Salutiamo la lotta storica della comunità di Cherán, Michoacán ed il degno esercizio del diritto all’autodifesa che è sorto tra il popolo Purépecha in difesa della propria vita, le proprie famiglie, la propria cultura e territorio minacciato dalla complicità dei malgoverni con gruppi paramilitari e narco-paramilitari, i cui bisogni sono la sicurezza, la giustizia e la ricostituzione del territorio.

5. Così pure salutiamo la difesa dei saperi tradizionali e della coltivazione del mais nativo da parte delle comunità e dei quartieri indigeni.

6. Ripudiamo la repressione del popolo Ikoot di San Mateo del Mar e San Dionisio de Mar, così come del popolo binniza di Juchitán e della colonia Álvaro Obregón; chiediamo la liberazione immediata di Alejandro Regalado Jiménez ed Arquímedes Jiménez Luis, e l’immediata cancellazione dei corridoi eolici delle imprese spagnole Endesa, Iberdrola, Gamesa ed Unión Fenosa che nella regione dell’Istmo invadono e distruggono le terre comunali ed i siti sacri dei popoli sopracitati.

7. Chiediamo che si fermi la repressione contro la comunità di San Francisco Xochicuautla dello Stato di México, e la cancellazione definitiva del progetto denominato autostrada privata Toluca-Naucalpan, nello stesso tempo appoggiamo la richiesta al Sistema Interamericano dei Diritti Umani di misure cautelari per gli abitanti di detta comunità.

8. Chiediamo al malgoverno federale la cancellazione della costruzione dell’Acquedotto Independencia che sottrae alla Tribù Yaqui l’acqua del fiume Yaqui che storicamente difende da sempre, e ribadiamo la nostra parola che agiremo di conseguenza di fronte a qualunque tentativo di repressione dell’accampamento di protesta installato sulla strada internazionale all’altezza di Vícam, prima capitale della Tribù Yaqui.

9. Chiediamo che cessi la repressione ed il ritiro della forza pubblica dalla comunità di Huexca, Morelos, per la costruzione di una centrale termoelettrica; la cancellazione dell’acquedotto e l’estrazione dell’acqua dal fiume Cuautla che colpirà 22 ejidos del municipio di Ayala, egualmente la sospensione della persecuzione contro 60 comunità di Morelos, Puebla e Tlaxcala minacciate di saccheggio ed esproprio dall’installazione di un gasdotto, tutto questo come parte del Proyecto Integral Morelos, con il quale si vuole distruggere la vita contadina di questi territori per trasformarli in zone industriali ed autostrade e chiediamo il rispetto del sacro guardiano: il vulcano Popocatépetl, altrettanto depredato dallo smodato disboscamento clandestino dei suoi boschi.

10. Siamo solidali con la lotta della comunità Coca di Mezcala, in Jalisco, per il recupero del proprio territorio e chiediamo la cancellazione dei mandati di cattura contro i comuneros il cui delitto è difendere la propria terra.

11. Chiediamo il rispetto del territorio comunale e dell’assemblea generale dei comuneros di Tepoztlán, e ci uniamo alla richiesta della cancellazione dell’autostrada La Pera-Cuautla, e respingiamo la campagna di menzogne e inganni verso l’opinione pubblica da parte del governo di Morelos per giustificare il saccheggio.

12. Denunciamo l’attacco senza precedenti ai pilastri sacri del mondo, riconosciuti e sostenuti dai popoli originari, che con fierezza difendono in nome della vita dell’Universo, come i territori sacri di Wirikuta e Hara Mara negli stati di San Luis Potosí e Nayarit, minacciati da progetti capitalisti minerari e turistici con la complicità dei malgoverni nazionali e statali, e facciamo nostra la richiesta di cancellazione totale delle concessioni minerarie e turistiche in detti territori e nella totalità dei territori indigeni. Ripudiamo la campagna di scontro portata avanti dalla società mineraria First Majestic Silver e dal malgoverno municipale di Catorce, San Luis Potosí. Salutiamo il degno popolo contadino di Wirikuta che ha deciso di far sentire la propria voce in difesa dalla propria terra, acqua, salute ed ambiente e la fratellanza col popolo Wixárika.

13. Nello stesso senso avvertiamo che non ci terremo al margine del tentativo di distruzione del luogo sacro di Muxatena e di altri 14 luoghi sacri del popolo Náyeri, attraverso il progetto di costruzione della Diga di Las Cruces sul fiume San Pedro Mezquital, nello stato di Nayarit.

14. Denunciamo le invasioni delle imprese agroindustriali nei territori indigeni e contadini che deliberatamente alterano le piogge a proprio beneficio e distruggendo la vita contadina, come nel caso della comunità nahua di Tuxpan, Jalisco e dell’Altopiano Potosino nel territorio sacro di Wirikuta.

15. Chiediamo la cancellazione delle concessioni minerarie nel cuore della sierra di Santa Marta, in territorio Popoluca e denunciamo il tentativo di invasione delle terre comunali di San Juan Volador nel municipio di Pajapan, dell’impresa eolica Dragón, nel sud di Veracruz.

16. Chiediamo la cancellazione del progetto stradale Tuxtepec-Huatulco, il cosiddetto corridoio turistico Chinanteco nel territorio Chinanteco, così come la cancellazione delle riserve ecologiche nella regione nord di Oaxaca.

17. Chiediamo la cancellazione dell’acquedotto promosso dal malgoverno di Guerrero che vuole sottrarre l’acqua del fiume San Pedro, sulla costa Chica di Guerrero, ai popoli Na savi, Nancue Ñomndaa ed Afromestizo.

18. Ripudiamo il tentativo di inondazione dei luoghi sacri del popolo Guarijio di Alamo; Sonora, attraverso la costruzione della diga Pilares, così come la deviazione del fiume Sonora a danno della nazione Komkaak, da 4 mesi privata dell’acqua per favorire i grandi proprietari terrieri agricoli della costa di Sonora.

19. Denunciamo la politica di sterminio da parte del governo del Distrito Federal nei confronti delle comunità e popoli della sierra dell’Ajusco, attraverso l’esproprio e la devastazione dei territori ejidali e comunali di San Miguel Xicalco e San Nicolás Totolapan, appoggiamo e riconosciamo i delegati comunitari in resistenza di San Miguel e Santo Tomas Ajusco.

20. Salutiamo la lotta della Comunità Autonoma di San Lorenzo Azqueltán, nello stato di Jalisco e riconosciamo le sue autorità autonome, e siamo vigili e solidali con la loro lotta per il riconoscimento del loro territorio ancestrale.

21. Salutiamo e riconosciamo il rinnovo delle autorità della comunità autonoma Wixárika di Bancos de San Hipólito, Durango, ugualmente appoggiamo la sua lotta per il riconoscimento territoriale ancestrale che rivendicano da oltre 45 anni.

22. Riteniamo responsabili i funzionari pubblici della delegazione politica di Xochimilco delle minacce al compagno Carlos Martínez Romero del villaggio di Santa Cruz Acalpixca, per aver difeso l’acqua ed il territorio.

23. Ci uniamo agli appelli delle decine di comunità nahua e totonaca della Sierra Norte di Puebla per chiedere la cancellazione delle concessioni alle imprese minerarie e dell’implementazione di progetti idroelettrici, così come la cancellazione delle concessioni minerarie sulla Sierra Sur e Costa di Oaxaca della società Altos Hornos di México.

24. Appoggiamo la lotta della comunità di Conhuas en Calakmul, Campeche, in difesa del territorio e del proprio degno lavoro, contemporaneamente chiediamo la cessazione delle aggressioni contro la comunità da parte del governo di questo Stato.

25. Chiediamo il riconoscimento delle terre comunali di San Pedro Tlaltizapán sulle rive del Chignahuapan, Stato di México, e la sospensione dei progetti immobiliari sui terreni comunali.

26. Chiediamo il rispetto delle terre recuperate dalla Unión Campesina Indígena Autónoma di Río Grande, Oaxaca, e salutiamo il suo accampamento in resistenza.

27. Chiediamo altresì il rispetto del funzionamento della Radio comunitario Ñomndaa, voce del popolo amuzgo di Xochistlahuaca, Gueriero, ed il rispetto di tutte le radio comunitarie nei diversi territori indigeni del paese.

28. Ribadiamo la richiesta allo Stato messicano di garantire le condizioni di sicurezza a Raúl Gatica del Consiglio Indigeno e Popolare di Oaxaca-Ricardo Flores Magón.

29. Chiediamo il rispetto delle economie comunitarie che funzionano in maniera autonoma ed a margine del mercato libero che impone il capitalismo, com’è il caso dell’uso del tumin [valuta basata sul principio del baratto – n.d.t.] nel territorio indio totonaco di Papantla, Veracruz, e del Consiglio del Baratto nelle comunità del municipio di Tianguistenco, nello Stato di México.

Riconosciamo, appoggiamo ed incoraggiamo le lotte per l’autonomia e la libera determinazione di tutti i popoli indigeni che formano il Congresso Nazionale Indigeno, dalla Penisola dello Yucatan fino alla Penisola della Bassa California.

Questo siamo, la nostra parola e la nostra lotta irrinunciabile, siamo il Congresso Nazionale Indigeno e nostro è il futuro dei nostri popoli. 

18 agosto 2013

Dal CIDECI- UNITIERRA, San Cristobal de las Casas, Chiapas.

Per la ricostituzione integrale dei nostri popolis

Mai Più Un Messico Senza Di Noi 

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO 

Pronunciamento originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Martedì 13 agosto 2013

Las Abejas denunciano la riattivazione dei paramilitari a Chenalhó

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 12 agosto. Las Abejas, portando le croci dei loro morti, hanno denunciato la riattivazione dei gruppi paramilitari nelle comunità di Chenalhó. AA quattro anni da quando la Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) ha inizato a rilasciare i paramilitari che perpetrarono il massacro di Acteal, l’organizzazione della società civile dichiara: “Per noi è la ‘Suprema Corte dei ricchi e criminali’ che ha scarcerato dal 12 agosto 2009 fino a questo anno, 69 paramilitari (tra di loro molti rei confessi), e in prigione ne restano solo sei”. I paramilitari, puntualizza la direzione di Las Abejas, si sono già riattivati sparando le loro armi e causando sfollamenti come nel 1997.

I tzotzil riferiscono che quando avevano saputo che la SCJN avrebbe rilasciato gli assassini, avevano cercato di parlare con i giudici; tuttavia, non hanno voluto ascoltarli perché la scarcerazione dei paramilitari era progettata dalla presidenza della Repubblica ed Acteal è un crimine di Stato.

Menzionano come una delle attività recenti della loro violenza, quanto accaduto nella colonia Puebla (insieme a Los Chorros è una delle principali culle dei paramilitari), col pretesto di una proprietà della Chiesa cattolica. Quanto accaduto ha le stesse caratteristiche e tattiche della guerra di contrainsurgencia del Plan Chiapas 94, diretto dall’allora presidente Ernesto Zedillo. Grazie alla mancanza di giustizia i paramilitari scarcerati e soprattutto quelli che non sono mai andati in prigione, oggi aggrediscono e vessano impunemente, perché è stato dimostrato loro che per massacrare donne, uomini e bambini, invece di punizioni si ricevono premi.

Un’altra prova del ritorno dei paramilitari è che alla fine di luglio un gruppo guidato da Agustín Cruz Gómez, commissario e pastore presbiteriano a Puebla, ha realizzato un presidio nello Zócalo di Città del Messico. In un comunicato stampa chiedevano l’intervento della Federazione, dell’Esecutivo, dei poteri Legislativo e Giudiziario, per risolvere la terribile situazione dal 1997.

Questo gruppo, dicono Las Abejas, si prende gioco della verità. Si presentano come vittime e ci accusano di essere provocatori ed assassini. Al presidio di Città del Messico erano presenti il paramilitare scarcerato “Roberto Méndez Gutiérrez, comandante paramilitare, assassino reo confesso per il massacro, ed abitant di Los Chorros, e Jiacinto Arias Cruz (di Puebla)”, che come sindaco di Chenalhó, nel 1997 forniva armi alle comunità paramilitari.

Méndez Gutiérrez è stato liberato in gran segreto, non è mai stato reso si pubblico, ed ora “è alleato del gruppo di Agustín Cruz, e si firma nel comunicato di Città del Messico come ‘liberato e reo confesso'”. Da parte sua, Arias Cruz nega di essere coinvolto nel conflitto di Puebla, ma siè smascherato da solo perché ha firmato il citato comunicato stampa, dove si lanciano anche accuse contro il Frayba e La Jornada.

Un altro elemento della ripresa paramilitare a Chenalhó, è stata la presenza al presidio di Manuel Anzaldo Meneses, coordinatore della Sociedad de Trabajadores Agrícolas de los Altos de Chiapas, conosciuto molto bene nel 1997 come leader del Partito Cardenista i cui militanti, insieme ai priisti, perpetrarono il massacro di Acteal. Las Abejas sostengono che “dietro il’attuale conflitto di Puebla ci sono quelli che nel 2007 hanno organizzato la campagna di liberazione dei paramilitare – il Centro de Investigaciones y Docencias Económicas, Héctor Aguilar Camín, un gruppo di pastori evangelici e Manuel Anzaldo Meneses, tra gi altri – “.

Las Abejas dicono agli autori intellettuali del massacro e di altri crimini: Anche se protetti dalla giustizia e crediate di non poter essere giudicati, non siete liberi. La nostra memoria e quella del popolo del Messico e del mondo vi giudicherà. Avrete sempre sulla coscienza il sangue di Acteal. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/13/politica/016n1pol

Comunicato di Las Abejas

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La Jornada – Lunedì 12 agosto 2013

Partiti per i caracol i 1.700 alunni della Escuelita zapatista

Moises

Elio Henríquez. Corrispondente. San Cristóbal de Las Casas, Chis., 11 de agosto. I quasi 1.700 alunni che frequenteranno la Escuelita zapatista a partir e da questo lunedì, coordinati dalla Comandancia General dell’Esercito Zapatista di LiberazioneNazionale (EZLN), sono partiti per i cinque caracol nel pomeriggio di domenica.

