La proposta del CNI-EZLN di nominare un Consiglio Indigeno di Governo e una portavoce donna candidata alla presidenza del Messico nel 2018 non vuole andare contro ai “partiti di sinistra” che aspirano a “prendere il potere” a quelli di sopra, glielo lasciano! Ma vuole esercitare il potere che hanno quelli in basso quando sono organizzati.
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Seminario di riflessione critica
I muri del capitale, le crepe della sinistra
12-15 aprile 2017, CIDECI-UniTierra
San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico
Elezioni 2018: La proposta dell’EZLN-CNI non divide, mette allo scoperto i partiti politici.
Paulina Fernández C.*
Poco più di un mese fa Miguel Ángel Mancera ha dichiarato alla stampa: “Sono diventato Governatore [del Distretto Federale] quando la sinistra era unita. A quelle elezioni avevano partecipato insieme il PRD [Partito della Rivoluzione Democratica], il Partito del Lavoro (PT), il Movimento Cittadino (MC) ed il gruppo di Morena. Oggi la divisione è compiuta…”[1]
E questa divisione tra i partiti che si dicono di sinistra o le divisioni all’interno di ognuno di essi, così come le diserzioni individuali o le scissioni di gruppi di transfughi che emigrano alla prima occasione, è una costante nella vita delle organizzazioni politiche di partito. Ma queste costanti divisioni non avvengono solo nei o tra i partiti politici ufficiali; in tutto il paese questi cercano anche di attrarre tra la loro clientela fissa le organizzazioni non di partito ma con influenza politica nei loro ambiti o settori di intervento e per fare ciò ricorrono a vecchi meccanismi di penetrazione delle organizzazioni mediante la cooptazione dei dirigenti, lasciando come testimone di questa pratica i nomi che le diverse frazioni prodotto delle successive divisioni si vedono obbligate ad usare per distinguersi: “nuova”, “democratica”, “indipendente”, “storica”, “rivoluzionaria”, “maggioritaria”…
In vista dei processi elettorali municipali, statali o federali, personaggi dei partiti politici si assumono il compito di contattare leader, autorità o rappresentanti per offrire loro una candidatura, non perché tra le loro file non ci siano interessati ad una “poltrona ad elezione popolare”, ma perché la congiuntura è favorevole per farsi spazio in determinate comunità che li ripudiano. Tutti sanno che durante le campagne elettorali si intensifica la divisione che viene fomentata dai partiti politici nei villaggi, nelle comunità, ejidos, quartieri, colonie e nelle organizzazioni contadine, indigene, di coloni, di ogni tipo di lavoratori, divisione accompagnata da merci, beni di consumo di prima necessità, denaro in contanti o carte prepagate elargiti in migliaia di azioni palesemente e sfacciatamente di compravendita di voti.
La distribuzione di risorse economiche tra la popolazione di determinati territori svolge una funzione che va oltre i tempi e gli appetiti elettorali. Partiti di diverso colore e governi a tutti i livelli, sanno che l’elemento essenziale della resistenza indigena che non sono riusciti a piegare, consiste nel non accettare denaro dallo Stato messicano a nessun titolo. L’ostentata distribuzione di beni materiali solo “a chi sta col governo”, ai membri di organizzazioni e comunità “affiliate ai partiti”, è una delle tante forme di ostilità e pressione esercitate al fine di indebolire e dividere le comunità autonome zapatiste.
La continua opera di divisione esercitata dai partiti politici in questi territori, non ha niente a che vedere con la loro democrazia; è parte di una guerra permanente contro i popoli, guerra non esente da violenza. Così troviamo che, per esempio, nei municipi autonomi ribelli zapatisti del Caracol di La Garrucha, negli ultimi anni hanno dovuto affrontare molte difficoltà originate da partiti e governi, tutte rivolte contro l’autonomia. “Queste difficoltà sono principalmente parte di una strategia contrainsurgente che si manifesta, principalmente, con l’invasione e spoliazione di terre recuperate, essendo questo l’aspetto più visibile dell’offensiva per disintegrare la coesione sociale delle comunità, per dividere i villaggi e gli ejidos e far scontrare tra loro i fratelli indigeni, per fiaccare la resistenza delle basi di appoggio dell’EZLN, per provocare diserzioni tra gli zapatisti e, infine, ostacolare in maniera permanente la libera costruzione dell’autonomia. Parallelamente a questa offensiva generalmente violenta contro terre e popolazioni, lo Stato promuove misure socialmente più presentabili ma altrettanto perverse, basate su di un numero indefinito di politiche, programmi e progetti attraverso i quali fluiscono continuamente il denaro e le risorse materiali verso la popolazione simpatizzante, anche indigena ma non zapatista, di tutte le età e condizioni. A queste operazioni controrivoluzionarie partecipano i tre livelli di governo ufficiale, i membri di alcune organizzazioni sociali riconosciute come paramilitari ed i partiti politici nazionali che sono presenti nella Zona in cui tutto indica l’assenza di partiti politici di opposizione, tutti sono governo o in attesa del loro turno o di un’alleanza per esserlo e tutti partecipano attivamente alla guerra contro gli zapatisti, dalla quale cercano di trarre vantaggio con la loro logica clientelare nel mercato politico-elettorale.”[2]
Dalle molte denunce rese pubbliche negli anni (i cui testi completi si possono ancora consultare in internet) ed alle quali i partiti politici incriminati fino ad oggi non hanno dato risposta, possiamo rilevare che “nella guerra contro gli zapatisti le frontiere e le differenze politiche non esistono tra i partiti, né tra i governi, tutti sono un tutt’uno, ed i partiti si fondono tra loro ancora di più quando i loro militanti e dirigenti tacciono e si disinteressano delle azioni commesse da coloro che hanno appoggiato per arrivare al potere. Nelle denunce della Giunta di Buon Governo della Zona Selva Tzeltal fatte in diverse occasioni, sono continuamente indicati come responsabili politici di persecuzione, aggressioni, soprusi, furti e diversi delitti, i titolari del potere esecutivo federale, di quello statale e municipale che hanno guidato i rispettivi governi nel periodo 2006-2012: Felipe Calderón Hinojosa arrivato alla Presidenza della Repubblica – frode mediatica – con il PAN e che attraverso diversi enti federali appoggiava la OPDDIC, organizzazione di aperta filiazione priista, nella sottrazione delle terre dell’EZLN. Juan José Sabines Guerrero, Governatore dello stato del Chiapas che, ancora priista e in carica come presidente municipale di Tuxtla Gutiérrez, fu canditato dalla ‘Coalizione per il Bene di Tutti’ formata dai partiti PRD, PT e Convergencia. Carlos Leonel Solórzano Arcia, militante del PAN fu Presidente Municipale di Ocosingo dal 2008 al 2010 ed il suo successore, Lindoro Arturo Zúñiga Urbina (2011-2012) fu il candidato della ‘Unità per Chiapas’ formata dall’alleanza tra PAN, PRD, Convergencia e PANAL.” In sintesi: in anni recenti, in Chiapas la “sinistra” e la destra allo stesso modo rappresentate da PRI, PAN, PRD, PT, Convergencia, PANAL, sono state compartecipi in diverse occasioni della persecuzione, aggressioni, predazioni e diverse azioni violente contro le comunità dei municipi autonomi zapatisti la cui lotta, esperienza di organizzazione e di governo rivela il sistema politico ed economico a cui fanno riferimento e che difendono tutti i partiti istituzionali.
