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Messico, «manca una sinistra capace di nuovi immaginari»

Messico al voto. Un panorama politico desolante, schiacciato su insolite alleanze. Intervista a Juan Villoro*  

Luca Martinelli. Il Manifesto 06.06.2018 

«Ho votato per la prima volta nel 1976, e in quell’occasione c’era un solo candidato alla presidenza del Messico, José López Portillo, del Partito rivoluzionario istituzionale (PRI). Stanca delle frodi elettorali, l’opposizione decise di non presentarsi per evidenziare la farsa» racconta al manifesto Juan Villoro, scrittore e giornalista, editorialista del quotidiano Reforma.

Il prossimo primo luglio in Messico si torna a votare per eleggere il presidente della Repubblica. I candidati sono quattro, ma secondo Villoro la situazione è anche peggiore rispetto a 42 anni fa: «È vero che per il mio debutto alle urne non c’erano alternative, ma potevamo sognare che in futuro, quando ci sarebbe stata lotta aperta tra partiti politici, la situazione era destinata a migliorare.
La realtà era pessima, ma la speranza era in salute. Oggi, invece, né la realtà né l’illusione ci soddisfano. Siamo di fronte a una doppia crisi».

Che Paese arriva al voto?

Il Messico è una delle democrazie più costose e fallimentari al mondo. Le campagne elettorali durano troppo, e i partiti politici si auto-assegnano risorse che nessuno controlla (5,3 miliardi di pesos all’anno, pari a circa 230 milioni di euro). Il PRI ha governato il Paese per 71 anni, fino al 2000. Nell’epoca del “partito unico”, la democrazia era una congettura, una mera speranza. Pensavamo però che quando avremmo avuto elezioni vigilate e credibili tutto sarebbe stato diverso, e avrebbero vinto candidati magnifici. Se Manuel Vázquez Montalbán, con ironia, disse «stavamo meglio contro Franco», noi potremmo replicare: «Stavamo meglio contro il vecchio PRI».

I partiti hanno visto nella democrazia un affare, che non punta a risolvere i problemi ma ad amministrarli. Questo porta a stringere alleanze che non rispondono ad ideali, ma a interessi e opportunità. Come si spiegherebbe, altrimenti, che il PRD (Partido de la Revolución Democrática), il partito della socialdemocrazia per quel che ne sappiamo, sia alleato del PAN (Partido de Acción Nacional), conosciuto per essere di destra, e che Morena (Movimiento de Regeneración Nacional), che è di sinistra, sia alleato al partito evangelico? La delusione di fronte a tutto questo è profonda.

Ha appoggiato la candidatura indigena indipendente di Marichuy, María de Jesús Patricio Martínez. Che significato ha la sua esclusione dal voto?

Era l’unica candidata veramente onesta, e l’unica che non ha fatto imbrogli. Il 94% delle firme raccolte per presentarsi come indipendente sono state validate, ma in Messico chi è onesto è un fuorilegge, e così il suo nome non è nella lista dei votabili.

Dove trovate però coloro che hanno raccolto l’inaudito numero di firme necessarie, 867mila. Ovviamente, Marichuy non avrebbe mai vinto, non aveva i mezzi economici per competere, ma con la sua esclusione si è persa l’opportunità di ascoltare la voce dei cittadini più poveri, quelli che conoscono meglio i problemi del Paese, per averli sofferti.

Tra una conferma del PRI (tornato al potere nel 2012 con Enrique Peña Nieto) e il PAN quale sarebbe l’opzione peggiore, oggi?

Il PRI ha governato per 71 anni al margine della democrazia, e facendo di tutto per evitarla. Ha reso la politica uno strumento per arricchirsi a partire dal potere, permesso la corruzione e l’impunità, ha convertito il governo in un “ramo” del crimine organizzato. Non c’è niente di peggio.

Crede che Andrés Manuel Lopez Obrador (Amlo), candidato di Morena, possa realizzare una trasformazione della società?

Amlo è un importante attore della lotta sociale, per la terza volta candidato alla presidenza. Non rappresenta però un’alternativa concreta, né è capace di lavorare in gruppo. Dipende essenzialmente dal suo carisma (straordinario nelle piazze, molto debole nei dibattiti). Il suo grande problema è che per raggiungere il potere ha rinunciato a essere diverso, stringendo alleanza con politici che sono l’opposto delle idee che lui dovrebbe rappresentare. Stanno dalla sua parte ex membri reazionari del PAN (Espino, Germán Martínez, Gabriela Cuevas), leader sindacali corrotti (Napoleón Gómez Urrutia, Elba Esther Gordillo), evangelici e pentecostali del partito PES, ex membri del PRI (Esteban Moctezuma e Manuel Bartlett, quest’ultimo responsabile della frode elettorale del 1988).

Questo mix non è incoraggiante. Per anni, Amlo ha criticato la “mafia del potere”, però le si è avvicinato per poter governare. Gore Vidal ha detto che negli USA le elezioni sono decise dal denaro, e che un candidato che non abbia ricevuto almeno dieci tangenti dalle grandi imprese non ha la possibilità di vincere. In Messico i patti politici definiscono tutto: per riuscire, bisogna umiliarsi dieci volte. Per certi versi, oggi Amlo si presenta come un oppositore ad Andrés Manuel Lopez Obrador che era candidato nel 2006. E la cosa triste è che ha più possibilità di vincere oggi.

Che cosa manca, oggi, in Messico?

Chiunque immaginerà che in un Paese con 50 milioni di poveri, due quinti dei quali in situazione di povertà estrema, popoli indigeni spogliati delle loro terre e senza diritti, femminicidi, discriminazione rampante e disuguaglianze sociali crescenti, ci sia un partito di sinistra disposto a modificare la realtà.

Ma non è così.

L’autentica trasformazione della realtà pare un’illusione del passato, una forma di nostalgia. Per fortuna, i più poveri non smettono di lottare e organizzarsi. La campagna di Marichuy ha permesso che per la prima volta le comunità di tutto il Paese articolassero un processo comune di riconoscimento dei problemi. E questo non è un progetto che riguarda solo gli indigeni, come una riserva folkloristica, ma un’idea di rinnovazione che può impegnare tutta la società. Una comunità futura, con nuove forme di partecipazione in una democrazia diretta, è in marcia. Ci vorrà tempo, ma è in movimento. “Andiamo piano perché il cammino è lungo”, dicono gli zapatisti. https://ilmanifesto.it/messico-manca-una-sinistra-capace-di-nuovi-immaginari/

 *Juan Villoro è nato a Città del Messico nel 1956. Scrive, anche per il teatro, e libri per bambini. Tra le sue opere di narrativa «Il testimone» (Gran Via, 2016), storia di un professore messicano emigrato in Europa, in esilio volontario, che torna nel 2000 dopo la sconfitta del PRI.

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Senza seggi elettorali né partiti: i popoli indigeni messicani che cercano di autogovernarsi. 

Dopo sette anni di autogoverno coi propri usi e consuetudini, Cherán contagia più comunità che aspirano a governarsi senza partiti. La maggioranza ha attuato una serie di misure legali e azioni politiche perché lo Stato messicano riconosca il loro modello di governo. http://www.globalproject.info/it/mondi/senza-seggi-elettorali-ne-partiti-i-popoli-indigeni-messicani-che-cercano-di-autogovernarsi/21492 

Nei comizi più grandi della storia del Messico, nei quali si disputeranno 3406 incarichi pubblici, per la terza volta Cherán non permetterà l’entrata dei seggi e delle schede elettorali. Per questo, nelle strade di questo municipio michoacano non ci sono pubblicità coi nomi dei candidati, né incontri coi candidati che dispensano cappellini. Ci sono invece assemblee, dato che i quattro barrios di questa comunità tra poco nomineranno le proprie autorità, dopo il movimento che iniziarono sette anni fa. Il 15 aprile del 2011, gli abitanti di Cherán arrestarono i boscaioli che devastavano i loro boschi e li espulsero, accusandoli di essere collusi con il crimine organizzato. L’allora presidente municipale e la polizia furono costretti ad andarsene.

Nel 2012 Cherán impedì l’entrata dei seggi elettorali e consolidò la sua struttura di governo sugli usi e sulle consuetudini locali. Questa nuova organizzazione comunitaria è stata riconosciuta dalla Suprema Corte di Giustizia della Nazione. Questo esempio concreto di lotta dei membri della comunità ha ispirato altri municipi messicani.

Nel 2015 al secondo blocco dei seggi elettorali di Cherán si unirono altri cinque pueblos. E in questo 2018, la ribellione elettorale potrebbe arrivare a una dozzina di luoghi solo nello stato di Michoacan.

Aranza, Zopoco, Santa Fe de la Laguna, Sevina, Urapicho, San Felipe de los Herreros y San Benito, membri del Consiglio Supremo Indigeno del Michoacan, non parteciperanno alle prossime elezioni. In aggiunta a questi pueblos, anche Pichátaro e Arantepakua stanno progettando di bloccare l’installazione dei seggi elettorali, così come l’autorità di Nahuatzen, vicina di Cherán.

«Informiamo i presidenti di tutti i partiti politici, senza distinzione di colore o filiazione, che nelle comunità in questione non permetteremo la realizzazione di nessun atto o azione di proselitismo e propaganda elettorale», dice un comunicato del 28 febbraio scorso e diffuso dal già menzionato Consiglio. Nello stesso comunicato avvertono anche l’Instituto Electoral de Michoacan (IEM) e la Junta Local del Instituto Nacional Electoral (INE), che le comunità che ne fanno parte non permetteranno le installazioni dei seggi elettorali.

Ma la tendenza a non permettere l’installazione delle strutture elettorali si è estesa a altri stati della repubblica messicana.

In Chiapas, alcune comunità del municipio tzeltal de Oxchuc (43 mila abitanti) hanno deciso di non permettere l’installazione dei seggi. Lo stesso succede nel municipio ch’ol di Tila (73 mila abitanti).

Tzeltales di altri municipi – Sitalá (12 mila abitanti) e Chilón (111 mila abitanti), hanno intrapreso misure legali per cercare di impedire l’entrata dei “pacchetti” elettorali. Ad Ayutla de los Libres (60 mila abitanti), nello stato di Guerrero, è in corso una lotta per bloccare l’entrata delle strutture, come nelle comunità wixárikas di San Sebastián Teponahuaxtlán (300 abitanti) e Tuxpan de Bolaños (1300 abitanti), nello stato di Jalisco.

In una intervista del 23 maggio, pubblicata da Excélsior, il consigliere elettorale Marco Baños ha spiegato di aver individuato 17 luoghi dove verrà impedita l’installazione dei seggi elettorali. E lo ha giustificato in questo modo: «In alcuni municipi ci sono problemi in quanto sono state fatte richieste di carattere sociale che non sono ancora state evase».

L’EFFETTO CHERÁN

Sette mila militari arrivarono in Michoacan nel dicembre 2006. L’allora presidente Felipe Calderon Hinojosa, dichiarò una guerra contro il narcotraffico, nella teoria e nella pratica. Nei sei seguenti anni si rafforzò il vincolo tra delinquenti e politici locali sotto ogni aspetto.

A Cherán, le elezioni del 2006 e del 2009 e la lotta interna del disgregato Partito della Rivoluzione Democratica, aprirono le porte alla vittoria elettorale del Partito della Rivoluzione Istituzionale. Bande di narcotrafficanti approfittarono della spaccatura per entrare nella comunità. Mauricio el Güero Cuitláhuac Hernández per esempio ritornò ad essere il capo della piazza. Le persone che alzavano la voce erano assassinate o fatte sparire.

Dopo l’espulsione dei boscaioli di Cherán, e l’uscita delle autorità politiche e di sicurezza, il villaggio si dotò una ronda comunitaria – una vecchia pratica che gli anziani del luogo ricordavano -. I giovani nominati in questa assemblea difendevano la comunità.

Con la nascita dei consigli operativi – che vanno dalla giustizia, allo sviluppo sociale, alle donne, ai giovani e al Consiglio Maggiore – Cherán avanza «dal 2012… a un ritmo diverso», riferisce Jerónimo Lemus.

Jerónimo è uno dei giovani che si è formato nelle barricate alzate dal popolo contro il crimine organizzato. Ora ha un tatuaggio con la bandiera p’urhépecha nell’avambraccio. Allora i giovani furono costretti a prendere le armi, trasformarsi in polizia comunitaria. Ora vede una gioventù attenta. Riconosce che «abbiamo partecipazione nelle assemblee e nelle comunità».

Dopo che Jerónimo divenne membro del movimento del suo municipio, cominciò a realizzare altre attività in parallelo. Decise di studiare filosofia della cultura all’Università Michoacana, si trasformò in speaker di Radio Fogata e fondo uno spazio studio chiamato “Memoria viva”, per recuperare la tradizione orale del suo popolo.

Decine di murales e graffiti che alludono alla lotta colorano le pareti del villaggio. Teatri, orchestre infantili di musica tradizionale, economia solidale. Tutto questo è arrivato a Cherán da quando hanno instaurato l’autogoverno e molti adulti si sono impegnati nel compito di condividere le proprie conoscenze con i giovani.

Tramite un intenso sforzo di riforestazione, Cherán ha recuperato il 35 per cento degli ettari tagliati. Il suo Consiglio dei Beni Comuni amministra diverse “imprese” tra i quali una segheria, una miniera e una fabbrica di mattoni. Quella più degna di nota, il vivaio, è uno spazio di lavoro che non opera come un’impresa dello Stato né privata, ma comunitaria. Nel vivaio il lavoro ruota tra persone di tutto il quartiere. Bambine e bambini delle scuole primarie di Cherán lo visitano; lì seminano e ricevono lezioni di salvaguardia ambientale. In fondo al vivaio si trovano i camion dei boscaioli catturati durante il levantamiento. Sono sistemati e ordinati con una cura artistica che racconta il processo di lotta di Cherán.

«Li terremo li per un po’» scherza Jerónimo Lemus.

Il prossimo 27 giugno Cherán nominerà il suo Consiglio Maggiore. Tuttavia la comunità ha già designato tramite assemblee le persone più adatte per occupare le proprie strutture di governo. Devono solo ratificarle davanti al IEM. Questo permette che la nomina dei responsabili di Cherán sia molto più economica in tempo e denaro rispetto al bilancio assegnato ai partiti politici. Il processo del 2015 non costò più di 63 mila pesos [circa 2700 € al cambio attuale, ndt] e la maggior parte dei costi ha avuto a che fare con i funzionari dell’istituto elettorale statale.

Nahuatzen: municipio vicino a Cherán in cui gli abitanti vogliono bloccare l’installazione delle strutture elettorali. FOTO: DALIRI OROPEZA

A differenza dei politici di professione, chi ha una carica a Cherán non vuole guadagnare una poltrona. Tutte le persone delle strutture di governo sono convocate dalla propria comunità. E non è necessario fare campagna. «Qui non c’è bisogno di vendere le proposte, ci conosciamo bene. Se qualcuno non ha buone intenzioni nella comunità, si sa», racconta Jerónimo. E aggiunge: «Nessuno si può autonominare in modo spontaneo».

Per Érika Bárcenas, avvocata del Colectivo Emancipaciones, dedicato a trovare crepe nelle leggi messicane per ottenere il riconoscimento di queste forme di fare politica, ora esiste una specie di “effetto Cherán” nel paese. Il motivo? «L’incapacità e la mancanza di interesse dello Stato di fornire sicurezza e permettere alle comunità di vivere in pace senza il crimine organizzato».

L’avvocata assicura che la mancanza di interesse dello Stato messicano di fornire sicurezza e le divisioni interne delle comunità, provocate dai partiti politici, hanno causato una risposta dei popoli michoacani. Attualmente le comunità di San Francisco Pichátaro, San Felipe de los Herreros e, recentemente, Arantepakua, stanno seguendo l’esempio di Cherán: hanno usato la giurisprudenza esistente per ottenere l’assegnazione delle proprie risorse senza che queste passino per i municipi ufficiali.

«Stimola la gente a pensare di fare politica in altre forme, di organizzarsi, una risposta molto semplice di difendere la propria vita. In questi contesti di violenza si è generata una riflessione rispetto al non funzionamento di questo modello di democrazia elettorale», sostiene l’avvocata Bárcenas.

Spiega che il sistema di governo di Cherán ha la forma di un sistema solare: l’orbita più grande è l’assemblea di tutta la comunità; dentro si trovano i consigli operativi per tema e infine, come autorità centrale, c’è il Consiglio Maggiore.

Jerónimo Lemus riassume così il modello di governo: «è una democrazia in senso stretto, in una visione occidentale; ma nella nostra visione è la possibilità della comunità di scegliere le proprie autorità».

Di sicuro c’è che ai membri della comunità non è proibito votare. L’avvocata Bárcenas dice che gli abitanti possono andare nelle circoscrizioni installate fuori dalle comunità o in altri municipi. L’unica posizione politica concessa è non permettere l’entrata nel proprio territorio a tutto quello che li ha divisi.

È così che gli abitanti di Cherán stanno scommettendo sull’autogoverno, partendo dalla premessa centrale di ottenere il rispetto per le loro terre ancestrali.

“COMUNALICRAZIA” MESSICANA

Jaime Martínez Luna è un antropologo zapoteco di Gueletao, municipio nascosto tra le montagne di Oaxaca. Da tre decadi ha sviluppato il termine “comunalità” per parlare dell’organizzazione dei popoli originari. Così vede questo conflitto: «Noi popoli non siamo liberali, siamo comunali”. Per questo parla di “comunalicrazia”, per differenziarla dalla democrazia rappresentativa.

D’accordo con l’antropologo, nello stato di Oaxaca ci sono 417 municipi su 570 che si amministrano con le assemblee grazie a una riforma statale chiamata “Código de Instituciones y Procedimientos Electorales”, promulgata nel 1995, «per paura che la ribellione zapatista si estendesse nello stato». Questa riforma ha dato la possibilità di registrare i propri rappresentanti senza colori di alcun partito. Ogni municipio ha in media 15 comunità, si parla quindi di migliaia di persone che si organizzano al di fuori dei partiti politici.

«Mi faccio la domanda: chi comanda quotidianamente in Oaxaca?, si domanda Martínez Luna. Lui stesso spiega: «Potrei dirti che in determinate regioni del Messico prolifera questo regime politico, ma accovacciato, clandestinamente stabilito: in Michoacan, Guerrero, Chiapas credo preferiscano non far troppo rumore per mantenere la propria capacità di autogovernarsi».

Nell’articolo 2 della costituzione ci sono “porte” per modelli politici differenti. Tuttavia l’antropologo pensa: «La proposta di riconoscere i requisiti che dichiarino i nostri modelli politici, implica che riconoscano la nostra “comunalità”».

Accerchiato da decine di wixárikas vestiti coi tradizionali abiti bianchi, il portavoce della comunità di Tenpohauxtlán, Ubaldo Valdez, lancia un suggerimento: «Dato che il governo non risponde, noi proseguiamo nella lotta, organizzandoci».

Cherán: questa comunità ha affrontato con successo il crimine organizzato, l’apatia dei partiti politici e delle autorità municipali, statali e federali. FOTO: ANDREA MURCIA/CUARTOSCURO

E assicura: «D’ora in poi non regaleremo più voti al sistema politico che abbiamo in Messico».

I wixárikas hanno dei posti di blocco custoditi dagli abitanti. Nelle immediate vicinanze ci sono le propagande elettorali dei partiti politici ma per entrare nelle loro terre bisogna leggere un regolamento che dice: “è proibita l’entrata a qualsiasi candidato, la propaganda di qualsiasi partito politico sarà confiscata”.

Il 12 aprile, un avvocato e un perito sono stati quasi linciati al confine tra Jalisco e Nayarit di fronte alla polizia statale che non ha fatto molto per evitarlo. L’avvocato e il perito, membri del Congreso Nacional Indigena e rappresentanti della regione wixárika di Tuxpan de Bolaños e San Sebastián Teponahuaxtlán, chiedevano la restituzione di 10 mila ettari che erano nelle mani dei granaderos.

Di fronte al silenzio del governo, centinaia di abitanti, di almeno 35 comunità, hanno realizzato una serie di assemblee dalle quali è derivata la seguente posizione: «La cittadinanza wixárika non voterà nella giornata elettorale del 1° luglio nell’eventualità che non sia data risposta alla nostra domanda».

In Chiapas, quando si sono accorti che un’autostrada sarebbe passata per il loro territorio, gli abitanti di 12 municipi del nord dello stato, hanno lanciato il Movimento in Difesa della Vita e del Territorio (Modevite). Nel 2016, a seguito di riunioni hanno deciso di passare dal “no” al “si” e hanno cercato di far nascere governi comunitari in almeno due di questi municipi: Chilón e Sitalá. Così hanno formato promotori e coordinatori di governo per creare una propria struttura e affrontare un processo di legalizzazione. Dalla difesa dei propri boschi, ruscelli e montagne hanno intrapreso una serie di ricorsi legali che gli apre la possibilità di ottenere il riconoscimento di municipio comunitario. Tuttavia, in considerazione della lentezza del tribunale elettorale dello stato del Chiapas, e della sua risoluzione secondo cui le elezioni del 2018 devono essere svolte col sistema dei partiti politici, hanno presentato un altro ricorso legale per fermare l’ingresso delle strutture elettorali. A loro volta, questo 17 marzo, hanno “seminato” le cariche, una forma tradizionale di nominare i propri rappresentanti, a 12 persone membri del Consiglio dei Portavoce del Governo Comunitario.

Nel municipio di Oxchuc, un movimento sociale ha mantenuto una serie di blocchi stradali a seguito dell’ingresso di gruppi armati che hanno assassinato tre persone lo scorso 24 gennaio. Un mese dopo, e a seguito di un lungo conflitto post elettorale con il Partito Verde Ecologista [conservatore, ndt], questo movimento di indigeni tzeltales ha installato il proprio Consiglio Municipale. E ora bloccheranno l’entrata delle cabine elettorali. E a Tila, famosa per i pellegrinaggi che riceve il Cristo nero nella sua chiesa, l’assemblea di ejidatarios [membri del ejido, pezzo di terra comune, ndt] ha deciso di espellere le autorità dello stesso partito. Dopo una serie di dispute che sono arrivate fino alla Suprema Corte di Giustizia, decisero di abbattere, letteralmente, il palazzo municipale che ora chiamano “le rovine di Tila”. Da un anno e mezzo si dichiarano autonomi e ora impediranno l’ingresso dei seggi elettorali.

Chilón, Sitalá, Tila e Oxchuc hanno decine di comunità. In tutte è stato possibile nominare autorità al di fuori dei partiti politici. I percorsi di lavoro continueranno su economia, lavoro e il diritto alla propria cultura. Al posto di piani di sviluppo cominceranno a costruire “piani di vita completi”.

Erika Bárcenas spiega che esiste tutto un aspetto legale che in buona misura parte dagli Accordi di San Andrés, firmati dal governo e dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel 1997 e rimasti incompiuti dall’amministrazione di Ernesto Zedillo. La riforma in materia di diritti umani del 2011 ha aperto scappatoie nella legge. Ora, a partire dall’articolo 2 della Costituzione devono essere riconosciuti i diritti politici dei popoli originari.

«In particolare, quando il movimento di Cherán decise di appellarsi al diritto, era stata recentemente approvata la riforma costituzionale sui diritti umani», ricorda Bárcenas.

Pichatáro: nel giugno 2015 si accesero i fuochi rossi, da allora le autorità comunitarie non permettono le installazioni delle cabine elettorali e bloccano le entrate al villaggio. FOTO: JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Vale a dire, Cherán ha inaugurato la riforma che ha elevato a rango costituzionale, accordi internazionali come il 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro e i trattati dell’ONU e della CIDH in materia di diritti indigeni. Questo ha dato vigore agli sforzi di cercare modi di garantirsi la sicurezza in un Messico afflitto dal crimine organizzato.

«Abbiamo vari principi giuridici dove non solo si riconosce, ma sono anche chiariti gli scopi, c’è giurisprudenza dei tribunali elettorali, questi casi a partire da Cherán, si sviluppano nella giurisprudenza e si è ampliato il diritto alla libera determinazione», ricorda l’avvocata.

recentemente in Morelos, le comunità di Xoxocotla, Coatetelco, Hueyapan e Tetelcingo hanno ottenuto il riconoscimento attraverso un decreto legislativo. Anche alcune comunità di Xochimilco ora stanno avviando un processo di assemblee per scegliere almeno un rappresentante di usi e consuetudini di fronte alla delegazione.

Le comunità di San Francisco Pichátaro (foto), San Felipe de los Herreros e di Arantepakua ora usano la giurispudenza per ottenere l’assegnazione delle risorse senza che queste passino per il municipio ufficiale. FOTO JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Ad Ayutla de los Libres c’è un processo interessante, è il primo municipio interculturale (me phaa, na savi, nahua e meticcio) dove si potrebbe dare un’elezione di questo tipo se si superano gli ostacoli messi in essere dalla presidenza municipale. Questo processo si può dare a partire dalla Legge 701 del Riconoscimento, Diritto e Cultura dei Popoli e delle Comunità Indigene dello stato di Guerrero, approvata nel 2011, la quale ha riconosciuto la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias – Policía Comunitaria, un sistema di giustizia con due decenni di esperienza, che affronta gli attacchi del narcotraffico e alla quale apparteneva l’attuale candidata al Senato Nestora Salgado.

Uno degli obiettivi della candidatura di María de Jesús Patricio Martínez, meglio conosciuta come Marichuy, portavoce náhuatl del Concejo Indígena de Gobierno, era di porre questo tema nell’agenda del paese intero. Tuttavia, con il non raggiungimento delle firme necessarie alla candidatura ufficiale, il tema ora rimane nelle mani delle comunità che esercitano la propria autonomia.

QUI È COMINCIATO TUTTO

Senza dubbio, i fuochi si riaccendono ogni 15 aprile a Cherán, anniversario della sollevazione di questo popolo che, armato di soli bastoni e pietre avvolte negli scialli neri dei p’urhépecha, fermò chi per un lustro disboscò 20 mila ettari intorno a questa comunità incastrata nell’altopiano dello stato di Michoacan.

Oggi, all’anniversario di quello che è chiamato il “levantamiento di Cherán” partecipano centinaia di persone della comunità, del paese e del mondo.

FOTO: ARCHIVIO/JUAN JOSÉ ESTRADA SERAFÍN/CUARTOSCURO.COM

Alla mattina, le donne preparano il tè bollente con l’erba di nurite nella chiesa del Calvario, un piccolo tempio trasformato in un punto di riferimento di questa lotta vittoriosa. Successivamente c’è una cerimonia dedicata a Naná Echeri e Tatá Juriata: Madre Terra e Padre Sole in lingua p’urhépecha.

Cinque donne alzano copal (resina) fumante verso i quattro punti cardinali, salutano la terra e infine il cielo. Più tardi, nella piazza del paese, c’è musica e sfilate, saluti alla bandiera locale e alla bandiera messicana, tavoli di approfondimento ed esposizioni culturali.

Intorno al fuoco la gente parla e ricorda di Cherán. Tra i mormorii, l’impresa ritorna viva: “qui è cominciato tutto”.

Per Jerónimo Lemus, ciò che è successo a Cherán è stato principalmente un ritrovare sé stessi, un ritorno alla conoscenza degli antenati.

Oggi ci sono 189 “fuochi” o assemblee nel suo paese. Gli ultimi sette anni di lotta sono stati il prodotto dell’eredità culturale p’urhépecha, che si basa sui principi della sicurezza, della giustizia e della ricostituzione del territorio. È la dimostrazione che esisteva già qualcosa di formato nel profondo, che guarda al passato, ma che punta a svilupparsi per i prossimi trent’anni.

Lemus ricorda che la polemica rispetto all’utilizzo dei termini “usi e cosuetudini”, qualcosa che sembra abbia a che fare il vecchio, ma che invece ha significato, per esempio nell’ambito delle feste di Cherán, un riscatto di musica e cibo tradizionale e della lingua stessa: una serie di saperi culturali che costituiscono una memoria viva.

Lo zapatismo del Chiapas, la “comunalità” di Oaxaca e la lotta per nuovi modelli di giustizia comunitari in Guerrero, ha lasciato precedenti importanti per il suo riconoscimento. Cherán si aggiunge a queste eredità e apre nuove possibilità:

«A partire dal 2015 ci sono comunità con le quali dialoghiamo su questo stesso percorso. La sentenza a favore di Cherán è un precedente importante su scala nazionale perché altre comunità possano prendere questo percorso con le proprie differenze».

Il governo, dice, serve per risponde a principi imprenditoriali. I popoli originari sono l’ultima preoccupazione, per questo non si può sperare in nessun cambio radicale che provenga dall’alto: «Non ci resta che continuare a lavorare nel nostro progetto».

Rispetto a questo processo su scala nazionale è sicuro: «Indipendentemente da chi vincerà, anche se è evidente che ci sono differenze, Cherán continuerà nel suo percorso di auto governo».

***

INE: è disponibile a installare le strutture elettori in questi paesi e a rispondere alle loro richieste.

L’Instituto Nacional Electoral (INE) è disposto a formare, consegnare le strutture elettorali e anche ad aiutare a indirizzare le richieste delle comunità che fino a questo momento hanno ribadito il loro rifiuto a ospitare i comizi dei partiti politici nei loro territori.

«È logico che alcune comunità in questo momento di campagna elettorale cerchino di mettere nell’agenda sociale le proprie istanze perché vengano risolte» dice Roberto Cardiel, direttore esecutivo di Capacitación Electoral y Educación Cívica dell’INE.

A detta del funzionario, le istanze elettorali indirizzano partiti, candidati e governo a risolvere le problematiche.

Attualmente il funzionario identifica tre stati dove c’è una maggior incidenza di comunità “ribelli”: Chiapas, Michoacan e Oaxaca. Su scala municipale, identifica nei villaggi dei municipi di Palenque, Ocosingo, Villa Flores e Las Margaritas in Chiapas; il municipio di Zacapu in Michoacan e Ciudad Ixtepec in Oaxaca.

Questi municipi sono diversi da quelli identificati dal consigliere Marco Baños alcuni giorni prima: Oxchuc, Tila e Nahuatzen.

Su richiesta, il funzionario ha risposto che l’INE non monitora le zone di conflitto del paese: «Il nostro indicatore è l’avanzamento delle procedure», ha dichiarato.

Fino a questo momento, l’INE ha formato il 50 per cento dei 1,4 milioni di abitanti funzionari di seggio. Poiché l’invito a diventare funzionario di seggio è fatto tramite sorteggio, nelle comunità indigene la nomina è fatta a persone delle comunità stesse: «Una misura che utilizziamo è assumere persone del luogo. Questo aiuta a convincere e a responsabilizzare le persone».

Degli oltre 300 distretti elettorali che ha il paese, un totale di 28 distretti sono classificati come indigeni. D’accordo con Cardiel, il criterio che utilizzano è che oltre il 40 per cento della popolazione del distretto si identifichi con qualche pueblo originario.

Sulle comunità che pretendono bloccare l’entrata delle strutture elettorali con l’idea di eleggere  le proprie autorità locali con usi e costumi propri, spiega che, per essere un’autorità federale, l’INE ha competenza solo riguardo ai partiti politici. Spetta agli istituti elettorali locali intavolare dialoghi con le comunità indigene che presentano questa richiesta.

Tuttavia, concorda che la forma organizzativa delle comunità deve essere garantita: « Si tratta di una questione della massima importanza e dovrebbe essere fatta nel campo legislativo. L’esistenza di un esercizio politico è riconosciuto nella Costituzione e deve essere rispettato».

Tratto da newsweekespanol.com, tradotto da Christian Peverieri. Foto di copertina di Andrea Murcia/Cuartoscuro.com

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Con la nostra partecipazione in questo processo elettorale, ribadiamo ai popoli indigeni e non indigeni del Messico che non resteremo inermi mentre ci distruggono e ci strappano la terra che abbiamo ereditato dai nostri nonni e che la dobbiamo ai nostri nipoti, mentre inquinano i fiumi e perforano le montagne per estrarre minerali, non rimarremo fermi mentre convertono la pace e la vita che costruiamo quotidianamente, in guerra e morte attraverso i gruppi armati che proteggono i loro interessi. La nostra risposta, non abbiate dubbio, sarà la resistenza organizzata e la ribellione per sanare il paese. 

Falta lo que falta. C’è molto da fare ancora. 

 

Aprile 2018.

Alle Reti di Appoggio al CIG ed a Marichuy:

A coloro che hanno partecipato alla Associazione Civile “Llegó la hora del florecimiento de los pueblos”:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Al popolo del Messico:

Ai media liberi, autonomi, alternativi, indipendenti:

Alla stampa nazionale e internazionale:

Di fronte all’acutizzarsi della guerra, la depredazione e la repressione che invadono le nostre comunità con l’avanzare del processo elettorale e secondo i passi percorsi per le geografie di questo paese dalla nostra portavoce Marichuy insieme ai consiglieri e consigliere, ci rivolgiamo rispettosamente al popolo del Messico per dire che:

Sentiamo il dolore di tutti i colori che siamo, noi il Messico del basso.

Col pretesto del periodo di raccolta delle firme, abbiamo percorso i territori indigeni del nostro paese dove insieme, abbiamo fatto crescere la nostra proposta politica dal basso, da dove si è resa visibile la lotta di molti popoli originari, i loro problemi e le loro proposte.

Con la nostra partecipazione in questo processo elettorale, ribadiamo ai popoli indigeni e non indigeni del Messico che non resteremo inermi mentre ci distruggono e ci strappano la terra che abbiamo ereditato dai nostri nonni e che la dobbiamo ai nostri nipoti, mentre inquinano i fiumi e perforano le montagne per estrarre minerali, non rimarremo fermi mentre convertono la pace e la vita che costruiamo quotidianamente, in guerra e morte attraverso i gruppi armati che proteggono i loro interessi. La nostra risposta, non abbiate dubbio, sarà la resistenza organizzata e la ribellione per sanare il paese.

Con la grande mobilitazione di migliaia e migliaia di compagne e compagni delle reti di appoggio in tutto il paese, abbiamo realizzato ed è diventato sfacciatamente evidente che per apparire sulla scheda elettorale si deve garantire che noi siamo uguali o peggiori di loro, che se presentiamo delle firme, queste devono essere false o non valide, se spendiamo denaro deve essere di oscura provenienza, se diciamo qualcosa deve essere una bugia, se concordiamo qualcosa di serio, deve essere coi politici corrotti, con le imprese estrattive, coi banchieri, coi cartelli della droga, ma mai, mai, col popolo del Messico.

Essere sulla scheda elettorale è solo per chi vuole amministrare il potere di sopra opprimendo quelli di sotto, perché il potere che vogliono è marcio in tutte le sue parti.

Quindi, è una contesa che si può vincere solo con trappole, denaro e potere, come la merce che sono le elezioni della classe politica nella quale non c’è né ci sarà mai posto per la parola di quelli di sotto, di quelli che essendo indigeni o che non sono parte di un popolo originario, disprezzano il potere e costruiscono la democrazia prendendo decisioni collettivamente, che poi si fanno governo per strada, in un quartiere, in una comunità, un ejido, un collettivo, una città o uno stato.

Il processo elettorale è una porcilaia in cui sguazza chi è riuscito a falsificare migliaia di firme e chi ha le migliaia di milioni di pesos che gli permettono di comprare il voto, mentre la maggior parte del popolo del Messico si dibatte tra povertà e miseria.

Per questo la nostra proposta non è uguale, per questo non facciamo campagna elettorale, per questo non falsifichiamo le firme, né cercare e spendere soldi che il popolo del Messico adopera per rispondere alle sue necessità vitali, per questo non ci preoccupiamo di vincere nessuna elezione né mischiarci con la classe politica, ma è il potere dal basso che perseguiamo, che nasce dalle sofferenze dei popoli e per questo cerchiamo il dolore di tutti i colori che siamo, noi il popolo del Messico, perché lì c’è la speranza che nasca un buon governo che comandi obbedendo e che solo potrà sorgere dalla dignità organizzata.

Non è solo il razzismo della struttura politica che non ha permesso che la nostra proposta figurasse sulla scheda elettorale, perché se chi si oppone alla distruzione capitalista del mondo avesse anche occhi diversi, azzurri o rossi, le politiche pubbliche e la presunta democrazia sarebbero fatte per escluderli. Noi, popoli originari e chi cammina in basso e a sinistra non stiamo al loro gioco; non per il nostro colore, la nostra razza, la nostra classe, la nostra età, la nostra cultura, il nostro genere, il nostro pensiero, il nostro cuore, bensì perché siamo una cosa sola con la madre terra e la nostra lotta è perché tutto non si trasformi in merce, perché sarebbe la distruzione di tutto, cominciando dalla nostra, di noi come popoli.

Per questo lottiamo, per questo ci organizziamo, per questo non solo non stiamo nella struttura dello stato capitalista, ma ogni giorno di più sentiamo ripugnanza per il potere di sopra che ogni giorno di più dimostra il profondo disprezzo contro tutte e tutti i messicani. La grave situazione in cui vivono i nostri popoli e che si è acutizzata gravemente nelle ultime settimane per la repressione e la depredazione, ha solo meritato il silenzio complice di tutti i candidati.

Di conseguenza, per accordo della seconda sessione di lavoro del Consiglio Indigeno di Governo, svoltasi i giorni 28 e 29 aprile a Città del Messico, né il CIG né la nostra portavoce cercheranno né accetteranno alcuna alleanza con nessun partito politico o candidato, né inviteranno a votare o ad astenersi, ma continueremo a cercare tutti quelli in basso per smontare il pestilente potere di sopra. Che andiate a votare o no, comunque organizzatevi.

Andremo avanti nella realizzazione delle chiavi per sanare il mondo.

Tra i popoli originari di questo paese, dove è presente il Consiglio Indigeno di Governo, e dove la nostra portavoce è passata tessendo, secondo il mandato dell’assemblea generale del CNI, ci sono le resistenze e le ribellioni che danno forma alla nostra proposta per tutta la nazione, per questo insieme a consiglieri e consigliere di ogni stato e regione abbiamo percorso le sue geografie, dove la guerra e l’invasione del mostro capitalista vive giorno per giorno. Dove la terra viene depredata affinché non sia più collettiva e resti nelle mani dei ricchi, affinché i territori siano occupati e distrutti dalle imprese minerarie, le sorgenti devastate per l’estrazione di idrocarburi, i fiumi inquinati, l’acqua privatizzata in dighe e acquedotti, il mare e l’aria privatizzati dai parchi eolici e dall’aviazione, i semi nativi contaminati dagli OGM e dalle sostanze chimiche tossiche, le culture rese folclore, i territori configurati per il funzionamento del narcotraffico transnazionale, l’organizzazione dal basso sottomessa dalla violenza terroristica dei gruppi narco paramilitari che sono al servizio dei malgoverni.

Abbiamo visto anche le strade che si illuminano nei mondi che conservano le proprie culture, quando in essi si scorge la proposta e la parola degli altri popoli indigeni, e dalla loro lotta e dalla loro lingua sorgono i fondamenti che sono la ragion d’essere del Consiglio Indigeno di Governo.

È lì dove splende la speranza che siamo usciti a cercare, come lo è anche la società civile organizzata nelle città con la Sesta, coi gruppi e le Reti di appoggio al CIG che non solo sono usciti a dimostrare la loro solidarietà e fare un’agenda in tutto il paese, ma sono usciti a costruire dal basso, dalle stesse rovine capitaliste, un paese migliore ed un mondo migliore. A tutt@ loro la nostra ammirazione e il nostro rispetto.

Invitiamo tutte e tutti, noi che siamo il popolo del Messico, i compagni e le compagne delle Reti di appoggio al Consiglio Indigeno di Governo in tutti gli stati del paese, le compagne e compagni che hanno costituito l’Associazione Civile “Llegó la Hora del Florecimiento de los Pueblos”, a seguirci consultando e valutando, facendo valutazioni, trovando e percorrendo i nuovi sentieri che decideremo di percorrere, sempre organizzandoci, che si voti o no per qualche candidato. Le vostre parole, sentimenti e proposte sono importanti per noi.

Continueremo a lanciare ponti rispettosi con chi vive e lotta, così per fare crescere insieme la parola collettiva che ci aiuti a resistere contro l’ingiustizia, la distruzione, la morte e la depredazione, per ricostruire il tessuto sociale del paese con la coscienza di coloro che in basso sognano e si ribellano con le proprie geografie, culture e modi.

Nella proposta collettiva dei popoli è custodita la nostra parola che si rivolge al mondo, quindi continueremo a camminare verso il basso, verso i popoli, le nazioni e le tribù indigene che siamo, per cui indiremo nel mese di ottobre 2018 l’Assemblea Generale del Congresso Nazionale Indigeno, per conoscere i risultati della valutazione dei popoli originari raggruppati nel CNI, ed avanzare al passo successivo.

Sorelle e fratelli del popolo del Messico e del mondo, andiamo avanti insieme perché c’è molto da fare ancora.

Per la ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Commissione Sesta dell’EZLN

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/05/02/falta-lo-que-falta/

 

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Messico: sfollati interni come in tempo di guerra civile. 

330.000 persone vivono come sfollati interni in Messico. Numeri da guerra civile, che fanno scricchiolare l’immagine di una “normale” democrazia che si prepara a scegliere il proprio presidente nelle elezioni del 1° luglio. Ecco cosa sta succedendo nel Paese dove la sicurezza è ancora miraggio di pochi. 

di Luca Martinelli 10 maggio 2018  

In Messico non è in corso nessuna guerra civile e il prossimo 1° luglio il Paese sarà chiamato a scegliere il nome del presidente della Repubblica per il periodo 2019-2016. Eppure, all’interno dei suoi confini, 329.917 persone vivono la condizione di “sfollati interni”, risultando vittime di desplazamiento forzado. E nel solo 2017, secondo il recente rapporto della ong Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos (Cmdpdh), all’elenco si sono aggiunte altre 20.390 persone.

Chiapas, Guerrero, Sinaloa: mappa degli sfollati interni

Il monitoraggio continuo realizzato dal gruppo di lavoro della Commissione, tra gennaio e dicembre 2017 ha individuato 25 casi di trasferimento forzato e ha riguardato gli abitanti di 79 località, in 27 municipi all’intero di almeno nove Stati della Repubblica. Il maggior numero di episodi, ben sette, si sono registrati nello Stato di Guerrero, cinque hanno riguardato il territorio di Sinaloa e tre ciascuno gli Stati del Chiapas, di Chihuahua e di Oaxaca.

Quasi i tre quarti delle vittime dei nuovi sfollati, però, vivono in appena tre Stati: Chiapas e Guerrero, nel Sud-est del Paese, e Sinaloa, che è nel nord, anche se non confina con gli Stati Uniti.

Chi sono gli sfollati interni messicani: indigeni 6 su 10

L’episodio più dirompente dell’anno, per il numero di sfollati, riguarda lo stato del Chiapas e il conflitto agrario tra i municipi di Chalchihuitán e Chenalhó, nella regione degli Altos. Esso ha portato ben 5.323 indigeni di etnia tzotziles a fuggire dalle proprie abitazioni, a partire dalla metà del mese di ottobre del 2017, cercando rifugio in montagna.

Secondo il rapporto, qui sono morte almeno 11 persone di fame e di freddo, «due bebè, un bambino di un anno e sei mesi, un bambino di due anni e sette mesi, due adulti e cinque anziani».

Su scala nazionale, oltre il 60% dei nuovi sfollati del 2017 appartiene a una delle etnie indigene. Oltre agli tzotziles del Chiapas, le altre vittime sono nahuas, mixes, rarámuris (o tarahumaras), purépechas e tepehuanes (o ódami).

Le cause: gruppi armati, violenza politica, conflitti

Secondo le informazioni raccolte dai redattori del Rapporto sugli sfollati interni in Messico, il 68% degli episodi avrebbe come evento scatenante la violenza da parte di gruppi armati organizzati, mentre 7 su 25 dipendono da violenza politica, conflitti sociali o dispute territoriali.

Nello Stato di Zacatecas, invece, a fuggire della proprie abitazioni in località La Colorada, nel municipio di Chalchihuites, sono state nel gennaio dell’anno scorso 47 famiglie, vittime della violenza armata di guardie al servizo dell’impresa canadese Panamerican Silver. Spiega il Cmdpdh che le «minacce continuavano in modo costante da due anni».

Omicidi di difensori dei diritti umani e sfollati interni

Nelle conclusioni si dà conto di un altro “caso” legato direttamente allo sfruttamento delle risorse ambientali e ai diritti umani. Proprio a causa di un omicidio, infatti – quello di Isidro Baldenegro López, leader indigeno e attivista ambientale nello Stato di Chihuahua, assassinato nel gennaio del 2017 nella comunità di Coloradas de la Virgen, nel municipio di Guadalupe y Calvo – 12 famiglie hanno abbandonato le proprie case per cercare rifugio Guachochi, Hidalgo del Parral e Chihuahua.

Isidro Baldenegro López – Foto: Goldman Environmental Foundation

Nel 2005 Baldenegro López aveva vinto il Goldman Prize, il Nobel alternativo per l’ambiente, per la lotta a difesa dei boschi della Sierra Madre dei Tarahumara dai tagliatori illegali. «Riteniamo necessario sottolineare che le persone che difendono i diritti umani rappresentano un settore della popolazione che deve essere riconosciuto come vulnerabile. Questo aspetto è particolarmente importante dato che in uno degli eventi registrati nel corso del 2017 l’omicidio di un difensore ha causato il desplazamiento forzado della popolazione». Delle 15 abitazioni della comunità, appena 3 sono rimaste abitate.

Il ritorno alle proprie case

Le stime della Cmdpdh affermano che meno di un quarto delle vittime nel corso dell’anno ha potuto far ritorno alla propria abitazione e vive nuovamente nella comunità di origine. Il dato numerico (4.842 persone), però, non offre un’analisi qualitativa adeguata, perché molti tra coloro che sono effettivamente “ritornati” lo hanno fatto perché funzionari pubblici hanno realizzato pressioni per chiudere il caso.

Ad Chalchihuitán e Chenalhó, in Chiapas, ad esempio, è anche la Commissione interamericana per i diritti umani (Cidh) a sottolineare il problema, chiedendo ufficialmente al governo messicano di proteggere o garantire la sicurezza nei confronti di coloro che hanno fatto rientro a casa.

Le proposte a Città del Messico per avere più sicurezza

Le sollecitazioni della Cidh sono rivolte allo Stato messicano, cui si rivolge anche la  Comisión Mexicana de Defensa y Promoción de los Derechos Humanos con tre richieste: il riconoscimento delle vittime di sfollamento forzado; un’analisi statistica ufficiale continua ed aggiornata del fenomeno, da affidare all’Istituto nazionale di stastistica (Inegi); l’approvazione di una legge per la prevenzione del fenomeno e l’attenzione agli sfollati interni, che garantisca alla vittime almeno «la protezione e un risarcimento integrale ed equo del danno subito». https://www.osservatoriodiritti.it/2018/05/10/messico-guerra-sfollati-interni/

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Rebecca Rovoletto. Nello zapatismo vivente nel Chiapas niente di ciò che credi logico o scontato è così. Puoi avvicinarti solo se ti asterrai dal comprimerlo dentro cornici codificate. Perché questi indios contadini ne sanno sempre una più di te e ti ribaltano come quel punto interrogativo. E quando ti chiedono di guardare e ascoltare ti stanno dicendo di cavare via le croste al cervello, di esporre la polpa. E devi anche sapere che solo la millesima parte di ciò che assaggerai potrà essere raccontata, perché senza anime eccitate dai corpi non si comprendono diversità, linguaggi, figurazioni. 

Il Chiapas delle 8000 7-12 marzo 2018 

 Rebecca Rovoletto·- martedì 1° maggio 2018

Mi sento al sicuro nel taxi di Gonzalo, posso abbandonare l’allerta del viaggio, la fatica della sua preparazione, i perché ho risposto a un invito arrivato da così lontano. Ora sono qui. Dal finestrino mi incanta una luna storta: sta calando all’ingiù, gobba a terra e sorriso al cielo. Del resto, qui anche i perché usano un punto interrogativo sottosopra, messo lì prima ancora di formulare la domanda. Mi appendo a quel glifo e prende corpo la que sabe, colei che sa: dondola, donna, fiuta, accendi i pori.

All’inizio dell’anno, l’EZLN lancia una convocatoria, una chiamata. Dall’avvio della Otra Campaña gli zapatisti hanno creato molte aperture internazionali e i loro inviti sono stati sempre più frequenti: l’Escuelita, il CompArte, il ConCiencias por la Humanidad. Artisti, intellettuali, scienziati, rappresentanti della società civile e militanti hanno risposto alle loro iniziative, per discutere orizzonti.

Questa convocatoria è però diversa dal solito. È concepita femmina, voluta e organizzata dalle donne zapatiste per le donne di tutto il mondo. Gli uomini non sono invitati, non importa se buoni o cattivi. C’è bisogno di un momento solo per noi, lontano dalle critiche o dalle compiacenze di uno sguardo maschile. Libere di essere ciò che siamo e di fare ciò che amiamo fare, nel nostro modo personale di divaricare crepe nei muri del sistema capitalista e patriarcale. “…in tutto il mondo ci assassinano. E agli assassini che sempre sono sistema con volto da maschio non importa nulla se siamo ammazzate. Quindi, se sei una donna che lotta, che non è d’accordo con quello che ci fanno come donne che siamo, se non hai paura, se hai paura ma la controlli, ti invitiamo a incontrarci e parlarci e ascoltarci come donne che siamo.” Ci chiedono di portare lì, al Caracol IV di Morelia nel sudest messicano, tutto quello che desideriamo condividere come donne impegnate sui più diversi fronti dell’attivismo sociale e politico per la difesa della natura, delle risorse primarie, dei diritti inalienabili, delle minoranze, delle culture originarie, della vita. E siccome il mondo va descritto nella sua complessità, senza lesinare parole, lo titolano Primo Incontro Internazionale Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano.

Nello zapatismo vivente nel Chiapas niente di ciò che credi logico o scontato è così. Puoi avvicinarti solo se ti asterrai dal comprimerlo dentro cornici codificate. Perché questi indios contadini ne sanno sempre una più di te e ti ribaltano come quel punto interrogativo. E quando ti chiedono di guardare e ascoltare ti stanno dicendo di cavare via le croste al cervello, di esporre la polpa. E devi anche sapere che solo la millesima parte di ciò che assaggerai potrà essere raccontata, perché senza anime eccitate dai corpi non si comprendono diversità, linguaggi, figurazioni.

Dalle mail organizzative dell’equipe de apojo so che si stanno registrando adesioni da ogni parte del globo, tanto che devono metterle in fila alfabetica: Andorra, Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Francia, Germania, Giappone, Grecia, Guatemala, Honduras, Inghilterra, Italia, Nazione Mapuche, Nazione Cree e Ojibwa, Nazione Navajo, Nicaragua, Paesi Baschi, Paraguay, Perù, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Spagna, Stati Uniti, Svezia, Svizzera, Tanzania, Uruguay, Venezuela e 27 stati del Messico. Parlano di oltre seicento richieste di partecipazione attiva e ci anticipano alcuni dei temi e delle proposte che sono arrivate: 202, un’enormità.

Il 7 marzo mi sveglia il caffè a San Cristòbal, tra le montagne della Sierra Madre a 2.200 metri, nella casa azùl di Francesca, Fabio e la piccola Emma. Si parte dal CIDECI alle 13:30, ora zapatista, dentro un Lacandonia Tour, un camiòn blu che viaggia a passo d’uomo. Dicono che la nostra destinazione finale dista circa duecento chilometri zapatisti, in direzione circa Palènque. Fuori boschi di conifere e qualche ragazzino scalzo che corre a salutare con la mano. A bordo spiccano in risate quattro italiane, delle pochissime che troverò all’incontro. Da questo momento Rosella, Serena, Daniela e Nancy saranno le mie compagne di pannocchie bollite e tamales, di discussioni e stupore. Ma nello zaino ci ho ficcato strette un bel po’ di altre amiche, Arianna, Teresa, Desi, Lisa, Marina, Moira e poi Elena, Giulia, Laura… mi si attacca ai vestiti anche Raffaella. Quale magico filo di ragno ti ha portata a seguirmi qui, Raffaella?

Attraversiamo la regione detta “tzotz-choj” (pipistrello-giaguaro), abitata dai popoli maya tzeltal, tzotzil e tojolabales, tra i principali partecipanti alla sollevazione in armi del ‘94. Come molte altre in Chiapas e in Messico, questa zona è stata ed è teatro di lotte contadine per preservare terra, diritti e culture native. Quella zapatista ha preso la forma dei governi autonomi (Municipi e JBG, Giunte di Buon Governo) nella cui costruzione e partecipazione l’apporto delle donne continua ad essere cruciale.

E cruciale, qui, è anche la poesia che impregna ogni cosa, il nucleo profondo di questi popoli. Caracol IV, Torbellino de Nuestra Palabra – Turbine della Nostra Parola – quartier generale della JBG Corazón del Arcoiris de la Esperanza – Cuore dell’Arcobaleno della Speranza. È qui che approda, dopo sette ore di buche e dossi, il nostro eroico Lacandonia Tour. BIENVENIDAS MUJERES DEL MUNDO

Il piazzale sterrato è un girone di zaini, borse, sporte, fagotti, trolley e, attaccato a ciascun bagaglio, c’è una donna da sola, con le amiche, con le altre donne della famiglia, con un bimbo al collo e uno per mano, con l’anziana nonna che si aiuta con un carrellino, con la fidanzata, con le compagne di collettivo. Di ogni età, colore, etnia, nazionalità, lingua, dialetto. Dappertutto piccole donne col passamontagna ci circondano: le nostre ospiti, le donne zapatiste dei Cinque Caracoles. A vigilare e coordinare le miliziane in divisa dell’EZLN “custodi dell’autonomia e di madre terra”. Cosa avranno provato nel vederci arrivare? Nel vedere che quel loro progetto sognato, discusso e organizzato da sole in un buco di mondo è lì sotto ai loro occhi gentili, vero e vociante, ed è enorme? “Perché è dura quando ci dicono che ne arrivano cinquecento ma che si è perso uno zero per strada e ne arrivano cinquemila e più” **

Despierta, mujeres del mundo. Buenas dìas. 8 marzo 2018 ore 5:52. Due accordi di chitarra nel primo accenno d’alba chiamano le donne. È l’inizio di ciò che non ti aspetti, che ti sguscia fuori dal sacco a pelo e ti sguscia dal mondo che hai vissuto sinora per incontrarne moltitudini. Ma non sono mondi altri, ce li hai tutti dentro e mai come ora ti sei sentita così profondamente a casa. Buongiorno alba del giorno che è il giorno. Buongiorno angolo sperduto di terra che hai fatto fiorire tutto questo.

Il primo è il giorno delle donne zapatiste. Si presentano come donne combattenti nella difficile quotidianità di chi ha scelto di vivere la libertà, di realizzare l’autonomia, di imprimere una trasformazione sociale e politica che non ha eguali. Ci regalano la genealogia della loro lotta, il loro sguardo sul mondo e la loro visione di ciò che sarà. Una narrazione fatta di letture, poesie corali, opere teatrali, tornei sportivi, coreografie, musica e canti e danze. Ma si raccontano anche standoci intorno, cucinando per noi, proteggendoci e prendendosi cura di ogni cosa. I loro occhi ci parlano di grazia dal passamontagna, i loro gesti tranquilli e sicuri ci danno il passo e la misura di un tempo umanissimo. La loro attenzione, ironica e curiosa, ci insegna l’accoglienza e l’affettività. Finalmente ti conosco di persona, Difesa Zapatista, piccola e tenace bambina che ogni giorno giochi la difficile partita che ti vede a sera ancora viva e libera.

Con questo loro primo giorno imprimono il senso tangibile del sentimento collettivo dell’essere comunità. Lorena, la sciamana maya, ha predisposto un cerchio di fuoco. È un battesimo. Le parole di apertura ci fondono, spazzano via i nostri brillanti ego e inutili dispute, diventiamo un chingo. “E vediamo, ad esempio quegli alberi laggiù che voi chiamate ‘foresta’ e noi chiamiamo ‘montagna’. E sappiamo che in quella foresta, in quella montagna, ci sono molti alberi diversi. Bene, siamo qui come una foresta o come un monte. Siamo tutte donne… una foresta di donne. Possiamo scegliere cosa fare durante questo incontro. Possiamo scegliere di fare a gara… o possiamo parlare e ascoltare con rispetto. Possiamo fare a gara tra di noi e alla fine, quando torneremo ai nostri mondi, scoprire che nessuna ha vinto, oppure decidiamo di combattere insieme, ciascuna con le proprie differenze. Qui siete tutte benvenute e vi ascolteremo, guarderemo e parleremo con rispetto, compagne e sorelle, noi non giudichiamo nessuno” *

Tutte, senza pudore e tabù, senza dogmi e pregiudizi, ci sentiamo libere di sdoganare quella sensazione inconfondibile di sacra selvatichezza che ci reintegra nella nostra identità umana e femminile. Sì, si è prodotta una magia, una magia pienamente politica, inutile cercare di parafrasare. Tutte quante, occidentali o indigene, di campagna o di città, femministe o meno, intellettuali, fotografe, attiviste politiche e sociali, sciamane, cantadoras, simpatizzanti per qualche partito, suonatrici di tamburi, giornaliste, lesbiche e transgender, danzatrici, esponenti di associazioni e movimenti, artigiane… tutte tocchiamo qualcosa cui dopo due mesi ancora fatichiamo a dare pressappoco un nome, perché dobbiamo inventarcelo un nome per qualcosa che nessuna di noi ha mai visto. Una politica ‘salvatica’.

Escono i tabelloni coi programmi di venerdì e sabato, organizzati in mesas, plàticas e talleres ma anche laboratori improvvisati, mostre ed esposizioni, installazioni, attività di ogni natura brulicanti in ogni anfratto. Lingue ancestrali si rincorrono tra le tende, pentoloni fumano di continuo, musica dappertutto. Se con le prime luci dell’alba ci rendiamo conto di quante siamo, alla fine un totale che sfiora le diecimila donne, con i tabelloni capiamo chi siamo e che siamo tutte qui, con tutti i nostri femminili e femminismi, todas aquì estamos. Torbellino de nuestra palabra. Il turbine delle nostre parole di donne irrompe per tre giorni eterni in mezzo alla Selva. Parole solo in parte verbali. Il femminile, quando ritrova integrità, parla col corpo, con le ovaie, con gli occhi, con modulazioni liquide, con flussi di braccia, con ritmi vascolari. Con questi suoi strumenti naturali il femminile parla di politica. Ne parla e la fa, la politica, cuocendo e nutrendo pensieri, idee, iniziative, azioni poderose.

Giro, ascolto, guardo, partecipo e mi rendo conto che quando, nel mio intervento, dentro un comedor incandescente, ho parlato della colonizzazione dei territori ad opera dei megaprogetti e della colonizzazione della psiche femminile che si infiltra nei movimenti, non ho detto nulla di strano. Ovunque sento rimbalzare la mia stessa riflessione: la monocultura patriarcale ha desertificato ampi territori della psiche femminile, una sorta di land-grabbing ci riduce a pensare, sentire, agire nelle lotte, come donne, secondo quello stesso modello che vogliamo contrastare. Ma qui non sta succedendo. Quel marchio che le zapatiste ci hanno impresso diventa un antidoto e sperimentiamo come si può stare tra di noi facendo politica in modo nuovo, caldo.

Cerchi nascono e respirano con le madri dei 43 studenti di Ayotzinapa spariti tre anni e mezzo fa. Spirali di gonne abbracciano le parole delle migranti transfrontaliere. Danze sincroniche circondano le storie di donne vittime di stupro. Mani a farfalla sui racconti di lotta dei popoli Mapuche. Fili di lana intessono le persecuzioni delle curanderas guatemalteche. Una Batucada colombiana ritma le segregazioni razziste nei popoli nativi e afro-latinoamericani. Corse di bimbi intersecano il dramma della Palestina. L’aroma di cannella accompagna il saccheggio dei territori. Rebozos sgargianti e muti sul videomessaggio dal Rojava. Sincretismi in cui grazia, anima, cura, spiritualità si fanno strumenti di politica viva. Non c’è frontiera tra uno spazio interiore e uno esterno, tra uno spazio personale e uno politico, tra umanità e natura, tra intelletto e corpo. Tutto co-è, tutto è necessario che sia.

Dal palco cambia la musica. Tolgono l’elettricità, si fa buio pesto e duemila candele zapatiste vengono accese: “Questa piccola luce è per te. Prendila, sorella e compagna. Quando ti senti sola. Quando hai paura. Quando senti che la lotta è molto dura, o che lo è la vita, riportala al tuo cuore, ai tuoi pensieri, alle tue viscere. E non la cedere, compagna e sorella. Portala alle scomparse, alle assassinate, alle detenute, alle violentate, alle picchiate, alle molestate, alle violate in tutti i modi, alle migranti, alle sfruttate, alle morte. Prendila e dì a ciascuna di loro che non è sola, che combatterai per lei… Prendila e trasformala in rabbia, in coraggio, in fermezza. Prendila e unisciti ad altre luci. Prendila e, forse, poi ti verrà da pensare che non ci sarà né verità, né giustizia, né libertà nel sistema capitalista patriarcale. Allora forse ci rivedremo per dare fuoco al sistema. E diremo: ‘Bene, ora sì cominciamo a costruire il mondo che meritiamo e che necessitiamo’. Perché quello di cui c’è bisogno è che mai più nessuna donna al mondo, di qualsiasi colore sia, peso, età, lingua, cultura, abbia paura.” ** Todas aquì estamos.

*dal discorso di apertura, 8 marzo 2018, Capitana Insurgente Erika

**dal discorso di chiusura, 10 marzo 2018, Compa Alejandra

Foto di Maria M. Caire

https://www.facebook.com/notes/rebecca-rovoletto/il-chiapas-delle-8000-7-12-marzo-2018/10211255530175515/

 

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Efficace sintesi di Luis Hernández Navarro @lhan55 del “ConversatorioProibito Pensare? convocato dall’EZLN dal 15 al 25 aprile a San Cristóbal de Las Casas. Proibito pensare? ha riunito oltre 50 artisti, dirigenti indigeni, difensori dei diritti umani, cineasti, pensatori e giornalisti con la comandancia zapatista per condividere sguardi, ascolti e parole.

***

Proibito pensare?

Luis Hernández Navarro

Guadalupe Vázquez Luna è un uragano in un corpo di donna. Minuta, con una viso da bambina nonostante i suoi 30 anni, la sua voce possiede una potenza incommensurabile. Non vuole tacere e lo dice. Sebbene si scusi per il suo spagnolo, che sarebbe la sua seconda lingua (la prima è la lingua tzotzil), il suo castigliano è grammaticalmente impeccabile.

Lupita aveva solo 10 anni quando i paramilitari hanno assassinato i suoi genitori, cinque fratelli, la nonna e uno zio. Il 22 dicembre 1997 stava pregando per la pace nella cappella di Acteal quando i priisti armati e protetti dalla polizia sono arrivati sparando. Hanno massacrato 45 persone innocenti. In lei ancora risuona il pianto, il lamento degli uomini, delle donne, dei neonati e dei bambini che si trovavano lì.

Guadalupe si salvò per miracolo. In piena sparatoria, con sua madre già morta, suo padre la tirò fuori dal nascondiglio dove si era rifugiata gridandole di scappare. Lei corse via tra le piantagioni di caffè.

Da allora, non ha smesso di vivere in resistenza, chiamare le cose col loro nome, e lottare contro l’oblio e per la giustizia. Nel cammino, si è resa conto dell’importanza di perseverare.

Se le donne tacciono – afferma – nessuno ci sente. Nessuno ci legge nel pensiero, ha detto nel “conversatorioMiradas, escuchas y palabras: ¿prohibido pensar?, che si sta svolgendo nel Cideci-UniTierra, a San Cristóbal de las Casas, convocato dall’EZLN. Per questo non sta in silenzio.

Guadalupe Vázquez Luna è consigliera del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) del Chiapas. Nel suo intervento al “conversatorio” non ha risparmiato le critiche. Con notevole eloquenza, come moderna aedo, ha raccontato l’epica giornata per organizzare il CIG e registrare sulla scheda elettorale María de Jesús Patricio quale candidata alla Presidenza. Ora – ha detto – l’indigeno è a testa alta. Non ci guarderanno più come un’attrazione turistica.

Proibito pensare? è iniziato il 15 aprile e si concluderà il 25. Ha riunito oltre 50 artisti, dirigenti indigeni, difensori dei diritti umani, cineasti, pensatori e giornalisti con la comandancia zapatista per condividere sguardi, ascolti e parole. Vi partecipano vecchi compagni di strada dei ribelli, come Gilberto López y Rivas, Alicia Castellanos e Magdalena Gómez, e molte nuove voci, come Daniela Rea, Mardonio Carballo ed Emilio Lezama. Insieme hanno tracciato un bilancio di quello che il subcomandante Galeano ha definito l’effetto Marichuy, misurando il polso della congiuntura e provando a decifrare il Messico ed il mondo dopo le elezioni di luglio.

Decano di questi seminari, Pablo González Casanova ha illustrato le sue riflessioni sullo zapatismo come progetto rivoluzionario universale ed ha ringraziato per averlo vissuto. L’EZLN ha contraccambiato nominandolo comandante Pablo Contreras del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno e presentandogli i propri rispetti.

All’incontro ha partecipato anche l’avvocato Carlos González, figura chiave del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) fin dalla sua fondazione nell’ottobre del 1996. Il congresso – ha detto – in questo ultimo anno è cresciuto sia quantitativamente che qualitativamente, ed è migliore. È presente in stati come Tlaxcala e Quintana Roo dove non era mai arrivato. A maggio scorso, all’avvio del CIG, c’erano 38 consiglieri; oggi sono 160.

Proibito pensare?, nelle parole dell’esperto di diritti umani Jacobo Dayán, ha dato luce al dolore. Un dolore che, secondo lo psicoanalista Mauricio González, è nell’aria. Fuggendo dal mercato della vittimizzazione, l’incontro si è svolto come una monumentale fuga polifonica. I racconti sull’assordante rumore del sangue di Ayotzinapa, il pozzo senza fondo delle sparizioni forzate, la depredazione e la nuova guerra sporca, si sono alternate con le storie della formidabile esperienza realizzata in territorio zapatista da 10 mila donne di 48 Paesi nell’Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, realizzato dall’8 al 10 marzo scorsi, o con le riflessioni – come quelle della filosofa esperta in impunità Irene Tello – sulla narrazione come modo per sovvertire e transitare dalla violenza in cui viviamo.

Discendo – ha spiegato Dayán– da nonni siriani di Aleppo; vengo da un luogo che non esiste più, da un non-luogo. Preso tra gli ingranaggi dell’orrore del Messico, ha narrato come nel paese ci sono zone in cui decine di migliaia di resti umani sono sepolti, ha raccontato le storie di sterminio operate dallo Stato messicano in luoghi come Piedras Negras ed ha ricordato i voli della morte in Veracruz. Ci indigniamo davanti alla corruzione – ha detto – ma non diciamo quasi nulla di fronte ad una nazione che si è trasformata in un immenso cimitero.

Fedele al contrappunto, l’evento ha tracciato una cartografia delle desolazioni e le sue scenografie, rivendicando nello stesso tempo la sfida – secondo la psicologa Ximena Antillón – di recuperare le parole ormai vuotate o snaturate del loro significato dal potere per permettere di tornare a capire. Ha tracciato quello che il romanziere ed articolista Juan Villoro ha definito un intero paese trasformato in Necropoli, messo in risalto dalla visione della scrittrice Cristina Rivera-Garza della scrittura come atto politico, processo di lavoro e parte intrinseca della comunanza.

In questa polifonia, la nota dominante è stata il contrasto. Da un lato, la giornalista Marcela Turati ha spiegato come il lavoro giornalistico sulla verità delle vittime si è trasformato in una dolorosa commissione per la verità in tempo reale, nella quale si deve scegliere cosa è importante. Dall’altro, il professionista della stampa Javier Risco, con fine ironia, ha illustrato l’orrore della politica nazionale e dei politici, a partire dalle interviste che ha fatto loro.

La diversità di voci che si sono alternate nel seminario Proibito pensare? sono state attraversate dalla combinazione dell’effetto Marichuy e l’esperienza dello zapatismo come avvenimento presente in qualche momento della sua biografia. Si tratta di un’esperienza che non ha niente a che vedere con altri candidati, o organizzare un nuovo culto religioso o formare un altro partito politico ma – come mostra l’esempio di Lupita Vázquez – con ascoltare l’altro e celebrare la vita.

Twitter: @lhan55

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2018/04/24/opinion/017a2pol

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Pablo González Casanova diventa il comandante Pablo Contreras. Gli zapatisti lo hanno così battezzato per il suo pensiero critico e indipendente.  Il 1º marzo scorso alla presentazione di una sua opera alla Fiera Internazionale del Libro, Casanova aveva così risposto alla domanda di quale fosse la sua ricetta per vivere con tanta forza intellettuale: Lottare ed amare. Questo 21 aprile, come comandante del CCRI-EZLN, ha ratificato nuovamente la sua vocazione di lottare ed amare.

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González Casanova è il nuovo comandante Pablo Contreras

Gli zapatisti lo hanno così battezzato per il suo pensiero critico e indipendente

Luis Hernández Navarro. Inviato. La Jornada, domenica 22 aprile 2018. San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Da ieri, il dottor Pablo González Casanova, 96 anni, è il comandante Pablo Contreras del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (CCRI-EZLN).

La nomina è stata resa pubblica nel mezzo di una prolungata ed emozionante ovazione dei partecipanti al “Conversatorio: Sguardi, ascolti e parole: proibito pensare?” che si sta svolgendo nel Centro Indigeno di Formazione Integrale Fray Bartolomé de Las Casas -Università della Terra (Cideci-Unitierra,) a San Cristóbal de Las Casas, convocato dagli zapatisti.

La decisione ribelle è stata annunciata all’ex rettore dell’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) dal comandante Tacho. Per essere zapatista – ha detto il tojolabal – bisogna lavorare e lui ha lavorato per la vita delle nostre comunità. Non si è stancato, non si è venduto, non ha ceduto.

In precedenza – con un bellissimo intervento in cui ha tracciato il bilancio della campagna della portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, María de Jesús Patricio, per ottenere la candidatura indipendente alla Presidenza della Repubblica – lo scrittore Juan Villoro ha raccontato come il passato 11 febbraio, sulla spianata del Palazzo delle Belle Arti a Città del Messico, Don Pablo avesse festeggiato il suo 96° compleanno nell’evento finale di appoggio all’indigena nahua.

Rettore di sinistra

González Casanova, ha ricordato Villoro, è stato l’unico rettore di sinistra della UNAM. Quel giorno alle Belle Arti, ha aggiunto, ci ha dato una lezione di gioventù e ribellione e si è dimostrato un autentico decano e uomo di giudizio.

Preparando la sorpresa, il subcomandante Moisés ha raccontato come gli zapatisti si formano assegnando e soprintendendo i compiti. Se le cose riescono bene, ha detto il comandante, lo zapatista viene premiato con altro lavoro.

E a questo punto il comandante Tacho ha preso la parola e cominciato a spiegare, in terza persona, i meriti e le virtù di Don Pablo. Facendo giochi di prestigio con i numeri ha concluso che, nonostante la differenza di età, gli zapatisti e González Casanova sono coetanei. Ha ricordato il nome col quale quasi un anno fa, durante il seminario “I Muri del Capitale, le Crepe della Sinistra: la clessidra ed il mondo organizzato delle fincas“, era stato battezzato dai ribelli Pablo Contreras. Quindi, ha annunciato la sua nomina come membro del CCRI-EZLN ed ha concluso dicendo: il nostro regalo per lei è altro lavoro…

Un anno prima, durante l’incontro “I Muri del Capitale”, il subcomandante Galeano lo aveva presentato come un uomo di pensiero critico e indipendente al quale non si dice mai che cosa dire o cosa pensare, ma che sta sempre dalla parte del popolo. Per questo, aveva detto, in alcune comunità zapatiste è conosciuto come Pablo Contreras. Ed aveva aggiunto che uno dei municipi ribelli era stato battezzato col suo nome.

Subito dopo l’annuncio di Tacho della nomina del nuovo comandate, i membri della comandancia e del CCRI presenti si sono alzati per salutare militarmente con la mano sinistra Don Pablo ed abbracciarlo calorosamente, mentre il pubblico in piedi ha applaudito per circa 10 minuti ed è partito un inaspettato “Goya, goya, cachún, cachún, ra, ra, ra! Goooooooya! Universidad!” [slogan storico dell’università – n.d.t.]

Don Pablo che ha iniziato il suo intervento nel seminario salutando l’auditorium in lingua tzotzil e spiegando che salutare è riconoscere l’altro ed ha proseguito rivendicando allo zapatismo un contributo universale alle lotte di liberazione, ha risposto visibilmente commosso al saluto militare ed agli abbracci, con altrettanti abbracci.

Solo il 1º marzo scorso, alla presentazione di una sua opera alla Fiera Internazionale del Libro nel Palacio de Minería, González Casanova aveva così risposto alla domanda di quale fosse la sua ricetta per vivere con tanta forza intellettuale: Lottare ed amare. Questo 21 aprile, come comandante del CCRI-EZLN, ha ratificato nuovamente la sua vocazione di lottare ed amare.

Foto: Daliri Oropeza

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2018/04/22/politica/009n1pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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E’ in corso in Chiapas, a San Cristóbal de Las Casas, il “Conversatorio”: giornate di conversazione “Sguardi, ascolti, parole: proibito pensare?”. Trasmissione dal vivo e video degli interventi alla pagina di Enlace Zapatista http://enlacezapatista.ezln.org.mx

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Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas: Gruppi armati di Chenalhó provocano lo sfollamento di due comunità ad Aldama e minacciano la vita, la sicurezza e l’integrità della popolazione, tra cui, famiglie Basi di Appoggio Zapatiste.

Chiediamo di inviare appelli allo Stato messicano per garantire la vita, la sicurezza e l’integrità delle comunità a rischio nel municipio di Aldama, Chiapas; fornire assistenza integrale urgente alla popolazione sfollata in applicazione dei Principi delle Nazioni Unite sui Profughi Interni; e per un cessate il fuoco nella regione.

Qui per firmare: https://frayba.org.mx/bases-de-apoyo-zapatistas-en-riesgo-de-desplazamiento-forzado/ 

#FirmaEnSolidaridad

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La Commissione Sexta dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale convoca al CONVERSATORIO (o semenzaio): “Sguardi, Ascolti e Parole: Proibito Pensare?” 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE 

Commissione Sexta dell’EZLN 

Messico 

Marzo 2018

Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni che, in tutto il mondo, hanno compreso e fatto propria l’iniziativa del Consiglio Indigeno di Governo e della sua portavoce:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

A chi ha firmato per la portavoce del Consiglio Indigeno di Governo:

CONSIDERANDO CHE:

Primo ed unico:

La Famiglia Felice.

Un villaggio, o città, o come si chiami. Un luogo del mondo. Un muro. Incollato alla rugosa superficie del grande muro, un poster, cartellone, o una cosa così. Nell’immagine, un uomo e una donna sorridono ad una tavola traboccante di cibo. Accanto alla coppia, una bambina sorride; di lato, un bambino mostra la sua brillante dentatura. Su di essi, a lettere grandi e intimidatorie, si legge “LA FAMIGLIA FELICE”. Il cartellone è ormai vecchio, con la patina del tempo a spegnere i colori che, supponiamo, una volta fossero brillanti e, si potrebbe dire, felici. Mani anonime hanno aggiunto su dei foglietti di carta: “La famiglia felice è felice solo con la benedizione del divino”; “No alla famiglia omosessuale, a morte i froci e le lesbiche!”; “È la maternità a rendere felice la donna”; “Si stappano tubi. Preventivi senza impegno”; “Si affitta casa felice per famiglia felice. Astenersi famiglie infelici”.

Di fronte, sul marciapiede ai piedi del muro, la gente va e viene senza prestare attenzione all’immagine sbiadita. Ogni tanto, qualcuno sembra schiacciato da un pezzo caduto dal muro decrepito. Vero, questi crolli parziali si verificano con sempre più frequenza. Pezzi di muro si staccano e schiacciano a volte una sola persona o un piccolo gruppo, a volte comunità intere. La commozione tra la moltitudine dura solo pochi istanti, poi riprende la sua strada sotto lo sguardo pallido della famiglia felice.

Catastrofi grandi e piccole che non devono distrarci dall’essenziale: ad un certo intervallo di tempo, il supremo artefice di “famiglie felici” annuncia l’elezione, libera e democratica, del custode del poster. E proprio adesso, il felice calendario, di cui ora ti accorgi, che si vede dietro la famiglia felice segna che è tempo di scegliere. In queste date, un’attività febbrile percorre la folla che, senza fermarsi, pensa, discute e litiga sulle diverse opzioni offerte per custodire il gigantesco cartellone.

C’è chi segnala il pericolo che l’imperizia manifesta dei suoi rivali metta a rischio la malconcia immagine, simbolo di identità del villaggio, città, o cose così. Una persona si offre di rimodernarlo e restituirgli la lucentezza ed il colore di una volta (in realtà, nessuno ricorda quel tempo, quindi non si può nemmeno dire che una volta sia realmente esistito – certo, solo nell’indubbio caso che si possa attribuire esistenza al tempo -). Un altro dice che le amministrazioni precedenti hanno trascurato l’immagine e a questo si deve il suo visibile deterioramento.

Le diverse proposte infiammano le discussioni tra i passanti. Si incrociano accuse, calunnie, menzogne, argomenti con la solidità dell’effimero, condanne e sentenze apocalittiche. Si riflette sull’importanza e trascendenza del momento, sulla necessità della partecipazione cosciente. Non si è lottato tanti anni invano per poter scegliere chi custodisca la felice immagine della famiglia felice.

Si formano bande: là quella di chi insiste in un rinnovamento prudente; un’altra insiste nel postulato scientifico che “meglio il cattivo che si conosce, che il buono che non si conosce”; un’altra banda riunisce chi offre probità, buon gusto, modernità. Gli uni e gli altri gridano: “Non pensare! Vota!”. Uno striscione che ostacola l’andirivieni della gente, recita “Qualunque appello a ragionare sul voto, è un invito all’astensione. Non è il momento di pensare, ma di prendere partito”.

Le discussioni non sempre sono misurate. È così importante scegliere il responsabile dell’immagine, che non poche volte le bande arrivano alla violenza.

C’è chi parla di abbondante quantità di felicità per chi risulti vincitore, ma, lungi dagli interessi mondani, sui volti austeri dei contendenti si avverte la serietà della questione: è un dovere storico, il futuro è nelle mani titubanti di chi dovrà scegliere, è una grave responsabilità che pesa sulle spalle della gente; peso che, felicemente, sarà alleviato quando si saprà chi sarà il vincitore e procurerà felicità alla felice immagine della famiglia felice.

È tale la frenesia che tutti si dimenticano completamente dell’immagine ritratta. Ma la famiglia felice, nella solitudine del muro, indossa il suo perenne e inutile sorriso.

Ai piedi della lunga e alta parete, una bambina alza la mano chiedendo di parlare. Le bande non la vedono nemmeno, ma non manca qualcuno che dice: “poverina, è una bimba e vuole parlare, lasciamola parlare”. “No”, dice un’altra banda, “è un trucco della banda avversaria, è per dividere il voto, è una distrazione affinché non riflettiamo sulla gravità del momento, è un chiaro invito all’astensione”. La banda più in là, obietta: “Che capacità può avere una bambina di opinare sul cartellone? Le mancano studi, deve crescere, maturare”. E da quella parte: “non perdiamo tempo ad ascoltare una bambina, dobbiamo concentrarci sulla cosa importante: decidere chi è il migliore per custodire il cartellone”.

La “Commissione per la Nitidezza e Legittimità per l’Elezione dell’Addetto alla Custodia dell’Immagine della Famiglia Felice” (CNLEACIFF), ha emesso un serio e breve comunicato, conforme alla gravità dei tempi: “Le regole sono chiare: NON SONO AMMESSE BAMBINE”.

Nuove riflessioni degli analisti esperti: “l’unica cosa ottenuta dalla bambina è stato legittimare la CNLEACIFF. Chiedendo la parola, la bambina è entrata nel gioco ed ha perso, il resto non conta”; “Il fallimento della bambina è sintomo del fallimento del processo di rinnovamento, le istituzioni dovrebbero lasciare che la bambina parli”; “È stato commovente, lei, con la sua manina alzata a chiedere attenzione, poverina”; “È stato un risultato avverso, il prodotto di un’analisi sbagliata della congiuntura, il contesto e la correlazione di forze, questo segnala l’assenza di un’avanguardia rivoluzionaria che guidi le masse”; “Eccetera”.

Ma le discussioni sono durate solo pochi minuti, e l’andirivieni dei passi e delle ingiustizie ha seguito il suo corso. Non si è ascoltato la bambina mentre indicava non l’immagine, ma il muro su cui la famiglia felice mostrava la sua ormai deteriorata placidità.

In piedi su un mucchio di macerie, circondata da cadaveri di bambine e pietre sbriciolate, la bambina denunciava, laconica, l’evidente:

“Cadrà”.

Ma nessuno ha sentito…

Un momento… nessuno?

(Continua?…)

-*-

In base a quanto sopra esposto, la Commissione Sexta dell’EZLN convoca il:

CONVERSATORIO (o semenzaio):

“Sguardi, Ascolti e Parole: Proibito Pensare?”

In cui diverse persone del Congresso Nazionale Indigeno, del Consiglio Indigeno di Governo, delle arti, delle scienze, dell’attivismo politico, del giornalismo e della cultura, condivideranno quello che vedono e sentono.

Il conversatorio si svolgerà dal 15 al 25 aprile 2018 presso il CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

Hanno confermato la loro partecipazione, tra altr@:

Marichuy (portavoce del Consiglio Indigeno di Governo).

Lupita Vázquez Luna (consigliere del Consiglio Indigeno di Governo).

Luis de Tavira Noriega (direttore di Teatro).

Mardonio Carballo (scrittore).

Juan Carlos Rulfo (cineasta).

Paul Leduc (cineasta).

Cristina Rivera-Garza (scrittrice).

Abraham Cruzvillegas (artista visivo).

Néstor García Canclini (antropologo).

Emilio Lezama (scrittore e analista politico).

Irene Tello Arista (columnist e attivista).

Erika Bárcena Arévalo (avvocata e antropologa).

Ximena Antillón Najlis (psicologa, specializzata in vittime di violenza).

Jacobo Dayán (accademico e attivista dei Diritti Umani).

Marcela Turati (giornalismo d’indagine).

Daniela Rea Gómez (giornalista).

Carlos Mendoza Álvarez (filosofo).

John Gibler (giornalista).

Javier Risco (giornalista).

Alejandro Grimson (antropologo).

Enrique Serna (romanziere).

Paul Theroux (scrittore).

Juan Villoro (scrittore).

Pablo González Casanova (sociologo e zapatista, non necessariamente in questo ordine).

Gilberto López y Rivas (antropologo).

Alicia Castellanos Guerrero (antropologa).

Magdalena Gómez Rivera (avvocata).

Bárbara Zamora (avvocata).

Margara Millán Moncayo (sociologa femminista).

Sylvia Marcos (psicologa e sociologa femminista).

Jorge Alonso Sánchez (antropologo).

Fernanda Navarro y Solares (filosofa).

Néstor Quiñones (artista grafico).

Raúl Romero (sociologo).

Rafael Castañeda (militante politico).

Luis Hernández Navarro (giornalista).

Carlos Aguirre Rojas (sociologo ed economista).

Sergio Rodríguez Lascano (militante politico).

Carlos González (avvocato e attivista nella lotta dei popoli originari).

Adolfo Gilly (militante politico, storico e analista).

Carolina Coppel (videasta).

Mercedes Olivera Bustamante (antropologa femminista).

María Eugenia Sánchez Díaz de Rivera (sociologa).

“Lengua Alerta” (musicista).

“Panteón Rococó” (musicisti).

“El Mastuerzo” (guacarockero).

“Batallones femeninos” (musiciste femministe).

“Los Originales de San Andrés” (musicisti zapatisti).

“La Dignidad y la Resistencia” (musiciste zapatiste).

Quando anche le/gli altr@ invitati (i cui nomi non sono indicati per proteggere le/gli innocent@) confermeranno la loro presenza, renderemo pubblico l’elenco completo, così come i giorni e l’ora degli interventi di ognuno.

L’indirizzo per registrarsi come escucha-vidente [spettatore – n.d.t.], media libero o prezzolato, è:

asistentesemillero@enlacezapatista.org.mx

(per favore, indicare nome, città, stato o paese, singolo o collettivo).

 

Come detto prima, che ci siate… o non ci siate, la questione è che guardiate, ascoltiate e pensiate.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per la Commissione Sexta dell’EZLN (sezione “Inviti e ovvietà)

SupGaleano.

Messico, marzo 2018

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/03/20/la-comision-sexta-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-convoca-al-conversatorio-o-semillero-segun-miradas-escuchas-y-palabras-prohibido-pensar/

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Come ha spiegato Jan Jarab, rappresentante dell’Ufficio dell’Alto Commissariato, il rapporto documenta una doppia ingiustizia: quella per coloro che sono stati torturati e quella per i familiari dei 43 giovani scomparsi e dei sei assassinati che ancora aspettano la verità. Ayotzinapa, ricorda l’ONU-DH, continua ad essere un caso aperto.

Ayotzinapa, caso aperto.

Luis Hernández Navarro

Ayotzinapa segna lo spartiacque nell’amministrazione di Enrique Peña Nieto. Nel suo mandato c’è un prima e un dopo la sparizione forzata dei 43 studenti. Da allora, inizia il deterioramento dell’immagine presidenziale e del mexican moment spacciato dai mercati che si approfondisce irrimediabilmente col passare dei giorni. Il nome del mandatario passerà alla storia associato alla notte di Iguala.

Impossibile sfuggirne. Nello stesso modo in cui, nonostante gli anni trascorsi dal 1997, il massacro di Acteal perseguita l’ex presidente Ernesto Zedillo ovunque si presenti, l’ombra della sparizione forzata degli studenti della Scuola Normale Rurale Raúl Isidro Burgos accompagnerà Enrique Peña Nieto dovunque vada.

Prima che il dibattito sulle fake news diventasse argomento quotidiano sulla stampa internazionale, il governo federale ha fabbricato la verità storica. Doveva porre fine alla tragedia. Ha clamorosamente fallito nel tentativo. Non è mai riuscito seriamente ad accreditare la sua versione dei fatti. Il suo racconto è stato divorato dalle fiamme della sua stessa inconsistenza e delle prove a disposizione. Inoltre, si è scontrato con lo scetticismo documentato dei genitori dei ragazzi scomparsi.

Senza andare troppo lontano, malgrado le autorità assicurassero che molti degli arrestati per l’aggressione erano i capi della banda dei Guerreros unidos, il gruppo criminale è oggi più forte che mai in ampie regioni di Guerrero e Morelos.

Ad Ayotzinapa si sintetizzano molte delle violazioni dei diritti umani esistenti nel paese da decenni: sparizione forzata, tortura, impunità. Quanto accaduto ad Iguala il 26 settembre 2014 non è qualcosa che succeda solo in Guerrero. Accade in lungo e in largo del territorio nazionale. Ma le barbarità perpetrate quella notte contro gli studenti ed il comportamento del governo federale, a partire da allora hanno raggiunto un livello inusitato.

Il più recente promemoria che colpisce e perseguita l’amministrazione di Peña Nieto riguardo il crimine di Ayotzinapa e che ha un’enorme rilevanza per la comunità internazionale dei diritti umani, è il rapporto dell’Ufficio in Messico dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, intitolato Doppia ingiustizia.

Il rapporto ha inferto un colpo mortale alla verità storica proprio quando il governo voleva riproporla per cercare di chiudere il caso. E, benché l’ufficio dell’ONU-DH non sia un organo giurisdizionale (cioè, non è un tribunale), ha documentato con rigore e fermezza la grave violazione dei diritti umani commessa dalle autorità nell’indagine che va da settembre 2014 a gennaio 2016.

Il documento conclude che esistono forti elementi di convinzione sulla presenza di tortura, detenzioni arbitrarie ed altre violazioni. In altre parole, la verità storica è stata costruita a partire da testimonianze estorte con la forza agli accusati. La tortura viola l’obbligo dello Stato di investigare in maniera seria ed imparziale e di dimostrare, oltre ogni ragionevole dubbio, che l’accusato abbia commesso il reato.

L’ONU-DH ha esaminato 63 casi di 129 persone processate. In 51 casi ci sono prove di tortura. La sua indagine prende in esame 34 di questi casi. La maggioranza delle detenzioni furono ad opera della Polizia Federale Ministeriale, ascritta all’Agenzia di Investigazione Criminale (guidata a quel tempo dall’oggi famoso Tomás Zerón), con l’appoggio di elementi della Semar.

In tutti i casi analizzati – assicura l’ONU-DH – gli individui presentavano numerosi danni fisici certificati da esami clinici come compatibili con lesioni da tortura.

L’indagine ha seguito un “iter colmo di violazioni dei diritti umani ed un modus operandi praticamente uniforme” che iniziava con le detenzioni arbitrarie delle persone, passava per ritardi significativi nella loro presentazione alle autorità, tortura, e successivo trasferimento al Pubblico Ministero.

Le torture applicate sui detenuti rientrano nel catalogo degli orrori con cui operano i poliziotti messicani. Sembrano estratte da un romanzo sulla guerra sporca. La lista è tremenda: violenza sessuale; scariche elettriche su genitali, capezzoli e ano; botte in diverse parti del corpo con pugni, calci e armi; colpi contundenti sulle orecchie, asfissia con borse di plastica in testa e annegamento con stracci sul viso sul quale si versa acqua [waterboarding – n.d.t.].

Molte persone sono state obbligate a denudarsi. Altre sono state minacciate di essere gettate nel vuoto da un elicottero. Altre sono state avvolte in lenzuola per ostacolare la respirazione e movimento. Altre ancora avvolte con nastro adesivo perché non riuscissero a muoversi.

Il governo ha incassato male il rapporto ed ha risposto con goffaggine. La Procura Generale della Repubblica si è detta molto preoccupata dal rapporto ed ha precisato che le torture sono state solo dei casi eccezionali.

Come ha spiegato Jan Jarab, rappresentante dell’Ufficio dell’Alto Commissariato, il rapporto documenta una doppia ingiustizia: quella per coloro che sono stati torturati e quella per i familiari dei 43 giovani scomparsi e dei sei assassinati che ancora aspettano la verità. Ayotzinapa, ricorda l’ONU-DH, continua ad essere un caso aperto. http://www.jornada.unam.mx/2018/03/20/opinion/017a2pol

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Bugie e torture in Messico, “doppia ingiustizia” per i 43 studenti desaparecidos. 

Ayotzinapa. Rapporto Onu accusa autorità e Procura generale della Repubblica. 

Con un rapporto presentato il 15 marzo a Ginevra l’Onu ha dato il colpo di grazia alla cosiddetta “verità storica” della Procura generale della Repubblica (Pgr) messicana sul caso dei 43 studenti di Ayotzinapa, vittime di sparizione forzata nella città di Iguala la notte del 26 settembre 2014 e tuttora desaparecidos.

Il documento “Doppia ingiustizia: relazione sulle violazioni ai diritti umani nell’indagine sul caso Ayotzinapa” dell’Ufficio dell’Alto commissariato Onu per i Diritti umani analizza i casi di 63 dei 129 detenuti nell’inchiesta sulla sparizione degli studenti che, lungi dall’essere “chiusa”, presenta una lunga serie di inconsistenze e piste tralasciate deliberatamente dagli inquirenti.

Jan Jarab, rappresentante del Commissariato Onu in Messico, ha spiegato che, in base ai referti medici della stessa PGR, si può affermare che almeno 34 persone, che “presentavano lesioni multiple” sono state torturate dalle autorità messicane e, inoltre, l’ex direttore dell’Agenzia per le Indagini criminali, Tomás Zerón, s’è comportato “in modo fraudolento” nei confronti della stessa Onu.

Zerón è stato indicato per gestioni illegali in una presunta scena del crimine nella discarica di Cocula, dove secondo la PGR i ragazzi sarebbero stati bruciati da narcotrafficanti. Inoltre ha dichiarato il falso, cioè che membri dell’Ufficio Onu in Messico l’avevano accompagnato il 28 ottobre 2014 nei pressi del Río San Juan, che scorre sotto la discarica, dove sono state ritrovate delle borse di plastica coi resti di uno degli studenti. L’ormai screditata versione ufficiale si basa anche su queste prove, raccolte irregolarmente e manipolate da Zerón.

Dunque l’Onu conferma quanto già denunciato dai familiari dei ragazzi, dai giornalisti e dagli esperti della Commissione interamericana dei Diritti umani, i quali hanno chiesto senza successo che s’investigasse il ruolo dell’esercito nel crimine.
“Una menzogna storica fabbricata in una discarica di spazzatura, così com’è spazzatura la storia che hanno creato”, ha gridato il 16 marzo in conferenza stampa Emiliano Navarrete, uno dei genitori dei 43. “Esauriremo tutte le vie legali fino ad arrivare alla verità, i delinquenti sono i funzionari di governo e dovranno guardarci in faccia, non permetteremo che ci mettano i piedi in faccia perché siamo poveri”.

La pista ufficiale sul caso è stata costruita quasi esclusivamente in base a testimonianze di persone che si sono autoaccusate dei delitti imputati in seguito alle torture, secondo il rapporto, di funzionari della Procura, della polizia federale e della Marina. “Tiriamo le somme delle responsabilità dello Stato”, commenta Mario Patrón, direttore del Centro per i Diritti umani Pro Juárez.
“Dal rapporto emerge il ruolo della Marina nella morte violenta del detenuto Blas Patiño”, ha spiegato Mario González, padre dello studente César Manuel. “Non difendiamo nessun delinquente ma non vogliamo neanche una verità estorta con la tortura”.
L’Onu insiste perché la PGR conduca “un’indagine autentica sulle torture e altre violazioni ai diritti umani, includendo le responsabilità dei superiori e il potere giudiziario. “Ringraziamo l’Onu, perché il governo vuole coprire i veri responsabili”, dice María de Jesús Tlatempa, madre di uno dei ragazzi. “Ora basta con le sparizioni forzate e le fosse clandestine”.

Il Manifesto – edizione 17.03.2018Fabrizio Lorusso León (Messico) https://ilmanifesto.it/bugie-e-torture-in-messico-doppia-ingiustizia-per-i-43-studenti-desaparecidos/

 

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Più delle parole, la forza delle immagini di Simona Granati.

PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.
Migliaia di donne provenienti da tutto il mondo si incontrano dall’8 al 10 Marzo 2018 nel Caracol di Morelia con dibattiti e workshops. L’incontro è organizzato dalle donne zapatiste dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. https://simonagranati.photoshelter.com/gallery/PRIMO-INCONTRO-INTERNAZIONALE-POLITICO-ARTISTICO-SPORTIVO-E-CULTURALE-DELLE-DONNE-CHE-LOTTANO/G0000rYfFEyi2.Sw#.Wqo6RjrP1Iw.facebook

 

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Lei arriva all’8 marzo col volto cancellato, col nome nascosto. Con lei arrivano migliaia di donne. Ne arrivano sempre di più. Decine, centinaia, migliaia, milioni di donne in tutto il mondo ricordando che c’è ancora molto da fare, ricordando che bisogna lottare ancora molto. Perché risulta che la dignità è contagiosa e sono le donne le più propense ad ammalarsi di questa scomoda malattia… Questo 8 marzo è un buon pretesto per ricordare e dare la loro dimensione alle insorti zapatiste, alle zapatiste, a quelle armate e non armate.

 

12 Donne nell’Anno 12 (il secondo della guerra) 

11 marzo 1996

Nell’anno 12 dell’EZLN, lontano, a migliaia di chilometri da Pechino, 12 donne arrivano all’8 marzo 1996 con i loro volti cancellati…

  1. Ieri…

Dal volto fasciato di nero si vedono solo gli occhi e qualche ciocca di capelli. Nello sguardo la lucentezza di chi cerca. Una carabina M-1 al petto, in posizione “d’assalto”, ed una pistola in vita. Sul petto, a sinistra, luogo di speranze e convinzioni, porta i gradi di Maggiore di Fanteria di un esercito insorto che, da quell’alba gelida del primo gennaio 1994, si chiama Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Sotto il suo comando c’è la colonna ribelle che prende d’assalto l’antica capitale dello stato sudorientale messicano del Chiapas, San Cristóbal de Lasas Casas. Il parco centrale di San Cristóbal è deserto. Solo gli uomini e le donne indigene che comanda sono testimoni del momento in cui il Maggiore, donna, indigena tzotzil e ribelle, raccoglie la bandiera nazionale e la consegna ai capi della ribellione, il “Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno”. Via radio, il Maggiore comunica: “Abbiamo preso la bandiera. 10-23 passo”. Le ore 02:00, ora sudorientale del primo gennaio 1994. Le ore 01:00 dell’anno nuovo per il resto del mondo. Ha atteso dieci anni per dire quelle sette parole. Era arrivata sulle montagne dalla Selva Lacandona nel dicembre del 1984, a meno di venti anni e con in corpo tutta la storia di umiliazioni degli indigeni. A dicembre del 1984 questa donna dalla pelle bruna dice “Basta!”, ma lo dice così piano che solo lei lo sente. A gennaio del 1994 questa donna ed altre decine di migliaia di indigeni non dicono più, ma gridano “Basta!”, lo dicono tanto forte che tutto il mondo li sente…

Alla periferia di San Cristóbal un’altra colonna ribelle comandata da un uomo, l’unico di pelle chiara e naso grande tra gli indigeni che assaltano la città, ha appena occupato la stazione di polizia. Liberano dalle prigioni clandestine gli indigeni che trascorrevano l’anno nuovo rinchiusi per il reato più grave che esista nel sudest chiapaneco: essere povero. Il nome del Capitano Insurgente è Eugenio Asparuk, indigeno tzeltal e ribelle che, con quel naso enorme, guida la presa della stazione di polizia. Quando arriva il messaggio della Maggiore, il Capitano Insurgente Pedro, indigeno chol e ribelle, ha appena completato la presa del quartiere della Polizia Federale Stradale ed assicurato la strada che comunica San Cristóbal con Tuxtla Gutiérrez; il Capitano Insurgente Ubilio, indigeno tzeltal e ribelle, ha controllato gli accessi dal nord della città e preso il simbolo delle elemosine del governo agli indigeni, l’Istituto Nazionale Indigenista; il Capitano Insurgente Guglielmo, indigeno chol e ribelle, ha preso l’altura più importante della città, da lì domina a vista il silenzio stupefatto che si affaccia dalle finestre di case ed edifici; i capitani insurgentes Gilberto e Noé, indigeni tzotzil e tzeltal rispettivamente, ribelli allo stesso modo, prendono il quartiere della polizia giudiziaria statale, lo incendiano e vanno a mettere al sicuro la parte estrema della città che corrisponde al quartiere della 31a zona militare di Rancho Nuevo.

Alle 02:00, ora sudorientale del primo gennaio 1994, cinque ufficiali insurgentes, maschi, indigeni e ribelli, ascoltano via radio la voce del loro comandante, donna, indigena e ribelle, che dice “Abbiamo preso la bandiera, 10-23 passo”. Lo ripetono alle loro truppe, uomini e donne, tutti indigeni e ribelli, e traducono. “Cominciamo…”

Nel palazzo municipale, la Maggiore organizza la difesa della posizione e la protezione degli uomini e delle donne che in quel momento controllano la città, tutti sono indigeni e ribelli. Una donna in armi li protegge.

Tra i capi indigeni della ribellione c’è una donna piccola, la più piccola tra le piccole. Del viso fasciato di nero si vedono gli occhi e qualche ciocca di capelli. Nello sguardo la lucentezza di chi cerca. Un fucile corto calibro 12 a tracolla sulla schiena. Con il costume unico delle sandreseras, Ramona scende delle montagne insieme a centinaia di donne, in direzione della città di San Cristóbal l’ultima notte dell’anno 1993. Insieme a Susana ed altri uomini indigeni fa parte della direzione indio della guerra che vede l’alba del 1994, il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’EZLN. La comandante Ramona stupirà per statura e lucidità i mezzi internazionali di comunicazione quando apparirà nei Dialoghi della Cattedrale portando nel suo zaino la bandiera nazionale che la Maggiore aveva recuperato il primo gennaio. A quell’epoca Ramona non lo sa, e nemmeno noi, ma già porta nel corpo la malattia che le strappa la vita a morsi e le spegne la voce e lo sguardo. Ramona e la Maggiore, uniche donne nella delegazione zapatista che si mostra per la prima volta al mondo nei Dialoghi della Cattedrale, dichiarano: “Noi eravamo morte, non contavamo niente”, e lo dicono come tirando fuori i conti di umiliazioni e oblio. La Maggiore traduce a Ramona le domande dei giornalisti. Ramona annuisce e capisce, come se le risposte che le chiedono fossero state sempre lì, in quella figura piccola che ride dello spagnolo e del modo di essere delle cittadine. Ramona ride mentre non sa che sta morendo. Quando lo viene a sapere, continua a ridere. Prima non esisteva per nessuno, ora esiste, è donna, è indigena ed è ribelle. Ora Ramona vive, una donna di quel tipo che deve morire per vivere…

La Maggiore comprende che comincia la conquista delle strade di San Cristóbal. I suoi soldati organizzano la difesa dell’antica Jovel e la protezione degli uomini e delle donne che in quei momenti dormono, indigeni e meticci, tutti colti di sorpresa. La Maggiore, donna, indigena e ribelle, ha preso la città. Centinaia di indigeni in armi circondano l’antica Città Reale. Una donna in armi li comanda…

Minuti dopo cadrà nelle mani dei ribelli la città di Las Margaritas, ed ore dopo si arrendono le forze governative che difendono Ocosingo, Altamirano e Chanal. Huixtán e Oxchuc vengono prese da una colonna che avanza verso la prigione principale di San Cristóbal. Dopo le sette parole della Maggiore, sette capoluoghi sono nelle mani degli insorti.

La guerra attraverso la parola è cominciata…

In questi altri luoghi, altre donne, indigene e ribelli, rifanno il pezzo di storia che è toccato loro portare in silenzio fino a quel primo gennaio. Sono anche senza nome né volto:

Irma. Capitana Insurgente di Fanteria, l’indigena chol Irma guida una delle colonne guerrigliere che prendono la piazza di Ocosingo il primo gennaio 1994. Da uno dei lati del parco centrale ha attaccato, insieme ai combattenti al suo comando, la guarnigione che protegge il palazzo municipale fino alla sua resa. Allora Irma scioglie la sua treccia e l capelli le arrivano alla vita. Come se dicesse “sono qui, libera e nuova”, i capelli della capitana Irma brillano, e continuano a brillare quando la notte copre una Ocosingo ormai in mani ribelli…

Laura. Capitana Insurgente di Fanteria. Donna tzotzil, valorosa nel combattimento e nello studio, Laura arriva a diventare Capitana di una unità di soli maschi. Ma non è tutto, oltre ad essere uomini, la sua truppa è formata da reclute. Con pazienza, come la montagna che la vista crescere, Laura insegna ed impartisce ordini. Quando gli uomini al suo comando dubitano, lei da da esempio. Nessuna porta tanti pesi né cammina tanto quanto lei nella sua unità. Dopo l’attacco ad Ocosingo, repiega la sua unità, completa e in ordine. Questa donna di pelle chiara non ostenta nulla, ma tra le mani ha la carabina che ha strappato ad un poliziotto di quelli che guardavano le indigene solo per umiliarle o violentarle. Dopo essersi arreso, il poliziotto scappa in mutande; lui che fino a quel giorno pensava che le donne servivano solo per cucinare e partorire marmocchi…

Elisa. Capitana Insurgente di Fanteria. Come trofeo di guerra porta disseminate nel corpo alcune schegge di mortaio. Prende il comando della sua colonna nella rottura del cerchio di fuoco che riempie di sangue il mercato di Ocosingo. Il Capitano Benito è stato ferito ad un occhio e, prima di perdere conoscenza, informa ed ordina: “Mi hanno fottuto, prendi il comando Capitano Elisa”. La Capitana Elisa è già ferita quando riesce a tirare fuori dal mercato un pugno di combattenti. Quando impartisce ordini da Capitana Elisa, indigena tzeltal, sembra chiedere scusa… ma tutti le obbediscono…

Silvia. Capitana Insurgente di Fanteria, dieci giorni dentro la trappola in cui si era trasformata Ocosingo a partire dal 2 gennaio. In abiti civili sfugge per tra le strade di una città piena di federali, carri armati e cannoni. Viene fermata ad un posto di blocco. La lasciano passare quasi immediatamente. “Impossibile che una ragazza tanto giovane e tanto fragile sia ribelle”, dicono i soldati mentre la guardano allontanarsi. Quando si ricongiunge con la sua unità in montagna, l’indigena chol Silvia, ribelle zapatista, è triste. Con delicatezza le chiedo la causa della pena che le spegne il sorriso. “Là ad Ocosingo”, risponde abbassando lo sguardo, “là ad Ocosingo ho lasciato lo zaino con tutte le musicassete, ed ora non ne abbiamo più”. Sta in silenzio. Io non dico niente, mi unisco al suo dolore e capisco che in guerra ciascuno perde ciò che più ama…

Maribel. Capitana Insurgente di Fanteria. Prende la stazione radio di Las Margaritas quando la sua unità assalta il capoluogo il prima gennaio 1994, ha trascorso nove anni di vita sulle montagne per sedersi di fronte a quel microfono e dire: “Siamo il prodotto di 500 anni di lotte: primo contro la schiavitú…”. La trasmissione non va in onda per problemi tecnici e Maribel per coprirsi le spalle ripiega con l’unità che avanza su Comitán. Giorni dopo, scorterà il prigioniero di guerra, il generale Absalón Castellanos Domínguez. Maribel è tzeltal ed aveva meno di quindici anni quando arrivò sulle montagne del Sudest messicano. “Il momento più difficile di quei nove anni è stato quando ho dovuto scalare la prima altura, il colle dell’inferno, poi tutto è andato via liscio”, dice l’ufficiale ribelle. Nella consegna del generale Castellanos Domínguez, la Capitana Maribel è la prima ribelle che entra in contatto col governo. Il commissario Manuel Camacho Solís le stringe la mano e le chiede l’età: “502”, risponde Maribel che conta gli anni dalla nascita della ribellione…

Isidora. Insurgente di Fanteria. Isidora entra in Ocosingo il primo gennaio come soldato semplice. Come soldato semplice Isidora esce da Ocosingo in fiamme, per ore tira fuori la sua unità composta di soli uomini, con quaranta feriti. Ha schegge di granata nelle braccia e nelle gambe. Isidora raggiunge la postazione sanitaria e consegna i feriti, chiede un po’ d’acqua e si alza. “Dove vai?”, le chiedono mentre cercano di curarle le ferite che sanguinano sul viso e colorano di rosso l’uniforme. “A prendere gli altri”, dice Isidora mentre carica la sua arma. Tentano di fermarla ma non ci riescono, la soldatessa semplice Isidora ha detto che deve tornare ad Ocosingo a tirare fuori i compagni dalla musica di morte che cantano i mortai e le granate. La devono arrestare per fermarla. “La cosa buona è che se mi puniscono non possono degradarmi”, dice Isidora mentre è chiusa nella stanza che serve da prigione. Mesi dopo, quando le conferiscono la stella che la promuove ad ufficiale di fanteria, Isidora, tzeltal e zapatista, guarda la stella ed il comandante e chiede, come una bambina in castigo, “perché?”. Non aspetta la risposta.

Amalia. Sottotenente di Sanità. La risata più rapida del Sudest messicano, Amalia, prende il Capitano Benito dalla pozza di sangue in cui si trova incosciente e lo trascina fino ad un luogo sicuro. Se lo carica in spalla e lo porta fuori dalla cintura di morte che cinge il mercato. Quando qualcuno parla di arrendersi, Amalia, facendo onore al sangue chol che le scorre nelle vene, si arrabbia ed comincia a discutere. Tutti l’ascoltano, nonostante il fragore delle esplosioni e degli spari. Nessuno si arrende.

Elena. Tenente di Sanità. E’ arrivata nell’EZLN analfabeta. Qui ha imparato a leggere, a scrivere e a fare l’infermiera. Da curare diarree e vaccinare, Elena passa a curare ferite di guerra nel suo piccolo ospedale che è anche casa, magazzino e farmacia. Con difficoltà estrae i pezzi di mortaio conficcati nei corpi degli zapatisti che arrivano alla sua postazione sanitaria. “Alcuni si possono rimuovere ed altri no”, dice Elenita, chol ed insurgente, come se parlasse di ricordi e non di pezzi di piombo…

A San Cristóbal, già la mattina del 1° gennaio 1994, si comunica attraverso il grande naso dalla pelle chiara: “C’è una persona che sta facendo domande ma non capisco la lingua, sembra che parli inglese. Non so se è un giornalista ma ha una telecamera”. “Vado io”, dice il nasone e si infila il passamontagna.

Da un’auto prende le armi recuperate nella stazione di polizia e si dirige nel centro della città. Scaricano le armi e le distribuiscono agli indigeni che controllano il palazzo municipale. Lo straniero è un turista che domanda se può uscire dalla città. “No”, risponde il passamontagna dal naso sproporzionato, “è meglio che torni in hotel. Non sappiamo che cosa succederà.” Il turista straniero si ritira dopo aver chiesto il permesso di registrare un video. Nel frattempo la mattina avanza, arrivano curiosi, giornalisti e domande. Il naso risponde e spiega a locali, turisti e giornalisti. La Maggiore è dietro di lui. Il passamontagna parla e scherza. Una donna armata gli copre le spalle.

Un giornalista dietro una telecamera chiede: “E lei chi è?”. “Chi sono io?”, si chiede il passamontagna mentre lotta contro il sonno. “Sì”, insiste il giornalista, “si chiama `comandate tigre’ o `comandante leone’? “Ah! No”, risponde il passamontagna sfregandosi gli occhi con fastidio. “Allora, come si chiama?”, dice il giornalista mentre avvicina il microfono e la telecamera. Il passamontagna nasuto risponde: “Marcos. Subcomandante Marcos…”. In alto volteggiano gli aerei Pilatus…

A partire da lì, l’impeccabile azione militare della presa di San Cristóbal si dilegua, e con essa si cancella il fatto che è stata una donna, indigena e ribelle a comandare l’operativo. La partecipazione delle donne combattenti nelle altre azioni del primo gennaio e del lungo cammino decennale della nascita dell’EZLN resta relegata. Il volto cancellato dal passamontagna si cancella ancor di più quando i riflettori si concentrano su Marcos. La Maggiore non dice niente, continua a guardare le spalle a quel naso pronunciato che ora ha un nome per il resto del mondo. A lei nessuno chiede il nome…

All’alba del 2 gennaio 1994, questa donna guida il ripiegamento da San Cristóbal verso le montagne. Torna a San Cristóbal cinquanta giorni dopo, come parte della sicurezza dei delegati del CCRI-CG dell’EZLN al Dialogo della Cattedrale. Alcune giornaliste donne la intervistano e le chiedono il nome. “Ana María. Maggiore Insurgente Ana María”, risponde guardando con i suoi occhi scuri. Esce dalla Cattedrale e scompare per il resto del 1994. Come le altre sue compagne, deve aspettare e tacere…

A dicembre del 1994, dieci anni dopo essere stata soldato, Ana María riceve l’ordine di preparare la rottura dell’accerchiamento teso dalle forze governative intorno alla Selva Lacandona. All’alba del 19 dicembre, l’EZLN prende posizione in trentotto municipi. Ana María comanda l’azione nei municipi degli Altos del Chiapas. Dodici donne ufficiali sono con lei nell’azione: Mónica, Isabela, Yuri, Patricia, Juana, Ofelia, Celina, María, Gabriela, Alicia, Zenaida y María Luisa. Ana María stessa prende il capoluogo Bochil.

Dopo il ripiegamento zapatista, l’alto comando dell’esercito federale ordina che non si dica niente circa la rottura dell’accerchiamento e che ai media si dica che è solo un’azione propagandistica dell’EZLN. L’orgoglio dei federali è doppiamente ferito: gli zapatisti hanno rotto l’assedio e, oltretutto, era una donna a comandare l’unità che ha strappato loro il controllo di vari capoluoghi. Impossibile da ammettere, bisogna spendere un sacco di soldi affinché l’azione non venga portata a conoscenza del pubblico.

Una volta per l’azione involontaria dei suoi compagni d’armi, un’altra per l’azione deliberata del governo, Ana María, e con lei le donne zapatiste, vengono minimizzata e rimpicciolite …

  1. Oggi…

Sto finendo di scrivere questo testo quando viene da me…

Doña Juanita. Morto il vecchio Antonio, doña Juanita si lascia andare alla vita con la stessa lentezza con cui prepara il caffè. Forte ancora nel corpo, doña Juanita ha annunciato che morirà. “Non dica sciocchezze, nonna”, le dico evitando il suo sguardo. “Ehi tu, guarda”, risponde, “se per vivere moriamo, nessuno mi impedirà di vivere. E tanto meno un ragazzino come te”, dice e rimprovera la nonna doñ Juanita, la moglie del vecchio Antonio, una donna ribelle per tutta la sua vita e, come si vede, anche per tutta la sua morte…

Nel frattempo, dall’altro lato dell’accerchiamento, appare…

Lei. Non ha grado militare, né uniforme né armi. È zapatista ma solo lei lo sa. Non ha volto né nome, come le zapatiste. Lotta per democrazia, libertà e giustizia, come le zapatiste. Fa parte di quello che l’EZLN chiama “società civile”, gente senza partito, gente che non appartiene alla “società politica” composta da governanti e dirigenti di partiti politici. Fa parte di quel diffuso, ma reale, che è la parte della società che dice, “Basta!”. Anche lei ha detto “Basta!”. Al principio si è sorprese lei stessa di queste parole, ma poi, a forza di ripeterle e, soprattutto, di viverle, a smesso di avere paura, di tenersi la paura. Lei ora è zapatista, ha unito il suo destino a quello degli zapatisti in questo nuovo delirio che tanto atterrisce partiti politici ed intellettuali del potere, il Fronte Zapatista di Liberazione Nazionale. Ha già combattuto contro tutti, contro suo marito, il suo amante, il suo fidanzato, i suoi figli, il suo amico, suo fratello, suo padre, suo nonno. “Sei pazza”, è stato il giudizio unanime. Non è poco quello che si lascia dietro. La sua rinuncia, se si trattasse di dimensione, è più grande di quella delle insorte che non hanno niente da perdere. Il suo tutto, il suo mondo, le dice di dimenticarsi di “quei pazzi zapatisti” ed il conformismo la invita a sedersi nella comoda indifferenza del farsi i fatti propri. Lascia tutto. Lei non dice niente. Presto, di buon mattino, affila la tenera punta della speranza ed emula il primo gennaio dei suoi fratelli zapatisti molte volte in uno stesso giorno che, almeno 364 volte all’anno, non ha niente a che vedere con il primo di gennaio.

Lei sorride, ammirava le zapatiste ma ora non più. Ha smesso di ammirarle nel momento in cui si è resa conto che erano solo lo specchio della sua ribellione, della sua speranza.

Lei scopre di essere nata il primo gennaio del 1994. Da allora sente che è viva e che quello che le hanno sempre detto essere sogno e utopia, può essere vero.

Lei conserva in silenzio e senza alcun guadagno, insieme ad altre ed altri, questo complicato sogno che alcuni chiamano speranza: quel per tutti tutto, niente per noi.

Lei arriva all’8 di marzo col volto cancellato, col nome nascosto. Con lei arrivano migliaia di donne. Ne arrivano sempre di più. Decine, centinaia, migliaia, milioni di donne in tutto il mondo ricordando che c’è ancora molto da fare, ricordando che bisogna lottare ancora molto. Perché risulta che la dignità è contagiosa e sono le donne le più propense ad ammalarsi di questa scomoda malattia…

Questo 8 marzo è un buon pretesto per ricordare e dare la loro dimensione alle insorti zapatiste, alle zapatiste, a quelle armate e non armate.

Alle donne messicane ribelli e scomode che si ostinano a sottolineare che la storia, senza di loro, non è altro che una storia fatta male…

  1. Domani…

Se c’è, sarà con loro e, soprattutto, per loro…

 

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/1996/03/11/12-mujeres-en-el-ano-12-segundo-de-la-guerra/

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PAROLE A NOME DELLE DONNE ZAPATISTE ALL’INIZIO DEL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO. 

8 marzo 2018. Caracol della zona Tzots Choj.

 

BUONGIORNO SORELLE DEL MESSICO E DEL MONDO:

BUONGIORNO COMPAGNE DELLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

BUONGIORNO COMPAGNE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:

BUONGIORNO COMPAGNE COMANDANTI, BASI DI APPOGGIO, AUTORITÀ AUTONOME, RESPONSABILI DI AREA, MILIZIANE E INSURGENTAS:

PRIMA DI TUTTO, VOGLIAMO INVIARE UN GRANDE ABBRACCIO ALLA FAMIGLIA DELLA COMPAGNA DELLA BASSA CALIFORNIA SUD, ELISA VEGA CASTRO, DELLE RETI DI SUPPORTO AL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO, CHE È MORTA MENTRE ACCOMPAGNAVA LA DELEGAZIONE DEL CIG IL 14 FEBBRAIO SCORSO.

ABBIAMO ASPETTATO FINO AD OGGI PER OMAGGIARE LA MEMORIA DI ELOISA IN MODO CHE IL NOSTRO ABBRACCIO FOSSE ANCORA PIÙ GRANDE E ARRIVASSE LONTANO, FINO DALL’ALTRA PARTE DEL MESSICO.

E QUESTO ABBRACCIO E QUESTO OMAGGIO SONO GRANDI PERCHÉ SONO DI TUTTE LE ZAPATISTE E DI TUTTI GLI ZAPATISTI QUI PRESENTI OGGI, 8 MARZO, PER QUESTA DONNA CHE HA LOTTATO E CI MANCA: ELOISA VEGA CASTRO. ALLA SUA FAMIGLIA VA TUTTO IL NOSTRO AFFETTO.

SORELLE E COMPAGNE CHE CI FATE VISITA:

GRAZIE A TUTTE COLORO CHE SONO GIÀ QUI PRESENTI PER QUESTO PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

GRAZIE PER AVER FATTO LO SFORZO DI VENIRE QUI IN QUESTO ANGOLO IN CUI CI TROVIAMO DA TUTTE LE PARTI DEL MONDO.

SAPPIAMO BENE CHE NON È STATO FACILE ARRIVARE FINO A QUI E CHE PROBABILMENTE MOLTE DONNE NON SONO RIUSCITE A VENIRE ALL’INCONTRO.

IL MIO NOME È INSURGENTA ERIKA, PERCHÉ COSÌ CI CHIAMIAMO NOI INSURGENTAS QUANDO NON PARLIAMO DI INDIVIDUI MA DEL COLLETTIVO. SONO CAPITANA INSURGENTA DI FANTERIA E MI ACCOMPAGNANO ALTRE COMPAGNE INSURGENTAS E MILIZIANE DI DIVERSI GRADI.

IL NOSTRO LAVORO SARÀ CONTROLLARE QUESTO LUOGO, AFFINCHÉ CI SIANO SOLO DONNE, SENZA LASCIARE CHE SI INTRODUCA ALCUN UOMO. PERCHÉ LO SAPPIAMO CHE SONO DEI VOLPONI.

QUINDI CI VEDRETE ANDARE DA TUTTE LE PARTI ED È PER CONTROLLARE CHE GLI UOMINI NON SI INFILTRINO E SE NE BECCHIAMO UNO LO PRENDIAMO E LO BUTTIAMO FUORI PERCHÉ È STATO DETTO CHIARAMENTE CHE GLI UOMINI NON SONO INVITATI E PER QUESTO GLI TOCCA STARE FUORI, POI AVRANNO TEMPO DI CAPIRE COSA È SUCCESSO QUI.

VOI POTETE ANDARE DOVE VOLETE. POTETE USCIRE O ENTRARE QUANTE VOLTE VOLETE, AVETE SOLO BISOGNO DEL PASS E BASTA. GLI UOMINI INVECE NON POSSONO ENTRARE FINO ALLA FINE DELL’INCONTRO.

CI SONO ANCHE LE COMPAGNE PROMOTRICI DI SALUTE E ALCUNE DOTTORESSE. QUINDI SE QUALCUNA SI AMMALA O NON SI SENTE BENE, BASTA CHE LO DICA A CHIUNQUE DI NOI E AVVISEREMO RAPIDAMENTE AFFINCHÉ VENGANO CONSULTATE DALLE PROMOTRICI E SE NECESSARIO DALLA DOTTORESSA E NEL CASO ABBIAMO UN’AMBULANZA PRONTA A PORTARVI ALL’OSPEDALE.

CI SONO ANCHE COMPAGNE COORDINATRICI, TECNICHE DEL SUONO, DELLA LUCE SEMPRE CHE FUNZIONI, DELL’IGIENE, DELL’IMMONDIZIA E DEI BAGNI E PER FAR SÌ CHE QUESTE COMPAGNE POSSANO PARTECIPARE ANCHE LORO ALL’INCONTRO, VI CHIEDIAMO DI PRENDERVI CURA DELLA SPAZZATURA, DELL’IGIENE E DEI BAGNI.

OGGI SIAMO IN TANTE MA È COME SE FOSSIMO UNA SOLA PERSONA AD ACCOGLIERVI AFFINCHÈ VI SENTIATE MEGLIO CHE POTETE SECONDO LE NOSTRE CONDIZIONI.

SORELLE E COMPAGNE:

LA NOSTRA PAROLA È COLLETTIVA, PER QUESTO LE MIE COMPAGNE SONO QUI CON ME.

MI TOCCA LEGGERE, MA QUESTA PAROLA LA PRONUNCIAMO IN COLLETTIVO CON TUTTE LE COMPAGNE CHE ORGANIZZANO E COORDINANO QUESTO INCONTRO.

PER NOI DONNE ZAPATISTE È UN GRANDE ORGOGLIO ESSERE QUI CON VOI E VI RINGRAZIAMO PERCHÉ CI AVETE OFFERTO UNO SPAZIO PER CONDIVIDERE CON VOI LE NOSTRE PAROLE DI LOTTA COME DONNE ZAPATISTE.

VISTO CHE PARLO A NOME DELLE MIE COMPAGNE, LA MIA PAROLA SARÀ UN MISCUGLIO PERCHÉ SIAMO DI ETÀ DIVERSE E DI VARIE LINGUE, E ABBIAMO STORIE DIVERSE.

PERCHÉ HO LAVORATO COME SERVA IN UNA CASA IN CITTÀ PRIMA DELLA SOLLEVAZIONE, E POI SONO CRESCIUTA CON LA RESISTENZA ZAPATISTA E LA RIBELLIONE ZAPATISTE DELLE NOSTRE NONNE, MAMME E SORELLE MAGGIORI.

HO COMUNQUE VISTO COME ERA LA SITUAZIONE DEI NOSTRI POPOLI PRIMA DELLA LOTTA, UNA SITUAZIONE MOLTO DIFFICILE DA SPIEGARE CON PAROLE E ANCOR PIÙ DIFFICILE DA VIVERE, VISTO COME MORIVANO PER MALATTIE CURABILI I BAMBINI E LE BAMBINE, I GIOVANI, GLI ADULTI, GLI ANZIANI E LE ANZIANI.

E TUTTO PER MANCANZA DI CURE MEDICHE, DI UNA BUONA ALIMENTAZIONE, DI ISTRUZIONE.

MA MORIVAMO ANCHE PER ESSERE DONNE E MORIVAMO DI PIÙ.

NON C’ERANO ANCORA LE CLINICHE, O SE C’ERANO ERANO LONTANE. E I MEDICI DEL MALGOVERNO NON CI CURANO PERCHÉ NON SAPPIAMO PARLARE SPAGNOLO E PERCHÉ NON ABBIAMO SOLDI.

NELLA CASA IN CUI HO LAVORATO COME SERVA NON AVEVO UNO STIPENDIO, NON SAPEVO PARLARE SPAGNOLO E NON HO POTUTO STUDIARE, HO A MALAPENA IMPARATO UN PO’ A PARLARE.

POI APPRESI CHE C’ERA UN’ORGANIZZAZIONE CHE LOTTAVA E INIZIAI A PARTECIPARE COME BASE D’APPOGGIO. USCIVO DI NOTTE A STUDIARE E TORNAVO AL SORGERE DEL SOLE PERCHÉ A QUEI TEMPI NESSUNO SAPEVA DELLA LOTTA CHE FACEVAMO PERCHÉ ERA TUTTO CLANDESTINO.

A QUEI TEMPI PARTECIPAVO A LAVORI COLLETTIVI CON ALTRE DONNE ZAPATISTE COME L’ARTIGIANATO, LA RACCOLTA DEI FAGIOLI, IL LAVORO NEI CAMPI E L’ALLEVAMENTO DI BESTIAME.

E FACEVAMO TUTTO CLANDESTINAMENTE, SE AVEVAMO INCONTRI O RIFLESSIONI POLITICHE, DOVEVAMO DIRLO IN UN ALTRO MODO, ALCUNI NON SAPEVANO NULLA, NEANCHE ALL’INTERNO DELLE PROPRIE FAMIGLIE.

MA SONO ANCHE NATA E CRESCIUTA DOPO L’INIZIO DELLA GUERRA.

SONO NATA E CRESCIUTA CON LE PATTUGLIE MILITARI CHE SI AGGIRANO PER LE NOSTRE COMUNITÀ E LE NOSTRE STRADE, ASCOLTANDO I SOLDATI DIRE VOLGARITA’ ALLE DONNE SOLO PER IL FATTO CHE LORO SONO SOLDATI ARMATI E NOI SIAMO DONNE.

MA NON ABBIAMO AVUTO PAURA IN COLLETTIVO, ABBIAMO INVECE DECISO DI LOTTARE E SOSTENERCI IN COLLETTIVO COME DONNE ZAPATISTE.

COSÌ ABBIAMO IMPARATO CHE SIAMO IN GRADO DI DIFENDERCI E CHE POSSIAMO DIRIGERE.

E NON ERANO SOLO PAROLE, ABBIAMO DAVVERO PRESO LE ARMI E COMBATTUTO IL NEMICO, E IN VERITÀ ABBIAMO PRESO IL COMANDO E GUIDATO LOTTE CON TRUPPE COMPOSTE IN MAGGIORANZA DA UOMINI.

E CI HANNO OBBEDITO PERCHÉ NON IMPORTAVA SE FOSSI UN UOMO O UNA DONNA, MA CHE FOSSI DECISA A COMBATTERE SENZA ARRENDERTI, SENZA VENDERTI E SENZA CEDERE.

E SEBBENE NON AVESSIMO STUDIATO, AVEVAMO TANTA RABBIA, MOLTO CORAGGIO DATO DA TUTTI I TORTI CHE CI HANNO FATTO.

PERCHÉ HO VISSUTO IL DISPREZZO, L’UMILIAZIONE, LE DERISIONI, LE VIOLENZE, I COLPI, LE MORTI PER IL FATTO DI ESSERE DONNA, DI ESSERE INDIGENA, DI ESSERE POVERA E ORA DI ESSERE ZAPATISTA.

E SAPPIATE CHE NON ERA SEMPRE UN UOMO CHI MI SFRUTTAVA, MI DERUBAVA, MI UMILIAVA, MI COLPIVA, MI DISPREZZAVA, MI AMMAZZAVA.

MOLTE VOLTE ERANO ANCHE DONNE. E FANNO ANCORA COSÌ.

E SONO CRESCIUTA ANCHE CON LA RESISTENZA E HO VISTO COME LE MIE COMPAGNE HANNO MESSO IN PIEDI LE SCUOLE, LE CLINICHE, I LAVORI COLLETTIVI E I GOVERNI AUTONOMI.

E HO VISTO LE FESTE PUBBLICHE, DOVE TUTTE SAPEVANO DI ESSERE ZAPATISTE E SAPEVAMO DI ESSERE INSIEME.

E HO VISTO CHE LA RIBELLIONE, CHE LA RESISTENZA, CHE LA LOTTA, SONO ANCHE UNA FESTA, SEBBENE A VOLTE NON CI SIANO NÉ MUSICA NÉ BALLI E CI SIA SOLO IL PESO DEL LAVORO, DELLA PREPARAZIONE, DELLA RESISTENZA.

E HO VISTO CHE DOVE PRIMA SI POTEVA SOLO MORIRE PER IL FATTO DI ESSERE INDIGENE, DI ESSERE POVERE, DI ESSERE DONNE, ABBIAMO COSTRUITO COLLETTIVAMENTE UN NUOVO PERCORSO DI VITA: LA LIBERTÀ, LA NOSTRA LIBERTÀ.

E HO VISTO CHE DOVE PRIMA AVEVAMO SOLO LA CASA E IL CAMPO, ORA ABBIAMO SCUOLE, CLINICHE, LAVORO COLLETTIVO IN CUI COME DONNE FACCIAMO FUNZIONARE MACCHINARI E DIRIGIAMO LA LOTTA, NON SENZA ERRORI, MA STIAMO ANDANDO AVANTI, SENZA CHE NESSUNO CI DICA COME DOBBIAMO FARE A PARTE NOI STESSE.

E ADESSO VEDO CHE SIAMO ANDATE AVANTI, ANCHE SE DI POCO MA È PUR QUALCOSA.

E NON CREDETE CHE SIA STATO FACILE. È COSTATO E CONTINUA A COSTARE MOLTO.

E NON SOLO PER COLPA DEL FOTTUTO SISTEMA CAPITALISTA CHE CI VUOLE DISTRUGGERE, MA ANCHE PERCHÉ DOBBIAMO LOTTARE CONTRO IL SISTEMA CHE FA CREDERE E PENSARE AGLI UOMINI CHE NOI DONNE SIAMO INFERIORI E NON SERVIAMO A NULLA.

E A VOLTE, BISOGNA DIRLO, PERSINO TRA DONNE CI SFOTTIAMO E CI PARLIAMO MALE, VALE A DIRE CHE NON CI RISPETTIAMO.

PERCHÉ NON SOLO GLI UOMINI, ANCHE LE DONNE DI CITTÀ CI DISPREZZANO PERCHÉ NON CONOSCIAMO LA LOTTA DELLE DONNE, PERCHÈ NON ABBIAMO LETTO LIBRI IN CUI LE FEMMINISTE SPIEGANO COME DEVONO ESSERE LE COSE E TUTTO QUELLO CHE DICONO E CRITICANO SENZA SAPERE COM’È LA NOSTRA LOTTA.

PERCHE UNA COSA È ESSERE DONNA, UN’ALTRA È ESSERE POVERA E ANCORA UN’ALTRA COSA È ESSERE INDIGENA. E LE DONNE INDIGENE CHE MI ASCOLTANO LO SANNO BENE. ED È QUALCOSA DI ANCORA MOLTO DIVERSO ESSERE DONNA INDIGENA ZAPATISTA.

E CHIARAMENTE SAPPIAMO CHE CI MANCA ANCORA MOLTO, MA VISTO CHE SIAMO DONNE ZAPATISTE, NON CI ARRENDIAMO, NON CI VENDIAMO E NON CAMBIAMO IL NOSTRO PERCORSO DI LOTTA, VALE A DIRE CHE NON CEDIAMO.

E COSA POSSIAMO FARE? POTETE VEDERLO IN QUESTO INCONTRO, PERCHÉ L’ABBIAMO ORGANIZZATO TRA DI NOI DONNE ZAPATISTE.

PERCHÉ NON È UN’IDEA QUALUNQUE.

DA QUALCHE MESE, QUANDO IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E IL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO HANNO DICHIARATO CHE COME DONNE AVREMMO DETTO DI NON AVERE PAURA O CHE, ANCHE SE L’ABBIAMO LA CONTROLLIAMO, ABBIAMO INIZIATO A PENSARE CHE COLLETTIVAMENTE AVREMMO DOVUTO FARE QUALCOSA.

QUINDI IN TUTTE LE ZONE, ALL’INTERNO DI TUTTI I COLLETTIVI DI DONNE, GRANDI E PICCOLI, ABBIAMO INIZIATO A DISCUTERE SUL DA FARSI COME DONNE ZAPATISTE.

E DURANTE IL COMPARTE DELL’ANNO SCORSO È NATA L’IDEA CHE NOI DONNE ZAPATISTE AVREMMO PARLATO E ONORATO IL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO DA SOLE. E COSÌ È STATO, PERCHÉ SIAMO NOI DONNE AD ACCOGLIERE LE NOSTRE COMPAGNE DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E LA PORTAVOCE MARICHUY QUI PRESENTE.

MA NON SOLO, ANCHE ALL’INTERNO DEI COLLETTIVI ABBIAMO PENSATO E DISCUSSO SUL FATTO CHE DOVREMMO FARE DI PIÙ VEDENDO QUEL CHE STA SUCCEDENDO.

QUEL CHE VEDIAMO, SORELLE E COMPAGNE, È CHE CI STANNO AMMAZZANDO.

E CHE CI UCCIDONO PERCHÉ SIAMO DONNE.

COME SE FOSSE UN CRIMINE E CI STESSERO CONDANNANDO A MORTE.

QUINDI ABBIAMO PENSATO DI ORGANIZZARE QUESTO INCONTRO E INVITARE TUTTE LE DONNE CHE LOTTANO.

ED ECCO PERCHÉ L’ABBIAMO PENSATO:

SONO VENUTE DONNE DA DIVERSE PARTI DEL MONDO.

CI SONO DONNE CHE HANNO STUDIATO, CHE HANNO IL DOTTORATO, LA LAUREA, CI SONO INGEGNERE, SCIENZIATE, MAESTRE, STUDENTESSE, ARTISTE, DIRIGENTI.

ECCO, NON ABBIAMO MOLTO, ALCUNE DI NOI PARLANO A MALAPENA LO SPAGNOLO.

VIVIAMO IN QUESTE MONTAGNE, LE MONTAGNE DEL SUD-EST MESSICANO.

QUI SIAMO NATE, QUI SIAMO CRESCIUTE. QUI LOTTIAMO. QUI MORIREMO.

E VEDIAMO AD ESEMPIO QUEGLI ALBERI LAGGIÙ CHE VOI CHIAMATE “FORESTA” E NOI CHIAMIAMO “MONTAGNA”.

E SAPPIAMO CHE IN QUELLA FORESTA, SU QUELLA MONTAGNA, CI SONO MOLTI ALBERI DIVERSI.

E SAPPIAMO CHE CI SONO, AD ESEMPIO, L’OCOTE E IL PINO, CHE CI SONO IL CAOBA, IL CEDRO, IL BAYALTÉ E CI SONO MOLTI ALTRI TIPI DI ALBERI.

MA SAPPIAMO ANCHE CHE OGNI PINO E OGNI OCOTE NON È LO STESSO, CIASCUNO È DIVERSO.

LO SAPPIAMO, SÌ, MA QUANDO LA VEDIAMO COSÌ LA CHIAMIAMO FORESTA O MONTAGNA.

BENE, SIAMO QUI COME UNA FORESTA O COME UN MONTE.

SIAMO TUTTE DONNE.

MA SAPPIAMO CHE CI SONO DONNE DI DIVERSI COLORI, ALTEZZE, LINGUE, CULTURE, PROFESSIONI, PENSIERI E FORME DI LOTTA.

MA DICIAMO CHE SIAMO DONNE, CHE SIAMO DONNE CHE LOTTANO.

QUINDI SIAMO DIVERSE MA SIAMO UGUALI.

E NONOSTANTE CI SIANO DONNE CHE LOTTANO CHE NON SONO QUI ORA, NOI PENSIAMO A LORO ANCHE SE NON LE VEDIAMO.

E SAPPIAMO ANCHE CHE CI SONO DONNE CHE NON COMBATTONO, CHE SI ADATTANO, VALE A DIRE CHE SI LASCIANO ANDARE.

QUINDI POSSIAMO DIRE CHE CI SONO DONNE IN TUTTO IL MONDO, UNA FORESTA DI DONNE, E CHE QUEL CHE LE RENDE UGUALI È L’ESSERE DONNA.

MA NOI, COME DONNE ZAPATISTE, VEDIAMO QUALCOS’ALTRO CHE STA SUCCEDENDO. E SI TRATTA DEL FATTO CHE A RENDERCI UGUALI CI SONO ANCHE LA VIOLENZA E LA MORTE.

ECCO LA MODERNITÀ DI QUESTO FOTTUTO SISTEMA CAPITALISTA. VEDIAMO CHE HA FATTO DIVENTARE FORESTA LE DONNE DI TUTTO IL MONDO CON LA SUA VIOLENZA E LA SUA MORTE CHE HANNO IL VOLTO, IL CORPO E LA TESTA IDIOTA DEL PATRIARCATO.

QUINDI VI ABBIAMO INVITIATE PER PARLARCI, PER ASCOLTARCI, PER GUARDARCI, PER FESTEGGIARCI.

ABBIAMO PENSATO DI STARE SOLO TRA DONNE PER POTERCI PARLARE, ASCOLTARE, GUARDARE E FESTEGGIARE SENZA LO SGUARDO DEGLI UOMINI, NON IMPORTA CHE SIANO SONO BUONI O CATTIVI.

L’IMPORTANTE È CHE SIAMO DONNE E CHE SIAMO DONNE CHE LOTTANO, VALE A DIRE CHE NON CI ADATTIAMO A QUEL CHE STA SUCCEDENDO E OGNUNA, CON I PROPRI MODI, CON I PROPRI RITMI E I PROPRI LUOGHI, LOTTA E SI RIBELLA. SI INCAZZA INSOMMA E FA QUALCOSA.

QUINDI, SORELLE E COMPAGNE, POSSIAMO SCEGLIERE COSA FARE DURANTE QUESTO INCONTRO.

INSOMMA POSSIAMO DECIDERE.

POSSIAMO SCEGLIERE DI FARE A GARA PER VEDERE CHI È PIÙ IN GAMBA, CHI PARLA MEGLIO, CHI È PIÙ RIVOLUZIONARIA, CHI È PIÙ PENSATRICE, CHI È PIÙ RADICALE, CHI È PIÙ EDUCATA, CHI È PIÙ EMANCIPATA, CHI È PIÙ BELLA, CHI È PIÙ BUONA, CHI BALLA MEGLIO, CHI DISEGNA MEGLIO, CHI CANTA MEGLIO, CHI È PIÙ DONNA, CHI VINCE NELLO SPORT, CHI LOTTA DI PIÙ.

IN OGNI CASO NON CI SARANNO UOMINI A DIRCI CHI VINCE E CHI PERDE. SOLO NOI.

O POSSIAMO ASCOLTARE E PARLARE CON RISPETTO COME DONNE IN LOTTA, POSSIAMO DEDICARCI ALLA DANZA, ALLA MUSICA, AL CINEMA, AL VIDEO, ALLA PITTURA, ALLA POESIA, AL TEATRO, ALLA SCULTURA, AL DIVERTIMENTO, AL SAPERE E ALIMENTARE COSÌ LE LOTTE CHE PORTIAMO AVANTI DOVE VIVIAMO.

QUINDI POSSIAMO SCEGLIERE, SORELLE E COMPAGNE.

O FACCIAMO A GARA TRA DI NOI E ALLA FINE DELL’INCONTRO, QUANDO TORNEREMO AI NOSTRI MONDI, CI RENDEREMO CONTO CHE NESSUNA HA VINTO.

O DECIDIAMO DI COMBATTERE INSIEME, CON LE NOSTRE DIFFERENZE, CONTRO IL SISTEMA CAPITALISTA PATRIARCALE CHE CI VIOLENTA E AMMAZZA.

QUI NON IMPORTA L’ETÀ, SE SIETE SPOSATE OPPURE NO, SE SIETE VEDOVE O DIVORZATE, SE VENITE DALLA CITTÀ O DALLA CAMPAGNA, SE SIMPATIZZATE PER I PARTITI, SE SIETE LESBICHE, ASESSUATE O TRANSGENDER O COME VOGLIATE DEFINIRVI, SE STUDIATO O MENO, SE SIETE FEMMINISTE OPPURE NO.

SIETE TUTTE BENVENUTE E, COME DONNE ZAPATISTE, VI ASCOLTEREMO, VI GUARDEREMO E VI PARLEREMO CON RISPETTO.

CI SIAMO ORGANIZZE AFFINCHÉ IN TUTTE LE ATTIVITÀ, PROPRIO TUTTE, CI SIA QUALCUNA DI NOI CHE PORTA IL MESSAGGIO ALLE NOSTRE COMPAGNE DEI VILLAGGI E DELLE COMUNITÀ.

ORGANIZZEREMO UN TAVOLO SPECIALE PER ACCOGLIERE LE VOSTRE CRITICHE, LÌ POTRETE DIRE QUELLO CHE VEDETE CHE ABBIAMO FATTO O CHE FACCIAMO MALE.

OSSERVEREMO E ANALIZZEREMO E, SE IN EFFETTI È COME DITE, VEDREMO COME FARE PER MIGLIORARE.

ALTRIMENTI, IN OGNI CASO PENSEREMO AL PERCHÉ CE L’AVETE DETTO.

QUEL CHE NON FAREMO È DARE LA COLPA AGLI UOMINI O AL SISTEMA PER GLI ERRORI CHE SONO NOSTRI.

PERCHÉ LA LOTTA PER LA LIBERTÀ COME DONNE ZAPATISTE È NOSTRA.

NON È COMPITO DEGLI UOMINI O DEL SISTEMA DARCI LA NOSTRA LIBERTÀ.

AL CONTRARIO, IL COMPITO DEL SISTEMA CAPITALISTA È MANTENERCI SOTTOMESSE.

SE VOGLIAMO ESSERE LIBERE, DOBBIAMO CONQUISTARCI LA LIBERTÀ NOI STESSI IN QUANTO DONNE.

VI OSSERVEREMO E ASCOLTEREMO CON RISPETTO, COMPAGNE E SORELLE.

DI TUTTO QUELLO CHE POTREMO OSSERVARE E ASCOLTARE, SAPREMO PRENDERE QUELLO CHE CI AIUTA NELLA NOSTRA LOTTA COME DONNE ZAPATISTE, E LASCIARE DA PARTE QUEL CHE NON CI AIUTA.

MA NOI NON GIUDICHIAMO NESSUNO.

NON DIREMO CHE UNA COSA VA BENE O NON VA BENE.

NON VI ABBIAMO INVITATE PER GIUDICARVI.

NÉ VI ABBIAMO INVITATE PER COMPETERE.

VI ABBIAMO INVITATE PER TROVARCI, UGUALI EPPURE DIVERSE

QUI CI SONO COMPAGNE ZAPATISTE DI DIVERSE LINGUE TRADIZIONALI. ASCOLTERETE LE PAROLE COLLETTIVE DELLE DONNE DI OGNI ZONA.

NON CI SIAMO TUTTE.

SIAMO MOLTE DI PIÙ, COME PURE LA NOSTRA RABBIA E IL NOSTRO CORAGGIO.

MA LA NOSTRA RABBIA E LA NOSTRA LOTTA NON SONO SOLO PER NOI, MA PER TUTTE LE DONNE VIOLENTATE, ASSASSINATE, ABUSATE, COLPITE, INSULTATE, DISPREZZATE, DERISE, SCOMPARSE, PRIGIONIERE.

QUINDI, COMPAGNA E SORELLA, NON TI CHIEDIAMO DI VENIRE A LOTTARE PER NOI, COSÌ COME NON VERREMO A COMBATTERE PER TE.

OGNUNA HA IL PROPRIO STILE, I PROPRI MODI E I PROPRI TEMPI.

L’UNICA COSA CHE VI CHIEDIAMO È DI CONTINUARE A LOTTARE, DI NON ARRENDERVI, DI NON VENDERVI, DI NON RINUNCIARE AD ESSERE DONNE CHE COMBATTONO.

E PER CONCLUDERE VI CHIEDIAMO QUALCOSA DI SPECIALE PER QUESTI GIORNI CHE PASSERETE CON NOI.

DA VARIE PARTI DEL MESSICO E DEL MONDO SONO VENUTE ANCHE SORELLE E COMPAGNE DI UNA CERTA ETÀ, “DI GIUDIZIO” LE CHIAMIAMO DA QUESTE PARTI.

SONO DONNE CHE LOTTANO DA MOLTI ANNI.

VI CHIEDIAMO DI AVERE UN RISPETTO E UNA CONSIDERAZIONE SPECIALE, PERCHÉ VOGLIAMO DIVENTARE COME LORO, SAPERE CHE CONTINUEREMO A LOTTARE ANCHE QUANDO AVREMO UNA CERTA ETÀ.

VOGLIAMO DIVENTARE ANZIANE E POTER DIRE CHE ABBIAMO TANTI ANNI E CHE OGNI ANNO VUOL DIRE UN ANNO DI LOTTA.

MA PER QUESTO DOBBIAMO RIMANERE VIVE.

PER CIO’ QUESTO INCONTRO È PER LA VITA.

E NESSUNO CE LA REGALERÀ, SORELLE E COMPAGNE.

NÉ DIO, NÉ L’UOMO, NÉ IL PARTITO, NÉ UN SALVATORE, NÉ UN CAPO, NÉ UN COMANDANTE, NÉ UNA COMANDANTA, NÉ UNA CAPA.

DOBBIAMO LOTTARE PER LA VITA.

INSOMMA, COSÌ CI È TOCCATO, A NOI COME A VOI SORELLE E COMPAGNE, E A TUTTE LE DONNE CHE COMBATTONO.

FORSE, QUANDO L’INCONTRO SARÀ FINITO, QUANDO TORNERETE AI VOSTRI MONDI, AI VOSTRI TEMPI, AI VOSTRI MODI, QUALCUNO VI CHIEDERÀ SE SARA’ STATA PRESA QUALCHE DECISIONE. PERCHÉ SONO MOLTO DIVERSI I PENSIERI CHE SONO ARRIVATI IN QUESTE TERRE ZAPATISTE.

FORSE, RISPONDERETE DI NO.

O FORSE RISPONDERETE DI SI`, CHE ABBIAMO PRESO UNA DECISIONE.

E FORSE, QUANDO VI CHIEDERANNO QUALE SIA LA DECISIONE, DIRETE: “ABBIAMO DECISO DI VIVERE, E VISTO CHE PER NOI VIVERE SIGNIFICA LOTTARE, ABBIAMO DECISO DI LOTTARE OGNUNA A MODO SUO, SECONDO IL PROPRIO LUOGO E CON I PROPRI TEMPI”.

E FORSE RISPONDERETE ANCHE “E ALLA FINE DELL’INCONTRO ABBIAMO DECISO DI TROVARCI L’ANNO PROSSIMO IN TERRE ZAPATISTE PERCHÉ CI HANNO INVITATE DI NUOVO”.

È TUTTO QUELLO CHE VOLEVAMO DIRE, GRAZIE PER AVERCI ASCOLTATO.

VIVA TUTTE LE DONNE DEL MONDO!

A MORTE IL SISTEMA PATRIARCALE!

 

Dalle montagne del sud-est messicano.

Le donne zapatiste.

8 marzo 2018, Chiapas, Messico, Mondo.

 

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/03/08/palabras-a-nombre-de-las-mujeres-zapatistas-al-inicio-del-primer-encuentro-internacional-politico-artistico-deportivo-y-cultural-de-mujeres-que-luchan/

 

Traduzione a cura di 20ZLN

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QUELLO DI CUI C’È BISOGNO È CHE MAI PIÙ NESSUNA DONNA AL MONDO, DI QUALSIASI COLORE SIA, PESO, ETÀ, LINGUA, CULTURA, ABBIA PAURA. 

***

PAROLE DELLE DONNE ZAPATISTE IN CHIUSURA DEL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO NEL CARACOL ZAPATISTA DELLA ZONA TZOTZ CHOJ. 

10 MARZO 2018 

BUONA NOTTE, BUONGIORNO, BUONA SERA, COMPAGNE E SORELLE IN LOTTA DOVUNQUE SIATE.

SORELLE E COMPAGNE CHE CI AVETE ACCOMPAGNATO IN QUESTO PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

CI RIVOLGIAMO A VOI A NOME DI TUTTE NOI, LE DONNE ZAPATISTE DEI CINQUE CARACOL.

VOGLIAMO RINGRAZIARE LE COMPAGNE CITTADINE DELLE SQUADRE DI APPOGGIO CHE SI SONO TIRATE MATTE CON TUTTA LA POSTA ELETTRONICA, LE ISCRIZIONI, L’ORGANIZZAZIONE DEI TRASPORTI E L’ORGANIZZAZIONE DEGLI ORARI E DELLE ATTIVITÀ.

VOGLIAMO INOLTRE SALUTARE LE NOSTRE COMPAGNE ZAPATISTE CHE NON HANNO POTUTO VENIRE A QUESTO INCONTRO ED HANNO VIGILATO AFFINCHÉ NOI POTESSIMO VENIRE QUI.

LO STESSO AI NOSTRI COMPAGNI CHE SONO DOVUTI RESTARE A CASA PER OCCUPARSI DELLA FAMIGLIA, DEGLI ANIMALI, DELLE CASE, DEI NOSTRI QUARTIERI, I NOSTRI CAMPI, E CHE HANNO VIGILATO SUI MALGOVERNI CHE NON COMPISSERO QUALCHE CATTIVERIA CONTRO L’INCONTRO.

MA LE NOSTRE PAROLE FINALI SONO IN PARTICOLARE PER VOI, SORELLE E COMPAGNE DONNE IN LOTTA.

RINGRAZIAMO PER LA PARTECIPAZIONE CON TUTTO IL NOSTRO UMILE E SEMPLICE CUORE, CON RESISTENZA E RIBELLIONE, VOI TUTTE, DONNE CHE LOTTATE NEI CINQUE CONTINENTI DEL MONDO.

SIA QUELLE CHE SONO QUI, CHE QUELLE CHE HANNO SEGUITO QUELLO CHE È SUCCESSO QUI.

RINGRAZIAMO PER IL VOSTRO ASCOLTARE, I VOSTRI SGUARDI, LE VOSTRE PAROLE, I VOSTRI LABORATORI, I VOSTRI DIBATTITI, LA VOSTRA ARTE, I VOSTRI VIDEO, LE VOSTRE MUSICHE, LE VOSTRE POESIE, I VOSTRI RACCONTI, IL VOSTRO TEATRO, LE VOSTRE DANZE E BALLI, I VOSTRI DIPINTI, LE VOSTRE COSE STRANE CHE NEMMENO SAPEVAMO COSA FOSSERO, E PER TUTTO QUELLO CHE CI AVETE PORTATO AFFINCHÉ NOI CONOSCESSIMO ED IMPARASSIMO DELLE VOSTRE LOTTE.

ABBIAMO ACCOLTO TUTTO COME UN REGALO MOLTO PREZIOSO CHE PRESERVEREMO E RENDEREMO PIÙ GRANDE PERCHÉ LO PORTEREMO NELLE NOSTRE COMUNITÀ E VILLAGGI AFFINCHÉ ALTRE DONNE ZAPATISTE CONDIVIDANO CON NOI IL REGALO CHE CI AVETE FATTO.

LO ACCETTIAMO CON RISPETTO ED AFFETTO PERCHÉ TUTTE VOI AVETE VI SIETE IMPEGNATE MOLTO PER VIAGGIARE DAI VOSTRI LUOGHI DI LOTTA, DAI VOSTRI TEMPI E MODI, DAI VOSTRI MONDI, PER ARRIVARE QUI A QUESTO INCONTRO CHE NON SAPPIAMO ANCORA SE È RIUSCITO BENE O MALE.

ABBIAMO GIÀ VISTO QUALCUNA DELLE OSSERVAZIONI CHE AVETE CONSEGNATO AL TAVOLO CRITICO NEI NOSTRI CONFRONTI. LE LEGGEREMO TUTTE E LE ANALIZZEREMO TUTTE. IN QUELLA SCATOLA ABBIAMO TROVATO UNA LETTERA CHE CREDIAMO TOCCA TUTTE NOI. UNA COMPAGNA LA LEGGERÀ.

(viene letta la lettera dei famigliari degli assenti di Ayotzinapa che chiedono di non essere lasciati soli, perché il malgoverno vuole chiudere il caso e relegarlo nell’oblio).

NON ABBIAMO ANCORA LETTO TUTTE LE OSSERVAZIONI, MA VI GARANTIAMO IL NOSTRO IMPEGNO A CORREGGERE QUELLO CHE CI SEGNALATE CHE NON VA BENE, E A MIGLIORARE QUELLO CHE CI DITE CHE NON È PERFETTO.

MA VI POSSIAMO DIRE, FIN DA ORA, CHE LA STRAGRANDE MAGGIORANZA SONO CRITICHE PER ERRORI E FALLE NELL’ORGANIZZAZIONE.

PRENDEREMO IN CONSIDERAZIONE TUTTE LE VOSTRE CRITICHE PER MIGLIORARE LA PROSSIMA VOLTA, SE CI SARÀ UNA PROSSIMA VOLTA. TUTTE QUESTE CRITICHE, COSÌ COME LE NOSTRE PAROLE DI QUESTI GIORNI, LE PUBBLICHEREMO NELLA PAGINA WEB DI ENLACE ZAPATISTA AFFINCHÉ TUTTE VOI LE POSSIATE LEGGERE.

MA, COSÌ IN GENERALE, VOGLIAMO SAPERE QUELLO CHE PENSATE.

ALLORA VI CHIEDIAMO, COMPAGNE E SORELLE:

L’INCONTRO È RIUSCITO BENE ALMENO UN PO’?

OPPURE È RIUSCITO MALE?

BENE, E QUI RACCOMANDIAMO CHE INDIPENDENTEMENTE CHE RISPONDIATE CHE È RIUSCITO BENE O MALE, VI CHIEDIAMO CHE RIMANGA TRA NOI, TRA NOI DONNE CHE LOTTIAMO. CIOÈ, NON ANDATE A RACCONTARLO IN GIRO, SOPRATTUTTO AGLI UOMINI.

PERCHÉ IN VERITÀ, SORELLE E COMPAGNE, SIAMO IN PENA PERCHÉ NON SAPPIAMO COSA FAREMO.

È LA PRIMA VOLTA CHE NOI DONNE, DA SOLE, ORGANIZZIAMO UN INCONTRO COSÌ.

E LO ABBIAMO ORGANIZZATO DAL BASSO, CIOÈ PRIMA ABBIAMO FATTO RIUNIONI E DISCUSSIONI NEI NOSTRI COLLETTIVI NEI VILLAGGI E NELLE COMUNITÀ. POI NELLE REGIONI, E POI ANCORA NELLE ZONE E ALLA FINE NELLE 5 ZONE INSIEME.

E PENSATE CHE GIÀ PER PRENDERE UNA PICCOLA DECISIONE TRA NOI DONNE CI ABBIAMO MESSO DEL TEMPO, E IMMAGINATE PER PRENDERNE UNA GRANDE COME PER REALIZZARE QUESTO INCONTRO.

CI ABBIAMO MESSO MESI FINO A RAGGIUNGERE L’ACCORDO DI TUTTE, PERCHÉ È COSI CHE FACCIAMO, PERCHÉ DOBBIAMO FARE LE COSE TUTTE INSIEME, IN COLLETTIVO.

E NON ESISTE LIBRO O MANUALE CHE DICA COME FARLO.

E NEMMENO CHIEDERLO AI COMPAGNI PERCHÉ NEANCHE LORO SANNO COME FARE, PERCHÉ, COME ABBIAMO GIÀ DETTO, NON È MAI STATO FATTO PRIMA QUALCOSA DI SIMILE.

QUINDI, ABBIAMO DOVUTO CERCARE TRA NOI STESSE COME FARE.

E SIAMO STATE IN ANSIA TUTTO IL SANTO GIORNO E TUTTA LA MALEDETTA NOTTE. E TI SCAPPAVA PURE LA VOGLIA DI MANGIARE E DORMIRE.

ED ERAVAMO PREOCCUPATE CHE RIUSCISSE BENE.

CI PREOCCUPIAMO COME ZAPATISTE MA ANCHE COME DONNE.

PERCHÉ NOI VI ABBIAMO INVITATO. E DUNQUE È COLPA NOSTRA SE RIESCE MALE O BENE.

DOVE METTERVI A DORMIRE, A MANGIARE, A LAVARVI, I BAGNI, IL RUMORE, LA LUCE, L’ACQUA, SE VI AMMALATE, COSA DIRVI, COME PARLARVI, COME ASCOLTARVI E GUARDARVI.

QUINDI, VI CHIEDIAMO SINCERAMENTE SCUSA PER GLI ERRORI E LE MANCANZE. SICURAMENTE LA PROSSIMA VOLTA, SE CI SARÀ, NON RIUSCIRÀ COSÌ MALE COME CI CRITICATE.

PERCHÉ PENSIAMO CHE LA COSA PIÙ IMPORTANTE, IN PRIMO LUOGO, È CHE VI TROVIATE UN POCO BENE E CHE VI SENTIATE A VOSTRO AGIO.

MA È ANCHE IMPORTANTE CHE GUARDIAMO ED ASCOLTIAMO TUTTE, PERCHÉ TUTTE VI SIETE SBATTUTE PER VENIRE FINO A QUA, ED È GIUSTO CHE ASCOLTIAMO E GUARDIAMO TUTTE. ANCHE SE SIAMO O NON SIAMO D’ACCORDO CON QUELLO CHE DICONO.

DUNQUE NON BASTA UN COLLETTIVO PER ORGANIZZARE TUTTO QUESTO. PER QUESTO SIAMO ARRIVATE QUI IN PIÙ DI 2 MILA DONNE ZAPATISTE DAI CINQUE CARACOL.

E FORSE NON È BASTATO PERCHÉ VOI SIETE IN CINQUEMILA; ANCHE SE QUALCUNA DICE 8 MILA ED ALTRE DICONO 9 MILA.

CHISSÀ QUANTE DONNE IN LOTTA SONO ARRIVATE IN QUESTI GIORNI, MA CREDIAMO CHE POSSIAMO ESSERE D’ACCORDO NEL DIRE CHE SIAMO UN CHINGO.

E NON PENSAVAMO CHE NE SAREBBERO ARRIVATE TANTE PERCHÉ QUA È UN LUOGO REMOTO E NON CI SONO COMODITÀ.

SE AVESSIMO SAPUTO CHE ERAVATE COSÌ TANTE, FORSE SAREMMO ARRIVATE IN PIÙ ANCHE NOI DONNE ZAPATISTE PER POTERVI ABBRACCIARE TUTTE UNA AD UNA E POTERVI DIRE DI PERSONA QUELLO CHE ORA VI DICIAMO COLLETTIVAMENTE.

COME SE FOSSIMO SEI DONNE ZAPATISTE PER OGNUNA DI VOI: UNA PICHITA (COSÌ DICIAMO DI QUELLE APPENA NATE), UNA BAMBINA, UNA RAGAZZA, UNA ADULTA, UNA ANZIANA ED UNA DEFUNTA.

TUTTE DONNE, TUTTE INDIGENE, TUTTE POVERE, TUTTE ZAPATISTE CHE TI ABBRACCIANO FORTE, PERCHÉ È L’UNICO REGALO CHE POSSIAMO FARTI.

MA IN FIN DEI CONTI, SORELLA E COMPAGNA, QUELLO CHE STIAMO DICENDO QUI, TE LO STA DICENDO UNA DONNA ZAPATISTA MENTRE TI DÀ UN ABBRACCIO E TI DICE ALL’ORECCHIO, NELLA TUA LINGUA, NEL TUO MODO, NEL TUO TEMPO:

“NON ARRENDERTI, NON VENDERTI, NON CEDERE”

E COSÌ, CON QUESTE PAROLE TI DICIAMO

“GRAZIE SORELLA. GRAZIE COMPAGNA”.

 

SORELLE E COMPAGNE:

QUESTO GIORNO, 8 DI MARZO, ALLA FINE DEL NOSTRO INTERVENTO, OGNUNA DI NOI HA ACCESO UNA PICCOLA LUCE.

L’ABBIAMO ACCESA CON UNA CANDELA, PERCHÉ DURASSE, PERCHÉ CON UN FIAMMIFERO SI SAREBBE SPENTO RAPIDAMENTE E UN ACCENDINO AVREBBE POTUTO ROMPERSI.

QUESTA PICCOLA LUCE È PER TE.

PORTALA CON TE, SORELLA E COMPAGNA.

QUANDO TI SENTI SOLA.

QUANDO HAI PAURA.

QUANDO SENTI CHE LA LOTTA È DURA, CIOÈ LA VITA,

ACCENDILA DI NUOVO NEL TUO CUORE, NEL TUO PENSIERO, NELLE TUE VISCERE.

E NON TENERTELA, COMPAGNA E SORELLA.

PORTALA ALLE DESAPARECIDAS.

PORTALA ALLE ASSASSINATE.

PORTALA ALLE CARCERATE.

PORTALA ALLE VIOLENTATE.

PORTALA ALLE MALTRATTATE.

PORTALA ALLE MOLESTATE.

PORTALA ALLE VIOLENTATE IN TUTTE LE FORME.

PORTALA ALLE MIGRANTI.

PORTALA ALLE SFRUTTATE.

PORTALA ALLE MORTE.

PORTALA E DÌ A TUTTE E AD OGNUNA DI LORO CHE NON È SOLA, CHE LOTTERAI PER LEI.

CHE LOTTERAI PER LA VERITÀ E LA GIUSTIZIA CHE MERITA IL SUO DOLORE.

CHE LOTTERAI PERCHÉ IL DOLORE CHE PORTA NON SI RIPETA IN UN’ALTRA DONNA IN QUALSIASI PARTE DEL MONDO.

PORTALA E TRASFORMALA IN RABBIA, IN CORAGGIO, IN FERMEZZA.

PORTALA ED UNISCILA AD ALTRE LUCI.

PORTALA E, FORSE, ARRIVERAI A PENSARE CHE NON CI SARÀ NÉ VERITÀ, NÉ GIUSTIZIA, NÉ LIBERTÀ NEL SISTEMA CAPITALISTA PATRIARCALE.

ALLORA FORSE DAREMO FUOCO AL SISTEMA.

E FORSE SARAI CON NOI A PREOCCUPARCI A CHE NESSUNO SPENGA QUEL FUOCO FINO A CHE NON SARÀ RIMASTO ALTRO CHE CENERE.

ALLORA, SORELLA E COMPAGNA, QUEL GIORNO CHE SARÀ NOTTE, FORSE POTREMO DIRE CON TE:

“BENE, ORA SÌ COMINCIAMO A COSTRUIRE IL MONDO CHE MERITIAMO E CHE NECESSITIAMO”.

ALLORA FORSE CAPIREMO CHE COMINCIA IL BELLO, PERCHÉ ADESSO CI STIAMO SOLO ALLENANDO PER ESSERE COSCIENTI DELLA COSA PIÙ IMPORTANTE DI CUI ABBIAMO BISOGNO.

E QUELLO DI CUI C’È BISOGNO È CHE MAI PIÙ NESSUNA DONNA AL MONDO, DI QUALSIASI COLORE SIA, PESO, ETÀ, LINGUA, CULTURA, ABBIA PAURA.

PERCHÉ QUA SAPPIAMO BENE CHE QUANDO SI DICE “BASTA!” È SOLO L’INIZIO DEL CAMMINO E CHE MANCA SEMPRE QUELLO CHE MANCA.

 

SORELLE E COMPAGNE:

QUI, A TUTTE QUELLE CHE SONO QUI E A QUELLE CHE NON SONO PRESENTI MA CI SONO CON IL CUORE ED IL PENSIERO, PROPONIAMO DI ANDARE AVANTI E CONTINUARE A LOTTARE, OGNUNA SECONDO IL PROPRIO MODO, IL PROPRIO TEMPO ED IL PROPRIO MONDO.

SIETE D’ACCORDO?

BENE, QUANDO ABBIAMO SCRITTO QUESTO TESTO NON SAPEVAMO SE AVRESTE RISPOSTO SÌ O NO, MA PASSO ALLA SEGUENTE PROPOSTA:

SICCOME ABBIAMO VISTO E SENTITO CHE NON TUTTE SONO CONTRO IL SISTEMA CAPITALISTA PATRIARCALE, E RISPETTIAMO QUESTA POSIZIONE, PROPONIAMO DI STUDIARE E DISCUTERE NEI NOSTRI COLLETTIVI SE È VERO CHE IL SISTEMA CHE CI IMPONGONO È RESPONSABILE DELLE NOSTRE SOFFERENZE.

SE RISULTA CHE È VERO, ALLORA, SORELLE E COMPAGNE, DECIDEREMO DI LOTTARE CONTRO IL PATRIARCATO CAPITALISTA E CONTRO QUALUNQUE PATRIARCATO.

E DICIAMO CHIARAMENTE CONTRO OGNI PATRIARCATO, NON IMPORTA DI QUALE IDEA, NON IMPORTA DI QUALE COLORE O BANDIERA. PERCHÉ NOI PENSIAMO CHE NON C’È UN PATRIARCATO BUONO ED UNO CATTIVO, MA È CONTRO DI NOI IN QUANTO DONNE.

SE RISULTA CHE NON È VERO, BENE, SIA COME SIA NOI LOTTEREMO PER LA VITA DI TUTTE LE DONNE E PER LA LORO LIBERTÀ ED OGNUNO, SECONDO IL POPRIO PENSIERO E VISUALE, COSTRUIRÀ IL SUO MONDO COME MEGLIO CREDA.

SIETE D’ACCORDO DI STUDIARE, ANALIZZARE, DISCUTERE NEI VOSTRI MONDI E SECONDO I VOSTRI MODI E TEMPI E, SE SI PUÒ, DI DEFINIRE CHI È O CHI SONO I RESPONSABILI DELLE NOSTRE SOFFERENZE?

BENE, UGUALMENTE NON SAPPIAMO SE SIETE D’ACCORDO O NO, QUINDI PASSIAMO ALLA PROPOSTA SUCCESSIVA:

VI PROPONIAMO DI TORNARE A RIUNIRCI IN UN SECONDO INCONTRO IL PROSSIMO ANNO, MA NON SOLO QUI IN TERRE ZAPATISTE, MA ANCHE NEI VOSTRI MONDI, SECONDO I VOSTRI TEMPI E MODI.

OVVERO, CHE OGNUNO ORGANIZZI INCONTRI DI DONNE CHE LOTTANO O COME SI VOGLIANO CHIAMARE.

SIETE D’ACCORDO?

NON SAPPIAMO ANCORA CHE COSA RISPONDERETE, MA QUI SARETE LE BENVENUTE, SORELLE E COMPAGNE.

MA VI CHIEDIAMO DI AVVISARE PER TEMPO PERCHÉ È DURA QUANDO CI DICONO CHE NE ARRIVANO CINQUECENTO MA CHE SI È PERSO UNO ZERO PER STRADA E NE ARRIVANO CINQUEMILA E PIÙ.

E VENITE QUANDO POTRETE DIRE CHE NEI VOSTRI MONDI VI SIETE RIUNITE, AVETE DISCUSSO ED AVETE DECISO QUALCOSA.

CIOÈ, VENITE PIÙ GRANDI NEL CUORE, NEL PENSIERO E NELLA LOTTA.

IN OGNI CASO SARETE LE BENVENUTE, DONNE IN LOTTA.

GRAZIE DI AVERCI ASCOLTATE.

ADESSO PASSIAMO ALLA CHIUSURA FORMALE.

PRENDE LA PAROLA LA COMANDANTA MIRIAM:

 

BUONASERA COMPAGNE E SORELLE.

GRAZIE COMPAGNE, GRAZIE SORELLE DEI PAESI DEL MONDO E DEL MESSICO CHE VI SIETE IMPEGNATE AD ARRIVARE FINO A QUI IN QUESTO ANGOLO DI MONDO.

COSÌ ABBIAMO CONCLUSO IL NOSTRO PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

ALLE 20:36 ORA ZAPATISTA, DICHIARO CHIUSO IL NOSTRO PRIMO INCONTRO.

ABBIATE CURA DI VOI E FATE BUON VIAGGIO.

 

DAL CARACOL 4 TORBELLINO DE NUESTRAS PALABRAS.

MORELIA, CHIAPAS, MESSICO. 10 MARZO 2018

 

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/03/10/palabras-de-las-mujeres-zapatistas-en-la-clausura-del-primer-encuentro-internacional/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

Info e video http://www.grieta.org.mx/index.php/2018/03/11/mas-de-6-mil-mujeres-de-38-paises-participaron-en-el-primer-encuentro-de-mujeres/

https://www.facebook.com/Somoselmedio/videos/1484875178278228/

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MESSICO, L’OMBRA DELLE ELEZIONI SUL CASO AYOTZINAPA. 

Il Governo del Messico vuole chiudere il caso Ayotzinapa prima delle elezioni, nonostante non siano stati fatti ulteriori passi avanti nelle indagini ufficiali. È la denuncia dei rappresentanti del Comitato Padres y Madres de Ayotzinapa durante l’udienza di fronte alla Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) avvenuta a Bogotá il 2 marzo.

 

 

MESSICO, L’OMBRA DELLE ELEZIONI SUL CASO AYOTZINAPA

di Christian Peverieri

L’udienza è stata preceduta la sera prima da una riunione tra i genitori e i funzionari dello stato, che ha lasciato insoddisfatti i genitori. «Ci avevano assicurato che secondo il loro calendario avrebbero arrestato poliziotti e militari, ma questo non è avvenuto, non c’è stato alcun avanzamento», ha dichiarato Epifanio Alvarez, genitore di uno dei 43 studenti scomparsi, che ha poi concluso il suo intervento così: «Non vogliamo finire come la nostra compagna Minerva, che se ne è andata senza conoscere cosa ne è stato di suo figlio mentre le autorità si fanno sorde e mute».

L’incontro di Bogotà fa parte di un programma di monitoraggio del Mecanismo Especial de Seguimiento (MES), il gruppo di esperti nominati dalla CIDH per seguire il caso e il cui obiettivo è valutare i progressi delle indagini nella ricerca dei 43 studenti scomparsi. Ad aprire la sessione di lavoro è stata Cristina Bautista, madre di Benjamin, che ha chiesto un minuto di silenzio per Minerva Bello, madre di uno dei ragazzi scomparsi, deceduta un mese fa a causa di un tumore, aggravato dalla sofferenza di non avere notizie del figlio Everardo da oltre tre anni. Punto fondamentale dell’incontro è la denuncia dei genitori: lo Stato ha intenzione di chiudere il caso prima delle elezioni di luglio. Prova ne è il tentativo delle istituzioni di cancellare la seconda udienza con la CIDH prevista per maggio perché troppo a ridosso dell’appuntamento elettorale. Per i genitori c’è il rischio che si voglia utilizzare il caso a scopi elettorali. Mario Gonazalez del comitato di genitori lancia l’allarme: «È importante che continui il lavoro del MES, perché è pericoloso lasciare lo Stato senza supervisione internazionale».

L’avvocato dei genitori Vidulfo Rosales ha preso la parola per ricordare che «le linee investigative sulle autorità del Guerrero, sulla Polizia Federale e sull’Esercito non hanno fatto progressi, quando risultati avrebbero dovuto esserci già nell’agosto scorso. Abbiamo fatto una proposta per recuperare il tempo perso ma le istituzioni si negano, sembrano più preoccupate di coprire il crimine che a trovare la verità». La risposta dei funzionari di Peña Nieto è stata effettivamente negativa: secondo loro le proposte fatte dai legali delle famiglie potrebbero far ritardare le indagini e inoltre, sostengono, istigano a procedere al di fuori della legge. A queste accuse ha risposto Luis Ernesto Vargas, membro del MES, il quale ha dichiarato che la proposta di calendario di attività proposta dai genitori è rispettosa della legge e può essere approvata e anzi esorta lo Stato a farlo.

Gli avvocati delle famiglie hanno poi ricordato che lo Stato messicano non ha portato a termine gli impegni presi, primo fra tutti abbandonare definitivamente la “verdad historica”, già ampiamente smontata dalle contro inchieste del GIEI, mentre resta sempre da chiarire il ruolo avuto nei fatti del 26 settembre 2014 dallo stato del Guerrero, dalla polizia federale e dalle polizie locali dei vari municipi coinvolti. Inoltre durante l’ultimo anno non ci sono stati arresti inerenti al caso ed è dal dicembre 2014 che non ci sono nuovi inquisiti; per finire non c’è nessuno sotto processo per sparizione forzata. A queste accuse i responsabili delle indagini ufficiali hanno risposto che gli avanzamenti nelle indagini ci sono stati, in particolare sull’utilizzo di alcuni dei telefoni degli studenti dopo la scomparsa, ma non hanno fatto sapere quali perché secondo loro non è possibile renderli noti in un’udienza pubblica.

L’incontro è terminato con l’esortazione della CIDH a seguire le indicazioni e le richieste delle famiglie e, ancora una volta, con la certezza che la verità e la giustizia passano attraverso la mobilitazione permanente ferma e radicale del Comitato Padres y Madres de Ayotzinapa e al sostegno irrinunciabile della solidarietà nazionale e internazionale. Questo è l’unico percorso possibile per ritrovare i 43 studenti vittime di sparizione forzata.

¡Vivos los queremos!

Articolo tratto da Globalproject http://www.globalproject.info/it/mondi/messico-lombra-delle-elezioni-sul-caso-ayotzinapa/21354

 

 

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  PROIBITO VOTARE PER UN’INDIGENA

María de Jesús Patricio non ha ottenuto la registrazione come candidata indipendente alle elezioni per la presidenza del Messico. Tuttavia, la causa a favore delle minoranze e contro la discriminazione continuerà con l’obiettivo di cambiare il paese.

Articolo di Juan Villoro, tratto e tradotto dal New York Times https://www.nytimes.com/es/2018/02/24/opinion-villoro-marichuy/

CITTÀ DEL MESSICO – Il 14 febbraio un furgone attraversava il deserto di Vizcaíno a Sud della Bassa California. Erano le 15.30 del pomeriggio, dopo pranzo, faceva un caldo terribile sull’Autostrada Federale 1 che non ha curve e intorpidisce pericolosamente. Tutto pareva cospirare a favore del rischio, ma la carovana non poteva fermarsi.

Nell’ottobre del 2017, l’indigena María de Jesús Patricio, conosciuta come Marichuy, ha iniziato la sua campagna per diventare candidata indipendente alla presidenza, sostenuta dal Consiglio Indigeno di Governo. Per quattro mesi ha visitato gli angoli più diversi del paese per ascoltare sessanta gruppi etnici che non sono rappresentati nella politica messicana. Si pensa spesso che gli indigeni rappresentino un blocco monolitico, con costumi e credenze identiche; in realtà, si tratta di un mosaico multiculturale che risponde a realtà e progetti diversi. Per ottenere la candidatura, Marichuy doveva prima realizzare qualcosa di ben più complicato: unire le comunità in obiettivi comuni.

Giovedì 14 procedeva nelle stesse condizioni precarie che l’hanno accompagnata ovunque. Se i politici viaggiano su aerei e furgoni blindati, Marichuy affrontava viaggi estenuanti e si addentrava in regioni inospitali (il 20 gennaio l’auto della stampa che l’accompagnava è stata aggredita in Michoacan da una banda appartenente alla criminalità organizzata). A cinque giorni dalla scadenza del termine per la registrazione come candidata indipendente, la portavoce faceva proselitismo in una delle regioni meno popolate del paese. Non scommetteva sul pragmatismo elettorale, ma sulla vicinanza con i più isolati.

Sotto il denso sole pomeridiano, il veicolo è uscito di strada e si è rovesciato sulla terra in cui crescono gli huizaches. Nell’incidente è morta Eloísa Vega Castro, della rete di supporto per le popolazioni indigene. Diversi membri dell’equipaggio sono rimasti feriti e Marichuy si è rotta un braccio e ha dovuto sottoporsi ad un intervento chirurgico. Sono trascorse circa dodici ore prima che i feriti arrivassero all’ospedale Juan María de Salvatierra, a La Paz.

Il 15 febbraio, la candidata indigena ha monopolizzato le prime pagine di tutti i giornali. L’impatto della morte ha ricevuto l’attenzione che non era stata prestata alle sue idee.

L’assenza è presente

La storia di María de Jesús Patricio Martínez è scritta come una serie di rotture. Nata nella regione Nahuatl di Tuxpan, Jalisco, 54 anni fa, Marichuy ha lavorato la terra fin da bambina in condizioni da sfruttamento medievale. All’età di 12 anni, ha esortato suo padre a protestare. Ricevettero più mais, ma l’anno seguente furono lasciati senza terra.

Suo padre spese i pochi soldi a disposizione nell’alcol e la madre le chiede di andare a vendere semi di zucca nella vicina Ciudad Guzmán. Con i suoi magri guadagni è riuscita a dare da mangiare ai suoi fratelli.

Marichuy era destinata a coltivare i campi e trovare marito. Suo padre le proibì di frequentare le scuole medie e il liceo; lei studiò in segreto ed è diventata un’esperta di medicina naturale. Oggi appartiene al corpo accademico dell’Università di Guadalajara. Uno dei suoi pazienti più noti è sua madre, che per tre anni è stata paralizzata dalla vita in giù. Marichuy l’ha curata con tenacia finché non è tornata a camminare.

Le sue rotture hanno avuto anche componenti culturali e di genere. È stata la prima donna a partecipare a Tuxpan alla danza de Los Sonajeros, un rituale per invocare la pioggia. In risposta alla doppia esclusione rappresentata dall’essere indigena in un paese patriarcale, Marichuy durante gli eventi pubblici parla dopo le altre donne.

Quando si è presentata al campus della UNAM uno striscione recitava: “Siamo venute per parlare dell’impossibile, perché del possibile è già stato detto troppo”.

Democrazia per ricchi

Per la prima volta il Messico avrà dei candidati indipendenti alla presidenza nelle elezioni del 1° luglio 2018. Tuttavia, questa opportunità “storica” giunge già preceduta da irregolarità. I partiti hanno creato requisiti restrittivi per garantire che possano partecipare solo i professionisti della politica. Per registrare una candidatura indipendente, sono necessarie 866 mila 593 firme e raggiungere l’1% del corpo elettorale in almeno diciassette stati. In altre parole: essere “indipendenti” è il piano B di coloro che non sono stati nominati dai propri partiti.

Il 19 febbraio Marichuy non ha ottenuto la registrazione, dopo una campagna sostenuta esclusivamente dalla solidarietà dei simpatizzanti. Quelli che l’hanno ottenuto provengono dalle solite istituzioni politiche: Jaime Rodríguez, El Bronco, del PRI; Armando Ríos Piter del PRD e Margarita Zavala del PAN. Come governatore dello stato di Nuevo León, si presume che El Bronco disponesse di soldi pubblici e Margarita Zavala contava sul sostegno del marito, l’ex presidente Felipe Calderón.

Per rendere più difficile l’accesso alla cittadinanza, l’Istituto Elettorale Nazionale ha preteso che le firme venissero raccolte attraverso un’applicazione da scaricare su telefoni cellulari di fascia media. I cellulari hanno un costo di oltre tre salari minimi, una somma irraggiungibile per gran parte della popolazione. Inoltre, in molte regioni mancano non solo la connessione, ma anche l’elettricità.

La democrazia “cellulare” che esclude i poveri permette di stabilire una regola di tre punti: 1) Marichuy si oppone alla discriminazione. 2) In risposta, riceve una risposta discriminatoria. 3) Si conferma l’importanza della sua lotta.

Per quattro mesi i volontari che raccoglievano le firme per Marichuy erano presenti in piazze, parchi, università e stazioni della metropolitana. Attori e artisti hanno realizzato video per promuovere la sua causa; i gruppi rock Panteón Rococó, Caifanes e Café Tacvba l’hanno sostenuta durante i loro concerti; fotografi e artisti plastici hanno creato poster e magliette con gli slogan “Mai più un Messico senza popoli indigeni” e “Firma per Marichuy, vota per chi vuoi”. Si è promossa l’inclusione, al di là che per ideologia o pragmatismo si sia sostenuto un altro candidato alle elezioni di luglio.

Ríos Piter, Zavala ed El Bronco hanno ingaggiato a contratto persone che raccoglievano le firme negli uffici, tra i sindacati ed agli sportelli che erogano gli stipendi. Questa strategia aziendale non è stata priva di trappole (con incorreggibile cinismo El Bronco le ha definite “marachelle”). A Margarita Zavala sono state approvate il 66,37% delle firme, a Ríos Piter il 64,83% e il 58,75% a El Bronco. Per misurare le dimensioni dell’imbroglio vale la pena ricordare lo strano caso del candidato indipendente Édgar Ulises Portillo Figueroa, per il quale sono state riconosciute valide il 2,63% delle firme. Al contrario, per Marichuy sono state approvate come valide il 93,20% delle firme, la più alta percentuale di onestà.

La portavoce indigena ha ottenuto oltre 280 mila firme, il 30% delle firme richieste per partecipare alle elezioni. La sua causa ha ottenuto un’enorme visibilità non solo tra gli indigeni, ma anche tra la generazione digitale (da gennaio a febbraio la pagina Facebook di Su Voz Es Mi Voz ha registrato 450 mila visite).

La bambina che vendeva semi

Le sfide di Marichuy sembrano insormontabili, ma le accetta con disinvoltura. Sorride alle battute e si gode gli aneddoti degli altri. Raramente prende la parola per prima. A scuola partecipava ad attività collettive, ma non le piaceva stare alla lavagna. Più che timida, è riservata. La sua leadership dipende più dall’ascolto che dalla parola. Questo rivela il modo in cui le comunità indigene stabiliscono il consenso per eleggere i rappresentanti. Se qualcuno alza la mano per lodare le proprie virtù, non appartiene al collettivo. La leadership non è un’iniziativa individuale, ma è un affidamento di altri.

Marichuy dice che non voleva avere la responsabilità che le è stata conferita, ma non poteva rifiutarla. La sua sincerità si distingue dalla demagogia dei politici che tradiscono ciò che hanno detto il giorno prima.

Quale portata possono avere le sue idee? All’epoca della rivoluzione messicana il 20% della popolazione viveva nelle città. Questa proporzione è stata invertita. Per quelli che nascono in campagna, le speranze sono lontane, negli Stati Uniti.

Il mondo rurale è diventato lo scenario che mette in discussione la sovranità: fosse comuni, piste di atterraggio clandestine, nascondigli per il traffico di droga. Chi sono i padroni di questa parte vuota del paese? Le bande criminali e le multinazionali che si impossessano delle risorse naturali.

Difendere la terra di cui sono state private le comunità originarie significa difendere la biodiversità e la sovranità stessa. Per questo Marichuy sottolinea che in un paese assediato dalla morte, la sua lotta è per la vita.

Il 14 febbraio un furgone si è perso nella solitudine di Vizcaíno. Al di là delle scadenze imposte dai partiti politici che confondono la democrazia con il consumo, la carovana indigena continuerà il suo cammino per cambiare il paese a partire da un attivismo che comprende che per le minoranze la lotta quotidiana e la pressione sulle istituzioni sono più efficaci della competizione elettorale.

In uno scenario in cui ai vivi mancano le opportunità, spesso si ripongono speranze esagerate in coloro che possono intervenire dall’aldilà. “Uscite, uscite, uscite, anime in pena”, scriveva Juan Rulfo.

Quelli che non ci sono, hanno il loro modo di tornare.

 

Juan Villoro (@ JuanVilloro56) è scrittore e giornalista. Il suo libro più recente è “L’utilità del desiderio”.

Traduzione a cura di 20ZLN – https://20zln.noblogs.org/proibito-votare-per-unindigena/

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I promotori del voto utile possono stare tranquilli. María de Jesús Patricio non sottrarrà voti a nessuno nella corsa presidenziale. La voce dei popoli indigeni non ci sarà sulla scheda elettorale. L’unica aspirante alla Presidenza che negli ultimi mesi ha parlato chiaramente della depredazione, lo sfruttamento, l’oppressione e la discriminazione che subisce il Messico del basso non sarà candidata. La campagna di Marichuy è diventata la prova evidente che una vera transizione democratica continua ad essere la questione in sospeso centrale dell’agenda politica nazionale. 

Marichuy e l’esclusione politica 

Luis Hernández Navarro 

I promotori del voto utile possono stare tranquilli. María de Jesús Patricio non sottrarrà voti a nessuno nella corsa presidenziale. La voce dei popoli indigeni non ci sarà sulla scheda elettorale. L’unica aspirante alla Presidenza che negli ultimi mesi ha parlato chiaramente della depredazione, lo sfruttamento, l’oppressione e la discriminazione che subisce il Messico del basso non sarà candidata.

Marichuy aveva bisogno di 866 mila 593 firme per essere ammessa alla contesa elettorale. Anche se ancora manca la verifica finale, ha raccolto 281 mila 952 firme. (…).

Il livello di affidabilità delle firme consegnate dalla portavoce del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) è del 94,48%. Il più alto tra tutti gli aspiranti alla candidatura indipendente. Gli altri hanno compiuto vere magie. La percentuale di firme convalidata di Jaime Rodríguez, El Bronco, è stata solo del 59,46%; quello di Armando Ríos Piter, 65,66%, e quello di Margarita Zavala, 67,59%. L’aspirante Édgar Portillo ha presentato solo il 2,63% di firme vere.

Le adesioni di Marichuy sono state raccolte da un esercito di volontari che non hanno ricevuto alcun compenso e senza risorse economiche per comperare gli apparecchi telefonici necessari per scannerizzare e trasmettere le sigle all’Istituto Nazionale Elettorale (INE). Mentre il resto degli aspiranti ha commissionato ad agenzie specializzate o a personale stipendiato la raccolta delle firme, la squadra di Marichuy, molti giovani studenti, ha cooperato al compito senza nessun compenso e senza altra spinta che quella di contribuire ad una giusta causa. In un paese in cui i voti si comprano e l’anagrafe elettorale si vende, il gruppo di appoggio del CIG ha dato una lezione di dignità e autentico senso civico.

Praticamente in tutto il mondo, partecipare alle elezioni richiede grandi somme di denaro. Anni fa, il film statunitense intitolato Chi più spende… più guadagna! mostrava come le campagne elettorali sono una bestia insaziabile che divora fortune. Nel film, Montgomery Brewster, un giocatore di baseball in disgrazia, avrebbe ricevuto un’eredità di 300 milioni di dollari a condizione che fosse stato in grado di spenderne 30 milioni in un mese senza comprare niente. Per superare la sfida non trovò modo migliore che candidarsi come sindaco di New York.

Como sucede in Chi più spende… più guadagna!, nelle campagne elettorali in Messico circolano fiumi di denaro. Partiti e candidati spendono enormi fortune per vincere o per impedire che i loro avversari vincano. Molte di queste risorse non sono lecite, ma si usano. Controcorrente a questo comportamento, in questi mesi Marichuy si è spostata praticamente per tutto il paese con pochissimi soldi. Ha rifiutato l’aiuto ufficiale e si è affidata essenzialmente al lavoro spontaneo e gratuito dei suoi simpatizzanti. Le comunità che ha visitato negli angoli più reconditi del paese sono state i suoi anfitrioni. Si è così dimostrato che è possibile fare un’altra politica che non giri intorno ai soldi.

Ancora prima dell’avvio della sua campagna, María de Jesús Patricio è stata vittima del razzismo e della più bassa misoginia. La sua doppia condizione di donna e indigena ha tirato fuori il peggio della società e della politica messicane. Molte coscienze belle liberali, tanto pronte a saltare sul pulpito alla prima occasione per criticare personaggi della nostra vita politica, sono stati in silenzio di fronte alle aggressioni.

Gli esempi delle assurdità circolate in rete sono numerosi. L’account @nopalmuino ha scritto: “Quella di #Marichuy è una pagliacciata, votare per lei solo perché indigena e donna… bisogna proprio essere stupidi”. Un altro che si firma Avvocato del diavolo, ha detto: “sì voterei per #Marichuy. Si vede che è esperta di pulizie in Messico”. Un altro che si fa chiamare Gonz and Roses tha twittato: “Quella #Marichuy somiglia a quella che pulisce casa mia”. L’enigmatico 0111001Or ha sparato: “Chi è #Marichuy e perché non sta facendo pozole?”.

Tuttavia, queste non sono state le uniche espressioni contro di lei dalla politica più becera. Dalle file di una certa sinistra, alcuni personaggi l’hanno presentata non per quello che è, una donna indigena brillante e intelligente con una lunga esperienza politica, che difende una causa ignorata nella campagna elettorale, quella dei popoli indigeni e l’anticapitalismo, ma come un burattino dello zapatismo per sottrarre voti a chissà chi e perfino come uno strumento del governo o di Carlos Salinas de Gortari.

La campagna di María de Jesús Patricio ha riscosso grande successo evidenziando l’esistenza di quei rabbiosi razzisti, misogini ed escludenti nella società e nella politica messicane. In realtà, tutta questa spazzatura emersa dalla campagna elettorale mostra una delle ragioni per cui è stata necessaria questa incursione.

Le difficoltà che Marichuy ed il CIG hanno affrontato per essere presenti sulla scheda elettorale dimostrano che, benché formalmente esistano per legge le candidature civiche, ciò che prevale è un regime partitocratico in cui le carte sono a favore del monopolio della rappresentanza politica dei partiti. Possono inserirsi nella politica come candidati indipendenti, principalmente e quasi esclusivamente, i politici tradizionali.

Questo regime partitocratico, elitario ed escludente, nato dal Pacto de Barcelona del 1996 tra PRI, PAN e PRD, lascia senza rappresentanza politica un’enorme settore del paese. Lungi dal mettere in discussione la partitocrazia, la logica dei comizi del 2018 la rafforza. Basta guardare le liste dei candidati a deputati e senatori delle diverse coalizioni e le loro proposte in futuri ministeri di governo, per vedere che, essenzialmente, benché competano per sigle differenti, molti sono gli stessi di sempre. La campagna di Marichuy è diventata la prova evidente che una vera transizione democratica continua ad essere la questione in sospeso centrale dell’agenda politica nazionale. http://www.jornada.unam.mx/2018/02/27/opinion/019a2pol

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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A CHALCHIHUITÁN, CHIAPAS, ANCORA SFOLLATE OLTRE 1000 PERSONE.

