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Archive for the ‘Senza Categoria’ Category

INTANTO, NELLA SELVA LACANDONA…”
(Terci@s Compas).

Frammenti visivi del saluto alle delegazioni zapatiste in alcune comunità indigene zapatiste, sulle rive dei fiumi Jataté, Tzaconejá e Colorado, montagne del sud-est messicano, Chiapas, Messico, America, America Latina, pianeta Terra.

Musica sulle zattere: La piragua (di José Barros). Trío Los Inseparables (versione ridotta di Sonido Dueñez / Sabotaje Dub. Sabotaje Media (2021).

Bene. Saluti e “se non va, ti porterò nel mio cuore, ti porterò qui nel mio canto”.

Il SupGaleano mentre balla raspadito, raspadito, la cumbia, raspando la terra, amandola, difendendola, ballandola (che non è lo stesso ma è uguale). La vita! “Fino ad un altro continente della pianeta Terra”.

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/24/y-mientras-tanto-en-la-selva-lacandona/

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SQUADRONE 421

(La delegazione marittima zapatista)

SQUADRONE 421

(La delegazione marittima zapatista)

Aprile 2021

Calendario? Un’alba del quarto mese. Geografia? Le montagne del sudest messicano. Un silenzio repentino si impone sui grilli, sul latrato diffuso e lontano dei cani, sull’eco di una musica di marimba. Qui, nelle viscere delle alture, un sussurro più che un russare. Se non fossimo dove siamo, si potrebbe pensare che è una voce dal mare aperto. Non le onde che si infrangono contro la costa, la spiaggia, la scogliera delimitata da una stravagante frastagliatura. No, qualcos’altro. E poi … un lungo gemito e un intempestivo, breve tremore.

La montagna si solleva. Si rimbocca, con pudore, le falde. Non senza sforzo, solleva i piedi da terra. Compie il primo passo con una smorfia di dolore. Ora sanguinano i piedi a questa montagna piccola, lontana dalle mappe, dalle destinazioni turistiche e dalle catastrofi. Ma qui tutto è complicità, così una pioggia anacronistica le lava i piedi e, con il fango, cura le sue ferite.

Abbi cura di te, figlia”, le dice la Ceiba madre. “Coraggio”, dice la corteccia di huapác come a sé stessa. L’uccello tapacamino la guida. “Ad oriente, amica, ad oriente”, dice mentre saltella da una parte all’altra.

Vestita di alberi, uccelli e pietre, la montagna cammina. Al suo passaggio, uomini, donne, chi non è né l’uno né l’altro, ragazzi e ragazze assonnati, si aggrappano ai bordi delle sue falde. Si arrampicano sulla sua blusa, le incoronano le punte dei seni, la seguono alle spalle e, ormai sulla sua cima, si svegliano.

Ad oriente il sole, che a malapena fa capolino all’orizzonte, interrompe un poco il suo giro ostinato e quotidiano. Ti è sembrato di veder camminare una montagna con una corona di esseri umani. Ma oltre al sole ed alcune nuvole grigie che la notte ha dimenticato, nessuno qui sembra sorprendersi.

Era scritto così”, dice il Vecchio Antonio affilando il machete a doppio taglio, e Doña Juanita annuisce con un sospiro.

Il focolare odora di caffè e mais cotto. Dalla radio comunitaria esce una cumbia. Il testo parla di una leggenda impossibile: una montagna che naviga controcorrente alla storia.

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Sette persone, sette zapatisti, compongono la frazione marittima della delegazione che visiterà l’Europa. Quattro sono donne, due sono uomini e unoa è otroa. 4, 2, 1. Lo squadrone 421 è già acquartierato nel “Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista”, situato nel Semillero Comandanta Ramona nella zona Tzotz Choj.

Non è stato facile. Piuttosto, è stato tortuoso. Per arrivare a questo calendario abbiamo dovuto affrontare obiezioni, consigli, scoraggiamenti, inviti alla misura e alla prudenza, veri sabotaggi, bugie, volgarità, resoconti dettagliati delle difficoltà, pettegolezzi e insolenze, e una frase ripetuta fino alla nausea: “quello che volete fare è molto difficile, se non impossibile”. E, naturalmente, dicendoci, ordinandoci cosa dovremmo e non dovremmo fare. Tutto questo, su questa e sull’altra sponda dell’oceano.

Tutto questo senza contare gli ostacoli del governo supremo e della sua burocrazia ignorante, ostinata e razzista.

Ma vi parlerò di tutto questo in un’altra occasione. Ora devo parlarvi della nostra nuovissima delegazione marittima zapatista.

Le 4 donne, i due uomini e lao otroa sono esseri umani. A loro è stato fatto il Test di Turing, con alcune modifiche che ho ritenuto pertinenti per escludere che alcun@ di loro, o tutt@, fossero un organismo cibernetico, un robot, capace di ballare la cumbia del Sapito sbagliando il passo. Ergo, i 7 esseri appartengono alla razza umana.

Le/I 7 sono nati nel continente che chiamano “America” e il fatto che condividano dolore e rabbia con altri popoli originari da questa parte dell’oceano, li rende Latinoamericani. Sono anche messicani di nascita, discendenti dei popoli originari maya, come verificato con le loro famiglie, vicini e conoscenti. Sono anche zapatisti, con documenti dei municipi autonomi e delle Giunte di Buon Governo che lo avallano. Non hanno crimini dimostrati a loro carico e che non siano stati sanzionati opportunamente. Vivono, lavorano, si ammalano, si curano, amano, si disamorano, ridono, piangono, ricordano, dimenticano, giocano, fanno sul serio, prendono appunti, cercano un pretesto, insomma, vivono nelle montagne del Sudest Messicano, in Chiapas, Messico, Latinoamerica, America, Pianeta Terra, eccetera.