Senza escludere le comunità vicine ai municipi zapatisti, nel resto del paese i programmi sociali attraverso i quali i governi canalizzano le risorse economiche “alla popolazione povera” compiono la stessa funzione delle donazioni distribuite in campagna elettorale e sono sfruttate permanentemente dai partiti “al potere” per attrarre, conservare o incrementare la loro clientela elettorale: crediti, abitazioni, Oportunidades, Procampo, Vivir mejor, Piso firme, Amanecer per gli anziani, borse di studio per i bambini, tra altri “benefici”, vengono concessi discrezionalmente ai rispettivi seguaci, approfondendo così le divisioni sociali ed i rancori tra partiti.
Ma queste “opere di carità” con risorse pubbliche non servono solo a dividere e indebolire la popolazione organizzata in diversi modi, servono anche a rafforzare il capitalismo portando in tutti gli angoli del paese i suoi metodi di sfruttamento, di dominazione politica, di controllo sociale, di sottomissione personale. Non è un caso né un errore che in America Latina i programmi sociali di sussidi alla popolazione più povera non abbiano diminuito la povertà ma invece si siano trasformati in una fonte di guadagno per il capitale finanziario. Qualche settimana fa la Banca Interamericana di Sviluppo (BID) ha rilevato che venti anni dopo l’entrata in funzione dei “programmi di trasferimenti monetari condizionati” – così li chiamano – nella regione, “con Messico e Brasile in testa, con Oportunidades, che è diventato Prospera e Bolsa Familia, rispettivamente”, i governi pagano elevate commissioni alle banche per ogni transazione compiuta, poiché la maggioranza dei beneficiari vivono in comunità emarginate dal settore finanziario.[3]
L’opera di divisione e disarticolazione del tessuto sociale promossa dai governi e dai partiti politici di ogni colore, viene portata avanti su tutto il territorio nazionale con la finalità di facilitare l’appropriazione e la concentrazione in mani private delle ricchezze nazionali. Negli ultimi decenni, in questo processo di accumulazione di capitale denominato neoliberismo, gli attori pubblici, le istituzioni dello Stato messicano, la cosiddetta classe politica ed i suoi partiti, sono stati accompagnati da altri attori come cacicchi, industriali, guardias blancas, paramilitari e criminali di vario genere.
La partecipazione associata di questi attori pubblici e privati appare nei molteplici casi in cui le resistenze si oppongono alla depredazione, casi resi noti da decine di popoli raggruppati nel Congresso Nazionale Indigeno e nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, dei quali rendono congiuntamente conto in vari documenti elaborati negli ultimi anni. Tra questi, vale la pena segnalare qui tre comunicati: la 2ª. Dichiarazione della condivisione CNI- EZLN sulla spoliazione dei nostri popoli del 16 agosto 2014, più noto come il comunicato “degli specchi”; il più recente dal titolo Che tremi nei suoi centri la terra del 14 ottobre 2016;[4] e Bollettino di guerra e resistenza # 44 del 22 settembre 2016, del quale riportiamo alcuni dati riferiti al panorama nazionale nel quale sfilano i diversi attori pubblici coinvolti:
“Nel sud, la lotta dei popoli in difesa dei loro territori contro i cacicchi e le imprese, si dissolve nella lotta per la sicurezza e la giustizia contro le bande della delinquenza organizzata, la cui intima relazione con tutta la classe politica è l’unica certezza che, come popolo, abbiamo rispetto a qualsiasi organo dello stato.”
“Nell’occidente, le lotte per la terra, la sicurezza e la giustizia avvengono in mezzo all’amministrazione dei cartelli della droga, che lo stato camuffa da lotta alla delinquenza o da politiche di sviluppo. In cambio, i villaggi che hanno resistito e perfino abbattuto la delinquenza attraverso l’organizzazione dal basso, devono lottare contro i tentativi permanenti fatti dai malgoverni per ottenere che il crimine organizzato, e i partiti politici di sua preferenza, si impadroniscano nuovamente dei territori attraverso forme diverse.”
“Nel nord, dove persistono lotte per il riconoscimento dei territori, le minacce minerarie, le spoliazioni agrarie, il furto di risorse naturali e la sottomissione delle resistenze da parte di narco paramilitari, i popoli originari continuano a costruire giorno per giorno.”