A CHALCHIHUITÁN, CHIAPAS, ANCORA SFOLLATE OLTRE 1000 PERSONE.
Il 21 febbraio 2018 la Caritas della diocesi di San Cristóbal ha smentito che non ci siano più sfollati. Questo quello che ha trovato:
Bejelton 39 famglie—160 persone
Cruz Ton 14 famiglie —70 persone
Tulantic 61 famiglie —195 persone
Cruz C’ac’anam 11 famiglie—50 persone
Xixim Tontic 17 famiglie —100 persone
Jolc’ante’tic 20 famiglie—133 persone
Pom 20 famiglie —77 persone
C’analumtic 69 famiglie —231 persone
Ch’en Mut 10 famiglie 44 persone
Bolol Ch’ojon 29 famiglie
La situazione e le condizioni di vita sono preoccupanti e continuano gli spari di arma da fuoco.
Qui foto e video del presbitero Marcelo Pérez  https://www.facebook.com/permalink.php?story_fbid=1872492326128658&id=148731431838098

 

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Il 19 febbraio si è chiuso il termine per la registrazione dei candidati indipendenti alla Presidenza della Repubblica Messicana. María de Jesús Patricio, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo non è riuscita a raccogliere il numero di firme necessario nei 17 stati come richiesto per essere candidata indipendente. Fin dal principio sapevamo che sarebbe stata una battaglia impari su un terreno profondamente marcato dalle disuguaglianze che caratterizzano il paese. Mentre El Bronco, uno dei tre candidati “indipendenti” ammesso, per raccogliere le firme spendeva 58 mila pesos al giorno e contava sull’apparato istituzionale del governo dello stato di Nuevo León, María de Jesús Patricio spendeva 860 pesos condivisi con i consiglieri che viaggiavano con lei. Durante tutto il processo sono state affrontate tutte le barriere tecnologiche, ogni passo ha rappresentato la lotta contro le disuguaglianze e le esclusioni che Marichuy ed il CIG denunciano.  

María de Jesús Patricio ed il CIG: cosa è stato ottenuto. 

21 febraio 2018 – R. Aída Hernández Castillo*

Il 19 febbraio si è chiuso il termine per la registrazione dei candidati indipendenti alla Presidenza della Repubblica. Solo tre candidati “indipendenti” sono stati registrati, e tutti tre spendendo giornalmente come o più dei candidati dei partiti politici. María de Jesús Patricio, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) non è riuscita a raccogliere il numero di firme nei 17 stati come richiesto dal sistema elettorale per essere candidata indipendente. Fin dal principio sapevamo che sarebbe stata una battaglia impari su un terreno profondamente marcato dalle disuguaglianze che caratterizzano il nostro paese. Mentre Jaime Rodríguez Calderón, El Bronco, per raccogliere le firme spendeva 58 mila pesos al giorno e contava su tutto l’apparato istituzionale del governo dello stato di Nuevo León, María de Jesús Patricio spendeva 860 pesos condivisi con i consiglieri e le consigliere che viaggiavano con lei. Durante tutto il processo sono state affrontate le barriere tecnologiche: la richiesta di un cellulare moderno che permettesse di scaricare l’applicazione per raccogliere le firme, la connettività Internet richiesta, il denaro per la mobilità degli ausiliari; ogni passo rappresentava la lotta contro le disuguaglianze e le esclusioni che Marichuy ed il CIG denunciano.

Devo riconoscere che come membro della Asociación por el Florecimiento de los Pueblos AC che la sostiene, mi sento frustrata per non essere riuscita a superare tutte queste barriere e non avere potuto fare di più per smuovere le coscienze di questo paese intorno all’urgenza di cambiamenti profondi. Questo sentimento si acutizza perché il 19 febbraio mi trovo ad Ahome, territorio yoreme, dove la violenza del crimine organizzato colluso con le forze dell’ordine ha trasformato lo stato di Sinaloa in una grande fossa comune. Le testimonianze delle madri dei desaparecidos ci ricordano per l’ennesima volta che ci troviamo in un momento di emergenza nazionale che non si risolve con “corsi di formazione” o “modernizzazioni istituzionali”. Vogliamo un cambiamento profondo che nessuno dei candidati che appariranno sulle schede elettorali è disposto a fare.

Il paese è piagato di Ayotzinapa anonime dove le forze dell’ordine colluse col crimine organizzato stanno perpetrando un massacro di giovani sotto i nostri occhi e con la complicità del nostro silenzio. Gli studenti di Conalep massacrati a Juan José Ríos per non aver rispettato il coprifuoco stabilito dal crimine organizzato che controlla l’ejido più grande del Messico; il giovane yoreme studente dell’Università Interculturale di Sinaloa il cui corpo è stato ritrovato in una fossa clandestina a Capomos; i 117 corpi scoperti dalle Buscadoras [Cercatrici – N.d.T.], madri di desaparecidos che con pale e picconi cercano i loro “tesori”, non sembrano suscitare più marce né proteste. Ci siamo abituati a questa politica di morte.

Parallelamente, María de Jesús Patricio percorre il paese per parlare e promuovere una politica di vita. Quando sono invasa dalla disperazione per non essere riuscita a raccogliere le 866 mila firme richieste, penso a quello che si è ottenuto. Nelle sue visite a 126 località in 27 stati della Repubblica Messicana, María de Jesús ed i compagni del Consiglio Indigeno di Governo hanno portato un messaggio di rispetto per la vita ed articolato sforzi organizzativi in difesa della madre terra e contro questi politici dello sviluppo che ci stanno ammazzando tutti, qualcuno in maniera più rapida di altri.

Nel suo percorso ha visitato comunità indigene in resistenza in tutto il paese, comunità e lotte ignorate dagli altri candidati. Ha incontrato le organizzazioni dei popoli totonaco che si oppongono ai megaprogetti di gas fracking in Veracruz; a Texcoco le comunità della valle di México che lottano contro la costruzione del nuovo aeroporto che colpirà non solo i loro terreni agricoli, ma i manti freatici che forniscono acqua a Città del Messico; a Ciudad Neza la sua voce si è unita a quella delle organizzazioni che denunciano i femminicidi e le molteplici violenze contro le donne; in Chiapas ha denunciato la violenza paramilitare che attenta all’autonomia indigena. L’obiettivo principale della sua campagna è stato, e continuerà ad essere, quello di articolare le nostre lotte e costruire alternative di vita dal basso, a partire dal rispetto per la madre terra e la dignità dei popoli.

Il suo appello è stato per difendere la vita e il territorio dalle politiche di morte e riprendere i valori comunitari e le esperienze di resistenza dei popoli indigeni. Nel suo discorso a Totonacapan ha detto: “I capitalisti ci vogliono far credere che il nostro territorio sono le migliaia di pozzi petroliferi, le decine di concessioni minerarie, le donne assassinate, le ed i desaparecidos. Ma noi sappiamo che non è così, perché la violenza, la deforestazione, le alte tariffe di luce e acqua, il controllo dell’acqua da parte dei cacicchi regionali e nemmeno i megaprogetti estrattivi sono il territorio indigeno di Veracruz. I nostri territori sono le lingue originarie, le culture ancestrali, le nostre resistenze, l’organizzazione comunitaria che ci invita a non venderci, a non arrendersi né cedere, a non dimenticarci dell’eredità dei nostri antenati, che ci invita ad organizzarci e a governarci esercitando quello che decidiamo collettivamente”.

Lasciando da parte che le regole imposte dall’alto non gli permettono di essere sulla scheda elettorale, il suo appello a non cedere, a continuare ad organizzarci e difendere la vita e il territorio è vigente. Proseguiamo dunque in questa nuova tappa di resistenza. Andiamo avanti. http://radiozapatista.org/?p=25744

(Traduzione “Maribel” – Bergamo)

*Ricercatrice del Centro de Investigaciones y Estudios Superiores en Antropología Social

Fonte: La Jornada

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In Messico “non esiste un narcostato. Esiste uno stato criminale «La violenza aumenta per lo stato di eccezione non per i trafficanti: è tanto grande quanto è grande la presenza massiccia della polizia”. 

Andrea Cegna, il Manifesto 18 febbraio 2018

 In Messico «non esiste un narcostato. Esiste uno stato criminale»

Messico e crimine. «La violenza aumenta per lo stato di eccezione non per i trafficanti: è tanto grande quanto è grande la presenza massiccia della polizia»

Il Messico viene descritto da anni con il termine «narcodemocrazia». Una narrazione imposta dai governi Calderon e Nieto. Non tutto però si riesce a spiegare in questa chiave di lettura, e voci critiche dimostrano come i margini tra stato, economie legali e illegali siano inesistenti. Il caso della sparizione dei 43 di Ayotzinapa è stato emblematico. Tra chi osserva il paese senza fermarsi al punto di vista maggioritario è Oswaldo Zavala, messicano di Ciudad Juarez, docente di storia latinoamericana all’Università pubblica di New York e giornalista, che sta per pubblicare un libro intitolato I cartelli non esistono. L’abbiamo incontrato e intervistato.

È corretto quindi parlare di narcodemocrazia in Messico?
Parlare di narcodemocrazia in Messico o di narcostato è il risultato di una pratica discorsiva alimentata dello stato. L’imposizione del problema del narcotraffico in Messico, in realtà, è un qualcosa che stava nell’agenda ufficiale delle istituzioni da anni. Il fine è la definizione di uno spazio di criminalità a cui dare la colpa del presunto fallimento del paese. Non credo, quindi, esista davvero un narcostato messicano, credo esista uno stato criminale, uno stato cooptato da gruppi di gangster. Oggi la priorità del capitalismo è l’appropriazione di risorse naturali. Gli stati messicani dove c’è grande ricchezza di risorse naturali vedono una forte presenza di movimenti a difesa del territorio. Sono anche gli stessi stati che si dice siano governati dai narcos. In quei territori viene così imposto uno stato d’eccezione e inizia anche l’espropriazione delle risorse.

Esiste un rapporto tra il fenomeno del paramilitarismo e quello che oggi viene chiamato il narcotraffico?
Senza dubbi. Troppo spesso si confondono i termini paramilitari e narcotrafficanti. E troppo spesso si fa confusione tra gruppi. Ad esempio gli Zetas a volte si dice siano paramilitari a volte un cartello. La versione ufficiale è che gli Zetas controllino lo stato del Tamaulipas e che sovrastano il potere dello stato sfidando esercito e le forze dell’ordine. Difficile dire se è vero perché non abbiamo risorse e protezione necessaria per svolgere un’indagine. Così l’unica voce è quella dominante dello stato. Abbiamo però potuto studiare e verificare che i gruppi del Tamaulipas sono una cosa mentre quelli del Chihuahua un’altra. I gruppi di potere che operano nella sierra di Chiuhuahua non trafficano prioritariamente droga ma vengono chiamati comunque narcos.

Però il Chapo era il capo di un cartello, no?
La parola cartello è molto inefficace. È stata coniata negli Usa, un’invenzione del sistema statunitense in Colombia per definire i gruppi di potere di Pablo Escobar e poi quello di Cali. Un cartello è un’associazione di realtà che, in maniera orizzontale, manipolano i prezzi di un dato prodotto. È inspiegabile come possano essere chiamati «cartello» cinque contadini di Sinaloa o del Tamaulipas, senza avere le prove della loro capacità di modificare il prezzo della droga. Non chiamerei «cartello» quello di Sinaloa, meglio dire che è un gruppo di trafficanti. Sicuramente trafficano e muovono droga, dentro e fuori dal paese, ma abbiamo pochissime informazioni reali sul loro operato. Se ci basiamo su quel che diceva Forbes sulla presunta fortuna del Chapo e sulla presunta capacità di infiltrazione del cartello di Sinaloa in più di 50 paesi di tutto il mondo, non si spiega come tale organizzazione non abbia traduttori, non abbia esperti di economia globale e nemmeno come non abbia i soldi necessari per pagare un avvocato privato a New York. Da quel che ne so, il Chapo è seguito da difensori d’ufficio. Il presunto impero del cartello di Sinaloa pare inesistente. A Sinaloa c’era un’associazione di trafficanti che quando è servito è stata sacrificata dallo stato. Assumiamo come reali cose che non lo sono, tipo chiamare «cartelli» dei semplici trafficanti. Così la presunta guerra tra cartelli, per me, è un’idea manufatta dal governo.. L’idea che i loro presunti scontri per il controllo del territorio sia l’origine della violenze in Messico è molto pericolosa, non perché coincide con il discorso ufficiale, ma perché giustifica l’esercizio da parte dello stato della violenza con l’imposizione di stati d’eccezione.

Come con la «legge sulla sicurezza interna»?
Chiaro. La legge è simile ma più avanzata, alla legge di sicurezza nazionale statunitense del 1947. È la carta bianca per giustificare ogni sorta di repressione, nel nome della sicurezza, verso chiunque. Per me è il punto finale di un processo securitario iniziato nel 2006 e dove lo stato non esita a usare la violenza dell’esercito contro la popolazione. Questa è in verità la «guerra alla droga».

Come si spiega la violenza in Messico?
In molti modi. La prima cosa da capire è che la violenza non è il risultato del traffico di droga. I trafficanti non sono interessati alla violenza come stile di vita. Come qualunque altro tipo di economia informale, il traffico di droga, è un processo clandestino il cui scopo è la produzione di soldi. Se sei dentro il traffico di droga non puoi ritirarti, se ad un certo punto vuoi farlo vieni ammazzato. Ma è inspiegabile il perché dal 2008 esploderebbe la violenza territoriale di questi gruppi. Ciò che chiamano «cartelli» si formano in Messico dal 1975 e dalla loro nascita al 2008 non si registrano scontri per il controllo del mercato né violenze generalizzate sulla popolazione. Di colpo, però, secondo lo stato, iniziano a uccidere smisuratamente e contendersi le zone di traffico. Ciò che possiamo notare è che nelle aree dove dal 2008, nel nome della guerra alla droga, sono cresciuti militari e poliziotti decretando stato d’eccezione è incrementata la violenza. Detto in modo filosofico, la condizione d’incremento della violenza è l’apparizione dello stato di eccezione non dei trafficanti. Per dirla come un amico giornalista «la violenza è tanto grande quanto è grande la presenza di polizia». https://ilmanifesto.it/in-messico-non-esiste-un-narcostato-esiste-uno-stato-criminale/

 

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Chalchihuitán è un municipio della zona Altos del Chiapas. Timidamente e per poco tempo in Messico si è parlato di quel lembo di terra perché 5023 persone sono dovute scappare, e costruire un accampamento di fortuna sulla montagna. Alcune sono morte di freddo. Venti anni dopo la mattanza di Acteal e l’inizio del fenomeno dei desplazados, l’orologio del Chiapas è tornato indietro. 

MESSICO, CHIAPAS: UNA STORIA DI SOLDI, PARAMILITARI, POLITICA 

LA VIOLENZA COME SISTEMA DI CONTROLLO E DI POTERE 

 

Andrea Cegna – 19/02/2018
foto Pedro Anza/cuartoscuro

Chalchihuitán è un municipio della zona Altos del Chiapas. Timidamente e per poco tempo in Messico si è parlato di quel lembo di terra perchè 5023 persone sono dovute scappare, e costruire un accampamento di fortuna sulla montagna.

Alcune sono morte di freddo. Venti anni dopo la mattanza di Acteal e l’inizio del fenomeno dei desplazados, l’orologio del Chiapas è tornato indietro.

Chalchihuitán è confinante con Chenalhó, il municipio da dove venivano i carnefici di Acteal.
E i paramilitari di ieri sono gli stessi oggi, mai disarmati e mai puniti, tutti tornati alla vita “sociale”.

 

Lo scontro tra Chalchihuitán e Chenalhó è vecchio, ed ha inizio negli anni ’70. Lo scontro è per un pezzo di terra. Diversi documenti firmati da Presidenti della Repubblica messicani assegnano, dalla metà degli anni ’80, quella terra a Chalchihuitán.

LE TENSIONI SONO TORNATE FORTI NELL’ULTIMO ANNO E AD INIZIO NOVEMBRE I COLPI D’ARMA DA FUOCO DI PARAMILITARI DI CHENALHÓ PORTANO LA MORTE DI UN ABITANTE DEL VICINO MUNICIPIO.

Tensioni accresciute dal tribunale Unitario Agrario della Zona (organo alla dipendenza dello stato del Chiapas) che, a differenza del documento presidenziale, ha riconosciuto, il 14 dicembre, che il terreno è di Chenalhó. Come 20 anni fa i paramilitari sono al soldo della politica, ad attivarli è la sindaca di Chenalhó Rosa Perez Perez, del partito Verde.

Lo stesso del presidente dello stato del Chiapas, Manuel Velasco. A Chalchihuitán governa il PRI, il partito stato.

A denunciare la crisi umanitaria e supportare i desplazados sono alcuni preti e la società civile di San Cristóbal de Las Casas. I partiti, anche di opposizione, inesistenti.

I campi in Chiapas sono un nodo. Le comunità rurali crescono velocemente, e l’accesso alla terra diventa materia di scontro. All’origine dell’escalation di violenza c’è sicuramente questo, come c’è lo scontro tra Pri e Verde nel Chiapas, anche se poi a livello nazionale i due partiti sono alleati nell’appoggio di un candidato presidente.

MA CHIACCHIERANDO CON CHI VIVE QUEL LEMBO DI TERRA IL PROBLEMA SEMBRA ESSERE ALTRO, L’ARRIVO DEGLI ZETAS.

Gli Zetas sono semplicisticamente inseriti nell’elenco dei presunti cartelli. Sarebbe meglio definirli trafficanti di droga e paramilitari.

Senza mai rilasciare una dichiarazione ufficiale in molti dicono “alla corte di Rosa Perez Perez sono arrivati gli Zetas, hanno armato alcuni abitanti di Chenalhó e adesso hanno armi di ultima generazione”.

E quando si chiede perché la risposta è comune “perché così possono coltivare marijuana ed eroina, ma coltivarla in un territorio conteso, così che non si possano trovare responsabilità dirette”. La paura è tanta. “Sono criminali incalliti, quelli uccido come hanno già fatto, per questo non posso rilasciarti un’intervista”.

Pedro Anza/cuartoscuro

Oltre 3000 persone hanno deciso di tornare nelle loro case ed in quei territori.

Mentre vivono lì dicono di aver paura, e di non poter andare nei campi a lavorare. Una situazione limite, derubrica dal governatore del Chiapas a “crisi umanitaria terminata”.

Questa brutta storia di cronaca ci racconta un lato del Messico che non si vuole vedere: certamente i trafficanti di droga esistono, così come diversi gruppi criminali, ma non sono tanto i gruppi a contendersi i territori quanto una parte dei poteri che li governano che si servono dei loro servigi. http://www.qcodemag.it/2018/02/19/messico-chiapas-una-storia-di-soldi-paramilitari-politica/

 

CHI È ANDREA CEGNA

Agitatore culturale e sociale. Osservatore critico. Giornalista, senza tessera, a Radio Popolare, Radio Onda d’Urto. Sognatore.

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Messico: uccisi in un’imboscata tre membri del Comitato per la Difesa dei Diritti Indigeni. 

Ancora il sangue sulle strade di un Messico che in questi ultimi sei mesi del governo di Enrique Pena Nieto ha visto, da Michoacan a Oaxaca, Veracruz, Guerrero e Chiapas, attaccare l’Autonomia con tutto il dispositivo repressivo, statale e parastatale, di cui il partito PRI fa uso a proprio piacimento per annichilire chi alza la testa. Ad essere colpito questa volta è il Comité por la Defensa de los Derechos Indígenas (CODEDI), organizzazione che in questi anni si è resa protagonista e artefice di una delle esperienze di autonomia e autogestione più significative e radicali in Messico.

 

 

Crimine di stato in Messico: uccisi tre compagni del CODEDI in un’imboscata. Attaccano l’Autonomia? Nessun passo indietro.

14 febbraio 2018

 Pubblichiamo un articolo scritto dal collettvio Nodo Solidale (Italia/Messico) sull’assassinio dei compagni del CODEDI

Il telefono che squilla.

– Si un’imboscata, si si sui compagni, raffiche.-

– Cosa? No, ti richiamo –

– Quanti morti? 3, si ti richiamo –

– Maledetti. Si, si. TI richiamo io –

Ancora sangue.

Ed è ancora il sangue dei compagni quello versato sulle strade di un Messico che in questi ultimi sei mesi del governo di Enrique Pena Nieto ha visto, da Michoacan a Oaxaca, passando per Veracruz, Guerrero e Chiapas, attaccare l’Autonomia con tutto il dispositivo repressivo, (statale e parastatale), di cui il partito PRI fa uso a proprio piacimento per annichilire chi alza la testa.
Ad essere colpito questa volta è il Comité por la Defensa de los Derechos Indígenas (CODEDI), organizzazione che in questi anni si è resa protagonista e artefice di una delle esperienze di autonomia e autogestione più significative e radicali nel Narcostato che chiamiamo Messico.

Lunedì 12 febbraio, verso le 22,30, al kilometro 122 della strada statale Oaxaca-Pacifico 175, uomini armati hanno attaccato con raffiche di mitra la camionetta dove stava viaggiando il compagno Abraham Ramirez Vàsquez assieme ad altri membri dell’organizzazione, mentre tornava dalla città di Oaxaca verso la Sierra Sur, dopo una riunione con funzionari del governo statale a cui era stato invitato. In questo attacco sono stati assassinati dallo Stato 3 giovani compagni del CODEDI, minori, di cui l’organizzazione ha scelto per il momento di non diffondere i nomi.

L’organizzazione CODEDI ritiene responsabili dell’attacco il governo statale e quello federale, rappresentati rispettivamente da Alejandro Murat e da Enrique Pena Nieto, entrambi del PRI e da sempre impegnati nella destabilizzazione nello Stato attraverso azioni armate condotte a volte dalla polizia, a volte dall’esercito e dai servizi e più frequentemente dal braccio armato operativo dello stato sui territori: il narco e i gruppi paramilitari.

Il CODEDI nel comunicato diffuso poco dopo l’imboscata fa “appello a tutte le organizzazioni sociali, a tutti gli uomini e a tutte le donne liber* di solidarizzare con il CODEDI”. Inoltre i compagni e le compagne dell’organizzazione, ribadendo la responsabilità dello stato nell’imboscata subita dichiarano che non accetteranno di essere utilizzati dallo stato come pedine nella gestione di una vera e propria “strategia della tensione” le cui conseguenze nel paese vengono puntualmente pagate dalle classi lavoratrici, subalterne e dalle comunità indigene.
“Non verremo usati per generare paura nelle file del movimento sociale dei popoli di Oaxaca. Esigiamo verità e giustizia per i tre giovani messicani del CODEDI che sono stati assassinati dallo stesso governo che avrebbe dovuto proteggerli. Facciamo una chiamata fraterna a tutte le organizzazioni sociali, ai popoli di Oaxaca e in particolare ai compagni della SECCIÒN 22 affinché ci accompagnino negli appuntamenti che lanceremo nelle prossime ore.”

I compagni e le compagne del CODEDI, organizzazione che riunisce 45 comunità indigene della regione costa sud dello stato di Oaxaca, sud-est messicano, lottano tutti i giorni contro il saccheggio dell’acqua dei loro fiumi, rubata dalle multinazionali alberghiere per riempire le grandi piscine degli hotel di Huatulco, contro il taglio illegale degli alberi di granadillo dei loro boschi, utilizzati poi per la costruzione di yachts in Canada, Cina e Stati Uniti e per il diritto a una vita degna nella sierra che questi popoli custodiscono e abitano da migliaia di anni.

Apparentemente isolata dal resto del paese CODEDI è stata in grado in questi anni di tessere a partire dalla costruzione della propria Autonomia e della conflittualità di massa organizzata verso mafie e capitalisti della regione, una rete di relazioni nazionali e internazionali che hanno visto l’organizzazione indigena prima alimentare la comune di Oaxaca nel 2006 ( quando la città cacciò la polizia dalle strade) e poi ospitare incontri culturali nei propri territori , come i tre forum internazionali di teatro nella sierra zapoteca, oltre che partecipare a eventi nazionali sulle Zone Economiche Speciali e non ultimo all’ Incontro per la Resistenza Globale Autonoma di settembre 2017 in Chiapas (https://resistenciaglobalautonoma.wordpress.com/2017/11/10/presentacion-de-la-finca-alemania-del-comite-por-la-defensa-de-los-derechos-indigenas-para-el-encuentro/ ) dove è stato presentato pubblicamente davanti ad organizzazioni autonome provenienti da tutte le parti del mondo il progetto fiore all’occhiello dell’organizzazione: Finca Alemania.

Il 19 di Aprile 2013, CODEDI assieme ai compagni e alle compagne di Organizaciones Indias por los Derechos Humanos en Oaxaca (OIDHO), decidono occupare la “Finca Alemania”, 600 ettari di un ex piantagione di caffè di propietà tedescha nella sierra sur di Huatulco, dando vita a quello che a oggi potremmo definire uno straordinario soviet-università nelle montagne.
A Finca Alemania si produce buon cibo per le migliaia di persone che conformano l’organizzazione, si fabricano mattoni porte e finestre per costruire le case nelle comunità e si formano i giovani appartenenti al CODEDI.

L’educazione viene messa al servizio delle comunità di appartenenza di ogni compagno e compagna dato che non solo viene garantito l’accesso all’educazione a persone che non avrebbero mai potuto studiare, ma ciascuno ha l’obbligo di ritornare al villaggio di appartenenza e riportare nella pratica quanto appreso, contribuendo così alla crescita di una economia autonoma integrata fra le varie comunità della regione. Il gruppo di giovani che studia e vive stabilmente nella Finca è tenuto a frequentare corsi di : panetteria, agroecologia, allevamento, medicina, meccanica automotrice, elettricista automotrice, informatica, serigrafia, taglio e cucito, pittura, musica, teatro, apicultura e pedagogia per citare alcuni dei 18 laboratori della scuola autonoma attiva da più di un anno.

Il 12 febbraio 2018, ancora una volta, assistiamo ad un crimine di stato nei confronti di chi sogna, praticandolo ogni giorno, un mondo più giusto. Lo stesso mondo che ognuno, ognuna di noi ha avuto modo di toccare ogni volta che abbiamo camminato per i sentieri della Finca, ogni notte in cui abbiamo condiviso il caffè nel freddo dei blocchi sull’autostrada o quando abbiamo invaso le strade di Oaxaca, l’aeroporto di Huatulco, gli uffici del governo statale e federale, con rabbia e determinazione.
Questo stesso mondo che fa delle pratiche indigene un vero e proprio patrimonio comune anticapitalista da cui non impareremo mai abbastanza, viene sistematicamente attaccato con brutalità e violenza, senza importare le modalità spietate di repressione, come quelle dell’ennesima imboscata preparata dallo stato ad Abrahm Ramirez Vazquez, ne’ l’età di chi viene colpito dalle pallottole dei sicari pagati dal governatore Murat, che in questo caso colpiscono oltre che un adulto, anche due minori. Indigeni. Rivoluzionari. Colpevoli di praticare autonomia nei propri territori e di non accettarne la svendita e il saccheggio.

Mentre le famiglie aspettano di riceverne i corpi, lunghe colonne di membri dell’organizzazione indigena campesina marciano sulla stessa strada dove sono stati aggrediti e uccisi. Reclamano giustizia.
CODEDI, nel denunciare il crimine di stato perpetrato ai danni di tre suoi membri annuncia che la lotta contro le Zone Economiche Speciali , le grandi opere previste dal governo nello stato di Oaxaca, lo sterminio,la tortura, gli arresti di militanti, attiviste a attivisti e contro tutti i piani di saccheggio dello stato non si fermerà, anzi. E non verrà fatto nemmeno un passo indietro.

Collettivo Nodo Solidale (Italia-Mexico) http://lapirata.indivia.net/crimine-di-stato-in-messico-uccisi-tre-compagni-del-codedi-in-unimboscata-attaccano-lautonomia-nessun-passo-indietro/

 

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MESSICO: GRAVE INCIDENTE PER LA CAROVANA DEL CNI E PER MARICHUY

Nel tardo pomeriggio del 14 febbraio 2018 un incidente stradale ha coinvolto il convoglio del Congresso Nazionale Indigeno, dove viaggiava, per le ultime iniziative pubbliche per raccogliere le firme necessaria a sostanziare la candidatura, anche la candidata indigena alle presidenziali, Marichuy, rimasta ferita. Marichuy si è rotta un braccio e forse anche una spalla, oltre a soffrire di un trauma cranico. Un’altra compagna è morta nell’incidente, uno è ferito grave. L’incidente nello stato della Baja California, sull’autostrada La Paz–Tijuana. Sono state quindi sospese tutte le prossime iniziative pubbliche che prevedevano la presenza di Marichuy. Non si ferma invece il lavoro di volantarie e volontari nella raccolta di firme, compagne e compagni hanno denunciato sui social netowrk, negli scorsi giorni, come il sistema digitale per caricare le firme respingeva l’operazione dicendo che si era concluso il periodo per caricarle. Ma i giorni a disposizione dei candidati indipendenti non sono ancora terminati.

Andrea Cegna, redazione di Radio Onda D’Urto e progetto #20ZLN Ascolta o scarica

MESSICO: GRAVE INCIDENTE PER LA CAROVANA DEL CNI E PER MARICHUY

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Una dolorosa lettera d’amore per il mio Messico 

Luca Martinelli 

La retorica del “Paese fallito” e di uno “Stato debole” serve solo a giustificare violenza e violazioni dei diritti umani, che non sono frutto dello strapotere dei narcos ma di una precisa organizzazione del potere. I giornalisti italiani lo capiranno mai?

Negli ultimi cinquant’anni la ricchezza prodotta in Messico, misurata dalla Banca Mondiale, si è moltiplicata per quasi quaranta volte (in Italia di 23), e la popolazione del Paese è praticamente triplicata (fino a 127 milioni di persone). Eppure per i media italiani, ancora indecisi sull’appartenenza geografica al Nord o al Centro America, la quindicesima economia mondiale, che è anche il decimo Paese per numero abitanti, è soltanto un cliché, è il “Narcostato”, è il Paese dove oltre 230mila persone sono morte nell’ambito di una presunta guerra alla droga promossa a partire dal 2006 dall’allora presidente Felipe Calderon.

È fatta, e per il lettore italiano l’equazione è pronta, Messico = droga; non era del resto già così ai tempi di Diego Abatantuono e Claudio Bisio protagonisti di Puerto Escondido (1992), tratto dal libro di Pino Cacucci?

Eppure, a dare la colpa di tutto al narcos, cioè a quelli che vengono presentati come cartelli della droga, ha un unico effetto: riduce a zero la complessità del Messico, la complessità che la realtà di ogni Paese vive e contiene (gli italiani non sono stanchi di essere descritti come il Paese dei fannulloni, in mano alla mafia?). Fa sì, questo atteggiamento complice, che non ci si pongano domande (ad esempio, che cosa ha reso possibile una crescita economica così significativa? Chi l’ha pagata? Le relazioni commerciali privilegiate con Stati Uniti, Canada ed Unione europea hanno avuto solo effetti “benefici” sull’economia?), e fa sì che la forza apparentemenre schiacciante dei narcotrafficanti non lasci emergere l’esistenza di uno Stato forte, fortissimo, in particolare quando si tratta di mettere in piedi meccanismi di repressione nei confronti del conflitto sociale. Non fa notizia, in Italia, che un Parlamento in scadenza abbia approvato a dicembre una legge che, in nome della sicurezza pubblica, “apre” alle forze militari le strade del Paese, dove l’esercito sarà impegnato anche negli interventi di ordine pubblico. Una legge condannata anche dalle Nazioni Unite.

Resta il cliché, che in quest’anno elettorale (si vota il prossimo 1° luglio) rischia di essere strumentalizzato ed ingigantito: a dicembre, ad esempio, un lungo articolo pubblicato da un quotidiano ha dato risalto alla storia dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa, in Guerrero, scomparsi il 26 settembre del 2014. Bene, ma quello scritto riportava finte o false verità, già smentite scientificamente da anni, come la favola dei corpi che sarebbero stati bruciati in una discarica dopo esser stati affidati ai “narcos”.

Lo stimolo a scrivere questo commento, però, è una frase, letta il 7 gennaio su un autorevole settimanale: “C’è poi la piaga della corruzione, figlia endemica del narcotraffico”.
Non è possibile affermare che in Messico la corruzione è figlia del narcotraffico, e basterebbe guardare agli archivi dell’OCSE, alle classifiche di Transparency International o anche alle cronache economiche del Paese negli anni Settanta, Ottanta e Novanta (si può leggere ad esempio il coccodrillo dedicato dal Guardian all’ex presidente Lopéz Portillo, in carica dal 1976 al 1982).
Non c’è solo il narcotraffico, il Messico e i messicani non vivono ogni giorno pensando e rivivendo la cattura di “el Chapo”.

Ecco che, sconfitto il fantasma dei narcos, potremmo iniziarci a porre altre domande.

Perché dall’altra parte dell’Atlantico, e legato all’Italia da salde e solide relazioni commerciali (sono stati in visita a Città del Messico: il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, luglio 2016; il presidente del Consiglio Matteo Renzi, aprile 2016; il ministro degli Esteri, poi presidente del Consiglio, Paolo Gentiloni, marzo 2015) e da un volo aereo diretto Roma e Ciudad de México, c’è un Paese che negli ultimi quindici anni ha compiuto solidi passi indietro sul terreno della tutela dei diritti umani, in particolare dei popoli indigeni (certificati a novembre 2017 dall’ultima missione della Relatrice speciale ONU), che è sotto processo alla Corte interamericana per i diritti umani per tortura, anche sessuale, nei confronti di cittadini che manifestavano la propria contrarietà ad una grande opera (il “caso Atenco”, così simile alla nostra Genova), che ha privatizzato le riserve di petrolio e gas, che sui migranti si è trasformato in un argine per conto degli Stati Uniti d’America.

Nel 2014, a Tenosique, in Tabasco, nei pressi della frontiera con il Guatemala, ho capito che Messico ed Italia sono simili, due Paesi di transito per migliaia di migranti che non vogliono restare entro quei confini. A partire dalla metà degli anni Novanta (e personalmente nei primi anni Duemila), invece, l’Esercito zapatista di liberazione nazionale in Chiapas ha insegnato a migliaia di persone in tutto il mondo l’importanza di lottare contro le politiche neoliberiste. Ecco perché il Messico non può essere considerato una “sconfinata ecatombe” (letto sempre domenica 7 gennaio, sull’inserto culturale di un quotidiano), ma resta un Paese da indagare nella sua gigantesca complessità. Quella che nel 2018 porta per la prima volta una donna, che è anche un’indigena, a tentare la candidatura alla presidenza della Repubblica. Il segnale, anche se il nome di Marichuy, all’anagrafe Maria de Jesus Patricio Martinez, non dovesse arrivare sulla scheda elettorale, di un Paese ancora vivo. Oltre ogni cliché. https://medium.com/@lucamartinelli130180/una-dolorosa-lettera-damore-per-il-mio-messico-c092e6c3a4ad

Foto di Luca Martinelli – La Realidad, Chiapas, agosto 2014

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Un anno importante il 2018 per il Messico. Per dirla nel linguaggio zapatista, siamo sulla soglia di un calendario e di una geografia che accoglieranno tre appuntamenti di quelli che possono fare un gustoso pezzo di Storia. E, se non sarà Storia sarà Strada e Cucina, e avrà un sapore mirabilmente femminile. 

Mx2018 

Rebecca RovolettoDomenica 11 Febbraio 2018 

Un anno importante il 2018 per il Messico. Per dirla nel linguaggio zapatista, siamo sulla soglia di un calendario e di una geografia che accoglieranno tre appuntamenti di quelli che possono fare un gustoso pezzo di Storia. E, se non sarà Storia sarà Strada e Cucina, e avrà un sapore mirabilmente femminile.

Il Messico è uno dei Paesi più corrotti e violenti al mondo: la militarizzazione e la repressione contro le comunità che resistono alle aggressioni nei loro territori cresce ogni giorno; uccisioni e sparizioni di giornalisti, di rappresentanti della società civile, di attivisti e persone impegnate nella difesa dei propri diritti e della propria sopravvivenza sulla loro terra, non smettono di riempire le cronache.

Ma il Messico è anche uno dei laboratori di resistenza, di elaborazione e di trasformazione sociale più fertili e lungimiranti che ci siano. Da decenni lo osserviamo e ascoltiamo, da decenni ne apprendiamo ingredienti e percorsi. E questo 2018 messicano si preannuncia come un crocevia straordinario.

La prima strada è policentrica e propriamente messicana. Una piccola vocèra di etnia nahua sta girando il Paese da un anno, in lungo e in largo. È dello scorso anno, infatti, la proposta dirompente da parte dell’EZNL (l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) di partecipare, come popoli indigeni, alle elezioni presidenziali nazionali del 1° luglio prossimo. Marichuy, Maria de Jesus Patricio Martinez – la candidata indipendente, scelta dal Consiglio Nazionale Indigeno – da allora sta portando avanti la proposta politica. Assieme agli altri rappresentanti del Consiglio Indigeno di Governo (bellissimo il lavoro “Flores en el desierto” di Gloria Muños Ramírez sulle dieci consigliere del CIG https://floreseneldesierto.desinformemonos.org/ ), è alle ultime battute della campagna di raccolta firme per presentarsi alla scadenza elettorale. Non arriverà certo al soglio presidenziale, forse nemmeno a racimolare le firme necessarie, ma questo non ha alcuna importanza.

L’obiettivo non è mai stato quello di arrivare, bensì quello di camminare e di rompere gli schemi del potere consolidato, guastare la festa insomma. Marichuy, oltre ad essere espressione della vasta e multiforme componente indigena della società messicana, rappresenta due cose precise: innanzitutto, la volontà dei popoli originari di rendersi visibili, partecipi e riconosciuti nei propri diritti e identità, ma soprattutto rappresenta un processo di costruzione di coscienza collettiva e tessuto sociale che rinsalda le relazioni dal basso, dando loro una propulsione nuova.

La seconda strada è spiraliforme e si dipana e concentra, pulsando, da un piccolo guscio di chiocciola. Sempre a fine 2017 ecco che arriva la convocazione al Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano, su invito delle donne della Comandancia General dell’EZNL http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/01/02/convocatoria-al-primo-incontro-internazionale-politico-artistico-sportivo-e-culturale-delle-donne-che-lottano/ . Si svolgerà in Chiapas al Caracol di Morelia (sede di uno dei municipi autonomi zapatisti) nei giorni tra l’8 e il 10 marzo prossimi. Ad oggi si contano già oltre 700 partecipazioni, singole e collettive, provenienti da oltre 36 paesi del mondo. Una tre giorni conviviale e politica tutta al femminile, aperta alle più svariate attività che favoriscano “alle donne che siamo” di condividere, conoscere, scambiare esperienze, riflettere e, di nuovo, cucinare e cucire coscienza per un agire consapevole dentro alle numerose lotte che vedono protagoniste, in millemila forme, le donne di tutto il mondo.

Questo incontro, che assomiglia a un piccolo tornado, sovverte le regole di genere. Perché non è poi così vero che i signori uomini sono esclusi: possono ascoltare purché accompagnati, possono aiutare dalla cucina e nelle attività utili a permetterci, come donne, di fare ciò che ci andrà di fare, “giocare, parlare, cantare, ballare, recitare poesie, e qualunque altra forma di arte e cultura che avremo voglia di condividere senza vergogna”. E sovverte pure le regole di un estetismo muliebre che ci vuole vestite di codificati cliché, perché sarà un incontro che avrà camicette a fiori con su un passamontagna e gonne colorate con terminazioni anfibie.

La terza è una strada reticolare. Dal 4 al 6 settembre Città del Messico ospiterà la Prima Conferenza Nord-Sud sulla Decrescita https://degrowth.descrecimiento.org/ . L’ampio movimento della Decrescita che ha nodi e reti in tutto il mondo, si dà appuntamento proprio qui per una convergenza nord-sud del mondo. Il Messico, a partire dal 2007, ha già visto numerose iniziative internazionali della direzione della Decrescita. L’ispirazione di questa scelta va ricercata nella figura di Ivan Illich che in Messico visse e produsse molta parte della sua opera. E, d’altra parte, il pensiero di Illich è uno degli assi intellettuali su cui è sviluppata la cultura neozapatista, ed è proprio la presenza dell’autonomia zapatista in Chiapas – che tanto ha influito su numerosi movimenti indigeni latino-americani – un altro dei criteri che hanno portato in Messico questa prima edizione “nord-sud”, connotandola di un taglio nettamente realistico sul come realizzare concretamente un cambiamento di paradigma a partire dalla difesa dei territori e dall’organizzazione autonoma delle comunità.

Strade e cucine sono i luoghi migliori per incontrare storie e per sedersi ad ascoltarle. Strade che quest’anno portano e partono dalle cucine messicane piene di energia femminile. Marichuy non è soltanto una portavoce di genere femminile, accompagnata da consigliere donne. L’incontro zapatista delle donne in lotta non è solo un incontro di connotazione di genere. La conferenza sulla decrescita, che parla di sobrietà e rapporti cooperativi tra l’umanità e il pianeta in cui vive, non è soltanto un appuntamento accademico. L’insieme di questi tre momenti richiama in superficie criteri psichici e archetipi che appartengono al più profondo sentire femminile, li rende riconoscibili e operanti nel mondo reale: sono i criteri della cura, della protezione, del nutrimento, della creazione di relazioni, dell’accoglienza e della convivialità. Gli stessi criteri che ci fanno tuonare contro le ingiustizie, che ci rendono ribelli alle prevaricazioni, che ci fanno opporre alla distruzione delle risorse vitali della natura e della bellezza. Criteri che ci spingono ad agire a favore della vita, affinché la vita sia per tutti integra, libera e degna.

Rebecca Rovoletto https://www.facebook.com/notes/rebecca-rovoletto/mx2018/10210729679549578/

Foto di Luis Jorge Gallegos, dal fotoreportage “Flores En El Desierto – Mujeres del Concejo Indígena de Gobierno” di Gloria Muñoz Ramírez / Desinformémonos

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INFORMAZIONI SUL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO. 

(ATTENZIONE: termine ultimo per l’iscrizione delle attività è il 9 febbraio 2018. Il termine per l’iscrizione ad assistere è l’8 marzo 2018).

Compagne, vogliamo condividere come procede la registrazione per l’Incontro che si svolgerà nei giorni 8, 9 e 10 marzo nel Caracol di Morelia, zona Tzotz Choj, Chiapas, Messico.

Abbiamo ricevuto via email 651 iscrizioni di persone di età che vanno dai 5 mesi ai 75 anni. 38 compagne verranno con le/i figl@.

I luoghi del mondo dai quali provengono sono Germania, Andorra, Argentina, Australia, Bolivia, Brasile, Canada, Cile, Colombia, Costa Rica, Cuba, Danimarca, Ecuador, El Salvador, Spagna, Stati Uniti, Francia, Grecia, Guatemala, Honduras, Inghilterra, Italia, Nazione Mapuche, Nazione Cree e Ojibwa, Nazione Navajo, Svezia, Nicaragua, Paesi Baschi, Paraguay, Perù, Porto Rico, Repubblica Dominicana, Svizzera, Uruguay, Venezuela, e 27 stati del Messico.

Nell’ambito delle partecipazioni politiche, artistiche e sportive ci sono 202 proposte che abbracciano le discipline di musica, danza, teatro, circo, clown, poesia, racconti, presentazione di libri, disegno, fotografia, cinema, calcio e pallavolo. Ci sono anche laboratori e discussioni con le seguenti tematiche:

Laboratori- Violenza di genere, yoga per bambin@, stencil, argilla, manifesti femministi, giochi di gruppo, valorizzazione ed utilizzo del sangue mestruale, genere, teatro, danza e pittura come mezzo di guarigione, sensibilizzazione, agricoltura sostenibile, violenze correttive come metodo per “curare” le donne lesbiche, tessuti, produzione di articoli per l’igiene personale, sciogliere il corpo, laboratorio sul corpo e resistenze creative, laboratorio di muralismo, femminismo delle donne di colore, decostruire i generi, cyber-femminismo, lavoro con il corpo, laboratorio di automassaggio, reiky, arte astratto-figurativa, scrittura libera, incisione, pittura, creazione di libri a partire dalle esperienze personali, aborto, biocostruzione, danza-terapia, cucina macrobiotica, incisione, umore e genere, aromaterapia, riflessologia.

Dibattiti – Discendenza femminile, il corpo della donna, forme di resistenza, difesa dei diritti umani e promozione della cultura, educazione antimaschilista, esperienze di sopravvissute alla violenza, lotta delle donne in Francia ed Italia, aborto, mestruazione e decostruzione dell’uso dei ruoli, femminicidi, esperienza di lotta del popolo Mapuche, maschilismo nei mezzi di comunicazione, la vista lesbica ai tempi del patriarcato, femminismo a Cuba, l’amore romantico e l’erotizzazione della violenza di genere, la violenza sessuale nel conflitto armato colombiano, la violenza verso la donna, razzismo, lotta contro le miniere, ecofeminismo, femminismi indigeni e neri, economia femminista e sostenibilità, sicurezza umana femminista.

Ci sono ancora molti messaggi email da leggere e vi ringraziamo per la pazienza, vi risponderemo presto.

Vogliamo inoltre comunicarvi che la data ultima per partecipare alle attività è domenica 9 febbraio compreso. Questo per poter organizzare la programmazione delle vostre attività.

Il limite per registrarsi per solo per assistere è l’8 marzo compreso. Dal 7 marzo inizierà la registrazione nel Caracol di Morelia.

L’indirizzo email per registrarsi è: encuentromujeresqueluchan@ezln.org.mx

 

Squadra di supporto al Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle Donne che Lottano.

25 gennaio 2018

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/01/25/avances-para-el-primer-encuentro-internacional-politico-artistico-deportivo-y-cultural-de-mujeres-que-luchan/

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María de Jesús non parla mai a proprio nome, ma a nome dei popoli che l’hanno scelta come loro portavoce. Non usa l’io, bensì il noi. Nelle riunioni non chiede di votare per lei, invita ad organizzarsi. Non dice lottate, ma lottiamo tutti insieme. Non chiede di essere appoggiata, aiutata o seguita: invita a pensare insieme al Messico che si desidera, a cominciare a camminare insieme e non fermarsi, ad organizzarsi e lottare insieme. 

La parola di Marichuy 

Luis Hernández Navarro 

Non vi portiamo cappellini, magliette od ombrellini, panini, generi alimentari, dice María de Jesús Patricio in alcuni dei suoi eventi nel viaggio che sta compiendo. Ma portiamo la parola che ci hanno mandato a dire.

María de Jesús Patricio – Marichuy la chiamano i suoi – è la dottoressa tradizionale nahua che funge da portavoce e candidata alla Presidenza da parte del Consiglio Indigeno di Governo (CIG). La parola che porta nelle comunità è quella che le mandano a dire i popoli originari che formano il consiglio.

Dal 14 ottobre scorso, Marichuy sta viaggiando in gran parte del paese. Non si ferma. Fino ad ora ha percorso Chiapas, Campeche, Yucatan, Quintana Roo, Tabasco, Veracruz, Puebla, stato del Messico, Morelos, Hidalgo, Colima, Jalisco, Aguascalientes, Zacatecas, San Luis Potosí, Querétaro e Città del Messico. Nella maggioranza di questi stati ha tenuto gli incontri non nelle grandi città, ma nelle comunità remote (molte di difficile accesso) dove le comunità indigene vivono e lottano.

In questi incontri María de Jesús ha parlato, ma anche ascoltato. Il 9 gennaio scorso, a Desemboque, Pitiquito, Sonora, ha riassunto quello che queste altre voci le hanno detto: Abbiamo ascoltato le molte sofferenze che vivono queste comunità, soprattutto quelle del sud del Messico.

La sorprende il gran numero di donne che partecipano, organizzano, dirigono e prendono la parola in questi eventi. La metà del cielo, solitamente invisibile nelle campagne politiche dei partiti istituzionali, occupa uno spazio immenso nel giro della portavoce del CIG. È come se il percorso di Marichuy avesse aperto un’enorme breccia nelle forme tradizionali di fare politica, nella quale si sono inserite le donne organizzate del Messico del basso per prendere il controllo del proprio destino.

María de Jesús non parla mai a proprio nome, ma a nome dei popoli che l’hanno scelta come loro portavoce. Non usa l’io, bensì il noi. Nelle riunioni non chiede di votare per lei, invita ad organizzarsi. Non dice lottate, ma lottiamo tutti insieme. Non chiede di essere appoggiata, aiutata o seguita: invita a pensare insieme al Messico che si desidera, a cominciare a camminare insieme e non fermarsi, ad organizzarsi e lottare insieme.

Perché María de Jesús Patricio ed il CIG partecipano alla congiuntura elettorale se non sono d’accordo con i partiti politici? Perché farlo se ritengono che questi hanno diviso e fatto scontrare le comunità? L’ha spiegato più volte (https://goo.gl/p4DpWi ).

Partecipano alla contesa elettorale non per arrivare al potere né per essere come quelli di sopra, ma perché vogliono che si guardino i nostri popoli indigeni e si ascoltino i loro problemi. Perché cercano di mettere ben in chiaro che le comunità indigene non sono d’accordo con il modo in cui si stanno accordando lassù quelli che hanno il potere e quelli che hanno il denaro. Perché devono denunciare l’imposizione alle comunità indigene dei megaprogetti che hanno portato distruzione e morte, inquinamento e deforestazione. Perché devono prepararsi ad affrontare la guerra che viene dalle imprese, dai governi e dai narcotrafficanti, insieme alla violenza che li accompagna da sempre, che sia dei loro poliziotti, militari o criminali. Perché è urgente fermare gli omicidi, le sparizioni e gli arresti che subiscono per difendere le loro terre, territori e risorse naturali. Perché non vogliono più essere ignorati, abbandonati e umiliati. Perché ci sono comunità sul punto di sparire. Perché da loro dipende che continui ad esserci vita per quelli che verranno dopo.

“Partecipiamo a questo processo – ha detto la portavoce del CIG lo scorso 12 gennaio a Mesa Colorada, territorio guajirio – affinché i media si voltino a guardare e vedano che i nostri popoli stanno soffrendo, che hanno problemi di terra, che hanno problemi di inquinamento delle acque, che hanno problemi con le miniere a cielo aperto che inquinano, con le centrali idroelettriche, i gasdotti, gli impianti eolici che contaminano la terra, con gli ogm che inquinando le nostre coltivazioni, il nostro mais, i nostri fagioli.”

La parola di Marichuy non è rivolta solo ai popoli indigeni, ma anche, ai lavoratori delle campagne e delle città, alle donne, ai giovani, agli studenti, agli operai, ai maestri, perché – spiega – questo sistema capitalista non incombe solo sui nostri villaggi, ma ovunque, in tutto il mondo. In questa lotta proposta dalle comunità indigene – dice – ci stanno tutti quelli che sentono che questo Messico è nostro, e che se ne stanno appropriando in pochi, i pochi che hanno il potere e che hanno il denaro, per i quali noi non serviamo, ma siamo di disturbo.

In pochi paesi dell’America Latina ci sono tante lotte di resistenza quante in Messico. Tuttavia, in maggioranza sono disperse e isolate, come le perle di una collana a cui è stato rotto il filo che le unisce. Nel suo percorso per i villaggi e le comunità in resistenza, Marichuy ed il CIG cercano di infilare nuovamente queste perle perché formino la collana capace di cambiare la rotta della storia.

L’orizzonte della sua proposta – ha insistito Marichuy – non si ferma al 2018, ma va ben oltre. Alla maniera dei popoli indigeni abituati a sognare in altro modo, rivendica un potere che deve stare in basso, capace di dire come devono essere i governanti; un potere che dica al governo quello che deve fare e non il contrario.

In un momento in cui l’insieme dei partiti ufficiali si è spostato a destra, il CIG e la sua portavoce stanno facendo una campagna in basso e a sinistra. Mentre la maggioranza dei candidati parla della disuguaglianza, della corruzione o dell’insicurezza, Marichuy cita a chiare lettere quello che gli altri tacciono: la depredazione, lo sfruttamento, il razzismo e l’oppressione provocati dal capitalismo, e la necessità di organizzarsi e lottare contro di essi. Per questo e perché non porta cappellini, magliette, ombrellini, panini o generi alimentari, ma la parola delle comunità indigene, Marichuy deve esserci sulla scheda elettorale per l’elezione del Presidente della Repubblica.

Twitter @lhan55

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2018/01/23/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Auguri fraterni agli insurgentes e insurgentas, miliziani e miliziane ed alle basi di appoggio dell’EZLN, a 24 anni della guerra contro l’oblio. Questa guerra genocida che gli zapatisti denunciavano nel 1994 non solo non è cessata, ma si è intensificata fino a fare del Messico il secondo paese più letale, dopo la Siria, secondo l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, che segnala un conflitto armato non riconosciuto, una catastrofe umanitaria dove il protrarsi della violenza omicida dura ormai da più di un decennio con intensità costante.

EZLN: 24 anni di dignità e coerenza etica 

Gilberto López y Rivas 

Il primo gennaio scorso si è celebrato un altro anniversario della sollevazione dei maya zapatisti a seguito della quale fu pubblica l’esistenza di un gruppo insorto formato in maggioranza da indigeni che in base all’articolo 39 della Costituzione dichiarò guerra al malgoverno dell’usurpatore Carlos Salinas de Gortari. A 24 anni da quell’avvenimento dai molteplici significati storici che scosse il Messico e il mondo, è attuale più che mai la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona, nella quale l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) si rivolge così al POPOLO DEL MESSICO (con le maiuscole): Noi, uomini e donne integri e liberi, siamo coscienti che la guerra che dichiariamo è una misura estrema ma giusta. Da molti anni i dittatori praticano una guerra genocida non dichiarata contro i nostri popoli, e per questo chiediamo la tua decisa partecipazione per appoggiare questo progetto del popolo messicano che lotta per lavoro, terra, casa, alimentazione, salute, educazione, indipendenza, libertà, democrazia, giustizia e pace.

Questa guerra genocida che gli zapatisti denunciavano nel 1994 non solo non è cessata, ma si è intensificata fino a fare del Messico il secondo paese più letale, dopo la Siria, secondo l’Istituto Internazionale di Studi Strategici di Londra, che segnala un conflitto armato non riconosciuto, una catastrofe umanitaria dove il protrarsi della violenza omicida dura ormai da più di un decennio con intensità costante. Nello stesso tempo, le riforme strutturali promosse dai governi di tradimento nazionale che si sono succeduti in questi anni di regime di partiti di Stato che legalizzano la depredazione ri-colonizzatrice e la denazionalizzazione di territori e risorse strategiche, così come la Legge di Sicurezza Interna che legalizza la militarizzazione del paese e la mano dura delle forze armate contro il popolo, fanno sì che le domande per le quali gli zapatisti sono andati in guerra siano sempre più attuali e legittime. Il Messico inizia questo 2018 nel peggiore delle situazioni che si ricordano dal conflitto armato del 1910-1917, che costò la vita ad un milione di persone, quando la popolazione totale era di 16 milioni di abitanti.

In questi 24 anni, l’EZLN ha persistito nel suo progetto di emancipazione e sempre e in diversi modi e con molte iniziative invitano tutti e tutte messicani e messicane, ad unirci al loro progetto di trasformare radicalmente la tragica realtà nazionale. Ricordiamo l’apertura alla società civile dei Dialoghi di San Andrés, la Convenzione Nazionale Democratica, la Marcia del Colore della Terra, gli Incontri Intergalattici, la Escuelita, i seminari per stimolare il pensiero critico tra gli intellettuali, gli artisti e gli scienziati, ed i molti modi di solidarizzare con le lotte di quelli che stanno in basso e a sinistra. La Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona è la sintesi della ricerca permanente dell’EZLN di articolare le lotte libertarie nell’ambito nazionale: “Continueremo a lottare per i popoli indio del Messico, ma non solo per loro né solo con loro, ma per tutti gli sfruttati e diseredati del Messico, con tutti loro e in tutto il paese (…) Ascolteremo e parleremo direttamente senza intermediari né mediazioni con la gente semplice ed umile del popolo messicano e, secondo quello che sentiremo ed apprenderemo, costruiremo insieme a questa gente che è come noi, umile e semplice, un programma nazionale di lotta, ma un programma che sia chiaramente di sinistra, cioè anticapitalista, cioè antineoliberista, cioè per la giustizia, la democrazia e la libertà del popolo messicano”.

Durante tutti questi anni, l’EZLN è stato la coscienza critica incorruttibile di fronte allo Stato ea alla società. È stato lo specchio nel quale la sinistra istituzionale e gli intellettuali di sistema hanno visto la loro perdita di principi morali e convinzioni anticapitaliste, il loro autismo di fronte alla guerra di pulizia sociale contro il popolo, il loro spostamento verso una comoda alternanza che non pone minimamente a rischio il sistema di sfruttamento della forza di lavoro più a buon mercato del pianeta, né la dominazione imperialista esercitata dagli Stati Uniti su un paese in rovina. Da qui l’odio viscerale dei pubblici ministeri d’ufficio antizapatisti di un’intellighenzia che da molto tempo ha rinunciato al pensiero critico; che personifica e proietta le sue frustrazioni e risentimenti nella figura del subcomandante Marcos-Galeano.

In questi anni, i popoli maya raggruppati nell’EZLN hanno dato un esempio di resistenza propositiva costruendo le loro autonomie, rafforzando i loro governi nei quali si comanda obbedendo e nei quali migliaia di donne e uomini si sono preparati per essere le autorità di una democrazia diretta e partecipata. Le bambine e i bambini, giovani di entrambi i sessi sono stati educati e formati in base ai sette principi etici zapatisti: servire e non servirsi, rappresentare e non soppiantare, costruire e non distruggere, obbedire e non comandare, proporre e non imporre, convincere e non vincere, scendere e non salire; una concezione del mondo e della politica, di quel per tutti tutto, per noi, niente, che si situa al polo equidistante del narcisismo individualista della generazione del selfie.

L’ultima delle iniziative sorte in seno ai maya zapatisti è la proposta assunta dal Congresso Nazionale Indigeno di formare un Consiglio Indigeno di Governo la cui portavoce, María de Jesús Patricio Martínez, Marichuy, sia inserita nella sceda elettorale delle elezioni presidenziali di questo anno. Di nuovo, ci invitano ad organizzarci per affrontare l’idra capitalista, il malgoverno e la partitocrazia che lo sostiene. La società civile messicana, i lavoratori, gli intellettuali, la gioventù, principalmente, saranno preparati a questa sfida che gli zapatisti ed il CNI ci lanciano? Lasceremo passare l’opportunità di unirci per lottare contro il malgoverno, per la giustizia, la democrazia e la libertà dei popoli della patria-matria messicana?

Auguri fraterni agli insurgentes e insurgentas, miliziani e miliziane ed alle basi di appoggio dell’EZLN, a 24 anni della guerra contro l’oblio. http://www.jornada.unam.mx/2018/01/12/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Radio Onda d’Urto intervista  Maria de Jesus Patricio Martinez, più conosciuta come Marichuy, la portavoce del Consiglio Nazionale Indigeno che le popolazioni native, insieme all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, hanno deciso di candidare alle elezioni presidenziali del Messico in calendario nel 2018 http://www.radiondadurto.org/wp-content/uploads/2018/01/chiapas-marichuy-intervista.mp3

523 comunità appartenenti a 25 stati del Messico, in rappresentanza di 43 popoli originari, hanno così designato Marichuy come la propria candidata. “La nostra lotta non è per il potere, non lo stiamo cercando. Chiediamo ai popoli orginari e alla società civile di organizzarsi per fermare questa distruzione, rafforzarci nelle nostre lotte di resistenza e ribellione, ossia nella difesa della vita di ogni persona, di ogni famiglia, collettivo, comunità o quartiere. Di costruire la pace e la giustizia, per riannodare i legami dal basso, dove siamo quello che siamo”, hanno detto in una nota congiunta il Cni e l’EZLN. Da diversi mesi Marichuy sta percorrendo tutto il Messico per spiegare il percorso nato nel gennaio del 2017 con la costituzione del Congresso Indigeno di Governo e la necessità di raccogliere ben un milione di firme, il numero previsto dalla legge messicana per rendere effettiva la candidatura.

Andrea Cegna, della nostra redazione, ha intervistato Marichuy durante una tappa della raccolta firme a Città del Messico, la capitale federale messicana. Ascolta o scarica qui.

Messico, intervista a Marichuy: «Una candidatura dal basso e femminista»

Messico. Intervista a Marichuy proposta alla presidenza del Messico dagli zapatisti, durante il suo tour per raccogliere le firme necessarie.

Andrea Cegna, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Dicembre 2017.

Il viaggio senza sosta di Marichuy, iniziato a metà novembre alla ricerca delle firme necessarie per rendere reale la sua candidatura a presidentessa del Messico, si è fermato solo a inizio gennaio.

Una pausa solo «spaziale» perché i giorni a Città del Messico sono serviti per riunioni di verifica, valutazione e coordinamento tra i delegati del «Congreso Nacional Indígena», la società civile e gli intellettuali che supportano il percorso.

Tra una riunione e l’altra Marichuy ha dialogato con la stampa nazionale e internazionale. Sono quasi un milione le firme necessarie per rendere reale e «sostanziale» una candidatura fuori dai partiti; si tratta di un numero molto alto che mostra lo iato tra la democrazia apparente e reale del sistema politico messicano. Abbiamo avuto l’opportunità di parlare con Marichuy per capire il significato del percorso intrapreso dal CNI sulla spinta dell’EZLN arrivata ormai un anno fa.

Una parte della sinistra messicana ha paura che porterete via voti a MoReNa (vedi scheda) e alla possibilità di un cambio di governo che rompa la dicotomia Pan/Pri, se potessi rispondere alle loro paure cosa diresti?
Che noi non toglieremo voti a nessuno. Credo che la gente sappia cosa vuole votare. Quello che stiamo chiedendo per ora è una firma per rendere effettiva la candidatura, non un voto. Firmare ora per me non implica votare per me a luglio. Non sappiamo nemmeno se raccoglieremo le firme necessarie. La nostra proposta è stata chiara dall’inizio: si tratta di una proposta organizzativa. Chi voterà ha chiaro chi appoggiare alle elezioni. Noi abbiamo sempre sostenuto la nostra sfiducia in coloro che governano ogni sei anni. Nelle comunità non abbiamo visto alcun cambiamento, la situazione nei villaggi è sempre peggio. La nostra proposta è diversa: attraverso l’organizzazione dal basso il popolo avrà il potere nelle sue mani e il governo deve ascoltare il popolo organizzato. Starà alla gente decidere.

Cos’è il femminismo per te, e perché oggi è fondamentale in Messico e nel mondo?
Quando una donna decide di partecipare, non c’è nulla che può fermarla. Ancor di più in questi tempi segnati da un numero esorbitante di femminicidi, non solo in Messico ma nel mondo. Le strutture patriarcali costruite non facilitano la partecipazione delle donne. Dobbiamo quindi partecipare con più decisione, senza paura. Se come hanno fatto tante donne, riusciremo anche noi a modificare le relazioni di forza, lottando, e se riusciremo a metterci d’accordo e così facendo costruire dal basso ciò che vogliamo, è chiaro che otterremo un altro mondo. Lottiamo anche per chi verrà dopo di noi. Come Congresso Nazionale Indigeno dobbiamo partecipare insieme, gli uomini valgono quanto le donne. Noi donne dobbiamo partecipare con più decisione e coraggio, dobbiamo essere forti per continuare a costruire l’autonomia.

Tu sei donna e indigena e i tuoi messaggi al riguardo sono molto chiari. Per chi non è donna e indigena, quindi, puoi spiegarci cosa significa vivere questa condizione in un paese come il Messico?
Essere donna significa essere considerata di seconda categoria. Essere donna e indigena significa essere considerata di terza categoria. Significa non essere mai prese in considerazione. La donna è considerata unicamente capace di fare figli e stare a casa per occuparsi della famiglia. Questo dovrebbe essere il suo compito per i più. La nostra proposta si basa sulla partecipazione delle donne. Tante donne hanno preso parte con ruoli importanti alla nostra lotta pur senza essere prese in considerazione. Quindi crediamo in un’organizzazione dal basso che, senza la partecipazione delle donne, non sarebbe per niente completa.

Il percorso elettorale si basa anche sui «numeri» se non raggiungerete l’obiettivo delle firme cosa può succedere? Si rischia di dare un segnale di debolezza? Se invece raccoglierete le firme sarà una prova di forza?
Abbiamo detto che avremmo partecipato nel processo elettorale e abbiamo assunto il compito di raccogliere le firme per poter apparire sulla scheda elettorale a luglio, ma allo stesso tempo pensiamo che il nostro percorso non si fermerà se non raggiungeremo questo risultato. La partecipazione al processo elettorale ha uno scopo organizzativo: se non raccogliamo le firme, ma riusciamo a creare un’organizzazione forte, dal basso, che duri, questa sarebbe una vittoria. Metteremo tutto le energie necessarie per nella raccolta delle firme necessarie e continueremo a creare e rafforzare la rete che stiamo creando giorno dopo giorno.

Il Messico è un paese magico e meraviglioso e nonostante le lotte sociali sta perfino peggiorando. La violenza è una forma di controllo, e con la scusa della guerra ai narcos si danno pieni poteri all’esercito. Come pensi che sia cambiato il tuo paese negli ultimi 20 anni?
Proprio adesso che è stata approvata la legge di sicurezza interna noi vediamo una minaccia. Nel caso di una manifestazione o di qualsiasi iniziativa contro qualunque ingiustizia la risposta sarà la repressione. Nessuna legge emanata negli ultimi anni fa gli interessi delle comunità o dei lavoratori o delle lavoratrici o di chi soffre povertà e discriminazioni. Difendono unicamente gli interessi di chi sta in alto, degli alleati del sistema capitalista che porta solo morte e distruzione e cammina mano nella mano con la polizia e l’esercito. Niente di tutto quello che viene dall’alto serve veramente ai popoli. La distruzione viene sempre accompagnata dalla repressione dello stato. Il prezzo lo pagano i poveri che si vedono saccheggiati di tutto.

La proposta del CNI non si rivolge solo al mondo indigeno. Come spiegheresti il senso politico della vostra proposta anche a chi indigeno non è?
È una proposta che viene dai popoli indigeni per il Messico. Che vuol dire questo? Noi popoli indigeni che abbiamo partecipato al CNI abbiamo visto i danni che i mega progetti del sistema capitalista hanno generato portando solo distruzione, inquinamento, e deterioramento della natura. L’impatto su tutti e tutte, non solo sui popoli indigeni. Se l’acqua è contaminata, è contaminata per tutte e tutti. Anche per gli alberi, così si modifica l’intero ciclo della vita. Guardiamo come viene distrutta la terra, come viene contaminata. Quando la terra morirà, moriremo insieme a lei. Proprio per questo la nostra è una proposta rivolta a tutte le persone che soffrono e vivono in Messico e nel mondo. Questo processo di organizzazione è per la difesa della vita, perché vogliamo che la vita continui ad esistere per tutte e tutti. Non solo per i popoli indigeni, non solo fino a luglio.

Che differenza c’è tra la «otra campaña» del 2006 (lanciata dagli zapatisti per coordinare la sinistra radicale e internazionale, con un tour che partì in motocicletta – ndr) e il tuo percorso per il Messico?
La vediamo come una continuazione. Questa volta attraverso la partecipazione diretta al processo elettorale. È la sua naturale continuazione nella costruzione dal basso di qualcosa di nuovo, una maniera per rafforzare l’autonomia in ogni comunità, in ogni quartiere, in ogni zona delle città e di tutto il mondo.
Un’ultima domanda, come funziona il Consiglio Indigeno di Governo(CIG)?
I CIG sono formati da sorelle e fratelli che hanno ricevuto il mandato dalle proprie comunità e dai propri popoli per partecipare al processo elettorale. Visto che alla presidenza della repubblica non si può candidare un gruppo di persone è stata scelta una portavoce, in questo caso la sottoscritta. Il CIG è la nostra proposta di governo: dove il popolo comanda e il governo esegue. Se il governo non obbedisce al popolo, il popolo lo può destituire. Molte comunità già si governano così. È quello che vogliamo proporre, ma più in grande, per tutto il Messico. Con l’organizzazione dal basso quindi vigilare l’operato del governo. Come ho già detto la nostra è una proposta diversa.

Pubblicato da il Manifesto edizione del 13.01.2018  https://ilmanifesto.it/edizione/il-manifesto-del-13-01-2018/

 

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In questi 24 anni abbiamo costruito la nostra autonomia, sviluppato le nostre diverse aree di lavoro, consolidato le nostre tre istanze di governo autonomo, formalizzato i nostri sistemi di salute ed educazione, creato e rafforzato i nostri lavori collettivi, ed in tutti questi spazi di autonomia conta la partecipazione di tutti e tutte, donne, uomini, giovani e bambin@. E così stiamo dimostrando che noi popoli originari abbiamo la facoltà e la capacità di governarci da soli, non abbiamo bisogno dell’intervento di nessun partito politico che solo inganna, promette e divide le nostre comunità e non accettiamo nessun tipo di aiuto dai governi ufficiali. Non accettiamo nemmeno che qualcuno ci venga a dire che cosa possiamo o non possiamo fare. 

Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comandancia General dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, 1° gennaio 2018. 

24° Anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio. 

 

BUONA NOTTE, BUON GIORNO:

COMPAGNI, COMPAGNE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE.

COMPAGNI, COMPAGNE RESPONSABILI LOCALI, REGIONALI ED AUTORITÀ DELLE TRE ISTANZE DI GOVERNO AUTONOMO.

COMPAGNI E COMPAGNE PROMOTORI E PROMOTRICI DELLE DIVERSE AREE DI LAVORO.

COMPAGNE E COMPAGNI MILIZIANE E MILIZIANI.

COMPAGNI E COMPAGNE INSURGENTES E INSURGENTAS OVUNQUE SIATE.

COMPAGNI, COMPAGNE DELLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE.

COMPAGNI, COMPAGNE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO.

COMPAGNI, COMPAGNE DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E LA SUA PORTAVOCE MARIA DE JESUS PATRICIO MARTINEZ DOVUNQUE CI ASCOLTIATE.

FRATELLI E SORELLE DI TUTTI I POPOLI ORIGINARI DEL MONDO CHE CI ASCOLTATE.

FRATELLI E SORELLE SCIENZIATI E SCIENZIATE DEI MOLTI PAESI CHE CI ACCOMPAGNATE.

FRATELLI E SORELLE DEL MESSICO, DELL’AMERICA E DEL MONDO CHE OGGI CI ACCOMPAGNATE O CI ASCOLTATE OVUNAUE SIATE.

FRATELLI E SORELLE DEI MEDIA LIBERI E ALTERNATIVI, NAZIONALI E INTERNAZIONALI.

Oggi, 1º gennaio 2018 celebriamo il 24° anniversario della nostra sollevazione armata contro il malgoverno e il sistema capitalista neoliberale causa di ogni tipo di morte e distruzione.

Come popoli originari, da più di 520 anni ci hanno sottomessi attraverso lo sfruttamento, l’emarginazione, l’umiliazione, il disprezzo, l’oblio e la depredazione delle nostre terre e ricchezze naturali in tutto il territorio messicano.

Per questo il 1° Gennaio 1994 abbiamo detto BASTA! di vivere in così tanta ingiustizia e morte, e così abbiamo fatto conoscere al popolo del Messico e al mondo le nostre domande di Democrazia, Libertà e Giustizia per tutti, terra, lavoro, abitazione degna, alimentazione, salute, educazione, indipendenza, democrazia, libertà, giustizia e pace.

Ed ora la violenza è diffusa ovunque e si uccidono donne e bambini, anziani e giovani e perfino madre natura ne è vittima.

Per questo diciamo che la nostra lotta è per la vita, per una vita degna.

Mentre il capitalismo è il sistema della morte violenta, della distruzione, dello sfruttamento, del furto, del disprezzo.

Questo è quello che manca a tutti i popoli originari ed alla stragrande maggioranza degli abitanti di questo paese, il Messico, e di tutto il mondo.

Perché, vi chiedo, Chi ha una vita degna? Chi non vive l’angoscia di poter essere assassinata, derubato, deriso, umiliato, sfruttato?

Se c’è chi è tranquillo e non se ne preoccupa, bene, queste parole non sono per te.

Ma forse vedi e senti che tutto sta andando sempre peggio.

Non solo c’è che il lavoro è malpagato e non basta per poter vivere dignitosamente.

Ora c’è anche che i gruppi criminali, soprattutto quelli che sono governi, rubano o, peggio, ci uccidono, perché solo così stanno bene.

Dunque, se pensi che succede così perché così vuole il tuo dio, o perché è per sfortuna, o perché è il destino che ti è toccato, allora queste parole non sono nemmeno per te.

Le nostre domande sono giuste e, come abbiamo detto pubblicamente 24 anni fa, non sono solo per noi popoli originari o indigeni, ma chiunque non sia criminale o stupido, o le due cose, sa che sono istanze giuste e sempre più necessarie e urgenti.

Ma la risposta dei malgoverni è stata: hai l’elemosina, quindi accontentati, perché se continui a pretendere ho qui i miei eserciti, i miei poliziotti, i miei giudici, le mie prigioni, i miei paramilitari, i miei narcotrafficanti, e tu hai solo il tuo cimitero.

Allora noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo detto loro: non chiediamo elemosine, vogliamo rispetto per la nostra dignità.

E i malgoverni hanno risposto che non sanno che cos’è la dignità. Che questa parola è maya o è di un altro pianeta, perché non c’è nei loro dizionari, né nella loro mente, né nella loro vita.

È così tanto tempo che sono servi e leccaculi dei ricchi, che hanno ormai dimenticato cos’è la dignità.

Siccome questi malgoverni sono abituati ad arrendersi, a vendersi, a cedere, pensano che tutti siano così, che tutto il mondo sia così, che non ci sia chi parli, pensi, lotti, viva e muoia senza arrendersi, vendersi, cedere.

Per questo non capiscono lo zapatismo. Per questo non comprendono i mille nomi che la resistenza e la ribellione assumono in molti angoli del Messico e del mondo.

Il sistema è così, compagna, compagno, fratello, sorella, quello che non capisce lo fa perseguire, imprigionare, assassinare, sparire.

Perché vuole un mondo domo, come se le persone fossero bestie da soma che devono obbedire a quello che dice il padrone, il prepotente, e se non obbediscono, botte, bastonate, reclusione, fucilate.

Per il capitalismo la resistenza e la ribellione sono una malattia che lo assale, gli dà mal di testa, gli dà un calcio nei coglioni, gli sputa in faccia. Gli fa male.

E la medicina del capitalismo per questo sono i poliziotti, le prigioni, gli eserciti, i paramilitari, i cimiteri se hai fortuna, se no, chissà dove ti buttano.

Ed è così anche se non c’è resistenza e ribellione, anche se stai tranquillo e sei un buon cittadino che vota per il Trump di turno nel tuo calendario e nella tua geografia.

E magari critichi e ti lamenti di quelli che protestano e si ribellano. E dici “andate a lavorare e smettetela di lamentarvi” quando si protesta per Acteal, o per l’Asilo ABC, o per Atenco, o per Ayotzinapa, o per i Mapuche, o per qualsiasi nome abbia la disgrazia che si abbatte.

Tu credi che tutto questo succeda lontano da casa tua, dalla tua strada, dal tuo paese o quartiere, dal tuo lavoro, dalla tua scuola, dalla tua famiglia, e invece no. Tutto questo che si sa e molti orrori di cui non sappiamo, succedono proprio vicino a te.

Perché anche se credi che non ti tocchino, invece sì che ti toccano, a te o a qualcuno vicino a te.

Perché il sistema e i suoi governi hanno oramai perso il controllo, sono impazziti, sono ubriachi di denaro e di sangue e travolgono tutto e tutti e, soprattutto, tutte e todoas.

Dunque, sorella, fratello, compagno, compagna, se tu pensi che la situazione è molto difficile e che non è più sopportabile, allora bisogna sapere che cosa farai.

Se pensi che qualcuno, un leader, un partito, un’avanguardia risolva tutti i problemi e che devi solo mettere una crocetta su una scheda, così facilmente, ok, pensa pure che sia così.

Allora, queste parole non sono per te. Resta tranquillo o tranquilla in attesa della nuova presa in giro, la nuova frode, il nuovo inganno, la nuova bugia, la nuova delusione. Che non sono nuove, sono le stesse di sempre, cambiano solo di data nel calendario.

Ma, forse pensi che si possa fare qualcosa di più. E ti domandi se si può, o se la lotta, la resistenza, la ribellione stiano solo nelle canzoni, nelle poesie, sui cartelli e nei cimiteri.

Allora ti diciamo che noi, zapatiste e zapatisti, ci siamo chiesti tutto questo 24 anni fa quando siamo andati a morire per le strade e le piazze delle tue città.

E così ci hai visto. E così ci hanno visto anche coloro che si credono grandi dirigenti rivoluzionari che prima ci hanno disprezzato, come ci disprezzano ora, quando sono venuti a conoscenza della nostra lotta mentre cenavano e ridevano nei loro festeggiamenti di fine anno, mentre noi, zapatiste e zapatisti dell’EZLN ci mettevamo la vita e la morte dove loro mettono i musei.

Allora abbiamo reagito. Abbiamo detto, vediamo se si può vivere con dignità senza i malgoverni, senza dirigenti e senza leader e senza avanguardie piene di Lenin e Marx, ma assolutamente che non stanno con noi, zapatiste, zapatisti. Molto parlare di quello che dobbiamo o non dobbiamo fare, ma niente di concreto. E dagli con l’avanguardia, e il proletariato, e il partito, e la rivoluzione, e fatti una birra, un calice di vino, un arrosto in famiglia.

Niente da fare, abbiamo pensato, l’avanguardia rivoluzionaria è troppo occupata a provarsi abiti e parole per la vittoria, e quindi dobbiamo fare a modo nostro, come indigeni zapatisti.

Che non sono molti gli indigeni, e gli zapatisti sono ancora meno, perché non è da tutti essere zapatista.

E così abbiamo iniziato quello che ora si conosce come l’autonomia zapatista, ma che noi chiamiamo la libertà secondo noi, zapatiste e zapatisti, senza padroni, né capoccia, né leader, né dirigenti, né avanguardie.

In questi 24 anni abbiamo costruito la nostra autonomia, sviluppato le nostre diverse aree di lavoro, consolidato le nostre tre istanze di governo autonomo, formalizzato i nostri sistemi di salute ed educazione, creato e rafforzato i nostri lavori collettivi, ed in tutti questi spazi di autonomia conta la partecipazione di tutti e tutte, donne, uomini, giovani e bambin@.

E così stiamo dimostrando che noi popoli originari abbiamo la facoltà e la capacità di governarci da soli, non abbiamo bisogno dell’intervento di nessun partito politico che solo inganna, promette e divide le nostre comunità e non accettiamo nessun tipo di aiuto dai governi ufficiali. Non accettiamo nemmeno che qualcuno ci venga a dire che cosa possiamo o non possiamo fare. Qui discutiamo e concordiamo tutto collettivamente.

Per questo a volte ci mettiamo tanto tempo, ma quello che viene fuori è del collettivo. Se riesce bene, è merito collettivo. Se riesce male, è demerito collettivo.

Questo è il nostro modo, e se va bene o male, è lì da vedere; paragonate le vostre povertà con le nostre, le vostre morti con le nostre, le vostre malattie con le nostre, le vostre assenze con le nostre, le vostre sofferenze con le nostre, e vi accorgerete di paragonare i vostri incubi con i nostri sogni.

Stiamo vivendo e lottando con il lavoro individuale e collettivo di tutti noi zapatisti, ma ammettiamo anche che c’è ancora molto da fare, è necessario organizzarci di più come popoli, ancora abbiamo molte difficoltà per sviluppare bene le nostre diverse aree di lavoro, abbiamo anche sbagliato e commesso errori come ogni essere umano, ma ci siamo corretti e andiamo avanti.

Perché la nostra organizzazione siamo noi stessi. Nessuno che non sia uno svergognato, gaudente e bugiardo può dire il contrario. E non abbiamo paura di ammettere quando facciamo male, e di essere contenti di quello che facciamo bene. Perché il brutto e il buono che siamo è opera nostra. A noi, ci valuta la nostra stessa gente. Anche se poi c’è chi se ne va a spasso per l’Europa a mangiare e bere e dire che ha fatto tanto e perfino si inventa la propria “Frida Sofía” [la falsa notizia della bambina ‘Frida Sofia’ intrappolata tra le macerie del terremoto a Città del Messico – N.d.T.] per raccogliere attenzione e soldi ed offrire denaro per comprare coscienze e crede che la lotta si fa a parole e non con l’impegno reale, e si allea con i narcotrafficanti per attaccarci. Ma questi sono solo svergognati e bugiardi.

Perché, usando questi cosiddetti rivoluzionari ed i loro paramilitari, i malgoverni vogliono distruggere la nostra lotta, la nostra resistenza e ribellione attraverso la guerra economica, politica, ideologica, sociale e culturale, distribuendo come strategia nei territori dove ci sono zapatisti, briciole ed elemosine agli affiliati ai partiti, a volte aiuti economici, abitazioni e generi alimentari e progetti, a volte come governi, a volte come partito e a volte come presunte organizzazioni dei diritti umani, ed inoltre usano tutti i mezzi di comunicazione per diffondere le loro bugie, le loro cattive idee, le loro promesse, i loro inganni ben camuffati; tutto questo con l’obiettivo di indebolire la resistenza degli zapatisti allo scopo di dividere, far scontrare e comperare le coscienze della gente indigena e povera.

Noi, zapatiste e zapatisti, non siamo mendicanti ma siamo popoli con propria dignità, determinazione e consapevolezza per lottare per vera democrazia, libertà e giustizia, noi siamo sicuri che da lassù non verrà mai niente di buono per i popoli, non possiamo aspettare che la soluzione dei nostri problemi e bisogni arrivi dai malgovernanti.

E sappiamo chi è stato davvero vicino a noi zapatiste e zapatisti fin dal principio, quel primo di gennaio, e in questi 24 anni di resistenza e ribellione.

Il malgoverno, gli avanguardisti paramilitari e i ricchi non ci lasceranno mai vivere in pace, cercheranno mille modi per distruggere l’organizzazione e le lotte del popolo, perché in questi ultimi anni sono cresciuti a dismisura i crimini, la persecuzione, le sparizioni, gli incarceramenti ingiusti, le repressioni, gli sgomberi, torture ed assassini, come San Salvador Atenco, Guerrero, Oaxaca, Ayotzinapa, ecc., solo per citarne alcuni, e tra comunità e municipi hanno provocato divisioni e scontri e fanno in modo che i problemi non si risolvano con le buone maniere ma solo con la violenza, per questo sostiene, protegge e addestra i gruppi paramilitari, perché i malgoverni vogliono che ci ammazziamo tra fratelli.

Tutto quello che sta succedendo dimostra che non c’è più un governo nei nostri villaggi, municipi, stati e nel nostro paese.

Quelli che si dicono di governare, sono ormai solo ladri che ingrassano alle spalle del popolo, sono criminali ed assassini, sono capoccia, servi e caporali dei padroni che sono i grandi capitalisti neoliberali.

Sono buoni difensori degli interessi dei loro padroni nel saccheggiare le ricchezze naturali del nostro paese e del mondo, come la terra, i boschi, le montagne, l’acqua, i fiumi, i laghi, le lagune, l’aria e le miniere che sono conservate nel seno della nostra madre terra, perché il padrone considera tutto una merce e così ci vogliono distruggere completamente, cioè, vogliono annientare la vita e l’umanità.

Per questo come popoli originari di questo paese che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno, abbiamo deciso di compiere un passo e formare il Consiglio Indigeno di Governo e la nostra portavoce María de Jesús Patricio Martínez, che convoca, che informa, che infonde coraggio ed invita tutti i lavoratori della campagna e della città ad organizzarci, ad unirci e a lottare insieme con resistenza e ribellione nei nostri villaggi e nei nostri luoghi di lavoro, nei nostri calendari e geografie affinché così possiamo difenderci dall’idra capitalista che incombe su di noi.

Ma i governi e i padroni che sono i grandi capitalisti, impongono la Ley de Seguridad Interior, cioè, la militarizzazione delle nostre strade, dei nostri villaggi e di tutto il paese.

Ed ancora ci vogliono far credere che è per combattere il crimine organizzato quando in realtà è per tenerci sotto controllo, farci stare zitti, sentirci minacciati, con altra violenza e altra impunità.

Per questo noi zapatiste e zapatisti diciamo che non bisogna assolutamente fidarsi di questo sistema capitalista, perché da centinaia di anni subiamo tutte le sue malvagità senza distinzione di persone né di partito.

Dobbiamo organizzarci e unire tutti i lavoratori delle campagne e delle città, indigeni, contadini, insegnanti, studenti, casalinghe, artisti, commercianti, impiegati, operai, medici, intellettuali e scienziati del nostro paese e del mondo, l’unica strada che ci rimane è quella di unirci di più, organizzarci meglio per costruire la nostra autonomia, la nostra organizzazione come popoli e lavoratori, perché è questa che ci salverà dalla tormenta che si avvicina o che già è su di noi e che spazzerà via tutti e tutte.

In questo compleanno, a 24 anni dalla nostra sollevazione armata sul pianeta terra, oggi vogliamo parlare alle nostre compagne della sexta nazionale e internazionale.

Vogliamo parlare anche alle sorelle del Messico e del mondo.

Quindi, compagne e compagni della sexta nazionale e internazionale.

Sorelle e fratelli del mondo.

Quando diciamo che sono 500 anni di sfruttamento, repressione, disprezzo e depredazione, non stiamo mentendo.

Abbiamo già subito le guerre dei malgoverni e dei ricchi.

Non ci possono dire che è una bugia. Sono stati le nostre trisnonne e trisnonni a versare il proprio sangue e le proprie vite per sfuggire al potere degli sfruttatori che sono i trisnonni di quelli che ora sono al potere. Non ci possono dire che è una bugia, è qui da vedere. Sono i colpevoli che ora stanno distruggendo noi ed anche madre natura.

Non smetteremo di lottare, fino alla morte se è necessario.

Ed oggi abbiamo ancora più voglia di lottare, con le nostre compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

Sosteniamo la nostra compagna Marichuy e le compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

Che vi piaccia o no.

L’abbiamo detto chiaro fin dall’inizio. Ricordo che alla Convenzione Nazionale Democratica, nel 1994 a Guadalupe Tepeyac, abbiamo detto: “Ci facciamo da parte se ci mostrate che c’è un’altra strada per sconfiggere il nostro essere armati”.

E fino ad oggi non ci hanno mostrato un’altra strada per sconfiggere il sistema di morte e distruzione che è il capitalismo.

Quelli che ci stanno mostrando la strada sono le compagne e i compagni del Congresso Nazionale Indigeno, con la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo. E li sosteniamo senza smettere di essere quello che siamo.

E non abbiamo vergogna di appoggiarli. Perché sappiamo che non cercano il Potere o le poltrone, ma il loro compito è portare il messaggio che bisogna organizzarci per la vita. È chiaro.

Indubbiamente c’è qualche bugiardo e bugiarda che va dicendo che ormai siamo per la via elettorale. È una vile menzogna e sono persone che sanno leggere e scrivere il castigliano, ma che non leggono o fanno i loro bugiardi inganni. Che peccato, che pena che non hanno comprendonio e nemmeno vergogna.

Nessuno ci toglierà quello che siamo, forse solo quando saremo morte e morti o quando saremo liberi.

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo, non fatevi ingannare.

In Messico non c’è più un luogo in cui camminare tranquilli, dovunque ti prendono e ti ammazzano.

Ci sono tante malvagità del capitalismo qui in Messico e nel mondo.

Davvero tante, come ci dicono le compagne del Congresso Nazionale Indigeno e la sua portavoce Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Ci deridono dicendo che la compagna Marichuy non sa governare, non ci porta a niente. Sorelle e fratelli, a cosa vi hanno portato i governi del PRI e del PAN? Non hanno forse compiuto massacri, corruzioni, cattive decisioni? Dove sta scritto che solo quelli che hanno studiato sanno governare? Non riuscite a vederlo?

Questo è ciò che vuole dirvi la compagna Marichuy quando dice di organizzarci nelle campagne e nelle città, e che ci uniamo indigeni e non indigeni, perché vediamo che cosa ci è successo con questi malgoverni.

Che cosa vi ha dato questo imbecille che ora è al governo? Peña Nieto è il peggior cinico, inetto e svergognato che si ripara dietro altri come lui.

Come fate a non vedere che a loro non succede niente, mentre il popolo sfruttato paga tutto con la propria vita?

Perché vi muovete solo quando accade il peggio? Perché, quelli a cui non succede e si comportano come se non vedessero e non fanno niente, ma poi quando gli capita allora vengono fuori e gridano aiuto, aiutami?

E quando parla la compagna Marichuy, dite che non sa parlare. Ma questo Consiglio Indigeno di Governo non sa niente, così dite.

Il Consiglio Indigeno di Governo vi dice la verità. Non volete la verità? Forse non vi piace. Si vuole che parli di cose belle e regali promesse? Ma quando il dolore busserà alla tua porta, gli risponderai con le promesse?

Sorelle e fratelli indigeni e non indigeni, nessuno lotterà per noi, assolutamente nessuno, ma solo noi stessi.

Svegliamo gli altri popoli sfruttati e svegliamo anche quelli che dicono di avere studiato. Aiutiamo ed appoggiamo la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Organizziamoci affinché la Compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo possano compiere il loro viaggio nel paese, anche se non raggiungerà il numero di firme per essere candidata. Perché non è la firma che lotta, non è quella che ci organizzerà, siamo noi che dobbiamo ascoltarci, conoscerci e da lì si può partire a pensare come organizzarci meglio e che strada seguire.

Nessun altro dirà le parole che pronunciano il Consiglio Indigeno di Governo e la portavoce Marichuy.

Se non ascolterete, sentirete solo rumore, lo stesso rumore di sempre, e poi seguirà la stessa delusione di sempre.

Non permettiamo che ci dicano “poveri indios, aiutiamoli con quello che avanza” proprio come fanno i malgoverni.

Solo con l’organizzazione del popolo della campagna e della città ci saranno libertà, giustizia e democrazia. Se non c’è, avremo solo un mondo come una FINCA CAPITALISTA e questo è già cominciato.

Se c’è qualche donna o uomo che pensa e crede che sia una bugia quello che diciamo dell’idra capitalista, beh, che ce lo spieghi, che ci dica chiaramente dov’è la bugia, perché per quanto vediamo e conosciamo, le cose stanno così. O forse, quello che si vede è che è difficile lottare, organizzare, ma non c’è altra strada.

Sappiamo che è difficile quello che diciamo, ma per caso è lieve e dolce quello che succederà con l’idra capitalista?

No, sorelle, fratelli, sarà orribile, terribile.

Per questo le compagne basi di appoggio zapatiste invitano per l’8 Marzo le compagne del Congresso Nazionale Indigeno e tutte le donne che lottano, le donne che non hanno paura, anche se ce l’hanno ma che bisogna controllare perché sennò è ancora peggio.

Perché loro, le donne zapatiste, le donne del CNI, le donne della Sexta e le donne che lottano in tutte le parti del mondo, ci dicono che dobbiamo organizzarci, ribellarci, resistere.

E questo è quello che ci dicono anche la compagna Marichuy ed il Consiglio Indigeno di Governo.

Dunque, avanti compagna Marichuy, cammina, galoppa, e se necessario corri e fermati e poi continua, non c’è altro modo.

Andate avanti compagne del Consiglio Indigeno di Governo

Avanti compagne del Congresso Nazionale Indigeno.

Siamo sicuri che se i popoli si organizzeranno e lotteranno, otterremo ciò che vogliamo, quello che meritiamo, cioè la nostra libertà. E la forza principale è la nostra organizzazione, la nostra resistenza, la nostra ribellione e la nostra parola vera che non ha limiti né frontiere.

Non è il momento adesso di tirarci indietro, di scoraggiarci o di essere stanchi, dobbiamo essere ancora più fermi nella nostra lotta, mantenere ferme le nostre parole e seguire l’esempio dei compagni e compagne che sono ormai morti: non arrendersi, non vendersi e non cedere.

DEMOCRAZIA

LIBERTÀ

GIUSTIZIA

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comandancia General dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés

Da Oventik Caracol II zona Altos de Chiapas, Messico

1 gennaio dell’anno 2018

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

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Difesa Zapatista considera il suo obiettivo come qualcosa da compiere in collettivo e non concepisce il suo ruolo come leader o capa, perché ha scelto la posizione meno brillante che  ci sia, quella di difesa, e lo fa per aiutare il cavallo orbo che sta in porta. Il suo lavoro è cercare e trovare chi si unisce, chi lavora in squadra e, nello stesso tempo, è parte della squadra, il ponte per incorporarsi ad essa. E quando considera sullo stesso piano posizioni come quella di raccattapalle, o il cagnolino o gatto-cane che corre storpio, e pone come unico requisito quello di voler giocare, questo è il suo modo di dire “voler lottare”. 

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE.

CHE NARRA DI COME SI INCONTRARONO I DUE PIÙ GRANDI DETECTIVE, UN FRAMMENTO DI QUELLO DI CUI ELÍAS CONTRERAS ED IL SUPGALEANO PARLARONO RIGUARDO AL CASO DELLA NON PIÙ MISTERIOSA SPARIZIONE DELLE BRIOCHE, E DI QUANDO DIFESA ZAPATISTA FECE A PEZZI LA SCIENZA DEL LINGUAGGIO, COSì COME DI ALCUNE OZIOSE RIFLESSIONI DEL SUP CHE CASCANO A PROPOSITO.

30 dicembre 2017

Buoni e reiterati giorno, pomeriggio, notte, mattino.

Prima di tutto, vogliamo mandare un abbraccio al popolo Mapuche che continua ad essere aggredito dai malgoverni dei paesi chiamati Cile ed Argentina. Ora, con le loro trappole giuridiche, sono tornati a sottoporre a giudizio la Machi Francisca Linconao, insieme ad altre ed altri mapuche. Un’altra dimostrazione che, nel sistema che ci opprime, quelli che distruggono la natura sono i buoni, mentre quelli che resistono e difendono la vita sono perseguiti, assassinati ed imprigionati come se fossero criminali Ma, nonostante questo, o proprio per questo, basta una sola parola per descrivere la lotta del popolo Mapuche e di tutti i popoli originari di questo continente: Marichiweu, dieci, mille volte, vinceremo sempre.

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Ieri, uno degli scienziati ci ha informati che c’è un concorso per il messaggio che una navetta spaziale trasporterà verso un altro pianeta, e che il premio è di un milione di dollari.

Il messaggio che proponiamo, e che sicuramente vincerà è: “Non permettete che noi ci stabiliamo nel vostro mondo. Se non abbiamo risolto i problemi che noi abbiamo provocato, ripeteremo gli stessi errori. E quindi non arriveremo soli, con noi arriverà un sistema criminale. Per il vostro mondo saremo un Alien apocalittico, il temuto ottavo passeggero che cresce e si riproduce grazie alla morte e alla distruzione. La spinta per conoscere altri mondi dovrebbe essere la sete di conoscenza, il bisogno di imparare e il rispetto per il diverso, e non la ricerca di nuovi mercati per la guerra, né il rifugio per l’assassino fatto sistema”.

Per favore, depositare il milione di dollari sul conto corrente dell’associazione civile “Llegó la hora del florecimiento de los pueblos” che appoggia il Consiglio Indigeno di Governo.

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Quella che leggerò doveva essere il nostro contributo al tavolo di ieri ma, come al Pedrito, mi hanno applicato la “equità di genere”, ceffone compreso e, tanto per cambiare, hanno vinto le “donne in quanto donne”. Proseguiamo, dunque:

Il dottor John Watson si guarda allo specchio preoccupato. Si pettina su entrambi i lati, davanti e dietro. Si guarda di fronte, di profilo destro, sinistro e, con l’aiuto di altro specchio in mano, dietro. Mentre è così curiosamente indaffarato mormora tra sé:

Capelli di tortilla… perché dice “capelli di tortilla?” … sarà per il colore? … per la pettinatura… forse i capelli bianchi che ormai competono per numero con i capelli scuri… o sarà per la pettinatura? … capelli di tortilla… dannata bambina…”.

In quel mentre, Sherlock Holmes, consulente investigativo, si alza di scatto dall’amaca in cui, sdraiato, strappava al violino alcune note malinconiche. Sistemandosi con cura l’impermeabile, Sherlock sollecita il dottore:

Svelto Watson, non abbiamo molto tempo”.

E dove dovremmo andare, Holmes? Il freddo punge e dalla Giunta dicono che peggiorerà”, protesta Watson uscendo dalla capanna che le autorità autonome gli hanno assegnato per il loro soggiorno nelle montagne del sudest messicano.

Holmes non si cura nemmeno di rispondere. A grandi falcate avanza sulla strada principale della comunità e si dirige alla casetta sulla cui facciata ci sono un cartello dove si legge “Commissione di Vigilanza” ed un murale dai colori vivaci che sfida l’umidità. Al suo interno una giovane indigena osserva attenta il monitor di un computer.

“Te´ oyot Tzeb”, (ti saluto “jóvena”) dice nel suo miglior tzotzil Sherlock Holmes, al quale, apparentemente, sono bastati pochi giorni per imparare l’indispensabile per farsi capire nelle lingue maya di quelle zone.

Watson lo guarda divertito quando la donna che sta di commissione di vigilanza gli risponde in perfetto inglese: “Good Afternoon” (“buon pomeriggio”). Benché il suo accento, più che britannico, a Watson suoni più vicino a quello di Dublino.

Holmes ignora lo sguardo sarcastico di Watson e in impeccabile spagnolo chiede:

Dónde me pueden dar razón de una persona con la que quiero hablar?” (“Cosa mi puoi dire di una persona con cui voglio parlare?”).

La donna, una giovane indigena, piccoletta, con lunghe trecce e vivaci occhi neri, sembra molto divertita e risponde in perfetto tedesco: “Und wie heißt diese Person?” (“e come si chiama questa persona?”).

Holmes immediatamente capta la faccenda e, in un francese da migrante “sans papiers” risponde:

Je ne connais pas son nom, mais sa profession est un enquêteur privé” (“Non conosco il suo nome, ma di professione è investigatore privato”).

Non capisco niente”, dice la giovane indigena in un italiano di quartiere rabbioso e indomito.

Il dottor John Watson sembra divertito delle difficoltà di Holmes, ma guarda preoccupato la strada con il timore che appaia la bambina.

Sherlock Holmes sta pensando a come si dice “investigatore privato” o “detective” in russo, quando i timori di Watson si confermano.

Come un piccolo uragano, la bambina che dice di chiamarsi Difesa Zapatista scende di corsa dalla strada piena di pozzanghere ed entra intempestivamente nella casetta mentre Watson istintivamente si sistema i capelli e Sherlock si chiede se sia meglio usare il cinese mandarino o il polacco.

Difesa Zapatista abbraccia Sherlock gridando “Jol-mes, testa di scopa!”.

Beh, abbracciarlo non è la parola esatta. Le rispettive altezze di Holmes e della bambina fanno sì che il detective riceva l’abbraccio intorno alle ginocchia.

Il detective consulente è sconcertato. La statura minima delle persone con le quali ha avuto a che fare a Londra è di 1 metro e 75 centimetri, mentre in terre zapatiste ha dovuto abbassare il suo standard al metro e mezzo. Rispetto ai bambini, beh, oltre a prendere le dovute distanze ogni volta che ne vede uno e mostrarsi infastidito se ne sente il pianto, la sua esperienza era zero. Ma, per qualche strana ragione, il più grande dei detective provava simpatia per Difesa Zapatista.

La bambina si volta e salta al collo dell’egregio Dottore e blogger John Watson con un “Waj-tson, capelli di tortilla!” che non fa per nulla felice l’ex medico militare.

Difesa Zapatista prende i due per mano e li trascina fuori: “Svelti, che arriviamo tardi!”.

La giovane donna della Commissione di Vigilanza, delusa dal repentino finale del suo internazionalismo linguistico, chiude le 7 finestre del browser aperte sul traduttore di google e torna al blog che informa sulle attività della portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, María de Jesús Patricio Martínez.

Holmes non ha bisogno di correre, per ognuna delle sue falcate la bambina deve fare molti passi. Sherlock nella mano destra tiene il bastone con cui è uso frugare tra i cespugli alla ricerca di insetti. Watson ritarda di proposito quando vede che il cosiddetto “gatto-cane” morde l’orlo dei pantaloni di Holmes. Sicuramente per costringerlo a ridurre la sua falcata e così camminare-correre al pari della bambina.

All’improvviso la bambina si ferma di colpo ed esclama sollevata: “Siamo arrivati”.

Sono nel campo utilizzato come pascolo collettivo del bestiame, per le partite di calcio delle squadre che si alternano per allargare ed approfondire la crepa nel muro (è riportato nel racconto precedente dove credo si comprenda che cosa rappresenta e forse non c’è bisogno di una nota esplicativa), per feste, balli e festival, oltre ad essere il campo di allenamento per l’incompleta squadra di Difesa Zapatista.

Watson, che non si è ancora orientato nel villaggio dove trascorrono la maggior parte del tempo, con disappunto riceve la conferma che si tratta di un pascolo quando sotto la suola delle scarpe avverte la presenza di una molle e tiepida merda bovina.

Difesa Zapatista dice “Voi aspettate qui, vado a prendere il cavallo orbo”, e se ne va correndo con dietro il gatto-cane.

Allora, un uomo indigeno di indefinibile età si avvicina alla coppia di britannici.

Sherlock Holmes lo guarda avvicinarsi e, con l’acutezza che gli ha dato fama, comincia a costruirsi un profilo dell’indigeno ma, prima che la completi, il personaggio gli dice:

Buongiorno signor Jol-mez, signor Waj-tson. Non si preoccupi, dice rivolgendosi a Sherlock, il suo sarto di Londra rimedierà senza problemi allo strappo. Credo anche che nella calzoleria zapatista potrà trovare degli stivali del suo numero. Qui succede così, a volte sembra che non ci sia niente da fare, ma dovrebbe cercare di non fumare così tanto la pipa, è dannoso per la sua salute. Le raccomando il violino invece della pipa per far passare la giornata. E non le consiglio di parlare male delle donne da queste parti, perché si arrabbiano, soprattutto Difesa Zapatista”.

Sherlock Holmes ammutolisce attonito, e Watson lo guarda curioso. Sembra che il detective abbia ricevuto il fatto suo.

Holmes passa dallo stupore all’ammirazione ed applaude “Bravo! Ha indovinato quasi tutto, benché mi permetta di dissentire dall’accusa di misoginia”.

Watson, come sempre, non capisce niente.

È l’indigeno che glielo spiega, mentre Holmes annuisce ad ogni affermazione:

Elementare, mio caro “Capelli di Tortilla”: Il signore ha indossato frettolosamente il suo costoso impermeabile e, senza volerlo, ha strappato leggermente il polsino sinistro. Uno che si veste così deve stare molto attento a ciò che indossa, cosicché si spera che tra i suoi pensieri ci sia anche quello di andare dal sarto per sistemare l’impermeabile. Che il sarto sia a Londra è facile, siccome porta l’impermeabile semiaperto, si riesce a leggere l’etichetta.

Le macchie di nicotina alla base del dito indice e su parte del palmo della mano, indicano che fuma molto la pipa, perché sono segni che lascia il tabacco che esce dal fornelletto. Per quanto riguarda gli stivali, gli scarponcini che indossa qui non dureranno molto e c’è da sperare che abbiate pensato di procurarvi degli stivali come quelli che usiamo noi, che sono fatti da calzolai insurgentes e che si comperano nel negozio dei compas.

Naturalmente, mi sono dimenticato di dire che il signor Jol-mes è destrimano, tiene la pipa con la sinistra perché usa la destra, per esempio, per suonare il violino.

Il violino, beh, il modo in cui tiene la bacchetta è lo stessa del Pablito, dei mariachi zapatisti, quando suona il violino alle feste, e il rossore del collo sul lato sinistro è perché suona il violino o perché l’ha punta qualche insetto… o perché le hanno fatto un succhiotto. Il parlare male delle donne è stato solo per vedere se ci azzeccavo, ma è in compagnia di un uomo, quindi, o pensa male delle donne o preferisce gli uomini”.

Holmes applaude di nuovo. L’insinuazione di omosessualità fatta dall’indigeno non lo turba affatto. Ma Watson è molto geloso della sua eterosessualità e tenta di spiegare:

“Mi scusi, ma Holmes ed io non siamo una coppia. Voglio dire, sì siamo una coppia ma non nel senso di un succhiotto, ma, beh, cioè, diciamo, è una relazione…professionale”.

L’indigeno lo interrompe: “Non ti preoccupare Waj-Tson, qui ognuno fa come gli pare e si rispetta”.

“Lo so”, dice Watson, “ma non è quello che sembra, certo, non è che io condanni le relazioni di quel tipo, solo voglio chiarire che…”.

Ora è Holmes che lo interrompe e si inchina con rispetto dicendo:

Se non erro, lei deve essere Elías Contreras, commissione di investigazione”.

A sua volta con rispetto, Watson si toglie la bombetta con cui, inutilmente, cerca di nascondere i suoi “capelli di tortilla”, e saluta.

Holmes aggiunge: “Solo qualcuno come Elías Contreras potrebbe infilare questa catena di osservazioni, ragionamenti e deduzioni ad una velocità che mi supera”.

Invece di ringraziare, Elías Contreras sorride beffardo e dice:

Nah, il fatto è che il SupGaleano ha qualche libro che parla di voi due e che racconta i vostri modi, la pipa, il violino e quelle cose lì, e nell’ufficio di vigilanza ho visto i vostri nomi tra la lista dei visitatori e, siccome siete gli unici cittadini qui nel villaggio, beh…”.

Watson, con disappunto, si calca in testa la bombetta. Ma Holmes sorride ed è lieto di imbattersi nel per nulla famoso detective, quello che chiamano “commissione di investigazione dell’ezetaelene”.

Ha ragione mio caro Elías Contreras, o devo chiamarla in un altro modo?”, dice mentre gli tende calorosamente la mano.

Basta Elías”, risponde lo zapatista offrendogli una sigaretta da rollare, che entrambi cordialmente rifiutano. Sherlock riprende la parola:

“Lo sa? Mi succedeva qualcosa di simile con Sir Arthur, che mi dava da leggere le bozze della deplorevole cronaca dei miei ritrovamenti che poi attribuiva inspiegabilmente al dottor Waj-tson, qui presente”.

Watson tenta di protestare, ma ci ripensa e si cala in testa il cappello.

“Vedevo che Sir Arthur adornava, in maniera superflua a parer mio, il lavoro che faceva. E dico che era ozioso perché quello facevo era applicare la scienza per risolvere i crimini.

E la scienza e le sue spiegazioni, mio caro Elías, sono ben lontane dal fascino che le attribuiscono i romanzieri ed in generale la gente.

Oltre al fatto che non è esente da errori, dalla continua e spossante sperimentazione e dallo studio profondo e sistematico dei progressi che, a vari titoli, avvengono in tutti gli angoli del mondo; la scienza e la sua applicazione sono difficili.

Il rigore scientifico trasforma il suo esercizio in qualcosa di arido e lo contrappone alla pigrizia intellettuale che si ritrova di continuo nelle opinioni, nei commenti e nelle superstizioni comuni. Per lo stesso motivo, quando hanno l’opportunità di studiare, alcune persone normalmente optano per le mal denominate scienze sociali, o per quelle umanistiche in generale che, a loro intendere ed erroneamente, non richiedono il rigore, la minuzia e la complessità delle conoscenze scientifiche.

Le arti, e quello che si riferisce ad esse, non richiedono rigore nel senso dell’esattezza ma, a differenza delle scienze esatte, naturali ed umanistiche, possono immaginare non solo altre realtà, ma possono inoltre meravigliare con le forme, i suoni e i colori con cui plasmano quell’immaginario.

Forse per questo le arti sono più vicine alle scienze esatte e naturali. A differenza delle scienze cosiddette umanistiche.

La scioltezza che la storia immaginaria richiede, per fare un esempio, nel caso della scienza sarebbe un’imperdonabile irresponsabilità ed una e una vera e propria violazione del codice etico che ogni scienziato deve includere nella sua pratica.

Ma un problema che presto o tardi si deve affrontare è che, il fatto di imporsi una rigida disciplina e possedere solide conoscenze, fa sì che chi fa della scienza la sua professione, non poche volte assuma un atteggiamento pedante e miserabile verso la gente comune.

Tendono ad essere arroganti e, non di rado, giustificano una certa frivolezza e mancanza di buon senso riguardo alle questioni quotidiane. Come se la vita reale fosse una faccenda solo per noi gente comune, e che loro, ellos, ellas, elloas(*), fossero al di sopra di tutto questo.

Ma a volte, nonostante gli scienziati stessi, è innegabile che le scienze naturali e quelle dure sono indispensabili. Qualsiasi possibilità reale e praticabile di uscire dall’incubo infido che è l’attuale sistema globale omogeneo, dovrà avere le scienze naturali e dure come fondamento principale. E se così non fosse, dovremo continuare a consolarci con la fantascienza”.

Watson guarda sorpreso Holmes mentre pensa “Incredibile, Sherlock Holmes si sta descrivendo con toni di disapprovazione”.

Holmes avverte lo sguardo di Watson e, rivolgendosi a lui, chiarisce:

“Ti sbagli, Watson, non sono autocritico. Ovviamente questo monologo non è mio ma mi è stato assegnato da quel tale SupGaleano, perché gli zapatisti pensano che il riconoscimento e un lieve rimprovero saranno meglio accolti dalla comunità scientifica se provengono da uno dei migliori detective della storia mondiale piuttosto che se provengano da un naso mascherato che usa ancora il modello del danese Niels Henrik David Bohr in riferimento all’atomo e che, per descriverlo, usa espressioni come “è una pallina formata da tante palline attaccate tra loro, intorno alle quali girano altre palline”.

Sherlock Holmes rabbrividisce. Un po’ per la scandalosa descrizione dell’atomo e un po’ perché sembra che finalmente sia stato liberato dal monologo che lo zapatismo gli ha imposto, supportato da quella che viene chiamata “licenza poetica”.

Elías Contreras, commissione di investigazione dell’ezetaelene, interviene solo con un “mmh”.

Quello che è successo dopo lo sappiamo perché il dottor John Watson ha preso nota di ciò che è stato detto lì, anche se non con l’intenzione di pubblicarlo, ma solo per l’interesse che la conversazione aveva suscitato. In seguito, Holmes gliene sarebbe stato grato, perché ciò che Elías Contreras disse continua ad essere rivelatore.

Sherlock Holmes prese da parte Elías, mentre il dottor Watson seguiva a prudente distanza. La ragazzina, accompagnata dai latrati-miagolii del cane-gatto, era impegnata a cercare di convincere il cavallo orbo ad occupare la sua posizione in porta.

“Adesso facciamo qualche tiro libero”, Watson sentì dire dalla bambina, e vide che un bambino si accomodava, beffardo, sotto la traversa di quella che sembrava essere una porta.

Sherlock Holmes sussurrò:

“Mio caro Elías, sono venuto da lei per sapere se non ha per le mani un caso che richieda l’ausilio della mia abilità di detective. Certo, prometto di essere discreto e di non reclamare per me alcun credito nell’ipotesi che abbiamo successo”.

Elías Contreras si fermò e disse nello stesso tono confidenziale:

“Beh, in effetti sì. Tuttavia, la problema che stiamo esaminando è piuttosto ampio e tutto ciò che abbiamo è la nostra mente per cercare di capirlo e affrontarlo. E poi, beh, di quello che mi viene in mente posso parlare più tardi con i compagni e le compagne del comitato”.

“Eccellente!”, esclamò Sherlock Holmes. “La riflessione astratta richiede uno sforzo extra che costringe il cervello a sublimare. Faccia attenzione Watson, perché ora, credo, stiamo per affrontare la più grande sfida per qualsiasi detective: risolvere un crimine con solo gli strumenti della logica e della conoscenza scientifica”.

Holmes era molto eccitato. Watson non ricordava di averlo visto così dal caso di “Uno Studio in Rosso” che ha dato nome e prestigio mondiale al detective.

Sherlock Holmes non fece fretta ad Elías Contreras. Accese la sua pipa, sì, ma più per accompagnare Elías che stava rollando una sigaretta, piuttosto che per il desiderio del gusto tagliente del fumo del tabacco in bocca.

Elías Contreras cominciò:

“Va bene: il problema è grande ma semplice. Cioè, conosciamo l’assassino, la vittima, l’arma usata, i tempi e la collocazione della cosiddetta “scena del crimine”, cioè, dove è stato compiuto il fattaccio e quando. Quindi, come dice il Sup, abbiamo il calendario e la geografia.

Ma la problema è grande perché è tutto confuso. Ma non so se è realmente stravolto di suo, o se è il mio modo di pensare ad essere confuso.

In questo caso, il crimine è già stato commesso, ma è anche in corso e verrà ulteriormente compiuto. Cioè, non è solo un casino che è già accaduto e basta, o che sta accadendo ora, ma è anche qualcosa che succederà”.

Holmes si mostrò ancora più interessato, ma non interruppe Elías Contreras, che proseguì:

“Quindi dobbiamo scoprire cosa è successo, cosa sta succedendo e cosa deve ancora accadere in modo che possiamo impedire che accada, perché se succede, sarà una tragedia così grande che non si può nemmeno immaginare”.

Sherlock Holmes approfitta dell’impasse aperta dalla commissione di investigazione per arrischiare:

Credo di capire: dobbiamo conoscere il crimine commesso per capire il crimine che si sta commettendo ed evitare così che si commetta l’altro crimine: il peggiore e più grande crimine nella storia dell’umanità”.

Elías Contreras annuisce e prosegue:

“Il criminale non si nasconde, al contrario, si mostra e si vanta di quello che ha fatto. Dice che è stato un bene il suo crimine di ammazzare, distruggere e rubare per farsi conoscere. Io penso che proprio lì, quando è nato come criminale, quando ha preso le sue modalità, è lì che possiamo imparare per sapere come sta facendo il suo casino e come lo farà”.

“Il criminale non si nasconde; al contrario, si mostra e si vanta di ciò che ha fatto. Dice che il suo crimine andava bene e che ha ucciso, distrutto e rubato per farsi conoscere. Penso che sia lì, quando è nato come criminale, cioè quando ha sviluppato il suo modo di fare, che possiamo sapere come si sviluppa il suo casino e come lo farà”.

Vero”, interrompe Holmes, “è necessario ricostruire la genealogia del crimine che, in questo caso e se ho ben capito, è anche la genealogia del criminale. Ma, prego prosegua”.

“Bene”, prosegue Elías, “da lì vediamo che il criminale si è modernizzato, cioè è un criminale ma sta attento che nessuno lo scopra, e si traveste da buono, come se non stesse tramando nulla, come se niente fosse”.

“Poi, ha i suoi complici, cioè i suoi compari nel crimine. E questi complici si incaricano di essere la faccia buona del criminale. Ma siccome si vede chiaramente che è una fregatura, allora questi compari del male inventano un colpevole. Cioè, il loro lavoro è gettare la colpa su qualcun altro.

Così vanno a cercare qualcuno da incolpare per la tragedia. A volte sono le donne che sono colpevoli di non obbedire, si dice, perché vanno in giro con abiti succinti, o perché studiano e lavorano, o anche perché vogliono autogestire il proprio corpo, la loro vita, essere autonome, perché pensano come un municipio autonomo ribelle.

Ma altre volte incolpano quelli che hanno la pelle di un colore diverso, o che hanno un altro modo di essere, come la Magdalena che è morta combattendo contro il male ed il maligno e che era una donna ma come dicono, dio si è incasinato e le ha dato un corpo di uomo e la Magdalena, beh, lei non si è nascosta né si è adattata, ma se n’è fregata di quello che gli altri pensavano e lei era altra, e dal momento che aveva quell’altro corpo era otroa(*). E lei, o lui, o elloa(*) ha combattuto per essere quello che era.

Molto coraggiosa la Magdalena, non si è mai arresa”, dice Elías e gli occhi si inumidiscono al ricordo di colei che, a modo suo, ha amato ed ancora ama.

Holmes e Watson restano in rispettoso silenzio.

Elías si ricompone e prosegue: “e poi danno la colpa anche a noi indigeni del fatto che le cose non funzionano perché non siamo civilizzati; dicono che non permettiamo che il progresso avanzi e si installino le miniere nei luoghi dove ci sono boschi e sorgenti. E risulta che noi popoli viviamo dove ci hanno buttato, perché ci hanno derubato e cacciato da dove vivevamo prima, e ci hanno imprigionato e anche ammazzato, ma comunque sia, noi resistiamo. E il criminale, queste terre prima non le voleva nemmeno, ma ora sì, le vuole perché sono merce, dicono che l’acqua si può comprare e vendere e che la terra, l’aria, il sole, gli alberi, gli animali, perfino i più piccoli, e beh, perfino quello di cui è fatto il pozol(**) sono merce.

Questo è ciò che fa questo criminale, trasforma tutto in merce, persino le persone, le donne, i bambini, gli uomini, la loro dignità, e se qualcosa non può essere mercificato, allora il criminale non è interessato perché non può essere comprato o venduto. Ma la problema non è esattamente questo, ma piuttosto che il criminale può fare tutto questo casino perché ha un’arma chiamata proprietà privata dei mezzi di produzione con cui gestisce l’intero piano. Quindi il problema non è che le cose vengono prodotte, ma piuttosto che ci sono alcuni che hanno la proprietà di quello che viene usato per costruire quelle cose, e tu hai solo il tuo lavoro per il quale sei pagato, male, come una merce. Quindi il criminale distrugge e uccide grazie alla sua arma che è la proprietà privata, e allo stesso tempo fa di tutto affinché non gli portino via quest’arma.

Beh, non so come spiegarlo, anche se lo capisco bene non conosco le parole per dirlo in castigliano o nelle vostre lingue.

Ma è più o meno come l’ho detto, ossia c’è il criminale, c’è la vittima fatta passare come colpevole per rubare ed ingannare altri, e c’è l’arma. E la scena del crimine è tutto il mondo. Penso che tutto è stravolto perché la sistema capitalista mondiale ci mette tutto: mette la vittima e lui stesso è l’assassino, l’arma che uccide e distrugge, e la scena del crimine.

Di questo abbiamo parlato col SupGaleano quando ha commesso il reato delle mantecadas per il quale è stato punito ed ora a suo carico c’è un altro reato perché ha preso il cellulare del SupMoy, e credi che il SupMoy non se ne accorga? Bene, dobbiamo continuare a pensare al problema perché se non fermiamo il criminale tutto il mondo sarà la vittima e non solo le persone, ma tutto, anche gli animali, le piante, le pietre, l’acqua, tutto.

E la problema è anche che non c’è dove imprigionare il criminale, quindi l’unica maniera per fermare il crimine è distruggere la sistema capitalista.

Certo, non vi sto dicendo tutto ciò di cui abbiamo parlato, voglio dire, non è tutto il discorso, ma se vi dico tutto allora quelli che stanno ascoltando e leggendo e guardando questa storia inizieranno a scervellarsi per pensare a cosa indossare per ballare alle feste di domani, perché un anno sta finendo e un altro inizia, e forse pensano che il cambiamento nel calendario cambierà le cose, ma non è così; per cambiare le cose dobbiamo lottare, molto, ovunque e sempre, senza tregua”.

Holmes e Watson rimasero in silenzio fino a quando Elías li salutò dicendo: “Devo andare, state attenti e non vergognatevi degli altri amori, se c’è un domani sarà anche per elloas, con elloas”.

E rivolgendosi a Watson aggiunse: “Se non hai la chiave dell’armadio, sfonda la porta [gioco di parole in spagnolo: romper el closet significa “fare coming-out” – N.d.T.]. Bisogna venire fuori senza paura, come la Magdalena. O con paura ma controllandola”.

Watson avrebbe voluto di nuovo chiarire che lui e Sherlock non erano quello che sembravano, ma Elías Contreras, commissione di investigazione dell’ezetaelene era già per strada e il pomeriggio sfumava sotto le ombre della notte che già si prometteva fredda.

-*-

Ci sono stati giorni, non molte lune fa, in cui la bambina Difesa Zapatista decise di esprimersi verbalmente solo con i colori. E non con espressioni del tipo “questo è azzurro” o “mi sento arancio” o cose del genere, ma solo nominando i colori.

Tutte le teorie sul linguaggio e sul discorso sono state messe in scacco dall’impertinenza di una bambina indigena zapatista.

Un giorno, è entrata nella capanna del SupGaleano e ha detto: “giallo”.

Il Sup non ha nemmeno sollevato gli occhi dal computer ed ha risposto: “nel giubbotto, tasca destra”.

Difesa Zapatista è andata dove era appeso il giubbotto e dalla tasca destra ha estratto un pacchetto di mantecadas ed è poi uscita di corsa esclamando allegra: “violetto”.

Contrariamente a quanto si possa pensare, ogni colore non aveva un significato preciso. Per capire Difesa Zapatista bisognava considerare il suo tono di voce, il contesto in cui lo diceva, dove guardava, l’espressione del suo viso, i gesti e la postura.

Una volta ha detto “giallo” mentre stava andando a scuola come se fosse diretta al patibolo.

Il Sup dice che fino ad allora sapeva che Difesa zapatista era una bambina normale e non un organismo cibernetico creato dalla mente perversa del SupMarcos per farci impazzire. L’eredità maledetta di un Moriarty(***) dal naso impertinente, un interrogatorio continuo e tedioso avvolto nell’apparente innocenza di una bambina alta solo poche spanne da terra. Un robot la cui fonte di energia non è solare o atomica, ma sono le mantecadas.

Un pomeriggio qualsiasi, il SupGaleano spiegava a Elías Contreras:

“È una bimba, senza ombra di dubbio. È la cosa più normale del mondo che una bambina che va a scuola lo faccia malvolentieri, con l’angoscia e la disperazione di chi va alla schiavitù di lettere, numeri, nomi e date. Nessuno potrebbe esprimere meglio di lei cosa significa andare a scuola e credo che portare con sé il gatto-cane, anche se nascosto nello zainetto, sia il modo di aggrapparsi al mondo di Difesa Zapatista, che non ho idea che cosa o chi sia, ma lei è felice in quel mondo ed è felice nel suo compito di completare la squadra che, forse, è il suo modo di dire “cambiare il mondo”.

Perché lei non sogna di essere una super eroina, con super poteri o con una katana per fare a pezzi i suoi nemici che, se fai attenzione, sono sempre maschi. Non parla mai del goal che ha segnato con una tecnica sorprendete e che ha suscitato le più disparate spiegazioni. Invece, il defunto SupMarcos ricordava sempre, e la maggior parte delle volte a sproposito, che quando era alla secondaria aveva segnato un goal. Certo, dimenticando di dire che lui era sempre in panchina e che solo una volta è entrato in campo e solo perché all’allenatore mancava un uomo e che l’ha segnato scivolando e, senza volerlo, come si dice, “ha buttato la palla in rete”.

E neppure assume la parte della principessa sperduta che aspetta la salvezza dall’immagine della mascolinità in sella ad un baldo destriero. In realtà, credo che la sua relazione col Pedrito sia precisamente l’inverso: lei deve aiutare, orientare e riscattare il Pedrito, anche se forse il suo metodo di menare ceffoni non sia il più adeguato.

No, Difesa Zapatista assume il suo obiettivo come qualcosa da portare avanti collettivamente e non concepisce se stessa come un capo o una capa; in effetti ha scelto la posizione meno brillante che potrebbe esserci, la difesa, e lo fa per aiutare il cavallo orbo che sta in porta. Il suo compito è quello di cercare e trovare chi vuole unirsi, chi giocherà come una squadra e non solo come un membro della squadra, ma anche un ponte per far partecipare gli altri. E quando apprezza posizioni altrettanto importanti come il raccattapalle, o il cagnolino o gatto-cane che corre storto, e pone come unico requisito il desiderio di giocare, questo è il suo modo di dire “voler lottare”.

In Difesa Zapatista non troviamo un mondo nuovo, è vero, ma forse qualcosa di ancora più terribile e meraviglioso: la sua possibilità.

E quando parla a colori, forse sta provando nuove forme di comunicazione per quel mondo che neppure immaginiamo, ma che lei assume già come in arrivo, non senza la lotta necessaria e urgente per realizzarlo, dovunque si trovi, in questa nostra dolorosa realtà.

Non immagino niente di più zapatista di quanto sintetizzato nell’azione di questa bambina.

Di questo parlava il SupGaleano ad un Elías Contreras silenzioso e attento. In quel mentre, sulla porta della capanna apparve Difesa Zapatista che, col pallone in una mano ed il gatto-cane nell’altra, chiese: “rosa?”.

“Adesso arriviamo, poi ti raggiungiamo”, rispose il Sup. Difesa Zapatista annuì solo con un “nero” e se ne andò di corsa.

Elías Contreras chiese al Sup: “Ma, cosa ha detto?”.

“Non ne ho idea”, gli rispose il Sup, mentre decideva se indossare la maglia dell’Inter di Milano (che, mi dicono, sembra abbiano comprato i cinesi) o quella dell’Atalanta (che sta in quel mercato di giocatori che si chiama UEFA), o quella dei Jaguares de Chiapas (che chi lo sa dove stanno messi) che aveva trovato nel baule dei ricordi del defunto. Alla fine si mise la maglia dell’EZLN con la quale, nel 1999, una squadra di basi di appoggio zapatiste debuttò allo stadio “Palillo Martínez” nella Cittadella dello Sport di Città del Messico, in una partita dove segnarono solo un goal e che il defunto SupMarcos sintetizzò così: “non abbiamo perso, è che non abbiamo avuto abbastanza tempo per vincere”.

“La verità è che tento di indovinare quello che vuole dire. A volte ci riesco, a volte sbaglio. Cioè, come dire, applico il metodo scientifico di tentativi ed errori. Forza Elías, credo che dobbiamo andare al campo perché c’è una squadra da completare. Presto si allargherà sì, ed un giorno saremo di più”, aggiunse a sua giustificazione il SupGaleano.

Sul campo c’erano già il cavallo orbo che masticava con perseveranza la stessa bottiglia di plastica, il Pedrito che discuteva di qualcosa con la bambina, il gatto-cane che tentava invano di mordere il nuovo pallone che il buon Vlady ha regalato a Difesa Zapatista, e due figure assurde che stavano ai bordi del presunto campo da calcio.

Nessuno lo notò, ma tra Testa di Scopa, Capelli di Tortilla, Elías Contreras e il SupGaleano ci fu uno scambio di sorrisi complici ed un cenno di saluto.

Difesa Zapatista rideva, mentre il gatto-cane le saltellava intorno cercando di prenderle il pallone.

Il freddo si era attenuato ed il pomeriggio si stava scaldando.

E ciò che qui ho narrato è accaduto in un qualsiasi calendario, ma in una geografia precisa: le montagne del sudest messicano.

In fede:

Il gatto-cane.

Guao-miao.

Dal CIDECI-UniTierra.

SupGaleano.

Messico, dicembre 2017

 

(*) elloa, elloas, otroa, otroas: Traduzione letterale “egliella, altrei”, desinenze coniate dagli zapatisti per includere anche nella terminologia tutti i generi: maschile, femminile, transgender e altri generi che non sono maschile, femminile, transgender.

(**) Il pozol, dal Nahuatl “pozolli” è un cibo/bevanda ottenuto da una massa di mais cotto e fermentato.

(***) Il Professor Moriarty è un personaggio di Arthur Conan Doyle presente nel ciclo di Sherlock Holmes.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/30/participacion-de-la-comision-sexta-del-ezln-en-la-clausura-del-conciencias-por-la-humanidad-del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro-supgaleano/

 

 

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…il defunto SupMarcos insisteva che il sistema capitalista non poteva essere compreso senza il concetto di guerra. Chiaro, supponendo che sia un concetto. Egli diceva che la guerra era in primo luogo il motore che aveva permesso, per prima cosa, l’espansione del capitalismo e poi il suo consolidamento come sistema mondiale, oltre che a ricorrervi per fare fronte ai suoi appellanti ed alle crisi profonde…… cos’altro ci si può aspettare da un soldato? Devo però segnalare, per rassicurarvi, che il SupMarcos non considerava come guerra solo quella militare… 

TRUMP, IL RASOIO DI OCCAM, IL GATTO DI SCHRÖDINGER E IL GATTO-CANE. 

28 dicembre 2017

Di nuovo buongiorno, buon pomeriggio, buona sera,

Forse qualcuna, qualcuno, qualcunoa, ricorda che il defunto SupMarcos insisteva sul fatto che il sistema capitalista non poteva essere capito senza il concetto di guerra. Ovviamente, ammettendo che si tratti di un concetto. Diceva che la guerra era il motore che aveva permesso, prima, l’espansione del capitalismo, poi la sua consolidazione come sistema mondiale, oltre ad essere lo strumento per affrontare concorrenti e profonde crisi.

Eh, lo so, cos’altro ci si può aspettare da un soldato? Devo però segnalare, per rassicurarvi, che il SupMarcos non considerava come guerra solo quella militare. Magari una rilettura della sua corrispondenza con Don Luis Villoro Toranzo del 2010, resa pubblica a inizio 2011, potrebbe aiutarci a capirlo. Nel primo di questi scambi pubblici, viene sgretolata l’inefficacia apparente della cosiddetta “guerra al narcotraffico” inaugurata dall’affezionato ai videogiochi bellici, Felipe Calderón Hinojosa. E parlo di “inefficacia apparente” perché, in effetti, visti i risultati, è stata ed è tuttora inefficace per combattere il crimine organizzato, ma è stata efficace per mettere i militari a governare di fatto in varie regioni di questo paese chiamato “Messico”.

Lo menziono qui perché, a differenza del defunto, a mio modo di vedere il capitalismo può essere studiato come un crimine.

Affrontarlo così richiederebbe la conoscenza scientifica di materie che potrebbero sembrare lontane da quelle che sono conosciute tradizionalmente come “scienze sociali”.

Insomma, catalogate pure come volete questa divagazione teorica, forse prodotto di un corso inconcluso, per corrispondenza, da detective privato, in quell’epoca lontana in cui la posta non faceva riferimento a conti elettronici e nickname, e che, quando si scriveva l’indirizzo, si metteva la zona postale e non l’IP o il protocollo di internet; un’epoca in cui si poteva studiare, anche per corrispondenza, da un corso da fabbro fino a uno da pilota di aerei, passando, chiaramente, da “come avere un corpo come quello di Charles Atlas senza il bisogno di andare in palestra e in poche settimane”, che non ho avuto bisogno di seguire perché è evidente che le mie gambe sono già sufficientemente belle e tondeggianti (riiiiiiso al latte).

Insomma, mettetemi nell’archivio di alcuni di quegli “ismi” a portata di mano sulle reti sociali, ed evitate di concluderne che le scienze sociali continueranno ad essere incomplete finché non includeranno la criminologia tra i loro strumenti, oltre che, ammesso che si tratti di un crimine, la cosiddetta scienza forense.

-*-

Ma continuerò a parlare di un crimine. Un crimine spiegato da diverse prospettive.

Prendiamo un esempio recente: i terremoti e le disgrazie che hanno causato.

Potremmo fare domande sulle condizioni delle strutture. Ammettiamo che ci sia stato e che ci sia uno studio scientifico del sottosuolo, calcoli sulla resistenza dei materiali e cose del genere. Quelli che hanno fatto della scienza la propria vocazione, la propria professione e la propria vita, possono dirci che le cose stanno così. Che le scienze possono darci gli elementi per evitare o almeno per ridurre il rischio che gli edifici collassino.

Vale a dire, in una zona sismica e con precedenti di terremoto, ci sarebbe da aspettarsi che gli edifici vengano costruiti prendendo in considerazione tutto ciò. Non sarebbe affatto serio che venissero realizzate delle costruzioni per poi pregare affinché non arrivino terremoti a buttarle giù.

Non so, magari gli scienziati potrebbero rispondere alla domanda chiave, che tra l’altro non è perché avvengono i terremoti, ma perché muoiono persone sotto le macerie di edifici che avrebbero dovuto essere costruiti per resistere ai terremoti.

Ma a quanto pare, secondo gli studi oggi di moda, tutto dipende.

Quindi, come ha detto il neo filosofo della scienza, “l’intellettualmente formidabile” (secondo la stampa che l’ha fatto suo), il cittadino senza partito José Antonio Meade Kirubreña, “passeremo a uno schema in cui la domanda non avrà senso”. Vale a dire, non chiederemo chi sono i responsabili, per commissione o per omissione, del fatto che questi edifici siano crollati e siano morte centinaia di persone. No, quel che chiederemo è perché c’è stato il terremoto. Ci limiteremo a questo, seguendo sempre questo intellettuale organico postmoderno, con un’altra domanda: Perché ci sono i terremoti o i sismi, o come si dice quando la terra abbandona la sua rassegnazione apparente e si muove?

No, se sperate in una spiegazione scientifica, state aspettando in vano. Le spiegazioni valide sono quelle che hanno più followers, ascoltatori, simpatizzanti e militanti. È da tempo ormai che la scienza perde ogni concorso di popolarità.

Quindi dipende dallo schema in cui sono date le spiegazioni.

Prendiamone una, quella del signor Alberto Villasana, che si autodefinisce, con modestia esemplare, “Teologo cattolico, Filosofo, Analista internazionale. Esperto di relazioni Chiesa-Stato. Autore di 12 libri. 3 volte Premio Nazionale di Giornalismo”, il che spiegherebbe, di fronte alla fede, i suoi 15,6 mila seguaci su twitter.

Non ridete, questo numero supera di gran lunga quello degli assistenti, partecipanti e presenti a questo incontro.

Riguardo al terremoto del 19 settembre 2017, l’illustre e illustrato Villasana ha scritto: “Questo è senza dubbio un avvertimento di Dio, una grazia molto speciale per il Messico, per prepararci a tutto quel che verrà…”.

Come l’ha saputo? Beh, pare che Villasana assicura che, al momento del terremoto, stavano celebrando un esorcismo a qualcuno posseduto da 4 demoni. “Durante l’esorcismo, gli infestanti hanno dichiarato che il terremoto del 19 settembre fa parte degli avvertimenti di Dio prima del grande castigo”, ha pubblicato nel suo articolo. Oltre ai terremoti, ci saranno uragani ed eruzioni vulcaniche. Secondo il teologo, questi castighi sarebbero “per aver approvato l’aborto nella stessa città in cui la Madre di Dio apparse nel 1531”. Secondo gli argomenti di Villasana, il sisma sarebbe un avvertimento per i messicani. Sul suo conto di Twitter, ha pubblicato l’immagine delle macerie del monumento alla Vergine: “Il collasso del monumento alla madre è significativo: proprio nella città dove è stato approvato l’aborto”.

Malgrado la sua sapienza indiscutibile, Villasana non è molto originale. A novembre 2016, i giornali italiani hanno segnalato che il sacerdote Giovanni Cavalcoli, conosciuto per la sua carriera da teologo, ha fatto le seguenti dichiarazioni la domenica del 30 ottobre, lo stesso giorno che un sisma di magnitudo 6,5 ha scosso la regione centrale dell’Umbria: la scosse sismiche sono un “castigo divino per l’offesa alla famiglia e alla dignità del matrimonio, soprattutto per colpa delle unioni civili omosessuali”.

Lo schema da cui dipende questa spiegazione, ha numerosi seguaci.

Giusto un paio di settimane fa, a dicembre di quest’anno, il cardinale emerito Juan Sandoval Iñíguez ha responsabilizzato le donne e loas otroas della violenza del crimine organizzato, dei terremoti e delle inondazioni.

Come tribuna per fornire questa spiegazione così scientifica, Sandoval Iñíguez ha convocato un certo “Grande Atto di Espiazione” che, per quel che ho capito, è tipo un incontro delle IncoScienze per la Deità, ma con più potere di convocatoria di questo a cui partecipiamo. L’evento si è svolto nello Stadio Azzurro, a Città del Messico che, tra l’altro, è ubicato meglio del CIDECI.

Tanto per cambiare, anche lì c’erano degli incappucciati. A differenza di chi ci convoca, però, che si dedicano a parlare male del capitalismo, gli incappucciati di Sandoval Iñíguez si sono flagellati a sangue. Quelle sì che sono frustate, non come quelle che si accumulano sulle reti sociali.

Tra una frustata e l’altra, ma facendo attenzione che non schizzasse sangue, il cardinale emerito ha dichiarato che il diritto di decidere e la diversità sessuale sono peccati, e che la violenza del narcotraffico e i terremoti sono il castigo per questi peccati: “Signore e nostro Dio, prima che arrivi un castigo più grande, ci mandi dei castighi provvisori o delle correzioni paterne tramite la natura che è la tua opera ed è governata dalla tua provvidenza. Saranno una casualità due 19 settembre in questa città?

L’evento “Grande Atto di Espiazione” è stato convocato da una specie di associazione che potrebbe anche essere chiamata “È giunta l’ora che marciscano le peccatrici e i peccatori”. Che sarebbe il contrario di quel che dicono coloro che sostengono il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce.

Ho letto da qualche parte che, tra quelli che l’hanno convocato, ci sono “personaggi pubblici” come Esteban Arce, Manuel Capetillo e Alejandra Rojas. Non ho idea di quanto siano veramente pubbliche queste persone, so solo che la signora madre di Esteban Arce dev’essere ricordata da tutta la comunità otroas.

Nell’atto, che ora sappiamo non era per esorcizzare la squadra di calcio che ha questo stadio come sede (non c’è modo, “ogni croce azzurra del passato è stata meglio”), il neoscienziato Sandoval Inníguez ha proclamato: “Questo è un atto di espiazione, in cui veniamo a confessare le nostre colpe, a riconoscere i nostri peccati di fronte al Signore e a chiedergli misericordia e perdono. Veniamo a dirgli: Signore, abbiamo peccato contro di te e commesso il male che aborrisci; perdona il tuo popolo e dacci il castigo che meritiamo. Abbiamo peccato contro di te con il crimine più tremendo, più grave e più crudele, quello dell’aborto praticato in lungo e in largo nella nostra patria, a volte persino con il consenso di leggi ingiuste, a volte in modo occulto, furtivo, ma sempre con crudeltà, deliberatezza e vantaggio contro l’innocente, l’indifeso.

Secondo rapporti della stampa, molto vicino a dove si frustavano le “fratellanze di penitenti crocifissi e flagellanti di Taxco” (così si autodefiniscono), venivano raccolte le firme per sostenere l’espansionista Margarita Zavala e il suo progetto di candidatura indipendente alla presidenza della repubblica.

Contro corrente, con uno schema diverso rispetto alle recenti disgrazie, Papa Francesco ha annunciato: “Penso che il Diavolo castiga con rabbia il Messico perché non gli perdona che lei (indicando un’immagine della Vergine di Guadalupe) abbia mostrato lì suo figlio. È una interpretazione personale. Cioè, il Messico è privilegiato nel martirio per aver riconosciuto e difeso sua madre.

Ecco dunque il castigo divino o il castigo diabolico. Scegliete voi il vostro criterio di spiegazione di questa realtà.

“Sono solo opinioni”, direte voi o gli influencers più vicini alla vostra lunghezza d’onda.

Ok, ok, ok. Ma il problema è che le decisioni vengono prese in base a queste opzioni: c’è chi chiede il perdono divino o accoglie il dolore come martirio privilegiato… e c’è chi si organizza per chiedere verità e giustizia.

Non vi appesantirò con la croce portata dalla signora Margarita Ester Zavala Gómez del Campo de Calderón (quella che in modo irrispettoso e lontano da ogni correttezza politica gli zapatisti chiamano “la Calderona” e da cui io, che mi sono sempre distinto per la mia buona educazione e per essere politicamente corretto, mi allontano).

E chiarisco che è “Gómez del Campo” per ricordarvi l’assassinio dei bambini dell’Asilo nido ABC, avvenuto il 5 giugno 2009 nello stato di Sonora, ordinato, tra gli altri, da Marcia Matilde Altagracia Gómez del Campo Tonella, esonerata in quanto parente della Calderona. La memoria di questo crimine non si spegne, grazie al fatto che i loro famigliari continuano ad esigere verità e giustizia.

E la chiamo “de Calderón” perché chiamarla con il suo cognome da nubile equivarrebbe a dire che vive in concubinato con lo psicopatico. E, per quanto mi permettano i miei studi limitati di diritto canonico, il concubinato è un peccato. Ergo, questo causerebbe altri terremoti per castigarci per colpa di quelli che firmano per sostenere la sua candidatura.

Farò invece un breve riferimento al principale sabotatore della sua carriera politica, (il suo concubino, se diamo retta a chi si infuria per il fatto che è stata scelta per via del suo cognome secondo le leggi cattoliche, apostoliche e romane), Felipe Calderón Hinojosa.

Il signor Calderón Hinojosa, 10 anni fa, era titolare del potere esecutivo federale in Messico. “Presidente” mi pare lo chiamassero. Beh, 10 anni fa, in occasione delle inondazioni che distrussero lo stato del Tabasco, l’allora comando supremo dell’esercito, della forza aerea e marittima, dichiarò che la responsabilità del fatto che più di 125 mila persone avessero perso le proprie case e avessero dovuto rifugiarsi in alberghi era… della luna e di un fronte freddo.

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Il Partito d’Azione Nazionale compete con il Partito Rivoluzionario Istituzionale, non solo per quanto risultino ridicoli i suoi pre-candidati. No, il Partito d’Azione Nazionale, ora con una zavorra chiamata Partito della Rivoluzione Democratica, compete anche lui con il PRI per la complicità nel crimine.

Se notate nello sguardo di Ricardo Anaya, pre-candidato del PAN-PRD-MC, un luccichio demente, non attribuitelo a un potenziale problema nella zona del cervello responsabile della decenza (ammesso che esista chiaramente). È il prodotto di una formazione partitica di quattro dirigenti. Ricardo Anaya fa parte di quella generazione di quadri partitici che sono cresciuti in mezzo alla corruzione, al cinismo, al tradimento, al fanatismo, all’intolleranza, alla superbia, al nepotismo, all’ignoranza, al cretinismo… ok, credo che sto descrivendo più di un pre-candidato, ma adesso faccio riferimento a quello dell’alleanza tra il PAN, il PRD e MC chiamata “Per il Messico, al fronte”… va beh, al fronte c’è un abisso. Vedete voi.

Oltre ad Acteal e Ayotzinapa, un altro nome ci riporta al crimine impune: l’Asilo nido ABC, a Hermosillo, Sonora, Messico.

Durante il sessennio di quel considerevole pensatore chiamato Vicente Fox, il PRI, il PAN e il PRD si sono alleati per il crimine chiamato “Atenco”, nel maggio 2016, che vide, altre all’assassinio, l’aggressione sessuale di varie donne.

Tutto pare dunque indicare che il grande elettore, a cui sicuramente non serve l’Istituto Nazionale Elettorale, chiede prove di criminalità per decidersi. Sul suo altare, queste proposte partitiche offrono il sangue delle donne, dei bambini, dei giovani, degli anziani… e di otroas.

Per confermarlo, proposte politiche dalla destra più rancida arrivano ai vari impieghi da sicari che il sistema politico mondiale promette periodicamente.

Nonostante ci siano esempi in Argentina, Cile, Brasile, Regno Unito, lo Stato Spagnolo, Israele, Honduras, Nicaragua, Russia e aggiungete voi la geografia che volete, ce n’è uno che sintetizza la fatidica era che verrà: Ronaldo Trump.

Oltre alla sua innegabile abilità e capacità di gestire il suo conto di Twitter, Ronaldo Trump ha definito con una chiarezza diafana la vittima da immolare: le donne, otroas, bambine, migranti, l’ambiente, e potrei continuare a dare dettagli specifici ma, alla fine, arriverete alla mia stessa conclusione: la vittima è il pianeta intero, inclusa l’umanità che lo abita.

Nonostante Ronaldo Trump abbia dimostrato di avere seri problemi mentali, ha risolto l’equazione basica che ogni governante deve affrontare: cosa devo fare per continuare a detenere il potere? Occam gli è stato utile e ha optato per la risposta più semplice: una guerra.

Per ottenere una guerra propone muri, spostamenti di ambasciate, provoca incidenti diplomatici, supplicando e implorando: “vi prego, datemi una guerra! Ovunque sia, non importa. E più grande è, meglio è.” Quindi, tornando indietro di qualche secolo, Ronaldo Trump prende la lira di Nerone e canta: “Non vogliamo scontrarci, ma per Jingo, se lo facciamo, abbiamo navi, uomini e anche soldi.”

Sì, una guerra. O un crimine, dipende.

Una guerra o un crimine, una disgrazia mai vista prima nella storia dell’umanità.

Come se il mondo così come lo conosciamo crollasse.

-*-

Visto che abbiamo fatto riferimento ai videogiochi, immaginiamo di avere il sogno di qualunque video-dipendente: un’interfaccia cibernetica che ci permetta, simultaneamente, di avere la prospettiva strategica, la tattica e quella in prima persona. Tipo una combinazione della strategia in tempo reale, il role playing, la prima persona o first person shooter, e l’altra che non so come si chiama, ma che è in terza persona. Insomma, se un giorno vorrete, non dimenticatevi di contribuire economicamente ai diritti d’autore intellettuali.

Ora ammettiamo che siate rinchiusi in una stanza sferica ideale. La superficie interna della sfera, quella che potete vedere, è un grande schermo curvo, con tecnologia %K, omled o come si dice, in cui, simultaneamente e con una velocità vertiginosa, vi vengono presentati dei pacchetti informativi. Non solo immagini, anche suoni, odori, sensazioni tattili e gustative. E anche, per non discriminare gli esoterici, percezioni extrasensoriali.

Voi potete pensare, con un alto grado di certezza, che siete nel mondo reale, che vivete in questo mondo, che nascete, crescete, vi riproducete e, dio non voglia, ma è una situazione ipotetica, morite.

Lì siete felici o infelici. La macchina è talmente efficiente che fornisce persino dei parametri per definire la felicità e l’infelicità. Non solo, offre anche una spiegazione di questo mondo e, se lo desiderate, si un mondo spirituale, una consolazione per il giorno in cui, ho già detto che dio non voglia?, doveste morire.

Quindi state lì, nella macchina che chiameremo, con un prudente calcolo impresariale, “la macchina del gatto-cane” (tutti i diritti riservati).

Si tratta di questo, di simulare di essere vivi (perché la macchina fornisce anche i criteri per distinguere ciò che è “reale” nella macchina dal “virtuale” che la stessa macchina produce per darvi un punto di riferimento).

Beh, ammettiamo che in una temporalità qualunque all’interno della macchina, stiate facendo quel che che in teoria dovreste fare. A un certo punto, non si sa bene da dove, appare una persona che non ha nulla a che vedere. Voi, ovviamente siete persone moderne, comprensive dei limiti tecnologici e attribuite questa irruzione a un’irregolarità nel complicato software della macchina o nel suo complesso hardware. Aspettate pazientemente che l’irregolarità trovi una soluzione, vale a dire che cercate il bottone “reset”, ma la persona è ancora lì e, quando meno ve lo aspettate, dice:

Un momento, non toccate niente, non uscite. Questa è la scena di un crimine.”

Avete dubbi, non sapete se lamentarvi o mettere nel microonde un pacchetto di popcorn, che magari è un nuovo episodio di “Law and Order, Special Victims Unit” (musica di sottofondo).

Ma qualcosa non torna, perché non è la detective ad apparire, ma un’altra donna. Sì, la macchina le ha dato il modello che indica: “donna”. Ma porta una borsa ricamata, la sua statura è inferiore alla media che la macchina le ha inculcato come “statura media”, la sua carnagione è scura, diciamo del colore della terra. a macchina le dà le informazioni che ha a disposizione: “indigena, o anche autodefinita “originaria”, la sua ubicazione geografica è nella regione centrale del Nord America chiamata Messico, livello di studi scolastici nullo o minimo, accesso a mezzi tecnologici tra 0 e 0,1, monolingue anche se ci sono casi in cui se la cava in due o più lingue, tasso di mortalità molto più alto della media, speranza di vita molto più bassa della media; persistenza culturale, secoli; per la stessa ragione, età indefinita.

Con queste informazioni, iniziate a scrivere il rapporto, ovviamente, mentre vi rimpinzate di popcorn, perché non si può sprecare la salsa Valentina di cui sono ricoperte:

“Gentili programmatori, vi prego di trovare una soluzione a questo problema. Perché non è possibile che uno, una, unoa, stia riempiendo al meglio le funzioni che gli sono state assegnate, e di colpo appaia qualcosa di così premoderno. Sbrigatevi che sta per cominciare la nuova stagione di “A destra, il migliore dei mondi possibili” ed è già iniziata la pubblicità. Firma”

L’irruzione femminile in questione ha il cattivo gusto di cambiare la battuta di moda “vengo dal futuro e…” seguito da qualcosa di ingegnoso. Non preoccupatevi, la macchina dice anche cos’è e cosa non è “ingegnoso”. La donna chiamata originaria ora dice: “vengo dal passato e questo film non è un film e l’ho già visto”. Vi accorgete quindi che la donna non è sola, che ce ne sono altre che le assomigliano, anche se adesso che vi obbligano a guardarle vedete che sono uguali ma diverse. Ci sono anche uomini, maschi insomma. E non manca chi non è né l’una né l’altro.

Senza rispettare la programmazione, questi esseri strani, anacronistici e, non serve dirlo, irriverenti, cominciano ad annusare e c’è persino chi ha tirato fuori, chissà da dove, una lente d’ingrandimento. Siete sul punto d’applaudire, perché pensate che la macchina si sia aggiornata e ora potete produrre una realtà virtuale all’interno della realtà virtuale, ma la donna che adesso la macchina etichetta come “indigena” senza alcuna sfumatura, vi sta studiando in dettaglio. Chiaramente, avete ragione a sentirvi a disagio quando, dopo avervi messo la lente sugli occhi, sentenzia: “Un’altra vittima, che la squadra relatrice prenda appunti”.

“Sì, hanno una squadra relatrice, il che suggerisce un qualche tipo di forma organizzativa non catalogata”, vi dice la macchina, un po’ per essere utile, un po’ per darsi il tempo di correggere la propria programmazione.

Il gruppo di indigene che, vi rendete conto adesso, sono una minoranza ma fanno baccano come se fossero maggioranza, si riunisce per deliberare e, dopo un lasso di tempo che la macchina non sa contabilizzare, né può offrire un parametro di comparazione, decretano:

Ecco tutto:  la vittima, l’assassino, l’arma del delitto e la scena del crimine.”

Quindi vi rendete conto che lo schermo sferico assomiglia più a un muro concavo, e guardate, non senza allarmarvi, una ragazza accompagnata da un essere strano che la macchina è incapace di identificare e quindi lo adatta alla figura di un “gatto-cane; essere mitologico di origine sconosciuta; non c’è nessun dato che conferma la sua esistenza reale, o meglio virtuale, però reale nella macchina, cioè, lei mi capisce vero?  Beh, dipende; habitat probabile: le montagne del sud-est messicano”. Cf: “Ci sarà una volta”, edizioni  in spagnolo, italiano, inglese, greco, tedesco, portoghese, ect.”

Bene, quello che spaventa è che una ragazza e l’essere catalogato come “gatto-cane” segnalano una crepa nella macchina, o meglio la sfera, o meglio il muro.

Ora avete dei dubbi, una cosa che la macchina ha evitato finora, non sapete se andare a controllare le condizioni di garanzia o correre ad affacciarvi alla crepa.

Perché risulta che la crepa, così come il fatto che possa esistere, interroga non solo la programmazione della macchina, ma la sua stessa esistenza.

La macchina vi collega rapidamente a Wikipedia e lì potete leggere:

Erwin Schrödinger propone un sistema formato da una scatola chiusa e opaca che contiene un gatto, una bottiglia di gas velenoso e un dispositivo che contiene una singola particella radioattiva con una probabilità del 50% di disintegrarsi in un tempo dato, di modo che se la particella si disintegra, il veleno è sprigionato e il gatto muore. Quando finisce il tempo previsto, la probabilità che il dispositivo si sia attivato e il gatto sia morto è del 50%, e la probabilità che il dispositivo non si sia attivato e quella che il gatto sia vivo hanno lo stesso valore.”

Certo, voi non seguite più la parte sulla meccanica quantistica, perché sentite un leggero tremore percorrervi il corpo.

“Terrore” vi dice la macchina così che possiate identificare questa sensazione.  Perché la macchina ha già un’etichetta per quella percezione sensoriale, ma sempre, almeno finora, le era parsa estranea: il terrore era sempre appartenuto all’altro.

Tutte le evidenze, tutte le cose solide che a voi davano certezze, valori, ragione, giudizio, cominciano a dissiparsi.

No si sa se è vivo o morto, c’è un 50% di probabilità dell’uno o dell’altro, e voi rabbrividite, ma non perché siate sul punto di capire la vostra condizione esistenziale, ma perché la domanda che la crepa propone, come dicono, smuove le carte:

“Un altro mondo è possibile?”

“Lo è”, vi risponde la bambina che adesso porta un pallone sotto il braccio e sulla testa ha qualcosa che potrebbe essere un gatto… o un cane.

Chiaramente, siete persone colte e vi applicate da soli “il rasoio di Occam” interpretato come: la spiegazione più semplice è probabilmente la più corretta. Quindi dite a voi stessi, stesse, stessoe: “sto sognando”

Mentre decidete se siete in un sogno o in un incubo, cosa fate? Vi affacciate alla crepa o continuate a fare quello che stavate facendo quando quel rumore irriverente e indomabile è apparso?

Per questo, quello che in principio era un gruppo di indigeni, adesso è un collettivo più ampio: ci sono persone di tutti i colori, c’è chi impugna un martello e sorride complice quando va verso il muro dove, oh oh, sembra che vogliano ingrandire la crepa.

E laggiù c’è chi balla, chi dipinge, chi immagina una cornice per lo scatto, chi scrive frettolosamente, e più di là cantano, e c’è chi sta soppesando un microscopio per vedere se lo gettano contro il muro sferico o se è meglio il bisturi che qualcosa dovrà pur fare alla crepa.

E, aspetta, da dove viene quella marimba?

E già stanno giocando a calcio e la bambina, per non dover spiegare, si è messa un cartellino che dice: “Difesa Zapatista”, e vi chiede come vi chiamate, e voi allora capite che non vi sta chiedendo il vostro nome-nome, ma la vostra posizione per una supposta squadra che non sembra completarsi mai.

E voi sentite che il terrore si è già impossessato di tutto il vostro essere, perché avete intuito che la bambina in realtà vi sta chiedendo:

E tu?”

Dal CIDECI-UniTierra, Chiapas.

SupGaleano.

Messico, dicembre 2017.

 

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE:

IL MISTERIOSO CASO DELLE MANTECADAS SCOMPARSE

Elías Contreras è un compagno zapatista che lavora per la commissione di investigazione, insomma è un detective. Voglio dire che è come una vedetta. Elías Contreras è defunto, come il SupMarcos ed hanno lavorato insieme alla ricerca del male e del maligno. Adesso Elías a volte collabora con il SupMoy, anche se ogni tanto parla con il SupGaleano.

Questo breve riassunto dovrebbe aiutarvi a capire cosa accadde un pomeriggio di dicembre al Comando Generale dell’EZLN, dove il Subcomandante Insurgente Moisés chiamò il famoso Elías Contreras.

Elías”, disse il SupMoy dopo aver risposto al saluto militare della commissione di investigazione, “c’è un problema”.

Elías Contreras non disse niente, tirò fuori le cartine e qualche briciola di tabacco e si fece una sigaretta mentre ascoltava il SupMoy:

Si tratta del negozio cooperativo della regione. Dicono che manca della merce, che è scomparsa. Mi hanno chiesto se qualcuno li può aiutare. Puoi pensarci tu?”.

Elías Contreras emise solo un suono tipo “mmh”, e uscì senza dire una parola.

Il responsabile del negozio salutò Elías con un semplice cenno, stava facendo i conti del mese.

Dunque, cos’è che è scomparso?”, chiese Elías mentre distrattamente guardava i DVD in vendita, la maggior parte con l’etichetta de “Los Tercios Compas”(*).

Le mantecadas”, rispose il responsabile del negozio senza sollevare gli occhi dal quaderno dei conti che lo facevano dannare.

E come sai che mancano?”, chiese Elías mentre controllava i ripiani del bancone.

Perché nessuno le compra, sono sempre state lì”.

E se nessuno le compra, quale è il problema?”.

Per la commissione di vigilanza”, sospirò il responsabile con rassegnazione, “i conti devono quadrare, altrimenti bisogna metterci i soldi oppure scatta la punizione”.

Elías Contreras sbuffò e si chinò a raccogliere qualche briciola di tabacco nero caduta ai piedi del bancone.

E se ne andò.

Sup”, disse giunto alla porta della capanna del SupGaleano.

Elías”, rispose il Sup senza sollevare lo sguardo dallo schermo collegato ad un vecchio computer portatile.

È fottuto”, ma subito il Sup chiarì, “lo schermo si è rotto, ma il processore e il resto funzionano, quindi l’ho collegato a questo monitor. Gli ho appena collegato la tastiera, ma non trovo il mouse”.

Si girò sulla sedia a rotelle e guardò Elías.

Le mantecadas”, disse quello della commissione di investigazione.

Non ce ne sono più”, disse il Sup, “se le sono mangiate Difesa Zapatista e il suo cane… o gatto… o quello che è”.

Però ho un po’ di pane di pinoli che hanno fatto gli insurgentes. Come so che l’hanno fatto gli insurgentes? Perché è lievitato, quando lo fanno le insurgentas resta piatto”.

Elías si rollò una sigaretta e passò al Sup i fiammiferi per la pipa.

E allora?”, chiese il SupGaleano dopo aver aspettato che Elías Contreras si fosse acceso la sigaretta.

“E allora, adesso ti faranno fare la contabilità per il negozio. Oltre ovviamente a ripagare ciò che è stato preso. Ma non sono venuto qui per questo. C’è un pensiero che voglio discutere con te…”.

Qualche ora dopo, Elías Contreras, della commissione di investigazione dell’EZLN, uscì della capanna del SupGaleano e si fermò un momento per ammirare il pomeriggio trasformarsi nelle ombre della notte.

Con la torcia illuminò il sentiero fino al comando generale dell’ezetaelene. Sulla porta, senza entrare, salutò e disse: “Il Sup, qualche mantecadas”.

Il SupMoy sorrise e disse tra sé: “Bene, qualcuno doveva fare quei conti”.

Nell’assemblea generale al SupGaleano non è andata così male, ma neanche bene. Dopo averlo “auto-criticato” per aver mangiato dolci e non alimentarsi come si deve (gli hanno detto che sono meglio le mantecadas della panetteria del CIDECI), le autorità gli hanno dato la peggiore punizione che attualmente esiste in quella comunità: fare la contabilità delle cooperative.

Il Sup si accese la pipa mentre usciva dall’assemblea e dirigendosi verso la cooperativa “Come donne che siamo”, si disse: “bene, sarebbe potuta andare peggio, in altri tempi mi avrebbero fatto pulire il pascolo”.

Fece i conti velocemente non perché ne sapesse di matematica, ma perché li ha fatti con il cellulare che ha preso “in prestito” dal comando quando il SupMoy lo ha chiamato per sgridarlo. Non era nemmeno un gran cellulare, era uno di quelli “di fascia bassa” che non era in grado nemmeno di raccogliere le firme che l’Istituto Nazionale Elettorale del primo mondo aveva imposto come requisito ad aspiranti candidate del terzo mondo, ma la calcolatrice funzionava per fare addizioni e sottrazioni.

Come d’accordo, trovò Elías ai piedi della Ceiba.

Gli aromi dei loro tabacchi si mischiavano ai silenzi. Un dialogo tra defunti, un dialogo sordomuto.

Nessuno dei due ricorda chi chiese: “Quanto tempo?”, ma tutti e due sanno di aver risposto all’unisono: “poco, molto poco”.

 

In fede:

Il gatto-cane.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/28/trump-la-navaja-de-ockham-el-gato-de-schrodinger-y-el-gato-perro/

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Una rivoluzione è per tutte e tutti?

di Andrea Cegna

2 gennaio 2018

Ventiquattro anni dopo il primo gennaio 1994 l’EZLN continua a parlare, e a far parlare di sé. Chiusa la seconda edizione del ConCiencias por la Humanidad, festival di scienza critica e anticapitalista, si guarda alla festa della donna e al “Primo Incontro Internazionale, Politico, Artistico, Sportivo e Culturale delle donne che lottano” che si svolgerà a marzo 2018 nel Caracol di Morelia. Ma si guarda anche al percorso di raccolta firme di Marichuy (candidata indigena alle elezioni presidenziali) e del Consiglio Indigeno di Governo e alle elezioni della prima domenica di luglio

Lo sguardo è ampio, complesso e prospettico e non è certo il punto di vista di chi si sente in difficoltà, ma di chi rilancia e cerca spiragli nel buio. O come direbbero loro «una crepa nel muro».

Ma non è per tutti e per tutte. Ed è il SupMoisés, nel discorso commemorativo dei primi 24 anni di rivolta, a dare alcuni esempi di chi è fuori dalle orbite zapatiste: «Perché vi chiedo, chi ha una vita degna? Chi è che non vive nell’angustia di poter essere assassinat*, derubat*, pres* in giro, umiliat* o sfruttat*? Se tu puoi stare tranquillo e non preoccuparti, bene, queste parole non sono per te». Ma anche «quindi se tu pensi che quello che succede, succede perché lo vuole Dio, oppure è sfortuna, o è il destino che ti spetta, allora questa parole non sono per te».

Una sorta di perimetrazione di classe, che non è né sociale né etnica, ma di parte, condizioni, e prospettiva. Le parole del capo militare e portavoce dell’EZLN sono chiare e dirette. E si sommano a quelle del SupGaleano scandite nei tre interventi del ConCiencias. Il capitalismo è un crimine fatto di tanti crimini, e di questo crimine si può essere complici o oppositori. L’opposizione passa dall’organizzazione, dalla critica, dall’aprire e ingrandire crepe nel muro con cui il capitalismo si protegge e genera distanze. Non è il tempo dell’elemosina, delle concessioni e del gioco dentro le maglie del potere, è il momento di costruire il mondo nuovo. Questo per gli zapatisti e le zapatiste è l’autonomia.

Sembrerebbe esserci un’evidente contraddizione tra queste parole ed il sostegno al percorso elettorale di Marichuy, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo delle popolazioni indigene messicane che si riconoscono nel CNI. Ma Moisés lo dice chiaramente: «Organizziamoci affinché la compagna Marichuy e il Consiglio Indigeno di Governo possa girare per il paese, anche se non raggiungerà l’obbiettivo delle firme per essere candidata. Perché le firme non sono quello per cui sta lottando, non è quello per cui ci stiamo organizzando, siamo noi che dobbiamo ascoltarci, conoscerci e così, capendo come stiamo, possiamo capire come organizzarci in maniera migliore e proseguire il cammino».

Nuovamente un pezzo della proposta viene svelato in maniera ufficiale, formale e facilmente decodificabile: la candidatura serve prima di tutto a creare organizzazione, unire popoli e lotte, creare una rete. Certo non possiamo far finta che, se non si raggiungerà il risultato, il potere farà i suoi conti. Le 870mila firme necessarie sembrano davvero lontane dall’essere raggiungibili. Ad oggi secondo i dati ufficiali dell’Istituto Nazionale Elettorale il Consiglio Indigeno di Governo e Marichuy hanno raccolto 127.819 firme. Negli ambienti più vicini si parla di circa 150mila. Ma cambia poco. In politica, azione e reazione sono strettamente correlate, il raggiungimento o meno dell’obiettivo metterà in moto venti diversi da parte dei poteri che agiscono in Messico, e così da parte dell’EZLN e del CNI. Mentre scrivo queste righe sono convinto che Marichuy sarà una delle donne che dall’8 al 10 marzo animerà l’incontro internazionalista e femminista di Morelia, e quello sarà uno dei momenti in cui si capirà come proseguirà il percorso iniziato il primo gennaio dell’anno scorso con la scelta di entrare in maniera indipendente dentro la macchina elettorale messicana.

Il tavolo elettorale messicano è più corrotto e viziato della peggior cantina dove si gioca d’azzardo in maniera illegale. A parte il 2000 con la vittoria di Fox e del Pan, è abbastanza esplicito che dal 1988 in poi in Messico non ha governato chi ha vinto davvero le elezioni, anzi chi ha vinto davvero le elezioni è stato colpito da frodi elettorali. Le prove ci sono, ma troppo spesso chi ha subito la frode ha poi deciso di sedersi al tavolo della trattativa. Come fatto da Andrés Manuel López Obrador, nel 2006, che dopo aver lanciato il “governo ombra” e il presidio nello Zocalo di Città del Messico ha poi optato per un dialogo con Calderón. È difficile pensare che la tornata del 2018 sarà diversa. Tra la legge di Sicurezza Interna, che dà all’esercito la possibilità di agire operazioni di ordine pubblico, la violenza dei gruppi di potere che troppo semplicisticamente vengono definiti narcos, ma che sono qualcosa di molto più complesso, radicato, e ramificato, e con le attenzioni nordamericane quello che accadrà la prima domenica di luglio sembra essere deciso ben lontano dalle urne e dalla volontà popolare.

 

In questo scenario Marichuy, il CNI e l’EZLN giocano una partita che ha ben poco a che vedere con lo scacchiere elettorale. L’attenzione non è a chi vota, ma a chi sta fuori dal campo, a chi è escluso e a chi non crede più in quel sistema. E questa partita parla di organizzazione dal basso, resistenza e di ribellione.

A cannone, come si dice l’inno nazionale messicano, torna il SupMoy «Se pensi che qualcuno, un leader, un partito, un’avanguardia risolverà tutti i problemi e devi solamente mettere una x sulla scheda elettorale, così tanto facilmente, pensa bene se davvero è così. Quindi queste parole non sono per te. Stai lì tranquillo, stai lì tranquilla e aspetta una nuova burla, una nuova frode, un nuovo inganno, una nuova menzogna, una nuova disillusione. Che poi non sono nemmeno nuove ma le stesse di sempre, cambiano solo la data e la pagina sul calendario».

La paura e la violenza hanno nomi diversi ma sono lo strumento di controllo di massa del nostro secolo: in Messico si chiama “narcos e guerra alla droga”, in Europa si chiama “terrorismo islamico e migrazioni”, in Medioriente e nel Pacifico si chiama “guerra” ma sono lo stesso perimetro che permette al potere di stringere gli spazi di libertà e a chi vive in quelle geografie di accettare la riduzione di libertà in nome di una sicurezza che non ci può essere.

L’EZLN è ben saldo nella navigazione, nonostante gli attacchi che quotidianamente subisce dal fronte politico messicano e dagli interessi economici che vorrebbero tornare a dominare alcune aree dove l’influenza zapatista impedisce di mettere a valore i territori, ed è nella chiusura del SupMoy la sintesi della proposta attuale, che potrebbe sembrare semplicistica e ingenua e che dice: «Siamo sicuri che se ci sono popoli che si organizzano e lottano saremo in grado di ottenere quello che chiediamo, quello che meritiamo, cioè la nostra libertà. E la forza fondamentale è la nostra organizzazione, la nostra resistenza, la nostra ribellione e la nostra parola di verità che non ha limiti né frontiere. Non è questo il momento di metterci da parte, di disanimarci, di essere stanchi, dobbiamo essere più convinti che mai della nostra lotta, essere fermi nelle nostre parole e continuare con l’esempio che ci hanno dato i compagni e le compagne che sono morti: non arrendersi, non vendersi, non tentennare».

Ventiquattro anni dopo il primo gennaio 1994 le zapatiste e gli zapatisti sembrano citare indirettamente Malcolm X, non tanto con la sua storica «con ogni mezzo necessario», che poi è ciò che fanno da sempre per continuare a costruire una rivoluzione transnazionale, ma soprattutto quando disse «Non mi siederò alla vostra tavola per guardarvi mangiare, davanti a un piatto vuoto e sentirmi chiamare commensale. Sedermi a tavola non fa di me un commensale. Essere in America non fa di me un americano». Se riuscissimo a sostituire “America” e “americano” non con riferimenti a stati nazione ma rendendo universale il concetto, troveremmo una parte di terreno comune su cui costruire il mondo necessario di cui abbiamo bisogno, perché dove viviamo oggi non c’è nulla da riformare. L’immaginazione, il sogno e la dedizione non sono per tutti e tutte, ma per chi agita il suo ingegno e si esibisce da folletto, o si mette un passamontagna, o non accetta che tutto debba essere sempre e solo così. https://www.dinamopress.it/news/rivoluzione-tutte-tutti/

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Invitiamo tutte le donne ribelli del mondo al PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO che si terrà nel Caracol di Morelia, Chiapas, Messico, l’8, 9 e 10 marzo 2018. Se sei uomo, non sei invitato. Agli uomini zapatisti faremo fare tutto il necessario per permetterci di giocare, parlare, cantare, ballare, recitare poesie e qualunque altra forma di arte e cultura che avremo voglia di condividere senza vergogna. Si occuperanno loro della cucina, di pulire e di tutto il necessario. Si può partecipare individualmente o in collettivo. Per iscriversi, l’indirizzo di posta elettronica è il seguente: encuentromujeresqueluchan@ezln.org.mx 

CONVOCAZIONE AL PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO- COMANDANCIA GENERAL DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

MESSICO.

29 dicembre 2017.

Alle donne del Messico e del Mondo:

Alle donne originarie del Messico e del Mondo:

Alle donne del Consiglio Indigeno di Governo:

Alle donne del Congresso Nazionale Indigeno:

Alle donne della Sexta nazionale e internazionale:

Compagne, sorelle:

Vi salutiamo con rispetto e affetto come donne che siamo, donne che lottano, resistono e si ribellano contro il sistema capitalista machista e patriarcale.

Sappiamo bene che il mal governo non solo ci sfrutta, ci reprime, ci deruba e ci disprezza come essere umani, ma torna a sfruttarci, a reprimerci, a rubarci e disprezzarci come donne che siamo.

E adesso sappiamo perché è anche peggio, perché proprio adesso, in tutto il mondo ci assassinano. E agli assassini che sempre sono sistema con volto da maschio non importa nulla se siamo ammazzate, perché la polizia, i giudici, i mezzi di comunicazione, i mal governi, e tutti quelli che in alto sono quello che sono al costo dei nostri dolori, li coprono, li proteggono e alla fine li premiano.

Però alla fine non abbiamo paura, e se l’abbiamo la controlliamo, e non ci arrendiamo, e non ci vendiamo, e non tentenniamo.

Quindi, se sei una donna che lotta, che non è d’accordo con quello che ci fanno come donne che siamo, se non hai paura, se hai paura ma la controlli, ti invitiamo a incontrarci e parlarci e ascoltarci come donne che siamo.

Per questo invitiamo tutte le donne ribelli del mondo al:

PRIMO INCONTRO INTERNAZIONALE, POLITICO, ARTISTICO, SPORTIVO E CULTURALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

Che si terrà nel Caracol di Morelia, zona di Tzotz Choj, Chiapas, Messico, l’8, 9 e 10 marzo 2018. L’arrivo è previsto per il 7 marzo e la partenza l’11 marzo.

Se sei uomo stai ascoltando o leggendo a vuoto perché non sei invitato.

Agli uomini zapatisti faremo fare tutto il necessario per permetterci di giocare, parlare, cantare, ballare, recitare poesie, e qualunque altra forma di arte e cultura che avremo voglia di condividere senza vergogna. Si occuperanno loro della cucina, di pulire e di tutto il necessario.

Si può partecipare individualmente o in collettivo. Per iscriversi, l’indirizzo di posta elettronica è il seguente:

encuentromujeresqueluchan@ezln.org.mx

Devi indicare il tuo nome, da dove vieni, se vieni individualmente o in collettivo e come parteciperai, o se verrai solo a fare festa con noi. Non importano la tua età, il tuo colore, la tua taglia, il tuo credo religioso, la tua etnia, il tuo modo di essere, importa solo che tu sia donna e che lotti in qualche modo contro il capitalismo patriarcale e maschilista.

Se vuoi venire con i tuoi figli maschi ancora piccoli, beh, puoi portarli, servirà affinché cominci a entrargli in testa che, come donne che siamo, non siamo disposte a continuare a sopportare violenze, umiliazioni, burle e cazzate varie da parte degli uomini, e neppure del sistema.

Se un uomo di più di 16 anni vuole accompagnarti, vedi tu, ma dalla cucina non scappa. Anche se forse da lì riesce a vedere, ascoltare e imparare qualcosa.

Insomma non si ammettono uomini che non siano accompagnati da una donna.

È tutto, ti aspettiamo qui compagna, sorella.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e a nome delle bambine, giovani, adulte, anziane, vive e morte, consigliere, giunte, promotrici, miliziane, insurgenti e basi d’appoggio zapatiste.

 

Le Comandante Jessica, Esmeralda, Lucía, Zenaida e la bambina Difesa Zapatista.

Messico, 29 dicembre 2017.

 

Traduzione a cura dell’associazione Ya Basta – Caminantes e del Collettivo 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/29/convocatoria-al-primer-encuentro-internacional-politico-artistico-deportivo-y-cultural-de-mujeres-que-luchan/

 

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  Questo è il sistema capitalista, il sistema dove assassinare una donna è parte della vita quotidiana, della morte quotidiana, del terrore che assume la sua identità di genere. 

Intervento della Commissione Sexta del 27 dicembre 2017 al CoScienze per l’Umanità. 

SupGaleano. Dipende. 

 

DIPENDE…

27 dicembre 2017

Buon giorno, sera, notte, mattina.

Vogliamo ringraziare tutti i partecipanti, sia qui al CIDECI che a distanza per geografia e calendario, a questo secondo Incontro di CoScienze per l’Umanità il cui tema centrale si suppone è “le scienze di fronte al muro”.

Siamo lieti che abbiate deciso di partecipare come relatori o come ascoltatori o osservatori.

Il mio nome è SupGaleano e adesso non vi parlerò di scienza, né di arte, né di politica, e neppure vi racconterò una storia.

Invece, voglio parlarvi di un crimine e delle sue possibili analisi o spiegazioni.

E non è un crimine qualsiasi, ma un crimine che rompe i calendari e ridefinisce il tempo; che amalgama il criminale e la vittima con la scena del crimine.

Un crimine, dico. Ma…un crimine in corso? Uno già perpetrato? Uno ancora da compiersi? E chi è la vittima? Chi è il criminale? Quale è la scena del crimine?

Forse qualcuna, qualcuno, algunoa, sarà d’accordo con me che i crimini sono già parta della realtà che si vive in Messico ed in qualunque parte del mondo.

Crimini di genere o femminicidi, di omofobia, razzisti, sul lavoro, ideologici, religiosi, per l’età, per l’apparenza, per affari, per omissione, per il colore, e così via.

Insomma: un territorio inondato di sangue. Tanto che le vittime non hanno più nomi, sono solo numeri, indici statistici, notizie interne o trafiletti sui mezzi di comunicazione. Incluso quando il sangue appartiene a chi, come loro, lavora nella comunicazione.

Migliaia di crimini con le minuscole, che si alimentano di un crimine maggiore.

L’aberrazione è talmente grande che i parenti delle vittime devono lottare non più per la vita dei loro cari ormai assenti, ma perché non muoiano due volte: una di morte mortale e l’altra di morte di memoria.

Per non andare troppo lontano, in Messico si può già dire che qualcuno “è morto per cause naturali” quando è vittima di violenza.

Ogni attività, ogni passo, ogni instante di una vita una volta normale, ora trascorre nell’incertezza…

Domani, arriverò viva al lavoro, a casa, a scuola? Troveranno il mio corpo? Sarà intatto? Diranno che me la sono cercata e mi faranno responsabile della mia assenza? I miei cari dovranno lottare per trovarmi, per ricordarmi? La mia famiglia, i miei amici, la gente che mi conosce, chi non mi conosce, dedicheranno un pensiero alla mia morte, un tuit, un commento sotto voce, una lacrima? E poi? Continueranno ad andare avanti? Resteranno in silenzio? Come reagiranno quando non si dirà che hanno assassinato una donna, ma che una donna è morta? Quale sarà la loro reazione quando la notizia di cronaca descriverà i miei vestiti, l’ora, il luogo? La mia morte raggiungerà il minimo necessario affinché i governanti decretino un’allerta di genere? Il mio assassino, sì, al maschile, sarà punito? Chi spiegherà che il crimine che mi ha colpito è per il fatto di essere donna? Sì, giovane, bambina, adulta, matura, anziana, bella, brutta, debole, grassa, alta, bassa, ma sempre donna.

Perché non mi hanno avvertito che nascere e crescere donna in questo calendario, in qualunque geografia, riduceva la mia speranza di vita e che ogni maledetto minuto avrei dovuto lottare non solo per essere stimata e rispettata per i miei meriti, grandi o piccoli, per avere una retribuzione giusta per il mio lavoro, per avere opportunità di studio, di lavoro, di relazione, per essere felice o infelice, anche fosse strisciando o camminando o correndo per i calendari, per tirare avanti, o come ad ognuno vada di vivere; no, risulta che devo anche lottare perché non mi ammazzino, non una, due, tre, cento, migliaia di volte?

Perché mi uccide l’uomo che mi ammazza, e mi uccide chi ignora la mia morte, la minimizza, la nasconde, la maschera, la sporca con la sua maldicenza (“indossava abiti succinti”, “stava bevendo”, “si trovava in un luogo appartato”, “era in giro di notte”, “era sola”) occultando che il mio delitto è quello di vivere. Così, solo vivere. Senza che importino la mia età, il mio credo, il mio colore, la mia posizione politica, le mie idee, i miei sogni e i miei incubi. Il mio assassino non ha agito perché andassi a votare o mi astenessi, perché votassi rosso o verde o azzurro o marrone o giallo o altro o che in verità non ho neppure il certificato elettorale. Nemmeno l’età è stato il suo movente: sono bambina, giovane, adulta, matura, anziana. Mi ha assassinato perché sono donna.

Così siamo messi. Accettiamo che la spiegazione di un crimine di genere, l’omicidio di una donna, il femminicidio, sia questo: era una donna, se l’è cercata, e che la caccia continui. Perché il silenzio è complicità, e la complicità è la celebrazione del crimine. Solo un cambio di casella: dal crimine alla normalità. Brindiamo perché è questo il sistema al culmine della storia, dove l’umanità raggiunge il suo massimo sviluppo, dove il progresso ed il benessere possono essere goduti da tutti quelli che lavorino e si impegnino.

Questo è il sistema capitalista, il sistema dove assassinare una donna è parte della vita quotidiana, della morte quotidiana, del terrore che assume la sua identità di genere.

Oppure no? Oppure tutto dipende da chi spieghi la mia morte? O non importa più? Non merita più nemmeno una spiegazione? La mia morte è come la pioggia che rallenta il traffico e che uno, una, unoa, subisce col fastidio di chi arriverà tardi al prossimo assassinio come si arriva tardi al prossimo semaforo? Ecco! Ancora il rosso, un’altra morta, un’altra assassinata, un altro ritardo.

Il defunto SupMarcos diceva che per essere presi in considerazione, gli indigeni dovevano morire in migliaia. Se erano solo pochi, era normale. Se erano poche decine, “è parte della loro natura barbara”, “sintomo di arretratezza culturale”, “il governo deve pagare il debito storico verso i più indifesi”. Se erano centinaia, “ah, le disgrazie naturali, poveretti!”. Se invece erano migliaia, allora sì qualcuno chiedeva “che cosa succede? Perché?”.

Cosicché bisognerebbe chiedersi: Quante donne assassinate ci vogliono perché ci domandiamo che cosa sta succedendo e perché? Chi è il responsabile del crimine? Chi è la vittima? Quale è il movente?

O aspettiamo il prossimo scandalo sui social network? Sul serio? Dove prima c’era l’elemosina del lamento o una moneta, ora cela sbrighiamo con un tuit?

Poco tempo fa, in quella fonte perenne di saggezza, tolleranza e preoccupazione per il bene comune che è la rete sociale “twitter”, un utente rimproverava una utente che condannava l’assassinio di una donna (un’altra) come femminicidio. L’utente in questione le diceva, parola più, parola meno: “Non è femminicidio perché lei non era femminista, era solo una donna”. E finiva così “voi femminazi non rispettate le altre donne e volete diffondere il vostro odio a tutte”. Immagino che la replica ricevuta dall’utente sia stata del tipo “impossibile accedere all’account perché sei stato bloccato, perché la utente è allergica alla stupidità”.

-*-

  Un crimine di genere. Potremmo tentare una spiegazione, un’ipotesi, Per esempio, potremmo chiedere all’assassino perché ha commesso questo crimine.

Vi anticipo che le giustificazioni saranno molte ma sempre la stessa. La risposta inconfessabile del maschio sarà sempre: “perché posso farlo, saranno altri, altre, a fornirmi la ragione, il movente”.

Ebbene sì, dipende.

Per esempio:

Giorni fa, l’agenzia d’informazione Apro ha riportato: “Deplorando i femminicidi nel paese, il cardinale Juan Sandoval Íñiguez ha riferito di un presunto esperimento a Juárez, Chihuahua, dove un poliziotto in borghese a bordo di un atto di lusso “conquistava” le donne e le portava nel palazzo municipale, dove le rimproverava per il loro comportamento dicendo “salite in auto con chiunque, per questo vi uccidono”.

  In un’intervista per Canale 44, dopo aver partecipato ad un dibattito della Coparmex, il vescovo emerito di Guadalajara ha detto che oggi l’allarmante incremento dei femminicidi nel paese è da attribuirsi alla “imprudenza delle donne”. 

  “Da parte della donna ci può essere quanto meno dell’imprudenza. Si compromette ed è incantata da chiunque passi ben vestito”, ha detto Sandoval Iñiguez per poi fare riferimento al presunto esperimento realizzato a Ciudad Juárez.

Come potete notare, qui neppure si menzionano gli assassini. La responsabile del suo assassinio è la donna e la sua “naturale” imprudenza.

Oh, lo so. Vi chiedete da dove viene tutto questo discorso sui femminicidi, se siamo qua per parlare di scienze e del muro.

Bene, a mia difesa aggiungo che sto descrivendo una parte di quel muro. E la prima cosa che emerge dal muro è un lungo graffito che copre i 5 continenti, dove il sangue ocra delle donne vittime di violenza colora la parola “COLPEVOLE”.

Vero, dipende. C’è chi vede i grandi progressi scientifici e tecnologici, le urbi superbe, le luci dorate riflesse nei grattacieli.

E noi qui ostinati ed irresponsabili ad ascoltare che siamo di fronte a un crimine. Il più grande, profondo, esteso e terribile nella storia dell’umanità. Un crimine fatto sistema.

Ma io, fin dall’inizio ho chiarito che non avrei parlato di scienza, né di arte, né di politica, né che avrei raccontato una storia. Ho puntualmente detto che avrei parlato di un crimine. Quindi è affare vostro se continuare ad ascoltare, a leggere o cliccare sull’icona di ricarica perché la trasmissione in streaming è caduta e lo schermo del PC, del tablet, del cellulare si è bloccato su quella parola che può ben riassumere la spiegazione che il sistema dà alle uccisioni di donne: “COLPEVOLE”.

E mentre la trasmissione si riannoda, guardo verso l’alto per vedere e sentire se qualcuno sta parlando di questo, di questi crimini. Ma niente. Forse la mia connessione non funziona ed in realtà sì, si sta parlando di questo e si stanno proponendo piani, strategie, tattiche per porre fine a questo incubo.

Allora, mentre la trasmissione riprende, tu, noi tutt@, ascoltiamo le parole del poeta Juan Bañuelos. Il suono della sua voce è solo un’eco perché è di dieci anni fa, in occasione dell’omaggio che ricevette nell’Incontro dei poeti del mondo latino, nel 2007. Nella sua voce non c’è gioia per il premio. C’è, invece, un leggero tremore di dolore, di indignazione, di rabbia. Ora si sente:

Ma, concretamente, vado a quanto segue: il 22 dicembre 1997 si è perpetrato l’assassinio di 45 indigeni nella comunità di Acteal, che si trova nel municipio di San Pedro Chenalhó, nello stato del Chiapas. La più sanguinaria delle molte aggressioni che hanno subito: l’accanimento con cui donne, bambini e uomini sono stati assassinati da gruppi paramilitari. Il governo volle spiegare che si trattava di “lotte intertribali”. Non è un caso, inoltre, che la maggioranza dei morti siano state donne né che la violenza sessuale commessa dai gruppi paramilitari fosse per seminare il terrore nelle comunità e per attaccare i progetti autonomisti.

  Dalla fondazione del gruppo indigeno Las Abejas nel dicembre del 1992, la risposta è stata la violenza sessuale contro le mogli dei fondatori, una di loro al settimo mese di gravidanza. Il massacro di Acteal significa che uccidendo le donne si distrugge il simbolo della resistenza: il fine è “uccidere il seme”, questo è stato il grido dei paramilitari quel 22 dicembre: che gli indios non si moltiplichino più. L’assassinio ad Acteal non è il compimento di una violenza folle, né di vendette tribali o personali. Che non si sia investigato a fondo e identificato i colpevoli a 10 anni dai fatti è responsabilità solo dei gruppi di potere statali e dei presidenti del Messico che si sono succeduti. Non è stato risolto niente”.

Immagino che ci sia una pausa, forse per schiarirsi la voce, forse per cercare di controllare la rabbia:

  “Il giorno dopo il 22 dicembre 1997 fui inviato ad Acteal come membro della Conai (Commissione Nazionale di Intermediazione per la Pace) per indagare su quanto era successo. L’impressione fu spaventosa: trovammo abiti insanguinati di bambini e donne tra gli arbusti e in una grotta dove avevano cercato di nascondersi. Alcuni dei sopravvissuti fornirono la loro testimonianza raccontando i particolari di come furono massacrate alcune donne sventrate (quattro erano incinta) per estrarre i loro feti con un tale accanimento che sintetizza una politica di sterminio.

  Micaela, una bimba di 11 anni, ha molta paura. Ci racconta che da molto presto era con sua mamma a pregare e giocare con i suoi fratelli affinché non disturbassero. C’erano diverse donne nella cappella. Alle 11 del mattino è iniziata la sparatoria, i bambini hanno cominciato a piangere, uomini e donne a correre, ed altri erano già raggiunti dai proiettili; un proiettile ha colpito alla schiena la mamma di Micaela. L’hanno trovata per il pianto dei due bambini che poi sono stati assassinati. Micaela si è salvata perché la credettero morta. Aveva molta paura ed era corsa a nascondersi sulla riva del ruscello. Da lì vide i paramilitari tornare con i machete in mano; ridevano, facevano chiasso, hanno denudato le donne morte e tagliato loro i seni. Ad una hanno inserito un bastone tra le gambe e a quelle incinta hanno aperto il ventre e tirato fuori i figli e giocato con questi: se li lanciavano da machete a machete. Poi i tipi se ne sono andati gridando, gridando e gridando. Micaela è stata presa per mano da suo zio Antonio per andare a cercare i cugini o gente conosciuta che potesse ancora essere viva tra i morti. Lei continua a raccontare: “abbiamo trovato due ragazzini che stavano vicino alla loro madre morta; il bambino aveva la gamba a brandelli, l’altra bambina aveva il cranio spaccato e cercava di aggrapparsi alla vita. Dopo il genocidio molti non sono riusciti a sconfiggere la tristezza: Marcela e Juana hanno perso la ragione, non parlano più, emettono solo monosillabi quando sentono il rumore degli elicotteri militari che sorvolano la comunità”.

Juan Bañuelos si scusa. Sa che le sue parole suoneranno anacronistiche per molti dei presenti (di allora e di adesso):

  “Il pubblico di questa sera mi perdoni se in questa festa della parola con poeti di differenti paesi ho dovuto affrontare il massacro spaventoso di Acteal, di 10 anni fa, ancora senza nessuna soluzione, ma io sono nato in Chiapas e sono stato membro della ex Conai e non posso starmene zitto.

  A qualcuno sembrerò radicale perché chiedo cambiamenti profondi nel mio paese; tuttavia, a questi rispondo col pensiero di José Martí, il grande poeta dell’America: “Radicale non è che questo: quello che va alla radice. Non si dica radicale chi non vede le cose nel loro fondo. Né si dica uomo chi non contribuisca alla sicurezza e alla felicità degli altri uomini”, perché bisogna sostenere che “patria è umanità”. Per questo, e pertanto, questo omaggio alla mia persona lo trasfondo, lo cambio e lo trasferisco alla memoria dei massacrati ad Acteal.”

Juan Bañuelos, poeta, legge il poema della poetessa Xuaka´ Utz´utz´Ni´, dal titolo “Para que no venga el Ejército”: 

Escucha, sagrado relámpago, 

escucha, santo cerro, 

escucha, sagrado trueno, 

escucha, sagrada cueva: 

Venimos a despertar tu conciencia. 

Venimos a despertar tu corazón, 

para que hagas disparar tu rifle, 

para que dispares tu cañón, 

para que cierres el camino a esos hombres. 

Aunque vengan en la noche. 

Aunque vengan al amanecer. 

Aunque vengan trayendo armas. 

Que no nos lleguen a pegar. 

Que no nos lleguen a torturar. 

Que no nos lleguen a violar 

en nuestras casas, en nuestros hogares. 

