L’importanza di Marichuy
Hermann Bellinghausen
Sembra esistere consenso sul fatto che abbiamo bisogno di un cambiamento quasi in tutto. La strada non passa necessariamente per le urne. Non quelle che conosciamo. Ma le apparenze ingannano, non tutti vogliono il cambiamento. Quello che le élite ed i loro satelliti pretendono è che le cose seguano la propria rotta, così che porti all’abisso dal quale esse credono di potersi salvare con profitto. Per il resto, tra la maggior parte dei messicani, si va generalizzando la certezza che non possiamo fidarci dei partiti né dei loro governi. L’elettorato, che dovrebbe includere tutti gli adulti ma che accoglie solo una parte di essi, si divide artificialmente. Alcuni si rassegnano, altri cercano il cambiamento (almeno di faccia) battendo la stessa strada. Altri ancora, un numero non contabilizzato ma molto rilevante di messicani, vive una realtà differente, cruda e concreta, dove i termini attuali del presunto cambiamento politico sono bullshit, perdonate l’anglicismo.
Come nazione, noi messicani dobbiamo affrontare seri demoni – perché li abbiamo – e come direbbe un celebre pubblico ministero finito malamente, i demoni non si fanno problemi ed hanno trionfato. Per il cambiamento dobbiamo scrollarci di dosso i fantasmi della rabbiosa ipocrisia: razzismo, misoginia, sessismo, violenza familiare, abitudine alla corruzione, predisposizione a tacere e sopportare. La società maggioritaria – quella che non si considera indigena, per carità di Dio – è daltonica, non distingue i colori, la sua gamma si limita al chiaro e allo scuro, e senza batter ciglio si allinea al lato chiaro dell’identità (reale o sognata). Gli stereotipi collettivi e pubblicitari di rispettabilità, intelligenza e bellezza lo predicano e lo garantiscono.
Con questo di fondo e con le quotidiane minacce di esproprio, militarizzazione, divisione, espulsione, avvelenamento col contagocce e distruzione dell’ambiente, una parte diffusa di messicani può testimoniare della realtà di vivere aggrediti e della determinazione di non arrendersi. La lotta continua ad essere di classe per colpa non di quelli di sotto, ma di quelli di sopra. Abbondano gli esempi di danni deliberati a causa dell’espansione e dei benefici di conglomerati tipo Grupo México, Peñoles, Carso, Bimbo, Femsa, eccetera. Tutti hanno una storia nera. Accaparrano, prevaricano, cooptano, distruggono. L’argento, l’acqua, l’energia, la terra ed il vento, a loro interessano più che la nostra sovranità, la gente ed i villaggi, dove i loro artigli avanzano ed affondano. Continuiamo a cozzare contro il vecchio capitalismo. In quelle comunità indigene e per le loro milioni di menti, la vita non ammette il capitalismo, ogni lotta che intraprendano sarà anticapitalista.
María de Jesús Patricio, portavoce del Congresso Nazionale Indigeno e del suo Consiglio Indigeno di Governo, punta questo principio nel cuore di fantasmi e demoni. Non promette, invita a fare. Chiede sostegno esplicito, non voto segreto. Mette enfasi in quello che importa. Indigeno, donna, madre, attivista, al servizio della propria comunità. Così semplicemente. In eccellente compagnia, Marichuy affronta un’intemperie dominata da canaglie pronte alla macelleria mediatica che la partitocrazia adora. La sua condizione di donna ed il suo discorso smascherano le menzogne di quella candidata consorte del presidente che ci ha dichiarato la guerra, educata nel falangismo, di carriera conservatrice e potenziale piano B delle élite, dei comandi e delle loro campagne per le masse.
Nel Messico patriarcale e violento, per quanto si è visto le donne rappresentano una sfida, vengono denigrate, ferite ed assassinate per sport. Contemporaneamente, per il Messico classista e razzista gli indios incarnano una sfida che ha dimostrato essere insuperabile. La sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale 23 anni fa, inaugurò non solo l’esperienza collettiva di autogoverno più duratura e formidabile della nostra storia, ma ha seminato nella coscienza di milioni di indigeni messicani un’impronta che non si dissolve e che culturalmente è cresciuta moltissimo.
Al banco scommesse non è favorita. La crudeltà (o è ignoranza razzista?) dell’autorità elettorale predispone il nulla mediatico, l’abituale invisibilità degli indios, la bassa stima verso le donne quando non servono come carne da cannone, la cecità di fronte alle condizioni obiettive della popolazione rurale e migrante. Marichuy viene da lì ed è da dove parla. Gli indigeni possono essere solo la quinta parte della popolazione nazionale: ma sono milioni e costituiscono il 25% della popolazione indigena di tutta l’America. L’impatto della loro voce, l’inclusione del loro discorso non elettorale né elettoralistico dovrà raggiungere ampi settori di questo Messico ferito. Lei e la gente che esce al suo passaggio parlano con la realtà, qualcosa di straordinario per un paese in perpetua simulazione.
Testo originale: http://www.jornada.unam.mx/2017/11/13/opinion/a08a1cul
Perché sostenere Marichuy
Guillermo Almeyra
La portavoce del Consiglio Indigeno di Governo, Marichuy Patricio Martínez (MPM) si presenta alle elezioni presidenziali del 2018 con l’obiettivo di organizzare le comunità indigene, la popolazione lavoratrice e la sinistra anticapitalista per una lotta che oltrepassa ampiamente il processo elettorale. La sua candidatura confida solo nell’unificazione delle forze del popolo messicano che fino ad ora conducono una lotta dispersiva, e scommette sull’innalzamento del livello di coscienza degli oppressi la cui maggioranza attualmente ancora condivide l’ideologia dei suoi sfruttatori.