“Nella penisola, i popoli maya resistono alla scomparsa per decreto, difendendo le loro terre dall’attacco di imprenditori turistici e immobiliari, dove la proliferazione di guardie bianche opera nell’impunità per depredare i villaggi, l’invasione dell’agroindustria transgenica minaccia l’esistenza dei popoli maya e l’immondizia dei magnati che si impadroniscono dei territori agrari, delle vestigia culturali, archeologiche e perfino dell’identità indigena, pretende di convertire un popolo tanto vivo quanto l’estensione della sua lingua, in feticci commerciali.”
“Nel centro, i progetti di infrastrutture, autostrade, gasdotti, acquedotti, lottizzazioni immobiliari, si stanno imponendo in forma violenta e i diritti umani si notano di volta in volta sempre più soffusi e lontani nelle leggi imposte. La criminalizzazione, cooptazione e divisione disegna la strategia dei gruppi potenti, tutti vicini in maniera corrotta e oscena al criminale che crede di governare questo paese, Enrique Peña Nieto.”
“Nell’oriente del paese, la violenza, il fracking, le miniere, il traffico di migranti, la corruzione e la demenza governativa sono la corrente contro la lotta dei popoli, in mezzo a regioni intere prese da violenti gruppi delinquenziali orchestrati dagli alti livelli di governo.”[5]
I casi indicati nelle denunce si inseriscono e sorgono dalla forma di dominazione ed accumulazione per spoliazione e violenza propria della globalizzazione neoliberale, che ha iniziato la sua gestazione negli anni ’70 del secolo scorso, facendosi largo in America Latina con il cruento colpo di Stato militare in Cile dell’11 settembre 1973. Anni 1970, lo stesso decennio in cui il governo messicano di fronte al rischio di non riuscire più a controllare la popolazione solo con mezzi autoritari e repressivi, e davanti ai cambiamenti economici che annunciavano l’inizio di una nuova crisi mondiale, optò per deviare la lotta di classe verso un ristretto ambito elettorale al cui sistema si adeguarono i nuovi partiti politici, la sinistra in primis con il partito più antico di allora, il Partito Comunista Messicano (PCM), fondato nel 1919 e della cui registrazione legale gode ancora oggi il Partito della Rivoluzione Democratica.
La storia legale-elettorale del PCM-PSUM-PMS-PRD è l’esempio migliore di come lo Stato messicano ha ottenuto con facilità uno degli obiettivi centrali della Riforma Politica del 1977, che in pochissimo tempo ha permesso al presidente della Repubblica di cantare vittoria proclamando, dopo aver partecipato ad alcune tornate elettorali locali: “Le minoranze hanno trovato espressione, e la passione della dissidenza è diventata dovere istituzionale.”[6]
Il presente del Partito della Rivoluzione Democratica è il risultato di una storia di diverse organizzazioni e individui che si sono uniti in un partito che mano a mano che cambiava nome, perdeva la sua identità di sinistra, in primo luogo, e poi, nella misura in cui si avvicinava a posizioni di potere, rinunciava al suo ruolo di opposizione. Questo processo di perdita di identità del PRD come partito erede di una corrente della sinistra messicana, è iniziata anni prima della sua fondazione.
Dato il carattere eminentemente elettorale dell’origine, delle attività e perfino dei principi base più importanti del PRD, è necessario seguire queste posizioni per capire il suo sviluppo. La posizione espressa dai rappresentanti dei partiti Comunista Messicano, Messicano Socialista e Socialista Unificato del Messico a fronte delle successive riforme politiche ed elettorali federali introdotte dal 1977, offrono l’opportunità di studiare i cambiamenti di quella corrente della sinistra messicana in quegli anni.[7]
Il PCM si definisce con la Riforma Politica del 1977. Quella degli anni settanta per il Partito Comunista Messicano è stata la crisi degli apparati ideologico-politici del regime, tra i quali si inserivano i partiti, il sistema elettorale e gli strumenti di controllo sul movimento operaio e contadino. La soluzione che il PCM cercava di promuovere per quella crisi politica, si basava sulla democratizzazione del regime, che consisteva in termini generali nell’eliminazione degli ostacoli legali alla partecipazione degli operai, dei contadini e degli intellettuali in tutte le sfere della vita politica, economica e sociale. Il diritto incondizionato di organizzarsi in partiti politici era al centro della soluzione democratica che questo partito proponeva per la crisi di allora.