Le/I 7, inoltre, si sono offerti volontari per il viaggio via mare – cosa che non suscita molto entusiasmo tra la grande varietà di zapatisti di tutte le età -. Quindi, per essere chiari, nessuno voleva viaggiare in nave. Quanto ha contribuito a ciò la campagna di terrore scatenata da Esperanza e da tutta la banda di Defensa Zapatista, sintetizzata nel famoso algoritmo “moriranno tutt@ miseramente”? Non lo so. Ma il fatto di aver sconfitto i social, compreso whatsapp, senza alcun vantaggio tecnologico (beh, senza nemmeno campo nel cellulare), mi ha motivato a mettere il mio granello di sabbia.

Così, mosso dalla mia simpatia per la banda di Defensa Zapatista, ho chiesto al SubMoy il permesso di parlare con la delegazione che, tra grida, gridolini e risate de@ bambin@, si stava preparando all’invasione che non è un’invasione… beh, sì, lo è, ma è qualcosa, diciamo, consensuale. Qualcosa di simile a un internazionalismo sadomasochista che, ovviamente, non sarà ben visto dall’ortodossia dell’avanguardia, che, come si deve, si spinge così avanti dalle masse, che non si riesce a vedere.

Mi sono presentato in assemblea e, mostrando la mia migliore espressione da tragedia, ho raccontato loro cose orribili sul mare aperto: il “vomito infinito; la monotona vastità dell’orizzonte; la dieta povera di mais, senza popcorn e – orrore! – senza salsa Valentina; la reclusione con altre persone per diverse settimane – con le quali, le prime ore, si scambiano sorrisi e attenzioni e poco dopo sguardi assassini -; ho pure descritto, molto dettagliatamente, terribili tempeste e minacce sconosciute; ho fatto riferimento al Kraken e, attraverso uno di quei richiami letterari, ho raccontato loro di una gigantesca balena bianca che cercava, furiosa, qualcuno a cui staccare la gamba, cosa che non lascerebbe alla vittima un ruolo decoroso nella cumbia più lenta. È stato inutile. E devo confessare, non senza il mio orgoglio di genere gravemente ferito, che sono state di più le donne a dire: “in barca”, quando si offriva loro la possibilità di viaggiare via mare o viaggiare in aereo.

Quindi si sono iscritt@ non 7, non 10, non 15, ma più di 20. Perfino la piccola Veronica di 3 anni si è iscritta quando ha sentito la storia della balena assassina. Sì, incomprensibile. Ma se la conosceste (la bambina, non la balena), la compatireste. Voglio dire, compatireste Moby Dick.

Allora perché solo 7? Bene, posso parlarvi dei 7 punti cardinali (quello davanti, quello dietro, quello di un lato, dell’altro lato, quello in centro, quello sopra e quello sotto), dei 7 primi dei, quelli che hanno creato il mondo, e così via. Ma la verità è che, lungi da simboli e allegorie, il numero è dovuto al fatto che la maggior parte non ha ancora ottenuto il passaporto e sta ancora lottando per ottenerlo. Ve ne parlerò più tardi.

Beh, di sicuro non vi interessano questi problemi. Quello che volete sapere è chi salperà con “La Montaña”, attraverserà l’Oceano Atlantico e invaderà… ehm, intendevo, visiterà l’Europa. Quindi qui metto le loro foto e un brevissimo profilo:

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Lupita. 19 anni. Messicana di nascita. Tzotzil degli Altos del Chiapas. Parla la sua lingua madre, tzotzil e il castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. È stata coordinatrice locale giovanile, coordinatrice regionale giovanile e responsabile locale del lavoro collettivo. Musica preferita: pop, romantica, cumbia, ballate, elettronica, rap, hip hop, musica andina, musica china, rivoluzionaria, classica, rock degli anni ’80 (così si diceva), mariachi, musica tradizionale del suo popolo… e reggaeton (nota della redazione: se questo non è “un mondo dove stanno molti mondi”, non so cosa altro sia. Fine della nota). Colori preferiti: nero, rosso, ciliegia e caffè. Esperienza marittima: quando era piccola ha viaggiato in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa. Svolgerà attività come Tercia Compa durante il viaggio in mare.

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Carolina. 26 anni. Messicana di nascita. Originaria tzotzil degli Altos del Chiapas, ora Tzeltal della selva Lacandona. Parla la sua lingua madre, tzotzil, oltre al tzeltal e il castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Madre single di una bambina di 6 anni. Sua madre l’aiuta con la bambina. È stata la coordinatrice di “come mujeres que somos” ed ha seguito corsi di veterinaria. Attualmente è Comandanta nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: pop, romantica, cumbia, rock degli anni ’80 (così si diceva), gruperas e rivoluzionaria. Colori preferiti: crema, nero e ciliegia. Esperienza marittima: qualche volta in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa.

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Ximena. 25 anni. Messicana di nascita. Cho´ol del nord del Chiapas. Parla la sua lingua madre cho’ol e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Madre single di una bambina di 6 anni. Sua madre la aiuta con la bambina. È stata coordinatrice giovanile ed è attualmente Comandanta nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: cumbia, tropicale, romantica, rivoluzionaria, rock anni ’80 (così si diceva), elettronica e rancheras. Colori preferiti: viola, nero e rosso. Esperienza marittima: qualche volta in lancia. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa. Seconda in comando nella delegazione marittima, dopo Darío.

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Yuli. 37 anni. Compirà i 38 a maggio, in alto mare. Originaria Tojolabal della Selva di confine, ora Tzeltal della Selva Lacandona. Parla correntemente lo spagnolo. Sa leggere e scrivere. Madre di due bambini: una ragazza di 12 anni e un bambino di 6 anni. Il suo compagno l’aiuta con i bambini. Il suo compagno è Tzeltal, quindi si amano, litigano e tornano ad amarsi in castigliano. È stata promotrice di educazione, formatrice di educazione (preparano promotor@ di educazione) e coordinatrice di collettivi locali. Musica preferita: romantica, gruperas, cumbia, vallenato, rivoluzionaria, tropicale, pop, marimba, rancheras e rock degli anni ’80 (così si diceva). Colori preferiti: nero, caffè e rosso. Nessuna esperienza marittima. Si è preparata per 6 mesi per essere delegata. Volontaria per viaggiare in nave per l’Europa.