La partenza dal Centro Indígena de Capacitación (Cideci) Las Casas è stata coordinata da una decina di comandanti, tra i quali, David, Tacho, Zebedeo, Felipe, Ismael, Bulmaro, Miriam, Susana, Hortencia e Yolanda, ma nessuno ha rilasciato dichiarazioni.

Gli alunni, provenienti di diversi stati del Messico e da altre nazioni, hanno cominciato a partire in carovana dalle ore 15 di domenica su auto, furgoni e camion verso i caracol di La Realidad, municipio di Las Margaritas; La Garrucha, Ocosingo; Roberto Barrios, Palenque; Morelia, Altamirano e Oventic, di San Andrés.

Tra gli invitati speciali che saranno esonerati dalla frequenza, oggi sono arrivati al Cideci l’ex rettore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM), Pablo González Casanova; l’attrice Julieta Gurrola; gli intellettuali ed accademici Gustavo Esteva, Sylvia Marcos e Paulina Fernández, così come i rockers Mastuerzo e Rocko, tra altri. (…)

La presenza festosa dei circa 1.700 alunni di diversi paesi ha riportato alla mente molti altri incontri, tra i quali, gli incontri contro il neoliberismo realizzato dall’EZLN negli anni ’90 negli aguascalientes, ora diventati caracol.

Fin dall’alba centinaia di persone di collettivi, organizzazioni ed in forma individuale hanno raggiunto la sede del Cicedi ed al pomeriggio c’erano circa duemila persone tra invitati e basi di appoggio zapatiste che li avrebbero portati nei caracol.

Con il volto coperto dai passamontagna, muniti di radio e telefoni cellulari, i comandanti –Tacho e David, principalmente– hanno iniziato la supervisione e l’organizzazione della partenza dei veicoli a partire dalle ore14:00. Si sono formate lunghe file di alunni in attesa di salire sui veicoli.

Alle ore 20:00 tutti i grupi diretti nei cinque caracol erano partiti, ad eccezione di circa 300 persone in arrivo dall’aeroporto vicino di Tuxtla Gutiérrez, il loro arrivo era previsto per la notte o l’alba di lunedì. Nel pomeriggio e la sera si sono svolti concerti nell’auditorium del Cideci.

Prima di partire, nel Cideci, sede anche dell’Università della Terra Chiapas, a tutti gli alunni che frequenteranno le lezioni di libertà e autonomia nelle comunità indigene zapatiste dal 12 al 17 di questo mese, sono stati consegnati i libri ed l materiale scolastico. Il materiale didattico è composto da due dischetti, quattro libri illustrati con immagini a colori delle basi di appoggio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/12/politica/018n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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APPRENDERE AD APPRENDERE

Gustavo Esteva

E’ arrivato il momento di apprendere. Questa settimana nei caracoles si effettuerà l’inaugurazione e nella prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. Giungeranno, da molte parti del Messico e del mondo, quanti sono stati espressamente invitati al soggiorno di apprendimento nelle comunità zapatiste. Le feste nei caracoles, dall’8 al 10 di agosto, e gli atti della cattedra Tata Juan Chavez1, il 17 e il 18, saranno aperti a quanti desiderino avvicinarsi a noi.

I lettori de La Jornada hanno potuto seguire, a partire dal 21 dicembre scorso, la serie di comunicati che hanno portato a questi eventi2. E’ anche possibili assistervi in collegamento diretto.

Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere.

Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.

Questa parola origina un riferimento immediato a coloro che la hanno persa e genera solidarietà con quanti sono incarcerati. Non vi è dubbio che ci si debba occupare e preoccupare di costoro: una loro parte consistente è innocente. Si deve lottare per loro e rendere palese la profonda ingiustizia del fatto che li si incarcerino mentre i veri colpevoli dell’orrore che ci circonda passeggiano impunemente nelle strade.

Inviterò ancora una volta all’incontro il poeta John Berger. Un tempo ci disse: se mi vedessi costretto ad impiegare una parola per esprimere ciò che accade nel mondo, penserei alla prigione. In essa stiamo, incluso noi tutti che affermiamo di essere liberi. Si tratta di apprendere cosa è la libertà per gli zapatisti e forse, con questo apprendimento, imparare a vedere le nostre sbarre.

Sempre di libertà parla , inevitabilmente, un comunicato opportuno e necessario che annuncia per il 19 di giugno l’apertura de ‘La casa di tutte e di tutti’ a Monterrey. Si tratta della volontà di essere liberi e dei principi e della morale come fondamenti di un atteggiamento rivoluzionario.

Non può dirsi che sia la famosa casa del dottor Margil, quella che più di 4 decadi or sono vide nascere le Forze di Liberazione Nazionale. Distrutta da vandali alcuni mesi or sono, è ora sotto restauro. Annuncia una pagina, www.casadetodasytodos.org, nella quale verranno via via pubblicati comunicati e materiali di questa organizzazione.

Sappiamo assai poco di questa organizzazione. Il nome è circolato come primogenitura dell’EZLN, però poco ci ha detto della propria storia, della sua gestazione, della sua finalità. Il n. 20 di Contrahistorias, ora in circolazione, pubblica una serie di interviste di quadri dell’EZLN nelle quali si fa riferimenti alle Forze di Liberazione Nazionale. Ma sono solo appunti frammentari dell’organizzazione.

Lo splendido documentario di Luisa Riley, Flor en Otomí, che è stato presentato a Città del Messico il 19 aprile 2012 e da allora circola nei circuiti alternativi, ci ha consentito di spiare la vita di Dení Prieto e l’orrore della casa di Nepantla ma ha accresciuto il desiderio di saperne di più e non di placarlo. E’ bello sapere che ora avremo, dalla fonte originaria, il materiale che consentirà di vincere questa battaglia della memoria contro l’oblio.3

Due ingredienti del comunicato in cui si dà notizia dell’apertura della Casa di tutte e di tutti mostra la continuità con ciò che avverrà nei prossimi giorni. Con riferimento al primo comunicato delle Forze di Liberazione Nazionale del 2 agosto 1971, che circolò in copie fatte con la carta carbone fra i membri dell’organizzazione per dare notizia del primo scontro armato con lo Stato, si evidenzia con tutta chiarezza quanto oggi è in primo piano: che si trattava, già allora, di una lotta per la libertà e che, sempre da allora, i principi, la morale erano il fondamento di ogni comportamento, di ogni azione politica.

Questi comportamenti hanno segnato la differenza, durante quattro decadi, rispetto alle classi politiche, ai governi, ai partiti, e anche a molte forze politiche clandestine con pretese rivoluzionarie. E’ la differenza che oggi più che mai è necessario continuare a sostenere.

Traduzione di A.Z.

1 Trattasi di una cattedra itinerante recentemente creata dall’EZLN, dedicata all’indigeno puerepecha Tata Juan Chavez Alonso (ndt)
2 Reperibili su enlacezapatista.ezln.org.mx. In particolare il testo Ellos y nosotros e il testo Votan.

3 Luisa Riley, autrice del documentario, da adolescente era stata amica di Dení Prieto Stock, una giovane che a 19 anni entrò a far parte di una organizzazione guerrigliera –Fuerzas de Liberación Nacional-. Quattro mesi dopo, il 14 febbraio 1974, Dení venne uccisa assieme a 4 compagni in un assalto dell’Esercito Messicano alla casa dell’organizzazione situata a Neplanta. Il documentario ricostruisce la sua vita a partire dal diario conservata dall’amica Jana.

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Debito storico.

La Jornada – Sabato 10 agosto 2013

Frayba: Il riconoscimento dei diritti indigeni è un debito storico dello Stato

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis. 9 agosto. Un debito storico, permanente e pendente dello Stato messicano, è il riconoscimento sancito nella Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti dei popoli indigeni, sostiene oggi il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba). Ciò nonostante, a livello ufficiale li si strumentalizza per promuovere l’industria del turismo, realizzare festival e mostrare un folclore anacronistico della realtà nazionale.

Nel contesto del Giorno Internazionale dei Popoli Indigeni del Mondo, deciso dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1994, e nel decimo anniversario delle giunte di buon governo (JBG) create dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale negli Altos, Zona Nord e nella Selva Lacandona nel 2003, il Frayba sottolinea che in Chiapas si esercita la resistenza e l’autonomia in difesa della terra e del territorio.

Il centro dei diritti umani ha reiterato il debito dello Stato verso i popoli non riconoscendo i loro diritti, dando priorità ad interessi economici ed azioni che violano i diritti collettivi e individuali, come lo sfruttamento minerario, l’imposizione di centrali idroelettriche, progetti eolici, costruzione di autostrade, privatizzazione delle risorse naturali, tra altri, che colpiscono la terra e il territorio in cui vivono da tempi ancestrali i popoli.

Nel paese, e nel caso specifico in Chiapas, chi si organizza per la difesa e l’esercizio dei propri diritti collettivi e differisce dall’interesse patronale neoliberista è criminalizzato, represso, aggiunge il Frayba. Le politiche dei governi mercificano le risorse naturali e l’intera vita nei territori ancestrali in cui vivono i popoli indigeni, in una logica di sfruttamento e mancato riconoscimento delle loro espressioni culturali, con altri sistemi di vita che hanno le proprie radici a prima della colonizzazione e sono parte della diversità che sostenta l’umanità.

I territori indigeni possiedono la biodiversità più ricca del Chiapas ed hanno sempre attirato interessi nazionali e internazionali che i governi federale e statale vogliono imporre, a detrimento dei diritti umani e contro il loro obbligo di promuoverli, rispettarli e garantirli. A proposito, la Corte Interamericana dei Diritti Umani ha stabilito che gli Stati devono adottare misure speciali e specifiche destinate a proteggere, favorire e migliorare l’esercizio dei diritti umani dei popoli indigeni.

Il Frayba segnala in particolare la partecipazione delle donne indigene in Chiapas, protagoniste rilevanti nel processo sociale di difesa del diritto alla terra ed al territorio. Sono rimaste invisibili nelle esperienze condivise di lotta per il territorio. Tuttavia, uno dei pilastri della rivendicazione del loro diritto alla libera determinazione e all’esercizio dell’autonomia, è nell’uso e nello sfruttamento delle risorse naturali, oltre al riconoscimento del loro lavoro e al diritto di vivere una vita libera dalla violenza. L’organizzazione richiama l’attenzione sulla situazione dei bambini indigeni, oggetto di politiche assistenziali, e mai soggetti che partecipano all’esercizio dei loro diritti.

Di fronte al rifiuto del governo di riconoscere il processo di rivendicazione e le lotte dei popoli in Messico, il Frayba conclude che, ciò nonostante, ora i diritti collettivi sono una realtà attraverso l’esercizio degli Accordi di San Andrés, come testimoniato dai dieci anni dei caracol e delle JBG dell’EZLN, dimostrazione esemplare dell’autonomia dei popoli nella costruzione dei propri diritti. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/politica/010n2pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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OJARASCA N. 196 – Agosto 2013

 

ZAPATISTI: CON LA LIBERTÀ NEGLI OCCHI


Foto: Gildardo Magaña

Da più di vent’anni, nelle montagne dei popoli maya del Chiapas corre la libertà. Molte volte, soprattutto con l’insurrezione nel 1994, sono stati visti con morbosità o paura; il più delle volte non sono visti né nominati dalla “opinione pubblica”. Come se con questo smettessero di esistere. Anche da allora ammirati con empatia, speranza, solidarietà ed anche partecipazione da organizzazioni, gruppi e persone di tutto il Messico e decine di paesi nei cinque continenti. E lì tra loro, non dimentichiamolo, estrassero le armi della comunicazione globale istantanea, oggi tanto comuni. Erano libertà che si incontravano.

Con una concreta autonomia territoriale e di governo, in contruzione dal dicembre del 1994 —e immediatamente colpita con la brutale occupazione militare nel febbraio del 1995—, l’esperienza di governo e autogestione zapatista si è evoluta senza tregua. Nell’agosto del 2003 sono state create le Giunte di Buon Governo, ed i cinque centri di incontro conosciuti prima come Aguascalientes, sono diventati sede di governo regionale, o Caracoles.

L’arduo compito collettivo di costruire una vita diversa e possibile ha occupato i giorni e gli anni di centinaia di popoli campesinos ancestrali, antichi, moderni o appena creati, di tsotsil, tseltal, tojolabal, chol, mam, zoque. Municipi e regioni autonome dove hanno messo in moto sistemi alternativi di salute, educazione, produzione e commercializzazione, giustizia, dibattito e decisione collettiva di governo. In poche parti del mondo qualche comunità – e qui sono centinaia di villaggi – può dire la stessa cosa.

Molte volte hanno nascosto il volto, ma mai i loro occhi, in un cammino verso la libertà che non è iniziato il primo gennaio del 1994. I tempi dello schiavismo, acasillamiento e della manipolazione politica e religiosa sono stati gettati alle spalle. Si sono sollevati perché erano liberi, invocando la liberazione nazionale.

Sono trascorsi gli anni, atroci e traditi in tutto il paese. La corruzione, la violenza, l’ingiustizia, il razzismo, l’illegalità come forma di governo, la devastazione, il saccheggio, le espulsioni e la cessione della sovranità al migliore offerente rappresentano una sfida definitiva alla nostra libertà come messicani, come cittadini, come esseri umani. Negli occhi degli indio zapatisti, nei loro piedi piantati in terra in maniera così potente e distintiva, è viva la risposta. Loro sì hanno reso possibile la possibilità, e sono liberi.

http://www.jornada.unam.mx/2013/08/10/oja-ojos.html

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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A SCUOLA NELLE ESCUELITAS ZAPATISTE

Sono trascorsi quasi 20 anni dall’insurrezione armata degli indigeni zapatisti del Chiapas (1 gennaio 1994) e 30 dall’arrivo, nelle cañadas di Ocosingo, di un esiguo gruppo di militanti cittadini scampati alla guerra sucia: <<un gruppo di illuminati che arriva dalla città per liberare gli sfruttati si trova, più che illuminato, messo a confronto dalla realtà delle comunità indigene […] Quanto tempo ci abbiamo messo per renderci conto che dovevamo imparare ad ascoltare e, dopo, a parlare? Non sono sicuro, sono passate già non poche lune, però io calcolo per lo meno due anni. Cioè, ciò che nel 1984 era una guerriglia rivoluzionaria di tipo classico (sollevazione armata delle masse, presa del potere, instaurazione del socialismo dall’alto, molte statue e nomi di eroi e martiri dappertutto, purghe, eccetera, infine, un mondo perfetto), per il 1986 era già un gruppo armato, indigeno in modo imbarazzante, che ascoltava con attenzione e balbettava appena le sue prime parole con un nuovo maestro: i popoli indios>>. [da Chiapas: La tredicesima stele del Subcomandante Marcos].