L’idea di democrazia era presentata associata a quella di partito e la concezione di partito rimetteva all’intervento elettorale, benché ancora non in maniera esclusiva ed assoluta: “Noi comunisti – diceva Arnoldo Martínez Verdugo – siamo a favore di una democrazia nella quale tutti i cittadini, indipendentemente dalla loro posizione sociale, ideologia, credo religioso e idee politiche, godano del diritto di organizzarsi in partiti, intervenire nel processo elettorale con pari condizioni, inviare i propri rappresentanti agli organi eletti, realizzare la propaganda delle proprie idee senza impedimenti ed attraverso gli organi di diffusione di massa, organizzarsi con indipendenza dal governo e dall’industria e lottare per la conquista del potere appoggiandosi sulla maggioranza del popolo secondo il diritto stabilito dalla Costituzione.”[8] Ma questa democrazia, sviluppata fino alle sue ultime conseguenze e con un interesse di classe, poteva condurre anche al socialismo e per questo i membri del PCM dicevano: “vogliamo assicurare il passaggio dalla democrazia borghese, la democrazia formale, alla democrazia reale, la democrazia socialista”.[9]
L’insieme di idee e proposte comuniste circa la riforma elettorale che, dal suo punto di vista chiedeva la società messicana nel 1977, si concludeva con un’esigenza molto rivelatrice, soprattutto perché arrivava dal partito della sinistra, indipendente, di opposizione, rivoluzionario, che voleva essere il Partito Comunista Messicano. Per voce del suo Segretario Generale del Comitato Centrale, il PCM sosteneva: “La condizione indispensabile per contrastare la disparità esistente tra i partiti nei quali si raggruppano i ricchi ed il partito che ha nelle sue mani il potere, da una parte, ed i partiti che rappresentano la parte sfruttata della popolazione, dall’altra, che sono privi dei mezzi economici e delle risorse che ha il potere, è che lo Stato finanzi le spese delle campagne elettorali di tutti i partiti.” Una misura di questa natura – si specificava – non garantirebbe di per sé la parità, ma contribuirebbe a diminuire la disparità e nello stesso tempo “servirebbe a neutralizzare la corruzione”.[10]
In altre parole, attraverso il finanziamento pubblico dei partiti politici, il Partito Comunista offriva allo Stato messicano la strada più breve e sicura per risolvere definitivamente la lotta di classe ponendo fine in una sola volta allo sfruttamento e alla corruzione. Con ciò, il PCM compiva le sue funzioni di partito di opposizione e di sinistra, evitandosi il disturbo di lavorare per un cambiamento rivoluzionario. Ma la cosa più grave e trascendente di quella richiesta era il ragionamento implicito: cioè, se il partito al governo riceveva finanziamenti pubblici era un atto di corruzione, ma se tutti i partiti avessero ricevuto denaro dalla stessa provenienza, allora si sarebbe neutralizzata la corruzione. In altri termini, il PCM invece di esigere il suo sradicamento, chiedeva la socializzazione della corruzione.
Anni dopo questo partito, già col nome di Partito Socialista Unificatore del Messico, si ridefiniva con il Rinnovamento Politico del 1986. Un sessennio di partecipazione elettorale fu sufficiente per indurre gli ex-comunisti ad una depurazione delle proposte ed una ridefinizione di posizioni e di concetti chiave.
Nelle sessioni pubbliche di consultazione per il Rinnovo Politico Elettorale, il Segretario Generale del Comitato Centrale del PSUM aveva anticipato quella che sarebbe stata la principale preoccupazione del suo partito riguardo a questa riforma: il sistema dei partiti politici. Il nuovo obiettivo era “avanzare verso un regime parlamentare democratico che sostituisca il decadente regime presidenziale” precisava Arnoldo Martínez Verdugo, ora diventato deputato federale.[11] A differenza di quello che proponeva come Partito Comunista, per i dirigenti del PSUM smise di essere rilevante il rapporto del partito politico con le classi sociali ed i loro bisogni, il ruolo dei militanti o, perfino, la funzione della partecipazione degli elettori; invece della sua base sociale, la cosa più importante divenne la protezione della legge elettorale in cui si depositavano tutte le speranze e verso la quale si dirigevano tutte le istanze per garantire ai partiti la loro esistenza, crescita e permanenza nel sistema dei partiti. Ma l’abbandono e il cambiamento di posizioni andò molto oltre. Non solo gli operai ed i loro sindacati, le organizzazioni contadine, i carcerati e torturati per motivi politici, o le leggi repressive ed ingiuste smisero di essere aspetti nodali di una vera riforma politica; dal discorso del PSUM sparì anche il socialismo che anni prima aveva proposto il PCM come l’obiettivo che si sarebbe raggiunto con lo sviluppo della democrazia portata alle sue ultime conseguenze. Il nuovo obiettivo dei vecchi comunisti – nonostante il nome del loro partito – non era più il socialismo, ma il parlamentarismo.
Tre anni più tardi il PMS si adattò alla Riforma Elettorale del 1989. Il 6 luglio 1988 non lasciò spazio a precisazioni ideologiche né concetti politici nel senso più ampio del termine: la democrazia e il socialismo, benché ancora lo conservasse nel nome di Partito Messicano Socialista, non avevano più importanza alcuna di fronte all’urgenza di denunciare la parzialità di un sistema elettorale studiato e perfezionato a misura delle necessità del partito di governo. L’intervento sul tema “Diritti politici e rappresentanza nazionale” a cura – ancora una volta – di Arnoldo Martínez Verdugo, si concentrò sul sistema elettorale messicano; il relatore concluse il suo intervento chiarendo che le proposte che aveva fatto corrispondevano alle posizioni sia del Partito Messicano Socialista sia del Comitato Promotore del Partito della Rivoluzione Democratica.[12]
Da quanto esposto dai suoi rappresentanti, si può concludere che gli interventi del PMS nelle udienze pubbliche della riforma del 1989 furono contrassegnati dalle elezioni federali del 1988 a tal punto che il voto divenne l’asse portante tanto delle loro critiche quanto delle loro proposte: “La cosa essenziale di una riforma democratica è il rispetto del suffragio”, affermazione di Porfirio Muñoz Ledo che potrebbe ben essere l’epitaffio della tappa comunista-socialista dei partiti che diedero origine al PRD. Dalla trasformazione del sistema economico, sociale e politico per l’instaurazione del socialismo, presente nei documenti del PCM alla fine degli anni ’70, alla fine degli anni ’80 si era arrivati a chiedere un sistema pluripartitico come obiettivo storico del PMS, e del PRD alla vigilia della sua fondazione. Durante quegli anni il partito si trasformò in un apparato elettorale che credette di trovare la sua migliore giustificazione nelle elezioni del 1988 ed il cui interesse primario nelle riforme elettorali era di includere nella legislazione le garanzie necessarie per porre dei limiti agli eccessi, usi ed abusi del PRI, e contemporaneamente consacrare l’alternanza politica come principio costituzionale; tutto ciò al fine di sgomberare la strada verso il potere che vedeva così vicino.