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Bernal. 57 anni. Tojolabal della zona della Selva di confine. Parla la sua lingua madre tojolabal e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Padre di 11 figl@: il più grande ha 30 anni e il più giovane 6. La sua famiglia lo sostiene nella cura dei piccoli. È stato miliziano, responsabile locale, insegnante della escuelita zapatista e membro della Giunta di Buon Governo. Musica preferita: rancheras, cumbia, musical huichol, marimba e rivoluzionaria. Colori preferiti: blu, nero, grigio e caffè. Esperienza marittima: cayuco e lancia. Si è preparato per 6 mesi per essere delegato. Volontario per viaggiare in nave per l’Europa.

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Darío. 47 anni. Cho´ol del nord del Chiapas. Parla la sua lingua madre, cho’ol e castigliano correntemente. Sa leggere e scrivere. Padre di 3 figl@: uno di 22 anni, un altro di 9 anni e il più giovane di 3 anni. Il ragazzo e la ragazza andranno con la madre in Europa in aereo a luglio. È stato un miliziano, responsabile locale, responsabile regionale, e attualmente è Comandante nel direttivo politico-organizzativo zapatista. Musica preferita: rancheras di Bertín y Lalo, musica tropicale, marimba, musica regionale e rivoluzionaria. Colori preferiti: nero e grigio. Esperienza marittima: cayuco. Si è preparato per 6 mesi per essere delegato. Volontario per viaggiare in nave per l’Europa. Sarà il coordinatore della delegazione marittima zapatista.

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Marijose. 39 anni. Tojolabal della zona della Selva di confine. Parla correntemente lo spagnolo. Sa leggere e scrivere. È stato milizianoa, promotoroa di salute, promotoroa di educazione e formatoroa di educazione. Musica preferita: cumbia, romantica, rancheras, pop, elettronica, rock anni ’80 (così si diceva), marimba e rivoluzionaria. Colori preferiti: nero, blu e rosso. Esperienza marittima: cayuco e lancia. Si è preparat@ per 6 mesi per essere delegatoa. Volontarioa per viaggiare in nave per l’Europa. È stato designato come loa primeroa zapatista a sbarcare e, con ciò, inizia l’invasione… ok, la visita in Europa.

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Quindi il primo piede che si poserà sul suolo europeo (ovviamente, se ci faranno sbarcare) non sarà di un uomo, né di una donna. Sarà di unoa otroa.

In quello che il defunto SupMarcos avrebbe definito “uno schiaffo a tutta la sinistra etero patriarcale”, è stato deciso che a sbarcare per primo sarà Marijose.

Non appena poserà i suoi due piedi sul territorio europeo e si riprenderà dal mal di mare, Marijose griderà:

“Arrendetevi visi pallidi etero patriarcali che perseguitate il diverso!”

Nah, scherzo. Ma, non sarebbe bello se lo dicesse?

No, toccando terra loa compa zapatista Marijose dirà in tono solenne:

“A nome delle donne, dei bambini, degli uomini, degli anziani e, naturalmente, degli otroas zapatisti, dichiaro che il nome di questa terra che i suoi nativi ora chiamano “Europa”, d’ora in poi si chiamerà: SLUMIL K´AJXEMK´OP, che significa “Terra Indomita”, o “Terra che non si rassegna, che non cede”. E così sarà conosciuta dalla gente del posto e dagli estranei finché qui ci sarà qualcuno che non si arrende, non si vende e non cede”.

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In fede.

SupGaleano.

Aprile 2021

(Continua…)

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale e foto: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/17/escuadron-421/

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VIAGGIO PER L’EUROPA…

COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

MESSICO

10 aprile 2021

Alle persone, gruppi, collettivi, organizzazioni, movimenti, coordinamenti e popoli originari in Europa che attendono la nostra visita:
Alla Sexta Nazionale e Internazionale:
Alle reti in resistenza e ribellione:
Al Congresso Nazionale Indigeno:
Ai popoli del mondo:

Sorelle, fratelli e compagn@:

Questo 10 aprile 2021 le/i compagn@ che fanno parte del primo gruppo di delegati del nostro Viaggio per la Vita, capitolo Europa, hanno raggiunto il “Semillero Comandanta Ramona”. Si tratta della delegazione marittima.

Con una piccola cerimonia, secondo i nostri usi e costumi, la delegazione ha ricevuto dai popoli zapatisti il mandato di portare lontano i nostri pensieri, cioè i nostri cuori. Le/i nostr@ delegat@ hanno un cuore grande. Non solo per abbracciare coloro che nel continente europeo si ribellano e resistono, ma anche per ascoltare e imparare dalle loro storie, geografie, calendari e modi.

Questo primo gruppo rimarrà in quarantena per 15 giorni, isolato nel Semillero, per assicurarsi di non essere infettato dal COVID19 e per prepararsi al lungo viaggio per mare. Durante queste due settimane vivranno all’interno della replica della barca che, per questo, abbiamo costruito nel Semillero.

Il 26 aprile 2021 partiranno per un porto della Repubblica messicana. Arriveranno entro e non oltre il 30 aprile e saliranno a bordo dell’imbarcazione che abbiamo chiamato “La Montaña”. Resteranno a bordo della nave per due o tre giorni e il 3 maggio 2021, il giorno del la Santa Cruz, Chan Santa Cruz, la nave “La Montaña” salperà con i nostri compagni con destinazione le coste europee, in un viaggio che dovrebbe durare dalle 6 alle 8 settimane. Si stima che nella seconda metà di giugno 2021 saranno al largo delle coste europee.

