Contralínea
Chiapas: militarizzazione e saccheggio minacciano gli indigeni
Nancy Flores
17 giugno 2014
Con la “guerra” al narcotraffico il Chiapas è stato di nuovo militarizzato. Le tensioni tra l’EZLN, le basi di appoggio, la società civile in generale ed il governo sono aumentate al pari della criminalizzazione della protesta pacifica. Nell’intervista, Víctor Hugo López – direttore del Centro dei Diritti Umani Frayba – segnala che con la militarizzazione è aumentato il saccheggio delle risorse naturali, minerali, energetiche
Durante il governo di Felipe Calderón Hinojosa, strade rurali e comunità indigene del Chiapas, poco alla volta sono state occupate da elementi dell’Esercito Messicano e dell’Armata del Messico. Oggi, ancora col pretesto di combattere il narcotraffico, i militari tengono sotto il loro controllo zone che erano state liberate durante la gestione di Vicente Fox Quesada come dimostrazione della “volontà governativa” di pacificare la regione.
Così, il massimo risultato della “guerra” calderonista in questa entità del Sudest messicano non è stato lo sterminio del crimine organizzato, ma il riposizionamento dei militari al punto che la situazione attuale è equiparabile a quella di 20 anni fa, quando l’Esercito Zapatista da Liberazione Nazionale (EZLN) si sollevò in armi.
Nell’intervista con Contralínea, il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas (Frayba), Víctor Hugo López, spiega che, sebbenin Chiapas non si siano viste “scene spettacolari di violenza” e di scontri per le strade, la strategia della “guerra” al narcotraffico ha avuto serie ripercussioni nelle comunità. In principio, perché ha ottenuto il riposizionamento dell’Esercito Messicano e dell’Armata nei diversi territori indigeni ed in tutti i punti di confine dell’entità, caratterizzata da miseria ed emarginazione.
Il giovane difensore dei diritti umani ricorda che una delle condizioni che l’amministrazione foxista mise in campo per mantenere il dialogo con l’EZLN fu la smilitarizzazione: furono eliminate alcune delle zone militari più importanti, dice. Tuttavia, “questa situazione si è persa con la strategia di Calderón: mentre elementi dell’Esercito pattugliano e montano blocchi in tutto il territorio, quelli dell’Armata presidiano i punti di confine, compreso quello con il Guatemala”.
Attualmente, spiega, elementi dell’Esercito Messicano sono presenti in molte comunità e strade rurali dove prima non si erano mai visti. “Realizzano ronde e perfino operativi di sequesto di armi. Discreti [operativi], dicono, ma proprio sulla frontiera o la linea di fuoco qui in Chiapas. Questo è grave, perché sembra che non stiano per nulla valutando la possibilità che si registrare nuovamente uno scontro [armato]”.
Víctor Hugo López osserva che la strategia antidroga ha avuto altre gravi ripercussioni in Chiapas. Una di queste si riferisce alla politica di sicurezza dello stato, perché ora i poliziotti civili sono sotto il comando dei militari.
Riferisce inoltre dell’aumentò della criminalizzazione della società nel suo insieme. E fa l’esempio degli operativi delle unità miste (militari accompagnati da poliziotti municipali e statali). Questi, indica, sono quelli che commettono il maggior numero di detenzioni arbitrarie di giovani (uomini e donne) per le strade solo per il loro modo di essere; commettono anche abusi e torture.
In questo senso sono state rafforzate le leggi e sono state legalizzate forme di violenza e meccanismi di violazione dei diritti umani: “Per esempio, sebbene sia stato eliminato il fermo in Chiapas e questo sia stato pubblicizzato come un successo del governo statale precedente, sono aumentate le case [di sicurezza] della Procura dove si fanno sparire le persone, vengono torturate e fermate in maniera illegale”.
E malgrado sia gli operativi poliziesco-militari sia le riforme legali siano state giustificate come una strategia contro il narcotraffico, il difensore dei diritti umani osserva che la vendita ed il consumo di alcool e di ogni tipo di droga non sono stati affatto sconfitti.
“Contraddicendo il discorso della lotta al narcotraffico ed alla criminalità organizzata, abbiamo visto che, in diverse comunità ed in maniera esponenziale, viene autorizzata e perfino promossa, perché in alcuni casi i padroni sono i sindaci, la proliferazione di locali dove avviene un consumo indiscriminato di droghe, ed ovviamente perfino la tratta delle persone”.
Víctor Hugo López avverte che si stanno creando le condizioni per mantenere lo stato di insicurezza. Esempio di ciò è l’alleanza tra i governi del Messico, Stati Uniti e Guatemala: “il pretesto è che i gruppi della criminalità organizzata ed il narcotraffico non operino tra Chiapas e Guatemala; ma queste politiche hanno indurito non le misure contro la delinquenza, ma contro la popolazione”. In particolare, segnala, dei migranti.