Transitare da un sistema di partiti ad un altro o perfezionare il sistema elettorale, non significa in nessun caso sovvertire l’ordine socioeconomico. Con questi obiettivi non si riuscirebbe nemmeno a trasformare, nell’essenza, il regime politico. Le critiche e le proposte presentate dai rappresentanti del PMS nelle udienze della Riforma Elettorale del 1989, non contengono niente di distintivo né proprio di un partito di sinistra, niente che un partito di opposizione, formale o reale, di destra moderata o estrema non possa sottoscrivere senza problema.
Nell’anno della riforma elettorale del 1993, il PRD perse consensi. La pratica di organizzare udienze pubbliche alle quali partecipavano rappresentanti di diverse organizzazioni ed istituzioni, oltre ai portavoce dei partiti, e dove si esponevano diverse posizioni politiche prima di ogni riforma elettorale, si era chiusa nel 1989, data in cui iniziò l’era della partecipazione plurale, degli accordi concertati e delle decisioni per consenso, meccanismi introdotti dai primi atti di governo di Carlos Salinas de Gortari con l’intento di coinvolgere tutti i partiti nelle decisioni del potere ed in questo modo corresponsabilizzarli delle stesse. Dopo le elezioni legislative del 1991, una volta cambiata la composizione politica della Camera dei Deputati e con il PRI che aveva recuperato un numero importante di poltrone perse nel 1988, fu più facile ed utile per il titolare del Potere Esecutivo federale ricorrere a quei meccanismi senza gravi rischi politici.
Con la riforma del 1993 si stabilì un procedimento più chiuso che in tutte le riforme precedenti. Il PRD presentò in date diverse due tipi di riforme per differenti ordinamenti legali. Le modifiche presentate nel Congresso dell’Unione nel 1992-1993 esprimevano l’attitudine del PRD avviata dai suoi predecessori e sviluppata lungo molti anni: le iniziative erano volte a sollecitare un maggiore intervento dello Stato a beneficio dei partiti ufficiali e, complementarmente, erano dirette a permettere una maggiore ingerenza dello Stato stesso nella vita interna dei partiti in questioni che dovrebbero essere di competenza esclusiva dei suoi membri, o in extremis, dell’insieme dei cittadini.
Le idee proprie, il carattere distintivo delle proposte e l’identità politica di ogni partito sparirono dalle riforme elettorali a partire dal 1994 cedendo il passo ad accordi o compromessi, ed alle iniziative sottoscritte congiuntamente dai partiti formalmente opposti.
Le riforme introdotte nel 1994 alla Costituzione in materia elettorale, al Codice Federale di Istituzioni e Procedure Elettorali ed al Codice Penale sottoscritte da legislatori federali del PRD, del PRI, del PAN e del PARM, furono precedute da un “Compromesso per la pace, la democrazia e la giustizia” che i dirigenti nazionali e/o candidati alla Presidenza della Repubblica di otto dei nove partiti in gara per la successione presidenziale allora in corso, avevano elaborato come risposta all’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, il giorno 27 dello stesso mese del sollevamento armato[13].
Malgrado l’irruzione di un movimento armato in piena campagna elettorale fosse un fatto che di per sé rappresentava la riprovazione del regime politico e del sistema dei partiti esistenti, i rappresentanti dei partiti nazionali ufficiali si unirono nel cosiddetto Compromesso per “sbarrare il passo a tutte le forme di violenza” e per negare validità a qualunque altro tipo di forza politica e di spazio diversi da loro, rivendicando per sé il monopolio della lotta per la democrazia. L’avanzamento democratico – proclamavano i firmatari del documento – deve avvenire negli spazi dei partiti politici e delle istituzioni repubblicane”, ed il loro contributo al processo di pace era inteso come l’unione di forze per garantire una “elezione legale e credibile” che servisse al rafforzamento democratico del paese e dell’ordine costituzionale.[14]
Conformemente al ruolo centrale che i dirigenti nazionali ed i candidati presidenziali attribuirono ai loro partiti nel documento citato, la parte centrale della riforma del 1994 inserita nell’articolo 41 costituzionale e nei corrispondenti articoli del COFIPE, voleva “ciudadanizar” l’integrazione dell’organo superiore dell’autorità elettorale[15]. Ma contrariamente alla domanda sorta da organizzazioni della società civile e da altre forze politiche come l’EZLN, nell’elezione di quella “rappresentanza cittadina” negli organi elettorali, non sarebbero intervenuti i cittadini. La riforma diceva che invece di Consiglieri Magistrati proposti dall’Esecutivo Federale, il Consiglio Generale dell’Istituto Federale Elettorale sarebbe stato formato da Consiglieri Cittadini designati – non dai cittadini, bisogna insistere – bensì dai partiti politici della Camera dei Deputati, oltre che dai rappresentanti stessi di ogni partito politico.
Con questa riforma l’impostura raggiungeva rango costituzionale. Diventava realtà l’antica aspirazione dei partiti che, come il PCM dal 1977, proponevano che nell’organismo di massima autorità elettorale si inserissero “cittadini di riconosciuta probità e indipendenza, scelti all’unanimità dai propri partiti”; si consolidava inoltre la vecchia intenzione governativa di dotare i partiti ufficiali del carattere di interlocutori politici unici per decidere a nome di tutti i cittadini. Congiuntamente, partiti e governo, invocando la pace, la democrazia e la giustizia, di comune accordo emarginavano quella società civile che condivideva le istanze più forti, quelle ascoltate il 1° gennaio di quell’anno di riforme, insurrezione, omicidi ed elezioni.
Il PRD si diluisce nella Riforma Elettorale Definitiva del 1995-1996. Se dopo il 1989 la pratica delle udienze o consultazioni relativamente pubbliche era sparita, e se a partire dal 1994 i partiti avevano rinunciato alla loro identità astenendosi dal presentare iniziative proprie, nel 1996 queste due condotte arrivano all’estremo. Il paese intero ignorava quello che i dirigenti dei partiti ufficiali discutevano e negoziavano con la Segreteria di Governo durante i venti mesi circa del “encierro en Barcelona“.