Un altro anniversario: l’8 di agosto nei territori zapatisti nascevano i caracoles, la forma di autogestione più radicale che si conosca oggi nel mondo. Nei caracoles appunto questa settimana si sono aperti i festeggiamenti per il ricevimento degli oltre 1800 invitati in Chiapas dove <<nella settimana prossima avrà inizio il primo corso per apprendere la libertà con gli zapatisti. […] Non sarà facile partecipare. Si esige di ri-apprendere ad apprendere, particolarmente quando si informa che i maestri non saranno professori certificati e mancheranno pedagogisti esperti. Non si svolgerà alcuno dei requisiti formali di un corso scolastico o di un ambiente accademico. E non si tratterà di apprendere sul mondo, ma dal mondo, e di apprendere da coloro che stanno costruendo il mondo nuovo. Vi è stato un tempo in cui si diceva che cambiare il mondo era molto difficile, forse impossibile; però ciò che invece era possibile era costruire un mondo nuovo. Saranno maestri coloro che stanno facendo questo. Per questo è necessario ri-apprendere ad apprendere. Ma la parte più difficile sarà il contenuto: si tratta della libertà.>> (G. Esteva, Apprendere ad apprendere, www.comune-info.net).

L’insurrezione zapatista riapriva la storia grazie a un pugno di insumisos e ciò avveniva in un angolo sperduto delle montagne del sudest messicano per mano degli ultimi fra gli ultimi, gli indigeni maya, mai definitivamente sottomessi, contrariamente alla storiografia che li descriveva come selvaggi, indolenti, incapaci, falsi, antropofagi (C. Montemayor) tanto che la parola indio, frutto dell’errore geografico di Colombo, divenne nelle società coloniali un feroce insulto.

20 anni or sono, al momento dell’insurrezione e dopo, per vari anni, l’interesse fu vivo nel mondo italiano dei movimenti dove si leggevano e discutevano animatamente i comunicati del “subcomandante” oltre a quelli, più rari e contenuti, della comandancia del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno. Per molti fu la rinascita di una speranza, per altri, più riflessivi, fu l’inizio di una rigenerazione del pensiero dopo un lungo letargo ideologico.

Il lemma dell’Incontro Intergalattico che gli zapatisti organizzarono due anni dopo, a fine luglio 2006, nella Selva Lacandona, fu esemplare: “Per l’umanità, contro il neoliberismo”. E molti loro slogan -che slogan non erano bensì lunghi ripensamenti condensati e tradotti in norme di comportamento- aiutarono molti di noi a riflettere. “Un mondo capace di contenere molti mondi diversi” proponeva una alternativa alla globalizzazione omogeneizzante. “Per noi nulla, per tutti tutto” era un programma politico preciso, alternativo alla logica dominante. “Parlare e ascoltare” era una norma basica senza il cui rispetto non esiste dialogo alcuno. “Avanzare domandando” era l’antidoto contro le onnisapienti avanguardie “progressiste” e “illuminate”. Ma soprattutto “comandare obbedendo” era una nuova concezione del potere distillata nelle comunità indigene durante 5 secoli, 3 di colonia prima e 2 di colonialismo interno dopo.

Oggi qui in Italia molti che allora si infiammarono si sono dimenticati degli zapatisti. Molti pensano che siano scomparsi. Alcuni degli ‘illuminati’ ritengono l’esperienza zapatista superata, marginale, vana. E’ certo che il Chiapas non fa più “notizia” come allora, e le nuove leve dei movimenti neppure forse conoscono i fatti. Eppure nel dicembre del 98 eravamo in molte migliaia a Roma –chi scrisse 40 mila, ma anche la metà sarebbe stato un numero notevole- per manifestare contro la strage avvenuta nel villaggio di Acteal.

Un giorno forse qualcuno scriverà la storia del movimento “zapatista” in Italia e probabilmente indicherà, fra i vari motivi dell’oblio, come è stato affossato, inseguendo logiche tradizionali di cooptazione politica da parte di sinistre politiche radicali e sconclusionate, aduse all’usa e getta, sempre alla ricerca affannosa e confusa di idee e di miti per rimpolpare le esangui file. O di movimenti “disobbedienti” incapaci di concepire altro che la propria “leadership”. Ma scriverà anche di quello che magari anonimamente è passato di positivo nel pensiero e nei comportamenti di singoli o gruppi.

Ma legami con gli zapatisti, accompagnati da un pensiero critico sempre in ricerca, continuano seppur ridotti, tenuti accesi da piccoli nuclei, una radio comunitaria là, un sito costantemente aggiornato qua, un flusso ridotto ma non spento, di viaggiatori con destinazione i punti di osservazione internazionale nelle zone dove la sicurezza è più critica. Così in questi giorni molti hanno accettato l’invito ad andare a ‘ri-apprendere ad apprendere’, nelle escuolitas zapatiste, cosa siano la dignità, l’autogestione, la libertà. E ci auguriamo che al ritorno ci raccontino e rianimino un dibattito, dibattito che certamente tornerà a riaccendersi a dicembre, in occasione del XX anniversario dell’insurrezione.

PS I Testi del sup Marcos e del sub Moisés riguardanti le modalità e il s9ignificato delle visite alle escolitas sono leggibili sul blog https://chiapasbg.wordpress.com

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La Jornada – Venerdì 9 agosto 2013

Gli zapatisti festeggiano i 10 anni delle giunte di buon governo in Chiapas

Hermann Bellinghausen. Inviato. San Cristóbal de las Casas, Chis., 8 agosto. 10 anni fa, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) annunciava la creazione di cinque giunte di buon governo (JBG), un’innovativa forma di governo autonomo che si mise immediatamente in funzione, anche se per essere precisi, queste attività erano già in corso nei nei municipi ribelli dal 1995 e 1996, contemporaneamente ai dialoghi di San Andrés tra il governo messicano e la comandancia zapatista, accompagnata da rappresentanti della maggior parte dei popoli e tribù indigene del paese.

Come allora, in questi giorni di agosto nei cinque caracol si sono riunite migliaia di basi di appoggio zapatiste. Col passare del tempo, la loro esperienza (ed esperimento) di governo autogestito e libero non ha fatto altro che consolidarsi, e con esso consolidare l’autonomia controcorrente. Se nel 2003 le JBG rappresentavano la risposta esplicita al tradimento finale del governo di Vicente Fox, del Congresso e della Corte Suprema di Giustizia della Nazione agli accordi firmati nel 1996 (e disconosciuti poi dal governo di Ernesto Zedillo, per voce dell’allora segretario di Governo, Emilio Chuayffet), oggi sembrano dimostrare che gli accordi firmati si possono praticare concretamente. E la cosa più strana: possono funzionare. Non è poco in un paese dove le forme di governo legali sono ogni giorno sempre più disfunzionali ed inefficienti.

Siamo forti per lottare

Dieci anni fa, ad Oventic, dove furono presentate le JBG ed i caracol, la comandante Rosalinda disse con disarmante naturalezza: Stiamo dimostrando ancora una volta che siamo forti per lottare. Resistiamo da 10 anni e siamo proti a proseguire. Sì, possiamo farlo. Altri dieci anni, e qua sono avvenuti cambiamenti tangibili e sostanziali nella qualità di vita delle nuove generazioni ribelli delle comunità del Chiapas. Le parole della comandante nel 2003 suonano attuali: I municipi ribelli sono belli e chingones perché sappiamo resistere. Il malgoverno non ci ha sconfitti perché non può. Non scoraggiatevi. Non spaventatevi delle minacce e delle persecuzioni dei malgoverni. La nostra lotta è cresciuta molto.

Bisogna ricordare che poco tempo fa, il 21 dicembre 2012, quarantamila basi di appoggio dell’EZLN hanno sfilato in cinque città. In impressionante silenzio.

Sono comunità dove, per esempio, la medicina preventiva (passata di moda su scala nazionale e globale) si applica con il minimo e produce risultati spettacolari nel controllo delle malattie che prima li uccidevano. Dove, senza il governo organizzato dei territori autonomi, per il malgoverno (come tenacemente lo chiamano lì le JBG ed i consigli municipali autonomi dove il popolo comanda ed il governo ubbidisce) non ci sarebbe governabilità. Lo hanno ammesso pubblicamente gli ultimi tre governatori del Chiapas.

Accompagnano sempre gli zapatisti nella loro lotta, i popoli del CNI. Nel 2003 risposero affermativamente alla decisione di applicare gli Accordi di San Andrés come legge legittima per i popoli indio del Messico. Continuano a farlo. Mentre chi sosteneva che l’autonomia indigena avrebbe balcanizzato il paese, è riuscito esattamente a balcanizzarlo per distruggere i popoli.

Un’altra esatta descrizione è quella del dottor Pablo González Casanova l’11 settembre di quell’anno: “Quello dei caracol è un progetto di popoli-governo che si articolano tra loro e cercano di imporre strade di pace in tutto quanto sia possibile, senza disarmare moralmente o materialmente i popoli-governo, tanto meno in momenti e regioni dove gli organi repressivi dello Stato e le oligarchie seguono le orme sempre più aggressive, crudeli e ignoranti del neoliberismo di guerra che includono la fame, l’insalubrità e ‘l’ignoranza obbligata’ dell’immensa maggioranza dei popoli, per indebolirli e perfino decimarli o distruggerli, se è necessario”. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/09/politica/015n1pol

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Denuncia della Comunità di Candelaria el Alto 

Comunicato della Comunità di Candelaria el Alto 

Al Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba)

Alla Rete Contro la Repressione e la Solidarietà

Ai Difensori dei Diritti Umani ONG

Alla Commissione di Riconciliazione Comunitaria (CoReCo)

Al Servizio di Consultazione per la Pace (Serapaz)

A tutte le Donne e tutti gli Uomini che vogliono la Giustizia

Agli Aderenti alla Sexta

Al tutto il Popolo del Messico 

Noi, bambini, giovani, uomini e donne della Comunità di Candelaria el Alto, Aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona dell’EZLN, siamo una comunità indigena del Municipio di Venustiano Carranza, Chiapas, Messico.

La nostra comunità da tre anni non può coltivare le proprie terre a causa del conflitto con Nuevo San José La Grandeza appartenente all’Organizzazione Campesina Emiliano Zapata-Region Carranza (OCEZ-RC). In tutti questi anni abbiamo cercato di trovare una soluzione al conflitto per vivere degnamente e lavorare la terra che ci spetta, così da dare cibo alle nostre famiglie. La nostra Comunità ha presentato denunce al Governo ed alle Organizzazioni dei Diritti Umani, ma al governo non ha mai importato nulla fino ad oggi e tutta la comunità si trova in una grave situazione di scarsità alimentare e sta soffrendo la fame. 

Noi siamo una comunità dignitosa che non chiede appoggio al governo per risolvere il problema della mancanza di cibo. Agli inizi del 2013 abbiamo aperto un tavolo di dialogo con Nuevo San José La Grandeza per cercare una soluzione definitiva e vivere in pace e dignità e poter lavorare la nostra terra. Al tavolo di dialogo ci accompagnano e assistono i fratelli del Frayba, CoReCo e Serapaz.

Intanto che il dialogo avanza, noi della comunità di Candelaria el Alto non possiamo lavorare le terre pertanto non abbiamo i nostri generi alimentari di base, come mais e fagioli, e non abbiamo la possibilità di procurarci quello di cui le nostre famiglie hanno bisogno. 

Per questa ragione chiediamo l’appoggio e la solidarietà delle organizzazioni sopra menzionate e di tutte e tutti quelli che si vogliano unire per far fronte all’emergenza umanitaria e alimentare che stiamo soffrendo inviandoci quello che possono come mais, fagioli, riso o aiuti economici.

2 agosto 2013 

Comunità Candelaria el Alto – Municipio diVenustiano Carranza – Chiapas – Messico

Aderente alla Sexta

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/06/denuncia-de-la-comunidad-de-candelaria-el-alto/

 (Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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Votan IV

Meno 7 Giorni.

Dove si rivela quello che il cuore zapatista ammira in altr@, si avvisa che ci sono esonerat@ e si danno consigli oziosi che nessuno osserverà.

Agosto 2013

Bene, manca poco. Mi riferisco ai giorni che mancano alla scuola, non a quello che dobbiamo e vogliamo dire.

Se cercate una scuola che assegni un maestro, una maestra, ad ogni singolo studente, 24 ore al giorno, che sia gratuita e laica, e che i fornisca vitto e alloggio mentre imparate-insegnate, vi auguriamo buona fortuna.

Come sapete, la scolarità dei partecipanti va dalla materna fino al dottorato all’estero (e per “estero” non ci riferiamo ad altri paesi diversi dal nostro, ma all’essere alieno, straniero, e molte istituzioni educative nel nostro paese sono straniere). Ed i calendari si allungano dai mesi di vita fino agli oltre 90 anni. Tutte e tutti saranno accolti nel nostro cuore collettivo, indipendentemente che vengano in comunità, o gli tocchi andare al CIDECI, o in un’altra geografia per videoconferenza, o che ricevano il materiale scolastico, o che aspettino il loro turno.

Forse vi sarete resi conto dello sforzo organizzativo che la scuola rappresenta per i popoli zapatisti.

Ma non domandatevi perché e come un gruppo di comunità indigene decide di ospitare, nutrire, convivere e condividere le sue conoscenze con un gruppo di stranieri, di diversi, di altr@. O com’è che l’oggetto dell’elemosina, della compassione, della pena e degli altri nomi dietro i quali si nasconde il razzismo, la discriminazione e il disprezzo, cioè, gli indigeni zapatisti, commettono l’audacia di dichiarare che hanno qualcosa da insegnare e per questo costruiscono, come prima una nave assurda in piena selva, ora una scuola così grande da abbracciare il mondo intero.

