“La narcopolitica in questa zona degli Altos. Nessuno ne vuole parlare, nessuno osa denunciare. Ma si sa”. Territori assediati e quasi 6mila sfollati dalla minaccia di paramilitari dei partiti PRI e PVEM. Molti degli aggressori di oggi, con armi di grosso calibro come 20 anni fa, sono gli stessi di Acteal. Altri no, c’è pure una nuova generazione di paramilitari. Ma oggi esiste un’aggravante: “la narcopolitica ed il traffico di armi, che è molto intenso in Chenalhó ed avviene sotto lo sguardo complice delle autorità”.
La Jornada – Venerdì 1° dicembre 2017
Narcopolitica in Chiapas, una bomba ad orologeria che aumenta il rischio di un nuovo massacro
di Blanche Petrich
Tre settimane fa, il parroco di Simojovel, Marcelo Pérez, ha iniziato a percorrere l’impervio tragitto di almeno quattro ore che va dalla sua parrocchia verso le comunità tra Chenalhó e Chalchihuitán, negli Altos del Chiapas, per constatare quello che gli abitanti di quei luoghi denunciavano: attacchi di gruppi paramilitari del Partito Rivoluzionario Istituzionale (PRI) e del partito filogovernativo Verde Ecologista del Messico (PVEM); strade bloccate e popolazioni assediate; quasi 6 mila sfollati in condizioni estreme di vulnerabilità; sparatorie notturne e decine di case date alle fiamme dagli aggressori.
È tornato varie volte: Ed è tutto vero. Quando ho visto i bambini che dormivano sotto gli alberi, senza niente da mangiare, molti di loro malati, non ci volevo credere. Non avrei mai pensato che sarei tornato a vedere così tanta sofferenza e malattia, mi dice durante l’intervista telefonica. Martedì scorso è tornato in diverse località di Chalchihuitán a raccogliere le testimonianze di oltre 5 mila sfollati. Mercoledì a Chenalhó, dove sono quasi mille quelli che sono fuggiti in montagna.
Questi i dati che ha raccolto: nel municipio di Chalchihuitán gli sfollati sono 5.035; di Majompepentic sono oltre 800; della cosiddetta Frazione Polhó (una scissione non zapatista di quelli che furono gli accampamenti degli sfollati delle basi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale – EZLN – dopo i massacri di 20 anni insediate a Polhó) ci sono 150 abitanti, tra questi sei donne incinta; di Las Limas, lontano dai villaggi, sono fuggite in montagna 205 famiglie, più di 900 persone, con 15 donne incinta. Inoltre, hanno abbandonato le proprie case quattro famiglie di Campo Los Toros, 30 abitanti di Vayem Vacax, quattro famiglie di Yabteclum.
Dall’altra parte della linea divisoria, già municipio di Chenalhó, mercoledì notte sono state registrate oltre 960 persone sfollate.
I bambini e le donne stanno soffrendo freddo, fame e malattie. È una ripetizione di quello che accadde in questi stessi luoghi 20 anni fa, giorni prima del massacro di Acteal. La storia ci avverte di quello che potrebbe succedere qui, ci dice nell’intervista telefonica. Il massacro può ripetersi.
Un avvertimento che non fa breccia nel governo
Nel 1997 una dozzina di comunità di Chenalhó furono abbandonate dagli abitanti fin dal mese di settembre a causa delle aggressioni di gruppi priisti che, nel contesto della guerra contrainsurgente contro lo zapatismo, aggredivano chi supponevano fossero basi zapatiste. Nel gelido inverno degli Altos, con i raccolti abbandonati nei campi, furono migliaia gli sfollati a vivere sulla montagna, malati e sprovvisti di tutto. Era l’avvisaglia di quello che sarebbe accaduto il 22 dicembre. Tutto questo fu ignorato.
Anche la Diocesi di San Cristóbal de las Casas ed il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas hanno lanciato l’allarme: i fatti di Acteal possono ripetersi. L’allerta non ha fatto breccia nelle autorità.
Il direttore del Frayba, nota organizzazione non governativa fondata dal vescovo Samuel Ruiz, sostiene che oggi i gruppi paramilitari in azione sono gli stessi che commisero il massacro il 22 e 23 dicembre del 1997. È la violenza ciclica generata dall’impunità.