Meno di un mese dopo lo scoppio della crisi finanziaria con cui si inaugurò il nuovo governo, e meno di un mese prima dell’offensiva militare contro gli zapatisti, avvenimenti che segnarono il sessennio di Ernesto Zedillo, i dirigenti dei partiti politici nazionali ed il titolare del Potere Esecutivo federale firmarono i “Compromessi per un Accordo Politico Nazionale” col quale sarebbero iniziati i negoziati di quella che lo stesso Zedillo aveva annunciato come una Riforma Elettorale Definitiva a livello federale, nella cornice della Riforma dello Stato. Come nei Compromessi di un anno prima, non potendo ignorare del tutto la realtà nazionale, partiti e governo insistettero nell’omettere qualunque riferimento diretto all’EZLN ed in quella occasione nemmeno lo stato del Chiapas era menzionato per nome.
Dai documenti conclusivi che precedettero i testi delle iniziative di riforma, tutti i dirigenti dei partiti concordavano con la Segreteria di Governo sul fatto che bisognasse privilegiare il finanziamento pubblico su quello privato per rafforzare i partiti politici, incrementando l’importo totale fino ad allora devoluto ed inoltre condividevano l’idea di stabilire un limite all’importo totale e di abbassare i contributi in denaro che i partiti politici potevano ricevere dai loro simpatizzanti.[16]
Queste disposizioni hanno avuto conseguenze in tre aspetti fondamentali. Da una parte, lungi dal rafforzare l’opposizione, il crescente finanziamento pubblico ha indebolito politicamente i partiti approfondendo la loro dipendenza allo Stato al punto che nessuno di loro si arrischierebbe oggi a vivere prescindendo da questa fonte di risorse. D’altra parte ed in certa misura conseguenza del precedente, la riduzione legale e reale dei contributi dei simpatizzante si è tradotta in una diminuzione dell’interesse e dell’impegno politico dei militanti che in altri tempi erano il sostegno dei loro partiti, relazione che in molti casi si è invertita degenerando in una militanza stipendiata o prezzolata. Infine, una conseguenza diretta del finanziamento pubblico in contanti, è stata la crescente ingerenza dello Stato e di diverse entità pubbliche nel funzionamento interno dei partiti, al fine di verificare, investigare o controllare entrate e uscite.
Benché nel 1999 non ci fu alcuna riforma politica né elettorale, è indispensabile considerare l’esercizio di quell’anno dei partiti rappresentati nella Camera dei Deputati, dato che è la sintesi concentrata dell’astrazione dell’opposizione in generale, ed in particolare di chi voleva rappresentare la sinistra. Deputati federali dei gruppi parlamentari di PAN, PRD, PT, PVEM ed Indipendente, proposero un’iniziativa di decreto per riformare, addizionare e derogare diverse disposizioni del COFIPE. Il PRD si confuse in quell’iniziativa.
L’atteggiamento, le preoccupazioni e perfino il tono ed il linguaggio usato per motivare l’iniziativa del 1999 non corrispondevano a quelli di un’opposizione cosciente di esserlo, e non è possibile trovare legami tra questo documento e le storiche istanze della sinistra messicana. Attraverso questa iniziativa il PRD condivide posizioni con la destra tradizionale e quella ufficiale: come rappresentanti popolari, come opposizione e come sinistra che vuole essere, il PRD si confonde con i difensori di un governo per il quale cerca stabilità politica e con i beneficiari di un regime al quale offre di contribuire a garantire condizioni di governabilità; nel consenso partiti-governo per la riforma costituzionale del 1996 il PRD credette di vedere “l’opportunità di una transizione democratica concordata” e per il processo elettorale alle porte – quello del 2000 – la cosa più importante era creare le condizioni di certezza e fiducia tra i messicani in un sistema elettorale costruito dal potere per la conservazione dello stesso.
In conclusione: L’analisi della catena di partiti che si sono considerati di sinistra, dal PCM fino all’attuale PRD, attraverso le loro proposte per riformare le condizioni legali di partecipazione politico-elettorale dei messicani, mostra come, gradualmente ma costantemente dal 1977, i partiti si sono allontanati dalla società civile mentre nello stesso tempo continuano ad occupare il posto di essa col pretesto di rappresentare gli interessi dei governati di fronte e al potere. Dunque non è casuale che i dirigenti dei partiti, coincidendo con i rappresentanti del governo, concentrino l’interesse su riforme e proposte che privilegiano la democrazia rappresentativa formale, al di sopra di qualunque altra possibilità di esercizio della democrazia da parte dei cittadini.
Durante questi anni di continue riforme elettorali è chiaramente percepibile l’abbandono degli obiettivi sociali, economici e politici propriamente detti della lotta dei partiti e della loro ragion d’essere, mentre al loro posto appaiono altri obiettivi che non hanno niente a che vedere con i problemi quotidiani dei cittadini, con i bisogni della società. Perciò, questa revisione storica di una corrente della sinistra di partito, evidenzia che chiamare democrazia le elezioni non è un semplice errore concettuale, ma è l’origine dell’abbandono della lotta per una società nuova e più giusta che anticamente chiamavano socialista.
L’osservazione delle istanze di questi partiti nell’insieme, permette inoltre di rilevare come, in pochissimi anni, i loro obiettivi si siano ridotti sia come partito politico che opposizione di sinistra, e continuino a rivolgere la loro attenzione allo Stato, concentrando il loro interesse sull’ottenere più risorse finanziarie, più spazio sui mezzi di comunicazione e nuovi spazi di potere, e identificandosi sempre di più con un sistema che fornisce loro il necessario per vivere e riprodursi.
