Lo insegna la storia stessa che le persone fuggono e fuggiranno dai loro paesi a causa della corruzione, violenza e povertà. Fino a che i paesi potenti non fermeranno il loro interventismo e depredazione, i popoli continueranno ad emigrare dal sud al nord, alla ricerca di quello che per secoli hanno rubato loro.
di Ruben Figueroa* / #ApieDeVia / 10 febbraio 2017
Will aspettava pazientemente che gli aprissero le porte dell’ostello a Palenque, in Chiapas, per passare la notte. Siccome era arrivato un giorno prima, senza denaro, dopo molti giorni di cammino da un villaggio di Choluteca, Honduras, molto vicino alla frontiera col Nicaragua, era uscito a guadagnarsi qualche soldo. Aveva pulito un terreno ed era molto stanco. Era il mese di gennaio, i giorni precedenti l’elezione di Donald Trump a presidente degli Stati Uniti.
Mentre aspettava, gli ho chiesto che cosa significava per lui, il muro che Donald Trump pensa di costruire alla frontiera col Messico. In un tono che mi è parso umile, ha risposto che quel muro è una parete di mattoni, ma che lui farà l’impossibile per arrivare prima che lo costruiscano, e nel caso non riuscisse, lo scavalcherà.
“La povertà è molto grave nel nostro paese, da dove vengo io, la siccità ci ha colpiti pesantemente, non c’è modo di riuscire a sopravvivere e mantenere la mia famiglia, è questo che mi ha costretto ad emigrare”.
Per lui, le sue ragioni sono molto forti. La sua famiglia è rimasta là con quel dolore che possono capire solo le famiglie che soffrono l’emigrazione. Ma anche con la speranza che riesca ad entrare prima che Trump finisca il suo muro.
Sono decine, sono migliaia
Dentro l’ostello decine di migranti riposano e come Will sono alla ricerca dell’opportunità di entrare negli Stati Uniti, senza documenti e senza permesso. Per questo dovranno schivare i grandi pericoli nel passaggio per il Messico, un paese che negli ultimi anni si è trasformato nella grande frontiera degli Stati Uniti. Senza dubbio la paura è grande, essere fermati dalla migra messicana e soprattutto, essere sequestrati o assassinati dalle bande del crimine organizzato che proliferano su tutta la rotta migratoria.
Sono le prime settimane dell’anno. Il flusso migratorio sale come la schiuma del mare dalla frontiera meridionale del Messico, una frontiera controllata anche dai tentacoli del governo nordamericano. A pochi chilometri da Palenque, dove ci troviamo, è stato costruito un porto di confine molto grande che serve da filtro per la migrazione. In quel luogo, nel 2014, è stato lanciato il “Plan Frontera Sur” che non è servito ad altro che ufficializzare la persecuzione e repressione dei migranti.
Mentre a Washington la cerimonia di investitura volge al termine, Abel ed i suoi compagni sperano che presto passi il treno per continuare la loro strada. Non gli resta altro che proseguire. Sono giovani come la maggioranza di quelli che emigrano, dicono “senza paura”. Lo dicono perché la situazione nel loro paese è molto difficile per loro. Le loro vite non sono sicure, in qualunque momento potrebbero essere assassinati dalle “maras“.
Si stima che per il Messico transitano all’anno circa 400 mila migranti ma recentemente un funzionario del governo messicano, Luis Videgaray, ha dichiarato che potrebbero superare i 500 mila, cioè, mezzo milione. La maggioranza proviene dall’America Centrale. Ha ammesso che si tratta di un problema in comune col governo nordamericano e che entrambi devono risolvere, come già stavano facendo col governo di Barack Obama.
Gli accordi
Il tema è sul tavolo. Con Trump, il Messico non ci metterà molto a continuare col Plan Frontera Sur, con cui nel 2015 e nel 2016, ha deportato più migranti che gli Stati Uniti. Tutto indica che in questo 2017 gli accordi e le pratiche continueranno. Solamente nel gennaio del 2017 sono stati deportati in Honduras 4.117 migranti, dei quali il Messico ne ha deportati più della metà: 2.358. Il resto, 1.759, sono stati deportati dagli Stati Uniti.
Secondo informazione ufficiose, alcuni funzionari messicani si sono incontrati in privato nella città di Tapachula con funzionari del governo di Donald Trump, ed hanno sorvolato la frontiera con il Guatemala. Fino ad ora, il governo messicano non ha informato in forma ufficiale se sia già stato stretto un accordo al riguardo.