Padre del cerro Huitepec, madre del cerro Huitepec, 

Padre de la cueva blanca, madre de la cueva blanca, 

Padre del cerro San Cristóbal, madre del cerro San Cristóbal: 

Que no entren en tus tierras, gran patrón. 

Que se enfríen sus rifles, que se enfríen sus pistolas. 

Kajval, acepta este ramillete de flores. 

Acepta esta ofrenda de hojas, acepta esta ofrenda de humo, 

Sagrado padre de Chaklajún, sagrada madre de Chaklajún.

Juan Bañuelos conclude il suo intervento dicendo:

  “Chiediamo il processo sommario per il nordamericano ex presidente Zedillo ed i suoi complici.”

Sarà stato applaudito? Non lo sappiamo. La registrazione si interrompe improvvisamente alla parola “complici”. Durante un incontro di poesia, un artista della parola ha deciso di parlare di un crimine e, invece di ringraziare per il premio, ha chiesto verità e giustizia. Juan Bañuelos non lo sa, perché la morte naturale lo ha lasciato senza parole diverse lune fa, ma gli assassini materiali e intellettuali di questo crimine sono liberi con la complicità, oggi come allora, dei leader del partito messicano Partido Encuentro Social.

E poche ore fa è morto, in pace e “con il sostegno spirituale della santa madre chiesa”, uno degli autori intellettuali di questo massacro: il generale Mario Renán Castillo Fernández.

E quando dico Acteal, potete immaginare, adattando il vostro calendario, anche “Chalchihuitán” o “Chenalhó”. Ed aggiungere la variabile del conflitto per la prossima presidenza del Chiapas tra il PRI-rosso e il PRI-verde. Loro si occuperanno dei candidati, i loro militanti indigeni penseranno agli sfollati e ai morti.

Prima ho detto che nessuno parlava dei crimini contro le donne. Beh, dipende dove rivolgete l’udito e lo sguardo. C’è una donna che si chiama Guadalupe, ma la chiamano “Lupita”. Aveva 10 anni quando avvenne il massacro di Acteal e ha dovuto sia vivere quell’orrore che morirne con i propri cari. Oggi Lupita è consigliera del Consiglio Indigeno di Governo e, insieme alla portavoce del Consiglio, Marichuy, percorre le strade di questo paese e racconta questa storia.

Lupita parla con altre donne. Alcune sono come lei, altre no. Parla alle une e alle altre e non solo dice loro: “specchiati in questa storia perché è anche la tua”. Dice anche: “organizzati, resisti, non arrenderti, non venderti, non rinunciare. Non aspettare che il terrore entri nella tua casa, nella tua strada, nella tua scuola, nel tuo lavoro.”

Né Lupita né la portavoce camminano da sole. Altre consigliere, indigene come loro, donne come loro, lavoratrici come loro, povere come loro, madri come loro, mogli come loro, figlie come loro, nonne come loro, sorelle come loro, organizzate come loro, ribelli come loro, camminano e parlano in altre parti di questo crimine chiamato “Messico”.

Non c’è lusso per loro, né aerei privati, né giornalisti assegnati. Qualcuno dice che stanno raccogliendo le firme affinché la portavoce Marichuy sia candidata indipendente alla presidenza della repubblica. Non so se stanno raccogliendo firme. Loro dicono che stanno accumulando dolore, rabbia, indignazione e che non esiste un’applicazione cibernetica per raccogliere tutto questo, come neppure un cellulare di bassa, media o alta qualità che supporti questi terabytes. Hanno solo il cuore e l’ascolto. Le loro parole sono invariabilmente le stesse: “organizzazione”, “resistenza”, “ribellione”.

Non lo dicono, ma dicono così: “non avere pietà di me, non ti chiedo l’elemosina, ti dico solo: guardati quando mi guardi e, quando mi ascolti, ascoltati”.

Quindi io vi chiedo, a voi che partecipate, ascoltate, leggete, osservate: “il Consiglio Indigeno di Governo merita l’opportunità di percorrere altri luoghi, di parlare con altre persone, di ascoltare altri dolori e, invece di offrire promesse, programmi di governo e poltrone, denunciare un crimine, condividerne la propria spiegazione e fare appello per l’eliminazione del criminale? Senza sistemarlo, senza sminuirlo, senza travestirlo, senza riciclarlo, senza perdonarlo, senza dimenticarlo. No, finendolo, distruggendolo, facendolo sparire.

La risposta a questa domanda, già lo sappiamo, dipende da chi, da dove, da come.

-*-

  Ho parlato di una parte del crimine. Perché, come ho detto all’inizio, non parlerò di scienza, né di arte, né di politica, né racconterò una storia. Tuttavia, parlando del crimine parlo anche delle spiegazioni che si danno di esso, e la spiegazione di questo orrore quotidiano varia. Dipende da dove si spiega e dipende di chi ne dà conto.

Fedele al suo schema, il Partito Rivoluzionario Istituzionale di Acteal ha rinnovato la sua persistenza criminale in questo sessennio. Non gli basta la corruzione rampante, l’inefficienza amministrativa, la rozzezza diplomatica, la frivolezza come stile di governo.

No, il PRI ha sempre bisogno di un crimine terrificante che lo mantenga nei parametri che gli danno identità, colore, vocazione e progetto.

E, come ad Acteal, le stesse penne che archiviarono come “conflitto intertribale” l’assassinio di donne, bambini e uomini disarmati, per Ayotzinapa hanno costruito la tesi dello “scontro tra narcos“.

Curiosa questa definizione di “scontro” che spopola nei tribunali giuridici e mediatici del Potere: una delle parti è armata e l’altra è indifesa, ma si tratta di uno “scontro”.

Nello schema governativo, un procuratore generale di giustizia venduto ha dichiarato che li hanno bruciati e basta, preghiamo perché non succeda ancora.

In questo periodo di cosiddetta “verità storica”, un gruppo di scienziati ha dimostrato che non era possibile quella spiegazione. Ma il governo supremo ha mantenuto il suo schema convalidato dai grandi mezzi di comunicazione.

La sparizione forzata dei giovani studenti della Scuola Normale di Ayotzinapa, nello stato di Guerrero, continua ad essere attribuita ad una banda rivale di narcotrafficanti. Ed intorno a questa si costruisce uno schema di comprensione della realtà.

Il PRI fatto governo sostiene, con un cinismo da brivido, che tutto quello che lo mostra per quello che è, cioè, un sicario con ufficio legale all’estero, è sempre attribuibile al Satana di turno: il crimine organizzato in combutta con un gruppo di scienziati perversi.

Il governo tricolore confessa così, con imbecillità totale, che non è responsabile di niente perché esso è, sostanzialmente, il crimine disorganizzato.

Ma come ad Acteal, ad Ayotzinapa c’è chi non si rassegna, chi non si arrende, chi non si vende, chi non rinuncia e, con commovente impegno, persiste nella domanda di verità e giustizia.

-*-

  Credo che ci sia una cosa in neurobiologia che si chiama “sindrome del membro fantasma”. Non prendetemi troppo sul serio, meglio che vi rivolgiate a chi ne sa di neuroscienza, ma credo consista nel fatto che si abbia la percezione della sensazione che un membro del corpo umano amputato, sia ancora connesso al corpo. Cioè, non si ha più la mano, o il braccio, o la gamba, o l’occhio, ma si “sente” che c’è ancora.

Forse, è una supposizione, quando diciamo “è stato lo Stato”, “Stato Fallito” o “Narco Stato”, ci riferiamo ad un’assenza. E ciò che contempliamo e ciò per cui protestiamo non è altro che la dimostrazione della “sindrome del membro fantasma”. Lo Stato Nazionale è stato amputato nella tappa attuale del capitalismo e quello che percepiamo è l’eco della sua esistenza. Non c’è più Stato, quello che c’è è una banda di criminali sostenuta da un gruppo armato che si rifugerà nella Legge di Sicurezza Interna affinché il dolore e la rabbia non manchino mai sulle tavole quotidiane del Messico.

Qualche giorno fa, il signor Enrique Peña Nieto ha dichiarato, parola più, parola meno, che questo 2017 è stato un anno buono per il Messico. Sentendogli dire questo, uno si chiede se non sia qualcuno a cui hanno amputato non solo la vergogna e la decenza, ma anche il cervello, e rifletta la sindrome del membro fantasma: non ha più il cervello, ma agisce come se l’avesse.

-*-

  “Tutto dipende dal punto di vista”, ci dicono le mille lingue del Potere, “non c’è una realtà conoscibile, ma molteplici realtà che dipendono da schemi differenti”.

Dunque, vi chiedo:

Se c’è un crimine, la sua spiegazione dipende da un punto di vista o possiamo analizzarlo con l’aiuto delle scienze?

Grazie per l’ascolto, grazie per lo sguardo, e grazie, soprattutto, per la vostra impopolare pratica scientifica.

 

Dal CIDECI-UniTierra, Chiapas.

SupGaleano.

Messico, dicembre 2017

 

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE:

DIPENDE.

Nell’aula scolastica di una comunità zapatista, la promotrice di educazione chiede alla bambina che si fa chiamare “Difesa Zapatista” se ha fatto i compiti.

Dallo zainetto della bambina spunta la coda del gatto-cane, ben al riparo dal freddo di quella mattina.

Difesa Zapatista si alza e dice:

Dipende, maestra”.

“Come ‘dipende’? non capisco”, ribatte la maestra.

Difesa Zapatista sospira rassegnata pensando tra sé “niente da fare, devo dare lezione di politica un’altra volta alla maestra”.

Sì, per esempio”, dice la bimba mentre sbircia l’ombra della ceiba che indica l’ora di uscita, “c’è una compagna che si chiama dottoressa e ‘cognoma’ margarita”.

Cognome”, la corregge inutilmente la promotrice, “Si dice ‘cognome’”.

Appunto”, replica Difesa Zapatista che non bada alle sottigliezze, “allora, si chiama dottoressa, ma ci sono molti altri che sono dottoresse o dottori. Per esempio, c’è il Doc, al quale una volta il SupMoy ha chiesto se poteva curarlo e il Doc gli disse di no e allora il SupMoy ha fatto così con l’occhio, cioè il supMoy fa così con l’occhio quando si arrabbia. Allora il SupMoy gli disse “ma allora non sei un dottore”. E allora il Doc ha guardato il SupGaleano per chiedere aiuto, ma il SupGaleano si è messo a fumare la sua pipa, cioè ha fatto lo gnorri. Allora io ho spiegato al SupMoy che è Doc ma gli manca il cognome, cioè che è il Doc Raymundo, cioè che non sa curare con la medicina, ma ogni tanto dice ‘coraggio’ anche se la situazione è molto difficile, e anche se gli fanno un’iniezione lui dice ‘coraggio’.

Bene, col risultato che un giorno è arrivata la Dottoressa Margarita, che non sempre si chiama “margarita”, perché a volte è “margara”, a seconda se ti dà una pillola o lo sciroppo oppure l’iniezione.

Beh, col risultato che mi hanno portato dalla dottoressa perché mi visitasse, così hanno detto le mie mamaces(*). Allora, io ero lì e la vedo, come si chiama, l’arma letale, cioè le iniezioni che la dottoressa aveva sul tavolo e subito penso che farò lezione di politica alla dottoressa perché comprenda la lotta.

Allora ho detto alla dottoressa che tra noi donne dobbiamo appoggiarci e che tra di noi non dobbiamo farci del male. E la dottoressa ha fatto la faccia di capire ma io ho visto dai suoi occhi che non aveva capito un bel niente. Allora le ho detto che, per esempio, le iniezioni sono male o bene, dipende. Per esempio, sono male se fai un’iniezione a una bambina perché, scusa, credi che io possa calciare il pallone se mi fa male la gamba perché mi hanno fatto un’iniezione? No, vero?

Per esempio, le iniezioni sono bene se si fanno, per esempio, al Pedrito, che è un maledetto perché mi sfotte sempre che noi donne non ne sappiamo niente di calcio e che siamo “deboli”.

Io non so che cosa voglia dire ‘deboli’ ma ho capito subito che il Pedrito non stava rispettando noi donne e allora gli ho dato un ceffone da debole perché smettesse di parlare male.

Beh, allora la dottoressa voleva farmi il discorso politico che le iniezioni servono, ma dipende, le ho detto.

Allora le ho detto che come donne dobbiamo aiutarci e quindi niente iniezioni alle bambine, solo ai bambini e se piagnucolano allora un bel ceffone perché così hanno motivo di piangere e non perché si sta facendo loro del bene con l’iniezione. Allora ho spiegato alla dottoressa che alle bambine si danno solo pillole e sciroppo, ma solo se lo sciroppo non è amaro. Se è amaro deve avere un’etichetta che dica “solo per bambini”.

La dottoressa rideva, cioè credo che non abbia capito la lezione politica perché ha detto alle mie mamaces che dovevo fare la vaccinazione per non so che cosa. Tu credi che la lotta di noi donne possa avanzare se la dottoressa non capisce? Niente da fare, mi ha fatto l’iniezione che mi ha fatto molto male ed ho zoppicato per un bel po’ ma non ho pianto… beh, un pochino, ma solo perché mi ha fatto arrabbiare perché ci manca la politica per la lotta. E non sono andata agli allenamenti, così se poi la squadra non si completa velocemente è colpa sua che non ne capisce di politica.

Bene, è per questo che sono andata a parlare con l’uomo che si chiama “cherloc” e “Jol-mes” (nota: in tzeltal, “jol-mes” vuol dire testa di scopa di saggina che è una pianta usata per fare le scope con cui spazzare le capanne), che è un poco strano che si chiami così, ma credo che sia perché ha una testa che sembra una scopa. Beh, quel Jol-mes ha un compagno che si chiama Doctor e di cognome Waj-tson, ovvero capelli di tortilla ([in lingua tzeltal “waj” è tortilla e “tyson” è capello – N.d.T.] ed il poveretto ha sempre una faccia come di chi non capisce e si vede subito che non piace al gatto-cane perché lo scansa. Bene, di questo te ne parlerò un’altra volta maestra, perché sennò mi ci vuole tutto il giorno per la spiegazione politica.

Quindi, maestra, se mi chiedi se ho fatto i compiti, la domanda non è completa, perché come ho già spiegato, dipende. Per esempio, “Sup” è un nome, ma manca il cognome.

Perché se il cognome è Moy, allora sì che lo facciamo arrabbiare e il SupMoy non mi aiuta e mi dice che devo obbedire alle mie mamaces.

Ma, per esempio, se il cognome è “Galeano”, allora è diverso perché il SupGaleano appoggia la resistenza e la ribellione e lascia che il gatto-cane dorma sul suo computer e che noi mangiamo le mantecadas [merendine, brioche – N.d.T.] che si rubano dalla cooperativa.

Certo, il SupGaleano dice che non le ruba ma che le prende in prestito, ma io lo so che non le restituisce. Come fa a restituirle se ce le sbafiamo con il gatto-cane qui presente? (il gatto-cane scodinzola).

Allora ho chiesto al SupGaleano se a lui hanno fatto le iniezioni e il SupGaleano mi ha detto che nella comandancia non si possono dire brutte parole.

Cioè, io ho inteso che “iniezioni” è una brutta parola per il SupGaleano, ma la dottoressa Margarita dice che non è una brutta parola. Ma è chiaro che le iniezioni sono brutte parole, dipende se le fanno a te o al Pedrito, quel maledetto che mi ha accusato di avergli dato un ceffone e che era violenza di genere, ma tu ci credi? Io ho spiegato alle mie mamaces che mi sono solo difesa perché il Pedrito mi aveva insultato cioè, come si dice, ho applicato l’equità di genere. E le mie mamaces, come dirti? Loro devono ancora capire la lotta di noi donne e mi hanno punito non facendomi andare agli allenamenti e allora io ho detto che era colpa loro se non completavamo la squadra, ma loro niente di niente, che devo fare i compiti.

Allora sono andata a fare i compiti e mi sono portata il mio quaderno di appunti ma il gatto-cane qui presente si è accovacciato sul quaderno e tu credi che si riesca a spostarlo da lì quando dorme? Impossibile. Se solo ti avvicini fa quel suo grugnito che in linguaggio di gatto-cane vuole dire “se mi sposti, muori”. Allora ho pensato, per quale motivo devo morire se sono ancora una bambina e devo ancora crescere. E il SupGaleano un giorno mi ha raccontato che non serve morire, che è molto noioso essere morto, non ti passa più la giornata.

E un giorno il SupGaleano stava guardando dei video di alcune persone che non si vedeva bene cosa fossero, ma stavano spiegando che lottavano perché si rispettasse il loro modo di essere. Io ho chiesto al Sup se erano uomini o donne e il Sup mi ha risposto: “Dipende”. Cioè, non basta quello che si vede o si sente, ma bisogna prendere in considerazione molte cose e bisogna ascoltare, così ha detto il Sup. Perché, per esempio, se mi guardano, pensano che sono solo una bambina spensierata. Ma che provino a chiedermelo, e per prima cosa direi che mi chiamo “Difesa” e di cognome “Zapatista”, e penso molte cose. Cioè, dipende”.

Durante tutta la pappardella della bimba, sul volto della promotrice di educazione si è stampata un’espressione di rassegnazione. Ma tira un sospiro di sollievo quando vede che il Pedrito, seduto in prima fila, alza la mano con insistenza.

La maestra approfitta di un attimo in cui la bambina prende fiato e dice:

“Sentiamo Pedrito che cosa hai da dire”.

Il Pedrito si alza e dice:

“Credo che Difesa Zapatista non ha capito quello che volevo dire, perché quando qualcuno dice ‘debole’, dipende dal contesto…”.

La bambina ha guardato Pedrito con la faccia da “questa me la paghi, maledetto”.

La maestra si stava rassegnando ad ascoltare una delle profusioni di erudizione di Pedrito, quando è suonata la campanella.

Tutti sono usciti di corsa, con Difesa Zapatista davanti a tutti.

Finalmente fuori, la bambina ha estratto il gatto-cane dallo zainetto e gli ha detto in un orecchio: “sembra che siamo salvi”.

Ma poi ha visto la promotrice parlare con le sue mamaces ed ha aggiunto: “beh, dipende”.

Ed è corsa a cercare il pallone di riserva che il SupGaleano teneva dentro la comandancia in cambio che non si sapesse niente del misterioso caso delle mantecadas scomparse su cui indagava, senza apparente trascendenza, Elías Contreras, della commissione di investigazione dell’ezetaelene.

In fede:
Il gatto-cane.

 

(*) mamaces: mamme e donne che accudiscono i bambini della comunità.

-*-

All’inizio del mio intervento vi ho detto che non avrei parlato di politica, né di scienza, né di arte, e che non avrei raccontato una storia.

Ho mentito? Ma, dipende…

Grazie.

Il SupGaleano che cerca le mantecadas nel negozio cooperativo.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/12/27/participacion-de-la-comision-sexta-del-dia-27-de-diciembre-de-2017-en-el-conciencias-por-la-humanidad-supgaleano-depende

 

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Che cosa prova un bambino che sta morendo di freddo? Dipende. Se si tratta di uno statunitense (bianco), un europeo o un membro delle élite privilegiate della nostra nazione, la sola domanda suscita indicibile orrore. Non è così se si tratta da un bambino (o un vecchio) indigeno, povero tra i più poveri, che agonizza sotto gli alberi in montagna di notte a temperature sotto lo zero, protetto dalle intemperie da un telo di plastica e, forse, l’unica coperta che il governo ha “generosamente” donato ad ogni famiglia sfollata. Da più di un mese, 6 mila persone sono sfollate dalle loro case. Hanno perso le loro terre, le case, i loro beni, i raccolti, gli animali… tutto. Sono fuggiti con i soli abiti che indossavano di fronte alle minacce di un gruppo armato di Chenalhó, coordinato dalla sindaca di quel municipio, Rosa Pérez Pérez, del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM). 

RadioZapatista – 17 dicembre 2017

Il crimine al servizio dello Stato o lo Stato al servizio del crimine? Gli sfollati di Chalchihuitán-Chenalhó

Che cosa prova un bambino che sta morendo di freddo?

Dipende. Se si tratta di uno statunitense (bianco), un europeo o un membro delle élite privilegiate della nostra nazione, la sola domanda suscita indicibile orrore. Non è così se si tratta da un bambino (o un vecchio) indigeno, povero tra i più poveri, che agonizza sotto gli alberi in montagna di notte a temperature sotto lo zero, protetto dalle intemperie da un telo di plastica e, forse, l’unica coperta che il governo ha “generosamente” donato ad ogni famiglia sfollata.

Da più di un mese, 6 mila persone sono sfollate dalle loro case. Hanno perso le loro terre, le case, i loro beni, i raccolti, gli animali… tutto. Sono fuggiti con i soli abiti che indossavano di fronte alle minacce di un gruppo armato di Chenalhó, coordinato dalla sindaca di quel municipio, Rosa Pérez Pérez, del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM), con la presunta complicità del governatore Manuel Velasco Coello.

(Vedere Chalchihuitán y Chenalhó: ¿Una masacre anunciada? Per la spiegazione delle origini del conflicto e Crisis humanitaria y complicidad del Estado – Chalchihuitán y Chenalhó per il resoconto della situazione Degli sfollati.)

Malgrado molti mezzi di comunicazione nazionali abbiano dato copertura alla tragedia, c’è un silenzio inspiegabile dei media internazionali e un’inazione da parte dei governi statale e federale che dimostra un profondo disprezzo per la vita dei popoli originari.

Lo scorso 13 dicembre il Tribunale Unitario Agrario (TUA), dopo anni di inazione, ha finalmente “risolto” il conflitto territoriale che la ora estinta Segreteria della Riforma Agraria aveva scatenato più di 40 anni fa, ignorando gli accordi comunitari tra Chenalhó e Chalchihuitán e concedendo a quest’ultima le terre che in precedenza aveva assegnato a Chenalhó. Ora la sentenza del TUA non riconosce l’assegnazione delle terre a Chalchihuitán nel 1975, e le dà a Chenalhó.

(Vedere il comunicato congiunto di diverse organizzazioni della società civile relativo alla sentenza del TUA: Impunidad y violencia en los Altos de Chiapas.)

Alcuni media hanno superficialmente festeggiato la presunta “pace” di cui ora avrebbero goduto le comunità tzotzil della regione. Tuttavia, le autorità di Chalchihuitán hanno annunciato che gli sfollati non ritorneranno nelle loro case per la mancanza delle condizioni di sicurezza e che impugneranno la decisione del TUA.

Indipendentemente da come si risolverà il conflitto agrario, sorprende che i governi statale e federale ritengano concluso il conflitto con questa sentenza. Migliaia di persone continuano ad essere sfollate in condizioni disumane senza ricevere gli aiuti appropriati, e l’indennizzo offerto dal governo per la perdita di terre, case, beni, raccolti ed animali, è irrisorio. Quindici milioni di pesos per 5 mila sfollati di Chalchihuitán sono 3 mila pesos a persona (130,00 Euro – N.d.T.) per aver perso tutto quello che avevano, per stare soffrendo e per il trauma permanente dei bambini che lottano per sopravvivere alla paura, alla fame ed al freddo. Tremila pesos a persona, mentre la retribuzione media mensile di un governatore è di 93 mila pesos [più di 4.000,00 Euro – N.d.T.] (senza contare i profitti milionari lucrati con la corruzione istituzionalizzata). E non bisogna essere dei matematici per capire che 300 case per 5 mila persone significa che in ogni casa ci dovrebbero vivere 17 persone.

Ma sorprende ancor di più che in nessun momento i governi statale e federale abbiano ritenuto un problema che un gruppo terroristico criminale, armato, sostenuto ed apertamente al servizio di una funzionaria pubblica, distrugga strade, uccida impunemente, terrorizzi la popolazione, cacci 6 mila persone, rubi e distrugga le loro proprietà e provochi la morte di quattro bambini sotto i 4 anni e cinque anziani, utilizzando in tutto questo armi di uso esclusivo dell’esercito. E se usiamo il termine “terroristico” non lo facciamo per sensazionalismo. La definizione di “terrorismo” nel Dizionario della Reale Accademia è: “Azione criminale di bande organizzate che, reiteratamente ed in generale in maniera indiscriminata, vuole creare allarme sociale a fini politici”. Niente di più esatto per descrivere l’azione del gruppo armato di Chenalhó.

Questo dimostra quello che giù sappiamo: In Messico, il crimine è al servizio dello Stato, e lo Stato al servizio del crimine.

Nel frattempo, i legislatori approvano la nuova Ley de Seguridad Interior, che assegna pieni poteri all’esercito per reprimere la popolazione messicana, e le modifiche al paragrafo I dell’articolo 1916 del Codice Civile Federale, che recita (non è uno scherzo): “nel risarcimento del danno morale si consideri il fatto illecito di chi comunichi, attraverso qualsiasi media tradizionale o elettronico, un fatto vero o falso, determinato o indeterminato, che possa causare disonore, discredito, danno o esporre al disprezzo di qualcuno”.

La conclusione è chiara: Depredazione istituzionalizzata; operazione coordinata tra lo Stato ed il crimine organizzato per assicurare detta depredazione; repressione e criminalizzazione delle proteste e delle resistenze.

Nel mentre, migliaia di persone soffrono nella generale indifferenza. Riportiamo alcune testimonianze delle donne sfollate:

  1. http://radiozapatista.org/wp-content/uploads/2017/12/TESTIMONIO_BOLOMJOCHON_MUSICALIZADO.mp3
  2. http://radiozapatista.org/wp-content/uploads/2017/12/TESTIMONIO1_MUSICALIZADO.mp3
  3. http://radiozapatista.org/wp-content/uploads/2017/12/Testimonio-de-mujer-desplazada-de-Chalchihuitán.mp3

E noi continuiamo a chiedere: Che cosa prova un bambino, o un anziano, che sta morendo di freddo?

Questo è l’elenco dei morti ai quali rendiamo un umile omaggio:

  • Maura Pérez Luna – 1 anno
  • Adriana de Jesús Pérez Pérez – 2 anni
  • Bambina di nome ed età non comunicati
  • Bambino di e giorni (nome non comunicato)
  • Domingo Girón Luna – 70 anni
  • Martín Girón Rodríguez – 80 anni
  • María Domínguez Gómez – 57 anni
  • Marcelino Gómez (età non comunicata)
  • Anziano (nome ed età non comunicati)
  • Samuel Luna – assassinato il 18 ottobre mentre lavorava nel suo terreno.

Inoltre, il giovane Raymundo Pérez Luna, di 18 anni, ha tentato il suicidio il 3 dicembre bevendo dell’erbicida. Due anni fa Raymundo aveva perso il fratello Salvador, assassinato da un gruppo armato, a causa del conflitto agrario. Ora, i costanti spari ed il clima di terrore che si vive nella sua comunità l’hanno portato a tentare di mettere fine alla sua vita.

Mentre bambini ed anziani morivano di freddo e di paura ed un giovane tentava il suicidio, il governatore Manuel Velasco Coello era occupato ad accompagnare José Antonio Meade Kuribreña nell’avvio della sua campagna elettorale per il PRI ed il PVEM. Quest’ultimo, che non si domanda che cosa prova un bambino che sta morendo di freddo, a Tuxtla Gutiérrez ha dichiarato che “Non importa in quanti saranno, non ci fanno venire freddo”, alludendo alla coalizione PAN, PRD e Movimiento Ciudadano, esplicitando inconsciamente il disprezzo della classe politica verso chi sì sente freddo, e molto.

Testo originale: http://radiozapatista.org/?p=24644

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Stato di polizia in Messico con la nuova legge di sicurezza 

Narcoguerra come scusa. Le norme appena varate contestate da opposizione sociale e organizzazioni internazionali, impugnate come anticostituzionali, ma saranno operative nel 2018, anno elettorale e potranno conferire ai militari poteri quasi illimitati, incluso per sedare conflitti sociali e politici. 

Fabrizio Lorusso – Leon (Messico) 17.12.2017 – Il Manifesto http://www.ilmanifesto.it

Il Messico non aveva mai ricevuto così tante critiche contro l’approvazione di una legge come nell’ultima settimana. Con i voti del partito del presidente Peña Nieto, il Pri (Partido Revolucionario Institucional) e dei suoi alleati delle destre, il Senato ha approvato venerdì la contestata legge sulla sicurezza interna tra le proteste della società civile, unita nel collettivo #SeguridadSinGuerra (Sicurezza senza guerra), e di istituzioni internazionali come l’Onu,l’Europarlamento e la Commissione interamericana dei diritti umani.

La legge amplia i poteri dei militari con funzioni di polizia e lotta al narcotraffico equiparando di fatto la pubblica sicurezza alla sicurezza nazionale. I militari potranno svolgere indagini, perquisire abitazioni, nascondere informazioni «strategiche», intercettare comunicazioni e fare arresti senza l’intervento dell’autorità giudiziaria e controlli negli Stati in cui il presidente Nieto decreterà un rischio per la sicurezza.

Nel dicembre 2006 l’ex presidente Felipe Calderón lanciò la narcoguerra, un’offensiva militare contro i cartelli della droga che doveva essere eccezionale e temporanea, col fine di permettere la professionalizzazione delle polizie e poi ritirare gradualmente i militari, ma così non è stato.

La nuova legge normalizza questa situazione e viene presentata come un passo necessario che «non militarizza le strade, ma mette ordine, dato che le forze armate hanno ormai assunto funzioni anti narcos e di sicurezza interna ed è importante rafforzare le loro azioni in quadro legale», secondo la senatrice del Pri Cristina Díaz.

In un decennio le mafie messicane si sono moltiplicate e hanno diversificato i loro business criminali. Oggi il paese vive una crisi endemica dei diritti umani: sono oltre 200mila i morti imputabili a «una vera e propria guerra civile», secondo lo specialista in conflitti Andreas Schedler, e 34mila i desaparecidos.

«Il presidente potrà politicizzare l’operato dell’esercito, intervenendo nei conflitti sociali, e l’esercito non solo avrà facoltà di autoregolarsi, coordinando le funzioni oggetto della delega presidenziale e i suoi protocolli, ma potrà anche agire direttamente in caso di rischi imminenti alla sicurezza, dunque lo specchio del Messico è l’Honduras, dove dopo il voto è stato decretato il coprifuoco e lo stato d’eccezione per controllare le proteste», spiega il senatore indipendente Alejandro Encinas.

L’opposizione e la Commissione per i diritti umani promuoveranno azioni d’incostituzionalità presso la Corte Suprema, ma tra tecnicismi e ricorsi i tempi si allungheranno. La legge sarà quindi operativa durante il processo elettorale del 2018 in cui il politico López Obrador, candidato per la terza volta consecutiva, è in testa in tutti i sondaggi e potrebbe portare le sinistre al governo. «Non vogliamo una riedizione della guerra sporca degli anni ’70 l’anno prossimo, né le forze armate dentro la politica nazionale», ha ribadito Encinas al riguardo.

 

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“La narcopolitica in questa zona degli Altos. Nessuno ne vuole parlare, nessuno osa denunciare. Ma si sa”. Territori assediati e quasi 6mila sfollati dalla minaccia di paramilitari dei partiti PRI e PVEM. Molti degli aggressori di oggi, con armi di grosso calibro come 20 anni fa, sono gli stessi di Acteal. Altri no, c’è  pure una nuova generazione di paramilitari. Ma oggi esiste un’aggravante: “la narcopolitica ed il traffico di armi, che è molto intenso in Chenalhó ed avviene sotto lo sguardo complice delle autorità”. 

 

La Jornada – Venerdì 1° dicembre 2017

Narcopolitica in Chiapas, una bomba ad orologeria che aumenta il rischio di un nuovo massacro

di Blanche Petrich

Tre settimane fa, il parroco di Simojovel, Marcelo Pérez, ha iniziato a percorrere l’impervio tragitto di almeno quattro ore che va dalla sua parrocchia verso le comunità tra Chenalhó e Chalchihuitán, negli Altos del Chiapas, per constatare quello che gli abitanti di quei luoghi denunciavano: attacchi di gruppi paramilitari del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e del partito filogovernativo Verde Ecologista del Messico (PVEM); strade bloccate e popolazioni assediate; quasi 6 mila sfollati in condizioni estreme di vulnerabilità; sparatorie notturne e decine di case date alle fiamme dagli aggressori.

È tornato varie volte: Ed è tutto vero. Quando ho visto i bambini che dormivano sotto gli alberi, senza niente da mangiare, molti di loro malati, non ci volevo credere. Non avrei mai pensato che sarei tornato a vedere così tanta sofferenza e malattia, mi dice durante l’intervista telefonica. Martedì scorso è tornato in diverse località di Chalchihuitán a raccogliere le testimonianze di oltre 5 mila sfollati. Mercoledì a Chenalhó, dove sono quasi mille quelli che sono fuggiti in montagna.

Questi i dati che ha raccolto: nel municipio di Chalchihuitán gli sfollati sono 5.035; di Majompepentic sono oltre 800; della cosiddetta Frazione Polhó (una scissione non zapatista di quelli che furono gli accampamenti degli sfollati delle basi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale – EZLN – dopo i massacri di 20 anni insediate a Polhó) ci sono 150 abitanti, tra questi sei donne incinta; di Las Limas, lontano dai villaggi, sono fuggite in montagna 205 famiglie, più di 900 persone, con 15 donne incinta. Inoltre, hanno abbandonato le proprie case quattro famiglie di Campo Los Toros, 30 abitanti di Vayem Vacax, quattro famiglie di Yabteclum.

Dall’altra parte della linea divisoria, già municipio di Chenalhó, mercoledì notte sono state registrate oltre 960 persone sfollate.

I bambini e le donne stanno soffrendo freddo, fame e malattie. È una ripetizione di quello che accadde in questi stessi luoghi 20 anni fa, giorni prima del massacro di Acteal. La storia ci avverte di quello che potrebbe succedere qui, ci dice nell’intervista telefonica. Il massacro può ripetersi.

Un avvertimento che non fa breccia nel governo

Nel 1997 una dozzina di comunità di Chenalhó furono abbandonate dagli abitanti fin dal mese di settembre a causa delle aggressioni di gruppi priisti che, nel contesto della guerra contrainsurgente contro lo zapatismo, aggredivano chi supponevano fossero basi zapatiste. Nel gelido inverno degli Altos, con i raccolti abbandonati nei campi, furono migliaia gli sfollati a vivere sulla montagna, malati e sprovvisti di tutto. Era l’avvisaglia di quello che sarebbe accaduto il 22 dicembre. Tutto questo fu ignorato.

Anche la Diocesi di San Cristóbal de las Casas ed il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas hanno lanciato l’allarme: i fatti di Acteal possono ripetersi. L’allerta non ha fatto breccia nelle autorità.

Il direttore del Frayba, nota organizzazione non governativa fondata dal vescovo Samuel Ruiz, sostiene che oggi i gruppi paramilitari in azione sono gli stessi che commisero il massacro il 22 e 23 dicembre del 1997. È la violenza ciclica generata dall’impunità.

Padre Marcelo concorda: Lo dicono gli sfollati, li hanno riconosciuti. Molti degli aggressori di oggi, con armi di grosso calibro come 20 anni fa, sono gli stessi di Acteal. Certo, altri no, c’è anche una nuova generazione di paramilitari. Ma oggi esiste un’aggravante, aggiunge: “la narcopolitica ed il traffico di armi, che è molto intenso in Chenalhó ed avviene sotto lo sguardo complice delle autorità”.

Nel 1997 e 1998, dopo il massacro di Acteal e l’ondata di repressione, militarizzazione e sfollamento che ci fu, più di 30 paramilitari furono arrestati e processati. L’allora governatore chiapaneco, Roberto Albores, assunse degli avvocati per la loro difesa. Molti di loro rei confessi, nel 2007 furono condannati a 26 anni di carcere. Ma tra il 2009 e 2011, difesi da un team di avvocati privati, tutti sono stati liberati su decisione della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) che addusse errori nella procedura processuale. Vari dei presunti assassini fecero ritorno a Chenalhó, a convivere con le loro vittime e sopravvissuti.

Quel 22 dicembre del 1997, ad Acteal furono giustiziati alle spalle 15 bambini, 21 donne, quattro di loro incinta e 9 uomini. Circa 30 persone risultarono ferite. Tutti stavano digiunando e pregando. Erano disarmati.

Per il terrore, quasi un terzo degli abitanti del municipio fuggirono dalle proprie case e si rifugiarono in accampamenti organizzati o semplicemente alle intemperie, in pieno inverno.

Oggi le scene di 20 anni fa si ripetono negli stessi luoghi. Ci sono comunità, come quella di Polhó ed altre, che ripetono l’esodo al quale furono costrette nel 1997 e 1998. Nelle stesse condizioni di precarietà.

Le autorità dello stato hanno reagito tardivamente con l’invio di aiuti umanitari. Per il momento solamente le parrocchie della diocesi e la società civile stanno portando negli accampamenti generi alimentari, medicine e coperte. È molto complicato, spiega padre Marcelo.

Impunità, violenza ciclica

Pedro Faro, direttore del Frayba, ha denunciato da questo giornale che il governo statale ha dimostrato la totale incapacità di risolvere il conflitto. Tra le altre cose, Rosa Pérez, presidentessa municipale di Chenalhó, protetta dal governatore ed imposta con la frode, si era impegnata di fronte ai rappresentanti del governo dello stato ad ordinare la rimozione dei blocchi stradali che tengono sotto assedio le comunità di Chalchihuitán e a permettere che si reinstalli la Base di Operazioni Miste che si era ritirata quando sono cominciate le aggressioni. Non ha fatto nulla di tutto questo.

Il vecchio conflitto tra i coloni di Chalchihuitán e Chenalhó si è riacceso dopo l’omicidio, ancora impunito, di Samuel Pérez Luna, indigeno tzotzil, il 18 ottobre scorso, in un attacco paramilitare. Spiega Pedro Faro: Non è stato il primo caso. C’è omissione delle autorità nel risolvere il conflitto che risale al 1979, per la disputa di 900 ettari di terra a causa di una errata sentenza dell’allora Segreteria della Riforma Agraria. Per questo il ciclo di violenza favorito dall’impunità. Di tanto in tanto esplode la violenza. Il governatore ha gestito vari accordi che non si sono mai realizzati, a tavoli di negoziazione che non sono mai stati fra uguali. Ci sono state negligenza ed inettitudine. Nei prossimi giorni dovrebbe essere emessa una sentenza da un tribunale agrario che deciderà se Chenalhó deve accettare 15 milioni di pesos di indennizzo in cambio dell’assegnazione delle terre a Chalchihuitán. Suppongo che sia per questo che i paramilitari si sono riattivati, come una forma di pressione.

Il parroco Marcelo Pérez aggiunge un altro elemento di questa bomba ad orologeria: “La narcopolitica in questa zona degli Altos. Nessuno ne vuole parlare, nessuno osa denunciare. Ma si sa”.

http://www.jornada.unam.mx/2017/12/01/politica/010n1pol – Foto gentilmente concesse da Marcelo Pérez.

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A vent’anni dal massacro di Acteal qualcuno ricorda ancora il conflitto in Chiapas e i diritti indigeni negati in Messico? 

 Il 22 dicembre l’anniversario dell’eccidio che nel 1997 costò la vita a 45 persone, tutte appartenenti al gruppo pacifista “Las Abejas”. 

di Luca Martinelli – 29 novemembre 2017 

Sono passati vent’anni dall’evento che ha cambiato la mia vita. Il 22 dicembre del 1997 ad Acteal, sulle montagne del Chiapas, nella regione conosciuta come Los Altos, un gruppo paramilitare uccise i fedeli riuniti in preghiera nella chiesetta. Erano tutti indigeni di etnia Tzotzil, affiliati ad un gruppo pacifista. Si chiamava, e si chiama, Las Abejas.

Che in italiano significa “le api”.

Non seppi nulla di Acteal fino all’anno dopo, quando ebbi l’opportunità di ascoltare la testimonianza di fray Pablo Romo, che allora era il direttore del Centro diritti umani “Fray Bartolomé de Las Casas” a San Cristobal de Las Casas.
Ci spiegò che quell’evento, che tutto il mondo conosce come “il massacro di Acteal”, era parte di una guerra di bassa intensità combattuta dall’esercito messicano e da truppe irregolari nello Stato più meridionale del Paese a partire dal gennaio 1994, dopo insurrezione armata dell’EZLN (Ejercito Zapatista di Liberación Nacional), un esercito indigeno.

Ad Acteal morirono in 45, più quattro vite che erano ancora nell’utero delle loro madri.
(Nella foto in alto, dall’archivio del quotidiano La Jornada, i loro funerali, celebrati da don Samuel Ruiz, il vescovo di San Cristobal, fondatore del centro diritti umani Fray Bartolomé de Las Casas.)
Allora, avevamo 18 anni, ci colpì la storia tremenda di alcuni bambini, di Zenaida che perse la vista e degli altri trucidati dalle raffiche sparate dall’esterno verso l’interno della chiesetta, che resta “ferita” ed è un monito intorno al quale ogni anno si ritrovano migliaia di persone, che arrivano dagli Altos, da San Cristobal e da tutti il mondo per una veglia di preghiera che si ripete ogni 22 dicembre (l’ho vista con i miei occhi, nel 2003, quando ebbi l’opportunità anch’io di partecipare alla celebrazione).

Vent’anni dopo, Acteal è ancora una ferita aperta, cui se ne sono aggiunte molte in tutto il Messico (come quella di San Salvador Atenco, che racconto qui) e anche in Chiapas (e dei giorni scorsi la denuncia di un conflitto tra le comunità di Chenalhó e Chalchihuitán, con circa 5mila nuovi desplazados).

Intorno a metà novembre, intanto, Las Abejas ed alcuni dei sopravvissuti alla strage di Acteal hanno potuto incontrare a San Cristobal de Las Casas Victoria Tauli Corpus, relatrice speciale ONU per i diritti dei popoli indigeni.
Le hanno consegnato una lettera:

Mi chiamo Guadalupe Vásquez Luna, ho 30 anni, e il 22 dicembre del 1997 ho perso per sempre mio padre, mia madre ed altri 7 membri della mia famiglia, quel giorno in cui i paramilitari affiliati al Partito Rivoluzionario Istituzionale attaccarono la mia comunità […]. Il massacro di Acteal è un messaggio che lo Stato messicano volle dare alla comunità indigene e ai movimenti sociali che lottano contro un sistema di governo repressore, che disprezza e non rispetta i popoli indigeni come soggetti della propria storia e titolari di diritti in un Paese dove concetti come democrazia, libertà e sovranità sono solo parole.

Lo Stato messicano, invece, di avanzare nella ricerca di giustizia per il Massacro di Acteal e far conoscere la verità su quanto occorso, 10 anni dopo l’infame delitto, con un giudizio di quella che a torto è definita Suprema Corte de Justicia de la Nación, liberò tutti i paramilitari che erano stati riconosciuti come autori materiali del massacro, e la cui identità era stata segnalata dai sopravviventi. Mentre aspettiamo che sia la Corte interamericana per i diritti umani ad esprimersi sul caso Acteal, l’impunità è ancora vigente, ed è un cancro che ci consuma. Anche se sono passati 20 anni da quando abbiamo perso i nostri genitori, le nostre sorelle, i nostri fratelli, soffriamo ancora, anche psicologicamente, perché i paramilitari sono libri e camminano per le nostre comunità […]. Abbiamo denunciato più volte che qui in Messico si condannano gli innocenti, mentre vengono premiati gli assassini.

L’incontro con Tauli Corpus è parte dalla campagna “Acteal: Raíz, Memoria y Esperanza”, che Las Abejas e il Centro “Frayba” hanno promosso a partire dal marzo del 2017, e che culminerà nel giorno dell’anniversario. La speranza è che ci sia ancora spazio per ottenere giustizia.

Nel rapporto preliminare presentato al termine della propria missione nel Paese, purtroppo, Tauli Corpus ha dovuto riconoscere che il sentiero è difficile:

Mi sono stati presentati numerosi casi di gravi violazioni dei diritti umani dei popoli indigeni in diversi Stati del Paese. Molti sono ancora irrisolti. Questi casi riguardano anche massacri, omicidi, sparizioni forzate, violenze sessuali, torture. I crimini sono attribuiti a privati, ma anche al crimine organizzato, ai gruppi paramilitari, a ufficiali o militari, in molti casi in relazione a ‘progetti di sviluppo’ che interesseranno i territori indigeni. Ho potuto percepire, inoltre, la mancanza di fiducia che i popoli indigeni hanno nei confronti del sistema ordinario di giustizia, vincolato alla mancata applicazione delle sentenze quando queste sono loro favorevoli ed al fatto che una condanna non garantisce che i fatti non si ripetano.

La missione di Tauli Corpuz in Messico, che si è conclusa con una conferenza stampa il 17 novembre, segue quella del precedente Relatore Onu per i diritti dei popoli indigeni, Rodolfo Stavenhagen, che era stato nel Paese nel 2003. Lasciando un elenco di raccomandazione, che sono rimaste lettera morta per il governo messicano. “Una brecha de implementación” scrive Tauli Corpus.

Significa che il Messico ha perso almeno quindici anni.

https://medium.com/@lucamartinelli130180/a-ventanni-dal-massacro-di-acteal-qualcuno-ricorda-ancora-il-conflitto-in-chiapas-e-i-diritti-e9467fc104ce

 

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Violenza sulle donne: 11 vittime di stupro denunciano il Messico. 

Nei giorni scorsi 11 donne vittime di violenza sessuale hanno raccontato la propria storia alla Corte interamericana per i diritti umani. Trascinando così il Messico davanti alla giustizia per non aver indagato su quanto accaduto nel 2006. Quando la polizia usò violenza carnale e torture contro le mobilitazioni.

di Luca  Martinelli – 24 novembre 2017  

«Il riconoscimento della responsabilità dev’essere completo. Una verità a metà, non è la verità». «Il lavoro che mi dà forza giorno dopo giorno è quello che faccio insieme alle altre donne della campagna Rompendo il Silenzio. È a partire da questo spazio che ho potuto ricostruirmi». La prima frase è di Norma Aidé Jiménez Osorio, la seconda di Barbara Italia Méndez Moreno.

Quando hanno parlato così, entrambe si trovavano di fronte alla Corte interamericana per i diritti umani, che il 16 e il 17 novembre 2017 ha accolto in udienza 11 donne che hanno denunciato le aggressioni sessuali subite il 3 e il 4 maggio 2006 da parte di elementi delle forze di polizia del Messico.

Gli agenti fecero ricorso alla violenza carnale come risposta repressiva alle mobilitazioni di massa promosse a San Salvator Atenco e a Texoco, nello Stato del Messico, contro la costruzione di un nuovo aeroporto.

Donne violentate: le «sopravvissute a tortura sessuale»

In quei giorni di undici anni fa furono uccise due persone e ben 31 donne denunciarono le violenze subite. In tutto 217 persone furono detenute in modo arbitrario. A chi scrive toccò raccogliere le loro testimonianze insieme ad altre 27 persone di sette Paesi che tra il 29 maggio e il 4 giugno del 2006 presero parte ad una Commissione civile internazionale di Osservazione dei diritti umani sul “caso Atenco” (qui il resoconto scritto allora per Altreconomia).

Il Centro diritti umani Miguel Augustin Pro di Città del Messico (Centro Prodh), che ha accompagnato per 11 anni le vittime di Atenco, oggi descrive le donne che hanno portato il governo messicano sul banco degli imputati come «sopravvissute a tortura sessuale».

Violenza sessuale durante un’operazione di polizia

Gli uomini impegnati nell’operazione di polizia utilizzarono dita e manganelli contro molte delle donne fermate. Le prime a denunciarlo erano state due cittadine spagnole, Cristina Valls e Maria Sostres, che si trovavano ad Atenco la sera del 3 maggio 2006 per portare la propria solidarietà.

La violenza sessuale avvenne sia durante il trasferimento verso le carceri di massima sicurezza dove vennero rinchiusi i manifestanti, sia all’arrivo nelle strutture. Il paradosso è che, mentre le vittime hanno dovuto subire per anni processi penali con accuse come oltraggio a pubblico ufficiale, porto d’armi, blocchi stradali e sequestro, le gravi violazioni ai diritti umani commesse contro di loro sono rimaste impunite.

Undici donne trascinano il Messico in giudizio

Tra le detenute c’erano anche le 11 donne che nel 2011 decisero di cercare giustizia nel Sistema interamericano per i diritti umani. Si chiamano Mariana Selvas Gómez, Georgina Edith Rosales Gutiérrez, María Patricia Romero Hernández, Norma Aidé Jiménez Osorio, Claudia Hernández Martínez, Bárbara Italia Méndez Moreno, Ana María Velasco Rodríguez, Yolanda Muñoz Diosdada, Cristina Sánchez Hernández, Patricia Torres Linares e Suhelen Gabriela Cuevas Jaramillo. E sono loro ad aver costretto il governo messicano a difendersi.

Violenza sulle donne di Atenco ancora impunita

Un comunicato del Centro diritti umani Miguel Augustin Pro, che ha accompagnato 5 delle 11 “sopravviventi” all’udienza, specifica che «gli interventi della Commissione interamericana per i diritti umani, quelli delle rappresentanti delle vittime e anche quello dello Stato messicano, hanno reso evidente di fronte alla Corte che su questo caso ad oggi regna la totale impunità».

Conferenza stampa tenuta nel 2007 in difesa delle donne arrestate ad Atenco in seguito ai fatti del 2006 – Foto: contralatorturaccti (via Flickr)

Un’impunità coltivata per 11 lunghi anni, durante i quali Enrique Peña Nieto, governatore dello Stato del México nel 2006, è diventato presidente della Repubblica messicana (in carica dal dicembre del 2012).

Nessuna indagine sui poliziotti coinvolti nelle violenze

Il governo del Messico ha disatteso la sentenza della Commissione interamericana dei diritti umani (Cidh). L’organismo, infatti, nel 2015 aveva concluso l’analisi avviata dopo la denuncia delle 11 vittime invitando lo Stato a realizzare un’inchiesta penale. Le autorità, dunque, avrebbero dovuto investigare gli appartenenti alle forze dell’ordine impegnati ad Atenco e Texcoco il 3 e 4 maggio 2006.

Ma non lo hanno fatto. Ed è proprio per questo che la Cidh nell’ottobre 2016 ha invitato il caso alla Corte, che dovrebbe emettere la propria sentenza nella primavera del 2018.

La sentenza «dovrà essere osservata»

«Per quei Paesi come il Messico che riconoscono la giurisdizione della Corte interamericana, che è un tribunale internazionale, la sentenza che verrà emessa dovrà essere necessariamente osservata. Non si tratta di raccomandazioni, ma di disposizioni equiparabili a quelle di una Corte Suprema o di un Tribunale federale, e pertanto da rispettare», spiega a Osservatorio Diritti Araceli Olivio Portugal, avvocata del Centro diritti umani Miguel Augustin Pro.

La richiesta delle vittime di stupro alla Corte dei diritti umani

Le 11 donne che hanno denunciato il governo federale hanno rifiutato ogni offerta di risarcimento. Dice ancora Araceli Olivio Portugal: «Chiediamo di riconoscere che non si è investigato, non si è cercato di capire chi ha inviato quasi 3 mila elementi di polizia federale e statale, che avrebbero dovuto “riportare l’ordine”. Chi ha pianificato quell’operazione, chi ha deciso di non prevenire gli abusi il giorno 4 maggio, nonostante sapessero quanto era successo il giorno 3, durante le proteste del Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra di Atenco. Chi non fece niente per evitare gli abusi, la detenzione arbitraria e le torture nei confronti di oltre duecento fermati. Pratiche che avrebbero potuto essere evitare, dato che tutta l’operazione era monitorata in tempo reale.

Si chiede l’avvocata: «Possibile che nessuno si rendesse conto? Ricordiamo che il 90% delle donne fermate ha denunciato violazioni».

Messico: presidente di fronte alla Corte interamericana

L’importanza del giudizio in corso è confermata anche da Emilio Álvarez Icaza, che è stato segretario esecutivo della Corte interamericana per i diritti umani. Intervistato da Newsweek, ha ricordato che «la discussione riguarda oggi un elemento, ovvero la violenza e gli abusi sessuali nei confronti di molte donne, e riguarda non solo gli autori materiali ma anche chi ordinò quelle azioni. Oltre alla responsabilità attiva c’è anche quella passiva, legata al controllo, e la giurisprudenza interamericana affronta i due aspetti in modo diverso. Questo però non cancella l’importanza di un aspetto: colui che oggi è titolare del potere esecutivo, il presidente della Repubblica, è giudicato di fronte a un tribunale internazionale. Questo non è normale. E rende il caso paradigmatico».

Emilio Álvarez-Icaza – Foto: Juan Manuel Herrera / OAS (via Flickr)

Una condanna dello Stato potrebbe obbligare il Messico a prendere dei provvedimenti per evitare che il 98% dei delitti restino impuniti. O per rafforzare i controlli nei confronti dei membri delle diverse forze di polizia (municipali, statali, federali). O per equiparare la violenza di genere, la violenza sessuale, a una forma di tortura. https://www.osservatoriodiritti.it/2017/11/24/violenza-sulle-donne-messico/

 

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Il Saccheggio
Racconti dal Chiapas e dal mondo passando per i banchi della “Buona Scuola”.

Testi di: Wolf Bukowsky, Giulia Franchi, Filippo Taglieri, Aldo Zanchetta.

“Estrattivismo” è una parola ancora poco usata in Italia. Fa pensare subito al processo di rimozione di risorse naturali dai sottosuoli allo scopo di esportare materie prime. In realtà, l’estrazione mineraria è solo una parte, seppure importante, della storia. L’estrattivismo si fonda sulla sottrazione sistematica di ricchezza dai territori, combinata con il trasferimento forzato di sovranità sugli stessi, da chi li vive a chi li depreda, da chi sopravvive grazie ad essi, a chi se ne serve per garantire la riproducibilità di un modello basato sul profitto a vantaggio di pochi, tendenzialmente sempre gli stessi. L’estrattivismo viaggia veloce e lontano, alimentandosi delle sue stesse bugie.
Ma in molti casi, come in Chiapas, le comunità non si fanno trovare impreparate, e a volte sono sufficienti le domande di un ragazzino inesperto, ma curioso, a svelare l’ipocrisia di fondo su cui si costruisce questo tragico inganno.

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IL-SACCHEGGIO-COMPLETO-WEB

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L’importanza di Marichuy

Hermann Bellinghausen

Sembra esistere consenso sul fatto che abbiamo bisogno di un cambiamento quasi in tutto. La strada non passa necessariamente per le urne. Non quelle che conosciamo. Ma le apparenze ingannano, non tutti vogliono il cambiamento. Quello che le élite ed i loro satelliti pretendono è che le cose seguano la propria rotta, così che porti all’abisso dal quale esse credono di potersi salvare con profitto. Per il resto, tra la maggior parte dei messicani, si va generalizzando la certezza che non possiamo fidarci dei partiti né dei loro governi. L’elettorato, che dovrebbe includere tutti gli adulti ma che accoglie solo una parte di essi, si divide artificialmente. Alcuni si rassegnano, altri cercano il cambiamento (almeno di faccia) battendo la stessa strada. Altri ancora, un numero non contabilizzato ma molto rilevante di messicani, vive una realtà differente, cruda e concreta, dove i termini attuali del presunto cambiamento politico sono bullshit, perdonate l’anglicismo.

Come nazione, noi messicani dobbiamo affrontare seri demoni – perché li abbiamo – e come direbbe un celebre pubblico ministero finito malamente, i demoni non si fanno problemi ed hanno trionfato. Per il cambiamento dobbiamo scrollarci di dosso i fantasmi della rabbiosa ipocrisia: razzismo, misoginia, sessismo, violenza familiare, abitudine alla corruzione, predisposizione a tacere e sopportare. La società maggioritaria – quella che non si considera indigena, per carità di Dio – è daltonica, non distingue i colori, la sua gamma si limita al chiaro e allo scuro, e senza batter ciglio si allinea al lato chiaro dell’identità (reale o sognata). Gli stereotipi collettivi e pubblicitari di rispettabilità, intelligenza e bellezza lo predicano e lo garantiscono.

Con questo di fondo e con le quotidiane minacce di esproprio, militarizzazione, divisione, espulsione, avvelenamento col contagocce e distruzione dell’ambiente, una parte diffusa di messicani può testimoniare della realtà di vivere aggrediti e della determinazione di non arrendersi. La lotta continua ad essere di classe per colpa non di quelli di sotto, ma di quelli di sopra. Abbondano gli esempi di danni deliberati a causa dell’espansione e dei benefici di conglomerati tipo Grupo México, Peñoles, Carso, Bimbo, Femsa, eccetera. Tutti hanno una storia nera. Accaparrano, prevaricano, cooptano, distruggono. L’argento, l’acqua, l’energia, la terra ed il vento, a loro interessano più che la nostra sovranità, la gente ed i villaggi, dove i loro artigli avanzano ed affondano. Continuiamo a cozzare contro il vecchio capitalismo. In quelle comunità indigene e per le loro milioni di menti, la vita non ammette il capitalismo, ogni lotta che intraprendano sarà anticapitalista.

María de Jesús Patricio, portavoce del Congresso Nazionale Indigeno e del suo Consiglio Indigeno di Governo, punta questo principio nel cuore di fantasmi e demoni. Non promette, invita a fare. Chiede sostegno esplicito, non voto segreto. Mette enfasi in quello che importa. Indigeno, donna, madre, attivista, al servizio della propria comunità. Così semplicemente. In eccellente compagnia, Marichuy affronta un’intemperie dominata da canaglie pronte alla macelleria mediatica che la partitocrazia adora. La sua condizione di donna ed il suo discorso smascherano le menzogne di quella candidata consorte del presidente che ci ha dichiarato la guerra, educata nel falangismo, di carriera conservatrice e potenziale piano B delle élite, dei comandi e delle loro campagne per le masse.

Nel Messico patriarcale e violento, per quanto si è visto le donne rappresentano una sfida, vengono denigrate, ferite ed assassinate per sport. Contemporaneamente, per il Messico classista e razzista gli indios incarnano una sfida che ha dimostrato essere insuperabile. La sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale 23 anni fa, inaugurò non solo l’esperienza collettiva di autogoverno più duratura e formidabile della nostra storia, ma ha seminato nella coscienza di milioni di indigeni messicani un’impronta che non si dissolve e che culturalmente è cresciuta moltissimo.

Al banco scommesse non è favorita. La crudeltà (o è ignoranza razzista?) dell’autorità elettorale predispone il nulla mediatico, l’abituale invisibilità degli indios, la bassa stima verso le donne quando non servono come carne da cannone, la cecità di fronte alle condizioni obiettive della popolazione rurale e migrante. Marichuy viene da lì ed è da dove parla. Gli indigeni possono essere solo la quinta parte della popolazione nazionale: ma sono milioni e costituiscono il 25% della popolazione indigena di tutta l’America. L’impatto della loro voce, l’inclusione del loro discorso non elettorale né elettoralistico dovrà raggiungere ampi settori di questo Messico ferito. Lei e la gente che esce al suo passaggio parlano con la realtà, qualcosa di straordinario per un paese in perpetua simulazione.

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2017/11/13/opinion/a08a1cul

 

Perché sostenere Marichuy

Guillermo Almeyra

La portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, Marichuy Patricio Martínez (MPM) si presenta alle elezioni presidenziali del 2018 con l’obiettivo di organizzare le comunità indigene, la popolazione lavoratrice e la sinistra anticapitalista per una lotta che oltrepassa ampiamente il processo elettorale. La sua candidatura confida solo nell’unificazione delle forze del popolo messicano che fino ad ora conducono una lotta dispersiva, e scommette sull’innalzamento del livello di coscienza degli oppressi la cui maggioranza attualmente ancora condivide l’ideologia dei suoi sfruttatori.

Marichuy è cosciente di non possedere una macchina elettorale e di scontrarsi con l’ostilità di tutti i fattori di potere (blocco imprenditoriale, stampa e mezzi di comunicazione del capitale, conservatori ed opportunisti che cercano vantaggi personali nelle istituzioni statali, organismi repressivi dello Stato capitalista, oligarchia governante al servizio del capitale finanziario e dell’imperialismo statunitense).

La sua proposta, sorta dai più poveri ed appoggiata da questi e dai più coscienti, non vuole occupare posizioni di potere nello Stato capitalista, ma creare potere popolare cambiando la soggettività delle maggioranze lavoratrici, organizzando e riunendo le forze di queste, elevando la morale e l’autostima degli oppressi per portarli alla lotta sociale e a cambiare il paese.

La sua partecipazione nel processo elettorale è l’opposto dell’elettoralismo, delle promesse preelettorali che si dimenticano il giorno dopo le elezioni, dei programmi – che-mai-si-attueranno – dell’ipocrisia e dell’inganno elettorale, dell’inganno per ottenere voti che esprimono tutto il disprezzo di chi li ottiene verso coloro che incautamente glieli danno ed è il contrario della compravendita di voti attraverso elemosine che tolgono ogni dignità a chi vende la propria cittadinanza per un piatto di lenticchie.

Per questo, in primo luogo, bisogna darle una firma per appoggiare il suo diritto a presentarsi alle elezioni organizzate da e per il capitalismo, come candidata anticapitalista, donna lavoratrice ed esponente avanzata degli indigeni.

Il mero ottenimento di più di un milione di firme per convalidare la sua candidatura sarebbe già di per sé una grande vittoria organizzativa e politica, perché dimostrerebbe che c’è una grande quantità di messicane e messicani che lottano contro la discriminazione razziale e contro l’oppressione delle donne che, proprio per questo, sono capaci di firmare per fare rispettare il diritto altrui lasciando momentaneamente da parte le differenze di opinione politiche partitiche.

Il raggiungimenti prima di dicembre del numero di firme richieste dall’Istituto Nazionale Elettorale (INE) sarà possibile grazie all’appoggio degli anticapitalisti, come l’Organizzazione Politica dei Lavoratori (OPT), il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (PRT), la Nuova Centrale dei Lavoratori (NCT) ma, soprattutto, dei gruppi organizzati di lavoratori e di oppressi, di democratici coerenti presenti soprattutto in Morena e, in misura minore, tra i simpatizzante di altri partiti e con l’appoggio militante di vasti gruppi di studenti in tutto il paese che così renderebbero omaggio concreto ai 43 studenti della Normale di Ayotzinapa vittime del terrorismo di Stato.

Firmare la domanda alla candidata indigena non obbliga nessuno a tralasciare altre opzioni perché Marichuy non compete con nessuno in campo elettorale, poiché questo non è il suo terreno di lotta e perché ha piena coscienza che l’oligarchia che controlla il paese come agente del capitale finanziario internazionale, giammai riconoscerebbe un candidato che non sia della famiglia e, tanto meno, uno anticapitalista che, per colmo, mobiliterebbe le donne e gli indigeni e godrebbe pertanto di grande simpatia in tutta l’America Latina e perfino negli Stati Uniti. Invece, compete, e molto, nella contesa per le menti e i cuori degli oppressi, contro il fatto aberrante che esistano poveri che accettano l’ideologia di chi li affonda nella povertà, e sfruttati che credono che il proprio sfruttatore sia il loro benefattore.

Nelle sue bandiere MPM si definisce anticapitalista. La raccolta di firme per la sua campagna, tuttavia, guadagnerebbe in forza ed impeto ed avrebbe maggiore eco se a questa fondamentale definizione generale aggiungesse l’esigenza di un piano nazionale di lavoro per ridurre la disoccupazione, il lavoro nero e l’emigrazione ed accogliere i compatrioti cacciati da Trump.

Sarebbe necessaria inoltre la rivendicazione di un aumento generale dei salari del 50% percento (data la caduta del salario reale ed il fatto che la maggioranza dei lavoratori non guadagna tre salari minimi), l’esigenza di un sostegno all’agricoltura familiare ed ejidale e di un’ampia protezione legale ai lavoratori messicani emigrati perseguiti da Trump e la domanda di priorizzare l’educazione pubblica, favorendo i più poveri dalla primaria fino all’università.

Il capitale internazionale ed internazionalista deve essere l’anticapitalismo. Non è possibile un governo solo di indigeni perché questi sono una minoranza ed hanno bisogno di alleati fraterni tra i contadini e i lavoratori di ogni tipo. Per questo, per fare alleanze, bisogna definire per quale futuro governo si combatte.

È fondamentale inoltre organizzare l’opposizione alla preparazione di guerre imperialiste – che in tutti i paesi comportano la repressione dei movimenti sociali e l’eliminazione delle conquiste storiche dei lavoratori – e difendere i paesi che hanno indebolito la catena dell’imperialismo e che, come Cuba o il Venezuela, sono oggi un obiettivo del Pentagono. Il silenzio rafforza i piani aggressivi del capitale.

Il programma seleziona e forma i quadri e dà coscienza di se stessi a coloro abituati ad accogliere tutte le idee di chi li opprime. Per questo, definire il programma anticapitalista è indispensabile per quello che verrà nei prossimi anni.

almeyraguillermo@gmail.com –  Testo originale http://www.jornada.unam.mx/2017/11/12/opinion/016a1pol

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Los de Abajo

Omaggio a Manuel

Gloria Muñoz Ramírez

Sulla strada verso Acteal, nel tratto tra Chenalhó e Chalchihuitán, si sentono degli spari. La popolazione è per strada. La tensione non se n’è mai andata da questa regione, dove venti anni fa i gruppi paramilitari assassinarono 45 indigeni tzotzil dell’organizzazione Las Abejas.

Il conflitto è a causa delle terre. Gli uni e gli altri si dicono padroni delle mojoneras [cippi di confine – N.d.T.]. Le istanze governative spiccano per la loro assenza. A loro conviene che se la vedano tra indigeni, anche a schioppettate. A loro non importa, dicono i coloni di una regione che non riesce ad abituarsi a vivere in mezzo agli spari.

In mezzo alla tensione si affaccia Acteal, la comunità tzotzil che rappresenta uno dei livelli più alti di impunità in Messico e nel mondo. Due decenni senza giustizia sono il contesto in cui la popolazione celebra Manuelito, l’ambasciatore di Acteal, quello che raccontava barzellette, il migliore negli indovinelli e nei racconti, quello che per anni ha accolto gli internazionalisti che arrivavano nella comunità per ascoltare il racconto del massacro dei 45 indigeni. Questo venerdì sono cinque anni che è morto a causa della negligenza medica, sommando la sua morte a quella delle vittime di un sistema che se non uccide a colpi di pistola ma lo fa per mancanza di servizi sanitari.

L’omaggio a Manuel Vázquez Luna è parte della campagna “Acteal, Radice, Memoria e Speranza”, a 20 anni dal massacro e a 25 dalla fondazione di Las Abejas, l’organizzazione nata contro l’ingiustizia e che continua a lottare senza tregua. Questa campagna, annuncia Antonio Gutiérrez, è per alzare la voce, per denunciare quello che continua a succedere, per continuare a cercare giustizia. Hanno iniziato a marzo e concluderanno a dicembre un processo di memoria e di denuncia. La cosa certa è che oggi gli assassini intellettuali di una delle più importanti tragedie del Messico continuano ad essere impuni, mentre gli assassini reo confessi sono stati liberati e perfino premiati con le terre.

Qui, come ad Ayotzinapa, la verità non arriva, dicono nella semplice commemorazione dedicata a Manuelito. Oggi i sopravvissuti celebrano la resistenza e l’organizzazione, e respingono le bugie del governo. Il massacro non avvenne per un conflitto comunitario né religioso, ma perché parte di una strategia studiata dallo Stato. Assicurare la non ripetizione continua ad essere l’obiettivo.

Manuelito non era molto visibile, ma quello che ha seminato continuiamo a raccogliere, dice oggi Lupita, sua sorella, consigliere del consiglio indigeno di governo, donna forte e coraggiosa che nel massacro ha perso nove parenti.

Oggi qui si celebra la vita. Decine di bambini e bambine rompono una pignatta e ridono, perché così era Manuelito, giocherellone e burlone.

www.desinformemonos.org

losylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2017/11/11/opinion/012o1pol

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La rivoluzione indigena di Marichuy: «Mi candido perché voglio dignità»

Messico. Il paese verso le presidenziali del 2018. La candidata indigena incontra sostenitrici e sostenitori: le servono 800mila firme, ma si firma solo con un tablet, che costa il triplo di uno stipendio. La denuncia di 52 intellettuali.

© Andrea Cegna

Il viaggio di Marichuy alla ricerca delle firme necessarie per trasformare in realtà la candidatura della portavoce del Congresso Indigeno di Governo continua senza pause, in Messico. María de Jesús Patricio Martínez, indigena Nahua dello stato di Jalisco, è arrivata poco dopo le 17 a San Cristobal de Las Casas.

Piazza della Rivoluzione si riempie lentamente. Il palco dove salgono i rappresentanti del Cni, in stragrande maggioranza donne, vede alla sue spalle la cattedrale dove si trova la tomba di Samuel Ruiz, e a destra l’ex palazzo del municipio dell’antica capitale del Chiapas, quello stesso palazzo occupato dagli Zapatisti all’alba del 1 gennaio del 1994.

Per l’occasione sono arrivate in città centinaia di donne dalle diverse comunità indigene dei Los Altos. Ognuna di loro veste con gli abiti tradizionali, molte di loro non parlano nemmeno spagnolo ma hanno voluto essere presenti.

Donne indigene di diverse età, senza uomini ad accompagnarle, con gli occhi lucidi per l’emozione aspettano prima e ascoltano poi in silenzio le parole di una donna che per loro è speranza e orgoglio.

Essere povere, indigene e donne in Messico è una condanna, una firma indelebile sull’essere soggetto escluso da ogni diritti e possibilità. O meglio era così, oggi è diverso.

Solo dieci anni fa una foto di gruppo come quelle scattate mercoledì in piazza della Rivoluzione sarebbe stato un sogno o un fotomontaggio in questo angolo di terra. Oggi, quella foto è un pezzo di realtà, mostra il lavoro coraggioso e continuo delle donne indigene che lottano per la loro emancipazione e riconoscimento, partendo dalle proprie famiglie, passando per le loro comunità e con Marichuy provare ad arrivare al più alto livello possibile: la presidenza della repubblica. Sette interventi anticipano le parole di Marichuy che arrivano quando a illuminarla non è più la luce del sole ma un faro bianco.

Le sette voci che precedono la candidata indigena parlano spagnolo ma soprattutto gli idiomi indigeni delle comunità da cui provengono le quattro donne e i tre uomini che si alternano al microfono. Tutte e tutti devono capire, soprattutto le donne indigene.

Marichuy prima spiega al pubblico perché si è deciso di procedere alla candidatura, poi ha detto: «Andremo ad ascoltare i diversi villaggi indigeni in ogni luogo dove passeremo. Allo stesso tempo faremo sentire la nostra voce e la nostra proposta: noi vogliamo la vita e vogliamo una vita degna per tutte e tutti in Messico e nel mondo».

Ha anche ribadito che la sfida e il percorso intrapreso dal Cni con il supporto dell’Ezln vede in lei solo la portavoce di un Consiglio Indigeno di Governo e che nulla finisce nel 2018 con le elezioni.

Questa è solo una tappa. Il cambiamento non arriverà mai dall’alto e l’organizzazione delle popolazioni, degli uomini e delle donne è l’unico strumento reale per opporre un’alternativa al dominio del capitalismo e della politica asservita agli interessi economici.

Mentre dal palco si alternavano i diversi interventi i volontari in appoggio alla candidata si prodigavano nello smaltire una lunga coda formatasi per dare la propria firma a sostegno della candidatura indipendente indigena. Devono essere raccolte oltre 800mila firme, circa 50mila in 17 diversi stati sui 33 della repubblica messicana, entro febbraio, affinché Marichuy sia a tutti gli effetti votabile.

Per firmare occorre utilizzare una App che funziona solo su cellulari e tablet di ultima generazione. Proprio questo piccolo particolare racconta di un sistema classista, in cui indigene e indigeni (oltre che poveri e povere) sono esclusi. Per questo martedì scorso a Città del Messico 52 intellettuali, tra cui Pablo González Casanova, Francisco Toledo, Juan Villoro, Oscar Chávez, Eduardo Matos Moctezuma, Bárbara Zamora, Gilberto López y Rivas, Mardonio Carballo, Luis de Tavira, e Paul Leduc hanno denunciato, in una conferenza stampa, che il costo medio dei dispositivi adatti alla raccolta delle firme è di 5mila pesos, il triplo dello stipendio mensile dell’81.7% degli assunti nel paese.

I 52 hanno anche denunciato i lunghi tempi necessari per inserire le firme, fino a 20 minuti a firma. Juan Villoro ha chiuso come portavoce dell’associazione di accademici e artisti in supporto alla candidatura indigena dicendo: «Marichuy è nata come candidatura contro la discriminazione e la prima cosa che incontra nel suo percorso è discriminazione». Il Manifesto – 9.11.2017

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SECONDA EDIZIONE DEL “CONSCIENZE PER L’UMANITÀ” CON IL TEMA “LE SCIENZE DI FRONTE AL MURO”

Alla comunità scientifica del Messico e del mondo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

 

Informazioni sulla seconda edizione del “ConScienze per l’Umanità” con il tema “Le scienze di fronte al muro”, che si terrà dal 26 al 30 dicembre 2017 presso il CIDECI-UniTierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

  1. Finora hanno confermato la partecipazione 51 scienziate e scienziati di 7 paesi: Germania, Austria, Canada, USA, Francia, Messico (Bassa California, Quintana Roo, Città del Messico, Puebla, Jalisco, Morelos, Chiapas, Querétaro, Stato del Messico) e Uruguay.
  2. I campi di cui si occupano sono: Agroecologia, Astrofisica, Astronomia, Biologia, Biochimica, Cosmologia, Ecologia, Pedologia, Etnomicologia, Fisica, Genetica, Geofisica, Matematica, Medicina, Microbiologia, Neuroscienze, Ottica, Chimica, Vulcanologia.
  3. Il 26 dicembre 2017 potranno registrarsi le e gli scienziati e partecipanti. Le attività inizieranno il 27 dicembre alle ore 10:00 e si concluderanno il 30 dicembre.
  4. L’indirizzo di posta elettronica per iscriversi come escucha-vidente è: conCIENCIAS@ezln.org.mx

GRUPPO D’APPOGGIO DELLA COMMISSIONE VI

 

Traduzione a cura di 20ZLN

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Lo zapatismo, il vero focolare di resistenza al salinismo

I diffamatori dell’EZLN li accusano di complicità nelle frodi elettorali del 2006, ma tutto ciò è falso. Al contrario, coloro che lo attuarono, del gruppo di Elba Esther Gordillo, erano alleati di Morena nella più recente elezione avvenuta nell’Estado de México e non si esclude che lo saranno anche per le elezioni presidenziali del 2018.

*****

La storia dell’EZLN è lunga, ma possiamo soffermarci su alcuni momenti importanti che ci aiutano a sbrogliare l’intrico della propaganda nera contro gli zapatisti, sostenuta dalle dure parole di AMLO e di altri che non sostengono lo zapatismo: la calunnia di coloro che non sono altro che marionette manipolate da Salinas. (Di recente nelle loro insinuazioni di carattere razzista hanno sostenuto l’idea che sono mere marionette anche le migliaia di indigeni che la settimana scorsa hanno appoggiato la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno, Marichuy.)

Il primo di questi momenti è stato la rivolta del primo gennaio del 1994. Un evento che ha impedito a Salinas de Gortari di terminare trionfalmente i suoi sei anni di mandato, e che ha coinciso con l’entrata in vigore del NAFTA e un tipo di propaganda che pretendeva di presentarlo come un Gorbachov messicano. Con la sua dichiarazione di guerra, gli zapatisti fecero crollare l’immagine mediatica di Salinas e permisero di riprendere fiato al movimento antisalinista e alla sinistra, che aveva iniziato a scontrarsi contro la truffa che la pose ai margini della presidenza nel 1998, ma che aveva perso potere prima della spinta del gruppo neoliberale a Los Pinos (*residenza ufficiale del Presidente a Città del Messico) con la complicità panista.

Salinas de Gortari e il suo gruppo (Colosio, assassinato dallo stesso sistema, Camacho Solís, poi assessore di AMLO, Aspe Armella, che ha ricoperto in varie occasioni il ruolo di assessore di un delfino di AMLO: Marcelo Ebrard (salinista del gruppo di Camacho), Ruiz Massieu, anche lui ucciso dallo stesso sistema che servì), alla fine dei sei anni di mandato, si aspettavano di governare per altri sei ma la rivolta zapatista fece crollare le loro speranze. Zedillo fu improvvisato come candidato priista e beneficiò del senso di colpa e della paura di una guerra che generò l’assassinio di Colosio, ma non riuscì a mantenere l’egemonia priista e di fronte all’insistenza del PRD di mantenere un candidato per sempre (Cuauhtémoc Cárdenas) coloro che trassero vantaggi dall’ “alternanza” furono i membri del PAN con Fox.

Inizialmente l’immagine di Fox era quella dell’“eroe nazionale” che era riuscito a scacciare da Los Pinos il PRI. Il principio del suo crollo avvenne molto presto e coincise con la Marcia dei Colori della Terra con la quale gli zapatisti e il CNI esigevano che venissero rispettati gli Accordi di San Andrés. Gli indigeni furono traditi dall’alleanza tra Cevallos (PAN)- Ortega (PRD)- Bartlett (PRI) e questo spinse gli zapatisti a intraprendere la strada dell’autonomia nelle loro comunità e a schierarsi contro il capitalismo a livello globale e nazionale.

La cessione del potere esecutivo del PRI al PAN (e nella capitale al PRD) fu dato non solo dal discredito del PRI (la cui cristallizzazione fu causata in misura maggiore dalla rivoluzione zapatista), ma anche da una riforma elettorale con la quale lo stato messicano incluse i partiti di opposizione come parte di un sistema politico (oggi una partitocrazia), che emerse prima della sfida lanciata dagli zapatisti: ne beneficiarono PAN e PRD, il primo con la presidenza della Repubblica (Fox e Calderón) e il secondo con il governo del DF (oggi CDMX: Cárdenas, Robles, Obrador, Encinas, Ebrard y Mancera). Le negoziazioni effettuate in via Barcelona, a città del Messico, furono realizzate, nel caso del PRD, inizialmente da Porfirio Muñoz Ledo e poi da López Obrador. I partiti raccolsero il frutto del sangue zapatista che portò all’apertura del sistema verso coloro che poterono vincere le elezioni ma che poi tradirono lo zapatismo rifiutando gli Accordi di San Andrés, i primi accordi in una strada verso la pace intrapresa dall’EZLN, e la cui negazione colpì molti altri indigeni in Messico e processo che dette il via alla creazione del Congresso Nazionale Indigeno, il CNI.

Gli zapatisti ruppero allora i rapporti con la classe politica e si dedicarono a costruire l’autonomia nei loro territori, nelle comunità e nei villaggi, concretizzando così gli Accordi di San Andrés. Questi processi di autonomia e autogoverno sono stati promossi da comunità e popoli indigeni in diversi territori messicani: sono forme di resistenza ma anche proposte per un Messico postcapitalista. L’autonomia delle comunità zapatiste è molto diversa da quella delle altre comunità indigene, ma possiede legami di fratellanza, espressi nella lotta congiunta come CNI. Gli indigeni messicani non propongono una loro separazione dal Messico, la loro forma di autonomia è differente da quella catalana o dal quella mapuche (non diciamo migliore o peggiore, ma diversa). Per di più hanno avanzato una proposta di potere popolare autorganizzato dal basso che non pretende affermarsi come una comunità utopica locale o regionale, ma che sfida il sistema capitalista e lo stato messicano con un modo alternativo di produrre la sua vita e il suo mondo. Questa sfida è rimasta una costante all’interno dell’EZLN, ma di tutti gli attori che si sono mantenuti vicini, sono stati gli indigeni coloro che hanno maggiormente sostenuto un processo di autorganizzazione come forma di resistenza e di lotta. Loro sono il nucleo intorno al quale è nata la proposta di lotta attuale.

È ironico che vengano rivolte delle insinuazioni nei confronti degli zapatisti da parte di coloro che hanno beneficiato della loro lotta e dei loro morti: per prima cosa il vento nuovo per la sinistra che stava in ombra in Messico dalla frode del 1998 e dal crollo del muro di Berlino del 1989; poi con la riforma elettorale che le aprì la strada per governare Città del Messico, dove i governi di sinistra si sono rivelati efficienti amministratori del neoliberismo a favore di impresari del salinismo come Carlos Slim.

Ironico anche che i sostenitori di AMLO accusino di salinismo o di priismo gli zapatisti, che in realtà hanno proposto candidati e votato una gran quantità di priisti, molti di loro salinisti o zedillisti, come Cuauhtémoc Cárdenas, López Obrador, Marcelo Ebrard, Juan Sabines, Ángel Aguirre Rivero (le cui mani sono macchiate del sangue dei normalisti già quando AMLO lo appoggiò come governatore del Guerrero), Gabino Cue, Lázaro Cárdenas Batel, Narciso Agúndez y Leonel Cota Montaño, Manuel Bartlett, Dante Delgado, Ricardo Monreal. Sono anche responsabili di aver portato al potere altri politici di estrazione non priista ma il cui pensiero era favorevole al priismo, come Miguel Ángel Mancera e Rosario Robles.

I diffamatori dell’EZLN li accusano di complicità nelle frodi elettorali del 2006, ma tutto ciò è falso. Al contrario, coloro che lo attuarono, del gruppo di Elba Esther Gordillo, erano alleati di Morena nella più recente elezione avvenuta nell’Estado de México e non si esclude che lo saranno anche per le elezioni presidenziali del 2018. López Obrador ha detto rispetto a Gordillo che “non si deve fare legna dell’albero caduto”. Altri continuano a sostenere la menzogna secondo la quale gli zapatisti spinsero le persone a non andare a votare nel 2006 e nel 2012, ma anche questo è falso. L’EZLN non ha mai detto di non andare a votare. Ha rivolto delle forti critiche nel 2005 e nel 2006 (anche prima e dopo) al PRD e a López Obrador, critiche che nel tempo hanno dato ragione agli zapatisti.

Attualmente il Congresso Nazionale Indigeno (di cui l’EZLN fa parte) ha costituito un Consiglio Indigeno di Governo (la cui portavoce è María de Jesús Patricio Martínez) che propone di fare un passo avanti nell’organizzazione e nella lotta anticapitalista in Messico e nel mondo. Partendo dallo stesso López Obrador, i calunniatori hanno resuscitato il vecchio argomento secondo il quale tutto ciò serve per togliere voti e alcuni tra i più fanatici seguaci dell’eterno candidato si sono uniti ad una campagna razzista, misogina e di disprezzo classista contro la portavoce del CIG, un’attivista sociale da tutta la vita, un’indigena nahua.

Ironicamente, il vero erede del liberismo sociale che auspicò Salinas de Gortari è López Obrador (vari connotati salinisti si sono rivelati vicini alle idee sostenute dal candidato di Morena) e, in recenti proposte, nel tentativo di opporsi a Trump, Obrador ha rivendicato l’importanza del NAFTA, massima opera di Carlos Salinas de Gortari, e ha proposto di dare maggiori concessioni alle compagnie minerarie canadesi, la cui politica criminale distrugge le comunità e i territori in diverse regioni geografiche messicane.

È chiaro che, per qualsiasi persona che si informi da fonti verificate e giudichi in buona fede le cose, lo zapatismo e i suoi alleati rappresentano il maggior numero di oppositori al neoliberismo salinista e ai suoi progetti di devastazione sociale e ambientale.

Al contrario, Obrador, più che usare la bandiera nazionalista (il petrolio, per esempio), è stato il promotore delle candidature ben riuscite di molti che hanno realizzato opere di devastazione sociale e ambientale in Messico. Niente ci dice che AMLO cambierà le cose mentre i suoi seguaci continuano a diffamare in maniera sistematica.

Mostrare come realmente stanno le cose è parte di un sano esercizio di memoria e di capacità critica.
E’ necessario, tra le altre cose, perché questa sinistra neoliberale nata dal PRD e ora supportata da Morena, non rappresenterà mai gli interessi di coloro che difendono il territorio dalla devastazione capitalista. Per questi c’è la proposta differente rappresentata dal Consiglio Indigeno di Governo e dalla sua portavoce Marichuy, sostenuto dal Congresso Nazionale Indigeno e dallo stesso Consiglio Indigeno di Governo.

Tutte le informazioni raccolte in questo articolo possono essere analizzate e verificate, se si ha la pazienta di recarsi presso gli archivi emerografici, alcuni nati prima di quelli online. Scoprire la verità e non permettere che venga cambiata con falsità utili alla propaganda è un necessario atto di coscienza.

http://www.globalproject.info/it/mondi/lo-zapatismo-il-vero-focolare-di-resistenza-al-salinismo/21120

26.10.2017

Tratto da: Desinformemonos

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CIELITO REBELDE “Voci del Messico resistente”

Un viaggio nel Messico che resiste al neoliberismo. Voci da una terra in cui Non ci si rassegna, dove immaginare un mondo che include altri mondi non è un semplice slogan ma una reale e costante pratica quotidiana.
Abbiamo iniziato a pensare in collettivo, a immaginare un progetto. La forma che abbiamo scelto è quella del film documentario. Una serie di interviste che possano rendere diversi sguardi sul Messico e sulle lotte che lo animano.
Negli stati che abbiamo attraversato siamo entrati in contatto con diversi attivisti e militanti di organizzazioni radicali e anticapitaliste, cercando di cogliere il comune sentire che vive intorno al “discorso rivoluzionario” nel Messico di oggi.
Parlando di capitalismo e resistenze, di collettività e autonomia, abbiamo imparato che, nonostante tutto, pensare un futuro rivoluzionario e agire in un presente tanto complesso può essere una pratica quotidiana. Abbiamo visto come si possa parlare di tutto ciò con una semplicità disarmante. La stessa semplicità con la quale da ormai più di vent’anni dei contadini, in Chiapas, tengono testa agli attacchi del governo, costruiscono il proprio mondo sottraendolo al capitalismo e ci regalano ogni giorno un motivo di speranza.

Un film di: Claudio Carbone, Antonio Gori, Massimiliano Lanza, Leonardo Balestri.
Fotografia di: Claudio Carbone
Disegni di: Mario Berillo
Montaggio di: Leonardo Botta
Musiche di: Moover
con la collaborazione di Kairos elementikairos.org
Pagina Facebook: facebook.com/Cielito-Rebelde-Voci-del-Messico-resistente-493029287533380/timeline
Sito: cielitorebelde.org
Trailer: vimeo.com/151901240

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Desinformémonos – Postales de la revuelta

Governanti e magnati potranno rompere il paese ma non i suoi popoli originari che dureranno più di questa guerra, e che sono il migliore esempio per il resto di un paese sull’orlo della deriva senza ritorno.

La guerra che “non è” e i suoi anticorpi

di Hermann Bellinghausen

21 ottobre 2017

1.

È curioso che lo Stato messicano, che ha fatto tutto per disunire, far scontrare e discriminare il popolo, ora si riempia la bocca richiamandolo all’unità. I disastri naturali, economici, diplomatici, di sicurezza, o quelli derivati della corruzione e dalla perdita di sovranità nazionale, richiamano a tutto tranne che ad “unirsi” con un governo disonesto, opportunista e traditore.

Questa disunione-confronto programmato e indotto dal potere si manifesta sistematicamente nei territori dei popoli indigeni che possiedono identità forti, sono molto riconoscibili e non tanto facili da “disunire” come vorrebbe il potere. Dopo l’insurrezione zapatista, il Chiapas si è trasformato nel laboratorio della contrainsurgencia nel profondo Messico. Dividere, confrontare, corrompere le relazioni comunitarie con pretesti concatenati: programmi sociali (denaro), militanze di partito, diversi credo cristiani (più sono, meglio è), perfino dispute familiari. Tutti sono stati priorità per lo Stato, con gli ingredienti di una militarizzazione massiccia ed aggressiva (strumento per l’applicazione delle tattiche di divisione più determinanti), così come il controllo totale dell’informazione televisiva e di buona parte degli altri media in relazione al “conflitto armato” ed alla miriade di eventi scatenati nel vasto e recuperato territorio maya e zoque del Chiapas.

Quello che hanno fatto gli zapatisti nel 1994 è stato dare nome ad una guerra già in iniziata e non da parte dei popoli originari ma contro di loro. Gli hanno dato pure il cognome: Guerra di Sterminio. E l’hanno resa visibile.

Per l’intellighenzia ed i benpensanti della società maggioritaria, questi termini erano sicuramente un’esagerazione con mala intenzione; non bisogna fidarsi degli indios. Operò in automatico un razzismo che assolve sempre le aggressioni contro villaggi, comunità e persone di “razze” e strati inferiori. E incolpa i “professionisti della violenza” come li chiamavano i salinisti, i preti “della liberazione”, gli antropologi, perché agli indigeni non è riconosciuta capacità di iniziativa. Quale guerra?

È passata molata acqua sotto i ponti, sessenni progressivamente ignominiosi, trascendentali cambiamenti tecnologici e climatici, e gli zapatisti sono ancora lì, autonomi, efficienti e pacifici dopo oltre due decenni di sostenuto martellamento contrainsurgente e militare. E che cosa sarebbe “contrainsurgente“? Semplicemente: tutto quello che divide.

L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) previde l’ampiezza di questa guerra, e con le sue diffuse basi di appoggio si è preparato a resistervi in condizioni degne, in continua creatività.

Presto la guerra senza nome morse più forte in quasi tutta la mappa indigena nazionale. Partiva dalla controriforma costituzionale dell’articolo 27 perpetrata nel 1992. Le espressioni insurrezionali nei territori indigeni di Guerrero e Oaxaca soprattutto, hanno portato lo Stato a disseminare le sue dottrine e tattiche sviluppate in Chiapas. Il periodo zedillista è stato un periodo di militarizzazione, contrainsurgencia e persecuzione o controllo degli attivisti. Le prigioni si sono riempite di prigionieri politici indigeni.

L’impatto dello zapatismo nelle comunità, nei suoi educatori, pensatori e rappresentanti, ha trovato terreno fertile in quel Messico invisibile ma deciso, abituato all’organizzazione comune di lunghe radici. In questo si è imbattuta la prima generazione neoliberale dello Stato con la sua contrainsurgencia di fine secolo.

La pax foxiana aveva supposto un cambiamento di rotta della guerra contro le comunità indigene. Senza che le truppe federali cedessero un palmo di territorio già militarizzato né cessassero le pratiche divisive, si è andata estendendo una nuova “realtà” strettamente criminale strutturata intorno al narcotraffico che ha abbandonato l’ombra per occupare piazze e strade. Questo cresceva senza essere intaccato dalla feroce repressione dello Stato ad Atenco e Oaxaca nel 2006, nell’anticamera della dichiarazione di guerra (altra faccia della stessa) da parte del calderonato, la stessa che il peñato ha mantenuto nel suo corso.

Viviamo in un paese profondamente scosso, a pezzi, confuso. Ora si annuncia la scorpacciata elettorale di ogni sei anni. Ed ognuno degli ingredienti della guerra è presente – l’ingrediente politico, narco, militare, ideologico, estrattivista – e funziona a pieno regime.

La guerra contro i popoli indigeni non l’hanno vinta le autorità né le imprese beneficate dalle controriforme dell’ultimo decennio; nemmeno il crimine organizzato. I popoli indigeni della Montaña di Guerrero non smettono di essere organizzati nonostante li dividano, e mantengono sicura e in pace a buona parte del territorio indigeno, mentre lo stato di Guerrero affonda nel malgoverno e nell’orrore. L’attacco ad Iguala contro gli studenti nel settembre del 2014, la morte e la sparizione di un centinaio di giovani della scuola normale rurale di Ayotzinapa, è stato un capitolo stellare di questa guerra di sterminio, una provocazione che si è scontrata con la saggezza pacifica dei popoli ñu savi, nahuas, me’phaa e ñomndá per i quali la lotta per i 43 desaparecidos è un altro fronte delle loro resistenze.

Sulla Meseta Purépecha sono arrivati alle spalle. La guerra contro le comunità indigene è stata crudele, svergognata, e le complicità istituzionali troppe. In una situazione incerta, si levano oggi in Michoacán come una luce del possibile le resistenze fondamentali di Cherán e Ostula. Ai rarámuri, pimas e tepehuanos in Chihuahua, come ai mixtecos del sud, il papavero ha divorato i campi, mentre la voracità del legname, turistica e mineraria porta avanti la guerra di sterminio che non si vede, né si ammette, né si considera, salvo che in maniera isolata.

Che dire della pinza stringente del fracking petrolifero e del crimine organizzato nelle Huastecas e sulle catene montuose del nord di Puebla e Veracruz. Come nella sierra Wixárika, sono scenario di depredazioni e di resistenze comunitarie, battaglie legali alle quali si oppone la spietata contrainsurgencia sotto i travestimenti “innocenti” di partiti politici, religioni o “accordi” con imprese minerarie, costruttrici ed energetiche. Solo mele avvelenate. Per esempio, i territori binnizá ed ijkoot dell’Istmo di Tehuantepec sono stati severamente danneggiati dall’industrializzazione dei loro venti, prodotto, un’altra volta, della divisione indotta nelle comunità.

2.

Chiese e partiti politici sembrano essere mali inevitabili, onnipresenti, obbligatori nella vita dei popoli indigeni. Come se non bastasse la tutela imposta (che si traduce in controllo) dallo Stato. Secondo il panorama visto dalle accademie e dai centri di analisi e prospezione, la validità dello Stato e la “libertà” dei partiti sembrano del tutto desiderabili per il corso della Repubblica. Che siano screditati e inaffidabili, che facciano acqua e producano purulenze per la corruzione, è il male minore. “Così è la democrazia”, ci dicono i dotti, “imperfetta”.

Chi può avere pazienza per queste imperfezioni in luoghi come Chilapa, Guerrero; gli omicidi, assalti, sequestri, stupri, il regno del terrore, hanno reso impossibile il trasporto pubblico nella capitale Chilpancingo e nel municipio nahua di Zitlala, entrambe le strade si suppone che siano protette dalle forze federali e statali. Ma questo è solo il caso più urgente della settimana scorsa. L’assedio sotto il quale vivono i popoli originari ha molte facce e le sue intensità variano per zone e stagioni, sono permanenti e tengono sotto sequestro grandi estensioni di terreno e vita sociale dei villaggi e delle città che ne sono ostaggio.

I popoli indigeni, con tanto contro di loro, danno dimostrazione di una capacità di resistenza e coesistenza che né la contrainsurgencia, né la criminalità, né il neoliberismo con la sua guerra sterminatrice hanno potuto rompere. La mobilità e vitalità delle comunità indigene è incessante. Non possono riposare perché la guerra, una volta scatenata, non riposa. Solamente negli scorsi giorni di ottobre è successo quanto segue:

  • Il portavoce del Consiglio Indigeno di Governo del Congresso Nazionale Indigeno ha percorso il territorio ribelle del Chiapas ed è stata accolta in massa dalle comunità zapatiste e da molti altri.
  • Sulla Montaña di Guerrero la Coordinadora Regional de Autoridades Comunitarias-Policía Comunitaria ha commemorato il suo 22° anniversario con una grande mobilitazione a Colombia de Guadalupe, con repliche in altre località. Questo segna un recupero dei conflitti interni che hanno distrutto i comunitari con forte componente di intrusione governativa.
  • Facendo valere la autonomia ben guadagnata, il municipio purépecha di Cherán ha respinto la legge di consultazione abbozzata dal congresso michoacano per far arretrare le conquiste delle comunità nell’ambito dei loro diritti alla libera determinazione e autogoverno.
  • E solo giorni prima, i wixaritari di San Sebastián Teponahuaxtlán e Tuxpan de Bolaños hanno recuperato la loro terra a Huajimic, ma l’indolenza del governo e le minacce degli allevatori invasori hanno provocato il differimento della vittoria legale degli indigeni ed alimentano una situazione che può risultare esplosiva.

Nello stesso tempo, c’è una repulsione (non prostrazione) dei popoli originari devastati dal sisma di settembre: ijkoots, binnizá, ayuuk e tu’un savi di Oaxaca, nahua e tlahuica di Morelos, otomí e nahua dello Stato del Messico e Puebla. Nel frattempo, il governo e le imprese minacciano di approfittare della crisi per i loro piani di crescita ed espulsione graduale attraverso l’esproprio. Che cosa succederà loro e come reagiranno all’avversità nel medio termine è incerto, ma tutto indica che, come sta accadendo nel Messico profondo e del basso, non ci sarà una sconfitta. Come dice mirabilmente Irma Pineda nella sua cronaca “Aquí estamos” pubblicata su Ojarasca di questo mese, dopo il sisma “ricordiamo… che siamo binnizá, che siamo stati guerrieri, che discendiamo dalle fiere, dagli alberi e dalle pietre, questo ci hanno insegnato le nonne per dirci che il valore, la fermezza ed il carattere sono nei nostri geni, che non possiamo restare accasciati come case vecchie, perché il nostro spirito è più forte di questo sisma” (http://ojarasca.jornada.com.mx/2017/10/13/rari2019-nuudu-aqui-estamos-246-5956.html).

L’Istituto Nazionale Elettorale, Slim e la banca sabotano tecnicamente la campagna per la registrazione alla candidatura presidenziale della portavoce del CIG del CNI, ma non possono impedire che questa portavoce percorra il paese ad alta voce senza partito né elemosine, cercando l’unione dei popoli indigeni che sanno coesistere alla lunga, nonostante le incessanti differenze.

La scienza contrainsurgente inciamperà, e continuerà a farlo, su una civiltà comunitaria che pensa ed agisce diversamente, per questo non la distrugge nemmeno con tutta la sua escalation di violenze. Governanti e magnati potranno rompere il paese (con la spinta dell’impero), ma non i suoi popoli originari che dureranno più di questa guerra, e che sono il migliore esempio per il resto di un paese sull’orlo della deriva senza ritorno.

Testo originale: https://desinformemonos.org/la-guerra-no-antidotos/?platform=hootsuite – 

Foto: Raúl Ortega

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“C’è chi pensa che basti spegnere la luce per isolare i più poveri. Ma le idee e le parole sono luminose di per sé”.

Democrazia digitale

di Juan Villoro

Quando entrò in vigore la riforma fiscale promossa da Luis Videgaray, mi recai al Museo di Arte Popolare il cui negozio riunisce le molte forme in cui l’artigianato messicano prefigura il paradiso. Tuttavia, in quell’occasione l’offerta era scarsa. L’addetta mi spiegò il problema: “Agli artigiani stanno chiedendo la fattura elettronica. In comunità dove non c’è nemmeno la luce!”.

Chi pensa che la tecnologia sia la formula magica del progresso, ignora il paese reale o, peggio ancora, aspira a che diventi ancora più disuguale. Questo commento arriva a proposito, perché le candidature indipendenti alla Presidenza dipendono da un apparato al quale milioni di messicani non hanno accesso. L’Istituto Nazionale Elettorale ha creato un’applicazione che si può scaricare da telefoni con sistema operativo iOS o Android di nuova generazione. Non tutti hanno un cellulare di questo tipo e numerose regioni non hanno la connessione.

I requisiti per le candidature indipendenti sono complicati fino all’assurdo. È necessario raccogliere almeno 866.593 firme. Gli esperti consigliano di raccoglierne un milione perché molte firme andranno scartate per errori “di dito” (ci sono tre tipi di credenziale di elettore ed altrettante varianti di registrazione).

La sfida maggiore è territoriale: le firme devono essere ripartite in almeno diciassette stati della Repubblica ma, per esempio, non vale raccogliere cinquemila firme in Nuevo León, perché si deve coprire “il due percento della lista nominale di elettori di ogni demarcazione”.

Solo chi già possiede una piattaforma elettorale definita è in grado di rispettare tali requisiti. La legge elettorale è stata studiata come “piano B” dai politici professionisti.

Anche così, l’INE ha registrato ottantasei aspiranti alla candidatura presidenziale. Questo ci dice dell’imperioso desiderio di fare politica al margine dei partiti; ed anche di un paese dove la speranza supera la realtà. Facendo un calcolo ottimista, alla contesa elettorale riusciranno a partecipare cinque indipendenti.

Non tutti affrontano gli stessi ostacoli. Per impedire il riciclaggio di denaro sporco ogni candidato deve avere un conto corrente bancario soggetto a verifica. Questa disposizione è logica, ma non riguarda tutti allo stesso modo. Viviamo in un paese discriminatorio dove Conapred ha denunciato le enormi difficoltà degli indigeni ad ottenere supporto dal sistema finanziario.

María de Jesús Patricio, nahua di Tuxpan, Jalisco, è appoggiata dal Consiglio Indigeno di Governo come candidata indipendente alla Presidenza. Si era rivolta a HSBC per aprire un conto corrente ed è stata respinta col pretesto di essere militante “antorchista”. La risposta sfida la ragione. Patricio non ha vincoli con Antorcha Campesina, mentre invece ne sono legati Enrique Peña Nieto e Alfredo del Mazo, appoggiati da Antorcha nelle loro campagne elettorali alla Presidenza e al governatorato dello Stato del Messico. D’altra parte, HSBC è nata nel 1865 come The Hong Kong and Shanghai Banking Corporation per amministrare i profitti del traffico di oppio. Una indigena messicana non è un soggetto degno di credito per l’emporio dei trafficanti.

Per fortuna, Banorte (una delle poche banche messicane che restano dopo Fobaproa) ha accettato Patricio come correntista.

Dal 13 al 19 ottobre Marichuy ha viaggiato nei “caracoles” zapatisti. Negli eventi hanno parlato solo donne. Queste voci si uniranno ad altre per disegnare un paese possibile. In maniera eloquente Marichuy Patricio preferisce essere chiamata “portavoce” e non “candidata”. Col risultato che l’indirizzo della pagina web che copre le sue attività è actividadesdelcigysuvocera.blogspot.pe.

Oltre che ascoltare proposte, il giro aveva come obiettivo quello di raccogliere le firme approfittando del fatto che nelle località degli eventi ci sarebbero stati telefoni “intelligenti”. Ma quando Marichuy si è presentata ad Altamirano ed Ocosingo, non c’era la connessione. Un caso o sabotaggio?

C’è chi pensa che basti spegnere la luce per isolare i più poveri. Ma le idee e le parole sono luminose in sé stesse. Il sogno della candidatura indigena continuerà fino al 12 febbraio 2018, termine limite per la registrazione.

María de Jesús Patricio è un’esperta erborista. Per tre anni sua madre è stata paralizzata e data per spacciata dai medici. Lei l’ha curata fino a farla tornare a camminare.

Con questa tempra di fronte alle avversità si è proposta di trovare un altro rimedio: che anche il paese cammini.

REFORMA  20 ottobre 2017

Testo originale: http://www.reforma.com/aplicacioneslibre/editoriales/editorial.aspx?id=122246&md5=6d7323def8299bc9d1710ee4b806fb99&ta=0dfdbac11765226904c16cb9ad1b2efe

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DISCORSO DI MARICHUY A GUADALUPE TEPEYAC

14 ottobre 2017

Buona sera fratelli e sorelle basi di appoggio, fratelli e sorelle del Congresso Nazionale Indigeno, fratelli e sorelle consiglieri e fratelli invitati, e così pure ai i media liberi e media prezzolati.

Fratelli indigeni, è l’ora dei popoli, è il momento di voltarci a guardare le nostre comunità, i nostri fratelli. Quello che stiamo soffrendo lo soffrono anch’essi, anche se di un altro colore, anche se la pensano in maniera diversa da noi, dobbiamo unire le nostre sofferenze, tutta la rabbia per quello che ci hanno fatto per anni, ai nostri nonni, ai nostri fratelli, tutto quello che il sistema capitalista sta facendo per distruggere le nostre comunità, per derubarle, per spogliarle di tutto quello che i nostri nonni hanno conquistato combattendo per anni.

È il momento di unire queste battaglie e lottare insieme contro questo sistema. Se non uniamo queste lotte continueremo ancora per anni a soffrire e forse ancora di più. Per questo noi popoli indigeni riuniti nel Congresso Nazionale Indigeno abbiamo detto che era importante procedere insieme e fare questo passo per riuscire ad abbattere questo gigantesco mostro che ci sta distruggendo, che sta distruggendo le nostre terre, che sta distruggendo i nostri territori, la nostra lingua, la nostra forma organizzativa nelle nostre comunità. È tempo, fratelli, di articolarci, di unirci, di metterci d’accordo su come fare affinché non continuino a distruggere le nostre comunità. È il momento di fare questo sforzo e di tornare a guardare i nostri fratelli che abbiamo a fianco e che insieme pensiamo a come organizzarci per abbattere questo sistema capitalista che non solo sta distruggendo i nostri popoli, ma distrugge tutto.

Per questo diciamo che è l’ora dei popoli, perché noi popoli ci siamo fin dalla nascita di questo paese. Ci siamo da quando esiste la terra e sono arrivati altri con cattive intenzioni e solamente i popoli indigeni vedono come estraggono ricchezza, come si approfittano delle ricchezze presenti nelle nostre comunità. Per questo dobbiamo dimenticarci di quelli che ci hanno divisi e che ci hanno fatto litigare tra noi. Dobbiamo unirci tra fratelli indigeni, dobbiamo unirci con le persone della società civile che vivono nella città e che anche loro stanno soffrendo e che lottano da anni. Dobbiamo pensare insieme a come fare affinché le nostre comunità continuino ad esistere. E unirci noi tutti quelli che pensiamo che là fuori c’è un nemico comune che fa di tutto affinché noi litighiamo nelle nostre comunità. Pensiamo che sia il nostro vicino a distruggerci. Ma non è vero. E’ là sopra. E’ il sistema capitalista che vuole abbatterci per impadronirsi di tutte le ricchezze presenti nelle nostre terre.

Ma non lo permetteremo. Per questo abbiamo detto che è l’ora dei popoli. È ora che i popoli facciano sentire la loro voce, si organizzino e insieme lottiamo non solo per i popoli indigeni, ma lottiamo per tutto il mondo.

E come faremo? Unendo, articolando, prendendo coscienza. E cammineremo insieme. Combatteremo per tutti, per tutti i messicani e per tutto il mondo. Per questo diciamo che è l’ora dei popoli, è il momento di unirci, fratelli, è il momento di pensare che se non facciamo questo passo tanto importante, come pensiamo dal Congresso Nazionale Indigeno, forse poi ci rimpiangeremo di non averlo fatto.

Dobbiamo camminare insieme ed insieme difendere le nostre comunità, difendere gli abitanti delle nostre comunità, le ricchezze che vediamo attorno alle nostre comunità. Ci tocca difenderle, fratelli, e solamente uniti possiamo farcela.

E adesso le donne devono fare un passo molto importante in questo processo di organizzazione. Se tutte le donne lo faremo insieme ai nostri uomini, riusciremo ad abbattere questo sistema capitalista che ci sta distruggendo.

Grazie fratelli.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://actividadesdelcigysuvocera.blogspot.it/2017/10/discurso-de-marichuy-en-guadalupe.html

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PROGRAMMA DEL VIAGGIO DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO IN CHIAPAS DAL 14 AL 19 OTTOBRE 2017

 

Settembre 2017

Al Congresso Nazionale Indigeno:

Ai popoli originari in Chiapas e Messico:

Al popolo chiapaneco e messicano:

Ai mezzi di Comunicazione liberi, alternativi, autonomi, o come si chiamino:

Alla stampa nazionale e internazionale:

 

Nell’ambito dello svolgimento della ASSEMBLEA NAZIONALE DI LAVORO DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E DEI POPOLI CHE FORMANO IL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, che si terrà presso il CIDECI, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, nei giorni 12, 13 e 19 ottobre 2017, con la presente informiamo che individu@, gruppi, collettivi ed organizzazioni aderenti alla Sexta; comunità indigene ed organizzazioni indigeni membri del Congresso Nazionale Indigeno in Chiapas, le basi di appoggio zapatiste e la Commissione Sexta dell’EZLN hanno organizzato una serie di eventi in saluto al Consiglio Indigeno di Governo – parola, ascolto e cuore dei popoli originari del CNI – che si svolgeranno nello stato messicano sudorientale del Chiapas, secondo il seguente calendario:

Sabato 14 ottobre 2017 – Villaggio di Guadalupe Tepeyac, MAREZ “San Pedro de Michoacán”. Ora imprecisata, in quanto dipende dal tempo necessario per arrivare dal CIDECI a Guadalupe Tepeyac. La delegazione del CIG pernotterà in loco.

Domenica 15 ottobre 2017 – Caracol di Morelia, MAREZ “17 de Noviembre”, Zona Tzotz Choj. Ora imprecisata, in quanto dipende dal tempo necessario per arrivare da Guadalupe Tepeyac al caracol di Morelia. La delegazione del CIG pernotterà in loco.

Lunedì 16 ottobre 2017 – Caracol di La Garrucha, MAREZ “Francisco Gómez”, Zona Selva Tzeltal. Ora imprecisata, in quanto dipende dal tempo necessario per arrivare dal caracol di Morelia al caracol di La Garrucha. La delegazione del CIG pernotterà in loco.

Martedì 17 ottobre 2017 – Caracol di Roberto Barrios, MAREZ “Trabajo”, zona Nord del Chiapas. Ora imprecisata, in quanto dipende dal tempo necessario per arrivare dal caracol di La Garrucha al Caracol di Roberto Barrios. La delegazione del CIG pernotterà in loco.

Mercoledì 18 ottobre 2017 – municipio del malgoverno di Palenque, Chiapas. Ore 10:00. Trasferimento al CIDECI di San Cristóbal de Las Casas. La delegazione del CIG pernotterà al CIDECI.

Giovedì 19 ottobre 2017 – Caracol di Oventik, MAREZ “San Andrés Sakamch´en de los Pobres”, zona Altos del Chiapas. Rientro al CIDECI dove l’assemblea chiuderà i lavori.

L’ingresso è libero. Non ci sarà distribuzione di cibo, t-shirt, secchi, cemento, cisterne, lamine di alluminio, berretti da baseball, panini, bibite o promesse.

I media liberi e i media prezzolati dovranno accreditarsi presso il CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, nei giorni 11, 12 e 13 ottobre per avere acceso alle postazioni allestite allo scopo affinché possano svolgere agevolmente il loro lavoro (in particolare fotografie e riprese video).

 

Distintamente.

Individu@, gruppi, collettivi ed organizzazioni del Chiapas, aderenti alla Sexta.

Comunità indigene ed organizzazioni indigene del Congresso Nazionale Indigeno in Chiapas.

Basi di appoggio zapatiste.

Commissione Sexta dell’EZLN.

Messico, 15 settembre 2017.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/09/15/programa-de-la-gira-del-concejo-indigena-de-gobierno-en-chiapas-del-14-al-19-de-octubre-del-2017/

 

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Lo Squadrone Motorizzato Zapatista ha fatto la sua prima apparizione nella Selva Lacandona dove Marichuy, portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, ha iniziato il suo giro di raccolta firme per la sua candidatura alla presidenza del Messico.

https://desinformemonos.org/wp-content/uploads/2017/10/WhatsApp-Video-2017-10-14-at-10.46.43-PM-2.mp4?_=1

https://frayba.org.mx/

Cronaca e video: Miles de zapatistas reciben a Marichuy en la selva Lacandona, en el primer recorrido para reunir firmas para su candidatura a la presidencia de México – Desinformémonos

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MARICHUY SI È ISCRITTA ALLE LISTE ELETTORALI COME CANDIDATA INDIPENDENTE

Trascrizione del messaggio della portavoce María de Jesús Patricio davanti all’Istituto Elettorale Nazionale durante la presentazione della candidatura del Consiglio Indigeno di Governo.

Buongiorno compagni, compagne, fratelli e sorelle indigene, media indipendenti, media a pagamento, stiamo facendo uno dei primi passi di quel che porteremo avanti.

Grazie per essere qui a sostenere questa proposta collettiva di molti.

Vorrei cominciare dicendo che, per impedirci di fare questo primo passo ci hanno messo parecchi ostacoli. Ci hanno trattato come se non fossimo all’altezza di quelli che stanno in alto. Hanno voluto farci credere che in questa struttura c’è posto solo per loro, e non per la gente dal basso, non per la gente lavoratrice, e ancor meno per le comunità indigene. Nonostante tutto ciò, siamo comunque riusciti a fare questo primo passo.

Voglio dirvi che non ci hanno lasciato aprire un conto in banca, che era uno dei primi requisiti, e ci hanno bloccato il conto HSBC e abbiamo dovuto cercarne un altro. Da cose come queste si vede quanto sia manipolatorio questo potere. Ma nonostante tutto siamo riusciti a fare questo primo passo, chiaramente con l’aiuto di tutti voi.

Vogliamo anche chiarire che è diverso, che la nostra proposta è diversa. È una proposta collettiva. Non rispetta i loro piani, in cui una persona parla e decide, e si fa quel che la persona dice. Qui no, qui siamo in collettività, per questo si chiama Consiglio Indigeno di Governo.

In questo grande Consiglio sono rappresentati i popoli indigeni, sono i consiglieri scelti direttamente dalle comunità che staranno al governo. Questo è uno dei tratti fondamentali del Consiglio Indigeno di Governo: avanza insieme alle proprie comunità.

Come andremo avanti? Al ritmo dei popoli indigeni, con il sostegno della gente, con il sostegno delle nostre comunità, così come si organizzano le feste nelle comunità, nello stesso modo in cui ci organizziamo per accogliere persone di altre comunità: ci prendiamo la responsabilità, così faremo. Che sia chiaro che non accetteremo neanche un peso dall’Istituto Elettorale Nazionale.

Tutto quel che intraprenderemo sarà grazie al sostegno di tutti. Andremo avanti in questo modo. Anche perché si è visto chiaramente, soprattutto in questi tempi recenti di catastrofe, che a loro non interessa la gente dal basso, vogliono solo sterminarci e toglierci di mezzo. Così come sono venuti a eliminarci a noi popoli indigeni. Ci hanno imposto piani e programmi per garantire il saccheggio, questa divisione. È ovvio che la gente dal basso per loro non esiste. Quel che dobbiamo fare è organizzarci, darci una mano e mettere fine insieme a questo sistema capitalista, patriarcale, razzista, classista, perché lo stiamo vivendo sulla nostra pelle. Dobbiamo fare questo passo, organizzarci, per poter portare avanti questa proposta che nasce dai popoli indigeni e che non è un’invenzione, perché l’abbiamo vissuta per anni.

Perché non sono riusciti ad eliminarci, perché l’organizzazione che abbiamo dura da anni, da decine di anni.

Quest’organizzazione che abbiamo ereditato vogliamo proporla a tutti i messicani.

I popoli stanno portando avanti questa proposta e per questo vogliamo camminare al ritmo dei popoli indigeni insieme a voi con questa proposta, solo così riusciremo ad andare avanti.

Anche perché i popoli indigeni non possono continuare da soli, per questo chiediamo il sostegno dei lavoratori dalla campagna e dalla città, uniti dobbiamo fare uno sforzo per andare avanti e riscattare le nostre zone, i nostri quartieri, i nostri villaggi, insieme ai popoli indigeni. Saranno loro a mostrarci come camminare.

Inoltre, come donna, come madre, come lavoratrice, dico che dobbiamo lottare contro il maschilismo, contro il classismo, contro questo sistema patriarcale che vuole eliminarci a tutti i costi, che vuole separarci facendoci credere che solo gli uomini sono in grado. Se i nostri popoli vivono questa discriminazione, le donne ancor di più, e non solo nei villaggi, ma anche a livello nazionale.

Per questo questa lotta non è solo a livello nazionale, ma mondiale, per questo dobbiamo mostrare tutti i dolori che viviamo nelle comunità, dobbiamo organizzare la rabbia. Questo messaggio resta dalla nostra parte, dobbiamo organizzare il dolore e la rabbia, solo così potremo andare avanti.
Grazie.

Traduzione 20ZLN Italia

https://20zln.noblogs.org/marichuy-si-e-iscritta-alle-liste-elettorali-come-candidata-indipendente/

 

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IL MONDO CULTURALE ITALIANO A SUPPORTO DELLA LOTTA ZAPATISTA IN MESSICO

Musica, arti e cultura in supporto alla lotta zapatista. Il 20 e 21 ottobre il CSA Magazzino 47 ospiterà il Comparte italiano. Accogliendo l’invito degli zapatisti e delle zapatiste di organizzare in ogni geografia e calendario momenti di incontro e dialogo tra diverse forme d’arte, i collettivi che in Italia lavorano nel sud-est messicano hanno creato una virtuosa rete e costruito una due giorni nazionale di solidarietà con l’EZLN. Il programma completo è lasciato alla pagina Facebook dedicata.

10 e 11 novembre invece la Garrincha Dischi organizza ad Alessandria e Marghera due festival con le band del suo roster, tra i quali spiccano Lo Stato Sociale e Punkreas, per finanziare il progetto Arte del Pueblo. Per saperne di più e appoggiare il progetto è stata aperta una pagina su produzioni dal basso.

Con una trasmissione dedicata ascoltiamo la presentazione delle due iniziative. Ascolta o scarica

http://www.radiondadurto.org/2017/10/05/il-mondo-culturale-italiano-a-supporto-della-lotta-zapatista-in-messico/

 

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La Commissione di Coordinamento del Consiglio Indigeno di Governo ha raccolto un primo aiuto economico dalle basi di appoggio zapatiste attraverso la Commissione Sexta dell’EZLN per le comunità, quartieri, nazioni, tribù e popoli originari colpiti dai cicloni, uragani e terremoti in Chiapas, Oaxaca, Puebla, Guerrero, Morelos, Stato del Messico, Veracruz e Città del Messico.

MESSAGGIO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

20 settembre 2017

Al popolo del Messico:

Ai popoli del Mondo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

La Commissione di Coordinamento e seguimento del Consiglio Indigeno di Governo ha raccolto un primo aiuto economico delle basi di appoggio zapatiste attraverso la Commissione Sexta dell’EZLN, la cui destinazione, ci chiedono, sia alle comunità, quartieri, nazioni, tribù e popoli originari colpiti dai cicloni, uragani e terremoti in Chiapas, Oaxaca, Puebla, Guerrero, Morelos, Stato del Messico, Veracruz e Città del Messico.

Per questo, il CNI ed il CIG si stanno organizzando per contattare i nostri fratelli e sorelle originari che hanno subito le conseguenze di queste catastrofi naturali e fare arrivare gli l’aiuto nei nostri centri di raccolta, e per istituire un fondo per la ricostruzione che permetta alle famiglie colpite di riparare o ricostruire le proprie case.

I centri di aiuto e raccolta del CNI per i popoli originari si trovano a:

– Assemblea dei Pueblos Indígenas en Defensa de la Tierra, sito a Fraccionamiento IVO Tercera calle, Juchitán Oaxaca.

– Radio Comunitaria Totopo, nel Barrio de los Pescadores, Calle Ferrocarril 105, esq. Avenida Insurgentes, séptima sección en Juchitán, Oaxaca.

– Centro de Derechos Humanos Digna Ochoa A. C. in Calle 1 de mayo No 73, tra Granaditas e Churubusco. Col. Evolución, Tonalá, Chiapas.

– Local de Unios, in Dr. Carmona y Valle # 32, colonia Doctores, Del. Cuauhtémoc, cd. de México. C.P. 06720

– Rincón Zapatista / Cafetería Comandanta Ramona, a Città del Messico, in Zapotecos #7, Col. Obrera. Delegación Cuauhtémoc. Cd. de México. C.P. 06800.

Successivamente comunicheremo il numero di conto corrente bancario per effettuare i versamenti solidali per il fondo di ricostruzione indigeno.

In questi momenti, delegate e delegati del CNI e del CIG sono in contatto con le nostre sorelle e fratelli per conoscere delle loro necessità, e la loro possibilità e capacità di aiutare chi ne ha più bisogno.

“Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli”

“Mai Più un Messico senza di Noi”.

Distintamente.

Commissione di coordinamento e seguimiento del

Consiglio Indigeno di Governo

Congresso Nazionale Indigeno.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/09/20/mensaje-del-cni-y-el-concejo-indigena-de-gobierno/

Conto corrente bancario per donazioni solidali per il fondo di ricostruzione indigeno

Banca: BBVA

Nome: Gilberto López y Rivas

Numero di conto: 0462018950

Codice interbancario (Clabe): 012540004620189509

Bonifici internazionali:

Codice SWIFT: BCMRMXMMPYM

Codice ABA: 02000128

Sucursal: 0074 3916

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 Ultimo aggiornamento: 20/09/17 alle: 07:06

MESSICO: TERREMOTO DEL 7.1 COLPISCE LA CAPITALE E GLI STATI DEL MORELOS, PUEBLA E GUERRERO. CENTINAIA DI MORTI

La terra torna a tremare in Messico. Ore 13.15 a cavallo tra gli stati del Morelos e Puebla a 120 km (circa) da Città del Messico. Terremoto forte, magnitudo 7,1.

Il caso vuole che fosse un 19 settembre, come un 19 settembre è stato il giorno del 1985 che devastò la capitale e portò con se 10000 morti. E così poche ore prima, attorno alle 11.00 in centro città si era svolta un’esercitazione anti-sismica di massa per ricordare il terremoto del 1985.

Il popolo messicano ha risposto invadendo le strade e costituendo immediatamente brigate di solidarietà materiale. A Città del Messico il cuore dell’azione è l’Università Nazionale Autonoma del Messico.  Il moto spontaneo di supporto dal basso sta attraversando non solo gli stati coinvolti ma tutto il paese. Era già partito con il terremoto di 12 giorni prima, nel sud, ma si è esteso dopo la scossa del 19 settembre.

Nel momento in cui scriviamo i morti sono 149, divisi tra Città del Messico e gli stati di Guerrero, Morelos e Puebla. Molto colpita la città di Cuernavaca dove sono crollate palazzine e anche un pezzo dell’autostrada Città Del Messico – Acapulco.

Oltre 50 palazzi sono crollati, anche una scuola. Per molte ore corrente, rete telefonica e internet è mancata in gran parte delle zone colpite dal sisma. Per diverse ore è stato chiuso anche l’aeroporto internazionale della capitale, secondo scalo del continente. Piano piano la situazione sta tornando alla norma.

Questo terremoto non è legato a quello che qualche settimana fa ha colpito il sud del paese (stati di Chiapas e Oaxaca).

Sentiamo il racconto del giornalista italiano Fabrizio Lorusso che vive in Messico Ascolta o scarica

Federico Mastrogiovanni, giornalista e docente italiano in Messico, ci racconta (con le difficoltà della linea telefonica) la situazione a Città del Messico e l’attivazione delle brigate Ascolta o scarica

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Ayotzinapa – Cartografia della violenza di Stato

di Christian Peverieri

A quasi tre anni dai fatti di Iguala, la “verdad historica” è con le spalle al muro. Dopo le contro inchieste del GIEI, il Gruppo Interdisciplinario di Esperti Indipendenti della CIDH (la Comision Interamericana de Derechos Humanos) e dell’EAAF (Equipo Argentino de Antropologia Forense), dopo le ripetute richieste del Mecanismo de Seguimiento alla procura di attenersi alle raccomandazioni del GIEI, arriva ora la piattaforma digitale interattiva del Forensic Architecture di Londra a ricostruire la lunga notte del 26 settembre 2014 e a smontare, una volta in più, le bugie del governo. 

L’agenzia investigativa Forensic Architecture con base a Goldsmiths, università di Londra, lavora a livello mondiale con organizzazioni e gruppi della società civile sulle violazioni dei diritti umani ed è composta da architetti, giornalisti e programmatori. Su invito dell’EAAF e del Centro de Derechos Humanos Miguel Agustin Pro Juarez, e basandosi sulle raccomandazioni del GIEI, sui tabulati telefonici, su foto, video e documenti, il Forensic Architecture ha disegnato una mappa interattiva che ricostruisce gli eventi che hanno portato alla scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa. I punti chiave della piattaforma sono:

– Le diverse forze di polizia presenti nella scena (le polizie municipali di Iguala, Huitzuco e Cocula, la polizia ministeriale, la polizia federale e l’esercito) e i membri di organizzazioni criminali erano presenti durante quella notte: come autori o osservatori della violenza o ostruendo la giustizia.

– Ci sono stati, senza alcun dubbio, coordinamento, collusione e omissione: per esempio, un agente dell’intelligence militare è stato presente per quasi un’ora agli attacchi contro il gruppo di studenti che successivamente è stato fatto sparire forzatamente vicino al Palazzo di Giustizia di Iguala. La piattaforma dimostra inoltre che l’agente in questione era presente all’attacco e alla detenzione degli studenti che arrivarono nella scena con l’autobus Estrella Roja 3278, conosciuto anche come il “quinto autobus”.

– Lo stesso attacco vicino al Palazzo di Giustizia è stato ripreso dalle telecamere di sicurezza esterne dell’edificio. Queste riprese sono state distrutte con la scusa di non essere importanti per il caso ma il Forensic Architecture ha ricostruito il campo visuale delle telecamere e ha dimostrato che avrebbero registrato i momenti in cui gli studenti dell’autobus Estrella de Oro 1531 sono stati fatti prigionieri, così come la direzione presa dalla polizia che li ha rapiti.

La piattaforma mette un altro fondamentale tassello nella ricostruzione dei fatti che hanno portato alla sparizione forzata dei 43 studenti. Soprattutto dà l’ennesimo scacco matto alla ricostruzione ufficiale degli eventi, la famosa “verdad historica” ancora ritenuta valida dagli uffici della procura. Come ricordato dal Mecanismo de Seguimiento, in visita ad Ayotzinapa per la terza volta a fine agosto, continuare a ritenerla un’ipotesi valida è un elemento che allontana non solo dalla verità ma anche il comitato dei genitori dalle istituzioni. Il Mecanismo de Seguimiento, nel report seguente alla visita alla scuola, ha dichiarato che è urgente dare un’accelerata alle indagini perché, il dato principale a tre anni dagli eventi è che la sorte dei 43 studenti è tutt’ora sconosciuta. La nota prosegue poi elencando alcuni piccoli avanzamenti prodotti dalla PGR (Procura Generale della Repubblica), come la formazione di un’equipe di 90 persone dedicata esclusivamente al caso, l’utilizzo della tecnologia Lidar per le indagini sui telefoni dei ragazzi e il proseguimento delle indagini sul trasferimento di stupefacenti dal Messico agli Stati Uniti. Questi timidi avanzamenti si scontrano tuttavia con la realtà che vede la verità ancora ingabbiata dalle trame del potere.

È di pochi giorni fa infatti un’intervista a Tomas Zeron de Lucio, ex membro della Agencia de Investigacion Criminal sotto la PGR guidata da Murillo Karam. Tomas Zeron, che nel frattempo è stato promosso a Segretario del Consiglio di Sicurezza Nazionale è l’autore della fabbricazione e manomissione delle prove nella discarica di Cocula dove sarebbero stati cremati i 43 giovani. Nell’intervista, ancora una volta difende il suo operato e rivendica la “verdad historica” come l’unica ipotesi per il caso. A queste dichiarazioni non sono seguite smentite o prese di posizione né da parte del presidente Enrique Peña Nieto, né da parte di altri rappresentanti istituzionali. La ragione di questo, secondo i genitori dei ragazzi scomparsi, è che Tomas Zeron è il principale responsabile delle bugie della cosiddetta “verdad historica”. Queste pesanti dichiarazioni danno il senso di quale sia in realtà la linea seguita dal governo: nascondere la verità.

Agli occhi attenti di chi vuol vedere oramai non può più sfuggire la responsabilità dello stato nei fatti e il sempre più goffo tentativo di nascondere ciò che è successo. La giustizia, purtroppo è risaputo, non è una questione di imparzialità ma di potere e solo un contropotere forte, consapevole, autorevole e moltitudinario può contrapporsi al potere dei los de arriba, il potere della violenza, delle armi, della morte. La partita si gioca su questo piano. Fortunatamente, in questi tre anni il comitato dei genitori di Ayotzinapa ha dimostrato forza, integrità, dignità e capacità di far nascere un ampio movimento di solidarietà internazionale che può davvero riuscire a rovesciare la situazione e costringere i criminali là in alto ad arrendersi e ad ammettere le proprie responsabilità. 

Sta a tutti noi, dal Messico al resto del mondo, dare la spallata finale a questo sistema di violenza, omertà e ingiustizia. Mantenendo alta l’attenzione sul caso, denunciando le sempre più evidenti responsabilità dello stato nel caso, facendo pressione, come sicuramente faranno i genitori il 26 settembre per il terzo anniversario della scomparsa dei loro figli. Per la verità e la giustizia. Ma soprattutto per quei 43 ragazzi colpevoli solamente di voler crescere in un Messico più giusto. http://www.globalproject.info/it/mondi/ayotzinapa-cartografia-della-violenza-di-stato/21028

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Un altro passo: LLEGÓ LA HORA DEL FLORECIMIENTO DE LOS PUEBLOS.

“LLEGÓ LA HORA DEL FLORECIMIENTO DE LOS PUEBLOS”:
UN ALTRO PASSO.

COMUNICATO CONGIUNTO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E DELLA COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN, PER SALUTARE LE/I PRIM@ COMPONENTI DELL’ASSOCIAZIONE CIVILE “LLEGÓ LA HORA DEL FLORECIMIENTO DE LOS PUEBLOS”, UN PASSO LEGALE E NECESSARIO PER LA REGISTRAZIONE DELLA CANDIDATURA DELLA PORTAVOCE DEL CIG, L’INDIGENA MARÍA DE JESÚS PATRICIO MARTÍNEZ, ALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA MESSICANA 2018-2024.

Agosto 2017

Al Popolo del Messico:
Ai Popoli del Mondo:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Sorelle, fratelli, hermanoas:
Compagne, compagni e compañeroas:

I quartieri, tribù, nazioni e popoli originari riuniti nel Congresso Nazionale Indigeno e le comunità indigene zapatiste, salutano il raggiungimento di un ulteriore passo nel lungo cammino per ottenere che il nome della portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, la compagna indigena nahua María de Jesús Patricio Martínez, appaia sulle schede elettorali del 2018 come candidata alla presidenza del Messico.

Questo passo legale è stato possibile grazie al generoso ascolto, il rispettoso sguardo e la parola amica di donne e uomini che, con la loro storia ed il proprio lavoro, si sono guadagnati un posto speciale non solo in Messico e nel mondo, ma anche e soprattutto nel cuore del colore della terra che siamo.

Il Congresso Nazionale Indigeno e gli indigeni zapatisti manifestano qui il loro beneplacito e sincera gratitudine a:

María de Jesús de la Fuente de O’Higgins (artista plastica e presidente della Fondazione Culturale María e Pablo O’Higgins)

Graciela Iturbide (fotografa)

María Baranda (poetessa)

Paulina Fernández Christlieb (dottorato in Scienze Politiche)

Fernanda Navarro (Filosofa)

Alicia Castellanos (Antropologa)

Sylvia Marcos (Sociologa)

María Eugenia Sánchez Díaz de Rivera (Sociologa)

Ana Lidya Flores (docente di Lettere Iberoamericane)

Paulette Dieterlen Struck (Filosofa)

Márgara Millán (dottorato in Studi Latinoamericani)

Domitila Domingo Manuel “Domi” (artista grafica)

Mercedes Olivera Bustamante (Antropologa)

Bárbara Zamora (laurea in Diritto)

Magdalena Gómez (laurea in Diritto)

Rosa Albina Garavito (Sociologa)

Elia Stavenhagen (dottoressa)

Lidia Tamayo Flores (arpista)

Carolina Coppel (produttrice culturale)

 

Pablo González Casanova (Sociologo)

Antonio Ramírez (artista grafico e letterario)

Eduardo Matos Moctezuma (docente di Scienze Antropologiche)

Javier Garciadiego (dottorato in storia del Messico)

Juan Carlos Rulfo (cineasta)

Juan Pablo Rulfo (disegnatore, artista grafico)

Francisco Toledo (artista grafico)

Paul Leduc (cineasta)

Mardonio Carballo (scrittore, giornalista)

Luis de Tavira (direttore teatrale)

Juan Villoro (scrittore)

Óscar Chávez (cantautore)

Gilberto López y Rivas (Antropologo)

Carlos López Beltrán (Filosofo)

Néstor Quiñones (artista grafico)

Jorge Alonso (Antropologo)

Raúl Delgado Wise (dottorato in Scienze Sociali)

Francisco Morfín Otero (Filosofo)

Arturo Anguiano Orozco (Sociologo)

Carlos Aguirre Rojas (dottorato in Economia)

Pablo Fernández Christlieb (Psicologo)

Rodolfo Suárez Molinar (Filosofo).

Leonel Rosales García, Monel (musicista di Panteón Rococó)

Rodrigo Joel Bonilla Pineda, Gorri (musicista di Panteón Rococó)

Marco Antonio Huerta Heredia, Tanis (musicista di Panteón Rococó)

Rolando Ortega, Roco Pachukote, (musicista)

Francisco Arturo Barrios Martínez, el Mastuerzo (musicista)

Panteón Rococó (musicisti)

Carlos González García (laurea in Diritto).

 

Queste persone, insieme ad altre che sono state contattate, fanno parte dell’Associazione Civile “LLEGÓ LA HORA DEL FLORECIMIENTO DE LOS PUEBLOS“, istanza necessaria per avviare il percorso di registrazione della candidatura di colei che, affettuosamente e con rispetto, chiamiamo “Marichuy”, affinché per la prima volta nella storia di questo paese una donna di un popolo originario, indigeno, corra per la presidenza della Repubblica Messicana.

Tutte e tutti loro, per la loro onestà e impegno, sono di nostra assoluta fiducia e ammirazione, per cui abbiamo presentato i loro nomi alla prima Assemblea Generale del Consiglio Indigeno di Governo che si è tenuta nei giorni 5 e 6 agosto 2017. Il Consiglio Indigeno di Governo ha accolto con gioia l’appoggio di quest@ fratelli e sorelle che, per il loro lavoro nelle scienze, le arti e l’attivismo sociale, hanno il riconoscimento di ampi settori in Messico e nel mondo.

Di fronte alla guerra in corso, la nostra scommessa è per la pace reale, ovvero, con democrazia, libertà e giustizia.

Questo è un ulteriore passo sulla nostra strada per incontrarci con chi vogliamo ascoltare e invitare ad organizzarsi.

Dagli angoli più dimenticati del Messico originario e per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli: Mai Più il Messico Senza di Noi!

Congresso Nazionale Indigeno

Commissione Sexta dell’EZLN

6 agosto 2017

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/08/07/llego-la-hora-del-florecimiento-de-los-pueblos-un-paso-mas/

 

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La proposta dell’EZLN-CNI non divide, mette allo scoperto i partiti politici.

La proposta del CNI-EZLN di nominare un Consiglio Indigeno di Governo e una portavoce donna candidata alla presidenza del Messico nel 2018 non vuole andare contro ai “partiti di sinistra” che aspirano a “prendere il potere” a quelli di sopra, glielo lasciano!  Ma vuole esercitare il potere che hanno quelli in basso quando sono organizzati.

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Seminario di riflessione critica

I muri del capitale, le crepe della sinistra

12-15 aprile 2017, CIDECI-UniTierra

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

 

Elezioni 2018: La proposta dell’EZLN-CNI non divide, mette allo scoperto i partiti politici.

Paulina Fernández C.*

Poco più di un mese fa Miguel Ángel Mancera ha dichiarato alla stampa: “Sono diventato Governatore [del Distretto Federale] quando la sinistra era unita. A quelle elezioni avevano partecipato insieme il PRD [Partito della Rivoluzione Democratica], il Partito del Lavoro (PT), il Movimento Cittadino (MC) ed il gruppo di Morena. Oggi la divisione è compiuta…”[1]

E questa divisione tra i partiti che si dicono di sinistra o le divisioni all’interno di ognuno di essi, così come le diserzioni individuali o le scissioni di gruppi di transfughi che emigrano alla prima occasione, è una costante nella vita delle organizzazioni politiche di partito. Ma queste costanti divisioni non avvengono solo nei o tra i partiti politici ufficiali; in tutto il paese questi cercano anche di attrarre tra la loro clientela fissa le organizzazioni non di partito ma con influenza politica nei loro ambiti o settori di intervento e per fare ciò ricorrono a vecchi meccanismi di penetrazione delle organizzazioni mediante la cooptazione dei dirigenti, lasciando come testimone di questa pratica i nomi che le diverse frazioni prodotto delle successive divisioni si vedono obbligate ad usare per distinguersi: “nuova”, “democratica”, “indipendente”, “storica”, “rivoluzionaria”, “maggioritaria”…

In vista dei processi elettorali municipali, statali o federali, personaggi dei partiti politici si assumono il compito di contattare leader, autorità o rappresentanti per offrire loro una candidatura, non perché tra le loro file non ci siano interessati ad una “poltrona ad elezione popolare”, ma perché la congiuntura è favorevole per farsi spazio in determinate comunità che li ripudiano. Tutti sanno che durante le campagne elettorali si intensifica la divisione che viene fomentata dai partiti politici nei villaggi, nelle comunità, ejidos, quartieri, colonie e nelle organizzazioni contadine, indigene, di coloni, di ogni tipo di lavoratori, divisione accompagnata da merci, beni di consumo di prima necessità, denaro in contanti o carte prepagate elargiti in migliaia di azioni palesemente e sfacciatamente di compravendita di voti.

La distribuzione di risorse economiche tra la popolazione di determinati territori svolge una funzione che va oltre i tempi e gli appetiti elettorali. Partiti di diverso colore e governi a tutti i livelli, sanno che l’elemento essenziale della resistenza indigena che non sono riusciti a piegare, consiste nel non accettare denaro dallo Stato messicano a nessun titolo. L’ostentata distribuzione di beni materiali solo “a chi sta col governo”, ai membri di organizzazioni e comunità “affiliate ai partiti”, è una delle tante forme di ostilità e pressione esercitate al fine di indebolire e dividere le comunità autonome zapatiste.

La continua opera di divisione esercitata dai partiti politici in questi territori, non ha niente a che vedere con la loro democrazia; è parte di una guerra permanente contro i popoli, guerra non esente da violenza. Così troviamo che, per esempio, nei municipi autonomi ribelli zapatisti del Caracol di La Garrucha, negli ultimi anni hanno dovuto affrontare molte difficoltà originate da partiti e governi, tutte rivolte contro l’autonomia. “Queste difficoltà sono principalmente parte di una strategia contrainsurgente che si manifesta, principalmente, con l’invasione e spoliazione di terre recuperate, essendo questo l’aspetto più visibile dell’offensiva per disintegrare la coesione sociale delle comunità, per dividere i villaggi e gli ejidos e far scontrare tra loro i fratelli indigeni, per fiaccare la resistenza delle basi di appoggio dell’EZLN, per provocare diserzioni tra gli zapatisti e, infine, ostacolare in maniera permanente la libera costruzione dell’autonomia. Parallelamente a questa offensiva generalmente violenta contro terre e popolazioni, lo Stato promuove misure socialmente più presentabili ma altrettanto perverse, basate su di un numero indefinito di politiche, programmi e progetti attraverso i quali fluiscono continuamente il denaro e le risorse materiali verso la popolazione simpatizzante, anche indigena ma non zapatista, di tutte le età e condizioni. A queste operazioni controrivoluzionarie partecipano i tre livelli di governo ufficiale, i membri di alcune organizzazioni sociali riconosciute come paramilitari ed i partiti politici nazionali che sono presenti nella Zona in cui tutto indica l’assenza di partiti politici di opposizione, tutti sono governo o in attesa del loro turno o di un’alleanza per esserlo e tutti partecipano attivamente alla guerra contro gli zapatisti, dalla quale cercano di trarre vantaggio con la loro logica clientelare nel mercato politico-elettorale.”[2]

Dalle molte denunce rese pubbliche negli anni (i cui testi completi si possono ancora consultare in internet) ed alle quali i partiti politici incriminati fino ad oggi non hanno dato risposta, possiamo rilevare che “nella guerra contro gli zapatisti le frontiere e le differenze politiche non esistono tra i partiti, né tra i governi, tutti sono un tutt’uno, ed i partiti si fondono tra loro ancora di più quando i loro militanti e dirigenti tacciono e si disinteressano delle azioni commesse da coloro che hanno appoggiato per arrivare al potere. Nelle denunce della Giunta di Buon Governo della Zona Selva Tzeltal fatte in diverse occasioni, sono continuamente indicati come responsabili politici di persecuzione, aggressioni, soprusi, furti e diversi delitti, i titolari del potere esecutivo federale, di quello statale e municipale che hanno guidato i rispettivi governi nel periodo 2006-2012: Felipe Calderón Hinojosa arrivato alla Presidenza della Repubblica – frode mediatica – con il PAN e che attraverso diversi enti federali appoggiava la OPDDIC, organizzazione di aperta filiazione priista, nella sottrazione delle terre dell’EZLN. Juan José Sabines Guerrero, Governatore dello stato del Chiapas che, ancora priista e in carica come presidente municipale di Tuxtla Gutiérrez, fu canditato dalla ‘Coalizione per il Bene di Tutti’ formata dai partiti PRD, PT e Convergencia. Carlos Leonel Solórzano Arcia, militante del PAN fu Presidente Municipale di Ocosingo dal 2008 al 2010 ed il suo successore, Lindoro Arturo Zúñiga Urbina (2011-2012) fu il candidato della ‘Unità per Chiapas’ formata dall’alleanza tra PAN, PRD, Convergencia e PANAL.” In sintesi: in anni recenti, in Chiapas la “sinistra” e la destra allo stesso modo rappresentate da PRI, PAN, PRD, PT, Convergencia, PANAL, sono state compartecipi in diverse occasioni della persecuzione, aggressioni, predazioni e diverse azioni violente contro le comunità dei municipi autonomi zapatisti la cui lotta, esperienza di organizzazione e di governo rivela il sistema politico ed economico a cui fanno riferimento e che difendono tutti i partiti istituzionali.

Senza escludere le comunità vicine ai municipi zapatisti, nel resto del paese i programmi sociali attraverso i quali i governi canalizzano le risorse economiche “alla popolazione povera” compiono la stessa funzione delle donazioni distribuite in campagna elettorale e sono sfruttate permanentemente dai partiti “al potere” per attrarre, conservare o incrementare la loro clientela elettorale: crediti, abitazioni, Oportunidades, Procampo, Vivir mejor, Piso firme, Amanecer per gli anziani, borse di studio per i bambini, tra altri “benefici”, vengono concessi discrezionalmente ai rispettivi seguaci, approfondendo così le divisioni sociali ed i rancori tra partiti.

Ma queste “opere di carità” con risorse pubbliche non servono solo a dividere e indebolire la popolazione organizzata in diversi modi, servono anche a rafforzare il capitalismo portando in tutti gli angoli del paese i suoi metodi di sfruttamento, di dominazione politica, di controllo sociale, di sottomissione personale. Non è un caso né un errore che in America Latina i programmi sociali di sussidi alla popolazione più povera non abbiano diminuito la povertà ma invece si siano trasformati in una fonte di guadagno per il capitale finanziario. Qualche settimana fa la Banca Interamericana di Sviluppo (BID) ha rilevato che venti anni dopo l’entrata in funzione dei “programmi di trasferimenti monetari condizionati” – così li chiamano – nella regione, “con Messico e Brasile in testa, con Oportunidades, che è diventato Prospera e Bolsa Familia, rispettivamente”, i governi pagano elevate commissioni alle banche per ogni transazione compiuta, poiché la maggioranza dei beneficiari vivono in comunità emarginate dal settore finanziario.[3]

L’opera di divisione e disarticolazione del tessuto sociale promossa dai governi e dai partiti politici di ogni colore, viene portata avanti su tutto il territorio nazionale con la finalità di facilitare l’appropriazione e la concentrazione in mani private delle ricchezze nazionali. Negli ultimi decenni, in questo processo di accumulazione di capitale denominato neoliberismo, gli attori pubblici, le istituzioni dello Stato messicano, la cosiddetta classe politica ed i suoi partiti, sono stati accompagnati da altri attori come cacicchi, industriali, guardias blancas, paramilitari e criminali di vario genere.

La partecipazione associata di questi attori pubblici e privati appare nei molteplici casi in cui le resistenze si oppongono alla depredazione, casi resi noti da decine di popoli raggruppati nel Congresso Nazionale Indigeno e nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, dei quali rendono congiuntamente conto in vari documenti elaborati negli ultimi anni. Tra questi, vale la pena segnalare qui tre comunicati: la 2ª. Dichiarazione della condivisione CNI- EZLN sulla spoliazione dei nostri popoli del 16 agosto 2014, più noto come il comunicato “degli specchi”; il più recente dal titolo Che tremi nei suoi centri la terra del 14 ottobre 2016;[4] e Bollettino di guerra e resistenza # 44 del 22 settembre 2016, del quale riportiamo alcuni dati riferiti al panorama nazionale nel quale sfilano i diversi attori pubblici coinvolti:

            Nel sud, la lotta dei popoli in difesa dei loro territori contro i cacicchi e le imprese, si dissolve nella lotta per la sicurezza e la giustizia contro le bande della delinquenza organizzata, la cui intima relazione con tutta la classe politica è l’unica certezza che, come popolo, abbiamo rispetto a qualsiasi organo dello stato.”

            Nell’occidente, le lotte per la terra, la sicurezza e la giustizia avvengono in mezzo all’amministrazione dei cartelli della droga, che lo stato camuffa da lotta alla delinquenza o da politiche di sviluppo. In cambio, i villaggi che hanno resistito e perfino abbattuto la delinquenza attraverso l’organizzazione dal basso, devono lottare contro i tentativi permanenti fatti dai malgoverni per ottenere che il crimine organizzato, e i partiti politici di sua preferenza, si impadroniscano nuovamente dei territori attraverso forme diverse.”

Nel nord, dove persistono lotte per il riconoscimento dei territori, le minacce minerarie, le spoliazioni agrarie, il furto di risorse naturali e la sottomissione delle resistenze da parte di narco paramilitari, i popoli originari continuano a costruire giorno per giorno.”

            Nella penisola, i popoli maya resistono alla scomparsa per decreto, difendendo le loro terre dall’attacco di imprenditori turistici e immobiliari, dove la proliferazione di guardie bianche opera nell’impunità per depredare i villaggi, l’invasione dell’agroindustria transgenica minaccia l’esistenza dei popoli maya e l’immondizia dei magnati che si impadroniscono dei territori agrari, delle vestigia culturali, archeologiche e perfino dell’identità indigena, pretende di convertire un popolo tanto vivo quanto l’estensione della sua lingua, in feticci commerciali.”

Nel centro, i progetti di infrastrutture, autostrade, gasdotti, acquedotti, lottizzazioni immobiliari, si stanno imponendo in forma violenta e i diritti umani si notano di volta in volta sempre più soffusi e lontani nelle leggi imposte. La criminalizzazione, cooptazione e divisione disegna la strategia dei gruppi potenti, tutti vicini in maniera corrotta e oscena al criminale che crede di governare questo paese, Enrique Peña Nieto.”

            Nell’oriente del paese, la violenza, il fracking, le miniere, il traffico di migranti, la corruzione e la demenza governativa sono la corrente contro la lotta dei popoli, in mezzo a regioni intere prese da violenti gruppi delinquenziali orchestrati dagli alti livelli di governo.”[5]

I casi indicati nelle denunce si inseriscono e sorgono dalla forma di dominazione ed accumulazione per spoliazione e violenza propria della globalizzazione neoliberale, che ha iniziato la sua gestazione negli anni ’70 del secolo scorso, facendosi largo in America Latina con il cruento colpo di Stato militare in Cile dell’11 settembre 1973. Anni 1970, lo stesso decennio in cui il governo messicano di fronte al rischio di non riuscire più a controllare la popolazione solo con mezzi autoritari e repressivi, e davanti ai cambiamenti economici che annunciavano l’inizio di una nuova crisi mondiale, optò per deviare la lotta di classe verso un ristretto ambito elettorale al cui sistema si adeguarono i nuovi partiti politici, la sinistra in primis con il partito più antico di allora, il Partito Comunista Messicano (PCM), fondato nel 1919 e della cui registrazione legale gode ancora oggi il Partito della Rivoluzione Democratica.

La storia legale-elettorale del PCM-PSUM-PMS-PRD è l’esempio migliore di come lo Stato messicano ha ottenuto con facilità uno degli obiettivi centrali della Riforma Politica del 1977, che in pochissimo tempo ha permesso al presidente della Repubblica di cantare vittoria proclamando, dopo aver partecipato ad alcune tornate elettorali locali: “Le minoranze hanno trovato espressione, e la passione della dissidenza è diventata dovere istituzionale.”[6]

Il presente del Partito della Rivoluzione Democratica è il risultato di una storia di diverse organizzazioni e individui che si sono uniti in un partito che mano a mano che cambiava nome, perdeva la sua identità di sinistra, in primo luogo, e poi, nella misura in cui si avvicinava a posizioni di potere, rinunciava al suo ruolo di opposizione. Questo processo di perdita di identità del PRD come partito erede di una corrente della sinistra messicana, è iniziata anni prima della sua fondazione.

Dato il carattere eminentemente elettorale dell’origine, delle attività e perfino dei principi base più importanti del PRD, è necessario seguire queste posizioni per capire il suo sviluppo. La posizione espressa dai rappresentanti dei partiti Comunista Messicano, Messicano Socialista e Socialista Unificato del Messico a fronte delle successive riforme politiche ed elettorali federali introdotte dal 1977, offrono l’opportunità di studiare i cambiamenti di quella corrente della sinistra messicana in quegli anni.[7]

Il PCM si definisce con la Riforma Politica del 1977. Quella degli anni settanta per il Partito Comunista Messicano è stata la crisi degli apparati ideologico-politici del regime, tra i quali si inserivano i partiti, il sistema elettorale e gli strumenti di controllo sul movimento operaio e contadino. La soluzione che il PCM cercava di promuovere per quella crisi politica, si basava sulla democratizzazione del regime, che consisteva in termini generali nell’eliminazione degli ostacoli legali alla partecipazione degli operai, dei contadini e degli intellettuali in tutte le sfere della vita politica, economica e sociale. Il diritto incondizionato di organizzarsi in partiti politici era al centro della soluzione democratica che questo partito proponeva per la crisi di allora.

L’idea di democrazia era presentata associata a quella di partito e la concezione di partito rimetteva all’intervento elettorale, benché ancora non in maniera esclusiva ed assoluta: “Noi comunisti – diceva Arnoldo Martínez Verdugo – siamo a favore di una democrazia nella quale tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione sociale, ideologia, credo religioso e idee politiche, godano del diritto di organizzarsi in partiti, intervenire nel processo elettorale con pari condizioni, inviare i propri rappresentanti agli organi eletti, realizzare la propaganda delle proprie idee senza impedimenti ed attraverso gli organi di diffusione di massa, organizzarsi con indipendenza dal governo e dall’industria e lottare per la conquista del potere appoggiandosi sulla maggioranza del popolo secondo il diritto stabilito dalla Costituzione.”[8] Ma questa democrazia, sviluppata fino alle sue ultime conseguenze e con un interesse di classe, poteva condurre anche al socialismo e per questo i membri del PCM dicevano: “vogliamo assicurare il passaggio dalla democrazia borghese, la democrazia formale, alla democrazia reale, la democrazia socialista”.[9]

L’insieme di idee e proposte comuniste circa la riforma elettorale che, dal suo punto di vista chiedeva la società messicana nel 1977, si concludeva con un’esigenza molto rivelatrice, soprattutto perché arrivava dal partito della sinistra, indipendente, di opposizione, rivoluzionario, che voleva essere il Partito Comunista Messicano. Per voce del suo Segretario Generale del Comitato Centrale, il PCM sosteneva: “La condizione indispensabile per contrastare la disparità esistente tra i partiti nei quali si raggruppano i ricchi ed il partito che ha nelle sue mani il potere, da una parte, ed i partiti che rappresentano la parte sfruttata della popolazione, dall’altra, che sono privi dei mezzi economici e delle risorse che ha il potere, è che lo Stato finanzi le spese delle campagne elettorali di tutti i partiti.” Una misura di questa natura – si specificava – non garantirebbe di per sé la parità, ma contribuirebbe a diminuire la disparità e nello stesso tempo “servirebbe a neutralizzare la corruzione”.[10]

In altre parole, attraverso il finanziamento pubblico dei partiti politici, il Partito Comunista offriva allo Stato messicano la strada più breve e sicura per risolvere definitivamente la lotta di classe ponendo fine in una sola volta allo sfruttamento e alla corruzione. Con ciò, il PCM compiva le sue funzioni di partito di opposizione e di sinistra, evitandosi il disturbo di lavorare per un cambiamento rivoluzionario. Ma la cosa più grave e trascendente di quella richiesta era il ragionamento implicito: cioè, se il partito al governo riceveva finanziamenti pubblici era un atto di corruzione, ma se tutti i partiti avessero ricevuto denaro dalla stessa provenienza, allora si sarebbe neutralizzata la corruzione. In altri termini, il PCM invece di esigere il suo sradicamento, chiedeva la socializzazione della corruzione.

Anni dopo questo partito, già col nome di Partito Socialista Unificatore del Messico, si ridefiniva con il Rinnovamento Politico del 1986. Un sessennio di partecipazione elettorale fu sufficiente per indurre gli ex-comunisti ad una depurazione delle proposte ed una ridefinizione di posizioni e di concetti chiave.

Nelle sessioni pubbliche di consultazione per il Rinnovo Politico Elettorale, il Segretario Generale del Comitato Centrale del PSUM aveva anticipato quella che sarebbe stata la principale preoccupazione del suo partito riguardo a questa riforma: il sistema dei partiti politici. Il nuovo obiettivo era “avanzare verso un regime parlamentare democratico che sostituisca il decadente regime presidenziale” precisava Arnoldo Martínez Verdugo, ora diventato deputato federale.[11] A differenza di quello che proponeva come Partito Comunista, per i dirigenti del PSUM smise di essere rilevante il rapporto del partito politico con le classi sociali ed i loro bisogni, il ruolo dei militanti o, perfino, la funzione della partecipazione degli elettori; invece della sua base sociale, la cosa più importante divenne la protezione della legge elettorale in cui si depositavano tutte le speranze e verso la quale si dirigevano tutte le istanze per garantire ai partiti la loro esistenza, crescita e permanenza nel sistema dei partiti. Ma l’abbandono e il cambiamento di posizioni andò molto oltre. Non solo gli operai ed i loro sindacati, le organizzazioni contadine, i carcerati e torturati per motivi politici, o le leggi repressive ed ingiuste smisero di essere aspetti nodali di una vera riforma politica; dal discorso del PSUM sparì anche il socialismo che anni prima aveva proposto il PCM come l’obiettivo che si sarebbe raggiunto con lo sviluppo della democrazia portata alle sue ultime conseguenze. Il nuovo obiettivo dei vecchi comunisti – nonostante il nome del loro partito – non era più il socialismo, ma il parlamentarismo.

Tre anni più tardi il PMS si adattò alla Riforma Elettorale del 1989. Il 6 luglio 1988 non lasciò spazio a precisazioni ideologiche né concetti politici nel senso più ampio del termine: la democrazia e il socialismo, benché ancora lo conservasse nel nome di Partito Messicano Socialista, non avevano più importanza alcuna di fronte all’urgenza di denunciare la parzialità di un sistema elettorale studiato e perfezionato a misura delle necessità del partito di governo. L’intervento sul tema “Diritti politici e rappresentanza nazionale” a cura – ancora una volta – di Arnoldo Martínez Verdugo, si concentrò sul sistema elettorale messicano; il relatore concluse il suo intervento chiarendo che le proposte che aveva fatto corrispondevano alle posizioni sia del Partito Messicano Socialista sia del Comitato Promotore del Partito della Rivoluzione Democratica.[12]

Da quanto esposto dai suoi rappresentanti, si può concludere che gli interventi del PMS nelle udienze pubbliche della riforma del 1989 furono contrassegnati dalle elezioni federali del 1988 a tal punto che il voto divenne l’asse portante tanto delle loro critiche quanto delle loro proposte: “La cosa essenziale di una riforma democratica è il rispetto del suffragio”, affermazione di Porfirio Muñoz Ledo che potrebbe ben essere l’epitaffio della tappa comunista-socialista dei partiti che diedero origine al PRD. Dalla trasformazione del sistema economico, sociale e politico per l’instaurazione del socialismo, presente nei documenti del PCM alla fine degli anni ’70, alla fine degli anni ’80 si era arrivati a chiedere un sistema pluripartitico come obiettivo storico del PMS, e del PRD alla vigilia della sua fondazione. Durante quegli anni il partito si trasformò in un apparato elettorale che credette di trovare la sua migliore giustificazione nelle elezioni del 1988 ed il cui interesse primario nelle riforme elettorali era di includere nella legislazione le garanzie necessarie per porre dei limiti agli eccessi, usi ed abusi del PRI, e contemporaneamente consacrare l’alternanza politica come principio costituzionale; tutto ciò al fine di sgomberare la strada verso il potere che vedeva così vicino.

Transitare da un sistema di partiti ad un altro o perfezionare il sistema elettorale, non significa in nessun caso sovvertire l’ordine socioeconomico. Con questi obiettivi non si riuscirebbe nemmeno a trasformare, nell’essenza, il regime politico. Le critiche e le proposte presentate dai rappresentanti del PMS nelle udienze della Riforma Elettorale del 1989, non contengono niente di distintivo né proprio di un partito di sinistra, niente che un partito di opposizione, formale o reale, di destra moderata o estrema non possa sottoscrivere senza problema.

Nell’anno della riforma elettorale del 1993, il PRD perse consensi. La pratica di organizzare udienze pubbliche alle quali partecipavano rappresentanti di diverse organizzazioni ed istituzioni, oltre ai portavoce dei partiti, e dove si esponevano diverse posizioni politiche prima di ogni riforma elettorale, si era chiusa nel 1989, data in cui iniziò l’era della partecipazione plurale, degli accordi concertati e delle decisioni per consenso, meccanismi introdotti dai primi atti di governo di Carlos Salinas de Gortari con l’intento di coinvolgere tutti i partiti nelle decisioni del potere ed in questo modo corresponsabilizzarli delle stesse. Dopo le elezioni legislative del 1991, una volta cambiata la composizione politica della Camera dei Deputati e con il PRI che aveva recuperato un numero importante di poltrone perse nel 1988, fu più facile ed utile per il titolare del Potere Esecutivo federale ricorrere a quei meccanismi senza gravi rischi politici.

Con la riforma del 1993 si stabilì un procedimento più chiuso che in tutte le riforme precedenti. Il PRD presentò in date diverse due tipi di riforme per differenti ordinamenti legali. Le modifiche presentate nel Congresso dell’Unione nel 1992-1993 esprimevano l’attitudine del PRD avviata dai suoi predecessori e sviluppata lungo molti anni: le iniziative erano volte a sollecitare un maggiore intervento dello Stato a beneficio dei partiti ufficiali e, complementarmente, erano dirette a permettere una maggiore ingerenza dello Stato stesso nella vita interna dei partiti in questioni che dovrebbero essere di competenza esclusiva dei suoi membri, o in extremis, dell’insieme dei cittadini.

Le idee proprie, il carattere distintivo delle proposte e l’identità politica di ogni partito sparirono dalle riforme elettorali a partire dal 1994 cedendo il passo ad accordi o compromessi, ed alle iniziative sottoscritte congiuntamente dai partiti formalmente opposti.

Le riforme introdotte nel 1994 alla Costituzione in materia elettorale, al Codice Federale di Istituzioni e Procedure Elettorali ed al Codice Penale sottoscritte da legislatori federali del PRD, del PRI, del PAN e del PARM, furono precedute da un “Compromesso per la pace, la democrazia e la giustizia” che i dirigenti nazionali e/o candidati alla Presidenza della Repubblica di otto dei nove partiti in gara per la successione presidenziale allora in corso, avevano elaborato come risposta all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il giorno 27 dello stesso mese del sollevamento armato[13].

Malgrado l’irruzione di un movimento armato in piena campagna elettorale fosse un fatto che di per sé rappresentava la riprovazione del regime politico e del sistema dei partiti esistenti, i rappresentanti dei partiti nazionali ufficiali si unirono nel cosiddetto Compromesso per “sbarrare il passo a tutte le forme di violenza” e per negare validità a qualunque altro tipo di forza politica e di spazio diversi da loro, rivendicando per sé il monopolio della lotta per la democrazia. L’avanzamento democratico – proclamavano i firmatari del documento – deve avvenire negli spazi dei partiti politici e delle istituzioni repubblicane”, ed il loro contributo al processo di pace era inteso come l’unione di forze per garantire una “elezione legale e credibile” che servisse al rafforzamento democratico del paese e dell’ordine costituzionale.[14]

Conformemente al ruolo centrale che i dirigenti nazionali ed i candidati presidenziali attribuirono ai loro partiti nel documento citato, la parte centrale della riforma del 1994 inserita nell’articolo 41 costituzionale e nei corrispondenti articoli del COFIPE, voleva “ciudadanizar” l’integrazione dell’organo superiore dell’autorità elettorale[15]. Ma contrariamente alla domanda sorta da organizzazioni della società civile e da altre forze politiche come l’EZLN, nell’elezione di quella “rappresentanza cittadina” negli organi elettorali, non sarebbero intervenuti i cittadini. La riforma diceva che invece di Consiglieri Magistrati proposti dall’Esecutivo Federale, il Consiglio Generale dell’Istituto Federale Elettorale sarebbe stato formato da Consiglieri Cittadini designati – non dai cittadini, bisogna insistere – bensì dai partiti politici della Camera dei Deputati, oltre che dai rappresentanti stessi di ogni partito politico.

Con questa riforma l’impostura raggiungeva rango costituzionale. Diventava realtà l’antica aspirazione dei partiti che, come il PCM dal 1977, proponevano che nell’organismo di massima autorità elettorale si inserissero “cittadini di riconosciuta probità e indipendenza, scelti all’unanimità dai propri partiti”; si consolidava inoltre la vecchia intenzione governativa di dotare i partiti ufficiali del carattere di interlocutori politici unici per decidere a nome di tutti i cittadini. Congiuntamente, partiti e governo, invocando la pace, la democrazia e la giustizia, di comune accordo emarginavano quella società civile che condivideva le istanze più forti, quelle ascoltate il 1° gennaio di quell’anno di riforme, insurrezione, omicidi ed elezioni.

Il PRD si diluisce nella Riforma Elettorale Definitiva del 1995-1996. Se dopo il 1989 la pratica delle udienze o consultazioni relativamente pubbliche era sparita, e se a partire dal 1994 i partiti avevano rinunciato alla loro identità astenendosi dal presentare iniziative proprie, nel 1996 queste due condotte arrivano all’estremo. Il paese intero ignorava quello che i dirigenti dei partiti ufficiali discutevano e negoziavano con la Segreteria di Governo durante i venti mesi circa del “encierro en Barcelona“.

Meno di un mese dopo lo scoppio della crisi finanziaria con cui si inaugurò il nuovo governo, e meno di un mese prima dell’offensiva militare contro gli zapatisti, avvenimenti che segnarono il sessennio di Ernesto Zedillo, i dirigenti dei partiti politici nazionali ed il titolare del Potere Esecutivo federale firmarono i “Compromessi per un Accordo Politico Nazionale” col quale sarebbero iniziati i negoziati di quella che lo stesso Zedillo aveva annunciato come una Riforma Elettorale Definitiva a livello federale, nella cornice della Riforma dello Stato. Come nei Compromessi di un anno prima, non potendo ignorare del tutto la realtà nazionale, partiti e governo insistettero nell’omettere qualunque riferimento diretto all’EZLN ed in quella occasione nemmeno lo stato del Chiapas era menzionato per nome.

Dai documenti conclusivi che precedettero i testi delle iniziative di riforma, tutti i dirigenti dei partiti concordavano con la Segreteria di Governo sul fatto che bisognasse privilegiare il finanziamento pubblico su quello privato per rafforzare i partiti politici, incrementando l’importo totale fino ad allora devoluto ed inoltre condividevano l’idea di stabilire un limite all’importo totale e di abbassare i contributi in denaro che i partiti politici potevano ricevere dai loro simpatizzanti.[16]

Queste disposizioni hanno avuto conseguenze in tre aspetti fondamentali. Da una parte, lungi dal rafforzare l’opposizione, il crescente finanziamento pubblico ha indebolito politicamente i partiti approfondendo la loro dipendenza allo Stato al punto che nessuno di loro si arrischierebbe oggi a vivere prescindendo da questa fonte di risorse. D’altra parte ed in certa misura conseguenza del precedente, la riduzione legale e reale dei contributi dei simpatizzante si è tradotta in una diminuzione dell’interesse e dell’impegno politico dei militanti che in altri tempi erano il sostegno dei loro partiti, relazione che in molti casi si è invertita degenerando in una militanza stipendiata o prezzolata. Infine, una conseguenza diretta del finanziamento pubblico in contanti, è stata la crescente ingerenza dello Stato e di diverse entità pubbliche nel funzionamento interno dei partiti, al fine di verificare, investigare o controllare entrate e uscite.

Benché nel 1999 non ci fu alcuna riforma politica né elettorale, è indispensabile considerare l’esercizio di quell’anno dei partiti rappresentati nella Camera dei Deputati, dato che è la sintesi concentrata dell’astrazione dell’opposizione in generale, ed in particolare di chi voleva rappresentare la sinistra. Deputati federali dei gruppi parlamentari di PAN, PRD, PT, PVEM ed Indipendente, proposero un’iniziativa di decreto per riformare, addizionare e derogare diverse disposizioni del COFIPE. Il PRD si confuse in quell’iniziativa.

L’atteggiamento, le preoccupazioni e perfino il tono ed il linguaggio usato per motivare l’iniziativa del 1999 non corrispondevano a quelli di un’opposizione cosciente di esserlo, e non è possibile trovare legami tra questo documento e le storiche istanze della sinistra messicana. Attraverso questa iniziativa il PRD condivide posizioni con la destra tradizionale e quella ufficiale: come rappresentanti popolari, come opposizione e come sinistra che vuole essere, il PRD si confonde con i difensori di un governo per il quale cerca stabilità politica e con i beneficiari di un regime al quale offre di contribuire a garantire condizioni di governabilità; nel consenso partiti-governo per la riforma costituzionale del 1996 il PRD credette di vedere “l’opportunità di una transizione democratica concordata” e per il processo elettorale alle porte – quello del 2000 – la cosa più importante era creare le condizioni di certezza e fiducia tra i messicani in un sistema elettorale costruito dal potere per la conservazione dello stesso.

In conclusione: L’analisi della catena di partiti che si sono considerati di sinistra, dal PCM fino all’attuale PRD, attraverso le loro proposte per riformare le condizioni legali di partecipazione politico-elettorale dei messicani, mostra come, gradualmente ma costantemente dal 1977, i partiti si sono allontanati dalla società civile mentre nello stesso tempo continuano ad occupare il posto di essa col pretesto di rappresentare gli interessi dei governati di fronte e al potere. Dunque non è casuale che i dirigenti dei partiti, coincidendo con i rappresentanti del governo, concentrino l’interesse su riforme e proposte che privilegiano la democrazia rappresentativa formale, al di sopra di qualunque altra possibilità di esercizio della democrazia da parte dei cittadini.

Durante questi anni di continue riforme elettorali è chiaramente percepibile l’abbandono degli obiettivi sociali, economici e politici propriamente detti della lotta dei partiti e della loro ragion d’essere, mentre al loro posto appaiono altri obiettivi che non hanno niente a che vedere con i problemi quotidiani dei cittadini, con i bisogni della società. Perciò, questa revisione storica di una corrente della sinistra di partito, evidenzia che chiamare democrazia le elezioni non è un semplice errore concettuale, ma è l’origine dell’abbandono della lotta per una società nuova e più giusta che anticamente chiamavano socialista.

L’osservazione delle istanze di questi partiti nell’insieme, permette inoltre di rilevare come, in pochissimi anni, i loro obiettivi si siano ridotti sia come partito politico che opposizione di sinistra, e continuino a rivolgere la loro attenzione allo Stato, concentrando il loro interesse sull’ottenere più risorse finanziarie, più spazio sui mezzi di comunicazione e nuovi spazi di potere, e identificandosi sempre di più con un sistema che fornisce loro il necessario per vivere e riprodursi.

In termini diretti: 40 anni di partecipazione politica dentro il sistema elettorale legale dimostrano che l’unica cosa che la sinistra istituzionale è riuscita a rafforzare, è il sistema nel suo insieme, legittimarlo e prolungare la sua esistenza, ma non distruggerlo, e nemmeno cambiarlo. Ma peggiorarlo ancora di più. Durante questi 40 anni è iniziato un nuovo ciclo di accumulazione, si è sviluppato ed è ancora in corso “un violento processo di espansione universale della relazione di capitale, di ristrutturazione delle relazioni tra i multipli capitali e, soprattutto, delle forme e contenuti della dominazione, la resistenza e la ribellione”[17] senza che apparentemente quegli stessi partiti politici di sinistra si rendessero conto del ruolo che stavano svolgendo dai diversi spazi di potere che hanno occupato, in maniera particolare ed ininterrotta, nelle camere del Potere Legislativo federale. Spetta loro il per nulla rispettabile merito storico di avere avallato le successive riforme che hanno condotto a trasformare la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani in un “grande codice commerciale” [18]  perché nel centenario della sua promulgazione, questa “non tutela più i diritti dei contadini, dei lavoratori o degli indigeni. Nemmeno garantisce alla popolazione i diritti alla salute, all’educazione, al lavoro; né protegge le proprietà nazionali, collettive e comunali. Al contrario, ora privilegia gli interessi del capitale. Spiana la strada ai grandi commerci sui diritti economici, sociali, culturali ed ambientali dei messicani.”[19] Se hanno trasformato la Costituzione in un codice commerciale, al sistema giuridico nel suo insieme hanno fornito gli strumenti per funzionare come un altro dei “mezzi di spoliazione”[20] del capitale contro i popoli indigeni.

Tra i disastrosi risultati che hanno disseminato in tutto il paese i partiti politici della sinistra istituzionale che si vantano di avere “preso il potere”, per la via elettorale, in differenti spazi e livelli di governo, abbondano i motivi per porre le basi e promuovere una forma alternativa di partecipazione politica che il CNI si dispone ad avviare per “eliminare dalle comunità tutto quello che ci divide: partiti politici, programmi e progetti di governo e tutto quello che ci divide, e riconciliarci come popoli.”[21]

Sebbene il CNI e l’EZLN abbiano chiesto che l’indignazione, la resistenza e la ribellione che si respirano in tutto il Messico figurino nelle schede elettorali del 2018, l’hanno fatto precisando che “non è nostra intenzione competere in niente con i partiti e tutta la classe politica che ancora ci deve molto: ogni morto, scomparso, carcerato, ogni depredazione, ogni repressione ed ogni disprezzo. Non confondeteci, non vogliamo competere con loro perché non siamo la stessa cosa, non siamo le loro parole bugiarde e perverse. Siamo la parola collettiva del basso e a sinistra, quella che scuote il mondo quando la terra trema con epicentri di autonomia, e che ci rendono orgogliosamente diversi […]”[22]

La decisione del V Congresso del CNI, previa consultazione, di nominare un Consiglio Indigeno di Governo collettivo, con rappresentanti di ogni popolo, tribù e nazione che lo compongono e con una portavoce donna indigena che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico nelle elezioni del 2018, ha come una delle sue mete non di andare contro i “partiti di sinistra” che aspirano a “prendere il potere” a quelli di sopra – glielo lasciano! – bensì esercitare il potere che hanno quelli in basso quando sono organizzati. Proponendosi di partecipare alle prossime elezioni federali, il Consiglio Indigeno di Governo non divide la sinistra istituzionale dedita a dividersi da sé stessa, né toglie voti ai partiti, dato che ci sono troppi cittadini nella nostra società, forse più del 50% distribuiti su tutto il territorio della Repubblica Messicana e fuori, che sono stufi e da anni non vogliono saperne niente dei partiti politici.

Per questo e forse pensando a loro l’EZLN stima che l’azione del CNI intorno a questo Consiglio e a questa donna indigena potrebbe generare “un processo di riorganizzazione combattiva non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini, impiegati, coloni, maestri, studenti, infine, di tutta quella gente il cui silenzio e immobilismo non sono sinonimi di apatia, ma di assenza di proposte […], potrebbe nascere un movimento dove confluiscano tutti gli “abajos“, un grande movimento che sconvolga l’intero sistema politico.”[23]

La proposta dell’EZLN-CNI non divide, mette allo scoperto i partiti politici, proponendosi come oggettivo quello di unire, ricostituire i popoli indigeni e ricostruire il CNI; riunire i popoli per dare un’altra volta visibilità agli indigeni e a quello che sta succedendo nei loro territori; trovarsi con altri indigeni, parlare ed ascoltare altri popoli originari; unire popoli, nazioni e tribù che non fanno parte del CNI e che accettino i principi di comandare ubbidendo; trovarsi con altri ed altre che non sono indigeni, ma che ugualmente soffrono senza speranza né alternative.

La proposta del CNI-EZLN vuole scuotere la coscienza della nazione, è un appello all’unione e all’organizzazione dei popoli indigeni e della società civile per fermare la distruzione del paese, per difendere la vita individuale e collettiva, per rafforzare le resistenze e le ribellioni, rafforzare il potere in basso e a sinistra in una prospettiva contro il neoliberismo, contro il capitalismo.

Città del Messico/San Cristóbal de Las Casas, 14 aprile 2017

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://radiozapatista.org/?p=21631

 

* Docente di Scienze Politiche alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.

[1] Leopoldo Ramos, “Il capo di Governo crede che il sole azteco possa unirsi”, Saltillo, Coah., La Jornada, 8 marzo 2017, p. 13.

[2] Paulina Fernández Christlieb, Justicia Autónoma Zapatista. Zona Selva Tzeltal. México, Estampa Artes Gráficas/Ediciones Autónom@s, 2014, p. 298.

[3] Susana González G. “México, tercer país que más paga por transferir apoyos a pobres”. La Jornada, 20 de marzo de 2017, p. 18.

[4] 2ª. Declaración de la compartición CNI- EZLN sobre el despojo a nuestros pueblos. 16 de agosto de 2014.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2014/08/16/2a-declaracion-de-la-comparticion-cni-ezln-sobre-el-despojo-a-nuestros-pueblos/

CNI-EZLN. Que retiemble en sus centros la tierra, 14 de octubre de 2016.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/14/que-retiemble-en-sus-centros-la-tierra/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

[5] Comunicado CNI-EZLN. Parte de guerra y de resistencia # 44, 22 de septiembre de 2016.

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/09/22/parte-de-guerra-y-de-resistencia-44/

[6] José López Portillo. Sexto Informe de gobierno. Informe complementario. México, Talleres Gráficos de la Nación, 1982.

[7] Una exposición más extensa y detallada está publicada en Paulina Fernández Christlieb, “Desde el pasado del PRD, por las reformas electorales”, en Arturo Anguiano (Coord.), Después del 2 de julio ¿dónde quedó la  transición? Una visión desde la izquierda. México, UAM-X, 2001, pp. 177-203.

[8] Ibid. p. 130.

[9] Ibid. p. 131.

[10] Ibid. p. 134.

[11] Dip. Arnoldo Martínez Verdugo, del PSUM. “Tercera Audiencia Pública. Partidos Políticos Nacionales”. Renovación Política. Renovación Política Electoral. 1. Audiencias Públicas de Consulta, México, Secretaría de Gobernación, septiembre de 1986, p. 161.

[12] “El C. Arnoldo Martínez Verdugo, del PMS.” “Primera Audiencia Pública. 1° de febrero de 1989. Derechos políticos y representación nacional.” Consulta Pública sobre Reforma Electoral. Memoria 1989. I. México, Comisión Federal Electoral, 1989, p. 79-82.

[13] Firmarono questo accordo: Diego Fernández de Cevallos, candidato del PAN a la Presidencia de la República; Luis Donaldo Colosio Murrieta, candidato del PRI a la Presidencia de la República; Fernando Ortíz Arana, Presidente del CEN del PRI; Cuauhtémoc Cárdenas, candidato del PRD a la Presidencia de la República; Porfirio Muñoz Ledo, Presidente Nacional del PRD; Rafael Aguilar Talamantes, candidato y Presidente del PFCRN; Rosa María Denegri, Presidente Nacional del PARM; Marcelo Gaxiola Félix, candidato y Presidente del PDM; Pablo Emilio Madero, candidato del PDM a la Presidencia de la República; Cecilia Soto, candidata del PT a la Presidencia de la República; y Jorge González Torres, candidato y Presidente del PVEM.

[14] “Compromiso para la paz, la democracia y la justicia. 27 de enero de 1994” en Guillermo Flores Velasco y Jorge Torres Castillo (Comps.) La reforma del Estado: agendas de la transición, México, INFP-PRD, 1997, p. 187-191.

[15] Diario de los Debates de la Cámara de Diputados, 22 de marzo de 1994, y Diario de los Debates de la Comisión Permanente del Congreso de la Unión de los Estados Unidos Mexicanos, 24 de marzo de 1994. También puede consultarse: 1994 tu elección. Memoria del Proceso Electoral Federal. México, IFE, 1995, p 23 y ss.

[16] Cfr. Ibid., p. 128 y ss., y “Conclusiones alcanzadas en la Secretaría de Gobernación por el Partido Revolucionario Institucional, el Partido de la Revolución Democrática y el Partido del Trabajo en materia de reforma electoral y reforma política del Distrito Federal”, publicado en los principales diarios de circulación nacional el 22 de abril de 1996.

[17] Rhina Roux, “El Príncipe fragmentado” en Gilly, Adolfo y Rhina Roux, El tiempo del despojo. Siete ensayos sobre un cambio de época. México, Editorial Itaca, 2015, p. 115.

[18] “Il docente in diritto Manuel Fuentes Muñiz s segnala che l’attuale modello di Costituzione non corrisponde agli interessi nazionali. ‘È un modello dove si è sostituito il paese con l’impresa. È l’impresa e gli investimenti quello che ora si protegge. Questo ha a che vedere con l’usura e col profitto privato. Ora abbiamo uno Stato piccolo ma rozzo. Abbiamo un codice commerciale più che un codice sociale’, sostiene.” Intervista di Zósimo Camacho edito in: “A 100, la Costituzione privilegia interessi del capitale” per Contralínea 524, 29 gennaio-04 febbraio 2017. http://www.contralinea.com.mx/archivo-revista/index.php/2017/01/29/a-100-la-constitucion-privilegia-intereses-del-capital/

[19] Idem.

[20] Escribió el SupGaleano: “En pocas palabras: para los pueblos originarios el sistema jurídico es sólo un medio de despojo.” Comisión Sexta del EZLN. El Pensamiento Crítico frente a la Hidra Capitalista I. s.p.i., p. 289.

[21] Acuerdos del V Congreso Nacional Indígena CNI. Ratificación de acuerdos alcanzados en mesas y plenaria del 31 de diciembre de 2016. Documento leído el 1 de enero de 2017 en el Caracol de Oventik. Audio: http://radiozapatista.org/?p=19968 (transcripción PFC).

[22] CNI y EZLN. ¡Y Retembló!, Informe desde el epicentro… Declaración del V Congreso Nacional Indígena. Desde Oventik, Territorio Zapatista, Chiapas, México, 1 de enero de 2017. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/01/y-retemblo-informe-desde-el-epicentro/

[23] Subcomandante Insurgente Moisés y Subcomandante Insurgente Galeano. Una historia para tratar de entender. 17 de noviembre de 2016. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/17/una-historia-para-tratar-de-entender/

 

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Lettera del movimento delle donne del Kurdistan a Maria de Jesus Martinez .

LETTERA DEL MOVIMENTO DELLE DONNE DEL KURDISTAN (KOMALÊN JINÊN KURDISTAN) A MARÍA DE JESÚS PATRICIO MARTÍNEZ, PORTAVOCE DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

19 GIUGNO 2017

Alla compagna María de Jesús Patricio Martínez, rappresentante della volontà del popolo indigeno del Messico e del Congresso Nazionale Indigeno.

In primo luogo, vogliamo mandare alla nostra sorella messicana il nostro più profondo rispetto e il nostro saluto rivoluzionario dalle montagne del Kurdistan fino alle catene montuose della Sierra Madre oltreoceano. Nonostante i fiumi, le montagne, i deserti, le valli, i canyon e i mari che ci separano, siamo fratelli e sorelle indigene, non importa in che parte del mondo stiamo. La nostra lotta, la nostra resistenza contro l’occupazione e il colonialismo, il nostro sogno per una vita libera è comune e in questo senso, come Movimento di Liberazione del Kurdistan, dichiariamo che consideriamo la lotta per l’autodeterminazione, l’auto-amministrazione e l’autodifesa dei popoli indigeni del Messico organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) come nostra e la sosteniamo basandoci sui principi della solidarietà rivoluzionaria. I popoli indigeni sono le vene attraverso le quali i principi e i valori culturali e sociali dell’umanità vengono trasmessi dai primi momenti della socializzazione fino ai giorni nostri. Senza dubbio nessun popolo è superiore ad un altro, ma in un momento in cui la modernità capitalista vuole distruggere ogni valore collettivo, i popoli indigeni sono la dimostrazione del tessuto sociale di tutta l’umanità. Migliaia di anni di memoria collettiva risorgono nelle nostre canzoni, nei nostri rituali, nelle nostre preghiere, nei nostri tatuaggi, nelle nostre danze e nelle nostre tradizioni. La lotta per un’identità propria, contro i tentativi della modernità capitalista di cancellare le radici e la memoria dei nostri popoli, si trasforma quindi nella più preziosa delle resistenze. Sia in America Latina che in Kurdistan, le donne guidano questa resistenza. Nei nostri paesi, che sono stati le culle di migliaia di anni di cultura della dea madre, la donna e la vita, la donna e la libertà, la donna e la terra, la donna e la natura sono indissolubilmente vincolate.

In Kurdistan esprimiamo questa realtà con il nostro motto “Jin Jîyan Azadî”, che significa “Donna Vita Libertà”. Il corpo e l’anima della donna sono il riflesso dell’universo sulla terra. Migliaia di anni fa, durante la Rivoluzione Neolitica, furono le donne tramite la loro organizzazione sociale a guidare tutti i cambiamenti che resero possibile la coltivazione della terra e l’inizio di una vita sedentaria in armonia con la natura. Questa è la ragione per la quale la civilizzazione patriarcale dello stato, che si è manifestata sotto forma di una controrivoluzione basata sul dominio, sullo sfruttamento e l’occupazione, ha schiavizzato innanzitutto le donne. Parallelamente al dominio delle donne è andato accelerando il dominio della natura. È stato attraverso il dominio della prima natura che è nata la seconda, entrambe sono state trasformate nelle pinze che la modernità capitalista ha usato per spremere con forza la società storica e poterla così distruggere. Il dominio attuale esercitato contro i nostri popoli è il risultato di questa mentalità. La resistenza nata in nome dell’autogoverno, dell’autodeterminazione e dell’autodifesa, rappresenta quindi la lotta più importante che possa essere esercitata per la libertà.

Noi in Kurdistan abbiamo sviluppato la nostra difesa contro le forze capitaliste moderne e gli attacchi degli stati colonialisti che occupano il nostro territorio, illuminati dalle lotte dei popoli indigeni dell’America Latina. Vogliamo che sappiate che riceviamo un’ispirazione costante e speciale dalle vostre esperienze di autogoverno, di buon governo e di comunitarismo. Speriamo che le nostre esperienze e i nostri successi nella lotta rappresentino allo stesso modo, anche per voi, delle fonti d’ispirazione. Una delle principali conquiste del nostro movimento è l’uguaglianza di partecipazione e di rappresentanza delle donne. È il risultato di grandi sacrifici e lotte intense portate avanti dalle donne, ma alla fine abbiamo ottenuto la nostra partecipazione paritaria in tutti gli organi decisionali. Non come individui, ma come rappresentanti della volontà organizzata e collettiva del Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan, stiamo prendendo il nostro posto in ogni aspetto della lotta. Con il nostro sistema di co-presidenze, stabilite dal basso verso l’alto, rappresentiamo la volontà delle donne in ogni decisione e sviluppiamo una politica democratica contro le forme centralizzate e patriarcali della politica tradizionale. Ma per questo è stato necessario diventare definitivamente una forza organizzata. Essere organizzate è il criterio più importante per raggiungere la vittoria. Nella misura in cui saremo organizzate, riusciremo a resistere contro il sistema colonialista e dominante e costruire la nostra alternativa di governo. In tal senso, l’organizzazione è la nostra arma principale di autodifesa. In passato molti popoli e movimenti non sono riusciti ad ottenere i risultati sperati perché non erano sufficientemente organizzati. Non è stato possibile trasformare alcuni momenti storici in grandi vittorie proprio per questa mancanza di organizzazione. Forse non è stato capito fino in fondo il significato di questo fatto, ma oggi siamo in un’altra epoca. Ci troviamo di fronte al dovere di moltiplicare i nostri sforzi per aumentare il livello di organizzazione di fronte a questa nuova opportunità di vittoria, in un momento in cui il sistema capitalista moderno sta attraversando una profonda crisi nei suoi aspetti più determinanti. La storia ci chiede questo. Voi come Congresso Nazionale Indigeno siete stati capaci di riconoscere questa realtà, dichiarando le elezioni presidenziali in Messico come un’istanza chiave nel processo che porterà a un aumento del vostro livello di organizzazione.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan vogliamo esprimere il nostro sostegno a questa decisione, basandoci sulla convinzione che questo obiettivo sarà raggiunto e portato a un livello ancor più alto a partire da queste elezioni e dalle strategie sviluppate a tal proposito. Il nostro leader Abdullah Öcalan, che dal 1999 è incarcerato in durissime condizioni di isolamento dallo stato colonialista turco, ha fatto un’analisi molto importante rispetto a tutto ciò verso la fine del XX secolo. Il nostro leader Apo, ha previsto che il XXI secolo sarebbe stato il secolo della liberazione delle donne se noi come tali fossimo state capaci di crescere e determinare i nostri modi e meccanismi di organizzazione. La ragione di questa conclusione è l’evidente crisi strutturale del sistema patriarcale, basato sulla nostra schiavitù. Il sistema patriarcale pretende di superare questa crisi aumentando i suoi attacchi contro le donne fino a portarli al livello di una guerra sistematica. Concentrando i suoi attacchi contro le donne di tutto il mondo con mezzi e metodi diversi, il sistema cerca di spezzare il cammino che abbiamo inaugurato verso la liberazione. Gli assassinii delle donne nel vostro paese hanno raggiunto il livello di un genocidio e le uccisioni di leader donne in America Latina sono indicatori ancor più concreti di questa realtà.

Vogliamo che sappiate che consideriamo tutte le donne e le leader dei popoli indigeni che sono state assassinate dalle braccia che agiscono per il sistema dominante, come nostre martiri e lottiamo anche per far diventare realtà i loro sogni e le loro speranze. Per noi i martiri non muoiono. In loro troviamo la forza e loro rinascono in ogni lotta che iniziamo. In questo contesto, la decisione del popolo indigeno messicano di nominare una compagna come rappresentante della propria volontà e farne la propria candidata alle prossime elezioni presidenziali, è molto significativa. A tal proposito, la compagna Marichuy non è solo la portavoce degli indigeni del Messico, ma allo stesso tempo di tutte le donne del mondo. Consideriamo molto importante e preziosa la candidatura della compagna Marichuy come rappresentante dei popoli negati, delle donne schiavizzate e delle migliaia di anni di saggezza ancestrale che la modernità capitalista vuole far sparire.

Come Movimento di Liberazione delle Donne del Kurdistan dichiariamo tutto il nostro sostegno e la nostra solidarietà alla compagna e al Congresso Nazionale Indigeno, non solo in questo momento di congiuntura elettorale, ma per tutta la lotta che il suo Movimento sta portando avanti. Sappiamo che non è rilevante di per sé il risultato delle elezioni, visto che è solo uno dei sentieri che i popoli indigeni del Messico hanno aperto in questo processo e in questa fase particolare della lotta. In questo senso la vittoria è già data. Perché il sistema capitalista moderno si alimenta delle divisioni delle forze e della disorganizzazione dei popoli e della società che vuole dominare; voi però avete già costruito il terreno per il successo formando la vostra unità organizzata. D’ora in avanti è importante non perdere di vista questo obiettivo, che non è altro che quello di crescere organizzandosi. Il vostro successo sarà il nostro. La nostra lotta è la vostra. Siamo il popolo fratello delle montagne che sono nate dalle stesse acque profonde. Persino dalle nostre lingue diverse condividiamo gli stessi sogni, ci innamoriamo delle stesse utopie e resistiamo in onore dello stesso amore. Da qui vi mandiamo tutta la forza necessaria ad affrontare questa nuova tappa, vi salutiamo con i nostri sentimenti rivoluzionari più genuini e vi abbracciamo con tutta la nostra solidarietà e tutto il nostro cameratismo.

Viva la fratellanza dei Popoli!

Viva l’Internazionalismo Rivoluzionario!

Donna Vita Libertà! Jin Jîyan Azadî

 

Coordinamento del Movimento delle Donne del Kurdistan Komalên Jinên Kurdistan (KJK)

7 giugno 2017

 

Traduzione a cura di 20zln

Testo originale: https://www.congresonacionalindigena.org/2017/06/19/carta-del-movimiento-mujeres-kurdistan-komalen-jinen-kurdistan-maria-jesus-patricio-martinez-vocera-del-concejo-indigena-gobierno/

 

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Brigadas Civiles de Observación (BriCO)

       

Partecipa alle Brigate Civili di Osservazione del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, Chiapas, Messico

https://frayba.org.mx/solidaridad/

https://frayba.org.mx/

Solidaridad

Este equipo tiene bajo su responsabilidad el programa de las Brigadas Civiles de Observación (BriCO) que mantiene activos distintos Campamentos Civiles por la Paz en Chiapas, cuya tarea aporta para el monitoreo de actores y efectos del conflicto armado interno, a través de diversos instrumentos de documentación, el acompañamiento y la observación sistemática en comunidades en riesgo de sufrir agresiones y violaciones a derechos humanos a causa del conflicto armado, promoviendo la solidaridad de la sociedad civil con los procesos locales. También analiza la evolución del conflicto y realiza acciones de intervención, difunde información sobre el estado que guarda el conflicto en Chiapas y promueve acciones de solidaridad con organizaciones civiles nacionales e internacionales. Se busca disuadir posibles agresiones en comunidades amenazadas, a través de la presencia de observación nacional e internacional. Se promueve y refuerza la colaboración voluntaria y desinteresada a través de la vinculación con organizaciones, instituciones académicas, comités, plataformas y estudiantes.Brigadas Civiles de Observación (BriCO)

Para documentar y disuadir posibles violaciones a Derechos Humanos este Centro mantiene, desde 1995, distintos Campamentos de Observación Civil y por la Paz en pueblos indígenas y campesinos de Chiapas. Las Brigadas Civiles de Observación (BriCO) son un espacio civil que ayuda a mantener la esperanza, conservar la dignidad y generar condiciones para reconstruir el tejido social de las comunidades, con respeto a su dinámica propia y conforme a su autodeterminación como pueblos originarios.