In termini diretti: 40 anni di partecipazione politica dentro il sistema elettorale legale dimostrano che l’unica cosa che la sinistra istituzionale è riuscita a rafforzare, è il sistema nel suo insieme, legittimarlo e prolungare la sua esistenza, ma non distruggerlo, e nemmeno cambiarlo. Ma peggiorarlo ancora di più. Durante questi 40 anni è iniziato un nuovo ciclo di accumulazione, si è sviluppato ed è ancora in corso “un violento processo di espansione universale della relazione di capitale, di ristrutturazione delle relazioni tra i multipli capitali e, soprattutto, delle forme e contenuti della dominazione, la resistenza e la ribellione”[17] senza che apparentemente quegli stessi partiti politici di sinistra si rendessero conto del ruolo che stavano svolgendo dai diversi spazi di potere che hanno occupato, in maniera particolare ed ininterrotta, nelle camere del Potere Legislativo federale. Spetta loro il per nulla rispettabile merito storico di avere avallato le successive riforme che hanno condotto a trasformare la Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani in un “grande codice commerciale” [18] perché nel centenario della sua promulgazione, questa “non tutela più i diritti dei contadini, dei lavoratori o degli indigeni. Nemmeno garantisce alla popolazione i diritti alla salute, all’educazione, al lavoro; né protegge le proprietà nazionali, collettive e comunali. Al contrario, ora privilegia gli interessi del capitale. Spiana la strada ai grandi commerci sui diritti economici, sociali, culturali ed ambientali dei messicani.”[19] Se hanno trasformato la Costituzione in un codice commerciale, al sistema giuridico nel suo insieme hanno fornito gli strumenti per funzionare come un altro dei “mezzi di spoliazione”[20] del capitale contro i popoli indigeni.
Tra i disastrosi risultati che hanno disseminato in tutto il paese i partiti politici della sinistra istituzionale che si vantano di avere “preso il potere”, per la via elettorale, in differenti spazi e livelli di governo, abbondano i motivi per porre le basi e promuovere una forma alternativa di partecipazione politica che il CNI si dispone ad avviare per “eliminare dalle comunità tutto quello che ci divide: partiti politici, programmi e progetti di governo e tutto quello che ci divide, e riconciliarci come popoli.”[21]
Sebbene il CNI e l’EZLN abbiano chiesto che l’indignazione, la resistenza e la ribellione che si respirano in tutto il Messico figurino nelle schede elettorali del 2018, l’hanno fatto precisando che “non è nostra intenzione competere in niente con i partiti e tutta la classe politica che ancora ci deve molto: ogni morto, scomparso, carcerato, ogni depredazione, ogni repressione ed ogni disprezzo. Non confondeteci, non vogliamo competere con loro perché non siamo la stessa cosa, non siamo le loro parole bugiarde e perverse. Siamo la parola collettiva del basso e a sinistra, quella che scuote il mondo quando la terra trema con epicentri di autonomia, e che ci rendono orgogliosamente diversi […]”[22]
La decisione del V Congresso del CNI, previa consultazione, di nominare un Consiglio Indigeno di Governo collettivo, con rappresentanti di ogni popolo, tribù e nazione che lo compongono e con una portavoce donna indigena che sarà candidata indipendente alla presidenza del Messico nelle elezioni del 2018, ha come una delle sue mete non di andare contro i “partiti di sinistra” che aspirano a “prendere il potere” a quelli di sopra – glielo lasciano! – bensì esercitare il potere che hanno quelli in basso quando sono organizzati. Proponendosi di partecipare alle prossime elezioni federali, il Consiglio Indigeno di Governo non divide la sinistra istituzionale dedita a dividersi da sé stessa, né toglie voti ai partiti, dato che ci sono troppi cittadini nella nostra società, forse più del 50% distribuiti su tutto il territorio della Repubblica Messicana e fuori, che sono stufi e da anni non vogliono saperne niente dei partiti politici.
Per questo e forse pensando a loro l’EZLN stima che l’azione del CNI intorno a questo Consiglio e a questa donna indigena potrebbe generare “un processo di riorganizzazione combattiva non solo dei popoli originari, ma anche di operai, contadini, impiegati, coloni, maestri, studenti, infine, di tutta quella gente il cui silenzio e immobilismo non sono sinonimi di apatia, ma di assenza di proposte […], potrebbe nascere un movimento dove confluiscano tutti gli “abajos“, un grande movimento che sconvolga l’intero sistema politico.”[23]
La proposta dell’EZLN-CNI non divide, mette allo scoperto i partiti politici, proponendosi come oggettivo quello di unire, ricostituire i popoli indigeni e ricostruire il CNI; riunire i popoli per dare un’altra volta visibilità agli indigeni e a quello che sta succedendo nei loro territori; trovarsi con altri indigeni, parlare ed ascoltare altri popoli originari; unire popoli, nazioni e tribù che non fanno parte del CNI e che accettino i principi di comandare ubbidendo; trovarsi con altri ed altre che non sono indigeni, ma che ugualmente soffrono senza speranza né alternative.
La proposta del CNI-EZLN vuole scuotere la coscienza della nazione, è un appello all’unione e all’organizzazione dei popoli indigeni e della società civile per fermare la distruzione del paese, per difendere la vita individuale e collettiva, per rafforzare le resistenze e le ribellioni, rafforzare il potere in basso e a sinistra in una prospettiva contro il neoliberismo, contro il capitalismo.
Città del Messico/San Cristóbal de Las Casas, 14 aprile 2017
Traduzione “Maribel” – Bergamo
Testo originale: http://radiozapatista.org/?p=21631
* Docente di Scienze Politiche alla Facoltà di Scienze Politiche e Sociali dell’Università Nazionale Autonoma del Messico.
[1] Leopoldo Ramos, “Il capo di Governo crede che il sole azteco possa unirsi”, Saltillo, Coah., La Jornada, 8 marzo 2017, p. 13.