Oppure sì, ma domandatevi anche com’è possibile che persone dei 5 continenti, di ogni nazionalità (questo trucchetto di bandiere, frontiere e passaporti), di grandi o piccole conoscenze, decide che ha qualcosa da imparare da persone che nei grandi libri e nei discorsi governativi sono catalogate come “ignoranti”, “arretrate”, “emarginate”, “povere”, “analfabete”, e gli eccetera che potete trovare negli “studi” dell’INEGI, nei manuali di antropologia, e nelle parole e nei gesti di schifo di chi dice di governare il mondo.

Perché gente di fama o senza nome, si prende del tempo e lo usa per ascoltare, e nella maggioranza dei casi anche per viaggiare, per imparare dai popoli zapatisti?

A noi zapatisti non meraviglia il nostro continuo e persistente sali e scendi nella lotta per la vita, cioè, per la libertà. Quello che davvero ci sorprende è che esistano persone come voi che, potendo scegliere destinazioni più gradevoli, comode e invitanti, decidono di portare il loro cuore nelle montagne ribelli del sudest messicano per illuminare con un lampo, insieme a noi, un agosto nell’ultimo angolo di mondo, nel più piccolo.

Perché? Sarà perché per caso intuiscono, sanno, conoscono, che la luce non viene dall’alto, ma nasce e cresce dal basso? Che non è il prodotto di un leader, capo, caudillo, saggio, ma della gente comune? Sarà che nei loro conti, il grande comincia piccolo e ciò che ogni tanto scuote il mondo inizia con un mormorio, sommesso, basso, quasi impercettibile? O forse immaginano com’è il rumore di un mondo quando si sgretola. Forse sanno che i mondi nuovi nascono con i più piccoli.

Infine, ciò che in realtà deve sorprendere, siete voi qua e con noi, da questa parte. E credo sia chiaro che non mi riferisco né al calendario né alla geografia.

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LE/GLI ESONERATI

Noi zapatiste, zapatisti, abbiamo avuto la fortuna di contare sull’ascolto, la parola e la mano compagna di uomini e donne che guardiamo dal basso per la loro levatura morale. Alcuni/e di loro non hanno detto niente direttamente su di noi, né a favore, né contro. Ma le loro parole su come gira il mondo, lo fanno.

E ci sono persone che potrebbero ben stare dall’altra parte, con quelli di sopra, o con chi da parti diverse vede in noi un concorrente, un ostacolo, un fastidio, un nemico, un animale impossibile da domare e addomesticare. Là, da quella parte, potrebbero ricevere onori e corteggiamenti, omaggi e complimenti. Per ottenerli, bastava prendere le distanze dal nostro passo o unire il loro silenzio a quello complice di altre, di altri.

Alcune di queste persone hanno accettato l’invito alla scuola zapatista per generosità. Nel lungo percorso del loro degno cammino, hanno sempre mantenuto i ponti verso lo scalino più piccolo, più dimenticato, il nostro.

Ci sono stati anche altri, altre, che prima ci hanno appoggiato? Sì, molti, molte, e poi, sulla cresta dell’onda di turno, ci hanno chiesto sottomissione e soggezione alla nuova casacca che indossavano i nostri persecutori di sempre, ma ora di “sinistra”. Ci hanno chiesto che, prostrati, ringraziassimo per il loro aiuto tacendo di fronte alle ingiustizie di sempre, abbellite di false parole. Come il Prepotente, ci hanno chiesto obbedienza. Come al Prepotente, gli abbiamo risposto con la ribellione.

Ma queste altre persone compas, uomini e donne di differenti calendari e geografie, non ci hanno mai chiesto né sottomissione né di tentennare. E benché non poche volte il loro sguardo sia stato e sia critico riguardo il nostro cammino, è sempre stato ed è compagno. Loro sono la prova che appoggio non è subordinazione (qualcosa che la sinistra mondiale ancora non riesce a capire).

Abbiamo invitato tutti/e loro. Ma non come alunni. Secondo noi, loro capiscono bene che cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti. Li abbiamo invitati per renderli partecipi della gioia di vedere che il nostro passo, benché lento e sconcertante, prosegue e va verso un solo destino, che è anche il loro.

Riporto alcuni nomi. Non ci saranno tutte, tutti. Ma nominandoli, nominandole, nominiamo chi dovrebbe apparire al nostro fianco, ed anche, chi non c’è perché la morte si è presentata sul suo cammino. Ma sono nella nostra memoria, l’unica cosa e la migliore che abbiamo come arma e scudo. Ci mancheranno, per esempio: l’instancabile attivismo della compagna sorella Chapis; la fermezza della compa Rosa di Querétaro; lo sguardo-ponte di Beverly Brancroft; l’allegra risata di Helena, l’ostinata lotta di Martha de Los Ríos, la limpida parola di Tomás Segovia; il saggio ascolto di José Saramago, i sentimenti fraterni di Mario Benedetti, il genio di Manuel Vázquez Montalbán, la serena coerenza di Adolfo Sánchez Vázquez, la profonda conoscenza di Carlos Montemayor, l’abbraccio fraterno di Andrés Aubry e Angélica Inda, tra molti@ altr@.

Tutti loro, e qualche altr@, anche se inclusi nella lista degli invitat@ come alunn@, non lo sono. Sono, per usare il gergo scolastico, esonerati.

Sarà bene accoglierli con un abbraccio, qui o nella geografia dalla quale, generosi, ci guardano e ascoltano. Che vengano o no, saranno con noi per quello che sono: le nostre compagne e compagni.

Ora riporto il nome di pochi/e. Ce ne sono di più. A tutte e tutti loro faremo arrivare, insieme al nostro abbraccio, rinnovati ammirazione e rispetto, la lettera di esonero che è solo una prassi accademica per far loro sapere la nostra gratitudine. Quindi, ecco alcuni degli esonerati, con onore, dal corso “La Libertà secondo le/gli zapatisti”:

.- Nuestras queridas abuelas y madres, las Doñas de Chihuahua y de Sinaloa, en el México de abajo y a la izquierda.
.- Nuestras abuelas y madres de Plaza de Mayo, en la Argentina digna.
.- María Luisa Tomasini, nuestra abuela en Chiapas.
.- Pablo González Casanova.
.- Luis Villoro.
.- Adolfo Gilly.
.- Paulina Fernández C.
.- Óscar Chávez.
.- John Berger.
.- Carlos Aguirre Rojas.
.- Antonio Ramírez Chávez.
.- Domi.
.- Vicente Rojo.
.- Immanuell Wallerstain.
.- Gilberto López y Rivas.
.- Noam Chomsky.
.- María Luisa Capella.
.- Ernesto Cardenal.
.- Neus Espresate Xirau.
.- Marcos Roitman.
.- Arturo Anguiano.
.- Gustavo Esteva Figueroa.
.- Jorge Alonso Sánchez.
.- Hugo Blanco Galdós.
.- Miquel Amorós.
.- Neil Harvey.
.- John Holloway.
.- Malú Huacuja del Toro.
.- Armando Bartra.
.- Michael Hardt.
.- Greg Ruggiero.
.- Raúl Zibechi.
.- Eduardo Galeano.
.- Daniel Viglietti.
.- León Gieco.
.- Sylvia Marcos.
.- Jean Robert.
.- Juan Villoro.
.- Mercedes Olivera.
.- Bárbara Jacobs.
.- Mayor insurgente honorario Félix Serdán.
.- María Jesús de la Fuente Viuda de O’Higgins.
.- Inés Segovia Camelo.
.- Obispo Raúl Vera.
.- Bárbara Zamora.
.- El Mastuerzo.
.- Rocko Pachukote.
.- Francisco Segovia.
.- Zach de la Rocha.
.- Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas.
.- Juan Carlos Mijangos Noh.
.- Sindicato Mexicano de Electricistas (SME), México.
.- Ignacio Del Valle.
.- Confederación General de Trabajadores, Estado Español.
.- Víctor Flores Olea.
.- Magdalena Gómez.
.- Brigada Callejera “Elisa Martínez”.
.- la banda tuitera.
.- la banda de medios alternativos.

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Consigli oziosi (perché so che non mi darete retta).

Su scacchi e incubi.

Se, per esempio, vi tocca la scuola nella zona del Caracol di La Realidad. Dopo una giornata convulsa, con le fiacche su mani e piedi, ma con quel piacevole dolore che solo dà l’apprendere, sedetevi fuori dalla capanna. Accendetevi una sigaretta ed osservate come la luce del pomeriggio cede alle ombre della sera. Guardate come tutto intorno a voi sembra muoversi al rallentatore. Cala il silenzio sulla giornata quotidiana, cosa che ora vi permette di apprezzare l’ostinato frinire dei grilli, la lucina giocosa delle lucciole, lo zzzzzzzzz delle zanzare. Allora decidete di tirare fuori la vostra scacchiera portatile. State sistemando i pezzi, quando si avvicina un bambino o una bambina (calcolate: tra gli 8 e i 10 anni) che vi si siede accanto, coccoloni. Il bambino-bambina guarda con curiosità quello che state facendo e vi chiede, con un’innocenza al di sopra di ogni sospetto: “cos’è quello?” Vi sentite lusingati di avere l’opportunità di insegnare qualcosa, soprattutto dopo che da quando siete arrivati non ricevete altro che correzioni dal vostro Votán e dalla famiglia con la quale ora vivete. Quindi, tirate una boccata dalla sigaretta e dite: “Ah, è un gioco, si chiama scacchi”. E qui arriva il momento decisivo. Avete la tentazione di dire quello che non dovete dire. Pensate che, dopo tutto, è solo un bambino-bambina e che sarà divertente insegnargli quel gioco misterioso di intelligenza, tattica e strategia. Allora dite le parole maledette: “Vuoi che ti insegni a giocare?”. Già. La vostra sorte è segnata. Il bambino-bambina dirà con innocenza, “va bene, vediamo se riesco”. Poi: l’incubo. Dopo le prime spiegazioni “questo si chiama pedone”, “questo alfiere”, “questo cavallo” e così via, il bambino-bambina, si siederà davanti a voi. Passerete tutta la sera e parte della notte a sentirvi ripetere “scaccomatto”. Più tardi, poco prima che il sogno sognato occupi il posto del sogno reale, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa, attingerò al mio pacchetto di biscotti a forma di animaletti e penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho sentito maledire in decine di lingue diverse i “maestri” di scacchi bastonati da@ bambin@ della zona di La Realidad. Dopo tutto, mica per niente questo posto è chiamato “La Realidad”, no?Su scacchi e incubi.

Sul Calcio.

Se, per esempio, vi tocca la zona del Caracol di La Garrucha. Stessa situazione della precedente. Adesso è un bambino che giocherella con le mani con un pallone. Vi dice-domanda-sfida con un “Nel villaggio da dove vieni sapete giocare a calcio?”. Sentite subito scorrervi nelle vene Pelé e Garrincha, Maradona e Cruyff, Ronaldo e Messi (non in una Table Dance, si capisce), Puskas e Di Stéfano (sono andato troppo indietro nel calendario?), o chi vi piace nella vostra geografia e calendario. Io vi consiglio solo di sorridere e di mettervi a discorrere del tempo o di altro, ma… cominciate a vedere rosso e, beh, ho sempre pensato che lo sciovinismo sportivo sia ben tollerato perfino nella sinistra più radicale, cosicché, senza ascoltare il mio consiglio, vi sistemate gli stivali-anfibi-scarpe da tennis-pantofole-dita, vi alzate con un “Se sappiamo giocare a calcio nel villaggio da dove vengo? Adesso vedi. Andiamo”. La notte, quando sarete nel dormiveglia del buon riposo, farete la conta dei danni e vi direte che ha sbagliato il portiere, la difesa, il mediano, l’attaccante, l’arbitro, il campo impervio, il fango e la cacca del bestiame, che dopo tutto i gol subiti non erano tanto male, che ci sarà la rivincita. Ma, con l’ultimo sbadiglio, vi direte: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, vicino e lontano, accenderò la pipa e rilassandomi penserò: “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”. Ho visto squadre internazionali di autentici “assi” del calcio soccombere sui “campi di calcio” del Caracol di La Garrucha. In quella zona, perfino le mucche conoscono la magia del pallone.

Il Pozol Agrio.

In qualunque zona vi toccherà di ognuno dei 5 Caracoles. “C’è festa!” sentite che dicono. Vi alzate, anche se tutto il corpo vi duole come se aveste passato tutto il giorno a cercare di prendere un autobus nell’ora di punta della vostra geografia. Vi avvicinate alla folla. Allora sentite che gridano con giubilo “pozol agrio!”. Ascoltatemi: girate sui tacchi e tornate nella vostra capanna. Se qualcuno ve lo offre, scusatevi con un “grazie, ma sono pieno” e toccatevi la pancia con soddisfatta enfasi. Ma, due a uno che forse vi direte “Beh, sono venuto per condividere, quindi devo condividere anche l’allegria che sembra provocare quello che chiamano pozol agrio”, e ne chiedete un bicchiere-tazza. Mentre passerete l’intera notte alla latrina, sentirete il bisogno di accendere una sigaretta, anche se non fumate, e alla debole luce dell’accendino penserete: “Maledetto Sup, dovevo dargli retta”. Io, non tanto vicino ma sì lontano, accenderò la pipa e mentre mi dirò “odio dire che l’avevo detto, ma l’avevo detto”, mi allontanerò ancora di più perché, credetemi, non c’è tabacco che copra quella puzza.

Il Cibo.

Se pensate che qualcosa può farvi male, o sapete che vi fa male, o non vi va, non lo mangiate. Non sentitevi obbligati a mangiare quello che non riuscite. Non vi guarderanno male, né sarete espulsi dalla scuola, né vi criticheranno, niente di tutto questo. Invece vi daranno medicinali per la pancia e vi domanderanno che cosa potete mangiare che non vi faccia male. Perché noi sappiamo bene che ciò che rallegra e nutre del cibo, è la parola che lo condisce. E sì, potete portare quello che vi piace mangiare, a patto che lo condividiate.

E non mi riferisco al fatto di darne una porzione a ciascuno, ma di condividere come si prepara, come si mangia, qual’è la sua storia. E no, condividere il mal di pancia non fa parte della vita comunitaria.

Il Tempo Libero.