Padre Marcelo concorda: Lo dicono gli sfollati, li hanno riconosciuti. Molti degli aggressori di oggi, con armi di grosso calibro come 20 anni fa, sono gli stessi di Acteal. Certo, altri no, c’è anche una nuova generazione di paramilitari. Ma oggi esiste un’aggravante, aggiunge: “la narcopolitica ed il traffico di armi, che è molto intenso in Chenalhó ed avviene sotto lo sguardo complice delle autorità”.
Nel 1997 e 1998, dopo il massacro di Acteal e l’ondata di repressione, militarizzazione e sfollamento che ci fu, più di 30 paramilitari furono arrestati e processati. L’allora governatore chiapaneco, Roberto Albores, assunse degli avvocati per la loro difesa. Molti di loro rei confessi, nel 2007 furono condannati a 26 anni di carcere. Ma tra il 2009 e 2011, difesi da un team di avvocati privati, tutti sono stati liberati su decisione della Corte Suprema di Giustizia della Nazione (SCJN) che addusse errori nella procedura processuale. Vari dei presunti assassini fecero ritorno a Chenalhó, a convivere con le loro vittime e sopravvissuti.
Quel 22 dicembre del 1997, ad Acteal furono giustiziati alle spalle 15 bambini, 21 donne, quattro di loro incinta e 9 uomini. Circa 30 persone risultarono ferite. Tutti stavano digiunando e pregando. Erano disarmati.
Per il terrore, quasi un terzo degli abitanti del municipio fuggirono dalle proprie case e si rifugiarono in accampamenti organizzati o semplicemente alle intemperie, in pieno inverno.
Oggi le scene di 20 anni fa si ripetono negli stessi luoghi. Ci sono comunità, come quella di Polhó ed altre, che ripetono l’esodo al quale furono costrette nel 1997 e 1998. Nelle stesse condizioni di precarietà.
Le autorità dello stato hanno reagito tardivamente con l’invio di aiuti umanitari. Per il momento solamente le parrocchie della diocesi e la società civile stanno portando negli accampamenti generi alimentari, medicine e coperte. È molto complicato, spiega padre Marcelo.
Impunità, violenza ciclica
Pedro Faro, direttore del Frayba, ha denunciato da questo giornale che il governo statale ha dimostrato la totale incapacità di risolvere il conflitto. Tra le altre cose, Rosa Pérez, presidentessa municipale di Chenalhó, protetta dal governatore ed imposta con la frode, si era impegnata di fronte ai rappresentanti del governo dello stato ad ordinare la rimozione dei blocchi stradali che tengono sotto assedio le comunità di Chalchihuitán e a permettere che si reinstalli la Base di Operazioni Miste che si era ritirata quando sono cominciate le aggressioni. Non ha fatto nulla di tutto questo.
Il vecchio conflitto tra i coloni di Chalchihuitán e Chenalhó si è riacceso dopo l’omicidio, ancora impunito, di Samuel Pérez Luna, indigeno tzotzil, il 18 ottobre scorso, in un attacco paramilitare. Spiega Pedro Faro: Non è stato il primo caso. C’è omissione delle autorità nel risolvere il conflitto che risale al 1979, per la disputa di 900 ettari di terra a causa di una errata sentenza dell’allora Segreteria della Riforma Agraria. Per questo il ciclo di violenza favorito dall’impunità. Di tanto in tanto esplode la violenza. Il governatore ha gestito vari accordi che non si sono mai realizzati, a tavoli di negoziazione che non sono mai stati fra uguali. Ci sono state negligenza ed inettitudine. Nei prossimi giorni dovrebbe essere emessa una sentenza da un tribunale agrario che deciderà se Chenalhó deve accettare 15 milioni di pesos di indennizzo in cambio dell’assegnazione delle terre a Chalchihuitán. Suppongo che sia per questo che i paramilitari si sono riattivati, come una forma di pressione.
Il parroco Marcelo Pérez aggiunge un altro elemento di questa bomba ad orologeria: “La narcopolitica in questa zona degli Altos. Nessuno ne vuole parlare, nessuno osa denunciare. Ma si sa”.
http://www.jornada.unam.mx/2017/12/01/politica/010n1pol – Foto gentilmente concesse da Marcelo Pérez.
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