Marichuy è cosciente di non possedere una macchina elettorale e di scontrarsi con l’ostilità di tutti i fattori di potere (blocco imprenditoriale, stampa e mezzi di comunicazione del capitale, conservatori ed opportunisti che cercano vantaggi personali nelle istituzioni statali, organismi repressivi dello Stato capitalista, oligarchia governante al servizio del capitale finanziario e dell’imperialismo statunitense).
La sua proposta, sorta dai più poveri ed appoggiata da questi e dai più coscienti, non vuole occupare posizioni di potere nello Stato capitalista, ma creare potere popolare cambiando la soggettività delle maggioranze lavoratrici, organizzando e riunendo le forze di queste, elevando la morale e l’autostima degli oppressi per portarli alla lotta sociale e a cambiare il paese.
La sua partecipazione nel processo elettorale è l’opposto dell’elettoralismo, delle promesse preelettorali che si dimenticano il giorno dopo le elezioni, dei programmi – che-mai-si-attueranno – dell’ipocrisia e dell’inganno elettorale, dell’inganno per ottenere voti che esprimono tutto il disprezzo di chi li ottiene verso coloro che incautamente glieli danno ed è il contrario della compravendita di voti attraverso elemosine che tolgono ogni dignità a chi vende la propria cittadinanza per un piatto di lenticchie.
Per questo, in primo luogo, bisogna darle una firma per appoggiare il suo diritto a presentarsi alle elezioni organizzate da e per il capitalismo, come candidata anticapitalista, donna lavoratrice ed esponente avanzata degli indigeni.
Il mero ottenimento di più di un milione di firme per convalidare la sua candidatura sarebbe già di per sé una grande vittoria organizzativa e politica, perché dimostrerebbe che c’è una grande quantità di messicane e messicani che lottano contro la discriminazione razziale e contro l’oppressione delle donne che, proprio per questo, sono capaci di firmare per fare rispettare il diritto altrui lasciando momentaneamente da parte le differenze di opinione politiche partitiche.
Il raggiungimenti prima di dicembre del numero di firme richieste dall’Istituto Nazionale Elettorale (INE) sarà possibile grazie all’appoggio degli anticapitalisti, come l’Organizzazione Politica dei Lavoratori (OPT), il Partito Rivoluzionario dei Lavoratori (PRT), la Nuova Centrale dei Lavoratori (NCT) ma, soprattutto, dei gruppi organizzati di lavoratori e di oppressi, di democratici coerenti presenti soprattutto in Morena e, in misura minore, tra i simpatizzante di altri partiti e con l’appoggio militante di vasti gruppi di studenti in tutto il paese che così renderebbero omaggio concreto ai 43 studenti della Normale di Ayotzinapa vittime del terrorismo di Stato.
Firmare la domanda alla candidata indigena non obbliga nessuno a tralasciare altre opzioni perché Marichuy non compete con nessuno in campo elettorale, poiché questo non è il suo terreno di lotta e perché ha piena coscienza che l’oligarchia che controlla il paese come agente del capitale finanziario internazionale, giammai riconoscerebbe un candidato che non sia della famiglia e, tanto meno, uno anticapitalista che, per colmo, mobiliterebbe le donne e gli indigeni e godrebbe pertanto di grande simpatia in tutta l’America Latina e perfino negli Stati Uniti. Invece, compete, e molto, nella contesa per le menti e i cuori degli oppressi, contro il fatto aberrante che esistano poveri che accettano l’ideologia di chi li affonda nella povertà, e sfruttati che credono che il proprio sfruttatore sia il loro benefattore.
Nelle sue bandiere MPM si definisce anticapitalista. La raccolta di firme per la sua campagna, tuttavia, guadagnerebbe in forza ed impeto ed avrebbe maggiore eco se a questa fondamentale definizione generale aggiungesse l’esigenza di un piano nazionale di lavoro per ridurre la disoccupazione, il lavoro nero e l’emigrazione ed accogliere i compatrioti cacciati da Trump.
Sarebbe necessaria inoltre la rivendicazione di un aumento generale dei salari del 50% percento (data la caduta del salario reale ed il fatto che la maggioranza dei lavoratori non guadagna tre salari minimi), l’esigenza di un sostegno all’agricoltura familiare ed ejidale e di un’ampia protezione legale ai lavoratori messicani emigrati perseguiti da Trump e la domanda di priorizzare l’educazione pubblica, favorendo i più poveri dalla primaria fino all’università.
Il capitale internazionale ed internazionalista deve essere l’anticapitalismo. Non è possibile un governo solo di indigeni perché questi sono una minoranza ed hanno bisogno di alleati fraterni tra i contadini e i lavoratori di ogni tipo. Per questo, per fare alleanze, bisogna definire per quale futuro governo si combatte.
È fondamentale inoltre organizzare l’opposizione alla preparazione di guerre imperialiste – che in tutti i paesi comportano la repressione dei movimenti sociali e l’eliminazione delle conquiste storiche dei lavoratori – e difendere i paesi che hanno indebolito la catena dell’imperialismo e che, come Cuba o il Venezuela, sono oggi un obiettivo del Pentagono. Il silenzio rafforza i piani aggressivi del capitale.
Il programma seleziona e forma i quadri e dà coscienza di se stessi a coloro abituati ad accogliere tutte le idee di chi li opprime. Per questo, definire il programma anticapitalista è indispensabile per quello che verrà nei prossimi anni.
almeyraguillermo@gmail.com – Testo originale http://www.jornada.unam.mx/2017/11/12/opinion/016a1pol
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