A partire da questo 15 aprile 2021, dai 12 caracol zapatisti le nostre basi di appoggio de@ nostr@ compagn@ svolgeranno attività per salutare la delegazione zapatista che, via mare e via aerea, viaggerà per la geografia che chiamano “Europa”.

In questa parte di quello che abbiamo chiamato “Viaggio per la Vita”. Capitolo Europa”, le/i delegat@ zapatist@ incontreranno coloro che ci hanno invitato a parlare delle nostre reciproche storie, dolori, rabbie, conquiste e fallimenti. Finora abbiamo ricevuto e accettato inviti dalle seguenti aree geografiche:

Austria

Belgio

Bulgaria

Catalogna

Cipro

Croazia

Danimarca

Finlandia

Francia

Germania

Grecia

Italia

Lussemburgo

Norvegia

Olanda

Paesi Baschi

Polonia

Portogallo

Regno Unito

Romania

Russia

Serbia

Slovenia

Stato Spagnolo

Svezia

Svizzera

Turchia

Ucraina

Ungheria

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Da oggi il Subcomandante Insurgente Galeano pubblicherà una serie di testi in cui vi parlerà di chi compone la delegazione marittima zapatista, del lavoro svolto, di alcuni problemi che abbiamo affrontato e così via.

In breve: siamo già in viaggio per l’Europa.

Per ora è tutto.

Dalle montagne del Sud-est Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés
Commissione Sexta dell’EZLN
Messico, aprile 2021

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/04/12/camino-a-europa/

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Paramilitarismo in Chiapas nella Quarta Trasformazione

Gilberto López y Rivas

2 aprile 2021

Il 30 aprile 1999, in qualità di presidente di turno della Commissione di Concordia e Pacificazione, ho presentato un esposto, presso l’allora Procuratore Generale (PGR), sull’esistenza di gruppi paramilitari in Chiapas, uno dei quali perpetrò il massacro di Acteal il 22 dicembre 1997. Questo esposto denunciava la pratica da parte delle forze armate messicane di una strategia di guerra irregolare, descritta nei manuali della Sedena e nel Plan de campañ Chiapas 94, e l’applicazione di una tattica contrainsurgente nota come incudine e martello, che consiste nel fatto che le forze armate agiscono come contenimento passivo (incudine), sotto la protezione del quadro giuridico, mentre i gruppi paramilitari (martello) attuano, clandestinamente, le vessazioni attive contro comunità e basi di appoggio dell’EZLN. Inoltre gli strateghi messicani usano una metafora per spiegare il ruolo di questi gruppi paramilitari, sostenendo che non solo l’acqua (sostegno popolare) deve essere tolta ai pesci (insurrezione), ma che bisogna anche mettere in acqua pesci più feroci.

In questa denuncia, tra l’altro, si evidenziava la presenza di militari o ex militari nel massacro di Acteal in relazione diretta con il comando della Sedena. Uno fu identificato in Mariano Pérez Ruiz, il quale, nel giugno 1998, dichiarò dinanzi al PGR, come a fascicolo 96/98, che ex funzionari e dirigenti del PRI sono responsabili dell’assunzione di militari e poliziotti per istruire nell’uso delle armi e sulla strategia paramilitare tra le comunità indigene di Chenalhó, ma aggiunse un chiarimento significativo: È vero che ho fatto un’affermazione in questo senso, ma è stato perché elementi della Polizia Militare mi hanno costretto a testimoniare in questo modo, perché se non lo avessi fatto mi avrebbero fatto sparire. Inoltre, ero ancora un militare effettivo e dovevo eseguire gli ordini dei miei superiori (GLR, Viejas y nuevas guerras sucias, El Cotidiano, 172, 2012, UAM-A).

Sebbene i risultati dell’Ufficio del Procuratore Speciale per i Crimini Commessi nell’Acquisizione e nell’Amministrazione della Giustizia nello Stato del Chiapas, rilasciati nel 2011 hanno indicato, senza dubbio, che ad Acteal era stato perpetrato un crimine di Stato, la Corte Suprema di Giustizia della Nazione ha rilasciato molti degli autori materiali di questo crimine contro l’umanità, mentre gli autori intellettuali e complici per omissione o commissione, non sono mai stati perseguiti: l’allora presidente Ernesto Zedillo, funzionari federali e statali e locali, la dirigenza e ufficiali delle forze armate, nella catena di comando.

Venti anni dopo questa denuncia, il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, con un comunicato urgente svela gli innumerevoli attacchi contro le comunità di Aldama, Chiapas, con la presenza significativa della Guardia Nazionale e della Polizia di Stato. Sulla base delle informazioni dirette della Commissione permanente dei 115 membri della comunità e degli sfollati di Aldama, vengono descritti i costanti attacchi con armi da fuoco di grosso calibro provenienti “da punti situati a Santa Martha-Miguel Utrilla, municipalità di Chenalhó, Chiapas, atti provocati. dal gruppo paramilitare in complicità con il governo municipale (…) in un contesto di terrore, dove i bambini, le donne e la popolazione in generale sopravvivono in un ambiente di torture. Le azioni del governo sono state insufficienti, inefficaci e simulate, poiché non garantiscono la sicurezza e l’integrità della popolazione”. Va segnalato che questa prestigiosa organizzazione per la difesa dei diritti umani ha documentato, monitorato e denunciato questa guerra di logoramento contrainsurgente sin dai primi giorni della ribellione zapatista nel gennaio 1994.

Da parte sua, la Missione Civile di Osservazione composta da 14 organizzazioni della Rete Nazionale delle Organizzazioni Civili per i Diritti Umani Todos los Derechos para Todas y Todos, accompagnata da tre organizzazioni internazionali, nel dicembre 2020 ha visitato le comunità delle regioni settentrionali, Altos e Costa, dove hanno documentato situazioni critiche di violazione dei diritti fondamentali, “con una preoccupante mancanza di volontà ed empatia da parte delle autorità (…). La Missione Civile di Osservazione ha avuto l’opportunità di visitare le comunità di Chalchihuitan, Acteal, Aldama, Nuevo San Gregorio, Moisés Gandhi, Chilón e Tonalá, dove abbiamo raccolto testimonianze da persone colpite da situazioni di sfollamento forzato, espropriazione di terra, detenzioni arbitrarie, torture, molestie, minacce, criminalizzazione, e altre aggressioni. (…) È indignante la violenza strutturale consentita e persino fomentata dai diversi livelli di governo così come la loro scarsa o nulla disposizione ad affrontare il conflitto, banalizzando, discriminando e criminalizzando le comunità”.