Per i migranti centroamericani il muro sarebbe un ostacolo in più dei tanti presenti in Messico, dove si scatena una feroce caccia contro di loro, soprattutto da parte degli operativi di migrazione appoggiati da poliziotti muniti di armi pesanti. Di notte e tra le montagne, vengono fermati con insulti, botte, vessazioni da parte delle autorità di polizia, situazione che con Donald Trump al potere non migliorerà. Il suo discorso belligerante indica che la situazione potrebbe perfino peggiorare.
La sua politica, come si è visto, è razzista e xenofoba. Sia contro chi già vive negli Stati Uniti sia contro chi è sulla strada per entrarvi. A pochi giorni dall’entrata in carica, Trump ha firmato un ordine esecutivo per continuare a costruire il muro ed accelerare la deportazione di migliaia di persone per il semplice fatto di essere migranti, che secondo lui sono criminali.
Inoltre, ha anche ordinato di impedire l’ingresso a rifugiati, visitatori o residenti provenienti da 7 paesi a maggioranza musulmana. Subito negli aeroporti sono stati fermati o respinti alcuni cittadini di quei paesi, situazione che ha scatenato la protesta di migliaia di persone contro questa misura sia dentro che fuori dagli aeroporti, principalmente nel JFK di New York.
Il timore di essere deportati
Tony è nato negli Stati Uniti come sua sorella Alexandra, i loro genitori sono emigrati 18 anni fa dal Tabasco. Una stato “Petrolifero” a sud del Messico ma con molta disuguaglianza sociale, povertà e disoccupazione. Hanno attraversato la frontiera con Daniel che aveva 5 anni e che oggi è un Dreamer sotto la protezione della Legge DACA [Legge che tutela i minori entrati illegalmente negli USA – n.d.t.]. Sua madre Arely racconta che Tony ed Alexandra hanno trascorso il giorno delle elezioni attaccati al televisore. Quando si è saputo della vittoria di Donald Trump, tutti e due sono andati dalla madre, l’hanno abbracciata ed in perfetto spagnolo le hanno detto: “Non ti preoccupare mammina, staremo bene in Messico, se in questo paese non ci vogliono, ce ne andremo”.
Barack Obama ha deportato circa tre milioni di migranti, ha separato migliaia di famiglie. Con Trump le cose saranno peggiori, dice Arely. Abbiamo paura di uscire per andare al lavoro e poi un giorno non fare ritorno perché ci deportano in Messico, anche se so che è il nostro paese, sarà molto difficile sopravvivere, di sicuro soffriremo.
La doppia morale dei politici messicani si è palesata. Senatori, governatori, perfino organismi come la CNDH [Commissione Nazionale dei Diritti Umani] – quelli che curano la forma perché aspirano a nuove cariche pubbliche – sono venuti fuori a dire che intraprenderanno una ferrea difesa dei diritti e dignità dei connazionale negli Stati Uniti di fronte alle minacce di Trump. Sotto i riflettori accesi, molti si sono strappati i paramenti ufficiali, come il governatore dello stato del Chiapas, Manuel Velasco, che si è appellato all’unità. Ha dichiarato che è tempo di tendere ponti e non erigere muri, dimenticando che lo stato che lui stesso “governa” è al primo posto per detenzione e deportazione di migranti centroamericani.
In alcune città degli Stati Uniti, invece, i loro sindaci hanno annunciato di difendere i migranti e continuare con la politica di città santuario nonostante la minaccia del presidente Trump di togliere loro i fondi federali. Quante città santuario per i migranti esistono in Messico?
La migrazione, come dicono quelli che percorrono e studiano la rotta migratoria, non si fermerà. Lo insegna la storia stessa che le persone fuggono e fuggiranno dai loro paesi a causa della corruzione, violenza e povertà. Fino a che i paesi potenti non fermeranno il loro interventismo e depredazione, i popoli continueranno ad emigrare dal sud al nord alla ricerca di quello che per secoli hanno rubato loro.
Continueranno ad attraversare le frontiere, ma è una realtà che quanto più ci saranno muri, tanto più ci saranno morti.
Testo originale: https://movimientomigrantemesoamericano.org/2017/02/10/migrar-en-tiempos-de-trump/
*) Ruben Figueroa Attivista e Difensore dei Diritti Umani
Coordinador Sur – Sureste del Movimiento Migrante Mesoamericano
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