Sì, potete portare un pallone, una chitarra, un’opera teatrale, un film, una storia da raccontare. Ricordate solo: tutto collettivo. No, non il collettivo col quale arrivate, ma il vostro collettivo qua: la vostra famiglia ed il vostro Votán. Se sentite qualcuno che dice “che allegra quella tonelada”, non pensate che si riferisca al peso della catasta di legna o del bidone d’acqua. È solo una di quelle bizzarre traduzioni che qua abbondano: con “tonelada” vogliono dire “tonada” [canzonetta – n.d.t.]. Di niente.

Gli slogan.

“Abbandonate ogni speranza di rima”, dovrebbe essere scritto all’ingresso di una comunità zapatista. Se vicino a voi qualcuno sta cercando di comporre uno “slogan” per la festa di benvenuto o di fine corso, e sentite che dice “non che no, sì che sì, siamo tanti e vinceremo”. Non vi venga in mente di dire che così non va o che manca la rima, perché sarete sommersi da una valanga di “perché? forse non siamo tanti? forse non vinceremo?”. E infine, un “ma si capisce, no?”

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Bene. E non dimenticate di portarvi tre cose importanti: qualcosa per il freddo, qualcosa per la pioggia e qualcosa in cui far tesoro della memoria.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
SupMarcos
Messico, Agosto 2013

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Di Alí Primera, la classica “Non basta pregare” cantata da uno zapatista al Festival della Digna Rabia, in Chiapas, Messico. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=0WtBVZ5tobY

Gruppo musicale di compas zapatisti degli Altos del Chiapas. http://www.youtube.com/watch?v=vhR3HEy0i3c&feature=player_embedded

Ballo regionale interpretato da bambine zapatiste in Chiapas, al Festival della Digna Rabia. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=oYdUDTThyU0

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

Votan IV. Día Menos 7.

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La Jornada – Venerdì 2 agosto 2013

Negato l’appello agli ejidatarios che reclamano le terre di Bachajón

Hermann Bellinghausen 

Un giudice federale di Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, ha negato il ricorso in appello degli ejidatarios tzeltal di San Sebastián Bachajón che reclamano la restituzione delle terre occupate dal governo due anni fa, contro la volontà dei proprietari e abitanti dell’ejido. 

Questo giovedì, Mariano Moreno Guzmán, aderente alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona e rappresentante della comunità, aveva presentanto una richiesta di revisione contro la sentenza del 22 luglio, emessa dal giudice José del Carmen Constantino Avendaño, che aveva determinato l’archiviazione dell’appello 274/2011, ritenendo che gli espropri eseguiti dalle diverse autorità statali e federali il 2 febbraio 2011 erano stati autorizzati dall’assemblea generale degli ejidatarios, e pertanto non costituiscono ragione di querela da parte dell’ejido. 

Secondo l’avvocato degli ejidatarios, Ricardo Lagunes Gasca, la richiesta di revisione dovrà essere inviata nelle prossime settimane al Terzo Tribunale Collegiale di Tuxtla Gutiérrez, per il suo studio e risoluzione. 

Si tratta della seconda sentenza emessa da questo giudice a danno del villaggio tzeltal di San Sebastián, dettata praticamente negli stessi termini della precedente, lo scorso 30 gennaio, revocata successivamente dal Terzo Tribunale Collegiale. (….)

Nonostante la notoria mancanza di imparzialità e indipendenza del giudice, gli ejidatarios avvertono che useranno ogni risorsa legale per proteggere il loro territorio. 

L’avvocato degli indigeni sottolinea la contraddizione tra quanto espresso dal presidente della Suprema Corte di Giustizia della Nazione, Juan N. Silva Culli, sull’importanza dei diritti umani a partire dalla riforma costituzionale e gli impegni assunti con organismi internazionali, “e la pratica dei giudici federali nei luoghi più lontani e poveri, che si conformano agli interessi dei gruppi di potere politico ed economico, eludendo il diritto dei popoli alla protezione del loro territorio. http://www.jornada.unam.mx/2013/08/02/politica/016n1pol 

Comunicato degli ejidatario di Bachajón

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Votán III.

SEZIONE NO FAQ.

Quello che avreste sempre voluto sapere su

le/gli zapatisti, la loro dannata scuola e le conseguenze che può avere frequentarla.

Luglio 2013

Sembra che più o meno si vada chiarendo il panorama riguardo cosa diavolo intendiamo noi zapatisti quando parliamo della scuola.

Ma c’è da sperare che ora abbiate più domande che risposte. Accantonata la preoccupazione per le calzature, restano altri quesiti. Vi viene in mente allora che forse è vero che quella zapatista è una ribellione del XXI° secolo, esperta in tutto quello che ha a che vedere con la cibernetica (hanno perfino un grafitero di muri virtuali). Dunque, andate all’internet caffè più vicino, o accendete il vostro computer e cercate: “Scuola Zapatista, Dubbi, domande frequenti, FAQ, eccetera”.

Sullo schermo apparirà un “elegante effetto cibernetico” per eludere la vigilanza dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale gringa, e sarete introdotti nell’ultra segreto server dei trasgressori della legge: lo ZPS (“Zapatist Pozol Server”, la sigla in inglese). Dopo che sullo schermo appare un convincente “Fuck You XKeyscore”, vi viene chiesta una password per entrare. Voi provate “MARICHIWEU” e lo schermo dice “No”. Provate con “NOSOTR@S” e sullo schermo appare “Neanche”. Tentate con “DURITO” e lo schermo dice “Neanche per sogno”. Irritati/e per gli ostacoli, lasciate un messaggio con una parolaccia rivolta al governo nordamericano e, mentre state mettendo la firma, lo schermo si apre come se fosse una porta in 3D, suono dolby e tutta sta roba, ed appare la scritta “Scuola Zapatista, NO FAQ, -“Domande Non Frequenti. Potete aggiungere la vostra in fondo –”, seguita da un lungo elenco di domande e risposte, come le seguenti:

– Cercate la descrizione che più vi somiglia, collegatela alla domanda e trovate la risposta corrispondente:

– Non ho titolo di studio di scuola superiore / Non sono un artista / Non sono una persona famosa / Non rappresento nessuno / Non sono un dirigente né leader di niente / Sono molto giovane / Sono molto vecchio / Non sono mai andato a scuola / Sono nuovo/a nella conoscenza dello zapatismo e non sono mai stato in una comunità / Non ero ancora nato o ero molto piccolo/a quando voi siete apparsi pubblicamente / Non ne sapevo niente fino al giorno della fine del mondo / L’ho saputo solo poche settimane fa ed ho chiesto l’invito / Non so nemmeno perché mi hanno invitato visto che non mi piacciono gli zapatisti, o meglio gli zapatisti sì mi piacciono, ma il Marcos è un pagliaccio che approfitta dei poveri indios ed io-dirò-loro-di-non-farsi-ingannare-e-li-redimerò / l’eccetera che è di moda / ___________ (il vostro caso particolare)….

Domande:

Mi tratteranno nello stesso modo di chi sa a memoria l’inno zapatista, di chi ha partecipato a tutte le attività dello/sullo zapatismo, di chi ha una maglietta dell’EZLN, di chi sa recitare bene il ritornello “è un onore essere qui…” – ah no, questo è un altro canale -, di chi indossa dei super scarponi ed un’attrezzatura di alpinismo di alta montagna, di chi è stato molte volte in comunità ed ha aiutato mooolto, ma mooolto gli indigeni? È importante tutto questo per la scuola? Questo può essere un impedimento per frequentarla o per chiedere che mi invitino?

Risposte (secondo l’ordine delle domande):

Sì. No. No.

Domanda:

Posso restare a vivere in una comunità zapatista?

Risposta:

No.

Domanda argomentata:

Ma ci ho pensato bene e sono molto convinto/a, Sì?

Risposta ribadita:

No.

Insistenza enfatica:

Per favore? Per favore? Per favore? Sì?

Risposta ugualmente enfatica (secondo l’ordine delle domande):

No. No. No. No.

Domanda:

Posso versare più di 100 pesos per il materiale scolastico, come dimostrazione di solidarietà con le comunità indigene zapatiste?

Risposta:

Sì, ma né noi né altri sapranno la somma, né chi l’ha donata. Registrandovi, passerete davanti ad un contenitore o una scatola (non so esattamente cosa metteranno) e lì potrete depositare i vostri cento pesos o quello che vorrete. Solo voi saprete se avrete versato solo 100 pesos, o di più, o di meno, o se avete messo una carta di credito, o un biglietto della metro, o un insulto. Completate le registrazioni, i compas incaricati vuoteranno il contenitore o la scatola e consegneranno il contenuto ad una commissione della Scuola Zapatista. Così nemmeno noi sapremo chi né quanto ha versato. Così nessuno potrà reclamare o esigere un trattamento particolare o V.I.P perché “tu non sai chi sono io, né tutti gli incarichi e premi che ho avuto, né quanto, ma veramente quanto ho aiutato le comunità / e non mi umilieranno mettendomi insieme a gente che non è mai stata in comunità, / a me non hanno nulla da insegnare, invece, mi devono ringraziare, / l’unica immagine di indigeno che mi va giù è quella di chi, prostrato, mi adora, l’immagine di indigeni ribelli, cioè, ingrati, non mi va giù” (come ha già fatto una “illustrissima” persona del mondo artistico-culturale).

Domanda:

Posso portare qualcosa da regalare alla famiglia che mi ospiterà?

Risposta:

No.

Indubbiamente sarà naturale instaurare una relazione di affetto con le persone con le quali vivrete. Ma, i “regali” personali creano squilibri nella comunità e spostano una relazione politica verso una personale. Si smette di rapportarsi con una causa e si passa a rapportarsi con una persona, cosa non necessariamente cattiva, ma non venite qua per fare amicizie, ma per imparare. Presso il CIDECI potrete lasciare quello che vorrete donare, sia all’arrivo per la registrazione sia alla fine dei corsi. Quanto donato sarà consegnato alle Giunte di Buon Governo che distribuiranno EQUAMENTE tra tutte le comunità zapatiste quanto ricevuto. Tenete presente che per noi, cioè, per le famiglie che vi ospiteranno, la cosa importante è la persona, non ciò che possiede o dà. Anche per voi la cosa importante sono i popoli zapatisti nel loro insieme, non la famiglia o il Votán con il quale entrerete in rapporto, perché non è un gruppo di persone che vi assisterà, ma tutti i popoli zapatisti organizzati, sintetizzati per voi in una famiglia e in un/a, guardiano/a.

Domanda:

Perché non accettate che io regali qualcosa a chi mi accoglie nella sua casa, mi dà da mangiare, si prende cura di me, mi insegna?

Risposta:

Sentite, ci sono famiglie zapatiste che non ospiteranno nessuno, ma che hanno collaborato e collaborano per il cibo, il materiale, i trasporti. Partecipano tanto quanto la famiglia che ospita. Per queste famiglie non c’è regalo perché non le vedrete? A loro non darete i vostri indirizzi nel caso un giorno venissero nella vostra geografia o perché vi chiamino o vi scrivano? Per quei bambini che non conoscerete non ci saranno dolci, abiti, giocattoli, regali?

Per esempio, ci sono comunità zapatiste sotto la minaccia costante di gruppi paramilitari. Siccome lì le condizioni di sicurezza sono precarie, non hanno potuto accogliere gli studenti della scuola, perché non potremmo prenderci cura dei/delle nostr@ invitat@ in quei luoghi. Ma quelle famiglie si sono ugualmente preparate, hanno aiutato le famiglie che vi ospiteranno, hanno costruito, spazzato, lavato, strofinato, verniciato, cucinato, raccolto legna, cooperato per il cibo che vi verrà offerto. Voi non le conoscete, né le conoscerete a scuola. Se le aggressioni dei paramilitari e della polizia aumentano, dovranno sfollare. Forse ne siete al corrente, oppure no (controllate il numero di aperture-letture dell’ultima denuncia delle JBG), ma per voi non avranno nome né volto.

Saranno invisibili, come centinaia di migliaia di zapatisti. C’è chi li tiene in considerazione, anche se sono invisibili per voi e per gli altri?

Sì, noi, i loro compagni e compagne. Per questo quello che si riceve da fuori, si cerca di distribuirlo equamente: si distribuisce di più e meglio a chi ne ha più bisogno.

Un’altra cosa sul tema delle donazioni. Sappiamo che là fuori domina lo stereotipo che gli indigeni sono oggetto di pena ed elemosina, che bisogna dare loro quello che avanza o dà fastidio, invece di buttarlo via. Una specie di sindrome da “Telethon” generalizzata. Il suo equivalente nella classe politica è il photoshop dell’elemosina (niente che non si possa truccare da campagna “contro la fame”… o con una fotocopiatrice).

“L’aspirina della coscienza” la chiamiamo noi zapatisti, zapatiste.

Negli alti e bassi della nostra lunga lotta, abbiamo visto molte cose. Una di queste è che, nei momenti di disgrazia, chi più ha, dà quello che gli avanza; e chi meno ha, dà quello che gli manca. Qualcuno con soldi e cose, dona le coperte che non usa più, i vestiti che non gli vanno più bene, le scarpe passate di moda, i soldi che non gli sono necessari. E chi deve combattere ogni minuto del giorno per un misero salario per avere qualcosa da mettere sulla tavola, oltre ad una logora tovaglia o nemmeno questa, dà quella moneta di cui ha bisogno per la sua sopravvivenza.

Questo popolo indigeno, il popolo zapatista, non merita la vostra pena. Nonostante il disprezzo ricevuto per essere una moda passeggera o per esserci rifiutati di far parte dei pecoroni del movimento “storico” nella congiuntura di turno, ci siamo ribellati con dignità come 20, 50, 500 anni fa. E continueremo a farlo. Non insultateci con l’elemosina.

Non vi abbiamo chiesto niente che non sia giusto: solo il pagamento del costo del materiale scolastico (cento pesos) e la vostra disposizione ad imparare. Noi vi ospiteremo. Noi vi daremo da mangiare. Non sarà un hotel a 7 stelle né un buffet gastronomico, ma in ogni tortilla, fagiolo, verdura, branda o amaca, mantella di plastica per la pioggia, c’è l’affetto ed il rispetto di tutti noi verso di voi, perché siete la nostra invitata, il nostro invitato, il nostro compagno, la nostra compagna, nuestroa compañeroa.