Si prepara un altro crimine di Stato?

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://jornada.com.mx/2021/04/02/opinion/014a2pol

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QUELLE CHE NON CI SONO.

LE LORO STORIE.

LE LORO GIOIE E LE LORO TRISTEZZE.

I LORO DOLORI E LE LORO RABBIE.

I LORO OBLII E I LORO RICORDI.

LE LORO RISATE E LE LORO LACRIME.

LE LORO PRESENZE E LE LORO ASSENZE.

I LORO CUORI.

LE LORO SPERANZE.

LA LORO DIGNITÀ.

I LORO CALENDARI.
QUELLI CHE HANNO POTUTO RIEMPIRE.
QUELLI CHE SONO RIMASTI INCOMPLETI E CHE DOBBIAMO LORO.

LE LORO GRIDA.

I LORO SILENZI.

SÌ, SOPRATTUTTO I LORO SILENZI.

CHI NON LE SENTE?
CHI NON SI RICONOSCE IN LORO?

DONNE CHE LOTTANO.
S
Ì, NOI.

MA SOPRATTUTTO, LORO.
QUELLE CHE NON CI SONO
E TUTTAVIA SONO CON NOI.

PERCHÉ NON DIMENTICHIAMO,
PERCH
É NON PERDONIAMO,
PER LORO E CON LORO, LOTTIAMO.

Le donne indigene zapatiste.
8 marzo 2021

LAS QUE NO ESTÁN

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La Guerra di Bassa Intensità contro l’EZLN continua anche con questo Presidente, Andrés Manuel Lopez Obrador (AMLO)

È la “guerra integrale di sfiancamento” contro le comunità basi di appoggio zapatiste che vengono sfiancate poco a poco con atti che sono violenti ma non abbastanza appariscenti da attirare l’attenzione dei media nazionali e internazionali.

Come accade nel Municipio Autonomo Lucio Cabañas dove “Grupo de los 40 invasores” e ORCAO stanno spoliando l’EZLN delle terre recuperate nel 1994.

Lo testimoniano i Report della Carovana di Solidarietà che ha visitato la zona dal 2020 al 2021:

Rapporto della Carovana di Solidarietà e Denuncia nella comunità autonoma zapatista Nuevo San Gregorio, realizzata dal 29 ottobre 2020 fino a febbraio 2021 https://redajmaq.espora.org/informecaravana20210301 Qui il PDF 2021_SegundoInformeCaravana

Rapporto della Carovana di Solidarietà e Denuncia nelle comunità autonoma zapatista Nuevo San Gregorio e Regione Moises Gandhi, realizzata a ottobre 2020 https://redajmaq.espora.org/informecaravana2020 Qui il PDF 2020_informe_caravana

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Accordi di San Andrés, autonomia vs. neo-indigenismo

Luis Hernández Navarro

Questo 16 febbraio segna il 25° anniversario della firma degli accordi di San Andrés sui diritti e cultura indigeni. Molte cose sono cambiate da allora, anche se una rimane: l’indigenismo come politica di Stato.

Indigenismo è il nome dato alla politica istituzionale volta ad assistere la popolazione autoctona. È, contemporaneamente, una teoria antropologica, un’ideologia di stato e una pratica di governo. Il suo obiettivo principale è proteggere le comunità indigene integrandole al resto della società nazionale, diluendo il loro carattere di popolo come soggetto storico. È una politica dei non indios nei confronti delle popolazioni indigene, sebbene i suoi artefici possano appartenere a un gruppo etnico.

Uno dei suoi principali promotori, Alfonso Caso, prevedeva che in 50 anni non ci sarebbero più stati gli indios: sarebbero stati tutti messicani. Era in buona compagnia. Molti pensatori, prima e dopo di lui, hanno visto nell’integrazione nella società nazionale meticcia il destino inesorabile dei popoli nativi.

Sebbene la nazione messicana abbia avuto una composizione multietnica e multiculturale sin dalla sua fondazione, le sue costituzioni non hanno rispecchiato questa realtà. Cancellare l’indio dalla geografia della patria, renderlo messicano costringendolo ad abbandonare la sua identità e cultura, rendendolo folcloristico, è stata un’ossessione delle classi dominanti sin dalla Costituzione del 1824. L’intenzione di costruire uno Stato-nazione, di sbarazzarsi dell’eredità coloniale, di resistere ai pericoli degli interventi stranieri, di combattere i poteri ecclesiastici e militari e di modernizzarsi, ha portato a privilegiare una visione di unità nazionale che escludesse la realtà plurinazionale.

Gli accordi di San Andrés avevano lo scopo di celebrare i funerali dell’indigenismo e risolvere questo debito storico. Il loro punto centrale consisteva nel riconoscimento dei popoli indios come soggetti sociali e storici e nel diritto di esercitare la loro autonomia.

L’autonomia è uno dei modi per esercitare l’autodeterminazione. La sua pratica implica il trasferimento reale di poteri, funzioni e competenze, che oggi sono di responsabilità di diverse istanze di governo, alle popolazioni indigene.

Ai dialoghi di San Andrés gli zapatisti invitarono come consigliere lo scrittore Fernando Benítez, che aveva dedicato 20 anni della sua vita alla difesa e allo studio dei popoli originari ed è autore di cinque libri monumentali su di loro. Il giornalista accettò volentieri l’invito.