Breve historia de las Brigadas Civiles de Observación (BriCO)

A partir del levantamiento armado del Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) el 1 de enero de 1994, la vida política del país y en particular del estado de Chiapas, ha traído como consecuencia una serie de cambios importantes.El trabajo realizado desde este proyecto lo entendemos como parte inherente a la acción de defensa y promoción integral de los derechos humanos e indígenas. Desde 1995, cuando se realiza una fuerte ofensiva militar en contra de diferentes comunidades indígenas, el presidente de este Centro, Mons. Samuel Ruiz García, hace una convocatoria nacional e internacional para que se tenga una presencia civil que pueda acompañar a las comunidades frente a la situación de conflicto. Esta convocatoria ha sido fundamental ya que muchas comunidades han sido beneficiadas con la presencia de observadores nacionales e internacionales, lo cual ha favorecido una situación no solo de observación sino de previsión y actuación del Centro de Derechos Humanos frente a la situación que se vive en las comunidades.Dada la situación que prevalece en el estado de Chiapas, la solidaridad de muchas organizaciones nacionales e internacionales ha posibilitado la articulación y acciones de solidaridad, que han tenido un alcance significativo en la denuncia y acompañamiento, logrando ser actores que han favorecido con su presencia y con sus acciones posteriores, un aporte significativo al proceso de Paz.Este proyecto se realiza a partir de un servicio a las comunidades, desde tres ejes fundamentales: el acompañamiento de inserción en las comunidades, la documentación de contexto y la solidaridad, lo cual requiere de un trabajo Nacional e Internacional.Las funciones de las BriCO son las siguientes:

    • Acompañamiento a las comunidades afectadas por la violencia en el estado, siempre bajo el principio de la no-intervención.
    • Ser testigo de la situación en las regiones en conflicto y documentarla.
    • Asegurar el flujo de información entre las comunidades y el Frayba.
    • Acompañamiento en situaciones especiales, como pueden ser retornos de desplazados internos.
    • Difusión de información en los lugares de origen de los voluntarios.

Requisitos para participar en este proyecto civil de observación de Derechos Humanos:

1. Contar con una carta aval y preparación de una organización solidaria con la que este Centro colabora. Aquí puedes encontrar la lista de los colectivos que actualmente colaboran con el Frayba para las BriCO. Si es la primera ves que tu organización, colectivo o escuela envía voluntarios, debes presentárnosla.
2. Hablar fluidamente el español.
3. Tener disponibilidad mínimo de 15 días de estancia en una comunidad.
4. Ser mayor de 18 años.
5. Fotocopia de documentos

  • Para mexicanos: credencial de elector, escolar o licencia de conducir vigentes.
  • Para extranjeros: pasaporte y visa vigente.

7. Llenar la ficha de registro de participantes (que se te proporcionara a tu llegada).
8. Participar en los talleres de preparación que realiza la coordinación, mismos que son impartidos los lunes a las 10:00 a.m en las oficinas del Frayba.

¿Cumples estos requisitos y quieres participar?

Escríbenos: bricos@frayba.org.mx
Llama al Tel: (0052)/(01) 967 67873-95 ó -96.
O visítanos directamente en nuestras oficinas ubicadas en Calle Brasil No. 14, Barrio de los Mexicanos, en San Cristóbal de las Casas, Chiapas, México.Voluntariado

La contribución de las y los voluntarios en el Frayba, es un aporte valioso para nosotros. Por la complejidad del contexto en Chiapas y el trabajo de la defensa de los Derechos Humanos, el voluntariado debe ser de al menos 6 meses. Lamentablemente este Centro no cuenta con recursos económicos para retribuir o cubrir necesidades (casa, alimentos, pasajes o becas) a los aportes voluntarios que generosamente nos ofrecen.Los requisitos que solicitamos para realizar un voluntariado, estancias y/o prácticas son:

  • Curriculum Vitae.
  • Carta de intención (explicando los motivos de tu colaboración).
  • Plan de estancia (lapso de tiempo disponible -mínimo 6 meses-, horarios, necesidades, etc).
  • Dos cartas de recomendación (personales o institucionales)

Para esta modalidad puedes escribir a:
solidaridad@frayba.org.mx Aquí puedes encontrar las área de trabajo de este Centro.¡Gracias por tu interés en colaborar con nosotros!   https://frayba.org.mx/solidaridad/

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Solidarietà con la Comunità di Cruztón.

Carta en solidaridad por el cobarde asesinato del compañero Guadalupe Huet Gٔómez a los compañeros y compañeras de la comunidad de Cruztón, Municipio Venustiano Carranza.

 

A l@s compañer@s de la comunidad de Cruztón, Municipio Venustiano Carranza, Chiapas, México.

A l@s familiares del compañero Guadalupe Huet Gómez.

Al CNI y al Concejo Indígena de Gobierno.

Al Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN).

A la Sexta Nacional e Internacional.

A las Juntas de Buen Gobierno.

 

Lunes, 12 de junio de 2017

Expresamos nuestro dolor y nuestra rabia por el cobarde asesinato del compañero Rodrigo Guadalupe Huet Gómez de la Comunidad de Cruztón.

Como compañer@s solidarios y campamentistas estuvimos a lado de la comunidad de Cruztón en su lucha ejemplar por la recuperación y la defensa de su tierra y su resistencia contra la represión y violencia del malgobierno.

El asesinado del compañero Guadalupe es una muestra más de que el malgobierno, con su caciques y servidores, se pone cada vez más violento cuánto más los pueblos luchan, se emancipan y consiguen su autonomía.

Nosotr@s, compañeras y compañeros del Comitato Chiapas “Maribel” de Bergamo, Italia, desde nuestra geografía les expresamos nuestro profundo pésame pero, antes que nada, queremos decirles que los familiares del compañero Guadalupe, la comunidad de Cruztón y las comunidades indígena en resistencia y rebeldía no están sol@s, porqué la lucha de ustedes para la libertad y la justicia es la misma lucha de nosotr@s, además que un ejemplo necesario para tod@s nostr@s.

No están sol@s.

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, Italia

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CNI: Aggressioni contro le comunità.

L’offensiva di sopra dinanzi al movimento dal basso

Noi del Congresso Nazionale Indigeno: popoli, nazioni, tribù e quartieri indigeni di questo paese, facciamo appello ai popoli del Messico indigeni e non indigeni, alle organizzazioni oneste dei diritti umani, ai mezzi di comunicazione, alla comunità scientifica e intellettuale, per ripudiare l’escalation repressiva contro compagni e compagne dei nostri popoli in cui si stanno nominando consiglieri che faranno parte del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico, cosa che per noi rappresenta un’aggressione contro il CNI e contro la nostra proposta lanciata a tutta la nazione; ragione per cui denunciamo e segnaliamo che:

In Chiapas, cresce l’ostilità e la grave tensione che i malgoverni hanno generato nell’ejido Tila, a opera di cacicchi legati a gruppi paramilitari, nel loro intento di far ritornare il malgoverno nella comunità, come il leader paramilitare di Paz y Justicia Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, che hanno sparato e, accompagnati da altre persone appartenenti alla loro organizzazione, hanno chiuso l’accesso al villaggio di Tila; recentemente, il giorno 5 giugno di quest’anno, hanno bloccato la strada che va da Tila a Salto de Agua all’altezza dell’ospedale integrale di Tila e dall’altra parte, sulla strada da Tila a Yajalon, anche bloccando i sentieri nei terreni dell’ejido con persone incappucciate e armate. L’escalation di aggressioni si è acutizzata a partire da una mobilitazione, realizzata da questo gruppo lo scorso 2 giugno nella città di Tuxtla Gutiérrez, guidata da appartenenti ai partiti e da paramilitari di Paz y Justicia.

Attribuiamo la responsabilità al malgoverno nei suoi tre livelli per ciò che potrà succedere, e chiamiamo alla solidarietà con i nostri fratelli e sorelle dell’ejido Tila.

Nello stesso stato, i ricchi pretendono di sottrarre nuovamente la terra degnamente recuperata dai nostri fratelli della comunità San Francisco, municipio di Teopisca, membri del gruppo di lavoro Semilla Digna, come nel caso dell’aggressione realizzata dai ricchi Juan Hernández Molina, Pedro López Girón e Pedro Hernández Espinoza. Lo scorso 4 giugno del presente anno si è presentato il signor Pedro López Girón, accompagnato da un gruppo di circa 50 persone che hanno distrutto violentemente la sbarra, il filo spinato e il recinto dei cavalli che delimita le terre recuperate il 19 settembre 2016. In quel giorno hanno minacciato le compagne di violarle sessualmente e hanno minacciato di sgomberare di notte accompagnati dalla forza pubblica. Condanniamo questi vili attacchi, esigiamo il pieno rispetto del territorio recuperato dai nostri fratelli di San Francisco e la cancellazione definitiva dei sei ordini di cattura esistenti contro nostri compagni.

Sempre in Chiapas, lo scorso 28 maggio è stata scassinata la casa della compagna Alejandra Padilla, del gruppo di lavoro Semilla Digna, ed è stato rubato dalla sua abitazione un computer portatile, che conteneva informazioni sull’accompagnamento che aveva fatto con le comunità indigene del CNI nelle loro lotte, essendo parte del gruppo di lavoro del CIDECI-UNITIERRA.

Il 22 maggio di quest’anno, alle 5:20, un gruppo paramilitare identificato come Nuevo Guadalupe Victoria ha attaccato con armi di grosso calibro un gruppo di compagni e compagne della comunità di Cruztón, che partecipano al CNI; alle 7:00, il nostro compagno Rodrigo Guadalupe Huet Gómez è uscito dal luogo in cui si era riparato dall’attacco per verificare se gli aggressori si fossero ritirati, ed è stato colpito da un proiettile alla tempia. Gli aggressori sono stati identificati come provenienti dall’ejido Guadalupe Victoria.

Nel Querétaro esigiamo l’immediata libertà dei compagni Otomís Jerónimo Sánchez e Anselmo Robles, delegati del Congresso Nazionale Indigeno, che insieme a Pablo González e Luis Alberto Reyes si trovano sequestrati dal malgoverno, a causa di ordini di cattura emessi contro di loro dalla Nona Corte Penale di Prima Istanza, per il presunto delitto di essere autori intellettuali di ammutinamento aggravato, che non è considerato grave: ragione che gli dovrebbe consentire la libertà provvisoria, diritto che è stato loro negato. Per noi è chiaro che queste accuse servono a bloccare la lotta, l’onestà e la coerenza che hanno dimostrato i nostri compagni.

Nel Morelos, salutiamo la lotta degna del popolo Nahua di Tepoztlán, contro l’ampliamento dell’autostrada La Pera-Cuautla, e ripudiamo qualsiasi tentativo di repressione mediante l’uso di polizia o gruppi d’assalto come quello che ha fatto irruzione il 7 giugno di quest’anno, comandato dall’ex presidente municipale Gabino Ríos, per smantellare il presidio con l’intenzione di generare violenza per attaccare i nostri compagni, sia nell’autostrada che nel palazzo municipale. Compagne e compagni, non siete sole né soli.

Nello Stato del Messico, la comunità Ñuhú, di Santa Cruz Ayotuxco, municipio di Huixquilucan, fronteggia la distruzione del proprio territorio, in totale mancanza di qualsiasi garanzia giuridica, mentre le macchine del malgoverno e delle imprese costruttrici devastano il bosco otomí mexíca per costruire l’autostrada Toluca-Naucalpan. Nonostante dal 26 aprile scorso sia stata notificata la sospensione giudiziaria di detta opera, essa non è stata rispettata né dalle autorità del malgoverno né dalle imprese costruttrici, in violazione delle leggi stesse del malgoverno.

Nel Michoacán, i malgoverni tengono ancora sequestrati i compagni della comunità di Calzontzin, municipio di Uruapan, Ramón Ortiz Marín, Daniel Pérez Anguiano, Francisco Javier Rodríguez Amezcua, Lorenzo Aguirre Rangel, Jorge Daniel Oros Cuin, José Luis Rangel Rangel, Humberto Romero Martinez, Josué Yair Romero Ortiz, Guillermo Romero Ortiz, José Alejandro Esquivel Alvarez, José Artemio Zinzun Galván, Juan Zavala Guevara, Jose de Jesus Belmontes Arrollo, Roberto Isidro Jiménez, Juan Carlos Rangel Morales, Angrey Raúl García González e Jesus Magdalena Chávez, a seguito della repressione effettuata dal malgoverno contro la comunità lo scorso 24 febbraio. Esigiamo l’immediata libertà dei nostri compagni ingiustamente arrestati.

Nel Campeche e in Guatemala, denunciamo il saccheggio e la distruzione delle case e terre, che costringono i nostri compagni mayas kekchi e chu del Petén, Guatemala, a vivere da sfollati, per mano di militari che sono dislocati per presunti conflitti armati, delle devastazione capitalista delle risorse naturali e dei latifondi protetti dai malgoverni di quel paese. Cosa che ha portato centinaia di fratelli a Candelaria, Campeche, dove hanno montato un accampamento per resistere e dare visibilità alla guerra capitalista che affrontano nelle loro terre, a pochi metri dalla frontiera messicana.

Denunciamo pertanto l’acutizzarsi della guerra contro i nostri popoli, la tormenta che lampeggia nel cielo e che cerca di porre fine alla speranza per tutti i messicani rappresentati dal Consiglio Indigeno di Governo e dalla nostra portavoce, con l’utilizzo di gruppi d’assalto e gruppi paramilitari per colpire la lotta dei popoli che fanno parte del CNI, con la criminalizzazione e persecuzione di chi lotta per un mondo giusto, dal basso e a sinistra.

A chi pensa che la nostra lotta cadrà a opera della sua repressione, ricordiamo che questo cammino è per la vita e la libertà, e pertanto la morte non lo fermerà, bensì tutto il contrario, e continuiamo a chiamare la società civile a essere cosciente, solidale e attenta a questa lotta, a questa offensiva, che è per ricostruite la democrazia, la libertà e la giustizia per tutte e tutti.

Cordialmente

Giugno 2017

Per la Rivendicazione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/06/10/la-ofensiva-de-arriba-ante-el-movimiento-de-abajo/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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CompArte 23-29 Luglio 2017.

 “Scegli da che parte stare, dalla parte della ragione, o dalla parte della forza”.

Per il “Comparte per l’Umanità” che si svolgerà dal 23 al 29 luglio 2017 nel caracol di Oventik ed il CIDECI-UniTierra, scrivere a:

Se vuoi partecipare: participantescomparte2017@ezln.org.mx

Se vuoi assistere: asistentescomparte2017@ezln.org.mx

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/

 

 

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L’ORA E’ GIUNTA.

L’ORA È GIUNTA

Invitiamo tutti i settori della società a seguire le iniziative che deciderà e definirà il Consiglio Indigeno di Governo attraverso la nostra portavoce, a non arrendersi, non vendersi, non deviare né riposare e continuare ad intagliare la freccia che porterà all’offensiva di tutti i popoli indigeni e non indigeni, organizzati e non organizzati, per puntarla contro il vero nemico.

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Dichiarazione dell’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo

L’ORA È GIUNTA

Al popolo del Messico

Ai popoli del Mondo

Ai mezzi di comunicazione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Dall’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo, dove ci siamo dati appuntamento popoli, comunità, nazioni e tribù del Congresso Nazionale Indigeno: Apache, Amuzgo, Chatino, Chichimeca, Chinanteco, Chol, Chontal de Oaxaca, Chontal de Tabasco, Coca, Cuicateco, Mestizo, Hñähñü, Ñathö, Ñuhhü, Ikoots, Kumiai, Lakota, Mam, Matlazinca, Maya, Mayo, Mazahua, Mazateco, Me`phaa, Mixe, Mixe-Popoluca, Mixteco, Mochó, Nahua o Mexicano, Nayeri, Popoluca, Purépecha, Q´anjob´al, Rarámuri, Tének, Tepehua, Tlahuica, Tohono Odham, Tojolabal, Totonaco, Triqui, Tseltal, Tsotsil, Wixárika, Xi´iuy, Yaqui, Binniza, Zoque, Akimel O´otham, Comkaac, diciamo al mondo la nostra parola urgente.

LA GUERRA CHE VIVIAMO E AFFRONTIAMO

Ci troviamo in un grave momento di violenza, di paura, di lutto e di rabbia per l’acuirsi della guerra capitalista contro tutte e tutti nel territorio nazionale. Assistiamo all’assassinio di donne, solo per il fatto di essere donne, di bambini, solo per il fatto di essere bambini, di popoli, solo per il fatto di essere popoli.

La classe politica si è ostinata a fare dello Stato una corporazione che vende la terra che è dei popoli originari, dei contadini, dei cittadini, e che vende le persone come fossero una merce che si ammazza e si seppellisce come materia prima dei cartelli della droga, che si vende alle imprese capitaliste affinché le sfruttino fino allo sfinimento o alla morte, o che si vende a pezzi sul mercato illegale degli organi.

Il dolore dei familiari dei desaparecidos e la loro risolutezza per trovarli, malgrado i governi facciano di tutto perché non li trovino, perché insieme a loro apparirebbe anche il putridume che comanda in questo paese.

Questo è il destino che quelli di sopra costruiscono per noi, attenti a che la distruzione del tessuto sociale, di ciò che ci conferma come popoli, nazioni, tribù, quartieri, colonie, perfino famiglie, ci tenga isolati e soli nella nostra desolazione, mentre loro consolidano l’appropriazione di interi territori, nelle montagne, nelle valli, sulle coste, nelle città.

È la distruzione che abbiamo non solo denunciato, ma affrontato per 20 anni e che evolve nella maggior parte del paese in una guerra aperta lanciata da corporazioni criminali che agiscono in sfacciata complicità con tutti gli organi del malgoverno, con tutti i partiti politici e istituzioni. Tutti loro configurano il potere di sopra e sono motivo di ripugnanza per milioni di messicani delle campagne e delle città.

In mezzo a questa ripugnanza continuano a dirci di votare, di credere nel potere di sopra che continua a disegnare ed imporre il nostro destino.

In quella direzione noi vediamo solo la guerra che cresce e all’orizzonte c’è la morte e la distruzione delle nostre terre, delle nostre famiglie, della nostra vita; c’è la certezza assoluta che questo diventerà peggio, molto peggio, per tutti, per tutte.

LA NOSTRA SCOMMESSA

Ribadiamo che solo nella resistenza e nella ribellione abbiamo trovato le strade possibili per continuare a vivere, che in esse ci sono le chiavi non solo per sopravvivere alla guerra del denaro contro l’umanità e contro la nostra Madre Terra, ma per rinascere insieme ad ogni seme che seminiamo, con ogni sogno e con ogni speranza che si va materializzando nelle grandi regioni in forme autonome di sicurezza, di comunicazione, di governi propri a protezione e difesa dei territori. Pertanto, non c’è altra strada possibile che quella che si percorre in basso, perché quella di sopra non è la nostra strada, è la loro, e noi gli diamo fastidio.

Queste uniche alternative nate dalla lotta dei nostri popoli esistono nelle geografie indigene di tutto il nostro Messico e insieme siamo il Congresso Nazionale Indigeno, che abbiamo deciso di non aspettare il disastro verso cui indubbiamente ci portano i sicari capitalisti che governano, ma di passare all’offensiva e concretizzare questa speranza nel Consiglio Indigeno di Governo per il Messico, che scommetta sulla vita dal basso e a sinistra anticapitalista, che sia laico e che risponda ai sette principi del comandare obbedendo come nostra garanzia morale.

Nessuna rivendicazione dei nostri popoli, nessuna determinazione ed esercizio di autonomia, nessuna speranza resa realtà è stata soddisfatta dai tempi e forme elettorali che i potenti chiamano democrazia. Per questo non solo vogliamo strappare loro il destino che ci hanno tolto e rovinato, ma vogliamo smontare quel potere marcio che sta uccidendo i nostri popoli e la madre terra, e le uniche crepe che abbiamo trovato e che hanno liberato coscienze e territori dando consolazione e speranza, sono nella resistenza e nella ribellione.

Per decisione della nostra assemblea costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo, abbiamo deciso di nominare come portavoce la nostra compagna María de Jesús Patricio Martínez, del popolo Nahuatl, il cui nome cercheremo di inserire sulle schede elettorali per la presidenza del Messico nell’anno 2018, e che sarà portatrice della parola dei popoli che formeranno il C.I.G., a sua volta altamente rappresentativo della geografia indigena del nostro paese.

Dunque, non cerchiamo di gestire il potere, vogliamo smontarlo partendo dalle crepe che conosciamo e di cui siamo capaci.

IL NOSTRO APPELLO

Confidiamo nella dignità ed onestà di coloro che lottano; dei maestri, degli studenti, dei contadini, degli operai, dei braccianti, e vogliamo che si approfondiscano le crepe che ognuno di loro ha scavato smontando, in grande e in piccolo, il potere di sopra, vogliamo scavare tante crepe e che esse siano il nostro governo anticapitalista e onesto.

Il nostro appello è rivolto alle migliaia di messicani e messicane che hanno smesso di contare i propri morti e desaparecidos, che in lutto e sofferenza hanno alzato il pugno e sotto la minaccia anche a costo della propria vita si sono lanciati senza paura della dimensione del nemico ed hanno visto che le strade esistono e sono nascoste nella corruzione, la repressione, il disprezzo e lo sfruttamento.

Il nostro appello è rivolto a chi crede in se stesso, al compagno che ha di fianco, che crede nella sua storia e nel suo futuro, che non ha paura di fare qualcosa di nuovo, perché questo sentiero è l’unico che ci dà la certezza dei passi che stiamo facendo.

Il nostro appello è ad organizzarci in tutti gli angoli del paese per riunire gli elementi necessari affinché il Consiglio Indigeno di Governo e la nostra portavoce sia candidata indipendente alla presidenza di questo paese e sì, rovinare la loro festa basata sulla nostra morte e fare la nostra, basata sulla dignità, l’organizzazione e la costruzione di un nuovo paese e di un nuovo mondo.

Invitiamo tutti i settori della società a seguire le iniziative che deciderà e definirà il Consiglio Indigeno di Governo attraverso la nostra portavoce, a non arrendersi, non vendersi, non deviare né riposare e continuare ad intagliare la freccia che porterà all’offensiva di tutti i popoli indigeni e non indigeni, organizzati e non organizzati, per puntarla contro il vero nemico.

Dal CIDECI- UNITIERRA, San Cristóbal de las Casas, Chiapas

28 maggio 2017

Per la Rivendicazione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/05/28/llego-la-hora-cni-ezln/

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Nominata la Portavoce del Consiglio Indigeno di Governo.

L’Assemblea del CNI nomina la Portavoce del Consiglio Indigeno di Governo

L’assemblea costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo del Congresso Nazionale Indigeno ha deciso per accordo della sua Assemblea Generale di nominare come portavoce la compagna del popolo Nahua, María de Jesús Patricio Martínez, che rappresenterà la voce dei popoli originari del CIG nel processo elettorale dell’anno 2018. https://www.congresonacionalindigena.org/2017/05/28/la-asamblea-del-cni-nombra-vocera-del-concejo-indigena-de-gobierno/

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Gli indigeni scelgono la portavoce del loro Consiglio di Governo e aspirante alla presidenza nel 2018

di Isaín Mandujano, 28 maggio 2017

Tuxtla Gutiérrez, Chiapas. (proceso.com.mx).- Più di mille rappresentanti di circa 58 popoli indigeni, domenica 28 maggio hanno scelto la donna nahua di Tuxpan, Jalisco, María de Jesús Patricio Martínez, come candidata indipendente alla presidenza della Repubblica nel 2018 e portavoce del Consiglio Indigeno di Governo (CIG).

I partecipanti e convocanti del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) hanno appoggiato l’indigena di Jalisco nella quale hanno detto di porre la loro fiducia affinché il suo nome sia incluso nella scheda elettorale delle elezioni federali di luglio 2018.

Patricio Martínez ha ricevuto il bastone del comando del popolo indigeno O’otham per voce di Shanon River, il quale ha segnalato che sebbene siano dall’altro lato della frontiera imposta da Messico e Stati Uniti, loro continuano ad essere popoli originari che lottano e resistono contro l’offensiva di chi vuole sterminarli e farli sparire dalla faccia della terra.

Dopo la cerimonia e discorso del popolo O’otham, Patricio Martínez ha ricevuto dalle mani della Comandante Miriam una statuetta con l’immagine della Comandante Ramona che permea la lotta delle donne e degli uomini dell’EZLN.

Il Consiglio Indigeno di Governo è formato da indigeni di diversi stati del paese come, yaqui, chol, mayo, O’otham, wirrarika, zoque, maya ed altri. http://www.proceso.com.mx/488450/ezln-elige-a-indigena-nahua-candidata-2018

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La Strage Silenziosa dei Genitori dei Desaparecidos in Messico.

La Strage Silenziosa dei Genitori dei Desaparecidos in Messico

di Fabrizio Lorusso da Huffington Post – 15 maggio 2017

Nel Messico dell’ipocrita guerra al narcotraffico il valore della vita umana s’avvicina drammaticamente allo zero. Il 10 maggio, giorno della Festa della Mamma, Miriam Elizabeth Rodríguez Martínez, una delle fondatrici ed esponente in vista della Collettivo dei Desaparecidos nello stato del Tamaulipas, è stata ammazzata dai sicari di un commando armato che, arrivati fuori da casa sua, hanno gridato il suo nome e poi hanno fatto fuoco. Qual era la sua colpa? Fare l’attivista? Denunciare? Parlare troppo con la stampa? Avere avuto una figlia sequestrata, fatta sparire nel nulla e aver condotto da sola le indagini fino a ritrovarla, morta, per poi continuare comunque la lotta per la giustizia affianco ad altre madri come lei?

Probabilmente la sua colpa era solo quella di essere una vittima che aveva deciso di reagire, tra le migliaia che ogni anno si sommano al triste e scabroso conteggio della narcoguerra messicana. Il Tamaulipas è al primo posto in Messico per il numero di desaparecidos (oltre 5500), cioè di persone che vengono fatte sparire, con la partecipazione attiva o la complicità delle autorità statali, e di cui non si sa più nulla. Il 10 maggio è una data simbolica ma non più perché è la Festa della Mamma, ma perché dal 2010 migliaia di madri del Messico e del Centroamerica sfilano in corteo a Città del Messico chiedendo verità e giustizia per i loro figli e le loro figlie desaparecidos e, dunque, è una giornata di lotta e protesta in cui, come dice l’hashtag di twitter #NadaQueFestejar utilizzato per convocare alla partecipazione popolare, “non c’è niente da festeggiare”.

Proprio in una di queste manifestazioni è nata l’idea di creare un’esposizione artistica per far marciare per il mondo i passi, le orme e le scarpe di questi familiari, stampando sulle loro suole e su dei fogli di carta i loro messaggi di dolore e dignità. La mostra Orme della Memoria, Huellas de la memoria, che fino alla fine di giugno sarà in varie città italiane, racconta cosa significhi per queste persone la ricerca e il ritrovamento dei loro cari, vivi o morti.

Ecco alcuni dei loro messaggi, impressi sulle loro scarpe e oggi in cammino per l’Europa. “Io mi chiamo Lety Hidalgo e cerco mio figlio; Roy è stato fatto sparire l’11 gennaio 2011”. “Sono figlia di Rafael Ramírez Duarte, desaparecido politico dal giugno del 1977. Seguire le tue orme è voler toccare i tuoi piedi coi miei, come il gioco della tana dei conigli tiepida che c’hanno rubato, papà, Tania”.

“Melchor Flores Landa, cerco mio figlio, Juan Melchor Flores Hernández, vittima di sparizione forzata. I fatti sono avvenuti a Monterrey il 25 febbraio 2009. Melchor, detto Cow-boy Galattico; Figlio mio, ti cerco da 7 anni e non mi sono ancora stancato, continuerò a cercarti finché Dio me lo permetterà e le mi forze e il mio corpo resistano, ovunque tu sia ti mando tutto il mio amore di padre, ti amo e ho bisogno di te”.

Nel 2010 a San Fernando, la città in cui abitava Miriam e dove è nato il comitato di genitori e vittime delle sparizioni forzate da lei fondato, furono trovati i cadaveri di 72 migranti messicani, centroamericani e sudamericani, trucidati e gettati in una fossa comune dai membri dell’organizzazione criminale degli Zetas. Qui molti casi di sparizioni, violenze e mattanze sono legati alla sanguinosa faida tra questi e il cartello del Golfo, l’altra organizzazione mafiosa che lotta per la supremazia nella regione nord-orientale del Messico. Lo Stato? Assente, se non connivente. Ciononostante i cittadini e le vittime si organizzano, anche a costo della vita.

Un altro caso drammatico e sconcertante, ancora irrisolto, è quello dei 43 studenti della scuola di Ayotzinapa che la polizia locale e il crimine organizzato hanno sequestrato sotto gli occhi dell’esercito e dei federali a Iguala, nel meridionale stato del Guerrero, nel settembre 2014. E sono altri 31mila i desaparecidos nel Paese negli ultimi 10 anni. Sono numeri che ci rimandano alle dittature del Cono Sud negli settanta e ottanta o ai conflitti bellici attuali dell’area mediorientale, mentre invece si tratta del Messico, un Paese che formalmente non è in guerra, ma che vive un conflitto interno gravissimo in cui regnano impunità e corruzione.

La popolazione, e specialmente le persone più esposte come gli attivisti, i difensori dei diritti umani e i giornalisti, vivono tra due fuochi: le mafie e le bande delinquenziali, da una parte, e quella parte degli apparati statali che è connivente, indolente e, in certi casi, agisce come un vero e proprio cartello della delinquenza oppure si confonde con questi.

Si dice che Miriam abbia avuto un “privilegio” rispetto ad altre famiglie di desaparecidos: era riuscita, dopo due anni di ricerche, per lo meno a ritrovare il corpo della figlia, Karen Alejandra, che era scomparsa nel 2012, e a darle una degna sepoltura. Molti familiari di desaparecidos non cercano nemmeno più la verità su quanto è successo o una condanna per i responsabili, ma lottano per ritrovare almeno i resti dei loro cari. E le magliette che portano durante le ricerche o in manifestazione dicono “Figlio, finché non t’avrà interrato, continuerò a cercarti” e “Ti cercherò fino a ritrovarti”.

Miriam, comunque, era andata oltre, anche dopo aver trovato il corpo di sua figlia. Era diventata un’attivista per i diritti umani e aveva costruito una rete nazionale dei familiari che cercano i loro cari scomparsi. Era stata capace di far aprire l’indagine che condusse all’arresto della banda dei responsabili del femminicidio della figlia. Sapeva di essere sotto tiro, era stata minacciata più volte e aveva pure sventato il sequestro di suo marito, ma il pericolo era aumentato dopo che uno degli assassini era fuggito di prigione il marzo scorso, Miriam aveva quindi chiesto alle autorità una protezione che non è mai arrivata.

L’impiego delle forze armate con funzioni di polizia ha condotto alla militarizzazione del paese e all’aumento esponenziale delle violazioni ai diritti umani, tra cui spiccano le sparizioni forzate, la tortura e le esecuzioni extragiudiziarie come strategie di controllo di massa, e in 10 anni di “lotta” ai cartelli della droga i morti per omicidio arrivano alla cifra di 200mila e i desaparecidos sono oltre 31mila secondo i numeri ufficiali.

Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di vittime innocenti, di gente comune coinvolta in un conflitto armato non riconosciuto ufficialmente, e non di “criminali cattivi” in guerra contro “i buoni” difensori della legge, come invece il governo e la procura cercano di far credere all’opinione pubblica nazionale e ai media internazionali. Le droghe, chiaramente, continuano a fluire massicciamente verso gli Stati Uniti, principale mercato di consumo del mondo, ed anche a restare in Messico, dove l’erosione dei legami sociali e comunitari sta portando a una catastrofe umanitaria e quindi il richiamo dei gruppi criminali, in cerca di manovalanza, di nuovi consumatori o di entrambe le cose, diventa preponderante.

I familiari organizzati in movimenti per le ricerche e per obbligare le autorità a seguire i casi e a riparare il danno sono sotto attacco. La comunità internazionale ha un ruolo importante nel denunciare, mantenere viva l’attenzione e la pressione sul governo messicano e non far dimenticare i casi di coloro che hanno pagato con la vita la loro attività sul campo (di battaglia, letteralmente).

Il Movimento per la Pace con Giustizia e Dignità, nato nel 2011 proprio come conseguenza della “narcoguerra” imposta dall’allora presidente Felipe Calderón e continuata dall’attuale, Enrique Peña Nieto, ha stilato una lista, che riporto di seguito, per conservare la memoria delle 17 persone che sono state uccise per avere “osato” cercare la verità.

Nello stato del Tamaulipas Miriam Elizabeth Rodríguez Martínez viene uccisa da dei sicari in casa sua. Aveva ritrovato il corpo della figlia, Karen Alejandra, desaparecida e aveva fatto incarcerare i responsabili.

In Chihuahua la famiglia Reyes Salazar è stata distrutta, tra il 2008 e il 2011 cinque di loro sono stati uccisi: Josefina, Rubén, Elías, María Magdalena Reyes e María Luisa Ornelas cercavano giustizia per il figlio di Josefina.

A Ciudad Juárez Maricela Escobedo è stata ammazzata il 16 de dicembre del 2010 davanti al palazzo del governo e chiedeva giustizia per la sparizione e l’assassinio di sua figlia.

Nello stato di Sonora Nepomuceno Moreno Núñez, ucciso il 28 novembre 2011, cercava suo figlio di 17 anni, che era sparito un anno prima.

Heriberto López Gastelum, assassinato il 30 de novembre 2016, cercava suo figlio scomparso alcuni mesi prima.

In Sinaloa Sandra Luz Hernández, assassinata il 12 maggio 2014 con 15 spari, cercava suo figlio Edgar Guadalupe Hernández, scomparso nel 2012.

Luis Abraham Cabada Hernández, ucciso il 19 dicembre 2015. Cercava suo fratello e due cugini.

In Guerrero Norma Angelica Bruno è stata uccisa il 13 febbraio 2015 e cerca sua cugina desaparecida.

Miguel Ángel Jiménez Blanco, ucciso l’8 agosto 2015, era il leader delle ricerche dei 43 studenti desaparecidos di Ayotzinapa.

Bernardo Carreto González, assassinato il 22 dicembre 2015, esigeva la presentazione con vita dei suoi tre figli.

Nello Stato del Messico (intorno alla capitale) Cornelia San Juan Guevara, ammazzata il 15 gennaio 2016 cercava suo figlio desaparecido dal 2012.

In Veracruz José Jesus Jiménez Gaona, ucciso il 22 giugno 2016, cercava sua figlia desaparecida di 23 anni.

In Jalisco Gerardo Corona Piceno, ucciso il 19 aprile del 2017, cercava suo fratello scomparso nel 2012.

 

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Altri tre giornalisti uccisi dal narcopotere.

Giornata di fuoco in Messico, altri tre giornalisti uccisi  dal narcopotere.

Javier Valdez, nello stato di Sinaloa, lo stato del “Chapo” Guzman, Jonathan Rodríguez Córdova e Sonia Cordova, nello stato di Jalisco.

Javier Valdez, reporter per il settimanale Riodoce e corrispondente per il quotidiano  La Jornada, è stato intercettato da un gruppo di sicari al suo arrivo nella sede del suo giornale e ucciso a colpi di arma da fuoco in mezzo alla strada e alla luce del giorno, nel centro di Culiacan, la capitale di Sinaloa. Valdez è stato uno dei più importanti e coraggiosi giornalisti nel raccontare le interconnessioni tra poteri economici (legali e illegali) e stato. Aveva vinto una serie di premi in Messico e all’estero, fra cui il Press Freedom Award americano. Il suo ultimo libro è intitolato “Narco-giornalismo: la stampa fra il crimine e la denuncia”.

Sonia Cordova, era direttrice commerciale de “El Costeño de Autlan Jalisco” è stata uccisa assieme al figlio, giornalista dello stesso settimanale, Jonathan Rodriguez Cordova, l’esecuzione attorno alle 7 della sera. Jonathan nei mesi precedenti aveva subito intimidazioni da gruppi armati.

Jalisco e Sinaloa sono stati altamente attraversati dalla “guerra alla droga” che dal 2006 è diventata strumento di spartizione di potere e scontri tra gruppi del narcotraffico, stato messicano e multinazionali. Chi paga il conto sono giornalisti, attivisti sociali, donne e chiunque si opponga e chieda giustizia sociale.

Sale così a 8 dall’inizio dell’anno il numero dei giornalisti uccisi in Messico dal narcopotere.

La situazione  raccontata a Radio Onda D’Urto da Federico Mastrogiovanni, giornalista italiano che vive in Messico. Ascolta oppure Scarica

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#NosDuelen56 Azione Globale

https://desinformemonos.org/olvido-la-impunidad-nosduelen56-ninas-guatemala/

In Guatemala abbiamo assistito ad uno dei massacri più atroci nella storia del paese e della Nostra America, 56 bambine sono state chiuse a chiave in una stanza e poi bruciate, di loro 41 sono decedute e 15 sono sopravvissute, gravemente ferite. Le bambine si trovavano sotto la “custodia e protezione” dello Stato, questo crimine non ha precedenti. Il processo penale contro tre dei funzionari pubblici direttamente responsabili della Hogar Seguro [Casa Sicura – n.d.t.] “Virgen de la Asunción” è appena cominciato.

Questo femminicidio è un crimine di Stato dietro al quale c’è una struttura criminale sofisticata che ha tentato di mettere a tacere la denuncia delle bambine di gravi crimini come tortura, tratta di esseri umani, violenze sessuali, sparizione forzata, tra altri crimini.

Dall’8 marzo scorso, giorno in cui è avvenuto l’incendio delle bambine, con il nostro lavoro, il nostro giornalismo, abbiamo cercato di mantenere la dimensione umana delle bambine e delle loro famiglie. Per questo, con la collaborazione di artisti del Guatemala e di altri luoghi del mondo, abbiamo lavorato ad una campagna con le immagini di ognuno dei volti delle 41 bambine per rendere omaggio alla vita di queste bimbe e come contributo alla lotta per la memoria e la giustizia.

Vogliamo invitarvi ad unirvi al lancio simultaneo della campagna Acción global por las niñas #NosDuelen56 e di farlo in maniera congiunta e simultanea l’8 maggio, a due mesi da questo crimine. A questa azione che parte con 41 immagini delle bambine morte, hanno partecipato artisti di Guatemala, Messico e Spagna.

L’oblio e l’impunità che esiste in Guatemala richiede l’appoggio e la solidarietà internazionale. Possono partecipare alla campagna tutte le più diverse realtà, media digitali e alternativi, collettivi, gruppi e chiunque lo desideri in qualunque luogo del mondo. Le immagini possono essere anche stampate e incollate ai muri delle strade, o esposte in centri culturali, sociali o comunitari.

Per unirsi alla campagna, inviate la vostra adesione e logo del vostro spazio/media all’indirizzo di posta elettronica: nosduelen56@yahoo.com

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L.H. Navarro – Industria mineraria, narco e comunità indigene

… terre, territori e risorse naturali vengono spogliate selvaggiamente, devastate e sfruttate. Col settore minerario e la narcominería i popoli originari sono vittime di una nuova colonizzazione.

Industria mineraria, narco e comunità indigene

Luis Hernández Navarro

Rob McEwen è un facoltoso impresario canadese. È direttore e proprietario della società mineraria McEwen Mining, compagnia con ingenti investimenti in Messico. È il centesimo uomo più ricco del Canada ed un fervente credente nell’oro.

Nell’aprile del 2015 subì un duro colpo. Un commando assaltò la miniera El Gallo 1, ubicata nella zona montuosa di Mocorito, nello stato di Sinaloa, e rubò 198 chili di oro. I ladri si portarono via 8,4 milioni di dollari. Si è trattato del furto di oro più grande mai avvenuto in Messico, ed il quarto assalto più importante registrato nella storia per quantità.

Due giorni dopo McEwen rilasciò un’intervista alla tv canadese Business News Network. Senza peli sulla lingua confessò: “I cartelli lì sono attivi. Generalmente abbiamo un buon rapporto con loro. Se vogliamo andare ad esplorare da qualche parte, glielo chiediamo e ti dicono: ‘No, ma tornate tra un paio di settimane quando termineremo quello che stiamo facendo’ “.

Le dichiarazioni sollevarono un’aspra polemica. Tre giorni dopo McEwan ritrattò e si scusò per il malinteso che aveva generato l’impressione completamente falsa tra i media messicani che la sua società avrebbe avuto contatti regolari con elementi criminali.

Il fatto è ben lungi dall’essere un incidente isolato. Mostra la complessa relazione che si è stabilita in Messico tra le compagnie minerarie ed il crimine organizzato. Una relazione che mostra vari aspetti: l’aperta collaborazione tra i due ambiti affaristici, la conversione dei narcotrafficanti in impresari del settore e l’estorsione e il furto dei cartelli ai danni delle compagnie.

Narcotrafficanti e minatori condividono territori e rotte di passaggio della loro produzione. Molti depositi minerari si trovano in regioni produttrici di papavero e marijuana, o in luoghi in cui si cucinano droghe chimiche. Entrambi hanno i propri eserciti privati o guardie di sicurezza. Occasionalmente, i minatori stringono accordi e collaborazioni con i sicari che operano sulle remote catene montuose.

I narcos si incaricano di ripulire il terreno affinché le imprese possano estrarre i minerali spopolando le comunità o dissuadendo gli abitanti che si oppongono allo sfruttamento delle risorse. In non pochi siti, di comune accordo con gli impresari, riscuotono dai lavoratori un’imposta di cooperazione per avere il diritto di lavorare nella miniera e dai villaggi una quota per le regalie che le società minerarie devono elargire ai villaggi dove si stanziano.

Il crimine organizzato ha trovato nel settore minerario una prospera attività economica, sia per il lavaggio del denaro derivante dalla vendita degli stupefacenti sia come un modo di diversificare i suoi affari. E così ottiene legittimità sociale e politica.

In Michoacán, Los caballeros templarios spedivano in Cina navi cariche di ferro. Nel 2010 La Familia, il cartello da cui sono nati i templarios, avevano già compiuto incursioni in questa attività. Secondo uno dei suoi riciclatori di denaro arrestato un anno dopo, avevano esportato in Cina 1,1 milioni di tonnellate di minerale di ferro attraverso tre compagnie, intascando per questo 42 milioni di dollari.

In Coahuila, Los Zetas entrano con successo nel bacino carbonifero, già di per sé una rotta di passaggio della cocaina verso gli Stati Uniti. Si stabilirono lì controllando lo sfruttamento di piccole miniere di carbone. Nel 2012 si calcolò che il commercio aveva fruttato loro tra i 20 e 22 milioni di dollari.

Nell’ottobre de 2014 l’imprenditore minerario José Reinol Bermea Castillo, strettamente legato al PRI in Coahuila, accusato di essere una figura prominente della narcominería regionale, è stato assassinato nella città di Sabinas.

Le compagnie minerarie lamentano la concorrenza sleale e le estorsioni del crimine organizzato che pretende diritti di suolo e sequestra i loro lavoratori. Secondo la Camera Mineraria del Messico (Camimex) questo settore industriale è uno dei più vulnerabili al crimine organizzato (http://bit.ly/1ztgI8T).

Le compagnie destinano tra il 2% e il 4% dei loro bilanci alla sicurezza. Ma società minerarie come First Majestic investono ancora di più in sicurezza e guardie armate: il 10%. Altre compagnie hanno ridotto le loro operazioni in Messico o si rifiutano di investire qui (http://bit.ly/1E4efpF).

Come segnala l’analista Simón Vargas, sono così significative le perdite economiche che hanno subito che le grandi multinazionali estrattive hanno ormai a disposizione polizze assicurative contro il narcotraffico, come quelle fornite dall’agenzia Marsh Brockman e Schuh, che in Messico offrono coperture fino a 25 milioni di dollari di perdite (https://goo.gl/gaJxys).

Ma, al di là delle modalità che assume la complessa e perversa relazione tra narcotraffico e compagnie minerarie, un fatto risulta fondamentale: le terribili conseguenze che le comunità rurali in generale e quelle indigene in particolare, subiscono per l’intervento di entrambi. Le loro terre, territori e risorse naturali vengono spogliate selvaggiamente, devastate e sfruttate dagli uni e gli altri. Col settore minerario e la narcominería i popoli originari sono vittime di una nuova colonizzazione.

Twitter: @lhan55

Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2017/05/09/opinion/017a2pol

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#MOGHERINIRISPONDA

Q CODE MAG RILANCIA LA CAMPAGNA DI #MÉXICONOSURGE E CHIEDE A FEDERICA MOGHERINI DI LEGGERE QUESTO APPELLO CHE LE VIENE RECAPITATO DA DIVERSI EUROPARLAMENTARI E DAI CITTADINI EUROPEI E NON CHE LO VOGLIANO FARE. CI PARE UNA QUESTIONE NON ELUDIBILE, COSÌ COME SENTIAMO DA SEMPRE IL BISOGNO DI ESSERE NETTI E SCHIERATI, COERENTI, CON POSIZIONI FORTI SUI DIRITTI UMANI. PERCHÉ, CON BUONA PACE DELLA POLITICA DEI COMPROMESSI, SUI DIRITTI NON SI MEDIA.
La situazione dei diritti umani in Messico è molto deteriorata, e come hanno spiegato alcuni europarlamentari in un documentato inviato a Mogherini a inizio aprile, che trovate sotto, l’Europa dovrebbe tenerne conto mentre si appresta a ri-negoziare l’Accordo globale con il Messico. Per questo viene lanciata questa iniziativa.
#MogheriniRisponda: dai promotori dell’appello #MéxicoNosUrge una lettera aperta da indirizzare alla vice-presidente della Commissione europea Federica Mogherini FEDERICA.MOGHERINI@EC.EUROPA.EU,
al vice-ministro degli Esteri Mario Giro
SEGRETERIA.GIRO@ESTERI.IT
e per conoscenza all’ambasciata italiana in Messico
SEGRETERIA.MESSICO@ESTERI.IT
ECCO IL TESTO CHE VIENE PROPOSTO:
#MOGHERINIRISPONDA
Gentile onorevole Mogherini,
siamo a conoscenza di una lettera inviatale nella scorse settimana da un gruppo di europarlamentari, preoccupati per il deterioramento delle condizioni di tutela dei diritti umani in Messico, e in particolare per l’attacco che subisce nel Paese la libertà di stampa e che nel solo mese di marzo ha visto la morte di tre giornalisti.
Siamo cittadini italiani, siamo stati tra i promotori dell’appello #MÉXICONOSURGE, che nell’estate del 2015 volle segnalare all’opinione pubblica del nostro Paese la situazione in Messico, la escalation di violenza che ha probabilmente il suo dato più grave nel numero di desaparecidos, almeno 27mila persone private della propria libertà e dell’affetto delle proprie famiglie dal 2006.
Nel nostro appello facevamo riferimento all’Accordo globale e alla “clausola democratica” perentoria: le reiterate mancanze del governo messicano in materia di tutela dei diritti umani, gli attacchi a giornalisti e difensori dei diritti umani, imporrebbe all’Europa, che lei rappresenta come Vicepresidente della Commissione è come Alto rappresentante della politica estera, di procedere con cautela alla revisione del TLCUEM, come la hanno ricordato anche i parlamentari firmatari della lettera aperta. Lettera a cui le chiediamo come cittadini italiani di prestare ascolto e rispondere. Ne va della credibilità dell’istituzione che rappresenta. E in seno alla quale rappresenta il governo del nostro Paese.

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SubMoisés: Il Mondo Capitalista è una Tenuta Recintata da Muri.

IL MONDO CAPITALISTA È UNA TENUTA RECINTATA DA MURI

Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, mercoledì 12 aprile 2017.

 

Buona notte, buonasera, buongiorno, dipende da dove ci ascoltate.

Fratelli, sorelle, compagni, compagne:

Quello di cui vi parlerò non è quello che penso io, ma quello che ci hanno raccontato i nostri bisnonni, i nostri nonni, le nostre bisnonne e le nostre nonne.

Ho parlato con uno dei nostri bisnonni che, dice lui, ha 140 anni. Secondo me, secondo i miei calcoli, si aggira sui 125 anni. Devi stargli incollato all’orecchio per fargli sentire quel che gli chiedi.

Sono più o meno venti e qualcosa, i bisnonni e le bisnonne con i quali ho parlato. Gli abbiamo fatto delle domande – c’erano anche dei compagni del Comitato Clandestino – e dunque, come diceva il Sub Galeano, ecco una parte di quello che ci hanno detto.

Ad esempio, prima per fare le tegole per i finqueros – cioè, i proprietari delle tenute, i signorotti, il padrone come dicono loro – dovevano trasportare sacchi di sterco di cavallo. Poi dovevano farlo seccare. Dopo averlo fatto seccare, lo polverizzavano con un bastone. Quindi, lo mischiavano con il fango per fare le tegole e i mattoni di adobe con cui costruivano la casa ai padroni, ai proprietari.

Il bisnonno dice di ricordarselo bene, perché questo era un obbligo. Obbligo vuol dire che ognuno di loro doveva consegnare un certo numero di sacchi. Anche se il cavallo aveva defecato da poco, dovevano prendere lo sterco fresco che poi gli sgocciolava sulle spalle. Ma il compito era consegnare i sacchi che chiedeva il padrone.

Così impararono a fare anche le loro casette. Nello stesso modo. La chiamano pareti di fango, si chiamano bajareque [costruzioni di adobe – n.d.t.]. Hanno imparato dunque, ma la loro casa è più piccola, è grande la metà.

Dunque, quello che vi voglio dire è che è da lì che viene la nostra idea, e come zapatisti abbiamo studiato come stiamo noi adesso rispetto a quelli che ci sfruttano. In sintesi, ve lo racconto perché questo è quello che ci aiuta a capire quello che è successo prima e come stiamo oggi, e come sarà in seguito.

I nostri nonni, bisnonni, bisnonne e nonne raccontano: il padrone è il proprietario delle tenute, di molte tenute e molte piantagioni. Tutti i padroni hanno i loro caporali, i loro maggiordomi e i loro capisquadra. Con il padrone ce ne stanno tre o quattro.

Ci raccontano che ci sono tenute di 15 mila, 20 mila e 25 mila ettari. E che ci sono tenute di diverso tipo. Ci sono tenute per la sola coltivazione di caffè. E ci sono tenute per il caffè, l’allevamento, il mais, i fagioli, la canna da zucchero… insomma per diversi scopi.

Ci raccontano anche i metodi di sfruttamento. Ci raccontano che ci sono tenutari, proprietari terrieri o latifondisti che non li hanno mai pagati. Hanno dedicato tutta la loro vita al lavoro. Altri ci raccontano che avevano solo la domenica per sé stessi, e tutti gli altri giorni erano per il padrone. Altri ci raccontano che dedicavano una settimana al padrone e una a sé stessi. Ma questo era un trucco, perché – ci raccontano i nostri bisnonni e bisnonne – che nella settimana che in teoria sarebbe stata per loro, di quello che raccoglievano in quella settima (fagioli, mais, piccoli animali da cortile) nel momento di vendere dovevano darne la metà al padrone e a loro restava solo la metà.

Ci raccontano che quando il padrone voleva vedere tutto il suo bestiame, dovevano andare a radunare gli animali e poi portarglieli. Ci raccontano che, poi, se mancava qualche animale, il padrone incaricava qualcuno di loro per andare a cercarlo vivo o morto. E cosa chiedeva il padrone, cioè il proprietario terriero, per verificare che fosse morto? Bisognava portargli un pezzo di pelle per dimostrare al padrone che l’animale era morto. Ma bisognava cercare gli animali mancanti fino a trovarli, vivi o morti.

Il padrone, quando li portava a vendere, organizzava i lavoratori in gruppi, portando altrettanti capi di bestiame. Per dieci, venti uomini, dovevano esserci altrettanti capi di bestiame. Il padrone li contava prima di partire e li ricontava all’arrivo. Ogni persona doveva consegnare tutto. Se non consegnava tutto, doveva pagarlo.

Ci raccontano che il recinto era fatto di pietra, se così lo voleva il padrone. Altrimenti era fatto di legno lavorato con l’ascia. E dicono che doveva essere del cuore del legno. Vale a dire, la parte più dura del legno, perché non marcisse. Non poteva essere fatto di legno tenero. Il padrone non lo ammetteva.

Ci raccontano anche che quando portavano a vendere i maiali (non i padroni, ma l’animale: il porco), era come per il bestiame. Solo che c’è una differenza, dicono i nonni e i bisnonni. Raccontano che dovevano trasportarli di notte, perché i maiali soffrono il caldo. Quindi la loro lampada, la loro torcia, come diciamo noi, era l’ocote [rami di pino – n.d.t.]. Si portavano dei pezzi di ocote per farne delle torce per camminare nella notte. Allo stesso modo, una certa quantità di maiali per ogni incaricato. E se volevano viaggiare di giorno, dovevano portarsi l’acqua per bagnare i maiali, per rinfrescarli affinché non patissero il caldo.

Le donne, le nonne e le bisnonne ci raccontano che il padrone aveva il suo modo di volere le cose. Ad esempio, le nonne e le bisnonne raccontano che quando il lavoro era duro dovevano farlo le donne sposate. E quale era il loro lavoro? Macinare caffè e macinare sale. E quindi lo facevano le mamme con i loro figli che per macinare il sale usavano il metate [pietra per macinare – n.d.t.]. E c’erano i caporali, i maggiordomi e i capisquadra, la padrona e il padrone. Si tenevano i loro bimbi sulla schiena senza poterli accudire, ed i bimbi piangevano e piangevano ma il padrone era lì e loro dovevano finire il lavoro. Allora, quando il padrone o la padrona magari andava in bagno, la mamma ne approfittava per allattare il figlio.

Ci raccontano che il padrone chiedeva di avere nella tenuta delle ragazzine per vari lavori. Ma a suo piacimento il padrone sceglieva una ragazzina e le diceva: “tu, vai a mettermi a posto la camera da letto”. E quando la ragazzina era lì, il padrone entrava e la violentava. Se le sceglieva e ci raccontano che si prendeva quelle che voleva.

Ci raccontano anche che per il lavoro di macinatura del caffè e del sale, la paga che gli dava il padrone erano tre pezzi di carne di manzo, ma qui quelli che morivano. Questa era la paga.

Ci raccontano che facevano lavorare anche i bambini. Nessuno si salvava. Il loro lavoro si chiamava “portiere”, ma non il portiere di calcio. Il lavoro di questi bambini di sei anni consisteva nel macinare il mais senza calce, che è per i cani, i maiali e i polli. Dopo questo dovevano andare a prendere l’acqua, e molte volte la trasportavano sulle spalle in un barile. Il barile di legno gli scavava le ossa. In questo barile ci stavano dai 18 ai 20 litri d’acqua. Ed i bambini la dovevano portare affinché il padrone potesse lavarsi le mani o farne quel che voleva. Finito questo, si occupavano di portare la legna. Finito di portare la legna, si occupavano di sgranare il mais.

Ci raccontano che non si salvavano neanche i vecchi e le vecchie che non potevano più lavorare nei campi. I vecchi lavoravano una pianta che chiamiamo “ixchte”. I vecchi dovevano rasparla fino ad ottenere il filo. Un gruppo si occupava di rasparla ed un altro gruppo di vecchi faceva il filo, la corda. E un altro gruppo di vecchi si occupava di fare le reti. Questo era il lavoro in serie dei vecchi. E le vecchie? Un gruppo si occupava di sfilacciare il cotone. E un altro gruppo si occupava di fare il filo e un altro gruppo ancora si occupava di tesserlo e fare il tessuto. E questo tessuto era lo stesso che poi i nostri bisnonni e le nostre bisnonne compravano per coprirsi. Ci raccontano che i vestiti che indossavano allora non servivano ad altro che a coprirsi le parti intime, come stiamo adesso.

Ci raccontano delle punizioni. Di punizioni ce n’erano diverse. Una era che il padrone prima mischiava il mais con i fagioli. Poi li spargeva a terra e gli diceva di raccoglierli e separare il mais dai fagioli. Il padrone sapeva – ci raccontano – che non era possibile, perché oltretutto gli dava poco tempo. E per dare il tempo il padrone diceva: “ora io sputo e nel tempo che il mio sputo si secca, voglio che separi il mais dai fagioli”. Come si fa?

Quindi, visto che non si riusciva a superare questa punizione, lì vicino era già pronto il terreno su cui il padrone aveva sparso dei sassolini. E lì ti dovevi mettere in ginocchio per non essere stato capace di separare i fagioli dal mais. Dovevi stare lì in ginocchio fino a che andava al padrone. Se ti alzavi, voleva dire che accettavi la punizione. Quindi, arrivava la frusta. Ve lo dico come me l’hanno raccontato i nonni. Hanno raccontato che il padrone, quando gli moriva un toro, gli tagliava il pene e lo facevano seccare e poi lo usava per frustare i lavoratori. Quindi, mentre eri lì in ginocchio, il padrone veniva a frustarti e non potevi alzarti, perché – ci raccontano – se ti alzavi era ancora peggio. E ci raccontano che dovevi alzarti per il dolore delle frustate e per il dolore alle ginocchia che non potevi più sopportare.

E quando ti alzavi, c’erano i caporali, i maggiordomi e i capisquadra che ti prendevano e ti legavano mani e piedi alle travi della casa fino a quando al padrone passava la voglia di frustarti o fino a quando si rendevano conto che – come dicono i nonni – ormai eri sfinito. Questo vuol dire che svenivi, perdevi conoscenza. A quel punto il padrone ti lasciava stare.

Ci raccontano che i lavori che si facevano erano tutti per obbligo. Non si faceva nulla che non fosse per obbligo. E tutto con i caporali, con i maggiordomi e con i capisquadra. Ci raccontano ad esempio delle piantagioni di caffè. Quando era tempo di raccogliere il caffè, per tutti e per tutte c’era l’obbligo di consegnare una certa quantità di caffè. I bambini che non riuscivano a raggiungere i rami della pianta, raccoglievano le bacche di caffè cadute a terra. Passato il tempo della raccolta del caffè, c’erano molti altri lavori: un gruppo si occupava di pulire la piantagione, cioè la collina; un altro gruppo si occupava di quel che chiamano “encajado”, vale a dire che per ogni pianta di caffè dovevano preparare una cassa dove mettere il concime; un altro gruppo si occupava di pulire la pianta di caffè, perché la pianta ha delle protuberanze che devono essere tolte. I nostri nonni e bisnonni ci dicono – ci raccontano – che con le mani non si riusciva e, quindi, bruciavano la pannocchia di mais da cui usciva come un filo e con quello le tagliavano, e il caposquadra passava a controllare che fosse fatto bene, altrimenti dovevi rifarlo. Se no, c’era la punizione.

Ci raccontano anche che un altro gruppo si occupava di potare il caffè, perché sulla pianta non dovevano esserci né liane né protuberanze. Ci raccontano inoltre che c’era un altro gruppo, i “desombrada” li chiamavano. Cioè, dovevano tagliare gli alberi che facevano troppa ombra alle piante di caffè, ma lasciare solo l’ombra necessaria, come diceva il padrone.

Ci dicono anche che in tutte le tenute che c’erano, e che ci sono – perché ce ne sono ancora – c’è sempre la cappella. E quando si andava alla messa, i nostri bisnonni non potevano sedersi sulle sedie e sulle panche. Se per caso si sedevano, venivano cacciati a spintoni. E il sacerdote guardava e non diceva nulla. Si potevano sedere solo i padroni e i meticci. E se volevano sedersi, per loro c’era il pavimento.

Ci raccontano che ai nostri bisnonni e bisnonne non era permesso andare in città a vendere quel poco che avevano. Ci raccontano che il motivo era che deturpavano l’aspetto della città. Non gli permettevano di andare in centro. Quindi i meticci sbarravano i confini della città e lì, quando volevano, gli prendevano tutto se non pagavano quello che gli chiedevano.

I bisnonni ci raccontano che all’epoca non esisteva la strada, c’erano solo carri con cavalli. Quindi, quando la moglie del padrone voleva andare alla tenuta, alla finca, non usava il carro con il cavallo perché “l’animale è un animale, non pensa”. Quindi può provocare un incidente alla moglie del padrone. Allora un gruppo di uomini andava in città e si caricava in spalla la carrozza con dentro la moglie del padrone. Inoltre dovevano portare anche le merci, e quindi si davano il cambio per trasportare il carico. E quando arrivavano alla tenuta, alla finca, si chiedeva alla donna se fosse andato tutto bene. E chiedevano pure ai lavoratori se tutto era andato bene. E così sia all’andata che al ritorno.

E ci hanno raccontato un sacco di altre cose. Ad esempio, ci hanno mostrato il centesimo con cui li pagavano. Ci raccontano che quando il padrone ha cominciato a pagare qualcosa, guadagnavano un centesimo al giorno. Ce l’hanno proprio fatto vedere. Ci hanno pure detto che non sopportavano più i maltrattamenti. Dicono che, quindi, hanno cercato di organizzarsi, di trovare delle terre dove andare a vivere. Ma i padroni, i proprietari terrieri erano venuti a sapere che erano scappati dalla tenuta e li avevano cercati. I bisnonni ci raccontano che i padroni si travestivano da soldati e sgomberavano, distruggevano e bruciavano le case che i bisnonni e le bisnonne stavano costruendo per poterci vivere.

Ci raccontano che questo è quello che gli è successo. E che poi hanno scoperto che il padrone -perché uno dei bisnonni era stato in diverse tenute – era travestito da soldato. E ci raccontano che gli hanno distrutto le capanne e hanno riunito tutti quelli che erano andati a costruirsi il villaggio e gli hanno detto: “chi è a capo di tutto questo?”. Così hanno detto i soldati: “chi è a capo di tutto questo?”. Se non direte chi è stato, sarete tutti puniti”. Quindi dissero: “è il tal dei tali” quello che ha avuto l’idea di scappare dalla tenuta e cercare un posto in cui vivere. Quindi gli hanno detto: “pagherai 50 pesos”. E ci raccontano che a quei tempi – vi ho già detto che il bisnonno ha 140 anni e quindi parliamo di circa 140 anni fa – per mettere insieme 50 pesos ci voleva un anno.

Quindi si resero conto che era difficile che qualcuno volesse prendersi la responsabilità di salvarli dalle loro sofferenze. Ma ci hanno anche raccontato che, quando se ne sono resi conto, hanno deciso di non dire più chi era stato, ma che la colpa era del gruppo. Si sono rimessi a ricostruire… a cercare altri terreni e a costruire le loro casette, ma questa volta erano tutti insieme a farlo. Non c’era nessun capo a guidarli. Erano un collettivo. È così che riuscirono a trovare un posto in cui vivere.

Dunque, perché vi stiamo parlando di tutto questo? Noi, zapatiste e zapatisti, vediamo che oggi stiamo tornando di nuovo a quei tempi. Nel capitalismo di oggi non esistono paesi. Noi la vediamo così. Il capitalismo trasformerà il mondo in una tenuta, una finca. Farà il mondo a pezzi, come d’altronde lo è già, come il Messico, il Guatemala. Ci sarà solo un gruppo di padroni-governo. Tutti quelli che dicono che il governo è di Peña Nieto… no, no… diciamo noi. Non è un governo. Perché quello che comanda, non è più chi comanda. Quello che comanda è il padrone capitalista. I governi che si chiamano: quello di Peña Nieto, quello del Guatemala, quello del Salvador e tutto il resto, sono solo capisquadra. I maggiordomi: i governatori. I presidenti municipali sono i caporali. Tutto è al servizio del capitalismo.

Vediamo quindi che non c’è bisogno di studiare molto per rendersi conto della situazione. Perché, per esempio, questa nuova legge strutturale che hanno fatto qui in Messico, noi non crediamo che sia stata fatta dai deputati e dai senatori. Non ci beviamo questa storia. È stata imposta dal padrone: il capitalismo. Perché loro sono quelli che vogliono ripetere quello che fecero i loro trisnonni. Ma ancora peggio.

Per questo all’inizio ne abbiamo parlato. Stiamo dicendo che, ad esempio, Absalón Castellanos Domínguez, l’ex generale, qui in Chiapas e in Oaxaca aveva delle tenute. Stiamo parlando di 5 mila, di 10 mila ettari. Per il capitalismo il mondo è una finca, e per il padrone capitalista che dice: “vado nella mia tenuta messicana, vado nella mia tenuta guatemalteca, vado nella mia tenuta haitiana, vado nella mia tenuta in Costa Rica…” tutti i paesi capitalisti sottosviluppati saranno la sua tenuta.

Vuol dire che se glielo permettiamo, il capitalismo, il padrone, quello che vuole governare, quella che vuole governare, trasformeranno il mondo in una finca. E la domanda di noi zapatisti è: se loro – cioè i capitalisti – cambiano il modo di sfruttare, perché noi non cambiamo il nostro modo di lottare per salvarci?

Per questo vi ho parlato di quello che hanno fatto i nostri bisnonni, da dove veniamo noi indigeni. Ci hanno detto di aver sbagliato quando svelarono chi li aveva guidati. Ma non si sono arresi. Hanno cercato un altro modo di continuare a lottare per scappare dal padrone e hanno detto “nessuno ci ha comandato”, “siamo solo noi”.

Quindi? Perché ora non noi? Perché ormai in questo mondo, non siamo più solo noi indigeni a subire il capitalismo. Stiamo soffrendo sia nei campi che nelle città. Indigeni e non indigeni. Quindi, che cosa facciamo?

Qui, noi, zapatiste e zapatisti, viviamo nella merda del capitalismo! Stiamo lottando e continueremo a lottare… Siamo piccoli ma stiamo mostrando – come ci hanno insegnato i bisnonni – che un modo c’è. Abbiamo la nostra piccola libertà. Ci manca di liberare il Messico. Ma, come facciamo a liberarci in tutti il mondo?

Ma qui, in questo piccolo pezzo di mondo, in Chiapas, i compagni e le compagne hanno la libertà di fare quello che vogliono. Hanno nelle loro mani quel che significa essere autonomi, indipendenti.

Ma come faremo? Perché, come stiamo dicendo, il capitalismo vuole trasformare il mondo nella sua finca.

Quindi vedete voi, pensateci, analizzate. Vedete come fare dove siete, dove vivete, se state nella merda del capitalismo. Perché questo è quello che sta facendo adesso il capitalismo.

Ora seguiranno le parole del Subcomandante Insurgente Galeano.

 

Traduzione a cura di 20zln 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/12/palabras-del-subcomandante-insurgente-moises-miercoles-12-de-abril-de-2017/

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SupGaleano: Preludio: Gli Orologi, L’Apocalisse e L’Ora del Piccolo.

PRELUDIO: GLI OROLOGI, L’APOCALISSE E L’ORA DEL PICCOLO

12 aprile 2017

Buona sera, buona notte, buongiorno, buona mattinata.

Vogliamo ringraziare i compagni e le compagne del CIDECI-UniTierra e quelli che con generosità fraterna hanno nuovamente offerto questo spazio affinché potessimo riunirci. Ringraziamo anche i gruppi di sostegno della Commissione Sexta che si occupano dei trasferimenti (speriamo che non si perdano di nuovo), della sicurezza e della logistica di questo evento.

Vogliamo ringraziare anche quelli che partecipano a queste giornate e che ci accompagnano con le proprie riflessioni ed analisi in questo seminario che abbiamo titolato “I Muri del Capitale, le Crepe della Sinistra”. E quindi grazie a:

Don Pablo González Casanova.

María de Jesús Patricio Martínez.

Paulina Fernández C.

Alicia Castellanos.

Magdalena Gómez.

Gilberto López y Rivas.

Luis Hernández Navarro.

Carlos Aguirre Rojas.

Arturo Anguiano.

Christian Chávez.

Carlos González.

Sergio Rodríguez Lascano.

Tom Hansen.

Ringraziamo in particolare e salutiamo i media liberi, autonomi, indipendenti, alternativi o come si chiamino; il nostro grazie a loro ed ai loro sforzi per far volare le parole da qui ad altre parti.

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Noi zapatisti abbiamo deciso di realizzare questo seminario, o incontro, che fa parte della campagna mondiale “Contro i muri di sopra, le crepe in basso (e a sinistra)”, per permettere a chi ci seguirà di poter puntualizzare o semplicemente criticare.

Per questo siamo soli a questo tavolo, ci accompagna soltanto Don Pablo González Casanova. È qui per varie ragioni: una è che lui va al di là del bene e del male e, lo ha dimostrato in questi 23 anni, non si preoccupa che lo critichino per la frequentazione di cattive compagnie. L’altra ragione è che dice sempre direttamente quello che pensa. È testimone del fatto che mai gli abbiamo imposto opinioni o approcci, proprio per questo il suo pensiero non solo non coincide con il nostro, anzi, spesso è abbastanza critico. Al punto che il codice con il quale ci riferiamo a lui nelle nostre comunicazioni interne, per non far sapere al nemico che stiamo parlando di lui, è “Pablo Contreras”. Lo consideriamo un compagno, uno di noi, tra noi e come noi. Ci inorgoglisce la compagnia del suo passo, la sua parola critica e soprattutto il suo impegno senza sdolcinature ne doppiezze.

Le nostre parole di oggi sono state preparate con il Subcomandante Insurgente Moisés in modo che fili, o almeno questa è la nostra intenzione.

Sappiamo bene che abbiamo fama di essere poco seri e abbastanza irresponsabili, oltre che, chiaramente, irriverenti e sfacciatamente strafottenti; che ci mettiamo a raccontare storie quando l’occasione meriterebbe solennità trascendente e l’accademia esige “un’analisi concreta della realtà concreta”. Insomma, siamo trasgressori della responsabilità, delle buone maniere e dell’urbanità civilizzata.

Ma, nonostante questo, vi chiedo di essere seri perché quello che diremo oggi, provocherà una valanga di denigrazioni e attacchi.

Beh, la sinistra istituzionale è protagonista di un’isteria illuminata pensando ingenuamente di arrivare al potere perché si è rapidamente trasformata nel clone di quanto diceva di voler combattere, compresa la corruzione. Questo progressismo illuminato che ha elevato a concetto di scienze sociali categorie come “complotto”, “mafia del potere” e che prodiga perdoni, assoluzioni e amnistie per i fatti quando vengono compiuti dall’alto, e sentenze e condanne quando si tratta del basso. Bisogna riconoscere che questa sinistra illuminata è di una disonestà coraggiosa, perché non teme il ridicolo quando vuole convincere sé stessa ed i fedeli di stagione che “rigenerare” è sinonimo di “riciclare” quando ci si riferisce alla classe politica ed imprenditoriale.

Quello che vogliamo dirvi oggi è breve e lo faremo esprimendolo in alcune delle lingue originarie del nostro cammino:

Per la lingua chol, lo farà la Comandanta Amada.

Per la lingua tojolabal la Comandanta Everilda.

Per la lingua tzotzil la Comandanta Jesica.

Per la lingua tzeltal la Comandanta Miriam.

Per la lingua castilla la Comandanta Dalia.

Quello che le compagne e i compagni hanno detto, in spagnolo si può tradurre con “vai a farti fottere Trump” ma non voglio dirlo così per non farmi accusare di essere prosaico e volgare. Lo tradurremo allora con un laconico: “Fuck Trump”.

Stabilito ciò che è importante e serio da dire in questo seminario, o come si voglia chiamare questa riunione, diciamo che l’obiettivo principale è quello di dare a Don Pablo Casanova un abbraccio collettivo. Passiamo ora ad esprimere il nostro pensiero.

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GLI OROLOGI.

Il tempo, sempre il tempo. Orologi. Secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, lustri, decadi, secoli. Il tic-tac frenetico della bomba del Capitale, il terrorista per eccellenza, che minaccia l’intera umanità. Ma anche il tempo come calendario, maniera, secondo ciascuno, secondo la lotta dal basso e a sinistra, resistenza e ribellione.

21 anni fa, nei cosiddetti Dialoghi di San Andrés, disperata perché lo zapatismo doveva consultarsi anche per il minimo accordo con i suoi villaggi, la delegazione governativa interrogava quella zapatista sugli orologi che portavano. Parola più, parola meno, reclamavano: “Voi parlate tanto del tempo zapatista e portate orologi digitali che segnano la nostra stessa ora”. Allora le risate a crepapelle dei Comandanti Tacho e Zebedeo risuonarono nella piccola stanza dove si tenevano le discussioni.

Questa fu la risposta zapatista ai governativi. Seduti ad un lato, quali testimoni, c’erano i membri della Commissione Nazionale di Intermediazione, tra i quali Don Pablo González Casanova e un artista della parola, il poeta Juan Bañuelos, morto pochi giorni fa che durante uno dei suoi viaggi di accompagnamento della delegazione nel lungo tragitto fino a La Realidad, insieme al compianto SupMarcos, difese “I versi del Capitano” di Pablo Neruda, che qualcuno tacciava di essere “poesia troppo politica”. “Questa non è poesia”, argomentava, “è un pamphlet”.

Seguì il silenzio sul percorso. Juan Bañuelos ammirava le montagne, forse tessendo nella ente il poema “El Correo de la Selva” in cui, contrariamente a quanto è stato detto, non parla di sé stesso ma di chi faceva da collegamento tra la CONAI e l’EZLN rischiando la vita, la libertà, i propri beni nei tempi bui del tradimento zedillista del 1995 (uno di quei protagonisti, Esteban Moctezuma Barragán, oggi è assolto e promosso a dirigente strategico di punta del “vero cambiamento”).

Immagino che, da parte sua, il defunto SupMarcos tirasse un sospiro di sollievo nello scorgere il territorio zapatista e forse, in un mormorio premonitore, recitasse tra sé i versi della “La Lettera Lungo la Strada” di Pablo Neruda, il poema con cui si chiudono “I versi del Capitano”.

“Così questa lettera termina

senza tristezza alcuna:

sono fermi i miei piedi sulla terra,

la mia mano scrive questa lettera lungo la strada,

e in mezzo alla vita sarò

sempre

vicino all’amico, di fronte al nemico,

col tuo nome sulle labbra,

e un bacio che giammai

s’allontanò dalla tua bocca.”

-*-

Sul tema del tempo (il “timing”dicono gli obesi e pigri carri armati del pensiero di sopra), ci hanno criticato e classificato. Ci hanno detto, per esempio, che nell’era digitale noi zapatisti siamo come orologi che funzionano a molle e a ingranaggi e che bisogna caricare a mano.

“Anacronistici”, dicevano. “Il passato che viene a chiedere il conto”, sentenziavano. “Il ritardo storico”, mormoravano. “Una questione irrisolta della modernità”, minacciavano.

Bene, con il nostro solito senso di opportunità dicemmo loro che noi non siamo come un orologio manuale nell’era degli smartwatch, che ti misurano le calorie, il ritmo cardiaco, che ti dicono anche se fai i movimenti giusti quando i corpi nudi ripetono, questa sì anacronistica, la cerimonia dell’incontro di pelle e umori. Questi orologi sono così moderni e avanzati che a volte puoi vedere l’ora.

Certo, questa è un’epoca in cui la realtà virtuale supera di molto la realtà vera e qualsiasi imbecille può simulare saggezza grazie al fatto che le reti sociali gli permettono d’incontrare echi egualmente sciocchi e cinici; epoca dove la pretesa originalità dell’antipatia viene annullata dall’evidenza che l’impertinenza, l’ignoranza e la pedanteria sono una “individualità” condivisa da milioni di nickname, come se la stupidità non fosse altro che un solitario essere multiaccount, e la misoginia di Calderón e della Calderona abbia i suoi simili in tutto l’universo dei social network, compreso chi, con titoli e dottorati nella sinistra perbene e istituzionale, si riferisce alla possibile portavoce del Consiglio Indigeno di Governo col sarcastico nomignolo di “la Tonantzin”.

Ma quello che a destra è un delitto perseguibile penalmente, per la sinistra istituzionale diventa un divertente commento che non merita condanna ma celebrazione. Benché si travesta da unica ed irripetibile, l’imbecillità è la più comune e corrente caratteristica umana nello spettro politico di un sopra in cui le differenze si diluiscono perfino nei sondaggi.

Ma in questa era tecnologica che ci guarda con divertita riprovazione, noi zapatisti siamo piuttosto una clessidra.

Una clessidra che, benché non richieda di essere rigirata ogni 15 minuti e di essere sempre in attivo per funzionare, deve continuamente rinnovare il suo limitato contenuto.

Anche se poco pratica e scomoda, per come siamo noi zapatisti, la clessidra ha i suoi vantaggi.

Per esempio, in essa possiamo vedere il tempo trascorso, vedere il passato, cercare di comprenderlo.

Possiamo anche vedere il tempo che sta arrivando.

Non si può comprendere il tempo zapatista se non si comprende lo sguardo che tiene il conto di una clessidra.

Per questo, signore e signori, otroa, bambine e bambini, abbiamo portato qui solo per questa occasione, questa clessidra che abbiamo battezzato modello “John Snow non sai niente”.

Guardate, apprezzate la perfezione delle sue curve che ci ricordano che il mondo non è rotondo, eppur si muove, gira e, come disse a suo tempo Mercedes Sosa, “cambia, tutto cambia”.

Guardatela e capite che non ci capite, ma non importa un accidente, perché non è verso il nostro mondo arcaico (che, più che pre-moderno è preistorico) che vi chiediamo di guardare, no. È molto più in là che abbiamo bisogno della vostra vigilanza.

Perché a voi chiedono di porre l’attenzione a quel breve istante in cui un granello di sabbia attraversa lo stretto passaggio per poi cadere e sommarsi agli altri granelli che si accumulano a ciò che noi chiamiamo “passato”.

Perché questo vi insinuano, consigliano, chiedono, ordinano, comandano: vivi l’attimo, vivi questo presente che si può ancora ridurre di più con la più alta e sofisticata tecnologia.  Non pensare al tempo che giace ormai nel passato, perché nella vertigine della modernità, “un secondo fa” è lo stesso di “un secolo fa”.

Ma, soprattutto, non affacciarti su quello che viene dopo.

E noi, chiaro, contropelo, testardi come muli (senza offendere nessuno in particolare), analizziamo e mettiamo in discussione il granello di sabbia che, anonimo, in mezzo agli altri, aspetta il suo turno di passare nell’angusto tunnel, e nello stesso tempo guardiamo quello che giace in basso e a sinistra in ciò che chiamiamo “passato”, domandarsi l’un con l’altro che accidenti c’entrano loro in questa discussione sui muri del Capitale e le crepe del basso.

E noi, con un occhio al gatto e l’altro allo sgorbio, cioè al cane, il “gatto-cane” che diventa strumento di analisi del pensiero critico, e smette di essere la compagnia costante di una bambina che si immagina senza paura, libera, compagna.

Ma non vi invitiamo a cercare di capire o spiegare lo zapatismo. Anche se, chiaro, se volete continuare nella vostra lentezza, limitazione e dogmatismo anti o pro, chi siamo noi per impedirlo.

E allora diciamo no, non valiamo la pena, lo zapatismo è solo una lotta tra le tante. Forse la più piccola in quanto a numeri, impatto e trascendenza.

Sebbene, questo sì, forse la più irriverente in riferimento al nemico scelto, all’ispirazione, al suo obiettivo, al suo orizzonte, al suo testardo impegno nel costruire un mondo che contiene molti mondi, tutti quelli che già esistono e quelli che nasceranno.

Tutto questo mentre, con assurda ostinazione, rigiriamo una volta ancora la clessidra come se volessimo dirle, dirci, che questa è la lotta: qualcosa dove non c’è riposo, dove si deve resistere e non spalancare le porte alla prudente codardia che, con il cartello “USCITA”, appare lungo il cammino.

Nella lotta devi stare attento al tutto e ai particolari, stare pronti, pronte, perché questo ultimo granello di sabbia non è l’ultimo, ma il primo, e la clessidra deve essere girata perché non c’è oggi ma ieri e, se hai ragione, anche il domani.

Ecco quindi il segreto del metodo zapatista per l’analisi e la riflessione: non usiamo un orologio a carica manuale, ma una clessidra.

Chiaro, si capisce, che cosa ci si può aspettare da chi ora sostiene che in questa epoca, oltre alla logica del denaro, viene globalizzata la signora madre di Donald Trump perché in tutto il pianeta la ricordano, la menzionano, cioè, la citano.

O forse usiamo una clessidra perché il nostro desiderio di capire non è un interesse accademico, scientifico descrittivo, o un tribunale che pensa di sapere tutto e di poter opinare su tutto, perché è risaputo e confermato dai social network che qualsiasi idiozia trova seguaci e si formano greggi di pecoroni per un pastore che, a sua volta, fa parte del gregge di un altro pastore.

No, il nostro interesse è sovversivo. Combattiamo il nemico. Vogliamo sapere com’è, conoscerne la genealogia, il suo “modus operandi” potremmo dire seguendo Elias Contreras, un investigatore dell’EZLN, ora defunto, che sosteneva che il capitalismo era un criminale e che l’intera realtà mondiale era la scena del crimine e come tale dovrebbe essere analizzata e studiata.

Ora mi accorgo che le tracce lasciate da Elias Contreras, quelle lasciate dal defunto SupMarcos, quelle che noi zapatiste e zapatisti vi stiamo lasciando, signore e signori, otroa, bambine e bambini, non più giovani nel calendario ma nello sguardo, sono tutte segnali di un cammino.

Il trucco, l’abilità, come dice il SubMoy, “la magia” come diceva il SupMarcos, sta nel fatto che queste tracce non sono fatte per farci trovare, scoprire, catturare. Secondo questo appunto che ho trovato nel baule dei ricordi del SupMarcos e che ora rileggo sconcertato, sono fatte trovare non solo lo specchio, ma anche per costruire la risposta, la vostra risposta, alla domanda apocalittica che vi schiaffeggerà indipendentemente dal vostro colore, genere o transgenere, credo o non credo, filiazioni e fobie politiche e ideologiche, il vostro modo, il vostro tempo, la geografia.

La domanda che annuncia l’apocalisse più terribile e meravigliosa: E tu che fai?

L’apocalisse che, secondo quanto racconta la bambina autodenominatasi Difesa Zapatista, è di genere. “È colpa di quegli stronzi di uomini” sentenzia ogni volta che può, a proposito o sproposito, questa bambina che sogna di completare la sua squadra di calcio.

“È tutto a posto, anche se il pallone è un po’ ammaccato, come lo avessero picchiato in testa, è pieno di bernoccoli”, mi risponde la bambina ad una domanda che non avevo neanche pensato.

È vero che devo completare la squadra, ma non preoccuparti Sup, stiamo già crescendo, forse ci vorrà tempo, ma stiamo crescendo”, mi dice per tranquillizzarmi mentre nel caracol aspettiamo con ansia che ritrovino la squadra di appoggio che si è smarrita.

Il Subcomandante Insurgente Moisés mormora “maledizione, credo che dobbiamo fare una squadra di appoggio per la squadra di appoggio, perché gli capita sempre qualcosa”, mentre Difesa Zapatista cerca di convincermi a trovare tra voi un volontario per rincorrere un pallone informe attraverso un campo pieno di zecche e una vipera, che da qualche giorno è allagato da una pioggia alla quale manca sicuramente l’orologio perché non doveva proprio cadere in aprile.

Le indicazioni che ricevo dalla bambina sono ben lungi dall’essere semplici. La squadra non ha bisogno di un portiere, posizione che so occupata da un vecchio cavallo orbo che si differenzia dagli altri perché non ha briglia, né marchio, né padrone e mastica indifferente una bottiglia vuota di plastica con l’etichetta di una nota cola.

La posizione in difesa ovviamente è già coperta. E la squadra ha un’ala sinistra che pare un gatto… o un cane, che qui il mouse del computer del SubMoy salta, e c’è il Monarca che lo insegue gridando “maledetto cane!” e l’insurgenta Erika chiarisce che non è un cane, e il Monarca “allora un gatto”. “Nemmeno”, dice Erika, che vuole solo assicurarsi che il gatto-cane scappi illeso, e ci riesce.

Della sempre incompleta formazione fa parte anche Pedrito che, per quanto capisco dallo schema che Difesa Zapatista dispiega di fronte a me, è una specie di libero multi funzionale. “Pedrito non obbedisce”, mi spiega, “un giorno vuol fare il portiere, un altro l’attaccante, il difensore se lo sogna proprio” avverte la bambina. Poi aggiunge “ma gli uomini sono stronzi così, un giorno dicono una cosa e un attimo dopo il contrario” mentre mi guarda con gli occhi socchiusi e fa la sua miglior faccia di “Fuck Trump e fatti da parte se non ti vuoi sporcare”.

Prima di andarsene Difesa Zapatista mi riassume: “Senti Sup, non è per tutti, ci deve essere disciplina e lotta perché sennò poi si scoraggiano in fretta e nella squadra resta solo resistenza e ribellione”. Non volevo disilluderla ma il solo requisito di disciplina taglia fuori tutte le squadre di appoggio e tutte e tutti, todoas, i presenti, cominciando proprio da Pablo Contreras qui presente.

Per il defunto SupMarcos, come sono venuto a sapere dopo la sua morte e dopo il recupero delle sue lettere, l’apocalisse non è lo specchio né la domanda, bensì la risposta. “Qui”, scriveva con i suoi stentati caratteri da bambino poco diligente e sempre bocciato in calligrafia, “Qui è dove il mondo finisce… o comincia”.

Tornerò in un’altra occasione su questi fogli macchiati dall’umidità e dal tabacco contenuti, insieme ad altri, in un baule di tela corroso e rotto che il SupMarcos mi consegnò pochi momenti prima della sua morte con una frase laconica: “Vedrai”.

La stessa frase me la aveva ripetuta mentre scendeva dal palco de La Realidad, con il sangue ancora caldo del mio fratello morto, il maestro Galeano, quando, come premonizione di quanto sarebbe avvenuto dopo, l’unica luce era quella della pioggia che rompeva la logica di quel maggio già sorpassato dai calendari.

No, non parlerò di quello scritto. O meglio, non ancora. E nemmeno di quello che ho appena trovato e che, sfidante, ha questo breve titolo: “Di come Durito decise di abbracciare la nobile professione di Cavaliere Errante e iniziare a correre per il mondo riparando torti, soccorrendo l’indifeso, riscattando l’oppresso, appoggiando il debole e strappando sospiri libidinosi alle caste donzelle e sbuffi d’invidia ai maschi. Relazioni, presupposti senza impegno e contrattazioni in Foglia di Huapac #69”.

Sì, concordo con voi, è un titolo modesto quanto il suo autore.

Ma non ve lo leggerò ora, non perché non voglia sentire le risate che susciterebbe questa storia, scritta di proprio pugno dal defunto e con il solo chiarimento di data e ora: “Accampamento Watapil Sierra di Almendro, aprile 1986”, si riesce a leggere, sono passati 30 anni, ma solo perché adesso non è il caso.

Vi starete certamente incazzando perché la sto tirando per le lunghe (…) con questa menata che non vi leggerò la storia dal titolo breve e altrettanto eloquente, ma lasciatemi dire che questi fogli trovati nel baule del SupMarcos mi hanno fatto ricordare qualcosa accaduto quando all’orologio de La Realidad, ancora non batteva l’ora della sua morte:

Il SupMoy e l’ormai defunto SupMarcos tornavano dalla riunione con il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dello EZLN, che si era svolta in una delle strutture del caracol de La Realidad, e mi mandarono a chiamare.

Capii che era scoccata l’ora nei due orologi che il defunto portava dal 1° gennaio 1994. Sapevo che la sua morte era già stata decisa ma non sapevo quando. Il fatto che mi mandassero a chiamare significava solo una cosa: la morte era imminente e mi avrebbe dato le ultime istruzioni prima che nascessi.

Il SupMoy si ritirò e rimasi solo con il SupMarcos.

Mi consegnò una piccola valigia di tela, vecchia, rappezzata senza dirmi niente di più.

Domandai cosa farne, mi rispose che lo avrei saputo quando sarebbe venuto il momento. Annuii in silenzio.

Poi mi diede le indicazioni sull’ubicazione di una scatola in montagna dove, mi disse, conservava alcuni libri.

Ora mi tornano in mente: le antologie poetiche di León Felipe e Miguel Hernandez, il Gitano romantico di Garcia Lorca, i due tomi del Chisciotte, i “Versi del Capitano” di Pablo Neruda, una edizione bilingue dei Sonetti di William Shakespeare, 2Storie di Cronopios e di Famas” di Julio Cortázar e altri che ora non ricordo.

Mi sembrò strano che nelle sue ultime volontà avesse pensato al riscatto di alcuni libri probabilmente già fatti a pezzi dall’umidità e dalle formiche.

Devo aver fatto qualche gesto perché si sentì obbligato a spiegare: “Non c’è solitudine più disperante di quella di un libro senza lettore”.

Non aggiunse altro, io mi limitai a copiare in codice le coordinate della scatola.

Poi, alla fine, alla sua maniera mi domandò: ““Dubbi, domande, timori, dissensi, altro?”.

Restai pensieroso.

Ho una domanda”, gli dissi, ma non perché l’avessi, bensì per prendere tempo e poter pensare a qualcosa.

Lui rimase in silenzio.

Non so perché, gli chiesi di Durito.

Sì, lo so, avrei dovuto chiedere altro, ad esempio le ragioni della sua morte, o fare l’urgente domanda di sempre “cosa accadrà?” E invece no, gli chiesi di Durito.

Perché hai scelto come personaggio un insetto? Capisco il Vecchio Antonio, anche i bambini e le bambine, ma un insetto? E peggio ancora, uno scarafaggio! Gli scarafaggi qui sono quelli che fanno il nido negli escrementi e lì allevano i figli”.

Lui accese la pipa e, tra una boccata di fumo e l’altra, rispose:

In primo luogo, come capirai subito, quelli non sono i personaggi, ma sono io. E per quanto riguarda Don Durito, lui è il “piccolo”, il debole e insignificante che si solleva, si ribella e sfida tutto, persino il suo destino imposto”.

Per quel che riguarda lo sterco, gli scarafaggi non sono gli unici sulla terra a lavorare con lo sterco e ad usarlo anche per le case. Anche gli indigeni. Beh, almeno prima della nostra sollevazione”.

Sì, parlammo di altre cose, non perché fosse un interrogatorio, ma perché l’inizio del funerale stava ritardando e il SupMarcos faceva come al suo solito, mentre pensava a qualcosa si metteva a parlare di altro, come se dovesse occupare i suoi pensieri con varie cose contemporaneamente per poter risolvere la cosa principale.

Queste altre cose ve le racconterò, forse, in un’altra occasione. O no, chissà.

Ma la storia del legame tra lo scarafaggio e gli indigeni zapatisti, forse la capirete meglio nelle storie che seguono per voce del SupMoy.

Passo quindi la parola al nostro capo e portavoce, il Subcomandante Insurgente Moisés, che di recente è tornato dal profondo della Selva Lacandona dov’è andato per spiegarci perché il mondo capitalista somiglia a una tenuta recintata da mura.

 

Molte grazie.

Sup Galeano.

Messico, aprile 2017

 

Traduzione a cura di 20zln

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/12/preludio-los-relojes-el-apocalipsis-y-la-hora-de-lo-pequeno/

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SupMoisés: Chiusura del Seminario “I Muri del Capitale, Le Crepe della Sinistra”.

Perciò non preoccupatevi compagne e compagni, il problema non è che votiate o no, il problema si chiama capitalismo, si chiama sfruttamento in cui ci tengono e che soffriamo.

PAROLE DI CHIUSURA DEL SEMINARIO DI RIFLESSIONE CRITICA “I MURI DEL CAPITALE, LE CREPE DELLA SINISTRA”

Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, venerdì 15 aprile 2017

 

Buona sera.

Grazie compagne e compagni del Messico e del mondo.

Grazie sorelle e fratelli del Messico e del mondo.

 

Vi dico grazie perché avete fatto un grande sforzo ad ascoltarci in questi giorni e uno sforzo per venire e uno sforzo per tornare, e non è cosa da poco.

Noi relatori abbiamo detto molte parole, vi tocca fare una cernita per vedere quali vi servono per organizzarvi, lavorare e lottare, là dove vivete.

Insistiamo soltanto, il capitalismo convertirà il mondo in tante sue tenute e piantagioni.

Ciò ci dice che noi povere e poveri del mondo dobbiamo organizzarci, lottare e lavorare.

Abbiamo ormai visto, compreso e detto tante e tante volte come ci costringe a vivere il capitalismo, là nei nostri villaggi dove ciascuno di noi vive, cioè nel paese in cui viviamo, cioè nel continente in cui siamo.

Oggi scopriamo ciò che il capitalismo manteneva occulto, ciò che ci avrebbe fatto, e abbiamo persino scoperto il nome di come si chiamerà, giacché dicono “il mondo è la mia tenuta” e là ho e avrò i miei servi della gleba.

Questo ci sta dicendo, che dovremmo ormai pensare e trovare il modo di organizzarci, lavorare e lottare come mondo che siamo noi poveri, come guardiane e guardiani del mondo che siamo, e dire No al capitalismo.

Pensiamo a come organizzarci, come lottare e lavorare nel mondo, che il capitalismo vorrebbe ridurre a una sua tenuta, perché si vede che non dobbiamo più lottare solamente per un paese, ma per il mondo. È ciò che abbiamo ascoltato qui, è ciò che vi abbiamo detto qui, che è quel che accade in Messico e quel che accade in altri paesi d’America, e siamo sicuri che è quel che accade negli altri continenti, perché è il medesimo capitalismo che sta fottendo lì, non è necessario essere troppo esperti per sapere che il capitalismo sfrutta allo stesso modo negli altri continenti; ma crediamo che invece dobbiamo essere esperti su come distruggere il capitalismo perché smettano di rinascere queste malvagità.

Tutte e tutti dobbiamo studiare, ma non dobbiamo fermarci allo studio, bensì mettere in pratica ciò che abbiamo capito nello studio, studiare le storie per migliorare nella pratica, per progredire.

Lo studio non è solo quello dei libri, che è buono, ma è studio anche pensare com’è la vita o pensare come sarà fare bene, o perché la vita è stata tanto brutta e come invece dovrebbe essere.

Tutti abbiamo detto la parola rivoluzione o cambiamento; questo cambiamento o rivoluzione deve essere per tutte e tutti gli uomini e le donne del mondo, non è rivoluzione o cambiamento se riguarda solo alcuni uomini e donne, è come la giustizia, la democrazia e la libertà: è per tutti e tutte, e così il resto.

Oggi i compagni e le compagne del Congresso Nazionale Indigeno ci stanno chiamando a organizzarci per lottare dalla campagna e dalla città contro il capitalismo.

Non ci stanno chiamando a cercare voti, ci stanno chiamando, stanno cercando noi milioni di poveri della campagna e della città, per organizzarci a distruggere il capitalismo nel mondo.

Perciò non preoccupatevi compagne e compagni, il problema non è che votiate o no, il problema si chiama capitalismo, si chiama sfruttamento in cui ci tengono e che soffriamo.

Quel che vogliamo e vogliono i compagni e le compagne del Congresso Nazionale Indigeno, è che in tutto il Messico ci organizziamo noi della campagna e della città anticapitalisti.

Non c’è altra strada, rimedio a questi mali di cui soffriamo per colpa del capitalismo. È organizzarci, di ciò si tratta per quanto riguarda il giro, i cosiddetti candidata e consiglio indigeno di governo, è come una commissione che farà il proprio giro nazionale, per chiamarci a ORGANIZZARCI.

Ad ascoltare direttamente le donne e gli uomini della campagna e della città, cioè il consiglio indigeno di governo e la candidata sono le nostre orecchie, i nostri occhi, e perché? Per dirci come il malsistema capitalistico fattosi governo non abbia potuto rispondere alle loro necessità, dalla viva voce dei popoli, e i popoli sanno come a tali necessità si debba rispondere, ma manca il popolo organizzato che affronti tutto ciò, perché nel sistema in cui ci tengono non siamo presi in considerazione. Ecco perché dobbiamo organizzarci, senza chiedere il permesso a nessuno.

Così come non ci hanno chiesto permesso per sfruttarci, allo stesso modo non c’è motivo di chiedere permesso su come organizzarci contro questo sfruttamento.

Noi dirigeremo noi stessi, non permetteremo che chicchessia ci diriga; ascoltiamo proposte e rifiutiamo imposizioni: basta così, già lo abbiamo vissuto, il popolo comanda e il governo obbedisce, diciamo noi zapatiste e zapatisti.

È un’opportunità in più per ascoltarci, per congiungere la rabbia degna e la sapienza e l’intelligenza, noi popolo del Messico della campagna e della città, per segnare noi stesse e stessi la strada che si deve percorrere per la nostra destinazione, dopo che già tante ne abbiamo dette su tutte queste malvagità.

Di ciò si tratta rispetto allo sforzo del Congresso Nazionale Indigeno, è per questo che escono la candidata e il consiglio indigeno di governo. Non di cercare voti, sappiamo già che saranno pochi voti e anche su quei pochi ci saranno frodi e quelli del malsistema faranno rivivere i morti affinché votino perché vincano loro. Basta con tutto ciò!

Stiamo cercando la strada della nostra destinazione, questo è l’incarico che hanno le compagne e i compagni del consiglio indigeno di governo e la portavoce candidata indipendente, tessere l’organizzazione dei popoli originari, tessere la decisione di questi popoli. Anche dei non indigeni.

Il congresso Nazionale Indigeno e il consiglio indigeno di governo e la portavoce devono sempre dirigere il loro sguardo verso il basso, il loro udito attento a quelli di sotto, e non guardare né ascoltare là sopra: non verrà la vita da lì, solo la morte.

Costruiamo noi il mondo in cui ci sarà vita. Perciò bisogna essere organizzati e organizzate.

Abbiamo bisogno di organizzarci, non ci stancheremo di dirlo, perché è l’unica cosa che ci resta, organizzarci è ciò che ci resta, con intelligenza e saggezza, dalla campagna e dalla città.

Compagne e compagni, sorelle e fratelli del Messico e del mondo, implica organizzarsi su come vogliamo una nuova giustizia, su come vogliamo la vera democrazia, su come dobbiamo vivere e lavorare la nostra libertà.

Implica organizzazione su come tener conto di come faremo le nuove leggi nate dai popoli.

Implica organizzazione, su come fare per ottenere risposta alle nostre 13 domande: Terra, lavoro, alimentazione, Tetto o casa, Salute, Educazione, informazione veritiera, Uguaglianza tra donne e uomini, indipendenza, Libertà, Giustizia, Democrazia e Pace.

C’è molto da dire, perché ci dobbiamo organizzare, ma chi ne sa di più sono le donne e gli uomini poveri della campagna e della città.

Diciamo soltanto questo, e vi diciamo che ci dobbiamo organizzare.

Per tutto ciò, non ci sarà soluzione dall’organizzare i voti, perciò che votiate o no non è il problema.

Organizzati, lotta e lavora, con resistenza e ribellione.

Organizzatevi popoli originari del mondo.

Organizzatevi cittadini poveri

Organizziamoci mondo povero.

Non dimenticatevi questo, compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

Non dimenticatevi questo, compagne e compagni del Consiglio Indigeno di Governo.

Non dimenticare questo, compagna portavoce candidata indipendente: chiamare i popoli a organizzarsi in campagna e in città.

Grazie.

 

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/15/palabras-del-subcomandante-insurgente-moises-viernes-15-de-abril-de-2017/

 

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SupMoisés: Caffè Organizzato Contro il Muro.

CAFFÈ ORGANIZZATO CONTRO IL MURO

Intervento del Subcomandante Insurgente Moisés, giovedì 13 aprile 2017.

Buonasera o buongiorno a tutti quelli che ci ascoltano nel mondo.

Quello di cui voglio parlarvi compagni, compagne, fratelli e sorelle qui presenti e che ci guardate dall’altro lato… Quello di cui vi voglio parlare non è quello che penso io, ma è quello che pensano le compagne e i compagni basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Con le compagne e i compagni che sono qui al nostro fianco, abbiamo capito che siamo di appoggio alle migliaia di compagne e compagni basi di appoggio. Così abbiamo detto ultimamente, perché gli abbiamo trasmesso quello che abbiamo visto, sentito e saputo. E cos’è che abbiamo saputo e sentito? È il muro di Trump.

Quando l’abbiamo sentito, quando siamo venuti a sapere di cosa si trattava, ci siamo riuniti con le compagne e i compagni del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno ed abbiamo parlato di quello che stava accadendo ai fratelli e sorelle migranti che stanno negli Stati Uniti.

Come sempre, le compagne ed i compagni comandanti, sono con loro. È questo che hanno detto. Dunque, sono come noi, dicono. Ma è veramente tosto quello che succederà, perché quei fratelli e sorelle migranti non sono andati là perché lo volevano, sono andati di là perché ormai la vita gli andava stretta nel loro villaggio o nella finca dove vivevano (per non dire nel paese).

Non avevano niente. E se possedevano qualcosa, hanno dovuto venderlo o impegnarlo per mettere insieme i soldi per andarsene negli Stati Uniti, perché si pensa che lì ci sia lavoro.

E adesso che sono di là, li cacciano. E dove possono andare se non hanno niente? E allora noi abbiamo detto, parlando, discutendo, pensando, studiando, analizzando, che è uguale a come era prima, centinaia di anni fa, come succedeva ai nostri trisavoli. Perché le terre migliori le volevano i proprietari terrieri. Ce le hanno tolte, ci hanno cacciato da lì. Ci hanno cacciato sulle montagne. Oggi, vogliono toglierci anche le montagne. Prima non ne avevano bisogno, oggi invece la montagna gli serve: lì c’è qualcosa. E adesso, dove dovremmo andare, noi che ancora siamo qui nella terra dove viviamo? Ma loro non sono più nella loro terra. L’hanno ormai lasciata, venduta o svenduta. Quindi, non hanno dove andare.

E allora un compagno del Comitato dice: “sì, è vero” e ha fatto l’esempio della fabbrica della Ford. Quel matto di Trump deve restituirla a quell’industriale e vuole riportare la fabbrica negli Stati Uniti. Un’altra volta, qui in Messico, non ci sarà più lavoro. Quindi la fabbrica andrà di là e di là ci sarà lavoro. Ci sarà lavoro per quelli di là, ma non per gli immigrati.

Allora ci siamo chiesti, che cosa possiamo fare? Ed abbiamo detto: “dobbiamo aiutarli”. Dobbiamo dire loro di lottare lì perché non hanno più dove andare.

Abbiamo quindi ricordato l’anno 1994, 1995… quando allora abbiamo chiesto alla società civile di aiutarci, sia in Messico che nel mondo. Allora ci siamo detti: crediamo, credo, che adesso tocca a noi. Che bisogna aiutare, come ci aiutò quel popolo solidale quando vide la nostra lotta. Credo che ora tocca a noi appoggiare quel popolo, bisogna dire loro di lottare, resistere e ribellarsi. Perché non gli resta altro.

Quindi, abbiamo controllato le nostre casse: ma non c’erano né euro, né dollari, niente. Abbiamo però scoperto che lì c’era il risultato del lavoro collettivo di villaggi, regioni, municipi autonomi ribelli zapatisti e della zona dove opera la Giunta di Buon Governo.

Abbiamo detto: sì, ci sono guineo (cioè, banane), yucca, patate dolci… ma poi marciscono, come facciamo? Allora, spunta l’idea, come dice il compa: ma ho dimenticato di portarla, l’ho dimenticata, ma qui c’è il compagno dottor Raymundo che ce l’ha. Ed ecco qua i 3 mila e tanti chili di caffè pronti per essere preparati e bevuti.

Ecco quindi come possiamo aiutarli. E come prima cosa i fratelli e le sorelle di là si devono organizzare per vendere il caffè e ricavarne dollari, per trasformarli in lotta, in resistenza e ribellione là dove stanno. E ci siamo detti: allora c’è bisogno di una certa quantità di caffè da mettere insieme. E così ne abbiamo parlato con le basi di appoggio di com’è la faccenda e del perché e per come. Come avevano fatto loro in quegli anni quando ci hanno aiutato quando ne avevamo bisogno noi.

Poi, è venuto fuori che “il caffè macinato potrebbe venire fuori diverso, un po’ con una bella tostatura, un po’ scuro perché molto tostato”… Quindi, sarebbe stato meglio parlarne in collettivo. Allora i compagni e le compagne comandanti sono andati a spiegare la questione in ogni zona ed i compagni hanno detto: Sì!

In alcuni villaggi i compagni e le compagne coltivano caffè, ed in altri no. Allora i compagni hanno detto: compriamo noi il caffè che il compagno o la compagna dei villaggi organizzati in collettivo vendono altrove, e così ricaviamo i soldi. Altri hanno pensato di farlo nella regione – una regione è composta da 20, 30 o 40 villaggi -. Altri ancora hanno detto: ci compriamo noi il nostro caffè. I soldi li tiriamo fuori dal lavoro collettivo della regione. Alcuni di altre zone hanno detto: che si incarichino di questo i compagni e le compagne autorità dei municipi autonomi ribelli zapatisti. Che comprino il caffè del lavoro collettivo dei compagni ed anche dei fratelli e delle sorelle, se non ci riusciamo, ognuno nella sua zona. Ed altri hanno detto: nella zona c’è la Giunta di Buon Governo. L’assemblea delle autorità, donne e uomini, prendono accordi e la Giunta di Buon Governo si incarica di comprare il caffè dei compagni e delle compagne. È così che siamo riusciti a metterci insieme.

Abbiamo pensato che il caffè deve essere di buona qualità. Allora, abbiamo mandato i 5 mila chili di caffè in bacche ai collettivi di compagni della zona che hanno la macchina per tostare e la macchina per macinare il caffè. Dunque, 3.791,5 chili di caffè macinato sono il risultato dei 5 mila chili in bacche.

Noi eravamo fiduciosi dunque perché c’era la macchina per la tostatura e la macinatura. Le zone si sono organizzate per mandare i lavoratori dove c’erano le macchine ed anche le compagne che sanno come macinare il caffè. Eravamo molto contenti perché era tutto a posto, ma proprio il primo giorno la macchina si è guastata. I compagni che erano lì hanno detto: “ma questo è un complotto”. “No, non è stato un complotto”. Dobbiamo rimediare a questo inconveniente.

Abbiamo chiamato Sergio, un compagno insurgente per chiedergli di darci una mano. Il compagno insurgente è venuto a vedere. E risulta che si era incastrato un cuscinetto. Non è stato quindi per colpa del capitalismo. Non è stata la mafia del potere. È successo per colpa nostra perché non abbiamo fatto manutenzione alla macchina. Un compagno che era lì ha detto: manca del grasso e lì c’è del grasso animale. Quello, ma senza sale, si usa come grasso. Non si deve comprare il grasso. La sola cosa che mancava dunque era la pulizia e la manutenzione.

Insomma, avevamo bisogno che il lavoro andasse avanti.

Allora è cominciato il coordinamento con i compagni incaricati della tostatura; la compagna pronta ad intervenire nei giorni di lavoro; i compagni autisti in attesa di caricare il prodotto; i compagni per imballare e sigillare. Ma tutto era fermo perché la macchina ha fatto un complotto. Allora, ci si è organizzati. Abbiamo chiesto ad un gruppo di compagni e compagne che ci aiutano dalla città, di procurarci un cuscinetto che sarebbe poi andato a recuperare un nostro compagno.

Il collettivismo quando si organizza e si coordina gira liscio come una ruota. E così abbiamo risolto immediatamente il problema del fermo della macchina. Il compagno ha estratto il cuscinetto, l’ha poi rimesso…. e via. Ed ora, ecco qua il caffè.

L’idea è che questo sia per i compagni, compagne, fratelli e sorelle migranti negli Stati Uniti. È per appoggiare la lotta che stanno portando avanti. E diciamo loro: è necessario che vi organizziate dove siete e resistete e vi ribellate. In che modo? Questo è quello che dovete decidere voi.

L’aiuto che diamo è incondizionato, come aiutiamo qui in Chiapas i fratelli e le sorelle maestri. Aiutiamo non perché si diventi base di appoggio, né perché noi possiamo dire: “dovete fare questo e quello”. Sono loro che devono decidere. Perché abbiamo imparato da quello che ci hanno insegnato negli anni ’94 e ’95. Perché abbiamo imparato e scoperto l’arma di lotta che è la resistenza e la ribellione.

Questo è quello che abbiamo fatto con i compagni e compagne comandanti. Ci siamo domandanti cosa sarebbe stato se non avessimo ascoltato le compagne e i compagni basi di appoggio nel ’94, che ci dicevano di lottare anche come basi di appoggio, e non con le armi come miliziane, e miliziani, compagni e compagne insurgentes. Noi siamo contro il governo – così dicevano – e pertanto non ci vendiamo, non ci arrendiamo né cambiamo. Dobbiamo rifiutare l’elemosina, gli avanzi, le briciole. Allora, lo capimmo e cominciammo a pensare come metterlo in pratica. E grazie a questo oggi siamo qui a parlare, perché per 23 anni la lotta è stata combattuta con l’arma che si chiama resistenza e ribellione.

Con i compagni e compagne comandanti abbiamo fatto un paragone: se avessimo trascorso 23 anni a sparare, a bombardare o fare imboscate, non ci sarebbero i municipi autonomi ribelli zapatisti, non ci sarebbero le Giunte di Buon Governo, non ci sarebbe educazione, cioè, le scuole zapatiste, non ci sarebbero cliniche né ospedali zapatisti, né si sarebbero svolti tanti incontri quanti ne abbiamo fatto, perché non ce ne sarebbe stato il tempo. E sappiamo quello che sarebbe stato: 23 anni di fuoco.

Ma quell’arma che abbiamo scoperto è quella che ci ha reso quello che siamo ora. E allora, con quell’arma di lotta, la resistenza e la ribellione, ovviamente bisogna organizzarsi. Questo è quello che ha permesso di costruire un piccolo mondo con un nuovo sistema di governo proprio.

Ognuno deve decidere da sé, ma abbiamo visto che con l’arma di lotta della resistenza e ribellione questo è possibile. Non neghiamo neppure gli strumenti che abbiamo. Noi chiamiamo strumenti le nostre armi. Per noi le armi sono uno strumento, un qualsiasi attrezzo, sono come un machete, una motosega, un’ascia. Quindi, bisogna usarle quando è necessario, ma bisogna saperle usare.

Perché come sentiamo, il nemico capitalista non ci lascerà in pace. Non permetterà che a comandare sia il popolo, donne e uomini. Non lo permetteranno mai. Non negozierà né discuterà il suo modo di sfruttare. Non dirà: “ah bene, adesso ti sfrutterò solo un po’”. Non succederà questo. Non dirà: “ah, allora rinuncio a fruttarti”. Non ci sarà altro che il popolo, donne e uomini che devono organizzarsi.

Dunque, il lavoro collettivo è pulito e bello. Una cosa è cosa si dice in teoria, un’altra cosa sono i fatti. Ma la teoria ci aiuta a capire cosa è importante, necessario ed il perché e per come. E se nel momento in cui devi affrontare un problema, non ti viene come sarebbe in teoria, non devi scoraggiarti, perché teoricamente sai il perché, il per come e ne conosci l’importanza.

Ognuno deve fare e organizzare il lavoro collettivo. Io non so come dovrebbero lavorare in collettivo i maestri e le maestre. Non so come dovrebbero fare le operaie o gli operai. Ognuno, nei propri luoghi, dovrà inventarselo, crearselo, lo dovrà immaginare e studiare e metterlo in pratica.

Ma il collettivismo ha molta forza. Il collettivismo non è meramente lavorare la terra, ma deve esserci collettivismo se vuoi la buona sanità, la buona educazione e tutto il resto delle tredici domande che vi abbiamo esposto. Come vogliamo tutto questo? Le leggi che regolano la nostra vita devono scaturire dal collettivo. Non che qualcuno sappia fare la legge e la cali dall’alto e il popolo sia quello che paghi.

Quindi, diciamo che il collettivismo non significa come lavorare la terra. Riguarda tutto. Dunque, questo lavoro collettivo, in questo caso il mero prodotto – è qui e ce l’ha il compagno dottor Raymundo – e magari uscirà in collettivo come fare a portarlo ai fratelli, sorelle, compagni, compagne migranti là negli Stati Uniti.

Pensiamo che allora noi, che comprendiamo l’importanza della lotta che dobbiamo fare contro il capitalismo, dovremmo inventare altre cose, tipo come aiutare i fratelli e le sorelle, i compagni e le compagne là negli Stati Uniti. Perché hanno bisogno di appoggio incondizionato. Perché se mettiamo condizioni, non va bene. Dobbiamo aiutarci, dunque, affinché dimostriamo che non abbiamo bisogno di quelli che vogliono aiutare dettando le condizioni.

Quindi, il caffè è qui. E adesso vediamo chi dirà “me lo prendo e lo consegno”. Non vogliamo venderlo, ma farlo arrivare negli Stati Uniti. E là i fratelli e le sorelle si organizzeranno per venderlo. Perché è necessaria l’organizzazione. Oggi più che mai ci si deve organizzare contro il capitalismo. Lottare e lavorare.

E quando crederemo di esserci organizzati, ci accorgeremo che dovremo riorganizzarci di nuovo. Dovremo perfino rieducarci, perché è quello che facciamo. Ci stiamo rieducando. Ci stiamo riorganizzando per quello che credevamo fosse già organizzato.

Per questo è così importante organizzarsi. È una parola organizzarsi. Che cosa porta? Forse porta aglio, forse porta olio, forse porta i condimenti. Bisogna vedere. Che tipo di organizzazione? Di che cosa si tratta questa organizzazione? Per quale motivo questa organizzazione? Questo è affare di ognuno.

Ovviamente che non passi che stiamo deviando dal nostro percorso o che ci vendiamo o che ci arrendiamo. Perché è questo che ci chiede il capitalismo. Di smettere di lottare. Non puoi dire che non vuoi più lottare. Non puoi dire: “Non voglio più miseria”. Non si può: smetti di lottare e la miseria peggiorerà.

Quindi, dobbiamo pensarci bene. Ed ognuno deve costruire quello che lui vuole costruire. Con la sua lotta, con la sua organizzazione.

Dunque, vi consegniamo questo caffè affinché diciate chi è pronto – intendo a fare quello che abbiamo detto, che è per quei fratelli e sorelle – e che si organizzi per venderlo. Pensiamo che dobbiamo aiutarli di più, ma devono resistere lì, perché altrimenti non sia mai che consegniamo il caffè a Trump. C’è bisogno che il popolo migrante negli Stati Uniti si organizzi affinché possiamo consegnare loro anche il caffè del raccolto successivo.

E speriamo che ci accompagnerete nell’aiutare questi fratelli e sorelle, con quello che potete.

Grazie.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/13/palabras-del-subcomandante-insurgente-moises-jueves-13-de-abril-de-2017/

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SupGaleano: Kagemusha: Aprile è Anche Domani.

KAGEMUSHA: APRILE È ANCHE DOMANI

12 aprile 2017

Qualche mese fa il Subcomandante Insurgente Moisés mi ha fatto una sintesi di quello che vi ha appena raccontato con più estensione e contenuto.

Senza volerlo ha tracciato una linea di continuità tra il passato e la tormenta di oggi.

Questa mattina, dopo aver ascoltato le storie che, per voce del SupMoy, hanno raccontato i più anziani tra i nostri compagni, sono tornato alla mia capanna.

La pioggia, fuori stagione, ha iniziato a battere sul tetto di lamiera e non era possibile ascoltare altro se non la tormenta.

Sono così tornato a cercare nel baule che mi ha lasciato il SupMarcos perché mi pareva di aver visto un testo che si poteva riferire a quello che avevo appena finito di ascoltare.

Riguardare questi scritti non è facile, credetemi. La maggior parte di questi testi riposti con disordine dentro il contenitore vanno dal 1983 al primo gennaio del 1994, diciamo che almeno fino al 1992, si vede che il Sup non solo non aveva un computer, ma nemmeno una macchina da scrivere. Così i testi sono manoscritti su fogli di diverse dimensioni. Gli scritti del defunto erano già illeggibili di per sé, se poi a questo si aggiunge l’età ed il clima della montagna, con l’umidità, le macchie e le bruciature di tabacco.

C’è di tutto. Per esempio, ho ritrovato il manoscritto originale con gli ordini operativi per le diverse unità militari zapatiste alla vigilia della rivolta. Non solo ci sono le piantine delle unità, ma anche ogni operazione dettagliata con minuziosità che rivela l’annosa preparazione.

Non sono questi gli appunti di un poeta perso nelle montagne del sudest messicano, o un cantore di storie. Sono gli scritti di un soldato. No, meglio di un capo militare.

Ma abbondano e si trovano anche racconti e storie, ci sono pochissime poesie e i racconti sono di analisi politica ed economica.

Cioè, più che analisi, si tratta di schemi e temi appena tratteggiati, come se fossero qualcosa che doveva essere migliorato in seguito, o completati, o corretti. Ho ritrovato in questi alcune cose che sono stata poi rese pubbliche, certamente migliorate.

Però non stavo cercando questo. Le storie ricordate dal SupMoy mi hanno ricordato che c’era dell’altro in questa montagna disordinata di fogli e idee, qualcosa che parlava della genealogia della lotta anticapitalista.

Eccolo qua. Questo è dopo l’inizio della guerra perché è stampato ed è scritto con un processore di testi.

Per quanto c’è scritto, deve essere stato redatto una ventina di anni fa, quando gli zapatisti iniziarono a pubblicare alcune analisi più approfondite su quel che era e che sarebbe stato. Bene, per lo meno le prime righe, perché qualcosa sembra essere stato scritto successivamente.

Il testo ha un titolo sconcertante, ma che si capisce mano a mano si prosegue nella lettura. Si intitola “Aprile è anche domani”. E continua con diversi punti da sviluppare, perché incompleti in quel momento.

La maggioranza dei punti sembrano essere stati sviluppati in testi che divennero pubblici tra il 1996 e 1997, così che vi annoierei ripetendoli. I principali sono stati raggruppati in un libro dal titolo “Scritti sulla guerra e l’economia politica”, pubblicato dalla casa editrice “Pensamiento Crítico Ediciones”. Se a qualcuno interessa capire di più, questo libro può essere utile. Oppure potete consultare la pagina elettronica di Enlace Zapatista.

La parte che mi interessa illustrarvi, non appare in nessuno di questi testi pubblici, certamente già mediamente sviluppata, è l’inizio di una serie di riflessioni sulle scienze sociali, come dire, sull’economia politica, nonché sulla sfida vecchia e attuale della teoria e pratica politica.

Vi leggo:

– Le tappe possibili del capitalismo. Più che una definizioni scientifica, l’approccio secondo cui l’imperialismo era una delle ultime fasi del capitalismo, si è trasformato in un piano di azione per le lotte di tutto il mondo. Da essere “una fase superiore”, si concludeva che l’imperialismo era “l’ultima fase” del capitalismo.

– Su questa base si stabilì una specie di divisione internazionale non del lavoro, ma delle lotte anticapitaliste. Nei cosiddetti paesi del Terzo Mondo, che non avevano un’industria sviluppata e quindi mancavano di classe operaia solida, la lotta per il socialismo doveva passare per una lotta nazionalista, antimperialista e anticoloniale, e solo così potevano aspirare a diventare “anticapitalisti”. Si stabilì che la lotta contro il capitalismo e per il socialismo doveva passare necessariamente per una lotta di liberazione nazionale. Questo almeno nei paesi del terzo mondo. Per poter arrivare al socialismo le nazioni dovevano prima di tutto liberarsi dal giogo neocoloniale imposto dall’imperialismo nordamericano, in questo caso. Non era possibile la costruzione del socialismo in un solo paese, tanto meno se il paese era sottosviluppato. La rivoluzione socialista o era mondiale o non sarebbe stata. Le analisi scientifiche si convertirono, così, in una specie di comando centrale della rivoluzione mondiale, con sede nella CCCP. Da lì partivano le strategie e le tattiche per le lotte anticapitaliste di tutto il mondo. Chi seguiva gli ordini riceveva il beneplacito “dell’avanguardia” mondiale. Per chi non lo faceva, perché voleva costruire il proprio cammino, cioè, la propria lotta, arrivava la condanna, l’ostracismo e la denigrazione.

La scienza della storia e dell’economia politica, smisero di essere scienze per poi abbandonare l’analisi scientifica diventando slogan. Se la realtà non coincideva con la visione del Comitato Centrale, la realtà veniva catalogata come reazionaria, piccolo borghese, divisionista, revisionista e i molti “ista” possibili. Il pensiero critico passò da essere analisi a giustificazione, e le battute d’arresto e gli errori sono stati coperti con l’alibi dello scontro con l’imperialismo. La semplificazione di un mondo bipolare invase la scienza sociale, così le forze politiche e i governi patteggiavano solamente per uno dei due grandi contendenti. L’intelligenza fu vinta e la mediocrità s’impose facilmente.

– Passando per il ventesimo secolo, tutti erano contenti e tranquilli. Il cosiddetto “blocco socialista” era impegnato in quella che noi chiamiamo la terza guerra mondiale. In Asia, Africa, e particolarmente in America Latina, le lotte avvenivano senza intaccare le dinamiche della guerra, i partiti e le organizzazioni della sinistra erano impegnate principalmente ad appoggiare il Blocco Socialista. Qualsiasi tentativo di lotta doveva avere l’approvazione di chi, pensante o meno, nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche redigeva manuali che più che semplificare, imbavagliavano lo sviluppo delle scienze sociali. Come se si fosse alle olimpiadi, nelle scienze sociali non si competeva per capire meglio quello che stava accadendo e che sarebbe accaduto, ma per issare la propria bandiera sempre più in alto degli altri, e poco importava se fosse quella a stelle e strisce o quella con la falce e il martello.

Sullo scenario mondiale tutto sembrava prevedibile e semplice…. ma poi è arrivato Fidel. E “il problema”, come dicono i compagni, è che non è arrivato da solo, ma portava con sé un tal Camilo che di cognome aveva la sua definizione, e con questa coppia tremenda arriva anche un argentino-medico-fotografo-asmatico, senza un nome rilevante nell’albero genealogico delle rivoluzioni mondiali e senza un ruolo in nessuna struttura. Pochi mesi dopo il pianeta intero lo conoscerà con solo tre lettere: Che.

Poi accadde quel che accadde e la luce che ha illuminato il Caribe in quei primi anni della ‘60 è diventata, senza volerlo, un virus che ha contaminato tutto il continente. Dopo tanti anni di sconfitte in questo dolore chiamato latinoamerica, un popolo intero organizzandosi cambiava il suo destino e diffondeva il suo nome.

Dopo la sconfitta dell’invasione mercenaria con patrocinio nordamericano, Cuba si chiamò Fidel e Fidel Castro fu a “Cuba” il nome che significava resistenza, ribellione e lotta.

Il paese più piccolo, il più disprezzato, il più umiliato si ribellava e la sua azione organizzata cambiava la geografia mondiale.

Lo statista che il popolo di Cuba mise a capo, in pochi anni cancellò, praticamente, gli altri “leader mondiali”, e come deve essere, attorno alla sua figura si raccoglievano gli estremi: pochi per adularlo molti per attaccarlo.

Solo pochi guardarono e capirono che qualcosa di nuovo era nato e che la rivoluzione cubana non solo aveva rotto il dominio che sull’intera America imponeva l’impero a stelle e strisce, il “nord confuso e brutale”.

Non solo, aveva dato un calcio alla già malconcia teoria sociale promossa dai commissari che in tutto lo spettro politico sono la costante e mai l’eccezione.

Nonostante tutto, 60 anni dopo non manca un vecchio commissario che “eroicamente” trincerato in un’accademia e con la rete sociale come arma, vuole dettare al popolo di Cuba quello che deve o non deve fare o non smettere di fare.

Alieno alla masturbazione teorica delle articolazioni accademiche, il popolo di Cuba ha iniziato il suo lungo cammino di resistenza proseguito in condizioni avverse senza precedenti.

A tutt’oggi prosegue il blocco economico più esteso ed intenso della storia mondiale. Non solo, ha resistito anche ad attacchi terroristici, è stata invasa militarmente, e nonostante tutto ha procurato al superbo zio Sam la sua prima sconfitta nel continente, e con tutto e tutti contro, ha costruito il proprio destino.

Ma non ha subìto gli attacchi solo della destra mondiale, ma anche della sinistra che contro questo popolo ha scagliato il suo scudo fatto di cliché e luoghi comuni che ignorano non solo la realtà cubana, ma soprattutto l’eroico sforzo per sollevarsi da errori e fallimenti.

Con l’unico obiettivo di aggraziarsi la destra, la sinistra istituzionale in tutto il mondo ha attaccato la rivoluzione cubana ripetendo i motti della destra e seguendo la moda di turno.

È tanto consistente la resistenza del popolo di Cuba, che l’isteria intellettuale, che basta e avanza in questo paese a pezzi chiamato Messico, sicuramente dirà che è continuata perché fu una creazione di Salinas e che è appoggiata dalla “mafia del potere”.

Giorni dopo quel lampo di abilità militare e di coraggio che diede nuovo significato a un piccolo territorio e sistemò il nome di “Playa Girón” nello scaffale quasi vuoto di vittorie della sinistra mondiale, in quel primo di maggio del 1961 il popolo di Cuba, attraverso la voce roca di un barbuto inguainato nella sua tenuta da combattimento verde oliva, pronunciava le seguenti parole:

“Se a Mr. Kennedy non piace il socialismo, va bene, a noi non piace l’imperialismo, a noi non piace il capitalismo. Abbiamo tanto il diritto di protestare per l’esistenza di un regime imperialista e capitalista a 90 miglia dalle nostre coste, quanto può essere considerato un suo diritto protestare per l’esistenza di un regime socialista a 90 miglia dalle sue coste.

Allora, bene, a noi non interessa protestare per questo, perché non è una questione che dovrebbe interessarci, spetta al popolo degli Stati Uniti. Sarebbe assurdo che noi volessimo dire al popolo degli Stati Uniti quale regime di governo dovrebbero avere, perché in questo caso considereremmo gli Stati Uniti un popolo non sovrano e che noi avremmo diritti sulla vita all’interno degli Stati Uniti.

Il diritto non è dato dalla dimensione, il diritto non lo dà il fatto che un popolo sia più numeroso di un altro. Questo non importa. Noi non abbiamo altro che un piccolo territorio, un piccolo popolo, ma il nostro diritto è rispettabile quanto quello di un qualsiasi paese, qualunque sia la sua dimensione. Non sta a noi dire agli Stati Uniti che regime deve avere. Quindi, è assurdo che il signor Kennedy voglia dire quale regime di governo dobbiamo avere noi qui, è una cosa assurda; il signor Kennedy non ha un concetto chiaro di quello che è la legge internazionale e la sovranità dei popoli.”

Quello che segue è un’estesa riflessione sulle scienze sociali e sul pensiero critico. Ma, mi prendo la libertà di segnalare che al posto di “Kennedy” si può ben mettere quello di “Trump” e si vedrà che queste parole non sono state solo una dichiarazione congiunturale, ma una dichiarazione di principio.

Interruppi la lettura e guardai la clessidra.

Mi venne in mente che non era sabbia qualunque quella contenuta nella clessidra. E non è una sabbia qualunque perché viene da una spiaggia entrata nella storia delle lotte e delle resistenze dell’umanità contro il capitalismo.

Forse la sabbia che scorre in questa clessidra, viene da un posto del continente americano e la sua geografia la colloca in un’isola che si estende nei Caraibi, come un caimano ribelle che si rifiuta di essere sottomesso e per questo indurisce la pelle e lo sguardo.

Forse, me ne accorgo ora, la sabbia di questa clessidra è sabbia di Playa Girón, così si chiama quella crepa nel muro del Capitale e che, con la sua persistenza, ha insegnato a tutti che il grande e potente può essere sconfitto dal piccolo e debole quando ci sono resistenza organizzata, ostinato impegno e orizzonte.

-*-

Lasciatemi dire che il defunto SupMarcos, e non solo lui, provava una grande ammirazione per il popolo di Cuba e un profondo rispetto per Fidel Castro Ruz.

In quella chiacchierata informale che avemmo alcune ore prima della sua morte, tornammo sul tema militare. Mi raccontò che riteneva che la storia militare delle lotte dei popoli era poco conosciuta. Parlò quindi della famosa Battaglia di Zacatecas e della presa di Città Juarez, entrambe condotte da Francisco Villa. Mi raccontò che prese in prestito l’idea del Generale Villa per prendere Città Juarez, e con quella pianificò l’inizio della rivolta. “Per la battaglia di Zacatecas non mi mancava la cavalleria” disse scherzando “ma pianificarla”.

In campo internazionale, contrariamente al luogo comune della sinistra, il suo riferimento non era la battaglia di Leningrado, bensì la Battaglia di Santa Clara, condotta dal Che, quella di Cuito Cuanabale condotta da Fidel Castro, e quella di Playa Girón, anch’essa condotta da Fidel Castro.

Approfittai per chiedergli perché, sempre, quando parlava di Fidel Castro non diceva “Comandante” nonostante la sinistra latinoamericana lo facesse. Mi rispose così:

Tutti lo chiamano così e potrebbe bastare, ma non è per questo. Noi siamo un esercito e quando diciamo ‘comandante’ diciamo comando. E a noi non ci comanda nessuno, se non il nostro popolo. Ma Fidel Castro non ha bisogno che noi lo chiamiamo così. Il suo popolo gli ha dato quel grado, ed è più che abbastanza”.

Continuò a raccontarmi di Playa Girón, e con ammirazione raccontava quando Fidel Castro discuteva e litigava con i suoi ufficiali perché non lo lasciavano avanzare verso Playa Girón per combattere contro i mercenari. “Figurati”, mi disse ridendo della grossa, “Fidel contro tutto il suo Stato Maggiore. Lui arrabbiato perché vuole stare al fronte a combattere e gli altri che dicono di no, che deve stare al sicuro. E sai una cosa? Fidel non disse che era suo dovere, ma disse che era un suo diritto”. Il defunto accese la pipa e dopo la prima boccata sollevò la pipa come per brindare e disse “Ovviamente la discussione la vinse Fidel”.

Poi, dando per terminato il tutto, aggiunse “Fidel Castro è il Maradona della politica internazionale. E mai gli perdoneranno i gol che segnò a chi osò affrontarlo”.

Ho ricordato le parola del defunto SupMarcos quando lessi ciò che il famelico spettro politico dell’America Latina dichiarò sulla morte di Fidel Castro. La reiterazione della destra, così come della sinistra per bene, di rimproveri o presunte critiche. La destra che mai gli perdonerà le sconfitte da lui propinate, e la sinistra istituzionale che non lo assolverà mai di essere stato tutto quello che lei, nella sua mediocrità, mai sarà.

Ci sono anche i mediocri che ancora dettano giudizi e sentenze, ma che semplicemente non possono spiegare perché, se era un dittatore, la più grande potenza mondiale non è riuscita ad organizzare una ribellione popolare, optando invece per compiere attentati terroristici per distruggerlo.

Lontano da film e serie televisive dove i servizi segreti nordamericani distruggono i cattivi armati solo di penna, a Cuba sono stati sconfitti semplicemente perché “Comandante Fidel” era il nome, l’immagine e la voce che questo popolo si dava per riaffermare quello che stava costruendo contro tutto: la propria libertà.

Il denaro ha sempre trovato e trova psicopatici disposti a vendere la propria sete di sangue e distruzione. Sempre troverà i Mas Canosa, o Posada Carriles, sebbene in altre geografie e calendari si chiamino Felipe Calderón Hinojosa o come la sua precedente moglie ora presunta leader Margara Zavala, o Maurizio Macrì in Argentina, o Temer in Brasile, o Leopoldo Lopez in Venezuela. Politici, psicopatici e corrotti di tutti i tipi, sempre pronti a che altri muoiano e loro incassino.

Vi racconto questo non solo perché il tema colpisce il piccolo che si ribella e si solleva rompendo modelli imposti, ma anche per quello che vi racconto ora: proprio qualche giorno dopo la morte di Fidel Castro, ho dovuto incontrarmi con il Subcomandante Insurgente Moisés in un nostro accampamento.

Quando arrivai la insurgenta Erika mi disse senza riuscire a trattenere le lacrime, “È morto Fidel Cuba”. Così disse. La rivoluzione cubana resiste da 58 anni contro tutto, la insurgenta Erika ha circa vent’anni, non è mai uscita da queste terre, ha imparato lo spagnolo in un accampamento di montagna, battagliato con la matematica e con le parole “dure”, e nonostante questo, o proprio per tutto questo, ha sintetizzato in due parole una storia di lotta, resistenza e ribellione.

E sono qui a parlarvi di Cuba, cioè di Fidel Castro, cioè di Cuba, per la semplice ragione che ora non parlano più di lui. Forse perché pensano che sia morto, e con lui la Cuba ribelle. Per quanto si riferisce a Fidel Castro Ruz, noi diciamo solo “se non lo avete potuto uccidere quando era vivo, tanto meno si può fare adesso che è morto”.

Tutto questo viene a proposito, perché è vero, il defunto SupMarcos aveva ragione: Aprile è anche domani.

-*-

Tornando a quella volta, mentre il tempo passava, continuavo a parlare con il defunto SupMarcos che ancora non era defunto. Il tempo a La Realidad zapatista aveva assunto quel ritrmo in cui pare che il giorno ha fretta di andarsene e la notte si attarda pigra. Mi pareva che tutte le pratiche operative del giorno 24 maggio 2014 le stesse sbrigando il Subcomandante Insurgente Moisés, e nessuno si avvicinava al SupMarcos per informazioni e domande. Come se Il SubMoy stesse facendo il possibile affinché il SupMarcos trascorresse tranquillo i suoi ultimi minuti.

Mantre aspettavo, gli chiesi perché dicesse che il personaggio era lui e non Durito, o il Vecchio Antonio, o altri esseri che popolavano i sui racconti. Certo, io, come nessun altro, conoscevo ancora il testo che avrebbe letto l’alba seguente e intitolato “Tra luce ed ombra”.

Prima di rispondermi, il Sup guardò i due orologi.

Non l’avevo mai fatto. Guardavo sempre uno o controllavo l’altro, a seconda della situazione.

Dopo aver confrontato entrambi gli orologio, sospirò profondamente e mi domandò:

“Cosa non capisci?”

“Questo” risposi, “insomma, chi eri, o meglio, chi sei stato?”

Quindi, inclinando la testa e cercando paradossalmente di imitare il tono di voce serio e formale dei samurai di Akira Kurosawa, disse:

“Kagemusha”.

E dico paradossalmente perché il SupMarcos scherzava su tutto e su tutti e prendeva in giro soprattutto se stesso.

Avevo la stessa faccia che avete voi adesso.

“Chi diavolo è Kagemusha?”.

“Un’esca” mi rispose “una distrazione, un’ombra, l’ombra del guerriero”.

Compresi quindi perché nei suoi ultimi testi era comparso da poco un nuovo personaggio: “Ombra, il guerriero”.

“E quindi?” domandai.

“Quindi nulla, qualcuno doveva farlo, ed è toccato a me”.

“Allora, che farai?” insistetti.

“Morirò” mi rispose mentre si metteva il passamontagna. Si sistemò anche il cappello, accese la pipa e dirigendosi verso la guardia sulla porta ordinò per l’ultima volta “Vai a dire al SupMoy che sono pronto”.

-*-

Arriva la tormenta.

Ancora una volta il denaro cercherà di sfasciare la storia importante. E ancora una volta sarà sconfitto. Come in un mese di aprile di 56 anni fa, a Playa Girón, una generazione intera prenderà il controllo del gioco e si ribellerà non fidandosi del destino imposto.

Quel giorno si torneranno ad ascoltare, con un’altra voce, le parole che il popolo di Cuba ha rivolto a chi voleva sconfiggerlo:

“Non sfuggiranno nemmeno al verdetto dalla storia, che non sarà un semplice verdetto a parole, ma il verdetto che segna inesorabile il destino degli sfruttatori di tutto il mondo, come un orologio che dice ‘i tuoi giorni sono contati, la fine del tuo sistema sfruttatore è vicina’”.

Cuba sopravviverà. I popoli originari sopravviveranno. L’umanità sopravviverà.

E quando si dirà “Patria”, si dirà “mondo”, si dirà “casa”, si dirà “vita”.

Certo, non ci saranno lampi più feroci, né tormenta più grande, ma alla fine, questa terra si solleverà e con lei le sue donne, i suoi uomini e chi è quel che è senza essere né uno né l’altra.

La memoria non dimenticherà, ma non ci saranno celebrazioni.

Non perché non ne varrà la pena, ma perché la vita intera sarà quello che dovrebbe sempre essere, cioè, una celebrazione.

E quando questo domani arriverà, io, nuovo Kagemusha nomade, sarò solo triste di non essere presente per guardarvi beffardo e dire:

“Odio dire che io l’avevo detto, ma l’avevo detto”.

 

Grazie, non molte, ma sempre quanto bastano.

SupGaleano

Aprile 2017

 

Traduzione a cura di 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/12/kagemusha-abril-tambien-es-manana/

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SupGaleano: Lezioni di Geografia e Calendari Globalizzati.

23 anni fa, da diverse parti del mondo arrivò “l’aiuto umanitario” (…) non era elemosina quello che ci mandavano, bensì appoggio per la resistenza e la ribellione. (…) con quegli aiuti abbiamo costruito scuole, ospedali, progetti per l’autogestione. A poco a poco e non senza problemi, difficoltà ed errori, abbiamo costruito le basi materiali per la nostra libertà. (…) si  dovrebbe capire che chi rischia tutto, vuole tutto. E per noi zapatisti, il tutto è la libertà. (…) Non vogliamo scegliere tra un padrone crudele ed uno buono, semplicemente non vogliamo padroni.

LEZIONI DI GEOGRAFIA E CALENDARI GLOBALIZZATI

14 aprile 2017

Non è cambiato niente”, così dicono.

In Chiapas gli indigeni stanno uguale o peggio a prima della sollevazione zapatista”, ripetono i media prezzolati ogni volta che glielo ordina il loro caporale.

23 anni fa, da diverse parti del mondo arrivò “l’aiuto umanitario”. Noi indigeni zapatisti capimmo allora che non era elemosina quello che ci mandavano, bensì appoggio per la resistenza e la ribellione. Invece di tenerci tutto o venderlo, come fanno quelli dei partiti, con quegli aiuti abbiamo costruito scuole, ospedali, progetti per l’autogestione. A poco a poco e non senza problemi, difficoltà ed errori, abbiamo costruito le basi materiali per la nostra libertà.

Ieri abbiamo ascoltato il Subcomandante Insurgente Moisés dirci che le comunità indigene zapatiste si sono organizzate non per chiedere aiuto, bensì per aiutare altra gente in altre terre, con un’altra lingua e cultura, con un altro volto, con un altro modo, affinché resista. Ci ha parlato del processo seguito per realizzare tutto questo. Chiunque abbia ascoltato le sue parole può dire, e non si sbaglierebbe, che quello in quella lunga strada che va dalla piantagione di caffè a questo chilo di caffè impacchettato, c’è una costante: l’organizzazione.

Ma torniamo al 1994-1996.

Mano a mano che arrivavano donne, uomini e otroas da diverse parti del Messico e del mondo, noi zapatiste e zapatisti capimmo che, in quel calendario, non era una particolare geografia a tenderci la mano e il cuore.

Non era la superba Europa che si dispiaceva per quei poveri indio che, inutilmente, aveva voluto sterminare secoli prima.

Era l’Europa del basso, ribelle, quella che, senza badare alla sua dimensione, lotta giorno dopo giorno. Quella che, col suo appoggio, ci diceva “non arrendetevi”.

Non era il nord caotico e brutale che è governo e Potere nascosto dietro la bandiera a sbarre e torbide stelle che, simulando umanità, mandava briciole.

Era la comunità latina ed anglo che difende la sua cultura e modi, che resiste e lotta, che non si abbrutisce con la droga del “sogno americano”, quella che ci ha aiutato mentre mormorava “non vendetevi”.

Non era il Messico dei partiti, quello della nomenclatura di tutte le sconfitte convertite in poltrone e incarichi per i dirigenti e oblio per le basi, che cercava di incassare due volte: con il sangue dei nostri e poi con l’elemosina che avrebbe portato.

Era il Messico del basso, quello che si organizza senza contare se si è in molti o pochi, se comparirà o no nei notiziari, se sarà intervistato dai media prezzolati; quello che porta i propri morti, i propri detenuti, i propri desaparecidos non come un lamento ma come un impegno. È stato quel Messico a privarsi del poco che aveva per darlo a noi mentre i suoi occhi ci comandavano: “non tentennate”.

Anche dall’Africa, Asia e dall’Oceania è arrivato l’incoraggiamento e la speranza che ci sussurrava: “resistete”.

E fin da quei primi anni, noi, zapatiste e zapatisti, abbiamo capito che non ci lasciavano un aiuto bensì un impegno, e da quel calendario ci siamo sforzati di onorarlo.

Sebbene con tutto contro, molestati dall’esercito e paramilitari, diffamati dai media prezzolati, dimenticati da tutti quelli che scoprivano che non avrebbero tratto vantaggio dal nostro dolore, anche così, ci siamo impegnati ad onorare quel debito, tutti i giorni ed ovunque, non senza errori e mancanze, non senza inciampi e cadute, non senza morti.

Quell’uomo, quella donna, quel otroa, che lotta in altri angoli del pianeta, ora può dire che ha lottato al nostro fianco. E senza remore può lasciare a noi gli errori e i pasticci e, giustamente, fare suoi i nostri successi che, benché piccoli, valgono.

Grazie a tutta quella gente che è stata ed è compagna forse senza saperlo, non siamo gli stessi di 23 anni fa.

Due decenni fa, ogni volta che i nostri compagni e compagne parlavano, invariabilmente terminavano chiedendo scusa per la loro poca padronanza dello spagnolo.

Oggi, senza dimenticare la loro lingua madre, ogni nostro giovane e jóvenas, con tatto corregge la pronuncia e l’ortografia a più di uno, una, unoa con diploma di laurea.

Due decenni fa l’EZLN era organizzazione, riferimento e comando delle comunità indigene. Oggi sono loro a comandare noi, che obbediamo.

Prima li guidavamo e davamo loro ordini, ora il nostro lavoro è capire come appoggiare le loro decisioni.

Prima stavamo davanti, segnando la rotta e la destinazione. Oggi stiamo dietro i nostri popoli, non poche volte correndo per raggiungerli.

Siamo passati in secondo piano. Qualcuno penserà che questo sia un fallimento.

Per noi, è il buon conto che possiamo dare ai nostri morti, alle nostre morte. Come al SupPedro, come alla compagna Malena, deceduta solo pochi giorni fa, e della quale ancora non possiamo parlarvi senza che il dolore ci intorpidisca le mani e le parole e gli occhi si inumidiscano.

Lei, per noi zapatiste e zapatisti, era grande.

Siamo arrivati a questi giorni e questa riunione con la sua morte sulle spalle e, benché non esplicitamente, la sua voce ha preso la nostra.

Un paio di giorni fa abbiamo voluto saldare un debito d’onore con chi oggi ci manca e molto. Abbiamo voluto fare nostre le parole che immaginiamo loro se fossero qui, al nostro fianco, come lo sono stati per tutta la loro vita.

Ma ora dobbiamo andare avanti e far sapere a tutti loro che le nostre comunità, i nostri popoli, hanno deciso che è il momento di ricordare a chi ha creduto e si è fidato della nostra bandiera e modo, che siamo qui, che resistiamo, che non ci arrendiamo, che non ci vendiamo, che non tentenniamo.

Vogliamo che sappiano che ora possono contare su di noi, sulle comunità zapatiste. Che benché poco e a distanza, li appoggeremo.

E neanche il nostro appoggio sarà un’elemosina. Anche per loro, per voi, sarà un impegno.

Perché speriamo che resistano fino all’ultimo. Speriamo che non si arrendano, che non si vendano, che non tentennino.

Perché speriamo che anche nei momenti in cui si sentano più soli, più sconfitti, più dimenticati, abbiano nel dolore e angoscia almeno una certezza: che c’è qualcuno che, benché lontano e col colore della terra, dice loro che non sono soli, sole, soloas. Che il loro dolore non ci è alieno. Che la loro lotta, la loro resistenza, anche la loro ribellione, è la nostra.

Li appoggeremo a modo nostro, cioè, un appoggio organizzato.

E devono sapere ed avere ben chiaro, che con questo appoggio va il nostro affetto, la nostra ammirazione, il nostro rispetto.

L’imballo non lo dice, ma dentro c’è il lavoro degli uomini, donne, bambini ed anziani zapatisti.

Perché da anni abbiamo capito che il nostro anelito non è locale, né nazionale, è internazionale.

Abbiamo capito che per il nostro impegno le frontiere sono d’intralcio. Che la nostra lotta è mondiale. Che lo è sempre stata, ma che chi ci ha partorito non lo sapeva e che è stato quando il sangue indigeno ha preso il timone oltre al motore, e segnato la rotta, che abbiamo scoperto che il dolore, la rabbia e la ribellione non hanno passaporto e che sono illegali sopra, ma sono sorelle in basso.

Oggi possiamo chiamare “compañero”, “compañera”, “compañeroa” chiunque resiste, si ribella e lotta in qualsiasi parte del pianeta.

Questa è la nuova geografia che non esisteva nell’altro calendario.

Dunque accogliete il nostro appoggio senza pena.

Ricevetelo per quello che è, un saluto.

Con questo come pretesto scuotete il mondo, graffiate i muri, dite “no”, alzate il cuore e lo sguardo.

E se il potente non vi vede né vi sente, invece vi vedono e vi ascoltano le zapatiste, gli zapatisti che, benché non siamo grandi, bazzichiamo da secoli e sappiamo bene che il domani è partorito come dev’essere, cioè, in basso e a sinistra.

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Di individu@ e collettiv@.

Ci sono molte cose che non siamo in grado di spiegare. Sappiamo che sono così, ma la nostra conoscenza è rudimentale e non possiamo spiegare perché.

Vedete, per esempio, “le grandi menti” ci dicono che non ne sappiamo di marxismo (non so se questo è un difetto o una virtù), che siamo una fantasia prolungata nel tempo per cause che non possono spiegare ma che sono sospette. Siccome non è possibile che un gruppo di indigeni pensi, vuol dire che è l’uomo bianco o qualche forza oscura a manipolarci e a portarci non so dove.

La nostra conoscenza, ci dicono, nel migliore dei casi non è altro che volontarismo e fortuna, o semplice manipolazione di qualche mente perversa nel peggiore.

Ma non è che li preoccupa se qualcuno ci comanda ed orienta. Quello che li disturba è che non siano loro a farlo. Li infastidisce che non obbediamo, che l’insubordinazione in queste terre non sia una bandiera ma ormai uno stile di vita.

In sintesi, li disturba e infastidisce che siamo zapatisti.

E la stessa incapacità per la lotta che suppongono abbiamo, la estendono alla conoscenza.

Continuano a guardarci dall’alto. Si affacciano dalle loro ampie e lussuose balconate a guardarci con scherno, con pena, con disapprovazione. Per tornare poi a masturbarsi nelle loro spaziose cabine pensando alla loro prosperità e benessere. Eccitandosi nell’immaginare il dolore dell’altro, la disperazione dell’altra, l’angoscia dell’otroa.

Perché loro, stanno sopra nella superba nave, navigano sulla grande finca galleggiante che percorre le geografie e i calendari attuali.

Ma se si riaffacciano e rivolgono lo sguardo in basso e a sinistra, con preoccupazione ci vedono più vicini.

No, non è che siamo cresciuti per raggiungerli. Non è che ci allunghiamo per cercare di essere come loro.

No, noi non siamo loro. E non vogliamo esserlo.

Se ci vedono più vicini, è semplicemente perché la loro superba nave affonda. Affonda irrimediabilmente, e lo sanno il finquero, i capoccia e i caporali che hanno già pronte le scialuppe per abbandonare il vascello quando la catastrofe sarà tanto evidente che nessuno potrà negarla.

Ma non fate caso a me. Sono loro i grandi studiosi, quelli che maneggiano con abilità le nuove meraviglie tecnologiche. Sono loro che possono, con un colpo di dito, trovare giustificazioni per il loro cinismo, la loro viltà, la loro imbecillità che, non perché istruita, smette di essere quello che è: incompetenza pedante e cinica. Loro che, con destrezza, evitano le argomentazioni contrarie, che truccano e pubblicano parole e fatti adattandoli a convenienza.

E non gli interessa nemmeno correggerci. Vogliono solo consolarsi nella loro bassezza, nella loro solitudine. E si credono individuali, unici, irripetibili, ma non sono altro che una mosca in più tra le milioni che volano sulla merda.

Loro che credono di sapere e non sanno. Loro che vogliono vincere, e perdono.

Perché loro credono di essere al salvo dal collasso. Che il dolore sarà sempre di altri.

Davvero credono che la disgrazia prima busserà alla loro porta e chiederà il permesso di entrare nella loro vita?

Credono che ci sarà un annuncio preventivo, che ci sarà un’applicazione sul cellulare che li avviserà dell’avvicinamento della tragedia?

Sperano che suonerà l’allarme e potranno uscire ordinati dal proprio luogo di lavoro, dalla loro casa, dalla loro auto e raggrupparsi in un determinato punto?

Sperano che nei loro miserabili mondi apparirà, all’improvviso, il segnale che indichi: “punto di incontro in caso di apocalisse”?

Nei loro villaggi, nelle loro colonie, nelle loro città, nei loro paesi, nei loro mondi, c’è una porta con un’insegna luminosa che dice “USCITA DI SICUREZZA”?

Pensano che sarà come nelle serie e film catastrofici, dove tutto è normale ed in un istante tutto svanisce?

Forse. Sono loro che sanno, che impartiscono giudizi e condanne.

Ma, secondo noi, zapatiste e zapatisti, l’incubo lo sta costruendo a poco a poco il Potente. Il più delle volte, lo presenta come un beneficio, un avanzamento. A volte è il progresso, lo sviluppo, la civiltà.

Ma noi siamo solo indigeni, cosa che, secondo loro, vuol dire ignoranti, manipolati dalla religione, o dalla necessità, o da entrambe.

Per loro non abbiamo né la capacità né il raziocinio per distinguere una cosa da un’altra.

Per loro non siamo capaci della minima elaborazione teorica.

Ma, per esempio, più di 20 anni fa denunciammo il collasso che avrebbe subito la globalizzazione neoliberale. Ora le grandi menti scoprono che, in effetti, la globalizzazione scoppia, e scrivono minuziosi saggi per dimostrare quello che si può constatare spegnendo la televisione, il computer o lasciando in pace il cellulare per alcuni istanti e, non diciamo di uscire per strada, ma basterebbe affacciarsi alla finestra per vedere quello che succede. Si citano e ricitano tra loro, si congratulano e scambiano moine e festini teorici (ok, anche carnali, ma a ognuno faccia come gli pare).

Se, in teoria, ci fosse giustizia, si potrebbe ammettere che i più piccoli dei piccoli si sono affacciati per primi alla catastrofe in corso e l’hanno segnalata.

Non hanno detto se era bene o male, non hanno abbondato e ridondato di citazioni a piè di pagina, né hanno accompagnato le loro asseverazioni con riferimenti a strani nomi pieni di titoli accademici.

Vi racconto questo perché, un paio di giorni fa, vi dicevo che tra le carte del SupMarcos avevo trovato quel testo che si suppone spiega le ragioni e i motivi che hanno portato uno scarabeo di nome proprio Nabucodonosor, a scegliere un nome di lotta ed una conseguente professione, abbandonare la sua casa e famiglia, ed armato di un guscio di noce come elmo, un tappo di plastica del flacone di un medicinale come scudo, una graffetta piegata come lancia ed un rametto come spada (che, ovviamente, si chiamava Excalibur), scegliere un amore impossibile, assegnare ad una tartaruga la missione di cavalcatura col paradossale nome di “Pegaso”, scegliere come scudiero un guerrigliero dal naso prominente e lanciarsi a percorrere le strade del mondo.

Ma io non cercavo quel testo. Perché nell’ultimo periodo ho letto ed ascoltato studi ed analisi che sostengono che sembra, è probabile, può essere, è una supposizione, la globalizzazione neoliberale non sia la panacea promessa e che, in realtà, stia portando più danni che benefici.

Allora sono andato a frugare in quel baule perché ricordavo di averlo già letto.

E poi l’ho trovato e ve lo leggo. È datato aprile 1996 ed è una relazione scritta da uno scarabeo. Si intitola:

“ELEMENTI PROMETTENTI PER UN’ANALISI INIZIALE COME PRIMA BASE DI UN APPROCCIO ORIGINALE ALLE PRIMOGENITE CONSIDERAZIONI FONDAMENTALI CIRCA IL BASAMENTO SOVRASTORICO E SUPERCALIFRAGILISTICOESPIRALIDOSO DEL NEOLIBERISMO NELLA CONGIUNTURA DECISIVA DEL 6 APRILE 1994 ALLE ORE 0130 IN PUNTO, ORA SUDORIENTALE, CON LA LUNA CHE TENDE A SVUOTARSI COME LA TASCA DI UN LAVORATORE ALL’APICE DELLE PRIVATIZZAZIONI, DEGLI AGGIUSTAMENTI MONETARI ED ALTRE MISURE ECONOMICHE TANTO EFFICACI DA PROVOCARE INCONTRI COME QUELLO A LA REALIDAD” (Prima di 17.987 parti).

La relazione era abbastanza sintetica. Di fatto, si compone di una sola frase che dice:

“Il problema con la globalizzazione nel neoliberismo è che i globos [palloncini in spagnolo – n.d.t.] scoppiano”.

Capisco che in una pubblicazione “seria” dell’accademia o del limitato universo dei media prezzolati non si può citare a piè di pagina: “Don Durito de La Lacandona. Op. Cit. 1996). Perché poi bisognerebbe chiarire, alla fine della pubblicazione, che l’autore è uno scarabeo che si crede un cavaliere errante le cui tracce si sono perse a La Realidad il 25 maggio del 2014.

Ma, vi dicevo che ci sono molte cose di cui non riusciamo a spiegare il perché, ma sono così.

Per esempio, l’individualità e il collettivo.

La forma collettiva è meglio che individuale. Non sono in grado di spiegarvi scientificamente perché, ed avete tutto il diritto di accusarmi di esoterismo, o di qualcosa di altrettanto orribile.

Quello che abbiamo visto nel nostro limitato ed arcaico orizzonte, è che il collettivo può tirare fuori e far brillare la parte migliore di ogni individualità.

Non è che il collettivo ti renda migliore e l’individualità ti renda peggiore, no. Ognuno è quel che è, un complesso intrico di virtù e difetti (per quello che significhino le une e gli altri), ma in determinate situazioni affiorano le une o gli altri.

Provateci almeno una volta. Non vi succederà niente. In ogni caso, se siete così meravigliosi come pensate di voi stessi, allora rafforzerete la vostra convinzione che il mondo non vi merita. Ma forse troverete dentro voi delle abilità e capacità che non sapevate di avere. Provate, se non vi piace potete sempre tornare al vostro account di tuiter, al vostro muro di feisbuc, e da lì continuare a dettare al mondo intero quello che si deve essere e fare.

Ma non è per questo che ora vi suggerisco di lavorare e lottare in collettivo. Il fatto è che sta arrivando la tormenta. Quello che si vede adesso non è nemmeno lontanamente il punto più alto. Il peggio deve arrivare. E le individualità, per quanto brillanti e capaci siano, non potranno sopravvivere se non con altri, altre, otroas.

Noi abbiamo visto come il lavoro collettivo non solo ha permesso la sopravvivenza dei popoli originari alle diverse tormente terminali, ma anche a progredire quando sono comunità, e sparire quando ognuno guarda al proprio benessere individuale.

Per quanto riguarda le comunità indigene zapatiste, il lavoro collettivo non l’ha portato l’EZLN, neanche il cristianesimo, né Cristo né Marx hanno avuto a che fare con questo, ma nei momenti di pericolo, di fronte a minacce esterne, per le feste, la musica e il ballo, la comunità nei territori dei popoli originari diventa un solo collettivo.

È lì da vedere.

In ogni caso, io vi suggerirei di approfittare di quello che farà il Congresso Nazionale Indigeno a partire da maggio di questo anno. Speriamo davvero che il CNI compia il suo mandato e non cada nella trappola della ricerca di voti e incarichi, ma porti l’ascolto fraterno di chi in basso è dolore e solitudine, che lo possa alleviare con l’invito all’organizzazione.

Il cammino di queste compagne e compagni renderà visibili quartieri, comunità, tribù, nazioni, popoli originari. Avvicinatevi a loro, agli indigeni. Abbandonate, se potete, la lente dell’antropologo che li vede come insetti rari ed anacronistici. Lasciate da parte la pena ed il ruolo di missionario evangelizzatore che offre loro salvazione, aiuto, conoscenza. Avvicinatevi come sorella, fratello, hermanoa.

Perché, quando arriverà il momento in cui nessuno saprà dove andare, i popoli originari, quelli che oggi sono disprezzati e umiliati, sapranno dove posare il passo e lo sguardo, sapranno il come e il quando. In sintesi, sapranno rispondere alla domanda più importante ed urgente in quei momenti: “che cosa succederà adesso?”.

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Ed ora, per finire, alcune brevi segnalazioni. Alcune piste.

– Quando Trump parla di recuperare le frontiere degli Stati Uniti, dice che è quella col Messico, ma lo sguardo del finquero punta al territorio Mapuche. La lotta dei popoli originari non può né deve limitarsi al Messico, deve alzare lo sguardo, l’ascolto e la parola ed includere tutto il continente, dall’Alaska fino alla Terra del Fuoco.

– Quando per voce del Subcomandante Insurgente Moisés, diciamo che il mondo intero si sta trasformando in una finca ed i governi nazionali in capoccia che simulano potere e indipendenza quando il padrone è assente, non solo stiamo segnalando un paradigma con conseguenze teoriche. Stiamo segnalando anche un problema che ha conseguenze pratiche per la lotta. E non ci riferiamo alle lotte “grandi”, quelle dei partiti politici e dei movimenti sociali, ma a tutte le lotte. Lo zapatismo, come pensiero libertario, non riconosce il Río Bravo e Suchiate come limiti alla sua aspirazione di libertà. Il nostro “per tutti, tutto” non riconosce frontiere. La lotta contro il Capitale è mondiale.

– Tra le varie opzioni, la nostra posizione è stata ed è chiara: non esiste un capoccia buono. Ma comprendiamo che qualcuno, la maggior parte delle volte come terapia consolatoria, faccia distinzione tra i cattivi e i peggiori. Ok, chi poco fa, di poco o niente si accontenta.

Ma questi dovrebbero cercare di capire che chi rischia tutto, vuole tutto. E per noi, zapatiste e zapatisti, il tutto è la libertà.

Non vogliamo scegliere tra un padrone crudele ed uno buono, semplicemente non vogliamo padroni.

È tutto qui.

Molte grazie. Oltre a quelle che mi adornano.

SupGaleano.

Aprile 2017

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE

I.- Scene dalla Finca Globale.

I signori John McCain e John Kelly vengono convocati. Il primo è senatore ed il secondo è segretario alla Sicurezza Nazionale nel governo nordamericano. Il padrone li rimprovera per il commento sul fatto che sarebbe un problema che arrivasse una candidatura di sinistra alla presidenza del Messico, cosa che è stata sfruttata da uno dei pre-candidati per promuoversi.

Tanto McCain quanto Kelly si guardano stupiti e dicono: “ma noi ci stavamo riferendo a quello che vogliono quei fottuti indio mangiafagioli, che vanno dicendo che possono governare non solo il Messico ma il mondo intero con il loro fottuto consiglio. Loro sì che sono un problema, non so perché l’altro si sia sentito coinvolto, quando sappiamo bene che lui non rappresenta nessuna minaccia se non per sé stesso”.

Il padrone, che sia il finquero o che sia il capitalista, li ha ascoltati e mosso il capo assentendo con approvazione. Ha dato loro ordine di ritirarsi e poi ha chiamato Donaldo e sua mamma (che appare solo qui per citarla), così come i principali leader politici per dare loro indicazioni.

Ore dopo, in solenne sessione del congresso nordamericano, Trump consegna al senatore McCain ed al generale Kelly la medaglia al merito capitalista, il più alto onore che il padrone concede a capoccia, maggiordomi e caporali.

La sessione trascorreva senza contrattempi quando si è sentito del chiasso provenire dalla sala stampa dove i corrispondenti assegnati alla Casa Bianca si stavano annoiando a morte. All’improvviso, tutti si accalcano intorno ad uno dei monitor.

Sembra che una collega, più annoiata del ciuffo di Trump, facendo “zapping” in rete sia arrivata alla pagina del Sistema Zapatista di Televisione Intergalattica (“SIZATI” la sigla in spagnolo).

Sullo schermo si vedeva la stessa cerimonia ma attraverso una telecamera che riprendeva tutto alle spalle di Trump.

Nell’immagine si vedeva Trump con un foglio incollato su una delle natiche su cui c’era scritto “Kick mi“, ed un altro sull’altra natica che diceva “Fuck me” ed un altro, all’altezza della spalla sinistra, su cui si leggeva “Vamos por todo para todoas” e firmato “Il fottuto Congresso Nazionale Indigeno“.

I corrispondenti impazziti chiamano frenetici le redazioni, le principali catene televisive del mondo sospendono la programmazione abituale per collegarsi col SIZATI. In tutto il pianeta gli schermi si riempiono delle natiche del signor Trump.

Le conseguenze non si fanno attendere: la famiglia molto onorevole, discreta e schiva Kardashian, viene colta da una sincope cardiaca perché il suo reality show ha perso il 100% dell’audience; il mondo intero non vede la scena culminante della serie The Walking Dead, dove Darill confessa il suo amore a Rick e quando Rick e Flechitas si baciano appassionatamente, zac!, la Michone taglia la testa ad entrambi e, rinfoderando la sua katana dice, guardando la telecamera: “meglio che vada nella fottuta selva lacandona a cercare il mio vero amore, il fottuto SupGaleano, non sia mai che mi freghi la fottuta Rousita”; e neanche si è potuto vedere l’ultimo episodio della serie Trono di Spade, in cui Dayanaris dà un bacio a Tyron, dimostrando che il fottuto piccoletto vince quando gioca e che, in effetti, John Snow non sapeva niente.

Dal podio del congresso, Trump osserva l’agitazione tra i corrispondenti e pensa tra sé che finalmente la fottuta stampa ha capito la sua grandezza, cioè di Trump himself.

Ore dopo, la settima flotta navale dei fottuti marines e la fottuta 101 divisione aerotrasportata vigilano mari e cieli del mondo, sperando che i servizi segreti della NATO scoprano l’ubicazione del fottuto SIZATI per lanciargli 3 mila missili Tomahawk con 3 mila testate nucleari ognuno, oltre alla madre di tutte le bombe.

Nel bunker del padrone arriva la comunicazione: “i fottuti bastardi are fuckin every where” che in spagnolo si può tradurre come “non abbiamo una fottuta idea di dove siano quei dannati”.

L’industria militare lavora ormai a tutto regime per fornire nuovi missili, quindi bisogna esaurire quelli che già ci sono, altrimenti la fottuta compagnia del finquero si arrabbia. Il padrone scarabocchia un nuovo ordine. Il fottuto segretario alla difesa gringo guarda sconcertato il finquero. Il capoccia lo guarda con la faccia di “fallo!“, e il militare corre a trasmettere il nuovo fottuto ordine.

I 3 mila fottuti missili Tomahawk ricevono un nuovo fottuto obiettivo: la fottuta Casa Bianca (quella di Trump, si capisce, don’t worry fottuto Peña Nieto).

Sparate”, ordina il fottuto finquero, “troveremo un altro fottuto capoccia”.

Qualche ora dopo i leader mondiali esprimono il proprio cordoglio al “popolo fratello degli Stati Uniti”, ed una lunga fila di afflitti aspetta il suo turno fuori dalla casa del padrone.

Tra le fila si possono distinguere la Hillary, il Chapo, la Calderona e l’aspirante poliziotto Aurelio Nuño Ramsey, che ripete a sé stesso “si dice read, non red“.

Molto lontano da lì, nello stato messicano sudorientale del Chiapas, sulla cima di una ceiba, connessa ad internet col suo computer attraverso un’antenna fabbricata dal SubMoy e dal Monarca col coperchio di una pentola, liane, nastro adesivo e un modem usb, una bambina e un bambino si guardano sconcertati e lei lo rimprovera: “Te l’avevo detto di non fare click lì“. Il bambino si difende “Non sono stato io“. In mezzo ai due bimbi, un animaletto che sembra un gatto… o un cane, agita allegramente la coda e sorride con fottuta malizia.

(fottuta dissolvenza)

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II.- Difesa Zapatista e la pietra sul sentiero.

Perché sono così stronzi gli uomini?”.

La domanda viene dalla porta della capanna ed è la bambina Difesa Zapatista che, con le mani sui fianchi, mi guarda con severità.

Mi ha colto di sorpresa. Io stavo tentando di decifrare com’era possibile che più di 50 missili nordamericani Tomahawk avessero provocato solo 5 o 6 morti nell’aeroporto militare in Siria. O quei Tomahawk erano stati fatti in Cina, o i gringo avevano avvisato prima i russi per dargli il tempo di sloggiare.

Potrei chiedere a Difesa Zapatista la sua opinione ma credo che il momento non sia opportuno. Perché, mentre vi racconto questo, la bambina è già dentro la capanna e si è piantata davanti a me. Al suo fianco, anche il gatto-cane mi guarda fisso con disapprovazione.

Ero sul punto di rispondere “così come?“, ma la bambina non aspetta una risposta ma si assicura solo che la ascolti. Prosegue:

“Vi ha fatti così dio o studiate apposta per essere tarati? O vi preparate e allenate per essere pervertiti?”.

“O si viene fuori così e quando si è piccini non si sa ma quando si cresce allora quello che è tarato è uomo e quella che è intelligente è donna?”

Io mi sto preparando un lungo discorso, come si dice, di difesa di genere, ma c’è un machete troppo vicino alla bambina arrabbiata e dubito che sia prudente cercare di muovermi perché il gatto-cane grugnisce, ostile, ai miei stivali.

Non riesco a capire che cosa abbia provocato la furia zapatista della bambina zapatista, ma lei non si trattiene nemmeno per riprendere fiato.

“Che forse in quanto donne non sappiamo usare il machete? Lo sappiamo fare. E sappiamo lavorare la terra e quando si zappa e quando si brucia e quando si semina”.

“Che forse non ne sappiamo di animali? Cioè degli altri animali, non parlo degli uomini”.

Quando la tempesta si placa, domando a Difesa Zapatista che cosa è successo che l’ha fatta tanto arrabbiare.

Tra minacce e proteste di genere, la bambina mi racconta:

Sembra che il commissario autonomo sia venuto a misurare il campo per installare un palco per il prossimo CompArte.

Difesa Zapatista voleva che il palco stesse su un lato del campo, dalla parte del ruscello. Così, più avanti, può servire perché lei ci salga a ricevere il trofeo una volta completata la squadra e vinto il campionato.

Il commissario ha pensato che stia meglio dietro la porta che dà sulla strada principale, e non ascolta gli argomenti della bambina che, vedendosi contrariata, ha deciso che il commissario, in quanto uomo, sta attaccando i suoi diritti di “come donne che siamo” ed ha cominciato a dare contro alla classe politica.

Mi racconta che la cosa è diventata grave perché il Gatto-cane si è sentito obbligato ad intervenire nella questione ed ha morso il commissario alla caviglia. Cosicché il cane, gatto o quello che sia e la bambina, sono stati portati nella scuola dove la promotrice di educazione ha ascoltato scandalizzata, come si dice, “il resoconto dei fatti” che le ha riferito il commissario.

Risultato: punizione, la bambina ed il gatto-cane dovevano cercare e parlare col SupGaleano affinché lui spiegasse loro perché l’arte è importante nella lotta.

Non vedendo particolare predisposizione ad apprendere né nella bambina né nell’animaletto, ho tentato di applicare il mio famoso metodo pedagogico “gira e rigira” che si basa sul postulato filosofico secondo cui “non c’è problema sufficientemente grande, che non si possa aggirare”.

Quindi, ho raccontato loro la seguente storia:

“La Pietra sul sentiero”

Ci sarà una volta una comunità. Tutti i giorni, molto presto, gli uomini e le donne prendevano il loro caffè ed un po’ di fagioli e dopo aver messo una palla di pozol ed una bottiglia d’acqua nello zaino, andavano alla milpa collettiva. Così era tutti i giorni, e la vita del villaggio indigeno seguiva il suo corso di resistenza e ribellione.

Ma, un giorno piovve molto forte ed una grande pietra precipitò dal monte fino ad ostruire il sentiero verso la milpa. Tutto il villaggio andò a vedere. Sì, era una pietra enorme. Provarono a rimuoverla, ma niente da fare.

Quindi, fecero un’assemblea sul posto ed espressero il loro pensiero sul da farsi.

Alcuni dissero che non c’era modo, che bisognava cercare un altro posto per coltivare la milpa.

Altri dicevano di no, che il terreno già era stato zappato e sarebbe rimasto incolto se non lo avessero più lavorato.

Altri dicevano che la pietra l’aveva messa lì la mafia del potere come parte di un complotto contro il Consiglio Indigeno di Governo del Congresso Nazionale Indigeno.

Andarono avanti quindi a discutere e si formarono vari gruppi: un gruppo diceva che bisognava pregare dio affinché togliesse la pietra, un altro gruppo diceva che non serviva dio, ma la scienza; ed un altro diceva che bisognava indagare e scoprire le orme dei chupacabras Salinas, il De Gortari, non il Pliego. Perché il Salinas De Gortari era il Salinas cattivo ed il Salinas Pliego era il Salinas buono.

Allora, ogni gruppo si mise a fare quello che pensava.

Quelli della preghiera portarono l’incenso ed un’immagine del santo patrono del villaggio, costruirono un piccolo altare e si misero a pregare e pregare.

L’altro gruppo prese quaderni e metro a nastro e si misero a misurare e calcolare per rimuovere la pietra facendo leva con un palo.

Un altro ancora portò una squadra di detective marca “Mi Allegría” che con lente e microscopio ispezionava la pietra per vedere se il chupacabras aveva lasciato le impronte del suo zoccolo.

I tre gruppi erano lì a fare quello che avevano pensato di fare, credendo che fosse il modo migliore di risolvere il problema.

In quel mentre arrivò una bambina.

Veniva dalla milpa.

Tutti la circondarono e cominciarono a farle domande.

Il gruppo dei devoti le chiedeva se dio le avesse inviato un angelo che l’aveva trasportata volando sopra la pietra, e cominciarono a gridare “miracolo! miracolo!” e a cantare salmi e lodi.

Il gruppo scientifico le domandò come aveva risolto la distribuzione del punto di appoggio, forza e resistenza, e si prepararono a prendere appunti nei loro quaderni.

Il terzo gruppo le chiese le prove della partecipazione del chupacabras cattivo, mentre redigevano un documento in cui i sotto firmatari invitavano tutti ad appoggiare col loro voto il redentore di turno. Il documento sarebbe uscito sui mezzi di comunicazione di proprietà del chupacabras buono.

La bambina taceva e guardava tutti stupita.

Alla fine la lasciarono parlare e lei spiegò che, quando quella mattina era uscita con un altro bambino, la stupida pietra era lì (così disse) e siccome non si riusciva a passare, il bambino e lei erano andati a prendere il machete ed avevano creato un varco che girava intorno alla stupida pietra (così disse) e, con la sua manina indicò il tracciato che, in effetti, aggirava l’ostacolo e più avanti si collegava con la strada. Al suo fianco, il bambino taceva.

Solo allora i tre gruppi notarono il sentiero.

Tutti festeggiarono e si congratularono con la bambina perché aveva risolto “la” problema.

Il commissario si lanciò in un discorso per lodare la bambina. Lei sì aveva pensato che è importante la strada per la milpa e per questo aveva fatto il sentiero.

Tutti applaudirono e chiesero che la bambina dicesse la sua parola.

La bambina si mise di fronte all’assemblea e spiegò:

“Non ho pensato affatto a quello che dite, io volevo solo raccogliere qualche fiore di Chene´k Caribe per far giocare la mia sorellina, e il Pedrito qui presente voleva scovare il tasso che ruba il mais”, e mostrò i fiori all’assemblea, mentre il bambino si nascose dietro di lei.

Tutti rimasero zitti e un po’ delusi.

Alla fine il commissario prese la parola e disse: “facciamo festa“.

Sììì” risposero tutti ed andarono a fare festa.

Tan-tan.

Difesa Zapatista ascoltò con attenzione tutta la storia.

Allora il gatto-cane andò nell’angolo dove c’era il mio machete e, muovendo la coda, abbaiò e miagolò alla bambina. Difesa Zapatista lo guardò e, all’improvviso, si alzò esclamando “Certo!”, e prese il machete.

Vai a tracciare un altro sentiero?”, le domandai.

Ma quale sentiero!”, mi disse sulla porta.

“Vado a cercare il Pedrito e in collettivo distruggeremo il palco del commissario. Metto di guardia il Pedrito per controllare se si avvicina il nemico. E poi costruiremo un altro palco più bello di quello del commissario e metteremo fiori e colori e sarà molto allegro e musicanti e ballerine vorranno andare sul nostro palco e non su quello del commissario che sarà molto triste perché è degli uomini del cavolo. E dirò ai musicanti di fare la canzone di quando vinciamo la partita, e convincerò le ballerine ad entrare nella mia squadra e così saremo di più, anche se ci vorrà tempo, ma saremo di più”.

Difesa Zapatista se ne andò. Io rimasi nella capanna a pensare dove avevo sbagliato nel mio metodo pedagogico.

Ora sono qui, seduto fuori della capanna, sperando che vengano a dirmi che Difesa Zapatista è in castigo nella scuola, col Gatto-cane che le dorme in braccio, mentre scrive nel suo quaderno per 50 volte “non devo ascoltare le storie del fottuto SupGaleano”.

Fottute grazie.

SupGaleano.

Aprile 2017

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/14/lecciones-de-geografia-y-calendarios-globalizados/

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Video e Testi del Seminario “I Muri del Capitale, Le Crepe della Sinistra”.

QUI I VIDEO DEL SEMINARIO: https://www.youtube.com/user/EnlaceZapatistaTV

Sesión 1. 12 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=PIVMKa7vw-8

Sesión 2. 13 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=VF-3qJVEKh4

Sesión 3. 13 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=1pVXpno4NpE

Sesión 4. 14 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=Xwe_FWx4kTM

Sesión 5. 14 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=YPi5Mt9XPPQ

Sesión 6. 15 de abril. Seminario “LOS MUROS DEL CAPITAL, LAS GRIETAS DE LA IZQUIERDA”: https://www.youtube.com/watch?v=MZSgxtrAzT0

QUI GLI INTERVENTI DELL’EZLN (A BREVE LE TRADUZIONI): http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/15/participacion-de-la-comision-sexta-del-ezln-en-el-seminario-de-reflexion-critica-los-muros-del-capital-las-grietas-de-la-izquierda/

QUI AUDIO e VIDEO: http://radiozapatista.org/

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Diretta del Seminario “I Muri del Capitale..” giorno 2.

Diretta dal CIDECI-Unitierra del Seminario di riflessione critica “I MURI DEL CAPITALE, LE CREPE DELLA SINISTRA”. Giorno 2

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Diretta del Seminario “I Muri del Capitale..” giorno 1.

Diretta dal CIDECI-Unitierra del Seminario di riflessione critica “I MURI DEL CAPITALE, LE CREPE DELLA SINISTRA”. Giorno 1

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CNI-EZLN Convocazione dell’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico.

Convocazione dell’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

CONVOCAZIONE

Considerato che il V Congresso Nazionale Indigeno (CNI), nella sua seconda tappa realizzata nei giorni 29, 30, 31 dicembre 2016 e primo gennaio 2017, ha concordato:

PRIMO.- “…Di nominare un Consiglio Indigeno di Governo con rappresentanti uomini e donne di ognuno dei popoli, tribù e nazioni che lo compongono. E che questo consiglio si propone di governare questo paese. E che avrà come voce una donna indigena del CNI, cioè, che abbia sangue indigeno e conosca la sua cultura. Ovvero, come portavoce una donna indigena del CNI che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico nelle elezioni dell’anno 2018…”.

SECONDO.- “…[Invitare] i popoli originari di questo paese, i collettivi della Sexta, i lavoratori e lavoratrici, fronti e comitati in lotta della campagna e delle città, la comunità studentesca, intellettuale, artistica e scientifica, la società civile non organizzata e tutte le persone di buon cuore a serrare le fila e passare all’offensiva, a smantellare il potere di sopra e ricostituirci non più solo come popoli, ma come Paese, dal basso e a sinistra, ad unirci in una sola organizzazione in cui la dignità sia la nostra ultima parola e la nostra prima azione…ad organizzarci e fermare questa guerra, a non avere paura di costruirci e seminarci sulle rovine lasciate dal capitalismo…”.

TERZO.- “[Convocare] un’assemblea costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico nel mese di Maggio 201… per fare tremare nei suoi centri la terra, vincere la paura e recuperare quello che è dell’umanità, della terra e dei popoli, per il recupero dei territori invasi o distrutti, per la presentazione dei desaparecidos del paese, per la libertà di tutte e tutti i prigionieri politici, per la verità e la giustizia per gli assassinati, per la dignità della campagna e della città… facendo sì che la dignità sia l’epicentro di un nuovo mondo.”

Abbiamo quindi concordato di CONVOCARE autorità, rappresentanti, delegati e consiglieri nominati dai popoli, nazioni, tribù, quartieri, comunità ed organizzazioni indigene che fanno parte del CNI alla celebrazione della:

ASSEMBLEA COSTITUTIVA DEL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO PER IL MESSICO

Che si terrà nei giorni 26, 27 e 28 maggio dell’anno corrente presso il Centro Indígena de Capacitación Integral (CIDECI- UNITIERRA) nella città di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, territorio zapatista, con il seguente:

P R O G R A M M A

26 maggio.

  1. Arrivo al CIDECI e registrazione fisica di consiglieri, autorità, rappresentanti, delegati indigeni, stampa e invitati da parte della Commissione di Coordinamento del CNI.
  2. Cerimonia tradizionale.

27 maggio.

  1. Inaugurazione dell’Assemblea Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico.
  2. Tavolo di lavoro sui seguenti temi:
  3. Propositi e strategie del Consiglio Indigeno di Governo.
  4. Funzionamento e Organizzazione del Consiglio Indigeno di Governo.
  5. Vincoli del Consiglio Indigeno di Governo con altri settori della società civile.
  6. Nomina della Portavoce del Consiglio Indigeno di Governo.

28 maggio.

  1. Plenaria Costitutiva del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico e giuramento dei suoi membri.
  2. Discussione e approvazione di accordi, risoluzioni e dichiarazioni.
  3. Chiusura dell’Assemblea.

Distintamente

Marzo 2017

Per la ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

ALLEGATO I

_________________________________________________________________

REGOLE PER LA NOMINA DEI CONSIGLIERI CHE FORMERANNO IL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO PER IL MESSICO IN CONFORMITÀ CON GLI ACCORDI ADOTTATI DAL QUINTO CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO NELLA SUA ASSEMBLEA PLENARIA DEL GIORNO 01 GENNAIO 2017.

  1. Il Consiglio Indigeno di Governo (CIG) sarà formato da due consiglieri, preferibilmente un uomo e una donna, per ognuna delle regioni indigene inserite nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) che sono indicate nella tabella annessa, ad eccezione delle comunità residenti nelle Zone Metropolitane di México e Guadalajara, nel cui caso si nominerà un consigliere per comunità.
  2. I consiglieri saranno nominati per consenso nell’assemblea della propria comunità o secondo gli usi e costumi di ogni popolo e la nomina degli stessi dovrà essere documentata per iscritto nei verbali.
  3. Coloro i quali saranno proposti come consiglieri dovranno obbedire al mandato del popolo che li ha nominati e dell’assemblea del CNI, lavorare sotto i sette principi del CNI ed in maniera collettiva.
  4. Chi sarà proposto per essere consigliere dovrà soddisfare i seguenti requisiti:
  1. La carica di consigliere è a rotazione per il periodo di tempo che ogni popolo deciderà ed è revocabile in qualunque momento dall’assemblea o istanza che abbia nominato i consiglieri.
  2. I consiglieri dovranno essere nominati preferibilmente prima dell’assemblea del CNI programmata nei giorni 27 e 28 maggio a San Cristóbal de las Casas e l’organizzazione e funzionamento degli stessi e del CIG saranno concordati da detta assemblea.

PER LA RICOSTITUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI

IL COORDINMENTO PROVVISORIO

ALLEGATO II

_________________________________________________________________

ELENCO DELLE REGIONI PER IL

CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

Regione No. Popolo- Lingua
Baja California
1 Cucapá
2 Kumiai
Campeche
3 Castellano de Candelaria
4 Chol de Campeche
5 Maya de Campeche
6 Tzeltal de Campeche
Chiapas
7 Castellano de la Costa de Chiapas
8 Chol
9 Mam de Chiapas
10 Tojolabal
11 Tzeltal de la Selva Norte
12 Tzeltal de los Altos de Chiapas
13 Tzeltal Zona Fronteriza
14 Tzotzil de los Altos de Chiapas
15 Tzotzil de la Costa de Chiapas
16 Tzotzil de la Región Centro de Chiapas
17 Lacandón
18 Zoque del Norte de Chiapas
Chihuahua
19 Rarámuri
Ciudad de México
20 Nahua del sur del Distrito Federal
Colima
21 Nahua de Colima
Durango
22 Wixárika de Durango
Guanajuato
23 Chichimeca
Guerrero
24 Afromexicano
25 Mephaa de la Montaña de Guerrero
26 Nahua Centro de Guerrero
27 Nahua Montaña de Guerrero
28 Amuzgo de Xochistlahuaca
29 Ñu Savi de la Costa de Guerrero
30 Ñu Savi de la Montaña de Guerrero
Hidalgo
31 Nahua de Hidalgo
Jalisco
32 Coca
33 Nahua del Sur de Jalisco
34 Tepehuano de Jalisco
35 Wixárika de Jalisco
Estado de México
36 Matlatzinca
37 Nahua del Centro del Estado de Mexico
38 Nahua del Oriente del Estado de Mexico
39 Otomí- Ñatho
40 Otomí- Ñañhú
Michoacán
41 Mazahua
42 Nahua de La Costa de Michoacán
43 Otomí de Michoacán
44 Purépecha
Morelos
45 Nahua de Morelos
Nayarit
46 Náyeri
47 Wixárika de Nayarit
Oaxaca
48 Chinanteco de la Chinantla Alta
49 Chinanteco de la Chinantla Baja
50 Cuicateco
51 Ikoots
52 Mazateco
53 Mixe
54 Ñu Savi de la Costa Chica Oaxaqueña
55 Ñu Savi de la Mixteca Alta Oaxaqueña
56 Ñu Savi de la Mixteca Baja Oaxaqueña
57 Ñu Savi de la Mixteca Media Oaxaqueña
58 Triqui Alta
59 Binnizá de la Sierra Norte
60 Binnizá de la Sierra Sur
61 Binnizá del Istmo
62 Binnizá de Valles Centrales
63 Chontal de Oaxaca
64 Zoque de Chimalapas
Puebla
65 Nahua de la Mixteca Poblana
66 Nahua de la Sierra Norte de Puebla
67 Nahua de los Volcanes Puebla
68 Totonaco de La Sierra Norte de Puebla
Querétaro
69 Otomí- Ñañhú de Amealco y Tolimán
Quintana Roo
70 Maya de Quintana Roo
San Luis Potosí
71 Castellano de Wirikuta
72 Nahua de la Huasteca potosina
Sinaloa
73 Mayo de Sinalóa
Sonora
74 Guarijío
75 Mayo de Sonora
76 Seri
77 Tohono Odham
78 Yaqui
Tabasco
79 Chol
80 Chontal de Tabasco
81 Zoque de Tabasco
Veracruz
82 Nahua de la Huasteca
83 Nahua del sur de Veracruz
84 Nahua de Zongolica
85 Otomí- Ñuhú
86 Popoluca
87 Sayulteco
88 Tepehua del Norte de Veracruz
89 Totonaco de la Costa de Veracruz
90 Totonaco de la Sierra del Totonacapan
Yucatán
91 Maya de Yucatán
Pueblos migrantes
92 Pueblos residentes en el Valle de México
93 Pueblos residentes en Guadalajara

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/04/02/convocatoria-a-la-asamblea-constitutiva-del-concejo-indigena-de-gobierno-para-mexico/

 

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Juan Villoro: Il suono del mondo.

Gli zapatisti sanno che non possono modificare il paese con metodi tradizionali. Lontani dal ricorrere alle armi che li resero visibili, cercano un’altra maniera di partecipazione, sfruttando le crepe di un sistema monolitico per entrare di nascosto dal basso, come l’umidità e le formiche.

Il suono del mondo

di Juan Villoro – El País 16 marzo 2017

Gli zapatisti sono scomparsi?

I media, alcune volte avidi di notizie col passamontagna, li trattano come se fossero tornati nell’oblio.

Però esistono, dediti alla trasformazione del quotidiano nei loro Caracoles e Giunte del Buon Governo, e non smettono di organizzare iniziative. Contro “l’ozio del pensiero”, hanno organizzato stimolanti seminari che preferiscono chiamare “focolai”.

Nel 2013, l’Escuelita Zapatista ha ricevuto oltre 3000 alunni di vari paesi disposti ad ascoltare le idee che sorgono dal basso. Nel 2014, l’incontro La Rabbia Degna sancì la necessità di concepire cammini di speranza in tempi di persecuzione (in quell’anno il maestro José Luis Solís López, che aveva preso il nome di battaglia Galeano in onore a Hermenegildo Galeana, è stato assassinato da paramilitari, e l’EZLN ha presentato cambiamenti nella sua direzione: il subcomandante Moisés ha assunto l’incarico di portavoce e Marcos si è trasformato in Galeano, esecutore dei testi del vecchio subcomandante e autore di nuove riflessioni). Nel 2015, un altro “focolaio” è stato celebrato ad Oventik e all’Università della Terra (CIDECI, ndt): il pensiero critico di fronte all’idra capitalista. I dialoghi con vari ospiti dal Messico e internazionali si sono intensificati nel 2016 con i festival CompArte e ConCiencias, il cui scopo è immaginare il cambiamento partendo dalla cultura e dalla scienza e dal Congreso Nacional Indigena (CNI). Questa febbrile attività non ha avuto la copertura mediatica che avrebbe meritato, in un contesto degradato dalla violenza e dalla corruzione dei partiti politici.

Dal 1994, gli zapatisti hanno organizzato alternative per rinnovare il contratto sociale in un paese che ignora i popoli originari. Nel 1996 hanno firmato gli Accordi di San Andrés Larráinzar, ma il Parlamento si è rifiutato di convertirli in legge. Nel 2001, la Carovana Zapatista arrivò a Città del Messico per chiedere al Governo di onorare gli accordi sottoscritti. L’appello è caduto nel vuoto.

È nata allora una nuova strategia. Gli zapatisti sanno che non possono modificare il paese con metodi tradizionali. Lontani dal ricorrere alle armi che li resero visibili, cercano un’altra maniera di partecipazione, sfruttando le crepe di un sistema monolitico per entrare di nascosto dal basso, come l’umidità e le formiche.

Alla fine del 2016, il CNI e l’EZLN, analizzarono l’ipotesi da presentare una donna indigena come candidata indipendente alle elezioni del 2018. Una dilatata consulta determinerà se è una via percorribile e chi sarà la candidata.

Non si tratta di un cambio di rotta, né di ansia elettorale, ma del gesto morale di chi ha meno. In un paese dove le donne e gli indigeni sono discriminati, il CNI e l’EZLN propongono che la forza venga dall’unione dei deboli. In uno splendido saggio pubblicato in “Viento Sur”, Arturo Anguiano, professore della UAM e autore di “El ocaso interminable. Politica e società nel Messico dei cambiamenti rotti”, racconta di come l’intervento dell’EZLN affronti la contesa elettorale del 2018 come “un processo aperto e in evoluzione di mobilitazione politica [che favorirà] il tessuto delle resistenze e della solidarietà tra comunità, quartieri, villaggi, collettivi, nuclei organizzati o dispersi che potranno portare all’organizzazione dal basso”.

Il 21 dicembre del 2012, i turisti della catastrofe hanno prenotato abitazioni in Yucatan per ammirare dalla prima fila “l’apocalisse maya”.

La notizia veniva da un bassorilievo tra le rovine di Tortuguero; tuttavia non annunciava la fine del mondo ma di un ciclo cosmico, il 13 “baktún maya”. Il giorno “dell’apocalisse” gli zapatisti sfilarono in silenzio in varie città del Chiapas, sotto il motto: “Avete sentito? È il rumore del vostro mondo che si sta distruggendo. E il nostro che sta risorgendo“.

I tempi e le parole degli zapatisti sono differenti: aspettano il loro impiego. Come gli oggetti che appaiono negli specchi retrovisori, sono più vicini di quanto sembri.