[2] Paulina Fernández Christlieb, Justicia Autónoma Zapatista. Zona Selva Tzeltal. México, Estampa Artes Gráficas/Ediciones Autónom@s, 2014, p. 298.
[3] Susana González G. “México, tercer país que más paga por transferir apoyos a pobres”. La Jornada, 20 de marzo de 2017, p. 18.
[4] 2ª. Declaración de la compartición CNI- EZLN sobre el despojo a nuestros pueblos. 16 de agosto de 2014.
CNI-EZLN. Que retiemble en sus centros la tierra, 14 de octubre de 2016.
[5] Comunicado CNI-EZLN. Parte de guerra y de resistencia # 44, 22 de septiembre de 2016.
http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/09/22/parte-de-guerra-y-de-resistencia-44/
[6] José López Portillo. Sexto Informe de gobierno. Informe complementario. México, Talleres Gráficos de la Nación, 1982.
[7] Una exposición más extensa y detallada está publicada en Paulina Fernández Christlieb, “Desde el pasado del PRD, por las reformas electorales”, en Arturo Anguiano (Coord.), Después del 2 de julio ¿dónde quedó la transición? Una visión desde la izquierda. México, UAM-X, 2001, pp. 177-203.
[8] Ibid. p. 130.
[9] Ibid. p. 131.
[10] Ibid. p. 134.
[11] Dip. Arnoldo Martínez Verdugo, del PSUM. “Tercera Audiencia Pública. Partidos Políticos Nacionales”. Renovación Política. Renovación Política Electoral. 1. Audiencias Públicas de Consulta, México, Secretaría de Gobernación, septiembre de 1986, p. 161.
[12] “El C. Arnoldo Martínez Verdugo, del PMS.” “Primera Audiencia Pública. 1° de febrero de 1989. Derechos políticos y representación nacional.” Consulta Pública sobre Reforma Electoral. Memoria 1989. I. México, Comisión Federal Electoral, 1989, p. 79-82.
[13] Firmarono questo accordo: Diego Fernández de Cevallos, candidato del PAN a la Presidencia de la República; Luis Donaldo Colosio Murrieta, candidato del PRI a la Presidencia de la República; Fernando Ortíz Arana, Presidente del CEN del PRI; Cuauhtémoc Cárdenas, candidato del PRD a la Presidencia de la República; Porfirio Muñoz Ledo, Presidente Nacional del PRD; Rafael Aguilar Talamantes, candidato y Presidente del PFCRN; Rosa María Denegri, Presidente Nacional del PARM; Marcelo Gaxiola Félix, candidato y Presidente del PDM; Pablo Emilio Madero, candidato del PDM a la Presidencia de la República; Cecilia Soto, candidata del PT a la Presidencia de la República; y Jorge González Torres, candidato y Presidente del PVEM.
[14] “Compromiso para la paz, la democracia y la justicia. 27 de enero de 1994” en Guillermo Flores Velasco y Jorge Torres Castillo (Comps.) La reforma del Estado: agendas de la transición, México, INFP-PRD, 1997, p. 187-191.
[15] Diario de los Debates de la Cámara de Diputados, 22 de marzo de 1994, y Diario de los Debates de la Comisión Permanente del Congreso de la Unión de los Estados Unidos Mexicanos, 24 de marzo de 1994. También puede consultarse: 1994 tu elección. Memoria del Proceso Electoral Federal. México, IFE, 1995, p 23 y ss.
[16] Cfr. Ibid., p. 128 y ss., y “Conclusiones alcanzadas en la Secretaría de Gobernación por el Partido Revolucionario Institucional, el Partido de la Revolución Democrática y el Partido del Trabajo en materia de reforma electoral y reforma política del Distrito Federal”, publicado en los principales diarios de circulación nacional el 22 de abril de 1996.
[17] Rhina Roux, “El Príncipe fragmentado” en Gilly, Adolfo y Rhina Roux, El tiempo del despojo. Siete ensayos sobre un cambio de época. México, Editorial Itaca, 2015, p. 115.
[18] “Il docente in diritto Manuel Fuentes Muñiz s segnala che l’attuale modello di Costituzione non corrisponde agli interessi nazionali. ‘È un modello dove si è sostituito il paese con l’impresa. È l’impresa e gli investimenti quello che ora si protegge. Questo ha a che vedere con l’usura e col profitto privato. Ora abbiamo uno Stato piccolo ma rozzo. Abbiamo un codice commerciale più che un codice sociale’, sostiene.” Intervista di Zósimo Camacho edito in: “A 100, la Costituzione privilegia interessi del capitale” per Contralínea 524, 29 gennaio-04 febbraio 2017. http://www.contralinea.com.mx/archivo-revista/index.php/2017/01/29/a-100-la-constitucion-privilegia-intereses-del-capital/
[19] Idem.
[20] Escribió el SupGaleano: “En pocas palabras: para los pueblos originarios el sistema jurídico es sólo un medio de despojo.” Comisión Sexta del EZLN. El Pensamiento Crítico frente a la Hidra Capitalista I. s.p.i., p. 289.
[21] Acuerdos del V Congreso Nacional Indígena CNI. Ratificación de acuerdos alcanzados en mesas y plenaria del 31 de diciembre de 2016. Documento leído el 1 de enero de 2017 en el Caracol de Oventik. Audio: http://radiozapatista.org/?p=19968 (transcripción PFC).
[22] CNI y EZLN. ¡Y Retembló!, Informe desde el epicentro… Declaración del V Congreso Nacional Indígena. Desde Oventik, Territorio Zapatista, Chiapas, México, 1 de enero de 2017. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2017/01/01/y-retemblo-informe-desde-el-epicentro/
[23] Subcomandante Insurgente Moisés y Subcomandante Insurgente Galeano. Una historia para tratar de entender. 17 de noviembre de 2016. http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2016/11/17/una-historia-para-tratar-de-entender/
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