Non ci dovete nulla né si deve nulla. Dalla scuola non deriva la militanza, l’appartenenza organica, la soggezione al comando, il fanatismo. Quello che verrà dalla scuola è qualcosa che spetta solo a voi decidere… ed agire di conseguenza. Non vi abbiamo invitato per reclutarvi, formarvi o deformarvi, programmarvi o, come si direbbe ora, “resettarvi”. Abbiamo aperto una porta e vi abbiamo invitato ad entrare affinché vediate com’è la nostra casa, quella che abbiamo costruito con l’aiuto di persone di tutto il mondo che, quelle sì, non ci hanno dato i loro avanzi, ma i loro sguardi e ascolti da compagni, ed alle quali non è mai venuto in mente che dobbiamo essere loro eternamente grati, né che li dobbiamo venerare come si venera chi possiede e ordina.

Voi siete come siete, e solo a voi tocca decidere di continuare ad essere così o diversamente.

E per concludere questo frammento della sezione Domande Non Frequenti:

Non siete un’importante personalità? Non avete grandi titoli di studio? Non siete mai stati prima in una comunità zapatista? Non eravate neanche nati quando l’EZLN è apparso pubblicamente? Non ne sapevate niente fino al giorno della fine del mondo, o dopo?

Non preoccupatevi né occupatevi di questo. Qua non si guardano i curriculum accademici, né i calendari di anzianità di vita o di lotta, ma i cuori. Qua verrà gente con diverse lauree e chi non ha nemmeno fatto le elementari; persone con più di 90 anni e chi non è ancora arrivato a sfogliare un intero calendario. Accoglieremo tutte, tutti, todoas, con lo stesso affetto, vi assisteremo al meglio possibile, vi dimostreremo ciò che siamo, e ci occuperemo di voi con la stessa cura.

Quindi lasciate obiezioni, traumi e angustie per la vostra serie TV preferita.

Pensate piuttosto, per esempio, che al vostro ritorno potrete raccontare a parenti, amic@, o mettere sul vostro blog o nel vostro profilo, qualcosa tipo:

Mi ricordo quando il Pablo (González Casanova), il Luis (Villoro), Adolfo (Gilly), Immanuel (Wallerstein), la Paulina (Fernández Christlieb), l’Oscar (Chávez), uno che chiamavamo “el Mastuerzo”, un altro che chiamavamo “el Roco” non so perché, alcuni tipi che cantavano con nomi strani come il Comando Cucaracha, SKA-P e Louis Ling and the Bombs, ed altr@ compas i cui nomi ora non ricordo, studiavamo insieme alla scuola e ci rilassavamo durante la ricreazione, e siamo stati anche puniti per non aver fatto i compiti. E un giorno hanno sorpreso il Toño (Ramírez Chávez) e la Domi (l’unica Domi che c’è) mentre disegnavano graffiti sulla parete che dà verso l’esterno, verso i nostri mondi, e, insieme a loro, ognuno ha preso quello che c’era e ci siamo messi tutt@ a dipingere. Ma in quel momento è arrivato il custode e siamo tutt@ scappati via. Il custode ha guardato la parete, si è allontanato ed è tornato con un secchio di pittura ed un pennello. Pensavano che avrebbe cancellato quello che avevamo disegnato con tante figure e colori. Ma niente. Non ci crederete, ma il custode ha afferrato il pennello e si è messo a passarlo sul muro. Ma la cosa strana era che il portiere aveva disegnato solo una crepa sul muro… e poi era andato via. E la cosa ancora più strana è che ogni giorno, quando passavamo per andare a scuola, la crepa disegnata diventava sempre più reale, poi si è ingrandita ed è diventata più profonda. L’ultimo giorno di scuola, ci siamo messi tutti davanti alla parete a guardare ed aspettare di vedere se la crepa finiva per rompere il muro. Mentre eravamo li, è passata una compa zapatista con un passamontagna di molti colori, che molto divertita ci ha detto “Che cosa fate lì se la scuola è finita? Tornate a casa vostra!”. Così ce ne siamo andati. Ve lo racconto affinché vediate che ho studiato. Cosa? Perché la vernice è in una bomboletta spray? No, niente; stavo solo guardando quella parete là di fronte, dove dall’altra parte vive il Prepotente. Quel muro così grande, così ben tenuto, così solido, così potente, così intimidatorio, così indistruttibile, così grigio. Ci ho pensato e mi sono detto “A quel muro manca qualcosa, manca… una crepa”.

-*-

Bene. Saluti e non comprate colori e pennelli, li avete già nel cuore. Solo cercateli bene. Quello che ci fate, è parte della vostra libertà. 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupMarcos

Portiere, custode e spazzino della Scuola Zapatista (non lasciate in giro la spazzatura!).

Messico, Luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo. 

Frammento di una stupenda parodia del Telethon e gli equivalenti festival dell’elemosina. 31 minuti di spot per raccogliere fondi e riscattare l’arcimiliardario Señor Manguera, padrone della televisione. Vi raccomando di guardare il programma completo, non l’ho messo tutto perché è molto lungo. http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=J86p8X0GQtw

Sivigliane Indignate, jereziane e andaluse, con umore, grazia, talento ed astuta saggezza. Dedicato a chi non si spaventa. http://www.youtube.com/watch?v=dHCMevzImtE&feature=player_embedded

Eduardo Galeano racconta il mondo, cioè, quelli che ci sono nei mondi, e avverte che… bene, ascoltatelo. http://www.youtube.com/watch?v=9V922yOgsXc&feature=player_embedded

Oscar Chávez (uno di quelli che ci ha meglio guardato, cioè, capito) con “Los Paliacates”, accompagnato da Los Morales. http://www.youtube.com/watch?v=EIWkApDvupw&feature=player_embedded 

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/08/01/votan-iii-seccion-no-faq/

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VOTÁN II.

LE/I GUARDIAN@

Luglio 2013

Bene, ora vi spiego la faccenda della scuola (la lista del materiale scolastico, la metodologia, le/i maestr@, il programma, gli orari, ecc.), quindi la prima cosa è…

Il necessario.

La sola cosa di cui avete veramente bisogno per frequentare la scuola zapatista (oltre ad essere stati invitat@, chiaro, ed i cento pesos per il pacchetto libro-dvd) è la disposizione ad ascoltare.

Quindi, non c’è bisogno di seguire i consigli e le raccomandazioni di quelle persone, per quanto ben intenzionate, che vi dicono di portarvi questo o quello, perché loro “sì, sono stati in comunità”.

Chi davvero c’è stato in comunità, non lo ostenta, e sa bene che quello che in realtà serve è saper guardare e ascoltare. Perché di gente che è venuta per parlarci (e pretendere di guidarci o per offrirci elemosine in denaro o “saggezza”) ce n’è stata e ce ne sarà tanta, troppa. E quelli venuti ad ascoltare sono molto pochi. Ma di questo vi parlerò in un’altra occasione.

Quindi, non portate niente in particolare (ho letto che qualcuno ha solo delle vecchie scarpe da tennis, figo). Portatevi dei quaderni ed una penna o matita. Non è obbligatorio avere il computer, lo esmarfon, il tablet o quello che si usa adesso, ma se vi va potete portarli. Dove andrete non c’è campo per i cellulari. In qualche caracol c’è internet ma la sua velocità è, come dire… quella di “pegaso”, il cavallo di Durito. Sì, potete portare il vostro coso come-si-chiama dove ascoltare la musica. Sì, potete portare macchine fotografiche e registratori. Sì, si può registrare e scattare foto e video ma solo secondo le regole che il Subcomandante Insurgente Moisés vi farà sapere. Sì, potete portare il vostro orsacchiotto di peluche o equivalente.

Cose che vi possono essere utili: una torcia. Lo spazzolino da denti ed un asciugamano (se ne avete voglia ed è possibile lavarsi). Almeno un cambio di vestiti, nel caso si sporchino nel fango. I vostri medicinali, se ne avete bisogno e vi sono stati prescritti da uno specialista. Una busta di plastica per i vostri documenti e i soldi (portate sempre con voi soldi e documenti – i documenti vi saranno chiesti al momento della registrazione per controllare che voi siate voi -). Un’altra busta di plastica per il materiale di studio che vi consegneranno. Ed anche la vostra biancheria (intima – se la usate – ed esterna) mettetela in buste di plastica.

Ricordate: potete portarvi quello che volete, ma tutto quello che avete ve lo dovete trasportare voi. Quindi, niente “mi porto il pianoforte perché magari ho il tempo di esercitarmi con do-re-mi-fa-sol-la”. E no, non potete portare nemmeno la vostra Xbox, ps3, wii, e neppure quella vecchia console Atari.

Quello che è imprescindibile non si può acquistare, ma lo portate già incorporato nella vostra persona e lo potete trovare, partendo dal vostro collo, in basso e a sinistra.

Bene, chiarito questo, ecco la lista del necessario per frequentare la scuola in comunità. Senza questi requisiti NON SARETE AMMESSI:

– Indisposizione a parlare e giudicare.

– Disposizione ad ascoltare e guardare.

– Un cuore aperto.

Non importano la vostra razza, età, genere, preferenza sessuale, luogo di origine, religione, scolarità, statura, peso, aspetto fisico, la squadra per cui tifate, la vostra “anzianità” nel seguire lo zapatismo,… né le vostre calzature o se siete scalzi.

Ah, questo sì, non portate scarpe con i tacchi a spillo perché, è vero, stanno molto bene, ma le rompereste subito muovendo i primi passi nello…

Lo Spazio Scolastico e l’orario.

Secondo noi zapatiste, zapatisti, il luogo di insegnamento-apprendimento, la scuola, è il collettivo. Cioè, la comunità. E le/i maestr@ e le/gli alunn@ formano il collettivo. Tutte e tutti. Cosicché non ci sono un maestro o una maestra, ma c’è un collettivo che insegna, che mostra, che forma, ed in esso e con esso la persona impara e, a sua volta, insegna.

Quindi, il primo giorno di scuola in comunità (nelle altre modalità questo cambia), non aspettatevi il modello tradizionale di scuola. Quello che abbiamo preparato per voi, “l’aula” o il “salone scolastico” non è uno spazio chiuso, con una lavagna ed un professore o un’insegnante che impartisce il sapere agli alunni, che li valuta e li punisce (cioè, li classifica: alunni buoni e cattivi), ma lo spazio aperto di una comunità. E non una setta (qui convivono zapatisti e non zapatisti e, in alcuni casi, anti zapatisti), né una comunità egemonica, né omogenea, né chiusa (tutto l’anno la visitano persone di differenti calendari e geografie), né dogmatica (qui si impara anche dalle/dagli altr@).

Per questo non verrete in una scuola con gli orari abituali. Sarete a scuola in tutte le ore e tutti i giorni che durerà il vostro soggiorno. La parte più importante del vostro stare nella scuola zapatista è la vostra convivenza con la famiglia che vi accoglierà. Andrete con loro a fare legna, alla milpa, al ruscello-fiume-sorgente, cucinerete e mangerete con loro (chiaramente mangerete quello che non vi faccia male o secondo le vostre convinzioni – per esempio, se siete vegetariani o vegani non vi daranno carne, ma avvisateli prima perché i compas, quando sono felici per la visita, cucinano pollo o maiale, e la comunità o il municipio autonomo o la giunta di buon governo, per l’occasione usano il bestiame di proprietà della collettività per preparare brodo per tutt@ -), riposerete con loro e, soprattutto, vi stancherete insieme a loro.

Ovvero, come dire, in quei giorni farete parte di una famiglia indigena zapatista.

Per questo non accettiamo che qualcuno arrivi con la sua tenda da campeggio o la sua roulotte. Per questo c’è un numero limitato di iscritti. Perché in queste terre, è vero, ci stanno in molti, ma nelle capanne zapatiste ce ne stanno solo pochi. Se volete fare campeggio, stare nella natura ed i suoi equivalenti bucolici, non fatelo qui e in queste date.

Quindi, non conviverete con la vostra banda, gruppo, collettivo. Né con altr@ cittadin@. Se arrivate con la vostra famiglia, il vostro o la vostra partner, starete con loro se lo vorrete, ma nient’altro. Non è ammesso “noi che veniamo dallo stesso posto stiamo insieme per fare caciara o chiacchierare o cantare alla luce del falò o altro”. Questo lo potete fare nelle vostre geografie ed in altri calendari. Qui venite (soli o con la vostra famiglia, compagno o compagna) per condividere la quotidianità ed il sapere del popolo indigeno zapatista, e, chiaro, anche di indigeni che non sono zapatisti.

Il popolo zapatista è un popolo che ha la particolarità non solo di avere sfidato il potente, e neppure solo di essersi mantenuto in ribellione e resistenza per 20 anni. Ma anche, e soprattutto, per essere riuscito a costruire (nelle condizioni che conoscerete personalmente) la definizione indigena zapatista di libertà: governare e governarci secondo i nostri modi, nella nostra geografia ed in questo calendario.

Sì, “nella nostra geografia ed in questo calendario” segna una notevole distanza rispetto ad altri progetti. Non solo avverte che non è un modello da seguire (a noi alcune cose sono riuscite, altre no), un nuovo vangelo o una moda da esportare. Non è neppure un “manuale di costruzione della libertà”. Neanche per tutti i popoli originari del Messico, ed ancor meno per i popoli che lottano in ogni angolo del mondo.

Inoltre, fate molta attenzione, stiamo definendo un tempo. Quello che vedrete, è valido per noi, adesso. Nuove generazioni costruiranno le proprie strade, con modi propri e tempi propri. Il concetto di libertà non prevede lo schiavismo verso sé stesso.

Perché per noi la libertà è questo: esercitare il diritto di costruirsi il proprio destino, senza nessuno che ci comandi né ci dica sì o no. In altre parole: il nostro diritto di cadere e rialzarci da noi stessi. E sappiamo bene che questo si costruisce con ribellione e dignità, sapendo che ci sono altri mondi ed altri modi, e che, così come noi stiamo costruendo, ognuno costruisce la propria identità, cioè, la propria dignità.

Solo 2 volte nella settimana in cui convivrete con le comunità zapatiste parteciperete ad una riunione con tutt@ le/gli alunn@ nel Caracol della zona che vi spetterà. In quella riunione, dove saranno riuniti molti colori e modi di diversi calendari e geografie, ci saranno un maestro o una maestra che cercherà di rispondere alle domande o dubbi che potrebbero sorgere durante la vostra convivenza. Questo perché pensiamo che sarà bene per voi conoscere i dubbi, per esempio, di chi viene da un altro paese, da un altro continente, da un’altra città, da un’altra realtà.