Traduzione a cura dell’Associazione YaBasta! ÊdîBese! http://www.globalproject.info/it/mondi/il-suono-del-mondo/20695

Testo originale: http://internacional.elpais.com/internacional/2017/03/11/mexico/1489191151_589951.html?id_externo_rsoc=TW_CC

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EZLN: La prima di una serie

EZLN: La prima della serie

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Marzo 2017

Alla Sexta nel mondo:

Compas:

Vi avevamo detto che avremmo trovato il modo di sostenervi per fare in modo che, anche voi, sosteniate la resistenza e la ribellione di tutti coloro che sono perseguitati e separati da muri, ecco, abbiamo già un piccolo anticipo.

È pronta la prima tonnellata di caffè zapatista per la campagna “Di fronte ai muri del Capitale: la resistenza, la ribellione, la solidarietà e l’appoggio dal basso e a sinistra”.

È caffè zapatista al 100%. Coltivato in terre zapatiste da mani zapatiste; raccolto da zapatisti; essiccato sotto il sole zapatista; macinato in una macchina zapatista; il mulino zapatista si è rotto per colpa di zapatisti; è stato aggiustato da zapatisti (era un cuscinetto a sfera non-zapatista); poi impacchettato da zapatisti, etichettato da zapatisti e trasportato da zapatisti.

Questa prima tonnellata è stata ottenuta con la partecipazione dei 5 caracol, con le loro Giunte di Buon Governo, i loro MAREZ e i collettivi delle comunità, ed è già al CIDECI-UniTierra di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico ribelle.

Questo caffè zapatista è più buono se lo si beve lottando. Ecco qui un piccolo video che hanno fatto i Tercios Compas dove si vede il processo: dalla piantagione di caffè, fino al magazzino.

Stiamo anche smistando e imballando le opere con cui le/gli zapatist@ hanno partecipato all’ultimo CompArte, vi manderemo anche quelle per sostenere le vostre attività.

Speriamo di poterlo consegnare durante l’evento di aprile affinché il tutto possa muoversi verso i vari angoli del mondo dove si trova la Sexta, vale a dire, dove ci sono resistenza e ribellione.

Speriamo che con questo primo sostegno possiate iniziare o continuare il vostro lavoro di appoggio a tutt@ le/i perseguitat@ e discriminat@ del mondo.

Forse vi chiederete come il tutto arriverà dalle vostre parti. Beh, nello stesso modo in cui è stato prodotto, e cioè, organizzandosi.

In altre parole, vi chiediamo di organizzarvi non solo per questo, ma anche e soprattutto per fare attività di sostegno a tutte quelle persone che oggi si ritrovano perseguitate per il semplice fatto di avere un colore della pelle, una cultura, un credo, un’origine, una storia, una vita.

E per ora non è tutto: ricordatevi sempre che bisogna resistere, bisogna ribellarsi, bisogna lottare, bisogna organizzarsi.

Ah, e chiediamo come si dice questa cosa che vogliamo dire, ma in modo che lo capisca quello là:

¡Fuck Trump!

(e finalmente anche gli altri -vale a dire i Peña Nieto, Macri, Temer, Rajoy, Putin, Merkel, May, Le Pen, Berlusconi, Jinping, Netanyahu, al-Assad, e metteteci come si chiama o come si chiamerà il muro da abbattere, in modo che tutti i muri ricevano il messaggio-).

(Vale a dire che è la prima di varie tonnellate e la prima di una serie di mentadas (sferzate) -che non sono alla menta-).

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés           Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, marzo 2017

 

Ecco il video https://youtu.be/6ZnYPHUoLb8 dei tercios compas che accompagna il comunicato. Con la canzone “Somos sur”, testo e musica di Ana Tijoux, accompagnata da Shadia Mansour

 

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/03/16/la-primera-de-varias/

Traduzione a cura di 20zln https://20zln.noblogs.org/1246-2/

 

 

 

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RAPPORTO AMNESTY INTERNATIONAL 2016-2017

amnesty

RAPPORTO AMNESTY INTERNATIONAL 2016-2017 – MESSICO

36.056 PERSONE ASSASSINATE

A 10 anni dall’inizio della cosiddetta “guerra al narcotraffico e al crimine organizzato”, i soldati sono ancora impegnati in operazioni di pubblica sicurezza, mentre in tutto il paese la violenza rimane diffusa. Sono stati segnalati nuovi casi di tortura e altro maltrattamento, sparizioni forzate, esecuzioni extragiudiziali e detenzioni arbitrarie. Persiste l’impunità per le violazioni dei diritti umani e per i crimini di diritto internazionale. Il Messico ha ricevuto un numero mai raggiunto di richieste d’asilo, prevalentemente da parte di persone in fuga da Salvador, Honduras e Guatemala. Difensori dei diritti umani e osservatori indipendenti sono stati al centro di intense campagne denigratorie e i giornalisti hanno continuato a essere uccisi e minacciati per il loro lavoro. La violenza contro le donne è rimasta motivo di grave preoccupazione e negli stati di Jalisco e Michoacán sono state emanate “allerte di genere”.

36.056 PERSONE ASSASSINATE

José Antonio Román – La Jornada, 23 febbraio 2017

Nel suo rapporto annuale, Amnesty International segnala che in Messico la violenza è notevolmente aumentata. Nel 2016 c’è stato il numero più alto di omicidi dall’inizio del governo del presidente Enrique Peña Nieto, con 36.056 persone assassinate, 3.000 in più dell’anno prima. Altre cifre sono:

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/americhe/messico/

https://www.amnesty.it/rapporti-annuali/rapporto-annuale-2016-2017/

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Ruben Figueroa: Migrare ai tempi di Trump.

treno

Lo insegna la storia stessa che le persone fuggono e fuggiranno dai loro paesi a causa della corruzione, violenza e povertà. Fino a che i paesi potenti non fermeranno il loro interventismo e depredazione, i popoli continueranno ad emigrare dal sud al nord, alla ricerca di quello che per secoli hanno rubato loro.

 Migrare ai tempi di Trump

di Ruben Figueroa* / #ApieDeVia / 10 febbraio 2017

Will aspettava pazientemente che gli aprissero le porte dell’ostello a Palenque, in Chiapas, per passare la notte. Siccome era arrivato un giorno prima, senza denaro, dopo molti giorni di cammino da un villaggio di Choluteca, Honduras, molto vicino alla frontiera col Nicaragua, era uscito a guadagnarsi qualche soldo. Aveva pulito un terreno ed era molto stanco. Era il mese di gennaio, i giorni precedenti l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.

Mentre aspettava, gli ho chiesto che cosa significava per lui, il muro che Donald Trump pensa di costruire alla frontiera col Messico. In un tono che mi è parso umile, ha risposto che quel muro è una parete di mattoni, ma che lui farà l’impossibile per arrivare prima che lo costruiscano, e nel caso non riuscisse, lo scavalcherà.

“La povertà è molto grave nel nostro paese, da dove vengo io, la siccità ci ha colpiti pesantemente, non c’è modo di riuscire a sopravvivere e mantenere la mia famiglia, è questo che mi ha costretto ad emigrare”.

Per lui, le sue ragioni sono molto forti. La sua famiglia è rimasta là con quel dolore che possono capire solo le famiglie che soffrono l’emigrazione. Ma anche con la speranza che riesca ad entrare prima che Trump finisca il suo muro.

Sono decine, sono migliaia

Dentro l’ostello decine di migranti riposano e come Will sono alla ricerca dell’opportunità di entrare negli Stati Uniti, senza documenti e senza permesso. Per questo dovranno schivare i grandi pericoli nel passaggio per il Messico, un paese che negli ultimi anni si è trasformato nella grande frontiera degli Stati Uniti. Senza dubbio la paura è grande, essere fermati dalla migra messicana e soprattutto, essere sequestrati o assassinati dalle bande del crimine organizzato che proliferano su tutta la rotta migratoria.

Sono le prime settimane dell’anno. Il flusso migratorio sale come la schiuma del mare dalla frontiera meridionale del Messico, una frontiera controllata anche dai tentacoli del governo nordamericano. A pochi chilometri da Palenque, dove ci troviamo, è stato costruito un porto di confine molto grande che serve da filtro per la migrazione. In quel luogo, nel 2014, è stato lanciato il “Plan Frontera Sur” che non è servito ad altro che ufficializzare la persecuzione e repressione dei migranti.

Mentre a Washington la cerimonia di investitura volge al termine, Abel ed i suoi compagni sperano che presto passi il treno per continuare la loro strada. Non gli resta altro che proseguire. Sono giovani come la maggioranza di quelli che emigrano, dicono “senza paura”. Lo dicono perché la situazione nel loro paese è molto difficile per loro. Le loro vite non sono sicure, in qualunque momento potrebbero essere assassinati dalle “maras“.

Si stima che per il Messico transitano all’anno circa 400 mila migranti ma recentemente un funzionario del governo messicano, Luis Videgaray, ha dichiarato che potrebbero superare i 500 mila, cioè, mezzo milione. La maggioranza proviene dall’America Centrale. Ha ammesso che si tratta di un problema in comune col governo nordamericano e che entrambi devono risolvere, come già stavano facendo col governo di Barack Obama.

Gli accordi

Il tema è sul tavolo. Con Trump, il Messico non ci metterà molto a continuare col Plan Frontera Sur, con cui nel 2015 e nel 2016, ha deportato più migranti che gli Stati Uniti. Tutto indica che in questo 2017 gli accordi e le pratiche continueranno. Solamente nel gennaio del 2017 sono stati deportati in Honduras 4.117 migranti, dei quali il Messico ne ha deportati più della metà: 2.358. Il resto, 1.759, sono stati deportati dagli Stati Uniti.

Secondo informazione ufficiose, alcuni funzionari messicani si sono incontrati in privato nella città di Tapachula con funzionari del governo di Donald Trump, ed hanno sorvolato la frontiera con il Guatemala. Fino ad ora, il governo messicano non ha informato in forma ufficiale se sia già stato stretto un accordo al riguardo.

Per i migranti centroamericani il muro sarebbe un ostacolo in più dei tanti presenti in Messico, dove si scatena una feroce caccia contro di loro, soprattutto da parte degli operativi di migrazione appoggiati da poliziotti muniti di armi pesanti. Di notte e tra le montagne, vengono fermati con insulti, botte, vessazioni da parte delle autorità di polizia, situazione che con Donald Trump al potere non migliorerà. Il suo discorso belligerante indica che la situazione potrebbe perfino peggiorare.

La sua politica, come si è visto, è razzista e xenofoba. Sia contro chi già vive negli Stati Uniti sia contro chi è sulla strada per entrarvi. A pochi giorni dall’entrata in carica, Trump ha firmato un ordine esecutivo per continuare a costruire il muro ed accelerare la deportazione di migliaia di persone per il semplice fatto di essere migranti, che secondo lui sono criminali.

Inoltre, ha anche ordinato di impedire l’ingresso a rifugiati, visitatori o residenti provenienti da 7 paesi a maggioranza musulmana. Subito negli aeroporti sono stati fermati o respinti alcuni cittadini di quei paesi, situazione che ha scatenato la protesta di migliaia di persone contro questa misura sia dentro che fuori dagli aeroporti, principalmente nel JFK di New York.

Il timore di essere deportati

Tony è nato negli Stati Uniti come sua sorella Alexandra, i loro genitori sono emigrati 18 anni fa dal Tabasco. Una stato “Petrolifero” a sud del Messico ma con molta disuguaglianza sociale, povertà e disoccupazione. Hanno attraversato la frontiera con Daniel che aveva 5 anni e che oggi è un Dreamer sotto la protezione della Legge DACA [Legge che tutela i  minori entrati illegalmente negli USA – n.d.t.]. Sua madre Arely racconta che Tony ed Alexandra hanno trascorso il giorno delle elezioni attaccati al televisore. Quando si è saputo della vittoria di Donald Trump, tutti e due sono andati dalla madre, l’hanno abbracciata ed in perfetto spagnolo le hanno detto: “Non ti preoccupare mammina, staremo bene in Messico, se in questo paese non ci vogliono, ce ne andremo”.

Barack Obama ha deportato circa tre milioni di migranti, ha separato migliaia di famiglie. Con Trump le cose saranno peggiori, dice Arely. Abbiamo paura di uscire per andare al lavoro e poi un giorno non fare ritorno perché ci deportano in Messico, anche se so che è il nostro paese, sarà molto difficile sopravvivere, di sicuro soffriremo.

La doppia morale dei politici messicani si è palesata. Senatori, governatori, perfino organismi come la CNDH [Commissione Nazionale dei Diritti Umani] – quelli che curano la forma perché aspirano a nuove cariche pubbliche – sono venuti fuori a dire che intraprenderanno una ferrea difesa dei diritti e dignità dei connazionale negli Stati Uniti di fronte alle minacce di Trump. Sotto i riflettori accesi, molti si sono strappati i paramenti ufficiali, come il governatore dello stato del Chiapas, Manuel Velasco, che si è appellato all’unità. Ha dichiarato che è tempo di tendere ponti e non erigere muri, dimenticando che lo stato che lui stesso “governa” è al primo posto per detenzione e deportazione di migranti centroamericani.

In alcune città degli Stati Uniti, invece, i loro sindaci hanno annunciato di difendere i migranti e continuare con la politica di città santuario nonostante la minaccia del presidente Trump di togliere loro i fondi federali. Quante città santuario per i migranti esistono in Messico?

La migrazione, come dicono quelli che percorrono e studiano la rotta migratoria, non si fermerà. Lo insegna la storia stessa che le persone fuggono e fuggiranno dai loro paesi a causa della corruzione, violenza e povertà. Fino a che i paesi potenti non fermeranno il loro interventismo e depredazione, i popoli continueranno ad emigrare dal sud al nord alla ricerca di quello che per secoli hanno rubato loro.

Continueranno ad attraversare le frontiere, ma è una realtà che quanto più ci saranno muri, tanto più ci saranno morti.

Testo originale: https://movimientomigrantemesoamericano.org/2017/02/10/migrar-en-tiempos-de-trump/

*) Ruben Figueroa    Attivista e Difensore dei Diritti Umani

Coordinador Sur – Sureste del Movimiento Migrante Mesoamericano

http://www.instagram.com/rubenfigueroadh/

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SupMoisés SupGaleano: I muri sopra, le crepe in basso (e a sinistra).

2 sup

I MURI SOPRA,

LE CREPE IN BASSO (E A SINISTRA).

Febbraio 2017

La tormenta sul nostro cammino.

Per noi, popoli originari zapatisti, la tormenta, la guerra, c’è da secoli. Arrivò nelle nostre terre con la menzogna della civilizzazione e della religione dominanti. Allora, la spada e la croce dissanguarono la nostra gente.

Col passare del tempo, la spada si è modernizzata, e la croce è stata detronizzata dalla religione del capitale, ma si è continuato a chiedere il nostro sangue come offerta al nuovo dio: il denaro.

Abbiamo resistito, abbiamo sempre resistito. Le nostre ribellioni sono state soppiantate dalla disputa di uni contro altri per il Potere. Alcuni ed altri, sempre da sopra, ci hanno chiesto di lottare e morire per servirli, da noi hanno voluto obbedienza e sottomissione con la bugia di liberarci. Come quelli ai quali dicevano e dicono di combattere, sono venuti e vengono a comandare. Ci sono state così indipendenze e false rivoluzioni, quelle passate e da venire. Quelli di sopra si sono alternati e si alternano, da allora, per mal governare o per aspirare a farlo. Ed in calendari passati e presenti, la loro proposta continua ad essere la stessa: che noi, ci mettiamo il sangue; mentre loro dirigono o fingono di dirigere.

E allora ed ora, dimenticano coloro che non dimenticano.

E la donna sempre in basso, ieri ed oggi. Incluso nel collettivo che siamo stati e che siamo.

Ma i calendari non hanno portato solo dolore e morte tra i nostri popoli. Espandendo il suo dominio, il Potere ha creato nuove fratellanze nella disgrazia. Abbiamo quindi visto l’operaio e il contadino diventare tutt’uno con il nostro dolore, e giacere sotto le quattro ruote del mortale carrozzone del Capitale.

Come il Potere avanzava nel suo cammino nel tempo, sempre di più cresceva il basso, allargando la base sulla quale il Potere è Potere. Abbiamo visto allora unirsi maestri, studenti, artigiani, piccoli commercianti, professionisti, gli eccetera con nomi differenti ma identiche pene.

Non è bastato. Il Potere è uno spazio esclusivo, discriminatorio, selezionato. Quindi, anche le differenze sono state perseguite apertamente. Il colore, la razza, il credo, la preferenza sessuale, sono stati espulsi dal paradiso promesso, essendo l’inferno la loro casa permanente.

Sono seguite poi la gioventù, l’infanzia, la vecchiaia. Il Potere ha così trasformato i calendari in materia di persecuzione. Tutto il basso è colpevole: per essere donna, per essere bambin@, per essere giovane, per essere adulto, per essere anzian@, per essere uman@.

Ma, espandendo lo sfruttamento, la predazione, la repressione e la discriminazione, il Potere ha anche ampliato le resistenze… e le ribellioni.

Abbiamo visto allora, ed ora, alzarsi lo sguardo di molte, molti, muchoas. Differenti ma simili nella rabbia e l’insubordinazione.

Il Potere sa che è quello che è, solo su coloro che lavorano. Ha bisogno di loro.

Ad ogni ribellione ha risposto e risponde comprando o ingannando i meno, imprigionando ed assassinando i più. Non teme le loro istanze, è il loro esempio che gli fa orrore.

Non è bastato. Dominando nazioni, il Potere del Capitale ha voluto mettere l’umanità intera sotto il suo pesante giogo.

Neanche questo è stato sufficiente. Il Capitale ora vuole gestire la natura, domarla, addomesticarla, sfruttarla. Cioè, distruggerla.

Sempre con la guerra, nel suo avanzare distruttore, il Capitale, il Potere, ha prima demolito feudi e regni. E sulle loro rovine ha innalzato nazioni.

Poi, ha devastato nazioni, e sulle loro macerie ha eretto il nuovo ordine mondiale: un grande mercato.

Il mondo intero si è trasformato in un immenso magazzino di merci. Tutto si vende e si compra: le acque, i venti, la terra, le piante e gli animali, i governi, la conoscenza, il divertimento, il desiderio, l’amore, l’odio, la gente.

Ma nel grande mercato del Capitale non si scambiano solo merci. La “libertà economica” è solo un miraggio che simula mutuo accordo tra chi vende e chi compra. In realtà, il mercato si basa sulla depredazione e lo sfruttamento. Lo scambio è dunque di impunità. La giustizia si è trasformata in una grottesca caricatura e sulla sua bilancia pesa sempre di più il denaro che la verità. E la stabilità di questa tragedia chiamata Capitalismo dipende dalla repressione ed il disprezzo.

Ma neanche questo è bastato. Dominare nel mondo materiale non è possibile se non si dominano le idee. L’imposizione religiosa si è approfondita ed ha raggiunto le arti e le scienze. Come delle mode, sono nate e nascono filosofie e credenze. Le scienze e le arti hanno smesso di essere ciò che distingue l’umano e si sono collocate su uno scaffale del supermercato mondiale. La conoscenza è diventata proprietà privata, così come la ricreazione ed il piacere.

Il Capitale, così, si è consolidato come un grande tritacarne, usando non più solo l’umanità intera come materia prima per produrre merci, ma anche le conoscenze, le arti,… e la natura.

La distruzione del pianeta, i milioni di profughi, l’auge del crimine, la disoccupazione, la miseria, la debolezza dei governi, le guerre a venire, non sono il prodotto degli eccessi del Capitale, o di una conduzione erronea di un sistema che prometteva ordine, progresso, pace e prosperità.

No, tutte le disgrazie sono l’essenza del sistema. Di queste si alimenta, cresce a loro costo.

La distruzione e la morte sono il combustibile della macchina del Capitale.

E sono stati, sono e saranno inutili gli sforzi per “razionalizzare” il suo funzionamento, per “umanizzarlo”. L’irrazionale e l’inumano sono i suoi pezzi chiave. Non c’è aggiustamento possibile. Non c’era prima. Ed ora non si può più nemmeno attenuare il suo passo criminale.

L’unico modo di fermare la macchina è distruggerla.

Nell’attuale guerra mondiale, la contesa è tra il sistema e l’umanità.

Per questo la lotta anticapitalista è la lotta per l’umanità.

Chi ancora vuole “sistemare” o “salvare” il sistema, in realtà ci propone il suicidio di massa, globale, come sacrificio postumo al Potere.

Nel sistema non c’è soluzione.

E non bastano né l’orrore, né la condanna, né la rassegnazione, né la speranza che il peggio è passato e le cose non potranno che migliorare.

No. La cosa certa è che sarà sempre peggio.

Per queste ragioni, più quelle che ognuno aggiunga dai suoi particolari calendari e geografie, bisogna resistere, bisogna ribellarsi, bisogna dire “NO”, bisogna lottare, bisogna organizzarsi.

Per questo bisogna sollevare il vento del basso con resistenza e ribellione, con organizzazione.

Solo così potremo sopravvivere. Solo così sarà possibile vivere.

E solo allora, come fu la nostra parola 25 anni fa, potremo vedere che…

“Quando cesserà la tormenta,

quando pioggia e fuoco lasceranno un’altra volta in pace la terra,

il mondo non sarà più il mondo, ma qualcosa di meglio.”

-*-

La guerra e i muri di fuori e di dentro.

Se prima la sofferenza causata dalla guerra era patrimonio esclusivo del basso mondiale, ora diffonde le sue calamità.

In ogni angolo del pianeta, l’odio e il disprezzo distruggono famiglie, comunità intere, nazioni, continenti. Non è più necessario aver commesso un reato o essere un presunto criminale, basta essere sospettato di essere umano.

Provocato dall’avidità del denaro, l’incubo attuale vuole essere pagato da chi lo subisce. Le frontiere non sono più solo linee punteggiate sulle mappe e guardiole doganali, ora sono muraglie di eserciti e poliziotti, di cemento e mattoni, di leggi e persecuzioni. In tutto il mondo di sopra, la caccia all’essere umano si incrementa e si affanna in sporca concorrenza: guadagna chi più espelle, imprigiona, confina, assassina.

Come diciamo da più di 20 anni, la globalizzazione neoliberale non ha portato alla nascita del villaggio globale, ma alla frammentazione e dissoluzione del cosiddetto “Stato-nazione”. Chiamammo allora, ed ora, quel processo col nome che lo descrive al meglio: “guerra mondiale” (la quarta, secondo noi).

L’unica cosa che si è mondializzata, è stato il mercato e, con lui, la guerra.

Per chi fa funzionare le macchine e fa nascere la terra, le frontiere hanno continuato ad essere e sono quello che sono sempre state: prigioni.

Allora, la nostra affermazione, due decenni fa, provocò i sorrisi ironici dell’intellighenzia internazionale incatenata a dogmi vecchi e caduchi. Ed oggi quegli stessi balbettano davanti ad una realtà frenetica e, o suggeriscono vecchie ricette, o si adattano all’idea di moda che, dietro una complessa elaborazione teorica, nasconde l’unica cosa vera: non hanno la più remota idea di quello che sta succedendo, né di quello che seguirà, né di quello che ha preceduto l’incubo attuale.

Si lamentano. Il pensiero di sopra gli aveva promesso un mondo senza frontiere, ed il risultato è un pianeta colmo di trincee scioviniste.

Il mondo non si è trasformato in una gigantesca megalopoli senza frontiere, ma in un grande mare scosso da una tempesta che non ha precedenti di uguale grandezza. In esso, milioni di profughi (che i media vergognosamente unificano con il nome di “migranti”) naufragano su piccole barche, nella speranza di essere riscattati dal gigantesco vascello del grande Capitale.

Ma non solo non lo farà; lui, il grande Capitale, è il principale responsabile della tormenta che ormai minaccia l’esistenza dell’umanità intera.

Con la turpe maschera del nazionalismo fascista, tornano i tempi dell’oscurantismo più retrogrado che reclama privilegi ed attenzioni. Stanco di governare dalle ombre, il grande Capitale smonta le bugie della “cittadinanza” e della “uguaglianza” di fronte alla legge ed al mercato.

La bandiera di “libertà, uguaglianza e fraternità” con cui il capitalismo vestì il suo passaggio a sistema dominante nel mondo, è ormai solo uno straccio sporco e gettato nella spazzatura della storia di sopra.

Alla fine il sistema si scopre e mostra il suo vero volto e vocazione. “Guerra sempre, guerra ovunque”, recita l’emblema della superba nave che naviga in un mare di sangue e merda. È il denaro e non l’intelligenza artificiale quella che combatte l’umanità nella battaglia decisiva: quella della sopravvivenza.

Nessuno è in salvo. Né l’ingenuo capitalista nazionale che sognava la prosperità che i mercati mondiali aperti gli offrivano, né la classe media conservatrice che sopravvive tra il sogno di essere potente e la realtà di essere il gregge del pastore di turno.

Senza parlare della classe lavoratrice della campagna e della città, in condizioni ancora più difficili se ancora fosse possibile.

E, per completare l’immagine apocalittica, milioni di profughi e migranti che si accalcano alle frontiere che, all’improvviso, sono diventate reali come i muri che, ad ogni passo, interpongono governi e criminali. Nella geografia mondiale dei mezzi di comunicazione e delle reti sociali, i profughi, fantasmi erranti senza nome né volto, sono solo un numero statistico che muta la loro ubicazione.

Il calendario? Appena un giorno dopo la promessa della fine della storia, della solenne dichiarazione della supremazia di un sistema che avrebbe concesso benessere a chi lavorava, della vittoria sul “nemico comunista” che voleva coartare la libertà, imporre dittature e generare povertà, della promessa eternità che annullava tutte le genealogie. Lo stesso calendario che solo ieri annunciava che la storia mondiale era appena cominciata. Ma risulta che tutto questo non era altro che il preludio al più spaventoso incubo.

Il capitalismo come sistema mondiale collassa e, disperati, i grandi capitani non sanno dove andare. Per questo ripiegano nelle loro tane di origine.

Offrono l’impossibile: la salvazione locale contro la catastrofe mondiale. E la scemenza si vende bene tra una classe media che economicamente si fonde con quelli in basso, ma pretende di supplire alle sue carenze economiche con legittimazioni di razza, credo, colore e sesso. La salvazione di sopra è anglosassone, bianca, credente e maschile.

Ed ora coloro che vivevano delle briciole che cadevano dai tavoli dei grandi capitali, sono disperati poiché i muri si alzano anche contro di loro. E, per colmo, pretendono di essere alla testa dell’opposizione a questa politica guerriera. Così, tra la destra intellettuale vediamo fare gesti di contrarietà e tentare timide e ridicole proteste. Perché la globalizzazione non è stata il trionfo della libertà. È stata ed è la tappa attuale della tirannia e della schiavitù.

Le Nazioni non lo sono più, benché i loro rispettivi governi ancora non se ne siano accorti. Le loro bandiere ed emblemi nazionali sventolano logori e scoloriti. Distrutti dalla globalizzazione di sopra, malati dal parassita del Capitale e con la corruzione come unico segno di identità, con ridicolo affanno i governi nazionali vogliono proteggere se stessi e tentare la ricostruzione impossibile di quello che una volta sono stati.

Nel compartimento stagno delle sue muraglie e dogane, il sistema droga la mediocrità sociale con l’oppio di un nazionalismo reazionario e nostalgico, con la xenofobia, il razzismo, il sessismo e l’omofobia come piano di salvazione.

Le frontiere si moltiplicano dentro ogni territorio, non solo quelle che disegnano le mappe. Anche e, soprattutto, quelle che innalzano la corruzione ed il crimine fatto governo.

La prosperità postmoderna non era altro che un palloncino gonfiato dal capitale finanziario. Ed è arrivata la realtà a farlo scoppiare: milioni di profughi dalla gran guerra riempiono le terre e le acque, si ammucchiano alle dogane e continuano a fare crepe nei muri fatti e da fare. Animati prima dal gran Capitale, i fondamentalismi trovano terreno fertile per le loro proposte di unificazione: “dal terrore nascerà un solo pensiero, il nostro”. Dopo essere stata alimentata con i dollari, la bestia del terrorismo minaccia la casa del suo creatore.

E, sia nell’Unione Americana, che in Europa Occidentale o nella Russia neo zarista, la bestia si contorce e cerca di proteggere se stessa. Innalza lì (e non solo lì) la stupidità e l’ignoranza più grossolane e, nelle sue figure di governo, sintetizza la sua proposta: “torniamo al passato”.

No, l’America non tornerà ad essere di nuovo grande. Mai più. Né l’intero sistema nel suo insieme. Non importa che cosa facciano quelli di sopra. Il sistema è arrivato ormai al punto di non ritorno.

-*-

Contro il Capitale ed i suoi muri: tutte le crepe.

L’offensiva internazionale del Capitale contro le differenze razziali e nazionali, che promuove la costruzione di muri culturali, giuridici e di cemento e acciaio, vuole restringere ancora di più il pianeta. Vogliono creare così un mondo dove ci stiano solo quelli che sopra sono uguali tra loro.

Suonerà ridicolo, ma è così: per affrontare la tormenta il sistema non vuole costruire tetti per ripararsi, ma muri dietro i quali nascondersi.

Questa nuova tappa della guerra del Capitale contro l’Umanità deve essere affrontata con resistenza e ribellione organizzate, ma anche con la solidarietà e l’appoggio verso chi vede attaccate le proprie vite, libertà e beni.

Per questo:

Considerando che il sistema è incapace di frenare la distruzione.

Considerando che, in basso e a sinistra, non ci deve essere posto per il conformismo e la rassegnazione.

Considerando che è il momento di organizzarsi per lottare ed è tempo di dire “NO” all’incubo che ci impongono da sopra.

LA COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN E LE BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE CONVOCANO:

I.- La campagna mondiale:

Di fronte ai muri del Capitale:

la resistenza, la ribellione, la solidarietà e l’appoggio dal basso e a sinistra.

Con l’obiettivo di chiamare all’organizzazione e alla resistenza mondiale di fronte all’aggressività dei grandi capitali e dei loro rispettivi capoccia sul pianeta, che ormai terrorizzano milioni di persone in tutto il mondo:

Invitiamo ad organizzarsi con autonomia, a resistere e ribellarsi contro le persecuzioni, detenzioni e deportazioni. Se qualcuno se ne deve andare, che siano loro, quelli di sopra. Ogni essere umano ha diritto ad un’esistenza libera e degna nel luogo che ritiene migliore, ed ha il diritto di lottare per restarci. La resistenza alle detenzioni, sgomberi ed espulsioni sono un dovere, come un dovere è appoggiare chi si ribella contro questi arbitri SENZA CHE IMPORTINO LE FRONTIERE.

Bisogna far sapere a tutta quella gente che non è sola, che il suo dolore e la sua rabbia è visibile anche a distanza, che la sua resistenza non è solo benvenuta, ma è anche appoggiata anche se con le nostre piccole possibilità.

Bisogna organizzarsi. Bisogna resistere. Bisogna dire “NO” alle persecuzioni, alle espulsioni, alle prigioni, ai muri, alle frontiere. E bisogna dire “NO” ai malgoverni nazionali che sono stati e sono complici di questa politica di terrore, distruzione e morte. Da sopra non verranno le soluzioni, perché lì sono nati i problemi.

Per questo sollecitiamo la Sexta nel suo insieme ad organizzarsi, secondo il suo tempo, modo e geografia, per appoggiare anche con attività, chi resiste e si ribella contro le espulsioni. Sia sostenendoli affinché ritornino alle proprie case, sia creando “santuari” o appoggiando quelli già esistenti, sia con consulenze ed aiuti legali, sia con soldi, sia con le arti e le scienze, sia con festival e mobilitazioni, sia con boicottaggi commerciali e mediatici, sia nello spazio cibernetico, sia dove sia e come sia. In tutti gli spazi dove ci muoviamo, è nostro dovere appoggiare e solidarizzare.

È arrivato il momento di creare comitati di solidarietà con l’umanità criminalizzata e perseguitata. Oggi, più che mai prima, la loro casa è anche la nostra casa.

Come zapatisti, la nostra forza è piccola e, benché il nostro calendario sia ampio e profondo, la nostra geografia è limitata.

Per questo e per appoggiare chi resiste alle detenzioni e deportazioni, da molte settimane la Commissione Sexta dell’EZLN ha avviato contatti con singol@, gruppi, collettivi ed organizzazioni aderenti alla Sexta nel mondo, per vedere il modo di fargli arrivare un piccolo aiuto in modo che gli possa servire come base per lanciare o continuare ogni forma di attività ed azioni a favore de@ perseguitat@.

Per iniziare, invieremo loro le opere artistiche create dalle/dagli indigeni zapatisti per il CompArte dell’anno scorso, così come caffè organico prodotto dalle comunità indigene zapatiste nelle montagne del sudest messicano, affinché, con la loro vendita, realizzino attività artistiche e culturali per concretizzare l’appoggio e la solidarietà con i migranti ed i profughi che, in tutto il mondo, vedono minacciate la loro vita, libertà e beni a causa delle campagne xenofobe promosse dai governi e dall’ultra destra nel mondo.

Questo per il momento. Continueremo ad ideare nuove forme di appoggio e solidarietà. Noi, donne, uomini, bambini ed anziani zapatisti non li lasceremo soli.

II.- Invitiamo inoltre tutta la Sexta e chi sia interessato, al seminario di riflessione critica “I MURI DEL CAPITALE, LE CREPE DELLA SINISTRA” che si terrà dal 12 al 15 aprile 2017 nelle installazioni del CIDECI-UniTierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Partecipano:

Don Pablo González Casanova.

María de Jesús Patricio Martínez (CNI).

Paulina Fernández C.

Alicia Castellanos.

Magdalena Gómez.

Gilberto López y Rivas.

Luis Hernández Navarro.

Carlos Aguirre Rojas.

Arturo Anguiano.

Sergio Rodríguez Lascano.

Christian Chávez (CNI).

Carlos González (CNI).

Comisión Sexta del EZLN.

Prossimamente forniremo ulteriori dettagli.

III.- Invitiamo tutt@ gli artisti alla seconda edizione del “CompArte per l’Umanità” dal tema: “Contro il Capitale ed i suoi muri: tutte le arti”, da tenersi in tutto il mondo e nello spazio cibernetico. La parte “reale” sarà dal 23 al 29 luglio 2017 nel caracol di Oventik ed il CIDECI-UniTierra. L’edizione virtuale sarà dal 1 al 12 agosto 2017 nella rete. Prossimamente forniremo ulteriori dettagli.

IV.- Vi chiediamo anche di prestare attenzione alle attività alle quali convocherà il Congresso Nazionale Indigeno, come parte del proprio processo di formazione del Consiglio Indigeno di Governo.

V.- Invitiamo le/gli scienziat@ del mondo alla seconda edizione del “CoScienze per l’Umanità” dal tema: “Le scienze di fronte al muro”. Da tenersi dal 26 al 30 dicembre 2017 nel CIDECI-UniTierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, e nello spazio cibernetico Prossimamente forniremo ulteriori dettagli

Non è tutto. Bisogna resistere, bisogna ribellarsi, bisogna lottare, bisogna organizzarsi.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.        Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, 14 febbraio (anche il giorno de@ nostr@ mort@) 2017

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/02/14/los-muros-arriba-las-grietas-abajo-y-a-la-izquierda/

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Quel che segue II. L’urgente e l’importante.

moises-tacho-galeano

Quel che segue II. L’urgente e l’importante.

3 gennaio 2017

Vi ho ascoltato. A volte, quando ero qui con voi, a volte sullo stream del Cideci, a volte attraverso quello che mi raccontano le vostre alunne e i vostri alunni zapatisti.

Cerco costantemente di dare un senso alle vostre presentazioni, al ritmo e alla direzione delle vostre parole. Abbiamo ascoltato esposizioni brillanti, alcune didattiche, altre complesse, la maggior parte polemiche, ma su cui si può discutere. Pensiamo che dovreste farlo tra di voi. Per questo forse sarebbe utile chiarire la confusione esistente tra scienza e tecnologia.

Per il resto, siamo sorpresi quanto voi. L’interesse per la scienza non è qualcosa che è stato ordinato o imposto, nasce dall’interno.

Quando, 23 anni fa, il femminismo venne da noi per reclamare l’imposizione della liberazione delle donne, gli abbiamo detto che non è qualcosa che si può imporre, ma che è qualcosa che appartiene alle compagne. La libertà non si impone, si conquista. Due decenni più tardi, ciò che hanno ottenuto le compagne fa impallidire quelle che si dichiaravano l’avanguardia del femminismo.

Allo stesso modo, neppure la scienza si impone. È il prodotto dell’evoluzione dei popoli, come già spiegato dal Subcomandante Insurgente Moisés.

Vi ho detto che la maggior parte delle vostre presentazioni mi sono sembrate buone, ma su quello che alcuni, molto pochi, hanno esposto, non so cosa dire.

Qualcuno mi ha ammirato, io ho ascoltato con attenzione e speravo che a un certo punto dicesse: “tutto quel che ho detto, è una farsa, ve ne ho parlato per farvi vedere cos’è la pseudo scienza e perché non si fidino del principio di autorità, quello per il quale solo perché uno ha studiato vuol dire che quel che dice è scientifico”. Invece no, è andato avanti fino alla fine.

Gli ho analizzato il volto per vedere se stesse sorridendo maliziosamente, e invece no. Era sinceramente convinto delle assurdità espresse e ha accolto riconoscente gli applausi della folla che ha attirato e di quelli che ha adulato in galleria.

Quando una compagna insurgenta ha sentito che non bisogna più fare bambini, che è meglio adottarli, perché ci sono già molte persone sul pianeta, mi ha detto: “ma così le persone non fanno altro che finire, non serve la Idra, basta con quest’idea. E questa è un’idea da ricchi; anche solo uno o due, sono già troppi i ricchi e avanzano, disturbano e non servono. Quest’idea ci dice che non bisogna lottare per costruire un altro mondo, ma che basta usare contraccettivi”.

Vi racconto quello che qualcuno, a sua volta, mi ha narrato tempo fa, quando il mondo somigliava a una mela in attesa del morso del peccato originale.

C’era un uomo che spiegava quel che faceva per vivere. Usava un metodo che chiamava “la vipera boa”. Aveva un accompagnatore. Insieme, imbottigliavano vaselina in piccoli barattoli e gli mettevano etichette sulle quali si leggeva “Pomata Tuttotutto” e in minuscolo dicevano che la pomata curava proprio tutto, dall’Alzheimer al mal d’amore, passando dalla poliomielite, il tifo, la perdita dei capelli, il malocchio, i molari con le carie, il cattivo odore dei piedi o dell’alito e altri mali che ora non ricordo.

Quel che faceva quella persona è: si fermava in un angolo e cominciava a inveire contro zoo e circhi, che poveri animali, che erano rinchiusi e così via. E proclamava: “Vi mostriamo quindi una vipera boa, lunga 7 metri, che abbiamo trovato nelle fogne, e che abbiamo soccorso e curato, e che ora vi mostriamo, signore, signori, giovani, signorine, bambini e pubblico in generale”.

La gente si avvicinava curiosa, soprattutto perché la vipera non si vedeva da nessuna parte, c’era solo una valigetta piena di piccoli barattoli di pomata “Tuttotutto“.

Quando considerava che ci fosse un numero sufficiente di persone, si girava verso il suo assistente e diceva a voce alta: “Aiutante, por-ta-mi la vipera!”. Lui, complice, annuiva e correva chissà dove.

L’uomo vedeva il suo assistente allontanarsi. Scegliendo a caso, diceva a qualcuno vicino a lui: “Sembra incredibile, ma così come lo vede, quel povero ragazzo appena poche settimane fa non riusciva a muoversi, neppure con un bastone, solo con la sedia a rotelle. E guardi adesso. Sembra un miracolo, eppure no. A quanto pare, per mia fortuna, ho trovato la formula scientifica di un medicamento che lo ha guarito. Guardi, le faccio vedere”.

Naturalmente, il commento era “innocente” e teoricamente era indirizzato a una sola persona, ma aveva fatto in modo che fossero in tanti a sentire. Si dirigeva poi verso la valigetta, prendeva un barattolo e diceva alla prima persona: “Ecco, questo è quello che le dicevo”. La persona prendeva il barattolo e leggeva la scritta, mentre l’uomo si distraeva, mettendo a posto i barattoli, guardando verso dove era andato il suo aiutante e dicendo tra sé e sé: “perché ci mette così tanto tempo questo ragazzo? spero che non gli sia scappata la vipera boa, che se no domani esce sul giornale e povero animale, magari lo rinchiudono o ci fanno borse e scarpe.

Nel frattempo, l’innocente che aveva ricevuto il barattolo, lo mostrava alla persona che aveva accanto e gli raccontava la storia del ragazzo che era andato a cercare la vipera. In pochi minuti, il barattolo era già passato tra le mani a una decina di persone, e l’uomo diceva dunque: “Restituite la medicina alla signora, al signore, al giovane, alla signorina”, a dipendenza, e aggiungeva, “la tenga, gliela regalo, la provi e vedrà”.

Poi altri si avvicinavano a chiedere il campione gratuito e l’uomo, spiaciuto, si scusava: “No, mi dispiace, non posso regalarne a tutti, questo è un ordine speciale per il Ministero della Salute. Beh, però è meglio che ne approfittiate voi e non quei disgraziati del governo, datemi giusto 10 pesos per la fabbricazione e per sostituire quello del governo”.

Era sufficiente che si avvicinassero 5 persone, per far sì che se ne aggiungessero altre, e ben presto aveva già attorno una discreta quantità di persone. Le persone stesse parlavano tra loro su di cosa si trattasse e l’uomo, fingendosi indifferente, si limitava a incassare, mentre si lamentava del ritardo del suo “aiutante” e della famosa vipera boa.

Era una questione di minuti, e l’assistente tornava tutto agitato e preoccupato e diceva qualcosa all’uomo a bassa voce, lui diceva solo “Oddio! Davvero? Sei sicuro?” Recuperava rapidamente la sua valigetta ormai vuota, o quasi, e rivolgendosi alla gente diceva: “Correte! La vipera è fuggita! Adesso arrivano la pattuglia e i granatieri” e si mettevano a correre spaventati. L’allarme si diffondeva e anche la gente si disperdeva.

Gli ho chiesto quanto costa fare la medicina in questione. Ha detto che i barattoli li raccoglievano dalla spazzatura e che la vaselina gli costava all’incirca un peso a barattolo. In quel modo guadagnava circa 100 pesos al giorno, quando il salario minimo è di $ 8,00 al giorno.

Beh, voglio solo dirvi, a chi ha voluto applicare tale metodo a questo incontro, che, nonostante abbiate un titolo di studio accademico, non compreremo i vostri barattoli. Penso che dovrete cercarvi un altro angolo dove vendere la vostra merce scadente.

– * –

Forse qualcuno conserva l’immagine dell’indigeno ignorante e ingenuo, e pensava di poterci dire che avrebbe parlato di una cosa, sapendo dal principio che avrebbe parlato di qualcosa di diverso che non ha nulla di scientifico. Dai, non riesce neanche ad essere una pseudo scienza, sulle reti sociali ho letto cose elaborate meglio, più ingegnose e altrettanto false, dall’inizio alla fine.

E lasciate che vi dica: se vi lamentate che all’interno dell’accademia non vengono prese in considerazione questioni puramente esistenziali, neanche qui.

Che all’interno dell’accademia non viene preso in considerazione l’attivismo politico, neanche qui. Ma vi dirò da chi viene preso in considerazione: dalla sinistra istituzionale. Lì sì, andate a dire: sono dottore di non so cosa, ho partecipato a molte marce, incontri, corsi, allora sì vi mettono a dirigere qualunque cosa, o come consulenti, o come coordinatori.

Qui no, se venite perché ne sapete di matematica, ecco, quello ci interessa, anche se non sapete cosa sia il plusvalore o la lotta di classe, e neppure se “La Internazionale” sia una canzone di lotta, un’opera o il nome di un negozio di alimentari.

Come vi ha già accennato il Subcomandante Insorgente Moisés, la scienza è scienza, sia che tu sia partidista o zapatista.

Non vale neppure che ci vengano a lusingare o a corteggiare, anche se penso che funzioni nel mondo accademico istituzionale.

Non valgono neanche i ricatti sul colore della pelle, l’orientamento sessuale o il credo religioso. O sai o non sai di cosa stai parlando, non conta se hai la pelle scura, o bianca, o rossa, o gialla, o nera, o bicolore; non conta se sei uomo, donna, omosessuale, gay, trans o qualsiasi altra cosa; non conta se sei cattolico, o musulmano, o ateo, o agnostico, o maomettano, o qualsiasi altra cosa a patto che, quando si tratta di fare scienza, tu faccia scienza, non religione, filosofia o la ciarlataneria che è di moda sulle reti sociali.

Qui non si fanno discriminazioni. Le differenze non sono un demerito, ma non sono neanche un merito.

Per quanto riguarda le sofferenze o i drammi personali, ok, sono comprensibili. Ma dovete capire che siamo un pessimo pubblico da impietosire. Tutto quello che avete sofferto e soffrite, non può essere comparato con ciò che è stato, ed è, essere ciò che siamo come lo siamo.

Ma capisco cosa succede, ognuno si masturba come può. Tuttavia, non ci sembra onesto mentire dicendo che sareste venuti a parlare di scienza invece che dei vostri problemi esistenziali.

Ma le compagne e i compagni sono nobili e comprensivi. Vi abbiamo invitato a parlarci e abbiamo mantenuto la promessa, vi abbiamo ascoltato con rispetto, il che non significa che ci beviamo qualsiasi vostra pensata. Noi, abbiamo mantenuto la promessa. Alcune persone non l’hanno fatto.

Immaginate che questa sia un’assemblea di uno dei villaggi zapatisti, e che veniate a esporre i vostri progetti. A parlare di biologia, di medicina, di laboratorio, di analisi cliniche, di agro-ecologia, di ingegneria, di farmaceutica, e che l’assemblea vi dica avanti, che è urgente. Di fisica, di chimica, di matematica, di vulcanologia, di astronomia, e altre scienze, e che l’assemblea vi dica avanti, che è importante.

E se qualcuno viene a dirci che la scienza deve fare filosofia postmoderna e prendere in considerazione le variabili esistenziali di ognuno, beh, l’assemblea lo ascolterà, ma non gli dirà di andarsene. Gli proporranno di infiltrarsi da Skynet e di convincere l’Intelligenza Artificiale a seguire la proposta scientifica che sostengono. Sono sicuro che collasserebbe ben presto, cosa che allevierebbe la dualità sofferta da John Connor, e libererebbe l’intera umanità dai sequel di Terminator.

Chiaramente, io vi consiglio di studiare davvero in modo da rendervi conto che siete più dalla parte di Aristotele e Tolomeo che di Copernico, Galileo e Keplero.

-*-

L’Apocalisse secondo Difesa Zapatista.

Montagne del sud-est messicano. Territorio in resistenza e ribellione. C’è una scuola autonoma. Un’aula. Al suo interno, la promotrice dell’istruzione parla alle bambine e ai bambini zapatisti:

“Prima di uscire vi racconterò una storia, un racconto, voi dovrete pensare e rispondere alla domanda che vi farò quando conoscerete già la storiella”.

In uno dei banchi in fondo, una bambina smette di disegnare sul suo quaderno diagrammi complicati che, anche se sembrano di flusso, sono in realtà tattiche calcistiche. Accanto alle linee e alle frecce si legge “quando completeremo la squadra”. Ai piedi della bambina c’è un pallone, sfilacciato e pieno di bernoccoli, e sul suo grembo sonnecchia una specie di gatto… o cane … o qualunque cosa sia.

Non solo la ragazza, ora tutta la classe è in attesa delle parole della promotrice, che dice:

“C’è una voce che ci racconta quel che vede. Dice di far finta che il mondo stia finalmente per finire, e che si vede che ci sono solo due uomini. I due sono uno di fronte all’altro, e non si parlano, ma si vede che sono molto coraggiosi. Sono gli unici uomini che restano, tutti gli altri sono già morti. Sono gli ultimi uomini sulla Terra. Non si parlano né si guardano, ma stanno discutendo infuriati. E non si guardano né si parlano perché si stanno mandando messaggi sui loro cellulari. Vale a dire che, come si suol dire, stanno litigando come se i loro cellulari fossero delle armi, le uniche rimaste perché il mondo sta finendo. Si stanno rimproverando molto arrabbiati, e solo restano loro due. E uno sta dicendo all’altro, cioè gli sta mandando un messaggio:

“È colpa tua perché con la scienza hai fatto la distruzione.” (send)

L’altro vede il messaggio sul suo cellulare e si arrabbia e risponde:

“No, è colpa tua perché, invece della scienza, hai detto che è meglio fare come i vecchi primitivi e non usare la tecnica”. (send).

L’altro, si arrabbia ancor di più e si vede nel suo sguardo che è come se volesse bruciare lo schermo del cellulare. E poi scrive:

“No, è colpa tua perché con le tue scienze e le tue tecniche sono state fatte le armi che hanno permesso persino il massacro dei poveri animali”. (send)

L’altro vede il messaggio e ha uno sguardo del tipo “adesso vedrai maledetto” e risponde:

“No, è colpa tua perché hai detto che non bisogna imparare la scienza perché la scienza è cattiva perché non rispetta la Madre Terra e le fa del male.” (send).

L’altro guarda con molto odio lo schermo e si scaglia sui tasti a dice:

“No, è colpa tua perché credi di sapere molto con la scienza e non prendi in considerazione le necessità delle persone e fai il superiore e credi che io non sappia molto, convinto che nessuno possa batterti e tutte le cavolate che hai detto.” (send).

L’altro non riesce a credere a quel che legge e si arrabbia talmente tanto e guarda l’altro e con uno sguardo, come per dire, “morirai, disgraziato!”. Allora scrive:

“No, è colpa tua perché hai criticato la scienza solo per pigrizia, perché non vuoi studiare né imparare, perché si vede chiaramente che il coyolito ti ha appesantito”. (send).

Continuano così quei due, litigando arrabbiati con i loro cellulari. Non lo sanno, ma quello è l’ultimo giorno, quando arriverà la notte, tutto finirà. E a forza di litigare guardando i loro cellulari, non si accorgono che il sole sparisce dietro la montagna e si oscura tutta la terra”.

La promotrice dell’educazione, che ha sfruttato tutto quello che aveva imparato durante la formazione per raccontare la storia, conclude:

“Beh, questa è la storia che ha raccontato la voce. Quindi la domanda che dovete rispondere è “Quale dei due uomini è sopravvissuto alla fine del mondo?”.

Le bambine e i bambini si mettono a pensare.

Nelle prime file della classe è seduto Pedrito. Dice che è per fare attenzione, ma sappiamo bene che è molto innamorrrato della promotrice, ma non vogliamo farlo pubblico perché è un suo segreto.

Pedrito alza la mano per chiedere la parola.

La promotrice sta per dire “Vediamo un po’ cosa ne pensi Pedrito”, ma dal fondo dell’aula si alza una voce infantile femminile:

“È facile.”

Tutti, compresa la promotrice, si girano a guardare la bambina che si è alzata in piedi e ha già lo zaino a tracolla con il quaderno e la penna al loro posto. Tra le mani regge il pallone rovinato, mentre per terra il Gatto-cane si stira per svegliarsi. La maestra dice con rassegnazione:

“Vediamo un po’ Difesa Zapatista, dicci cosa ne pensi.”

La bambina si avvicina alla porta della classe mentre spiega:

“È facile la risposta, perché è chiaro che la colpa della fine del mondo è dei fottuti uomini, sono dei maledetti con quella loro “patriarcheria”, che ormai si fa fatica a crederci. E non hanno studiato l’Idra che con la sua ingordigia danneggia l’intero pianeta Terra. Quindi se ne stanno lì, da maschiacci, a litigare con i loro cellulari e le loro canzoni di cavalli e amori e poi di nuovo di crepacuore, che si decidano per una volta.

Vabbè, maestra, per farti capire, come donne che siamo, ti spiego la parola: “patriarcheria” vuol dire che comandano solo gli uomini e vogliono che noi donne siamo dipendenti da quello che vogliono, questo e quest’altro, e poi ci dicono che ci vogliono molto bene e che abbiamo degli occhi molto belli e credete davvero che stiano guardando gli occhi, no, guardano qualcos’altro. E io non so cosa guardino perché non mi sono ancora cresciute, ma le mie mamme mi hanno detto che i fottuti uomini fanno così. E io, quando sarò grande, che non ci pensino neanche, che solo gli darò sberle e calci se mi guardano male. Quindi la “patriarcheria” è che i fottuti uomini vogliono solo che gli prepariamo il pozol e ci danno comunque fastidio perché vogliono il loro bacetto. Credi che gli daremo il loro bacetto? Niente di niente, invece che un bacio, si prendono una sberla. E poi credono che ci faremo convincere con canzoni sui cavalli. Sono proprio rimbambiti, vediamo se trovano un cavallo che gli prepari il pozol, vediamo cosa trovano, proprio niente…”

La maestra conosce già la bambina, quindi la interrompe:

“Vediamo un po’ Difesa Zapatista, rispondi alla domanda”.

La bambina è già quasi arrivata alla porta. Mentre, ai suoi piedi, il Gatto-cane agita allegramente la coda, risponde:

“È facile, nessuno dei due uomini sopravvive, muoiono da stupidi. Ed è chiaramente per colpa della patriarcheria che finirà il mondo, ma non finisce proprio niente, perché c’è chi vive e si tratta della compagna che racconta la storia. Perché se non è una compagna che racconta la storia, allora non c’è nessuna storia. E la compagna che racconta la storia porta un bebè nel suo scialle e, come si suol dire, gli sta dando una lezione di politica, al bebè, per insegnargli che tra donne dobbiamo sostenerci.”

La bambina non aspetta per sapere cosa dice la promotrice dell’istruzione e, dando per scontato che la sua risposta sia corretta, esce correndo e urlando “A giocare!”, mentre il Gatto-cane e il resto della classe la seguono.

La promotrice dell’educazione sorride mentre guarda i suoi quaderni e i suoi libri, tra i quali ce n’è uno che s’intitola “Antologia del XX Anniversario. Congresso Nazionale Indigeno. Mai più un Messico senza di noi”. E prima di andarsene, la maestra si accorge che non tutti i bambini sono usciti.

Al banco davanti, è seduto Pedrito, triste e afflitto. La promotrice va a sedersi accanto a lui e gli chiede:

“Cosa c’è che non va Pedrito, perché sei triste?”

Pedrito sospira e risponde: “Non ho potuto rispondere perché Difesa Zapatista mi ha tolto la parola.”

“Ah”, dice la maestra, “non ti preoccupare Pedrito, qual era la tua risposta?”

Pedrito, con tono di ovvietà, spiega:

“Beh, io avrei risposto che la storia non regge, perché se restano solo due uomini che litigano con i loro cellulari, allora chi sta lavorando per far sì che ci sia connessione per il cellulare? Ciò significa che ci sono altri che stanno ancora lavorando, vale a dire che non ne restano solo due. Cioè, per intenderci maestra, manca logica nella sua storia, manca coerenza nell’argomento. Quindi la risposta è che la premessa è errata e quindi la conclusione, qualunque essa sia, è falsa. Sarebbe stato chiaro se si fosse applicato il pensiero critico all’analisi” (mi pare che Pedrito parlasse così, se un giorno doveste conoscerlo vedrete che non me lo sto inventando).

 

Pedrito, dopo aver parlato, ritorna alla sua posizione di dolore e tristezza.

La promotrice di educazione sta pensando cosa vogliano dire le parole “coerenza” e “premessa” e che con Pedrito è sempre così, usa parole che mettono in difficoltà persino il Comando. La promotrice non ha nessuna difficoltà a chiedere a Pedrito cosa significhino quelle parole, ma nota che Pedrito è triste, quindi lo abbracciare e dice:

“Non ti preoccupare Pedrito, anche la tua risposta va bene.”

Pedrito, sentendosi abbracciato, diventa di tutti i colori e fa una faccia da “nessuno mi ha mai abbracciato”, come gli ha insegnato il defunto SupMarcos. Mentre si lascia coccolare, Pedrito pensa che sia stato un bene che Difesa Zapatista abbia risposto per prima, così almeno la promotrice lo sta abbracciando e, grazie a quell’abbraccio, Pedrito capisce che il mondo non finirà, che finché durerà l’abbraccio, il mondo continuerà a dare opportunità alla vita, perché la vita è proprio questo, un abbraccio.

Pedrito sta riflettendo su tutto questo quando, sulla porta, appare la bambina e dice: “Sbrigati Pedrito, dobbiamo completare la squadra per fare la gara”.

Pedrito si separa dall’abbraccio della promotora come se il cuore gli venisse strappato, eppure va verso la bambina, perché lui, oltre che bambino, è zapatista, e uno zapatista non può lasciare che la squadra non sia completa per colpa sua. Prima di uscire, Pedrito dice alla bambina: “ti dico chiaramente che il portiere non lo faccio, meglio mettere il cavallo color cioccolato in porta, io voglio fare l’attaccante”.

“Difesa Zapatista” non permette che l’ultima parola della storia sia di un bambino, e allora dice:

“Attaccante un cavolo. Il SupGaleano mi ha fatto vedere dei video e ormai ho un nuovo piano. Adesso giochiamo con la scienza del “calcio totale” delle arance olandesi. Tu ci credi che non c’è bisogno di studiare per il gioco? Entrambe le cose, con le scienze e con le arti. Poi ti spiego. Completiamo la squadra e vedrai, tu non preoccuparti, che saremo di più, a volte ci vuole tempo, ma saremo di più”.

Il bambino e la bambina se ne vanno. Allora si vede che la bambina indossa una maglietta arancione che le arriva quasi ai talloni dove sul retro con lettere storte c’è scritto “Cruyff” e sotto si legge: “Resistenza e Ribellione“.

A un lato del pascolo, li aspetta un gruppo eterogeneo composto da: un vecchio cavallo che mastica con parsimonia un pacchetto vuoto di tabacco; un uomo di bassa statura con i capelli grigi, che trema nonostante il cappotto che indossa; un altro uomo alto e magro che si distingue per la sua altezza e per il cappello strano che indossa e che guarda con interesse, attraverso una lente di ingrandimento, uno strano animaletto che, da lontano, sembra un cane … o un gatto … o di un gatto-cane.

Nelle vicinanze, dove la comunità è impegnata a graffiare il muro, delle mani anonime hanno plasmato, in basso a sinistra, un graffito che esplode di colori. Su di esso si legge:

“Siamo il Congresso Nazionale Indigeno e andiamo avanti su tutti, per tutte e tutti.”

Lontano da lì, in un bunker, le sirene d’allarme ululano e la terra trema.

Sopra, il fratello John Berger, sorridente, ha disegnato una domanda con le nuvole, per quelli che guardano in alto: “E tu? Che fai?”

-*-

L’urgente e l’importante.

La storia che vi racconterò è un po’ triste. Lo è perché contiene le lacrime di una bambina zapatista. Nonostante questo, o proprio per questo, ve la racconto perché, sentendovi parlare, esporre, riflettere e cercare di rispondere e d’insegnare, ho immaginato quel che segue. Non so se lo avete fatto. Se no, ve lo raccomando, pensate a quel che segue.

Ho immaginato che ci trovassimo in un’altra epoca, nel futuro. Ecco:

Senza essere preceduta da una palla, era arrivata alla mia capanna “Difesa Zapatista”. Sul suo volto si vedeva che aveva pianto, e alcune lacrime le brillavano ancora sulle guance. “Difesa Zapatista” dice che le bambine non piangono, che è una cosa da uomini, che le donne sono forti. Quindi ho capito perché la bambina era venuta alla mia capanna, dove abitano solo fantasmi e silenzi. Qui è al sicuro, qui può piangere senza che nessuno, a parte me, la guardi. Qui può conservare la sua forza in un cassetto e lasciare che il sentimento le riempi lo sguardo e renda liquido il dolore.

Non ho detto niente. Ho fatto finta di non guardarla, come se stessi spazzando il pavimento dal tabacco e dai pezzi di carta accartocciata sparsi intorno al tavolo.

Alla fine, si è asciugata le lacrime dagli occhi con la bandana rossa, ha sospirato e si è schiarita la voce per dirmi:

“Hey Sup, sai cos’è un brutto sogno?”

Di per sé”, ho risposto, “i brutti sogni si chiamano pesadillas (incubi – n.d.t.)”.

Lei ha chiesto interessata, “e qual è il lavoro delle quesadillas, [tortillas ripiene di formaggio – n.d.t.] chi li ha fatte e perché? Sono molto feroci.”

“Si chiamano “pesadillas” (incubi), non “quesadillas”. Le quesadillas sono buone se hanno il formaggio. Le pesadillas (gli incubi) non sono buone. Ma perché me lo chiedi?”

“È che il sogno è stato molto forte e mi sono svegliata con e un dolore al ventre, come se non fosse pieno, e mi fa male”, ha detto.

“Dimmi, allora,” l’ho incoraggiata e mi sono acceso la pipa.

“Beh, pare che ho sognato che eravamo all’assemblea del villaggio, e che la situazione era una merda per colpa del cattivo sistema. E che molte persone stavano venendo a chiedere accesso al villaggio perché altrove non si può più vivere, quindi la gente viene perché noi come zapatisti ci prepariamo.

Ma stavano arrivando persone persino da altri paesi che non so nemmeno dove si trovino.

Allora il cibo non era abbastanza e la comunità doveva far produrre di più la terra, perché, come zapatisti, dobbiamo sostenerci tra i vari popoli del mondo, perché siamo, come si suol dire, compagni.

Quindi l’assemblea sta cercando di capire come si organizzerà per dare da mangiare a queste sorelle e a questi fratelli.

A volte succede che qualcuno dell’assemblea dica che bisogna cercare nuovi terreni per seminare.

Poi un altro dice che ha visto che, nel pascolo dove abbiamo giocato a calcio, è già fiorito il Petumax con i suoi fiori, sul bianco, no, piuttosto sul grigio, ma non, o forse no, credo color crema, o non so si chiami il colore.

E che ha visto che c’è anche i Chene´k Caribe, ed è vero perché io gioco con i suoi fiori come se fossero pulcini.

E ha visto anche il Sun che sembra un girasole, ma non lo è.

Allora il compagno ha detto che ciò significa che la terra del pascolo è buona, che si possono già seminare il mais e i fagioli.

Allora io mi sono preoccupata, come si dice, perché lì nel pascolo vive il cavallo color cioccolato, lì dove abbiamo giocato a calcio. Beh, non abbiamo proprio giocato perché non avevamo completato la squadra, ma abbiamo fatto pratica e ci siamo allenati duramente.

Poi l’autorità ha chiesto all’assemblea se fosse d’accordo che si seminasse nel pascolo e che diventasse quello il campo, o se qualcuno non era d’accordo doveva dirlo per vedere come fare.

Allora tutta l’assemblea è rimasta in silenzio e nessuno ha preso parola. E io voglio parlare per dire che non seminino nel pascolo, perché se no non potremo più giocare, o anche allenarci. Ma non so come dirlo, perché vedo che serve il cibo per sostenere gli altri, le sorelle e i fratelli.

E sono angosciata perché nessuno dice niente e non so come convincere l’assemblea, e vedo nello sguardo dell’autorità che deciderà che, se nessuno ha altro da dire, verrà approvato che si semini nel pascolo.

E io sono lì, che cerco un’idea che non riesco a trovare, e mi dà coraggio il fatto che non trovo le parole giuste e insieme al coraggio mi scendono le lacrime, ma non sto piangendo, è il coraggio di non sapere.

E proprio in quel momento mi sono svegliata e sono venuta qui di corsa. E lungo la strada mi sono fatta ancor più coraggio grazie a quel brutto sogno, accidenti a chi me lo ha mandato e a perché l’ha fatto”.

Mentre parlava, le espressioni del volto di “Difesa Zapatista” riproducono il dolore e la disperazione.

Io sono rimasto zitto, ma la bambina mi fissava in attesa che dicessi qualcosa.

Cosciente che “Difesa Zapatista” non era venuta semplicemente a chiacchierare, e neppure solo per sfogarsi, stavo cercando le parole giuste, perché avevo capito che la bambina non era venuta solo a nascondersi, ma anche a cercare risposte e io, che sono il subcomandante d’acciaio inossidabile, quello che, secondo il criterio di “Difesa Zapatista”, ha il grave difetto di essere uomo, ma nessuno è perfetto, e poi io lascio pure che il gatto-cane salga sul tetto e lo rovini, a volte ho biscotti da condividere (che, per Difesa Zapatista significa che lei e il suo piccolo animale si magnano tutti quelli che mi piacciono e pure quelli che non mi piacciono e mi lasciano solo il pacchetto vuoto), e racconto storie in cui lei e il suo gruppetto fanno cattiverie e ne escono trionfanti.

Insomma vi sto presentando, come si dice, il contesto, per farvi capire che la bambina in realtà non era venuta a raccontarmi un brutto sogno, ma a presentarmi un problema.

Visto che avevo guardato nel baule dei ricordi che il defunto SupMarcos mi ha lasciato in custodia, mi sono ricordato di aver visto qualcosa che sarebbe potuto servire. Ho fatto segno a “Difesa Zapatista” di aspettare, e ho cominciato a cercare e ho trovato quel che cercavo sotto i disegni che aveva fatto John Berger quando era stato qui al Cideci. Le pagine erano sbiadite, macchiate di tabacco e umidità, ma la scrittura maldestra del defunto era ancora leggibile.

Ho ricaricato la pipa e l’ho accesa. Ho letto quasi in silenzio, facendo solo alcuni gesti ed emettendo grugniti incomprensibili.

La bambina mi ha guardato, in sospeso, in attesa. Il gatto-cane aveva lasciato in pace il mouse del computer e, con le orecchie tese, aspettava.

Dopo aver fatto l’importante per alcuni minuti, ho detto,

“Ecco, nessun problema. Ho trovato la soluzione al tuo incubo. Pare che in questo scritto il defunto SupMarcos, che il dietto lo accolga nella sua gloria santa e che la verginella lo riempia di benedizioni, spieghi che gli incubi sono problemi e che possono essere alleviati se si risolve il problema dell’incubo.”

Dice quindi che i sogni sono le soluzioni degli incubi.

Che quel che bisogna fare è trovare la soluzione e così nascono i bei sogni.

Così ti risparmi un sacco di soldi tra psichiatri, psicologi, terapisti e antiacidi. Ok, forse questo non è il caso.

E, in quest’altro scritto, dice che il problema è solo quello di sapere cos’è urgente e cos’è importante.

L’urgente è quello che bisogna fare adesso e l’importante è, ad esempio, quello che sai che bisogna fare.

Ad esempio, nel caso del brutto sogno che mi hai raccontato, l’urgente è che i compas devono aumentare la produzione di cibo; e l’importante è che non si perdi il posto per giocare.

Si tratta quindi di un problema serio, perché se tiene il posto per giocare, allora non si semina e c’è la fame; e se si semina, allora non c’è più un posto per giocare. “

“Difesa Zapatista” annuiva convinta di quel che le stavo dicendo. E ho continuato:

“Allora, il defunto dice che questa si chiama “opzione esclusiva”, vale a dire che o fai una cosa e ne fai un’altra, ma non si possono fare entrambe. Il SupMarcos dice che è quasi sempre falso, cioè che non per forza si può fare solo una cosa o l’altra, ma che si può immaginare qualcosa di diverso. E fa l’esempio di popoli originari, cioè indigeni.

Dice: “Per esempio, i popoli originari, per secoli, fanno sempre entrambe le cose, l’urgente e l’importante. L’urgente è sopravvivere, cioè non morire, e l’importante è vivere. E lo risolvono con la resistenza e la ribellione, vale a dire che si rifiutano di morire e allo stesso tempo creano, con la ribellione, un altro modo di vivere. Dicono quindi che, nel limite del possibile, bisogna pensare di creare qualcosa di diverso. “

Ho abbandonato i fogli e mi sono rivolto a “Difesa Zapatista”:

“Quindi penso che quel che puoi fare per il problema del tuo brutto sogno, è spiegare all’assemblea quel che è urgente e quel che è importante.

Vale a dire che entrambe le parti hanno avuto una buona idea, ma che se ne scelgono una fottono l’altra.

Quindi spiega all’assemblea che non per forza dev’essere una cosa o l’altra, ma che bisogna pensare a qualcos’altro, a qualcosa di diverso che includa entrambe le cose.

Così non si risolve il problema dell’assemblea, e neppure il tuo, diventerebbe un altro problema.

E per il nuovo problema, dovete pensare entrambi, sia tu sia l’assemblea”.

Per tutto il tempo, la bambina era rimasta seduta, tranquilla, con il mento appoggiato sulla piccola mano, prestando attenzione.

A differenza del solito, anche il gatto-cane era rimasto tranquillo.

“Difesa Zapatista” è rimasta in silenzio, fissando il pavimento.

Non so molto di quello che succede nella mente di una bambina. Di un bambino sì, perché forse non sono maturato nonostante i chilometri trascorsi. Ma le bambine, anche se hanno già una certa età, rimangono un mistero che forse un giorno le scienze potranno risolvere.

Improvvisamente, “Difesa Zapatista” si è girata a guardare il Gatto-cane, e il suddetto, a sua volta, l’ha guardata.

Lo sguardo reciproco è durato solo pochi secondi, e il Gatto-cane ha cominciato a saltellare ad abbaiare e a miagolare. Il volto della bambina si è illuminato e ha quasi gridato:

“Sì, il Gatto-cane!” e ha iniziato a saltare e a ballare insieme al suddetto.

Io non solo ho fatto una faccia che esprimeva che non avessi capito nulla, è che non capivo proprio cosa stesse succedendo. Eppure, rassegnato, ho aspettato che “Difesa Zapatista” e il Gatto-cane si calmassero, cosa che non è successa per diversi minuti che mi sono sembrati eterni.

Per finire è smesso il borbottio e la bambina, ancora agitata, frenetica, mi ha spiegato:

“È il Gatto-cane, Sup! Devo portare il Gatto-cane nel mio brutto sogno e devo portarlo all’assemblea e lui mi aiuterà e diventerà un bel sogno.

Ecco la soluzione del problema, anche se non l’aveva studiata.

È il Gatto-cane, è sempre stato il Gatto-cane.”

Credo che la mia faccia da “What!” dev’essere stata molto evidente, perché “Difesa Zapatista” si è sentita in dovere di chiarire:

“Ti spiego, Sup: il Gatto-cane è per caso un gatto? Beh, no. È un cane? Neanche. Quindi non è né una cosa né l’altra, ma è qualcos’altro, è un gatto-cane. Se faccio vedere il Gatto-cane all’assemblea, vedranno chiaramente che bisogna fare qualcosa di diverso, che saranno entrambi reciprocamente felici.”

Non riuscivo a capire come l’assemblea sarebbe arrivata, per così dire, a quel “salto epistemologico”, o qualunque cosa sia il Gatto-cane, e la scelta tra il pascolo per giocare o quello per seminare. Ma sembra che per “Difesa Zapatista” non fosse un problema.

Il giorno successivo, di strada per il villaggio, sono passato dal pascolo. La notte cominciava a nascere dalla terra e in qualche modo continuava il rumore di quelli che graffiavano la parete. C’era ancora abbastanza luce, perché “Difesa Zapatista” era nel prato, insieme ad un gruppo in cui ho riconosciuto il vecchio cavallo color cioccolato che a volte accompagna il Gatto-cane, e Pedrito. C’erano anche due uomini, uno basso e l’altro alto, che non ho riconosciuto e ho immaginato che fossero della Sexta e che la bambina stesse cercando di integrarli alla sua squadra sempre incompleta.

La bambina mi ha visto da lontano e mi ha salutato con un cenno della mano. Ho ricambiato il saluto, accorgendomi che “Difesa Zapatista” aveva risolto il problema perché rideva e correva da una parte all’altra, facendo vedere al gruppo dove avrebbero dovuto piazzarsi con una forma che mi è sembrata la figura di una conchiglia.

Ho continuato per la mia strada, ricordando la fine di quel giorno di lacrime quando, ormai sorridente e con il viso illuminato, “Difesa Zapatista” mi ha salutato:

“Adesso vado, Sup, devo andare”.

“Cosa fai?” Chiesi.

Si stava allontanando quando ha gridato: “Vado a sognare”.

Mentre aspettavo che le compagne e i compagni si riunissero per il discorso che mi toccava, è arrivata la notte con i suoi passi e i suoi suoni.

Allora ho pensato che magari il defunto SupMarcos avrebbe voluto essere presente in quel sogno di “Difesa Zapatista” per sapere cosa avrebbe detto la bambina e quale sarebbe stata la decisione dell’assemblea.

O forse c’era. Perché, almeno da queste parti, i morti vanno da una parte all’altra. Con noi ridono e piangono, con noi lottano, con noi vivono.

Grazie mille.

Dal CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

SupGaleano

Messico, gennaio 2017

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/02/02/que-sigue-ii-lo-urgente-y-lo-importante/

Traduzione a cura di 20zln – https://20zln.noblogs.org/quel-che-segue-ii-lurgente-e-limportante/#more-1224

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Gloria Muñoz: 22 anni di occupazione.

Valtierra

Gli zapatisti denunciarono che l’8 febbraio 1995, in piena negoziazione col governo federale, Esteban Moctezuma Barragán, come rappresentante di Zedillo, inviò un messaggio al comando dell’EZLN fingendo un dialogo, quando in realtà si stava cercando di localizzare la dirigenza per catturarla, inferendo un colpo mortale all’organizzazione.

Los de Abajo

22 anni di occupazione

Gloria Muñoz Ramírez

“Questa volta ti è andata male, Esteban M. Guajardo. Guadalupe Tepeyac non era Chinameca. Più fortuna, più soldati e più cose da uomo per la prossima”, scrisse l’allora subcomandante Marcos all’allora segretario di Governo, Esteban Moctezuma Barragán. Era il 20 febbraio 1995, 11 giorni dopo il tradimento ai danni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) da parte del governo guidato da Ernesto Zedillo Ponce de León.

Gli zapatisti denunciarono che l’8 febbraio 1995, in piena negoziazione col governo federale, Esteban Moctezuma Barragán, come rappresentante di Zedillo, inviò un messaggio al comando dell’EZLN fingendo un dialogo, quando in realtà si stava cercando di localizzare la dirigenza per catturarla, inferendo un colpo mortale all’organizzazione.

Non riuscirono ad arrestare né Marcos né nessuno della Comandancia che riuscirono a sfuggire agli elicotteri che il governo federale inviò nella comunità tojolabal di Guadalupe Tepeyac, luogo dell’appuntamento col messaggero di Moctezuma. Ma entrarono migliaia di soldati che, da quel momento e fino ad oggi, si sono stanziati in centinaia di comunità ribelli che questo febbraio compiono 22 anni di sopravvivenza all’occupazione militare.

L’incursione castrense del 1995 espulse migliaia di tzeltal, tzotil, tojolabal, mam e chol sulle montagne, dove sopravvissero cibandosi di erbe ed arbusti. L’esercito distrusse abitazioni, bruciò case, fece a pezzi le condutture dell’acqua, fece falò dei vestiti e dei libri delle famiglie zapatiste. Si documentò la detenzione e tortura di decine di indigeni e gli abusi che si commisero contro di loro per il fatto di appartenere ad un’organizzazione con la quale si stava dialogando per raggiungere un accordo di pace.

I conti non si coniugano al passato, 22 anni dopo sono città militari quelle che abitano la Selva Lacandona, e la minaccia non finisce.

Questa settimana Andrés Manuel López Obrador ha nominato Moctezuma Barragán, ricordato come traditore dalle comunità indigene, responsabile per lo sviluppo sociale all’interno del Progetto di Nazione 2018-2024 del partito Morena.

Moctezuma ci ha messo 18 anni per cercare di sganciarsi dall’offensiva militare del 1995. In un articolo giornalistico, l’ex priista e uomo di fiducia dell’industriale Ricardo Salinas Pliego, disse che, “inspiegabilmente, il presidente Zedillo prese una serie di decisioni che rompevano totalmente l’accordo con Marcos, fino al punto di inviare l’Esercito per catturarlo con mandato di cattura alla mano”. Marcos, disse nell’intervista, “mi inviò un nuovo messaggio: ‘Ci vediamo all’inferno’ “..

Oggi ritorna per mano de López Obrador.

osylasdeabajo@yahoo.com.mx

http://www.jornada.unam.mx/2017/01/28/opinion/011o1pol

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A. Cegna: Dal Messico una proposta importante

cni

Dal Messico, una proposta importante

Andrea Cegna

“23 anni fa iniziammo il nostro sollevamento, il nostro percorso era escludente, non potevano partecipare tutte e tutti. Ora, il Congresso Nazionale Indigeno ci chiama a una lotta nella quale possiamo partecipare tutti, tutte, senza discriminazione di età, colore, altezza, razza, religione, lingua, salario, istruzione, forza fisica, cultura, preferenza sessuale. Chi vive, lotta e muore nelle campagne e nelle città ha ora un cammino di lotta in cui si può unire con altre e altri. La lotta a cui ci chiama e ci invita il Congresso Nazionale Indigeno è una lotta per la vita, nella libertà, nella giustizia, nella democrazia, nella dignità. Chi si permetterà di dire che è una lotta non giusta?”.

Subcomandante Insurgentes Moises – Oventik 1 Gennaio 2017

 

Una donna di sangue e cultura indigena si candiderà alle elezioni politiche, come indipendente, in Messico nel 2018.

Sarà la portavoce del Congresso Nazionale Indigeno, organizzazione politica che racchiude una quarantina di etnie indigene sulle oltre 60 che vivono nel paese.

La proposta nasce dalla mente delle donne e uomini di mais, del sud-est messicano, meglio conosciute e conosciuti come zapatisti e zapatiste. Ma occorre andare oltre alla proposta in sé, e alla sua punta di maggior visibilità, ovvero la candidatura di una donna indigena, per capirla davvero.

 

Attenti osservatori potrebbe rimanere spiazzati dalla notizia che l’EZLN, arrivato al 23esimo anno di sollevazione armata e dopo aver promosso dall’Agosto 2003 l’Autonomia rispetto al governo, possa aver proposto una direzione elettorale al CNI.

Osservatori ancora più attenti potranno ricercare nelle parole della formazione politica nata nel Novembre del 1984 come diretta emanazione delle Fuerzas de Liberación Nacional che non è mai stato scritto che si rifiutava l’opzione elettorale, semplicemente con forza e perseveranza è stato detto che i partiti politici messicani sono uno strumento del capitalismo e del neoliberismo e già da diversi anni il potere politico nazionale è fortemente subordinato (usando un eufemismo) ai poteri economici trans-nazionali. Lasciando libertà di scelta l’EZLN si è così sempre detto altro dai percorsi elettorali, pur giocando strumentalmente dentro e fuori le campagne elettorali. Così nel ’94 ha supportato Amado Avendaño Figueroa come candidato alla presidenza del Chiapas, oppure nel 2001 ha organizzato la marcia del colore della pelle alcuni mesi dopo l’entrata al potere del primo presidente della repubblica non del PRI, Vicente Fox, o come nel 2006 lanciò e organizzò l’altra campagna.

 

Ripartiamo proprio dal 2006: la otra campaña è stato il tentativo di organizzare la società messicana per creare un alternativa non tanto al potere partitico ma ai diversi poteri. Il tentativo di unire lotte, resistenze, pratiche e generare l’alba di una nuova società che avesse nell’autonomia zapatista un esempio. Scommessa in parte persa, anche se per il Messico l’esempio dell’autonomia ha creato percorsi interessanti: da esperienze di autogestione nelle grandi città, alla formazione dei gruppi di autodifesa, soprattutto in Michoacan. Ma la miccia non è esplosa. Negli ultimi anni è cresciuto, per qualità e quantità, il rapporto con il Congresso Nazionale Indigeno. L’idea di andare ad una candidatura indipendente può essere vista prima di tutto come il tentativo, attraverso la costruzione di un percorso su un obiettivo chiaro e materiale, di organizzare, legare, le comunità indigene in resistenza per andare a creare una rete capace di andare oltre al percorso elettorale. Siamo chiari ed onesti, in Messico esistono tante e plurime forme di resistenza locale. Per lo più legate al mondo indigeno. Ma a parte le grandi corporazioni legare al PRI, manca un soggetto politico nazionale. Organizzare la campagna elettorale, la raccolta delle 850mila firme (50 mila per 17 stati), definire il consiglio di governo indigeno che poi andrà ad eleggere la sua portavoce donna, hanno più lo scopo di costruirsi come soggetto politico che vincere le elezioni. Tanto che la donna indigena sarà solo la portavoce di un consiglio di governo. Il consiglio di governo è il grimaldello e punto d’osservazione centrale.

 

Sì, se si guarda oltre la provocazione della candidatura della donna indigena si può vedere una proposta politica radicale e potente che prende linfa e agisce sulle difficoltà organizzative delle resistenze del Messico, oltre che dalla conclamata inconcludenza dei precedenti tentativi di ampliare territorialmente la proposta zapatista.

Girando un po’ la testa quindi si può cogliere come “l’assurda proposta” fatta dall’EZLN al CNI sia invece una ponderata fase di un percorso ben più lungo, e che non fa esodo neppure per un secondo dall’idea di costruire altro al sistema capitalista nelle sue diramazioni. Osservando un po’ più in là dei pruriti bellicosi della forma secondo i quali è scandaloso rivolgersi al percorso elettorale si può vedere come lo strumento della candidatura indipendente dia per la prima volta in Messico la possibilità di organizzare un percorso alternativo a quello dei partiti, sfruttando la temporalità delle elezioni per testarsi su un piano organizzativo e anche potersi contare. Dare il protagonismo alle comunità indigene significa andare a cercare di unire e fortificare le forme di resistenza più radicali all’omologazione capitalista. Allo stesso tempo la proposta è ricevibile anche dai non indigeni, cioè quella parte di società messicana che è stata per anni al centro del dialogo costruttivo dell’EZLN.

 

Occorre ricordare come il CNI nasce nel 1996, e 20 anni dopo la sua formazione scende in campo con una proposta non difensiva ma offensiva. Fa suoi i sette principi fondanti dello zapatismo e conosciuti come “comandare obbedendo”: obbedire e non comandare, rappresentare e non sostituire, abbassarsi e non salire, servire e non servirsi, convincere e non vincere, costruire e non distruggere, proporre e non imporre. Propone una donna come portavoce del consiglio di governo indigeno. Donna e indigena nel Messico del 2017 è come dire l’ultima tra gli ultimi. Il sessismo è un male indescrivibile nel paese, tanto che i movimenti femministi stanno prendendo la scena della lotta per i diritti civili e sociali in gran parte del Messico. Indigena e spesso così messa da parte. Un parallelismo da noi potrebbe essere una migrante senza permesso di soggiorno indicata come futura prima ministra da un lista indipendente. Proposta ponderata, provocatoria, dirompente che oltre allo sguardo oltre la scadenza elettorale gioca una partita nel breve periodo, quella della voce altra rispetto ai megaprogetti (grandi opere diremmo noi) che rischiano, con oltre 400 proposte attive, di trasformare pesantemente il territorio non metropolitano andando così ad incedere sulle relazioni sociali, dell’alternativa alla “guerra al narcotraffico”, costata oltre 100.000 vite umane e 30.000 desaparecidos, è che chiaramente non è mai stata un vero scontro stato-narcos ma un’eccellente diversivo mediatico e pubblico per la creazione di una relazione di potere di continuità tra politica, malavita, e strutture statali. Chi ha pagato il conto sono giornalisti critici, attivisti sociali, difensori dei diritti civili e umanitari, e centinaia di innocenti. Tanto che lo spettacolo legato all’arresto, fuga, ri-arresto ed estradizione de El Chapo ha mostrato come in Messico nulla sia cambiato.

 

Gli USA di Trump che minacciano parti di economia del paese, la paura del crollo del pesos e della chiusura delle grandi fabbriche automobilistiche, e che rischiano di modificare velocemente il laboratorio neoliberale che il Messico è sempre stato per i vicini di casa. Il muro che Obama stava già costruendo, tanto che nel Machete già se ne parla, non spaventa quanto la trasformazione economica che potrebbe portare il nuovo volto della globalizzazione a stelle e strisce. Una nuova incognita sulla fragilità di uno stato svenduto pezzo per pezzo dai tanti governi e che ha trovato in Peña Nieto un capo di stato capace di aggredire e colpire quello che mai era stato toccato ovvero privatizzare il petrolio e modificare le leggi sul lavoro.

 

Morti, scontri e arresti servono a giustificare e coprire lo scambio d’interesse reale, governare con e sulla paura. Agitare lo spettro della crisi economica che il cambio di governo USA può portare è un nuovo segnale della volontà politica di sottostare ai diktat del neoliberalismo. Solo per questo una voce diversa fa paura. Anche solo una voce che può descrivere rapporti economici diversi spaventa. Anche solo perché un punto di vista differente può mostrare una realtà diversa da quella venduta come unica ed ineluttabile destabilizza. E forse per questo che tutte le formazioni politiche nel paese hanno fortemente criticato l’idea e la proposta. Forse proprio per questo essere altro e oltre trasforma una “proposta moderata” come il correre alle elezioni in una proposta possibilmente dirompente, anche se piena d’incognite e di rischi.

 

Una proposta che potrebbe creare un rapporto di forza assolutamente anomalo in un paese che ha fatto della rivolta la sua forma d’opposizione in assenza di organizzazioni di massa capaci di creare contropotere. Una proposta legata alla storia dell’EZLN, con uno sguardo alle FLN, e del Messico. Una proposta che non si può leggere con gli occhi distorti da altre esperienze latinoamericane. Nel Messico della violenza armata e della contiguità tra potere legale ed illegale l’alternativa agita dal CNI e dall’EZLN spaventa. Abbiamo già visto il 26 Settembre 2014 ad Iguala come il narcostato si occupa dei soggetti sociali che operano alternativa e opposizione sociale agli interessi economici, facendo sparire nel nulla 43 studenti della scuola normale Rurale Isido Burgos di Ayotzinapa, e uccidendone sei. Cosa succederà sarà l’incognita del futuro, forse proprio per questo il documento del CNI e dell’EZLN che lancia la candidatura si chiude così: “Per il recupero dei territori invasi o distrutti, per la riapparizione dei desaparecidos del paese, per la libertà di tutte e tutti i prigionieri politici, per la verità e la giustizia per i morti, per la dignità della campagna e della città. Non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo”. http://www.milanoinmovimento.com/mondinmovimento/dal-messico-una-proposta-importante

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SupMoisés . Quel che segue I: Prima e ora.

Moises 2016

Quel che segue I: Prima e ora

Subcomandante Insurgente Moisés

3 gennaio 2017

Buona notte a tutti e tutte. Anzitutto vogliamo dirvi che si farà tardi, perciò approfittatene per dormire o andarvene.

Bene, prima la compagna che ha parlato ha nominato il Vecchio Antonio, il nome stesso lo dice, Vecchio Antonio. Vale a dire che ormai è morto. I tempi cambiano.

Noi zapatiste e zapatisti vogliamo dirvi in verità, sul serio, che vogliamo imparare ciò che è la scienza per davvero, non ciò nel quale ha camminato il Vecchio Antonio, che è servito per quei tempi, il tempo passato che ora è cambiato perché la vita ora è diversa. E allora vi vogliamo raccontare come va con le compagne e i compagni che ora sono parte di commissioni di delegati, delegate, ciò che hanno affrontato, lungo tutto il tempo della loro lotta di resistenza e perciò il modo in cui hanno vissuto i loro papà, le loro mamme, e che se pure volessero applicarlo ormai non funziona. Come per esempio nella Selva Lacandona, quando seminano il mais, ormai sanno che se prima in 3 mesi c’era la pannocchia, ora la pannocchia spunta già prima. Negli Altos, dalle parti di Oventik, il caracol di Oventik, sapevano che in 6 mesi ci sarebbe stata la pannocchia, e ora in 5 mesi la pannocchia c’è già. Questo li mette in difficoltà perché prima sapevano quando seminare. Iniziano a farsi domande perché una volta conoscevano il vecchio metodo che utilizzava il Vecchio Antonio, certo che lo conoscevano, ma ora è cambiato. E com’è cambiato, e chi lo ha cambiato. Da lì nasce tutto questo. Perciò non stiamo inventando, come ha detto in questi giorni il Sup Galeano, perché il Vecchio Antonio sapeva quando era il tempo del freddo, e cercava la sua legna, il suo carbone, per essere preparato, ma ora non più.

Per cui abbiamo pensato chi ci avrebbe spiegato, e abbiamo sentito dire che ci sono scienziati, scienziate, e ci siamo chiesti che lavoro facciano: non sarà che ci possono aiutare? Perché dicono che sono coloro che studiano per poter spiegare, per poter capire, e poi per poter spiegare se qualcosa si può fare e che cosa. I nostri compagni e compagne hanno bisogno di queste cose, perché risulta che nel loro governarsi autonomamente durante 23 anni sono sorte molte necessità, altre necessità, e non si può procedere come faceva il Vecchio Antonio, che stava resistendo, sopravvivendo; ora, oggi, no: lo stanno costruendo i compagni e le compagne, e lo stanno mettendo in pratica. E al momento di mettere in pratica, iniziano a scoprire ciò che manca loro.

Per esempio, solo per farvi capire quel che vi sto dicendo, nessuna delle compagne basi d’appoggio di 33 anni fa, che sono entrate nella lotta, si è mai sognata che sua figlia o figlio avrebbe saputo usare un apparecchio a ultrasuoni. Ma intanto ora sua figlia lo utilizza, perché ci sono varie compagne, specialmente loro, perché vogliono vedere come sta il bebè durante il processo di crescita; perciò se ne occupano di più le compagne.

E vi racconterò la necessità, la mancanza, perché fu una mancanza e allo stesso tempo un errore, uno sbaglio, perché lo riconosciamo, perché le compagne, o un compagno, stanno riscattando la loro cultura buona, ma mettono da parte quel che è cattivo della loro cultura, no?

Dunque, ci sono promotori, o ci sono levatrici nei villaggi, e allora in un villaggio un compagno va dalla levatrice, e la levatrice controlla la sua compagna e dice loro: pare che siano gemelli, compagna. Così disse loro, e allora il compagno ne è molto contento, ma il compagno sa che nella clinica, nell’Ospedale Autonomo c’è l’apparecchio a ultrasuoni, e allora vuole assicurarsi se davvero sono gemelli, e allora vanno all’ospedale, fanno, diciamo, la fotografia, non so come si dice insomma, e il compagno parla prima alla compagna che sa usare l’apparecchio a ultrasuoni, e dice: la levatrice mi ha detto che pare siano gemelli, e allora io voglio sapere se è vero con la macchina che c’è, no? E allora controllano e fanno la foto, come ho detto, e allora la compagna dice: Sì, sono gemelli, e il compagno è ancora più contento. Bene.

A un certo punto, al momento in cui i gemelli dovevano nascere, se ne sono andati all’ospedale del governo perché la compagna non è potuta uscire in tempo per i troppi dolori, d’emergenza perciò sono andati in un ospedale del governo a Guadalupe Tepeyac, dove hanno pensato a loro e fatto il cesareo alla compagna. Fatto il cesareo, il compagno va a vedere i suoi due gemelli, no, e ne trova solo uno. Allora il compagno dice: no, è che io so che sono gemelli, e ha iniziato a litigare con il direttore o direttrice dell’ospedale. No, è che io so che sono gemelli. Me lo vogliono rubare.

Allora il direttore o direttrice dice: no, signore, no, zapatista, è solo uno. Ma perché stiamo qua a litigare, andiamo da tua moglie perché lei lo ha visto. E quindi il direttore o direttrice va dalla compagna, e il compagno pure, e le dice perché stai permettendo che i direttori dell’ospedale ci rubino i nostri figli? E la compagna dice: No, era soltanto uno.

Ma come? Se la compagna dell’apparecchio a ultrasuoni ci ha detto che sono gemelli di sicuro e pure la levatrice ci ha detto che sono gemelli di sicuro.

Stavano ormai per darsele, perché la compagna dice che è uno e il compagno dice che sono due perché così hanno detto la levatrice e la promotrice di salute e quelli dell’ospedale dicono loro che è uno e basta.

Arrivano al punto per cui bisogna tirare in mezzo la compagna che ha eseguito gli ultrasuoni nella clinica nell’ospedale zapatista. Arriva la compagna, e perciò ora si trovano quattro parti: il compagno, la compagna a cui hanno fatto il cesareo, e la compagna che ha fatto gli ultrasuoni, e i direttori dell’ospedale. E iniziano a discutere, e il dottore che l’ha seguita dice che dipende dalla maniera con cui hanno preso l’immagine agli ultrasuoni, e allora la compagna che aveva fatto il lavoro con gli ultrasuoni disse: in effetti l’abbiamo presa di lato. Allora il dottore dice: ecco com’è, è un riflesso per cui sembra ce ne siano due, perché la fotografia non è stata fatta come avrebbe dovuto, no? E a quel punto il compagno, il padre del bebè, inizia a comprendere che c’è stato un errore, uno sbaglio nel modo in cui si fa il lavoro da parte della promotrice zapatista, no?

Da ciò abbiamo dedotto che non possiamo dire no, questo è colpa del fottuto capitalismo, perché questa non è cosa del capitalismo, ma è della scienza che c’è stata mancanza, c’è stato un errore e non possiamo dire che non si sa, che lo hanno rubato quelli dell’ospedale perché è del malgoverno, non lo possiamo dire.

Riconosciamo che ci mancò qualcosa, che sbagliammo come zapatisti e non ha nulla a che vedere con l’essere autonomi, perché non per questo non possiamo sbagliare e non sbagliamo nella scienza.

E così ci sono molte altre cose, e il Vecchio Antonio non ha avuto l’opportunità di conoscerle perché ormai è morto, ma grazie al Vecchio Antonio che ha avuto resistenza, ribellione al fine di non essere ammazzati.

Per esempio, costui che vi sta parlando, che si chiama Moisés, questo Moisés è cambiato tre volte. Perché quel Moisés che stava nel suo villaggio, se avesse continuato a essere il Moisés del suo villaggio ora non starebbe parlando qui con voi, no? E come starebbe quel Moisés se fosse rimasto nel suo villaggio? Chissà. Neanche lui stesso lo sa.

Bene. Ma quel Moisés ormai è andato e quindi Moisés entra nell’organizzazione clandestina, e lì cambiò un’altra volta, ormai in clandestinità non è più lo stesso Moisés di quando stava nel suo villaggio. Poi Moisés esce allo scoperto; ha appreso, non ci ripetiamo ma ha appreso la scienza di quel che applicò nel ’94 e da qui a 23 anni dopo non è più lo stesso Moisés della clandestinità, ora è da 23 anni alla luce pubblica di ciò che ha fatto con le sue compagne e compagni, no?

E quindi il Moisés di ora, di oggi 3 gennaio 2017, vede ormai altre cose, questo Moisés, vede tante cose questo Moisés che non è più come vedeva prima, nei dieci anni di clandestinità, cambia, e insomma bisogna studiare scientificamente, con scienza, questo cambiamento che si è fatto, se è per fare qualcosa di buono per il popolo, per amare di più la vita insomma.

Ma allora, che faremo al renderci conto scientificamente che c’è una cosa che va male? Non vorremo limitarci a dire che è male e chiusa lì, no?

Ecco quel che succede ai nostri compagni e compagne, che si imbattono in queste necessità, hanno bisogno di questo, non per il bene di uno o una ma per migliaia e magari milioni che siamo qui in questo paese che si chiama Messico e forse può volare e andare in un altro mondo, no?

Perché oggi, 23 anni dopo, ci sono molte cose che i compagni stanno mettendo in pratica e si imbattono in questa necessità. Hanno bisogno di teoria e hanno bisogno di pratica. Noi indigeni andiamo molto sulla pratica, ovvero nella pratica ci convinciamo se ci fa sognare per ascoltare la teoria, perché altrimenti è puro bla bla bla, e allora inizia il sogno, ma se è nella pratica, i nostri occhi restano molto fissi perché stiamo vedendo come si fa, e se ci piace e capiamo che può risolvere molte necessità, allora sì che stiamo con gli occhi più svelti di quelli di un’aquila.

E quando andiamo sul pratico e vediamo che in effetti risolve le necessità, allora iniziamo a chiederci: e se lo faccio così cosa ne esce? E se lo faccio così cosa succederà? Non sarà che ci possono insegnare di più? Non sarà che ci possono spiegare meglio? Ed ecco che si ha bisogno della teoria, perché ci anima molto il fatto di aver visto che sta risolvendo delle necessità o dei problemi, da quando ci hanno mostrato la pratica.

Il problema che abbiamo è che a volte ci costa molto fornire la teoria, ma facciamo la pratica. Forse si può vedere questo, come immagine della pratica, per esempio, si può vedere quel che ora vi reciterò perché praticamente mi hanno obbligato i nostri compagni e compagne a tenerlo a mente, insomma.

Hanno il loro governo autonomo le donne e gli uomini, e ci sono lotte e lotte perché siano metà e metà: se la Giunta del Buon Governo sono 40 membri, 20 donne e 20 uomini; se sono 20 membri i Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti, 10 donne e 10 uomini, e così via. E allora fanno il loro lavoro con ciò che hanno capito dei 7 Principi del Comandare Obbedendo. Fanno propria, così, la parola Democrazia che è il fatto che il popolo è chi comanda e il governo chi obbedisce. Le proprie leggi, le discutono donne e uomini, hanno già l’educazione di come pensare ciò che devono apprendere i bambini e le bambine, o ciò che devono apprendere i promotori di educazione, a seconda delle necessità dei loro villaggi. Nel caso della primaria, o del primo livello come dicono in altri Caracol, i compagni e le compagne, insomma i papà e le mamme, dicono che ciò che vogliono è che i loro figli imparino bene a leggere, che sappiano scrivere come si scrive papino o mammina, eh. E da lì poi hanno visto che i giovani alla fine hanno imparato un fottio di roba. Allo stesso modo, come vi ho già detto, nell’area della salute, anche lì ci sono varie cose, cioè, nella salute autonoma ci sono varie aree di lavoro, ad esempio vanno avanti con le piante medicinali, lì hanno identificato varie necessità, perché loro vogliono sapere; dicono per esempio, quando la pianta è verde, o la buccia o la radice, quante sostanze ha? E quando si secca, si conserva o non si conserva, perde o non perde le sue sostanze? Ma ecco dove noi non ce la facciamo, perché ecco che c’è bisogno della scienza e dello studio in laboratorio, e molte altre cose così, insomma.

Hanno ormai le loro radio comunitarie, e magari si bruciano i pezzi dell’apparato, e vogliono sapere come si risolve, o altre comunità vogliono ascoltare, e che arrivi il segnale, e ciò che stanno producendo, emettendo, ma il segnale non arriva. E allora, chi parla in radio si chiede, non ci sarà un modo di dare più forza al segnale, perché arrivi più lontano? E tutto questo non lo avrebbero mai sognato i loro papà e le loro mamme, non lo avrebbe mai pensato Moisés quando stava in clandestinità. Le cose sono cambiate, e ora questi giovani, perché stiamo lavorando con i compagni, ci dicono c’è questo, c’è quest’altro, e quest’altro, e allora come fa Moisés a dirgli, come faccio a comandare? Statti zitto, vattene a lavorare, vai a vedere la tua milpa, vai a… no? Ma si capisce la necessità, perciò sto dicendo che Moisés non è lo stesso di quando era in clandestinità, ora che in questi 23 anni è stato con i villaggi e con il loro governo autonomo.

Ebbene, ciò di cui stiamo e stavamo parlando più di un anno fa, su ciò che è l’idra capitalista, il mostro, noi con i nostri compagni e compagne nei villaggi lo stiamo vedendo sul serio, come è iniziato a sorgere ciò che abbiamo menzionato, l’idra, e allora i compagni e le compagne dei villaggi dicono il modo con cui resisteremo, e cioè che dobbiamo avere alimenti e medicine per poter affrontare tutto ciò. Ed ecco dove iniziano a pensare seriamente su come fare con la terra che non dà più, e parlano del boro, del magnesio, dello zolfo, del molibato. molibaleno, o qualcosa del genere, o zinco, o il pH, ma sanno solo che ciò che dicono è per aiutare la terra, ma come faccio a saperlo solo prendendo un pezzo di terra lì, come faccio a sapere ciò di cui necessita? No? E allora i compagni si chiedono: senti, ma allora chi sono quelli che studiano questo, chi sono a dire questo? Ovvero, da varie parti inizia a venire fuori la necessità, la domanda di voler imparare, di come si fa ad aiutare la terra senza far danni, no?

Ecco, questo è ciò che cercano e di cui hanno bisogno, tra le altre cose, i compagni. Prima di ciò, prima che si sviluppassero di più tali necessità, c’erano altri compagni che vedevano venir fuori altre domande su come costruire l’autonomia, no? Per esempio, un gruppo di compagni vedono che si sta sprecando molta benzina per generare luce nel caracol, e iniziano a immaginare, allora: perché la benzina fa girare il motore e ciò fa sì che si produca la luce, l’energia? Allora, dicono, non si tratta che di una cosa, del fatto che il motore deve girare, e allora, dicono, se è così, perché non lo adattiamo, cerchiamo il modo di adattarlo, il motore? Con il torchio dell’acqua, cioè dove macerano la canna da zucchero, poi con un canale d’acqua e poi, ha le sue ruote con i suoi cassoni dove arriva l’acqua, e lo fa girare: allora troviamo un modo di adattare il motore, ossia il generatore. E lo hanno fatto, ma è stato troppo lento, e non sono potuti passare a quello perché non sono riusciti a moltiplicarlo, insomma, non so come si dice. Allora, dove sono quelli che hanno la scienza per farlo? Perché lì non c’è più bisogno di petrolio per fare benzina o per il gas, per gli oli, ma è la natura stessa ciò di cui si approfitta. E poi i pezzi del motore sono ferri, plastiche, e tutte queste cose.

Le compagne e i compagni hanno molta voglia di imparare nuove cose. Perché ora non è più come prima, come ai tempi del Vecchio Antonio, perché i giovani cercano chi insegni loro queste cose. Non si lasciano convincere se non ottengono una risposta convincente, non restano contenti, e peggio ancora se gli si dicono altre cose. Per esempio, quando è finita l’escuelita nel 2013-14, in un’Assemblea si fece una valutazione e allora venne fuori che alcuni alunni avevano detto, che bello che siete indigeni, che non bisogna mai perdere il fatto di essere indigeni, ma che ormai non sono veri indigeni, perché hanno le scarpe: toglietevi le scarpe, dovete toccare il suolo con la pelle, con il cuoio dei piedi, così continuerete a essere indigeni. In Assemblea dissero che chi aveva detto questo doveva essere chiamato, e quando è il tempo della pioggia, e c’è tanto fango che a volte sprofondano i piedi fino a 50 o 80 centimetri e non ti accorgi che c’è un vetro, o ci sono pietre affilate o stecchi, vediamo, come cammini lì? E poi dicono, noi lavoriamo in montagna, e dovremmo chiedere a chi ci lavora di togliersi i vestiti e lavorare nudo? Vediamo se gli sta bene.

Io ve lo sto raccontando perché ormai non si lasciano fare, ormai no, se capiscono bene quel che si dice e non gli risolve le necessità, semplicemente dicono: vediamo, fallo prima tu e io poi vedo.

Perciò tutto questo vuol dire, fratelli, compagni, compagne, sorelle, come già qui hanno detto, e state vedendo, che è un casino, e c’è molto lavoro. Per prima cosa, cosa bisogna fare, tra voi che studiate la scienza dello scientifico… cosa bisogna fare? E ancora di più ora, che le compagne e i compagni hanno domande a cui bisogna rispondere, ora sì, scientificamente. Vogliono imparare, cioè, vogliono la pratica, il lavoro, perché solo così i compagni e le compagne sentiranno che gli si sta insegnando nella pratica come possibilmente si potrebbero risolvere le necessità che si presentano, o ciò di cui si ha bisogno; nient’altro che questo, bisogna stare attenti che non sia un bugiardo inganno, perché non è questo che si vuole. Vogliono vedere i risultati di ciò che si dice, insomma.

Perciò, in base a ciò che stiamo ascoltando qui, anche se bisogna ancora terminare, vediamo e sentiamo che con questa pratica che stiamo facendo qui ora, ora sì che si capisce perché stiamo facendo un doppio sforzo, no? Perché, per esempio, ho ascoltato qui, che quando partecipate come scienziate, parlate tra di voi come scienziati. E poi, i partecipanti cercano di parlare con le e i delegati, ma voi là state ascoltando e magari vorreste dibattere su ciò che sta dicendo la partecipante o il partecipante, e allora abbiamo una necessità. E allora vediamo che forse conviene che facciamo un altro incontro come dice la compagna, stavolta da scienziati a scienziati, scienziate a scienziate, ossia che parliate, e vogliamo vedere come discutete, vogliamo sentire, in fin dei conti, come arrivate a un accordo come fanno le comunità. Nelle comunità, nei villaggi, si prendono, ma alla fin fine dicono, senti, lasciamoci stare perché ormai abbiamo un accordo, ecco ciò che fanno. E allora vogliamo apprendere, altrimenti quando mai apprenderemo a essere scientifici, scientifiche.

Della scienza, credo che sia qualcosa di scienza ciò di cui vi abbiamo parlato, perché qui c’è un piccolo nuovo sistema di governo che hanno i compagni, piccolino, ma ecco dove stanno applicandola, la scienza, i compagni, ed ecco cosa ci ha obbligato a questa cosa piccolina che stanno facendo i compagni e le compagne: se noi ci stiamo parlando ora, è grazie a questa scienza di governarsi da sé, dei compagni.

E allora, non so come la vedete voi, forse è troppo presto per dire se per dicembre faremo questo incontro, per vedere come fate il dibattito, e come tra voi esce un accordo su che fare e come farlo, se a parte, per collettivo o per individuo, secondo come fate, per trovare un accordo per farvi venire; andate nel Caracol, mettete lì vostro laboratorio, ma non chiedete il laboratorio a noi, che a parte l’ascia e il machete e il… non abbiamo un laboratorio, insomma, ma se lo portate voi è benvenuto. Sicuramente non mancherà il pozol, aspro, ma c’è, i fagioli o la verdura, e non mancheranno alunne e alunni; perché hanno voglia di imparare, e soprattutto la pratica, come vi ho detto.

E quindi ecco il problema che vi abbiamo presentato, cioè come si possono aiutare i compagni che hanno bisogno, non solo su questo, sulla medicina, sulla terra, ma su molte altre cose, che vedrete quando verrete, quando andrete insomma, nel Caracol, nei Caracoles, lì vedrete come si può fare questo e poi l’altro e l’altro ancora, lì lo vedrete, il fatto è che non sono un tecnico, non sono ingegnere, serve uno scienziato per le tante cose di cui hanno bisogno i compagni, insomma.

Perciò avete alcuni mesi per pensarci e mandarci le vostre parole, i vostri pensieri e i vostri piani perché si vedano i frutti di ciò che stiamo facendo, e che ci mettiamo d’accordo perché vediate se per dicembre può esserci l’incontro, tra di voi, e vediamo dove o magari chiediamo al compagno qui, il Doc, se farlo qui o come, insomma ci pensiamo. Ecco ciò di cui volevamo parlarvi, compagni, fratelli e sorelle. Molte grazie.

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/18/que-sigue-i-antes-y-ahora/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Video: https://youtu.be/LKKynuL-l_M

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SupGaleano: Alchimia Zapatista.

mujer

ALCHIMIA ZAPATISTA

2 gennaio 2017

Il valore della parola è qualcosa a cui teniamo molto. Quando ci riferiamo a qualcuno, non solo lo nominiamo, ma nominiamo anche il suo stare con noi.

Così diciamo “fratello”, “sorella”; ma quando diciamo “compagna”, “compagno” parliamo di un andare e venire, di qualcuno che non sta fuori, ma che, insieme a noi, guarda ed ascolta il mondo e lotta per lui.

Dico questo perché è qui, insieme a noi, il compagno zapatista Don Pablo González Casanova che, com’è evidente, è in sé stesso un municipio autonomo ribelle zapatista.

Poiché il compagno Pablo González Casanova è qui, tenterò di alzare il livello ed il rigore scientifico della mia esposizione, evitando giri di parole e doppi sensi (grandi o piccoli, fate attenzione).

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Alchimia. Prima che esauriate il vostro credito consultando in “Wikipedia” nei vostri cellulari e tablet cos’è “alchimia” e che mi inondiate con ogni tipo di definizione, vi dico subito che con questo ci riferiamo ad un precedente, al passaggio precedente (se è necessario o no, vedete voi) alla costituzione di una scienza come tale. O come diceva il defunto SupMarcos, “l’alchimia è una scienza malata, una scienza invasa dai parassiti della filosofia, del “sapere popolare”, e le evidenze che saturano il complesso mondo della comunicazione attuale”, come si può leggere in uno dei documenti che ha lasciato alla sua morte.

In quel testo, il defunto segnalava che l’alchimia non era necessariamente il precursore della scienza nel senso che “tutta la scienza era alchimia prima di essere scienza”, ma era una non-scienza che aspirava ad essere scienza. Dice anche che l’alchimia, a differenza delle pseudo scienze, non costruisce in base ad un misto di verità e conoscenze, con evidenze e luoghi comuni. La pseudo scienza, sostiene, non si avvicina alla scienza, ma si separa da essa e diventerà il suo nemico più feroce e con maggiore successo di diffusione in una situazione di crisi; non costituisce una spiegazione alternativa della realtà (come nel caso della religione), bensì un “ragionamento” che supplisce, invade e conquista il pensiero scientifico, battendolo nella battaglia più importante in una società mediatica: quella della popolarità.

La pseudo scienza non vuole né aspira all’argomento della fede, della speranza e della carità, ma offre una spiegazione con una struttura logica che “inganna” la ragione. Semplicemente: la pseudo scienza è una frode propria della ciarlataneria che abbonda nell’accademia.

L’alchimia, d’altra parte, aspira a liberarsi, a “curarsi”, a “purgare” i parassiti che sono gli elementi non-scientifici.

Benché reclami per sé il dubbioso diritto della maternità delle scienze, la filosofia, chiamata “la scienza delle scienze”, è, sempre seguendo il testo del defunto, uno di quei parassiti. “Forse il più pericoloso”, continua la buonanima, “perché si presenta alla scienza come la consolazione dell’affermazione-negazione del “non so” contro cui, presto o tardi, va a sbattere la scienza. L’affanno per il razionale, porta la scienza a supplire alla religione con la filosofia, quando arriva al limite”.

Per esempio, se non avesse la capacità di spiegare scientificamente perché piove, invece di ricorrere all’argomento che è dio che decide le precipitazioni, la scienza preferirà un ragionamento del tipo “la pioggia non è altro che una costruzione sociale, con apparenza teorico-empirica, intorno ad una percezione aleatoria che si presenta nel contesto di una continua conflagrazione tra l’essere e il non-essere; non è che se piove ti bagni, ma la tua percezione di “bagnarti” è parte fluttuante di una decolonizzazione universale”.

Sebbene tutto questo si possa riassumere in “è tipico della pioggia se cade o ti cade addosso”, la scienza abbraccerebbe quella strana spiegazione, tra le altre cose, perché la scienza crede che la sua capacità di spiegazione sta nel linguaggio, e non nel potere di rendere possibile la trasformazione della realtà. “Conoscere per trasformare” ci hanno detto qui qualche giorno fa. La filosofia concede volentieri alla scienza il suo certificato di legittimità: “sei scienza quando raggiungi una logica nel linguaggio, non quando puoi conoscere”.

Se andiamo oltre, per “l’alchimia zapatista”, la scienza non solo conosce la realtà e ne facilita così la trasformazione, ma anche la conoscenza scientifica “si fa strada” e definisce nuovi orizzonti. Cioè, per l’alchimia zapatista, la scienza soddisfa il suo compito arrivando continuamente al “manca quello che manca”.

Se nel pensiero filosofico e scientifico del secolo scorso le scienze “smontavano” le spiegazioni religiose offrendo una conoscenza accertabile, nella crisi a venire le pseudo scienze non affrontano la realtà con una spiegazione magica, ma “invadono” o “parassitano” le scienze, prima con l’obiettivo di “umanizzarle”, poi con lo scopo di soppiantarle.

Le filosofie diventano così, non più il tribunale che sanziona la scientificità secondo la struttura logica del linguaggio, bensì la spiegazione generica, naturista ed omeopatica, di fronte alla spiegazione di “patente” scientifica. Per farmi capire: per la filosofia postmoderna, le micro dosi sono l’arma migliore contro i grandi monopoli farmaceutici.

La popolarità delle pseudo scienze radica nel fatto che non è necessaria la formazione scientifica, basta nutrirsi degli inganni del linguaggio, supplire all’ignoranza con la pedanteria mal dissimulata, ed alle evidenze e luoghi comuni con l’elaborazione linguistica complessa.

Di fronte ad un’affermazione del tipo: “la legge della gravitazione universale afferma che la forza di attrazione che sperimentano due corpi dotati di massa, è direttamente proporzionale al prodotto delle loro masse ed inversamente proporzionale al quadrato della distanza che le separa”, la scienza ricorrerà all’osservazione e alla sperimentazione, mentre la filosofia analizzerà il ragionamento logico nel linguaggio.

Un altro esempio: un’asseverazione delle Neuroscienze, del tipo “una lesione nell’area 17 del lobo occipitale può causare cecità corticale o punti ciechi, a seconda dell’estensione della lesione”, può essere comprovata con una risonanza magnetica funzionale, con un elettroencefalogramma o tecnologie simili.

Per questo, chiaro, è stato necessario che la scienza progredisse fino a riuscire a studiare il cervello e spiegare le sue parti, ma è stato anche necessario lo sviluppo di altre scienze che hanno permesso la tecnologia per ottenere neuro-immagini funzionali.

Quando, su raccomandazione di una compa, ho letto quell’eccellente testo dal titolo “L’uomo che confuse sua moglie con un cappello”, del neurologo Oliver Sacks, ho pensato che Sacks era rimasto con la voglia di aprire la testa a quell’uomo per vedere che cosa passava nel suo cervello. Anche se io avrei preferito aprire la testa alla moglie per capire come aveva potuto sopportare che l’avessero confusa in quel modo e non avesse “sistemato” suo marito a suon di ceffoni.

Ora il progresso scientifico tecnologico renderà possibile studiare, per esempio, quello che succede nel cervello del Gatto-cane senza bisogno di aprirgli la testa.

Tuttavia, di fronte alla spiegazione scientifica del funzionamento del cervello, la pseudo scienza offrirà la propria spiegazione utilizzando un linguaggio apparentemente scientifico e ci dirà che i problemi che abbiamo si devono al fatto che non abbiamo sviluppato la capacità del funzionamento cerebrale. Così pullulano le teorie secondo le quali l’intelligenza si misura sulla percentuale di utilizzo del cervello. Una persona più intelligente è quella che usa una percentuale maggiore del cervello. Per esempio, Donald Trump ed Enrique Peña Nieto avrebbero in comune che usano lo 0,00001% del cervello, mentre Einstein diciamo che ne avrebbe usato il 30%. Il successo del film “Lucy” non è solo del botteghino e perché è di Luc Besson e c’è la mia ex, Scarlett Johansson, ma è perché mostra dei ciarlatani che offrono dei corsi affinché diventiate più intelligenti con “tecniche scientifiche” per approfittare al massimo della capacità cerebrale.

Così si è dimostrato fugace il successo della commercializzazione di prodotti contenenti feromoni per attirare il sesso opposto (“se lei, mio caro, non acchiappa neanche l’autobus, non è perché non si stacca dallo schermo della tv o del computer, ma perché non usa quel sapone profumato che, al primo utilizzo, vedrà come le saltano addosso come se fosse lo youtuber, tuitstar, o il meme di moda. Guardi, solo e soltanto per questa volta abbiamo questa offerta di 333 al prezzo di 2 ma solo se nei prossimi 15 minuti segna il numero che appare sullo schermo. Ricordi di avere a portata di mano il numero della sua carta di credito. Non ha la carta di credito? Mannaggia, per questo lei non becca neppure il raffreddore; no, amico, amica, non le serviranno neppure i feromoni. Meglio cambiare canale o mettersi a guardare video comici, di profezie di Nostradamus o cose simili che le diano materiale di conversazione nelle chat room di sua preferenza).

Ma in loro soccorso arriva la baggianata della “capacità cerebrale”, che sostituisce le lozioni ai feromoni con prodotti che sviluppano le capacità cognitive e tu, amica, amico, potresti essere una persona di successo ed imparare a pilotare e riparare navi interstellari su youtube.

Forse questo progetto, che non è né moderno né postmoderno, non sarebbe così appoggiato perfino da qualche scienziato@, se sapessero che uno dei suoi promotori è stato Dale Carniege, con il suo best seller di promozione personale – che data 1936 – dal titolo “Come conquistarsi gli amici ed avere influenza sulle persone”, il libro preferito di John M. Ackerman.

In sintesi, mentre gli scienziati tentano di confermare o scartare le loro ipotesi su come funziona il cervello, gli pseudo scienziati ti vendono corsi di ginnastica cerebrale e cose per lo stile.

E, in generale, mentre le scienze richiedono rigore, studio, teoria e pratica esaustive, le pseudo scienze offrono il sapere a portata di un click di quell’oscuro oggetto del desiderio del Gatto-cane: il mouse del computer.

Ovvero, la scienza non è facile, costa, esige, richiede, obbliga. È ovvio che non sia popolare neppure tra la comunità scientifica.

E poi la scienza non fa niente per sé stessa e finisce per spezzarti il cuore senza nessuna pietà. A me per esempio, è successo. Dovete essere forti e maturi per quello che vi dirò. Sedetevi, rilassatevi, mettetevi in armonia con l’universo e preparatevi a conoscere una cruda e crudele verità. Siete pronti? Bene, sembra che la moka o moca [dolce al caffè – n.d.t.] non esiste, non c’è una cosa come un albero di moka o un minerale di moka. La moca non è una creazione degli dei primordiali per alleviare la vita e la morte del SupMarcos. Non è il frutto proibito con cui il serpente, mascherato da venditrice di cosmetici ringiovanenti, ha ingannato quella maledetta Eva che, a sua volta, ha irretito il nobile Adamo ed ha fatto crollare tutto. Non è neppure il sacro graal, la pietra filosofale che muove la ricerca della conoscenza. No, risulta che… la moka è un ibrido o un miscuglio o qualcosa di così. Non mi ricordo di cosa con che cosa, perché, quando me l’hanno detto, mi sono depresso più di quando uno degli scienziati ha detto che il più brillante alchimista non era presente, e allora, lo confesso, mi sono dato al vizio e alla perdizione. Mi sono allontanato dalle distrazioni mondane ed allora ho capito il successo delle filosofie e delle pseudo scienze attualmente in voga. Per quale motivo vivere se la moka non è altro che una costruzione dell’immaginario sociale? Allora ho compreso meglio quel filosofo spontaneo che avrebbe avuto un grande successo sui social network e che rispondeva al nome di José Alfredo Jiménez. “Strade di Guanajuato” sarebbe stata la Kritik der reinen Vernunft che Kant non ha potuto elaborare.

Ma, nonostante ferite e cicatrici, i vostri interventi cominciano a produrre effetti:

Un ufficiale insurgente ha ascoltato l’intervento del Dr. Claudio Martínez Debat riguardo all’eredità genetica, ed ha concluso che è vero. “L’ho subito applicato ai popoli e sì, se un compa si comporta in un certo modo, è perché suo papà o anche sua mamma si comportano così. Per esempio, se il SubMoy ha un brutto carattere, è perché suo papà aveva un brutto carattere”.

“Ah”, gli ho detto, “allora il SubMoy si arrabbia con noi, non perché non svolgiamo i nostri compiti, ma perché suo papà aveva un brutto carattere?”.

La ricerca scientifica si è però subito interrotta perché in quel momento è arrivato il SubMoy a controllare se avevamo preparato le cose per andare ad Oventik. Ovvero, ci ha beccato in flagrante.

-*-

Questo è un incontro tra le e gli zapatisti e le scienze. Abbiamo aggiunto “con” a “scienze” non solo per il gioco di parole, ma anche perché l’aver accettato di incontrarci, va oltre il vostro ambito e potrebbe implicare anche una riflessione sul mondo, oltre alla spiegazione di quello di cui vi occupate nelle vostre rispettive specializzazioni.

Già nei nostri precedenti interventi, il Subcomandante Insurgente Moisés e chi dice e scrive questo, ci stiamo sforzando di fornirvi dei dati affinché vi facciate un’immagine (un profilo si direbbe ora), del tipo di zapatista che è interessato ad imparare da voi.

Proseguiamo nell’impegno perché, come abbiamo segnalato anche in un altro intervento, la nostra aspirazione è che questo incontro si ripeta, e si moltiplichi quantitativamente e qualitativamente.

Con i vostri interventi, voi ci date non solo alcuni segni della vostra conoscenza, ma anche del perché avete accettato il nostro invito e siete qui presenti, di persona o attraverso testi, audio e video.

Perché abbiamo bisogno della scienza, siamo qui insieme al SubMoy, a spiegare i nostri incantesimi, per convincervi che qui, con noi, potete e dovete fare scienza.

Per questo non vi parliamo di scienza, bensì di quello che siamo stati e siamo, di quello che vogliamo essere.

Facciamo quello che possiamo. Non possiamo offrirvi borse di studio, risorse, riconoscimenti che ingrossino il vostro curriculum vitae. Non possiamo nemmeno farvi avere, non diciamo un posto di lavoro, ma almeno qualche ora di lezione in cattedra.

Certo, potremmo tentare il ricatto di fare una faccia da “sono un povero zapatista che vive in montagna”.

O insinuare con voce suadente: “Tons qué mi plebeyoa, vámonos a Querétaro las manzanas, poninas dijo popochas, y pin pon papas, ya ve que dicen los científicos que ya no produzcan la producción porque el mundo está como vagón del metro a las 0730, y que ya no hagan productos, que mejor adopten; tons usted y yo vamos como quien dice a darles su surtido rico, de lengua y de maciza, para que tengan opciones, si sale varoncito le damos hasta que salga la niña, o al revés volteado, así hasta por pares, el asunto es que no importa ganar sino competir”.

O con un DM che inviti: “forza, decostruiamo gli abiti e contestualizziamo le nostre parti intime”.

O mandarvi un whatsapp che suggerisca: “tu, io, un acceleratore di particelle, non so, pensaci”.

Potremmo, anche se è sicuro che non avremmo successo.

Quello che pensiamo è di fare quello che stiamo dicendo: mostrarci come siamo e come siamo arrivati ad essere quello che siamo.

Perché non vi sentiate in imbarazzo nel sapere che siete non solo ascoltati, ma anche valutati (in chiusura di questo incontro, il giorno 4, ci sarà la valutazione dell’incontro da parte dei 200 incappucciati ed incappucciate, nostri compagni e compagne, basi di appoggio zapatiste), cerchiamo di fornirvi degli elementi affinché voi ci valutiate e possiate rispondervi alla complessa domanda se ritornerete, o archivierete questi giorni nella cartelletta “da non ripetere mai più”.

Questa valutazione sarà il nostro primo dissapore, e dovremo decidere se lo supereremo da persone mature ricorrendo ad una terapia di coppia, o se ci fermeremo lì.

In ogni caso, c’è da sperare che nel viaggio di ritorno ai vostri luoghi, vi diciate: “porca miseria, ed io che mi lamentavo del Conacyt e del suo Sistema Nazionale di Ricercatori”.

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Prima vi dicevo che una strada per conoscerci era domandare perché domandavamo quello che domandavamo, cosicché altre domande potrebbero essere “che cosa intendente o sperate dalla scienza e dagli scienziati?”.

Per noi, la scienza significa la conoscenza che non dipende da altri fattori. Attenzione, la scienza, non l’investigazione scientifica. Cioè, per esempio, la scienza esatta per antonomasia, la matematica o le matematiche. C’è una matematica capitalista ed una del basso e a sinistra? Faccio questo esempio estremo perché, a partire da scienze in fase di costituzione, o “giovani” come si dice, con i comprensibili errori e “inciampi” esplicativi, si generalizza e si dice “la scienza è colpevole di questo e quest’altro”. “La scienza è razzista, discrimina, non prende in considerazione il dramma personale e passionale dello scienziato”, e da qui, nell’apocalisse del gatto-cane, si trasforma nella “madre di tutte le disgrazie”.

Noi, zapatiste e zapatisti, non facciamo scienza, ma vogliamo impararla, studiarla, conoscerla, applicarla.

Conosciamo il corteggiamento delle pseudo scienze ed il loro percorso di ottimizzazione della povertà: il voler raggirarci dicendoci che le non-conoscenze che abbiamo sono, in realtà, “sapere“, dicono.

Tralasciando che invariabilmente questa posizione viene da chi non ha mai fatto scienza, cioè, non oltre gli esperimenti di laboratorio alle superiori.

Così ci dicono, e come esempio segnalano che noi sappiamo quando bisogna seminare. Certo che sappiamo quando bisogna seminare, identifichiamo certi “segnali” della natura e, per usi e costumi, sappiamo che bisogna piantare il seme.

Ma non sappiamo perché con quei segnali indicano l’inizio della semina, né quale sia la relazione tra quei segnali.

L’interesse della gioventù zapatista per la scienza (come nell’esempio dell’estafiate [artemisia – n.d.t.] di cui ci ha parlato il Subcomandante Insurgente Moisés alcuni giorni fa) trova eco e sostegno ormai tra adulti ed anziani, perché il cambiamento del clima ha reso i segnali confusi.

Succede che ora, col cambiamento climatico, i tempi di “secca” o di pioggia si sono alterati. Ora piove quando non deve, e non piove quando deve. Il freddo si fa più breve per durata e intensità. Animali che si suppone appartengano a determinate zone, cominciano ad apparire in altre che non hanno né vegetazione né clima simili.

Quando la pioggia tarda e la semina è in pericolo, nei villaggi usano lanciare dei petardi in cielo “affinché la nuvola si svegli”, o per far sapere a dio che è orami tempo di pioggia, cioè ricordare a dio il suo lavoro nel caso si sia distratto. Ma sembra che o dio è molto occupato, o non ascolta, o che non ha niente a che vedere con il prolungarsi della siccità.

Vedete dunque che non basta la conoscenza ancestrale, se si può definire conoscenza.

Così, quello che qualcuno chiama “il sapere ancestrale” degli indigeni, si scontra con un mondo che non capiscono che non conoscono e, invece di consolarsi negli eremi o nelle chiese, o ricorrere alla preghiera, le zapatiste, gli zapatisti, si rendono conto di avere bisogno della conoscenza scientifica, non per curiosità, ma per il bisogno di fare qualcosa di reale per trasformare la realtà o combatterla in condizioni migliori.

Per questo le generazioni che hanno preparato e realizzato la sollevazione, quelle che hanno sostenuto la resistenza con la ribellione, e quelle che sono cresciute nell’autonomia e mantengono la ribellione e la resistenza, cominciano a prendere coscienza di una necessità: la conoscenza scientifica.

-*-

Non sappiamo quanto la scienza sia sensibile all’opinione pubblica, alle reti sociali, all’imposizione di indirizzi o spiegazioni, non per pressione economica, il Potere, il sistema, ma per auto censura.

Non sappiamo se esisterà qualcosa che si possa chiamare “un’altra scienza”, e se questo corrisponderà al tribunale mediatico o sociale che giudica, condanna ed esegue la sentenza contro le scienze.

A chi corrisponde la costruzione dell’altra scienza, se c’è qualcosa che si chiami così?

Noi, zapatiste, zapatisti, pensiamo che corrisponda alla comunità scientifica. Ad essa, indipendentemente dalle vostre fobie e filiazioni, dalla vostra militanza politica o no. E pensiamo che dovete resistere e combattere i parassiti che vi minacciano, o che già sono in voi e vi debilitano.

Per questo, anche se non riusciremo a trovare la maniera di convincervi che anche il nostro è uno sforzo per la vita e che abbiamo bisogno di voi in questa determinazione, voi dovete andare avanti senza sosta, senza darvi tregua, senza fare concessioni, né a noi né a nessuno.

Dovete proseguire perché il vostro impegno è con la scienza, cioè, con la vita.

Molte grazie.

Dal CIDECI-Unitiera, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

SupGaleano.

Messico, gennaio 2017

 

Dea Quaderno di Appunti del Gatto-Cane.

Il 3di3 del Gatto-Cane

Non so se ancora si fa, ma circa 10-12 anni fa, si cantava-ballava lo ska. Ricordo vagamente che si organizzavano concerti per la banda ed in solidarietà con le varie lotte di popolo. Non so neanche se ancora si faccia tutto questo, ma in quei concertini, il ricavato, invece che soldi, la paga, i quattrini, la grana, era un chilo di riso, fagioli o zucchero che venivano poi mandati a quei movimenti. Alcuni di quei concerti erano in appoggio alla resistenza delle comunità zapatiste ed in quell’occasione, credo nel 2004, mi mandarono alcune videocassette dove si vedeva solo una nuvola di polvere in cui, vagamente, la banda saltava come se avesse le formiche nel culo al ritmo di “La Carencia”, che è quello che “Difesa Zapatista” ha trovato cercando in internet il significato della suddetta parola. Dissi al compa che non si vedeva un accidenti, e mi rispose che forse era colpa del mio computer, perché nel suo si vedeva, cito testualmente, “fico, amico, fico”.

Quindi risultò che il suo computer era di quelli ultramoderni, con cambio manuale, eliporto, bowling e minibar, mentre il mio aveva ancora il sistema operativo DOS, e che la cosa più moderna che leggeva erano i dischetti da 5¼ (che era come tentare di leggere la “Pietra del Sole” che si trova, o si trovava, nel Museo Nazionale di Antropologia, con l’aiuto disinteressato di IBM).

Durante una visita in queste montagne, il compa diede una controllata al mio computer portatile e sentenziò, cito testualmente: “no pos está cabreras, y pior que ni es el video original, ése quién sabe de quién es, éste el efectivo, el merengues mendez”, ed inserì un altro video preso al chiosco. E si è così potuto ascoltare il gruppo che aveva vari tipi di pupazzi di peluche. Se ancora questa musica si suona, si canta e si balla, devono essere morti di invidia quando hanno visto i pupazzi di Sherlock Holmes ed Einstein durante il primo incontro.

Bene, sembra che in quel periodo il defunto SupMarcos, con i musicanti che si chiamano “Pantheon Rococò”, registrò un cidi che si chiamava “3 volte 3”, anche se ignoro la causa, il motivo o la ragione di un simile titolo. Questo capita a proposito, perché è qui, forse, dove si può trovare il precedente di quello che chiamano il “3di3”. Ora che è ormai di dominio pubblico che il Congresso Nazionale Indigeno formerà un Consiglio Indigeno di Governo e presenterà la portavoce di detto Consiglio come candidata alla presidenza della repubblica messicana nel 2018, il Gatto-Cane si è sentito in obbligo di presentare la sua dichiarazione “3di3”, e nel caso ti addormentassi, per stare sul sicuro, è meglio che ti siedi altrimenti cadi. Vai:

1 di 3: L’intelligenza Artificiale contro l’Intelligenza Zapatista.

“Il sistema politico è stato hackerato”, recita il messaggio che lampeggia su tutti gli schermi del sistema di Intelligenza Artificiale della Società del Potere.

La Chat Room si apre. Quasi simultaneamente compaiono diversi “nickname”, alquanto ridicoli.

Inizia un chiacchiericcio confuso che cessa immediatamente quando appare il nickname “Bossy”.

Non è una riunione come un’altra. E non mi riferisco al fatto che nessuno sia presente di persona. Neppure appaiono gli avatar di rigore. Solo voci.

Ma ogni voce conosce il suo posto nella gerarchia. Meno parla, maggiore è il suo rango.

In quel mentre, una voce dice:

“Non credo che ci sia realmente da preoccuparsi. È chiaro che questo non farà altro che saturare ancora di più il centro. Un’opzione in più per chi crede di scegliere e decidere. Non lo vedo come un grande problema, bisogna lasciarli proseguire. E, poi, questa geografia è già definita da tempo. Suggerisco di passare ad un altro argomento…

Un’altra voce si inserisce e dal tono titubante si indovina il suo livello:

“Scusate. Credo che non dobbiamo sottovalutare quello che vogliono. Rendiamoci conto che non era nemmeno contemplato tra le migliaia di scenari previsti dai nostri sistemi. In realtà, non ce ne siamo accorti fino a che gli schermi non ci hanno avvisato.

Quando abbiamo lampeggiare “Warning. Il sistema politico è stato hackerato”, abbiamo pensato che fosse un’altra incursione degli hacker e che non ci sarebbe stato di che preoccuparsi. I firewall si sarebbero incaricati non solo di vanificare l’attacco, ma anche di contrattaccare con un virus che avrebbe riportato l’intruso alla comunicazione con i segnali di fumo. Invece no, il sistema non ha neppure avvertito della presenza di un virus o di un rischio di infiltrazione. Semplicemente ha segnalato che c’era qualcosa di cui non aveva neanche una definizione per classificarlo”.

Altra voce, stesso volume, uguale tono:

“Concordo. La proposta è troppo rischiosa, come se si accontentassero di disputare il centro. Stavo facendo i conti, e credo che mirino a chi neppure appare nelle nostre statistiche. Quella gente ci vuole distruggere”.

Varie voci si sollevano in mormorii. Gli schermi lampeggiano con testi in caratteri illeggibili per i non addetti.

Una voce esclama con autorità:

“Che cosa suggerite?”.

“Il vuoto”, ha detto un’altra voce, “che i media guardino da un’altra parte. E che la sinistra perbene li attacchi. Il razzismo non gli manca, e basterà qualche insinuazione ed andranno avanti per inerzia. L’abbiamo già fatto prima, quindi non ci saranno problemi”.

“Procedete” ha detto la voce con l’autorità e diversi schermi è lampeggiata la parola “Offline”.

Sono rimaste a chattare solo le voci più piccole:

“Bene”, ha detto una, “credo che dovremo combattere un’altra volta con sorprese non previste, come quella del 1994”.

“E tu che cosa faresti?”.

“Mmm… Ricordi la barzelletta di qualche anno fa che se volevi prepararti per il futuro dovevi imparare il cinese? Bene, io raccomanderei di cominciare a studiare lingue originarie. E tu?”.

“Potremmo tentare di trovare un ponte, qualche tipo di comunicazione”.

“Per quale motivo?”.

“Per negoziare condizioni dignitose in prigione. Perché non credo che quella gente possa concedere alcuna amnistia, né anticipata né a posteriori”.

“E tu che cosa suggerisci?”.

Una voce, fino a quel momento rimasta in silenzio, dice:

“Direi di imparare, ma credo che sia ormai troppo tardi per questo”.

“Ma ho un’ipotesi”, continua, “quello che è successo è che l’Intelligenza Artificiale che anima il nostro server centrale funziona con i dati coi quali lo alimentiamo. In base a questi, la IA prevede tutti gli scenari possibili, le loro conseguenze e le misure da prendere. È successo invece che quello che hanno fatto non stava in nessuno dei nostri scenari, la IA, come si dice, è andata in tilt e non ha saputo che cosa fare, ed ha attivato simultaneamente l’allarme anti hacker e antivirus e proposto la reazione allo scenario più a portata di mano, cioè, il SupMarcos come aspirante alla presidenza”.

Un’altra voce lo interrompe: “Ma, il Marcos non è morto?”.

“Sì”, risponde un altro, “ma fa lo stesso”.

“Cioè, ce l’hanno fatta ancora una volta, dannati zapatisti”.

“E non c’è rimedio?”.

“Non so voi, ma io ho già prenotato il volo per Miami”.

“Io guardo con timore quella massa di indios, non avrei mai pensato che avrebbero potuto arrivare a comandare”.

Quasi contemporaneamente, sui vari schermi lampeggia la stessa frase: “Standby mode”.

Le luci rosse restano accese. Le sirene di allarme suonano senza sosta, allarmate, isteriche.

Lontano da lì, alcune donne del colore che siamo della terra, spengono i loro computer, sconnettono il cavo del server, e sorridono parlottando in una lingua incomprensibile.

Sopraggiunge una bambina che chiede in spagnolo: “Mammine, ho finito il compito, possiamo andare a giocare? È che non abbiamo ancora completato la squadra, ma non preoccupatevi mammine, saremo in tanti, presto saremo sempre di più”.

Le donne escono correndo con la bambina. Corrono e ridono come se alla fine ci fosse un domani.

In fede.

Bau-Miao.

 

Nota: Alla domanda del perché la sua dichiarazione “3di3” avesse solo una parte e non le 3 come indica il suo nome, il Gatto-cane ha risposto grugnendo e facendo le fusa: “manca quello che manca”.

 

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/13/alquimia-zapatista/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Rebecca Rovoletto: L’EZLN e la Mariposa.

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L’EZLN e la Mariposa

Rebecca Rovoletto – 11 gennaio 2017

Dal V° Congresso Nazionale Indigeno (CNI), dopo due mesi di consultazioni dei popoli rappresentati – 45 consensi su 66 etnie, ma le consultazioni sono ancora in corso – è uscita la decisione di candidare una donna indigena alle prossime elezioni presidenziali del Messico del 2018.

Non entrerò, qui, nel merito dei perché e dei percome sociopolitici implicati in questa scelta, apparentemente lontana dalle nostre sclerotiche realtà. In questo esauriente blog https://chiapasbg.com/ si trovano tutti i comunicati, gli articoli e i commenti tradotti in italiano. Mi interessa la foto che la testata messicana Desinformémonos ha scelto per il testo del Sub Galeano del 20 ottobre 2016, quando l’Esecito Zapatista di Liberazione Nazionale ha presentato la proposta di questa candidatura. Un’immagine che mi ha sedotto prima ancora di capire la portata e il significato, poi reso esplicito dallo stesso EZLN, del nuovo passo del percorso dei popoli viventi del Chiapas. Ritrae una giovane donna zapatista che, durante il CompArte di Oventic della scorsa estate, interpreta la Fata Coscienza. Passamontagna e ali di farfalla.

Nella cultura messicana esiste una figurazione sincretica del pantheon indigeno: la Donna Farfalla. La Mariposa non è una figura graziosa e fragile. Ella è grossa, di fianchi e di natiche, “come l’immensa donna eroica di Diego Rivera, che costruì Città del Messico con una sola piega del polso”. È vecchia come un fiume. “È conveniente che la Donna Farfalla sia vecchia e grossa, perché porta il mondo del tuono in un seno e l’oltretomba nell’altro. La sua schiena è la curva del pianeta Terra con tutti i raccolti e i nutrimenti e gli animali. La nuca porta il sorgere del sole e il tramonto. La gamba sinistra trattiene tutti i poli, la gamba destra tutte le lupe del mondo. Il suo ventre porta tutti i bambini che saranno dati alla luce.”

Seminuda salta da un piede all’altro, danzando con bracciali di conchiglie e sonagli. E con la sua danza viene a dar forza ai deboli… “Son qui… Svegliatevi!”. La Mariposa rappresenta tutto ciò che molti pensano non essere forte: l’età, la farfalla, il femminile, il non-bello. È lo spirito impollinatore e fertilizzante che sposta le montagne. Viene a sovvertire l’idea erronea che la trasformazione sia ad opera dell’eccezionalmente forte. La sua massa di capelli grigi, lunghi fino a terra, la libera di ogni tabù e le dà il privilegio di poter toccare. Lei sola può toccare tutto e tutti, uomini e donne, bambine, vecchi e malati, persino i morti.

Ecco, si dirà che l’accostamento di un popolo ribelle col passamontagna ad un antico numen è un artificio, una forzatura. Che questa fotografia in bianco e nero è bella, ma casuale… Forse è così. Ma esistono sensibilità, individuazione di nessi e aperture di orizzonti. Esiste una piccola bambina a piedi nudi che si chiama Difesa Zapatista e gioca una partita al giorno. E una volta al giorno va a segno.

Se la forza dei deboli, degli ultimi, di quelli di sotto, di quelli del mondo del “non essere” è stata quella di mascherare i propri volti per rendersi visibili; se la loro forza è partita dalla richiesta delle donne di lottare senza armi, resistendo e costruendo; e si esprime in municipi autonomi, case di salute, scuole; se quella forza oggi candida una piccola indigena di sangue e di lingua, con lo scopo dichiarato di non competere con i candidati dei partiti istituzionali e non aspirare a raggiungere il potere; ebbene io vedo l’archetipo della Donna Farfalla, del femminile generativo pienamente all’opera.

Sono le comunità zapatiste che ci dicono “Eccoci, qui siamo… Sveglia!”. La loro parola sempre ci tocca, in molti punti e in modi sorprendenti. Il loro cammino spiraliforme è la danza della Mariposa, antica e irriverente, che ci distoglie dal nostro caracollare da papere.

Testo R.R. – Foto Noé Pineda

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Raul Zibechi: Il potere de abajo.

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Il potere de abajo

Raúl Zibechi  10 gennaio 2017

Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto grande importanza. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che potrebbe avere ripercussioni in tutta la società, come avvenne nel gennaio del 1994. Raúl Zibechi commenta con ottimismo la decisione presa dall’Ezln e dal Congresso Nazionale Indigeno dopo l’ampia consultazione e l’approvazione della proposta da parte di 43 diversi popoli. L’attenzione dei media “a pagamento” si è concentrata e si concentrerà sulla portavoce indigena che verrà candidata nelle elezioni messicane del 2018 ma la cultura politica che praticano gli zapatisti e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società, non hanno mai voluto governare gli altri. E non hanno alcuna intenzione di competere con i politici professionisti, perché – dicono – “non siamo la stessa cosa”

 

di Raúl Zibechi

Non era mai accaduto, in América Latina, che decine di popoli e nazioni indigene decidessero di dotarsi di un proprio governo. La recente decisione del quinto Congresso Nazionale Indigeno (CNI) di creare un Consiglio Indigeno di Governo che si propone di “governare questo paese” avrà profonde ripercussioni in Messico e nel mondo. La decisione è stata presa sulla base della consultazione e dell’approvazione di 43 popoli.

Come segnala il comunicato “¡Y retembló!“, siamo di fronte a decine di processi di trasformazione radicale, di resistenze e ribellioni che “costituiscono il potere del basso”, che ora si esprimerà nel Consiglio di Governo. Allo stesso modo, quell’organismo avrà come portavoce una donna indigena, che sarà una candidata indipendente nelle elezioni del 2018.

È il modo che i popoli hanno trovato perché “l’indignazione, la resistenza e la ribellione figurino nelle schede elettorali del 2018”. In questo modo, pensano di poter “scuotere la coscienza della nazione”, per “demolire il potere dell’alto e ricostituirci, non più solamente come popoli ma come paese”. L’obiettivo immediato è fermare la guerra, creare le condizioni per organizzarsi e superare in modo collettivo la paura che paralizza e provoca il genocidio (da parte di quelli) in alto.

Nella parte finale, il comunicato sottolinea che questa potrebbe essere forse “l’ultima opportunità, come popoli originari e come società messicana, di cambiare in modo pacifico e radicale le nostre stesse forme di governo, facendo sì che la dignità sia l’epicentro di un mondo nuovo”.

Fin qui, per grandi linee, la proposta e il percorso da seguire per renderla realtà. Guardando a distanza, chiama l’attenzione che le discussioni da ottobre in poi si siano centrate sulla questione della portavoce indigena come candidata nelle elezioni del 2018, lasciando da parte un tema fondamentale come (credo sia) la formazione del Consiglio Indigeno di Governo. È evidente che non si può comprendere la nuova cultura politica che incarnano il CNI e l’EZLN con i paraocchi della vecchia cultura centrata su discorsi mediatici e sulle elezioni come forma pressoché unica di fare politica.

Che i popoli indigeni del Messico decidano di creare un consiglio di governo sembra un fatto della più grande importanza. Si tratta di popoli e nazioni che non saranno più governati da altri che non loro stessi. Milioni di uomini e di donne stabiliscono il proprio autogoverno in modo coordinato, in un solo consiglio, che rappresenta tutti e tutte. È uno spartiacque per gli indigeni, che avrà ripercussioni in tutta la società, come le ebbe la sollevazione del primo gennaio del 1994.

E’ qui che conviene fare alcuni chiarimenti di fronte alle più disparate interpretazioni e, se mi sto sbagliando, anticipo le mie scuse. La cultura politica che praticano lo zapatismo e il CNI consiste nel promuovere l’autogoverno di tutti i settori della società: rurali e urbani, indigeni, contadini, operai, studenti, professionisti e tutti gli altri settori che si vogliono aggiungere. Mai hanno voluto governare gli altri, non vogliono soppiantare nessuno. Il “comandare obbedendo” è una forma di governo per tutti gli oppressi, che ciascuno sviluppa a modo suo.

Il comunicato chiarisce che gli zapatisti non vogliono competere con i politici professionisti, perché “non siamo la stessa cosa”. Nessuno di coloro che hanno conosciuto almeno un po’ lo zapatismo, lungo questi 23 anni, può immaginare che si mettano a contar voti, a inseguire incarichi nei governi municipali, statali o federali. Non si dedicheranno ad aggregare né a dividere le sigle elettorali, perché vanno per un’altra strada.

Foto: Mídia Coletiva

In tempi di guerra contro quelli in basso, credo che la domanda che si fanno il CNI e l’EZLN sia: come contribuire a far sì che i più diversi settori del paese si organizzino? Non è in discussione il fatto che siano loro a organizzarli, quel compito è di ciascuno di essi. Si tratta di capire come appoggiare, come creare le condizioni perché questo sia possibile. La candidatura indigena va in quella direzione, non come un “acchiappavoti”, bensì come possibilità di dialogo, perché altri e altre sappiano come hanno fatto.

La creazione del Consiglio Indigeno di Governo è la dimostrazione che è possibile autogovernarsi; se milioni di persone di popoli e nazioni possono, perché non dovrei poter io nella mia comunità, nel mio distretto, ovunque sia? Così come la sollevazione del 1994 ha moltiplicato le ribellioni, ha contribuito alla creazione del CNI e di molteplici organizzazioni sociali, politiche e culturali, così adesso può accadere qualcosa di simile. Niente è potente quanto l’esempio.

Quest’anno celebriamo il centenario della Rivoluzione d’Ottobre. L’ossessione dei bolscevichi e di Lenin, che trova conferma nel meraviglioso libro di John Reed I dieci giorni che sconvolsero il mondo, era che tutti si organizzassero in soviet, anche coloro che fino a quel momento li combattevano. Chiamavano perfino i cosacchi, nemici della rivoluzione, a creare i propri soviet e a inviare delegati al congresso di tutta la Russia. “La rivoluzione non si fa, ma si organizza”, diceva Lenin. Indipendentemente da quel che si pensi sul dirigente russo, quell’affermazione è il nucleo di qualsiasi lotta rivoluzionaria.

Il passare dall’indignazione e la rabbia all’organizzazione, solida e persistente, è la chiave di ogni processo di cambiamenti profondi e radicali. Di rabbia ce n’è anche troppa in quei momenti. Serve organizzarla. Potrà la campagna elettorale messicana del 2018 trasformarsi in un salto in avanti nell’organizzazione dei popoli? Nessuno può rispondere. Ma è un’opportunità che il potere del basso si esprima nelle forme più diverse, perfino in atti e schede elettorali, perché la forma non è l’essenziale.

Pensandoci bene, invece di accusare il CNI e l’EZLN di creare divisioni, i critici, che non sono pochi, potrebbero riconoscerne l’enorme flessibilità. Sono capaci di fare incursioni in terreni che finora non avevano calpestato e di farlo senza abbassare le bandiere, mantenendo in alto i principi e gli obiettivi. I mesi e gli anni a venire saranno decisivi per delineare il futuro delle oppresse e degli oppressi del mondo. È probabile che in pochi anni potremo valutare la formazione del Consiglio Indigeno di Governo come il cambiamento che stavamo aspettando.

 fonte: La Jornada

Traduzione per Comune-info: marco calabria – http://comune-info.net/2017/01/potere-de-abajo/

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CNI-EZL per la Machi.

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PRONUNCIAMENTO CONGUNTO DI CNI ED EZLN PER LA LIBERTÀ DELLA SORELLA MAPUCHE MACHI FRANCISCA LINCOLAO HUIRCAPAN

 Al popolo Mapuche:

Al Popolo Cileno:

Alla Sexta Internazionale:

Ai mezzi di comunicazione:

Popoli, nazioni e tribù che siamo il Congresso Nazionale Indigeno, inviamo un saluto fraterno e solidale a Machi Francisca Lincolao Huircapan, del popolo Mapuche, in Cile, in arresto dal 30 marzo 2016. Sappiamo che lo sciopero della fame della compagna Machi Francisca in resistenza, è per esigere la giustizia che il malgoverno cileno le ha negato, mantenendola sequestrata per il reato di perseguire nella difesa delle risorse naturali, dei luoghi sacri e dei diritti culturali del suo popolo, ed in attesa che la sua salute si deteriori tanto da compromettere la vita della compagna il cui stato di salute è estremamente delicato.

Denunciamo che mentre il governo cileno reprime la Machi Francisca, protegge sfacciatamente i capitalisti transnazionali ed i cacicchi come il latifondista Alejandro Taldriz, il suo disboscamento illegale e la corruzione dello stato che lo protegge.

Il Congresso Nazionale Indigeno e l’EZLN esigono:

  1. La liberazione immediata della compagna Machi Francisca Lincolao Huircapan
  2. La cessazione della repressione contro il degno popolo mapuche e la revoca della Ley Antiterrorista volta solo a criminalizzare la difesa del territorio dei popoli originari cileni e che ha solo scopo razzista e repressivo.
  3. Il rispetto assoluto del territorio Mapuche.

Gennaio 2017

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli.

Mai più un Messico senza di Noi.

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/06/pronunciamiento-conjunto-del-cni-y-el-ezln-por-la-libertad-de-la-hermana-mapuche-machi-francisca-lincolao-huircapan/

 

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EZLN in chiusura del V Congresso del CNI.

 

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Parole dell’EZLN in chiusura della Seconda Tappa del Quinto Congresso del CNI

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

PRIMO GENNAIO 2017

 

Sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno:

 

Compagne, compagni e compañeroas della SEXTA nazionale e internazionale:

 

Popoli del Messico e del mondo:

 

23 anni fa ci sollevammo in armi contro l’oblio.

L’indignazione e la disperazione ci obbligarono a prepararci a morire per vivere,

Per vivere nell’unica maniera per cui vale la pena vivere, in libertà, giustizia e democrazia.

Il popolo messicano ci vide e parlò con noi, ci disse che la nostra lotta e le nostre domande erano giuste, però che non erano d’accordo con la violenza.

Man mano vennero alla luce le condizioni inumane della nostra vita e della nostra morte, tutti concordavano che le cause della nostra insurrezione non si potevano mettere in discussione, nonostante la forma con cui si manifestò il nostro dissenso.

Ora le condizioni del popolo messicano nelle campagne e nelle città sono peggiori che 23 anni fa.

La povertà, la disperazione, la morte, la distruzione, non riguardano solo chi ha popolato originariamente queste terre.

Ora la disgrazia raggiunge tutte e tutti.

La crisi colpisce anche chi si credeva in salvo e pensava che l’incubo era solo per chi vive e muore in basso.

I governi vengono e vanno, di diversi colori e bandiere, e l’unica cosa che fanno è peggiorare le cose.

Con le loro politiche, l’unica cosa che fanno è far sì che la miseria, la distruzione e la morte arrivino a sempre più persone.

Ora le nostre sorelle e i nostri fratelli delle organizzazioni, dei quartieri, delle nazioni, delle tribù, e dei popoli originari, organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno, hanno deciso di gridare ¡YA BASTA!

Hanno deciso che non permetteranno che si continui a distruggere il nostro paese.

Hanno deciso di non lasciare che il popolo e la sua storia muoiano per la malattia che è il sistema capitalista.

Un sistema che, in tutto il mondo, sfrutta, saccheggia, reprime e disprezza gli esseri umani e la natura.

Il Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di lottare per proteggere le nostre terre e i nostri cieli.

E hanno deciso di farlo seguendo vie civili e pacifiche.

Le loro cause sono giuste, innegabili.

Chi criticherà ora il percorso che hanno scelto e il fatto che ci stanno coinvolgendo tutte, tutti, todoas?

Se non si rispetta, se non si saluta, se non si appoggia questa lotta e il cammino che continua, allora che messaggio darà la società? Quali vie lasceranno all’indignazione?

23 anni fa iniziammo il nostro sollevamento, il nostro percorso era escludente, non potevano partecipare tutte e tutti.

Ora, il Congresso Nazionale Indigeno ci chiama a una lotta nella quale possiamo partecipare tutti, tutte, senza discriminazione di età, colore, altezza, razza, religione, lingua, salario, istruzione, forza fisica, cultura, preferenza sessuale.

Chi vive, lotta e muore nelle campagne e nelle città ha ora un cammino di lotta in cui si può unire con altre e altri.

La lotta a cui ci chiama e ci invita il Congresso Nazionale Indigeno è una lotta per la vita, nella libertà, nella giustizia, nella democrazia, nella dignità.

Chi si permetterà di dire che è una lotta non giusta?

È ora che tutto il popolo lavoratore, insieme ai popoli originari, avvolti nella bandiera del Congresso Nazionale Indigeno, che è la bandiera dei popoli originari, si uniscano in questa lotta che è per chi non ha niente, a parte il dolore, la rabbia e la disperazione.

È l’ora dei popoli, di tutti, dalle campagne alle città.

Questo è quello che ci sta dicendo il Congresso Nazionale Indigeno.

Ci sta dicendo che non c’è più tempo per aspettare che altri e altre ci dicano cosa fare e come, che ci comandino, che ci dirigano, che ci ingannino con promesse e bugie sfacciate.

Ci stanno dicendo che ognuno dal suo posto, col suo modo, con i suoi tempi, comandi sé stesso, sé stessa; che gli stessi popoli governino sé stessi, che non ci siano più bugie, inganni, che non ci siano più politici che vedono il loro lavoro di governo solo come una ricchezza da rubare, tradire e vendere.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la verità e la giustizia.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la democrazia, che vuol dire che il popolo stesso governa.

Ci sta dicendo che bisogna lottare per la libertà.

Chi fa parte del Congresso Nazionale Indigeno è saggia e saggio.

È da secoli che stanno resistendo e lottando per la vita,

Conoscono la resistenza, conoscono la ribellione, conoscono la lotta, conoscono la vita.

Sanno chi è il responsabile delle sofferenze che attanagliano tutte e tutti, in ogni luogo e tempo.

Per questa lotta che oggi intraprende, attaccheranno il Congresso Nazionale Indigeno, lo calunnieranno, cercheranno di dividerlo, cercheranno di comprarlo.

Ci proveranno con tutti i media che si arrenderanno, che si venderanno, che si sottometteranno.

Ma non ce la faranno.

Sono più di 20 anni che ci conosciamo personalmente, e più di 500 anni che ci consociamo nella distruzione, nella morte, nel disprezzo, nel saccheggio, nello sfruttamento, nella storia.

La sua forza, la sua decisione, il suo impegno, non viene da loro stessi e loro stesse.

Viene dalle organizzazioni, dai quartieri, dalle tribù e dai popoli originari nei quali nacquero e si formarono.

Noi zapatiste, zapatisti, ci preparammo 10 anni per iniziare la nostra lotta un primo di gennaio di 23 anni fa.

Il Congresso Nazionale Indigeno si è preparato 20 anni per arrivare a questo giorno e per mostrarci una buona via.

Se ce la faremo o no, sarà una decisione di ognuno e ognuna.

Il Congresso Nazionale Indigeno parlerà con verità, ascolterà con attenzione.

La lotta del Congresso Nazionale Indigeno non è un gioco.

Ci hanno detto che andranno avanti perché tutto sia per tutte e tutti.

Ovvero che sono per:

Il rispetto dei diritti umani.

La libertà di tutte e tutti i prigionieri politici.

La giustizia per chi è stato assassinato.

Verità e giustizia per i 46 assenti di Ayotzinapa.

Sostegno ai contadini e il rispetto della madre terra.

Abitazioni dignitose per tutti quelli che stanno in basso.

Alimentazione sufficiente per tutti gli indifesi.

Lavoro dignitoso e un salario giusto per tutti i lavoratori nei campi e nelle città.

Salute completa e gratuita per tutti i lavoratori.

Educazione libera, gratuita, laica e scientifica.

Terra a chi la lavora.

Fabbriche agli operai e alle operaie.

Negozi e banche agli impiegati e alle impiegate.

Rispetto per il commercio ambulante, e per il piccolo e medio commercio.

Trasporti pubblici e commerciali agli autisti.

Campi ai contadini.

Città ai cittadini.

Territori ai popoli originari.

Per l’autonomia.

Per l’autogestione.

Per il rispetto di ogni forma di vita.

Per le arti e le scienze.

Per la libertà di pensiero, di parola, di creazione.

Per la libertà, la giustizia, la democrazia per il Messico che sta in basso.

A questo ci stanno invitando.

Ognuno deciderà se questa lotta è buona, se è buona l’idea, se risponderà o meno all’appello.

Noi come zapatisti rispondiamo: sì, siamo con voi; sì, siamo con il Congresso Nazionale Indigeno.

Cercheremo le forme per appoggiarli con tutta la nostra forza.

Li appoggeremo perché la lotta che proponete, sorelle e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, è forse l’ultima opportunità per non far sparire queste terre e questi cieli in mezzo alla distruzione e alla morte.

A loro diciamo soltanto:

Ascoltate il cuore, il dolore e la rabbia che c’è in ogni angolo di questo paese.

Camminate e che tremi nei suoi centri la terra con i vostri passi.

Che si stupiscano le terre messicane.

Che i cieli vi guardino con sorpresa e ammirazione.

Che i popoli del mondo, dalla vostra decisione e fermezza, imparino e prendano coraggio.

E soprattutto, non importa ciò che succederà, né chi avrete contro, non importa che vi attacchino in ogni modo. Non arrendetevi, non vendetevi, non cedete.

LIBERTÀ!

GIUSTIZIA!

DEMOCRAZIA!

Dalle montagne del Sud-est Messicano

A nome delle donne, degli uomini, dei bambini e anziani dell’EZLN.

Subcomandante Insorgente Moisés

Messico, gennaio 2017

Traduzione a cura di 20zln

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/03/palabras-del-ezln-en-la-clausura-de-la-segunda-etapa-del-quinto-congreso-del-cni/

 

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CNI e EZLN: Rapporto dall’epicentro.

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CNI e EZLN: E TREMÒ! RAPPORTO DALL’EPICENTRO…

Ai Popoli Originari del Messico

Alla Società Civile del Messico e del Mondo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai Media Liberi di Comunicazione

Fratelli, sorelle

È il momento dei popoli, di seminare e di ricostruirci. È il momento di passare all’offensiva e questo è l’accordo che disegniamo nei nostri occhi, negli individui, nelle comunità, nei villaggi, nel Congresso Nazionale Indigeno; è giunto il momento che sia la dignità a governare questo paese e questo mondo e che, al suo passaggio, fioriscano la democrazia, la libertà e la giustizia.

Segnaliamo che, durante la seconda fase del quinto CNI, abbiamo valutato con cura il risultato della consultazione di noi popoli, noi del Congresso Nazionale Indigeno, e che si è tenuta durante i mesi di ottobre, novembre e dicembre 2016, in cui con tutti i modi, le forme e le lingue che ci rappresentano nella geografia di questo paese, abbiamo emesso accordi tramite assemblee comunali, degli ejidos, dei collettivi, municipali, intercomunali e regionali, che ancora una volta ci portano a capire e ad assumere con dignità e ribellione la situazione che attraversa il nostro paese, e il nostro mondo.

Accogliamo con piacere i messaggi di sostegno, di speranza e di solidarietà che hanno rilasciato  intellettuali, collettivi e popoli che riflettono la speranza della nostra proposta che chiamiamo “Che Tremi nei Suoi Centri la Terra” e che abbiamo reso pubblica durante la prima fase del quinto CNI, accogliamo anche voci critiche, molte di queste con argomenti fondamentalmente razzisti, che riflettono sdegno furioso e disprezzo per pensare che una donna indigena pretenda, non solo, concorrere alle elezioni presidenziali, ma proponga un cambiamento reale, dal basso, a questo paese dolorante.

A tutti loro, diciamo che in effetti la terra ha tremato e noi con essa, e che abbiamo intenzione di squotere la coscienza della nazione, che in effetti vogliamo che l’indignazione, la resistenza e la ribellione appaiano sulle schede elettorali nel 2018, ma che non è nostra intenzione competere in nessun modo con i partiti e con l’intera classe politica che ci deve ancora molto; ogni morto, ogni desaparecido, ogni prigioniero, ogni saccheggio, ogni repressione e ogni disprezzo. Non fraintendeteci, non intendiamo competere con loro perché non siamo la stessa cosa, non siamo le loro parole bugiarde e perverse. Siamo la parola collettiva, dal basso e a sinistra, quella che scuote il mondo quando la terra trema con epicentri di autonomia, e che ci rendono così orgogliosamente diversi che:

  1. Mentre il paese è immerso nella paura e nel terrore che nasce da migliaia di morti e desaparecidos, nei municipi della montagna e della costa di Guerrero i nostri popoli hanno creato condizioni di vera sicurezza e giustizia; e a Santa María Ostula, Michoacán, il popolo Nahua si è unito ad altre comunità indigene per mantenere la sicurezza nelle mani dei villaggi, dove l’epicentro della resistenza è l’assemblea comunale di Ostula, garante dell’etica di un movimento che ha già permeato i comuni di Aquila, Coahuayana, Chinicuila e Coalcomán. Sull’altopiano Purépecha, la comunità di Cherán ha dimostrato che, organizzandosi, togliendo i politici dalla loro posizione di malgoverno e applicando i metodi di sicurezza e di governo propri, non solo si può costruire la giustizia, ma come pure in altre geografie del paese, solo dal basso e dalla ribellione si ricostruiscono nuovi patti sociali, autonomi e giusti, e non smettiamo né smetteremo di costruire dal basso la verità e la giustizia negata ai 43 studenti della scuola normale di Ayotzinapa, Guerrero, desaparecidos, ai 3 compagni studenti che sono stati uccisi e ai compagni feriti, tutti dal narco governo messicano e le sue forze repressive. Nel frattempo i malgoverni criminalizzano la lotta sociale, la resistenza e la ribellione, perseguitando, molestando, facendo scomparire, imprigionando e uccidendo gli uomini e le donne d’onore che lottano per giuste cause.
  2. Mentre la distruzione raggiunge tutti gli angoli del paese, e non conosce limiti, allontanando l’appartenenza alla terra e al sacro, il popolo Wixárika, insieme ai comitati in difesa della vita e dell’acqua dell’altopiano potosino, hanno dimostrato che si può difendere un territorio, il suo ambiente e gli equilibri basati sul riconoscersi con la natura, con una visione sacra che rinnova ogni giorno i legami ancestrali con la vita, la terra, il sole e gli antenati, ricoprendo 7 municipi nel territorio sacro e cerimoniale di Wirikuta a San Luis Potosí.
  3. Mentre i malgoverni deformano le politiche dello Stato in materia di istruzione, mettendola al servizio delle multinazionali capitaliste in modo che non sia più un diritto studiare, i popoli originari creano suole elementari, medie, licei e università con i propri sistemi educativi, basati sulla protezione della nostra madre terra, sulla difesa del territorio, sulla produzione, sulle scienze, sulle arti, sulle nostre lingue, e nonostante la maggior parte di questi processi crescano senza il sostegno di alcun livello di malgoverno, sono al servizio di tutte e tutti.
  4. I media a pagamento, portavoce di coloro che prostituiscono ogni parola che diffondono e ingannano mantenendo addormentati i popoli della campagna e della città, facendo passare come criminali coloro che pensano e difendono ciò che gli spetta e vengono descritti sempre come i cattivi, i vandali, i disadattati. Chi vive nell’ignoranza e nell’alienazione è socialmente “buono”, e chi opprime, reprime, sfrutta e saccheggia è sempre “buono”, sono quelli che meritano di essere rispettati e di governare per i propri vantaggi. E mentre accade tutto questo i popoli hanno costruito i propri media, escogitando vari modi per far sì che la coscienza non sia oscurata dalla menzogna imposta dai capitalisti, usandoli oltretutto per rafforzare l’organizzazione dal basso, da dove nasce ogni vera parola.
  5. Mentre la “democrazia” rappresentativa dei partiti politici è diventata una presa in giro della volontà popolare, dove i voti sono comprati e venduti come una mercanzia in più, la gente è manipolata dalla povertà in cui i capitalisti mantengono le società della campagna e delle città, i popoli originari continuano a prendersi cura e a rafforzare le forme di consenso e le assemblee come organi di governo in cui la voce di tutti e tutte fabbrica accordi profondamente democratici, che coprono intere regioni attraverso le assemblee che si svolgono sugli accordi di altre assemblee e queste, a loro volta, derivano dalla profonda volontà di ogni famiglia.
  6. Mentre i governi impongono le loro decisioni per il beneficio di pochi, soppiantando la volontà collettiva dei popoli, criminalizzando e reprimendo chi si oppone ai loro progetti mortali imposti sul sangue del nostro popolo come ad esempio il Nuovo Aeroporto di Città del Messico, facendo finta di consultare le popolazioni mentre impongono la morte. Noi popoli originari abbiamo modi e forme costanti di consultazione preventiva, libera e informata, grande o piccola che sia.
  7. Mentre con le loro riforme di privatizzazione, i malgoverni consegnano la sovranità energetica del paese agli interessi stranieri e gli alti costi della benzina tradiscono la menzogna capitalista che traccia solo percorsi per la disuguaglianza, la risposta ribelle dei popoli indigeni, e non, del Messico è che i potenti non possono nascondersi né tacere; noi popoli, affrontiamo e lottiamo per fermare la distruzione dei nostri territori dal fracking, dai parchi eolici, dall’estrazione mineraria, dai pozzi di petrolio, da condutture e oleodotti in stati come Veracruz, Sonora, Sinaloa, Baja California, Morelos, Oaxaca, Yucatán e tutto il territorio nazionale.
  8. Mentre i malgoverni impongono un’alimentazione tossica e transgenica a tutti i consumatori della campagna e delle città, i popoli Maya mantengono una lotta instancabile per fermare la semina di transgenici nella penisola dello Yucatán e in tutto il paese per preservare la ricchezza genetica ancestrale, che oltretutto significa la nostra vita e l’organizzazione collettiva e la base della nostra spiritualità.
  9. Mentre la classe politica non fa altro che distruggere e promettere, noi popoli per esistere abbiamo costruito, non per governare, l’autonomia e l’autodeterminazione.

Le nostre resistenze e ribellioni costituiscono il potere dal basso, non offrono promesse né idee, ma processi reali di trasformazione radicale ai quali partecipano tutte e tutti e che sono tangibili nelle diverse e vaste geografie indigene di questa nazione. È per questo che noi 43 popoli di questo paese, come Congresso Nazionale Indigeno, riuniti in questo quinto Congresso, CONCORDIAMO di nominare un Consiglio Indigeno di Governo con rappresentanti, uomini e donne, di ciascuno dei popoli, tribù e nazioni che lo compongono. E che questo consiglio si proponga di governare questo paese. E che avrà come portavoce una donna indigena del CNI, di sangue indigeno e che conosca la propria cultura. Vale a dire che avrà come portavoce una donna indigena del CNI che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico per le elezioni del 2018.

È per questo che il CNI, come Casa di Tutti i Popoli, rappresentiamo i principi che caratterizzano l’etica della nostra lotta che racchiude tutti i popoli originari di questo paese, quei principi su cui si basa il Consiglio Indigeno di Governo sono:

Obbedire e non comandare

Rappresentare e non soppiantare

Servire e non servirsi

Convincere e non vincere

Scendere e non salire

Proporre e non imporre

Costruire e non distruggere

È ciò che abbiamo inventato e reinventato, non per piacere, ma come unico modo che abbiamo per continuare ad esistere. Questi nuovi percorsi presi dalla memoria collettiva delle nostre forme di organizzazione sono il risultato della resistenza e della ribellione, per affrontare ogni giorno la guerra che non è mai finita ma che non è riuscita ad ucciderci. In queste forme non solo è stato possibile tracciare il cammino per la ricostruzione integrale dei villaggi, ma anche nuove forme di civiltà, speranze collettive che diventano comunitarie, comunali, regionali, statali e che stanno dando risposte precise a problemi reali del paese, lontano dalla classe politica e dalla sua corruzione.

Da questo quinto Congresso Nazionale Indigeno, invitiamo i popoli originari di questo paese, i collettivi della Sexta, i lavoratori e le lavoratrici, i fronti e i comitati in lotta dalla campagna e dalle città, la comunità studentesca, intellettuale, artistica e scientifica, la società civile non organizzata e tutte le persone di buon cuore a serrare i ranghi e passare all’offensiva, a smantellare il potere dall’alto e ricostituirci non più solo come popoli, ma come un paese, dal basso e a sinistra, a unirci in un’unica organizzazione in cui la dignità sia la nostra ultima parola e la nostra prima azione. Vi invitiamo a organizzarci e fermare questa guerra, a non avere paura di costruirci e seminare sulle rovine lasciate dal capitalismo.

Questo è quello che ci chiedono l’umanità e la nostra madre che è la terra, in questo troviamo che è il momento della dignità ribelle che concretizzeremo convocando un’assemblea costituente del Consiglio Indigeno di Governo per il Messico nel mese di maggio 2017 e, da questo momento in poi, lanceremo ponti ai compagni e alle compagne della società civile, dei media e dei popoli originari per far tremare nei suoi centri la terra, combattere la paura e riprendere ciò che è dell’umanità, della terra e dei popoli. Per il recupero dei territori invasi o distrutti, per la riapparizione dei desaparecidos del paese, per la libertà di tutte e tutti i prigionieri politici, per la verità e la giustizia per i morti, per la dignità della campagna e della città. Non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo.

Da Oventik, Territorio Zapatista, Chiapas, Messico

Mai più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

 

Traduzione a cura di #20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/02/y-retemblo-informe-desde-el-epicentro/

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Il Gatto-Cane e l’Apocalisse.

pupazzi

Il Gatto-Cane e l’Apocalisse

29 dicembre 2016

Fantascienza.

Ricordatevi questo: fantascienza. Vedrete che, nei vostri prossimi incubi, vi aiuterà a non spaventarvi molto, o almeno a non angustiarvi inutilmente.

Probabilmente ricorderete qualche film di fantascienza. Magari qualcuna, qualcuno di voi, è stato indirizzato dalla fantascienza verso il cammino della scienza scientifica.

Io no, magari perché il mio film di fantascienza preferito è “La nave dei mostri”, con l’indimenticabile Eulalio González, “el Piporro”, la cui colonna sonora è stata ingiustamente esclusa dai premi Oscar, dai Golden Globe, o dal rinomato e locale “Pozol de Barro”. Magari ne avete sentito parlare, è un cult, secondo una di queste riviste specializzate, che nessuno legge, nemmeno quelli che le pubblicano. Se ricordate il film e/o lo vedrete, di sicuro capirete perché finì perso nelle montagne del Sudest Messicano, e non disperso nell’asfissiante rete burocratica che, almeno in Messico, affoga la ricerca scientifica.

E celebrerete anche che sia stato questo il mio film di fantascienza di riferimento, e non “2001, Odissea nello spazio” di Kubrik, o “Alien, l’ottavo passeggero” di Ridley Scott (con la tenente Rippley che rompe lo stereotipo del maschio sopravvissuto di Charlton Heston nel “Il pianeta delle scimmie”), o “Blade Runer”, anch’esso di Ridley Scott, dove la domanda “Gli androidi sognano pecore elettroniche?”, è il punto nodale.

Quindi è il “Piporro” e il suo “Estrella del Desello”, e il robot Tor innamorato di un jukebox, che dovete ringraziare per il fatto che io non stia dalla vostra parte in questo incontro.

Alla fine, filie cinefile a parte, ipotizziamo un film più o meno del genere: un’apocalisse in corso o nel passato; l’umanità intera in pericolo; prima un audace ed intrepido maschio come protagonista; dopo, da parte del femminismo innocuo, una donna, anch’essa audace ed intrepida; un gruppo di scienziati sono convocati a un’istallazione super segreta (chiaro, inevitabilmente situata nell’Unione Americana) un militare di alto grado spiega loro: devono realizzare un piano che salvi l’umanità; si realizza, però risulta che hanno bisogno di un individuo o una individua che, tra parentesi, annulli il lavoro collettivo e, all’ultimo secondo, tagli, con una pinza che compare inesplicabilmente, il cavo verde o azzurro o bianco o nero o rosso con una decisione casuale, e zac, l’umanità è salva; il gruppo di scienziati applaudono e fanno un baccano d’inferno; il ragazzo o la ragazza incontrano il vero amore; il rispettabile pubblico esce dalla sala, mentre gli imbucati controllano le poltrone per vedere se qualcuno ha dimenticato qualcosa, ancora da finire, qualche scatola di popcorn, con questo delizioso e ineguagliabile sapore di benzoato di sodio.

La catastrofe ha varie origini: un meteorite ha cambiato rotta con la stessa costanza di un politico che fa dichiarazioni sul gasolinazo; o un tornado di squali; o un pianeta sviato dal suo percorso; o un sole irritato e che ha lanciato fuori dalla sua orbita una di queste lingue ignee; o una malattia proveniente dallo spazio o da una nave extraterrestre; o un’arma biologica fuori controllo che, convertita in gas inodore, trasmuta chi entra in contatto con essa e lo trasforma in politico professionale o in qualcos’altro non altrettanto terribile.

Questo, o l’apocalissi è già un fatto e un gruppo di sopravvissuti deambula senza speranza, introiettando la barbarie esterne nel suo comportamento individuale e collettivo, mentre l’umanità agonizza.

Il finale può variare, però la costante è il gruppo di scienziati, sia come responsabili della catastrofe, sia come speranza di salvezza, chiaro, se un ragazzo o ragazza bella appare al momento opportuno.

O lo svolgimento può fungere da interrogativo, o da modello “dark frustato” (José Alfredo Jiménez ci aveva già avvisato del fatto che “la vita non vale niente”).

Bene, prendiamo come esempio qualsiasi racconto, film o serie televisiva a tema apocalittico o catastrofico. Diciamo una con un tema alla moda: zombie.

Un esempio concreto, la serie televisiva “The Walking Dead”. Per chi non la conosce l’argomento è semplice: per qualche causa indefinita, le persone che muoiono si “trasformano” in zombie; il protagonista deambula, si scontra con un gruppo, stabiliscono un’organizzazione gerarchica in continua crisi, e cercano di sopravvivere. Il successo della serie potrebbe attribuirsi al fatto che mostra persone che in situazioni normali sono mediocri o paria, e si trasformano in eroine ed eroi disposti a tutto. Alcunei di loro:

Michonne, una casalinga annichilita dal marito e dai fratelli, trasformata in una temibile guerriera con katana (interpretata dall’attrice e drammaturga Danai Jekesal Gurira e, non è per farvi invidia, é l’unica della quale do il vero nome perché nel baule lasciato dal SupMarcos ho trovato una sua foto nei panni di Michonne, dedicata al defunto di suo pugno e autografata, ¡arrrrroz con leche!).

Daril, un paria manipolato, trasformato in un “tracker” balestriere temibile. Fino ad ora, il simbolo della renitenza, la resistenza e la ribellione.

Glenn, un fattorino che consegna pizza diventato esploratore famoso. Il mille usi e mille vite della serie, fino a che Rickman ritornò al comic.

Maggie, una giovane alla quale l’apocalisse zombie salva dalla via monotona della fattoria e la trasforma in leader anche se incinta.

Carol, una moglie maltrattata, trasfigurata nella versione femminile di Rambo, però intelligente.

Carl, un adolescente che, dietro una benda, nasconde la personalità di un serial killer, come ben dedusse Negan.

Eugene, il nerd che simbolizza la scienza e passa, da mitomane, ad utile per il collettivo.

Padre Gabriel, il religioso calcolatore e opportunista che si converte e diventa utile.

Tara y Aaron, la lesbica e il gay che assicurano che la trama sia politicamente corretta.

Rosita, il mio sogno umido preferito, la latina che mischia passione, abilità e coraggio.

Morgan, il sopravvissuto in stile monaco shaolin.

Sasha, la donna che muta dal ruolo classico romantico a quello della sopravvissuta realista.

E, nella parte alta della gerarchia, il malconcio simbolo dell’ordine, Rick, un ex agente che difficilmente può occultare le inclinazioni fasciste di qualsiasi poliziotto.

Non so a quale stagione siano arrivati. Dalla quinta smisi di vederla perché il películero che mi inviava le edizioni alternative fu colpito dalla giustizia, e chi sa dov’è (la qual cosa è un dispiacere, perché mi aveva promesso fino alla 10a stagione, anche se nemmeno Kirkman sa se ci sarà una decima stagione). Però, grazie a quello che sono riuscito a vedere, posso rendermi conto del motivo del suo successo.

Volendo, non è difficile seguire la trama, basta ricercare gli spoiler che si pubblicano su twitter nei rispettivi hashtags.

Alcune lune fa, chiesi ad una compagna che cosa sarebbe successo se Rick, o qualsiasi altro del gruppo, avesse saputo anticipatamente che sarebbe successo quello che successe. Scelgo il poliziotto perché sembra che sia l’unico che ha garantita la sopravvivenza, al meno nell’omonimo comic.

Rick si sarebbe preparato? Avrebbe costruito un bunker e accumulato al suo interno alimenti, medicine, combustibile, armi, munizioni, l’opera completa di George Romero?

O magari avrebbe cercato di fermare il disastro?

La compagna zapatista, alla fine, mi rispose con la stessa domanda: cosa pensavo che avrebbe fatto Rick Grimes?

Non dubitai nel risponderle: niente. Anche sapendo quello che sarebbe successo, né Rick né qualsiasi altro dei personaggi avrebbero fatto niente.

E questo per una semplice ragione: nonostante tutti gli indizi, avrebbero continuato a pensare, fino all’ultimo minuto, che non sarebbe successo niente di male, che non era così grave, che qualcuno in un dato momento avrebbe avuto la soluzione, che l’ordine si sarebbe ristabilito, che ci sarebbe stato a chi obbedire e a chi comandare, che, in ogni caso, la disgrazia avrebbe interessato altri, in altri posti, lontani per geografie o lontani per posizione sociale.

Penserebbero fino alla vigilia che la disgrazia è qualcosa destinato, non ad essi, esse, essie, ma a chi sopravvive in basso… e a sinistra.

Zombie a parte, nella maggioranza di queste narrazioni apocalittiche, ci sono uno o vari momenti nei quali qualcuno, invariabilmente il o la protagonista, quando tutti sono circondati da un’orda di zombie, o il meteorite è a poca distanza dalle loro teste, o una situazione limite simile, con serietà e compostezza dice: “Tutto andrà bene”.

E risulta che, in questo incontro, a me è toccato l’ingrato compito del guastafeste. Cosicché devo dirvi quello che stiamo vedendo: No, non è un film di fantascienza, bensì la realtà; e no, non tutto andrà bene, solo alcune poche cose andranno bene se prima non ci prepariamo.

Secondo le nostre analisi (e finora non abbiamo visto nessuno né niente che lo confuti, anzi, lo confermate), siamo già nel mezzo di una crisi che, in termini colloquiali significa, imperio della violenza criminale, catastrofi naturali, carestia e disoccupazione sfrenata, scarsità di servizi basilari, collasso energetico, migrazioni, fame, malattie, distruzione, morte, disperazione, angustia, terrore, disperazione.

In sintesi: disumanizzazione.

È in corso un crimine. Il più grande, brutale e crudele nella breve storia dell’umanità.

Il criminale è un sistema disposto a tutto: il capitalismo.

In termini apocalittici: è una lotta tra l’umanità ed il sistema, tra la vita e la morte.

La seconda opzione, quella della morte, non ve la raccomando.

Meglio che non moriate. Non vi conviene. Credetemi, io ne so qualcosa a riguardo perché sono morto varie volte.

È molto noioso. Visto che gli ingressi al paradiso ed all’inferno soffrono di una pesante burocrazia (anche se non tanto quanto quelle delle università e centri di ricerca), l’attesa è peggiore che in un aeroporto o in una stazione di autobus in dicembre.

L’inferno idem, devi organizzare incontri di arte, scienze esatte e naturali, di scienze sociali, di popoli originari, e cose ugualmente terribili. Ti obbligano a lavarti e pettinarti. Ti iniettano e ti forzano a mangiare zuppa di zucca tutto il tempo. Devi ascoltare Peña Nieto e Donald Trump in una conferenza stampa infinita.

Il paradiso, da parte sua, è uguale, solo che qui devi sorbirti il coro monotono di alcuni angeli scoloriti, e tutti la tirano per le lunghe se vuoi parlare con dio per lamentarti della musica.

Riassumendo: dite no alla morte e sì alla vita.

Però non ingannatevi.

Bisognerà lottare tutti i giorni, a tutte le ore e in ogni luogo.

In questa lotta, prima o poi, vi renderete conto del fatto che solo collettivamente avrete la possibilità di trionfare.

Ed anche così, vedrete che avrete bisogno anche delle arti, e che avrete bisogno anche di noi, e di altri, altre, altroe come noi.

Organizzatevi.

Come zapatisti che siamo non solo vi chiediamo che non abbandoniate il vostro lavoro scientifico, vi domandiamo di continuare in esso, di approfondirlo.

Continuate ad esplorare questo e altri mondi, non fermatevi, non disperate, non arrendetevi, non vendetevi, non claudicate.

Però vi chiediamo anche di cercare le arti. Anche se sembra il contrario, esse “chiariranno” il vostro fare scientifico in ciò che avete in comune: l’umanità.

Godete della danza in qualsiasi delle sue forme. Magari all’inizio non potrete evitare di classificare i movimenti secondo leggi fisiche, ma poi sentirete, punto.

Andate oltre la geometria, la teoria del colore e la neurologia, e godete della pittura e della scultura.

Resistete alla tentazione di trovare una logica scientifica a tale poesia, tale racconto e lasciate che le parole vi rivelino galassie che vivono solo nell’arte.

Arrendetevi di fronte alla mancanza di rigore scientifico nelle storie che nel teatro e nel cinema si affacciano sull’umano imperfetto, volubile e imprevedibile.

E così con tutte le arti.

Adesso immaginatevi che non è la vostra quotidianità, bensì queste arti quelle che sono in pericolo di estinzione.

Immaginate persone, non statistiche, uomini, donne, bambini, anziani, con un viso, una storia, una cultura, minacciata di annichilimento.

Vedetevi in questi specchi.

Comprendete che non si tratta di lottare per loro o al loro posto, bensì con esse.

Vedete voi stesse, voi stessi, come vi vediamo noi, zapatist@s.

La scienza non è il vostro limite, il vostro peso morto, il vostro inutile incarico, l’attività che dovete esercitare nella clandestinità o nascondendosi nei postriboli delle accademie e degli istituti.

Comprendete ora quello che noi abbiamo già compreso: che, come scienziate e scienziati, voi lottate por l’umanità, e cioè, per la vita.

-*-

Ieri ci spiegava il Subcomandante Moisés, che i popoli originari sono già, e lo sono da decenni, nostri maestri, nostri tutori. Che l’interesse per le scienze è nuovo per lo zapatismo. Che è stato stimolato dalle nuove generazioni, per le giovane e i giovani zapatisti che vogliono sapere di più e meglio come funziona e com’è fatto il mondo. Che dai popoli organizzati è arrivata la nuovissima spinta che ci ha portato a stare di fronte a voi.

Quello che forse non conoscete, è quello che vi racconterò di seguito:

Anche nel disporci per affrontare la morte, abbiamo fin dall’inizio avuto la preoccupazione per la vita.

Quelli che hanno qualche anno in più, o maggior interesse nonostante l’età, possono conoscere quello che è stato il sollevamento: la presa dei 7 capoluoghi municipali, i bombardamenti, gli scontri con le forze militari, la disperazione del governo nel vedere che non potevano sconfiggerci, l’insurrezione civile che lo ha obbligato a fermarsi, quello che è seguito in questi quasi 23 anni.

Quello che forse non conoscete, è quello che sto per raccontare:

Ci siamo preparati a uccidere e morire, questo lo ha già ricordato il Subcomandante Insurgente Moisés. Allora avevamo due opzioni di fronte: il paese si incendiava o si annichiliva. Immaginate la nostra sorpresa quando non è successa né l’una né l’altra cosa, però, questa è un’altra storia per la quale magari ci sarà occasione di parlare.

Due opzioni, però avevano entrambe come comune denominatore la morte e la distruzione. Anche se non ci credete, la prima cosa che abbiamo fatto è stata prepararci a vivere.

E non mi riferisco a quelli che hanno combattuto, a quelli la cui conoscenza di resistenza e materiali ci sono serviti per prendere vestiti e coperte durante i combattimenti e i bombardamenti, o alle competenze che hanno permesso a le insurgente di salute di salvare la vita di decine di zapatist@.

Parlo delle basi di appoggio zapatiste, quelle a cui, come ha spiegato l’altra sera il Subcomandante Insurgente Moisés, dobbiamo il cammino, il passo, la via e la destinazione come zaptisti@, così come dobbiamo loro l’interesse per le arti, le scienze, e lo sforzo per coinvolgerci insieme a lavoratori delle campagne e delle città, l’avamposto di lotta, di resistenza e ribellione che si chiama “Sexta”.

Pochi anni prima di quel primo gennaio apparentemente già lontano, nelle comunità zapatiste si sono formati i cosiddetti “battaglioni di riserva”.

La missione che venne affidata loro era la più importante del gigantesco operativo che portò al combattimento migliaia di combattent@: sopravvivere.

Nei mesi gli è stata data istruzione. Migliaia di bambini, bambine, donne, uomini e anziani si addestrarono per proteggersi dai proiettili e dalle bombe, per riunirsi e ripiegare in ordine in caso in cui l’esercito attaccasse o bombardasse i villaggi, per collocare scorte di cibo, acqua e medicine che gli permisero sopravvivere sulle montagne durante tanto tempo.

“Non morire” era l’unico ordine che dovevano rispettare.

Quello che avevamo noi, che uscimmo a combattere, era: “Non arrendersi, non vendersi, non rinunciare”.

Quando tornammo sulle montagne e ci ricongiungemmo con le nostre popolazioni, unimmo i due ordini e li convertimmo in uno solo: “lottare per costruire la nostra libertà”.

E ci mettemmo d’accordo per farlo con tutte, con tutti, con tuttie.

E ricordiamo che, se non era possibile farlo in questo mondo, allora avremmo avuto un altro mondo, uno più grande, migliore, un mondo dove ci sia spazio per tutti i mondi possibili, quello che c’è e che ancora non avevamo immaginato ma che già esiste nelle arti e nelle scienze.

Molte Grazie.

Da CIDECI-Università della Terra

SupGaleano

Messico, dicembre 2016

 

Dal quaderno di Appunti del Gatto-Cane

La Carenza”

Stavo nella mia baracca, rivedendo e analizzando alcuni video delle giocate di Maradona e di Messi.

“Come se fosse una premonizione, arrivò rotolando un pallone fino a dentro. Dietro di esso arrivò “Difesa Zapatista”, entrando senza avvisare né chiedere il permesso. Dietro della bambina, entrò il già menzionato gatto-cane.

“Difesa Zapatista” prese il pallone e si avvicinò a guardare da sopra la mia schiena. Io ero troppo occupato cercando di evitare che il gatto-cane si mangiasse il mouse del computer, così non mi resi conto che la bambina stava guardando con interesse i video.

Ehi Sup”, mi disse, “tu pensi che siano super bravi Maradona e Messi?”

Io non risposi. Per esperienza so che le domande di Difesa Zapatista o sono retoriche, o non le interessa sapere cosa le rispondo.

Lei continuò:

Però non lo stai vedendo dal lato giusto”, disse, “per quanto riguarda l’arte e la scienza, i due hanno una grande carenza”.

Si, disse così: “carenza”. Io allora la interruppi e le domandai. “E tu da dove l’hai tirata fuori questa parola o dove l’hai imparata?”.

Mi rispose indignata: “me l’ha detta il Pedrito, il maledetto. Mi ha detto che non potrei giocare a calcio perché le bambine hanno una carenza di tecnica”.

Io mi infuriai e gli diedi uno schiaffo, perché non sapevo che cosa significa questa parola e chi lo sapeva se era una parolaccia. Chiaro, quel gran maledetto di Pedrito mi accusò con la promotrice dell’educazione e mi chiamarono. Io le spiegai alla maestra come chi parla della situazione nazionale e internazionale, di questa stronza della Idra e tutto il resto. E siccome la promotrice comprese che dobbiamo appoggiarci in quanto donne, non mi sgridarono, però mi misero a cercare che cosa significa la parola “carenza”. E io allora ho pensato che era meglio questo castigo che se mi avessero mandato a mangiare zuppa di zucca”.

Annuii comprensivo, mentre cercavo di rimuovere il mouse dalla bocca del gatto-cane.

“infine sono andata a cercare sull’internet della Giunta di Buon Governo cos’è la ” carenza” e ho visto che è una canzone di musicisti di lotta, che è bella allegra e che tutti si mettono a ballare e saltare come dove ci sono le formiche operaie. Sono quindi andata con la promotrice dell’educazione e le ho detto che “carenza” è una canzone che dice: “Al mattino mi alzo, non ho voglia di andare a studiare”. La promotrice si è messa a ridere e ha detto “sarà a lavorare”. Le ho quindi detto che le canzoni sono secondo i gusti di ognuno e in base ai problemi che hanno. Vale a dire che le ho dato la spiegazione politica, ma credo che lei non l’abbia capita, perché si limitava a ridere. E poi mi hanno mandato indietro, non importa la canzone, devo sapere cosa vuol dire la parola. Allora andiamo, torno e devo aspettare che chi fa la guardia alla Giunta mandi una denuncia, e sono quindi potuta entrare e vedere che la “carenza” significa che ti manca qualcosa. E sono tornata a fare un altro giro con la promotrice e gliel’ho detto, allora lei mi ha risposto che mi sono resa conto che non è maleducazione e si congratulò con me, ma visto che c’era il Pedrito ficcanaso, gli ho dato un altro schiaffo, perché mi diceva che mi manca la tecnica. E poi la promotrice ha detto che avrebbe detto alle mie mamme che sto facendo così, quindi sono venuta a nascondermi qui, perché so che nessuno viene a trovarti.”