Le sue motivazioni erano genuine. Cosa mi hanno insegnato gli indios? Si chiese Benítez alla fine della sua vita. E si rispose: mi hanno insegnato a non credermi importante, a cercare di avere una condotta impeccabile, a considerare sacri animali, piante, mari e cieli, a sapere in cosa consiste la democrazia e il rispetto dovuto alla dignità umana. Anche a passare dal quotidiano al sacro (La Jornada, 5/7/95).

Sebbene molti dei problemi che affrontavano fossero gli stessi, la prospettiva di lotta delle popolazioni indigene che partecipavano ai dialoghi era completamente diversa da quelle che Benítez descriveva dal 1960. L’autore di Los indios de México li considerava le persone più miserabili, i contadini più poveri, quelli che viveva nelle terre peggiori in un paese con terre pessime, quelli che venivano invasi. Anticipava l’inevitabile destino a scomparire delle loro culture e la loro sostituzione con i disastri dell’industrialismo. E proponeva di salvare ciò che restava delle culture indigene prima che questo processo si concludesse. (https://bit.ly/3p50tRf).

Ma non sono scomparsi. Al contrario. Sono più presenti che mai. Certamente, le popolazioni indigene convocate dall’EZLN, prima ai dialoghi e poi alla formazione del Congresso Nazionale Indigeno (CNI), subivano gli effetti del colonialismo interno e, quindi, provenivano da comunità e regioni vessate da espropri, oppressione, sfruttamento e discriminazione simili a quelle descritte da Benítez. Tuttavia, lungi dal rappresentare culture sull’orlo della scomparsa, quei leader erano l’espressione vivente della formidabile capacità di resistenza e reinvenzione delle tradizioni dei loro popoli.

Ai colloqui di San Andrés partecipavano i leader dei popoli originari sorti negli anni ’70 ed emersi alla luce pubblica a seguito dell’insurrezione zapatista, insieme alle autorità comunitarie tradizionali. Partecipavano anche importanti intellettuali indigeni che avevano preparato una ricchissima riflessione su come ricostituire i loro popoli.

A 25 anni dalla firma degli accordi e dalla fondazione del CNI, alcune delle popolazioni indigene che vi hanno partecipato sono scomparse. Altre sono entrate nei ranghi dei governi di turno, dal PAN alla 4T. Tuttavia, il movimento nato da questo processo orientato alla costruzione dell’autonomia e alla lotta al capitalismo è più vigoroso e solido rispetto a 25 ani fa. Una nuova generazione di centinaia di leader e decine di intellettuali (tra cui molte donne) ha raccolto il testimone.

Due decenni e mezzo dopo da che sono stati concordati, lo Stato messicano continua a violare gli accordi di San Andrés. In aggiunta, il movimento indigeno autonomista subisce l’assassinio dei suoi leader e l’impulso, da parte del governo federale, di un neo-indigenismo assistenziale che va di pari passo con la promozione di megaprogetti sui loro territori (https://bit.ly/3oXetMs).

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2021/02/09/opinion/017a1pol?s=09

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Nuevas agresiones armadas de la ORCAO a la comunidad Moisés Gandhi


  • Garantizar la vida, integridad de Bases de Apoyo y respeto a la autonomía zapatista.

El Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba), ha recibido información de la Junta de Buen Gobierno Patria Nueva, Caracol 10 “Floreciendo la semilla rebelde”, con sede en el municipio oficial de Ocosingo, Chiapas, México, en donde informan que desde el 18 de enero de 2021, hasta el día de hoy integrantes de la Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo (ORCAO) han agredido con disparos de armas de fuego a la comunidad de Moisés Gandhi del Municipio Autónomo Lucio Cabañas.

El 18 de enero de 2021, desde las 15:30 hrs hasta las 18:00 hrs., integrantes de la ORCAO retomaron las agresiones con disparos de armas de fuego contra las casas de la comunidad Moisés Gandhi. Fueron “alrededor de 170 disparos de calibres grandes y 80 disparos de calibres pequeños.” El 20 de enero de 2021, a las 16:00 hrs y 22:30 hrs. se registraron nuevas agresiones.

El día de hoy, aproximadamente a las 00:30 hrs, 02:10 hrs. y 02:55 hrs. nuevamente se registraron disparos contra las casas de la comunidad. La Junta de Buen Gobierno ha informado que en estos ataques han participado por lo menos 20 integrantes de la ORCAO de las comunidades San Antonio, Cuxuljá, San Francisco y 7 de febrero municipio de Ocosingo.

Desde abril de 2019, la comunidad de Moisés Gandhi ha sido agredida por parte de integrantes de la ORCAO resultando en destrucción de bienes y agresiones físicas y verbales. Para marzo de 2019, comenzaron agresiones con armas de fuego con dirección a la comunidad. El 22 de agosto de 2020, saqueo e incendio de la bodega de café ubicada en el Centro de Comercio “Nuevo Amanecer del Arcoiris en el crucero de Cuxuljá. El 8 de noviembre de 2020, integrantes de la ORCAO secuestran a Félix López Hernández, Base de Apoyo zapatista de la comunidad de Moisés Gandhi, quien fue liberado después de 4 días.

El Frayba hace un llamado al Estado mexicano para que intervenga de manera inmediata y cesen las agresiones hacia la comunidad Moisés Gandhi del Municipio Autónomo Lucio Cabañas, ya que la vida e integridad de las mujeres, niñas, niños y hombres del Pueblo Maya Tseltal se encuentra en riesgo. Las acciones emprendidas deberán respetar la jurisdicción, autonomía y libre determinación de las Junta de Buen Gobierno Zapatistas.

Solicitamos a la solidaridad nacional e internacional firmen la siguiente  acción urgente: https://frayba.org.mx/nuevas-agresiones-armadas-de-la-orcao-a-la-comunidad-moises-gandhi/

 

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Levate le ancore

Luis Hernández Navarro

A luglio, agosto, settembre e ottobre di quest’anno, una delegazione del Messico del basso si recherà in Europa. È composto dall’EZLN, dal Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e dal Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala. L’iniziativa fa parte di un tour più ampio che in seguito visiterà Asia, Africa, Oceania e America.