“Per noi, la blindatura della frontiera, il rafforzamento della sicurezza e la lotta alla criminalità organizzata hanno provocato un maggior controllo sociale e maggiore indice di repressione contro la popolazione nel suo insieme. E questo ha colpito in maniera apparentemente invisibile, ma reale. Lo vediamo di continuo qui nei casi che riceviamo ogni di detenzioni arbitrarie.
“Al Frayba riceviamo attualmente una media di tra 900 e 1000 casi in generale; ma 3 anni fa ne ricevevamo da 400 a 500 casi. Ora, di questi 900/1000 casi, circa 400, cioè, il 40%, hanno a che vedere con la criminalizzazione, l’accesso alla giustizia, la detenzione arbitraria, la privazione arbitraria della vita, tortura e processi. Nella nostra analisi vediamo che sono effetti della strategia della guerra contro il narcotraffico e la criminalità organizzata: potremmo dire che un 40% di questi casi è il risultato di questa strategia”.
Megaprogetti, l’altra minaccia
Nonostante le prove raccolte dal Frayba relative all’aumento delle violazioni dei diritti umani, i governi federale e statale assicurano che in Chiapas questi diritti sono rispettati. Questi discorsi non solo vorrebbero nascondere la situazione nelle comunità, ma promuovere inoltre gli investimenti stranieri nella regione.
Víctor Hugo López spiega che “lo Stato messicano ha lavorato fatto un lavoro di convincimento impressionante a livello internazionale per dimostrarsi garante, promotore e rispettoso dei diritti umani in Messico, e concretamente in Chiapas, tra le popolazioni indigene; per questo ha ratificato, firmato e proposto ogni tipo di legge, regolamento, convenzione, protocollo che possa essere a sostegno di ciò. Il Messico è promotore della Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli Indigeni e si è cominciato a dire di nuovo che gli Accordi di San Andrés si dovevano legiferare ed approvare; in Chiapas abbiamo leggi locali come la legge indigena, una legge per la protezione delle donne, eccetera. Hanno creato tutta l’impalcatura giuridico-legale per sostenere di fronte ai governi del mondo ed alle agenzie straniere che il Messico garantisce condizioni di rispetto, promozione e protezione dei diritti umani e che, pertanto, i livelli di vita, previdenza sociale, tranquillità e la pace sono garantiti nel nostro stato”.
Aggiunge che recentemente 12 parlamentari europei hanno visitato il Chiapas per conoscere la situazione dei diritti umani, ma, soprattutto, per accertarsi delle condizioni di sicurezza che offre la zona per gli investimenti.
“Quello che stanno dicendo è che il governo messicano sta spingendo o ri-promuovendo progetti di investimento, ecoturistici, minerari, petroliferi, dicendo che in Chiapas esistono tutti gli strumenti per il rispetto e la promozione dei diritti umani che garantiscono sicurezza per i loro investimenti”.
Il direttore del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas dice che nell’entità si va delineando una mappa di conflittualità sociale provocata dai megaprogetti di investimento privato. Uno di questi conflitti, spiega, è quello nella zona di Agua Azul. Nell’area delle cascate i contadini si oppongono alla proposta governativa di creare un centro ecoturistico.
“Noi vediamo che si sta incoraggiando la repressione delle comunità che difendono i propri territori perché sono decisi ad imporre i progetti per cui si sono impegnati. E l’abbiamo potuto constatare perché c’è un binomio sicurezza-investimento-diritti umano che si sta vendendo all’estero. I rappresentanti stranieri stanno venendo a vedere se quello che il governo del Messico sta vendendo all’estero è reale. Quindi, da questo momento in poi ci aspettiamo processi di tensione on quelle comunità che si opporranno all’imposizione di quei megaprogetti.
In questo contesto, Víctor Hugo López avverte che nella lotta territoriale c’è un altro attore: la Crociata Nazionale Contro la Fame. Questa, assicura, ha operato come meccanismo di contrainsurgencia: l’unico obiettivo della Crociata è dividere le comunità, generare maggiore dipendenza ed aumentare le condizioni di povertà estrema nell’entità”.
Frayba: 25 anni a difesa dei diritti umani
Lo scorso 18 marzo, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas ha compiuto 25 anni. Fondato dallo scomparso Samuel Ruiz García – allora vescovo della Diocesi di San Cristóbal de las Casas, Chiapas –, attualmente è considerato una delle organizzazioni messicane più importanti nella difesa delle garanzie individuali e collettive.
Rispetto a questi 25 anni di lavoro, il suo attuale direttore, Víctor Hugo López, riflette: “Il Centro esiste da 25 anni, ma da oltre 500 anni è influenzato dai popoli indigeni che hanno continuamente generato proposte ed alternative alla crisi di Stato e del sistema”.
Nel Centro Frayba, sostiene, si apprezza molto che esistano cinque regioni autonome, cinque Giunte di Buon Governo, dove esiste il minor indice di violazione dei diritti umani. “Sono popolazioni che sono riuscite a far fronte a tutto questo sistema di violenza strutturale ed alle sue conseguenze. E’ in questo contesto che arriviamo a 25 anni: riconosciamo che il Frayba da sé non sarebbe riuscito ad essere ciò che è se non grazie all’influenza di questi attori politici e del soggetto che è il popolo indigeno”.