Con eroismo ho sferrato il colpo e sono riuscito a strappare il mouse al gatto-cane.

“Difesa Zapatista” ha continuato con la sua perorazione:

“Ma non ti preoccupare Sup, prima di entrare ho sbirciato per vedere se non stavi guardando foto di donne nude perché, è da non credere Sup, come puoi pretendere che non ti accusi con il collettivo “Come donne che siamo”? Ma ovviamente ti dico che fare così non serve a niente, perché questo significa che soffri una carenza di madri, vale a dire che, come dice il SupMoy quando si arrabbia, sei senza madre.”

Chiarisco qui che non è vero quel che dice “Difesa Zapatista”, è che stavo facendo un corso di anatomia per corrispondenza.

In ogni caso, prima che la bambina continuasse a espormi, le ho chiesto perché aveva detto che Maradona e Messi avevano una grande carenza.

Lei era già quasi sulla soglia della porta, quando mi ha risposto:

“Perché gli manca qualcosa, la cosa più importante: essere donne”.

-*-

“Un Viaggio Interstellare”

  Tra il mucchio di carte e disegni che ha lasciato il defunto SupMarcos, ho trovato questo che vi leggo qui di seguito. Sono una sorta di bozza o appunti per un copione, o qualcosa del genere, di un presunto film di fantascienza. Si chiama:

“Verso dove è rivolto lo Sguardo?”

Pianeta Terra. Un anno lontano nel futuro, diciamo 2024. Tra le nuove mete turistiche, ora si può viaggiare nello spazio e fare il giro del mondo in un satellite costruito “ad hoc” per questo scopo. La navicella spaziale è una replica in scala del satellite lunare, con un grande finestrino che dà sulla Terra durante tutto il viaggio. Sul lato opposto, cioè sulla parte posteriore, c’è una specie di lucernario, della dimensione di una finestra di casa, che dà sempre sul resto della galassia. I turisti, di tutti i colori e nazionalità, si accalcano sulla finestra rivolta verso il pianeta d’origine. Fanno selfie e trasmettono in streaming a parenti e amici le immagini del mondo, “blu come un’arancia”. Ma non tutti i viaggiatori sono da quel lato. Almeno quattro persone stanno di fronte al finestrino opposto. Si sono dimenticati le loro rispettive macchine fotografiche e guardano estasiati il collage screziato di corpi celesti: la linea serpentina di luce polverosa della Via Lattea, il brillante lampo di stelle che potrebbero non esistere più, la danza frenetica degli astri e dei pianeti.

Una delle persone è un artista; non è immobile, nel suo cervello immagina note e ritmi, linee e colori, movimenti, sequenze, parole, rappresentazioni inerti o mobili; le sue mani e le sue dita si muovono involontariamente, le sue labbra balbettano parole e suoni incomprensibili, chiude e apre gli occhi continuamente. Le arti guardano quello che guardano e guardano ciò che può essere guardato.

Un’altra persona è uno scienziato; nulla del suo corpo si muove, guarda in modo fisso, non le luci e i colori vicini, ma i più lontani; nel suo cervello immagina galassie impensate, mondi inerti e pieni di vita, stelle nascenti, buchi neri insaziabili, navicelle spaziali interplanetarie senza bandiere. Le scienze guardano quello che guardano e guardano ciò che può essere guardato.

La terza persona è indigena, di piccola statura, di carnagione scura e caratteristiche ancestrali, guarda e tocca il finestrino. La sua mente e il suo corpo pesano sul materiale solido e trasparente. Nel suo cervello immagina la strada e il passo, la velocità e il ritmo; immagina una destinazione in continua evoluzione. I popoli originari guardano quello che guardano e guardano la vita che può essere creata per essere guardata.

La quarta persona è zapatista, di complessità e carnagione cambianti, guarda attraverso e tocca delicatamente con la mano il cristallo, tira fuori il suo quaderno di appunti e inizia a scrivere freneticamente. Nel suo cervello comincia a fare conti, liste di compiti, di lavori da intraprendere, traccia piani, sogna. Lo zapatismo guarda quel che guarda e guarda il mondo che sarà necessario costruire per far sì che le arti, le scienze e i popoli originari possano realizzare i loro orizzonti.

Alla fine del viaggio, mentre gli altri viaggiatori stanno comprando gli ultimi souvenir nei negozi “duty free”, l’artista corre al suo studio, o quel che sia, in modo che il suo sguardo sia percepito da altri, altre, altrie; lo scienziato convoca immediatamente le altre e gli altri scienziati, perché ci sono teorie e formule da proporre, dimostrare, applicare; l’indigeno si riunisce con i suoi pari e racconta loro quel che ha visto, in modo che, collettivamente, lo sguardo definisca il cammino, il passo, la compagnia, il ritmo, la velocità e la destinazione.

La persona zapatista va alla propria comunità, nell’assemblea del villaggio e spiega nei dettagli tutto quello che c’è da fare per far sì che l’artista, lo scienziato e l’indigena possano viaggiare. La prima cosa che fa l’assemblea è criticare la storia o racconto o copione o qualsiasi cosa sia, perché mancano i lavoratori del campo e della città. Viene quindi proposto che una commissione scriva una lettera al defunto SupMarcos per far sì che metta nel racconto il quinto elemento, cioè il gatto-cane, che si è già mangiato il cavo internet e due USB dei Tercios Compas, e continua ad inseguire il mouse del computer, quindi meglio che ve lo portiate via; e che venga messo, come sesto elemento, anche la Sexta, perché senza la Sexta è la storia è incompleta. Una volta approvato tutto ciò, l’assemblea propone, discute, aggiunge e rimuove, pianifica le tempistiche, distribuisce i lavori, vota l’accordo generale e nomina le commissioni per ogni attività.

Prima che l’assemblea sia considerata conclusa e che tutti vadano a fare quel che gli spetta, una bambina chiede la parola.

Senza passare davanti, in piedi quasi in fondo alla casa comunale, la bambina si sforza di alzare la voce e dice: “propongo che nella lista di cose da portare, mettano una palla e una porzione di pozol”.

Il resto dell’assemblea scoppia a ridere. Il SupMoy, che sta al tavolo che coordina la riunione, incita al rispetto. Raggiunto il silenzio, il SupMoy chiede alla bambina come si chiama. La bambina risponde: “Il mio nome è Difesa Zapatista” e fa una faccia da “no pasarán, nemmeno se fossero extraterrestri”. Il SupMoy chiede quindi a Difesa Zapatista perché propone questo.

La ragazza si arrampica sulla panca di legno e afferma:

“La palla è perché, se non possono giocare, allora vadano liberamente dove vogliono andare. E la porzione di pozol è per fargli prendere forza e che non svengano per la strada. E anche per far sì che laggiù, lontano, dove ci sono gli altri mondi, non si dimentichino da dove sono venuti. “

La proposta della ragazza è approvata per acclamazione.

Il SupMoy sta per dare per conclusa la riunione, quando “Difesa Zapatista” alza la manina per chiedere nuovamente la parola. Le viene concessa.

La bambina parla mentre, con un braccio, regge un pallone da calcio e, con l’altro, abbraccia un animaletto che sembra essere un cane… o un gatto, o un gatto-cane:

“Voglio solo dirvi che non abbiamo completato la squadra, ma non preoccupatevi, perché saremo di più, a breve aumenteremo, saremo di più.”

In fede.

Guau-miau.

Traduzione a cura del’Associazione Ya Basta! Milano e di #20zln

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/01/el-gato-perro-y-el-apocalipsis/

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Una donna indigena candidata alle elezioni del 2018.

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Una donna di sangue e lingua indigena si candiderà, indipendente, alle elezioni presidenziali 2018 – Andrea Cegna

Il Congresso Nazionale Indigeno ha detto si “all’assurda proposta” della candidatura indipendente di una donna indigena alle elezioni presidenziali in Messico del 2018….. Una proposta che nasce nel solco del (neo)zapatismo e nel protagonismo sempre maggiore delle comunità in resistenza più che dell’EZLN, per quanto la stampa e l’isteria politica possano far dire……. testo completo

Creare un Consiglio Indigeno per governare il Messico, hanno deciso i popoli originari. L’EZLN li appoggia – Pozol.org

“La terra ha tremato e noi con lei”, hanno detto le portavoci del CNI presentando i risultati della consultazione in 525 comunità indigene del Messico, per la creazione di un Consiglio Indigeno di Governo di cui sarà portavoce una donna indigena che sarà candidata alle elezioni presidenziali del 2018. “E’ il momento per i popoli di passare all’offensiva. E’ tempo che la dignità governi”, hanno dichiarato le donne indigene accompagnate dal Comandante Insurgente David dell’EZLN e dal SubComandante Moisés, di fronte all’auditorio stracolmo della Giunta di Buon Governo di Oventic……. testo originale completo

Il Congresso Nazionale Indigeno parteciperà alle elezioni del 2018 e l’EZLN dice “siamo con voi” – Redacción Desinformémonos / Radio Pozol

Nell’assemblea plenaria del Congresso Nazionale Indigenoa, i popoli del CNI hanno annunciato che a maggio 2017 renderanno noto il nome della candidata indigena che li rappresenterà nella contesa elettorale per le presidenziali. “L’EZLN appoggia la vostra proposta, siamo con voi, siamo con il CNI. Avete il nostro appoggio con tutta la nostra forza”, ha dichiarato il subcomandante Moisés, comandante e portavoce zapatista.  Nella cornice del 23° anniversario della sollevazione zapatista e della seconda parte del Quinto Congresso Nazionale Indigeno, i popoli riuniti nel caracol di Oventik, negli Altos del Chiapas, “hanno presentato il risultato della consultazione in 525 comunità indigene del Messico per la creazione del CIG, in cui 430 hanno risposto affermativamente, mentre in 80 è ancora in svolgimento la consultazione…… testo originale completo

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La sfida zapatista più grande degli ultimi 23 anni.

sfida

In attesa di conoscere la decisione di popoli e tribù, comunità e nazioni del CNI e dei rappresentanti dell’EZLN che si trovano in assemblea per condividere i risultati delle rispettive consultazioni, la proposta rappresenta una sfida probabilmente più grande di quella lanciata dagli indigeni del Chiapas esattamente 23 anni fa. Sì, più grande della guerra.

La sfida più grande

Los de Abajo
Gloria Muñoz Ramirez

Le previsioni per il 2017 non potrebbero essere più pessimistiche, ma in mezzo alla desolazione ed alle proteste contro il cosiddetto gasolinazo con cui inizia l’anno, si aspetta la decisione della consultazione che hanno condotto i popoli organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) sulla sua eventuale partecipazione alle elezioni presidenziali del 2018.

Dal novembre scorso l’EZLN è stato incaricato di fare le necessarie precisazioni di fronte all’ondata di reazioni iraconde della sinistra istituzionale, che pensava che i popoli dovessero chiedergli il permesso di valutare la possibilità di presentarsi con una candidata indigena nel prossimo processo elettorale.

In attesa di conoscere la decisione di popoli e tribù, comunità e nazioni del CNI e dei rappresentanti dell’EZLN che si trovano in assemblea per condividere i risultati delle rispettive consultazioni, la proposta rappresenta una sfida probabilmente più grande di quella lanciata dagli indigeni del Chiapas esattamente 23 anni fa. Sì, più grande della guerra.

L’ offensiva che preparano potrebbe essere, se approvata, lo spartiacque nella vita politica del paese, in quanto bisognerebbe immaginare, ad esempio, una candidata indigena (non delle sue fila né delle comunità dell’EZLN) che percorre i villaggi in cui Lo stato ha spogliato, ucciso, incarcerato, torturato e fatto sparire decine di migliaia di persone che hanno trovato conforto soltanto nella propria organizzazione.

Non è il Messico del 1994. Neanche quello attraversato con l’Altra Campagna nel 2005 e nel 2006. È un paese in cui si sono accumulate sofferenze ma che ancora non si piega. Dove c’è l’imposizione di una miniera, una centrale, un acquedotto, una strada, un progetto turistico o di qualsiasi altra natura, lì nasce la resistenza di un popolo che con o senza armi lotta per non smettere di esistere. Molti di questi popoli sono parte del CNI, molti altri non hanno fatto parte di questa rete, altri si sono allontanati dalle sue dinamiche. Oggi è il momento di procedere insieme.

Dire che l’iniziativa è stata studiata da indigeni per indigeni è uguale a considerare la guerra del primo gennaio 1994 come un’offensiva solo dei popoli originari. Una proposta di questa natura comporta e coinvolge tutto il popolo oppresso; vale a dire, la stragrande maggioranza dei messicani.

È urgente combattere. Non c’è domani se non si coniuga al plurale. Il processo di creazione di un Consiglio Indigeno di Governo è una possibilità, per molti l’unica. Questa colonna vi augura un felice e combattivo anno.

http://www.jornada.unam.mx/2016/12/31/opinion/012o1pol

www.desinformemonos.org.mx

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Le Arti e le Scienze nella storia del (neo) Zapatismo.

telescopio

Le Arti e le Scienze nella storia del (neo) Zapatismo

28 dicembre 2016

Ieri sera, vi parlavo del pasticcio interplanetario che aveva scatenato la domanda “Perché questo fiore è di questo colore, perché ha questa forma, perché ha quest’odore?

Ok, ho esagerato con questo “interplanetario”. Dovevo dire: il pasticcio che nel microcosmo dello zapatismo provocò la domanda fatta dalla giovane Rosita al Subcomandante Insurgente Moisés.

Anche se credo che sia evidente, non guasta chiarire che la risposta che il SubMoy dette alla ragazzina zapatista fu la stessa che, forse, non so, è probabile, è una supposizione, ha dato combustibile all’avanzamento della scienza dai suoi esordi: “Non so”.

Ora penso che, sicuramente, la giovane sapeva che questa era la risposta, però sperava che il SubMoy capisse che, dentro al fiore, c’era una domanda più grande.

Il Sub Moy, adesso lo sappiamo perché siamo qui, in questo incontro, sapeva che la risposta “Non so”, non solo non era sufficiente, bensì sarebbe stata inutile se non portava ad altre domande.

Ora lui vi racconterà quello che è, come si suol dire, il contesto della domanda… e della sua risposta.

A me adesso tocca raccontarvi brevemente qualcosa della preistoria di questa domanda e di questa risposta.

Le arti e le scienze, prima dell’inizio del sollevamento, all’interno dell’ezetaelene, avevano un universo molto ridotto e una storia breve: entrambe, scienza ed arti, avevano una motivazione, una direzione, una ragione imposta: la guerra.

Prima negli accampamenti dei guerriglieri, poi nei comandi e dopo ancora nelle comunità, le arti si limitavano alla musica, la poesia e qualcosa di disegno e pittura, tutte esclusivamente con messaggi rivoluzionari. Chiaro, non era strano che si facessero passare canzoni d’amore e disamore, corridos, rancheras e finanche qualche ballata di Juan Gabriel, però questo era nella clandestinità dentro la clandestinità.

Il cinema o la cinematografia, aveva come sala esclusiva o “vip”, la nostra immaginazione. Uno degli insurgentes ci raccontava sempre lo stesso film, però trovava il modo di modificarlo in ogni occasione, o di mischiarlo con altri. Fu così che vedemmo l’originale e vari “remake” di “Enter the Dragon”, con Bruce Lee nell’unico ruolo, perché il compa passava ore spiegandoci i movimenti e i colpi. Questo continuò fino a che, con un piccolo generatore ed un pesante ed ingombrate proiettore da 16 millimetri, vedemmo un film vietnamita che credo si chiamasse “Punto di incontro” o qualcosa del genere, e che, ovviamente, era solamente in lingua originale, cosicché con l’immaginazione gli mettevamo dei dialoghi in spagnolo e creavamo un altro film dal film originale. Non sono sicuro, però credo che questo si chiami “intervento artistico”.

Richiamo l’attenzione su di questo, perché credo che fu la prima volta che confluirono le scienze e le arti in un accampamento zapatista. E per le scienze non mi riferisco al generatore portatile ed al proiettore, bensì ai popcorn, che qualcuno ebbe benevolmente ad includere nell’invio dell’apparato e della pellicola.

Ovviamente, ci abbuffammo di popcorn al grido “mangiare oggi o morire domani”, e il giorno successivo quasi si avvera la consegna: dall’alba, con una diarrea collettiva, l’intero battaglione insurgente lasciò i paraggi come se uno stuolo di cinghiali avesse stazionato lì. Poi ci consolammo, pensando che era una dimostrazione di guerra batteriologica. Morale: fate attenzione alle consegne.

Il contatto con i villaggi ampliò questo limitato orizzonte: nelle celebrazioni, i compas stabilivano orari per il “programma culturale”, dicevano, è “per la festa”. Così, in un orario che si andò accorciando con gli anni, si declamavano poesie, si leggevano pensieri e si cantavano canzoni, tutti di lotta. Gradualmente, “la festa” andò ampliando la sua durata e qualità. In questo orario si ballava e cantava quello che era di moda in quell’epoca. Le musiche diciamo “commerciali”, a sua volta, iniziarono ad essere rimpiazzate dalla produzione locale. Prima, cambiando le parole alle canzone; successivamente componendo anche la musica.

Cambiarono i balli: dalle file, al ballo di coppia. Originalmente, nei balli dei villaggi, si facevano due file: una di donne e, di fronte, una di uomini. Questo aveva la sua ragion d’essere: con le file ben disposte delle donne, le mammine potevano controllare le loro figlie, e vedere se scappavano o se si mantenevano nel l’oscillazione continua de “La del moño colorado”. Successivamente, poco a poco e dopo assemblee accalorate, si permise il ballo di coppia, anche se con il medesimo ritmo. Però la linea pesava, così era comune vedere una coppia ballare con lei che guardava da una parte e lui dal lato opposto. Il teatro o “seña” era molto sporadico. I disegni e le pitture dei periodici murali di montagna, si trasferirono alle comunità, però si mantennero i temi.

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Se vi sembra che l’attività artistica era scarsa, quella scientifica era praticamente

nulla (perché il libro di Isaac Asimov, che il defunto portava nello zaino non conta come scienza). Per il contatto con la natura, usavamo le conoscenze delle comunità, cioè, ci limitavamo a conoscere fatti, senza sapere la spiegazione o, spiegandoli in accordo coi racconti e leggende che circolavano nelle comunità.

Per esempio, il tempo della pioggia ed i tempi della semina. C’erano dati empirici che indicavano che stava per piovere o no, e statisticamente funzionava. Negli accampamenti di montagna, per esempio, quando le zanzare aumentavano in numero e aggressività, voleva dire che stava per piovere. Chiaro, avevamo anche barometri e altimetri, però le zanzare erano più carine. Quindi, se ci avessero chiesto qual era la relazione tra le zanzare e la pioggia, avremmo risposto “non so”, tuttavia non saremmo andati oltre, e sapevano che quello che ci competeva era mettere le coperture di plastica o accertarsi di arrivare al villaggio o all’accampamento, e non fare ricerche scientifiche.

La cosa più scientifica che si faceva era calcolare l’energia e la traiettoria del proiettile, la resistenza dei materiali (perché bisognava sapere dove proteggersi dagli spari del nemico), allineare mirini telescopici, fabbricare artefatti esplosivi, e la “navigazione terrestre” con l’uso di mappe, altimetri e il clinometro, per il quale era necessario studiare le basi della trigonometria, algebra e calcolo. Stavamo per imparare ad usare il sestante, per poterci orientare di notte, però non arrivammo a tanto. E non era necessario, perché i compas dei villaggi conoscevano così bene il terreno, che non avevano bisogno di nessuna macchina per orientarsi. E potevano “predire” fenomeni naturali a partire da altri, o da usi e costumi.

Allora il mondo era abitato da personaggi magici, come il Sombreron e Xpaquinté che percorrevano strade, sentieri, si perdevano, e sedevano con noi, negli accampamenti insurgentes delle montagne del sudest messicano.

In medicina si applicavano due metodi fondamentali. Visto che non conoscevamo l’esistenza della cura con il quarzo, il biomagnetismo o cose simili con equivalente rigore scientifico, allora ricorrevamo alla suggestione imposta o all’autosuggestione. Visto che non poche volte non avevamo medicine, ma sì avevamo la febbre, ci dicevamo e ripetevamo: “Non ho la febbre, è tutto nella mia testa”. A voi farà ridere probabilmente, però il fu SupMarcos raccontava che affrontò vari casi di salmonellosi con questo metodo, “E funzionava?”, gli chiedevamo in queste occasioni. Lui rispondeva con la sua solita modestia: “Bé, guardatemi, sono vivo e più bello che mai”. Bene, fu prima che gli dessimo morte.

Quando invece avevamo medicine, usavamo il metodo scientifico del “prova e sbaglia”. Cioè, qualcuno si ammalava, gli davamo la medicina, se non guariva, un’altra diversa, e così, fino a che lo conseguivamo o il male, sicuramente annoiato dal metodo, cedeva.

Un altro metodo scientifico di cura era il chiamato “schioppettata”. Se qualcuno aveva sintomi di una infezione, gli davamo antibiotici ad ampio spettro. Quasi sempre guariva e, chiaro, rimaneva chimicamente puro, al meno per sopravvivere fino alla prossima infezione.

Anni dopo, racconta il defunto, i trattamenti medici che prescriveva si basavano in semplice statistica: in montagna, tali e tali sintomi si curavano con tali medicinali, nel x % dei casi; se in una truppa di X numero di combattenti, tanti si ammalavano con tali sintomi, c’è la x % di probabilità di che si tratti della stessa malattia.

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Un aneddoto di montagna, raccontato anni fa sempre dal defunto SupMarcos, può servire per confrontarlo con quello che ora vi mostriamo: raccontava il defunto che, in una esplorazione nel profondo della Selva Lacandona, una sezione insurgente di fanteria rimase lontana dall’accampamento base, vedendosi obbligata a pernottare senza altro riparo che le volte degli alberi e le foglie delle piante; fecero un focolare per vedere se potevano arrostire una vipera nuyaca che era l’unica preda che avevano potuto cacciare. Il SupMarcos allora non era “sup”, bensì tenente insurgente di fanteria e stava al comando di questa unità militare.

Com’era abitudine in quell’epoca, quando la notte alla fine scendeva dagli alberi e si sedeva con los insurgentes, con le ombre scendevano anche a sedersi con il fuoco ogni tipo di storia, racconti e leggende che, tra l’altro, soddisfacevano la missione di mitigare la fame ed asciugare i vestiti che il sudore e la pioggia avevano impregnato. L’allora tenente di fanteria, rimase appartato e si limitò ad ascoltare quello di cui discuteva la truppa.

Ad uno dei nuovi era successo che, camminando si allontanò dal sentiero, il contatto con le foglie della pianta chiamata La´aj, od ortica, gli aveva provocato l’orticaria ad una mano e si era gonfiata. Tra il dolorante e il lamentoso, la recluta chiese ad un altro combattente perché o cosa aveva questa pianta che faceva così tanto danno. Il veterano, sentendosi obbligato ad educare al nuovo, gli rispose: “Guarda compa, te lo dico chiaramente, questo solo dio e le foglie lo sanno”.

Forse, per tutto questo che vi racconto, il defunto SupMarcos, quando era il portavoce zapatista, abbondava e ridondava di leggende e aneddoti spesso riferiti a spiegazioni della realtà legate alla cultura ancestrale. I racconti del vecchio Antonio, per esempio.

Se il defunto era una finestra per affacciarsi allo zapatismo di allora ed ora lo è il Subcomandante Insurgente Moisés, non solo è cambiata la finestra, ma anche quello che si vede ed ascolta attraverso questa finestra. Lo zapatismo odierno nelle comunità, é quantitativamente e qualitativamente diverso, già non diciamo da 30 anni fa, ma sopratutto da quello degli ultimi 10-12 anni, che dev’essere il periodo nel quale é nata la bambina che si autodefinisce “Difesa zapatista”.

Con questo voglio dirvi che, se i bambini di 25-30 anni fa nacquero durante i preparativi del alzamiento e quelli di 15-20 anni fa nascono nella resistenza e la ribellione; quelli degli ultimi 10-15 anni nascono in un processo di autonomia già consolidato, con nuove caratteristiche, alcune delle quali, tra le quali c’è la necessità della Scienza, vi saranno presentate dal Subcomandante Insurgente Moisés, al quale cedo la parola…

Buona sera fratelli e sorelle, compagni e compagne.

La scienza di cui stiamo parlando qui, noi, le zapatiste, vorremmo fosse una scienza per la vita. Come vi ha detto il SupGaleano, non c’è nient’altro da dire, non vi spiegherò di più, la scienza noi l’abbiamo studiata quando eravamo in montagna, durante l’addestramento. Visto che siamo riusciti ad applicare la scienza, vale a dire la guerra, l’uccidere e il morire, i nostri compagni e le nostre compagne dei villaggi, basi d’appoggio, ci hanno spiegato un altro modo di fare la guerra senza perdere i principi di quello che vogliamo. Quindi, da allora, il meglio è stato che, noi combattenti e combattente, abbiamo riconosciuto che c’era qualcosa nei nostri compagni e nelle nostre compagne, cioè i villaggi. Abbiamo quindi cominciato a imparare, abbiamo cominciato a capire che un esercito, qualunque esercito – tanto l’esercito del ricco che quello del povero che lotta – è escludente, perché non tutti gli uomini, le donne e i bambini combattono. E quel che ci hanno proposto i nostri compagni e le nostre compagne è di combattere insieme per ottenere quel che vogliamo, e ci hanno detto che le armi con le quali bisogna lottare sono la resistenza e la ribellione. La questione è che non vogliamo il mal governo, il cattivo sistema, si tratta di rifiutare ogni forma di inganno e, quindi, noi, combattenti, insorgenti, insorgente, abbiamo imparato in che modo farlo, come bisogna farlo. Quindi, noi, abbiamo capito come sia necessario lottare insieme, così come finora le comunità hanno vissuto, in comune, collettivamente. Il sistema, il mal governo, tenta di dividerci, ma non ci è ancora riuscito, le comunità si capiscono. Ad esempio, in alcune comunità ci sono vari partiti politici, o varie religioni, ma sono in una comunità. Se, in questa comunità, un pezzo di terreno è invaso da un’altra comunità, la comunità invasa si unisce immediatamente, vale a dire che si dimenticano di quel che sono, del fatto che sono divisi da vari partiti politici o da diverse religioni. È così che funziona, è così che non viene cancellato cosa significhi essere comuni, essere comunità. Da allora abbiamo cominciato a capire quel che dicevano, quel che ci hanno detto le nostre compagne e i nostri compagni, basi d’appoggio, è che dobbiamo lottare insieme. È stato dunque molto meglio di quel che avevano pensato loro, perché il combattente non è l’unico a lottare, ma tutti e tutte e, quindi, noi combattenti abbiamo cominciato a lavorare insieme a loro. Quel che è successo è stato allora che in questa lotta, in questa organizzazione, si è costruito il modo di ottenere quel che si cerca. Voglio dire che quel che hanno visto i compagni e le compagne è che bisogna mettere in pratica, nel proprio piccolo, quel che si vuole, quel che si cerca, con la propria autonomia. Con il governo autonomo dei nostri compagni e delle nostre compagne è cominciato qualcosa che non conoscevamo durante il periodo della clandestinità, della nostra preparazione. Abbiamo dunque capito che è questo il modo di pensare e di operare il cambiamento. A dire la verità, durante i 23 anni di autogoverno delle nostre comunità, non ci sono stati tanti morti da arma da fuoco, o feriti o torturati, o rapimenti rispetto a prima del ’94. In questi 23 anni, quel che ci hanno mostrato i compagni e le compagne è che c’è un’altro modo fare guerra al sistema, senza morire né uccidere, ma per questo ci vuole organizzazione, ci vuole un accordo, ci vuole lavoro e bisogna lottare e mettere in pratica. Ora sappiamo che, con queste armi di lotta che sono la resistenza e la ribellione, il sistema non ha potuto fare nulla contro i nostri compagni e le nostre compagne. Hanno fatto di tutto per farci abbandonare, ma il sistema non ci è riuscito, perché le compagne e i compagni l’hanno vissuto per 23 anni. Per quel che loro hanno costruito, come diceva il SupGaleano, noi stessi siamo rimasti sorpresi. Non sognavamo tutto questo, non lo vedevamo. I compagni e le compagne ci sono arrivati tramite il proprio pensiero, vedendo le proprie necessità, pensando quel che è necessario fare, dopo aver ottenuto qualcosa, per migliorare, seguendo i passi per fare il bene dei nostri popoli. Quindi adesso, le stesse compagne, gli stessi compagni,verificano tra di loro, e le mamme e i papà, chiaramente, li incitano, perché non l’avevano visto. Ad esempio, ci sono compagne che sono già, non so come si dice, di quelle che aiutano i dottori, come i meccanici che, ecco qui la tua pinza, ecco il tuo martello, ecco la tua mazza, o come si chiami. Ma le compagne, ormai sono loro che aiutano il medico passandogli quel che ha bisogno durante la chirurgia che sta facendo. Sanno ormai maneggiare gli apparati per l’ultrasuono, i medici hanno detto loro che possono dire, vale a dire diagnosticare, che sanno ormai leggere cosa mostra la piastra o la foto che produce l’ultrasuono. Così, le compagne e i compagni sanno ormai maneggiare molti altri tipi di apparati, per il Papanicolau e varie altre cose per la salute, dell’area della salute, del laboratorio. Non pesavamo tutto ciò. Ora pensiamo e diciamo: in 23 anni di pallottole avremmo potuto costruire tutto questo? E la nostra risposta è che non saremmo qui, adesso, a parlare con voi, fratelli, sorelle, compagni, compagne, scienziati, scienziate. Se fossero stati 23 anni di pallottole, non ci saremmo conosciuti. Ma, grazie al vostro modo di vedere, grazie ai nostri compagni e alle nostre compagne, siamo qui a parlare con voi. Il progresso dei nostri compagni e delle nostre compagne è stato tale che, chiaramente, ha dovuto separarsi dai metodi dello sfruttatore, del capitalismo o del mal governo per creare il proprio modo di pensare la libertà, che abbiamo conquistato e cominciato a costruire a modo nostro. Quindi, è così che funziona ora la loro educazione, hanno la loro agro ecologia, la loro radio comunitaria, fanno i propri scambi di esperienze, condividono, i nostri compagni e le nostre compagne, perché quel che vogliono è la vita. Ad esempio, come ci ha detto il SupGaleano, abbiamo parlato anche con lui e condividiamo che non muoia nessuno, come nel caso di una delle domande: cuociono la placenta del bebè, o la fanno bollire, in modo da restituirgli la vita. Questo si fa, semplicemente, con la lotta, non esiste un vero studio che dimostri che è il modo migliore. Quindi, tutto questo è stato tramandato per diverse generazioni. Quel che vi diceva il SupGaleano sulla colpa del fiore è che, nell’Educazione Autonoma Zapatista, abbiamo avanzato talmente tanto che i giovani e le giovane si sono accorti di aver imparato molto. Quindi quel che è successo è che il figlio di un compa -il figlio di un compa dei Tercios Compas- ha cominciato a chiedere, ha detto a suo padre che, avendo già finito le elementari, il primo ciclo -così dicono i compagni nei villaggi- il figlio del compa gli ha detto: “papà, ho già finito la scuola, ma continuerò perché voglio imparare di più”. Il Compa Tercio, che è il padre, ha dunque detto al figlio: “vediamo, perché il secondo ciclo -vale a dire la scuola media- è ancora in fase di pianificazione; è in fase di pianificazione perché, con l’educazione che vogliamo, non imparerete cose che non servono, ma di cui c’è bisogno. È pensata per far si che impariate cose utili” ha detto il compa a suo figlio. Allora il ragazzino, intorno ai 13, 14 anni, ha detto: “papà, non pensare di mandarmi qui, al Cideci, perché lì si impara la sartoria, la calzoleria e altre cose che si possono fare qui nel Caracol, ma per farlo manca che si mettano d’accordo” ha detto il ragazzino a suo padre. Quindi il ragazzino dice che, quel che vuole imparare, è di che sostanza è fatta l’artemisia e cosa cura. E quindi il compa, con il figlio presente, voleva che gli dicessi dove e quando può imparare tutto ciò. Io gli ho detto: “vediamo, perché non lo so”. Persino io sono rimasto molto sorpreso, pensando “si potrà imparare?”. Ho quindi parlato con il SupGaleano che dice che questo spetta agli scienziati, la scienza, quelli che studiano la scienza, gli scienziati insomma. Quindi ci accorgiamo che le future generazioni vedono altre possibilità e il meglio è che stanno pensando. Quel che vi sto dicendo è che nelle comunità c’è condivisione -o come si dice- delle tre aree, vale a dire dove vanno i compagni e le compagne a scambiarsi esperienze sulle piante medicinali, tra lavatori e levatrici, tra osteopati e osteopate. Cosí il ragazzino ha sentito parlare di molte piante che si dice curino questo e quello, no? Ma non si sa cosa, che sostanze contengono e dove impararlo. Quindi le compagne e i compagni dei villaggi si basano sulla pratica stessa di quel che fanno, sulle conoscenze di quel che fanno. Questo aprirà le porte a nuove esperienze, ma, allo stesso tempo, aprirà le porte ad altre necessità di voler imparare sempre di più. Quindi io credo che, ascoltando quel che viene proposto qui, tra di noi, speriamo che veniate a metterlo in pratica in un villaggio, in collettivo, i compagni e le compagne sarebbero molto contenti. In questo modo questa conoscenza sarebbe sfruttata di più. Con quel poco che hanno i compagni e le compagne… come dire… quel che viene fatto, quel che stanno costruendo i compagni e le compagne lo vedono anche altri fratelli e sorelle che non sono zapatisti. Ad esempio, negli ospedali dei compagni, gli ospedali autonomi, sono di più i fratelli partidistas ad essere operate e operati che gli zapatisti. È così che la gente non zapatista, cioè partidista come la chiamiamo noi, si rende conto che è molto meglio quel che stanno facendo gli zapatisti. Ormai dicono apertamente che è molto meglio quello che stanno facendo gli zapatisti. Ma non è solo nel campo della salute che i compagni e le compagne hanno fatto progressi, ma aiutano anche a fare politica. Orientano sul perché sono ingannati e manipolati così, sul perché sono dominati in questo modo. Quindi, se ci fosse più sostegno da parte della scienza, ci sarebbero più progressi dei compagni e delle compagne. Quel che vogliamo dirvi, allora, è che speriamo davvero di cominciare, qui e ora, con i nostri compagni e le nostre compagne dei villaggi, a vedere come fare per organizzare lezioni, laboratori, cose pratiche. Ciò che le compagne e i compagni considerano interessante e importante per affrontare la idra capitalista è la necessità di migliorare la salute e l’alimentazione, ma per questo è necessario imparare, ci vuole la scienza. I compagni e le compagne si danno da fare, come si è già detto più volte è con gli usi e i costumi, ovvero si fa la prova coltivando in un posto per vedere se ti cresce qualcosa, la zucca, o “el camote”, che è quello che cresce lì, perché non c’è uno studio scientifico lì, si tratta di quello che cresce in quel terreno e di che cosa non cresce lì. E si vive così con molta sofferenza, però se ci fosse lì una scienza, un laboratorio per esempio, lì sarebbe diverso, non é come fare delle prove ma si tratta di fare uno studio scientifico su quello che manca in quel terreno a madre natura o di quello che ti può dare in quest’altro. Quindi è così, allo stesso modo fanno degli studi anche i compagni e le compagne e che quindi siamo a questo punto. la verità è questa dell’artemisia di cui parla il ragazzino, quello che vuole sapere qual è la sostanza e che quindi da lì si é reso conto che esiste il resto, Scuole Autonome Zapatiste che hanno altre necessità rispetto a quello che vogliono apprendere i giovani.

Quindi fratelli, sorelle, compagni, compagne, coloro che abbiamo invitato con i compagni e le compagne e con cui stiamo formando un collettivo, le e gli zapatist@s come collettivo ci muoviamo e mostriamo al popolo Messicano che il popolo, il suo popolo può creare per se stesso il modo di vivere e non abbiamo bisogno di qualcuno che manipoli così la nostra ricchezza o di quelli che espropriano ciò che è nostro in quanto popolo, per questo abbiamo bisogno di stare uniti come popoli originari e con la scienza degli scienziati e la scienza degli artisti, immaginiamo, o costruiamo, o pratichiamo e dimostriamo a noi stessi che si si può fare, così come i compagni e le compagne della base di appoggio che, grazie al loro sforzo, la loro resistenza e il loro modo di pensare, di vedere e di creare, immaginare hanno dimostrato che, anche se non sanno leggere né scrivere, e anche se non hanno la padronanza della lingua spagnola, anche se nei fatti si ce l’hanno, quello che qui diciamo quindi, è che il sistema, il mal governo del Messico si é fatto da parte e stiamo praticando quello che noi pensiamo e che crediamo, pero non é solo questo, gli sfruttati, gli indigeni messicani, ma ci sono anche i fratelli e le sorelle delle compagne cosí come delle città. Ma per questo abbiamo bisogno di Scienza, per capire come costruiremo il mondo nuovo.

Abbiamo bisogno, c’è tanta necessità di questo come del ragazzino di cui parliamo, che essendo ragazzino sta già pensando che vuole conoscere, che vuole sapere perché è così importante la sostanza di cui è fatta l’artemisia, perché ascolta molto nel collettivo, nella condivisione che si fa con le compagne e i compagni. Quindi questo è quello che vogliamo proporvi, che quindi speriamo di unirci per creare un’ altra maniera di vivere, un’altro modo di pensare, immaginare come costruiremo un cambiamento, che cosa é veramente il cambiamento non solo di nome, né tantomeno di colore.

Questo è quello che vi possiamo offrire compagni e compagne, fratelli e sorelle. 

Subcomandante Insorgente Moisés                                          Subcomandante Insorgente Galeano

Testo originale

Traduzione a cura del’Associazione Ya Basta! Milano  e di   20zln

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SupGaleano: La colpa è del fiore.

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“La colpa è del fiore”

27 dicembre 2016.

“Il 30 febbraio di quest’anno 2016, la rivista elettronica svedese specializzata in tematiche scientifiche, “River´s Scientist Research Institute”, ha pubblicato uno studio che, forse, rivoluzionerà le scienze e la loro applicazione in ambito sociale.

Un gruppo di scienziati guidati dai dottori svedesi Stod Sverderg, Kurt Wallander e Stellan Skarsgard, hanno presentato una complessa analisi multidisciplinare che giunge alla conclusione che può sembrare scioccante: esiste una relazione diretta tra l’aumento della quantità e della qualità dei movimenti femministi e il calo del tasso di natalità.

Con la combinazione di metodi statistici, embriologia, biologia molecolare, genetica e analisi comportamentale, gli scienziati affermano che l’aumento della diversità e della belligeranza del femminismo, provoca l’inibizione della libido negli uomini, riducendo la frequenza di attività sessuale riproduttiva.

Ma non solo. Analisi di laboratorio hanno stabilito che gli spermatozoi degli uomini esposti all’attività femminista sono più deboli di quelli degli uomini che non ne sono esposti. Ciò che è noto come astebizisoermia, o sindrome dello “spermatozoo pigro”, è molto più presente nella popolazione maschile delle società in cui il femminismo ha un ruolo di primo piano nelle relazioni sociali. Secondo la prestigiosa pubblicazione sopracitata, il dottor Everet Bacstrom, del “Rainn Wilson Institute”, con sede a Londra, in Inghilterra, ha confrontato i risultati della ricerca con un campione di uomini europei della classe media, WASP, ed è giunto alla stessa conclusione.

Nel frattempo, le attiviste femministe europee, Chloë Sevigny e Sarah Linden, consultate per la pubblicazione, hanno dichiarato che tutto ciò non era altro che una manovra di quel che è stato definito “scientismo patriarcale”.

Nel frattempo, il centro internazionale di consulenza per i governi “Odenkirk Associated”, attraverso i suoi portavoce, James Gordon e Harvey Bullock, ha dichiarato che avrebbe raccomandato ai governi dei paesi del primo mondo, cito testualmente, “di inibire l’attivismo e la belligeranza dei gruppi femministi” al fine di aumentare il tasso di natalità nei paesi sviluppati. Ha inoltre dichiarato che avrebbe consigliato ai governi dei paesi del Terzo mondo, soprattutto in Africa e in America Latina, di favorire la nascita e la partecipazione di gruppi femministi, principalmente nelle aree marginali, in modo tale da ridurre il tasso di natalità in questi settori, evitando così il proliferare di disordini sociali.

Consultati al riguardo, le consulenti della Comunità Economica Europea, Stella Gibson e Gillian Anderson, hanno rifiutato di confermare o smentire che tale studio sarà la base della nuova politica internazionale dell’Europa verso il Terzo mondo.”

Beh, ciò che vi ho letto è un esempio del nuovo giornalismo scientifico. Anche se è completamente scritto di mio pugno, ve lo diamo come regalo di natale. Prendetelo e fate un esperimento: pubblicatelo.

Non ricorrete alla stampa. Escluso il sottoscritto e un numero sempre più ristretto di persone, nessuno legge i giornali e le riviste per informarsi. Suvvia, neanche quelli che vi scrivono li leggono, consultano solo i riferimenti che vengono fatti sulle reti sociali dei loro testi; inoltre, sono le reti sociali che gli dettano il tema da trattare. Solo pochi mesi fa, ho letto un “opinion leader” e “analista esperto” chiedere ai suoi “followers” la questione che doveva essere trattata nella sua rubrica sul giornale: “mi piace, sulla candidata del Consiglio Nazionale Indigeno” (mi pare abbia scritto così), “retweet, sul grande compagno e leader, sole del nostro percorso e illustre costruttore del futuro”. Non c’è bisogno di dirvi che hanno vinto i retweet.

No, se volete avere “copertura mediatica” dovete ricorrere, come fonte primaria di diffusione, alle reti sociali.

Cercate una stella delle reti sociali, ad esempio, un adolescente tweet-star con centinaia di migliaia di followers, qualcuno sempre preoccupato di evidenziare i suoi fan materiali che promuovono la tolleranza critica, il dibattito razionale e la riflessione profonda (cose che, chiaramente, si trovano in abbondanza in questa stimolante rete sociale). Qualcuno, come ad esempio John M. Ackerman (253.000 followers). Sì, so che ho detto un adolescente, e il signor John Ackerman ha già fatto molta strada, ma sto parlando di età mentale, quindi siate comprensivi.

Poi “seguitelo” e cercate di non farvi bloccare. È molto semplice, non è necessario scrivere nulla di mediamente intelligibile. Basta riempire la propria “time line” di retweet di tutte le grandi e solide verità emanate dalla tastiera del sopracitato. E neppure questo è complicato, perché è possibile impostare il proprio account per far sì che faccia retweet automaticamente.

Bene, ora abbiamo solo bisogno di convincere questo “influencer” a fare un breve riferimento allo studio citato, e i suoi centinaia di migliaia di followers, automaticamente, cliccheranno mi piace e faranno retweet.

Così lo studio “scientifico” avrà successo e sarà la base di analisi future, discussioni, tavole rotonde ed entrerà nell’affollata biblioteca delle teorie del complotto.

No, non dovrete preoccuparvi che qualcuno si prenda la briga di analizzare criticamente la nota apparentemente scientifica e si accorga conto di quanto segue:

– Febbraio non ha 30 giorni.

– “River” è una serie poliziesca britannica in cui il protagonista, John River, è interpretato dallo svedese Stellan John Skarsgård.

– Stod Sverderg e Kurt Wallander, sono personaggi della serie poliziesca svedese “Wallander”.

– Everet Bacstrom, è il nome del protagonista della serie poliziesca “Bacstrom” e Rainn Wilson è il nome dell’attore.

– Chloë Sevigny è il nome dell’attrice protagonista nel ruolo di Catherine Jensen, la serie poliziesca danese “Those Who Kill”

– Sarah Linden è il nome della protagonista della serie poliziesca statunitense The Killing, con l’attrice Mireille Enos.

– Bob Odenkirk è il nome dell’attore principale della serie “Better Call Saul”, presumibilmente il prequel di Breaking Bad.

– James Gordon e Harvey Bullock sono personaggi della serie “Gotham”.

– La Comunità Economica Europea non esiste più, è sparita nel 2009 per far posto all’Unione Europea.

– E Stella Gibson e Gillian Anderson sono, rispettivamente, la protagonista e l’attrice che interpretano questo ruolo nella serie “The Fall”.

Scusate se la mia pronuncia dell’inglese è ben lungi dall’etichetta dei simposi scientifici internazionali, e sembra piuttosto da “wet back” ’40, ma la solidarietà con i migranti latinos che subiscono l’incubo Trump ha vie inaspettate e non sempre evidenti. In ogni caso, chi legge e non ascolta queste parole, non ha nulla a che vedere con l’orrore che si vive a nord del Río Bravo.

Certo, sarebbe stato sufficiente che chiunque di voi “googleasse” i principali riferimenti per rendersi conto che il presunto “studio scientifico” descritto, è una frode assoluta.

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La scienza deve preoccuparsi di queste frodi che riducono il lavoro scientifico a una caricatura del consumo di massa?

Pensate di dover affrontare solo la religione e il creazionismo? La religione è la religione, non pretende di essere scientifica. La pseudo-scienza, invece, è un problema serio. Se credete di vivere nell’epoca dei lumi, e siete felici di ridicolizzare i paradigmi religiosi e di vincere i sondaggi di popolarità della televisione in streaming, dove si affrontano atei contro credenti, non vi siete accorti della breccia che le scienze presentano sotto la linea di galleggiamento.

Le pseudo-scienze o scienze false non solo guadagnano sempre più followers, ma stanno già diventando una spiegazione accettata della realtà.

Se non mi credete, fate una terapia al quarzo e di equilibrio bio-energetico. O iscrivetevi ad un corso di “Teoria della Scienza” nel dipartimento dell’istruzione superiore di un’università che si rispetti, e non sorprendetevi di dover studiare una materia che si chiama “filosofia scientifica” (l’ossimoro che vi perseguita da ancor prima dei miti di Prometeo, Sisifo e Teseo).

Che ci crediate o no, i tempi oscuri che verranno, portano ormai le scienze dal banco degli accusati, al patibolo sociale.

Mi dilungherò un’altra volta su questo punto.

Ma ora questo fa al caso nostro, o cosa, dipende, perché, così come voi dovete confrontarvi con l’invasione di queste false scienze, noi, zapatiste e zapatisti dobbiamo affrontare questo ed altro.

Durante la nostra partecipazione alla prima sessione generale di ieri, vi ho presentato alcune delle domande che le mie compagne e i miei compagni che sono stati selezionati, hanno preparato come vostre alunne e alunni.

Non sono domande mie. Se fossero state mie avrebbero avuto un altro stile. Sarebbero state domande del tipo: Quale è il rapporto tra la zuppa di zucca e il deficit cognitivo? Quali sono le qualità nutrizionali di quel portento alimentare che è il gelato di noce? Le iniezioni sono una forma pseudo-scientifica di tortura? Eccetera.

Quindi l’unica cosa che ho fatto con le domande delle/dei mie/miei compas è stato raggrupparle. Ho tolto alcune domande perché ho pensato che le risposte sarebbero state date durante le presentazioni ed anche per un altro motivo che, se ci sarà tempo, vi spiegherò.

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Queste 200 compagne e compagni, 100 donne e 100 uomini, sono stati selezionati per partecipare, vale a dire, rispondere a collettivi. La loro presenza qui non obbedisce ad interessi o benefici personali. Al ritorno, devono rispondere ai loro collettivi di quel che è stato questo incontro, di quel che hanno imparato o no, di quel che hanno capito o no. Sono quindi obbligati a socializzare la conoscenza. Questo è il motivo per cui vedete che queste/i compas scrivono e scrivono nei loro quaderni e si consultano a vicenda, con un’agitazione che dubito troviate tra gli studenti dell’accademia.

Con questo voglio dirvi che, anche se apparentemente avete a che fare con 200 incappucciate e incappucciati, in realtà le loro parole raggiungeranno decine di migliaia di indigeni di diverse lingue originarie.

Sì, fa un po’ paura. O molta, dipende.

L’interesse per la scienza nelle comunità zapatiste è legittimo, reale. Ma è relativamente nuovo, non è sempre stato così. Risponde a una delle trasformazioni che la nostra lotta ha sperimentato, nel nostro processo di costruzione della nostra autonomia, vale a dire, della nostra libertà.

Questo ve lo spiegherà in modo più approfondito il compagno Subcomandante Insurgente Moisès nella sessione del mattino. Per ora mi soffermerò solo su un paio di dettagli:

  1. Le comunità indigene zapatiste qui rappresentate da questi 200 trasgressori dello stereotipo dell’indigeno che regna dentro la destra e la sinistra istituzionali, non concepiscono questo incontro come un singolo evento. Per capirci: non è un’avventura passeggera. Loro, i popoli zapatisti, sperano che questo primo incontro sia l’inizio di una relazione stabile e duratura. Sperano di rimanere in contatto con voi, di mantenere uno scambio continuo. O come si dice nei villaggi: “che non sia né la prima né l’ultima volta”.
  2. Il modo dei nostri modi. Affinché non vi disperiate e per capire perché non ci sono domande dopo ogni presentazione, permettetemi di spiegarvi quali sono i nostri modi come alunne e alunni.

Noi, non ci poniamo problemi individuali. Anche come studenti agiamo collettivamente. Ognuno prende i propri appunti e, dopo la lezione o il dibattito, si riunisce in collettivo e si completano gli appunti prendendo quelli di tutti. Quindi, se qualcuno si è distratto o ha capito qualcos’altro, gli altri completano o chiariscono. Ad esempio, nella presentazione di ieri, quella del fisico letta dalla Dottoressa, c’è una parte in cui lui fa notare che qualcuno potrebbe dire che non c’è progresso scientifico, rispetto ai paesi sviluppati, perché in Messico siamo indigeni. Un compagno zapatista era abbastanza infastidito perché, secondo lui, il fisico ci stava criticando come indigeni che siamo e ci dava la colpa dell’inesistente progresso scientifico nel nostro paese. Nella ricapitolazione collettiva gli hanno spiegato che il fisico non diceva questo, ma che il fisico criticava quelli che dicevano questo.

Con le domande succede la stessa cosa. Prima espongono tra loro i propri dubbi. Così buona parte di loro si chiarisce perché magari non aveva ascoltato o non aveva preso bene gli appunti o non aveva capito quello che era stato detto. Su altre domande si rispondono tra loro. Restano dunque le domande che sì, sono dubbi collettivi.

So che a voi può sembrare un processo lento e complicato, e che più di una, uno sia deluso perché pensa che non partecipiamo, o di non essere riuscito a catturare la nostra attenzione. Si sbaglia: dopo che i collettivi di ogni zona si riuniranno, verranno raccolte le domande che saranno sollevate e ve le invieremo attraverso gli stessi mezzi con cui siete stati invitati a questo incontro. Almeno abbiamo concordato un mezzo e un modo per restare in contatto.

Naturalmente, tutto questo è parte della nostra convinzione che questo incontro sia il primo di molti, e che tutte, tutti voi manterrete la comunicazione con le proprie alunne e i propri alunni, e attraverso di loro, con decine di migliaia di zapatiste e zapatisti.

Quindi, siate pazienti. Almeno usate la stessa pazienza con la quale intraprendete le vostre ricerche ed esperimenti, o nella quale vi disperate per l’approvazione dei finanziamenti dei vostri progetti.

Detto questo, permettetemi di proporvi la metodologia zapatista per eccellenza: rispondere a una domanda con un’altra domanda.

Quindi, le vostre risposte dovrebbero iniziare con una domanda fondamentale: perché state chiedendo questo?

Bene, vi spiego. Secondo i modi dello zapatismo, la nostra azione nelle comunità non vuole egemonizzare né omogeneizzare. Cioè, non ci relazioniamo solo tra zapatisti, né pretendiamo che tutti lo siano. Mentre i nostri insuccessi ed errori sono solo nostri, i nostri successi e progressi li condividiamo con coloro che non sono zapatisti e persino con coloro che sono anti-zapatisti. Per capire il perché di tutto ciò, sarebbe necessario studiare la nostra storia, qualcosa che va ben oltre la portata di questo incontro.

Per ora è sufficiente dire che, ad esempio, i promotori di salute supportano anche i partidistas [affiliati ai partiti politici – n.d.t.]. Quindi, se un promotore di salute sta vaccinando, non è raro che incappi in partidistas che si oppongono perché sostengono che i vaccini non sono naturali, che sono velenosi, che fanno ammalare, che infondono dei mali nel corpo ed altre superstizioni, non ultima, la frode che è il sistema sanitario governativo. Infatti, i più grandi e migliori promotori di malasanità nelle comunità partidistas, sono le autorità governative.

Per questo, rispetto a quel che dicono i partidistas, la promotrice di salute cerca di discutere e convincerli che il vaccino è una cosa buona. È quindi logico che una delle domande che vi ho letto ieri sia: Scientificamente, è necessario vaccinarsi e perché, o ci sono mezzi e/o modi di sostituire i vaccini con altre cose? Ad esempio, le malattie come la pertosse, il morbillo, il vaiolo, il tetano, ecc. Con questa domanda, vi stanno chiedendo più argomenti.

Lo stesso succede per i promotori di educazione, le speaker della radio comunitaria, le autorità e i coordinamenti dei collettivi.

Un altro esempio: quando, in una comunità una persona ha le convulsioni o si ammala e presenta sintomi insoliti, i partidistas dicono che si tratta di stregoneria. Dal momento che le accuse di stregoneria finiscono spesso in linciaggi, gli zapatisti si sforzano di convincere i partidistas che non esiste nulla di simile, che le convulsioni hanno una spiegazione scientifica e non magica, e che non è stregoneria, ma che è l’epilessia la causa di questi attacchi. Per questo vi chiedono del soprannaturale, delle scienze occulte, della telepatia, eccetera. Non ci sono statistiche su questo, ma più di un partidista deve al neozapatismo il fatto di non essere stato linciato a causa di stregoneria, malocchio e cose simili.

Ci sono anche domande su argomenti di cui qualcuno ha sentito pareri contrastanti. Ad esempio, i transgenici. Alcuni dicono che sono dannosi, mentre altri dicono di no, o comunque non come si crede. Quindi i compas chiedono prove scientifiche, non slogan di una o dell’altra posizione.

Ieri la biologa ci parlava di un sondaggio condotto, mi pare, sulle reti sociali. Ci ha detto che qualcuno le ha risposto che avrebbe partecipato quando le opzioni avrebbero incluso qualcosa come “la scienza è un male”.

Ebbene, nelle comunità zapatiste arriva ogni tipo di persona. La maggior parte viene a dirci quello che dobbiamo e che non dobbiamo fare. Arriva gente, per esempio, che ci dice che è una buona cosa vivere in case con pavimento di terra e pareti di canne e fango; che fa bene camminare a piedi nudi; che tutto ciò ci porta beneficio perché ci mette in contatto diretto con la natura e così possiamo ricevere direttamente i benefici effluvi di armonia universale. Non ridete se pensate che stia caricaturizzando, sto trascrivendo testualmente la valutazione di un ex-alunno della escuelita zapatista.

“La modernità è cattiva”, dicono, e in essa includono le scarpe, il pavimento, le pareti e il tetto, e la scienza.

Naturalmente, la scienza non ha molto a suo favore. Dalle sue mani vengono le miniere a cielo aperto, i macchinari per costruire alberghi e fracking, le coltivazioni imposte con donazioni e programmi governativi di “progresso”.

Si dice che la religione è arrivata nelle comunità indigene con la spada, ver. Ma ci si dimentica che le pseudo-scienze e le anti-scienze provengono dalla mano delle buone vibrazioni, il naturismo come neo-religione, l’esoterismo come “saggezza ancestrale”, e micro-dosi come neo-medicina.

Io capisco che queste cose funzionino nei locali hipsters di San Cristóbal de Las Casas o dei Coyoacanes più vicini al vostro cuore, e che sembrino buoni mentre ci si fuma una canna (prexta orquexta pa), bevendo smartdrinks e consumando droghe leggere. Ok, ognuno fugge dalla realtà secondo le proprie possibilità. Noi non giudichiamo.

Ma cercate di capire che la sfida che ci siamo proposti di affrontare come zapatisti quali siamo, ha bisogno di strumenti che, mi dispiace se deludo più di una, uno, SOLO le “scienze scientifiche” possono fornirci, che è come il Subcomandante Insurgente Moisés chiama le scienze “che sono scienze”, a differenza delle scienze che non lo sono.

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Anche ieri ci hanno parlato di un esperimento del tipo “scienza e genere”. Credo che fosse così: si mettevano un uomo e una donna a competere per un posto in un istituto, entrambi con lo stesso curriculum vitae; i selezionatori erano pari: stesso numero di uomini e di donne; veniva scelto l’uomo; alla domanda del perché avessero scelto lui e non lei, la risposta era che la donna era sottomessa, conciliante e debole.

Chiaro, la mia formazione chimico-biologica comprende le opere complete di José Alfredo Jiménez e Pedro Infante, quindi ho celebrato la decisione. Ma, poi, con il SubMoy, ci abbiamo pensato e fatto i conti.

Abbiamo chiesto alla insurgenta Erika (qui presente) cosa pensava di ciò. Lei, a sua volta, mi ha chiesto cosa significava “sottomessa”, le ho detto “obbediente”. Poi, che cosa significava “conciliante”, “che non lotta, che non vuole imporsi, che cerca un compromesso”, gli ho risposto. E “debole” disse che lo capiva. Ci ha pensato un momento e poi ha detto: “credo di non conoscere queste cose”.

Quindi, scusatemi se viviamo in un altro mondo, però non conosciamo nessuna compagna che sia sottomessa, conciliante e debole. Forse perché se lo fossero, non sarebbero zapatiste.

Senza dubbio, credo che in queste terre, questo esperimento porterebbe allo stesso risultato, ma con le ragioni contrarie, a favore. Cioè, sceglierebbero l’uomo proprio perché la donna non è sottomessa, né conciliante, né tantomeno debole.

E vi dico questo, perché a continuazione vi spiego:

L’aneddoto me lo ha raccontato il Subcomandante Insurgente Moisès e ve lo riporto qui dopo aver confermato i dettagli con lui.

Deve essere successo in un caracol, in una riunione per il corso sulla Idra che è stato fatto a messaggeri e messaggere, non è sicuro.

Il fatto è che una compagna giovane ha fermato il SupMoy e gli ha chiesto qualcosa del tipo “Ehi compagno subcomandante, ho un dubbio vediamo se me lo puoi risolvere” (il cambio continuo del femminile e del maschile nello stesso periodo non deve sorprendervi, è ormai parte del ‘modo’ con cui si parla il castigliano in molte comunità).

Il SupMoy gli ha risposto qualcosa del tipo “bene compagna, dimmi e se lo so, ti rispondo; e se no, beh vediamo come fare”.

Si vedeva che la giovane aveva trascorso giorni e notti con la domanda che gli ronzava in testa, e la tirò fuori senza titubanza.

Perché questo fiore è di questo colore, perché ha questa forma, perché ha questo odore?

E non si fermò lì. Sentiva che aveva superato l’ostacolo principale (formulare la domanda), così che continuò a briglia sciolte:

Io non voglio che mi rispondano che madre natura con la sua saggezza ha fatto il fiore così, o che Dio, o quello che è. Voglio sapere quale è la risposta scientifica”.

Il SupMoy avrebbe potuto rispondere quello che qualsiasi militare, di sinistra o di destra, avrebbe risposto: che la compagna si togliesse certe stupidaggini dalla testa e che andasse al suo posto di guardia, o al lavoro che gli toccava, o che si mettesse a studiare i 7 principi, o che imparasse per bene la spiegazione dell’Idra; o forse l’avrebbe mandata alla JBG o al MAREZ o alla commissione di educazione e salute.

Avrebbe potuto fare questo ma non l’ha fatto. Il SupMoy mi ha spiegato che le ha risposto, chiaro. Però io sono rimasto a pensare alla moltitudine di opzioni che, in diversi calendari e geografie, avrebbero potuto ispirare altre risposte.

Dopo che tutto ciò è passato, a me, alchimista inedito e anacronistico, è venuto in mente che la compagna zapatista non si aspettava che il SupMoy gli rispondesse che il fiore citato era quello che era, ma che percepisse, come si dice, la complessità che si annidava in quel fiore.

Già solo la domanda e chi l’ha fatta bastavano per un seminario completo sulla storia dello zapatismo. No, non vi annoierò raccontandovi una storia che di sicuro non vi interessa. Voi ora, come io allora, siete più interessati a sapere cosa rispose il SupMoy alla compagna.

Il SupMoy mi ha raccontato, con il suo tipico tono cadenzato e didattico, che si era reso conto che, dietro la domanda, non c’era solo un’altra domanda, ma una domanda ancora più grande.

Una domanda che aveva a che fare con quello che, allora e ora, si riferisce ai cambiamenti che ci sono nelle comunità zapatiste.

La compagna giovana, al contrario di sua madre e di sua nonna quando avevano la sua stessa età, ha già rifiutato due proposte di matrimonio (“non ci penso proprio ad un marito”, sono le identiche risposte ricevute dai due pretendenti che, poco prima, avevano svuotato due boccette di profumo e si erano pettinati con un gel che gli durerà secoli); parla con fluidità due lingue, quella materna e il castigliano; sa leggere e scrivere con una correttezza che vorrebbero avere certi studenti delle facoltà di certe università nazionali; ha superato la primaria e la secondaria autonome; collabora come promotora di salute e Tercio Compa; usa il computer senza difficoltà e usa fino a 3 sistemi operativi differenti (iOs, Windows e Linux), oltre a saper usare la videocamera e i programmi di montaggio video; e naviga con disinvoltura su internet, chiaro, sempre che il clima atmosferico permetta al collegamento satellitare della JBG di superare la barriera di upload e download di 0,05 kilobyte al secondo, e che il limite del piano tariffario non sia già stato esaurito con le denunce delle comunità.

Con questi precedenti c’era da aspettarsi che non sarebbe stata soddisfatta della risposta “madre natura, con la sua infinita saggezza, ha fatto questo fiore così com’è, perché tutto stia in armonia con la forza universale che emana la natura” (qui potete chiudere gli occhi, prendervi per mano e ripetere con me “ommm, ommmmm”).

O sarebbe logico pensare che, quando sua madre, come risposta alla domanda, l’avesse mandata a prendere acqua o legna, la giovana se ne sarebbe andata in cerca delle suddette senza brontolare, però rimuginando la domanda lungo il cammino di 4 chilometri per la legna, o di 2 km per l’acqua.

Naturalmente, se vi dico che la giovana zapatista della domanda si chiama “Azucena”, o “Camelia”, o “Dalia”, o “Jazmin”, o “Violeta”, o, “Flor”, pensereste che ci sono già sufficienti assurde ovvietà perché piova sul bagnato, ma no, non ha nessuno di questi nomi. E non vi direi la verità, dicendo che la compagna si chiama Rosita, sua madre si chiama Rosa e sua nonna si chiama Rosalia. Immaginate l’orrore se la compagna avesse una figlia femmina, di sicuro gli metterebbe come nome “Rositía”.

Bene, il fatto è che, quando alcuni giorni dopo il SupMoy mi disse che dovevamo pensare a come contattare gli scienziati, ho fatto la stessa faccia stranita che avete fatto voi quando avete visto il titolo di questo incontro. Ovviamente il SubMoy non si è dato per vinto e così mi ha obbligato a domandargli: “e questo perché, e a che scopo?”.

Il SupMoy si è acceso una sigaretta e mi ha risposto laconico: “La colpa è del fiore”.

Io, ovviamente, ho acceso a mia volta la pipa e sono rimasto zitto, però ho fatto la faccia di “ah, ma dai?”. Nah, non è vero, ho fatto la faccia di “What?!”. Nah, nemmeno. Però una qualche faccia l’ho fatta, anche perché non portavo il passamontagna ed il SupMoy si è messo a ridere e mi ha spiegato quello che vi ho riferito pocanzi.

Il contesto della domanda, e la risposta, è quello di cui il SubMoy vi parlerà domani.

Dunque, quando voi, scienziate e scienziati, tornerete nei vostri mondi, e qualcuno vi domanderà perché è stato fatto quest’incontro, o cosa siete venuti a fare, o di cosa trattava, o come è andata, potrete iniziare la vostra lunga o corta risposta così:

“La colpa è del fiore”.

Molte grazie.

Dalla CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico, America Latina, pianeta Terra, Sistema Solar, ecc.

SupGaleano

27 dicembre 2016

 

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane:

Difesa Zapatista, l’arte e la scienza.

Non è stato possibile chiarire bene la causa. Alcuni dicono che è stata una scommessa. Altri che il Pedrito abbia esagerato e così è successo. Alcuni dicono che era solo un allenamento. Una minoranza parla di una partita di calcio normale, decisa negli ultimi secondi quando l’arbitro, il SupMoisés, ha decretato la massima punizione.

Il caso, o cosa, vuole che la bambina Difesa Zapatista si trovi a pochi metri dal dischetto di rigore, dove un pallone sfilacciato aspetta.

In porta, il Pedrito bilancia le braccia come il portiere che giocava nella nazionale di calcio, quello che giocava nell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche: Lev Yasmin, “il ragno nero”. Pedrito ride compiaciuto, secondo lui, può prevedere dove la bambina dirigerà il tiro: “Difesa Zapatista è perfettamente prevedibile. Siccome è appena tornata dalla riunione delle messaggere, di sicuro tirerà in basso e a sinistra”.

Dall’altra parte la bambina, che misura appena poco più di un metro dal suolo, si gira a guardare verso uno dei lati del campo (in realtà è un semplice terreno erboso nel quale irrompono, impertinenti, vacche con i vitelli, oltre ad un cavallo orbo).

Da questo lato si possono vedere: uno strano essere, metà cane e metà gatto, che scodinzola allegro; e due individui che, se queste non fossero terre zapatiste, si potrebbe dire essere totalmente incompatibili con il paesaggio. Il primo, di taglia media, capello brizzolato e corto, porta una specie di impermeabile. Il secondo, magro, alto e sgraziato, indossa un elegante mantello ed ogni tanto annuisce con la testa.

La bambina si dirige verso lo strano gruppo. Il cavallo orbo fa lo stesso. Non appena tutti sono insieme l’uomo magro disegna strane figure in terra, la bambina guarda con attenzione e di tanto in tanto annuisce con la testa.

La bambina Difesa Zapatista ritorna nell’area e prende posizione. Inizia a trotterellare vicino al pallone, ma si posta di lato, senza mai toccare la palla, si ferma a pochi centimetri sulla destra della porta difesa dal Pedrito che guarda diffidente la bambina. Difesa Zapatista si ferma e a mani nude inizia a scavare un pochino il suolo, in maniera tale da prendere un fiore e tutta la sua radice. Con cura, la bambina raccoglie il fiore e lo pianta nuovamente lontano dalla porta e torna in campo.

Il rispettabile è sulle spine, capendo di essere presente ad uno di quegli eventi irripetibili nella storia del mondo mondiale.

Il Pedrito, da parte sua, è molto più che sicuro. Se prima aveva qualche dubbio, Difesa Zapatista ha commesso un grave errore: togliendo il fiore da dove si trovava, la bambina ha svelato la direzione verso cui andrà il suo tiro: in basso e a sinistra di Pedrito. È sicuro, si dice Pedrito, perché le bambine curano i fiori, quindi Difesa Zapatista non avrebbe voluto che il pallone danneggiasse il fiore.

Per non far mancare altra suspance, la bambina non si posiziona lontano dal pallone e di fronte alla porta, ma si mette accanto al pallone e di spalle ad un Pedrito che già sorride immaginando gli sfottò a Difesa Zapatista per avere sbagliato il rigore.

Difesa Zapatista volge il viso verso lo strano essere chiamato Gatto-Cane, che inizia a saltare, girando su sé stesso, come un ballerino. La bambina sorride e dà inizio ad un movimento che dividerà le opinioni per i prossimi decenni:

Alcuni partecipanti al CompArte dicono che iniziò con la prima posizione del balletto, alzò e piegò la gamba destra, iniziando a roteare su sé stessa, questo movimento è chiamato “pirouette en dehors”, con relevés” e giravolte. Fu impeccabile, aggiunsero.

Il defunto SupMarcos disse che quello che aveva eseguito Difesa Zapatista non era altro che un Ushiro Mawashi Geri Ashi Mawatte, un movimento di arti marziali che si ottiene mettendosi di spalle all’obiettivo, facendo un giro di quasi 360 gradi che finisce con un calcio frontale con il tallone del piede.

Le insurgentas riunite nella cellula “Come Donne che Siamo”, da parte loro, dicono che il fiore raccolto da Difesa Zapatista era una liana conosciuta come “Chenek Caribe” i cui fiori sembrano pulcini o uccellini come quelli con cui le bambine più piccole giocano nelle comunità indigene della Selva Locandona. Il “Chenek Caribe” è solito fiorire nei terreni fangosi e acahuales, e indica quando la terra è pronta per la semina dei fagioli e del mais.

Il SupGaleano che, come sempre si infiltra in questi testi, dice che era chiaro che il Pedrito si sarebbe confuso con l’evidente; che, in effetti, Difesa Zapatista avrebbe tirato in basso e a sinistra, ma che Pedrito pensava al SUO in basso e a sinistra, ed il tiro fu sì in basso e a sinistra, ma dalla prospettiva della bambina.

Il Dottor Watson disse che quello che Difesa Zapatista aveva fatto era una breve emulazione della danza-meditativa Sema dei Dervisci dell’ordine Sufi, tale e quale a come la vide nel suo viaggio in Turchia, dove i danzatori ruotano su se stessi e si spostano, simulando il movimento dei pianeti nel cosmo.

Il detective Sherlock Holmes spiega che non fu né una né l’altra cosa, quello che ha fatto la bambina è stata l’applicazione della spiegazione scientifica dell’inerzia di rotazione di un corpo e l’applicazione della forza centrifuga del mondo. “Elementare, mio caro Watson” disse il detective perso nelle montagne del Sud-Est Messicano, “era chiaro che, dato il peso e la statura di Difesa Zapatista, avrebbe dovuto aumentare il più possibile la forza con cui colpire la palla, in maniera tale da dare al pallone la velocità e l’accelerazione necessaria per percorrere gli 11 metri. Chiaramente le possibilità che il colpo riuscisse erano del 50 e 50%. Come dire il portiere potrebbe muoversi dal lato opposto o dal lato in cui sarebbe andato il pallone, bloccandolo senza difficoltà”.

E il fiore?” chiese il Dottore Watson. “Ah”, rispose Sherlock, “questo, mio caro Watson, è il contributo della bambina e non è venuto in mente a me. Anzi, mi ha talmente sorpreso, così come ha sorpreso il bambino che giocava in porta. Con quello che ha fatto ha aumentato le possibilità che il portiere si buttasse verso la direzione in cui si trovava il fiore. È stato qualcosa che, chiaramente, non aveva nulla che vedere con la scienza, né con l’arte. Se mi permette, Dottor Watson, è come se lei fosse riuscita ad unire le due cose. Molto interessante, mio caro Watson, molto interessante”.

Dopo il casino, i “Tercio Compas” hanno intervistato Pedrito. Gli hanno chiesto la causa del gol ed il Pedrito ha riposto laconico:

“La colpa è del fiore”.

In Fede.

Guau-miau.

 

Traduzione a cura di 20ZLN e “Maribel” – Bergamo

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/27/la-culpa-es-de-la-flor/

 

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Sup Galeano: Acune prime domande.

pupazzi

Alcune Prime Domande alle Scienze e alle vostre Coscienze.

26 dicembre 2016

Scienziate e Scienziati:

Compas della Sexta:

Uditori e osservatori, qui e a distanza:

Buongiorno, buon pomeriggio, buona notte, e sempre buon risveglio.

Il mio nome è SupGaleano. Visto che ho poco più di 2 anni e mezzo di età, quello che prima si chiamava “curriculum vitae”, e ora si chiama il “mio profilo utente” è molto breve. Oltre ad essere insurgente e zapatista, ho varie professioni. Per esempio, una di queste è quella di perturbare le buone coscienze e risvegliare i più bassi istinti di quelle cattive, mostrando le mie evidenti e voluttuose forme seduttrici – che ho ottenuto con non pochi sforzi, grazie ad una rigorosa dieta ricca di tortilla ripiene di carne e burro fuso e cibo spazzatura a discrezione -.

Sono anche, mio malgrado e di non pochi lettori, l’amanuense involontario degli alti e bassi di un essere, mitologico per le persone maggiori di 12 anni, e di un’ovvietà esistenziale per qualunque persona appassionata di scienza e per qualunque bambino, bambina o bambinoa che si fregi di non preoccuparsi del calendario se non per giocare. Mi riferisco, chiaramente, a quell’entità la cui sola esistenza reale abbatterebbe il darwinismo sociale e biologico e segnerebbe la nascita di un nuovo paradigma epistemico: il gatto-cane. Forse, quando questa entità avrà abbandonato la prigione della parola, bisognerà separare la storia mondiale ed il suo calendario si ridefinirà con il “prima e dopo il gatto-cane”.

(Il Sup tira fuori due statuine del Gatto-Cane intagliate in legno e dipinte da mani insurgentes)

Inoltre mi dedico, a volte e su indicazione delle mie cape e dei miei capi, ad incoraggiare le teorie paranoiche dei complotti contro la sempre “rassegnata”, “abnegata” e ben educata sinistra istituzionale che, in mancanza di argomenti e proposte reali, si rifugia nel ruolo di vittima perenne, sperando che la pena si traduca in voti e che il fanatismo supplisca il raziocinio ed un minimo di decoro.

Un’altra delle mie professioni è quella di trasgressore di leggi come quella di gravità, quella della serietà e quella delle buone maniere.

Un’altra, che in questa occasione è quella che fa al caso, o cosa, a seconda, è quella dell’alchimista. In realtà, dovrebbe essere quella di scienziato, ma siccome non riesco ancora a trasformare l’essenza di una cosa nel suo contrario-contraddittorio, non mi hanno attribuito il livello che il mio lodevole lavoro meriterebbe. Ciononostante, nel mio laboratorio continuo a sperimentare con piante e provette sotto lo sguardo sempre critico del gatto-cane, tentando di annullare l’essenza di quell’aberrazione della natura che è la zuppa di zucca e di riuscire a tramutarla nel gustosissimo e nutritivo gelato alla noce che, insieme ai popcorn e alla salsa piccante, sono alcune delle poche cose che la scienza ha prodotto a beneficio dell’umanità e che ci differenziano, oltre al pollice opposto e nonostante la sottospecie Donald Trump, dai primati non umani.

E, per lo stesso motivo, tocca a me oggi cercare di farvi sentire, e non sapere, la gioia che proviamo, come zapatisti quali siamo, per il fatto che abbiate risposto positivamente al nostro invito e che, nonostante il calendario, abbiate trovato il modo e i mezzi per partecipare a questo incontro.

Come zapatisti vi aspettiamo da quasi 23 anni. Come popoli originari, beh, fate voi i conti con la scienza della matematica.

Naturalmente, molte, molti di voi direte che non è prima volta, che ci siete già stati, col corpo o cuore, ed avete ragione. Ci siete già stati, ma non come ci starete in questi giorni, cioè, essendo quello che siete per insegnare e, forse – è una supposizione – per imparare qualcosa da quello che siamo.

Noi, zapatiste, zapatisti, ora siamo qui come vostri alunni, vostri studenti, vostri apprendisti.

Anche se disposti ad imparare qualcosa di più, siamo alunne e alunni molto altre e altri. E per far sì che ci conosciate come zapatisti, inizieremo dicendovi quello che non vogliamo e ciò che vogliamo sapere.

Ad esempio, non vi aiuteremo a portare i libri o a preparare bibliografie, e neppure a procurarvi materiali da laboratorio. Neanche ci aspettiamo che non veniate a fare lezione così che possiamo marinare scuola. Non stiamo cercando un buon voto, o il diploma in una materia, o un titolo, o, terminati gli studi, di metterci in affari con la scienza o la pseudoscienza, o la falsa scienza nascosta dietro un foglio di carta con un timbro ufficiale.

Non aspiriamo a lucrare attraverso la conoscenza, né a ottenere ricchezza e prestigio offrendo le perle di vetro che sono le pseudo-scienze e le filosofie del “cambiamento risiede in sé stessi”, “l’amore riscatterà il mondo”, “questa pozione-partito-politico-leader-d’occasione-vi-porterà-la-felicità”, che diventano alla moda o no in tempi di crisi, quando il meno comune dei sensi, il senso comune, è sconfitto dall’offerta di soluzioni magiche per tutti e per tutto.

Non concepiamo la conoscenza come un simbolo di uno status sociale o strumento d’intelligenza. Si vede ormai che chiunque può laurearsi previo accreditamento della materia di plagio, o può sostenere di avere soluzioni reali grazie alla sempre più consunta magia dei mezzi di comunicazione di massa.

Non vogliamo andare all’università, vogliamo che l’università nasca nelle nostre comunità, che insegni e impari con la nostra gente.

Non vogliamo andare nei grandi laboratori e centri di ricerca scientifica delle metropoli, vogliamo che siano costruiti qui.

Vogliamo che, invece di caserme di eserciti e polizia, di miniere a cielo aperto e alberghi di lusso, siano costruiti, sotto la nostra direzione e operazioni collettive, osservatori astronomici, laboratori, seminari di fisica e di robotica, punti di osservazione, di studio e conservazione della natura, e persino un Grande Collisore di Adroni (LHC) o qualcosa che permetta di liberare il Gravitone dall’ipotetica prigione di particelle idem, ed incominciare così a stabilire, una volta per tutte, se i fisici che sostengono la Teoria delle Stringhe sono solo membri di un neo culto fallito o di un gruppo di scienziati paradigmatici.

Vogliamo scuole per la formazione di scienziati, non laboratori scuole mascherati che insegnano commercia solo il lavoro al servizio del capitalismo (manodopera a basso costo e poco qualificata), o che servono solo per passare il tempo e malgoverni eretti o che aspirano ad essere, dicono che hanno fatto nuove scuole o istituti.

Vogliamo che vengano costruite scuole per la formazione di scienziati, non laboratori mascherati da scuole, che insegnano unicamente lavori al servizio del capitalismo (manodopera a basso costo e poco qualificata), o che servono solo per passare il tempo e che i malgoverni, o chi aspira ad esserlo, dicano che hanno fatto nuove scuole o istituti.

Vogliamo studi scientifici, non solo tecnici.

Non vogliamo solo saper guidare o riparare un veicolo, una macchina da cucire, uno strumento di falegnameria, un microscopio; vogliamo anche sapere quali sono i principi scientifici dei movimenti meccanici e della fisica ottica, e cosa sia la combustione; vogliamo sapere che l’accelerazione e la velocità non sono la stessa cosa, così come non si deve confondere il valore con il prezzo.

Non vogliamo entrare in competenze scientifiche e tecnologiche, quelle che entusiasmano tanto le università pubbliche e private, per vedere quale macchina e quale macchinista siano i migliori; vogliamo imparare e fare scienza e tecnologia per vincere l’unica competizione che valga la pena: quella della vita contro la morte.

Non vogliamo andare nelle grandi città e perderci. E non per mancanza di conoscenze (le nostre figlie e i nostri figli che si sono formati nelle scuole autonome hanno un livello di conoscenza maggiore di quelli che sono stati educati nelle scuole ufficiali), non per mancanza d’intelligenza, né per mancanza di salario.

Non vogliamo smettere di essere ciò che siamo. E siamo popoli originari, indigeni dicono. E ciò che ci rende quello che siamo è la nostra terra, la nostra gente, la nostra storia, la nostra cultura e, come zapatisti, la nostra lotta.

In breve, vogliamo capire il mondo, conoscerlo. Perché solo se lo conosciamo, saremo in grado di farne uno nuovo, più grande, migliore.

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Un vecchio conoscitore dei popoli originari, di sangue purépecha, di geografia messicana e internazionalista nel cuore, il Grande Tata Juan Chávez Alonso, una volta ha detto che la vita nelle comunità indigene era, tra le altre cose, una preparazione continua. “Dobbiamo prepararci a tutto: a nascere, a crescere, ad amare, a odiare, ad imparare, a costruire, a distruggere, a combattere, a morire. E alla fine, questo è quello che lasciamo davvero a coloro che verranno. Non gli lasciamo in eredità ricchezze, cognomi, cariche. Gli lasciamo solo l’insegnamento che bisogna prepararsi. Per tutto, costantemente, ovunque”.

Ed è per questo che dovete sapere che, da mesi, ci siamo preparati per questi giorni.

Non veniamo di fronte a voi così, giusto per vedere cosa dite, come siete, quali sono i vostri modi, il vostro tempo, la vostra geografia.

No, anzi è da tempo che ci stiamo preparando.

Perché il dubbio che ci muove, la curiosità scientifica, l’entusiasmo di imparare, viene da molto lontano, così tanto lontano che i calendari scientifici non riescono a tenere il conto.

Per esempio, abbiamo preparato de domande.

Perché lo sappiamo bene che, come chi insegna si deve preparare per insegnare, così noi che non sappiamo dobbiamo prepararci per imparare.

E sappiamo anche che, così come bisogna studiare per dare risposte, allo stesso modo bisogna studiare per fare domande.

E non è stato facile. Perché per esempio, abbiamo dovuto studiare come si scrivono e si pronunciano parole come “anabolizzanti”, “salnuterolo”, “clenbuterolo”, “preeclampsi” e “eclampsia”; abbiamo dovuto sapere che si dice “il” mioma e non “la” mioma; abbiamo dovuto cercare la maniera per spiegarvi questa cosa “dell’esplosione del pesce”; e così altre cose che vediamo nel nostro mondo di indigeni quali siamo.

Ci siamo riuniti molte volte. Prima è stata riunita un’assemblea di zona. Lì sono stati eletti quelli che parteciperanno a questo incontro, a seconda della loro area, se sono promotori/e di salute, di educazione, di agroecologia, di piante medicinali, di radio comunitarie, di levatrici/tori e osteopati/e, etc. Non importa se giovani/e o anziani/e, non importa se hanno 15 anni o 524 anni. Una cosa pero sì, che capiscano il castigliano per poterci capire a vicenda. E, ovvio, che gli interessi la scienza.

Poi le compagne e i compagni che siamo stati selezionati, ci siamo riuniti varie volte per preparare le domande. Le prime domande e le più importanti che ci siamo fatti sono: cosa gli andiamo a chiedere a queste sorelle e a questi fratelli scienziati? Gli faremo domande solo su quello che sanno della loro scienza? O gli chiederemo anche come vedono la situazione, se la vedono cazzuta o tranquilla? Gli chiediamo di come vedono il loro lavoro di scienza? Gli domandiamo di come lottano per la giustizia e la libertà?

Quindi, in queste riunioni, abbiamo preparato alcune di queste domande che vi leggeremo. Come vi accorgerete, molte di queste domande non corrispondono alle scienze esatte e naturali, così vi farete un’idea di quale sarà il prossimo incontro. Seguono le domande:

Gli OGM danneggiano madre natura e gli esseri umani o non li danneggiano?

C’è una spiegazione scientifica del perché, in alcune regioni, nelle trincee dove in tempo di siccità non c’è acqua, all’inizio delle prime piogge (nei mesi di maggio e giugno), scoppia la produzione di pesce? Da dove verrebbero questi pesci se non ci fosse stata l’acqua? Questo è ciò che noi chiamiamo “pesce che esplode”.

Vediamo se riesco a chiarire un po’ di più questa domanda. Molti anni fa, diciamo circa 30, verso metà del 1986, eravamo in montagna…

1986, quando l’ezetaellenne era già stato sconfitto dalle comunità, ma ancora non lo sapevamo, né loro né noi…

1986, quando là fuori Michael Jackson era ancora di carnagione afroamericana…

1986, quando il Partito Verde Ecologista del Messico, il partito Movimento Cittadino, il Partito del Lavoro, il Partito della Rivoluzione Democratica e il partito Movimento di Rigenerazione Nazionale, si chiamavano ancora Partito Rivoluzionario Istituzionale e avevano Carlos Salinas de Gortari come delfino successore, la cui politica economica, oggi, approverebbero tutti, e il Partito Nuova Alleanza e il Partito Incontro Sociale si chiamava ancora Partito di Azione nazionale.

(Decenni più tardi, l’ezetaellenne ha già ammesso la sconfitta e ha un’altra struttura, Michael Jackson, anche se con un altro colore, è rimasto Michael Jackson; e il PRI e il PAN restano gli stessi, anche se di altri colori)…

A metà del 1986, quando poche settimane dopo, durante i mondiali di calcio, questo derviscio, questo “intermediario tra cielo e terra”, chiamato Diego Armando Maradona, partendo dal centrocampo, seminò e lasciò impalati tutti i giocatori inglesi che si trovò di fronte, fino a quando, finalmente sazio, insaccò il pallone in rete con una giocata che segnò il XX secolo e ancora fa sì che i vecchi fan si dicano, guardando i giochi fantasiosi si Lionel Messi, “bah!, ho visto Maradona provare scientificamente che dio esiste ed è tondeggiante”.

Ok, questo non sembrava molto ortodosso da dire.

Dunque, 1986, allora stavamo in un accampamento insurgente chiamato “Reclutas”. Un gruppo di suddetti chiese al comando l’autorizzazione di andare in un vicino villaggio a raccogliere del pesce. “Sarà a pescare”, disse loro il comandante. “No”, dissero, “a raccogliere, perché è il momento che il pesce salta”. Il comandante volle sapere di cosa si trattava e gli dissero: “il torrente è asciutto, la prima pioggia fa saltare il pesce, non c’è acqua, così lo afferri”. “Ma sono pesciolini?”, domandò scettico il comandante. “No, sono grandi, già pesci, sardine o bobito”, gli risposero. Il comandante disse “La magia non esiste, ma andate pure”. Il giorno dopo tornarono con un sacco pieno di pesce fresco. Quella sera mangiammo talmente tanto brodo di pesce che gli alberi che coprivano l’accampamento si coprirono di una luce fluorescente che avrebbe potuto essere vista senza problemi dal telescopio spaziale Hubble.

In sintesi: basta un alveo asciutto, una prima e timida pioggia e, nel letto appena umido e segnato da qualche pozzanghera, migliaia di pesci adulti saltano sconcertati e con lo stesso sguardo diffidente che ora avete voi. Quale è la spiegazione scientifica? Fine del chiarimento ozioso. Proseguo con le domande:

Quando c’è un paziente o una paziente che presenta una frattura ossea, il medico amputa la parte colpita o gli mette un ferro (chiodo). Ma se questo paziente viene trattato da una/un hueser@, guarisce. Quale è la spiegazione di questa situazione?

I cibi chimici, inscatolati, imbustati, imbottigliati, danneggiano o no la salute? Sono le sostanze che danneggiano o che provocano danni alla salute oppure questi generi alimentari non sono affatto dannosi?

Quale è la spiegazione scientifica, se le medicine chimiche curano una malattia, ma danneggiano altre parti dell’organismo? Si può fare in modo scientificamente che la medicina chimica non danneggi ma che soltanto ti curi la parte colpita?

È provato scientificamente quali fra tutti gli erbicidi chimici danneggiano di più e quali danneggiano di meno?

Come avere la conoscenza scientifica per conoscere e migliorare la produzione, quali sostanze organiche sono necessarie?

Quale è la spiegazione scientifica del perché esistono il nervosismo, la paura ed il coraggio?

Perché ci sono nuvole nere e nuvole bianche?

Ha qualche spiegazione scientifica il fatto che quando sogniamo qualcosa, poi si realizza nella realtà?

Esiste o c’è una spiegazione attraverso lo studio scientifico della telepatia?

Che spiegazione scientifica c’è della relazione che esiste tra il movimento della luna e la semina di semi, alberi da frutto? E così anche nel taglio di un albero da costruzione, e perché non ne risenta ugualmente il taglio della palma per il tetto della casa. Che relazione ha la luna con i movimenti della terra; che spiegazione scientifica c’è?

Per chiarire: la palma che servirà per coprire il tetto, ed il legno che sarà trave e traversa nelle capanne, si devono tagliare quando c’è luna piena (noi diciamo “luna massiccia”). Se tagli quando non è luna piena, la palma ed il legno si riempiono di vermi e marciscono.

Quale è la spiegazione scientifica per calcolare l’anno di costruzione dei resti archeologici?

Quale è la spiegazione scientifica dei lampi, dei tuoni, ecc.?

Di che cosa si compongono o come sono formati, di quali sostanze, le risorse minerali che sono dentro la terra come l’oro, l’argento, il petrolio, ecc.?

Che spiegazione scientifica c’è quando alcuni animali come il gallo, il saraguato, o la chachalaca cantano ed annunciano alcuni fenomeni o cambiamenti nella madre natura?

Che spiegazione scientifica c’è del russare di alcune persone e quale è la cura?

Come è scientificamente studiato che gli alimenti confezionati, imbottigliati prima della loro scadenza non subiscano qualche cambiamento che danneggi la salute delle persone?

Hanno fatto studi scientifici su come i nostri antenati studiavano il movimento degli astri?

Quale è la spiegazione scientifica del perché si verificano i terremoti?

Quale è la spiegazione scientifica della formazione dei vulcani e di quali sostanze sono composti?

Quale è la spiegazione scientifica del perché sorge il vento, di come si formano i tornado e gli uragani, i cicloni, e che cosa sono?

Quale è la spiegazione scientifica del fatto che quando si presentano le malattie (la peste) degli animali da cortile, le galline muoiono mentre alle papere non succede niente, perché accade questo? Ma se le galline stanno insieme a pecore e conigli, non gli succede niente. Quale è la spiegazione scientifica? E se la peste si presenta molto forte, nonostante tutti i vaccini o le medicine (la stessa cosa succede al bestiame), anche così, tutte le galline si ammalano e muoiono; quale è la spiegazione scientifica?

Quale è la spiegazione scientifica che alcuni animali vedono molto bene nell’oscurità ed altri no, e perché noi persone possiamo vedere solo di giorno o con la luce?

Quando nasce un bambino e solo il suo cuore batte, è vivo ma il corpo è verdastro, morto, è immobile, se allora in un recipiente con acqua bollente si immerge la placenta del bambino senza tagliare il cordone ombelicale, il bambino comincia a riprendersi mentre la placenta si disintegra nell’acqua bollente. Anche se la placenta si brucia completamente, il bimbo si riprende; quale è la spiegazione scientifica?

Quale è la spiegazione scientifica di quando le persone si ammalano e diventano pazze, e questa malattia si sviluppa a 12, 20, 30 anni?

L’acqua salata e sulfurea che si trova in alcuni torrenti o sorgenti, scientificamente che utilità ha per l’umanità?

Scientificamente, è necessario vaccinarsi e perché, o ci sono mezzi e/o modi per sostituire i vaccini con altre cose? Per esempio, per le malattie come la pertosse, il morbillo, il vaiolo, il tetano, ecc.

Come si spiega scientificamente come si forma l’arcobaleno, perché si dice che ha 7 colori e quale è la sua funzione?

In caso di gravidanza, come si determina che sono gemelli, trigemini, ecc.? Quale è la causa e perché succede questo? E perché nel momento della fecondazione è maschio o femmina? Quale è la spiegazione scientifica?

Noi sappiamo che le api svolgono un ruolo importante nell’impollinazione delle piante e dei fiori per la fecondazione e la riproduzione, quindi che cosa succede nelle serre dove i fiori germogliano ma non c’è l’impollinazione, come si spiega scientificamente?

È spiegato scientificamente se è vero che l’uso dei telefoni e dei cellulari fa male a causa delle onde elettromagnetiche, quale è la potenza minima e massima e quale è il rango di frequenza? Un ripetitore di segnali telefonici e mobili, che potenza minima o massima trasmette o ritrasmette, fa male o non fa male? Le stazioni radio in onda corta, AM, FM e la TV fanno male per le radiazioni delle onde? Quale è il range di frequenza delle micro onde dei collegamenti radio (FM) e dei microonde domestici, le radiazioni provocano danni?

Si spiega scientificamente quale è la velocità della luce del sole e che differenza c’è con la luce artificiale?

Scientificamente che metodi o formule si applicano per misurare le distanze in longitudine e altitudine?

Scientificamente, a che altezza minima e massima vola un aeroplano a differenza di un elicottero?

Scientificamente, che metodi si usano per calcolare il diametro di un pallone, imbuto e trasformarlo in quadrato?

Scientificamente, quale è il diametro, il volume ed il peso del globo terracqueo?

Scientificamente, esiste la fine dei numeri interi o decimali?

Scientificamente, in che cosa consiste la scienza più esatta che è la matematica? Quando e dove è nata la matematica e chi l’ha scoperta?

Scientificamente, l’uomo deriva dalla scimmia?

Scientificamente, che sostanze contengono il vino e l’alcool e che effetti hanno sull’essere umano?

Scientificamente, è studiato che le sostanze che contengono anabolizzanti, salbutamolo e clenbuterolo, e quello che si usa per ingrassare il bestiame, i polli, i maiali, non danneggiano la salute umana?

Scientificamente, è studiato se i metodi di pianificazione famigliare (per esempio, gli ormoni) danneggiano la salute delle donne?

È studiato scientificamente perché le radioterapie e chemioterapie (ed altre) curano alcune parti malate del corpo umano, ma provocano altri danni?

Scientificamente, è studiato quali danni provoca l’incrocio attraverso l’impollinazione dei semi transgenici con i nativi? Che danni provoca all’ambiente (alberi da frutta, fiori, api)?

La scienza ha scoperto come proteggere i semi nativi e l’ambiente dall’inquinamento dei nuovi semi transgenici?

Scientificamente, è provato che il fluoro in gel, dentifrici, fluoro nell’acqua aiuta ad avere uno smalto resistente all’attacco della carie, ma c’è un articolo che si intitola “le bugie del fluoro” che dice è causa di indici elevati di cancro, carie, fluorosi dentale, osteoporosi ed altri problemi alla salute. Quale è la verità?

Se la coppia ha due tipi di sangue differente, c’è qualche problema o conseguenza sulle persone?

Perché si verificano la gestosi e la eclampsia? Come le si può prevenire nella donna incinta?

Le ricerche scientifiche sulla malattia di Chagas che è provocata dalla cimice americana, sono state sospese nel 1989 perché considerata non redditizia perché colpisce solo le comunità più povere. La ricerca è continuata? Esistono medicine per combatterla?

Scientificamente, si può spiegare che cosa contengono i raggi dal sole della mattina e della sera per far sì che aiuti il corpo di un neonato prematuro per il suo sviluppo, e, in confronto all’incubatrice, che cosa fa o che cosa contiene l’incubatrice?

Spiegare scientificamente perché la mancanza del linguaggio tecnico delle differenti scienze impedisce la formulazione di concetti precisi su oggetti fondamentali per il bene della terra o dell’umanità?

Scientificamente, è studiato che i detergenti ed i profumi non danneggiano la salute e la natura, e che sostanze contengono?

Ci sarà una spiegazione scientifica del perché quando una persona si spaventa, diventa pallida, gli cadono i capelli, dorme molto o qualche funzione del suo corpo si destabilizza?

Ci sarà una spiegazione scientifica sull’usura dei due poli? Dicono che è il riscaldamento globale, altri dicono che è ciclica, quale è la verità?

Scientificamente è dimostrato che si fanno trapianti di organi; perché non di ossa?

Con gli studi sul genoma umano, quali malattie possono essere prevenute e curate, e quali sono le conseguenze se ce ne sono?

Dicono che, utilizzando computer, cellulari, tablet ed altri apparecchi, entrando in internet automaticamente entrano nei nostri dati e archivi. Scientificamente è vero o no, e se è vero, come possiamo evitare che questo succeda?

Lo sviluppo della mente delle/dei bambin@ è diverso da quello degli adulti, come si spiega scientificamente questo cambiamento e che cosa possiamo fare per mantenere e migliorare il buon funzionamento del cervello?

Quali sono le cause delle malattie specifiche della donna, come i tumori o cancro all’utero, cancro al seno, cisti ovariche, fibromi uterini? Come prevenirle o curarle?

Quali sostanze tossiche contengono gli assorbenti femminili, i pannolini, i bendaggi, ecc., e come colpiscono la salute della donna e delle/dei bambin@?

Scientificamente i può provare che esiste del soprannaturale nelle persone o in alcune persone?

Perché in questi tempi è aumentato il numero di bambini che nascono con deformazioni fisiche, senza braccia, senza piedi, ecc.? Come si spiega scientificamente?

Scientificamente è dimostrato che si possono già clonare le persone e gli animali?

Le lenti graduate utilizzate per vedere meglio quando si perde la vista per differenti cause, è studiato scientificamente se causano danni al cervello delle persone che le utilizzano?

Con i grandi progressi scientifici e tecnologici, c’è qualche conseguenza negativa sull’intelligenza degli esseri umani?

Quale è la spiegazione scientifica dell’invecchiamento?

Quale è la spiegazione scientifica del fatto che ci sono cervelli rapidi a capire, altri meno, altri molto lenti ed altri per niente?

Come ci consigliano, è possibile che noi possiamo imparare ad utilizzare strumenti e macchine di laboratorio per migliorare la terra e produrre medicine?

Bene, queste sono alcune delle domande facili. Ora alcune che, forse, potrebbero mettervi in qualche difficoltà:

Scientificamente, avete studiato se tutti i vostri lavori, come scienziati quali siete, un giorno daranno beneficio al popolo?

Che cosa dite quando di quello che avete inventato o creato con la scienza, che è stato fatto per avere più conoscenza e per il bene del popolo, poi qualcuno lo devia o lo utilizza per un altro fine, per esempio, per le bombe atomiche, o per tutti i residui che inquinano tanto la madre natura?

Scientificamente, avete studiato se è possibile realizzare costruzioni senza danneggiare la madre natura, come hanno fatto i nostri antenati?

Scientificamente la Madre Terra ha organi e difese come gli esseri umani? Perché l’essere umano, se ha un parassita che gli fa male, ha le sue difese per eliminare quel male. Non sarà che la Terra ha il parassita Capitalismo e si difende da quel male?

Quale è la spiegazione scientifica del fatto che la stessa madre natura ha reazioni forti o che ha subito cambiamenti? Per esempio: il mare che continua a mangiare sempre più terra, ecc.

Perché gli scienziati inventano cose che sanno che fanno danni, o è che si inventa e non si sa se fa danni o no?

È scientificamente studiato quello che dicono che è la cappa di ozono (atmosfera) è rotta? E dicono che per questo danno ci sono molte piaghe, e dunque come si cura? Che cosa o chi l’ha danneggiata o a la sta danneggiando? E si è fatto uno studio scientifico se è possibile ripararlo o è un danno definitivamente irreparabile?

Sapendo che il mondo è in un processo di disumanizzazione, come scienziati, quale analisi o quali studi scientifici avete fatto o state facendo per il futuro dell’umanità?

Avete studiato scientificamente se avete sotto il vostro controllo la scienza scientifica che avete?

Esiste la dimostrazione scientifica che le malattie (la peste) degli animali sono artificiali o naturali?

C’è uno studio scientifico che dice che cosa succede una volta che le risorse naturali (oro, argento, petrolio, uranio, barite, ecc.) si esauriscono? C’è studio scientifico che dice se quando finisce tutto, c’è un altro modo per sostituirlo? Ed in quanto tempo si recupera, se si recupera? Scientificamente ci potete dire se causa danni o no alla madre natura estrarre ognuna di queste ricchezze?

Herman@s cientific@s, nei vostri lavori, studi scientifici, quando fate i vostri esperimenti, ecc. da scienziati quali siete, condividete le vostre conoscenze, create, sperimentate in squadra o in collettivo, o ognuno da sé, individualmente come competenza? Allora, è possibile condividere in squadra, dare lezione in laboratori, fare formazione ad altre persone?

È giusto che altri brevettino tutte le conoscenze naturali dei popoli originari?

Scientificamente, avete studiato se, se voi come scienziat@ non esisteste, forse non esisterebbero i ricchi?

Ci sono scientificamente studi che dimostrino che si può vivere senza il capitalismo?

Quale è la spiegazione scientifica o non scientifica del perché si è inventato il denaro?

Che spiegazione scientifica c’è e che sicurezza c’è che un giorno le macchine sostituiranno l’umanità (cioè le persone)?

Che spiegazione scientifica c’è per spiegare che gli specialisti medici non sono in grado di occuparsi di un normale parto perché quando il bambino è in una posizione anomala, fanno un cesareo, mentre le levatrici tradizionali lo mettano in posizione per farlo partorire con un parto normale? Come pure quando il bambino ha il cordone ombelicale intorno al collo, il medico fa un cesareo e, invece, la levatrice lo riposiziona e fa fare un parto normale.

Scientificamente, perché e per che cosa sono state create le banche, quale è la funzione scientifica di una banca e quali sono i suoi segreti?

Scientificamente ci sono o ci saranno spiegazioni sul perché i paesi poveri non possono pagare il debito estero o c’è una spiegazione sul perché non pagano questo debito?

Scientificamente, potete spiegarci i principi del neoliberismo?

Quali sono i principi etici della scienza?

Con la scienza matematica si può arrestare lo sterminio della madre terra, altrimenti, chi può farlo?

Scientificamente, perché ci sono solo pochi ricchi e milioni di poveri?

Ci sono studi scientifici che, e come, stanno distruggendo madre natura in modi che non vediamo e non conosciamo?

Quale è la spiegazione scientifica del fatto che i grandi imprenditori vogliono essere i proprietari del mondo distruggendo l’umanità e madre natura?

Sapendo che la petrolchimica fabbrica la maggior parte dei prodotti che usiamo e che sono tossici. Perché continuano a fabbricarli?

Come scienziati, avete creato qualcosa che non distrugge, che non è dannosa che altri invece usano come merce, e che però ora si sa che è dannosa. Cosa pensate ora, come pensate di continuare e con chi continuare?

Ci sono studi scientifici sul fatto che noi popoli originari distruggiamo madre natura o ci sono studi scientifici che provano che sono gli altri che stanno distruggendo l’umanità e madre natura o chi è che la danneggia?

Vedete come necessario e urgente unire la scienza con gli sforzi e le conoscenze organizzate dei popoli originari in resistenza e ribellione per la difesa della vita, della salute e Madre Natura?

Considerando le vostre esperienze come scienziati, quale è il miglior modo di insegnare le scienze ai/alle bambini/e, ai/alle giovani delle scuole autonome e ai popoli per preparare le future generazioni, e sareste disposti a condividere collettivamente le vostre conoscenze?

Scientificamente è già stato comprovato che l’energia solare può muovere le macchine, le auto e sostituire gli idrocarburi e, se è così, perché non sono stati ancora sostituiti?

Scientificamente si può prevedere quanto tempo di vita rimane al pianeta terra? E si può prevedere quanto tempo di vita rimane al capitalismo?

Esiste una qualche spiegazione scientifica del perché esistano certi valori monetari, per esempio, il dollaro, l’euro, a differenza del peso e in cosa consistono i limiti di produzione del denaro di ciascun paese?

È stato studiato scientificamente se non è una tragedia che dove i capitalisti fanno la guerra uccidono persino gli animali senza conoscerne il perché, e che cosa ne pensate voi di questo?

Cosa pensano gli scienziati del fatto che la scienza viene utilizzata e controllata dai militari per la costruzione di armi sofisticate e cosa si può fare per arginare la corsa agli armamenti?

È vero che esistono le scienze occulte e su cosa si basano?

C’è una spiegazione scientifica del comportamento umano? Per esempio, c’è una spiegazione scientifica del comportamento dei fottuti capitalisti che sono tanto maledetti e non ne hanno mai abbastanza? È forse che hanno qualcosa nella testa, cioè nel loro cervello, o è che quanto più assassinano e distruggono, più sono contenti?

Scientificamente ci potete spiegare perché il capitalismo prepara delle crisi ogni tot di tempo per riattivare la sua economia?

Con tutti i danni che provocano i capitalisti al popolo con il cattivo uso della scienza, scientificamente si può creare una scienza veramente umana per non cadere in una scienza inumana, e, se si può creare veramente umana, e chi la può creare?

Noi con la nostra lotta di liberazione vediamo e sentiamo la realtà che provoca l’idra capitalista e dobbiamo fare qualcosa, per questo stiamo creando una nuova società e un mondo nuovo, per salvare la natura per il bene dell’umanità dove non ci sia giustizia, disuguaglianza, sfruttamento e miseria. Per questo abbiamo bisogno dell’unità dei popoli originari, di tutti gli sfruttati, gli artisti e voi come scienziati. Perché le invenzioni e le vostre scoperte sono molto importanti per lo sviluppo dell’umanità. Cosa ne pensate e cosa ne dite al riguardo?

Sorelle e fratelli, compagni/e scienziati/e, a voi che siete diversi nelle conoscenze ma che siete con noi in altri settori, perché il capitalismo continua a sfruttarci e a usare male le nostre conoscenze. Cosa pensate, continuiamo a permettere lo sfruttamento oppure c’è un’altra maniera di vivere in giustizia e libertà, ci sarà maniera di lavorare con unità e collettivamente, difendere la vita e l’umanità?

Sorelle e fratelli, compagni/e scienziati/e, lo sfruttamento e il maltrattamento dell’essere umano e della natura ha provocato molta sofferenza e morte, vorremmo che gli sfruttatori e alcuni che non soffrono come soffriamo e moriamo noialtri, si mettano al nostro posto. Questo ci ha portato a pensare che bisogna fare qualcosa e chi sono indispensabili per questo. Abbiamo concluso pensando che artisti, scienziati e i popoli originari con quelli che stanno in basso, uniamo la nostra saggezza e cominciamo a costruire un mondo nuovo dove quelli che ci vivono, vivano bene. Sareste disposti voi a prendere parte alla costruzione del nuovo mondo insieme a noi?

Sorelle e fratelli, compagni/e scienziati/e, noi come zapatisti/e pensiamo che la scienza in sé sia una serie di conoscenze che potrebbero aiutarci a sviluppare un sistema più’ umano, dove i nostri sogni di unità e conservazione di madre natura e degli esseri viventi siano possibili. Allo stesso tempo distruggeremo più in fretta il mostro capitalista. Quindi i vostri sogni, le vostre conoscenze, la vostra scienza, trova posto nel mondo dell’oppressione? Nel saccheggio, nell’orrore, nella paura e nello sterminio della vita, trovano posto i vostri sogni? Credete che la scienza si possa umanizzare collettivamente con i popoli della campagna e della città?

Sorelle, fratelli, compagne, compagni, scienziate, scienziati, cosa pensate delle donne sfruttate, manipolate, marginalizzate, assassinate, torturate, sequestrate, discriminate per il colore della pelle, ci usano come oggetti per fare promozione alle mercanzie del capitalista, ci usano come pubblicità, per la propaganda e il traffico di droghe, ci usano per ottenere soddisfazioni sessuali, ci prostituiscono per ottenere vendite di articoli per arricchirsi? Perché vediamo con dolore la violenza e la morte che di giorno in giorno subiscono migliaia di donne nel mondo, e non solo sentiamo dolore, ma rabbia e coraggio.

Ad esempio, noi, come donne zapatiste, stiamo esercitando il nostro diritto e la nostra libertà di partecipare al nostro governo autonomo del comandare ubbidendo, abbiamo visto che si tratta per noi di uno spazio per costruire una nuova società. Cosa pensate, come scienziate, di potervi liberare di tutte queste sofferenze e queste malvagità, alle quali ci sottopone il sistema capitalista, cosa possiamo fare noi e voi? Perché senza noi donne il mondo non vive, per quanto tempo dobbiamo aspettare, come donne, di essere libere, è ora o mai più? Noi, come donne zapatiste, vediamo che è possibile organizzarsi, lottare e lavorare, e vediamo che voi e noi abbiamo bisogno le une delle altre.

-*-

E, per concludere questa sezione, vi pongo due domande. La prima è stata aggiunta dal Subcomandante Insurgente Moisés:

Quale è la spiegazione scientifica del perché viene sonno alle ed agli insurgentes quando comincia il dibattito politico? Anche se dicono che non riescono a dormire, appena comincia il dibattito politico riescono persino a russare, c’è una spiegazione scientifica o fanno i finti tonti?

La seconda troverà il suo senso durante la prossima sessione:

Perché questo fiore è di questo colore, perché ha questa forma, perché ha questo profumo?

-*-

(Il Sup tira fuori i pupazzi di Einstein e Sherlock Holmes, li mette al centro, a fianco di un paio di figure del gatto-cane)

Come ogni alchimista che si rispetti, provo un misto di invidia e ammirazione per coloro che, senza trascurare i problemi mondani di ingiustizia e schiavitù, fanno scienze toste (come Albert Einstein, qui presente) e per quelli che riescono ad andare oltre l’universo astratto e applicare le scienze per la ricerca della verità e della giustizia (come il detective e consulente Sherlock Holmes). Einstein e Holmes, rappresentano entrambi l’impegno del loro che fare scientifico e tecnico con la trasformazione sociale. Entrambi ci ricordando che, come ha osservato in precedenza il compagno Subcomandante Insurgente Moisés, non possiamo delegare ad altri il compito che ci spetta in quanto esseri umani completi.

Perché, anche se io sono solo un mediocre alchimista, voi che avete fatto del che fare scientifico il vostro motore e la vostra meta, sarete d’accordo con me e con il plurale che qui si annida, e che con voi si ritrova, che è qualcosa che dobbiamo fare. E che questo qualcosa non ha nulla a che fare con l’irresponsabilità di delegare ad altri la responsabilità di fare qualcosa.

Naturalmente, direte che io baro. Che, mettendovi davanti le figure di Albert Einstein e di Sherlock Holmes, ricorro a un ricatto grezzo e caricaturale per costringervi ad aderire a una proposta politica che aspira all’egemonia e all’omologazione di tutto quanto: le scienze, le arti, la vita.

Potrebbe essere, e invece no. Lasciamo da parte per un momento i ricatti, piuttosto tipici del romanticismo adolescenziale e della politica dall’alto che si riempie la bocca di “amore” e “fratellanza” mentre milita per il disprezzo, il razzismo, l’intolleranza e il “o con me o contro di me”, che ogni proposta fascista presuppone.

Guardate che ho messo, accanto ad Einstein e a Holmes, le figurine del Gatto-cane. Guardando, allo stesso tempo, sia questa coppia che voi.

Il Gatto-cane nelle veci del Dottor Watson, pronto a raccontare le loro gesta scientifiche, cioè, umane.

Ma anche il gatto-cane che segna le ombre di Moriarty e del Progetto Manhattan, avvertendovi della presenza minacciosa e predatrice della Idra, il sistema sempre pronto ad operare la sua alchimia perversa e trasformare la conoscenza della vita e della creazione nella conoscenza per la distruzione e la morte.

Quindi, più che un ricatto, sto rappresentando quello che è questo incontro tra la vostra scienza e coscienza e noi zapatisti.

Sto mostrando che vi guardiamo e il nostro sguardo è anche un modo di ascoltarvi e insegnarvi.

Il nostro sguardo ha quel misto di ammirazione e invidia per quel che siete; quello che, almeno per noi, zapatiste, zapatisti, vi rende speciali.

E il nostro sguardo non sta sperando né disperando.

I nostri occhi vi stanno semplicemente chiedendo:

Il nostro sguardo vi sta semplicemente chiedendo:

E voi che fate?

 

Dal CIDECI-Unitierra, Chiapas, Messico, America Latina, Pianeta Terra, Sistema Solare, eccetera.

SupGaleano

Messico, 26 dicembre 2016

Traduzione @20ZLN e “Maribel” – Bergmo

Testo originale

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Il racconto di @20ZLN.

 

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Il racconto e i video di #20ZLN:

 

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Parole di apertura dell’Incontro “L@s Zapatistas e le CoScienze per l’Umanità”.

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Parole della Comandancia Generale dell’EZLN a nome delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani zapatisti all’Inizio dell’Incontro “L@s Zapatistas e le CoScienze per l’Umanità”

Buongiorno.

Compagne, compagni del Messico e del mondo:

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo:

Anzitutto, a nome delle compagne e dei compagni Basi d’Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ringraziamo le compagne e i compagni del CIDECI, che ci hanno nuovamente concesso questi spazi, permettendoci di incontrarci qui, popoli originari zapatisti e scienziati, per cominciare a guardare e camminare verso cosa fare nel mondo in cui viviamo che il capitalismo sta distruggendo.

Ringraziamo anche le compagne e i compagni che hanno lavorato per le iscrizioni e la coordinazione di questo evento.

Ringraziamo anche le compagne e i compagni del gruppo d’appoggio per i trasporti.

In anticipo ringraziamo le compagne e i compagni, gruppi e collettivi, per lo sbattimento che si sono sorbiti per permettere la realizzazione di questo incontro. Grazie mille.

Per noi, zapatiste e zapatisti, oggi è iniziato il nostro lungo cammino, alla ricerca di quelle altre e quegli altri con cui pensiamo di avere la grande responsabilità di difendere e salvare il mondo in cui viviamo, arti e artisti, scienze e scienziati e popoli originari con coloro che stanno in basso nel mondo intero.

Perché una manciata di persone chiamate “neoliberiste capitaliste” hanno deciso di distruggere tutto selvaggiamente, con indifferenza, la casa in cui viviamo.

Quindi ci fa pensare e ci chiediamo, noi zapatisti, dove andremo a vivere, noi povere e poveri del mondo? Perché loro, i ricchi, forse andranno a vivere su un altro pianeta?

Che fare adesso che stiamo vedendo come distruggono la nostra casa?

Cosa succederà se dovessero portarci su un altro pianeta come schiavi?

Continuando a viaggiare tra i sogni, concludiamo.

In basso ci sono donne e uomini che studiano scienza scientifica, la buona scienza. Arrivano però i malvagi capitalisti che usano questa scienza per fare del male a chi ha scoperto questa scienza. Qual è il male?

1.- È usata perché il ricco diventi ancor più ricco, questa scienza.

2.- Il ricco cambia lo scopo per la quale è stata creata, le dà un altro uso, secondo la sua convenienza. Così ammazza e distrugge.

La stanno peggiorando sempre di più e aumenterà questo peggioramento contro di noi, gli esseri viventi, e madre natura.

Così è cominciato tutto il male, e continua e continuerà, ora sta già arrivando a un punto di gravità estrema.

Così è stato ed è usato anche chi fa arte da artisti, ce l’ha messa tutta il capitalismo per fare del male alla società e per il proprio bene.

Quel che era naturale, per natura e per coloro che vivono in lei, vale a dire i popoli originari, lo stanno distruggendo insieme a madre natura.

Allora: Creiamo, pensiamo, immaginiamo.

Possiamo organizzarci, lavorare e lottare, difendere come le fondamenta che siamo, per far sì che questo mondo, la casa in cui viviamo, non la distruggano questi capitalisti, è giunto il momento, sorelle e fratelli, compagne e compagni, nessuno ci salverà. Siamo noi.

Mettetevi a sognare e vi renderete conto che, contro il capitalismo, si può usare solo la buona scienza scientifica, e l’arte da artisti e i guardiani di madre natura con quelli che stanno in basso nel mondo. Abbiamo questa responsabilità.

Ciò non vuol dire che siamo gli unici a dover lottare, no, ma giriamoci a guardare come stanno le cose e ci renderemo conto che tutto quel che abbiamo, tutte le cose utili nelle nostre case, hanno a che vedere con la scienza, con come è nata e con tutte le figure della casa e tutte le figure nelle stanze sono fatte dall’arte di artisti e che tutti questi materiali vengono da madre natura, dove vivono i popoli originari.

Quindi è come se fossimo il “germe” di tutto questo.

Per chiarire.

Chi ha immaginato come fare di un cellulare il più moderno? Come pure delle migliaia di mercanzie che esistono oggi, che sono per il bene del ricco e non per chi ha avuto la scienza e neppure per il popolo.

Chi ha immaginato creare quelle immagini che ci sono nei cellulari, che ora sono manipolate a proprio piacimento?

Da dove vengono i materiali di cui sono composti questi cellulari? Lo stesso vale per migliaia di articoli.

Il capitalismo ha convertito le scienze a un cattivo uso: Per la sua grande accumulazione di ricchezza, manipolazione a piacere, la scienza non ha responsabilità della distruzione per la quale viene usata.

Sappiamo cosa succederà.

Un altro chiarimento.

Siamo il sangue del ricco, per far sì che viva, siamo la carne e le ossa, per far sì che sopravvivano e vivano per farci del male in questo sistema capitalista.

Gli altri organi che mancano, siamo i consumatori.

È stato scoperto dove nasce il male in cui ci mantiene il sistema capitalista.

La nostra sopravvivenza è nelle nostre mani, o l’altra costruzione di un mondo nuovo.

Oggi siamo qui, non per dirci quello che dobbiamo fare, ma per sapere qual è la nostra funzione, quella che il capitalismo ci attribuisce in questo mondo, e per vedere se è un bene quel che ci fa fare il capitalismo per questo mondo in cui viviamo con gli esseri umani e gli esseri viventi.

E se scopriamo che è davvero un male, il pessimo uso che il capitalismo fa delle nostre scienze, allora dobbiamo renderci responsabili e quindi dobbiamo decidere quel che dobbiamo fare.

Prima di concludere, compagne e compagni, sorelle e fratelli, oggi 26 dicembre, non dimenticheremo che ci mancano vite, la vita dei 46 giovani assenti di Ayotzinapa, Guerrero.

Con i famigliari e conoscenti che continuano a cercarli e non si arrendono, e neppure si vendono, noi, anche noi zapatisti esigiamo giustizia e verità. A queste madri, padri, sorelle e fratelli degli assenti, diamo il nostro miglior abbraccio collettivo.

Quindi benvenut@ a questo incontro, a questo lungo cammino di altre scienze e che non ci sia riposo, che il riposo lasci il segno, perché è già costruito l’altro e nuovo mondo e, se questo non c’è, non ci sarà riposo.

Che la vostra saggezza, scienziate e scienziati, si trovi e si unisca alla nostra voglia di imparare e conoscere i mondi.

Grazie mille.

Dal CIDECI-Unitierra, San Cristóbal de las Casas, Chiapas.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, 26 dicembre 2016

Traduzione a cura di 20zln

Testo originale

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Programma dell’Incontro L@s Zapatistas e le ConScienze per l’Umanità.

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Programma delle attività dell’incontro

L@s Zapatistas e le CoScienze per l’Umanità

CIDECI-Unitierra. San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico

26 dicembre

Dalle 10.00 alle 11.00 Inaugurazione. Parole del Subcomandante Insurgente Moisés a nome delle donne, uomini, bambini e anziani dell’EZLN

Sessione Generale. Parteciperanno:

Biol. Adriana Raquel Aguilar Melo: “L’accademia può essere escludente, ma la scienza può essere un bene comune?

Dr. Marco Antonio Sánchez Ramos: “Sisifo e la scienza”

Dr. Tonatiuh Matos Chassin: “Una Legge Fondamentale per il progresso di una nazione”

Fis. Eduardo Vizcaya Xilotl: “(Meta)scienze, utopie e distopie

Prof. Luis Malaret e Profra. Diana Rocheleau: “Ecologia dal basso

Dr. Iván Alejandro Velasco-Dávalos: “A chi serve la scienza? Visione collettiva sull’importanza della volgarizzazione delle arti e delle scienze in maniera congiunta”

L’alchimista SupGaleano: “Alcune Domande alle Scienze”

27 dicembre

Sessione Generale. Participeranno:

Fis. Alejo Stark: “Il ruolo delle scienze nella trasformazione del mondo

Dr. Claudio Martínez Debat: “Biologia e Biotecnologia, al servizio di chi sono?”

Postulante del Dr. Luis Fernando Santis Espinosa: “La schiavitù della Scienza. Il mercato nazionale delle risorse naturali e le loro privatizzazioni”

Dott.ssa. Kristen Vogeler: “Pensieri sulla relazione tra scienza e costumi

Dott.ssa. Mariana Benítez Keinrad: “Alcune riflessioni sulla scienza dal cubicolo di una biologa dello sviluppo

Dott.ssa Tatiana Fiordelisio. “Le Scienze sono una balsa per la tormenta?

L’alchimista SupGaleano: “La colpa del fiore”

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

Dr. Jerome Leboeuf. “Potenziali e applicazioni dell’intelligenza artificiale

Dr. Marco Antonio Sánchez Ramos. “Di cosa sono fatte le stelle?

Dott.ssa. Patricia Ramos Morales. “Cosa sono i mutageni e dove si trovano?

Dott.ssa. María Alejandra Jiménez Zúñiga. “Il nostro posto nel cosmo e cosa dice l’Astrofisica

Mat. Florencia Cubría. “Connettività in grafici

  1. in C. Verónica López Delgado. “Gravità e Magnetismo, forze determinanti nel nostro mondo ”.

Biol. Felipe Gómez Noguez. “Pteridium, una felce capitalista

Talleres. Participeranno:

Ing. Atenea Martínez Dolores e Ing. Manuel Alejandro Lara. Taller di Robotica per Incappucciati I (solo per alunn@ zapatist@)

28 dicembre

Sessione generale. Participeranno:

  1. in C. Elfego Ruiz Gutiérrez: “Reflessioni e critica sul che fare scientifico per la vita

Dott.ssa. Gabriela Piccinelli Bocchi: “Scienza ….e conScienza; per chi?”

Dr. Igor Valencia Sánchez: “Scienza succhia sangue, accesso libero alla conoscenza e biohackers

Dr. Jaime del Sagrado Corazón Morales Hernández: “L’agroecologia e le scienze per la sostenibilità

Dr. Carlos Román Zúñiga. “Astronomia: La poesia delle Scienze Esatte

Dr. Yuri Nahmad Molinari: “Vizi e benefici della riforma enegetica in Messico

Subcomandante Insurgente Moisés e Subcomandante Insurgente Galeano: “Le arti e le Scienze nalla storia del (neo)Zapatismo

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

Dott.ssa. Natalia Ismene Pavón Martínez. “Gli estrogeni e la loro influenza sul cuore

Mat. Eric López González. “Matematiche emozionali

Biol. Adriana Raquel Aguilar Melo. “Uniamoci, separiamoci, e torniano ad unirci per il buon vivere. Il caso dei primati non Umani.

Mat. Elisa Rocha Cardozo. “Come si distribuiscono gli esseri viventi nel mondo?

Dr. Gabriel Ramos Fernández. “Complessità resilienza e incertezza: i socioecosistemi e la biodiversità

Dr. Lev Jardón Borbolla.

Talleres. Participeranno:

Ing. Atenea Martínez Dolores e Ing. Manuel Alejandro Lara. Taller di Robotica per Incappucciati II (solo per alunn@)
29 dicembre

Sessione generale. Participeranno:

Dr. Adolfo Olea Franco: “La funzione sociale della Scienza

Ing. Fayez Mubarqui Guevara: “Senti-Pensando la crisi energetica

Dr. Octavio Valadez Blanco: “Les científiques y humanistes come lottatori sociali: sfide nel Capitalocene messicano

Dott.ssa. Eva Jablonka: “Epigenetica: La scienza che connette

Dott.ssa. Melina Gómez Bock: “L’oscurità di una fisica teorica

Dr. Lev Jardón Borbolla. “La tormenta nelle scienze e le scienze di fronte alla tormenta: è possibile cambiare le relazioni di produzione

L’alchimista SupGaleano: “Il gatto-cane e l’apocalissi”

Sessione generale. Participeranno:

Dr. John Vandermeeer. “Fattori ecologici nel controllo della roya del caffè

Dr. Carlos Román Zúñiga. “Gestazione e vita delle stelle

Ing. Iván Domenzain del Castillo Cerecer. “Anche Le/I Frankenstein seminano

Dr. Alejandro Vásquez Arzola. “La luce e i suoi enigmi

Dr. Claudio Martínez Debat. “Organismi Vegetali Geneticamente Modificati in Uruguay

Dr. Grodecz Alfredo Ramírez Ovando. “La geometria: Un mondo che contiene molti mondi”

Talleres. Participeranno:

Dott.ssa. Patricia Ramos Morales. Taller Come lavora uno scienziato? (solo per alunni)

30 dicembre

Sessione generale. Participeranno:

Dr. Pablo González Casanova. “Il Capitalismo e l’Ecologia”.

Dr. John Vandermeer: “L’ecologia come scienza e come componente delle cosmovisioni

Dott.ssa. Ivette Perfecto: “L’ecologia come scienza e come componente delle cosmovisioni II

  1. in C. Jesús Vergara Huerta: “L’irruzione della scienza libera e comunitaria nel XXI secolo

Ing. Gibran Mubarqui Guevara: “Dall’imposto al comunitario. Rifacendo le scienze

Dr. Stuart Newman: “Usi sociali delle scienze

Subcomandante Insurgente Moisés. “I Popoli Originari e le scienze per la vita”.

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

Dr. Carlos Rodrigo Martínez Prieto. “Teoria sull’origine dell’universo e altre speculazioni

Dott.ssa. Ivette Perfecto. “Complessità ecologica nelle piantagioni di caffè del Chiapas”

Dr. Yuri Nahmad Molinari. “Raccogliendo il Sole

  1. in I. David Franco Martínez. “Uso delle fonti rinnovabili di energia”

Fis. Alejo Stark. “Cosmi senza frontiere: La poetica logica relazionale della cosmologia fisica”

Medico Lilia Piélago García. “Cure palliative, un diritto di tutti”

Dr. Emilio Molinari. “Un altro mondo è possibile, e lo stiamo cercando”

Talleres. Participeranno:

  1. in C. Karla María Castillo Espinoza. “Cosa ci dicono i fossili sul passato della Terra?” (solo per alunn@ zapatist@)

2 gennaio

Sessione generale. Participeranno:

Dott.ssa. Kristin Mercer: “L’effetto dei soldi sulle ricerche accademiche

Dr. Gabriel Ramos Fernández: “Complessità e incertezza: gli scienziati e la presa di decisioni

Dott.ssa. Gertrudis Hortensia González Gómez: “Alcune promesse delle scienze, o como prenderci cura della nostra salute

Alejandro Muñoz: “García a Nuevo León e la visione libera-scientifica-tecnologica per il XXI secolo

Dr. Jérôme Leboeuf: “I rischi che implica l’Intelligenza Artificiale

Dott.ssa. Valeria Souza Saldívar e Dr. Luis Eguiarte Fruns: “Il paradigma dell’acqua

L’alchimista SupGaleano: “Alchimia Zapatista”

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

Dr. Ramón Carrillo Bastos. “Meccanica Quantica e Causalità”

Dott.ssa. Mariana Peimbert. “L’eredità del colore dei cani”

Dr. Adolfo Olea. “Il seme di mais: dalle varietà indigene alle ibride e transgeniche”

Dott.ssa. María Magdalena Tatter. “Applicazione delle conoscenze e valori implicati in Pediatria”

Fis. Alejandro Muñoz. “Fusione nucleare in generale come fonte di energia pulita”

Dr. Luis Concha Loyola. “Utilizzando le immagini di risonanza magnetica per capire il cervello umano

Dott.ssa. Azucena de León Murillo. “Perle delle malattie neurologiche”

Presentazione pratica. Participeranno:

Dott.ssa. Gertrudis Hortensia González Gómez e Dott.ssa. Tatiana Fiordelisio C. “Come studiamo il cervello, i muscoli e il cuore. I nostri sensi e l’apprendimento

3 gennaio

Sessione generale. Participeranno:

Dott.ssa. Alejandra Arafat Angulo Perkins: “La via e il che fare della Scienza in Messico”

Maestro Ernesto Hernández Daumas: “Produzione di alimenti e salute pubblica

Dott.ssa. Fabiola Méndez Arriaga: “La distruzione del medioambiente in nome della salute-capitalista: farmaci che contaminano il mondo

Dr. Juan Manuel Malda Barrera: “Scienza e dialogo tra culture

Ing. Christian Abraham Enríquez Olguín: “Transizioni tra punti di equilibrio epistemici

Dr. Carlos Rodrigo Martínez Prieto: “La Fisica e le Scienze Naturali sono uno strumento genuino di liberazione dei popoli e delle persone?”

Subcomandante Insurgente Moisés e Subcomandante Insurgente Galeano: “Cosa succederà?”

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

Biol. Jani Azucena Olvera Maldonado. “Batteri patogeni che causano malattie gastrointestinali e la loro relazione con la depurazione dell’acqua

  1. in C. Karla Aguilar Lara. “Colui che aspetta si dispera (tecnologia degli alimenti)”

Dr. Luis David Alcaraz. “I microorganismi, i loro geni e la salute”

Dr. Manuel Fernández Guasti. “Tlayohualchieliztli e i saperi indigeni”

  1. in C. Jesús Vergara Huerta. “Non guardarlo negli occhi: Nuove strade non invasive per lo studio ecofisiologico”

Fis. Gustavo Magallanes Guijón. Di balene, giaguari, e microbios. Visualizzazione computazionale delle specie biologiche dal tetto della casa della misura del mondo”

Dr. Juan Manuel Malda Barrera. Empatia ed evoluzione.

4 gennaio

Sessione generale. Participeranno:

Dott.ssa. Celia Oliver e Dr. César Abarca: “Riflessioni bioetiche sull’investimento di risorse specializzate nella scienza, nell’arte e nelle scienze umane, nel lavoro e negli spazi educativi

  1. in C. Hugo I. Cruz Rosas: “Uno spazio possibile per la scienza basica nel processo di trasformazione sociale
  2. in C. Ma. del Pilar Martínez Téllez. Le scienze e l’idra capitalista

Dott.ssa. Martha Patricia Mora Flores: “Due forme di guardare la Natura: Quella del patriarcato con la sua lente capitalista e lo sguardo molto altro dei popoli

Fis. Nelson Ravelo: “Come possono i movimenti sociali appropriarsi della costruzione di una scienza e di una tecnologia in accordo con la trasformazione sociale?

Dr. Steven Rose: “Scienza per l’oppressione o scienza per la liberazione?

Dibattito di divulgazione. Participeranno:

  1. in C. José Manuel Serrano Serrano. “Cosa cantano le femmine in ambienti in cui predominano gli uomini? Il caso delle rane e dei rospi
  2. in C. Mariana Patricia Jácome Paz. “Effetti sociali dell’eruzione del vulcano El Chichón, Chiapas”

Biol. Nolasca Valdés Navarrete. “Monopolio dell’Oceano… Illusione di pescare?”

 

Chiusura. Alunn@ Zapatist@ e Subcomandante Insurgente Moisés.

 

Traduzione a cura di #20ZLN

Testo orignale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/24/17693/

 

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Informativa sull’Incontro “Le/Gli Zapatisi e le ConScienze per l’Umanità”.

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Informativa sull’Incontro “Le/Gli Zapatisi e le ConScienze per l’Umanità”.

Subcomandante Insurgente Moisés

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

 

15 dicembre 2016

Alla comunità scientifica del Messico e del mondo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

 

Vi mandiamo i nostri saluti. Vi informiamo di come sta procedendo l’Incontro “Le/Gli Zapatisti e le ConScienze per l’Umanità” che si svolgerà presso il CIDECI-UniTierra di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, dal 25 dicembre 2016 al 4 gennaio 2017.

 

1.- Alla data del 12 dicembre 2016 hanno confermato la loro partecipazione 82 scienziate e scienziati dei seguenti paesi:

 Germania,
Canada,
Cile,
USA,
Stato Spagnolo,
Israele,
Paraguay,
 Regno Unito,
Uruguay,
Brasile,
Messico (Bassa California, Campeche, Città del Messico,

Estado de México, Jalisco,
Morelos, Oaxaca, Puebla, Querétaro, San
Luis Potosí).

 

2.- I loro ambiti di competenza sono:

 Teoria dei campi quantistici,

Matematica,

Vulcanologia.

Astrofisica,

Astronomia,

Cosmologia,

Fusione nucleare,

Genetica,

Microbiologia,

Geofisica,

Fisica statistica,

Ottica,

Bioetica,

Biofisica,

Biologia evolutiva,

Biologia marina,

Biologia molecolare,

Biochimica,

Biotecnologia,

Fisiologia e Biofisica delle cellule eccitabili,

Fotochimica solare,

Mutazione genetica e inquinamento ambientale,

Genomica dei microorganismi,

Origine ed evoluzione della vita,

Sistemi Complessi,

Sistemi e Controllo Intelligenti,

Ricerca Biomedica,

Neurobiologia,

Neuroscienze,

Neuroimmunologia,

Idrocoltura e conservazione dei sistemi acquatici,

Agroecologia,

Risparmio energetico,

Scienza e Tecnologia degli Alimenti,

Scienze dell’energia,

Scienze della Nutrizione,

Comportamento e comunicazione animale,

Conservazione della biodiversità,

Cure palliative,

Pediatria,

Ecologia comportamentale e della conservazione,

Ecologia evolutiva dei microrganismi,

Ecologia marina,

Ecologia teorica,

Ecologia ed agroecologia,

Energie Rinnovabili,

Ingegneria energetica,

Ingegneria idrologica,

Ingegneria chimica ambientale,

Ingegneria chimica,

Separazione magnetica dei minerali.

 

3.- Il 25 dicembre 2016 è il giorno della registrazione delle/degli scienziat@ e degli assistenti. Le attività iniziano il 26 dicembre alle ore 10:00 e terminano il giorno 4 gennaio 2017 alle ore 18:00. Ci sarà un’interruzione nei giorni 31 dicembre 2016 e 1° gennaio 2017.

4.- L’indirizzo di posta elettronica per registrarsi come escucha-vidente è: conCIENCIAS@ezln.org.mx

5.- Come alunn@ parteciperanno 200 tra donne, uomini, bambini ed anziani basi di appoggio zapatiste di lingua Tzeltal, Tzotzil, Tojolabal, Chol, Zoque, Mame e meticcia. Solamente le/gli alunni@ zapatisti potranno interpellare le/gli scienziat@.

6.- L’incontro avrà sessioni generali, incontri divulgativi e laboratori.

Per ora è tutto.

Dalle montagne del sudest messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, dicembre 2016

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La consultazione prosegue.

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NONOSTANTE LE AGGRESSIONI, LA CONSULTAZIONE VA AVANTI

COMUNICATO CONGIUNTO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

2 dicembre 2016

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI DEL MONDO:

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE LIBERI:

Sono grandi i passi dei nostri popoli, sono saggi quando sono collettivi, e il Congresso Nazionale Indigeno ricorre con il suo attento udito per ascoltarci nel pensiero di ciò che siamo, la parola e gli accordi del V CNI, mentre proseguiamo in assemblea permanente, percorrendo in questi momenti tutti gli angoli del nostro paese, il Messico.

La nostra assemblea permanente sorge e avviene nei popoli, nazioni e tribù di tutte le lingue che parla il Congresso Nazionale Indigeno, in grandi e piccole assemblee, in riunioni di consigli comunali, in riflessioni profonde di famiglie disperse, in forum regionali e in luoghi di cerimonie sacre. Con le parole collettive concludiamo una volta di più che è l’ora dei popoli e che tremi nei suoi centri la terra.

Ed è tanta la paura dei potenti, delle imprese estrattive, dei militari, dei narcoparamilitari, che la nostra consultazione sta venendo aggredita e minacciata dove i nostri popoli si stanno riunendo per discutere e decidere i passi da fare come CNI, ragione per cui denunciamo:

– Che nella comunità indigena nahua di Santa María Ostula, Michoacán, c’è una recrudescenza delle aggressioni narcoparamilitari da parte del cartello dei cavalieri templari, che attraverso una carta firmata in data 19 novembre 2016, la stessa data in cui un’assemblea regionale discuteva nella costa michoacana le risoluzioni della prima tappa del V CNI, minacciano di fare “un repulisti” di chi partecipi a mobilitazioni insieme ai comandanti della polizia comunitaria.

– Che i compagni che per accordo dell’assemblea del V CNI nel mese di ottobre 2016 si sono sparpagliati in diverse geografie del paese in cui i popoli originari hanno voluto dialogare con delegate e delegati di altri popoli rispetto alla nostra proposta politica, sono stati vittime di aggressioni e minacce da parte di bande di delinquenti o di sconosciuti, come l’incendio di abitazioni nei loro luoghi di origine, o aggressioni di altri veicoli per cercare di farli uscire dalle strade che devono percorrere.

– Che mentre le imprese straniere pretendono di impadronirsi di 12 pozzi petroliferi nel territorio Zoque del nord del Chiapas, il passato 23 novembre 2016 un gruppo di uomini armati, che si sono fatti passare per professori del governo e con il benestare del Sottosegretario dell’Educazione Federalizzata del Chiapas, Eduardo Campos Martínez, e del capo, Delfino Alegría García, ha sequestrato un gruppo di professori indigeni del Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE) della zona nord del Chiapas, oltre ad avere attaccato con armi ad alto potenziale gli spazi esterni dell’ufficio della Segreteria di Educazione nel municipio di Ixtacomitán, Chiapas. Il vile attacco ha tolto la vita al professore zoque Roberto Díaz Aguilar, originario di Chapultenango, Chiapas, e altre tre persone sono rimaste ferite.

– Che il professor Irineo Salmerón Dircio, Coordinatore della Casa di Giustizia di San Luis Acatlán e membro del Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie (CRAC-PC) è stato sequestrato-fatto sparire da un gruppo armato nel municipio di Tixtla, Guerrero; e due giorni dopo il suo corpo è stato ritrovato senza vita nel municipio di Chilapa, Guerrero, alcuni giorni dopo che in quello stesso municipio almeno 15 comunità del Consiglio Indigeno e Popolare del Guerrero – Emiliano Zapata avevano celebrato un’assemblea come parte della consultazione che stiamo portando avanti.

– Dal cuore collettivo dei popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno, ci pronunciamo per il rispetto assoluto del territorio del popolo Sioux, a Standing Rock, Nord Dakota, dove più di 200 tribù si sono organizzate per bloccare il saccheggio che pretendono di fare i capitalisti attraverso l’imposizione di Oleodotti che distruggono le fonti d’acqua e i luoghi sacri. Ripudiamo la brutale repressione di cui sono stati oggetto lo scorso 20 novembre e quella che pretendono di realizzare annunciando un ultimatum per sgomberare le loro terre. Se come popoli originari avessimo risposto agli ultimatum dei potenti, già da secoli non saremmo esistiti. Al Popolo Sioux inviamo un abbraccio fraterno e reiteriamo che non sono soli, che il loro dolore e la loro rabbia sono anche i nostri. Chiamiamo i popoli originari degli Stati Uniti e del Messico, i mezzi di comunicazione liberi e la società civile a rafforzare la solidarietà con questa storica lotta.

Inviamo un saluto solidale alle compagne e ai compagni della comunità Chanti Ollin, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, che sono stati sgomberati violentemente all’alba del 22 novembre 2016 dall’edificio in cui promuovono la cultura, le arti e le alternative necessarie per un mondo nuovo, e ripudiamo le politiche asservite e repressive rappresentate dal malgoverno della Città del Messico.

Salutiamo le mobilitazioni realizzate dal Comitato di Difesa dei Diritti Indigeni (CODEDI) proveniente dalla regione della Costa di Oaxaca, contro le politiche repressive dei malgoverni che vedono nella criminalizzazione il loro unico cammino di fronte alla mancanza di ragioni che non siano l’imposizione di 11 progetti idroelettrici nella Regione della Costa di Oaxaca, compreso il Progetto di Approvvigionamento Idraulico di Usi Multipli Paso de la Reyna.

Allo stesso modo come popoli, nazioni e tribù del CNI manifestiamo profondo rispetto e solidarietà al popolo cubano, che ha dato una dimostrazione al mondo che con la dignità si possono ricostruire i tessuti distrutti dal capitalismo. Sappiamo che con la sua resistenza e ribellione continuerà a brillare e a gettare le fondamenta della speranza.

CORDIALMENTE

DICEMBRE 2016

PER LA RICOSTRUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI

MAI PIU’ UN MESSICO SENZA DI NOI

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

 

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/12/02/a-pesar-de-las-agresiones-la-consulta-va/

 

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Seconda Tappa del CNI.

zapatistas

CONVOCAZIONE ALLA SECONDA TAPPA DEL V CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

Considerato che

  1. Nella prima tappa del V Congresso Nazionale Indigeno abbiamo analizzato e discusso a fondo i diversi aspetti della guerra capitalista contro i nostri popoli, concordando che è urgente fermare la depredazione, la distruzione, il disprezzo, l’oblio e la morte a cui hanno sottoposto i nostri popoli, nella speranza che finiscano le resistenze individuali e collettive e che la nostra patria non sia a disposizione dei capitalisti che governano questo paese e questo mondo.
  2. Che è urgente lottare e compiere passi contundenti passando all’offensiva insieme ai popoli della campagna e della città, indigeni e non indigeni, per costruire dal basso una nuova nazione.
  3. Che abbiamo deciso di mantenerci in assemblea permanente mentre sono a consulta in ognuna delle nostre geografie le decisioni raggiunte i giorni dal 9 al 14 di ottobre del 2016 rispetto alla formazione di un Consiglio Indigeno di Governo che sia rappresentato da una donna indigena, delegata del CNI e che partecipi al processo elettorale dell’anno 2018 per la presidenza del Messico.

CONVOCHIAMO ALLA

SECONDA TAPPA DEL V CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

Che si terrà i giorni 29, 30 e 31 dicembre 2016 presso il CIDECI- UNITIERRA, San Cristóbal de las Casas, Chiapas, ed il 1° gennaio 2017 nel caracol zapatista di Oventik e che avrà carattere RISOLUTIVO, riguardo agli accordi raggiunti nella prima tappa del V Congresso Nazionale Indigeno ed i consensi ottenuti in questa seconda tappa, nell’ordine seguente.

29 dicembre:

  1. Arrivo delle commissioni del CNI e registrazione
  2. Cerimonia di apertura delle attività

30 dicembre:

Discussione in sessione plenaria a porte chiuse:

  1. Installazione della seconda tappa del V CNI
  2. Relazione dei risultati della consulta interna a carico della commissione nominata a tale scopo.
  3. Valutazione dei risultati della consulta interna ai tavoli di lavoro.
  4. Strada da seguire da parte del CNI di fronte alla depredazione, repressione, disprezzo e sfruttamento capitalista ed il rafforzamento delle nostre resistenze e ribellioni.
  5. I passi per la costituzione di un Consiglio Indigeno di Governo per il Messico.

31 dicembre:

Continuazione della discussione dei tavoli di lavoro.

1° gennaio:

Sessione plenaria nel caracol zapatista die Oventik.

Per quanto sopra, si sollecitano i popoli, nazioni e tribù che siamo il Congresso Nazionale Indigeno affinché in base agli accordi, riflessioni e risultati derivati dalla consultazione interna che si sta svolgendo in ognuna delle geografie dei nostri popoli, a nominare i delegati e le delegate per discutere e concordare i passi da seguire, e registrarli all’indirizzo ufficiale di posta elettronica catedratatajuan@gmail.com

Inoltre, su accordo della riunione allargata della Commissione di Coordinamento Provvisoria realizzata il giorno 26 novembre 2011 presso la UNIOS a Città del Messico, si chiede che i risultati delle consultazioni, riportati in verbali, relazioni, pronunciamenti ed in qualunque forma che rifletta i consensi raggiunti in base alle forme proprie di ogni popolo, nazione o tribù, siano inviati al più tardi il giorno 15 dicembre 2016 all’indirizzo di posta elettronico consultacni@gmail.com

I punti contemplati nella presente convocazione saranno discussi in sessioni chiuse i giorni 30 e 31 dicembre 2016, alle quali potranno partecipare ESCLUSIVAMENTE i delegati e le delegate del CNI, mentre le/i compagn@ della Sexta Nazionale ed Internazionale, così come i mezzi di comunicazione accreditati, potranno unirsi alla sessione plenaria il giorno 1° gennaio 2017 o nel momento in cui l’assemblea lo riterrà opportuno.

Le/I membri della Sexta Nazionale ed Internazionale, invitati speciali del CNI, come i mezzi di comunicazione che desiderino partecipare come osservatori alle sessioni aperte della seconda tappa del V CNI, dovranno registrarsi anticipatamente all’indirizzo di posta elettronica cni20aniversario@ezln.org.mx

 

Distintamente

26 novembre 2016

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo Originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/26/convocatoria-a-la-segunda-etapa-del-v-congreso-nacional-indigena/

 

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UNA STORIA PER CERCARE DI CAPIRE.

2 sup

Gli zapatisti spiegano l’intera genesi della proposta di candidare una donna indigena del CNI. A quien corresponda: leggetelo.

UNA STORIA PER CERCARE DI CAPIRE

17 novembre 2016

Alla Sexta nazionale e internazionale:

A chi simpatizza e sostiene la lotta dei popoli originari:

A chi è anticapitalista:

Compagne, compagni, compagnei:

Sorelle e fratelli:

Questo esteso testo lo abbiamo fatto insieme io e il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce e attuale capo dell’EZLN, consultandoci su alcuni dettagli con alcune delle e dei Comandanti della delegazione zapatista che ha assistito alla prima tappa del V Congresso Nazionale Indigeno.

Sebbene in questa, come in altre occasioni, spetta a me la redazione, è il Subcomandante Insurgente Moisés a leggere, aggiungere o togliere, approvare o rifiutare non solo questo testo, ma tutti quelli che compaiono alla luce pubblica come autentici dell’EZLN. Non poche volte, lungo questi scritti, userò il primo pronome singolare. La ragione di ciò si capirà più avanti. Sebbene la destinataria principale di queste linee sia la Sexta, abbiamo deciso di ampliare i suoi destinatari a chi, senza essere né stare con noi, ha le stesse inquietudini e un analogo impegno. Ecco:

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NEMMENO I NOSTRI INCUBI

Alcuni anni fa, la creatività e l’ingegno di qualche collettivo della Sexta produsse una frase che, con il passare del tempo, venne attribuita allo zapatismo. Sapete bene che siamo contro al copyright, ma non siamo soliti attribuirci né parole né azioni che non siano nostre. Senza dubbio, sebbene non ne siamo gli autori, la sentenza riflette in parte il nostro sentire come zapatisti che siamo.

Inalberata dalla Sexta contro chi, con grossolani ricatti e minacce, attaccava (come ora) lo scetticismo dinanzi al “potere” delle urne elettorali istituzionali, la frase va più in là e definisce i limiti e le carenze di una forma di lotta, quella elettorale:

“I nostri sogni non entrano nelle vostre urne”, si diceva e si dice.

Noi come zapatiste e zapatisti che siamo la sottoscrivemmo allora… e la sottoscriviamo ora. Ha la virtù di dire molto con poche parole (un’arte oramai dimenticata). Ma, da questo lato del passamontagna, dal nostro essere ciò che siamo, aggiungiamo: “nemmeno i nostri incubi”.

Certo, avremmo potuto metterci “e nemmeno le nostre e i nostri morti”, ma risulta che, in questi tempi grami, il dolore si è espanso ancora più in là. Non è più soltanto la morte naturale a essere responsabile di allontanarci da chi ci manca oggi; come, nel nostro caso, dal sottotenente insurgente di fanteria Hernán-Omar (parte di noi fin da prima della sollevazione, e strappato via dal cancro dal nostro fianco e da quello della sua compagna e di suo figlio (che abbracciamo specialmente in questo primo compleanno senza di lui).

Ora sono, e in forma crescente, gli omicidi, le sparizioni, gli arresti, i sequestri.

Se sei povero sei vulnerabile, se sei donna sei ancora più vulnerabile. Come se il sistema non si accontentasse di aggredirla per ciò che è, e si desse il macabro compito di eliminarla. Ovvero, non è più soltanto oggetto di molestia e violenza sessuale. Che è successo a questo sistema che rende “naturale” e perfino “logico” (“sì, se lo sono cercati”, dice la società intera) non soltanto la violenza, ma anche il sequestro, la sparizione e l’assassinio di donne? Sì, donne. La democratizzazione dell’odio di genere rende uguali età, razze, colori, stature, pesi, credenze, ideologie, militanze o no; tutte le differenze, meno quelle di classe, diluite in una mancanza maggiore: essere donna.

E aggiungeteci potenze secondo la vostra differenza: colore, statura, peso, indigena, discendente di africani, bambina, bambino, anzianei, giovane, gay, lesbica, transgender, il vostro modo insomma, qualsiasi esso sia. Sì, un sistema non soltanto impegnato a segregare e disprezzare le differenze, ma ora deciso a eliminarle completamente. E non solo a sterminarle, ma facendolo ora con tutta la crudeltà di cui è capace una modernità. La morte continua ad ammazzare, ma ora con maggior sadismo.

Perciò, quel che vogliamo dire è che non solo ci mancano le morte e i morti, ma anche le scomparse e gli scomparsi (e includiamo non solo il maschile e il femminile, ma anche tutto ciò che sorpassa la falsa dicotomia di genere), le e i sequestrati, le e gli incarcerati.

Quanti assenti di Ayotzinapa entrano in quante urne? In quale progetto partitico si trovano?

Su quale logo istituzionale bisogna mettere la croce pensando a chi ci manca?

E se nemmeno c’è la certezza che siano morti? E se non solo è l’assenza a dolere, ma si aggiunge anche l’incertezza e l’angustia (ha mangiato? ha freddo? è ammalato? ha dormito abbastanza? qualcuno lo consola? sa che lo cerco ancora, che sempre lo cercherò?)?

In quale aspirazione a un incarico, un posto, un governo, entrano le donne aggredite, fatte scomparire, assassinate da tutto lo spettro ideologico?

A quante schede elettorali equivalgono i bambini assassinati, dal Partito d’Azione Nazionale, nell’asilo ABC?

Per chi votano gli sterminati dal Partito Rivoluzionario Istituzionale e dalle sue repliche mal dissimulate, in tutta l’estensione delle geografie e calendari del Messico di sotto?

In quale conteggio di voti appaiono i perseguitati dal Partito della Rivoluzione Democratica, accusati del delitto di essere giovani?

In quale partito politico si rappresentano le differenze sessuali perseguitate in pubblico e in privato, per le quali c’è per condanna l’inferno in vita e in morte?

Quali sono i partiti politici istituzionali i cui simboli e slogan imbrattano i muri che devono saltare migliaia di migranti, uomini, donne e bambini per cadere in mano di governanti-criminali-imprenditori della tratta di persone?

E si potranno trovare esempi in cronache, blog, reportage, note giornalistiche, articoli d’opinione, hashtag, eccetera, ma resterà sempre la certezza che siano più numerosi i fatti criminosi che non vengono degnati nemmeno di una menzione pubblica.

Dov’è la casella elettorale che esprima lo sfruttamento, la repressione, la spoliazione e il disprezzo dei popoli originari?

In quale urna si depositano i dolori e le rabbie de…

 lo Yaqui,

il Kumiai,

il Mayo,

il Cucapá,

il Tohono O´odham,

il Raramuri,

il Kikapú,

il Pame,

il Totonaca,

il Popoluca,

il Nahua,

il Maya Peninsular,

il Binizáa,

il Mixteco,

lo Hñähñü,

il Totonaca,

il Mazateco,

il Purépecha,

il Mixe,

il Chinanteco,

il Mazahua,

il Me´phaa,

il Téenek,

il Rarámuri,

il Chontal,

l’Amuzgo,

l’Ópata,

il Solteco,

il Chatino,

il Papabuco,

il Triqui,

il Cora,

il Cuicateco,

 il Mame,

il Huave,

il Tepehuano,

il Matlatzinca,

il Chichimeca,

il Guarijío,

il Chuj,

il Jacalteco,

il Lacandón,

il Comca´ac,

il Wixárika,

il Kanjobal,

il Chontal,

il Chocho,

il Tacuate,

il Ocuilteco,

il Kekchí,

l’Ixcateco,

il Motocintleco,

il Quiché,

il Kakchiquel,

il Paipai,

il Pápago,

il Cochimí,

l’Ixil,

il Kiliwa,

l’Aguacateco,

il Mame,

il Chol,

lo Tzotzil,

il Zoque,

il Tojolabal,

lo Tzeltal?

Dove entra tutto questo?

E quando hanno ottenuto registrazione legale la dittatura del terrore e la sua logica perversa che invade tutto e modifica i criteri?

Ho avuto fortuna, dice una qualsiasi donna o un qualsiasi uomo assaltato per strada, nella sua casa, al lavoro, sui mezzi di trasporto, non mi hanno sparato-accoltellato.

Ho avuto fortuna, dice la donna picchiata e violentata, non mi hanno sequestrato.

Ho avuto fortuna, dice il bambino sottomesso alla prostituzione, non mi hanno bruciato vivo.

Ho avuto fortuna, dice il gay, la lesbica, il transessuale, gli altrei, con le ossa rotte e la pelle lacerata, non mi hanno assassinato.

Ho avuto fortuna, dice l’operaio, l’impiegata, il lavoratore sottomesso a più ore di lavoro e minor salario, non mi hanno licenziato.

Ho avuto fortuna, dice il leader sociale torturato, non mi hanno fatto sparire.

Ho avuto fortuna, dice il giovane studente assassinato e buttato in una strada, la mia famiglia non dovrà cercarmi.

Ho avuto fortuna, dice il popolo originario saccheggiato, non mi hanno sterminato.

E ancora:

Quale sondaggio prende nota della distruzione della Terra? Per chi votano le acque contaminate, le specie animali asserragliate fino all’estinzione, la terra sterile, l’aria sporca? Dove si deposita la scheda di un mondo agonizzante?

Perciò hanno ragione: “i nostri sogni non entrano nelle vostre urne”.

Ma nemmeno i nostri incubi.

Ciascuno può essere responsabile dei suoi sogni. Manca chiedere il conto a chi è il responsabile dei nostri incubi. Manca quello che manca…

UN “SÍ”, DIVERSI “NO”

Sì, la proposta iniziale e originaria è nostra, dell’ezetaelleenne. Noi l’abbiamo resa nota alle delegate e ai delegati al Quinto Congresso Nazionale Indigeno. Questo è successo nei giorni 9, 10, 11 e 13 di ottobre dell’anno 2016, nella sede del CIDECI-Unitierra, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. In quelle date c’erano delegate e delegati di collettivi, organizzazioni, quartieri, tribù, nazioni e popoli originari delle lingue amuzgo, binni-zaá, chinanteco, chol, coca, náyeri, cuicateco, kumiai, lacandón, matlazinca, maya, mayo, mazahua, mazateco, mixe, mixteco, nahua, ñahñu, ñathô, popoluca, purépecha, rarámuri, tlapaneco, tojolabal, totonaco, triqui, tzeltal, tzotzil, wixárika, yaqui, zoque, e chontal. Il giorno 13 ottobre 2016, la plenaria di questo Quinto congresso del CNI ha deciso di far sua la proposta e di sottoporla a una consulta tra chi ne fa parte. Il giorno 14 ottobre del 2016, nelle ore del mattino, il CNI e l’EZLN hanno reso pubblica questa decisione nel documento chiamato “Che tremi nei suoi centri la terra“,

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No, né l’EZLN come organizzazione, né nessuna, nessuno dei suoi membri, parteciperà a un “incarico di elezione popolare” nel processo elettorale del 2018.

No, l’EZLN non si convertirà in un partito politico.

No, l’EZLN non presenterà una donna indigena zapatista come candidata alla presidenza della Repubblica nell’anno 2018.

No, l’EZLN non “ha svoltato” dei gradi che siano, né continuerà la sua lotta attraverso la via elettorale istituzionale.

Allora, l’EZLN non presenterà un’indigena zapatista come presidenta della Repubblica? Non parteciperà direttamente alle elezioni del 2018?

No.

Perché no? Per le armi?

No. Si è completamente sbagliato chi pensa che sia per questo: noi zapatiste e zapatisti prendiamo le armi per servirci di esse, non per essere da esse schiavizzati.

Allora, perché il sistema politico elettorale istituzionale è corrotto, iniquo, fraudolento e illegittimo?

No. Se anche fosse diafano, equo, giusto e legittimo, noi zapatiste e zapatisti non parteciperemmo per raggiungere ed esercitare il Potere da un posto, un incarico o una nomina istituzionale.

Ma, in determinate circostanze, per questioni strategiche e/o tattiche, non partecipereste direttamente al fine di esercitare un incarico?

No. Nemmeno se ce lo domandassero “le masse”; nemmeno se la “congiuntura storica” necessitasse la nostra “partecipazione”; nemmeno se lo esigessero “la Patria”, “la Nazione”, “il Popolo”, “il Proletariato” (ok, questo ormai è demodé), o qualsiasi fosse il concetto concreto o astratto (dietro cui si nasconde, o no, l’ambizione personale, familiare, di gruppo o di classe) che si adducesse a pretesto; nemmeno se la congiuntura, la coincidenza degli astri, le profezie, l’indice di borsa, il manuale di materialismo storico, il Popol Vuh, i sondaggi, l’esoterismo, l’”analisi concreta della realtà concreta”, l’eccetera conveniente.

Perché?

Perché l’EZLN non lotta per prendere il Potere.

-*-

Credete che in precedenza non ci abbiano offerto questo e anche di più? Che non ci abbiano offerto incarichi, prebende, ambasciate, consolati, viaggi all’estero “tutto incluso”, oltre ai presupposti che portano con sé? Credete che non ci abbiano offerto di convertirci in un partito politico istituzionale, o entrare in qualcuno dei già esistenti, o in quelli che si formeranno e “godere delle prerogative di legge” (così dicono)?

Abbiamo accettato? No.

E non ci offendiamo, capiamo che l’ambizione, o l’assenza d’immaginazione, o la ristrettezza di vedute, o l’assenza di conoscenze (e, ovvio, il non saper leggere), portino più d’uno a sentire l’impellenza di entrare in un partito politico istituzionale, poi uscirne e passare a un altro, poi uscirne e formarne un altro, e quel che ne segue. Capiamo che con più d’uno, una, funzioni l’alibi di “cambiare il sistema dall’interno”. Con noi no.

Ma, nel caso della direzione e della truppa zapatista, non è soltanto dinanzi al Potere istituzionale il nostro rifiuto, ma anche dinanzi alle forme e processi autonomi che le comunità creano e approfondiscono giorno dopo giorno.

Per esempio, nessun insurgente o insurgenta, sia della comandancia sia della truppa, né nessuna comandanta o comandante del CCRI può neppure essere autorità nelle comunità, né nel municipio autonomo, né nelle differenti istanze organizzative autonome. Non possono far parte dei consigli autonomi, né delle giunte di buon governo, né di commissioni, né di alcuna delle responsabilità che si designano per via assembleare, create o da creare nella costruzione della nostra autonomia, cioè della nostra libertà.

Il nostro lavoro, il nostro compito come ezetaelleenne è servire le nostre comunità, accompagnarle, sostenerle, non comandarle. Sostenerle, sì. A volte ci riusciamo. E sì, certo, a volte disturbiamo, ma allora sono i popoli zapatisti a darci uno scapaccione (o vari, a seconda) affinché ci correggiamo.

-*-

Tutto ciò non avrebbe necessitato di essere chiarito e riaffermato se si fosse fatta una lettura attenta del testo intitolato “Che tremi nei suoi centri la terra“, reso pubblico la mattina del 14 ottobre 2016.

No, non abbiamo partecipato alla redazione del pronunciamento. Il testo lo ha fatto la commissione provvisoria nominata dall’assemblea del CNI e ce lo ha fatto conoscere. Non gli abbiamo aggiunto né tolto nemmeno una virgola né un punto. Così come lo hanno scritto le delegate e delegati del CNI, lo abbiamo fatto nostro.

Ma, come si è visto, l’analfabetismo funzionale non riconosce frontiere ideologiche né simboli di partito, perché da tutto lo spettro politico sono emerse alcune espressioni, valutazioni e opinioni che si dibattono tra il razzismo e la stupidità. Sì, abbiamo visto parte del ceto intellettuale della sinistra istituzionale, e anche di quello marginale, concordare con il paladino panista “del femminismo”, “dell’onore”, “dell’onestà”, “dell’inclusione” e “della tolleranza”: Diego Fernández de Cevallos, che ora si dedica, insieme alla versione esoterica de “La Legge e l’Ordine” Antonio Lozano Gracia, a nascondere (ex?) governatori in fuga. Chi dimentica La Calderona che applaudiva fino a spellarsi quando il suddetto Fernández de Cevallos, essendo candidato presidenziale nel 1994, chiamava le donne con l’”affettuoso” nome de “il vecchiume”, e ai contadini diceva “i bracaloni“? La Calderona è il simbolo della presa di potere delle donne di sopra o una semplice prestanome di uno psicopatico insoddisfatto? Inganna ancora qualcuno chi si presenta con il suo nome da “nubile”?

Come vi racconteremo più avanti, le delegate e delegati del CNI al V congresso, avvertivano che il profondo razzismo che esiste nella società messicana era un ostacolo per portare avanti l’iniziativa.

Noi abbiamo detto loro che non si tratta soltanto di razzismo. C’è anche, nella classe politica messicana, un profondo disprezzo. Per essa, i popoli originari non sono nemmeno più un disturbo, un mobile vecchio che bisogna scaraventare nel passato adornandolo con citazioni del Popol Vuh, ornamenti multicolori e pupazzetti d’occasione. La politica di sopra vede attraverso gli indigeni, come fossero i cocci di vetro dimenticati da qualche conquistatore, o i resti anacronistici di un passato fissato in codici, libri e conferenze “magistrali”. Per la politica istituzionale i popoli originari non esistono, e quando “ricompaiono” (così dicono), allora è per una sporca manovra di una mente perversa e onnipotente. Dopo 524 anni concepiscono l’indigeno soltanto come incapace, tonto, ignorante. Se gli originari fanno qualcosa, è perché qualcuno li manipola; se pensano una qualche cosa, è perché qualcuno li indirizza male. Per i politici di sopra di tutto lo spettro ideologico, ci sarà sempre un “nemico straniero” dietro i popoli indigeni.

Il mondo della politica istituzionale non è solo incredibilmente chiuso e compatto, no. È anche dove regna la “popolarità” sulla razionalità, la bestialità sull’intelligenza, e la svergognatezza su un minimo di decenza.

Che i media prezzolati arrangino l’informazione per convertirla in merce, passi. In fondo, di qualcosa devono pur mangiare i reporter, ed è comprensibile che, per loro, venda più la “nota giornalistica” che l’EZLN parteciperà alle elezioni con una donna zapatista; al posto di dire la verità, a saperla, che il CNI è chi deciderà se partecipare o no con una delegata propria e, se sarà il caso, conterà sull’appoggio dello zapatismo.

Questo si capisce, la mancanza d’informazione è anch’essa una merce. I reporter e i redattori si sono guadagnati il pane quotidiano, ok (sì, di niente colleghi, no, non c’è di che, no, sul serio, lasciamo stare).

Ma che persone che si dicono colte e pensanti, che si suppone sappiano leggere e scrivere, che hanno un minimo d’informazione, che fanno lezione in centri di studi superiori, e sono emerite, guadagnano senza fallo le loro borse e stipendi, e viaggiano vendendo “conoscenza”, non leggano quel che il documento “Che tremi nei suoi centri la terra” dice chiaramente, e dicano e scrivano ogni sorta di stupidaggini, ebbene è, come dirlo delicatamente? Be’, è da svergognati e ciarlatani.

E’ come se i 140 caratteri e la casa di cristallo piombato dei mezzi di comunicazione si siano ormai convertiti in un muro che nega la realtà, la espelle e la dichiara illegale. Tutto ciò che non entra in un tuit non esiste, si dicono. E i media prezzolati lo sanno: “nessuno leggerà con attenzione un documento di 6 cartelle, perciò facciamo un riassunto qualsiasi e i “leader d’opinione” nelle reti sociali lo daranno per certo. Si presentano così una serie di bestialità che, ormai, precipitano un’isteria di cancellazione che forse provocherà il collasso dell’immenso regno dell’uccello azzurro.

Quanto sarà il disprezzo che devono i popoli originari a queste persone, che nemmeno gli concedono di esistere. Sebbene il testo dica chiaramente “una donna indigena delegata dal CNI”, la magia della stupidità cancella “del CNI” e lo soppianta con “dell’EZLN”.

E poi? Be’, poi una cascata di posizionamenti, commenti, opinioni, critiche, squalifiche, like e dislike, pollici in su o in giù, e non poche dita medie alzate.

Quando qualcuno, che si è preso la molestia di leggere il testo originale, timidamente segnala che la possibile candidata sarebbe del CNI e non dell’EZNL e che, ergo, l’EZLN non partecipa alle elezioni, gli cade il mondo addosso: “naah, è tutta una losca manipolazione della faccia di pezza”.

Poi quelli che hanno reclamato, quasi immediatamente, del perché non si “liberava” (sì, così hanno scritto) prima il Chiapas. Chiaro, dato che in Chiapas ci sono i territori degli Yaquis, Kumiai, Rarámuris, Nahuas, Zapotecos, Mixtecos, Chinantecos, Totonacos, Popolucas, Mayas Peninsulares, Wixaritaris, tanto per menzionarne qualcuno. Alle prime battute di risposta, hanno cercato di correggere, e almeno si sono messi a consultare su google chi cavolo erano questi altri indigeni “manipolati dalla faccia da calzino”, e si sono resi conto del fatto che non sopravvivono in Chiapas (cosa che, sia detto di passaggio, implicherebbe che le abilità manipolatrici della buonanima superassero ormai le frontiere delle “montagne del sudest messicano”).

Dopo aver consultato dei compagni avvocati, ho chiesto al Subcomandante Insurgente Moisés e no. Non ci saranno domande alla CONAPRED (Commissione Nazionale per Prevenire la Discriminazione) per aver violato l’articolo primo della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani e la Legge Federale per Prevenire ed Eliminare la Discriminazione, né presso i tribunali per aver divulgato informazioni “inesatte o false” che causano “un danno, che sia politico, economico, nell’onore, la vita privata e/o l’immagine”.

No, non sappiamo se il Congresso Nazionale Indigeno (che ha tra le sue fila non pochi specialisti in giurisprudenza) procederà alle domande rispettive.

Non sappiamo nemmeno se le e gli alunni, lettori, seguaci e chi è pagato con stipendi e borse di studio procederà giudiziariamente contro di essi per frode (frode: inganno, dare apparenza di verità a una menzogna), secondo l’articolo 386 del Codice Penale Federale: “Commette il delitto di frode chi ingannando qualcuno o approfittando dell’errore cui questi incorra si appropri illecitamente di qualcosa od ottenga un lucro indebito”.

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Senza dubbio, ci sono stati, ci sono e ci saranno dubbi e messe in questione legittimi e razionali (l’immensa maggioranza proveniente da compagni della Sexta, ma non solo). A questi dubbi e messe in questione cercheremo, nei limiti del possibile, di dare risposta in questo testo. È sicuro che le nostre parole non saranno sufficienti. Tutte le critiche, da tutto lo spettro politico e ideologico, fatte con un minimo di razionalità, rispetto e attraverso informazioni veridiche, le prenderemo in considerazione fin dove ci tocca.

E qui è necessario chiarire qualcosa a tutti e tutte: la proposta non è più in mano dello zapatismo. Dal 13 ottobre 2016, la proposta ha cessato di essere solo nostra e si è convertita in congiunta nel Quinto Congresso del CNI.

C’è di più: dal giorno in cui è iniziata la consultazione del CNI, l’accettazione, il rifiuto e/o la modifica della proposta spettano unicamente ed esclusivamente ai collettivi, organizzazioni, quartieri, tribù, nazioni e popoli originari organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno. Non più all’EZLN. Il risultato di questa consultazione e le decisioni a cui conduce, se ci sono, si conosceranno nella seconda tappa del Quinto Congresso, i giorni 29, 30 e 31 dicembre 2016 e primo gennaio 2017, in Chiapas, Messico. O prima, se così decide il CNI.

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Chiaramente vi starete domandando perché abbiamo fatto questa proposta, se continuiamo a pensarla come abbiamo detto fin dall’inizio della nostra lotta e come ratifichiamo oggi. Be’, ora ve lo spieghiamo.

Quando il Subcomandante Insurgente Moisés mi ha detto che toccava a me spiegarlo alla Sexta, gli ho chiesto come avrei dovuto farlo. “Molto semplice”, mi ha risposto, “raccontagli quel che è successo”. Perciò farò proprio questo…

UNA PICCOLA E BREVE GENEALOGIA

Non abbiamo potuto precisare la data. Entrambi concordiamo che sia tra gli anni 2013-2014. Sebbene la buonanima SupMarcos non fosse ancora defunto, la sua morte era già stata decisa, il Subcomandante Insugente Moisés era già a capo dell’EZLN e i primi avvistamenti dell’Idra iniziavano a farsi più chiari.

Non so dalle vostre parti, ma da noi le idee non sorgono in un momento particolare, né hanno un autore o un’autrice precisi. Nascono e poi si modellano man mano, a volte si convertono in una proposta, poi in un’iniziativa. Altre, la maggior parte, restano solamente idee. Per passare il limite tra idea e proposta c’è bisogno di mesi, anni, a volte decenni. E, se questo accade, basta che l’idea si concretizzi nella parola di qualcuno perché inizi il suo accidentato cammino.

Non è sorta nemmeno da una riunione intenzionale. Se proprio devo, direi che cominciò una mattinata di caffè e tabacco. Analizzammo quel che avvistavano dai vari posti di vedetta, i cambiamenti profondi che, sebbene fossero iniziati tempo prima, si manifestavano già nei villaggi e nei paraggi zapatisti.

Io dico che l’idea inizia ad andare a opera del Subcomandante Insurgente Moisés. Sono quasi sicuro che a me non sarebbe venuta in mente una cosa tanto scapigliata e assurda.

Comunque sia andata, fu da quando ne parlò il SupMoy che ci mettemmo a pensarla sul serio, con il famoso metodo zapatista di rigirarla e rigirarla, fino ad arrivare dove vogliamo, cioè fino “al giorno dopo”.

Iniziammo dal principio, cioè dalle difficoltà e dagli ostacoli. Se le une e gli altri sono sufficientemente grandi da essere degne di una sfida, allora si passa alla fase successiva: quel che le si oppone. Dopo, e solo dopo, si analizzano i pro, quel che ha di buono. Ovvero, non si decide finché non si stabilisce se ne vale la pena. Ossia, prima viene il che, poi tutto ciò che è contrario o a favore del come, poi dove e quando (il calendario e la geografia), e, alla fine del principio, chi.

Tutto ciò non è a opera di una persona, ma si apre a collettivi sempre maggiori. Lì si “completa” a partire dalle domande, prima dei comitati “più vecchi” (ci riferiamo a chi è più antico e conosce di prima mano la nostra storia), poi di quelli che si sono uniti man mano al lavoro di direzione organizzativa, poi chi è presente come “supplente” (cioè chi rileva le cape e i capi), e per ultimo, chi è in formazione, le e i “candidati” (cioè chi si sta preparando per fare il lavoro). Qui sto ormai parlando di centinaia di teste, di pensieri, dell’andare e venire della parola, dell’udito: parlo ormai di un cuore collettivo che si va ampliando, facendosi sempre più grande.

Il passo successivo ha a che vedere con la risposta alla domanda “Chi lo farà?”. Se tocca alle autorità autonome, allora la consultazione passa a loro; se alle comunità, allora bisogna chiedere a chi toccherà, a volte in forma indiretta, a volte direttamente. Se quel “chi” risponde affermativamente, allora si consultano tutte e tutti per definire se lo si sostiene e come.

In tutto questo abbiamo speso 2 o 3 anni almeno. L’idea andava e veniva, ma senza andare oltre. Poi, mi dissero di fare un sondaggio tra la gente vicina. Lo feci.

Tempo dopo, all’albeggiare di questo 2016, il Subcomandante Insurgente Moisés mi chiamò e mi disse: “C’è un lavoro, bisogna parlarne”.

Il tono mi inquietò: l’ultima volta che lo avevo sentito, ero finito morto e rinato in una sola giornata, saranno poco più di due anni fa. Ciò nonostante, mi unii alla riunione.

Dovette essere il primo gennaio di questo 2016, nel ventiduesimo anniversario della sollevazione. Non c’era nessun altro nella capanna del Comando Generale dell’EZLN che, da ormai più di tre anni, occupa il SubMoy. Il caffè era freddo, ma c’era tabacco a sufficienza. Lui mi spiegò a grandi linee, come è solito fare: come se stesse pensando a voce alta. Espose i contro, i pro, e aspettò. Capii che era il mio turno. L’idea, come ho già spiegato, maturava da tempo, così che mi limitai a circoscrivere i contro e aggiungere interrogativi ai pro. Il “chi” ci sovrastava, e tutto ciò che non ha a che vedere direttamente con noi è un enigma. Quando il SubMoy rispose alla mia domanda sul “chi?”, con un laconico “quello che fa il compleanno” (ovvero, il CNI, che compirà 20 anni), l’insicurezza si ridusse: ci conoscevamo da 2 decadi e il Congresso Nazionale Indigeno era l’iniziativa più solida da quando siamo usciti alla luce pubblica: il CNI si era mantenuto, con i suoi alti e bassi, leale alla sua essenza, e sebbene il suo dolore fosse lontano dai mezzi di comunicazione, rappresentava il settore più colpito dall’Idra. Senza dubbio, tutto ciò non faceva che accrescere i dubbi.

In realtà”, gli dissi, “non è possibile sapere cosa succederà. Questo scioglierà molti nodi e, certo, quel che ne risulterà è, nel migliore dei casi, un’incognita. Non sappiamo se il Congresso Nazionale Indigeno accetterà, tanto mento se la Sexta lo capirà. E quelli di là sopra non pensano, reagiscono di pancia, e romperanno cose che forse sarà impossibile riparare. È molto rischioso. Ora stesso, guardando e analizzando quel che c’è fuori, ti dico che è più probabile che venga male piuttosto che bene”.

Il SubMoy posò la tazza di caffè e si accese una sigaretta. “Perciò entri in gioco tu. Sai bene che il nostro modo è dapprima prepararci prima che venga male, ricorda come fu la sollevazione e tutto quel che la seguì. Perciò, se viene male ci serve…

Mi affrettai a interromperlo: “Un piano alternativo?

Rise di gusto e disse: “No, ci serve a chi dare la colpa del fatto che è venuta male”.

A grandi linee, il Subcomandante Insurgente Moisés stava ricordando pezzi del film “La Legge di Erode” e, quando io pensavo che si sarebbe soffermato sul discorso finale del deputato Vargas (la storia di un mediocre che diventa criminale e poi governante, vi suona?), si riferì alla parte per cui “C’è una notizia buona e una cattiva”.

(Nota oziosa: “La legge di Erode” è un film di Luis Estrada, con Martín Torres come aiuto regista, soggetto e sceneggiatura di Norman Christianson, musica di Santiago Ojeda, trucco di Alfredo Mora e Felipe Salazar. Insiema a “L’inferno”, anch’esso di Luis Estrada, con il grande Joaquín Cosío nel cast -con il ruolo del “Cochiloco“- sono le uniche pellicole che siano riuscite a soppiantare quelle di Jean Claude Van Damme dal “top” cinefilo nelle comunità e negli accampamenti zapatisti).

Poi aggiunse: “Abbiamo bisogno anzitutto di pianificare cosa faremo con la notizia cattiva”.

Non ci voleva molto a divinare che la notizia cattiva era il fallimento dell’iniziativa. E non mi riferisco al fatto che non avrebbe avuto successo in sé, ma che fosse rifiutata dal CNI, che, accettandola, si sarebbe convertito nel protagonista indiscutibile di qualcosa che avrebbe stupito il Messico e il mondo.

Il Subcomandante Insurgente Moisés continuò con i dettagli.

Guarda, la prima cosa che preoccuperà il CNI è che lo accusino di tradire la propria parola, di finire nella merda, di perdere la strada, di claudicare. Ovvero di essersi fatti convincere dal sistema e di volere la grana, cioè il Potere, comandare, essere come gli altri. Di essersi arreso e venduto. A queste critiche, che sicuramente ci saranno, sono sicuro che avranno la testa e il pensiero per rispondere a dovere. Ma il problema è chi li ascolterà. Li attaccheranno molto forte e non gli daranno nemmeno l’opportunità di difendersi.

Ma qui gli potremo dare una mano. Se noi, cioè tu, ti prendi le critiche e gli attacchi, il CNI potrà vedere non solo chi salta fuori, ma anche i punti a favore o contro, che non si potrebbero vedere finché non fosse pubblico. Tutto ciò lo potrà aiutare a decidere se sì o se no”.

Continuò a parlare. Fece quasi un ritratto parlato di quel che è successo nelle ultime 4 settimane. Disse chi avrebbe detto cosa, chi sarebbe stato contrario e perché, quale sarebbe stato il pensiero del Potere, chi si sarebbe confuso, chi avrebbe sperato, chi avrebbe disteso le sue ali da avvoltoio, e chi avrebbe appoggiato con tutto il possibile perché avrebbe pienamente capito cosa si metteva in gioco.

Dopo alcune ore di domande e risposte, gli dissi: “Ma per questo non è necessario che sia presente. Basteranno alcuni comunicati, forse anche qualche intervista. I media sono così, penseranno che nulla è cambiato, che si può procedere allo stesso modo. Quelli di sopra, ebbene, sono tanto prevedibili da far cadere le braccia. Se ne verranno fuori con la storia del protagonismo, la manipolazione, il divisionismo. Questo sì, si concentreranno su una persona, in questo hai ragione. Ma, ti ripeto, perciò non è necessario che partecipi. Per di più, sono talmente quadrati che anche senza dire nulla verranno contro di me

No”, disse il SubMoy, “devi presentare tu la proposta. Non solo perché se ti vedono là penseranno che è una tua astuzia e i contrari ci cascheranno in pieno, ma anche e soprattutto perché i compagni del CNI devono capire che non è qualcosa che ha a che fare solo con i popoli indigeni. È più grande, molto grande”.

Poi, dopo aver acceso un’altra sigaretta, aggiunse:

Grande quanto e più del primo gennaio 1994“.

Non era per nulla disprezzabile l’asserzione, soprattutto venendo da chi veniva. Il Subcomandante Insurgente Moisés non è solo un veterano di guerra: arrivò nell’EZLN molto tempo prima dell’inizio della guerra. Il primo gennaio 1994 gli toccò assumere il comando di un reggimento e prendere la piazza del capoluogo municipale de Las Margaritas, mentre allo stesso tempo caricava il corpo ormai senza vita del Subcomandante Insurgente Perdro. Anni dopo, si incaricò delle comunità zapatiste. Il 26 ottobre 2010 venne promosso al grado di Subcomandante Insurgente, il più alto nella gerarchia militare dell’EZLN. Nell’anno 2012, “il giorno della fine del mondo”, fu lui a organizzare e coordinare la mobilitazione silenziosa di più di 40mila uomini, donne, bambini e anziani zapatisti che, in quella data, sorpresero il mondo. Il 14 febbraio 2013, assunse il ruolo di portavoce e capo dello zapatismo. Da allora, tutte le nostre parole pubbliche, e qualsiasi iniziativa nazionale o internazionale, deve passare dalla sua approvazione.

Ed ebbe e ha ragione: l’impegno è tale, ma tanto terribile e meraviglioso, che potrebbe essere più grande di quel primo gennaio del 1994 che ci ha indelebilmente segnati.

Quand’anche il CNI rifiuti la proposta, con il solo mettersi a pensare, a discutere, a dialogare, non sarà più come prima, perché si passerà da “ci fanno questo” a “faremo altro”, e questo già porta a un altro pensiero”, continuò a dire il Subcomandante Insurgente Moisés.

E non saranno soli né sole”, disse quasi alla fine, “oltre a noi, avranno al loro fianco le arti e le scienze”.

Prima di ritirarmi, gli chiesi perché proprio il Congresso Nazionale Indigeno. Il Subcomandante Insurgente Moisés si alzò per accompagnarmi all’uscita e mi rispose:

Perché sono gli unici che possono fare quel che noi non possiamo”.

Poi accadde quel che accadde. I maestri democratici confermarono la loro ribellione, i popoli originari continuarono a subire colpi, saccheggi e disprezzo, l’Idra continuò a divorare mondi, e il CompArte si stagliò in colori, suoni, forme e movimenti che non furono che il preludio di quel che sarebbe venuto dopo: un tremore terribile e meraviglioso.

Era già sera quando chiesi al Subcomandante Insurgente Moisés se c’erano cambiamenti. “E’ come abbiamo detto, preparati a uscire”, mi rispose senza aggiungere altro.

Arrivammo il 9 ottobre al CIDECI, quando la sera stendeva già le sue vesti macchiate su alberi e case. Più tardi, quando la notte era già signora e padrona del calendario e della geografia, le delegazioni del CNI arrivarono poco per volta. Non era corta la strada che dovevano percorrere per arrivare.

Avevamo seguito con attenzione tutti i processi in seno al CNI, la sua parola pubblica e privata. Il CNI è l’unico spazio dove gli originari possano farsi sentire. Sapevamo già che al conto degli assassinati, scomparsi, incarcerati, picchiati, si sarebbero aggiunti i cadaveri di territori interi.

Quando un territorio di un popolo, nazione, tribù o quartiere originario è saccheggiato o distrutto”, diceva il Tata Grande, Juan Chávez Alonso, un indigeno purépecha che fu maestro e guida del CNI e dell’EZLN, “allora muoiono con lui gli originari che in lui hanno radici e casa. E quando muore un popolo originario, un mondo si spegne”.

Sapevamo già allora che nei tavoli di lavoro e nelle relazioni di quel congresso ci sarebbero stati meno mondi. Non erano pochi ad arrivare a congedarsi, sebbene non lo sapessero ancora.

Bisogna iniziare”, mi disse il Subcomandante Insurgente Moisés, “bisogna condividere il carico”

NASCE UNA PROPOSTA

Il 9 ottobre 2016, ormai notte, chiedemmo di fare delle prime riunioni con chi arrivava man mano. Ci riunimmo in un luogo appartato delle costruzioni del CIDECI-Unitierra. La delegazione zapatista si sedette di fronte alle delegate e ai delegati del CNI che stavano arrivando. Permettete che vi parli un po’ della delegazione zapatista: erano 34, 17 donne e 17 uomini; di esse ed essi, solo 7 erano delle “vecchie e vecchi”; il resto, 27, erano comandante e comandanti che erano bambine e giovani quando ci sollevammo il primo gennaio 1994.

Salutammo con una stretta di mano. Tutte e tutti si sedettero, meno il Subcomandante Insurgente Moisés ed io. Lui mi fece un segnale.

Iniziai a parlare, cercando di ricordare tutto ciò di cui avevamo parlato prima, spiegando quel che, parola più parola meno, avrei dovuto ripetere il giorno dopo, 10 ottobre, nella plenaria chiusa, e poi nella plenaria aperta del 13 ottobre:

Pensiamo di dover prendere una decisione come CNI ed EZLN. Dobbiamo decidere se questo Quinto Congresso è come le altre riunioni, in cui diciamo dei nostri dolori, delle nostre resistenze, ci lamentiamo, malediciamo il sistema, dichiariamo che non ci arrenderemo, e ce ne torniamo ciascuno alla sua terra a continuare a tenere il conto delle aggressioni, spoliazioni, ingiustizie, morti.

Il nostro dolore arriva a sempre meno persone. Le nostre morti non trovano eco come prima. E non è perché la gente di fuori si sia fatta cinica o apatica. È che la guerra che soffriamo da tempo come popoli originari, è arrivata ormai anche a loro, è già nelle loro strade, nelle loro case, nelle loro scuole, nei loro luoghi di lavoro. Il nostro dolore è ormai uno di più tra tanti altri. E sebbene il dolore si estenda e si faccia più profondo, siamo più soli che mai. Ogni giorno saremo di meno.

Ben presto il CNI non potrà riunirsi perché non si potrà uscire dai propri territori, sia per i soldi, sia per il malgoverno, sia per le imprese, sia per la delinquenza, sia perché la morte naturale o quella cattiva lo impediranno. Tra qualche tempo staremo parlando solo tra di noi, sapendo già quel che diremo.


Voi, delegate e delegati del CNI, siete qui perché ne avete mandato, perché i vostri popoli, nazioni, tribù e quartieri cercano appoggio, parola e udito che li sostenga e conforti. Venite a parlare e ad ascoltare. Voi dovete rendere conto ai vostri popoli, e a nessun altro. Tutto va molto male e, noi e voi lo sappiamo, peggiorerà. Dovete fare qualcosa”
.

Raccontai allora un aneddoto successo alla buonanima Supmarcos ai tempi dell’altra campagna, 10 anni fa.

Egli raccontò che, in una nazione originaria nel nordest del Messico, si riunì con un capo indigeno. Come altre volte, la buonanima fu criticata perché il suddetto capo aveva precedentemente ricevuto governanti istituzionali. La buonanima disse di non essere stato mandato a giudicare e a condannare o assolvere, ma che doveva ascoltare perché un giorno ne avrebbe avuto bisogno. Il capo indigeno lo ricevette in disparte e in privato.

Disse il capo alla buonanima: “So bene che non volevano che ti riunissi con me, che ti hanno messo pressione perché non venissi qui. Anch’io ho ricevuto pressioni per non riceverti. Non so perché sei qui. Mi immagino che chi ti ha mandato ti ha detto di far così, che ci vedessi e ascoltassi. Non so. Ma ti dirò perché ti ho ricevuto. Io ho ricevuto i governanti. Sono venuti di tutti i colori e di tutte le dimensioni. Vengono, si fanno le foto, dicono alcune parole, se ne vanno, non tornano. Io li ho ricevuti perché i miei predecessori mi dissero che il mio dovere era provvedere che la mia gente, il mio popolo, non morisse, che sopravvivesse. Perciò li ho ricevuti, perciò ti ricevo. Non credo che mi porti né consigli né insegnamenti, sebbene sia una cosa buona che non cerchi foto e ascolti invece di parlare. A quelli li ho ricevuti perché penso che così il mio popolo sopravviva un po’ di più e non muoia. Perciò ricevo te, perché credo che qualcosa si vedrà di ciò che siamo e questo sguardo, anche se solo per poco tempo, aiuterà il mio popolo a sopravvivere”. La buonanima annotò tutto nel suo quaderno, perciò aveva per intero le parole del capo indigeno.

Dopo quelle parole, il capo tacque. La buonanima chiese allora permesso di parlargli. Il capo gli concesse la parola. La buonanima disse, parola più parola meno (non le annotò nel quaderno perché non poteva allo stesso tempo parlare e prendere appunti): “Grazie di avermi ricevuto. Ho solo una domanda: non ha paura di essersi sbagliato, cioè che ricevere i governanti o me non abbia aiutato il suo popolo a non morire, o di essere giudicato come un cattivo capo?

Il capo indigeno aspettò per vedere se era la domanda completa, poi rispose: “Mi può giudicare solo il mio popolo. Se il mio popolo mi condanna per ciò che ho detto e fatto, vuol dire che non mi sono sbagliato. Perché affinché mi giudichi e condanni, il mio popolo deve essere sopravvissuto. Perciò avrò compiuto il mio dovere e potrò renderne conto ai morti, seppure i vivi mi condannino”.

Qui termina l’aneddoto del defunto. Continuai a parlare:

Perciò voi dovete avere chiaro a chi dovete rendere conto. All’EZLN non dovete rendere conto di nulla. Neanche alla Sexta. A nessuno che non sia i vostri popoli, che rappresentate, dovete alcunché. Dovete fare qualcosa, perché presto per molti non ci sarà più nulla e sarà troppo tardi”.

Dicemmo loro che dovevano fare qualcosa, che il loro dovere era nei confronti dei loro quartieri, tribù, nazioni e popoli originari, nei confronti dei loro collettivi e organizzazioni.

Dicemmo loro che facessero qualcosa, qualsiasi cosa: che, se lo giudicavano necessario, entrassero dentro Morena (è nelle registrazioni e lo possono certificare le delegate e delegati presenti; fu l’unica volta che, da parte nostra, venne menzionato chi poi, e prima di tutti, ha delegittimato e condannato la proposta, facendo mostra di stupidità, razzismo, intolleranza, disprezzo e franca schizofrenia. Sì, la prima opzione che lo zapatismo presentò al CNI è stata di appoggiare il Partito Movimento di Rigenerazione Nazionale). O che entrassero in qualsiasi altro partito politico. O che fondassero un proprio partito politico.

Che in tutto questo non li avremmo seguiti, ma avremmo compreso perché lo facevano e non avrebbero avuto, da parte nostra, né giudizi né condanne.

Dicemmo loro che, se la Sexta gli era di disturbo, la lasciassero.

Che se l’EZLN gli era di disturbo, che tagliassero la relazione con noi.

Non ho bisogno di dirvi che, a ciascuna di queste opzioni, le delegate e delegati facevano gesti come se stessero scacciando mosche impertinenti. Tutte e tutti se ne stavano zitti. Continuai:

Fate qualcosa, questo o un’altra cosa”.

Qui mi voltai a guardare il Subcomandante Insurgente Moisés. Mi fece segno di continuare:

Noi vi veniamo a proporre un’altra cosa: siamo colpiti con i morti, le sparizioni, i sequestri, gli arresti, i saccheggi, le ingiustizie, i territori interi distrutti e altri in via d’estinzione. Siamo accerchiati, senza speranza, senza forze, senza sostegno, deboli, agonizzanti. Per i politici e i media, fossero anche di sinistra o progressisti, non esistiamo.

Perciò noi zapatiste e zapatisti pensiamo che è il momento di passare all’offensiva. È l’ora del contrattacco. Bisogna iniziare a colpire uno dei cuori del sistema: la politica di sopra.