Il gruppo terrà incontri, dialoghi, scambi di idee, esperienze, analisi e valutazioni nella lotta per la vita. Cercherà di sapere cosa c’è di diverso. Coloro che si incontreranno condividono la comprensione che il carnefice dell’umanità è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladro e criminale: il capitalismo (https://bit.ly/2XmkIhN).

La Dichiarazione per la Vita che accompagna la missione è stata firmata da centinaia di collettivi, associazioni di lotta, personalità e attivisti in molti paesi, che formano una galassia anti-neoliberista e anticapitalista attraversata in modi diversi dallo zapatismo. La Izquierda Unida Internacional ha salutato fraternamente la spedizione.

Si tratta chiaramente di un’iniziativa di sinistra, se per sinistra si intende la definizione data dal filosofo e giornalista austro-francese André Gorz. “Essere di sinistra – afferma – significa sentirsi legati a tutti coloro che lottano per la propria liberazione, che non accettano la determinazione dall’alto di traguardi e obiettivi e lottano, insieme o da soli, per l’eliminazione di ogni forma di dominio e per il rovesciamento di tutti gli apparati di potere”.

Il tour europeo si svolgerà in un momento di enorme confusione, incertezza, caos e insicurezza in tutto il mondo. Il futuro non è più quello che era e non è chiaro come sarà.

Il viaggio ribelle avverrà in un mondo scosso, tra l’altro, dall’incrocio tra crisi sanitaria ed economica precipitata dalla pandemia di coronavirus. A causa della crescente egemonia del capitalismo digitale nel processo di ricomposizione globale di questo sistema economico. A causa dell’emergere di un nuovo e timido progressismo latinoamericano articolato intorno al Gruppo di Puebla, che sembra voler prescindere dall’influenza di Cuba e Venezuela nella regione. Per la sconfitta elettorale del Trumpismo e il suo auto-golpe di stato. Per l’avanzata dell’estrema destra, il razzismo e la xenofobia in molti paesi europei. O per il crescente riavvicinamento di Cina e Russia.

Ma, anche, a causa del dispiegamento di molte lotte di resistenza, come quella condotta in Grecia da proteste instancabili di gruppi di base che hanno costretto la giustizia di quella nazione a condannare il partito fascista Alba Dorada come organizzazione criminale e condannare al carcere alcuni dei suoi leader. O come l’irruzione in Francia del movimento dei gilet gialli contro l’aumento del prezzo del carburante, l’ingiustizia fiscale e la perdita del potere d’acquisto. O l’emergere di reti antifasciste e antirazziste in tutto il territorio dell’Unione europea che trovano cittadinanza universale. Oltre alla persistenza di una potente mobilitazione femminista.

Elaborare una visione su quel vecchio mondo che precipita clamorosamente e il nuovo che emerge con grandi difficoltà, richiede che sia vissuto, pensato, analizzato, dalle lotte di resistenza del basso che formano la costellazione associativa in difesa della vita.

La spedizione europea non deve sorprendere. Molti dei gruppi che resistono in Europa hanno accompagnato gli zapatisti dal 1994. Luca Casarini, attivo da molti anni nei Centri Sociali Italiani, diceva: abbiamo un sogno. In quel sogno siamo nati il 1° gennaio 1994, accanto agli zapatisti. Il sogno è buono e non è del tutto fantasioso, ma la realtà è diversa.

Quel sogno non è esclusivo di Luca. Nonostante gli anni trascorsi dalla sollevazione dell’EZLN, in tutta Europa molte forze si identificano profondamente con lo zapatismo. Un buon numero di loro ha svolto un ruolo chiave nel movimento dei movimenti che ha affrontato la globalizzazione neoliberista, nelle proteste contro l’invasione e la guerra in Iraq, nella lotta all’emergenza fascista, nell’occupazione delle piazze pubbliche, in difesa dei migranti, nella lotta agli sfratti dopo la crisi del 2008 e migliaia di altre lotte.

Per più di 26 anni, migliaia di questi attivisti hanno viaggiato regolarmente in missioni di solidarietà negli accampamenti dei ribelli in Chiapas. Il governo messicano ne ha deportati a dozzine e ha proibito loro di tornare nel Paese. Hanno partecipato attivamente al Primo Incontro per l’Umanità e contro il Neoliberismo, convocato dall’EZLN nella Selva Lacandona nel 1996. La sinistra istituzionale li chiamava aretudos (con un pizzico di disprezzo), per la moda maschile di indossare piccoli orecchini. Curiosamente, questi aretudos sono stati protagonisti di un ciclo di lotte storiche intorno all’altromondismo e hanno rinnovato la sinistra europea del basso.

La decisione degli zapatisti, CNI-CIG e del Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala, di levare le ancore e salpare verso l’Europa, sarà una specie di visita contraccambiata per incontrare quei vecchi amici ai quali hanno offerto ospitalità lungo due decenni e mezzo. Un gesto di reciprocità per avallare l’impegno di lottare ovunque e in ogni momento, fino alla sua distruzione, contro il capitalismo.

@lhan55

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2021/01/12/opinion/012a1pol?s=09

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Messico – Chiapas, continue violenze contro le comunità zapatiste

“Dove ho il mio appezzamento, mi hanno rubato il grano. Siamo andati a cercare le prove e proprio lì ci hanno sparato, nella comunità di San Felipe ”, racconta una donna che è membro delle Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) nella regione di Moisés Gandhi, nel comune ufficiale di Ocosingo.

Questa è solo una delle più recenti denunce di attacchi armati e violenze da parte dei membri dell’Organizzazione dei coltivatori di caffè di Ocosingo (ORCAO) contro le comunità appartenenti al Municipio Autonomo Ribelle Zapatista (MAREZ) di Lucio Cabañas, uno dei municipi che furono costituiti dall’EZLN dal 1994. In questi territori ribelli, che prima erano nelle mani di proprietari terrieri e agricoltori, l’autogoverno viene esercitato attraverso amministrazioni autonome.