Aggiunge che chi ha conosciuto il progetto e vi collabora è fortunato anche per essere in territorio chiapaneco. “È una terra dove sono presenti contrasti significativi e molto visibili: la ricchezza innegabile delle risorse energetiche, naturali, ma anche la ricchezza culturale e di proposta politica che vediamo nascere in questa terra, e che ha la sua origine non solo a partire dal 1994, ma da oltre 500 anni fa, con un attore fondamentale che sono i popoli indigeni.
Ci sentiamo fortunati del fatto che la nostra culla sia fondamentalmente indigena. Proprio tra le popolazioni indigene del Messico si raggiungono livelli impressionanti di violenza e violazione dei diritti umani. Cioè, se molti di noi messicani affrontiamo il tema della corruzione, discriminazione, ingiustizia, per i popoli indigeni questo tipo di violenza si manifesta nella loro condizione di povertà, per essere indigeni e contadini”.
Víctor Hugo López riferisce che la violenza in Chiapas ha molti fronti: benché il più visibile sia il territorio occupato militarmente, c’è un territorio occupato e circondato da progetti di “sviluppo” che stanno dividendo le comunità e che coinvolgono direttamente interi territori per dividerli e creare conflitti.
Tuttavia, dice, queste condizioni e queste tensioni naturali del sistema stesso generano proposte ed alternative. Per questo, sebbene da 15 anni nell’entità si viva quello che definisce una guerra contro la popolazione, si sono create alternative, molte di queste autonome, di proposta di un’altra giustizia, di ricostruzione del tessuto comunitario che, senza alcun dubbio, possono essere una guida o elementi di esperienza che potrebbero essere utili nel Messico attuale.
In Chiapas, esemplifica, sono avvenute situazioni violente che hanno successivamente hanno riprodotto la loro strategia o i loro effetti a livello nazionale, come il massacro di Acteal, nel 1997, che colpì a livello mondiale: 45 persone più quattro ancora non nati furono massacrati in una comunità. Oggi, nel paese ci sono stati simili massacri in diversi contesti e territori, come Michoacán, Tamaulipas ed in tutti gli stati che stanno affrontando la strategia della lotta alla criminalità organizzata.
In Messico è a rischio il 20% della biodiversità
Il Chiapas posiede il 20% di tutta la biodiversità ed occupa il secondo posto nazionale in questo settore, dicono dati del governo statale guidato da Manuel Velasco Coello, del Partito Verde Ecologista del Messico.
Secondo le informazioni ufficiali, alcune delle risorse naturali più importanti sono: 10 bacini idrici e due dei fiumi più abbondanti del paese: Grijalva ed Usumacinta; 266 chilometri di litorale, due canion (sul fiume La Venta e sul Sumidero); possiede sette dei nove ecosistemi più rappresentativi del paese e 46 aree naturali protette (tra queste, la Biósfera di Montes Azules, El Triunfo, La Encrucijada, La Sepultura, El Ocote e le Lagune di Montebello).
Attualmente, l’amministrazione locale prevede di sfruttare queste risorse attraverso i progetti “ecoturistici”. Annunciando che il Chiapas sarà la sede della Fiera de Turismo di Avventura 2014, il 12 maggio scorso è stato reso noto che l’amministrazione statale “sta preparando un piano integrale di sviluppo turistico nella regione Nord e Selva partendo dalla città di Palenque e dalla sua zona archeologica. Questo piano prevede investimenti in infrastrutture, segnaletica, formazione e promozione, che permetterà di consolidare le rotte turistiche della Selva e di altre regioni dello stato”.
Quattro giorni dopo, i governi federale e statale hanno segnalato come “necessità prioritaria” quella di eseguire un ordinamento territoriale della Selva Lacandona, Riserva della Biosfera dei Montes Azules e di aree naturali protette:
“Il governo della Repubblica e del Chiapas esprimono la loro convinzione che è prioritario l’ordinamento territoriale per garantire le condizioni necessarie al pieno sviluppo della comunità lacandona e degli ejidos adiacenti per migliorare la qualità di vita dei loro abitanti nel rispetto dell’ambito giuridico, privilegiando il consolidamento delle aree naturali protette e lo sviluppo sostenibile di queste zone. Inoltre, in conformità con quanto stabilito dalla Legge Generale sull’Equilibrio Naturale e la Protezione dell’Ambiente, articolo 46, che dice ‘nelle aree naturali protette non si potrà autorizzare la fondazione di nuovi centri abitati’, non si potranno regolarizzare gli insediamenti irregolari esistenti dentro la Riserva della Biósfera Montes Azules, né in quelli che si insedieranno in futuro, così come in nessun’altra area naturale protetta. Pertanto non potrà esserci alcuna procedura di indennizzo, perché non c’è, né ci sarà, alcun programma né risorse destinati a questo scopo”. http://contralinea.info/archivo-revista/index.php/2014/06/17/chiapas-militarizacion-saqueo-amenazan-indigenas/
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