Perciò vi proponiamo che il CNI formi una Giunta di Governo Indigeno (così si chiamava nella nostra proposta originaria; ma in assemblea, su proposta di una delegazione indigena magonista di Oaxaca, passò a chiamarsi “Consiglio Indigeno di Governo”), un collettivo, formato da delegati del CNI, che aspiri a governare il paese. E che si presenti alle elezioni presidenziali del 2018 con una donna indigena del CNI come candidata indipendente”.

No, di fronte a questa proposta le delegate e delegati non fecero come per scacciare un insetto molesto, ma francamente si arrabbiarono. Qualcuno ne fu molto molestato (be’, per dirla tutta si incazzò proprio). Altri dissero che come scherzo era brutto, che non faceva ridere bensì dava il mal di stomaco. Ma la maggioranza restò in silenzio.

Devo dirvi che, nel modo di fare degli originari, il silenzio non significa accordo, convinzione o mancanza di argomenti. Significa che ascoltano e, occhio, pensano e analizzano prima di parlare (sì, a più d’uno farebbe bene seguire questo metodo).

Perché ci hanno ascoltato? Perché ci consideriamo fratelli e sorelle. Il mutuo rispetto fece sì che ci ascoltassero fino alla fine.

Capirono che non era una semplice trovata, ma un’idea che poteva arrivare a essere una proposta. E come tale iniziarono a pensarla.

Dopo un prolungato silenzio, qualcuno iniziò a dire qualcosa come: “sto pensando che così potremmo ricostruire il CNI, che l’iniziativa darebbe nuovamente visibilità agli indigeni. Perché bisogna dirlo chiaro, compagni, non esistiamo per la classe politica. Non ci menzionano più nemmeno come oggetto di elemosina. E credo che con questa proposta potremmo non soltanto incontrarci con altri indigeni, ma ci incontreremmo con molta gente di sotto che è fottuta. C’è molto scontento in tutto il paese, e non c’è alternativa per gli indigeni, e nemmeno per i non indigeni. Chiaro, la proposta ha tanti contro che dobbiamo analizzare con serietà”.

Qualcun altro prese la parola e menzionò due contro: il razzismo che esiste nella società messicana; e che li avrebbero criticati e attaccati per il fatto di cercare il Potere. Entrambi i punti contrari vennero ripetuti nelle valutazioni successive. No, né in quella riunione, né nelle seguenti, nessuno menzionò come punto contro di venire accusati di “dividere la sinistra”.

Ecco come l’idea cessò di essere solo nostra. Ecco come il CNI iniziò a pensarla e farla sua. La parola si ampliò sempre di più. Presto, tutte le delegazioni stavano pensando, opinando, valutando. L’assurda idea iniziava a convertirsi in una proposta collettiva.

Nell’assemblea plenaria chiusa del 10 ottobre e nei tavoli di lavoro del giorno 11, la parola andava e veniva. Senza smettere di assolvere al mandato che avevano le delegazioni, il tema centrale cessò di essere la denuncia. La possibilità di passare all’offensiva si convertì nella cosa più importante. Nei tavoli di lavoro (furono 4) chi poteva assistere come osservatore, alcune compagne e compagni della Sexta, quando si toccava il tema, si muoveva nervoso nella sua sedia, guardandosi con le altre e gli altri (non potevano parlare, solo ascoltare), si girava a guardare la delegazione zapatista (ci eravamo suddivisi per coprire i 4 tavoli e avere così totale contezza di tutte le denunce ed esperienze delle delegazioni del CNI). Più di una e uno uscì con manifesto disappunto.

Un movimento febbrile percorreva riunioni grandi e piccole. Chi poteva, chiamò per telefono i suoi popoli raccontando quel che si stava discutendo, chiedendo opinioni e pareri. I pro e i contro erano analizzati e discussi. Si facevano liste degli uni e degli altri. Si soppesavano. Si cercava la risposta a una domanda: “Sarebbe valsa la pena?”.

L’idea aveva ormai smesso di essere dell’EZLN. Era ormai del Congresso Nazionale Indigeno. Nel cuore collettivo dei popoli originari cresceva l’eco delle parole iniziali del Subcomandante Insurgente Moisés, a nome di tutte e tutti gli zapatisti:

Ora è l’ora del Congresso Nazionale Indigeno. Che al suo passo tremi nel suo centro la terra. Che nel suo sogno si sconfiggano il cinismo e l’apatia. Che nella sua parola si innalzi quella di chi non ha voce. Che nel suo sguardo si illumini l’oscurità. Che nel suo udito trovi casa il dolore di chi si crede solo. Che nel suo cuore trovi consolazione e speranza la disperazione. Che con la sua sfida si stupisca di nuovo il mondo”.

-*-

Però mancava quello che mancava.

Oltre a valutare i pro e i contro, per il CNI doveva rimanere chiaro qual era il ruolo dello zapatismo in tale iniziativa.

Con l’anticipo dovuto, il Subcomandante Insurgente Moisés e il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno avevano organizzato una piccola festa per rendere omaggio a colui che compiva gli anni, il Congresso Nazionale Indigeno, che quel giorno 12 ottobre 2016 arrivava ai 20 anni dell’essere casa, udito, parola ed eco dei popoli originari del Messico.

Il luogo? Il caracol di Oventik nelle montagne del sudest messicano.

Vennero ricevute le delegazioni del CNI secondo i protocolli zapatisti per gli invitati speciali. Chiaro, ci fu uno sforzo extra per onorare quelle visite. Non tutti i giorni possiamo ricevere i nostri familiari più vicini, chi ha in comune con i popoli zapatisti il sangue, il dolore, la rabbia, la resistenza e la ribellione. Vale a dire, la storia.

All’inizio non capii perché il Subcomandante Insurgente Moisés aveva disposto l’accoglienza delle delegazioni in quel modo: nel palco principale mise le delegazioni del CNI, e di fronte mise una piccola pedana dove si collocò la direzione zapatista, guidata da lui stesso.

Io potei vedere tutto perché mi muovevo da un lato all’altro, cercando di convincere le compagne e i compagni del CNI che potevano salire sui banchi per vedere meglio. “E’ che ho le scarpe infangate e sporco il banco”, argomentò una delegata. “Compagna”, le dissi, “qui l’unica cosa che non manca è il fango, perciò non si preoccupi”.

Il CNI nominò una donna indigena delegata per prendere la parola nella cerimonia. Parlò il Comandante David per dare il benvenuto. Poi parlò la compagna del Congresso Nazionale Indigeno. Parlò come si parla tra familiari: con il cuore in mano. Non ripeterò le sue parole, né quelle che poi il Subcomandante Insurgente Moisés disse a nome di tutte e tutti noi. Si stava per ritirare la compagna del CNI quando il Subcomandante Insurgente Moisés la pregò di restare.

Là restò la compagna durante tutto l’atto, circondata dai capi indigeni zapatisti, di fronte alle delegazioni del Congresso Nazionale Indigeno.

Allora compresi.

Io osservavo da un lato, ma con la prospettiva visuale delle delegazioni del CNI, che poterono vedere come una donna, indigena come loro, del Congresso Nazionale Indigeno come loro, era accompagnata dalla massima autorità dell’EZLN, che la copriva, la proteggeva, l’accompagnava, la sosteneva, sottolineando quel che ci rendeva differenti, ma compagne e compagni.

Fu così come, con questo simbolo, il Subcomandante Insurgente Moisés rispose alla domanda che circondava le delegazioni del CNI fin dal primo giorno: “Che ruolo avrebbe avuto l’EZLN nell’iniziativa, se fosse stata approvata?

In seguito ci furono balli, opere teatrali, canzoni e poesie.

Alla fine dell’atto, una compagnia miliziana zapatista presentò un comunicato completo senza dire una parola.

Poi? La cena: vitello e tacchino, a scelta, caffè e pozol. Poi si ritirarono.

Il giorno successivo, il 13 ottobre, ci fu l’assemblea generale risolutiva…

PERCHE’?

Il 13 ottobre iniziò sotto buoni auspici: uno dei tavoli di lavoro non era terminato, e l’apertura dell’assemblea plenaria ritardò. Dopo si iniziò con la presentazione delle relazioni. Sì, uno dei tavoli non aveva terminato di trascrivere. Proseguì il ritardo, come dev’essere in qualsiasi decisione importante. Oh, lo so. Lo diciamo per niente, se noi siamo l’attualizzazione costante del software “la ribellione dei sospesi”.

Per indicazione del Subcomandante Insurgente Moisés, nelle tre assemblee plenarie (quella chiusa, quella di inaugurazione e quella di chiusura) la delegazione zapatista si sedette fino a dietro, al fondo dell’auditorium del CIDECI-Unitierra. Così sarebbe stato chiaro il tema: era l’ora del Congresso Nazionale Indigeno.

Quando alla fine si giunse al tema “Proposte per il rafforzamento del CNI”, il Subcomandante Insurgente Moisés chiese la parola per la delegazione zapatista. Gli fu concessa e il SubMoy passò davanti. Iniziò le sue parole più o meno così:

Mi hanno raccontato di un film, credo che si chiami “La Legge di Erode” (risate generali, meno la mia smorfia particolare perché io sapevo quel che veniva dopo). In questo film che mi hanno raccontato c’è una parte dove Vargas dice: porto una notizia buona e una cattiva (ancora più risate generali, ancora più smorfie particolari). Allora dobbiamo vedere come fare con la notizia cattiva. Ossia, a chi daremo la colpa del fatto che è venuta male. Perciò chiedo al SupGaleano che passi a spiegare la proposta” (ancora più risate generali, ma non più smorfia particolare).

Passai davanti. Dopo aver chiarito che facevo con molto piacere il mio lavoro di “punching bag” o di “piano alternativo”, e che per me era un poderoso afrodisiaco ricevere critiche e insulti (va bene, lo dissi in forma più prosaica, ma quello era il tenore), dissi ciò che mi era stato raccomandato di dire. Lo farò in maniera sintetica, posto che sono ormai svariate cartelle e, se siete già arrivati a questa, meritate un po’ di considerazione. Inoltre, ora saprete perché l’ezetaelleenne fece questa proposta e perché al CNI.

Dapprima insistemmo sul fatto che la nostra proposta originaria era quella di una donna indigena, delegata del CNI, di sangue indigeno, che parlasse la sua lingua e conoscesse la propria cultura. E aprimmo con questo perché ciò che si riferiva a “una donna” si era via via diluito nelle conversazioni e nei tavoli di lavoro. Prima passarono a dire “la candidata o candidato”, poi “il candidato o candidata”, poi solo “il candidato”.

Poi ricordammo loro che non si poteva prendere una decisione lì, in quel Quinto Congresso, perché era un impegno fin dalla sua nascita che il Congresso Nazionale Indigeno consulti con chi ne fa parte le proposte che vengono presentate nelle riunioni. I sette principi obbligavano il CNI a consultare sé stesso, secondo il modo di ciascuno.

Poi dicemmo loro quel che pensiamo sull’iniziativa:

Che il Consiglio Indigeno di Governo avrebbe dovuto essere formato da delegati e delegate di tutti i collettivi, organizzazioni, quartieri, tribù, nazioni e popoli originari organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno.

Che non vinceranno perché il sistema elettorale in Messico è fatto per beneficiare i partiti politici, non per la cittadinanza.

Che se vincessero, non glielo riconoscerebbero, perché la frode non è un’anomalia del sistema elettorale messicano, è la sua colonna vertebrale, la sua essenza.

Che se vincessero e glielo riconoscessero, non avrebbero potuto far nulla di trascendentale, perché là sopra non c’è nulla da fare. Le questioni fondamentali della malridotta nazione messicana non si decidono né nel potere esecutivo, né nelle camere legislative, né nel potere giudiziario. Chi comanda non ha un incarico visibile e si aggira nelle catacombe del Potere finanziario internazionale.

E che, nonostante tutto ciò, bensì precisamente per tutto ciò, potevano e dovevano farlo.

Perché la loro azione avrebbe significato non soltanto una testimonianza di chi non si adegua, ma una sfida che sicuramente avrebbe trovato eco nei molti bassi che ci sono in Messico e nel mondo; che avrebbe potuto generarsi un processo di riorganizzazione combattiva non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini, impiegati, coloni, maestri, studenti, insomma di tutta quella gente il cui silenzio e la cui immobilità non è sinonimo di apatia, bensì di assenza di convocazione.

In risposta a quel che si era detto sul fatto che era impossibile, che c’erano molti contro, che non si sarebbe vinto, rispondemmo che, se ci fossimo incontrati il 31 dicembre del 1993 e avessimo detto loro che, in alcune ore, ci saremmo sollevati in armi, dichiarando guerra al malgoverno e attaccando le guarnigioni della polizia e dell’esercito, ci avrebbero detto ugualmente che era impossibile, che c’erano molti contro, che non si sarebbe vinto.

Dicemmo loro che non importava se avessero vinto o no la presidenza della Repubblica, che ciò che sarebbe importato era la sfida, l’irriverenza, l’insubordinazione, la rottura totale dell’immagine dell’indigeno oggetto di elemosina e di pietà (immagine tanto radicata nella destra e, chi lo avrebbe mai detto, anche nella sinistra istituzionale del “cambiamento vero” e nei suoi intellettuali organici addetti all’oppio delle reti sociali), che la loro audacia avrebbe scosso il sistema politico intero e che avrebbe avuto echi di speranza non in uno, ma in molti dei Messichi di sotto… e del mondo.

Dicemmo loro che l’iniziativa era in tempo affinché, in totale libertà e responsabilità, decidessero fin dove l’avrebbero portata, quanto lontano sarebbero andati.

Dicemmo loro che avrebbero potuto decidere in qualsiasi momento cosa, perché era il loro passo, e che la destinazione che si davano avrebbe rotto tutti gli schemi, soprattutto quelli di chi si crede e pensa avanguardia del cambiamento e della rivoluzione.

Dicemmo loro che, se erano disposti a sfidare una società razzista, sarebbero dovuti andare oltre e sfidare anche un sistema patriarcale e machista (non è la stessa cosa, ve lo possono chiarire coloro che militano nella lotta femminista).

Dicemmo loro che le comandanti zapatiste dicevano che esse avrebbero potuto vedere di sostenere le compagne che sarebbero state nel Consiglio Indigeno di Governo, e la compagna che sarebbe venuta fuori come portavoce e candidata, curando i loro figli in comunità. Che li avremmo curati bene, come fossero nostri. Sarebbero andati alla scuola autonoma perché non restassero indietro negli studi, avremmo visto a quali dottoresse e dottori solidali affidare la sua salute. E che, se avessero avuto animali, avremmo curato anche quelli. Che le compagne del CNI non avessero pena ad affrontare quel lavoro se così comandava l’accordo del CNI.

Dicemmo loro di non preoccuparsi se non sanno parlare bene spagnolo. Che Peña Nieto neppure, eppure è lì.

Dicemmo loro che avremmo potuto riorientare la nostra economia di resistenza e chiamare le persone, i collettivi e le organizzazioni del Messico e del mondo, per trovare la grana per muoversi dove fosse necessario. Così avrebbero avuto la libertà di rinunciare alla paga economica istituzionale che il sistema dà alle candidature indipendenti.

Dicemmo loro che non pensavamo solo che avrebbero potuto governare il nostro paese che si chiama Messico, ma anche il mondo intero.

Dicemmo loro di approfittarne per parlare e ascoltare altri popoli originari, e altri e altre che non sono indigeni, ma che allo stesso modo stanno soffrendo senza speranza né alternativa.

Dicemmo loro che c’erano cose che noi come zapatiste e zapatisti avremmo potuto fare e il CNI no. E che il CNI poteva fare cose che noi come zapatiste e zapatisti non avremmo potuto.

Dicemmo loro che esse, essi, il collettivo che si chiama Congresso Nazionale Indigeno avrebbe potuto fare quel che nessun altro (includendo lo zapatismo) avrebbe potuto fare: unire. Perché un movimento legittimo, come quello dei popoli originari, può e deve essere un punto di unione tra i differenti ma uguali nell’impegno.

Ma non “unire” sotto una sigla, una gerarchia, una lista di sigle reali o posticce. No. Unire come punto di confluenza, essere il luogo in cui le differenze e le rivalità incontrino un punto comune, in cui coincidano. La terra, insomma. E perciò chi meglio di chi è del colore della terra come loro.

Dicemmo loro che, intorno a quel Consiglio e a quella donna indigena, si sarebbe potuto generare un gran movimento che scuotesse il sistema politico intero.

Un movimento donde confluissero tutti i sotto.

Un movimento che avrebbe fatto tremare nei suoi centri la terra.

Sì, ora al plurale, perché sono molti i mondi che giacciono sulla terra e attendono una bella scossa per nascere.

Dicemmo loro che forse, allora, non importerà se si raccolgono o no le firme, se esce fuori o no la grana per muoversi, se si ottiene o no la registrazione della candidata, se si presentano o no le altre candidature da dibattere, se si partecipa o no alle elezioni, se si vince o no, se si riconosce o no il trionfo, se si può o no fare qualcosa là sopra.

E non sarebbe importato perché sarebbero stati altri i problemi, altre le domande, altre le risposte.

Dicemmo loro che non avremmo dato in eredità le nostre fobie e filiae, che avremmo rispettato le loro decisioni, i loro passi, i loro cammini.

Dicemmo loro che, come zapatisti, saremmo stati una forza di più tra quelle che sicuramente si sarebbero dovute sentire convocate dalla loro sfida.

E dicemmo loro la cosa più importante che avevamo da dire: che eravamo disposti ad sostenerli con tutta la nostra forza.

Che avremmo dato appoggio con tutto ciò che abbiamo che, sebbene poco, è ciò che siamo.

-*-

Continuarono gli interventi, tutti ormai nel senso di fare propria del CNI la proposta. Più d’uno chiedendo che si decidesse lì stesso. L’immensa maggioranza sottolineando che bisognava consultare.

La commissione relatrice ci ha passato una copia del progetto di risoluzione.

Istintivamente presi una matita per aggiungere virgole, e punti.

Il Subcomandante Insurgente Moisés mi trattenne e mormorò:

No, ormai la parola è la loro. È grande questa parola, più grande di noi zapatiste e zapatisti. Come diceva la buonanima: siamo i più piccoli, ci tocca farci da parte e aspettare…

LA CONSULTAZIONE INTERNA ZAPATISTA

Potremmo già darvi i risultati e via. Ma crediamo che forse vi aiuterà a capire, a capirci, se vi raccontiamo come avvenne il processo.

Dal 15 ottobre 2016, la delegazione zapatista al Quinto Congresso Nazionale Indigeno, insieme al CG-CCRI dell’EZLN, si sono dati il compito di organizzare la consultazione interna per conoscere l’opinione e decisione delle basi d’appoggio zapatiste sulla proposta centrale.

La consultazione interna la facemmo in tutte e ciascuna delle comunità, collettivi, regioni e zone zapatiste. Includemmo nella consultazione anche le compagne, i compagni, i fratelli e le sorelle della città, che partecipano in diverse squadre d’appoggio della Commissione Sesta dell’EZLN. Non si inclusero nella consultazione le truppe insorte zapatiste perché non è nostro compito prendere quel tipo di decisioni.

Facemmo la consultazione secondo il nostro modo, seguendo una guida realizzata dal Subcomandante Insurgente Moisés, la mattina del 14 ottobre 2016, prima che si rendesse pubblico il testo “Che tremi nei suoi centri la terra”:

1.- Informazione. – Ovvero, in ogni comunità, collettivo, regione o zona, prima si informò di ciò che si era detto in quei giorni del mese di ottobre 2016. Si informò dei dolori dei nostri fratelli popoli del Congresso Nazionale Indigeno, di tutte le cattiverie che gli fanno i capitalisti, che sfruttano, reprimono, disprezzano e rubano ai popoli originari, di come stanno uccidendo popoli interi. Ma non solo, informammo anche su come si organizzano e resistono contro quella politica di morte e distruzione. Per dare queste informazioni usammo la relazione fatta dalla commissione provvisoria del CNI, il documento che si chiama “Che tremi nei suoi centri la terra”, e il riassunto e gli appunti presi dalla delegazione zapatista in quella prima tappa del Quinto Congresso del CNI.

Questo punto è molto importante, perché è qui che convertimmo le nostre sorelle e fratelli, compagni e compagne, in udito e cuore per i dolori e le resistenze di altri che sono come noi da altre parti. È molto importante e urgente questo punto perché se non ci ascoltiamo tra noi, tantomeno ci ascolteranno altre persone.

2.- La proposta. – Si disse e si spiegò qual è la proposta: che il Congresso Nazionale Indigeno nomini un Consiglio Indigeno di Governo (che è come una Giunta di Buon Governo, ma nazionale ossia in tutto il Messico), formato da rappresentanti donne e uomini di ciascuno dei collettivi, organizzazioni, quartieri, tribù, nazioni e popoli che sono organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno. Ovvero, questo Consiglio è formato da indigeni, e loro sono chi governerà il paese.

Questo Consiglio Indigeno di Governo è collettivo, ossia non comanda una persona, ma tra tutti si prendono accordi per governare. Questo Consiglio Indigeno di Governo non fa quel che gli pare, ma prende in considerazione quel che dicono i popoli di tutto il Messico, indigeni e non indigeni.

Ovvero, questo Consiglio ha i 7 principi del Comandare Obbedendo: servire e non servirsi; rappresentare e non soppiantare; costruire e non distruggere; obbedire e non comandare; proporre e non imporre; convincere e non vincere; scendere e non salire.

Questo Consiglio Indigeno di Governo ha come voce una donna indigena del CNI (non dell’EZLN), cioè che abbia sangue indigeno, che parli la sua lingua originaria e conosca la propria cultura. Cioè che abbia come portavoce una donna indigena del CNI.

Questa donna indigena del CNI è colei che si presenta come candidata alla presidenza del Messico nel 2018. Siccome non si può mettere tutti i nomi di chi fa parte del Consiglio Indigeno di Governo, perché si può creare confusione, allora il nome che si mette è quello della portavoce del Consiglio. Non che questa donna sia di un partito politico, ma che sia candidata indipendente. Così si dice quando qualcuno è in un’elezione ma non appartiene a un partito politico.

Quindi, questo Consiglio Indigeno di Governo, insieme alla donna indigena del CNI, si mette a percorrere quanto più può il Messico e il mondo per spiegare com’è la situazione in cui siamo per colpa del sistema capitalista, che sfrutta, reprime, deruba e disprezza la gente di sotto, i poveri della campagna e della città, e che per di più sta distruggendo la natura ossia sta uccidendo il mondo in cui viviamo.

Il Consiglio Indigeno di Governo cercherà di parlare e ascoltare tutti gli indigeni del Messico direttamente nei loro villaggi, regioni, zone, stati, per convincerli a organizzarsi, a non lasciarsi andare, a resistere e a governare sé stessi, come facciamo come zapatisti che siamo, che nessuno ci dice come o cosa dobbiamo fare, ma che i popoli stessi decidono e comandano.

Questo Consiglio Indigeno di Governo cercherà anche di parlare e ascoltare chi non è indigeno, ma che è ugualmente sfruttato, represso, derubato e disprezzato in Messico e nel mondo. Allo stesso modo porterà loro un messaggio di organizzazione e lotta, di resistenza e ribellione, secondo il modo di ciascuno, secondo il suo calendario e la sua geografia.

Affinché questa donna indigena, delegata del CNI, sia riconosciuta come candidata dalle leggi messicane, bisogna mettere assieme quasi un milione di firme di persone con diritto di voto. Se le mettono assieme e le firme ci sono tutte, allora la riconoscono come candidata indipendente come presidentessa del Messico, e si mette il suo nome perché, nell’anno 2018, la gente voti o no, secondo il pensiero di ciascuno. Perciò si tratta di far percorrere il Messico al Consiglio Indigeno di Governo e alla portavoce indigena, e dove ci siano persone messicane per ottenere le firme per registrarsi. Poi un altro giro perché la appoggino e votino per l’indigena del CNI.

Come zapatisti pensiamo che, quando faranno questo giro il Consiglio Indigeno di Governo e la sua portavoce, conosceranno molti dolori e rabbie che ci sono in Messico e nel mondo. Dolori e rabbie di persone indigene, ma anche di persone che non sono indigene, ma che anch’esse soffrono, ma resistono.

Perciò questo è ciò che si vuole. Non si ricerca che una donna indigena del CNI sia presidentessa, ma ciò che si vuole è portare un messaggio di lotta e organizzazione ai poveri della campagna e della città del Messico e del mondo. Non consideriamo che, se si raccolgono le firme o si vincono le elezioni, sia un successo. È un successo se si può parlare e ascoltare chi non viene ascoltato da nessuno. Lì si vedrà se sarà un successo o no, se davvero molta gente prenderà forza e speranza per organizzarsi, resistere e ribellarsi.

Fin dove si arriva? Fin dove lo deciderà il Congresso Nazionale Indigeno.

3.- Poi vennero detti e spiegati i punti contro questa proposta. Per esempio:

.- ci criticheranno come zapatisti che siamo, perché abbiamo detto che non lottiamo per il Potere e ora vogliamo il Potere.

.- ci criticheranno perché abbiamo tradito la nostra parola sul non volere incarichi.

.- ci criticheranno perché abbiamo parlato male dei partiti politici ma faremo come chi critichiamo.

.- ci accuseranno di appoggiare il partito PRI perché divideremo i voti per la sinistra e così vince la destra.

.- ci criticheranno perché le donne indigene non hanno educazione e non sanno parlare castigliano.

.- ci disprezzeranno perché come indigeni non abbiamo pensiero adatto a governare.

.- ci prenderanno molto in giro e sparleranno di noi come indigeni che siamo.

(Occhio, razzisti e machisti: prima che iniziassero i vostri attacchi, noi indigene zapatiste già sapevamo cosa avreste detto. E con tutto che noi siamo i tonti e gli ignoranti, e voi siete tanto saggi e intelligenti).

Nelle assemblee parteciparono le compagne e i compagni dicendo altre cose che possono essere punti contrari.

Ad esempio, dissero della sicurezza, che i governi possono attaccare il Congresso Nazionale Indigeno e la candidata affinché non vinca; che i malgoverni possono attaccare le comunità zapatiste affinché non appoggiamo il CNI, che si faranno brogli perché non avanzi la lotta del CNI perché di per sé i governi sono astuti e traditori; che arriveranno gli avvoltoi politici per vedere cosa guadagnarci individualmente dalla lotta dei popoli indigeni; che c’è chi vorrà portare la lotta dei popoli indigeni su un’altra strada; e altre cose.

4.- Poi si dissero i punti a favore di questa proposta. Per esempio:

.- serve perché la società messicana torni a vedere e sentire i popoli indios del Messico, che ora nemmeno menziona.

.- serve perché si possano sentire e parlare con indigeni di tutto il Messico che non sono organizzati e i maledetti capitalisti li stanno distruggendo.

.- serve perché gli indigeni tornino ad avere l’orgoglio e l’onore di essere indigeni, del loro colore, la loro lingua, la loro cultura, la loro arte, la loro storia.

.- serve perché le donne indigene si sollevino con la propria voce e si organizzino, così come si sono sollevate e organizzate le donne zapatiste.

.- serve per spiegare alla gente di sotto tutta la distruzione e il male che stanno facendo i maledetti capitalisti.

.- serve al Congresso Nazionale Indigeno perché si conosca com’è il modo di fare del CNI e altri popoli, nazioni, tribù e quartieri indigeni entrino nel CNI e si conoscano tra di loro come indigeni e vedano i propri dolori e le proprie forze.

.- serve come zapatisti che siamo perché così possiamo appoggiare i nostri fratelli e sorelle indigene di altre parti, perché continuino la loro lotta e possano vivere con libertà e dignità.

.- serve ai popoli zapatisti perché così apprendiamo a organizzarsi non soltanto per aiutarci tra di noi, ma anche per organizzarci per sostenere altri che lottano, come abbiamo fatto con i maestri democratici.

5.- Poi si passò a pensare se questa proposta serva al Congresso Nazionale Indigeno o no.

6.- Poi si passò a pensare se questa idea ci serva come zapatisti che siamo o non ci serva.

7.- Poi si passò a discutere se appoggiamo o non appoggiamo questa proposta e, se esce di sì, come non possiamo appoggiare come zapatisti che siamo; e poi come possiamo appoggiare come zapatisti che siamo.

Per esempio, non possiamo appoggiare con le firme perché gli zapatisti di per sé non usano credenziali da elettore; non possiamo nemmeno essere candidate o candidati perché come zapatisti non lottiamo per il Potere; non possiamo votare perché non usiamo quel modo di votare di mettere un foglio in una cassa, ma prendiamo i nostri accordi in assemblee in cui tutti partecipano e dicono la loro parola.

Però possiamo appoggiare in altre forme, per esempio: possiamo appoggiare spiegando questa buona idea e convincendo coloro che usano le loro credenziali, che le usino per appoggiare la donna indigena del CNI; possiamo parlare con la gente della città che ci appoggia come zapatisti perché appoggi il Consiglio Indigeno di Governo; possiamo organizzarci come collettivi e governi autonomi per trovare un po’ di grana per sostenere il CNI perché possa viaggiare dove ne avrà bisogno; possiamo parlare e convincere gente della città a organizzarsi per trovare grana per il CNI; possiamo spiegare in Messico e nel mondo come facciamo a governarci noi stessi e così la gente benpensante lo veda se come indigeni sappiamo governare.

-*-

E, bene, sono stati informati tutti i villaggi anche di un altro degli accordi del Quinto Congresso: che è, che se nella consultazione zapatista interna (e in quella di qualsiasi collettivo, organizzazione, quartiere, tribù, nazione e popolo originario del CNI) esce come risultato che non si appoggia la proposta, che l’idea è cattiva e che non si è d’accordo, allora il Congresso Nazionale Indigeno rispetta questa decisione, anche se la maggioranza dicesse che la appoggia. Vale a dire, si continua a prenderla in considerazione come parte del CNI. Cioè non è forzoso che chi non è d’accordo debba fare quel che decide la maggioranza. Ovvero si rispetta l’autonomia, i modi di ciascuno.

Come si fa nelle comunità indigene zapatisti, non è che guarderemo male o espelleremo dallo zapatismo chi la pensa diversamente, ma lo rispetteremo e ne terremo conto. Come nelle nostre assemblee comunitarie, non è che se qualcuno la pensa in maniera contraria di quel che dice la maggioranza lo cacciamo, ma va avanti.

Come si può vedere, la consultazione interna si è concentrata sull’appoggiare o no quel che risultava dalla consultazione del CNI. Questi sono i risultati:

Sono state consultate varie decine di migliaia di uomini e donne zapatiste. Di loro, l’immensa maggioranza si è espressa per appoggiare la decisione a cui giunga il CNI, secondo le nostre possibilità. Si sono espressi contro 52 compagni (26 compagne e 26 compagni). Si sono espressi come “non so”, o “indecisi” 65 compagni (36 compagne e 29 compagni). Le ragioni che hanno dato coloro che si sono espressi contro sono diverse: dal compagno che ha detto “io voterò contro per vedere se davvero mi rispetterete e non mi caccerete dallo zapatismo”; fino a chi ha argomentato che non sarebbero stati nel loro villaggio e non volevano impegnarsi perché non avrebbero potuto compiere il lavoro che ne sarebbe derivato. Chi si è manifestato indeciso ha detto, tra le altre cose, che è inutile che si decide se ancora non si sa cosa dirà il CNI, che allora a cosa serve dire che sostengono la proposta se il CNI dirà che non lo farà.

COSA ASPETTARSI?

Compagni:

Ecco l’ultima parte. Grazie a chi è arrivato a leggere fino a qui… eh?… sì, chiaro, restate in attesa… sì, dubbi, certo… domande, ovvio… cosa?… quale sarà il risultato della consultazione del CNI?… Volete una previsione?… ok, ok, ok, fatemi chiedere… Ecco… dico la verità, perciò:

Siamo sinceri: non ne abbiamo la più pallida idea.

Davvero.

Abbiamo già visto prima come una proposta si modella con il lavoro della parola nel modo degli originari. Come se un’idea non fosse altro che una massa informe di fango e fossero le mani collettive a darle forma, dimensione, colore, utilizzo.

Perciò, come voi, siamo in attesa.

Certo, noi zapatiste e zapatisti non aspettiamo al vostro stesso modo.

Voi, crediamo, state aspettando qual è il risultato e tutto ciò che ne deriverà.

Noi zapatiste e zapatisti stiamo aspettando quel che accadrà successivamente, il giorno dopo. E stiamo già preparandoci per quel calendario.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés               Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, novembre 2016

 

Dal quaderno di Appunti del Gatto-Cane

Non crediate che non mi sia preparato per il caso in cui, dalla consultazione del CNI, venga fuori che la proposta è rifiutata. No, non mi preoccupa. Ho preso le mie precauzioni. Per esempio: ho già un certificato medico che sono in lista di attesa per un’operazione di cambio di sesso, e anche un tramite di adozione con una famiglia indigena zapatista. Così potrete dire che era tutta una macchinazione per essere io il candidato… ok, ok,ok, la candidata alla presidenza della Repubblica.

Ah, la mia perversità è sublime, no?

Chiaro, con questa uscita mi si rovinerà la corrispondenza femminile. Oh, aspettate, non c’è più corrispondenza, né femminile né non femminile. Ah, se avessi le reti sociali mi farei varie utenze alternativa (non fate gli… già lo fanno) e mi autodarei rt, follow e like, e mi autotrollerei perché si veda che è tutto f-e-d-e-d-e-g-n-o.  Quante utenze alternative si possono avere al massimo? Non fate gli… sicuramente avete già indagato.

Alla fine, qualcosa mi succederà.

Ora che, se viene fuori che si approva, bisognerà andare in giro a trovare grana. Allora mi metterò in contatto con lei compagnei della Brigada Callejera, che mi tengano da parte un angolo a La Meche. Non ce n’è, la strada è di chi la batte. Sono sicuro che il mio pancino farà furore… eh?… ok, ok, ok, la mia panza… che?… va bene, insomma, la mia panzotta… Oh, ma che mascalzoni siete.

Il SupGaleano mentre sta facendo saltare diverse cinture.

(no, grazie, davvero, no, non ho bisogno che qualcuno mi metta la cintura… ueee, sentite, non serve che mettiate il dito nella piaga, basta con i giochi di parole anni Sessanta, per questo i benpensanti non vi vogliono, sentite… eh?… un reality show per trovare la grana? Con Trump, Macri, Temer, Putin e Rajoy che si scambiano nudes?…  ‘rca pupazza… non guardate più quella televisione… meglio serie TV di produzione alternativa… sì, nei canali dell’asse centrale c’è già la nuova serie di Trono di Spade… sì, pare che Tyrion e Snow siano parenti della Dayanaris… o come si dice, insomma… sì, un dragone per ciascuno, un messaggio di equità… sì, nel nuovo scudo si uniscono il leone, il lupo e il dragone… be’, sì, una versione dell’Idra… sì, come se si unissero il grande capitale finanziario con quello industriale e quello commerciale… sì, il sistema si ricompone e tutti quelli di sopra contenti, e si fottano quelli di sotto… sì, ma state vedendo un finale alternativo… sì, quando tutta la banda sta già prendendo la brocca per festeggiare non so cosa, arriva una donna indigena, se ne fotte del trono di ferro e con un cannello lo scioglie… be’, state vedendo se le tolgono il cannello e le danno una scatola di fiammiferi, perché ci metta di più, resti in sospeso insomma… sì, forse, un’altra stagione, dipende da quanti fiammiferi le si danno… sì, così finisce… be’, per quella roba della Brexit i costi sono andati alle stelle. E ora con Trump, ancora peggio… Eh? Non devo dare previsioni? Oh, ma insomma, allora perché mi invitate se sapete come sono).

In fede

Mau-bau

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/17/una-historia-para-tratar-de-entender/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

 

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NON E’ LA DECISIONE DI UNA PERSONA.

Moises 2016

Dunque, vi diciamo: per prima cosa imparate a leggere, poi leggetelo bene, quindi imparate a capire quello che leggete.

Non è la decisione di una persona

Novembre 2016

Per le/i razzist@:

Stiamo leggendo e ascoltando tutto quello che dite e che scrivete.

Le vostre burla, il vostro disprezzo, il vostro razzismo che non riuscite più a nascondere.

Credo che anche i compagni e, soprattutto, le compagne del Congresso Nazionale Indigeno lo stiano leggendo e ascoltando.

Ed è venuto fuori chiaramente, come pensava e ci disse il CNI, che nella società c’è molto razzismo.

Credo che vi divertiate congratulandovi tra di voi della bella battuta di sinistra, dicendo “la candigata” del EZLN.

E vi sentite molto machi a burlarvi così delle donne indigene.

E dite che noi dannati indios ci facciamo manipolare e non abbiamo un nostro proprio pensiero, ma che come le pecore, andiamo dove ci dice il pastore.

Ma credo che vi guardiate allo specchio quando dite questo.

Così siete venuti fuori: machi e razzisti spudorati.

Voi, che parlate tanto e dite che il razzismo esiste solo tra la classe sfruttatrice, non vi accorgete che vi è già entrato nel corpo e nell’anima, nel vostro modo di pensare, di parlare, di guardare alla vita.

E non vi fa vedere altro o in altro modo, per il vostro individualismo, per la vostra presunzione, come se soli poteste salvare voi e gli esseri viventi.

Non vi accorgete di essere solo delle persone individualiste e non vi rendete conto che sta per finire il poco che resta, rinchiusi come siete nella vostra limitata vita.

Dunque, vi diciamo: per prima cosa imparate a leggere, poi leggetelo bene, quindi imparate a capire quello che leggete.

Perché fanno pena quelli che hanno parlato per iscritto sui giornali e nelle reti sociali.

E quei dottori perfino “honoris causa” o come si dice, sembra che non sappiano né leggere e né scrivere, insomma, non capiscono proprio niente.

Oppure capiscono, ma preferiscono la menzogna, renderla grande, vestirla di verità e ripeterla e gridarla forte affinché non si veda che è menzogna o che non sappiano neppure leggere e scrivere.

E così vi burlate della decisione del Congresso Nazionale Indigeno, che sta consultando migliaia dei suoi popoli, tribù, nazioni e comunità, che sono quelli che decideranno se essere d’accordo o no.

Vi burlate che il Congresso Nazionale Indigeno faccia così, che chieda prima di decidere, perché voi fate quello che vi dice il vostro pastore, anche se fosse una scemenza.

Dite di essere molto critici e pensatori, ma ve ne restate zitti quando il vostro pastore pronuncia stupidaggini, perché siete razzisti e sprezzanti.

Il Congresso Nazionale Indigeno sta consultando se si è d’accordo di nominare un Consiglio Indigeno di Governo affinché governi il nostro paese che è il Messico e che questo Consiglio sia rappresentato da una donna indigena delegata del CNI, e che sia candidata alla presidenza del Messico nelle elezioni del 2018.

È questo che è stato annunciato la mattina del 14 ottobre 2016.

Così sta scritto, è chiaro ed è in castigliano perché lo possiate capire.

Non sta scritto che l’EZLN consulterà le sue basi per sapere se sono d’accordo di trovare una candidata indipendente, donna indigena delle loro basi di appoggio zapatiste, come EZLN, e che consulterà anche il Congresso Nazionale Indigeno per sapere se è d’accordo.

Non dice niente di tutto ciò, ma succede che siete degli idioti e degli ignoranti che non volete leggere né fare attenzione, e vi bevete solo quello che vi vendono i media prezzolati.

Vi dite grandi studiosi e studiose, con avanzata tecnologia e non vi prendete nemmeno il disturbo di leggere, ma correte dai media prezzolati per lasciare le vostre parole.

Non leggete nemmeno dove sta scritto, né che cosa dice lo scritto, ma siete un branco di pettegoli e pettegole che non sanno neppure dire “Congresso Nazionale Indigeno” ma dite “Consiglio Nazionale Indigenista” o “Consiglio Nazionale Indigeno”.

Che vergogna di scrittori professionisti pagati per essere ignoranti.

Come pretendete di essere ascoltati, se nemmeno ascoltate o leggete bene?

O addirittura vi dà noia leggerlo?

Come volete essere rispettati, se non sapete neppure rispettare?

Come volete essere compresi, se neanche sapete comprendere la nostra comune presa di decisione, ed ancora senza avere i risultati, partite con gli insulti, la mancanza di rispetto, le burla ed il razzismo?

Che pena che vi credete grandi perché siete laureati, professionisti, professori universitari, ricercatori con molti premi e titoli.

Che pena, perché molti dicono di esserlo, ma non sanno leggere né scrivere.

E non perché non ne abbiano i mezzi, perché sono pieni di cellulari, tablet, computer ed altre cose, ma si vede che le hanno solo per moda e non per farne buon uso.

Solo per vantarsi di essere chi porta avanti i nuovi simboli della modernità.

E questo sì, siccome li hanno, li usano per tirare fuori e dire le loro trovate e sciocchezze razziste e spregiatrici.

Ed ancora ci prendono in giro perché siamo in pochi, non ci si deve preoccupare degli zapatisti, dicono.

Che noi zapatisti stiamo qua nelle nostre montagne e non ne sappiamo niente di come è il mondo, che siamo ignoranti e arretrati, che non sappiamo niente della politica vera, professionale, che sanno fare solo quelli della città che hanno studiato.

Sì, è vero, in realtà siamo pochi.

Solo poche migliaia di organizzati, è vero.

Quasi 23 anni di età e non abbiamo progredito granché, solo alcuni Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti dove veramente abbiamo mandato al diavolo il malgoverno, con alcuni veri maestri e maestre di ribellione al cattivo sistema e malgoverno.

Dove abbiamo un po’ di sanità, dove si fanno operazioni chirurgiche grazie all’appoggio di compas medici coscienti che prestano il loro servizio.

Alcune scuole autonome dove si impara a leggere e scrivere davvero.

Dove ci sono alcune annunciatrici ed annunciatori radio, alcuni analisti di laboratorio, alcune compagne che usano gli ultrasuoni, alcuni dentisti.

Dove i popoli comandano ed il governo obbedisce.

Ah, e questo sì: alcune centinaia di migliaia di rabbie contro questo sistema capitalista in cui viviamo e moriamo.

Questo, più quello che possiamo fare da ora in avanti, perché non pensiamo di fermarci.

Bene, ora cosa ci potrai raccontare di te in quasi 23 anni di vita?

Ma non di essere andato in cerca di posti o sistemazioni pubbliche, che siano incarichi e poltrone.

Perché in realtà noi qui stiamo dimostrando come si distrugge il cattivo sistema o che cosa si deve distruggere e che cosa costruire, prendendo in considerazione la decisione di migliaia, e non di un pugno di persone chiuse in un ufficio o secondo gli ordini di un individuo.

Perché voi molte volte avete trascorso anni a discutere senza avere costruito nemmeno uno specchio per vedere quello che si sta costruendo.

Perché ciò di cui si parla si deve poter vedere, non solo parole vuote.

E non quello che decide uno, ma quello che decidono migliaia.

-*-

Come devo comportarmi o pensare come scrittore o scrittrice?

O come articolista, o come giornalista.

O come cerca posto o sistemazione.

Penso che non si deve criticare se non conosco la loro situazione reale, perché neppure vivo con loro.

Conoscere davvero, scientificamente, non ripetere come una macchina quello che mi raccontano, o leggo male, o dicono i media prezzolati.

Non burlarmi di loro, per poi non ammettere di averlo fatto, o che non è quello che volevo dire, che mi stanno fraintendendo.

Perché quando fate così, si vede che, oltre ad essere ignoranti, siete vigliacchi.

Non vantarmi che so tutto, se neanche vivo con loro, né studio, né leggo con attenzione, né mi succede niente di quello che accade a loro.

Inoltre, di che cosa mi vanto se non ho niente intorno a me?

Non riesco a vedere nemmeno la mia ombra.

Non ho niente da mostrare che sia visibile o palpabile.

Perché non sono la stessa cosa la chiacchiera ed un fatto reale che è visibile, e che, nei fatti, nella pratica, si combina con migliaia di visioni e di pensieri.

Dunque, perché li scherzo e li disprezzo?

-*-

Signore e signori, che vi credete importanti per i vostri incarichi in qualche posizione dirigenziale o che tanto vi vantate dei vostri studi, vogliamo dirvi:

Noi indigeni dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, proviamo pena, tristezza e rabbia per quelli che ci scherzano e disprezzano in quanto indigeni.

Ma, nonostante tutto, lotteremo e combatteremo anche per voi, per il Messico in cui viviamo.

Abbiamo più di 500 anni di esperienza della brutta vita che ci hanno fatto fare i ricchi, e da più di 500 anni sappiamo come vogliamo una bella vita.

E voi?

Quanti 500 anni avete per venire a prendervi gioco di noi e a disprezzarci?

Oggi abbiamo deciso, insieme alle compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno, di consultare i nostri popoli se siamo d’accordo o no di creare un Consiglio Indigeno di Governo che governi tutto il Messico, non solo gli indigeni, e che questo Consiglio si presenti alle elezioni del 2018 con una donna indigena delegata del CNI come sua rappresentante.

Manca la pura decisione se sì o no.

Ancora non si sa che cosa uscirà dalla consultazione e già quanta derisione avete fatto e quanto disprezzo avete gettato contro i popoli originari ed in particolare contro le donne indigene.

Bisogna dire che chi ci attacca non sono solo quelli che ci sfruttano, si uniscono anche e si accaniscono contro di noi i partiti politici, perfino quelli che si dicono di sinistra, i cosiddetti grandi intellettuali, professionisti, ricercatori, articolisti, scrittori, giornalisti, professori universitari.

Chi manca, ancora?

Si aggiunga chi vuole come uomo di paglia, quali siete.

E adesso perfino quegli arroganti che ci trattavano da mocciosi viziati vogliono darci ordini. Magari un giorno si vedrà qualcosa dei loro lavori e confronteranno. Forse un giorno diranno la verità del perché se ne sono andati.

Vediamo signore e signori burloni e sprezzanti: mostrateci quanti municipi autonomi avete organizzato;

in quanti luoghi avete il popolo che comanda e il governo che obbedisce;

dove dalle vostre parti si rispettano le donne, i bambini e gli anziani;

dove si aiuta chi non ha niente;

dove c’è la libertà, la vostra libertà, e potete uscire in strada o in campagna senza la paura di essere sequestrati, fatti sparire, violentati, assassinati;

dove il governo non è pieno di criminali e le prigioni piene di innocenti.

Hai fatto i conti?

Allora rispondi: perché ti rivolti contro gli indigeni e li tratti da dementi che non sanno dove vanno?

Perché, se non ti stiamo fregando?

Neanche ti citiamo e ci accusi che il malgoverno ci paga per fregarti, che serviamo il capitalismo.

A noi non ci paga nessuno per essere quello che siamo e non serviamo nessuno.

Perché a noi, non ci comanda nessuno.

Forse è per questo che ci attacchi e ci disprezzi, perché tu sei già abituato a che ti comandino e ti dicano che cosa devi pensare, dire e fare.

Non ti piace la libertà perché ti piace essere schiavo.

Come zapatisti, le cose le facciamo bene o male, ma le facciamo noi.

Non facciamo quello che ci dicono da fuori.

È meglio che studi e impari che chi ti sta fregando si chiama “capitalismo”, non si chiama “indigeno”.

Ci attacchi e ti burli gratuitamente, ma un giorno ci vedremo, perché siamo obbligati.

Chi ci obbliga?

Il sistema.

Impara bene quello che ti diciamo e smetti di fare bizze e broncio, perché non è un gioco lottare per il mondo.

-*-

Signore e signori intellettuali:

com’è che non vi accorgete che i capitalisti cambiano nel loro modo di sfruttare, di rubare, di reprimere, di disprezzare?

Vi date arie da grandi pensatori e siete ormai come un albero secco e vecchio che non darà più frutti, per quanto si speri.

Perché adesso la terra dove vivi è sempre più inquinata, è così che la sta lasciando il capitalismo, e continuate con gli stessi modi di vedere e di pensare, tanto che le vostre teste sono ormai deformate, come se non ci fosse un’altra forma di esercizio.

Uscite dalle vostre stanze, alzatevi dalla sedia, camminate, alzate le teste, prendete i vostri occhiali per vedere più lontano e per guardare bene.

Ora prova ad immaginare molte cose con tutte le combinazioni che sei riuscito a vedere, e così vedrai che ti verranno altre idee e non la ripetizione di sempre.

Se non sei riuscito a vedere niente, significa che hai già perso i tuoi occhi.

-*-

Ed ora sembra che ci vogliono dire che cosa deve fare o non fare il SupGaleano.

Il SupGaleano, come tutte le truppe insorte, fa quello che gli dico io.

Ed io faccio quello che mi dicono le comunità.

Pertanto, ora mi tocca dire al SupGaleano di fare quello che gli dico, perché io faccio quello che mi dicono le nostre comunità.

Se gli dico non rispondere, non risponde, perché non vale la pena.

E se gli dico di rispondere, anche se non vuole, deve rispondere ma che sia bene chiaro, è per aiutare gli altri e le altre.

E se gli dico di rilasciare interviste, deve rilasciarle, anche se non vuole. E se gli dico che deve rilasciare interviste a tutti o solo ad alcuni, così deve fare. E se gli dico solo ai media liberi, così fa. E se gli dico anche ai media prezzolati, fa così.

E per quelli che non vogliono capirlo, è molto semplice:

Primo, che ricevano umiliazioni, morte e distruzione per più di 500 anni.

Poi, che si organizzino per 10 anni, che si preparino e che si sollevino, come ci siamo sollevati noi all’alba del 1° gennaio del 1994, e poi che resistano senza vendersi, senza tentennare, senza arrendersi per molti anni.

vediamo, perché una cosa è scrivere ed un’altra è fare, per questo diciamo una cosa è la teoria ed un’altra è la pratica,

questo ti insegna e ti dà un’altra visione senza perdere di vista i tuoi principi.

Ma vediamo se non ci stuferemo di aspettarvi.

Bene, vediamo se saremo vivi perché è terribile quello che sta facendo la bestia del capitalismo.

O ve ne rendete conto o morirete a causa del sistema per la vostra mancanza di visione, e allora non ci sarà rimedio, né essere ricordati per la brutta storia che avrete passato.

Dunque, è tutta colpa del SupGaleano che ci manipola e ci porta sulla strada cattiva?

E adesso fate morire dal ridere quando dite “Galeano/Marcos”.

Eravate tanto innamorati del SupMarcos da venire fin qui a farvi le foto e a farvi firmare un saluto, e io l’ho ben visto perché ero lì di fianco.

E lì a fianco c’era anche la buonanima del compagno maestro Galeano, e non gli chiedevate nemmeno il nome.

E poi avete tanto odiato il SupMarcos perché non ha obbedito a voi, ma a noi.

E ora è morto.

Smettetela di fare i vedovi che si sentono abbandonati.

È morto, superatelo.

Ed ora c’è un SupGaleano perché così abbiamo ordinato. E ce lo mettiamo affinché lo attacchiate e critichiate e così siate insolenti quali siete. E non importa tutto quello che gli dite e perfino le minacce di morte. Non importa perché a questo l’abbiamo addestrato, per questo l’abbiamo preparato, e questo è il suo lavoro. E lui lo sopporta, non come voi che appena vi dicono qualcosa vi mettete subito a piangere perché il mondo non vi comprende.

E se comandiamo che muoia un’altra volta, morirà un’altra volta.

E se a voi non piace il nostro modo, è così.

Non siamo qui per accontentarvi.

Siamo qui per la gente di sotto e a sinistra, quella che lotta, quella che pensa, quella che si organizza, quella che resiste e si ribella.

Rispettiamo questa gente e questa gente ci rispetta perché sa che siamo uguali.

E stiamo con questa gente non solo in tutto il Messico, ma in tutto il mondo.

E smettetela di ingannare la gente nelle scuole dove fate lezione.

Voi non sapete niente.

E non lo sapete perché vi manca umiltà ed onestà.

Avete perso queste due cose tra tante scartoffie e scrivanie e medaglie e onori e stronzate del genere.

E se finalmente capirete e vi organizzerete, vedete se riuscite a trovare un altro subcomandante insorto Pedro o un altro supMarcos, perché noi non l’abbiamo ancora trovato.

Ma forse voi avete buona fortuna e li troverete.

-*-

Nel frattempo, tacete ed ascoltate, leggete, imparate dai popoli, tribù, nazioni e comunità organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno.

Loro sono le nostre famiglie, ed ora tocca a loro insegnarci, mostrarci la strada.

A noi, zapatiste e zapatisti, tocca imparare da loro.

Forse ci riusciremo, ed allora il mondo sarà più giusto, più democratico e più libero.

Ed ai piedi scalzi dei popoli originari ci sarà il cadavere dell’Idra capitalista.

Non ferita, ma morta.

Allora bisognerà rifare tutto di nuovo, ma giusto, senza sopra né sotto, senza disprezzo, senza sfruttamento, senza repressione, senza spoliazione.

E quel mondo sarà anche per voi, razzisti e sprezzanti di quello che non capite.

Perché ancora non capite di non capire.

Non capite perché non sapete niente.

Perché quella che uscirà non sarà la decisione di una persona, bensì collettiva.

-*-

Poi vi raccontiamo quello che è successo alla Sexta.

Non l’abbiamo detto prima perché il Congresso Nazionale Indigeno ci ha chiesto di aspettare che arrivassero ai loro villaggi per cominciare la loro consultazione.

Perché ci ha chiesto di essere il suo guardiano e sopportare le critiche e il disprezzo che sarebbero stati per il CNI.

Abbiamo aspettato e sono saltati fuori tutti e tutte quelli che ci aspettavamo.

Il Congresso Nazionale Indigeno lo sa, ha ascoltato, ha letto.

Sa da dove viene il disprezzo ed il razzismo.

Sa quello che pensano i politici di professione.

Sa quello che pensa il Prepotente.

Sa quello che pensano quelli che si credono i salvatori.

La pelle del CNI è sana e salva.

La nostra è ferita, ma ci siamo abituati e rapidamente cicatrizzerà.

-*-

Il pensiero del CNI è chiaro.

Non ci resta che aspettare la sua parola e sostenerla.

Perché sappiamo che la strada che hanno scelto per tutti noi, popoli, tribù, nazioni e comunità originari, nascerà dalla rabbia e dal dolore.

Nascerà dalla resistenza e dalla ribellione.

Nascerà dal suo cuore collettivo.

Non da un individuo, non da una persona.

Nascerà dal collettivo, come siamo nati noi che siamo quello che siamo.

Dalle montagne del sudest messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, novembre 2016

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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EZLN: Calendario Proseguimento V CNI e Festival ConScienze per l’Umanità.

baker-street

…….. “Allora, che ci facciamo qui, Holmes?”. “Imparare, mio caro Watson, imparare”, dice l’uomo mentre tira fuori di nuovo la lente d’ingrandimento e si ferma ad osservare un insetto. Mentre le due figure si dileguano nella nebbia, in lontananza si sentono latrati, miagolii ed una risata infantile, una risata come se fosse una canzone. Quindi, quasi impercettibilmente, il muro trema……..

Calendario del proseguimento del 5° Congresso del CNI e dell’Incontro “Le/Gli Zapatisti e le ConScienze per l’Umanità”.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

26 ottobre 2016

Alle/Agli Scienziat@ invitat@ ed ai partecipanti all’Incontro “Le/Gli Zapatisti e le ConScienze per l’Umanità”:

Alle compagne, compagni, compañeroas della Sexta Nazionale e Internazionale:

Sorelle e fratelli:

Vi mandiamo i nostri saluti. Vi scriviamo per comunicarvi quanto segue:

Primo – Su indicazione del Congresso Nazionale Indigeno, che in questo momento sta consultando comunità, tribù, nazioni e popoli originari di tutto il Messico, e la proposta emanata dalla prima tappa del Quinto Congresso, vi informiamo che l’assemblea permanente del CNI si reinstallerà il giorno 29 dicembre 2016, presso il CIDECI-UNITIERRA di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas.

Il CNI si riunirà in tavoli di lavoro i giorni 30 e 31 dicembre del presente anno. In quei tavoli, o prima se così lo disporrà il CNI, si renderanno noti i risultati della consultazione. Il giorno primo gennaio 2017 l’assemblea plenaria si terrà in Oventik, Chiapas, Messico, dove si prenderanno accordi, se ci saranno.

Le compagne e compagni delle comunità, tribù, nazioni e popoli originari che incorporano il Congresso Nazionale Indigeno, ci informano che hanno problemi economici per raggiungere detta riunione, e per questo chiedono l’aiuto solidale della Sexta nazionale e internazionale e di ogni persona onesta che voglia appoggiare in questo senso. Per questo, le/i compas del CNI chiedono di contattarli direttamente al seguente indirizzo di posta elettronica: info@congresonacionalindigena.org

Verrà quindi indicato dove e come mandare il vostro sostegno.

Ovviamente, se pensate che riunendosi, pensando e decidendo collettivamente i loro passi ed il loro destino, le/i compas del CNI fanno il gioco della destra e pregiudicano l’avanzata i-n-a-r-r-e-s-t-a-b-i-l-e della sinistra istituzionale, potete dare l’aiuto a condizione che vi obbediscano, o accompagnare il vostro contributo con qualcosa come: “vi dò questi 2 pesos, ma non lasciatevi ingannare e manipolare da quella faccia di straccio“.

O potete soltanto dare il vostro supporto e, come tutt@ noi, cercare di imparare da loro.

Secondo – Con l’occasione vi confermiamo inoltre che l’Incontro “Le/Gli Zapatisti e le ConScienze per l’Umanità” si terrà nei giorni e luoghi già annunciati:

Dal 25 dicembre 2016 al 4 gennaio 2017 nelle strutture del CIDECI-UNTIERRA a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico. Con una interruzione i giorni 31 dicembre 2016 e primo gennaio 2017. Se siete interessati a partecipare come uditori e/o spettatori, l’indirizzo di posta elettronica al quale registrarsi per partecipare è conCIENCIAS@ezln.org.mx

Così, si svolgeranno in maniera simultanea, le esposizioni sulle Scienze esatte e naturali, da una parte, e le riunioni di lavoro del Congresso Nazionale Indigeno dall’altra.

Per ora è tutto.

Subcomandante Insurgente Moisés         Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, ottobre 2016

 

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane, sezione “né storie, né leggende”:

Quello che il Dottor John H. Watson non racconterà.

Montagne del sudest messicano. Piove a dirotto. Si riescono appena a sentire le grida che, per darsi indicazioni, si lanciano quelli che continuano a perforare il muro. C’è chi si protegge a malapena dalla pioggia con un telo di nylon, ma la maggioranza ha camicie, bluse, gonne e pantaloni inzuppati, mentre piove ancora sulla terra.

Il muro si estende fino a dove arriva lo sguardo. Nonostante la sua apparente forza, ogni tanto traballa in qualche punto della sua lunga cortina. Chi abita in queste terre sostiene che il muro è in grado di rigenerarsi da sé stesso, e per questo non devono fermarsi dal loro lavoro di mantenere aperta una crepa. Consultando storie e leggende che circolano tra gli abitanti, si conclude che lo scopo del muro non è solo impedire che ci si conosca o ci si incroci con l’altro lato; ma inoltre convince chi lo guarda che non c’è niente dall’altra parte, che il mondo finisce lì, ai piedi della sua solida base e di fronte all’infinita estensione, in longitudine e altitudine, della sua superficie.

Fuori da una delle capanne vicine al muro, seduta col mento appoggiato su una delle sue manine, una bambina osserva. Ma i suoi occhi non sono rivolti alla superba muraglia, bensì ai piedi di chi colpisce e graffia la parete. O meglio, al terreno disseminato di fango e pozzanghere.

Poco dietro di lei, un essere strano, che sembra un cane, o un gatto, si protegge sotto lo stipite della porta. La bambina si volta e gli dice: “Senti tu, gatto-cane, hai forse paura della pioggia? Io no. Mica per niente mi chiamo “Difesa Zapatista”. Ti immagini se mentre siamo in partita e piove, diciamo “oh no, è meglio uscire altrimenti mi bagno”? Assolutamente no. Con le mani ti sistemi i capelli, e siccome sono bagnati restano lisci e a posto, e a far volare i corvi ti caveranno occhi. Ma non è che faccio così per civettare con quegli stronzi di uomini. No, è per vedere quando arriva la palla o quando va. Altrimenti, perché sennò. E poi anche se stai nella capanna, tu gatto o cane che sia, ti bagni uguale. Guarda, mi è venuta un’idea”.

La bambina entra in casa e ne esce subito con alcune pentole, secchi e scatole di latta vuote. Le sistema sotto le catinelle d’acqua che cadono dai bordi del tetto di lamiera. Sembrerebbe che li sistemi a caso, invece no. Ogni tanto li cambia di posto. L’essere che la bambina chiama “gatto-cane”, abbaia e miagola. La bambina lo guarda e gli dice: “Aspetta, poi vedrai che cosa sto facendo”.

La bambina continua a cambiare posto a pentole e secchi e, ad ogni cambio, cambia il suono delle gocce che cadono sulla superficie. La bambina ascolta un momento e cambia ancora di luogo e suono la strana sinfonia.

In quel mentre, arrivano due uomini. Uno è alto e goffo, l’altro è più basso di statura e di costituzione media. Entrambi hanno dei begli ombrelli ed il più alto indossa un elegante impermeabile, una specie di cappello e tra le labbra tiene una pipa ricurva. Non dicono niente, guardano soltanto la bambina che va e viene. Ad un certo punto, il goffo con l’impermeabile elegante tossicchia e dice: “Scusi signorina, mi permette di coprirla sotto il mio ombrello? Così non si bagnerà mentre fa… mentre fa quello che sta facendo, qualunque cosa sia”. La bambina lo guarda con ostilità e risponde “Mi chiamo forse “signorina”? io mi chiamo “Difesa Zapatista” (la bambina sfodera la sua espressione migliore di “allontanati dalle mie pentole e secchi o muori”). E quello che sto facendo è una canzone”. L’uomo commenta tra sé: “mmm, una canzone, interessante mio caro Watson, interessante”. L’interpellato annuisce col capo mentre si ripara sotto lo stipite della porta e guarda sconsolato il cagnolino… be’, il gattino… mmm, qualunque cosa sia quello che gli sta vicino sotto il telaio della porta.

L’uomo dallo strano berretto osserva con attenzione l’andirivieni della bambina. All’improvviso il suo viso si illumina ed esclama: “Chiaro! Elementare. Una canzone. Non potrebbe essere altrimenti”.

E rivolgendosi a chi ora condivide col gatto-cane il piccolo spazio dove la pioggia non bagna, dice: “Attenzione Watson, qui c’è qualcosa che non potrà mai riportare in una di quelle romanzesche volgarizzazioni della scienza investigativa con la quale tormenta i suoi scarsi lettori, sempre che ce ne siano. Osservi con attenzione. Quello che sta facendo la signorina…ehm…. ehm… volevo dire, quello che sta facendo “Difesa Zapatista” è combinare principi di matematica, fisica, biologia, anatomia e neurologia. Cambiando posto a questi strani recipienti di metallo e collocandoli sotto i diversi rivoli di acqua, ottiene differenti suoni individuali, i quali, nell’insieme, producono distinte combinazioni di note che, deduco, arriveranno ad essere una melodia. In seguito, col cambiare dei ritmi, ci sarà musica e da lì, elementare mio caro Watson, una canzone. Bravo!” L’uomo passa l’ombrello a quello che sta sotto lo stipite ed applaude con entusiasmo.

La bambina ha abbandonato per un attimo la sua occupazione e si è fermata ad ascoltare l’uomo. Dopo gli applausi, la bambina chiede: “stai dicendo, una tonelada*, vero?”.

*) gioco di parole: tonada=brano musicale e tonelada-tonnellata

Tonelada?”, ripete l’uomo, e dopo averci pensato per un momento esclama: “Certo! Tonelada, motivo, brano. Sì signorina, un brano e non una tonnellata, sebbene in verità esistano brani molto pesanti”.

La bambina corruga la fronte e spiega: “Ti ho già detto che non mi chiamo “signorina”, mi chiamo “Difesa Zapatista”, e tu, come ti chiami?”.

L’uomo risponde: “Ha ragione, è una mancanza di educazione che non mi sia presentato” e, con un live inchino, si presenta “Il mio nome è Sherlock Holmes, detective esperto. Ed il mio accompagnatore, che sta tremando per la poggia e il freddo, è il dottor John H. Watson, volgarizzatore della scienza” e tendendo la mano alla bambina, aggiunge “E lei è… già, certo, me l’ha detto prima, “Difesa Zapatista”. Strano nome per una bimba. Be’, sembra tutto un po’ strano da queste parti”.

La bambina ignora la mano tesa, ma si mostra interessata. “Detective esperto… e cos’è?”, chiede. “Combatto il crimine, signorina, indago osservando, analizzando ed applicando le scienze”, risponde l’uomo con malcelata modestia.

Ah, come Elías Contreras che è commissione di indagine zapatista”, dice la bambina.

L’uomo tenta di spiegare, ma la bambina prosegue:

Bene, senti, io ho già parlato con Elías per farlo entrare in squadra, ma risulta che è morto e si occupa del male e del cattivo, cioè sta investigando sul dannato sistema capitalista. Gli ho detto che può entrare nella squadra, anche se è defunto, ma dice che il supmarcos lo manda a indagare e così non può partecipare agli allenamenti. La cosa strana è che anche il supmarcos è morto. Credo che si capiscono perché sono entrambi defunti. Certo, adesso non ci si può allenare molto perché il campo è tutto zuppo e la palla non rimbalza, se ne resta lì attaccata al terreno e per quanti calci gli dai, non si muove, si sposta appena e poi si ferma di nuovo. E così ti riempi di fango e poi arrivano le mammine con il loro “devi lavarti” e quindi, giù al fiume. A te piace lavarti? A me non piace. Solo nel caso ci sia un ballo, allora sì, perché non si può essere sporca di fango quando suonano “quella del moño colorado”. La conosci “quella del moño colorado”? Quella è una bella canzone perché si balla così (la bambina si dondola dolcemente, da un piede all’altro menta canticchia), non come quel caos che ballano i giovani di oggi ai quali piace quella musica che poi si riducono sudati fradici come se non si fossero lavati. Ma alle mammine importa se c’è il ballo? Niente affatto, a lavarsi dunque, altrimenti, a far volare i corvi ti caveranno gli occhi. Tu ce l’hai le mammine? Be’, le mammine sanno sempre tutto. Lo sanno, e basta. Non so come fanno, ma lo sanno. Tu dovresti indagare come fanno a saperlo. Io l’ho detto all’Elías di indagare, ma il maledetto se la ride. E ancora peggio il SupMoy, che forse ti appoggia? Se passa di qua e le mammine ti ordinano di lavarti, credi che ti difende? Niente da fare, devi ubbidire alle mammine, dice. Io un giorno ho protestato con lui perché se la lotta dice comandare ubbidendo, allora che sia che le bambine comandino e le mammine ubbidiscano. Ma niente da fare, il dannato se la ride. Senti, fai attenzione perché ti spiego: sembra che non abbiamo completato la squadra. Perché? Be’, perché non c’è disciplina, non capiscono l’organizzazione della lotta. Un momento ti dicono che entrano ed un altro momento, se ne vanno da un’altra parte. Chi di qua, chi di là. Ma sono solo pretesti. E se no, dicono che è per lavorare per la lotta. Forse che giocare non è un lavoro della lotta? Il defunto supmarcos diceva che il lavoro dei bambini è giocare. Be’, diceva anche studiare, ma non scriverlo, eh! Insomma, così non si può completare la squadra, non c’è serietà. Ma tu non preoccuparti, non disperare se la squadra non si completa rapidamente, lo sappiamo che ci vorrà tempo, ma poi saremo in tanti. Io adesso non posso allenare e non mi lasciano bucare il muro perché sta piovendo e mi bagno… Credi che dicano così? Insomma, quando mi lavo mi bagno. Io l’altro giorno ho voluto fare un discorso politico alle mie mammine ed ho detto loro che non è bene che io mi lavi perché mi bagno, e alla scuola autonoma dicono che non è bene che le bambine si bagnino, perché prendono la tosse, vero?

Allora le mie mammine si sono messe a ridere, credo non abbiano capito il discorso politico e, fila via al fiume, e lavati dietro le orecchie, e questo e quell’altro. E tu, come ti chiami, non distrarti, perché siccome non posso allenare né forare il muro, allora mi sono messa a pensare e pensare. E pensa e ripensa. Ma non a stupidate, ma alla lotta. Allora ho pensato che abbiamo bisogno di una musica per quando vinceremo la partita. Perché se non c’è musica, non avremo la contentezza della vittoria, mi capisci? Ma cosa ne capisci, se stai solo guardando. Bene, ti spiego. Guarda, le mammine lo sanno, non sappiamo come, ma lo sanno. Se hai una domanda difficile, vai dalle tue mammine e zac! loro hanno la risposta. L’altro giorno le mie mammine mi hanno raccontato una specie di storia. Che il defunto ha detto che la lotta ha bisogno delle scienze e delle arti. Io non so cosa sono le scienze e le arti, e allora le mie mammine me l’hanno spiegato. Te lo spiego perché credo che tu non lo sai. Guarda, secondo le scienze e le arti non è che fai le cose così come ti pare, a caso, ma prima immagini come sarebbe quello che vuoi fare, poi studi come fare per farlo e poi lo fai, ma non così, ma in maniera allegra, con molti colori e molta musica, capisci? Bene, allora io l’ho pensato e immaginato come è la nostra musica quando vinciamo la partita. È molto allegra, ma non ballabile, perché vincere una partita è una cosa seria, tanto quanto la mia squadra, come il gatto-cane qui presente che non ubbidisce, ma solo corre e corre, e siccome ha le zampe storte, va via di lato. Quindi la canzone deve essere allegra, ma seria. Cioè che dia piacere, che rallegri il cuore. Così, mentre me ne stavo qui seduta a pensare alla musica, cioè al ritornello della canzone, mi è venuta l’idea. Stavo ascoltando il suono della pioggia che cade, ed ho visto che suona in maniera diversa in ogni pozzanghera. Allora ho tirato fuori le pentole della mia mamma ed alcuni barattoli e secchi del collettivo di noi donne, e sto qui ad ascoltare come suona ognuno e come suonano collettivamente. Perché vedi, non è lo stesso se individuale o in collettivo. In collettivo è più allegro, si sente bene. Invece, individuale, è sempre lo stesso, anche se cambi il recipiente. Ma se li metti insieme, è tutta un’altra cosa. Certo, la questione è come fare a metterli insieme per far uscire qualcosa di allegro. Capisci? Cioè, è qui dove arrivano le scienze e le arti e la cosa riesce. Non come il Pedrito che crede di saper cantare, ma sa solo cose del Pedro Infante. Che ne sa dell’amore? Niente, solo di cavalli e ubriaconi. E che ne sa, perché il Pedrito non beve perché è un bambino e non beve perché è zapatista. E tu pensi di trovarti una marita se gli canti di cavalli? No, per niente, mai. E peggio ancora se è una canzone di ubriachi. A me, cantano di cavalli, perché io ne ho uno, solo che è orbo, cioè, un occhio vede e l’altro no. Veramente, il cavallo non è mio, perché in effetti non ha padrone. Nessuno sa da dove è venuto, è arrivato all’improvviso nel campo. Io l’ho subito reclutato nella squadra, ma siccome non vede bene, ho dovuto mettermi io alla difesa. Ma, se mi cantano una canzone di ubriaconi, volano gli schiaffi e a far volare i corvi ti caveranno gli occhi. Le mammine dicono che bere non serve, che rende gli uomini stupidi. Be’, ancora più stupidi. E poi picchiano le donne. Certo, ora è diverso perché noi donne ci difendiamo. Io, siccome sono difesa zapatista, mi alleno anche perché gli uomini non mi molestino quando sarò grande, cioè quando crescerò e sarò una single. Ma non distrarti, appunta nel tuo quaderno quello che ti ho spiegato, scrivilo che le scienze e le arti sono molto importanti…

In quel mentre, il gatto-cane comincia ad abbaiare e miagolare. La bambina si volta a guardarlo e gli domanda “Che c’è?” Il gatto-cane fa le fusa e latra. La bambina corre nella capanna, proprio quando la pioggia taglia la sua umida gonna ed il cielo si rischiara.

Non piove più quando la bambina esce correndo dalla capanna con un pallone in mano. Il gatto-cane esce correndo dietro di lei.

Mentre si allontana, la bambina grida: “Quando finisci di prendere appunti, vieni. Non preoccuparti se la squadra non è ancora fatta. Presto si allargherà e saremo in tanti”.

L’uomo che chiamano “Dottor Watson”, chiude l’ombrello e tende la mano per assicurarsi che abbia davvero smesso di piovere.

L’uomo dal cappello assurdo continua a guardare la bambina che si allontana. Quindi estrae una lente d’ingrandimento dal suo impermeabile ed analizza ognuno dei contenitori ora muti, senza pioggia che tiri fuori da essi una canzone.

Interessante, mio caro Watson, molto interessante. Credo che varrà la pena restare un po’ da queste parti. L’atmosfera è pulita e la nebbia mi ricorda la strada del panettiere di Londra”, dice l’uomo alto e magro mentre stira le braccia per respirare meglio l’aria delle montagne del sudest messicano.

Restare per un po’, Holmes? Perché?”, domanda l’altro uomo mentre si scrolla di dosso alcune gocce di pioggia ritardatarie, “non credo che saremmo di molto aiuto, e quella bambina sembra soffrire di diarrea verbale, un tranquillante farebbe molto bene… a chi deve ascoltarla”.

No, Watson, non aiuteremo nessuno. Sono venuto solo ad incontrare un famoso vecchio. Penso però che sarà difficile incontrarlo….. almeno in vita”, dice l’uomo mentre ripone la lente d’ingrandimento e si incammina.

L’altro uomo si affretta a raggiungerlo mentre chiede “Allora, che ci facciamo qui, Holmes?”.

Imparare, mio caro Watson, imparare”, dice l’uomo mentre tira fuori di nuovo la lente d’ingrandimento e si ferma ad osservare un insetto.

Mentre le due figure si dileguano nella nebbia, in lontananza si sentono latrati, miagolii ed una risata infantile, una risata come se fosse una canzone.

Quindi, quasi impercettibilmente, il muro trema…

In fede.

Bau-Miau.

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Da Baker Street alle montagne del Sudest Messicano.

https://youtu.be/GnaorWzg7aQ

baker-street

Musica “Baker Street”, Gerry Rafferty, con Raphael Ravenscroft al saxofono. 1978. Foto di Sherlock Holmes e del dottor Watson nella serie “Sherlock”, serie televisiva britannica della BBC, interpretata da Benedict Cumberbatch (Sherlock Holmes), e Martin Freeman (Dottor Watson). Coprodotta da Hartswood Films e WGBH, la serie è stata creata da Steven Moffat e Mark Gatiss. In coda, un ricamo (prima tracciato e poi realizzato) dalle/dagli insurgent@s zapatisti per il Festival CompArte 2016, dal titolo “Difesa Zapatista e l’Iidra”. La creazione della bambolina nel biliardino è stata realizzata nel 2013 da un bambino di 9 anni che partecipava alla escuelita zapatista, vide il biliardino e vi mise la bambolina. Le illustrazioni alla fine del video sono della squadra di appoggio CVI, sezione “Tercios Compas”.

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Ricami e disegni delle/degli insurgent@s dell’EZLN per il compArte

https://youtu.be/koo0Tw5MHMQ

bordado

Ricami e disegni realizzati dalle/dagli insurgent@s zapatisti per il Festival CompArte
Musica: “Resistencia”, dall’album LDA V The Lunatics, Los de Abajo.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/27/calendario-de-continuacion-del-5o-congreso-del-cni-y-del-encuentro-ls-zapatistas-y-las-conciencias-por-la-humanidad/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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L.H. Navarro – L’EZLN, il CNI e le elezioni.

ezln22 L’EZLN, il CNI e le elezioni

Luis Hernández Navarro – La Jornada 18 ottobre 2016

L’EZLN ed il CNI hanno concordato di consultare i villaggi e le comunità a proposito della candidatura di una donna indigena alla Presidenza della Repubblica per le elezioni del 2018. La decisione ha sollevato una polemica enorme. Alcuni vedono in questa scelta una svolta di 180 gradi della sua linea d’azione. Altri, il suo ingresso in politica. Altri ancora, una manovra per la formazione di una coalizione contro Andrés Manuel López Obrador.

Queste tre opinioni sono, oltre che sbagliate, pregiudizievoli. Si basano sulla disinformazione e su uno schema di analisi che ha come punto di partenza: chi non è con me, è contro di me. Questi punti di vista ignorano la storia e la traiettoria politica, sia dell’EZLN sia delle organizzazioni indigene che fanno parte del CNI.

Fin da quando l’EZLN è emerso nella vita pubblica, non è mai stata una forza astensionista. Non ha incitato né all’astensione né al boicottaggio delle elezioni, ma all’organizzazione e alla lotta. E, almeno in un’occasione, ha promosso il voto per un candidato.

Nelle elezioni presidenziali del 21 agosto 1994, invitó a votare contro il PRI, come parte della sua lotta contro il sistema partitico di stato e del presidenzialismo. Inoltre, il 15 maggio dello stesso anno, a Guadalupe Tepeyac, le basi zapatiste e il subcomandante Marcos ricevettero il candidato del PRD, Cuauhtémoc Cárdenas e il suo entourage. I ribelli li accolsero e riconobbero che l’allora candidato li aveva ascoltati con attenzione e rispetto. Tra l’altro, criticarono il sol azteca.

Pochi giorni dopo, tramite la Seconda Dichiarazione della Selva Lacandona, convocarono “una Convenzione Nazionale Democratica che emani un governo provvisorio o di transizione, attraverso le dimissioni dell’Esecutivo federale o per via elettorale”. Segnalarono successivamente che il processo avrebbe dovuto portare alla stesura di una nuova Costituzione e allo svolgimento di nuove elezioni.

Ben presto, l’EZLN sostenne la candidatura del giornalista Amado Avendaño, in quanto membro della società civile, come governatore del Chiapas. E, dopo la truffa elettorale che impedì il suo trionfo, lo riconobbe come governatore ribelle e lo trattò come tale.

Alla fine del 2005 gli zapatisti promossero l’organizzazione di un grande movimento nazionale per trasformare le relazioni sociali, sviluppare un programma di lotta nazionale e creare una nuova costituzione politica. In questo contesto, inaugurarono l’altra campagna, un’iniziativa di politica popolare dal basso e a sinistra, indipendente dai partiti politici ufficiali, di stampo anticapitalista.

Anche se l’altra campagna non mai incitato ad astenersi o a boicottare le elezioni, ha criticato aspramente i candidati dei tre principali partiti politici, tra cui Andrés Manuel López Obrador. Con l’avvicinarsi delle elezioni del 2 luglio 2006, a seguito della repressione di San Salvador Atenco (3 e 4 maggio dello stesso anno) che cambió le dinamiche di quest’iniziativa politica, con una cerimonia al cinema Rivoluzione di Città del Messico, il subcomandante Marcos si oppose personalmente a mettere in discussione chi aveva intenzione di votare. “Chi vuole votare, che voti”, disse in quell’occasione.

Gli zapatisti sono stati considerati responsabili per il risultato finale delle elezioni del 2006 e addirittura per la frode che strappò la vittoria alle urne di Andrés Manuel López Obrador. Pochi giorni fa, il leader di Morena ha dichiarato che in quei giorni, l’EZLN e la chiesa progressista invitarono a non votare per lui (cosa che non è mai successa), contribuendo indirettamente a rubargli le elezioni. Da allora, il dibattito è stato aspro e intenso e non ha cessato di esserlo, nonostante siano passati più di 10 anni.

Per anni, la posizione degli zapatisti non è cambiata. Ciò è stato confermato dal subcomandante Moisés nel comunicato intitolato “sulle elezioni: organizzarsi” datato aprile 2015, in cui avverte: “In questi giorni, come ogni volta che avviene questa cosa che chiamano “processo elettorale”, sentiamo e vediamo che se ne escono col fatto che l’EZLN chiama all’astensione, cioè che l’EZLN dice che non si deve votare. Dicono questa e altre stupidaggini”.

Più tardi chiarisce la posizione dei ribelli sulla situazione elettorale di quell’anno: “Come zapatisti che siamo non chiamiamo a non votare e nemmeno a votare. Come zapatisti che siamo ciò che facciamo, ogni volta che è possibile, è dire alla gente che si organizzi per resistere, per lottare, per ottenere ciò di cui si ha bisogno”.

Il recente documento dell’EZLN e del CNI, “Tremi nei loro centri terra” rappresenta un cambiamento nella posizione dei ribelli. Ma non di 180 gradi, perché non sono mai stati astensionisti.

L’invito è ad avventurarsi in una nuova forma di azione, il cui asse centrale è la partecipazione diretta nel contesto elettorale, come forma di resistenza, di organizzazione e di lotta. Si tratta di mettere gli indigeni e i loro problemi al centro dell’agenda politica nazionale, di dare visibilità gli attacchi contro le popolazioni indigene, di costruire il potere dal basso. La decisione non significa l’ingresso dell’EZLN nella lotta politica. Gli zapatisti ci sono sempre stati. Non hanno mai smesso di fare politica da quando hanno fatto irruzione nella vita pubblica sollevandosi con le armi nel 1994. Si può essere o non essere d’accordo con la politica che hanno fatto, ma ridurre la loro partecipazione politica all’azione elettorale è una cavolata.

Lo stesso vale per le organizzazioni che compongono il CNI. La mobilitazione dei purépecha di Cherán (un’esperienza chiave nel nuovo corso della lotta indigena) per il riconoscimento del loro autogoverno e della loro autonomia è essenzialmente politica. Anche l’esperienza di autodifesa dei náhuatl di Ostula o la difesa della comunità otomí Xochicuautla del suo territorio e delle risorse naturali.

Nessuno ha il monopolio della rappresentanza politica della sinistra messicana. Questa rappresentanza si guadagna quotidianamente nella lotta. Accusare gli zapatisti e il CNI di assecondare il gioco del governo perché intendono partecipare alle elezioni del 2018, a margine dei partiti politici, è un segno di arroganza e d’intolleranza. In definitiva, sarà la società messicana in generale e i popoli indigeni in particolare, a decidere se questo percorso sia utile per trasformare il paese.

testo originale

traduzione a cura di 20ZLN

 

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Morte e repressione in Honduras.

tegus represion 20.10.16

Ancora morte e repressione per i movimenti popolari in Honduras. La denuncia del CICA.

Contro la manifestazione del COPINH (Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indigenas de Honduras), alla quale partecipavano anche bambini ed anziani delle comunità lenca rappresentate dall’organizzazione, sono stati gettati gas lacrimogeni, anche ad altezza d’uomo.

Nelle ultime settimane, sconosciuti hanno tentato di uccidere altri due attivisti del COPINH -tra cui il coordinatore ad interim dell’organizzazione, Tomas Gomez Membreño-. Pochi giorni prima, a fine settembre, era stato rubato l’incartamento delle indagini in corso a Tegucigalpa per stabilire le responsabilità nell’omicidio di Berta Caceres.

“Denunciamo l’accerchiamento nei confronti del COPINH, la brutale repressione contro un’organizzazione che negli ultimi 23 anni ha portato avanti in modo indipendente la propria lotta per il riconoscimento dei diritti indigeni -sottolinea Thomas Viehweider, portavoce dell’associazione Collettivo Italia Centro America (CICA), da oltre dieci anni partner del COPINH-. Quanto accaduto nelle ultime settimane ci porta a considerare necessario anche un intervento da parte del Parlamento e del Governo italiano, per spingere la nostra ambasciata in Honduras ad esprimere preoccupazione al governo hondureño”.

Meno di tre settimane fa Bertha Zuniga Cáceres, attivista del COPINH e figlia di Berta Cáceres, invitata in Italia dal CICA, è stata audita dal Comitato diritti umani della Comissione esteri della Camera dei deputati (qui il video dell’audizione): ai parlamentari italiani, Zuniga Cáceres ha ricordato l’importanza di una pressione internazionale sul governo hondureño. Il Paese resta il più pericoloso per gli attivisti per i diritti umani, come segnalato dalla Ong Global Witness: il 18 ottobre, nel dipartimento dell’Aguan, sono stati assassinati due dirigenti del Movimiento Unificado Campesino del Aguán (MUCA), il presidente José Ángel Flores e Silmer Dionisio George.

24 ottobre 2016 Collettivo Italia Centro America – CICA www.puchica.org

Per info: honduras@puchica.org, tel.3391597004 (Thomas Viehweider)

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Sub Galeano: Domande senza risposte, risposte senza domande.

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Sub Galeano: Vi preoccupa che una donna indigena non sappia parlare bene lo spagnolo, ma non che l’attuale titolare dell’esecutivo federale non sappia parlare, ……..

Domande senza risposte, risposte senza domande, consigli su consigli.
(note prese dal quaderno di appunti del Gatto-Cane)

20 ottobre 2016

A chi di dovere:

Domande senza risposte:

– Ed anche per le donne assassinate per il “grave” reato di essere donne, ci sarà scherno, disprezzo e l’accusa, per il fatto di esigere che cessino le aggressioni e col loro sangue inserire il tema nell’agenda non solo nazionale, ma mondiale, di fare il gioco della destra? Perché non stanno morendo, le stanno ammazzando. E se si rifiutano di accettare che è un problema che si risolve attaccando la corruzione? E se osano dire che l’origine di questo odio assassino sta nel sistema? E se viene loro la strampalata idea di mettere da parte gli uomini nelle decisioni vitali (sì, di vita)? E se decidono di prendere il loro destino nelle proprie mani? Qualcosa, o tutto questo, sarebbe una manovra governativa per impedire che eccetera?

– E loas otroas, dovranno sperare che la classe politica posi il suo eminente sguardo su uno dei losabajos più umiliati? Devono rassegnarsi ad essere asesinadoas fino a raggiungere il numero che meriti attenzione? E se si organizzano, e se chiedono rispetto, e se decidono di dire basta al disprezzo che si trasforma in morte? Sarà detto loro che la loro problematica non è prioritaria, che non è politicamente corretta in generale ed in particolare controproducente in una fase elettorale, che devono adeguarsi e non insistere nelle loro rivendicazioni?

– La chiesa progressista i cui parroci, sorelle e laici toccano con mano, senza intermediari, il dolore, l’angoscia e la disperazione di migranti, di familiari di desaparecid@s, di popoli interi aggrediti, la rabbia per l’impunità, la frustrazione per subire l’ingiustizia fatta legge con la toga, che interesse ha ad amministrare questo dolore a proprio beneficio? Che cosa ci guadagna facendo suo questo dolore, identificandosi con questa rabbia? E se da questa visuale, costruita non solo a fronte di minacce di ogni tipo, ma anche rischiando la vita terrena, vede che non bastano le soluzioni che vengono offerte e lo esprime liberamente e ragionevolmente, dunque, essendo quello che è ed agendo di conseguenza, si oppone ad un cambiamento reale?

– Se la sola possibilità di esistenza civile (con diritti ed obblighi) di una donna indigena fa sì che “la terra tremi dalle sue fondamenta”, che cosa succederebbe se il suo ascolto e la sua parola percorressero il Messico del basso?

– A voi che state leggendo, darebbe fastidio vedere ed ascoltare un dibattito tra la Calderona[I] di sopra, con i suoi abiti “tipici” di marche esclusive, ed una donna del basso, indigena di sangue, cultura, lingua e storia? Vi interesserebbe di più ascoltare quello che prometterebbe la Calderona o quello che proporrebbe l’indigena? Non vorreste assistere a questo scontro tra due mondi? Da una parte, non ci sarebbe la donna di sopra, nata e cresciuta con tutte le comodità, educata nel sentimento di superiorità di razza e colore, complice ed erede preferita di uno psicopatico dedito all’alcool e al sangue, rappresentante di una élite che porta alla distruzione totale una Nazione, indicata dal Prepotente come la sua portavoce; mentre dall’altra parte, una donna che, come molte altre, si è formata lavorando e lottando tutti i giorni, a tutte le ore ed in tutti i luoghi, non solo contro un sistema che la opprime come indigena, come lavoratrice e come povera, ma anche come donna che si è scontrata e si scontra contro un sistema fatto ad immagine e somiglianza dei cervelli degli uomini e di non poche donne, che con tutto contro, oggi, senza ancora saperlo, forse dovrà rappresentare non più solo sé stessa, o il suo collettivo, o la sua comunità, tribù, nazione o popolo originario, ma dovrà aspirare a rappresentare milioni di donne differenti per lingua, colore e razza, ma uguali nel dolore e nella ribellione? Da una parte, non ci sarebbe una donna creola, bianca, simbolo dell’oppressione, lo scherno, l’impunità, l’impudicizia; e dell’altra una donna che dovrà innalzare la sua essenza indigena al di sopra di un razzismo che permea tutti gli strati sociali? Non sarebbe vero che, senza neppure rendervi conto, smettereste di essere spettatrice, spettatore, e desiderereste, dal più profondo del cuore, che in quel dibattito vincesse, correttamente, quella che ha tutto contro? Non approvereste che con quella donna indigena vincesse la ragione e non la forza del denaro?

– Vi preoccupa che la donna indigena non sappia parlare bene lo spagnolo, ma non che l’attuale titolare dell’esecutivo federale non sappia parlare, punto?

– È così solido il sistema politico messicano, e tanto certe e consistenti le tattiche e le strategie dei partiti politici, che basta che qualcuno dica pubblicamente che sta pensando a qualcosa, e che chiederà a suoi altri uguali che cosa ne pensano, perché tutti diventino isterici.

– In che misura la proposta che un consiglio di governo indigeno (concejo con la “c” [II]), cioè, un collettivo e non un individuo, sia responsabile dell’esecutivo federale, sostiene-il-presidenzialismo-si-fa-complice-della-farsa-elettorale-contribuisce-a-rafforzare-la-democrazia-borghese-fa-il-gioco-dell’oligarchia-e-dell’imperialismo-yankee-cinese-russo-giudeoislamico-millenarista,-oltre-a-tradire-gli-alti-principi-della-rivoluzione -proletaria-mondiale?

– Dobbiamo seguire l’inerzia della classe politica, di teste “pensanti” e saltimbanchi di ogni genere, e rispondere alle critiche infondate e a quelle che, con fondamento ci criticano e ci fanno pensare, con insulti che, oltre ad essere oziosi, ormai annoiano (come peñabots, paniaguados, pejezombis, perderistas[III] ecceteristi)?

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– Idea per diventare milionar@ (o per tirar su soldi per la raccolta di firme e la campagna – oh, oh, sembra una cosa seria -): un’applicazione che su tuiter autocensuri quando si scrive una stupidaggine. Già, perché gli schreen shot non perdonano. Come? Vi è già capitato? Bene, attenzione, perché quando il CNI ci autorizzerà a spiegare, cancellare quei tuits sarà inutile.

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– Classifica della prima settimana:

Finalista per il miglior topic: El Deforma[IV] (che non ha nemmeno molto merito, perché El Deforma è come il Barcelona F.C. dei topic).

Finalista per il miglior tuit di fondato sospetto: “A me quello che appare sospetto è che l’#EZLN torna sempre di moda quando fa freddo e quei dannati passamontagna salgono di prezzo.

Finalista per la miglior serie di tuits sul tema: “Sentite un po’, gli zapatisti usano Twitter? / Lo chiedo perché qui ci stiamo burlando di loro / Dicendogli, ordinandogli quello che possono e devono fare e no / e se loro se ne fregano / se non ci ascoltano / è come masturbarsi eccitandosi guardando una confezione di cereali / attenzione: ricordarsi di cancellare questa serie di tuits /  Warning! Il tuo account Twitter ha subito l’attacco di uno screen shot.

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– Sentite, un consiglio gratis (consejo con la “s”): non vi farebbe male un corso di comprensione di lettura. E parlando di lettere, anche uno di composizione… anche fosse con il limitato orizzonte dei 140 caratteri.

– Massima non confuciana: “sebbene sembri incredibile, pare ci siano non uno, ma molti mondi fuori dai social network”.

Difesa Zapatista, Chicharito Hernández e Lionel Messi.

Non so come accidenti entrò quel pallone nella mia capanna, il fatto è che dietro ad esso arrivò una bambina di… quanti anni? Dico tra gli 8 e i 10, che in comunità possono essere anni o decenni. Non è la prima volta che l’irriverenza e l’allegria dell’infanzia zapatista irrompe nella stanza solitaria che, a volte, mi ospita, cosicché non gli feci molto caso e continuai a guardare e leggere la tormenta sui social network e sui media liberi e prezzolati. Non mi sarei accorto della presenza della bambina se non avesse detto, con voce da esperta: “è come quella del Chicharito e del Messi“. Allora mi resi conto che la bambina, da sopra la mia spalla, stava guardando lo schermo del mio portatile. Ricordando la vecchia massima che il miglior attacco è la difesa, le chiesi: “E tu, chi sei? Non ti conosco”. La bimba rispose “io mi chiamo Difesa Zapatista” con lo stesso tono di ovvietà come se dicesse “energia uguale massa per la velocità della luce al quadrato”. Ed indicando il pallone, aggiunse: “El Chicharito non gioca nel Barcelona e Messi non gioca nei Jaguares de Chiapas”. Mi voltai per vedere se, senza accorgermi, avessi cambiato hashtag, invece no, in testa si leggeva “#ezln”. Quello che avviene nella testa di una bambina zapatista, più che un mondo è un Big Bang in continua espansione, ciò nonostante le domandai “E questo cosa diavolo c’entra?”. La bambina rispose con la stessa faccia con cui si dice: “Non sai niente, John Snow”:

Lì è come se stanno dicendo che il Chicharito non fa goal nel Barcelona e che il Messi non fa niente affinché los Jaguares guadagnino punti. Alcuni dicono che il Chicharito si rimetterà, altri che è andato. Alcuni dicono che il Messi è triste perché non lo sostengono nel paese in cui è nato, altri dicono che gli stringono le scarpe e se cambia scarpe calcerà meglio la palla.

  Ma il Chicharito non gioca nel Barcelona né Messi nei Jaguares. Cioè, poi si arrabbiano”.

Stavo valutando il cambio di paradigma che faceva supporre il ragionamento di “Difesa Zapatista”, quando disse: “Senti Sup, perché non si organizza una partita di calcio quando vengono quelli che sono come siamo qua? Beh, non abbiamo completato la squadra e il dannato Pedrito si crede molto macho, ed il gatto-cane non obbedisce agli ordini, il cavallo cieco dorme e gli altri giocatori a volte vengono e a volte vanno. Guarda, io ho già pensato alla canzone di quando vinciamo la finale. Conosci il ritornello? Ma che ne sai, sei il sup! Quindi ti consiglio di studiare le scienze e le arti, e così ti sarà chiaro che il problema è che Chicharito non gioca nel Barcelona, né Messi con los Jaguares, e quindi non preoccuparti, che a far volare i corvi ti caveranno gli occhi. Ora me ne vado perché la squadra non è completata e chissà che non ci tocchi l’inaugurazione”.

Sulla porta, la bambina si voltò e mi disse: “Senti Sup, se arrivano le mie mammine e chiedono se mi hai visto, tu dì loro chiaro che Chicharito non gioca nel Barcelona né Messi con los Jaguares. Cioè, non dire bugie, perché le mammine lo sanno se stai mentendo. Quindi, quello che devi fare, è cambiare la giocata, cioè, fai finta di andare là, ma invece vai di qua. Se vuoi te lo spiego dopo, ma primo studia, perché se vai alla scuola autonoma ti scherzeranno, il peggiore è il Pedrito, perché lo stronzetto ha già terminato la primaria e si vanta. Ma vedrai quando la finisco io, che a far volare i corvi ti caveranno gli occhi. Non ti preoccupare della squadra, saremo in tanti. Improvvisamente si ingrosserà, e sì, saremo in tanti”. E se ne andò.

Entrò il SubMoy e mi chiese: “Hai già il testo della spiegazione?”.

No, ma il Chicharito non gioca nel Barcelona né Messi con los Jaguares”, gli risposi seguendo il consiglio di “Difesa Zapatista”.

Il SubMoy mi guardò, prese il suo apparecchio radio ed ordinò; “mandate qualcuno della sanità con un’iniezione”.

Scappai, cos’altro potevo fare?

Bau-Miao.

SupGaleano.

 

[I] Riferimento a Margarita Zavala, moglier dell’ex-presidente Felipe Calderón (2006-2012) e probabile candidata per il PAN alle presidenziali del 2018.

[II] Concejo con la “c” significa consiglio riferito ad un determinato livello di governo. Consejo con la “s” significa consiglio o suggerimento.

[III] Termini denigratori riferiti ai sostenitori dei diversi partiti politici istituzionali.

[IV] Riferimento al giornale essicano Reforma.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/10/21/preguntas-sin-respuestas-respuestas-sin-preguntas-concejos-y-consejos-notas-tomadas-del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro/

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Sorprese e attese: gli zapatisti e noi.

CNI

Sorprese e attese: gli zapatisti e noi

Daniele di Stefano

La recente decisione dell’EZLN e del CNI, comunicata al termine del Quinto Congresso Nazionale Indigeno, è stata una sorpresa: si avvia una consultazione tra i popoli, nazioni e tribù per approvare l’ipotesi di una candidata indigena alle elezioni presidenziali del 2018. Una sorpresa, ma non rispetto alla lunga storia degli zapatisti che hanno visto sfilare, dall’anno dell’insurrezione, già cinque presidenti che non hanno potuto cancellarne la lotta né la sperimentazione dell’autonomia indigena. Vale la pena di ritornare col pensiero alle precedenti fasi elettorali e ricordare come si è modificata di volta in volta l’azione zapatista, sempre disturbante rispetto al sano alternarsi dei criminali in doppiopetto, espressione delle classi dirigenti messicane. Perdonate le approssimazioni.

Nel 1994, anno dell’insurrezione, l’EZLN resistette a Salinas de Gortari e si rivolse al neoeletto Zedillo Ponce de León con queste parole: “benvenuto nell’incubo”. A testimonianza della guerra sporca di quel periodo, la lettera del Subcomandante Insurgente Marcos terminava così: finché non ci sarà risposta alle domande di democrazia, libertà e giustizia, in queste terre ci sarà guerra.

Nel 2000, la stagione di lotta promossa dall’EZLN propiziò la caduta dell’apparentemente imperituro regime del Partito Rivoluzionario Istituzionale. Il neopresidente di destra, Fox Quesada, dovette tollerare il lungo snodarsi della Marcha del Color de la Tierra: nel marzo 2001 gli zapatisti e la società civile invasero lo zócalo di Città del Messico. Il 28 marzo la Comandante Esther pronunciò uno storico discorso al parlamento messicano, dimostrando disponibilità al dialogo e alla distensione ma chiedendo il rilascio di tutti i prigionieri politici zapatisti e il riconoscimento costituzionale per diritti e cultura indigeni.

Nel 2006, tre anni dopo la nascita del sistema civile che governa l’autonomia zapatista (Caracoles e Giunte di Buon Governo), si ebbe l’elezione fraudolenta di Calderón Hinojosa, e il culmine dell’Altra Campagna lanciata dall’EZLN. Il 2005 fu l’anno della Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, che ancora oggi fa da riferimento per tutti noi aderenti alla Sexta. L’Altra Campagna si caratterizzò dal basso a sinistra, contro il capitalismo e senza alcuna partecipazione ai giochi elettorali della classe politica. La coalizione di una costellazione di gruppi eterogenei di varia tradizione teorica e pratica, esperimento di grande importanza, venne ridotta dalla sinistra partitica guidata da López Obrador a un’azione di disturbo verso il suo incedere vittorioso alle elezioni, un tentativo di farle perdere voti in favore della destra. Poco importava che già mesi prima l’EZLN avesse chiaramente analizzato il broglio in preparazione, su cui poi il presidente “legittimo” e gabbato del PRD piagnucolò a lungo. López Obrador ha già riproposto nuovamente questa consueta accusa dei partiti perdenti (anche della sinistra nostrana che non andiamo a votare). L’esperimento dell’Altra Campagna, peraltro, non resse il peso della propria eterogeneità, e si esaurì. Quel che ne emerse è quell’area mondiale di zapatisti e filozapatisti e sottozapatisti e zapatisti del terzo tipo che noi chiamiamo affettuosamente La Sexta.

Nel 2012 tornò al potere federale il PRI, ma l’elezione di Peña Nieto venne accolta dall’EZLN con un fragoroso silenzio, peraltro reciproco rispetto alle questioni in sospeso circa i diritti indigeni. La fase successiva è quella che ci conduce agli ultimi anni, in cui ci siamo per così dire abituati a una determinata postura degli zapatisti rispetto alle questioni elettorali: qualsiasi gioco di potere non ci riguarda, qualsiasi partito istituzionale è rappresentante del sistema di potere e qualsiasi governo, pur con notevoli differenze, resta nel solco del regime capitalistico: anche i bolivariani del cono sud, in fin dei conti.

Da qui, da questa visione che sembra degli ultimi anni e che è di sempre, deriva la sorpresa per l’annunciato cambio di strategia: ma come, tante chiacchiere contro gli aspiranti eletti di tutte le risme, e ora partecipano alle elezioni? Ma dal breve riepilogo storico si vede come non esista una regola fissa del comportamento zapatista dinanzi al rito elettorale: esistono una miriade di fatti e considerazioni, di eventi luttuosi e di lotte popolari che non possiamo citare qui, perché servirebbe un trattato, ma che hanno influito su tutti i percorsi intrapresi di volta in volta. Oltreché, beninteso, l’esperienza che via via ne scaturiva e il pensiero critico che ne derivava. Di tutto ciò dobbiamo avere rispetto e non partire per la tangente con giudizi, esultanze o lamentazioni.

Se è con questo atteggiamento che guardiamo alla recente decisione circa la candidatura, possiamo intanto osservare che la proposta è frutto di una progressiva indigenizzazione del movimento zapatista, che sta puntando molto sui fratelli indigeni dei vari stati e sul contesto nazionale. Poiché non vale qui un discorso di puro e semplice incasellamento “per classi”, non è che il nemico sia il non-indigeno, il meticcio, il creolo. Il nemico è il capitalismo, specialmente nelle sue rapaci scorribande di depredazione dei territori: dighe, fiumi prosciugati, fracking, estrattivismo, energie pulite ed ecoturismo come pretesti per il business, eccetera. Gli indigeni sono un sassolino nella scarpa per l’anfibio del capitalismo dei disastri, ma un sassolino che non riesce a togliersi. Gli indigeni, in Messico e ovunque, sono i nostri paladini (“nostri” di tutti noi abitanti del mondo) se nel lungo periodo vogliamo salvare non tanto il pianeta, quanto la nostra possibilità di viverci. Ma gli indigeni messicani non agiscono come un blocco monolitico: vengono anche intruppati nei gruppi paramilitari, usati come manovalanza dai partiti e dai cacicchi, corrotti con un piatto di minestra e ingannati con blandizie di varia natura. Contro tutto ciò, e senza mai perdere il senso di fratellanza, gli indigeni consapevoli hanno lottato in questi decenni, lasciando sul terreno morti, feriti e prigionieri politici. Anche di questo dobbiamo avere enorme rispetto.

Pensando all’Altra Campagna del 2005, la proposta attuale ha un grosso vantaggio: la maggiore omogeneità (meglio: uguaglianza nella diversità) di chi la promuove. Indigeni sì, e pertanto anche gli ultimi degli ultimi nella scala sociale: poveri, proletari e sottoproletari, contadini… li si chiami come si vuole, ma in termini di classe non c’è quasi traccia di apporti da parte della multiforme borghesia. C’è però anche uno svantaggio: è più difficilmente comprensibile, almeno in teoria, per chi sostiene da anni la lotta zapatista. Dal punto di vista internazionalista, pur essendo concordi sull’accento dato al tema dell’organizzazione non sono infatti i partiti comunisti di varia estrazione ad aver guardato con maggiore comprensione all’insegnamento degli zapatisti, bensì i gruppi anarchici e di comunismo libertario, i movimenti per i diritti umani e i comitati contro le grandi opere, che spesso hanno una posizione ben precisa rispetto alle tornate elettorali e al meccanismo del voto. Questa decisione può mettere in difficoltà tanti, non rispetto alla loro fiducia nell’EZLN, bensì soprattutto per quelle che sono le ricadute teorico-pratiche in altri territori. In Europa, e in Italia specialmente, abbiamo già vissuto numerose stagioni in cui parti di movimento tentavano la via elettorale, anche se le argomentazioni presentavano sempre la scelta come fondata in una prospettiva di lotta. La constatazione dei passati fallimenti, che puzzano ormai di coazione a ripetere, non può che farci guardare con ironia a ogni riproposizione. Ebbene, allora con gli zapatisti come la mettiamo? Perché loro, invece, alle elezioni… da qui l’imbarazzo.

No, cari, no. Abbandoniamo i facili parallelismi. Qui non c’entra nulla Tsipras, non c’entra nulla Podemos, non c’entrano né Bertinotti né Vendola né i grillini né i senza volto né Democrazia Proletaria né i sindaci (presunti) No Tav eccetera. A livello simbolico, una candidata indigena proposta da indigeni da noi corrisponderebbe all’incirca a una candidata africana richiedente asilo e proposta in autonomia dai rifugiati nei centri d’accoglienza: una cosa mai vista. Non ci sono confronti possibili. Diciamolo subito e chiaro, che l’ipotesi prospettata dagli zapatisti e dagli indigeni messicani non è partitica, non è elettoralista, non è compromissoria: noi non vogliamo esserlo, loro ancora meno. Da nessuna parte è dato leggere che gli zapatisti ambiscano a governare il paese e ad addomesticare i conflitti, né che vogliano dare il via alla penetrazione in scranni poltrone e poltroncine. Le elezioni presidenziali, diverse dalle legislative, neppure lo consentirebbero. Quel che consentono, è un’amplificazione “spettacolare” sia delle fregnacce dei candidati che del controcanto dei popoli in lotta, la possibilità cioè di mettere il dito nella piaga delle impresentabili condizioni dei narcostati, a riflettori accesi, proprio sotto il grugno di chi predica progresso e investimenti. Al momento è questo, e solo questo, che si può dare per certo rispetto alla scelta annunciata da chi dice da anni “non vendersi, non arrendersi e non claudicare”. Così come è evidente che la candidatura non può servire a “contarsi”, com’è costume di certi micropartiti: sia perché molti che simpatizzano per te non andrebbero comunque a votarti o verrebbero sedotti dalle sirene del dannoso “voto utile”, sia perché la consultazione preliminare basta e avanza per far sentire il peso popolare della tua opzione.

Bisogna avere cautela quando si parla di zapatisti. L’effetto sorpresa, la spiegazione successiva o il cambiamento di passo sono un tratto distintivo che si presta facilmente a fraintendimenti. Noi stessi, che ci presumiamo scaltri in materia, a volte siamo stati tratti in errore: ad esempio abbiamo pianto il defunto Marcos e ci siamo meritati la derisione per esserci innamorati di un “ologramma”. Ma dobbiamo anche essere spietatamente onesti: l’imprevedibilità zapatista sta crescendo in maniera esponenziale. Tante sono le strade e i cantieri aperti negli ultimi anni: escuelita, seminari di pensiero critico contro l’Idra capitalista, arte e scienza come risposte dell’umanità alla tormenta capitalistica, con tanto di festival internazionale pieno di colpi di scena organizzativi… per noi che siamo piuttosto macchinosi, ma che pure teniamo ad ascoltare sempre chi ci ispira da due decenni, ce n’è stato d’avanzo per uscirne scombussolati circa la “linea” da seguire… e ora ecco le elezioni presidenziali. Che smarrimento! Il fatto è, poveri noi, che non bisogna essere fedeli alla linea, perché la linea non c’è: è questo il bello e il difficile di essere zapatisti anche quando la moda è finita. Bisogna imparare ad avere pazienza, tenacia e occhi attenti, ed evitare di fabbricare piedistalli su cui collocare idoli da frantumare. Bisogna imparare che il ritmo del ragionamento e delle decisioni collettive non ha il passo delle elucubrazioni dei singoli pensatori. Quindi aspettiamo, discutiamo, vediamo a cosa prelude la mossa annunciata, verifichiamo che riscontro avrà tra i popoli indigeni e la società civile messicana, ma in ogni caso teniamo alta la bandiera del pensiero critico e dell’EZLN, con tutta la dignità che compete loro.

Al massimo, per concludere il ragionamento o sproloquio o flusso di coscienza, ciascuno di noi potrebbe chiedersi: se io fossi un indigeno o un’indigena o un’indigenoa e mi consultassero circa la candidatura del 2018, voterei a favore o contro la proposta? Ecco, per ragioni di principio molti di noi voterebbero no… ma siamo forse indigeni? Possiamo realmente calarci nei panni di chi resiste da cinque secoli e vede in faccia tutti i giorni la morte vestita di dollari? NO. Perciò attendiamo con rispetto, lasciamoci sorprendere e rimaniamo fiduciosamente zapatisti: le fasi cambiano, le lotte restano.

Daniele Di Stefano – Associazione Ya Basta! Milano  – 20 ottobre 2016

https://www.facebook.com/notes/daniele-di-stefano/sorprese-e-attese-gli-zapatisti-e-noi/1324716227540767

 

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20ZLN: Appunti sulla scelta dell’EZLN e CNI.

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DI ELEZIONI E AUTONOMIA: APPUNTI SPARSI, E PARZIALI, SULLA SCELTA DI EZLN E CNI DI CANDIDARE UNA DONNA INDIGENA ALLE ELEZIONI MESSICANE DEL 2018

Il quinto Congresso Nazionale Indigeno ha deciso di “nominare un consiglio indigeno di governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel processo elettorale dell’anno 2018 per la presidenza di questo paese.”

Sono le parole con cui EZLN e CNI hanno chiuso il loro congresso. Una notizia tanto forte e “assurda”, come l’ha definita lo stesso Subcomandante Galeano (ex Marcos), da contenerne due: la prima, semplice è la dichiarazione di partecipare al processo elettorale, la seconda è la scelta dell’EZLN di tornare a “dialogare” con la politica istituzionale.

Una proposta forte, e spiazzante che merita un po’ di tempo e di spazio per entrarne nel merito.

A gradi crescenti, dal 2001 in poi ovvero dopo il tradimento governativo legato alla Ley CoCoPa, gli zapatisti si sono concentrati sulla costruzione della loro autonomia, la perimetrazione del loro territorio, la resistenza contro le aggressioni militari e paramilitari. Ma è nel 2005 con la Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona ed il lancio della Otra Campana che la distanza tra lotta zapatista e istituzioni si allarga. Si può leggere “Non vi chiederemo neppure di votare per un candidato, tanto sappiamo che quelli che ci sono, sono neoliberisti. Non vi diremo neppure di fare come noi, né che ci si sollevi in armi. E poi “Non fare accordi dall’alto per imporli in basso, ma fare accordi per andare insieme ad ascoltare e organizzare l’indignazione; non creare movimenti che siano poi gestiti alle spalle di chi li fa, ma prendere sempre in considerazione l’opinione di chi vi partecipa; non cercare regali, posizioni, vantaggi, impieghi pubblici, di Potere o di chi aspira al potere, ma andare molto più lontano delle scadenze elettorali; non tentare di risolvere dall’alto i problemi della nostra Nazione, ma costruire DAL BASSO E PER IL BASSO un’alternativa alla distruzione neoliberista, un’alternativa di sinistra per il Messico”. In questo solco il PRD di Andres Manuel Lopez Obrador ha dato la colpa al posizionamento dell’EZLN per la loro sconfitta alle elezioni nel 2006.

Gli Zapatisti hanno spesso “sfruttato” il palcoscenico elettorale: con la otra campana hanno usato quello spazio standone all’esterno, nel 1995 era tra i sostenitori di Amado Avendano Figueroa come governatore dello stato del Chiapas, nel 2000 hanno affrontato la sfida che la sconfitta del PRI aveva generato l’apertura di Fox di riprendere in mano la legge COCOPA. Non è una novità. Stavolta han deciso di prendersi lo spazio politico della campagna elettorale per parlare dei diversi punti che stanno a cuore a CNI e EZLN. Nel Messico della crisi di Pena Nieto e dei partiti il palcoscenico elettorale la campagna elettorale è spazio di visibilità. Va ricordato che la lotta zapatista, così come le problematiche indigene, vengono negate dai media del paese. La loro presenza alle elezioni potrebbe obbligare i media a dare spazi inusuali. Nulla è certo. E’ certo che negli ultimi due giorni questa proposta spiazzante ha trovato molto spazio, e costretto Andres Manuel Lopez Obrador, il vescovo di San Cristobal e altri soggetti culturali e politici a prendere posizione.

La Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona resta ed è il riferimento politico dell’EZLN. Al netto delle scelte, al netto dei comunicati e dell’attacco alla subalternità del potere politico a quello economico, gli zapatisti non hanno mai escluso l’opzione elettorale. Semplicemente se ne sono tenuti alla larga. Quindi se pur la decisione è sorprendente e apparentemente in discontinuità con il breve passato non è incoerente.

E’ una fase particolare della storia del Latino America: FARC ed ELN in Colombia trattano con il governo, Cuba e USA dialogano, Maduro non è Chavez, in Argentina, Brasile, Bolivia ed Uruguay il sogno del cambiamento operato da governi “progressisti” si è scontrato con la violenza del capitalismo. Questo, forse, ha operato un ragionamento e una necessità di capire “che fare”.

Nel documento finale c’è un passaggio importante che inserisce la “candidatura” in un contesto molto più ampio “Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere, non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari e la società civile a organizzarsi per bloccare questa distruzione”.

A ciò va aggiunto, un particolare non da poco: la decisione è maturata dentro al contesto del Congresso Nazionale Indigeno, soggetto politico composito di cui la radicalità non è il dato costituente e tanto meno la pulsione rivoluzionaria. La “sesta” è stata l’ultima proposta politica verso l’esterno dell’EZLN. 10 anni forse qualcosa doveva essere rimesso in campo per provare a continuare a vivere ed esistere. L’avvicinamento al CNI degli ultimi anni ha dato una direzione più indigenista e quindi un occhio di riguardo in più alle necessitò all’interno dei confini nazionali. Il soggetto centrale è l’indigeno, le sue necessità e modalità di vita immediatamente anti-capitaliste. La somma delle due questione ha generato la proposta “assurda” con cui il Congresso Nazionale Indigeno ha chiuso la sua quinta edizione. Una proposta che pare dettata da motivi tattici/strategici, prima che politici, come spiegato prima con la “visibilità” mediatica. Non possiamo non ricordare che, dall’omicidio di Galeano in poi, in una grande parte dei territori zapatisti la violenza di gruppi filo governativi sia salita di quantità e qualità. Le popolazioni indigene del Messico da anni resistono a progetti di marca neoliberista ma non sono mai stati considerati realmente soggetti elettorali: nella maggior parte dei casi indigeni ed indigene non hanno documenti e non sono iscritti alle liste elettorali. E nemmeno sono stati aperti i seggi per votare. Le reti del CNI potrebbero operare una trasformazione? Nel processo di “dignitizzazione” del soggetto “indigeno” rompere questa stilema è non solo centrale ma anche parte di un processo di autonomia. La candidatura, per di più di una donna, mette al centro il modello del descrimanto messicano. Provocazione. Forte e potente. Detto ciò resta evidente come la scelta è coerente e allo stesso tempo complessa, aprendo porte a dubbi e critiche, e grazie alla sua assoluta inaspettattività porta il piano della resistenza a quello del contrattacco nella certezza che a volte il percorso anche se giusto non dà altre scelte se non quella di stupire, cambiare, meravigliare con proposte “assurde”.

https://20zln.noblogs.org/di-elezioni-e-autonomia-appunti-sparsi-e-parzialisulla-scelta-di-ezln-e-cni-di-candidare-una-donna-indigena-alle-elezioni-messicane-del-2018/#more-1076

 

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CNI-EZLN: CHE LA TERRA TREMI.

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COMUNICATO CONGIUNTO CNI-EZLN

Considerando che l’offensiva contro i popoli non cesserà, ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia di ciò che siamo come popoli della campagna e della città, portatori di profondi malcontenti che fanno sorgere anche nuove, diverse e creative forme di resistenza e di ribellione, il Quinto Congresso Nazionale Indigeno ha determinato di iniziare una consultazione in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere che ci impongono dall’alto e che ci offre un panorama di morte, violenza, spoliazione e distruzione.

CHE TREMI NEI SUOI CENTRI LA TERRA

Ai popoli del mondo

Ai mezzi di comunicazione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Convocati per la commemorazione del ventesimo anniversario del Congresso nazionale Indigeno e della viva resistenza dei popoli, nazioni e tribù originari di questo paese, il Messico, delle lingue amuzgo, binni-zaá, chinanteco, chol, chontal di Oaxaca, coca, náyeri, cuicateco, kumiai, lacandone, matlazinca, maya, mayo, mazahua, mazateco, mixe, mixteco, nahua, ñahñu, ñathô, popoluca, purépecha, rarámuri, tlapaneco, tojolabal, totonaco, triqui, tzeltal, tsotsil, wixárika, yaqui, zoque, chontal del Tabasco e fratelli aymara, catalano, mam, nasa, quiché e tacaná diciamo con fermezza che la nostra lotta è in basso a sinistra, che siamo anticapitalisti e che è arrivato il tempo dei popoli, di far vibrare questo paese con il battito ancestrale del cuore della nostra madre terra.

E’ così che ci siamo riuniti a celebrare la vita nel Quinto Congresso Nazionale Indigeno che ha avuto luogo dal 9 al 14 ottobre 2016 nel CIDECI-UNITIERRA, Chiapas, in cui ci siamo nuovamente resi conto dell’acutizzarsi della spoliazione e della repressione che non si è fermata in 524 anni in cui i potenti hanno condotto una guerra che ha il fine di sterminare noi che siamo della terra e che come suoi figli non abbiamo permesso la sua distruzione e morte a beneficio dell’ambizione capitalista che non conosce altro fine che la distruzione stessa. La resistenza per continuare a costruire la vita oggi si fa parola, apprendimento e accordi.

Nei nostri popoli ci siamo costruiti giorno dopo giorno nelle resistenze per bloccare la tempesta e offensiva capitalista che non cessa bensì diventa ogni giorno più aggressiva e si è convertita in una minaccia civilizzatrice non solo per i popoli indigeni e contadini ma anche per i popoli delle città, che devono anch’essi creare forme degne e ribelli per non essere assassinati, depredati, contaminati, ammalati, schiavizzati, sequestrati o fatti scomparire. Dalle nostre assemblee comunitarie abbiamo deciso, esercitato e costruito il nostro destino da tempi immemori, perciò mantenere le nostre forme di organizzazione e difesa della nostra vita collettiva è possibile unicamente a partire dalla ribellione verso i malgoverni, le loro imprese e la loro delinquenza organizzata.

Denunciamo che:

  1. Al Popolo Coca, Jalisco, l’imprenditore Guillermo Moreno Ibarra ha invaso 12 ettari di bosco nei dintorni conosciuti come El Pandillo, in combutta con le istituzioni agrarie, usando la criminalizzazione di chi lotta, che ha portato al fatto che 10 comuneros siano stati sotto processo per 4 anni. Il malgoverno sta invadendo l’isola di Mezcala che è terra sacra comunale, e allo stesso tempo disconosce il popolo coca nella legislazione indigena statale, con l’obiettivo di cancellarlo dalla storia.
  2. I Popoli Otomí Ñhañu, Ñathö, Hui hú, e Matlatzinca dello Stato del Messico e del Michoacán vengono aggrediti attraverso l’imposizione del megaprogetto della costruzione dell’autostrada privata Toluca – Naucalpan e il treno interurbano, distruggendo case e luoghi sacri; comprano le coscienze e truccano le assemblee comunali con presenze poliziesche, oltre agli ingannevoli censimenti di comuneros che soppiantano la voce di tutto un popolo, alla privatizzazione e sottrazione di acqua e territorio nel vulcano Xinantécatl, conosciuto come il Nevado di Toluca, a cui i malgoverni tolgono la protezione che essi stessi avevano assegnato, per consegnarli a imprese turistiche. Si sa che dietro tutti questi progetti c’è l’interesse alla sottrazione di acqua e vita della regione. Nella zona di Michoacán viene negata l’identità al popolo otomí mentre un gruppo di gendarmi è entrato nella regione per sorvegliare i monti proibendo agli indigeni di salire a tagliare legna.
  3. Ai popoli originari residenti a Città del Messico vengono sottratti i territori che hanno conquistato per guadagnarsi la vita lavorando, rubando le loro mercanzie e usando le forze di polizia. Vengono disprezzati e repressi per il fatto di usare i loro vestiti e la loro lingua, oltre a criminalizzarli accusandoli di vendere droga.
    4. Il territorio del Popolo Chontal di Oaxaca è invaso da concessioni minerarie che smantellano i terreni comunali, cosa che colpirà 5 comunità, la loro gente e le risorse naturali.
  4. Nel Popolo Maya Peninsular di Campeche, Yucatán e Quintana Roo sussiste la spoliazione di terre per la semina di soia transgenica e palma africana, la contaminazione delle falde acquifere da parte di aziende agrochimiche, la costruzione di parchi eolici, parchi solari, sviluppo ecoturistico e imprese immobiliari. Allo stesso modo sono in resistenza contro le alte tariffe della luce elettrica che hanno portato a vessazioni e ordini di arresto. A Calakmul, Campeche, 5 comunità sono spoliate dall’imposizione di aree naturali protette, tasse sui servizi ambientali e cattura di carbonio; a Candelaria, Campeche, persiste la lotta per la certezza di mantenere la terra. Nei 3 stati si dà una forte criminalizzazione di chi difende il territorio e le risorse naturali.
  5. Il Popolo Maya di Chiapas, tzotzil, tzeltal, tojolabal, chol e lacandone, è ancora privato dei suoi territori al fine di privatizzare le risorse naturali, cosa che ha portato ad arresti e uccisioni di chi difende il diritto a restare nel suo territorio; viene discriminato e represso costantemente quando si difende e si organizza per continuare a costruire la sua autonomia, aumentando le violazioni dei diritti umani da parte delle forze di polizia. Esistono campagne di frammentazione e divisione dentro le organizzazioni, e anche l’uccisione di compagni che hanno difeso il loro territorio e le risorse naturali a San Sebastián Bachajón. I malgoverni continuano a cercare di distruggere l’organizzazione delle comunità basi d’appoggio dell’EZLN e a rannuvolare la speranza che da esse emana e che offre una luce a tutto il mondo.
  6. Il popolo Mazateco di Oaxaca è stato invaso da proprietà private, che sfruttano il territorio e la cultura per il turismo, come nel caso della nomina di Huautla de Jiménez come “Villaggio Magico” per legalizzare la sottrazione e la commercializzazione di saperi ancestrali, accompagnato da concessioni minerarie ed esplorazioni di speleologi stranieri nelle grotte esistenti. Tutto ciò viene imposto mediante la crescente aggressione da parte del narcotraffico e la militarizzazione del territorio. I femminicidi e gli stupri di donne nella regione continuano ad aumentare sempre, con la complicità omertosa dei malgoverni.
  7. I Popoli Nahua e Totonaca di Veracruz e Puebla fronteggiano le fumigazioni aeree che producono malattie ai nostri popoli. Sussiste l’esplorazione e lo sfruttamento minerario e di idrocarburi attraverso il fracking, e si trovano in pericolo 8 bacini a causa di nuovi progetti che contaminano i fiumi.
  8. I Popoli Nahua e Popoluca del sud di Veracruz affrontano l’assedio della delinquenza organizzata e soffrono i rischi della distruzione territoriale e scomparsa come popolo, per la minaccia dell’industria mineraria, eolica e soprattutto per lo sfruttamento di idrocarburi mediante il fracking.
  9. Il Popolo Nahua, che si trova negli stati di Puebla, Tlaxcala, Veracruz, Morelos, Stato del Messico, Jalisco, Guerrero, Michoacán, San Luis Potosí e Città del Messico, affronta una costante lotta per contenere il procedere del cosiddetto Progetto Integrale Morelos, che comprende gasdotti, acquedotti e termoelettricità. I malgoverni, al fine di bloccare la resistenza e comunicazione dei popoli, cerca di sottrarre la radio comunitaria di Amiltzingo, Morelos. Allo stesso tempo la costruzione del Nuovo Aeroporto di Città del Messico e le opere complementari minacciano i territori circostanti al lago di Texcoco e alla Conca della Valle del Messico, principalmente Atenco, Texcoco e Chimalhuacán. Intanto in Michoacán il popolo nahua affronta il saccheggio delle risorse naturali e minerali da parte dei sicari accompagnati da polizia o esercito e la militarizzazione e paramilitarizzazione dei suoi territori. Cercare di bloccare questa guerra è costato l’assassinio, persecuzione, arresto e vessazione di leader comunitari.
  10. Il Popolo Zoque di Oaxaca e Chiapas affronta l’invasione di concessioni minerarie e presunte proprietà private in terre comunali nella regione dei Chimalapas; e anche tre centrali idroelettriche e l’estrazione di idrocarburi mediante fracking. Ci sono allevamenti all’aperto e di conseguenza eccessivo taglio dei boschi da destinare a pascolo, e si stanno coltivando anche semente transgeniche. Allo stesso tempo esistono zoque migranti in vari stati del paese che ricostituiscono la loro organizzazione collettiva.
  11. Il Popolo Amuzgo di Guerrero affronta la sottrazione dell’acqua del fiume San Pedro per zone residenziali e l’approvvigionamento della città di Ometepec. La loro radio comunitaria è stata oggetto di una costante persecuzione e aggressione.
  12. Il Popolo Rarámuri del Chihuahua soffre la perdita di aree coltivabili per la costruzione di strade, l’aeroporto a Creel e per il gasdotto che va dagli Stati uniti al Chihuahua, oltre a esistere imprese minerarie giapponesi e dighe e turismo.
  13. Il Popolo Wixárika del Jalisco, Nayarit e Durango affronta la distruzione e privatizzazione dei suoi luoghi sacri, da cui dipendono tutti i suoi tessuti sociali, politici e familiari; la spoliazione delle sue terre comunali a favore di cacicchi, avvalendosi dell’indefinitezza dei confini tra stati della Repubblica e di campagne di divisione orchestrate dai malgoverni.
  14. Il Popolo Kumiai della Bassa California continua a lottare per la ricostituzione dei suoi territori ancestrali, contro invasioni di privati, la privatizzazione dei suoi luoghi sacri e l’invasione del territorio da parte di gasdotti e autostrade.
  15. Il Popolo Purépecha del Michoacán ha il problema della deforestazione, esercitata a partire dalla complicità tra malgoverni e gruppi narcoparamilitari che saccheggiano i boschi e il legname. Per essi l’organizzazione dal basso delle comunità è un ostacolo per il saccheggio.
  16. Nel Popolo Triqui di Oaxaca la presenza di partiti politici, imprese minerarie, paramilitari e malgoverni fomentano la disintegrazione dei tessuti comunitari per il saccheggio delle risorse naturali.
  17. Al Popolo Chinanteco di Oaxaca vengono distrutte le sue forme di organizzazione comunitaria con la divisione delle terre, l’imposizione di tasse per servizi ambientali, la cattura di carbonio e l’ecoturismo. La proiezione di un’autostrada a 4 carreggiate attraversa il territorio e lo divide. Nei fiumi Cajono e Usila i malgoverni hanno in progetto tre dighe che colpiranno villaggi chinantechi e zapotechi. Ci sono concessioni minerarie e l’esplorazione di pozzi di petrolio.
  18. Il Popolo Náyeri del Nayarit affronta l’invasione e distruzione dei suoi territori sacri nel sito denominato Muxa Tena sul fiume San Pedro mediante il progetto idroelettrico Las Cruces.
  19. Il Popolo Yaqui del Sonora mantiene la lotta sacra contro il gasdotto che attraverserà il suo territorio e in difesa delle acque del fiume Yaqui che i malgoverni decidono di portare alla città di Hermosillo, Sonora, sebbene sia contrario a sentenze giudiziarie e a ricorsi internazionali che hanno dimostrato la loro ragione legale e legittima, avvalendosi della criminalizzazione e vessazione di autorità e portavoce della tribu Yaqui.
  20. I Popoli Binizzá e Ikoot si organizzano e articolano per contenere l’avanzata dei progetti eolici, minerari, idroelettrici, di dighe, gasdotti e specialmente nella zona chiamata Zona Economica Speciale dell’Istmo di Tehuantepec e dell’infrastruttura, che minacciano il territorio e l’autonomia dei popoli nell’Istmo di Tehuantepec, che vengono qualificati come talebani dell’ambiente e talebani del diritto indigeno, come da parole espresse dall’Associazione Messicana dell’Energia al riferirsi all’Assemblea Popolare del Popolo Juchiteco.
  21. Il Popolo Mixteco di Oaxaca soffre la spoliazione del suo territorio agrario, colpendo con esso i suoi usi e costumi attraverso minacce, morti e arresti che cercano di soffocare le voci di chi non si adegua, promuovendo gruppi paramilitari armati dai malgoverni, come nel caso di San Juan Mixtepec, Oaxaca.
  22. I Popoli Mixteco, Tlapaneco, e Nahua della montagna e costa del Guerrero fronteggiano l’imposizione di megaprogetti minerari appoggiati dal narcotraffico, dai loro paramilitari e dai malgoverni, che si disputano i territori dei popoli originari.
  23. Il malgoverno messicano continua a mentire e a cercare di occultare la sua scomposizione e responsabilità assoluta nella sparizione forzata dei 43 studenti della scuola normale rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, Guerrero.
  24. Lo Stato mantiene sequestrati i compagni Pedro Sánchez Berriozábal, Rómulo Arias Míreles, Teófilo Pérez González, Dominga González Martínez, Lorenzo Sánchez Berriozábal e Marco Antonio Pérez González della comunità Nahua di San Pedro Tlanixco nello Stato del Messico, il compagno zapoteco della regione Loxicha Álvaro Sebastián, i compagni Emilio Jiménez Gómez ed Esteban Gómez Jiménez prigionieri della comunità di Bachajón, Chiapas, il compagno Pablo López Álvarez e mantenendo in esilio Raúl Gatica García e Juan Nicolás López del Consiglio Indigeno e Popolare di Oaxaca Ricardo Flores Magón. Recentemente un “giudice di consegna” ha sentenziato 33 anni di prigione per il compagno Luis Fernando Sotelo per esigere la presentazione in vita dei 43 studenti scomparsi di Ayotzinapa, i compagni Samuel Ramírez Gálvez, Gonzalo Molina González e Arturo Campos Herrera del Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie- PC.
    Allo stesso tempo tiene centinaia di prigionieri indigeni e non indigeni in tutto il paese, colpevoli di difendere i loro territori e di esigere giustizia.
  25. Nel popolo Mayo il territorio ancestrale è minacciato da progetti autostradali per unire Topolobampo con lo stato del Texas, Stati Uniti; allo stesso tempo si configurano ambiziosi progetti turistici nel Burrone del Rame.
  26. La nazione Dakota vede distrutto e saccheggiato il suo territorio sacro da parte di gasdotti e oleodotti, ragion per cui mantiene un picchetto permanente per proteggere ciò che è suo.

Per i motivi di cui sopra reiteriamo che la cura della vita e della dignità, ovvero la resistenza e ribellione dal basso a sinistra, è un nostro obbligo a cui possiamo rispondere solo in forma collettiva. La ribellione la costruiamo dalle nostre piccole assemblee in località che si uniscono in grandi assemblee comunali, di ejido, in giunte di buon governo e in accordi come popoli uniti sotto un’identità. Nel condividere, apprendere e costruire noi che siamo il Congresso Nazionale Indigeno ci vediamo e sentiamo nei nostri dolori, nello scontento e nelle nostre fondamenta ancestrali.

Per difendere ciò che siamo, il nostro camminare e apprendere si sono consolidati nel rafforzamento negli spazi collettivi di presa di decisione, ricorrendo a strumenti giuridici nazionali e internazionali, azioni di resistenza civile pacifica, mettendo da parte i partiti politici che hanno soltanto generato morte, corruzione e compravendita di dignità; sono state strette alleanze con diversi settori della società civile, costruendo propri mezzi di comunicazione, polizie comunitarie e forze di autodifesa, assemblee e consigli popolari, cooperative, l’esercizio e la difesa della medicina tradizionale, l’esercizio e la difesa dell’agricoltura tradizionale ed ecologica, i rituali e le cerimonie proprie per ripagare la madre terra e continuare a camminare con lei e in lei, la semina e difesa delle semente native, forum, campagne di diffusione e attività politiche e culturali.

Questo è il potere dal basso che ci ha mantenuti vivi ed è perciò che commemorare la resistenza e ribellione è anche ratificare la nostra decisione di continuare a vivere costruendo la speranza di un futuro possibile unicamente sopra le rovine del capitalismo.

Considerando che l’offensiva contro i popoli non cesserà, ma che vorrebbero farla crescere fino a cancellare ogni traccia di ciò che siamo come popoli della campagna e della città, portatori di profondi malcontenti che fanno sorgere anche nuove, diverse e creative forme di resistenza e di ribellione, il Quinto Congresso Nazionale Indigeno ha determinato di iniziare una consultazione in ognuno dei nostri popoli per smantellare dal basso il potere che ci impongono dall’alto e che ci offre un panorama di morte, violenza, spoliazione e distruzione.

In base a quanto detto sopra, ci dichiariamo in assemblea permanente e consulteremo in ognuna delle nostre geografie, territori e direzioni l’accordo di questo Quinto CNI, per nominare un consiglio indigeno di governo la cui parola sia incarnata da una donna indigena, delegata del CNI come candidata indipendente che partecipi a nome del Congresso Nazionale Indigeno e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale nel processo elettorale dell’anno 2018 per la presidenza di questo paese.

Ratifichiamo che la nostra lotta non è per il potere, non lo cerchiamo, bensì che chiameremo i popoli originari e la società civile a organizzarsi per bloccare questa distruzione, rafforzarci nelle nostre resistenze e ribellioni, ovvero nella difesa della vita di ogni persona, ogni famiglia, collettivo, comunità o quartiere. Costruire la pace e la giustizia rifinendoci dal basso, da dove siamo ciò che siamo.

E’ il tempo della dignità ribelle, di costruire una nuova nazione per tutte e tutti, di rafforzare il potere dal basso e alla sinistra anticapitalista, e che paghino i colpevoli per il dolore di questo Messico multicolore.

Per ultima cosa annunciamo la creazione della pagina officiale del CNI all’indirizzo www.congresonacionalindigena.org

Dal CIDECI-UNITIERRA, Chiapas, ottobre 2016

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

 

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Sub Moises al CNI.

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Adesso è l’ora del Congresso Nazionale Indigeno. 
Che al suo passaggio la terra tremi. 
Che nel suo sogno il cinismo e l’apatia siano sconfitti. 
Che nella sua parola si levi quella di chi non ha voce. 
Che nel suo sguardo si illumini l’oscurità. 
Che nel suo ascolto trovi casa il dolore di chi si crede solo. 
Che nel suo cuore trovi consolazione e rassicurazione la disperazione. 
Che con la sua sfida stupisca di nuovo il mondo.

Parole Della Comandancia Generale Dell’Esercito ZAPATISTA Di Liberazione Nazionale In Apertura Del Quinto Congresso Del Congresso Nazionale Indigeno, nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, 11 ottobre 2016

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

11 ottobre 2016

Compagni e compagne del Congresso Nazionale Indigeno,

Popolo fratello hermano Wirrarikarri,

Popolo fratello Nahua,

Popolo fratello Purépecha,

Popolo fratello Raramuri,

Popolo fratello Cora,

Popolo fratello Mayo Yoreme,

Popolo fratello Tribu Yaqui,

Popolo fratello Popoluca,

Popolo fratello Mixteco,

Popolo fratello Ñahñú, Ñatho,

Popolo fratello Coca,

Popolo fratello Totonaco,

Popolo fratello Mazahua,

Popolo fratello Maya,

Popolo fratello Zoque,

Popolo fratello Tzotzil,

Popolo fratello Tzeltal,

Popolo fratello Chol,

Popolo fratello Tojolabal,

Popolo fratello Mame,

Popolo fratello Binni Zaá

Popolo fratello Chontal.

Popolo fratello Chinanteco,

Popolo fratello Kumiai,

Popolo fratello Cuicateco,

Popolo fratello Matlazinca,

Popolo fratello Mazateco,

Popolo fratello Mee-paa,

Popolo fratello Mixe,

Popolo fratello Nasaquue/Nasa,

Popolo fratello Amuzgo,

Popolo fratello Triqui,

Popoli, nazioni, tribù e comunità di popoli originari che hanno casa nel Congresso Nazionale Indigeno:

Compagni e compagne della Sesta Nazionale ed Internazionale:

Compagne e compagni della delegazione zapatista al Quinto Congresso del CNI:

A tutte, tutti, todoas, va il saluto sincero degli uomini, donne, bambini ed anziani che hanno come nome comune quello dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

E col saluto, porgiamo il nostro rispetto, la nostra ammirazione, il nostro affetto sincero e senza falsità.

Per prima cosa vogliamo ringraziare le nostre compagne e compagni del CIDECI-UNITIERRA che come altre volte, in questi giorni ci offrono riparo, cibo e spazio per il nostro ascolto e la nostra parola.

Compagne, compagni, compañeroas:

Fratelli e sorelle:

In questi giorni compie 20 anni una luce nata nelle mani dei popoli originari di questa terra chiamata Messico. Quella luce si chiamava e si chiama Congresso Nazionale Indigeno.

Abbiamo avuto l’onore di essere presenti a quella nascita attraverso la nostra indimenticabile compagna comandanta Ramona, quando insieme, popoli, nazioni, tribù e comunità di popoli originari, abbiamo acceso quella luce.

Luce di organizzazione, di lotta e lavoro e di un lungo cammino di battaglia in resistenza e ribellione.

E durante 20 anni di lotta contro il cattivo sistema capitalista ed i suoi governanti, abbiamo ricevuto solo disprezzo, repressione, spoliazione e sfruttamento, prigione, omicidi, sparizioni, inganni e manipolazioni.

In questo anniversario che celebriamo con la parola sorella e compagna, come zapatisti vogliamo riportare alla memoria coloro che ci mancano:

La nostra scomparsa Comandanta Ramona, Tata Grande Juan Chávez, il Mayor Insurgente honorario Félix Serdán, il compagno Ramiro Taboada, il fratello Efrén Capíz, ed i nomi che assumono le assenze che oggi e sempre ci addolorano: le donne indigene, la gioventù indigena, gli adulti ed anziani originari, i nostri più grandi saggi e sagge, i migranti indigeni, tutti, tutte le desaparecidas, assassinate, picchiate, umiliate, prostituite, dimenticate, oggetto di scherno e disprezzo.

Ed insieme a loro, riportiamo alla memoria anche l’ingiustizia e l’impunità che, come politica di Stato, prendono nome e volto nei 47 assenti di Ayotzinapa.

Che siedano con noi tutti questi dolori, tutte queste rabbie che ora ci convocano e che ci spronano a pensare di fare qualcosa per chi non c’è e per chi ci sarà.

Che parlino attraverso le nostre labbra, che ascoltino attraverso i nostri cuori.

Che vivano nel nostro essere collettivo.

Che nel nostro pensiero e la nostra azione sappiano di essere accompagnati, che sentano di non essere soli.

Compagne, compagni, fratelli, sorelle:

20 anni fa abbiamo detto.
In questo sistema capitalista non nascerà ne verrà niente di nuovo per il bene di noi popoli originari del Messico e del mondo.

Questi capitalisti non cercheranno mai né penseranno mai ad un percorso di cambiamento per una vita migliore per noi popoli, nazioni, tribù e comunità originarie.

Dal sistema capitalista in cui viviamo non verrà niente di buono per noi popoli poveri delle campagne e delle città.

Da loro non nascerà quello di cui abbiamo bisogno, quello che vogliamo noi popoli originari del Messico e del mondo.

Non ci aspettiamo niente da loro, ma solo ingiustizie, sfruttamento e tante malvagità contro noi poveri del mondo.

Non ci sarà niente per noi di quello che vogliamo e di cui abbiamo bisogno nei partiti che ci sono ora né nei cosiddetti nuovi che verranno, perché sono gli stessi che saltano da un partito all’altro.

20 anni fa abbiamo visto e riflettuto su molte cose.

Perché le abbiamo già vissute con morti e disperazione per più di 500 anni.

Questo ci dimostra o ci dice che non abbiamo più niente d’aspettarci da questo cattivo sistema ed i suoi cattivi governanti, e ce lo dimostra e ce lo dice la nostra storia attraverso la vita dei nostri nonni, bisnonni e trisnonni.

Per questo 20 anni fa abbiamo detto che dobbiamo costruire la nostra propria strada, il nostro proprio destino, dove ci siano libertà, giustizia e democrazia.

Perché non c’è proprio più da fidarsi di questo sistema capitalista in cui viviamo.

Ci siamo conosciuti nel dialogo, il dialogo che il popolo del Messico ci chiese di aprire col cattivo sistema fatto governo che non rispetta la sua parola.

È il cattivo sistema che ci ha dimostrato di non fidarci della sua parola che, come vediamo, non rispetta da più di 500 anni.

Invece ci è servito il dialogo tra di noi comunità, tribù, nazioni e popoli originari, sì, ci è servito, per questo ora siamo il Congresso Nazionale Indigeno.

Parlare tra noi popoli originari è stato ed è molto necessario, oggi più che mai, perché la distruzione che compiono i capitalisti contro la madre terra è diffusa e questo significa che anche noi verremo distrutti, perché viviamo in essa.

Dialogare tra di noi, ci fa bene, ci aiuta a capire, ci aiuta ad orientarci in molte cose della nostra vita, ma solo lavorando si producono frutti, se non si lavora non ci sono frutti, il lavorare è con i popoli, i frutti sono i popoli che si organizzano, lottano, sforzandosi, sacrificandosi, ogni volta che è necessario.

Se non svolgiamo questo lavoro, chi lo farà?

Nessuno verrà, lo sappiamo bene.

Così abbiamo detto. Molte cose abbiamo conosciuto e detto, per esempio, “combattere tra di noi non ci serve”. E ancora, “Divisi non abbiamo forza”.

Poiché non basta solo sapere e dire, bisogna guardare a quello che succede nella nostra vita reale: ingiustizia, miseria, disuguaglianza.

E questo ci impone di organizzarci per ottenere quello che diciamo, o mettere in pratica i passi per correggere e migliorare dove sbagliamo.

Compagni, compagne del Congresso Nazionale Indigeno, in questi giorni è da 20 anni che alziamo la nostra testa con corpo e anima e diciamo di organizzarci e lavorare per lottare.

Oggi crediamo che siamo qui proprio per questo, per guardarci, ascoltarci, per dirci cosa abbiamo fatto, come l’abbiamo fatto. Che cosa c’è ancora da fare e come farlo.

Dove abbiamo fallito e come rimediare e migliorare.

Oggi più che mai abbiamo bisogno di essere uniti, in campagna ed in città.

La nostra trincea di lotta, lavoro ed organizzazione è dove viviamo noi popoli originari in ogni villaggio e poi in ogni nazione, in ogni tribù, in ogni quartiere.

Compagne, compagni, compañeroas della Sesta Nazionale ed Internazionale, pensiamo che sia la stessa cosa, la nostra trincea di lotta, lavoro ed organizzazione è dove vivete, in ogni quartiere, in ogni scuola, fabbrica, in ogni ospedale e così in ogni città, municipio e stato.

Questo si ottiene solo lavorando ed organizzandosi lì dove nasce il come, il che fare secondo la situazione in cui viviamo

Compagni e compagne del Congresso Nazionale Indigeno, oggi più che mai abbiamo bisogno di continuare a lottare come facevano i nostri antenati, Resistenza e Ribellione, ma ora per un cambiamento reale per i poveri della campagna e della città.

Dobbiamo costruire noi il mondo che vogliamo.

Compagne e compagni della Sexta del Messico e del mondo.

Noi sfruttati e sfruttate dobbiamo stare uniti nelle campagne e nelle città e costruire il mondo che vogliamo.

Pensiamo che a questo dobbiamo dedicare i nostri sforzi, i nostri sacrifici per lavorare ed organizzarsi, per sapere che cosa fare nel momento opportuno.

OGGI NON CI RESTA ALTRO che organizzarci da noi stessi, i popoli originari delle campagne e delle città.

In particolare noi comunità, tribù, nazioni e popoli originari, non abbiamo più dove rifugiarci. Siamo attaccati nelle campagne e nelle città, nessuno avrà dove rifugiarsi.

Oggi dobbiamo alzare i nostri sguardi, tra noi sfruttati ed organizzarci, lavorare e lottare insieme per essere organizzati in città e campagne.

Perché in verità noi popoli originari delle campagne e delle città, siamo testimoni che nel sistema capitalista non c’è niente di buono, assolutamente niente per una vita migliore per i popoli originari e per quelli di città.

Oggi ci vogliono distruggere rendendoci schiavi del capitalismo e contemporaneamente, finire di distruggere la nostra madre terra e la natura.

Oggi dobbiamo studiare ascoltando, guardando, imparando condividendo e praticando, dove e come è male e dove e come è bene, questo deve nascere in noi.

Come uscire dal male e come fare il bene.

Studiare le nostre storie passate per non ripetere il male, ma per correggere e migliorare.

Per quanto potenti siano gli sfruttatori, nessuno potrà sconfiggere un popolo organizzato.

Dunque, compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno, compagni, compagne e compañeroas della Sexta del Messico e del mondo, fratelli e sorelle del Messico e del mondo in basso e a sinistra, organizziamoci e lottiamo affinché ci sia un mondo migliore, continuiamo a lavorare e costruire con intelligenza e saggezza.

Popoli originari del mondo, scienziati del mondo ed artisti del mondo, se ci organizziamo possiamo salvare il mondo e costruire un altro mondo migliore, per questo dobbiamo essere combattenti migliori.

Mentre ci cerchiamo e parliamo, compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno, dobbiamo essere d’esempio alle nostre famiglie del Messico e del mondo, perché nessuno lotterà per liberarci se non noi stessi. Ci tocca mostrare la strada.

-*-

Compagne, compagni, compañeroas, fratelli, sorelle:

Che ascolti chi vuole ascoltare.

Che capisca chi vuole capire.

Perché è l’ora che questi suoli tornino ad essere seminati con il passo dei popoli originari.

È ora che questi cieli tornino a meravigliare con tutti i colori che siamo del colore della terra.

È ora che il cuore collettivo che siamo, si faccia ancora più grande. Che sia casa, consolazione e incoraggiamento alla lotta per chi si crede solo e senza via d’uscita.

E l’ora dei nostri popoli, delle nostre nazioni, delle nostre tribù, delle nostre comunità.

Ora è il momento di ricordare al Prepotente, ai suoi capoccia e capetti, chi ha partorito questa Nazione, chi fa funzionare le macchine, chi crea il cibo dalla terra, chi costruisce gli edifici, chi fa le strade, chi rivendica le scienze e le arti, chi immagina e lotta per un mondo così grande dove ci sia sempre un posto dove trovare cibo, rifugio e speranza.

Ascoltate bene, intendetelo:

Adesso è l’ora del Congresso Nazionale Indigeno.

Che al suo passaggio la terra tremi.

Che nel suo sogno il cinismo e l’apatia siano sconfitti.

Che nella sua parola si levi quella di chi non ha voce.

Che nel suo sguardo si illumini l’oscurità.

Che nel suo ascolto trovi casa il dolore di chi si crede solo.

Che nel suo cuore trovi consolazione e rassicurazione la disperazione.

Che con la sua sfida stupisca di nuovo il mondo.

-*-

Grazie Congresso Nazionale Indigeno.

Grazie per il suo esempio.

Grazie per non vendersi.

Grazie per non arrendersi.

Grazie per non tentennare.

Grazie per il suo passo fraterno, per il suo attento ascolto, per la sua generosa parola.

E diciamo forte che la nostra lotta è per la vita.

Per questo viviamo, per questo moriamo, e per questo diciamo:

CHE SEMPRE VIVANO LE COMUNITÀ, TRIBÙ, NAZIONI E POPOLI ORIGINARI DEL MESSICO E DEL MONDO!

CHE SI ACCENDA DI NUOVO IL COLORE CHE SIAMO DELLA TERRA!

CHE UNA VOLTA ANCORA SI LEVI LO SGUARDO ED IL PASSO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E DI TUTTI NOI CHE SIAMO CON LUI!

Grazie per il vostro ascolto, parola e cuore.

Dal CIDECI-UNITIERRA, Chiapas, Messico.
A nome degli anziani, bambini, donne e uomini dell’esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés
il giorno 11 ottobre dell’anno 2016

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Il Pensiero Critico Vol. II e III

Dopo la pubblicazione del volume dedicato agli interventi dell’Ezln al Seminario “Il pensiero critico di fronte all’idra capitalista” è ora possibile avere anche in Italia il secondo e terzo volume in spagnolo.

Nei due volumi sono raccolti le decine di interventi realizzati da attivisti, analisti ed intellettuali durante il Seminario che si è svolto presso la sede del Cideci – Uniterra a San Cristobal in Chiapas nel maggio 2015.

E’ possibile prenotarli e riceverli a domicilio.

COSTO DEI VOLUMI 30,00


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Invia una mail con i recapiti per la spedizione a padova@yabasta.it
Il costo comprende i costi di spedizione ed è pagabile presso:

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- tramite il nostro conto Paypal

 

Le prenotazioni possono essere effettuate anche presso:
* Bergamo – Comitato Chiapas “Maribel” – mail: maribel_1994@yahoo.it – tel. 035881746
* Bologna – Associazione Ya Basta! – mail: yabasta.bologna@gmail.com – tel. 051 6493234
* Empoli – Coordinamento toscano di sostegno alla lotta zapatista – mail: coordinamento-toscano-zapatista@inventati.org– tel. 0571931021
* Milano – Associazione Ya Basta! – mail: yabastaonlus@gmail.com – tel. 3202160435
* Napoli – Cooperazione Rebelde Napoli – mail: cooperazionerebeldenapoli@gmail.com – tel. 335 78 88 115
* Padova – Associazione Ya Basta – Caminantes – mail: padova@yabasta.it – tel. 049 8751003
* Roma – Associazione Ya Basta! Moltitudia – mail: moltitudia_yabasta@yahoo.it tel. 3394784890

http://www.yabasta.it/spip.php?article2235

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Bollettino di guerra e resistenza #44.

messico-04-cmykBollettino di guerra e di resistenza #44

Ai popoli del mondo.

Ai mezzi di comunicazione alternativi, liberi, autonomi o come si chiamino.

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Bollettino di guerra e di resistenza #44

E gli altri 43? E i successivi?

Succede che questo paese non è più lo stesso da quando, due anni fa, il malgoverno commise uno dei suoi peggiori crimini facendo scomparire 43 giovani indigeni studenti della scuola normale rurale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa, Guerrero. Questo accadimento ci fece rendere conto della profonda oscurità nella quale ci troviamo, e agitò il cuore e lo spirito incarnati ora dai familiari e compagni dei 43, e che brilla nel volto di milioni di persone in tutte le geografie del Messico e del mondo di sotto, e della società civile internazionale solidale e cosciente.

Come quartieri, tribù, nazioni e popoli originari, guardiamo e rendiamo parola il nostro sguardo, ora come allora, dal cuore collettivo che siamo.

Dalle geografie e calendari di sotto, dove si disegnano gli specchi di noi che siamo il Congresso Nazionale Indigeno nelle nostre resistenze, ribellioni e autonomie; dai confini e direzioni in cui siamo e comprendiamo il mondo noi popoli originari, ovvero le geografie antiche da dove non cessiamo di vedere, comprendere e resistere a quella stessa violenta guerra che i potenti implementano contro tutte e tutti, noi che soffriamo e resistiamo a partire da quel che siamo con un volto individuale o collettivo, guardiamo e rendiamo nostra parola il volto dei 43 assenti percorrendo ogni angolo di questo paese in cerca di verità e di giustizia, il volto che si disegna con altri milioni di volti e che ci mostra in mezzo alla notte le direzioni sacre, perché sacri sono il dolore e la speranza. Questo volto collettivo che si moltiplica e guarda le geografie di resistenza e ribellione.

Dalle geografie di sotto

La scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa continua a essere impunita, e cercare la verità in mezzo alla putrefazione del potere è frugare nel peggio di questo paese, nel cinismo e nella perversione della classe politica, che non solo continua a simulare di cercare i compagni scomparsi, ma dinanzi alle crescenti evidenze che dimostrano la colpevolezza del narco-stato terrorista, premia chi è responsabile di mentire e di tentare di deformare ancora di più la verità -come il passaggio di posto di Tomás Zerón, responsabile di aver disseminato presunte prove della sua menzogna storica nella discarica di Cocula, alla Segreteria Tecnica del Consiglio Nazionale di Sicurezza- dando dimostrazione una volta di più della natura criminale del malgoverno.

Alla menzogna, la simulazione e l’impunità, il malgoverno somma gli investimenti in auto e le ingiustizie contro chi ha solidarizzato e manifestato in appoggio alla lotta dei familiari e compagni dei 43, come il giovane Luis Fernando Sotelo Zambrano, sempre solidale con le lotte dei popoli originari -come quelle di Cherán, della tribù Yaqui, degli indigeni incarcerati, delle comunità zapatiste-, che un giudice ha condannato a 33 anni e 5 mesi per sestuplo diritto di essere giovane, essere studente, essere povero, essere solidale, essere ribelle ed essere coerente.

Questo vediamo quando guardiamo verso chi sopra è Potere: per chi ammazza, copre e mente, premi e protezione; per chi s’indigna e protesta contro l’ingiustizia, botte e carcere.

-*-

E quando ci guardiamo:

Nel sud, la lotta dei popoli in difesa dei loro territori contro i cacicchi e le imprese, si dissolve nella lotta per la sicurezza e la giustizia contro le bande della delinquenza organizzata, la cui intima relazione con tutta la classe politica è l’unica certezza che, come popolo, abbiamo rispetto a qualsiasi organo dello stato.

La formazione di gruppi di scontro che agiscono contro le mobilitazioni permea i villaggi e il governo gioca a generare conflitti che incendino i tessuti interni. Vale a dire, cerca di creare rispecchiamenti della sua guerra seminando discordia nelle comunità e puntando sulla distruzione delle fibre più sensibili. Niente di più esplosivo e pericoloso per questa nazione.

Nell’occidente, le lotte per la terra, la sicurezza e la giustizia avvengono in mezzo all’amministrazione dei cartelli della droga, che lo stato camuffa da lotta alla delinquenza o da politiche di sviluppo. In cambio, i villaggi che hanno resistito e perfino abbattuto la delinquenza attraverso l’organizzazione dal basso, devono lottare contro i tentativi permanenti fatti dai malgoverni per ottenere che il crimine organizzato, e i partiti politici di sua preferenza, si impadroniscano nuovamente dei territori attraverso forme diverse.

L’organizzazione autonoma delle comunità, le loro lotte irrinunciabili per i luoghi sacri e le terre ancestrali non cessano. La difesa di nostra madre non si negozia. Siamo attenti alla lotta della comunità Wixárika de Wauta- San Sebastián Teponahuaxtlán per il recupero di circa diecimila ettari limitrofi all’abitato di Huajimic, Nayarit, dove, nonostante aver dimostrato il loro diritto nei tribunali agrari, le autorità giudiziarie sono state negligenti; e i malgoverni usano le false geografie officiali che dividono gli stati come pretesto per incentivare la spoliazione dei popoli originari. Al popolo Wixárika, nella sua ribellione e autonomia diciamo: siamo con voi.

Nel nord, dove persistono lotte per il riconoscimento dei territori, le minacce minerarie, le spoliazioni agrarie, il furto di risorse naturali e la sottomissione delle resistenze da parte di narco paramilitari, i popoli originari continuano a costruire giorno per giorno.

I popoli originari delle tribù del nord, dove la nazione Sioux tesse le sue proprie geografie che vanno oltre le false geografie officiali che li situano in un altro paese -ma per noi siamo tutti figli della stessa madre-, stanno resistendo all’invasione delle loro terre sacre, cimiteri e centri di preghiera per la costruzione di oleodotti da parte dell’impresa Energy Transfer Partners, che pretende di trasportare attraverso i loro territori il petrolio ottenuto mediante il fracking della regione Bakken, nel Nord Dakota, cosa che ha motivato la solidarietà e l’unione dei popoli originari del nord. A essi diciamo che la loro rabbia è la nostra e come Congresso Nazionale Indigeno alziamo e alzeremo la voce insieme a voi. La vostra degna lotta è anche nostra.

Nella penisola, i popoli maya resistono alla scomparsa per decreto, difendendo le loro terre dall’attacco di imprenditori turistici e immobiliari, dove la proliferazione di guardie bianche opera nell’impunità per depredare i villaggi, l’invasione dell’agroindustria transgenica minaccia l’esistenza dei popoli maya e l’immondizia dei magnati che si impadroniscono dei territori agrari, delle vestigia culturali, archeologiche e perfino dell’identità indigena, pretende di convertire un popolo tanto vivo quanto l’estensione della sua lingua, in feticci commerciali. I villaggi che lottano contro le alte tariffe della luce sono perseguitati e criminalizzati.

Nel centro, i progetti di infrastrutture, autostrade, gasdotti, acquedotti, lottizzazioni immobiliarie, si stanno imponendo in forma violenta e i diritti umani si notano di volta in volta sempre più soffusi e lontani nelle leggi imposte. La criminalizzazione, cooptazione e divisione disegna la strategia dei gruppi potenti, tutti vicini in maniera corrotta e oscena al criminale che crede di governare questo paese, Enrique Peña Nieto.

Nell’oriente del paese, la violenza, il fracking, le miniere, il traffico di migranti, la corruzione e la demenza governativa sono la corrente contro la lotta dei popoli, in mezzo a regioni intere prese da violenti gruppi delinquenziali orchestrati dagli alti livelli di governo.

Dal dialogo al tradimento

Come hanno fatto gli insegnanti in lotta, come popoli originari abbiamo cercato di dialogare con il malgoverno nelle nostre richieste urgenti di rispetto dei territori, di presentazione degli scomparsi, di liberazione dei prigionieri, di giustizia per gli assassinii, del fatto che la polizia o i militari escano dalle nostre terre o delle nostre esigenze di sicurezza e giustizia, ma il governo si sottrae sempre, fino a che arrestano i nostri portavoce in tutto il paese, l’esercito spara contro i bambini a Ostula, le macchine distruggono le case di chi resiste a Xochicuautla, i federali sparano contro il popolo degno che accompagna i maestri a Nochixtlán. I malgoverni fanno finta di dialogare e dissimulano nel corso di anni accordi con il popolo Wixárika per ottenere la restituzione pacifica del suo territorio, mentre configurano un riordino violento della regione.

E il governo chiacchiera come se non fosse accaduto nulla e offre la volontà di cedere, sempre che ambo le parti siano d’accordo. Il governo cede una parte di ciò che ha appena distrutto, libera un prigioniero, indennizza la famiglia dell’ucciso, finge di stare cercando gli scomparsi. E in cambio chiede ai popoli di cedere il loro patrimonio collettivo, che è la loro dignità, la loro organizzazione autonoma e il loro territorio.

In varie geografie del nostro paese stiamo ricorrendo alle consultazioni quando diciamo che non vogliamo le loro miniere, i loro campi eolici, i loro transgenici, le loro dighe, ed esigiamo che si chieda ai popoli, ma il malgoverno risponde sempre fingendo che “consulta come consultare se consulta o no la forma della consultazione” (o qualcosa del genere), cose piene di simulazione, soppiantamento della nostra parola, manipolazione e cooptazione della nostra gente, minacce e repressione. E così via fino a dire che ormai è fatta e ormai abbiamo detto di sì ai suoi progetti di morte, oppure che siamo divisi e deve accontentare tutte le posizioni.

E mentre pretendono di tenerci quieti nella loro agenda piena di menzogne e le ONG “esperte” in “consultazioni” ingrossano le loro tasche, procedono più in fretta per concretizzare -ancor prima di iniziare la presunta consultazione- il furto dell’acqua del fiume yaqui, che le miniere e le loro devastazioni distruggano Wirikuta, che i campi eolici invadano tutto l’Istmo e che i transgenici si impongano nella Riviera Maya.

Le direzioni del mondo sono le nostre geografie e in esse ci incontriamo e riconosciamo, perché sappiamo che la lotta non è di oggi né per l’oggi, non lottiamo per il potere né per il folklore che offrono campagne menzognere, ma per tessere e ritessere ciò che siamo, fummo e saremo come popoli originari.

I volti dei 43 assenti e la tenacia dei loro familiari e compagni, sono gli altri 43 bollettini di guerra e resistenza. A esse e a essi si uniscono i dolori, le rabbie, le resistenze dei popoli originari e le ribellioni di milioni in tutto il Messico e il mondo.

E continuano i bollettini di guerra e resistenza dell’altro perseguitato e stigmatizzato, delle donne violentate, fatte scomparire o assassinate, dell’infanzia convertita in merce, della gioventù criminalizzata, del lavoro sfruttato, della ribellione perseguita, della natura imbrattata, dell’umanità addolorata.

Con tutta questa umanità, con questa terra che siamo, oggi reiteriamo che la verità e la giustizia sono una richiesta irrinunciabile e che il castigo per i colpevoli, per tutti i colpevoli, nascerà dalla lotta dal basso, dove, ora più che mai e come popoli originari del Congresso Nazionale Indigeno, sappiamo che non ci si può arrendere, né vendersi, né zoppicare.

Verità e giustizia per Ayotzinapa!

Libertà per Luis Fernando Sotelo Zambrano!

Libertà per tutte e tutti i prigionieri politici!

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

 

Congresso Nazionale Indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Messico, Settembre 2016

 

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano – Testo originale

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EZLN: Una casa, altri mondi.

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Una casa, altri mondi.

Invito aCompArte y ConCiencias por la Humanidad”

Luglio-agosto-settembre 2016

A chi di dovere:

Oggetto: Invito a “CompArte y ConCiencias por la Humanidad”.

Sì, lo sappiamo. Giorni e notti in cui l’amarezza sembra essere l’unico orizzonte. Passi trascinati per il dolore, la rabbia, l’indignazione; inciampando ogni tanto negli impertinenti sguardi del cinismo e della delusione; la stupidità intronizzata in ruoli di governo e sondaggi; la simulazione come forma di vita; la mitomania come tattica e strategia; la frivolezza come cultura, arte, scienza; il dosato disprezzo verso il diverso (“il male non è che esista l’altro, ma che si mostri”); la rassegnazione a prezzo di saldo nel mercato politico (“è così, resta solo da scegliere non più per il meno peggio, ma per il meno scandaloso”). Sì, difficile, sempre più difficile. Come se la notte si protraesse. Come se il giorno posticipasse il suo passo fino a che no, nessuno, niente, vuoto il cammino. Come se non ci fosse respiro. Il mostro che spia da ogni angolo, campi e strade.

E nonostante tutto questo, o esattamente per tutto questo, vi mandiamo questo invito.

Sì, sembra che non capiti a caso o cosa, ma noi, zapatiste, zapatisti, vi invitiamo a partecipare al festival CompArte y ConCiencias por la Humanidad”. Quindi, a rispetto delle formalità, dobbiamo inviarvi un invito. Qualcosa che indichi un calendario ed una geografia, perché voi avete una vostra propria strada, un vostro passo, una vostra compagnia, un vostro destino. E non è neppure il caso di aggiungere difficoltà a quelle che già dovete affrontare. Dunque, in un invito si dovrebbero indicare il dove e il quando.

Ma voi sapete bene come siamo. Quale è il nostro modo. Quindi, la domanda che, pensiamo, deve rispondere ad un invito, non è tanto il luogo e la data. Bensì il perché. Forse è per questo che questo invito non rispetta le formalità del caso e vi giunge in un momento inopportuno, o dopo o prima. Ma non importa, deciderete voi.

Per questo, questo invito è molto altro, e come parte essenziale contiene questa piccola storia:

UNA CASA, ALTRI MONDI.

Più che una storia, potrebbe essere una leggenda. Cioè, non c’è modo di confermare la veridicità di quanto qui narrato. In parte perché non si specificano né calendari né geografie, ovvero, sarebbe potuto essere in qualunque luogo ed in una volta indefiniti; ed anche perché il presunto non-protagonista di questa narrazione è morto, defunto, sepolto, andato. Se fosse vivo, basterebbe chiedergli se effettivamente disse quello che qui si dice avesse detto. Certo, è molto probabile che, esperto nel divagare, si sarebbe dilungato nella descrizione di quel calendario impreciso.

Dunque, non abbiamo la data precisa, ma per dovere di calendario vi diremo solo che saranno ormai all’incirca più di due decenni fa. La geografia? Le montagne del sudest messicano.

Ce lo raccontò il Comandante Tacho quell’alba che, dentro una baracca, si descriveva la casa del sistema, la casa del capitale, la tormenta, l’arca. La baracca dove nacque quello che poi sarebbe diventato il semenzaio. Pensiamo che ci fosse stata una pausa caffè…. o che si fosse sospesa la riunione per continuarla il giorno dopo… A dire il vero, non ricordiamo bene. Il fatto è che restammo a parlare con Tacho e lui ci raccontò quello che ora qui vi narriamo. Vero, c’è qualche ritocco perché abbiamo aggiunto e sistemato le parole originali di Tacho. Non per cattiveria, disprezzo o per voler rattoppare i ricordi rotti, ma perché entrambi, noi che ora vi scriviamo, conoscevamo meglio il defunto e possiamo così ricostruire le sue parole e sentimenti. Avanti, dunque:

Parla il comandante Tacho:

“Non ricordo esattamente quando, ma fu quando il defunto Sup non era ancora defunto. Il Sup come sempre, non dormiva e fumava la sua pipa. Sì, mordicchiava la pipa, come faceva sempre. Eravamo nella baracca dell’allora comandancia, anche se non era ancora una baracca. Cioè, ancora non era montata del tutto. Cioè, non era ancora comandancia. Forse lo sarebbe stata, ma non lo era ancora. Ci raccontavamo storielle. Sì, succede nei villaggi, durante le riunioni, i lavori della lotta. Il Sup ascoltava soltanto, a volte rideva, a volte domandava per saperne di più. Prima di conoscerlo io non capivo. Più tardi compresi che quelle storie poi apparivano nei comunicati come racconti. “Poscritti”, li chiamava, credo. Io una volta gli chiesi perché inseriva come racconti quello che ci succedeva. E lui mi disse “il fatto è che non ci credono, pensano che io invento o immagino, allora lo metto come racconto perché non sono preparati a conoscere la realtà”.

Bene, dunque eravamo lì. Allora lui domandò al Sup …

Sí, Tacho usò il pronome della terza persona singolare: “lui”. Per capire gli chiedemmo se con “lui” si riferisse al Sup. Ci rispose infastidito: “no, lui lo chiese al Sup”. Non insistemmo perché supponemmo, forse erroneamente, che questo non fosse il nocciolo importante della storia, o che fosse solo il pezzo di un puzzle ancora da completare. Quindi il Comandante Tacho usò la parola “lui”. Non “lei”, né “io”, né “noi”. “lui” disse riferendosi a chi interrogava il Sup.

“Senti Sup, perché ogni volta che si fa una casa, chiedi se si fa secondo gli usi e costumi o secondo il metodo scientifico?”.

Qui Tacho si sentì in dovere di spiegare:

Ogni volta che montavamo una baracca, il defunto SupMarcos arrivava e guardava le travi. E chiedeva sempre: “Quella traversa che stai mettendo lì, la metti perché la casa ne ha bisogno?” Allora io gli rispondevo: “Sì, perché se non si mette qui, il tetto cadrà”. “Ah bene”, diceva il Sup, “ma come sai che se non la metti lì, il tetto cade?”. Io restavo a guardarlo perché sapevo che il punto non era quello. Non era la prima volta che faceva domande. Allora lui proseguiva “Sì, la metti lì perché sai scientificamente che se non lo fai tutto cade, o la metti secondo gli usi e costumi?”. Io gli dicevo: “secondo gli usi e costumi, perché così mi hanno insegnato. Così faceva le case mio papà e lui ha imparato da mio nonno e così fino a molto lontano”. Il Sup non era soddisfatto e finiva sempre per salire sulla trave centrale quando ancora non erano stati inseriti i rinforzi e, dondolandosi come se fosse a cavallo, chiedeva “allora se io salgo qui, la trave cade?” E zac! Cadeva giù. E diceva soltanto “Ahia!” e steso a terra prendeva la sua pipa, l’accendeva e dal suolo guardava il tetto, con la testa appoggiata alla trave rotta a terra. Sì, certo che ridevamo tutti.

Allora è per questo che lui chiese al Sup del perché domandava sempre se per usi e costumi o per metodo scientifico. Perché non è successo sola una volta. Ogni volta che si cambiava il comando e mi toccava dirigere la costruzione della nuova baracca, succedeva così. Arrivava il Sup, domandava, gli rispondevo, non era soddisfatto, saliva sulla trave, si rompeva, e giù a terra.

(nota: parlandone tra noi, abbiamo concluso che il calendario approssimativo di quello che racconta Tacho è nei primi mesi del 1995 durante la persecuzione del governo contro di noi, quando il comando cambiava continuamente per accompagnare la comunità di Guadalupe Tepeyac nell’esilio. Fine della nota e continua a parlare Tacho):

Quindi è per farvi comprendere perché lui chiese questo al Sup. Altre volte l’avevo chiesto io, ma non rispondeva affatto. Non perché non volesse, ma perché in quel momento lo chiamavano sempre per radio o arrivava qualcuno. Anche io volevo sapere la risposta.

Il Sup si tolse la pipa di bocca e la mise da parte. Eravamo seduti a terra. Faceva molto caldo, come accade quando sta per arrivare la pioggia forte. Io capii che ritardava la risposta. Perché quando rispondeva subito, il Sup non si toglieva neppure la pipa di bocca. Cioè parlava come se mordesse le parole che uscivano masticate e bagnate.

Allora il Sup disse… o meglio, mi chiese:

“Senti Tacho, quanto misura questa baracca?”

3 per 4”, risposi subito perché non era la prima volta che lo facevo.

“E se fosse 6 per 8, ci vorrebbero più traverse di rinforzo?”, mi chiese.

Certamente”, gli risposi.

“E se fosse 12 per 16?”.

Non risposi subito, cosicché il Sup proseguì:

“E se fosse 24 per 32? E 48 per 64? E 96 per 128?”

Vi dico la verità, scoppiai a ridere.

Questa casa è molto grande, non so”, gli dissi.

“Esatto”, disse, “si fanno le case secondo l’esperienza propria o ereditata. Usi e costumi, dunque. Quando si deve fare una casa più grande, si chiede o si prova”.

Ma, diciamo che non si è mai fatta una casa di 192 per 256…

Risi giusto prima che il Sup finisse la frase:

“… kilometri”.

E chi mai vuole una casa così grande?”, gli dissi tra le risate.

Lui accese la pipa e disse: “Bene, più facile, e se la casa fosse delle dimensioni del mondo?”.

No, è impossibile. Credo che non si possa nemmeno immaginare una casa così grande, e neppure il suo scopo”, gli dissi più serio.

Si può. Le arti possono immaginare questa casa, e metterla in parole, in suoni, in immagini, in figure. Le arti immaginano quello che sembra impossibile e, immaginandolo, seminano il dubbio, la curiosità, la sorpresa, l’ammirazione, cioè, lo rendono possibile.

Ah, bene”, dissi, “ma una cosa è immaginare ed un’altra fare. Credo non si possa fare una casa così grande”.

“Si può”, disse lui e mise da parte la pipa rotta.

Perché le scienze sanno come fare. Benché non si sia mai fatta una casa del volume del mondo, le scienze possono dire, con certezza, come sarebbe una tale costruzione. Non so come si chiama, ma credo abbia a che vedere con resistenza dei materiali, geometria, matematica, fisica, geografia, biologia, chimica e non so quanto altro ancora. Ma, sebbene non si abbia un’esperienza precedente, cioè, senza usi e costumi, la scienza è in grado di dire quante travi, rinforzi e traverse sono necessari per fare una casa del volume del mondo. Con la conoscenza scientifica si può dire quanto profonde devono essere le fondamenta, quanto alte e lunghe le pareti, che angolo deve avere il tetto se spiovente o piatto, dove devono stare le finestre a seconda del freddo o del caldo, dove devono essere le porte e quante, di che materiale si deve fare ogni parte e quante travi e rinforzi ci devono essere e dove.

Stava già pensando il defunto alla trasgressione della legge di gravità e di tutte le linee rette ad essa concatenate? Immaginava o già conosceva la sovversione del quinto postulato di Euclide? No, Tacho non glielo chiese. E, a dire il vero, nemmeno noi due glielo avremmo chiesto. Sembra difficile che in quei giorni senza domani, con l’artiglieria aerea che agitava cielo e terra, ci fosse il tempo per pensare all’arte, e tanto meno alla scienza.

Tutti erano rimasti in silenzio, ricorda Tacho. Anche noi. Dopo un attimo di silenzio e tabacco, proseguì:

Il Sup riprese la sua pipa e vide con rammarico che il tabacco era terminato. Cercò nelle tasche. Sorrise tra sé e tirò fuori un sacchetto di plastica con un po’ di fibre nere. Si attardò nell’accendere la pipa, credo a causa del tabacco umido. Poi proseguì:

Ma non mi preoccupa se le arti possono immaginare quella casa, i colori che la rivestirebbero, le sue forme, i suoi rumori, di giorno, la notte, con la pioggia, il vento, la terra.

Nemmeno mi preoccupa se la scienza può riuscire a renderla reale. Ma, può. Ha le conoscenze… o le avrà.

Ciò che mi preoccupa è che quella casa, che è un mondo, non sia come questa. Che la casa sia migliore, ancora più grande. Che sia così grande da contenere non uno, ma molti mondi, tutti quelli che già ci sono e quelli che ancora nasceranno.

Certo, bisognerà incontrarsi con chi pratica arti e scienze. Non sarà facile. In principio non vorranno, non per contrarietà, ma per sfiducia. Perché abbiamo molto contro. Perché siamo quello che siamo.

Gli artisti credono che li obbligheremmo ad un tema, forma e tempo; che nel loro orizzonte artistico dovranno esserci solo maschi e femmine (mai otroas), del potente proletariato che esibisce muscoli e sguardi luminosi in immagini, suoni, danze e figure; che neppure possano insinuare l’esistenza dell’altro; che se aderiscono, ci saranno inni e lodi, ma se non aderiscono, la reclusione fisica o il ripudio. Cioè, che ordineremmo loro di non immaginare.

Gli scienziati credono che chiederemmo loro di progettare armi meccaniche, elettroniche, chimiche, biologiche, interstellari, di distruzione di massa o individuale; che li obbligheremmo a formare scuole per superdotati mentali dove, ovviamente, ci saranno i discendenti dei comandanti con uno stipendio assicurato ancor prima di essere concepiti; che si riconoscerà la filiazione politica e non la capacità scientifica; che se aderiscono, lodi e inni; e se non aderiscono, il ripudio o la reclusione fisica. Cioè, che ordineremmo loro di non fare scienza.

Inoltre, siccome siamo popoli originari, Gli/le un@ e altr@ pensano che quella che fanno loro è arte e cultura, mentre quello che facciamo noi è artigianato e rito, che quella che per loro è analisi e conoscenza, per noi è credenza e superstizione. Ignorano che noi dipingiamo colori che centinaia di anni dopo sfidano ancora i calendari, che quando nella “civilizzazione” ancora credevano che la terra fosse il centro e l’ombelico dell’universo, noi avevamo già scoperto astri e numeri. Credono che amiamo l’ignoranza, che il nostro pensiero è semplice e conformista, che preferiamo credere invece di conoscere. Che noi non vogliamo il progresso, ma l’arretratezza.

Ovvero che, come si dice, né si guardano né ci guardano.

Il problema dunque è convincerli che si guardino come noi li guardiamo. Che si rendano conto che, per noi, sono quello che sono e qualcosa di più: una speranza.

E le speranze, amici e nemici, non si comprano, non si vendono, non si obbligano, non si rinchiudono, non si uccidono.

Rimase in silenzio. Io speravo di vedere se lui domandasse altro al Sup, ma siccome non disse niente, allora io gli chiesi: “Allora, noi che cosa dobbiamo fare?”. Il Sup sospirò e disse:

A noi tocca per prima cosa sapere che questa casa è possibile e necessaria. Poi, viene il facile: ci tocca costruirla. E per fare questo abbiamo bisogno del sapere, del sentire, dell’immaginazione, abbiamo bisogno delle scienze e delle arti. Abbiamo bisogno di altri cuori.

Arriverà già il giorno in cui ci incontreremo con chi fa le arti e le scienze. Quel giorno daremo loro un abbraccio e, come benvenuto, li riceveremo con una sola domanda: “E tu che fai?”.

Allora io feci come chi non si adegua e chiesi al Sup: “e dopo che ci siamo incontrati con questa gente, che cosa facciamo? Il Sup sorrise tra sé e disse:

Eccetera.

-*-

Qui termina la storia o la leggenda che il comandante Tacho ci raccontò in quell’alba.

E tutto questo viene al caso, o cosa, a seconda, perché vogliamo invitarvi a venire o, in qualche modo, ad essere presenti in questa terra che siamo.

E c’è che, come si dice, abbiamo questa curiosità che ci portiamo dietro da molti calendari, e pensiamo che forse accetterete l’invito e ci aiuterete a risolvere un dubbio:

Di cosa c’è bisogno per costruire una casa nuova, così grande che in essa ci stiano non uno ma tanti mondi?

È tutto, oppure no, questo dipende da voi.

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome dei bambini, anziani, donne e uomini zapatisti.

Subcomandante Insurgente Moisés         Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, luglio-agosto-settembre 2016

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/09/12/una-casa-otros-mundos/

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Gli zapatisti, l’etica e la dignità.

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Gli zapatisti, l’etica e la dignità

Un gruppo di militanti del partito verde ecologista del Chiapas ha pensato bene di indossare i passamontagna degli zapatisti per compiere provocazioni armate e sabotare la protesta dei maestr@s   (in Messico i “verdi” sono nella coalizione che ha fatto eleggere il presidente federale Enrique Pena Nieto e hanno ottenuto un governatore molto corrotto, proprio in Chiapas). I provocatori sono stati scoperti e pubblicamente smascherati. La squallida vicenda ha però fornito all’Ezln l’occasione per chiarire la relazione di assoluto rispetto dell’autonomia di una lotta dura e difficile che gli zapatisti sostengono guardandosi bene dalla tentazione di poterla condizionare o “dirigere” indicando, magari, il giusto cammino rivoluzionario. Raúl Zibechi ricorda quanto un comportamento del genere, ispirato da una rigorosa critica dell’avanguardismo e all’affermazione dell’etica e della dignità dei popoli, sia stato raro nella cultura anticapitalista del nostro tempo

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Foto tratta da Desinformemonos

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di Raúl Zibechi

Una delle prime tecniche che abbiamo imparato nella militanza è stata come “dirigere” le assemblee. Come manipolarle, in realtà. In piena adolescenza, noi studenti eravamo già in grado di imporre quello che consideravamo adatto per “la causa” senza che ci importasse troppo se gli altri lo condividevano. Eravamo l’avanguardia, punto.

Una delle principali correnti politiche di quel periodo aveva un modo di agire nelle assemblee che consisteva nel far parlare i propri quadri per ore e ore, fino a quando i presenti si stancavano e iniziavano ad andarsene. Ponevano i propri militanti alle porte delle sale per convincere i loro a non andarsene ancora equando erano sicuri di essere in maggioranza, chiedevano il voto. E vincevano quasi sempre. Quelli che cercavano di tagliare discorsi tanto lunghi, erano accusati di violare la libertà di espressione.

Quando questo non funzionava, facevano ricorso ai gruppi di scontro, cosa che anche il nostro movimento faceva. Quando alcuni giovani militanti ci chiedono se, quasi cinquant’anni fa, gli scontri con la polizia erano molto duri, dobbiamo essere sinceri e riconoscere che dedicavamo una parte sostanziale delle energie allo scontro fisico e dialettico con i giovani dei partiti di sinistra. E viceversa. Li accusavamo di essere stalinisti ma, da una strategia “rivoluzionaria”, cadevamo nello stesso atteggiamento.

Per questa lunga e penosa esperienza, il comunicato dell’Ezln del 21 luglio, “Lettera aperta sull’aggressione al movimento popolare a San Cristóbal de las Casas, Chiapas”, è un esempio di etica e dignità nel rapporto degli zapatisti con i movimenti popolari, i sindacati, i partiti e qualsiasi organizzazione sociale.

Dopo una prima parte, dove fissano la loro posizione sull’attacco all’accampamento di resistenza popolare da parte di gruppi armati (1) e avvertono di “non giocare con il fuoco a San Juan Chamula”, un lucido presagio di quello che sarebbe avvenuto,dedicano la parte finale al tema dei rapporti con quelli che lottano, con il sottotitolo “A chi di dovere”.

Anzitutto [il comunicato] sottolinea che “si devono rispettare le decisioni, strategiche e tattiche, del movimento” e aggiunge: “Non è legittimo voler cavalcare un movimento per cercare di portarlo da una parte, al di fuori della sua logica interna. Né per frenarlo, né per farlo accelerare.”

Su questo punto prendono le distanze da quelli che propongono strategie elettorali ma anche da quelli che difendono posizioni rivoluzionarie e chiariscono che qualsiasi azione che compiranno riguardo all’attuale movimento, lo faranno sapere pubblicamente e in anticipo mettendolo a grandi lettere, maiuscole, affinché nessuno si possa dire ingannato.

Poiché sono convinto, per esperienza, che questa è una posizione molto rara tra i movimenti che lottano contro il capitalismo, mi sembra necessario evidenziarla, apprezzarla e difenderla perché ci insegna un altro modo di fare, rigorosamente unito all’etica e alla dignità, che sono indivisibili. Chi difende la propria dignità, valorizza quella degli altri, e pertanto li rispetta, anche se, come dice il comunicato, non è d’accordo sui loro tempi e modi.

A partire dal comunicato, possiamo aprire un dibattito con una domanda: come influire, allora, sul corso delle lotte se non cavalchiamo i movimenti? Che è quasi lo stesso che interrogarsi sul rapporto che vogliamo avere con le popolazioni, i quartieri, i sindacati, eccetera.

Credo che lo zapatismo stesso, nel corso della sua storia, ci dia alcuni indizi. Il primo, e fondamentale, è qualcosa come dare l’esempio. Organizzarci e fare. Che gli altri vedano, quindi, che sì, si può; che se gli zapatisti possono, anche gli altri possono. Diciamo che questo effetto dimostrativo è fondamentale perché punta sul mettere in gioco l’autostima delle comunità.

In questa forma del fare politica, una nuova cultura politica, la chiamano, c’è una rinuncia a giocare il ruolo di avanguardia, a essere un gruppo che va avanti e si porta dietro le popolazioni; a proclamarsi le guide che indicano la strada alle maggioranze che non la conoscono. Sono altrove. Non sono avanguardia; forse sono una specie di organizzatori di popolazioni. In questa logica, non c’è né direzione né base, che è quanto i movimenti anticapitalisti stanno invece praticando da oltre un secolo. Con questo modo di fare non c’è modo di manipolare, perché non si tratta di vincere assemblee né di tirare le “masse” per i capelli, o da qualsiasi altra parte vogliamo trascinarle. È mandar obedeciendo(comandare ubbidendo).

Il comunicato è una doppia lezione. Di etica, perché i popoli e le persone non devono essere manipolati, manovrati, le loro azioni non vanno deviate per fini che non sono stati definiti da loro stessi, nemmeno per buone ragioni rivoluzionarie.

Di dignità, perché l’Ezln crede nell’autonomia dei popoli e degli esseri umani e rifiuta il concetto implicito in certe correnti politiche che agiscono come se alcuni (l’avanguardia) fossero i tesorieri della dignità e dell’autonomia, mentre ai popoli e alle persone non resta altro che seguire i loro consigli.

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Articolo pubblicato su Desinformemonos  con il titolo “Ética y dignidad zapatistas”.
Traduzione per Comune: Daniela Cavallo

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L’arte che non si vede e non si sente.

EZ-22aniversario-1-copiaL’ARTE CHE NON SI VEDE E NON SI SENTE

(Nota: i seguenti sono gli appunti del Subcomandante Insurgente Moisés per le parole di chiusura della partecipazione zapatista nel CompArte, nel caracol di Oventik, il passato 29 luglio 2016. Il rischio di pioggia e la premura del tempo non hanno permesso che il compagno sviluppasse di più alcuni punti e ha fatto sì che ne lasciasse in sospeso altri. Qui sotto si presenta la versione che originariamente sarebbe stata, per sua voce, la nostra parola zapatista).

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

29 luglio 2016

 

Artisti del Messico e del mondo:

Compagni della Sexta Nazionale e Internazionale:

Sorelle, fratelli e sorelli:

Per noi zapatiste e zapatisti l’arte si studia creando molte immaginazioni, leggendo nello sguardo, studiando nell’ascolto, praticando.

Mettendo in pratica, cioè facendolo, si arriverà a vedere il risultato della scienza e l’arte dell’immaginazione, della creatività.

Ci sono una scienza e un’arte che sono necessarie nell’immediato, di come immaginare per farlo.

Ci sono una scienza e un’arte che possono essere di medio periodo.

E ci sono una scienza e un’arte di lungo periodo che si miglioreranno man mano nell’arco del tempo.

Per esempio: cosa fare su come dovrà essere un mondo nuovo. Questo richiede entrare in profondità nella scienza e nell’arte dell’immaginazione, dello sguardo, dell’ascolto e della creatività; con pazienza, attenzione su come costruire via via, e tante altre cose che si prenderanno in considerazione.

Perché quello che vogliamo, o che pensiamo, è un mondo nuovo, o un sistema nuovo. Non una copia di quello che c’è, o un’aggiunta a esso.

Questo è il problema di cui parliamo, perché non esiste un libro o un manuale che ci dica il da farsi. Tale libro o manuale non è ancora scritto, è ancora nei cervelli dotati d’immaginazione, negli occhi svegli che hanno lo sguardo di qualcosa di nuovo che si vuole vedere, negli uditi molto attenti a captare il nuovo che si vuole.

E’ necessaria molta saggezza e intelligenza, una buona interpretazione di molte parole e pensieri.

Diciamo così, perché così è stato e così continuerà il miglioramento della nostra autonomia.

E’ stato costruito da migliaia di donne e uomini zapatisti, con scienza e arte, ciò che già si può vedere nelle 5 zone dei caracoles.

L’arte che stiamo mostrando, quella delle nostre compagne e compagni, è nata in maniera cruda ed è uscita dalle loro menti; essi hanno deciso come presentarla, su come hanno lavorato come zapatisti e autonomi, con la loro resistenza e il loro essere ribelli.

E’ stata tutta una catena di arte, il pensare cosa avrebbero presentato, se un ballo, una canzone, una poesia, una scultura, un’opera teatrale, una ceramica. Poi le parole, le idee su come si faranno i movimenti, poi la ricerca dei fondi per le loro prove, i loro saggi, perché sono collettivi di villaggio, regione, municipio e zona.

Ci sono state 3 selezioni: i villaggi si riuniscono nelle regioni e lì c’è la prima selezione: poi le regioni si riuniscono come municipio autonomo per la seconda selezione; e i municipi si riuniscono nella zona e lì c’è l’ultima selezione.

Ci sono voluti mesi di preparazione.

Per i villaggi di migliaia di donne e uomini zapatisti, è stato come ripassare ciò che siamo, solo che stavolta in un altro modo, non già di chiacchiera o bla bla bla, bensì con le tecniche dell’Arte, in base a cui si sono mossi bambini e bambine, giovani, padri e madri, nonne e nonni.

Ciò che hanno ripassato in forma artistica le compagne e i compagni zapatisti, è la loro resistenza e ribellione, il loro governo autonomo della Giunta di Buon Governo, i loro MAREZ (Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti), le loro autorità locali (commissarie e commissari, agenti), il loro sistema di salute autonoma, il loro sistema di educazione autonoma, le loro emittenti radio autonome, i loro 7 principi del comandare obbedendo nel loro nuovo sistema autonomo di governo, la loro democrazia come popoli, la loro giustizia, la loro libertà.

La loro difesa della madre terra e il loro lavoro collettivo nella madre terra. Con tutto ciò staranno nascendo nuove generazioni di giovani per il futuro zapatista.

Questo che presentiamo, compagne e compagni della sexta nazionale e internazionale, sorelle e fratelli del Messico e del mondo, è una piccola parte delle compagne e dei compagni che avrebbero partecipato. Un giorno ci presenteremo a voi, ma stavolta non ci sarebbe stato il tempo, perché se ce ne venivamo con tutte e tutti ci sarebbe voluto più di un mese di presentazione, perciò ci sarà arte e scienza di come faremo la presentazione un giorno. Perché la più meravigliosa delle arti è il sostegno collettivo.

-*-

Compagne e compagni della sexta nazionale e internazionale.

Sorelle e fratelli del Messico e del mondo.

La tormenta e l’idra del mostro capitalista ci vogliono impedire di vederci, ma abbiamo fatto un grosso sforzo e qui ora ci stiamo vedendo.

Le compagne e i compagni delle migliaia di basi d’appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale vi vogliono mostrare moltissime arti.

Per adesso ne avete viste una parte e negli altri caracoles ne vedrete altre. Perché erano stati selezionati più di duemila artisti, i selezionati e in più quelli che non erano passati, ma non è che non fossero passati, è che non c’erano i soldi per trasportare migliaia di compagne e compagni artisti.

I nostri compagni e compagne artisti non lo sono di professione, la loro professione piuttosto si chiama “Tuttologo” perché sono carpentieri, muratori, commessi, lavorano la terra, sono locutori, miliziane e miliziani, insorti, autorità autonome, maestre e maestri dell’escuelita, promotori di salute o di educazione, e hanno pure il tempo di essere artisti.