Ma la cosa fondamentale della scuola la imparerete con il vostro…

Votán.

Per molti mesi, decine di migliaia di famiglie zapatiste si sono preparate per accogliere chi verrà nella scuola in comunità. Insieme a loro, migliaia di donne e uomini, indigeni e zapatisti si sono convertiti in un Votán individuale e collettivo nello stesso tempo.

Dovete dunque sapere qual’è il posto di Votán nella scuola. Perché il Votán è, come dire, la colonna portante della scuola. È il metodo, il piano di studio, il maestro-maestra, la scuola, l’aula, la lavagna, il quaderno, la penna, la scrivania con la mela, la ricreazione, l’esame, il diploma, la toga e il tocco.

Sul significato di “Votán” (o “Uotán”, o “Wotán”, o “Botán”) si è detto e scritto molto: per esempio, che la parola non esiste in lingua maya e che non è altro che la parola, male ascoltata e mal tradotta, “Ool Tá aan”, che sarebbe qualcosa come “Il Cuore che Parla”; che si riferisce al terremoto; o al ruggito del giaguaro; o al palpitare del cuore della terra; o del cuore del cielo; o del cuore dell’acqua; o del cuore della montagna; o tutto questo ed altro. Ma, come in tutto quello che si riferisce ai popoli originari, si tratta di interpretazioni di interpretazioni di chi ha voluto dominare (a volte con la conoscenza) queste terre ed i suoi abitanti. Quindi, a meno che non siate interessati ad elucubrare su interpretazioni di interpretazioni (che finiscono per ignorare i creatori), qui ci riferiamo al significato che le zapatiste, gli zapatisti, danno a “Votán”. E sarebbe qualcosa come “guardiano e cuore del popolo”, o “guardiano e cuore della terra”, o “guardiano e cuore del mondo”.

Ognuno degli studenti della scuola avrà il proprio Votán, un guardiano o guardiana, indipendentemente dall’età, genere, razza dell’alunno.

Cioè, oltre alla famiglia con la quale convivrete in quei giorni, avrete un tutore o tutrice che vi aiuterà a comprendere cos’è la libertà secondo noi zapatiste, zapatisti.

Le/I Guardian@ sono persone comuni. Solo che sono persone che si sono ribellate contro il potente che li sfruttava, disprezzava, derubava e reprimeva, e ci hanno messo la vita in questo. Tuttavia, il Votán in noi non predica il culto della morte, della gloria o del Potere, ma percorre la vita nella lotta quotidiana per la libertà.

Il vostro Votán personale, il vostro Guardiano/a, vi racconterà la nostra storia, vi spiegherà chi siamo, dove stiamo, perché lottiamo, come lo facciamo, con chi lo vogliamo fare. Vi parlerà dei nostri successi e dei nostri errori, studierà con voi sui libri di testo, fugherà per quanto possibile i vostri dubbi (se non ci riuscirà, c’è la riunione generale), vi parlerà in spagnolo (la famiglia con la quale vivrete parlerà in lingua madre), vi tradurrà quello che si dirà in famiglia, e tradurrà alla famiglia quello che voi direte o vorrete sapere, camminerà con voi, verrà con voi nella milpa o a fare legna o a prendere l’acqua, cucinerà con voi, mangerà con voi, canterà e ballerà con voi, dormirà vicino a voi, vi accompagnerà quando andrete in bagno, vi dirà che insetti evitare, controllerà che prendiate le vostre medicine, in sintesi: vi insegnerà e si prenderà cura di voi.

A lui potete chiedere quello che volete: se siamo un orrore di Salinas, se il SupMarcos è morto o è ad abbronzarsi sulle spiagge europee, se il SubMoy verrà, se la terra è rotonda, se crede nelle elezioni, se tifa per i Jaguares, eccetera, eccetera, eccetera. A differenza di altr@ maestr@, il guardiano o la guardiana, se non sa la risposta, vi dirà: “non lo so”.

Il vostro Votán sarà anche il vostro traduttore simultaneo che non ha bisogno di pile. Perché qua vi parleranno sempre in lingua madre. Solo il guardiano o guardiana può parlarvi in castigliano. Così capirete cosa succede quando un indigeno tenta di parlare nella lingua dominante. La differenza fondamentale è che qua non sarete trattati con disprezzo né con scherno perché non capite quello che vi dicono o perché pronunciate male. Ci saranno risate, sì, ma di simpatia per il vostro sforzo di capire e farvi capire. E, attenzione, il vostro Votán vi tradurrà non solo le parole, ma anche colori, sapori, suoni, mondi interi, cioè, una cultura.

Nella riunione alla quale parteciperete insieme ai vostri condiscepoli della zona, non potrete fare una domanda diretta al maestro o alla maestra, ma dovrà farla il vostro guardiano/a, e lui/lei la tradurrà al maestro che risponderà in lingua madre, ed il guardiano la tradurrà per voi. Indubbiamente resterete col dubbio se la vostra domanda sia stata tradotta correttamente e se la risposta che riceverete sia quella fornita dal maestro. Ma, non dicono che è giusto che un indigeno compaia davanti alle istanze governative di giustizia con un interprete? O per caso nei tribunali si traducono culture? Così capirete che quello che chiamano “uguaglianza giuridica” è un’altra delle mostruosità della giustizia nel nostro mondo. Dove sta l’uguaglianza giuridica se la traduzione di parole come “libertà”, “democrazia”, “giustizia” si fa con le stesse parole di chi vuole schiavizzarci, derubarci, farci sparire? Dov’è l’uguaglianza se l’accusa, il processo e la condanna le fa un sistema giuridico, oltre che corrotto, imposto con la lingua del Prepotente? Dov’è la giustizia se il sistema che giudica è basato sulla premessa dello smantellamento culturale?

Per questo la scuola. Per questo il Votán. Perché…

Siamo lui.

Il vostro Votán è un grande collettivo concentrato in una persona. Lui o lei non parla né ascolta come persona individuale. Ogni Votán siamo noi tutte e tutti gli zapatisti.

Qualche settimana fa, noi Subcomandanti Moisés e Marcos abbiamo affidato l’incarico di portavoce dell’EZLN a migliaia di uomini e donne indigene zapatiste per i giorni della scuola. In quei giorni di agosto (e poi in dicembre e gennaio prossimi), per loro voce parlerà tutto l’EZLN, attraverso il loro udito ascolterà, e nel loro cuore palpiterà il grande noi che siamo.

Cosicché in quei giorni della Scuola, avrete come maestro o maestra niente meno che la massima autorità zapatista, il capo/capa suprema dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale: Votán.

E Votán si incaricherà anche di…

Le/I Bambin@.

Se l’alunno o alunna è minorenne (12 anni o meno), una guardiana per ogni bambino e bambina accompagnerà sempre la madre e/o padre, aiuterà a prendersene cura, che non si ammali, che prenda le sue medicine, che giochi, che impari, che sia content@. Se sa già leggere, studierà sui libri di testo insieme al bambino o bambina, gli racconterà le storie di come vivevano i bambini indigeni prima dell’insurrezione e come vivono ora, gli racconterà storie terribili e meravigliose, racconti, barzellette, gli canterà “quella del babbuino colorato”.

Tutti i bambini e le bambine, con i familiari che li accompagnano, saranno sistemati nella zona più vicina a San Cristóbal de Las Casas, nelle migliori condizioni che possiamo offrire. Si predisporranno alloggi particolari per loro, insieme alle loro madri/padri, affinché non abbiano freddo, né si bagnino se piove. Ci saranno inoltre dei compas esperti di salute e primo soccorso. E per qualsiasi emergenza, saranno a disposizione, 24 ore su 24, 2 ambulanze e 2 veicoli per trasportare l’infante in città se avesse bisogno di un medico, o per andare a prendere medicinali se ce ne fosse bisogno. Se per qualche emergenza è necessario che la famiglia debba fare ritorno nella sua geografia particolare prima della fine della scuola, abbiamo un piccolo fondo economico per aiutarla con i biglietti, o la benzina.

Riassumendo: le/i bambin@ godranno di un trattamento speciale. Ma, né loro né gli adulti si salveranno da…

La Valutazione.

È la più difficile che abbiate mai immaginato. Non ci sarà un esame, una tesi o un test a risposta multipla; né ci sarà una giuria, o un gruppo sinodale con titoli universitari.

La valutazione la farà la vostra realtà, nel vostro calendario e geografia, ed il vostro sinodo sarà… uno specchio.

Lì vedrete se potrete rispondere all’unica domanda dell’esame finale: Cos’è la libertà secondo te-voi?

-*-

Bene. Salute e credetemi, lo dico per esperienza diretta, quello che più si impara qua, è domandare. E ne vale la pena.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, Luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

Eduardo Galeano narra un aneddoto di un maestro ed i suoi alunn@. http://www.youtube.com/watch?v=t87oqLxy-pA&feature=player_embedded

La libertà, per esempio, è esigere la libertà per tutt@ i prigionier@ Mapuche. La canzone si intitola “Cosas Simples”, del gruppo cileno Weichafe (Guerrero). http://www.youtube.com/watch?v=USY5au7E2fY&feature=player_embedded

“Luna Zapatista”, di Orlando Rodríguez e Miguel Ogando, con “El Problema del Barrio”, disegni di Juan Kalvellido. Edizione video: Orlando Fonseca. http://www.youtube.com/watch?v=B62P53d8ThQ&feature=player_embedded 

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2013/07/30/votan-ii-ls-guardians/

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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SupMarcos: Votán I.

Votán I.

UNO SCARABEO IN RETE

(Durito versione freeware)

Luglio 2013

Prima di spiegarvi della scuola (qualcosa tipo una “guida” o un “manuale di cattive maniere” o “manuale di sopravvivenza”), andiamo a vedere che cosa fanno là sopra. Non perché siamo distratti (lo siamo, senza dubbio), ma perché noi cerchiamo di guardare i loro calendari e geografie, cioè, tentiamo di capire.

Dunque, siate gentili e pazienti, e accompagnateci in questo sguardo da qua fino al loro là. Vediamo… mmm…

Tanta congiuntura-storica che cerca, invano, di catturare l’attenzione con titoli di prima pagina. L’impostura mediatica ora sconfitta dagli hashtag – o come si chiamano – (“virali” si dice, perché di massa, non perché nocivi… o no?).

Ah, la disperazione degli esperti di comunicazione, politologi, editorialisti, direttori di giornali: non toccano più gli argomenti di “attualità”, segnalano, impongono le loro analisi – non poche volte ben lubrificate da banconote di tutti i colori -, ma ognuno a modo suo, col proprio calendario, la propria geografia.

Lasciamo da parte per un momento quel patetico rapporto tra personalità dello spettacolo e della politica a tutti i livelli – reali, ministri, presidenti, governatori, legislatori – della cui “trascendenza” si occupa solo il giornalismo frivolo (cioè, quello a pagamento). Le riflessioni di politologi e giornalisti su questo argomento attraggono solo i sempre più scarsi “professionisti del pettegolezzo”.

Frase “tuitera” di Durito: “Della relazione tra il mondo dello spettacolo e la politica, vale a dire: photoshop li crea e poi li accoppia”.

Perché ora sembra che alla gente (quella massa ribelle che non guarda dove le viene ordinato di guardare, né ascolta quello che le viene ordinato di ascoltare) è venuta la mania di mettere il quotidiano in primo piano: come pettinarsi, cosa mi è successo in quel posto, quello che mi piace o non mi piace, quello che ho visto-sentito-mi hanno detto, i crimini che non appaiono sui mezzi di comunicazione a pagamento, la continua ridicolaggine dei governanti (prima nascosta da montagne di denaro nei camerini della comunicazione a pagamento), ora esposta senza controllo.

Il presunto paladino della libertà e della democrazia, il governo nordamericano, spia impunemente, o compie atrocità in tutto il pianeta? Zac! Ecco che la rete diventa la mano irriverente che abbatte la scenografia dietro la quale si nasconde l’ossessione del Potere: controllare tutto e tutti, sapere tutto.

E, all’improvviso, quando il Potere si rende conto che non è valso a niente pagare tanto affinché i riflettori (mediatici) si spegnessero o si concentrassero sullo stupido spettacolo di moda, il pubblico, la gente, la plebe, la banda, accende le sue luci ma non per accompagnare ritmicamente il ballo di sopra, ma per mostrare che il re-principe-ministro-presidente-governante-legislatore è nudo.

Vedendosi esposto, il Potere riesce solo a balbettare incoerenze e, ovviamente, a criminalizzare chi l’ha messo a nudo. Un tal governante o funzionario mostra la patetica sindrome di “lei-no-sa-con-chi-ha-a-che-fare”? Zac! Ecco che arriva lo schiaffo cibernetico e che tutti lo vedano-ascoltino-diffondano. E, chiaramente, la conseguente risposta giuridico-poliziesca dei politici: arresto dei tuiteros; iniziative di legge per controllare le reti sociali; lo spazio aereo mondiale violato dal governo nordamericano, il patetico servilismo dei governi europei (“è solo un indio, fermatelo”).

Prendete il nome che volete di chi è sopra o vuole esserlo: Peña Nieto, Obama, Berlusconi, Rajoy, Putin, tutto l’eccetera che avete dalle vostre parti. Grandi, mediocri e piccoli (tutti cattivi) commedianti che danzano al ritmo frenetico di internet (è inutile dire che non tengono nemmeno il passo?). Riassumendo: internet = (uguale a) globalizzazione immediata e di massa del ridicolo e dell’incapacità della classe politica.

Ma attenzione! Perché là sopra si sono accorti che l’attimo (la prova evidente della loro incompetenza) è anche fugace. E che il rimedio ad uno scandalo, è uno scandalo più grande. Il miglior antidoto contro un “hashtag” virale, è altro uguale. Finché queste denunce non passano al “bisogna fare qualcosa”, da lì a “bisogna fare questo”, e di lì al calendario e la geografia (“bisogna farlo in quel posto, il tal giorno”), non c’è problema. Il Potere non trova inconveniente che le sue ridicolaggini siano argomenti di conversazione, ma se, per esempio, i nuovi “terroristi internazionali”, cioè, le reti sociali, passano dallo scherno alla mobilitazione… allora sì cominciano a far squillare i “telefoni rossi” (ok, lo so che non si usano più, ma mi capite) nei centri del Potere Mondiale, cioè, nei centri finanziari. Perché una cosa è indignarsi individualmente di fronte all’ingiustizia, ed un’altra cosa è diventare collettivo di Indignati. Insomma, il problema si fa serio quando “l’abilità del basso” con la rete, si trasforma in pugni ribelli per strada… e nelle campagne.