Artisti veramente, nell’arte della costruzione di un nuovo sistema di governo, l’autonomia dove il governo obbedisce e il popolo comanda.

E’ un’arte che si può vedere, studiare, che si pratica, che si può conoscere condividendo.

Ma praticano altre arti le compagne e i compagni, che non si conosceranno, e che non usciranno in nessun mezzo di comunicazione.

L’arte della solidarietà, il sostegno ai popoli che lottano.

Perché un’altra scienza e arte che praticano le compagne e i compagni basi d’appoggio zapatiste, è come hanno sostenuto la lotta e resistenza del movimento degli insegnanti.

Questa scienza e arte non si è vista, però è stata come un’arte da vespaio nel modo in cui è stata fatta, e si è visto come è stata consegnata, ossia la consegna del sostegno alimentare, ma prima di ciò c’è stata un’arte e una scienza.

Va:

Si è visto che è necessario appoggiare questa lotta degli insegnanti che stanno resistendo all’idra e alla tormenta capitalista, come abbiamo detto un anno fa.

Poi vedere che appoggio avremmo dato, e dapprima fu con la nostra parola di appoggio sul fatto che la loro lotta è giusta.

Poi come appoggiare la resistenza nei blocchi e picchetti in cui erano, e abbiamo visto e compreso che era attraverso l’alimentazione.

Poi vedere quanto avremmo potuto metterci e, prima ancora, cosa avrebbero detto le nostre compagne e compagni se li avessimo sostenuti con l’alimentazione di quel poco che abbiamo del frutto dei nostri lavori collettivi.

Come per esempio si è visto nel sostegno dell’alimentazione, la consegna, i sacchi e via dicendo. Ma quel che non si è visto è l’organizzazione della raccolta di villaggio in villaggio, la ripartizione di quanto sarebbe toccato a ogni villaggio, il sapere quante tonnellate si sarebbero messe assieme per sapere come trasportarle. Poi il tempo, perché giungono notizie prima che non toglieranno il blocco, poi che lo toglieranno perché saranno sgomberati, perché stanno causando grossi danni, dicono i ricchi, e c’è pressione perché si finirà per perdere tutto ciò che raccoglieremo se non ci sarà dove portarlo.

Allora sono state fatte riunioni da tutte le parti per trarre l’accordo, in fretta, perché tutte le compagne e i compagni hanno detto che è giusto e necessario il sostegno da dare al movimento degli insegnanti.

Iniziano allora le matematiche, i conti diciamo noi, le divisioni, le ripartizioni diciamo noi su quanto tocca a ogni zona, MAREZ, regioni, villaggi.

Si cominciano a formare le commissioni di regione per la raccolta e la commissione di MAREZ e di Zona. Ci sono state alcune zone che hanno sbagliato le commissioni, ma non in malafede, in buona fede, perché hanno riportato un ammontare di 2 tonnellate ma al momento del conteggio è risultato che i villaggi avevano dato 7 tonnellate in più, come nel caso delle basi d’appoggio zapatiste della zona nord del Chiapas, del caracol di Roberto Barrios. E allora ecco l’Arte per risolvere il problema, perché non erano previste 9 tonnellate, c’era solo un camion da 3 tonnellate.

Quel che è davvero un’arte è il lavoro delle compagne, perché si richiede loro in quanto tempo avranno pronte le centomila tostadas, come si può calcolare dato che è in forma di mazorca il mais che diventerà tostadas.

Allora le compagne hanno detto: alla tale ora della tal data sarà pronto. Perché sanno in quante ore si cuoce il mais, e quante tostadas escono da un chilo di mais.

E ancora, le compagne mettono il condimento alle tostadas, che sia di fagioli, di sale, perché sanno che è in appoggio alle maestre e maestri in picchetto e in resistenza.

Così hanno fatto ed è stato portato a compimento, anche se ormai non si vede perché è nello stomaco, o è diventato concime di cui i maestri e le maestre si sono liberati.

Il lavoro collettivo, in comune, ha fatto sì che tutto sia stato spostato tanto facilmente, di mano in mano; altra roba è stata portata a cavallo, altra a piedi e in spalla, altra in macchina.

Grazie ai lavori collettivi di compagne donne e di compagni.

E’ stato tutto un calcolo matematico, dall’inizio alla fine.

Tutto questo, è tutta una spesa e la stragrande maggioranza è di lavori collettivi di villaggi, regioni, municipi autonomi e zone. Frutto reale dei nostri lavori come popoli organizzati di donne e uomini.

Tutto questo non si è visto e non si saprà se non lo raccontiamo, ed è un grosso sforzo che hanno fatto le nostre compagne e i nostri compagni zapatisti basi d’appoggio, perché vogliamo bene a un popolo che lotta e resiste.

Perché lo abbiamo fatto? Be’, perché sappiamo e comprendiamo com’è resistere in una lotta e com’è mantenere una lotta in resistenza.

Tutta un’arte immaginativa dei popoli zapatisti su come sostenere, perché nel “resistere” le compagne e i compagni hanno trascorso 22 anni, e ciò dà molta esperienza ed è di grande importanza per questa solidarietà, è la dimostrazione della collettività. Noi zapatiste e zapatisti abbiamo 22 anni di lotta in resistenza e ribellione contro il capitalismo, e 22 anni di un nuovo sistema di governarci in cui il popolo comanda e il governo obbedisce.

-*-

C’è chi pensa che dobbiamo uscire e andare a lottare per i maestri e le maestre. Se così si pensa, allora non si è capito nulla. Perché ciò vuol dire aspettare che qualcuno venga e lotti al posto mio. Noi zapatiste e zapatisti non abbiamo chiesto a nessuno di venire a lottare al posto nostro. Ogni lotta è di ciascuno, e ci dobbiamo sostenere reciprocamente, ma non prenderci il posto di lotta di ciascuno. Chi lotta ha il diritto di decidere dove porta il suo cammino e con chi camminare. Se ci si mettono altri, non è più un sostegno, è un soppiantare. Il sostegno è rispetto e non direzione né comando. Così come abbiamo capito che nessuno ci darà da mangiare se non lavoriamo, è lo stesso. Nessuno ci libererà, se non noi stessi.

Perciò organizziamoci, popoli del Messico e del mondo, lottiamo nel mondo in cui viviamo per cambiarlo, come operaie e operai, maestre e maestri, contadine e contadini, tutte e tutti i lavoratori: non aspettiamo che arrivi qualcuno a lottare al posto nostro.

Lo abbiamo già visto, verrebbero solo a cercare di manipolarci, di ingannarci, di tenerci nello stato in cui siamo.

-*-

L’arte, sorelle e fratelli, compagne e compagni, è tanto importante perché è ciò che illustra qualcosa di nuovo nella vita, tanto differente, e si può comparare quanto illustrato nella vita reale, che non mente.

E’ tanto potente l’arte, perché è già una vita reale nelle comunità dove loro comandano e il loro governo obbedisce, grazie all’arte dell’immaginazione e al saper convertire in una nuova società, in una vita comune. Dimostra che è possibile un altro modo di governarsi, totalmente differente, che è possibile un’altra vita lavorando in comune a beneficio della comunità stessa.

Qui ricordo la buonanima del subcomandante Insurgente Marcos, che spesso ci chiedeva, quando costruivamo una casetta, là nella selva, con il Comandante Tacho. La buonanima ci chiedeva “queste travi, sapete a cosa servono, mi potete spiegare scientificamente perché le mettete così?”, e prima che rispondessimo, lanciava un’altra domanda: “è scientifico o è roba di usi e costumi?”, e il comandante Tacho ed io ci guardavamo, e dato che il comandante dirigeva i lavori fu lui a rispondere: “be’, così ho appreso da mio papà, e mio papà ha appreso da mio nonno, e così via”, disse il comandante Tacho. Il defunto disse: “ah, allora è roba di usi e costumi, non viene da un uso scientifico della scienza”, così disse la buonanima. E allora ci spiegò perché sono tanto importanti le scienze e le arti. E ora lo stiamo vedendo. Ma lasciamo stare, gli dirò di scarabocchiare, cioè di scriverci, alla buonanima, dallo spazio in cui si trova sottoterra, e ce lo mandi, e lo pubblicheremo, noi che stiamo ancora qui, vivi dove egli visse.

Perciò, compagne e compagni, sorelle e fratelli, noi zapatiste e zapatisti pensiamo che oggi più che mai siano necessari l’ARTE, I POPOLI ORIGINARI E LA SCIENZA, affinché nasca un mondo nuovo.

Perciò, compagne e compagni artisti della sexta nazionale e internazionale, dateci dentro con il lavoro dell’arte.

Accompagnateci, sorelle e fratelli del Messico e del mondo, nel sognare un’arte in cui il popolo comanda, per il suo bene e per il bene del popolo stesso.

Grazie.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, 29 luglio 2016

 

Canzone “La Capacidad de las Mujeres”. Testo, musica e coreografia del gruppo zapatista, giovanile, femminile e musicale “Dignidad y Resistencia”, basi d’appoggio della zona Altos de Chiapas. Quando si sono presentate a Oventik, il 29 sera, è mancato il suono ed erano un poco tristi. Allora il giorno 30, nel CIDECI, il SubMoy ha chiesto ai compagni musicanti, Panteón Rococó e Oscar Chávez, che si fermassero e lasciassero loro alcuni minuti del loro tempo (grazie Don Óscar, grazie Panteones). Le compagne hanno potuto presentare quel che avevano preparato per più di 5 mesi. Una volta finito hanno riportato al SupMoy: “Siamo di ritorno”, hanno detto. Il SupMoy: “Com’è andata?”. Loro: “Abbiamo vinto”. Il SupMoy non ha detto niente, ma di sicuro sarà rimasto a pensare “Alla fin fine, cinquecento anni non sono che un soffio, ma credevo che questo non lo avrei mai sentito”. Loro hanno proseguito: “Abbiamo un po’ sofferto perché la gente ne chiedeva un’altra. Molti gridavano ‘un’altra, un’altra!’, ma non ne sapevamo un’altra. Già ce ne abbiamo messo di tempo a fare questa canzone. Se ne vogliono un’altra devono aspettare altri 6 mesi”. SupMoy: “E che avete fatto?”. “Siamo scese in fretta e ci siamo fatte scudo dei compagni”, hanno detto loro e se ne sono andate a ballare lo ska dei panteones.

https://youtu.be/yqjLuz8drqs

Ballo: “La Danza del trabajo colectivo del Maíz”. Coreografia delle basi d’appoggio zapatiste della zona Altos de Chiapas. Questa è la versione con cui si sono presentati nella tappa di selezione. Per la partecipazione del 29 luglio a Oventik hanno aggiunto alcune cose, come hanno potuto apprezzare i presenti. Forse i media compagni hanno il video del 29 a Oventik.

https://youtu.be/KJWcAzH7N-Q

Poesia “Cuando el Horizonte Mira el Mañana”. L’autore è un giovane base d’appoggio zapatista della zona Altos de Chiapas. Questa versione è di quando si è presentato nella tappa di selezione. Quando stava provando, gli è stato detto che ci sarebbe stata molta gente, ma di non innervosirsi. “Tu guarda il quaderno e non alzare lo sguardo”, gli hanno raccomandato. Lui ha detto di non avere paura, ma di avere un dubbio. “Quale?”, gli hanno chiesto. Lui ha risposto: “Non so se si dica “poema” o “poesia””. Perciò vi incarichiamo di risolvere il dubbio.

https://youtu.be/9eb6qfbDowg

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/08/03/el-arte-que-no-se-ve-ni-se-escucha/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Subcomandante Moisés al CompArte.

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PAROLE DELLA COMANDANCIA GENERALE DELL’EZLN, PER VOCE DEL SUBCOMANDANTE INSURGENTE MOISÉS, ALL’APERTURA DELLA PARTECIPAZIONE ZAPATISTA AL CompARTE, NEL CARACOL DI OVENTIK, CHIAPAS, MESSICO, LA MATTINA DEL 29 LUGLIO 2016.

A nome delle compagne e compagni delle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, voglio parlarvi di come sentiamo quello che fanno a noi popoli originari del Messico, e credo che sia uguale nel mondo intero.

Vogliamo dirvi, spiegarvi, ancora una volta, delle tante sofferenze che ci ha inflitto questo marcio sistema capitalista.

NON prendete a male, compagne e compagni della sesta nazionale ed internazionale, sorelle e fratelli del mondo, quello che vi dirò, perché non si tratta di voi.

Si tratta di cosa ci fa o come ci considera il sistema capitalista, in particolare noi POPOLI ORIGINARI di questo paese che si chiama Messico.

Vi dirò di come ci sentiamo noi, zapatiste e zapatisti, di quello che hanno fatto alle nostre sorelle e fratelli indigeni di San Juan Chamula lo scorso 23 luglio di questo anno.

A noi Zapatiste e Zapatisti, fa male quanto è accaduto lì.

Quello che è accaduto realmente, non quello che hanno raccontato i mezzi di comunicazione prezzolati che si vendono per pochi centesimi.

Sappiamo che dicono che è stato ucciso il presidente municipale del Partito Verde Ecologista. E siccome è il partito del capoccia Velasco, allora i media accorrono a piangere e dolersi. E non dicono niente degli altri morti, quelli che sono morti lì intorno, o i cui corpi sono stati recuperati dai parenti ancora feriti o già defunti. Per il governo ed i giornalisti quei morti non contano. E sono decine di morti, non solo i 5 che erano autorità corrotte.

Tutti in Chamula, ed in tutti i dintorni degli Altos del Chiapas, sanno quello che è successo. Sanno che è stata la guardia del presidente corrotto dei Verdi ad iniziare la sparatoria e che ha ucciso e ferito molte delle persone che erano in piazza. E che è andata avanti fino a dopo che è arrivato l’altro gruppo armato a finire quelle autorità. Finire, sì, perché erano morte a bastonate e machete.

Il governo ed i giornalisti suoi dipendenti vogliono presentarlo come un piccolo problema, dicono che il “povero” presidente municipale contestato voleva solo risolvere il problema ma i “selvaggi” chamula, così li hanno definiti sui media, l’hanno ucciso.

È una bugia. Tutto quello che hanno detto i media prezzolati è una bugia. È una bugia a poco prezzo. Ed i media prezzolati preferiscono intervistare gli “esperti”, dicono, invece di investigare su quello che è accaduto realmente.

Noi non vi racconteremo quello che è successo nei dettagli. Questo spetta alle vere vittime di quelo giorno e di molto tempo prima. Loro sapranno quando e come lo diranno.

Ma noi sì diciamo che ci fa male, molto male, quello che è successo dopo. Come i media prezzolati hanno cominciato a raccontare sciocchezze ed insultare gli indigeni. E pure quelli che si dicono progressisti. Ci fa male per come hanno fatto passare da eroe un uomo corrotto. Per come tutti hanno mentito e si sono resi complici del vero crimine, e si sono inginocchiati per far salire Velasco sulle loro spalle e presentarlo come il salvatore.  Si vendono proprio per pochi centesimi.

A noi non importa se nel villaggio di Chamula non sono zapatisti. Sono nostri fratelli.  Sono indigeni e sono parte del nostro popolo originario, della nostra razza originaria, quelli che sono stati uccisi a San Juan Chamula. Non ci piace che si ammazzino tra indigeni, benché siano di partiti politici o di quello che sia. Non ci piace che si definiscano “selvaggi” gli indigeni mentre i veri selvaggi criminali sono i governi ed i partiti con la loro stampa prezzolata e obbediente.

A noi importa chi ha voluto questo, chi l’ha pianificato.

Sentiamo un dolore immenso, e pare incurabile, per quello che ci fanno quelli che stanno sopra.

Sappiamo bene che nessuno ce lo toglierà, ma soltanto noi stessi e dobbiamo lavorare molto e molto duramente.

Perché tutto il male che subiamo nelle nostre comunità, villaggi, colonie, È SEMPRE PERCHÈ INTERVENGONO I PARTITI POLITICI e le RELIGIONI O IL NARCOTRAFFICO.

Ci usano, noi indigeni, per fare di tutto, proprio tutto quello che hanno voglia quelli di sopra.

Ci vogliono far diventare loro servitori, come sindaci, consiglieri comunali, deputati statali, deputati federali. Per cosa? Per imparare a fare soldi senza lavorare, per imparare ad essere corrotti, mascherati da servitori del popolo.

Non so come ci vedono, perché almeno la spazzatura serve da concime. In questo caso non ci considerano nemmeno spazzatura. Per quelli e quelle che stanno sopra, siamo le loro merde.

Ci trattano come le loro merde che devono essere eliminate in qualsiasi modo.

Non posso dire che ci trattano come i loro animali domestici, perché trattano le loro bestioline come esseri umani.

A noi indigeni del mondo, ci guardano e ci dicono “ritardati mentali”, “non civilizzati”, “molesti”, ci dicono “indio zampa storta”, “schifoso” e “schifosa”, ed altri tanti insulti.

Abbiamo resistito per secoli e secoli.

Siamo carne, sangue ed ossa, come loro.

Noi, indigene ed indigeni, non stiamo facendo male a NESSUNO.

Hanno cercato di distruggerci e farci sparire, Ma non ci riusciranno mai.

Ci hanno divisi con le religioni, male educato nelle scuole, nei partiti politici. Ci hanno inculcato altre culture, la mala politica, una brutta ideologia.

Compagne e compagni della sesta nazionale ed internazionale, sorelle e fratelli del mondo:

Ve lo diciamo chiaro. Non siamo la merda di quelli di sopra. Siamo esseri umani di sangue, ossa e carne come loro. Non siamo dello stesso colore, ma siamo uguali esseri umani.

Non vogliamo essere cattivi come loro che usano gli esseri umani.

Perché oggi mostrano che noi indigeni siamo cattivi e che ci ammazziamo tra di noi, come è successo a San Juan Chamula.

Quelli che hanno voluto che accadesse, sono i partiti di sopra PRI e PVEM ed i governanti e tutti i partiti politici.

Così è successo con gli altri partiti che si chiamino di sinistra o no. Ci usano come gruppi di scontro e loro, i partiti, non sono loro i ritardati mentali, cattivi e perfidi, ma siamo sempre noi quelli che alla fine pagano il prezzo più alto.

Non dico che noi popoli originari siamo i più buoni, abbiamo i nostri problemi ma li risolviamo da noi, ma quello che è successo è per colpa dei partiti e delle autorità di quei partiti.

Questo non appare sui mezzi di comunicazione, perché non prendono soldi se tirano fuori la verità, al contrario, prendono più soldi occultando l’informazione.

I giornalisti, donna o uomo, che lavorano nella stampa devono fare quello che dicono i loro padroni, ed lo fanno per questione di soldi. Hanno perso ormai la loro dignità e così anche i leader delle religioni che sanno di ingannare, non c’è più dignità.

Ma chi ha insegnato ad essere corrotti, ladri e truffatori? Quelle e quelli che stanno sopra.

Perché il defunto presidente municipale di San Juan Chamula era dei Verdi e non voleva pagare quello che doveva a quegli indigeni come lui. Molte volte gli avevano detto “pagaci!”. Ma non aveva li aveva ascoltati. Dove ha imparato a comportarsi così il presidente municipale? Dai cattivi governanti.

Per decenni e decenni e centinaia di anni ci hanno ingannato, picchiato, usato, ed è per questo che nessuno ci prende in considerazione a noi indigeni.

È molto male l’insegnamento di quelli di sopra, perché alcuni degli indigeni che hanno accettato di essere servili con quelli di sopra e che sono diventati sindaco, consiglieri comunali, come la consigliera comunale di Las Margaritas (la Florinda del PAN) della Realidad, l’ex deputato federale della CIOAC (Antonio Hernández Cruz) tojolabal, hanno imparato a non ascoltare e non prendere in considerazione le comunità. Sono gli organizzatori dell’assassinio del compagno maestro della escuelita, il compagno Galeano. Non lo dimentichiamo.

Ci sono molti libri di cose cattive che ci hanno voluto insegnare. Un esempio: io, indigeno, sono un piccolo proprietario di terra di 10 ettari, e sono ranchero, ma un ejidatario comunero ha diritto a 20 ettari, ah, ma non è ranchero, però ha 20 ettari di terra, ma non vale, quello che vale è essere proprietario di un podere, quindi se sono ranchero, allora non sono più indigeno. Non parliamo se sono consigliere comunale o sindaco, perché allora sono della classe media. E dicono che non sanno parlare una lingua.

Perché noi indigene ed indigeni dobbiamo pagare con la vita perché altri abbiano i soldi per mangiare?

Tutti i media prezzolati competono sul prezzo delle foto dei morti di San Juan Chamula, ma non tirano fuori chi è il colpevole dei morti e tutti i governi pagano qualunque prezzo purché non vengano fuori i veri colpevoli, che sono loro.

Pubblicano solo quello che dicono i cattivi governanti. Dove sono andati i giornalisti e i fotografi invece di mostrare gli altri morti ammazzati dalle guardie del presidente? A quei giornalisti e fotografi non importa perché non ci guadagnano niente ed anche perché i morti sono indios e non importa se appartenevano a dei partiti. È così, sono indios. Questo non è razzismo? E parlano contro il razzismo

E tutti i lavoratori dei media prezzolati, si guadagnano la paga vendendo bugie, sistemando bugie, e non importa la grave situazione perfino per loro stessi. Non tirano fuori la verità, perché la verità non paga. Che vergogna, intellettuali della menzogna.

Arrivano tardi sul luogo dei fatti solo per mostrare immagini di morte e non indagano sulle ragioni di decenni di ingiustizie.

Sono invece puntuali quando accompagnano i loro capi, cioè i cattivi governanti, a mostrarsi e farsi fotografare nel luogo ormai sotto controllo dove il buon presidente e la sua squadra sono stati uccisi da “indios selvaggi”. E pubblicano tutto quello che dicono i malgoverni.

In pochi minuti mettono tutta la cattiva informazione sui media, e poi la cancellano immediatamente dal notiziario, affinché si veda e si dimentichi rapidamente per non chiedere di sapere chi sono i veri responsabili di quello che succede agli indigeni di questo paese. Questa è la funzione dei media prezzolati.

Accidenti! Sappiamo bene che i ricchi non sono ricchi perché lavorano dall’alba al tramonto, non sudano e si appestano di sudore, non si infortunano sulle macchine, non sono mutilati per questo, non si piagano nei corpi per tanto sudore, non diventano sordi per il rumore nelle orecchie per 8, 12 ore, non si ammalano per la stanchezza, non si stressano perché non hanno i soldi per le medicine, per il cibo, per l’affitto, per l’educazione dei loro figli. Niente gli manca niente, grazie a noi lavoratrici e lavoratori della campagna e della città.

Senza il nostro sfruttamento non sarebbero ricchi.

Il mondo in cui ci tengono, è inutile.

Quale è la nostra paga in questo mondo capitalista? La miseria, lo sfruttamento, il maltrattamento, l’ingiustizia.

Oggi ci trattano tutti nello stesso modo, lavoratori della campagna e della città.

Ci maltrattano i caporali che sono i presidenti municipali, ci maltrattano i maggiordomi che sono i governatori e ci maltratta il capoccia che è il governo federale, su ordine del padrone: il capitalismo neoliberale.

Ci duole molto quello che fanno agli indigeni di tutto il paese, quello che hanno fatto alle compagne e compagni del Congresso Nazionale Indigeno.

E se ci difendiamo, ah, siamo “selvaggi”, “ritardati mentali”.

Se rubiamo un sacchetto di patatine, in prigione. Ma se Juan Sabines Gutiérrezse ruba 40 mila milioni non c’è prigione, resta libero di rubare di più.

Che merda, che orrore, che razzismo. Non c’è giornale in Messico che pubblichi questo su 8 colonne.

Ingiustizia per noi popoli sfruttati. Non c’è stata MAI giustizia per i nostri trisavoli, non c’è stata giustizia prima del 1968, non c’è stata giustizia per il massacro del ’68, per il massacro di donne a Ciudad Juárez, il massacro dei bambini dell’asilo ABC, non c’è stata giustizia per Acteal, né per i 43 desaparecidos studenti di Ayotzinapa. E tante e tante ingiustizie.

Popolo del Messico: organizziamoci e lottiamo per quello che siamo, coì come noi indigeni siamo organizzati con il nostro nuovo sistema di governo.

Ma non diteci come. Ma vogliamo che condividiamo le nostre esperienze, perché non sappiamo com’è la vita delle operaie e degli operai, non sappiamo com’è la vita delle maestre e dei maestri e così di chiunque, ma sappiamo che tutti noi vogliamo Giustizia, Libertà e Democrazia, in questo non ci sono differenze.

Come ci vogliono in questo sistema è impossibile, esempio: Io sono un deputato federale del popolo originario e mi siedo nel mio scranno di fianco al deputato federale Diego Fernández de Ceballos, proprietario di terreni e case, e mi metto a discutere la legge agraria affinché la ripartizione della terra sia equa, cioè che nessuno deve possedere più terra di altri. La domanda è, posso mai arrivare ad un accordo con lui, io indigeno e lui proprietario terriero?

Questo sistema non funziona, è marcio, non c’è più rimedio, cade a pezzi e cadendo si porta dietro i morti. È meglio se ne usciamo.

Meglio organizzarci per costruire una nuova casa, cioè una nuova società.

Nessuno lotterà per noi.

Così come per noi, zapatiste e zapatisti, nessuno è venuto a lottare al posto nostro, cioè noi abbiamo dovuto dare la nostra vita per volere più bene alla nostra vita.

Cosicché popolo del magistero organizzatevi e lottate fino alla fine; popolo dei servitori della salute umana del Messico organizzatevi perché la tormenta è già su di voi. E così la tormenta colpirà ogni settore dei lavoratori.

Popolo del Messico e popolo povero del mondo, organizzatevi.

Grazie.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Oventik, Chiapas, Messico

29 luglio 2016

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Foto, video, cronaca del Festival CompArte.

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Foto/video/cronaca del Festival CompArte por la Humanidad:

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EZLN conferma partecipazione al CompArte.

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L’EZLN conferma ed estende la sua partecipazione al CompArte

 ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

26 luglio 2016

Alle e ai partecipanti e assistenti al CompArte:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Compagni, compagne, compagnei:

Al di là di non poter rimettere i soldi per l’alimentazione e il trasporto della nostra comunità artistica, come zapatisti che in effetti siamo, abbiamo cercato il modo non soltanto per corrispondere alle e ai creativi che hanno risposto al nostro invito al CompArte, ma anche per farvi sentire in qualche modo il rispetto e l’ammirazione che ci provoca il vostro impegno artistico.

Perciò vi comunichiamo la decisione a cui siamo giunti:

Presenteremo, sebbene in diversi calendari e geografie, un po’ delle creazioni artistiche che come zapatiste e zapatisti abbiamo preparato per mostrarvele. Le presentazioni avverranno secondo quanto segue:

Caracol di Oventik: 29 luglio 2016. Dalle 10.00 alle 19.00 ora nazionale. Partecipano artiste e artisti zapatisti dei popoli originari tzotzil, zoque e tzeltal de Los Altos de Chiapas.

CIDECI, San Cristóbal de Las Casas: 30 luglio 2016. Assisterà una delegazione zapatista come escucha-vidente al CompArte.

Caracol de La Realidad: 3 agosto 2016. Dalle 9.00 del giorno 3 all’alba del 4 agosto. Partecipano artisti zapatisti dei popoli originari tojolabal, tzeltal, tzotzil, mame e meticcio della zona Selva Fronteriza.

Caracol de La Garrucha: 6 agosto 2016. Dalle 9.00 del giorno 6 all’alba del 7 agosto. Partecipano artiste e artisti dei popoli originari tzeltal e tzotzil della zona Selva Tzeltal.

Caracol di Morelia: 9 agosto 2016. Celebrazione del 13° anniversario della nascita dei caracoles e delle giunte di buon governo zapatiste. Dalle 9.00 del 9 all’alba del 10 agosto. Partecipano artiste e artisti zapatisti dei popoli originari tojolabal e tzeltal della zona Tsots Choj.

Caracol di Roberto Barrios: 12 agosto 2016. Dalle 9.00 del 12 all’alba del 13 agosto 2016. Partecipano artiste e artisti zapatisti dei popoli originari chol e tzeltal della zona Norte de Chiapas.

Per poter entrare è necessario il vostro cartellino di registrazione al CompArte nel CIDECI, e iscriversi al tavolo appositamente posto nel CIDECI a partire dal 27 luglio 2016 pomeriggio. Attenzione: tenere in considerazione che qua… be’, dappertutto, è periodo di tormente.

Sappiamo che l’immensa maggioranza non potrà assistere a tutte le presentazioni ora che il calendario e la geografia si sono espanse. Magari sì, lo sapete voi. In ogni caso, ci siate o no, ci presenteremo tenendovi presenti.

NON SARA’ CONSENTITO L’ACCESSO AI MEZZI DI COMUNICAZIONE PREZZOLATI (quand’anche pretendano di lavorare anche per media non prezzolati).

I media compagni, ovvero i media liberi, autonomi, alternativi o come si chiamino, saranno benvenuti, inclusi i Tercios Compas, perché da queste parti c’è solidarietà di categoria.

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Come zapatisti che siamo e al giorno d’oggi, confermiamo il nostro appoggio alla domanda di verità e giustizia per Ayotzinapa e per tutte e tutti i desaparecidos, che continua senza venir meno per opera di madri, padri, familiari e compagni degli assenti. A tutti loro, a chi manca e a chi cerca, il nostro miglior abbraccio. Il vostro dolore è il nostro dolore, ed è nostra la vostra degna rabbia.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, luglio 2016

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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EZLN: Lettera aperta sull’aggressione a San Cristóbal de Las Casas.

EZ-22aniversario-1-copia“Ad ognuno il suo: la frivolezza di chi manca di intelligenza” L’EZLN al governo chiapaneco.

Lettera aperta sull’aggressione al movimento popolare a San Cristóbal de las Casas, Chiapas

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

21 luglio 2016

A chi sia ora il governatore in carica ed agli atri capoccia dello stato messicano sudorientale del Chiapas:

Signore (ha!) e Signori (doppio haha!):

Non vi mandiamo i nostri saluti.

Prima che vi venga in mente di inventare (come già sta facendo la PGR a Nochixtlán, Oaxaca) che la vigliacca aggressione contro l’accampamento di resistenza popolare a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, è stata orchestrato dall’ISIS, vi trasmettiamo, gratis, l’informativa che abbiamo raccolto:

Quelle che seguono sono le parole di un fratello indigeno affiliato ai partiti (PRI) di San Juan Chamula, Chiapas, Messico:

Alle 9 del mattino (del 20 luglio 2016) hanno chiamato i Verdi a casa del governatore. E lì gli hanno detto di fare come quello che avevano fatto l’altro giorno.

(NOTA: si riferisce a quando un gruppo di indigeni del Partito Verde Ecologista si sono infilati dei passamontagna e sono andati a provocare disordini al picchetto di San Cristóbal e a Tuxtla Gutiérrez, capitale del Chiapas. Quando sono stati fermati dalla sicurezza della CNTE prima hanno detto di essere zapatisti (non lo erano, né lo sono, né lo saranno mai), poi hanno ammesso di essere affiliati ai partiti).

Ma che questa volta andassero a dialogare affinché quelli del blocco lasciassero passare i camion dei chamula che fanno affari a Tuxtla. Il presidente municipale (del Partito Verde Ecologista) ci ha messo le pattuglie e l’ambulanza locali. Quello di San Cristóbal la polizia. Il governo di Tuxtla altro in più. Di sicuro hanno fatto accordi con i poliziotti, cioè avevano già un loro piano. E quindi sono arrivati come quelli che vogliono dialogare e poi un gruppo si è infilato ed hanno cominciato a rompere tutto, a rubare e a bruciare, cioè hanno attaccato su due lati. Poi, siccome avevano armi, perché normalmente i Verdi girano armati, si sono messi a sparare come ubriachi e mariguanos. I poliziotti stavano lì ad appoggiarli. Non siamo d’accordo con quello che hanno fatto i Verdi. Perché adesso i turisti hanno ora paura di venire qui (a San Juan Chamula) e questo danneggia molto gli affari. Non è il blocco, ma sono quei maledetti verdi che stanno mandando tutto in malora. Andremo a protestare a Tuxtla perché caccino quell’imbecille del presidente. E se non lo fanno, allora se la vedranno con noi.”

Per quanto riguarda la rozza manovra di incappucciare dei paramilitari per presentarli come zapatisti (oltre ad essere una minestra riscaldata già usata dal Croquetas Albores), è un totale fallimento. Alla domanda se credevano che fossero zapatisti quelli che avevano sgomberato il blocco e fatto danni, così hanno risposto due persone del popolo, senza filiazione politica nota:

Un commerciante ambulante, di circa 60 anni risponde:

“No! Quelli che ieri hanno creato disordini è gente pagata del governo, lo sappiamo bene. Non sono quelli che appoggiano i maestri. Perché la lotta dei maestri è giusta, se no finiremo per pagare noi l’istruzione. E da dove vengono i soldi per pagare i maestri? Dal popolo. Quello che manca è che per lo meno la maggioranza degli stati si decidano ad ascoltarli, perché già quattro stati sono già d’accordo, ma non sappiamo degli altri.”

Un indigeno Chamula, commerciante ambulante, risponde:

“Naaaa!!!, non sono loro, loro non si comportano così! Loro (gli zapatisti) appoggiano i maestri e quelli di ieri volevano farsi passare per loro, si sono messi i passamontagna, ma non si comportano nello stesso modo.

– e chi erano le persone di ieri

– Sono altri, pagati.

– e cosa ne pensi dei maestri?

– Be’, bisogna appoggiarli”.

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Siamo sicuri che voi lo ignorate (oppure le sciocchezze che fate è per stupidità), ma il cosiddetto “conflitto magistrale” nasce dalla stolta prepotenza dal grigio aspirante poliziotto che ancora esercita presso la Segreteria di Educazione Pubblica (SEP la sigla in spagnolo, oh, di niente, prego). Dopo mobilitazioni e la risposta governativa a quelle mobilitazioni con minacce, licenziamenti, botte, prigione e morti, il magistero in resistenza è riuscito a portare il governo federale a dialogare. È dunque una questione federale. Spetta al governo federale ed al magistero in resistenza dialogare ed arrivare o non a degli accordi.

Voi simpatizzate con la chiusura del grigio poliziotto. Noi, zapatiste e zapatisti, simpatizziamo con le istanze del magistero e lo rispettiamo. E non solo la CNTE, anche e soprattutto il movimento popolare che si è sollevato intorno alle sue istanze. Come zapatisti, abbiamo resa pubblica la nostra simpatia appoggiandoli, oltre a parole, col poco cibo che siamo riusciti a raccogliere dalle nostre tavole.

Credete di poter distruggere questo movimento, ormai popolare, con sgomberi mascherati di “indignazione civica?”. No, lo avete visto. Come hanno fatto i fratelli popoli originari a Oaxaca, se li cacciate, loro ritorneranno. Così una ed un’altra volta. Perché qua sotto, non c’è stanchezza. I vostri padroni hanno calcolato che il movimento del magistero in resistenza si sarebbe sgonfiato per le ferie. Avete visto che si sono sbagliati (mmm, sono già più di 3 errori di valutazione, se si applicasse la “riforma educativa” sarebbero già stati licenziati ed in cerca di un impiego presso Iberdrola a fianco dello psicopatico).

Il movimento non fa che crescere e raccogliere simpatie, mentre voi raccogliete solo antipatie e ripudio.

Come abbiamo già segnalato da quasi due mesi, il movimento già accorpa diversi settori sociali e, chiaramente, le loro specifiche domande. Per esempio, probabilmente non lo sapete, ma chiedono le dimissioni di Cancino (presunto presidente municipale di San Cristóbal de Las Casas, città che si trova, forse voi lo ignorate, nello stato del Chiapas, Messico), e l’arresto di Narciso, capo paramilitare della ALMETRACH. Queste ed altre cose che chiedono si possono riassumere in una sola: buon governo. Quanto ci vuole perché vi rendiate conto che voi, tutt@, siete di disturbo, che non siete altro che parassiti che appestano l’intera società sopra e sotto?

Ma sembra che vi sentiate molto sicuri e mandate i vostri cani a rubare i pochi beni di quelle persone che stanno manifestando PACIFICAMENTE. Bene, allora noi, zapatiste e zapatisti, torneremo a raccogliere generi alimentari e gli attrezzi che gli avete rubato e glieli manderemo. Così una ed un’altra volta.

Invece di rilasciare ridicole dichiarazioni (come la dissociazione dal vigliacco attacco al presidio POPOLARE a San Cristóbal), potreste contribuire in qualche modo alla distensione necessaria affinché questo dialogo e negoziato seguano il corso che determinino le parti (che, vi ricordiamo, è tra il Governo Federale e il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione), e fareste bene a legare i vostri cani (di nome Marco Antonio, Domingo e Narciso). Fategli un fischio agitando un fascio di banconote e vedrete come vi ubbidiscono.

Ed un consiglio non richiesto: non giocate col fuoco a San Juan Chamula, lo scontento e la divisione che state fomentando in questo villaggio con le vostre sciocchezze, può provocare un conflitto interno il cui terrore e distruzione non si potranno coprire né con bots nelle reti sociali, né con inserzioni a pagamento, né col poco denaro che Manuel Joffrey Velasco Baratheon-Lannister ha lasciato nella tesoreria statale.

Allora tranquilli. Pazienza e rispetto. Speriamo che il governo federale dialoghi e negozi con serietà e impegno. Non solo perché le domande magistrali sono giuste, anche perché forse questa è una delle ultime volte in cui ci sarà con chi dialogare e negoziare. È tale la decomposizione che avete provocato che, presto, non saprete più nemmeno chi calunniare. Oltre che, ovviamente, non ci sarà nessuno all’altro lato del tavolo.

Capito?

Allora, ad ognuno il suo, cioè, al Photoshop, le pagine dei social, le feste snob, gli annunci monumentali, le riviste rosa, la frivolezza di chi manca di intelligenza.

Governare? Andiamo! Questo non lo credono nemmeno i media prezzolati!

Meglio che vi fate da parte ed imparate, perché questo è il Chiapas, ed il chiapaneco è un popolo troppo grande per un governo così miserabile.

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A chi di dovere:

Come zapatisti è nostra convinzione, ed agiamo di conseguenza, che si devono rispettarsi le decisioni, strategiche e tattiche, del movimento. E questo vale per tutto lo spettro politico. Non è legittimo cavalcare un movimento per cercare di portarlo da una parte al di fuori della sua logica interna. Né per frenarlo, né per accelerarlo. Altrimenti, dite chiaramente che quello che volete è usare questo movimento peri vostri fini e propositi particolari. Se lo dite, forse il movimento vi seguirà, o forse no. Ma è più sano parlare chiaro al movimento circa quello che si vuole. Come pretendete di dirigere se non rispettate le persone?

Noi, come zapatisti, non diciamo alle nostre maestre e maestri attuali (quell@ della CNTE ed i popoli, quartieri e colonie che appoggiano) che cosa fare o non fare. Questo deve essere ben chiaro a tutte quelle nobili persone che lottano: QUALSIASI AZIONE CHE COMPIA LO ZAPATISMO PER QUANTO RIGUARDA IL MOVIMENTO POPOLARE IN CORSO (o quelli che nasceranno in seguito) SARÀ RESA NOTA PUBBLICAMENTE E IN ANTICIPO e sempre rispettando i loro tempi e modi. Sia il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione, sia i movimenti dei popoli originari, colonie e quartieri che appoggiano il magistero, devono capire che, qualunque sia la loro decisione, sia sul corso, la destinazione, i passi e la compagnia che decidano, riceverà il nostro rispetto e saluto.

“Mascherarsi” da zapatisti e gridare slogan che coinvolgano altr@, va bene per divertirsi un momento e mettere una medaglia nel vostro curriculum, ma è sempre falso e disonesto. No@ non ci siamo ribellati per distribuire cibo spazzatura rubato, ma per democrazia, libertà e giustizia per tutt@. Se credete che sia più rivoluzionario e che aiuti di più il movimento rompere vetri e rubare cibo che neppure nutre, allora che il movimento valuti e decida. Ma mettete in chiaro che non siete zapatisti. A no@ non disturba né irrita che ci dicano che non capiamo il momento congiunturale, o che non abbiamo la visione dei vantaggi elettorali, o che siamo piccolo borghesi. Ci interessa solo che quella maestra, quel maestro, quella signora, quel signore, quel ragazzo o ragazza, sentano che qua, nelle montagne del sudest messicano, c’è chi gli vuole bene, li rispetta e li ammira. Sebbene nelle grandi strategie elettorali o rivoluzionarie, questi sentimenti non entrino in gioco.

Perché il magistero in resistenza e, come è sempre di più frequente, il movimento popolare che si accorpa intorno ad esso, affronta condizioni avverse molto difficili. Non è giusto che, in mezzo a tutto questo, debba vedersela non solo con manganelli, scudi, pallottole ed ora paramilitari; ma anche con “consigli”, “orientamenti”, ed ordini “con-tutto-il-rispetto”, che indicano quello che devono fare o non fare, avanzare o retrocedere, cioè, pensare e decidere.

Noi, zapatiste e zapatisti, non manderemo cibo spazzatura a chi lotta, bensì tostadas di mais non transgenico, non rubate, ma fatte col lavoro di migliaia di uomini e donne che sanno che essere zapatisti non è occultare il viso, bensì mostrare il cuore. Perché le tostadas zapatiste riscaldate alleviano la fame ed alimentano la speranza. E questo non si compra nei discount né nei supermercati.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.             Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, 21 luglio 2016

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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La geografia? Il caracol di Oventik. Il calendario? 29 luglio 2016, dalle ore 10 alle ore 19.

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La geografía? Oventik. Il calendario? 29 luglio 2016

…Vogliamo in qualche modo farvi sapere e sentire, a voi tutti, artiste e artisti che vi siete impegnati a partecipare al CompArte, non solo la nostra ammirazione e il nostro rispetto, ma anche, e soprattutto, la nostra convinzione che le ore oscure attuali, e quelle che verranno, richiedono il vostro ruolo e la vostra creatività per trovare il cammino che, come umanità, vogliamo, necessitiamo e meritiamo…

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

17 luglio 2016

Alle artiste e agli artisti partecipanti nel CompArte:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Sorelle e fratelli:

Compagne, compagni e compagnei:

Vi mandiamo i nostri saluti. Vi scriviamo per comunicarvi quanto segue:

Vogliamo in qualche modo farvi sapere e sentire, a voi tutti, artiste e artisti che vi siete impegnati a partecipare al CompArte, non solo la nostra ammirazione e il nostro rispetto, ma anche, e soprattutto, la nostra convinzione che le ore oscure attuali, e quelle che verranno, richiedono il vostro ruolo e la vostra creatività per trovare il cammino che, come umanità, vogliamo, necessitiamo e meritiamo.

E quando parliamo di oscurità, non ci riferiamo soltanto all’orrore che esplode e distrugge in ogni punto della già dolente geografia mondiale. Ma anche al mercantilismo politico ed economico che, senza tenere in maggior conto le morti e le disgrazie, si lancia sui cadaveri ancora tiepidi delle vittime, e cerca di trarne guadagno e vantaggio.

Se il sistema impone questa logica perversa in cui ogni dolore non indigna bensì impermeabilizza, forse possono essere le Arti ricordare all’umanità che la persona non soltanto distrugge e uccide, impone e sottomette, disprezza e dimentica, ma che è anche capace di creare, liberare e produrre memoria. La vita e la libertà forse non palpitano persino nelle creazioni artistiche più dolenti e strazianti?

Che bella cosa, pensiamo, sentiamo, crediamo come zapatisti che siamo, che ci siano artisti che sapranno cogliere, dal più profondo del calendario più oscuro, una luce di umanità.

Perché se non è ora, allora quando?

Non vogliamo farvi sentire di dovere qualcosa a qualcuno, né sottomissione, né accodamento, né sostegno incondizionato. Non cerchiamo i vostri voti né i vostri veti. Vogliamo soltanto dirvi che, in questo mondo che avvistiamo dalla coffa di vedetta, vi guardiamo. O meglio ancora, guardiamo le vostre creazioni.

Così pensiamo. Senza dubbio, vediamo che le nostre idee e i nostri sentimenti non riescono ad esprimersi interamente nemmeno con queste parole.

È per questo che noi zapatiste e zapatisti ci impegniamo in silenzio in un nuovo sforzo che ora vi vogliamo comunicare.

Vogliamo salutarvi e omaggiarvi per ciò che siete. Non come militanti delle cause che con differenti colori e simboli popolano il mondo. Ma come il passaggio nel quale pronostichiamo un domani più umano, più degno, migliore.

Noi zapatiste e zapatisti, non guardiamo verso l’alto.

Solo dinanzi alle scienze e alle arti solleviamo i nostri occhi, il nostro udito. E non sono il timore e l’obbedienza a elevare il nostro sguardo. È il portento della conoscenza, è la meraviglia delle arti.

Perciò ci siamo organizzati per presentarvi una versione molto ristretta di quello che è stato il nostro lavoro per il CompArte. Ciò con l’unico obiettivo di cercare di farvi sentire quanto siete grandi per noi zapatiste e zapatisti.

Sappiamo che le compagne e i compagni della Sexta e parte della comunità artistica del Chiapas, con l’impegno sempre fattivo delle compagne e dei compagni del CIDECI, hanno proseguito con l’organizzazione del CompArte nel CIDECI, da celebrarsi nella stessa sede dal 23 al 30 luglio 2016. Speriamo davvero che questa celebrazione sia tanto brillante com’è il vostro lavoro artistico e che, in questi calendari di oscura disperazione, in questo angolo del mondo si respiri un’altra aria e non sia la notte di sopra a regnare. Che, anche se nella fugacità di un pezzo musicale, un tratto di pittura, un passo di danza, un fotogramma, un rigo di dialogo, un verso, un quel che sia, venga sconfitta l’ora del poliziotto, e per un secondo almeno si respiri la possibilità di un altro mondo.

Perciò, approfittando del fatto che alcuni (non tutti, certo) staranno creando al CIDECI in quelle date, vogliamo invitarvi come partecipanti e assistenti al   di Oventik il 29 luglio 2016. Dalle ore 10 fino almeno alle 19 (ora nazionale) presenteremo teatro, balli, musica, poesia, pittura, pensieri, e forse anche indovinelli. Sebbene sarà soltanto una piccola parte di quel che era stato preparato nei villaggi per il CompArte, saranno presenti i 5 caracoles che accorpano i villaggi zapatisti tzotzil, chol, tzeltal, tojolabal, zoque, mam e meticci. Sebbene in maniera frettolosa, le compagne e i compagni zapatisti si sono preparati a celebrare, in vostro onore, la vita e la libertà.

Non sarà tutto ciò che da parte nostra è stato preparato, ma sarà qualcosa non da meno: un regalo che vogliamo farvi. Magari vi piacerà, magari no. Ma siamo sicure, sicuri, che qui troverete suoni, colori, luci ed ombre che non hanno altro desiderio che farvi ascoltare, guardare e sentire il “grazie” con cui vi abbracciamo.

Le artiste e gli artisti zapatisti fanno la loro esibizione il giorno 29 luglio e il giorno 30 rientreranno nelle loro comunità. A meno che, ovviamente, qualcuno li inviti ad esserci nell’ultimo giorno del festival CompArte presso il CIDECI. In tal caso, faranno sosta al CIDECI per imparare qualcosa da voi.

Cosicché ormai sapete:

La geografia? Il caracol di Oventik.

Il calendario? 29 luglio 2016, dalle ore 10 alle ore 19.

Forse pioverà, forse no. Forse farà freddo, forse no. Ma qui stiamo, qui staremo.

Perché questo angolo di mondo, nel quale ci tocca resistere e lottare, è solo la nostra casa temporanea.

La nostra casa grande, nel domani e nel sogno, è stata, è e sarà il mondo che, con le altre e gli altri, creeremo.

Qui vi aspettiamo.

In effetti vi aspettiamo sempre.

E se anche non potrete venire, vi mandiamo il nostro abbraccio migliore, quello che vi diamo…

 

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés             Subcomandante Insurgente Galeano

Chiapas, Messico. 17 luglio 2016

Testo originale

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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Alla maestra, con affetto.

musici

Alla maestra, con affetto

Luglio 2016.

 

Alle maestre del magistero in resistenza:

Alla Sesta Nazionale e Internazionale:

Agli assistenti e partecipanti del CompArte in tutto il mondo:

Compagni, fratelli, eccetera:

 

Ricevete tutte, tuttie, tutti, i nostri saluti e il nostro rispetto. Ci auguriamo che stiano bene di salute e di spirito.

Scriviamo per presentare alcuni video e altri contributi che le basi di appoggio zapatiste avevano preparato per il CompArte.

Sono due video dedicati alle donne in basso e a sinistra, e in particolare alle maestre che lottano. Vediamo:

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“BALLARE UN PENSIERO”

Questo primo video che vi mostriamo è del Caracol de La Garrucha. Si tratta di un ballo chiamato “I Diritti delle Donne”. Come quasi tutto da queste parti, è stato preparato collettivamente sia da uomini che da donne, giovani formati nel sistema d’istruzione autonoma zapatista. Lo hanno creato, provato e preparato le basi di appoggio zapatiste per il CompArte. La spiegazione della maestra della cerimonia dice tutto. Se finite per ripetere il ritornello, è normale. Ma vi diciamo una cosa: quando sarete in grado di, come dice la compagna maestra della cerimonia,“ballare un pensiero”, allora forse riconsidererete l’idea che le Arti vengano solo dall’alto e che in basso si trovi solo “l’artigianato”.

Il valore della danza non è solo quello che vedranno e sentiranno, ma è nella sua genealogia: la zona della Selva Tzeltal, la cui Giunta di Buon Governo si trova ne La Garrucha, è stata l’ultima a inserire le donne in incarichi organizzativi. E, così come dice la danza o la coreografia o come si chiami, cominciarono alcune (due o tre, se non ricordiamo male). Le altre compagne si sono aggiunte in tutti gli incarichi dopo, sì, ma non perché gliel’hanno detto gli uomini, o per ordine delle autorità, o per la consapevolezza che una volta hanno cercato di imporre, quando eravamo “famosi”, vari gruppi femministi. Sono state le stesse donne zapatiste a spiegare, convincere e unirsi.

Quindi questa è la sfida: ballate un pensiero e poi ne parliamo.

Il video è del mese di aprile del 2016, ed è stato prodotto da “Los Tercios Compas”. Copyleft: Giunta di Buon Governo eccetera.

/ Barzelletta di genere: un rappresentante della sezione “Sotterranea” dei “Terzi Compagni”, scese fino a dove, sottoterra, male riposava il defunto SupMarcos e gli mostrò il video. Il defunto fece solo una smorfia di dolore e disse: “lascia perdere la danza, il vero problema è la realtà”. Dopo, vedendo come ogni compagna che si unisce alla danza, spinge gli uomini indietro, e prende il suo posto davanti, scosse la testa in segno di disapprovazione e, prima di tornare al suo sogno non eterno, disse “non ci sono più i valori”… /

https://www.youtube.com/watch?v=8Ne75EaitbU&feature=youtu.be

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“LAS MUSIQUERAS”

Il prossimo video non è completo. È solo una parte di meno di un minuto perché… perché… beh, a causa di problemi tecnici. Parlando tra di noi ricordiamo: nelle feste e celebrazioni di prima (diciamo più di 22 anni fa), le donne ballavano e basta. Non si vedevano suonare nessuno strumento. Inoltre, non gli veniva nemmeno in mente la possibilità che le donne potessero fare più musica che canzoni di chiesa. Quindi guardate e ascoltate la storia della lotta che c’è dietro a questa ranchera-corrido-ballata-cumbia-norteña. Non è nel video, ma quando abbiamo chiesto alle responsabili di chiamare il gruppo musicale di fare il video, si sono dette tra loro “capito, cerca le musiqueras che le vogliono fare delle foto”.

Se sono riusciti a ballare un pensiero, forse possono scoprire la genealogia che sta dietro a quei passamontagna, la storia che imbraccia il violino come se imbracciasse uno scudo, e che brandisce la tromba per quello che è: una spada.

La canzone è di un collettivo del villaggio “OSO”, MAREZ “Lucio Cabañas”, Caracol della zona Tzotz Choj, que include tzeltales, tzotziles e tojolabales, e che si chiama “Le Nostre Richieste”. Il video è del mese d’aprile del 2016 ed è stato prodotto da “Los Tercios Compas”. Copyleft o come si dice, ecco.

https://www.youtube.com/watch?v=9kRXRheLhy0&feature=youtu.be

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Ecco, compagni e non. Questo è quanto per questa volta. All’improvviso, forse, può essere, chissà, magari, un altro giorno vi daremo altri esempi, con foto e video, di quel che sarebbe stata la nostra partecipazione al CompArte. E non sappiamo, magari, chissà, forse, vi diremo di qualche sorpresa imminente.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.      Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, luglio 2016.

DAL QUADERNO DI APPUNTI DEL GATTO-CANE:

Conversazione catturata dal sistema satellitare interstellare “Pozol’Sistems” nel mese di luglio del 2016, in coordinate cifrate, ma, sì, si sapeva che era in Chiapas, Messico, America, Pianeta Terra in via di estinzione. Audio difettoso, è impossibile determinare se è un uomo che parla, o una donna, unoa otroa, o un animale, un vegetale o un minerale:

“I maestri”, “i dirigenti”, “i capi”, sì… “I” puri. E dove stanno i “le”? Ci sono. E non sono poche. No, non conosco il numero esatto. Ti pare che stia contando? Eh? Quante circa? Se non è un concorso di popolarità, buono. Voi sempre fissati con le quantità, e finite per contare i like, i pollici in su, le visualizzazioni, i seguaci, gli abbonati, gli affiliati, le schede contrassegnate… fino a quando la realtà chiede i conti. Sì, ma è che mi incoraggia la sua logica di sincerità e correttezza. Se fosse per voi, la merda sarebbe candidata e il suo motto sarebbe “milioni di mosche non possono sbagliare”. Eh? Sì, vero, già è così. Ma, guarda, il problema non è quello che dicono, ma quello che smettono di quantificare. Beh, diciamo che, se fosse applicata la parità di genere al movimento magistrale e popolare, non sarebbe soddisfatta. Ci sono più “lei” che “lui”. E già che ci siamo, perché non si parla di lie e luei? Ci sono anche loro. Eh? Sì, popolare, cioè che non è solo dei maestri. Vada a vedere, allora, perché voi dite che sono vandali, criminali, e poco ci mancia che li chiamiate “terroristi”. Vada a vedere la signora del mercato, quella delle tortillas, la gente comune. Sì, le persone che si spaccano la schiena ogni giorno, a ogni ora, per ottenere il necessario per vivere male. Sì, non solo sostengono i maestri, anche loro chiedono giustizia, libertà, democrazia, buon governo. Eh? Zapatisti? Non so, ma sono nei loro caracoles, se vuole vada a chiedere. Io le parlo del blocco, che più che un blocco è un accampamento popolare. Cosa? Le dà fastidio la parola? Ah, sì, certo, la sua ossessione per il “populismo”. Tra l’altro, senta, che ridicolo quel che è andato a fare il suo capo lì con i gringos… Canada? Fa lo stesso, la geografia non altera il risultato. Chi è citrullo da un lato, lo è anche dall’altro. Ah, nulla contro il grande capo, preciso, quello che paga? Beh, di per sé io le sto parlando delle donne. No, non del movimento dei maestri, ma delle donne. Perché per voi servono solo a… eh? Senza oscenità? Wow, che delicato! Beh, allora, ci sono donne. Sì, alcune sono maestre, alte impiegate, altre casalinghe, o cassettolinghe, perché non mi dica che si possono chiamare “casa” quelle piccole stanze di cartone. Studentesse, sì. Professioniste? Beh, non vado in giro a chiedere il diploma, le credenziali elettorali o cose del genere. Io solo vedo, guardo, sento, ascolto, sento, imparo. Beh, le racconto delle maestre. Ci sono. Sì, anche se le picchiano, le abbattono, le rincorrono. E quante cose che le dicono. E non me l’hanno raccontato, l’ho visto. E le vede per caso arrendersi? No. Neppure svengono, questo significa che non sono abbandonate. No, non sono manipolate da forze diaboliche, né sono parte di un complotto. Sono così, normali. Giovani, quelle del giudizio, anziane. Sì, magre, grasse, medie, e di tutti i colori. Sono diverse, ma si assomigliano, perché sono in basso e sono donne. Guardi, io mi concentro sul loro sguardo. E si vede chiaramente che hanno lo sguardo così, che no, non più, solo fin qui, ora basta. Perché? Non lo so, ma credo che sia perché ormai sanno che non sono sole…

In fede.

Guau-Miau.

Testo originale

traduzione a cura di 20zln

 

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CIDECI: IlFestival CompArte si farà.

cideci

I compagni del CIDECI-Unitierra annunciano che il Festival CompArte si farà

San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico, 8 luglio 2016

A tutt@ le/gli artisti che partecipano e assistono al CompARTE:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Sorelle e fratelli:

Vi mandiamo un saluto fraterno da parte di tutte le persone che formano il CIDECI-Unitierra.

Nell’ambito della celebrazione del Festival CompArte convocato da@ nostr@ compagn@ dell’EZLN, ed anche noi convint@ che “le arti sono una speranza per l’umanità…, (e) che è nei momenti più difficili, quando è più forte la delusione e l’impotenza, che le Arti sono le uniche in grado di celebrare l’umanità” (Comunicato EZLN, 6/07/2016), vogliamo comunicarvi che abbiamo proseguito nei preparativi per potere celebrare questa condivisione nei giorni dal 23 al 30 luglio. La nostra comunità del CIDECI-Unitierra tiene le sue porte aperte per ricevere tutte le persone, popoli e collettivi che hanno accolto nel loro cuore l’invito a venire in queste terre a condividere esperienze di arte, lotta e speranza.

Fin dal momento della convocazione al CompArte abbiamo sentito la gioia di apportare il nostro granello di sabbia affinché questo si celebrasse. Contate su tutta la nostra volontà e capacità di accogliervi nel miglior modo possibile. Vi aspettiamo.

Coraggio!

CIDECI-Unitierra

 

P.S. (1) Le/I partecipanti ed assistenti già registrati, potranno ritirare gli accrediti presso il CIDECI-Unitierra a partire dal 18 luglio dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.

(2) Le/Gli assistenti ancora non iscritti, potranno registrarsi direttamente sempre presso il CIDECI-Unitierra, sempre dalle ore 10:00 AM alle ore 8:00 PM.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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IL FESTIVAL CompARTE E LA SOLIDARIETÀ.

baile1IL FESTIVAL CompARTE E LA SOLIDARIETÀ

Come già sapete, abbiamo deciso di sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte. Ovvio che, per chi sappia leggere con attenzione, non abbiamo detto che è sospeso il festival. Semplicemente, quel che abbiamo fatto è avvisare che noi zapatiste e zapatisti non potremo condividere attivamente…

Luglio 2016

Compañeroas della Sexta:

Artisti dei 5 continenti:

Insegnanti in Resistenza:

Come già sapete, abbiamo deciso di sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte. Ovvio che, per chi sappia leggere con attenzione, non abbiamo detto che è sospeso il festival. Semplicemente, quel che abbiamo fatto è avvisare che noi zapatiste e zapatisti non potremo condividere attivamente. E perciò, a chi pensava a questo e la qual cosa lo porta a non partecipare, dicevamo quindi di scusarci perché lo sappiamo che ha affrontato delle spese. Nessuno deve dare ordini alle Arti. Se c’è un sinonimo di libertà, forse l’ultimo appiglio di umanità in situazioni limite, sono le arti. Noi zapatiste e zapatisti non possiamo, né dobbiamo, né ci è minimamente passato per la testa, dire alle lavoratrici e ai lavoratori dell’arte e della cultura quando debbano creare e quando no. O peggio ancora, imporre loro un tema e replicare, ora con l’alibi dei popoli originari in ribellione, “rivoluzioni culturali”, “realismi” o altre arbitrarietà che nascondono soltanto un commissario e poliziotto che determina quale sia la “buona arte” e quale no.

No, sorelle, fratelli e sorelli artisti. Per noi zapatiste e zapatisti le arti sono una speranza dell’umanità, non una cellula militante. Pensiamo invece che nei momenti più difficili, quando cresce la disillusione e l’impotenza, le Arti siano le uniche capaci di celebrare l’umanità.

Per noi zapatiste e zapatisti voi, insieme alle scienziate e scienziati, siete tanto importanti che non immaginiamo alcun domani senza la vostra opera.

Ma questo sarà il tema di una qualche lettera successiva.

Quel che ora vogliamo è assolvere a un impegno verso di voi. Perché dal 15 giugno 2016, data finale per la registrazione, avevamo preparato un resoconto per comunicarvi come sarebbe stato il Festival CompArte. Disgraziatamente, la situazione nazionale si è fatta tesa (a causa dell’irresponsabilità del bambino con la scatola di fiammiferi che sta nella SEP) e lo abbiamo posposto finché è arrivata la decisione che vi abbiamo già trasmesso.

In ogni caso, è bene che sappiate come sarebbe stato il CompArte. In forma sintetica:

Si sono registrati 1127 artisti nazionali e 318 di altri paesi.

Gli artisti nazionali sono originari di:

Aguascalientes Baja California Baja California Sur Campeche Chiapas Chihuahua Colima Coahuila Ciudad de México (Ex DF) Durango Estado de México Guanajuato Guerrero Hidalgo Jalisco Michoacán

Morelos Nayarit Nuevo León Oaxaca Puebla Querétaro Quintana Roo San Luis Potosí Sinaloa Sonora Tabasco Tamaulipas Tlaxcala Veracruz Yucatán Zacatecas

Le artiste e gli artisti di altri paesi sono originari di:

EUROPA Germania Belgio Danimarca Scozia Slovenia Stato spagnolo Finlandia Francia Grecia Olanda Inghilterra Irlanda Italia Norvegia Portogallo Russia Svizzera

AMERICA Argentina Brasile Canada Cile Colombia Costa Rica Cuba

Ecuador El Salvador Stati Uniti Guatemala Honduras Nicaragua Perú Porto Rico Trinidad e Tobago Uruguay Venezuela

ASIA Cina Iran Giappone Russia Taiwan

AFRICA Marocco Repubblica del Togo

OCEANIA Australia Nuova Zelanda

L’artista partecipante di maggiore età è un cantautore sugli 80 anni, anche se ne dimostra molti meno (di niente, Oscar), le cui canzoni che riscattano la cultura popolare e le sue parodie musicali (che sono superate soltanto dalla realtà) risuonano ancora nelle montagne zapatiste e, forse, anche nei luoghi in cui resistono gli insegnanti.

Gli artisti partecipanti di minore età sono: un bambino di 6 anni, che balla il son jarocho con il Collettivo Altepee; il Coro di bambini del Huitepec, le cui età vanno dai 3 agli 11 anni; una bambina, di dieci anni, che suona il cajón de tapeo con la Banda Mixanteña di Santa Cecilia: e una bambina, di dieci anni, che suona il piano.

ATTIVITA’ ARTISTICHE DA CONDIVIDERE:

ARTI SCENICHE:

BALLO FLAMENCO BALLO TANGO CIRCO CLOWN CANTASTORIE DANZA DANZA AEREA DANZA CONTEMPORANEA DANZA FOLCLORISTICA READING DI POESIA

LIMA-LAMA MAGIA GIOCOLERIA MARIONETTE PAGLIACCI PERFORMANCE TEATRO TEATRO D’OMBRE TEATRO SENSORIALE BURATTINI

ARTI PLASTICHE (O VISUALI):

ALEBRIJES ARCHITETTURA RICAMO CARICATURA POLITICA CARTAPESTA COLLAGE FUMETTO RACCONTO GRAFICO DISEGNO DISEGNO GRAFICO IMPAGINAZIONE SCULTURA FOTOGRAFIA FOTOGRAFIA IN 3D INCISIONE

GRAFFITI ILLUSTRAZIONE INSTALLAZIONE EFFIMERA INTERVENTO SULLO SPAZIO LIUTERIA MASCHERE PITTURA PINTURA CORPORALE PITTURA DI VASI PITTURA MURALE SERIGRAFIA STENCIL TATUAGGI

AUDIOVISIVE:

AUDIORACCONTI CINEMA DOCUMENTARIO FOTOGRAFIA DIGITALE

VIDEO VIDEO DOCUMENTARIO VIDEOCLIP VIDEOSCULTURA

MUSICA:

BANDA DI FIATI BEAT-BOX BLUES BOLERO BOSSANOVA CANZONI DI PROTESTA CHILENAS CUMBIA DUB ETNOROCK FUSION GITANA HIP-HOP JAZZ MUSICA AFRICANA MUSICA DI CONCERTO ARPA PIANO VIOLINO TUBA FLAUTO CHITARRA LIUTO MUSICA DI GAITA MUSICA DI HANG MUSICA DI HOMPAK MUSICA DI ORGANETTO MUSICA TRADIZIONALE PUNK OPERA RAP REGGAE ROCKABILLI ROCK ALTERNATIVO SKA SON CUBANO SON JAROCHO SWING TROVA

ALTRE ATTIVITA’ LABORATORI (DI QUASI TUTTO QUEL CHE SI PRESENTERA’)

Bisogna fare il CompArte? Ebbene, rispondere a questa domanda tocca a voi. E rispondere anche come, quando e gli eccetera di rito. Pensiamo che, se siete capaci di meravigliare il mondo con quel che fate, potrete ben organizzarvi per celebrare l’umanità dinanzi al sistema.

Noi zapatiste e zapatisti abbiamo sospeso (non cancellato) la nostra partecipazione. Pensiamo, crediamo, abbiamo la speranza che verranno giorni più limpidi in cui potremo farlo. Non sappiamo quando, magari per il compleanno del Congresso Nazionale Indigeno. Ma non vogliamo prendere impegni perché poi magari…

Il CompArte Zapatista

Tuttavia, approfittando che siamo in tema, vi informiamo anche su come sarebbe stata la nostra condivisione artistica. Be’, forse è meglio che vi raccontiamo questo: il Comandante Tacho ci ha detto, parola più parola meno: “C’è un compagno che ha fatto una canzone, cioè che l’ha fatta in tutto e per tutto, cioè il testo e la musica. E nel suo villaggio hanno fatto un gruppo musicale. Quando c’era la selezione nel caracol de La Realidad cioè dove vedevamo quanto fatto dai villaggi e man mano si selezionava chi sarebbe andato a Oventik, ho ascoltato la sua canzone sul tema della resistenza. Sia come sia, sup, questo compagno era appena un bebè quando ci siamo sollevati nel 1994 e spiega la resistenza meglio di me con la sua canzone. Quasi non sapevo se applaudire o prendere il quaderno degli appunti. Ora sì che affilano il rasoio”. Il Comandante Zebedeo ci racconta anche: “un compagno mi si è avvicinato e mi ha detto che la situazione è bella incasinata, che lui credeva che forse non si farà perché i maestri sono sotto forte attacco. Ma che lui è contento perché, ha detto, “io non sapevo di poter cantare, ora invece so di poter cantare e fare persino le mie canzoni in cui racconto del nostro modo di essere zapatisti. Anche se non ci sarà il festival, sono contento. E poi, magari stavolta no, però niente niente un’altra volta sì”.

E se voi, artisti, compagni della Sexta, cercate di immaginarvi come sarebbero state le partecipazioni artistiche zapatiste, allora qui vi mettiamo un video. Magari un altro giorno ne metteremo altri, o foto, perché ‘sta roba di internet ci dà del filo da torcere. Il balletto è creato da un collettivo della Zona de Los Altos, nel Caracol di Oventik. Non sappiamo se si dice balletto o coreografia, ma si chiama resistenza e la musica è un mix del pezzo di Mc Lokoter, “Esta tierra que me vio nacer”, e di un pezzo ska del gruppo spagnolo che si chiama SKA-P, “El Vals del Obrero”. Il significato del balletto lo spiega la maestra di cerimonia. Il video è stato prodotto da “Los Tercios Compas” in una delle presentazioni alla selezione di Oventik, ormai più di due mesi fa (ovvero, non abbiamo sospeso per il fatto di non essere preparati). Eccolo. Saltellare saltellare eh eh!

https://www.youtube.com/watch?feature=player_embedded&v=ijVpIMZAr1w

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Bene, mentre recuperiamo il fiato, vi diciamo, per quanto possibile in dettaglio, il sostegno materiale che, come segnale di solidarietà, rispetto e ammirazione, consegneremo agli insegnanti in resistenza in diversi punti del Chiapas, Messico.

Ma prima…

Avrebbero partecipato artisti tojolabal, zoque, mame, chol, tzetal, tzotzil e meticci dei 5 caracoles, così come escuchas e uditori delle basi d’appoggio zapatiste.

Dal Caracol di Roberto Barrios (zona nord de Chiapas): 254 artisti e 80 escuchas-videntes. Dal Caracol di La Realidad (zona Selva Fronteriza): 221 artisti e 179 escuchas-videntes. Dal Caracol di La Garrucha (zona Selva Tzeltal): 311 artisti e 99 escuchas-videntes. Dal Caracol di Morelia (zona Tzotz Choj): 276 artisti e 88 escuchas-videntes. Dal Caracol di Oventik (zona Los Altos de Chiapas): 757 artisti e 1120 escuchas-videntes. In totale: 1819 artisti e 1566 escuchas-videntes. Totale complessivo: 3385 uomini, donne, bambini e anziani basi d’appoggio zapatiste.

L’Alimentazione come arte della resistenza

I fondi per gli artisti zapatisti variavano a seconda del caracol, perché da alcune parti alcune cose si recuperano a prezzo più caro o più economico. Ma la spesa procapite per l’alimentazione era di 12,08 pesos per artista zapatista al giorno. Tutto quel che si era messo assieme per la nostra partecipazione, contando i 5 caracoles, raggiungeva la quantità di $ 290000,00 (duecentonovantamila pesos nazionali). Chiaro, prima della prossima svalutazione… ehm, sì, scusate, niente spoiler.

Da dov’è uscita la grana? Dalla registrazione all’INE? Dal programma PROSPERA? Dal crimine organizzato o disorganizzato – cioè dal malgoverno? Da qualche ONG? Da una potenza straniera interessata a fomentare le Arti per destabilizzare la “tranquillità” in Messico? No, compagni, la grana è uscita dal lavoro dei collettivi di produzione nei villaggi, regioni e zone, così come dai MAREZ e Giunte di Buon Governo. Ovvero è grana pulita, ottenuta come la ottiene l’immensia maggioranza del popolo del Messico e del mondo: dal lavoro.

E’ tanto o poco?

Be’, il consumo medio GIORNALIERO in alimentazione di un artista zapatista, per esempio di Roberto Barrios, nei sette giorni che sarebbe durata la nostra condivisione è di: 171 grammi di fagioli 50 grammi di riso 21 millilitri di olio 0,02 di sacchetto di minestra 20 grammi di zucchero 8 grammi di sale 1.17 tostada.

Ebbene, e ora che si farà di tutto cio? Cosa doneranno agli insegnanti in resistenza?

La Solidarietà Zapatista

I compagni si sono organizzati per caracol per consegnare il sostegno secondo quanto segue:

Il caracol de La Realidad consegnerà agli insegnanti in resistenza quanto segue: 570 chili di fagioli 420 chili di riso 350 chili di zucchero 15 litri di olio 21 chili di sapone 21 chili di sale 28 chili di caffè 1571 chili di mais non transgenico 840 chili di tostadas 400 chili di pinole 5 recipienti per cucinare 5 mestoli 5 contenitori 4 cassette di medicinali

Una commissione del caracol di La Realidad consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Comitán, Chiapas, il 9 luglio 2016 alle…be’, quanto ci staranno ad arrivare.

IL caracol di Roberto Barrios consegnerà: 400 chili di fagioli 250 chili di riso 125 chili di minestra 24 chili di sale 24 litri di olio 15 chili di caffè 10 chili di sapone 3 chili di peperoncino 10 chili di cipolle 30 chili di pomodori 50 chili di zucchero 320 chili di pinole 620 chili di tostadas 1000 chili di chayote, patate dolci, yucca e banane.

Una commissione del caracol di Roberto Barrios consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Playas de Catazajá, Chiapas, il giorno 8 luglio 2016. E’ già andata una commissione e si sono già messi d’accordo con i maestri di lì per la consegna.

Il caracol di La Garrucha consegnerà: 300 chili di fagioli 150 chili di riso 150 chili di zucchero 20 chili di caffè 15 chili di sale 1 cassa di sapone 60mila tostadas.

Una commissione del caracol di La Garrucha consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, il giorno 9 luglio 2016.

Il caracol di Morelia consegnerà: 1044 chili di mais non transgenico 500 chili di fagioli 300 chili di riso 250 chili di zucchero 25 chili di sale 1 cassa di sapone 25 chili di caffè 1 cassa d’olio.

Il caracol di Oventik consegnerà: 114584 tostadas (circa 300 chili) 1475 chili di fagioli 672 chili di zucchero 456 sacchetti di minestra (circa 97 chili) 206,5 chili di riso 68 chili di caffè 5 chili di pinole 48,5 chili di sale 12,5 litri d’olio 21 chili di pomodori 10 chili di cipolla 165 chili di verdura 20 chili di the.

Una commissione dei caracoles di Morelia e Oventik consegnerà tutto ciò agli insegnanti in resistenza a Tuxtla Gutiérrez, Chiapas, il giorno 10 luglio 2016. La tostada non sarà consegnata tutta d’un botto perché è tanta e ammuffirebbe. Meglio prima un po’ e poi un altro po’.

In totale, i 5 caracoles consegneranno circa 10 tonnellate di alimenti di valore approssimativo di 290mila pesos messicani.

-*-

Così stanno le cose, compagni della Sexta e artisti e insegnanti in resistenza.

Orbene, se ci chiedete a noi zapatiste e zapatisti che ne pensiamo di com’è se venite o non venite, chiaramente vi diciamo: venite. Il Chiapas è bello. E ora è ancora più bello con la resistenza degli insegnanti che fiorisce per i cammini, le strade, le autostrade e le comunità.

Vi chiedete se, già che siete qui, potete farvi un giro nei caracoles? Certo che si può fare. Ma all’entrata, questo sì, vi chiederanno: “siete già andati a trovare i maestri in resistenza?”

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, luglio 2016

Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/07/07/il-festival-comparte-e-la-solidarieta/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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EZLN: Le lezioni di giugno.

2 sup

Una decisione difficile. Noi zapatiste e zapatisti pensiamo che è talmente importante il sostegno agli insegnanti, che abbiamo deciso… di: Sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte, sia nel caracol di Oventik che nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, che si sarebbe celebrato tra i giorni 17 e 30 luglio 2016…. e…. Donare agli insegnanti in resistenza i soldi e gli alimenti che avevamo messo da parte e accumulato per il nostro trasferimento a Oventik e al CIDECI, per la nostra manutenzione durante il festival e per il ritorno alle nostre comunità.

Le lezioni di giugno

Luglio 2016

Compagne, compagni e compagnei della Sexta in Messico e nel mondo:
Artisti dei cinque continenti:
Insegnanti in resistenza:

Riceviate tutti, tutte, tuttei, il saluto che vi mandiamo insieme alle comunità indigene zapatiste. Vi scriviamo questa lettera per parlarvi di ciò che abbiamo visto e ascoltato nel passato mese di giugno e per comunicarvi una decisione che abbiamo preso come zapatisti che siamo. Ecco.

Le lezioni di sopra

Nel mese di giugno, in una manciata di settimane, è stata impartita una vera lezione cattedratica che ci insegna e ci educa.

Si è messo a nudo, una volta di più, il carattere dello Stato in Messico: per ciò che si riferisce alla cosiddetta “Legge 3 di 3”, non appena i capitalisti hanno schioccato le dita, tutti i poteri istituzionali sono corsi a correggere ciò che non era gradito al loro padrone. Non soddisfatti di sapere che comandano, i grandi signori del denaro hanno mostrato, a chi volesse vederlo, chi decide realmente. Dalla Colonna dell’Indipendenza (per prendersi meglio gioco di ciò che rappresenta), con giacche e cravatte di marche esclusive, un pugno di padroni ha manifestato per dare una lezione di politica moderna. “Noi comandiamo” hanno detto senza parole, “non ci piace quella legge. Non abbiamo bisogno di morti, né di fare cortei, né di subire botte, umiliazioni, carcere. Non abbiamo nemmeno bisogno di manifestare. Se ora ci mostriamo è solo per ricordare a tutti i politici qual è il loro posto, a quelli che sono al governo e a quelli che aspirano a esso. E al proletariato, be’, solo perché si renda conto di quanto disprezzo ci causa”. Poi è successo quel che è successo: la legalità del sistema (chi la fabbrica, chi la pone in atto e chi la sanziona) ha mostrato la sua ragion d’essere: in una manciata di ore, le “istituzioni” governative hanno fatto a gara per chiedere scusa e cercare di rimediare al fastidio dei grandi signori. Come capoccia lesti nel servire i padroni, i governi si sono prostrati e hanno macchinato perché la legge si adeguasse ai disegni del sistema. “Nemmeno l’abbiamo letta”, balbettavano i legislatori mentre facevano la riverenza e si discolpavano servilmente.

Ma quando invece gli insegnanti in resistenza, e le comunità, movimenti, organizzazioni e persone che li appoggiano, hanno chiesto l’abrogazione della riforma educativa (in realtà è soltanto la piattaforma per la precampagna presidenziale dell’aspirante al ruolo di informatore di polizia, Aurelio Nuño), il, governo e i suoi padroni si sono detti disposti a tutto (cioè a usare la forza) per difendere “la legalità”. Con un’aura più isterica che storica, hanno rimarcato che la legge non si negozia. E lo hanno dichiarato poche ore dopo essersi umiliati dinanzi al potere del denaro… per negoziare la modifica di una legge.

Non si sono fatti scrupolo d’insistere nell’arbitraria imposizione di una riforma educativa che nemmeno hanno letto. Sarebbe bastato che avessero dato una lettura attenta perché si rendessero conto che di educativo non ha nulla. Non cessa di essere patetico che la classe politica, e i media che la accompagnano, dicano che difendono l’istituzionalità, le leggi e la giustizia, mentre si esibiscono impudicamente.

A giugno la lezione di sopra è stata chiara e cinica: in Messico il capitale comanda, e il governo obbedisce.

Le lezioni di sotto

Dal canto loro, le maestre e i maestri aggregatisi intorno al Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE), così come le famiglie e comunità che li appoggiano, hanno dato anche loro lezioni nei cammini, nelle strade e autostrade del Messico di sotto.

In poche settimane hanno smontato tutta la scenografia costruita dalla classe politica, dopo vari anni e con molti soldi, per mascherare, sotto il nome di “Patto per il Messico”, la nuova guerra di conquista che si sintetizza nelle cosiddette “riforme strutturali”.

Il degno movimento di resistenza degli insegnanti ha anche posto in evidenza la profonda decomposizione delle istituzioni governative federali, statali e municipali. La corruzione, l’inefficacia e la goffaggine governative non si possono più occultare dietro il maquillage che, servili, forniscono i media prezzolati e le reti sociali manipolate con la stressa imperizia con cui governano.

Per cercare di manipolare il “malumore” sociale e dirigerlo contro l’insegnamento democratico, i governi e i grandi mezzi di comunicazione prezzolati hanno montato un’impressionante (e inutile) campagna di calunnie e menzogne: i poveri non hanno benzina, birra, bevande, dolci e leccornie, pane quadrato, e il tutolo tostato che viene venduto come “farina di mais”. E la colpa è dei maestri. Ma non perché non si adeguano, ma perché non sono grandi proprietari.

Almeno qui in Chiapas, il presunto esaurimento di benzina non è stato che una sfacciata speculazione degli imprenditori del ramo, che sapevano che il prezzo sarebbe salito il venerdì e dal martedì hanno iniziato a mettere in giro voci, sulle reti sociali, di scarsità. Alle pompe di benzina, curiosamente, c’era solo il combustibile chiamato diesel, che è quello che non sarebbe aumentato di prezzo. I distributori hanno detto che c’era, ma “il padrone ha detto di razionarlo e poi di mettere i cartelli che non ce n’è. E hanno messo mano alle pompe, cosicché i litri non fossero litri ma meno. Ma questa è roba di prima, anche di quando non c’erano blocchi stradali”.

Allo stesso modo, la scarsità di alimenti e prodotti deperibili si è data soltanto nei grandi supermercati. Nei mercati popolari si continuava a offrire frutta, legumi, mais, fagioli, riso, carne, uova, senza che fossero aumentati i prezzi. Certo, sono iniziati a scarseggiare prodotti come le bibite gassose in bottiglia, le sigarette, le birre e i liquori, così come ciò che si conosce comunemente come “cibo-spazzatura”.

Gli “interessi dei terzi” a cui si riferisce il governo quando dice che sono colpiti, sono né più né meno gli interessi delle grandi imprese del capitale commerciale.

Mentre i governanti, i media e le reti sociali che li accompagnano si sgolavano a dire che il movimento degli insegnanti era soltanto negli stati più poveri, la cui arretratezza sociale è ovviamente colpa della CNTE, è successo che a Monterrey, Nuevo León, migliaia di maestre e maestri abbiano preso, non una ma varie volte, le strade di quella che in altri momenti fu la tana del grande capitale nazionale, e hanno chiesto l’abrogazione della riforma educativa.

Quando gli insegnanti in resistenza hanno deciso di aprire i blocchi ad auto singole, mezzi pubblici, autobotti e trasporti locali, ma non ai camion delle grandi imprese, i capoccia hanno ruggito furiosi, hanno minacciato esigendo che lasciassero passare le merci che alimentano il grande capitale, seppure non transitasse “la plebe”.

E nei media prezzolati: grande diffusione per gli aerei della SEDENA usati come camion distributori di Maseca (non di mais), con cui iniziava il volo la precampagna di José Antonio Meade per sostituire Aurelio Nuño come precandidato presidenziale; mentre si occultava che altri aerei Hércules trasportavano blindati antisommossa e truppe della polizia federale in Chiapas e Oaxaca… e Guerrero… e Michoacán… e Tabasco… e Nuevo León?

Ah, la ribelle geografia della ribellione!

No. A quelli di sopra non interessano né l’educazione né i bambini. Suvvia, nemmeno la presunta riforma educativa interessa loro. Né il triste poliziotto che spaccia nella Segreteria di Educazione Pubblica, né alcuno dei legislatori che hanno votato la riforma, l’ha mai letta. E quando i maestri dicono loro che il tale o talaltro articolo è lesivo, se ne vanno nervosi dai loro consiglieri e guardaspalle, non solo perché non sanno cosa dicano tali articoli, ma anche perché non sanno che significhi la parola “lesivo”. L’unica cosa che importa loro è mettersi in fila per la successione, è vedere a chi tocca la candidatura presidenziale nel PRI o nel resto dei partiti politici.

Ma nonostante le minacce, le botte, la prigione e l’indignante massacro di Nochixtlán, Oaxaca, i maestri e le maestre resistono. Ma non più soli.

Quando ci si sarebbe aspettati che, dopo una minaccia, diminuisse la presenza di persone nei blocchi e nei picchetti, quel che succede è che… arrivano più maestri… e gente dei quartieri, delle colonie, dei villaggi e delle comunità!

Così, gli insegnanti in ribellione e il popolo che li appoggia, hanno concluso la loro lezione pubblica, gratuita e laica del mese di giugno e ci hanno dato una lezione più completa: in Messico il capitale comanda e il governo obbedisce… ma il popolo si ribella.

La cosa più importante

Quando, come zapatisti che siamo, diciamo che rispettiamo un movimento, vuol dire proprio questo: che lo rispettiamo. Vuol dire che non ci immischiamo nei suoi modi e tempi, nella sua struttura organizzativa, nelle sue decisioni, strategie e tattiche, nelle sue alleanze e decisioni: tutto ciò che sta nel valutare e decidere chi lo forma.

Che votino o no, che si alleino o no con partiti politici, dialoghino o non dialoghino, negozino o non negozino, si accordino o non si accordino, siano credenti o atei, magri o grassi, alti o tarchiati, belli o brutti, meticci o indigeni. Li appoggiamo perché la loro lotta è giusta. E il nostro sostegno, anche se piuttosto limitato, è incondizionato. Ovvero, non ci aspettiamo niente in cambio.

Sfortunatamente, per nostra essenza come EZLN, la maggior parte delle volte il nostro sostegno non può andare oltre la parola, e non sono poche quelle che devono essere in silenzio. Nel caso degli insegnanti in resistenza, hanno già abbastanza accuse e pressioni, perché ora li accusino di essere “manovrati” o “infiltrati” da organizzazioni politico-militari.

Perciò lo sappia bene tutto lo spettro politico: tutto ciò che hanno ottenuto gli insegnanti in resistenza è stato, ed è, attraverso il proprio impegno, le proprie decisioni e la propria perseveranza. Sono essi, i maestri di gruppo, ad aver spiegato la loro lotta, ad aver parlato in assemblee comunitarie, in quartieri e colonie, ad aver convinto. A differenza di altre mobilitazioni, ora gli insegnanti si sono voltati a guardare verso il basso e verso di qua hanno rivolto il loro sguardo, il loro udito e la loro parola. E’ stata la loro resistenza a convocare in appoggio voci tanto distanti le une dalle altre. Be’, almeno così è stato, ed è, in Chiapas. Al posto di calunniare o dare la loro nuova versione della “teoria del complotto”, i servizi d’intelligence (seh!) governativa, così come i mezzi di comunicazione che si nutrono di essi, dovrebbero apprendere dalle lezioni delle maestre e dei maestri.

Le nostre limitazioni economiche (prodotto della nostra ribelle resistenza, non dei blocchi stradali degli insegnanti) ci impediscono, al momento,di mandare alle maestre e ai maestri, e alle comunità che li sostengono, qualcosa di sostanzioso (per esempio, mais e non maseca) che allevi le difficili condizioni nelle quali resistono a tutte le guerre contro di loro.

Tantomeno possiamo fare grandi mobilitazioni, perché non abbiamo sovvenzione economica istituzionale, e ogni movimento, seppure minimo o simbolico, dobbiamo suffragarlo con la nostra limitatissima economia.

Sì, lo sappiamo. Ora ci potete dire lo slogan che “Questo sostegno non si vede”. Ma noi zapatiste e zapatisti non vogliamo che si veda, né che votiate per noi, né che vi affiliate, né che ingrossiate la lista di sigle in cui solitamente si convertono i “fronti” e “frontelli”, né che ci “paghiate” in qualche modo. Tantomeno esigiamo o ci aspettiamo “reciprocità”.

Noi zapatisti e zapatiste vogliamo solo che le maestre e i maestri sentano che li rispettiamo, che li ammiriamo e che siamo attente e attenti, prendendo appunti sulle lezioni che stanno dando.

Pensiamo che si debba continuare a resistere. E oggi, in questa geografia e in questo calendario, la resistenza ha il volto, la decisione e la dignità degli insegnanti in ribellione.

Per dirlo più chiaramente: per noi zapatiste e zapatisti la cosa più importante ora, in questo calendario e dalla limitata geografia nella quale resistiamo e lottiamo, è la lotta dell’insegnamento democratico.

La lezione dei popoli originari

Chissà che si imponga il dialogo con rispetto e verità, e non come simulazione che nasconde i preparativi per nuove misure repressive. Chissà che si dia senza le bravate e i pugni sul tavolo cui va affetto chi crede di comandare.

Chissà che il gruppo governante, il grande capitale e i media che li accompagnano e servono smettano di giocare a gettare fiammiferi accesi nella prateria che hanno seccato con le loro politiche, corruzioni e menzogne.

Chissà che quelli che stanno sotto smettano di pensare che la tormenta spegnerà il fuoco che essi, e nessun altro, si impegnano a ravvivare. Chissà che finiranno per vedere che la tempesta finirà per affogare anche loro e che, allora, non ci sarà editorialista di stampa scritta o elettronica, né hashtag, né rete sociale, né programma televisivo o radiofonico che gli serva da salvavita.

Chissà, ma per nostra esperienza no, non sarà così.

I popoli originari, i compagni e fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, lo hanno già stabilito chiaramente nel segnalare che parliamo dalla tempesta.

“Dalla tempesta”, queste sono state le parole scelte dalle nostre sorelle e dai nostri fratelli nel dolore, nella rabbia, nella ribellione e nella resistenza, che si chiamano in comune Congresso Nazionale Indigeno. Con quelle sole tre parole, il CNI ha dato una lezione di calendari e geografie ignorati dalle reti sociali, dai media prezzolati e liberi, e dagli intellettuali progressisti. Noi zapatiste e zapatisti abbiamo sentito che tali parole erano anche le nostre e perciò abbiamo chiesto al Congresso Nazionale Indigeno di firmare insieme.

Perché per noi popoli originari le minacce, le menzogne, le calunnie, le botte, il carcere, le sparizioni e gli omicidi sono parte della quotidianità da anni, lustri, decadi, secoli. Perché quel che ora stanno soffrendo gli insegnanti in resistenza, noi popoli originari, e i nostri quartieri, nazioni e tribù, lo stiamo soffrendo senza che nessuno, eccetto la Sexta, si volti a guardare.

Perché da tempo, dai nostri campi, valli, montagne, noi popoli originari abbiamo visto e conosciuto quel che sarebbe venuto per tutti, per tutte, per tuttei. Anche per chi ci guarda con disprezzo, o come oggetti di scherno o elemosina (è lo stesso), o come sinonimo di ignoranza e arretratezza, e anche per chi, a corto di vocabolario e d’immaginazione, riprende la parola “indio” come insulto.

A tutte, tutti, tuttei, diciamo: se prima non lo avete visto, guardatelo ora. Guardando e ascoltanto ciò che fanno contro le maestre e i maestri, pensate “dopo tocca a me”.

Perché dopo i lavoratori dell’educazione di base, toccherà ai pensionati, a quelli del settore della sanità, ai burocrati, ai piccoli e medi commercianti, ai trasportatori, agli universitari, a quelli dei mezzi di comunicazione, a tutti i lavoratori della campagna e della città, indigeni o non indigeni, rurali o urbani.

Forse questa è la conclusione a cui giungono le famiglie che, senza appartenere a organizzazioni, partiti o movimenti, appoggiano gli insegnanti. E’ perché si dicono “dopo tocca a me”, che si dà il sostegno popolare ai maestri. Non importa quanto si contorca e gesticoli Aurelio Nuño vociferando che i maestri in resistenza attentano contro tali famiglie e contro i loro figli. Queste famiglie appoggiano il movimento degli insegnanti. E continueranno a farlo, sebbene i media e la macchina prezzolata nelle reti sociali si sforzino, inutilmente, a farsi eco dei poveri argomenti che camuffano la repressione in marcia.

Come se la lezione di sotto, senza volto né sigle, fosse: “Se là sopra il tempo è finito, qua sotto quel che è finito è la paura”.

Una decisione difficile

E’ il tempo delle maestre e dei maestri in resistenza. E’ necessario e urgente stare con loro.

Durante lunghi mesi e in condizioni estremamente difficili, le basi d’appoggio zapatiste si sono preparate, hanno provato più e più volte, e hanno creato espressioni artistiche che, forse, avrebbero sorpreso più di uno, una, unoa, per il festival CompArte.

Ma noi zapatiste e zapatisti pensiamo che è talmente importante il sostegno agli insegnanti, che abbiamo deciso…

Primo. – Sospendere la nostra partecipazione al festival CompArte, sia nel caracol di Oventik che nel CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, che si sarebbe celebrato tra i giorni 17 e 30 luglio 2016.

Secondo. – Donare agli insegnanti in resistenza i soldi e gli alimenti che avevamo messo da parte e accumulato per il nostro trasferimento a Oventik e al CIDECI, per la nostra manutenzione durante il festival e per il ritorno alle nostre comunità.

Terzo. – Ai 1127 artisti di tutti gli angoli del Messico, e ai 318 artisti di altri paesi (tra i quali si contano provenienti da America, Europa, Asia, Africa e Oceania) registrati per il CompArte chiediamo sinceramente di scusarci e di capirci. Sappiamo che non sono poche né le spese né lo sforzo che vi sono costate, oltre ad aver dovuto adeguare le vostre agende, per venire a condividere le vostre creazioni con noi zapatiste e zapatisti. Speriamo che ciò che ora resta in sospeso possa essere celebrato più avanti. Speriamo che comprendiate che è una valutazione etica ad averci portato a questa decisione. Abbiamo analizzato tutte e ciascuna delle opzioni e siamo giunti alla conclusione, erronea o no, che questa sia una maniera di sostenere la lotta delle maestre, dei maestri e delle comunità. Perché non siamo disposti a essere crumiri o a contendere agli insegnanti un protagonismo che si sono guadagnati con dolore e rabbia.

Vi chiediamo rispettosamente che, nella misura delle vostre possibilità, modi e tempi, inalberiate la vostra arte con le maestre e i maestri in resistenza, nelle loro attività, picchetti, cortei, meeting e dove il Coordinamento Nazionale di Lavoratori dell’Educazione e il suo senso artistico giudichino pertinente.

Chiediamo anche allei compagnei della Sexta che, in base alle proprie possibilità, calendari e geografie, creino gli spazi e le condizioni affinché le Arti e la loro sfida irriverente di immaginare altri mondi, possano celebrare l’umanità, i suoi dolori, le sue gioie, le sue lotte. Perché questo, e non altro, è l’obiettivo di CompArte.

Noi zapatiste e zapatisti staremo nei nostri luoghi, attenti a quel che accade, a quel che si dice e a quel che si tace. Continueremo a guardare con speranza e rispetto tutte e ciascuna delle resistenze che sorgono dinanzi alla macchina depredatrice.

Ora metteremo da parte i nostri strumenti musicali, le nostre pitture, i nostri copioni teatrali e cinematografici, i nostri vestiti per i ballabili, la nostra poesia, le nostre divinazioni (sì, c’era uno spazio per le divinazioni), le nostre sculture e tutto ciò che, pensando a voi, avevamo preparato da condividere.

Metteremo da parte tutto questo ma, come zapatisti che siamo, non riposeremo.

Dalle montagne del Sudest Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, Luglio 2016.

Dal quaderno di Appunti del Gatto-Cane:

Che maniera di irritare e polarizzare tutto un paese! Chi vi consiglia? Gli stessi che hanno detto che avrebbero vinto nelle elezioni statali, che non ci sarebbe stata la Brexit e che, dopo il voto, l’impatto sarebbe stato minore, e che finché la barca va lasciala andare? O gli imprenditori nascosti dietro a “Mexicanos Primero”? Be’, se quelle menti sono quelle hanno fatto la riforma educativa, ora avete una dimostrazione della loro grande capacità di “analisi”. Vi hanno detto che Oaxaca è un tipo di formaggio? Che Chiapas è il nome della tenuta dei Velasco, dei Sabines, degli Albores? Che Guerrero ha i suoi confini marcati dall’autostrada del Sole e dai resort alberghieri? Che nel Michoacán ciò di cui bisogna aver cura è la farfalla Monarca? Che nel Nuevo León non succede nulla? Che Tabasco è un eden? Che i lavoratori della Sanità sopporteranno in silenzio? Che la Nazione intera si limiterà a sfogarsi con hashtag ingegnosi? Be’, a quanto pare state ricevendo lezioni di geografia nazionale: il cognome di Oaxaca è l’”Indomita”; Chiapas è la culla dell’EZLN, è dove il secolo XXI si è avvicinato, dove si è annunciata la fine di un mondo (il vostro), ed è dove la cultura, le scienze e le arti gridano ciò che tacciono i media prezzolati; Guerrero (e il paese intero) si chiama Ayotzinapa; nel Michoacán c’è un posto che si chiama Cherán e un altro che si chiama Ostula; e in tutti i punti cardinali c’è un sotto che non si arrende, che non si vende, che non zoppica. Se non cambiate la Riforma Educativa, almeno cambiate consiglieri. Ah, e dite a quelli di “Mexicanos Primero” che la realtà li ha già valutati: sono bocciati.

In fede.

Grrr, meow.

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/07/04/las-lecciones-en-junio/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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L’ora del poliziotto 4.

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L’Ora del Poliziotto 4.

Dal quaderno di Spoilers del Gatto-Cane.

Giugno 2016.

.- La domanda è: quale sarebbe la metafora più appropriata per il triste e grigio capo aspirante poliziotto?

¿Aurelio Donald Nuño Trump?

¿Aurelio Ramsey Nuño Bolton?

Noi crediamo che, in linea con la sua sete di sangue e la sua viltà, gli si addirebbe di più il secondo.

E proprio come, nella serie televisiva “Game of Thrones”, Ramsey Bolton è divorato dai cani utilizzati in precedenza per attaccare gli altri; i media a pagamento usati da Nuño per calunniare, minacciare e attaccare il magistero in resistenza e le comunità e organizzazioni solidali, si ciberanno di lui nel momento della sconfitta.

Magari domani gli si potrà dire:

Le tue parole spariranno.

La tua casa sparirà.

Il tuo nome sparirà.

Ogni ricordo di te sparirà”

 

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EZLN: Appunti sulla guerra contro i maestri in resistenza.

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EZLN: Appunti sulla guerra contro i maestri in resistenza – (L’Ora del Poliziotto 3)

Giugno 2016.

Dal quaderno di appunti del gatto-cane:

.- Non sappiamo se nel resto del paese, ma almeno in Chiapas, dall’alto, stanno perdendo la guerra mediatica.

Abbiamo visto intere famiglie, nelle zone rurali e urbane, sostenere i maestri. E non intendiamo l’appoggio del tipo “questo pugno sì che si vede”, “el pueblo unido, jamás será vencido” e le parole d’ordine che, nonostante le distanze in calendari e geografie, rimangono le stesse perché, dal basso, continua ad essere fondamentale la solidarietà. Se, nelle precedenti mobilitazioni dei maestri ribelli, la “cittadinanza” (questo termine che nasconde la disuguaglianza) si mostrava stanca e fastidiosa, ora le cose sono cambiate.

Sono sempre di più le famiglie che assistono le maestre e i maestri, che li sostengono nei loro viaggi e le loro marce, che si affliggono quando vengono aggrediti, che gli offrono cibo, bevande e riparo. Sono famiglie che, secondo la tassonomia della sinistra elettorale, sarebbero “imbruttiti” dalla televisione, “sono poveracci”, “sono alienati”, “sono trascinati”, “sono inconsapevoli”. Ma, a quanto pare, la massiccia campagna mediatica contro i docenti che resistono, è fallita. Il movimento di resistenza contro la riforma dell’istruzione è diventato uno specchio per sempre più persone-persone (cioè non quelle delle organizzazioni sociali e politiche, ma la gente comune). Come se si fosse risvegliato un senso collettivo di urgenza nei confronti della tragedia imminente. Come se ogni colpo di manganello, ogni lacrimogeno, ogni proiettile di gomma, ogni mandato di arresto, fossero slogan eloquenti: “oggi ha attaccato lei, o lui; domani sarai tu. ” Forse proprio per questo, dietro ogni insegnante ci sono intere famiglie che simpatizzano con la sua causa e la sua lotta.

Perché? Perché un movimento che è stato ferocemente attaccato su tutti i fronti continua a crescere? Perché, se sono “vandali”, “pigri”, “fannulloni”, “terroristi”, ”corrotti”, “oppositori-del-progresso”, molte persone dal basso, non poche dal mezzo , e persino alcune dall’alto, omaggiano, a volte in silenzio, i maestri che difendono ciò che chiunque difenderebbe?

.- “La realtà è una menzogna”. Così avrebbe potuto intitolarsi la notizia del giornale chiapaneco erroneamente chiamato “Quarto Potere” (un media nostalgico per l’epoca delle tenute e dei signori della forchetta e del coltello) quando “denunciava” che era falsa la festa popolare che, il 9 giugno scorso per le strade di Tuxtla Gutiérrez, capitale dello stato messicano sudorientale del Chiapas, è stata celebrata a sostegno del magistero in resistenza. Parachicos, ballerini, musicisti, costumi tradizionali, persone in carrozzina, marimba, tamburi, fischietti e flauti, il meglio dell’arte zoque e migliaia di persone che omaggiano la resistenza delle maestre e dei maestri. Del “successo” della guerra mediatica contro la CNTE racconta uno striscione che dice “Grazie maestro, per insegnarmi a lottare.” Un altro dichiara: “Non sono un insegnante, ma sono chiapaneco e sono contro la riforma educativa.”

Ma ciò che ha infastidito i direttori del “Quarto Potere” è stato quello che diceva, parola più, parola meno: “Se quel bianco di Velasco lo mettono a governare nel deserto, tra un paio di mesi scarseggerebbe la sabbia”.

.- Beh, a più di 3 anni dalla promulgazione della presunta “riforma scolastica”, il signor Nuño non è ancora capace di presentare alcun argomento educativo, neppure minimo, a favore del suo “programma personale di aggiustamento”. I suoi argomenti sono stati, finora, gli stessi che qualsiasi capo dell’epoca porfirista: urla isteriche, percosse, minacce, licenziamenti, incarceramenti. Gli stessi che utilizzerebbe qualsiasi triste e grigio aspirante poliziotto postmoderno.

.- Li hanno già picchiati, li hanno già gassati con gas lacrimogeni, li hanno già imprigionati, li hanno già minacciati, li hanno già licenziati ingiustamente, li hanno già calunniati, hanno già decretato lo stato d’assedio a Città del Messico. Cosa succederà? Li faranno sparire? Li uccideranno? Davvero? La riforma “educativa” nascerà dal sangue e dai cadaveri delle maestre e dei maestri? Sostituiranno i presidi magisteriali con presidi di polizia e militari? I blocchi di protesta con carri armati e baionette?

.- Lezioni di Terrorismo per Nuño. La presa di ostaggi (questo è, e nient’altro, l’arresto di membri della direzione della CNTE) in ogni terrorismo (quello di Stato e quello dei suoi specchi fondamentalisti) è una risorsa per rinforzare il dialogo e la negoziazione. Non sappiamo se lassù, in alto, se ne sono accorti o no, ma risulta che l’altra parte (gli insegnanti) è quella che cerca il dialogo e la negoziazione. O la SEP si è già unita all’ISIS e prende ostaggi solo per seminare terrore?

.- C’è una storia che circolava tra i servizi di intelligence del governo delle grandi potenze. Si dice che per vincere la battaglia mediatica nella guerra contro il Vietnam, i servizi di intelligence nordamericani creavano, questa è la parola, scenari di vittorie clamorose, della crescente debolezza del nemico, della forza morale e materiale delle proprie truppe. Perché risulta che la strategia chiamata “vincere i cuori e le menti”, che inizialmente era destinata ad essere usata in Vietnam, finì per essere combattuta per le strade delle grandi città dell’Unione Americana. Dopo l’aprile del 1975 -che ha ricordato la sconfitta nella Baia dei Porci, nella Cuba degna, nello stesso mese, ma del 1961- un funzionario nordamericano ha detto: “il problema è che fabbricavamo tante bugie per i media che finimmo per crederle noi stessi. Creammo una scenografia della vittoria che nascondeva il nostro fallimento. Le nostre stesse discrepanze evitarono che sentissimo il rumore del nostro collasso. Il problema non è mentire, ma credere alle proprie bugie.” Infine, è chiaro che noi, zapatisti, non sappiamo molto dei media, ma a nostro modesto parere, è un cattivo affare mettere a capo della campagna mediatica di una palese privatizzazione, un capo triste e grigio che vuole essere poliziotto.

.- Accompagnare i bambini nei primi passi verso la scienza e l’arte, questo è ciò che fanno maestri, maestre e maestrie.

In fede.

Guau-Miau.

traduzione a cura di 20zln

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EZLN-CNI: DALLA TEMPESTA

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DALLA TEMPESTA.
Comunicato congiunto del Congresso Nazionale Indigeno e dell’EZLN sul vile  attacco della polizia contro il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione e della comunità indigena di Nochixtlán, Oaxaca.
20 giugno 2016.
Al Popolo messicano.
Ai Popoli del Mondo:
Contro il vile attacco repressivo che hanno subito i maestri, le maestre e la comunità di Nochixtlán, Oaxaca, -con cui lo Stato messicano ci ricorda che questa è una guerra contro tutte e tutti-; noi popoli, nazioni e tribù che componiamo il Congresso Nazionale Indigeno e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, diciamo al magistero degno che non è solo, che sappiamo che la ragione e la verità sono dalla sua parte, che la dignità collettiva con cui parla la sua resistenza è infrangibile e che questa è l’arma principale di quelli che, come noi, stanno in basso.
Condanniamo l’intensificazione della repressione con la quale si cerca di imporre in tutto il paese la riforma neoliberale capitalista chiamata “educativa”, soprattutto negli stati di Oaxaca, Chiapas, Guerrero e Michoacán. Con minacce, persecuzioni, colpi, imprigionamenti ingiusti e ora persino uccisioni, si vuole spezzare la dignità del magistero ribelle.
Invitiamo la nostra gente e la società civile in generale a stare dalla parte dei docenti che resistono in ogni momento, di riconoscerci in loro, perché la violenza di privarli delle garanzie lavorative fondamentali al fine di privatizzare l’istruzione, è un riflesso della violenza con la quale ci stanno depredando, noi popoli indigeni, noi popoli contadini e urbani.
Coloro che godono del potere hanno deciso che l’istruzione, la salute, i territori indigeni e contadini, e persino la pace e la sicurezza, sono una merce per coloro che possono permettersi di pagarla, che i diritti non sono diritti, ma prodotti e servizi da strappare, da depredare, da distruggere e da scambiare secondo il dettame dal grande capitale. E questa aberrazione cercano di imporla in modo cruento; assassinando e sequestrando le nostre compagne e i nostri compagni, mandando in prigioni di massima sicurezza i nostri portavoce, facendo della tortura sfacciata il marketing del governo e, con l’aiuto dei media a pagamento, equiparando con la delinquenza il meglio della società messicana, vale a dire quelli che lottano, che non si arrendono, che non si vendono e non vacillano.
Esigiamo il cessare della repressione contro il magistero in lotta e il rilascio immediato e incondizionato di TUTTI i prigionieri politici.
Invitiamo tutte le persone dalla campagna e dalle città ad essere attenti e solidali con la lotta degli insegnanti, ad organizzarsi autonomamente per essere informati e allerta su questa tempesta che cade su tutte e tutti, sapendo che una tempesta, oltre che portare caos e tumulto, rende fertile la terra da cui nasce sempre un nuovo mondo.
Dalle montagne, dai campi, dalle valli e dai quartieri dei popoli, delle nazioni e delle tribù originarie del Messico.
¡Mai più un Messico senza di Noi!
Congresso Nazionale Indigeno.
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.
Messico, 20 giugno 2016.
 
TRADUZIONE a cura di 20ZLN

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#MexicoNosUrge AL FIANCO DEI MAESTRI E DELLE MAESTRE DELLA CNTE IN MESSICO

oaxaca#MexicoNosUrge AL FIANCO DEI MAESTRI E DELLE MAESTRE DELLA CNTE IN MESSICO

“Fondamento dell’accordo. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti umani fondamentali, così come si enunciano nella Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, ispira le politiche interne e internazionali delle parti e costituisce un elemento essenziale del presente Accordo.”

Art. 1 trattato di libero commercio tra il Messico e l’UnioneEuropea

Un anno dopo siamo ancora qui a dire #MexicoNosUrge

Dopo gli omicidi del foto giornalista Rubén Espinosa, dell’attivista Nadia Vera, della studentessa Yesenia Quiroz Alfaro e di altre due donne che si trovavano con loro, Mile Virginia Martin e Alejandra Negrete, avvenuti a Città del Messico venerdì 31 luglio 2015, l’appello #MéxicoNosUrge volle rompere il silenzio. Perché non si può rimanere in silenzio di fronte alle violenza nei confronti di chi vuole denunciare la situazione che subiscono milioni di persone in un Paese, il Messico, che l’Italia e l’Unione Europea riconoscono soltanto come importante socio commerciale. Rimanere in silenzio sarebbe una forma di complicità.

Un anno dopo, nel giugno del 2016, torniamo a urlare che #MéxicoNosUrge, dopo che domenica 19 maggio nello Stato di Oaxaca abbiamo assistito al massacro di 10 cittadini. La Polizia Federale è tornata a reprimere la lotta degna dei maestri e delle maestre del sindacato CNTE che lottano contro la riforma educativa. Pistole, fucili di precesione e cecchini hanno operato assieme alla polizia in assetto anti-sommossa, per sgomberare uno dei tanti blocchi stradali che dal 15 maggio batte il tempo della resistenza contro la svendita e la distruzione della scuola pubblica messicana. A maggio avevamo celebrato il decimo anniversario dalla nascita dell’Assemblea Popolare dei Popoli di Oaxaca, figlia dello sgombero violento di un presidio di maestre e maestri della CNTE nella capitale dello stato di Oaxaca. Negli ultimi mesi sono a decine gli arresti “politici” che colpiscono aderenti della CNTE e simpatizzanti. Già a dicembre 2015, in Chiapas, due maestri sono stati uccisi dalla Polizia durante gli scontri.

Nel maggio del 2016 sono stati ricordati,anche, i dieci anni dal massacro di San Salvador Atenco. Una Commissione Civile di Osservazione dei Diritti Umani -i cui componenti erano cittadini europei- nel giugno del 2006 ha presentato al Parlamento Europeo un rapporto sui fatti e sulle gravi violazioni dei diritti umani in relazione allo sgombero forzato di una comunità per costruire il nuovo aeroporto di Città del Messico in una zona ejidal (cioè di proprietà collettiva) dello Stato del Messico.

La mattanza di Nochixtlan inauguara una nuova fase nello schema repressivo messicano: la polizia spara sulla folla uccidendo e la stessa polizia si rivendica di aver usato armi da fuoco. Non era mai successo prima.

Negli ultimi dieci anni, infatti, la situazione si è fatta se possibile ancora più grave, con decine di migliaia di sparizioni forzate, violenza sistematica contro chi vuole difendere e promuovere i diritti umani, contro attivisti dei movimenti sociali e contro i giornalisti e fotografi che documentano la condizione di violenza strutturale scelta come forma di“politica attiva” dai governi di Felipe Calderón, prima, e di Enrique Peña Nieto (che nel 2006 era governatore dello Stato del Messico durante i fatti di Atenco), ora.

Tra gli attivisti e giornalisti minacciati e perseguitati ci sono anche cittadini italiani ed europei; tra le vittime ci sono anche cittadini italiani ed europei (come il finlandese Jyri Antero Jaakkola,assassinato dai paramilitari nello stato del Oaxaca nel 2010).

In questo panorama di violenza diffusa e repressione contro i civili ricordiamo la sparizione forzata dei 43 studenti della Escuela Normal Rural di Ayotzinapa,avvenuta la notte del 26 settembre del 2014 nella città di Iguala, stato del Guerrero, in cui sono coinvolti la polizia municipale di Iguala ed elementi dell’esercito messicano.

Il 30 giugno 2014 l’esercito messicano, con un ordine scritto dall’Alto Comando Militare, fucilava 22 ragazzi in un’esecuzione extragiudiziale, una delle tante esecuzioni extragiudiziali portate a termine dall’esercito che ha l’ordine di “abbattere” civili considerati delinquenti senza alcun diritto ad avere un processo.

L’ONU ha recentemente spiegato come in Messico la tortura sia un metodo utilizzato in maniera sistematica negli interrogatori da tutte le forze di sicurezza.

Tutto questo accade nel silenzio della cosiddetta “comunità internazionale” e l’Unione Europea di fatto si disinteressa dei crimini dello stato messicano, continuando a mantenere relazioni commerciali con uno Stato che viola costantemente i diritti umani.

Tra il 2007 e il 2016 in Messico ci sono stati più di 164mila omicidi di civili. Negli stessi anni in Afghanistan e in Iraq si sono contate circa 104mila vittime. Il numero di persone sparite dal 2006 ad oggi, basandosi su dati conservativi del governo messicano, supera le 30mila persone. Organizzazioni dei diritti umani dicono che se oggi venisse fatto un conto di morti e desaparecidos i numeri andrebbero verso il raddopio.

A fronte di tutto questo l’indifferenza dei grandi mezzi di comunicazione internazionali è impressionante e complice.

Per tutto questo, #MexicoNosUrgee non possiamo rimanere in silenzio.

Chiediamo che il Parlamento Europeo esprima la sua preoccupazione rispetto alla grave crisi dei diritti umani che vive il Messico,in particolare per le costanti aggressioni ai giornalisti e difensori dei diritti umani.

Chiediamo all’Italia e all’Unione Europea che si sospendano tutte le relazioni (politiche e commerciali) con il Messico fino a quando non si farà luce sui gravi casi di omicidio, violenza e sparizione forzata di persone. I paesi dell’Unione Europea devono applicare l’embargo agli investimenti in Messico e chiudere le loro Ambasciate, così come si è fatto nel caso di altri paesi che non osservano l’obbligo del rispetto dei diritti umani e del diritto alla vita dei propri cittadini.

Italia, giugno 2016

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Comunicato EZLN: Maggio tra autoritarismo e resistenza.

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MAGGIO: TRA AUTORITARISMO E RESISTENZA

¿Il calendario? Maggio 2016.

¿La geografia?

Beh, potrebbe essere ovunque in questo paese graffiato a sangue dalle sparizioni forzate, l’impunità fatta istituzione, l’intolleranza come forma di governo, la corruzione come modus vivendi di una classe politica puzzolente e mediocre.

Ma potrebbe anche essere una qualsiasi parte di questo paese sanato dalla caparbietà dei famigliari che non dimenticano i loro assenti, la ricerca tenace di verità e giustizia, la resistenza ribelle contro i colpi, i proiettili, le sbarre, il desiderio di costruire un sentiero proprio senza proprietari, senza padroni, senza salvatori, senza guide, senza capi; la difesa, la resistenza, la ribellione; la crepa si fa più ampia e profonda a forza di dolore e di rabbia.

“Messico”, viene chiamato abitualmente questo paese, questo paese che riflette a suo modo una crisi che scuote il mondo intero.

Sembra che, ad un certo punto nella breve e intensa storia del XX° secolo, questo paese sia stato un punto di riferimento del turismo internazionale. Si è parlato dei suoi paesaggi, della sua gastronomia, dell’ospitalità della sua gente, di quanto perfetta fosse la sua dittatura.

Ma prima e durante quest’immagine da opuscolo di agenzia viaggi, è successo quel che è successo. No, non vi riempirò di informazioni su ciò che è accaduto nell’immediato passato, diciamo 30 anni.

Il punto è che, negli ultimi anni, il “Messico” è ormai un riferimento mondiale della corruzione di governo; la crudeltà del traffico di droga; non infiltrazione ma coabitazione tra crimine organizzato e istituzioni; sparizioni forzate; esercito fuori dalle caserme, nelle vie e nelle strade; omicidi e detenzioni degli oppositori, di giornalisti e persone che non contano; il “warning” nei percorsi turistici; il cinismo come idiosincrasia sui media e i social network; la vita, la libertà e i beni personali giocati alla roulette mortale della vita di tutti i giorni (“se non ti è toccato oggi, forse domani”). Se sei donna, di qualsiasi età, si moltiplicano i rischi. Il femminile, insieme al diverso, vince solo in questo: è più probabile che subisca violenza, scomparsa, morte.

Ma tutto questo già lo sapete. Basta aver vissuto qui, in queste terre e sotto questi cieli, un po’, non molto, diciamo tra i primi mesi di vita e meno di 5 anni, che è l’età delle bambine e dei bambini uccisi nell’asilo nido ABC di Hermosillo, Sonora, Messico, il 5 giugno 2009, quasi sette anni fa.

Che crimine avevano commesso questi bambini? Sono state vittime della sfortuna, di un oscuro disegno divino, del caso? O sono stati e sono vittime di una classe politica che si permette di tutto (come ad esempio il fatto che una delle persone coinvolte – e non indagate -, sia candidata alla presidenza del Messico per il Partito di Azione Nazionale)?

Così il luogo potrebbe essere Sonora dove, però, la criminalità e la spudoratezza non riescono a sconfiggere le famiglie dei bimbi dell’asilo nido “ABC”.

Oppure potrebbe essere lo Stato messicano, dove si vuole distruggere il popolo Ñatho di San Francisco Xochicuautla seppellendolo sotto una delle strade del grande capitale. Il suo crimine? Difendere le foreste. Tuttavia, gli abitanti continuano a resistere sulle macerie delle loro case.

Oppure potrebbe essere Oaxaca, nella comunità Binizza di Álvaro Obregón a Juchitán, dove la popolazione è stata attaccata a colpi di pistola dai paramilitari del Partito di Azione Nazionale e del Partito della Rivoluzione Democratica. Qual è la sua colpa? Opporsi alla privatizzazione del vento che, con i cosiddetti “parchi eolici”, il grande capitale impone sull’Istmo.

O potrebbe forse essere Veracruz, che è ormai territorio di caccia contro le donne, i giovani, i giornalisti, che siano o meno avversari. Oppure lo Yucatan, dove contro il popolo di Chablekal viene implementato il cosiddetto “Scudo” con cui i governanti proteggono l’espropriazione. O Guerrero, dove tutto il Messico si è ribattezzato “Ayotzinapa”. O Morelos, diventato un gigantesco cimitero clandestino. O Città del Messico, dove le manifestazioni dell’opposizione sono proibite perché lì comanda il traffico degli autoveicoli, persino sulla Costituzione. Oppure Puebla, roccaforte della privatizzazione dell’acqua e delle strade. O Tamaulipas, dove, come in tutto il paese, il PRI è il braccio istituzionale della criminalità organizzata. O in qualsiasi parte della Repubblica chiamata “Stati Uniti Messicani”, con le sue ondate di licenziamenti, sfratti, furti, sparizioni, distruzione, morte … guerra.

Ma alla fine è il Chiapas. E dal Chiapas, vediamo…

Tuxtla Gutierrez, capitale. Maggio 2016. Temperatura media: 37 gradi all’ombra. Altitudine: 522 metri sul livello del mare. Data: maggio dei docenti in resistenza e ribellione. Ma in primo luogo, permettetemi alcuni dettagli:

1.- La cosiddetta “riforma dell’istruzione” non riguarda l’istruzione, ma il lavoro. Se riguardasse l’istruzione si sarebbero ascoltati i pareri dei docenti e delle famiglie. Quando il governo rifiuta di discutere la riforma con gli insegnanti e le famiglie, ammette così che non si tratta di migliorare l’istruzione, ma di “sistemare il libro paga” (come il capitale chiama i licenziamenti).

 

2.- Non si applica la legge, si viola la legge. Dicono di difendere la Costituzione (riforma dell’istruzione), violando la Costituzione (leggi che garantiscono diritti fondamentali come la libertà di riunione, il diritto di petizione e di libera circolazione).

 

3.- Ciò che fanno i media prezzolati è inutile. Le dichiarazioni vanno e vengono: “tutto normale”, “la maggior parte delle scuole sta funzionando”. “Oltre il novanta per cento dei docenti sta lavorando”. Ma la realtà smentisce queste affermazioni, perché l’insegnamento è per le strade. Nei villaggi le famiglie hanno detto chiaramente che non accettano supplenti, non li stanno facendo entrare o li manderanno via.

 

  1. I/le maestri/e non stanno difendendo dei privilegi, stanno combattendo nell’ultima trincea di ogni essere umano: le condizioni di vita minime loro e delle loro famiglie. Non vi sorprende che qualcuno sia disposto a difendere quel poco che gli resta? Un salario infame, delle aule che sembrano bombardate (e lo sono state, ma con bombe economiche), non uno ma diversi turni di lavoro, gruppi eccessivamente numerosi? In breve: salari bassi, cattive condizioni di lavoro e un sacco di difficoltà. Suona famigliare? Eppure, le/gli insegnanti si presentano a scuola e insegnano ai bambini e alle bambine le vie della scienza e delle arti.

 

  1. Lo scopo della presunta riforma scolastica è quello di distruggere questa docente, questo insegnante che è stato preparato per anni e che ha dedicato praticamente tutta la vita a questo mestiere. Certo, con la perseveranza che sui media, pagata in contanti, si è costruita l’immagine di leader corrotti. Ma questa immagine è il verme per l’esca. No, l’obiettivo non sono i capi, ma tutti gli insegnanti, compresi quelli del servile Sindacato Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione. Ora, se si vuole un modello di leader corrotti, basta seguire l’esempio del SNTE.

 

  1. Sì, l’obiettivo della riforma scolastica è di privatizzare l’istruzione. In realtà, questa privatizzazione è già in corso. Lasciare senza cure né risorse le scuole non ha messo fine all’istruzione pubblica in Messico per una ragione umana: l’insegnamento. Così ora bisogna distruggere quelle maestre e quei maestri. Si tratta di provocare una catastrofe nel sistema di istruzione in modo che le famiglie si rivolgano, raddoppiando i turni, a scuole private; oppure che si accontentino che i loro figli si educhino attraverso la televisione, radio e media digitali; o per strada; o neanche questo. La professione del docente non si improvvisa né è una questione di intuizione. Richiede studio e preparazione. Non tutti hanno la capacità e le conoscenze per insegnare. Perché a scuola si educa, non solo si insegna. Non tutti possono affrontare con successo un gruppo di bambini in età scolare o prescolare. Per questo sono necessarie le scuole Normali.

7.- Vi è stato detto che le/i maestre/i sono pigri e non si vogliono preparare? Mentono, ogni insegnante aspira ad essere migliore, ad essere meglio preparato. Fate voi quello che non ha fatto il governo, parlate con un maestro o una maestra. Meglio ancora, ascoltatelo. Vedrete come, quando lui o lei parlano della loro situazione, sembra che descrivano la vostra.

-*-

Noi, zapatisti, cerchiamo di capire. E per capire bisogna ascoltare. Ogni volta che possiamo, usiamo informazioni dirette. In questo caso, abbiamo inviato un gruppo “Los Tercios Compas” (media zapatisti senza scopo di lucro, non indipendenti, non liberi, non alternativi, ma compagni) e ascoltiamo le basi di appoggio zapatiste che fanno parte del gruppo insegnanti. Quanto segue è tratto da uno dei rapporti di questi ascolti:

“Compagno Subcomandante Insurgente Moisés, ti saluto e spero che tu sia in buona salute a lottare.

Dopo il mio breve saluto, passo a segnalare: Beh, abbiamo visto la marcia dei docenti. Ma non solo dei maestri, ci sono anche molte maestre. I maledetti poliziotti li hanno attaccati e hanno attaccato anche le persone che camminavano da quelle parti. Hanno colpito anche i bambini. Poi abbiamo visto una macchia, come un segno dipinto sul muro con la scritta: “Poliziotti: contro il popolo molto fighi, ma contro il narco finocchi”. Abbiamo visto durante la marcia quanto fossero felici gli insegnanti. Come se non importasse che li avessero picchiati e che gli avessero gettato addosso quel fumo che non lascia respirare. Ecco i maestri e le maestre, e ci sono anche le mamme e i papà dei bambini che vanno a scuola e le loro famiglie sostengono gli insegnanti. Si vede chiaramente che non li hanno trascinati a forza, ma che sono venuti per scelta. Sono vivi. E la gente nelle case grida il proprio sostegno ai maestri e alle maestre. E per strada gli danno acqua, frutta. Si vede che vogliono bene a quegli insegnanti che lottano. E quindi gli insegnanti gridano lo slogan “questo sostegno si vede” e, beh, ho pensato che c’è anche il sostegno che non si vede, e senza slogan.

Poi siamo andati a vedere i fottuti poliziotti che correvano dietro agli insegnanti. Abbiamo visto i poliziotti molto depressi. Solo un paio di poliziotti erano entusiasti e colpivano i loro scudi di plastica con i manganelli per spaventare, ma non fanno paura. La maggior parte dei poliziotti riesce a malapena a camminare, penso perché fa molto caldo. Un sacco di sole lì a Tuxtla. E si vede che i maestri e le maestre sono molto carichi, perché cantano e gridano i loro slogan. Hanno cantato “Venceremos” e pure io mi sono messo a cantare, poi mi sono ricordato che sono un “Tercio compa” e quindi non era il caso. I poliziotti non appena si fermano cercano subito un poso all’ombra.

Il comando li rimprovera perché non vogliono stare in riga. Sentiamo un poliziotto che racconta ad un altro che ha inseguito una ragazza e un insegnante, e che l’insegnante correva più veloce della ragazza. E il maledetto ride come se inseguire una ragazza fosse un gioco. E quando gli danno l’ordine di avanzare, i poliziotti trascinano i loro scudi. Alcuni hanno dei tubi di metallo. Altri hanno bastoni. Quando passano, la gente per strada grida contro la polizia, che se ne vada gli dicono, che lascino in pace gli insegnanti. Alcuni insultano apertamente la polizia. I poliziotti li guardano con rabbia negli occhi, ma non si fermano. E sono famiglie quelle che gridano. Su qualche casa e palazzo ci sono delle insegne ed anche cartelli scritti a mano in cui si dichiara sostegno agli insegnanti. Nelle stazioni radio sentiamo che la gente chiama per un commento, ma non come altre volte che si lamentano degli insegnanti perché bloccano.

Ora si lamentano dei federali, che sono l’unico fastidio, che sembra di essere in guerra, che neppure con gli zapatisti si vedeva tanta polizia per le strade di Tuxtla. Nessuno ringrazia il governo, lo dicono chiaramente che la colpa è dei cattivi governi. E allora cosa fanno quelli della radio, gli tolgono la parola, perché a loro non piace quello che dice la gente. E poi i giornali sono senza vergogna, parlano di altre cose che non è il caso. I giornalisti sono preoccupati perché a Chenalhó i “partidistas” hanno rapito altri “partidistas”. Ma gli insegnanti fanno politica, spiegano la loro lotta e la gente li ascolta e li capisce. Noi sentiamo cosa dice la gente. I governi non li ascoltano e non li capiscono. Velasco lo chiamano “el niño” e si lamentano del “niño” bravo solo a farsi fotografare e sfilare. E poi le voci dicono che non è più così, che già stanno litigando i politici per vedere chi diventa governatore. E dicono “chiunque sarà, è un ladro e un farabutto”. Non hanno rispetto per il governo.

Rispettano invece e vogliono bene agli insegnanti, gli danno acqua e frutta, li applaudono. Anche le macchine, quando passano ai lati del corteo, suonano il clacson e mostrano la mano in appoggio. Ai poliziotti solo insulti. Sentiamo un insegnante spiegare la sua lotta: “Ora si tratta del cibo per i nostri figli.” In un posto qui vicino a Tuxtla, che si chiama Chiapa de Corzo, la gente si è organizzata ed ha cacciato i federali da lì. Non erano insegnanti, erano famiglie. Sono stati picchiati e gli hanno gettato addosso i gas, ma non si sono arresi ed hanno cacciato via i federali. Dopo che abbiamo visto tutto quello che abbiamo raccontato, siamo venuti a rapporto.

Da quello che abbiamo visto, chissà cosa accadrà, ma i malgoverni hanno già perso.

 

Questo è tutto”.

-*-

Ora, le domande per l’esame della valutazione del governo federale:

Se un governo non è disposto a dialogare e negoziare con i suoi avversari, che strada gli lascia? Se viene utilizzato solo l’argomento della forza, cosa vi aspettate come contro argomento?

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.             Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, maggio 2016.

Dal quaderno di appunti del gatto-cane:

L’ora del Poliziotto 2. Il venditore di deodoranti metrosexual, la versione postmoderna di Gordolfo Gelatino, Aurelio Nuño Mayer, deve smetterla di fare campagna per la presidenza ed ammettere che la riforma che sostiene non è né una riforma né scolastica. É solo una palese riduzione di personale. Un boss mal vestito in abiti istituzionali che utilizza un capoccia profumato per eliminare posti di lavoro.

E per diventare un capoccia idiota che aspira ad essere un buon poliziotto, per favore segua le seguenti istruzioni: Scrivere 100 volte: “l’istruzione pubblica in Messico è un business e come tale deve essere gestito”. Oh, e non studi storia. Dimentichi che il Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione è nato nel 1979, in Chiapas, Messico. E che è nato in risposta alla brutalità del governo.

-*-

Le battaglie portate avanti dalle maestre, dai maestri e dalle famiglie non sono la fine di maggio. Sono solo l’inizio di molti mesi e lotte che verranno, e non solo dei docenti. Nelle geografie e i calendari del basso la storia non accade, si fa.

In fede.

Guau-Miau.

traduzione a cura di 20zln

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/05/30/mayo-entre-el-autoritarismo-y-la-resistencia/

 

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Viaggio in Chiapas.

zapaturismo

Una terra che resiste anche alla speculazione edilizia e al modello di turismo di massa

di Andrea Cegna

Inserito oggi dentro alle mappe turistiche di ogni agenzia di viaggio, il Chiapas è uno dei 33 stati che compongono il Messico.
L’esplosione turistica è cosa recente. Fino ai primi anni ’90 era uno dei punti di passaggio della Ruta Maya. Palenque e San Cristobal erano divise da diverse ore di viaggio su una strada piena di curve.

Alberghi e ristoranti erano rari e radi. Le carte di credito non venivano prese quasi da nessuna parte.
Parliamo di uno stato vissuto da indigeni e meticci. L’insurrezione Zapatista ha poi messo il Chiapas all’interno delle cartine delle rivoluzioni mondiali.

Il fascino occidentale per i passamontagna e per il SubComandante Marcos hanno spinto centinaia di persone a prendere aerei e sfidare posti di blocco di militari e polizia federale per raggiungere le comunità in resistenza.

C’è chi dice che l’esplosione turistica del Chiapas viste le sue bellezze naturali doveva solo arrivare.
C’è chi dice che l’esplosione turistica del Chiapas sia una delle diverse forme di contro-insurgencia aperte dal governo Messicano per rispondere agli Zapatisti.

Riempire lo stato di turisti, far guadagnare molti pesos a chi con loro lavora, dare un’immagine diversa del territorio e quindi non povero ed abbandonato, ma ricco e vissuto, sono evidentemente degli strumenti. La crescita costante di turisti si sta accompagnando sempre più alla giustificazione di mega progetti nelle aree di influenza dell’EZLN.

Che sia l’autostrada Palenque-San Cristobal de Las Casas, oppure l’aeroporto di Palenque, oppure eco-villaggi turistici attorno ad Aqua Azul, Santa Clara, Roberto Barrios, oppure le gite turistiche nella Selva Lacandona, oppure trasformare le lagune Miramar e Montebellos in luoghi attrezzati per il turismo di massa, poco importa.

La speculazione edilizia e della natura è nei progetti statali e delle grandi aziende del turismo. Sgomberi di comunità indigene e di campi collettivi sarebbero il passaggio necessario per fare tutto questo. Lo zapatismo lotta così anche contro le trasformazioni del territorio, nel nome della difesa della terra.

Questi giorni trascorsi nello Stato situato nel Sud-Est messicano e al confine con il Guatemala mi hanno permesso di parlare molto delle trasformazioni che il territorio ha subito e sta subendo con l’avvento del turismo di massa. Tanto che molti giornali locali, nonché nazionali, criticavano in maniera molto colorata la mobilitazione dei maestri della CNTE di questi giorni proprio perché i loro blocchi stradali stanno facendo perdere milioni di pesos a chi lavora con il turismo.

Ed è così diventato immediatamente palese come il turismo da queste parti sia si una forma di ricchezza ma anche di limitazione di conflitti e della possibilità delle popolazioni indigene di vivere secondo le loro tradizioni.

Nonostante tutto il Chiapas è un territorio costantemente attraversato da conflitti sociali. Lo Zapatismo è sicuramente la punta di diamante, ma occorre ricordare che qui si trovano due delle sezioni più combattive del sindacato dell’educazione, si trova una delle poche scuole normali rurali sopravvissute alla chiusura di massa delle stesse operata dal governo messicano dopo il massacro di piazza delle 3 culture il 2 ottobre del 1968, si trovano sedi di moltissime ONG e associazioni che lottano per i diritti umani.

I conflitti in questa parte del mondo sono concreti e materiali: in questi giorni, tra le tante mobilitazioni che chiedono la testa del governatore dello stato Manuel Velasco, gli autotrasportatori dello stato sono in sciopero permanente contro i “pirati” ovvero contro chi svolge lavoro di trasporto di persone senza avere la licenza pubblica.

Ricorda molto da vicino quello che è successo da noi quando i taxisti si sono alzati in protesta contro “Uber”. Il sindacato dei trasportisti pratica sequestro e rogo dei mezzi non ufficiali.

Tra questi anche due taxi della cooperativa di trasporto Zapatista sono stati colpiti nella città di Ocosingo, da sempre città anti-zapatista. La cooperativa Emiliano Zapata nel nome della proclamata autonomia non ha rapporti di alcun tipo con il governo e quindi dal 2003 non rinnova più le licenze. Tanto basta per incorrere nell’ira della lobby del trasporto turistico che genera migliaia di pesos al giorno.

Il Chiapas non è un luogo semplice da raccontare, gli ultimi 22 anni sono segnati dall’accelerazione costante di conflitti, speculazioni, resistenze, militarizzazioni, e turismo.

Fino a qualche anno fa parlavamo della seconda zona al mondo per militarizzazione, dopo la striscia di Gaza. Non ci sono dati ufficiali ma probabilmente il secondo posto è stato recentemente raggiunto dal Bakur, il Kurdistan Turco. Militari e polizie riempiono le strade e gli incroci delle diverse città.

Più ci si muove verso le zone di influenza zapatista più le basi militari aumentano. Fino ad un decennio fa i posti di blocco erano costanti e pervasivi. Oggi, per far percepire ai turisti un senso di sicurezza e nella pratica della guerra di bassa intensità contro l’EZLN, sono stati dismessi, senza però dismettere basi, presenza militare e minacce alle comunità indigene.

L’equilibrio su cui tutto si basa è fine come una corda di violino. I conflitti vengono spesso sedati nel sangue, come successo a dicembre con l’assassinio di un maestro della CNTE, durante una delle prime proteste contro la riforma educativa. Nel nome del turismo si permette mobilità assoluta agli stranieri mentre si stringono le maglie degli spostamenti per le popolazioni autoctone, e il grande numero di forze speciali resta in attesa d’azione.

La visita del Papa da questi parti non ha toccato nessuno dei punti scomodi e contraddittori dello Stato, e si è fermata ad una facciata di comodo con la visita alla tomba di Don Sumuel Ruiz Garcia, teologo della Liberazione.

Ci piace ricordare come Bergoglio abbia combattuto una feroce lotta contro la teologia della liberazione e probabilmente anche grazie a questo suo impegno è stato eletto Papa.

In mezzo a tutto ciò la lotta zapatista continua a costruire la sua autonomia. In 12 anni, sanità e istruzione sono garantiti per tutte le comunità anche attraverso strutture di qualità e impensabili fino a pochi anni prima.

Recentemente il subComandante Moises, capo militare e portavoce dell’EZLN dal 2013, ha rilasciato un importante intervista dove racconta come la scelta di abbandonare l’azione armata nel nome dello sviluppo delle comunità sia stata vincente soprattutto visti i risultati ottenuti.

Risultati non banali raggiunti nonostante l’accerchiamento militare e paramilitare, nonostante i programmi di governo per le famiglie e le comunità non zapatiste, nonostante la negazione pubblica dell’esistenza dell’EZLN. I media non ne parlano più.

E quando ne parlano raccontano di un movimento in crisi. La spiegazione è facile: il governo Peña Nieto è il più impopolare della storia del paese, e quindi raccontare che esiste un esperienza che in maniera autonoma, e nel nome dell’anticapitalismo, costruisce una società dove diritti e futuro sono realtà, sarebbe ingestibile per i poteri che governano il Messico.

Q CODE Magazine http://www.qcodemag.it/2016/05/28/viaggio-in-chiapas/

 

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Moisés: Se avessimo avuto 22 anni di conflitto, non avremmo costruito nulla.

“Se avessimo avuto 22 anni di conflitti armati, non avremmo costruito quello che esiste ora”

 “Se avessimo avuto 22 anni di conflitti armati, non avremmo costruito quello che esiste ora”

“Ciò che voglio condividere non è ciò che facciamo come truppe ribelli, bensì la pratica da parte dei nostri compagni, compagne e delle nostre basi d’appoggio dopo 22 anni, quando cioè abbiamo deciso di uscire allo scoperto. E’ di questo che voglio parlare. Non sono i nostri traguardi come truppe, come ribelli, ma gli obiettivi raggiunti dai nostri popoli.”
01.05.2016 Oleg Yasinsky

Dettagli su questa intervista

Una volta fermi presso il luogo pattuito, dallo specchietto retrovisore del nostro furgoncino arrivò un uccellino simile a un passero, che iniziò a beccare metodicamente contro il vetro. A volte riposava qualche minuto di fronte, guardandosi da diverse angolature, e con rinnovata energia si lanciava al combattimento contro il proprio riflesso. E ricordai anche quando, circa 15 anni fa, negli stessi luoghi, iniziammo a vedere all’aria aperta il documentario «Caminantes», quello in cui Marcos faceva il gesto di togliere il passamontagna e dalla foresta irrompeva un’enorme farfalla che si posava sul suo viso nello schermo, coprendolo per intero. A volte gli zapatisti, che non hanno segreti in fatto di vita politica aperta, giungono a una sorta di trattato segreto con la natura locale.

Ci troviamo in Chiapas, in attesa dell’intervista con uno degli zapatisti che ha accettato di riceverci. Non sapevamo ancora che quel qualcuno sarebbe stato il vicecomandante dei ribelli Moisés, autorità militare e portavoce dell’EZLN (Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale) che, nel maggio 2014, aveva rimpiazzato il vicecomandante Marcos, e noi, un gruppo di artisti russi di San Pietroburgo del collettivo politico culturale Chto Delat ed io, a metà tra un traduttore e una guida priva di certificazione dai mondi sociali d’America. L’obiettivo del viaggio era conoscere i territori ribelli, le realtà e gli obiettivi raggiunti da parte degli zapatisti a 22 anni dalla loro apparizione pubblica.

Cercavamo qualcosa che, secondo quanto diceva un giovane zapatista francese del secolo scorso, noto come il Principito, non può essere visto con le pupille. Cercavamo di rivendicare il senso di tanti tentativi e fallimenti della nostra storia, russa, ucraina, sovietica, in questi tempi pieni di confusione generalizzata, o qualcosa talmente assurda come le radici della speranza europea in terra americana. Non saprei dare una definizione esatta. Ricordo soltanto che i testi zapatisti giunti in Russia più di 15 anni or sono, inquietarono e risvegliarono migliaia di persone della nostra generazione.

Se una volta qualcuno mi avesse detto che la sua voce era la voce dei suoi compagni, non avrei dubitato di trovarmi di fronte a un pazzo o a un eccentrico e avrei di certo risposto con una battuta di pessimo gusto. Ma quando, terminata la riunione, il vicecomandante Moisés pronunciò questa frase, sentii subito un formicolio alla schiena e un groppo in gola. Mai prima d’ora avevo immaginato che una cosa simile potessere essere vera, senza metafore, nè esagerazioni. Cioè, lo immaginavo sì, ma in modo molto teorico, in quanto la presenza dal vivo, vicina e tangibile, di verità come queste, è qualcosa di molto diverso.

Esistono molte interviste di Marcos e poche di Moisés. Sebbene nutra per il primo una profonda ammirazione, mi è sembrato più interessante condividere col secondo per osservare come, dalla tappa romantica e letteraria, lo zapatismo discenda verso pratiche magari meno vistose ma, senz’ombra di dubbio, molto più solide e profonde….senza scordare che all’interno dello zapatismo le ascese e discese di solito coincidono.

Questa volta ho sentito che, senza essere distratti dalla buona letteratura, è stato possibile sentire meglio il cuore contadino indigeno comunitario dello zapatismo. In tal senso, il viaggio nel Chiapas, più che un’esperienza politica o intellettuale, è stata una scoperta che si avvicinava al mistico spirituale, qualcosa che ci connette alla parte più profonda del nostro essere.

Quando si entra in una delle case di una delle Giunte del Buon Governo, decorata con murales sulla rivoluzione, in cui improvvisamente nella penombra ci si trova davanti a circa sei persone con indosso un passamontagna, la maggior parte delle quali quasi adolescenti e donne, e si ascolta come tutti parlino molto lentamente, scegliendo con cura e affetto le parole e le idee, si percepirà qualcosa di molto speciale: qualcosa come il sentimento che irrompe dolcemente quando ammiriamo per la prima volta il mare o le montagne. Successivamente conviene rilassarsi, arrendersi e dimenticare che si indossa un orologio, dato che tutte le decisioni e i procedimenti zapatisti sono estremamente lenti, richiedono decisioni collettive, che presuppongono a loro volta riflessioni individuali che prendono corpo senza alcuna fretta. Le autorità della Giunta chiederanno scusa per l’attesa e nelle rughe degli occhi indigeni che inevitabilmente si formeranno, di certo si scorgerà un sorriso dietro il passamontagna.

Tale materiale è una sintesi del colloquio avuto col vicecomandante Moisés e durato un’ora e mezza. Termino aggiungendo che tale riunione, a parte costituire un grande onore, è stata anche allegra e ringraziamo i nostri amici messicani per averla resa possibile.

E, come si dice, cercheremo di non deludere la loro fiducia e generosità.

 

Subcomandante Moisés y Oleg Yasinsky

Vicecomandante Moisés e Oleg Yasinsky

 Passaggi della conversazione ¹

Vicecomandante Moisés: Ciò che posso condividere con lei non è ciò che facciamo come truppe ribelli, bensì la pratica da parte dei nostri compagni, compagne e delle nostre basi d’appoggio dopo 22 anni, quando cioè abbiamo deciso di uscire allo scoperto. E’ di questo che voglio parlare. Non sono i nostri traguardi come truppe, come ribelli, ma gli obiettivi raggiunti dai nostri popoli.

Quanto ci definiamo comuni autonomi ribelli zapatisti, è proprio lì il luogo in cui i compagni dicono: governeremo noi stessi. I compagni, le compagne, hanno vinto molte cose, perchè non sanno nè leggere nè scrivere e non possono parlare spagnolo. Ma loro hanno detto: sappiamo come volere giustizia, come debba essere un buon governo; non dipende dalla capacità di leggere nè scrivere o saper bene lo spagnolo. E allora, entrano nella resistenza. Dato che desiderano un governo a cui stia a cuore il popolo, allora come governo parliamo nella nostra lingua. Perchè qui esistono tante lingue: il tzeltal, lo tzotzil, il tojolabal, il chol, lo zoque, il mame e altri che parlano spagnolo. Così hanno dovuto respingere quei pregiudizi che non fanno parte degli zapatisti: ad esempio, se lui è tzeltalero e un’altra è tzeltalerama non zapatista, allora lei dice che lui non sa governare, che lo conosce, che è figlio di tal dei tali, che è un ignorante; scherzi di questo tipo. Anni dopo, chi ha fatto lo scherzo, va lì a chiedere giustizia.

Il mal governo, vale a dire il sistema, il cattivo sistema, controlla proprio questo, manipola la gente, affinchè si metta contro di noi. Ad esempio genera problemi, vogliono abbandonare la terra recuperata, quella che avevamo recuperato nel 94, perchè abbiamo recuperato migliaia di ettari.

Poi un’altro tipo di resistenza è quella dei bombardamenti politici nei mass media, fino al punto che, ad esempio, secondo i mass media, i comandanti sono dei venduti o che il comando generale ha abbandonato l’EZLN o che si azzuffa col popolo, fino a creare guerre psicologiche nei mass media. Ad esempio dicono che il defunto Marcos abbia abbandonato i popoli zapatisti e che ora faccia il turista in Europa. La quantità di cose che dicono è tale e i compagni così creduloni, che arrivano al punto di demoralizzarsi. I compagni hanno dovuto resistere alle provocazioni dell’esercito e della polizia, che vuole che li uccidiamo affinchè siano loro a ucciderci a loro volta. Ma ciò di cui si sono resi conto i compagni dei villaggi è il nostro desiderio di cambiamento e quindi il cambiamento si fa mediante la lotta politica pacifica, ribelle e di resistenza.

Esiste un nuovo sistema governativo dei compagni, in cui essi, migliaia di zapatisti, uomini e donne, comandano e il governo ubbidisce; tutto ciò è stato ottenuto con la lotta di resistenza e di ribellione, 22 anni fa; se avessimo avuto 22 anni di conflitti armati, non avremmo costruito quello che esiste ora. I popoli sono coloro che vigilano sul governo, dimostrando che noi popoli, anche senza saper leggere o scrivere, siamo in grado di governare. Un governo attento al popolo, possiamo ora dire chiaramente a tutti i governi capitalisti del mondo, non necessita dell’istruzione di Harvard o cose così. Perchè quelli che sanno sono i popoli sfruttati.

Ma i compagni e le compagne dicono: bisogna saper usare la rabbia, vale a dire il coraggio. Le compagne dicono che tale rabbia dev’essere degna, cioè bisogna studiare quando è necessario uccidere o morire e quando no. Ad esempio questi 22 anni.

Come dicono i compagni e le compagne, sappiamo che il governo non ci lascerà stare, ma quello che stiamo dimostrando è ciò che vogliamo, non stiamo peggiorando il mondo che vogliamo, stiamo dicendo che il popolo deve governare. Le compagne e i compagni dicono: “la politica è del popolo, l’ideologia è del popolo, l’economia è del popolo, è il popolo che deve pianificare la cultura di cui ha bisogno, è il popolo stesso, non solo un gruppo di ministri. Quindi ora i compagni, nel loro nuovo sistema di governo, hanno un mutuo rispetto perchè i governi o le autorità, come diciamo noi, hanno anche l’obbligo di proporre d’accordo a ciò che vedono, proprio perchè governano. Ma non lo possono dire, c’è un’assemblea, ad esempio quella che ci sarà proprio ora, ci sono qui migliaia di compagni. Quindi è lì che l’autorità propone. Ci sono cose che l’assemblea delle autorità può decidere e cose che non può, in quel caso deve andare a consultare le migliaia, i popoli, vale a dire che i passi sono lenti, ma è una decisione del popolo. Dunque affinchè non ci sia disaccordo e le compagne e i compagni si scambino mutuamente consigli, si dice per esempio che se l’autorità dorme, il popolo sveglia. Se il popolo è quello che dorme, il governo autonomo è quello che sveglia.

Si è seminato in profondità il significato della democrazia perchè tutto viene discusso, opinato, proposto, studiato, analizzato e deciso dal popolo, donne e uomini. Non c’è cosa che si faccia che non sia compresa dalla gente.

I compagni e le compagne non ricevono nulla dal cattivo governo, niente, ma nemmeno danno nulla al governo, cioè non pagano le tasse, nè la luce, nè l’acqua, nè la terra; quindi ciò che fanno, qualunque necessità abbiano, devono lavorare insieme la terra per ottenere da lì le risorse, o per costruire scuole, ospedali, tutto il necessario. Un’altra cosa che i compagni e le compagne hanno imparato è che ci sono compagni, compagne, fratelli, sorelle solidali, dunque quello che fanno è non sprecare più le risorse, con esse creano qualcosa, perchè sappiamo che si può solo una volta, due volte, tre volte. Poi non si può più. Per questo i compagni, posso dire, lo riproducono, e un’altra delle cose che hanno e abbiamo, lo vedono e lo dicono, è una piccola libertà e una piccola indipendenza, ma la migliore, perchè è il popolo che decide, non un gruppo. Insieme al loro governo e al popolo. E’ lì che i compagni dicono: qui in questa terra di lotta, mandiamo al diavolo il governo. Non so come si traduce questo.

 

Subcomandante Moisés

Vicecomandante Moisés

Vicecomandante Moisés: Così dicono i compagni, perchè lo hanno fatto proprio. Ed è questo, ciò che manda su tutte le furie il sistema. Perchè, con i compagni, il governo non entra proprio.

Le compagne sono le migliori ad amministrare le risorse, meglio degli uomini, noi siamo più spendaccioni, in verità. Quindi questo collettivo di donne aiuta altre donne di altri villaggi, ovvero, se ci sono 40 vacche ne danno 20 a un altro villaggio e quando le 20 vacche crescono, dieci rimangono a quel villaggio e dieci a quello che le ha date, così si vanno appoggiando l’un l’altro. Così si sono appoggiati da un comune autonomo all’altro. Ora la situazione è che chi dà lavoro, chi sa organizzare il lavoro, sono le nostre compagne, danno il lavoro agli uomini.

Prima le nostre compagne mogli non ne avevano la possibilità, ora sono promotrici dell’educazione, della salute, sono consigli dei MAREZ, dei comuni autonomi, sono autorità del popolo, che chiamiamo comisariadas o agentas, sono membri della Giunta del Buon Governo, sono annunciatrici radiofoniche, lavorano nei laboratori sanitari, stanno imparando a fare le chirurghe. Dunque ora le compagne stanno in un sacco di cose.

Il grande cambiamento che hanno visto è che ribelli e comandanti hanno capito, amano il popolo, perchè noi non vogliamo essere governo e ci hanno convinto, perchè ciò che dicono i popoli è la verità. Poi, va bene, siamo rivoluzionari, ribelli, ma quelli che affrontano tutto giorno e notte, giorno dopo giorno, sono i popoli e, pertanto, sanno di più.

La sorpresa che c’è è che quando i giovani e le giovani ottengono la libertà, ad esempio, vogliono imparare molte cose, solo che in questo momento non abbiamo possibilità, tuttavia hanno in animo di migliorare quello che stanno facendo. Per esempio: parlano di come hanno vissuto i loro bisnonni e i loro nonni, che non hanno mai preso medicine, vivevano con le piante medicinali. Quindi loro, i giovani e le giovani, adesso dicono che hanno bisogno di studiare la proprietà della tale pianta, stanno già parlando di, com’è che si dice, chimica, biologia e cose così, laboratori, dove li troviamo? Certo è una difficoltà che abbiamo proprio adesso, ma dovremo risolverla, vai a sapere come.

Un’altra sorpresa che ci hanno fatto i compagni è questa, come loro vedono le cose, come le comprendono, il capitalismo vuole che regni il denaro? – dicono – cioè se non hai denaro non puoi avere nulla? Quindi parlano di come vivevano i nostri bisnonni, perchè prima il denaro non esisteva, e cominciano a investigare, viene fuori che facevano scambi, si prestavano cose, allora dicono che questo va riscattato. Stiamo dicendo ora che il denaro non serve, ma oggi sì serve, fanno esempi nel sistema in cui stiamo, i dannati medici così dicono. Quando ti fanno un’operazione non accettano una tonnellata di mais o di fagioli, chi paga, soldi. Allora sì, dobbiamo lavorare per avere denaro per queste necessità, ma per molte cose no. Sono cose così che i compagni vanno riscattando dalle loro culture. Una grande sopresa che abbiamo avuto è che questa autonomia di cui parliamo, cioè che il popolo comanda e il governo ubbidisce, non viene da manuali, da libri, nè da documentari, perchè è davvero il popolo che comanda, sono loro che hanno inventato, creato, immaginato, uomini e donne, e migliaia. Questo ci ha davvero sorpreso.

Voi come intendete il progresso?

Un esempio molto semplice, ci sono migliaia di ettari che erano per le mandrie dei latifondisti, ora quelle migliaia di ettari di terra sono alimento del popolo. Questo è un progresso. Così deve essere, per la vita, di generazione in generazione. Quindi così è tutto il resto. E’ sempre il popolo che deve decidere: questo per noi è un progresso.

Le vostre nuove iniziative rappresentano una nuova tappa, parlando delle iniziative di CompArte e del resto. Si tratta di una nuova tappa della lotta zapatista?

Sì. Sì perchè vediamo che il sistema ora non ha salvezza, e gli unici che possono dare salvezza sono i popoli indigeni, la scienza e l’arte. Questi tre elementi devono mettersi insieme. Perchè possiamo cantare del nuovo mondo che vogliamo, ma che fai se lo canti soltanto? Devi arrischiarti a costruirlo. A questo stiamo chiamando: per pensarlo, discuterlo, analizzarlo, studiarlo e poi deciderlo.

Se l’umanità sopravvive, come sarà l’uomo di domani?

Il popolo povero non si sbaglia, sarà il meglio. Il popolo, non i leader.

Che significa essere zapatista, senza essere indigeno e vivendo lontano dal Chiapas?

Lottare senza arrendersi, senza vendersi, nè tirarsi indietro, in ogni modo bisogna liberare questo mondo. Questo è essere zapatista, chiedendo sempre qual è il pensiero della gente. Se smettiamo di chiedere al popolo, è lì che ricomincia l’errore. Sempre al popolo, anche se il popolo si sbaglia, è il popolo che deve di nuovo correggere. Per questo siamo leader zapatisti, se noi ci sbagliamo la gente paga. E’ corretto? E’ corretto che noi sbagliamo e la gente paghi? Quindi bisogna chiedere al popolo e fare quello che dice il popolo. Attraverso la mia voce parla la voce dei compagni. Ho parlato di ciò che stanno facendo i compagni e le compagne.

Messico, Chiapas, 23 aprile 2016

¹Tra il portavoces dell’EZLN vicecomandante dei ribelli Moisés, il collettivo artistico sociale Chto Delat (San Pietroburgo, Russia) e il giornalista Oleg Yasinsky (Ucraina)

 

Traduzione dallo spagnolo di Cristina Quattrone e Matilde Mirabella

Questo articolo è disponibile anche in: Spagnolo, Francese

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Comunicato CNI-EZLN sull’aggressione in Alvaro Obregon, Oaxaca.

Alvaro Obregon

COMUNICATO CONGIUNTO CNI-EZLN SULL’AGGRESSIONE CONTRO LA COMUNITÀ DI ÁLVARO OBREGÓN, OAXACA.

Denunciamo le vili aggressioni armate del 14 maggio scorso e le continue minacce per intimorire la comunità di Álvaro Obregón che si oppone alla realizzazione dei progetti eolici sul suo territorio. Ai politici fa rabbia non poter realizzare i loro profitti attraverso questi progetti di morte e credono di riuscire nel loro scopo spaventando il popolo. Ma si sbagliano!

 

COMUNICATO CONGIUNTO CNI-EZLN SULL’AGGRESSIONE CONTRO LA COMUNITÀ DI ÁLVARO OBREGÓN, OAXACA

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Ai mezzi di comunicazione

Alle organizzazioni solidali

Alle organizzazioni che difendono i diritti umani

Al degno popolo binizza di Álvaro Obregón, Juchitán, Oaxaca

Sorelle e fratelli

Con rabbia e indignazione dai nostri villaggi, tribù, comunità, organizzazioni e quartieri vediamo come il malgoverno si vanti di dimostrare la sua mancanza di vergogna, attraverso i suoi partiti politici di tutti i colori, ma fino a che continuerà ad aggredire i nostri villaggi ed i suoi partiti politici a voler imporre la divisione nelle nostre comunità, non ci stancheremo di denunciare e gridare Basta!

Il 14 maggio scorso, con accanimento ed in maniera svergognata, i poliziotti e guarda spalla della candidata del PAN-PRD Gloria Sánchez López, hanno osato puntare le loro armi assassine contro il degno popolo di Álvaro Obregón, Juchitán, ferendo sei compagni che si trovavano in assemblea per difendere il loro territorio fisico e politico, dai progetti eolici di morte; la loro energia “pulita” è sporca di sangue, corruzione e morte. I candidati di tutti i partiti politici che sanno di godere dell’impunità che concede loro l’appartenere alla banda di criminali che malgoverna lo stato di Oaxaca ed il paese, con le pallottole crede di riuscire a cambiare la coscienza ed ammazzare la dignità del popolo binizza.

La politica nazionale mostra sempre di più che non esiste più vergogna tra la classe politica che crede di poter aggredire, minacciare e spaventare la degna lotta dei popoli. Con aggressioni e violenza cerca di seminare la paura nei degni cuori che difendono la terra, l’acqua ed i venti. Dai quattro punti cardinali dei nostri territori indigeni diciamo loro Non Ci Riuscirete! Non riusciranno a toglierci la rabbia che si trasforma in solidarietà nei nostri cuori. Non riusciranno a strapparci la dignità di lottare per difendere i nostri territori e la vita delle nostre comunità. Non riusciranno a spaventare la degna lotta del popolo binizza che ha l’onore di far parte del Congresso Nazionale Indigeno da molti anni.

Per quanto sopra, sorelle e fratelli di Álvaro Obregón, Juchitán, Oaxaca, dai quattro angoli dei nostri territori vi diciamo che Non Siete Sole! Non Siete Soli! Condanniamo le azioni che il malgoverno del Messico e di Oaxaca, attraverso Saúl Vicente Vázquez, presidente municipale di Juchitán, realizza contro il diritto di autodeterminazione ed autonomia del popolo di Álvaro Obregón.

Denunciamo che le vili aggressioni armate del 14 maggio scorso e le continue minacce sono il tentativo di intimorire la comunità di Álvaro Obregón che si oppone alla realizzazione dei progetti eolici sul suo territorio. Ai politici fa rabbia non poter realizzare i loro profitti attraverso questi progetti di morte e credono di riuscire nel loro scopo spaventando il popolo. Ma si sbagliano!

Per tutto quanto sopra dichiariamo quanto sopra:

Per la ricostruzione integrale dei nostri popoli!

Mai più un Messico senza di noi!

Congresso Nazionale indigeno

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Comunicato CNI ed EZLN su Chablekal.

CNICOMUNICATO CONGIUNTO DEL CNI E DELL’EZLN SULLA REPRESSIONE NELLA COMUNITÀ DI CHABLEKAL.

Noi popoli, comunità, tribù, quartieri, organizzazioni e collettivi che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno denunciamo e condanniamo i fatti accaduti oggi [3 maggio 2016] nella comunità di Chablekal, Yucatan, quando la polizia ha certato di sgomberare dalla sua casa un nonno della comunità, ed i coloni, conoscendo la situazione dell’ingiusto sgombero, hanno deciso di protestare e tentare di impedirlo ed i poliziotti statali antisommossa hanno risposto lanciando gas lacrimogeni; fino ad ora sono stati ritrovati oltre 40 bussolotti di gas nella comunità, nel luogo dove si trovavano donne, bambine e bambini ed anziani.

 

Ai mezzi di comunicazione

Alle organizzazioni per i Diritti Umani

Alla Unión de Pobladoras y Pobladores de Chablekal

Al popolo del Messico

Sorelle e Fratelli:

Noi popoli, comunità, tribù, quartieri, organizzazioni e collettivi che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno denunciamo e condanniamo i fatti accaduti oggi [3 maggio 2016] nella comunità di Chablekal, Yucatan, quando la polizia ha certato di sgomberare dalla sua casa un nonno della comunità, ed i coloni, conoscendo la situazione dell’ingiusto sgombero, hanno deciso di protestare e tentare di impedirlo ed i poliziotti statali antisommossa hanno risposto lanciando gas lacrimogeni; fino ad ora sono stati ritrovati oltre 40 bussolotti di gas nella comunità, nel luogo dove si trovavano donne, bambine e bambini ed anziani.

Nello svolgimento del loro lavoro di difensori dei diritti umani, Jorge Fernández Mendiburu e Martha Capetillo Pasos, membri del Centro dei Diritti Umani Indignción A.C. e del Congresso Nazionale Indigeno, sono stati fermati arbitrariamente, colpiti ed ammanettati in maniera violenta e contraria ad ogni procedura, per essere poi liberati poco dopo, e questo è chiaramente un atto di intimidazione e di criminalizzazione dell’osservazione dei diritti umani e della protesta sociale.

Denunciamo inoltre questo atto come un tentativo di intimidazione sia nei confronti dei difensori dei Diritti Umani sia nei confronti dei coloni della Comunità di Chabekal, comunità che si è organizzato nella Unión de Pobladoras y Pobladores de Chablekal per il Diritto al possesso della terra, del territorio e delle risorse naturali, per difendere quello che resta del loro territorio dopo i furti ed i saccheggi perpetrati negli ultimi anni da speculatori e nuovi proprietari terrieri con l’appoggio delle autorità agrarie e politiche del municipio, dello stato e della federazione. Alla loro richiesta di fermare la vendita indiscriminata delle terre, si risponde con questo ed altri tentativi di intimidazione contro i coloni e coloro che li accompagnano e difendono i loro diritti.

Questo abuso di potere ed i delitti che ne derivano si inseriscono nel contesto dell’imposizione della strategia “Escudo Yucatan” che, attraverso grandi prestiti economici con oscure destinazioni, contribuisce ad una condizione di impotenza dei cittadini di fronte all’operato dalla polizia. Il personale dell’organizzazione Indignación A.C. ha presentato un documento per denunciare queste ed altre irregolarità presenti in questa strategia. Il trattamento riservato ai gruppi che criticano l’operato della polizia è una delle deviazioni del piano citato, che dovrebbe essere analizzato più in dettaglio prima della sua imposizione.

Per quanto sopra ESIGIAMO

– UN’INDAGINE E LA PUNIZIONE DEI POLIZIOTTI RESPONSABILI DELLA DETENZIONE ARBITRARIA ED ILLEGALE DI CUI SONO STATI VITTIME I MEMBRI DELLA SQUADRA DI INDIGNACION A.C.

– LA LIBERAZIONE IMMEDIATA DEI QUATTRO MEMBRI DELLA COMUNITÀ DI CHABLEKAL ANCORA IN CARCERE

*Pedro Euan Flores

* Alfonso Tec

* Pedro Euan Santana – Membro del MPDT di Chablekal e del CNI

* Un ragazzo di 15 anni.

– UN’INDAGINE SULLA AGGRESSIONE SUBITA DAGLI ABITANTI DELLA COMUNITÀ DI CHABLEKAL

– CHE SI GARANTISCA LA SICUREZZA DEI DIFENSORI DEI DIRITTI UMANI.

– LA FINE DEGLI ATTI DI INTIMIDAZIONE CONTRO LA UNION DE POBLADORAS Y POBLADORES DEL PUEBLO DE CHABLEKAL PER IL DIRITTO ALLA TERRA, IL TERRITORIO E LE RISORSE NATURALI.

– CHE SI DISCUTA CON I POPOLI ED I CITTADINI LA NECESSITÀ ED I DETTAGLI DI QUALSIASI AZIONE DI SICUREZZA CHE POSSA ATTENTARE AI DIRITTI UMANI, INCLUSO LA CREAZIONE DEL COSIDDETTO “ESCUDO YUCATAN”.

Sorelle e fratelli di Chablekal,

NON SIETE SOLI!

MAI PIÙ UN MESSICO SENZA DI NOI!

PER LA RICOSTRUZIONE INTEGRALE DEI NOSTRI POPOLI!

 

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Ayotzinapa: GIEI se ne va; la lotta continua.

Ayo

25 aprile 2016 – AYOTZINAPA, IL GIEI SE NE VA, LA LOTTA PER LA VERITÁ CONTINUA

La decisione é opera del Governo Messicano che non gradisce che occhi indiscreti frughino nelle debolezze del narcoestado alla ricerca della verità.

Scarica QUI il Secondo Rapporto del GIEI

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Gustavo Castro rientra in Messico.

Gustavo CastroGustavo Castro è finalmente rientrato in Messico. Unico testimone oculare dell’omicidio della nostra comune amica Berta Cacéres, era trattenuto in Honduras da quasi un mese. Adesso, le richieste restano quelle del Copinh.

Firma la petizione al governo dell’Honduras e aiutaci  a chiedere giustizia per l’omicidio di Berta, la fine della persecuzione contro il popolo Lenca ed il Copinh e l’immediata cancellazione del progetto Agua Zarca e di tutte le concessioni che violano i diritti delle comunità indigene dell’Honduras.

copinh

 

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Berta Cacéres: cronologia minima.

berta

Sono passate tre settimane dall’omicidio di Berta Cacéres, leader del COPINH, in Honduras. Nel Prezi qui sotto (work in progress) tutto quel che è successo -e ciò che non è successo- dopo il 3 marzo 2016. Gustavo Castro, testimone oculare, è ancora “ostaggio” del governo honduregno: non può lasciare il Paese per far ritorno in Messico. https://prezi.com/mcovrlkfqftw/justiciaparabertacaceres/?utm_campaign=share&utm_medium=copy

 

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Incontro “Gli Zapatist@ e le CoScienze per l’Umanità”

miriam

Le/gli scienziat@ invitat@ all’incontro “Gli Zapatist@ e le CoScienze per l’Umanità”, potranno partecipare con una riflessione critica sulla loro pratica o teoria scientifica, oppure esponendo in maniera accessibile alcuni elementi generali della loro specializzazione (cioè, una chiacchierata divulgativa). Data e lugo dell’Incontro di CoScienze: dal 25 dicembre 2016 al 4 gennaio 2017, con un intervallo il 31 dicembre e 1° gennaio. Il luogo è presso il CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico.

Aggiornamenti sull’Incontro “Gli Zapatist@ e le CoScienze per l’Umanità”

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

16 marzo 2016.

Compas e non compas:

Vi nformiamo qui di come sta andando con l’Incontro “Gli Zapatisti@ e le CoScienze per l’Umanità”:

Fino al 14 marzo sono arrivate 50 richieste per partecipare all’evento.

Ci sono richieste da Norvegia, Brasile, Cile, Francia, USA, Giappone e Messico.

Discipline scientifiche: Fino ad ora si contemplano inviti per scienziat@ in Astronomia, Biologia, Fisica, Matematica, Chimica, Medicina, Genetica, Patologia e Nefrologia Pediatrica e Microbiologia. Vi terremo informati mano a mano che aumenteranno gli inviti.

Le/gli scienziat@ invitat@ all’incontro “Gli Zapatist@ e le CoScienze per l’Umanità”, potranno partecipare con una riflessione critica sulla loro pratica o teoria scientifica, oppure esponendo in maniera accessibile alcuni elementi generali della loro specializzazione (cioè, una chiacchierata divulgativa).

L’indirizzo di posta elettronica dove iscriversi per assistere all’Incontro “Gli Zapatist@ e le CoScienze per l’Umanità” è conCIENCIAS@ezln.org.mx

Data e lugo dell’Incontro di CoScienze: dal 25 dicembre 2016 al 4 gennaio 2017, con un intervallo il 31 dicembre e 1° gennaio. Il luogo è presso il CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico.

All’incontro potranno partecipare solo le/gli scienziat@ invtat@ con i loro contributi; e ragazze e ragazzi zapatisti selezionat@ con le loro domande.

L’iscrizione non costa nulla e le/gli zapatist@ non possono pagare viaggio, vitto e alloggio.

Bambine e bambini possono assistere come spettatori ed ascoltatori, ma devono essere accompagnati da una persona adulta che ne sia responsabile.

È severamente proibito la produzione, consumo e commercio di droga e alcool.

Per adesso è tutto.

Subcomandante Insurgente Moisés            Subcomandante Insurgente Galeano
Messico, marzo 2016

Dal quaderno di appunti del gatto-cane:

Echi dall’8 marzo.

Data: 8 marzo 2016. Luogo: Quartier Generale dell’EZLN. Documento ottenuto dal diario di chi si fa chiamare “supgaleano”, grazie al malware troyano chiamato uglia, uglia, chi lo trova si ingarbuglia” versione 6.9.

Il Subcomandante Insurgente Moisés e il sottoscritto stavamo parlando del prossimo festival CompArte e di come le comunità zapatiste si stanno organizzando per partecipare. In quel mentre arriva una compagna Insurgenta e dice in maniera perentoria: “ci sarà una partita di calcio. Le donne ci hanno sfidato”. Io sapevo cosa c’era dietro tutto questo, dato che non era la prima volta che accadeva. Lasciate che vi dica che in quel quartiere le donne insurgentes sono il doppio degli uomini insurgentes. Su questo ci sono due versioni: secondo quella ufficiale, la maggior parte degli insurgentes svolgono lavori di alta specializzazione, dove solo noi uomini possiamo operare con garbo e grazia; la realtà è che sono di più le compagne dei compagni. Ovviamente è proibito diffondere la versione reale, e per questo ai Tercios Compas è stata distribuita solo la versione ufficiale.

Nonostante la realtà, evidente a prima vista, ad uno degli insurgentes, dopo colazione era venuto in mente di dire: “siccome oggi è l’8 marzo, noi uomini sfidiamo le donne ad una partita di calcio“. L’ufficiale al comando si era accorto quasi immediatamente dell’errore, ma il male era fatto. Una ufficiale del servizio di sanità insurgente ha risposto: “Sta bene“. Gli uomini hanno circondato l’ingenuo sfidante per rimproverarlo. Sapendo la ragione del malessere che serpeggiava tra le le file maschili, l’insurgente volle precisare: “però squadre con pari giocatori”. “Non se ne parla”, hanno detto le donne, “hai detto uomini sfidano donne, quindi, tutti gli insurgentes contro tutte le insurgentas”.

Il cielo cominciava ad annuvolarsi ed un forte vento presagiva la disgrazia.

Dopo pranzo (il menù era frullato di tamales e caffè al peperoncino), è passata una insurgenta a dirci che la partita stava per iniziare e se ci andavamo. Il subcomandante Insurgente Moisés non poteva, perché doveva rivedere la lista degli iscritti al festival. Io mi sono astenuto, intuendo che non ci sarebbe stato un clima favorevole a causa dell’inequità di genere. Quindi, nessuno dei due ci è andato.

Già imbruniva quando tornarono. In cielo e in terra il temporale era padrone e signore su tutto.

La insurgenta è venuta poi a fare rapporto. Le ho chiesto com’era andata la partita ed ha risposto “abbiamo pareggiato“. “A quanto?“, le ho domandato. “Non ricordo“, disse, “ma noi abbiamo vinto una partita e poi abbiamo cambiato campo ed hanno vinto loro; quindi abbiamo pareggiato: uno a uno“.

Lo disse con tale disinvoltura che sembrava il presidente dell’Istituto Nazionale Elettorale che comunica i risultati ufficiali di un’elezione.

A me sembrava che ci fosse del marcio in Danimarca, quindi sono andato dall’ufficiale in comando a chiedergli il risultato: “Abbiamo vinto 7 a 3”, ha risposto secco. “Ma, se la insurgenta di Sanità dice di aver pareggiato perché loro hanno vinto una partita e voi l’altra”, dissi. L’ufficiale ha sorriso e spiegato: “no, sup, abbiamo giocato solo una partita; il fatto è che nel primo tempo loro vincevano 3 a 2, e nel secondo tempo, dopo il cambio di campo, noi abbiamo segnato 5 reti. Risultato: insurgentes-7, insurgentas-3“. Il Subcomandante Insurgente Moisés, portavoce dell’ezetalene, a nome di tutti gli uomini, donne, bambini ed anziani zapatisti, ha esclamato: “Abbiamo vinto noi uomini!“. Una insurgenta che passava dì lì ha protestato: “Come abbiamo vinto noi uomini, se voi non ci siete nemmeno andati!“. “Non importa“, ha detto la voce ufficiale dell’ezetaelene, “abbiamo vinto noi uomini“.

Il temporale sembrava calmarsi e venti ed acqua acquietarsi. Ma l’orizzonte era lungi dall’essere chiaro.

Nella notte, mentre brindavamo con caffè alla supremazia maschile, il Subcomandante Insurgente Moisés mi ha spiegato: “Guarda, il fatto è che tra gli uomini, solo due sanno giocare bene a calcio, e questi due erano di guardia, quindi nel primo tempo gli insurgentes erano sotto di due reti e le insurgentas sono di più. Nel secondo tempo i due uomini hanno smontato dal loro turno e sono entrati in partita e così hanno vinto“.

Gli ho chiesto se le insurgentas sapessero giocare a calcio: “”, ha detto, “ed inoltre hanno ragazzina che corre da una parte all’altra; è lei la vera stratega e tattica della squadra, perché, quando si stanca di correre, grida ‘palla, palla’ e tutte le insurgentas si lanciano addosso all’uomo che è in possesso della palla e tutte si mettono a calciare e siccome la palla è solo una, qualche calcio arriva al compagno“.

Abbiamo alzato in alto dunque le nostre tazze di caffè freddo e salutato la nuova vittoria di genere sebbene in condizioni avverse.

Sulla montagna vento e pioggia si erano ormai abbeverati della forza notturna. Ancora non albeggiava quando arrivarono, ancora con più forza, se possibile.

Però (c’è sempre un “però”), il giorno seguente, a colazione, uno degli uomini, provocatoriamente, ha chiesto com’era andata la partita di calcio. “Abbiamo pareggiato“, si è affrettata a dire una insurgenta e, prima che i maschi potessero reagire, si è rivolta alle altre incitandole: “Vero compagne?“. “Sìììììì!“, hanno gridato tutte e siccome sono in maggioranza … insomma, è a rischio la democrazia.

È così che le insurgentas hanno trasformato una sconfitta sportiva in un trionfo ed hanno vinto…. con un pareggio. Risultato finale: insurgentes- 1, insurgentas– 2.

Ma i maschietti non si sono dati subito per vinti ed hanno chiesto la rivincita. “Sta bene“, hanno detto le compagne, “ma l’anno prossimo“.

Disperati, gli insurgentes sono accorsi da chi meglio sintetizza gli alti valori del machismo-zapatismo, cioè, proprio io. Mi hanno chiesto quando fosse “la giornata degli uomini.

Cosa?”, ho chiesto loro.

”, hanno detto, “se c’è la giornata della donna, deve esserci anche la giornata dell’uomo”.

Ah”, ho annuito comprensivo: “certo che c’è”. Ed ho indicato loro quello che, con sintetica saggezza, un animale aveva twittato: “‘La giornata dell’uomo’ (quando si celebra la schiavitù della donna ai lavori di riproduzione e allevamento) esiste. È il 10 maggio”.

Credo che non abbiano afferrato il sarcasmo, perché se ne sono andati dicendo: “Ah, quindi ancora non c’è”.

-*-

Domande di controllo di lettura:

1.- La insurgenta di sanità che ha sovvertito la semantica nelle regole della FIFA, è una femminazi, una lesboterrorista o qualcuno che supera le regole, spezza i ruoli imposti e ferisce la sensibilità virile?

2.- Chi con tanta grazia racconta quanto accaduto in quel funesto 8 marzo 2016 in un quartiere zapatista, è un macho eteropatriarcale, eurocentrista, specista, capacitista, classista ed ecceterista, un’altra delle vittime del sistema (sembra il nome di un gruppo musicale), oppure non celebra il 10 maggio per mancanza della suddetta?

3.- Come donne che siamo, concediamo la rivincita ai dannati uomini oppure niente, perché a lasciar volare i corvi questi ti caveranno gli occhi?

Mandate le vostre risposte al bidello della scuola. Attenzione: tutte le parolacce saranno rimandate al mittente a carico dello stesso.

In fede sotto giuramento di genere:

SupGaleano.
8 Marzo 2016

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Offensiva contro gli zapatisti.

Si prepara una grande offensiva contro gli zapatisti.

Dal governo si prepara una grande offensiva contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) che di fronte alla persecuzione e minaccia permanenti ha costruito spazi di autonomia e sviluppo attraverso le giunte di buon governo, inedite nel continente.

In occasione dell’evento “A 20 anni dagli accordi di San Andrés”, organizzato da Casa Lamm e La Jornda, ricercatori, scrittori ed esperti di diritto indigeno hanno lanciato l’allarme sulla minaccia denunciata dagli zapatisti.

Quando gli zapatisti parlano, non è per giocare, ma perché la minaccia è reale, come dicono nel loro ultimo comunicato, ha affermato Luis Hernández Navarro, coordinatore della sezione Opinión di questo giornale e consulente dell’EZLN nei negoziati di San Andrés. I segnali di allarme ci sono già, ha sottolineato.

In questo senso, Magdalena Gómez Rivera, avvocata esperta in diritto indigeno (…) ha esortato la società civile ed i movimenti sociali a vigilare sul rischio latente di un’offensiva contro gli zapatisti.

Insieme al politico ed antropologo Gilberto López y Rivas e Francisco López Bárcenas, uno dei più distinti teorici di diritto indigeno, Magdalena Gómez Rivera e Luis Hernández Navarro hanno analizzato la trascendenza degli accordi di San Andrés per i diritti dei popoli indigeni. E benché siano stati firmati il 16 febbraio 1996, il governo non li ha mai rispettati, tradendo così l’EZLN ed i popoli indigeni.

Hernández Navarro ha detto che il governo ha sempre agito per far fallire il processo di negoziazione. (…)

José Antonio Román – La Jornada – Mercoledì 2 marzo 2016 http://www.jornada.unam.mx/2016/03/02/politica/009n2pol

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EZLN: Info su festival CompArte.

micio

Su CompArte: poche domande, poche risposte.

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano

Vi scriviamo per dirvi delle attività di luglio, ottobre e dicembre di quest’anno 2016. Siccome abbiamo ricevuto poche domande, qui ci sono poche risposte e che si riferiscono solo al festival “CompArte per l’Umanità”:

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

14 marzo 2016

Compas e non compas:

Vi scriviamo per dirvi delle attività di luglio, ottobre e dicembre di quest’anno 2016. Siccome abbiamo ricevuto poche domande, qui ci sono poche risposte e che si riferiscono solo al festival “CompArte per l’Umanità”:

– Quante sono le iscrizioni al festival delle arti?

Fino al 12 marzo 2016 si sono iscritti:

21 assistenti dal Messico e 5 da altri paesi.

99 partecipanti dal Messico e 30 da altri paesi (Cile, Argentina, Grecia, Canada, Unione Americana, Stato Spagnolo, Nuova Zelanda, Trinidad e Tobago, Guatemala, Colombia, Costa Rica, Brasile, Perù; Transfrontalieri, Uruguay, Francia, e la Comunità Sufi con musica islamica).

– Che tipo di attività o ambiti artistici si sono registrati fino ad ora?

Secondo le iscrizioni, fino ad ora sono questi: Rap, Poesia, Arti Visive, Danza Contemporanea, Pittura, Incisione, Letteratura-racconti, Teatro, Burattini, Ricamo, Fucina, Serigrafia, Fotografia, Documentario, Cinema, Scultura, Ceramica, Cortometraggio, Illustrazione, Reggae, Rock, Graffiti, Gastronomia, Danza Aerea, Muralismo, Musica, Musica, e ancora Musica.

– Com’è la questione delle “sedi alterne” del Festival “CompArte”?

Ci aspettiamo che le/i compas della Sexta in Messico e nel mondo comprendano, come si dice, il messaggio subliminale della convocazione ed organizzino nelle rispettive geografie e secondo i propri calendari, attività preliminari, parallele o successive ai festival-incontri convocati dalle/dagli zapatisti. Cioè, speriamo che, in località, regioni, zone o paesi, la Sexta organizzi festival ed incontri dove si dia spazio ed eco all’ambito artistico. E, ovviamente, anche dove si celebrino i 20 anni di esistenza in ribellione e resistenza del Congresso Nazionale Indigeno, e dove le/gli scienziati trovino un ascolto attento e pensiero critico.

– Per assistere, senza partecipare, al festival “CompArte” è necessario registrarsi? Sì, ma bisogna specificare che si partecipa solo come “assistente”.

– Per assistere e partecipare al festival “CompArte” è necessario registrarsi? Sì, e vi chiediamo di specificare la forma della vostra partecipazione.

– Qual’è l’indirizzo e-mail per registrarsi al festival “CompArte per l’Umanità”?

La e-mail è: compArte@ezln.org.mx

– Potete ripetere le date ed i luoghi del festival “CompArte per l’Umanità”? No, sono già state indicate nel comunicato del 29 febbraio… Ok, ok, ok, allora:

Date: dal 17 al 30 luglio 2016

Luoghi:

Dal 17 al 22 luglio 2016 nel caracol di Oventik. Partecipazione riservata solo alle basi di appoggio zapatiste. Si può assistere liberamente come ascoltatori e spettatori, ma previa registrazione.

Dal 23 al 30 luglio 2016 presso il CIDECI di San Cristóbal Las Casas, Chiapas. Partecipano tutt@ le/gli artisti registrati. Si può assistere liberamente come ascoltatori e spettatori, ma previa registrazione.

– L’iscrizione come presenti o partecipanti, ha un costo? No.

– Pagherete voi (le/gli zapatisti) viaggio, vitto e alloggio? No.

– Secondo lo zapatismo, la gastronomia è un’arte? Dipende da come ognuno caratterizza la sua pratica. Nel caso della difficile arte culinaria, le insurgentas, come eco dell’8 marzo, parteciperanno con un menù… mmm… come dirvi? … sconcertante: “frullato di tamales e caffè con peperoncino” (attenzione: per il frullato di tamales non usano frullatore né altre macchine, ma solo il focolare e la loro “saggezza”). Io l’ho già subito… scusate… degustato ed è….. sì, sconcertante.

– Possono partecipare le/i bambine/i? Sì, i bambini possono iscriversi e partecipare o assistere. Le bambine, ci dispiace ma il termine è scaduto perché era entro l’8 marzo, quindi… eh? … ma … ah! … ok, ok, ok: anche le bambine possono iscriversi. Attenzione: tutt@ i minorenni dovranno essere accompagnati da madre o padre o tutore o tutrice o tutoroa.

– C’è qualche tipo di divieto in tali eventi? Sì, sono severamente proibiti la produzione, consumo e commercio di droghe e alcool. Se non siete capaci di fare arte o goderla senza assumere qualcosa prima o durante, avete sbagliato canale.

– Non ci sono ancora informazioni sulla Escuelita? No. Si stanno ancora esaminando le domande inviate dalle/dagli alunn@. Quando ci saranno, le/gli interessat@ saranno informati.

Per ora è tutto.

Subcomandante Insurgente Moisés. Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, marzo 2016

Dal quaderno di appunti del gatto-cane:

L’ORA DEL POLIZIOTTO (prima parte):

Uno.- In Messico, un paese dell’America latina che soffre, come tutti gli altri, la crisi mondiale, ma amplificata dalla solida triade di corruzione-inettitudine-ignoranza fatta governo, il funzionario responsabile dell’educazione pubblica, Aurelio Nuño Mayer, non riesce a nascondere la sua passione per la professione di poliziotto. Incoraggiato dai suoi compari, il signor Nuño crede di poter essere il candidato alla presidenza della repubblica per il suo partito, il Partito Rivoluzionario Istituzionale, se funge più da picchiatore assoldato, che da promotore dell’educazione messicana. Uso a proferire minacce, gestire il proprio corpo repressivo ed agire come un qualsiasi padrone degli inizi del capitalismo selvaggio, il signor Nuño prova un particolare piacere nel trasformare il magistero in destino, non di migliori scuole, preparazione e salari, ma destino di arbìtri, botte e licenziamenti. Svolge funzioni di ministro, giudice e boia; di ministro del lavoro (decreta licenziamenti senza indennità), ministro dell’interno (dispone a suo capriccio di poliziotti ed esercito), turpe comunicatore mediatico, pessimo costruttore di adesioni “spontanee”, e tuitero in permanente “slow motion“, il signor Nuño ha come unico merito curricolare l’essersi inserito nella banda di criminali che delinquono con diritto. Nonostante i suoi vestiti e le cravatte, la sua immagine ritoccata e costruita a Photoshop, il signor Nuño non può nascondere quello che è sempre stato: un triste e grigio poliziotto che ricava denaro e piacere reprimendo e umiliando. Il signor Nuño ha sempre desiderato essere un buon poliziotto, ma… nel momento in cui la caverna dei ladri sarà insufficiente ad accoglierne tanti, quando il suo protettore segreto cadrà, il signor Nuño dimostrerà anche di essere un buon corridore… quando si tratterà di fuggire.

Un altro uno.- Nella cosiddetta “massima casa di studi” di questo paese conosciuto durante i mondiali di calcio (anche se non oltre gli ottavi di finale) come “Messico”, all’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) è arrivato alla poltrona più alta (e trampolino per poltrone governative), cioè, al rettorato, il signor Enrique Graue Wiechers. Oltre alla sua carriera accademica e professionale, è stato un burocrate dell’accademia e condotto per mano dallo psichiatra della famiglia Zedillo Ponce de León, il signor Graue ha conseguito un master in un’università nordamericana nota per aver inventato la bibita energetica “Gatorade“, e questo dà un’idea della sua specializzazione in oftalmologia. Alcuni giorni fa, il signor Graue si è dichiarato “indignato” perché non è bastata la droga che la polizia “ha piantato” o “seminato” ad uno degli attivisti dell’Auditorium Che Guevara (che, inutilmente, le autorità universitarie vogliono chiamare “Justo Sierra”). Il signor Graue non si è indignato perché il budget federale destinato all’educazione superiore è insufficiente a dare una formazione a centinaia di migliaia di giovani; non si è nemmeno indignato per le condizioni di mercato alle quali è soggetto il personale accademico e amministrativo; né si è indignato perché la UNAM si è trasformata in un covo di malviventi, cioè, di burocrati che non sanno neppure scrivere correttamente il nome del proprio capoccia (cioè, del rettore); nemmeno si è indignato per la mancanza di sicurezza degli impiegati, accademici e studenti nei campus della UNAM (aggressioni, violenze sessuali, omicidi); non si è indignato perché un processo antidemocratico e da gangster abbia messo sulla poltrona più alta della “massima casa di studi” un grigio burocrate.

No, il signor Graue si è indignato perché la polizia non fa bene il lavoro di fabbricare colpevoli. E questo indigna molto il signor Graue perché lui, in tutta la sua vita, si è sempre sforzato di essere un buon poliziotto. Col suo indignato discorso da poliziotto (assecondato da persone che non sanno nemmeno dove diavolo si trovi l’auditorium Justo Sierra, e tanto meno il Che Guevara, il signor Graue detta cattedra: “il problema dell’educazione superiore in Messico è colpa della mensa vegetariana, del laboratorio di serigrafia, di panetteria, tra altre cose. Sono attività sovversive promosse da un gruppo di persone anarchiche, cioè sporche, brutte e cattive che contrastano con la pulizia ed il buon vestire della burocrazia universitaria. Non vendono nemmeno Gatorade, ma acqua di origine sconosciuta. Sono drogati (i funzionari alti, medi e bassi nascondono nei cassetti della scrivania la cocaina, il vetro, il cristallo, le pillole e perfino il crack e spinelli – anche nella burocrazia ci sono livelli, mio caro −), sono anarco-anarchici, non fanno parte della comunità universitaria (più di un funzionario inghiotte saliva) e quell’auditorium… l’auditorium… l’auditorium… segretario, presto, mi dica come si chiama l’auditorium che vogliamo sgomberare… ha sì, l’auditorium Justo Sierra della facoltà di medicina… eh?… non è a medicina?… eh? … stanno registrando? e ditemelo allora!… ok… che sta nella facoltà di Lettere e Filosofia di Acatlán… no?… nella Città Universitaria?… Non è nella CU dove giocano los pumas? … Da quelle parti non ci sono facoltà? be’, io conosco solo il palco del rettorato… bene, dovunque si trovi, deve essere “liberato” dalla polizia, chiaro, dalla polizia che semini per bene le prove e non da quegli storditi che non sono nemmeno capaci di sistemare un po’ d’erba in uno zainetto. Per questo, un gruppo d’élite dei miei funzionari terrà un corso su come sistemare stupefacenti nei portafogli. Sì, lo so che non sono la stessa cosa, ma noi non portiamo mica zainetti, ma portafogli. Ho detto… e gli applausi? … accendi il registratore! … no, quello spegnilo che mi rovini la corsa al gabinetto! l’altro! quello! Grazie, grazie ai veri universitari che sanno che l’università serve ad addomesticare, non ad insegnare né investigare! Grazie, grazie, grazie! com’è venuto? … eh? … e spegni quel dannato registratore!… no, non quello dei goyas, l’altro, quello che sta registrando!”

Il signor Graue è furioso, lui vuole solo essere un buon poliziotto…

In fede: guau-miau.

Gatto-cane.

Copyleft 2016. Permesso della Giunta di Buon Governo in stato di “torni domani, chissà, magari al prossimo turno, nel frattempo le racconto la storia dell’autonomia zapatista. La sa già? Bene, allora, come si dice, bisogna ripassarla fino a che non entra bene nella sua testa. Ha il suo quaderno di appunti? Scriva “resistenza e ribellione”, o “ribellione e resistenza”, è la stessa cosa, perché l’ordine delle “r” non compromette l’autonomia, non ha studiato matematica? Solo canzoni? No, guardi, c’è bisogno delle arti e delle scienze, altrimenti come si fa”.

Testo originale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Mail da inviare alle ambasciate.

Gustavo CastroInviamo alle rappresentanze in Italia del governo messicano la preoccupazione e la richiesta di protezione per l’attivista Gustavo Castro, unico testimone dell’omicidio di Berta Caceres, al quale le autorità dell’Honduras hanno impedito di lasciare il paese. Qui, di seguito, la mail da inviare ai seguenti indirizzi: correo@emexitalia.itseccion.consular@emexitalia.itinfo@consuladohondurasroma.it

ALERTA: seguridad para Gustavo Castro!
 
Ocho dias después del asesinado de Berta Cacéres, el ciudadano méxicano Gustavo Castro Soto -que es el unico testigo del delito- sigue en la embajada de México en Honduras. 
 
A pesar de las medidas cautelares dictadas por la CIDH (“en consideración la información presentada que indica que el señor Gustavo Castro ha decidido salir del país para salvaguardar su seguridad, la CIDH considera necesario que el Estado tome todas las medidas necesarias para asegurar su seguridad durante todo el proceso para preparar y completar su salida”), el y la organización Otros Mundos Chiapas -que fundó y de la cual es director- se encuentran muy preocupados porqué el Gobierno de Honduras pide al Gobierno mexicano de dejarles bajo su “control” Gustavo. 
 
Desde la embajada mexicana Gustavo nos envió este mensaje:
“He colaborado en todas las diligencias y estoy dispuesto ha seguirlo haciendo en el marco de la ley Honduras. Quiero pero permanecer en la embajada porqué temo por mi seguridad”.
 
Pido el gobierno méxicano que asegure la incolumidad del ciudadano méxicano y defensor de los derechos humanos y medioambientales Gustavo Castro, y que favorezca su pronto regreso a México.

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