Ma là sopra, gli analisti insistono con la citata e stracitata “congiuntura” (il “contesto storico”, mio caro). Ed è lo spettacolo di sempre. Per esempio, le elezioni… Frodi pre-elettorali, elettorali e post-elettorali. Allora la conclusione è quasi unanime: “non servono”… fino a che arriva una nuova stagione elettorale ed un illuminato a modo offre il solito: la libertà anelata a portata di una scheda elettorale. Così, la salvezza sta nel tracciare una croce in un determinato posto su un foglio, con fervore depositarlo in una scatola, e sperare che quell’essere intangibile che è “la maggioranza” appaia come ironico travestimento di chi realmente decide: un pugno di ricconi e riccone.

La Società del Potere”, li chiamiamo noi zapatisti e zapatiste, non fosse altro per segnalare che non è nell’apparato tradizionale, esaltato dalla scienza politica idem e dai politici ibidem, dove risiede il Potere ed il suo criminale esercizio.

Ah, la classe politica e corifei che l’accompagnano. Come se si trovassero ad anni luce dalla realtà, i politici di sopra non hanno capito che quello che vogliono governare non esiste più. Il loro (mal) agire è solo la scenografia dietro la quale si nascondono le macerie di un mondo… del loro mondo…

DURITO Versione π (3.14159265 ecc.)

Un politico è come uno zombie con l’etichetta “vegetariano radicale”, e qualunque sia il suo slogan, in fondo è: “sono sempre lo stesso ma ora mi comporterò bene”, mi dice Durito, che sostiene che Hannibal Lecter non è altro che uno zombie di buone maniere e abilità gastronomiche (di sicuro a scuola arriveranno due specialisti in gastronomia, sicuramente intrigati dagli ingredienti del piatto “Marco´s Special”, non adatto a vegetarian@ e così straordinario, altro che Ratatouille, vorranno rubare la ricetta segreta?).

Sì, è tornato Durito. L’autodenominato “unico supereroe che non usa calzamaglia, né pantaloni sopra la calzamaglia… né sotto la calzamaglia”.

Da giorni Durito insiste che è il suo turno. Alla mia obizione che molti non lo ricordano e che molti di più non sanno neppure della sua esistenza, Durito mi ha dato il suo biglietto da visita e mi chiede di pubblicarlo. Ha insistito e così lo metto qui, nel caso qualche distratto (o distratta, non si dimentichi l’equità di genere) voglia ritagliarlo ed averlo a portata di mano:

Don Durito de La Lacandona A.C. de C.V. de (i)R. (i)L.
Caballero Andante.
Hojita de Huapác # 69.
Montañas del Sureste Mexicano.

So che è stato uno sbaglio, ma gli ho chiesto cosa diavolo voleva dire “A.C. de C.V. de (i)R. (i)L.” e mi ha risposto: “Andante Caballero de Cabalgadura Versátil de Irresponsabilidad Ilimitada”.

Gli ho detto che ormai nessuno più usa i biglietti da visita, che adesso ci sono “blog”, “profili” e cibernetici equivalenti. In risposta alle mie obiezioni, Durito mi ha strappato il biglietto, ci ha scarabocchiato sopra e me l’ha ridato. Ora dice:

Don Durito Punto Com.
Andante Caballero y Grafitero Cibernético.
Arroba más w (pero al triple) punto #yosoy69yomiyomi.
(Se rayan muros
feisbuqueros y de los otros. Presupuesto sin costo)
Versión 7.7 bis.
Descarga gratuita sólo para
linux.
Diga sí al software libre

Ovviamente non gli ho più chiesto cosa significasse tutto questo.

Il fatto è che Durito mi ha detto che ora è il momento, quale momento migliore per fare la sua ricomparsa se non mentre un piccolo, piccolissimo numero di persone, di geografie e calendari così sparsi, stanno aspettando l’inizio delle lezioni della scuola zapatista.

Per chi non lo conosce o non lo ricorda (o per chi, come chi scrive, ha fatto di tutto per dimenticarlo), Durito è uno scarabeo. Certo, non è uno scarabeo qualsiasi. Si dice cavaliere errante (e ci dà a declamare interi paragrafi de “Il Fantastico Hidalgo Don Chisciotte della Mancia”), ha una graffetta deformata come lancia, un pezzo di guscio di cacaté come elmo, il tappo di una boccetta di medicinale come scudo, e come spada, beh, qui volano parole grosse, la sua spada non è niente meno che “Excalibur” (benché abbia l’aspetto di un rametto). Per completare, come cavalcatura non ha un ronzino, ma una tartaruga della dimensione di un pollice, che chiama “Pegaso” (“perché sembra che voli quando prende velocità”, spiega Durito).

Durito o Don Durito de La Lacandona, dice che la sua missione è, scrivo testualmente quello che mi detta, sfidare il potente, soccorrere il debole, strappare sospiri alle femmine, essere un tipo da poster, e… e quello che viene fuori man mano perché non è nemmeno cosa in cui incasellarsi, no? Per esempio, mi occupo anche di ingegneria – sono muratore mezzo cucchiaino da tè -, idraulica, pittura, consigliere d’amore, botiquero, webmaster, mago, assaggiatore di gelati alla noce, scrivano, specialista in trattamenti di bellezza che includono lavaggio, ingrassaggio, lattoniere e verniciatura, eccetera. Non dimenticare di mettere enfasi su “eccetera”.

Quindi, approfittando del fatto che – come milioni di persone – la congiuntura storica non ci prenda in considerazione, e mentre arriva il giorno fatidico in cui iniziano i corsi della scuola zapatista, Durito impartirà ora un corso propedeutico, dice, di “alta politica”.

E per farlo, Durito si pone in modo “Massively Multiplayer Online –MMO-” (affinché tutti capiscano, dice -almeno in Word of Warcraft ed in Call of Duty-) ed inizia con con… Un Twit?!

I partiti politici istituzionali sono il “bioshacker” della lotta per la libertà”

(Durito sorride soddisfatto della sua capacità di sintesi, ma avverte la necessità di dilungarsi quindi… sono dolori…)

Per comprendere il funzionamento contemporaneo della politica di sopra, bisogna frequentare il suo nuovo ateneo: i mezzi di comunicazione a pagamento. Attenzione: notare che non ho usato il tradizionale “mezzi di comunicazione di massa” perché ci sono media alternativi (o liberi o come si chiamino) che sono di massa ed altri che sono terreno di lotta (come internet).

Prendiamo, per esempio, la televisione. Accendete il vostro apparecchio ed osservate come la realtà imita la pubblicità. Ci sono quegli spot con macchine meravigliose che permettono non solo di perdere peso, ma di avere anche una figura da iomeiome, da corri-che-ti prendo.

Acquistando una di queste macchine, potete strafogarvi di grappa, farinacei, carboidrati, idrocarburi, zucchero, benzoato di sodio in generose proporzioni, e mettervi sul letto o sul sofà o sull’amaca o in terra (ci sono ancora le classi sociali, non si creda) e dedicarvi ai videogiochi, alla lettura di un romanzo o alla vostra serie TV. In alcuni giorni, avrete una figura come quella del ragazzo o della signorina che in quel momento sta dimostrando che la macchina è facile da usare, oltre ad essere utile per appendere i vestiti ad asciugare.

Bene, così è la politica di sopra nel momento in cui chiede il vostro voto. Non è necessario che vi organizziate, che lottiate ogni i giorno e dovunque, per costruirvi un destino. Per questo, non manca niente, c’è quel prodotto. Nella sua nuova versione abbiamo incluso un tasto di reset, ed ora include una confezione di gel all’aroma di fiori. Lui si occuperà di tutto. Sedetevi comodamente e vedrete come fioccano le offerte di lavoro, i prestiti a interessi bassi, le scuole laiche, scientifiche e gratuite, la cultura a portata di tutti, le abitazioni con tutti i servizi che servono e a basso costo, cibi sani, ospedali ben attrezzati e personale medico qualificato, le prigioni piene di veri delinquenti (cioè, di banchieri, funzionari e poliziotti), la terra a chi la lavora, le ricchezze naturali di proprietà della Nazione. Insomma, il mondo in cui avete sempre sognato di vivere, ma senza dover fare altro che mettere una croce su questa scheda elettorale. No, non dovete neppure disturbarvi a vigilare che non ci siano trappole o non si contino correttamente i voti, lo facciamo noi per voi!

Ah, il “bioshaker” della libertà: perdete peso senza muovervi (è la macchina che si muove per voi); siate liberi senza lottare (che il leader lotti per voi).

Orbene, non spegnete il televisore. Vediamo che cosa c’è dietro questi spot. Già, quei ragazzi muscolosi e quelle frondose signorine non usano quelle macchine. Se glielo domandate fuori dalla scena vi diranno che sono inutili, che non ne comprerebbero mai una, che un bel corpo si ottiene solo con un’alimentazione adeguata e facendo esercizio. Mi seguite?

E così è in politica: quelli che nel mondo veramente comandano non credono nella democrazia elettorale, sanno bene che lì non si decide niente di fondamentale. Che il comando vero, il Potere, sta da un’altra parte, la LORO parte.

Ma, quando state per cambiare canale, o mettere il dvd “di produzione alternativa” per vedere “The Walking Dead”, appare un altro signore, signora, signorina, che vi dice di non cambiare, che se votate per lui-lei, avrete quello di cui tanto avete bisogno e che meritate, che per averlo, guardate, dovete solo fare un segno qui su questa scheda elettorale su questo simbolo che, è vero!, sembra di cibo spazzatura…

Bene, ed ora un esame a risposta multipla per passare questo corso propedeutico:

Visto quanto sopra, voi…

a).- Ascoltate il signore-signora-signorina e vi dite che bisogna provare, forse sì, bisogna fare un altro partito politico… con gli stessi di sempre.

b).- Cambiate canale o pigiate play al divudi e cominciate a discutere col vostro partner o col vostro cane o gatto, o con tutti e 3, sul perché gli zombie perdono sempre malgrado siano la stragrande maggioranza: Beh, non sempre, quasi mai / Alla fine gli zombie vincono / Come quel film di Romero, dove si vede il tipo di The Mentalist, dove alla fine si vede che gli zombie cercano un posto per loro / Ah, si chiama “Zombie Land”, “Terra dei Morti” / Sì, se ne vanno via forse inorriditi dalla sanguinaria crudeltà dei vivi / Mmm, cioè, dici che gli zombie faranno il proprio municipio autonomo ribelle zapatista? / O vanno alla scuola zapatista / Allora sarà pieno di gente strana / Sì, come tutti noi / E tutte noi, tonto / Schiaffo / Bravo, bacino.

c).- Non l’avete o spegnete il televisore e cercate in rete se qualcuno ha già trovato un autobus per San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dall’8 al 18 agosto, per andare alla festa, andare a scuola, e partecipare alla cattedra dei popoli originari. Mentre il computer si accende, vi provate quegli orribili stivali che qualcuno vi ha detto che vi servirebbero andando in Chiapas.

d).- Non avete letto-capito la domanda.

Autovalutazione (non barate):

Se avete scelto l’opzione a, non venite, vi prendereste solo rabbia. Se avete optato per la risposta b, non preoccupatevi, anche noi sembriamo zombie… beh, però una pettinata non vi farebbe male. Se la vostra opzione è stata la c, sappiate che quegli stivai non vi serviranno a molto. Se avete scelto la d, tornate all’inizio del testo (no, non questo, ma quello che si è cominciato a scrivere più di 500 anni fa).

Tan-tan. Fine del corso propedeutico di Durito

-*-

Gli zapatisti, le zapatiste, quale opzione sceglierebbero? Userebbero macchine per fare ginnastica o una dieta bilanciata, o entrambe? O nessuna – vedrete che gli zapatisti poi si costruiscono la propria opzione -.

Ah, forse troverete queste risposte nel corso “La Libertad según l@s Zapatistas”. Non ve lo garantisco. Quello che è sicuro è che, anche se mancheranno le risposte, abbonderanno le domande.

(Ah, Durito ha portato anche un racconto, “la storia del gatto-cane”, ma lo lascio per un altro giorno).

Bene. Salute e credetemi, ciò per cui vale la pena non è facile, per esempio, arrampicarsi su quella collina per vedere, da lì, come la luce alla fine si rifugia nell’ombra dell’alba.

(Continua)

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupMarcos

Messico, luglio 2013

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Ascolta e guarda i video che accompagnano questo testo.

Immagni inedite di Durito. Top Secret.” http://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=svo2SEjmi6o

Autore León Gieco e con la voce di Carlos Karel, la canzone “Señor Durito”. http://www.youtube.com/watch?v=jf3oikHlyp8&feature=player_embedded

Parodia della serie televisiva “The Walking Dead” http://www.youtube.com/watch?v=X16IGZyNVoo&feature=player_embedded

Dalla serie popolare “Hitler lo sa”, qui il suo disappunto per le campagne elettorali in Messico ed i nuovi candidati… come il Gatto Morris (attenzione: contiene parole che possono essere offensive, ma niente che non si senta ogni giorno in qualunque parte del mondo): http://www.youtube.com/watch?v=jWXBwuugrSY&feature=player_embedded

 

Link al Comunicato Originale

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

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La Jornada – Giovedì 25 luglio 2013

Liberati i tre indigeni accusati di aver avvelenato l’acqua dell’ejido di Puebla

Hermann Bellinghausen

Martedì notte sono stati liberati i tre indigeni dell’ejido di Puebla, due di loro zapatisti, in stato di fermo presso la procura indigena di San Cristóbal de las Casas dal fine settimana scorso. Si tratta di Mariano Méndez Méndez, Luciano Méndez Hernández y Juan López Santiz. (… segue http://www.jornada.unam.mx/2013/07/25/politica/017n1pol

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