Negli ultimi giorni di questo mese di Gennaio, una carovana di osservazione e solidarietà composta da organizzazioni, gruppi e individui, aderenti alla Sesta Dichiarazione della Selva Lacandona, ha riferito che il giorno 12, “intorno alle 8:30 del mattino un gruppo di circa 30 uomini appartenenti al gruppo di oppositori è arrivato nei pressi delle terre su cui stavano lavorando le Basi di Appoggio (BAEZLN), scattando foto ai membri di questa Carovana, come forma di intimidazione per ostacolare il loro lavoro ”, hanno riferito in un comunicato.

Questa Carovana ha svolto il suo primo lavoro di documentazione nell’Ottobre 2020. Oltre a questo impegno, il 7 Dicembre 2020 è stata effettuata la prima Missione di Osservazione Civile, svolta da organizzazioni appartenenti alla Rete ” Todos los derechos para todas y todos”, che ha raccolto anche varie testimonianze che indicano un aumento degli attacchi dal 2019. I principali responsabili sono stati identificati come membri dell’ORCAO.

Nella loro visita più recente, questa Carovana ha il compito di accompagnare l’inizio della coltivazione della terra e nella semina del grano in questo territorio ribelle.

I partecipanti alla Carovana ribadiscono: “ricordiamo che la posizione della carovana di osservazione e solidarietà è ed è stata favorevole alla pace, per questo chiediamo rispetto per il diritto all’autonomia e alla libera autodeterminazione zapatista, rispetto per le loro terre recuperate che fanno parte del suo territorio, così come il rispetto e la garanzia dell’integrità, sicurezza e vita delle Basi di Appoggio dell’ EZLN ”

Attacchi all’economia comunitaria

Le donne di Moisés Gandhi, una zona composta da otto villaggi, affermano inoltre che i membri dell’ORCAO hanno frazionato e messo in vendita terreni recuperati dopo la rivolta zapatista del 1994.

“Nella comunità di San Felipe … hanno diviso la terra e hanno alzato recinzioni. Nella comunità di Progreso hanno sbarrato il terreno recuperato”, dicono le BAEZLN sulla espropriazione violenta fatta da membri armati dell’Orcao.

Oltre a questo, le famiglie hanno segnalato anche l’asportazione di materiali da costruzione e legno. “Mentre noi stiamo lottando organizzandoci e non abbiamo mai preso soldi dalle terre recuperate, (i membri dell’ORCAO) hanno abbattuto gli ocotales (n.d.t. si tratta di vasti boschi con una variegata vegetazione), stanno tagliando il legno. Sono qui con i loro proiettili, con le loro guardie, con le loro armi di grosso calibro. Non possiamo più andare alla milpa, ci stanno controllando”, denunciano la presenza di gruppi armati.

Secondo il Rapporto della Carovana di Solidarietà realizzato lo scorso Ottobre, “all’inizio del 2020, alle aggressioni si sono aggiunti i furti di raccolti, la distruzione di recinzioni e palizzate, la presenza di persone armate con radio trasmittenti e la presenza di guardie, minacce verbali e scritte, intimidazioni e attacchi fisici contro BAEZLN, l’incendio e la fumigazione di raccolti, rapine nei negozi nelle comunità autonome, incendio di alveari, distruzione della Scuola Secondaria Autonoma e spari di armi da fuoco “, tutti gli attacchi si sono verificati nel ejido di Moisés Gandhi.


Allo stesso tempo, nella comunità di Nuevo San Gregorio, terreno recuperato di 155 ettari nella stesso Municipio Autonomo, attraverso azioni intimidatorie, i membri dell’ORCAO impediscono alle famiglie zapatiste di entrare negli spazi dove svolgono i lavori collettivi per rinforzare l’economia della comunità.

“Noi vogliamo lavorare e non possiamo farlo”, affermano le BAEZLN di Nuevo San Gregorio sull’impossibilità di trasferirsi nella terra dove si coltiva il grano.

Da Novembre 2019 queste terre sono state recintate dal gruppo armato ORCAO nell’ambito delle molestie che hanno impedito anche alle famiglie di riprendere il lavoro in una cooperativa di pescicoltura, oltre che l’accesso ai terreni per piantare ortaggi.

Controinsurrezione in aumento

Gli attacchi all’economia autonoma privano le persone dei loro elementi basilari per la vita: acqua e cibo. “L’anno scorso non abbiamo potuto raccogliere tutto, solo il 50% è stato raccolto. Da maggio a novembre abbiamo speso 80mila pesos solo per comprare mais e fagioli”, hanno riferito con rammarico le famiglie di Nuevo San Gregorio per le azioni di controinsurrezione, in una situazione aggravata dalla pandemia di Covid-19.

Per questo, nell’ultimo anno, le BAEZLN hanno sofferto della mancanza di cibo e dell’impossibilità di proseguire lavori come la semina per autoconsumo, la vendita di ricami e mecapales (n.d.t. contenitori per il trasporto della legna e di altre merci), oltre alla produzione di mobili e carpenteria.

Denunciano che “hanno circondato tutto, i nostri animali, i nostri lavoratori, l’acqua. Sì, stiamo soffrendo molto”, condividono testimoni della comunità di Nuevo San Gregorio, mentre mostrano le terre da seminare che sono state violentemente espropriate dai membri dell’ORCAO.

https://archive.org/details/video-4-campana

Le testimonianze raccolte sottolineano le aggressioni avvenute il 22 Agosto 2020, quando membri armati dell’ORCAO hanno bruciato i magazzini di caffè, il comedor “Compañera Lucha”, oltre a saccheggiare il negozio collettivo Centro de Comercio Nuevo Amanecer del Arcoiris, rubando contanti e distruggendo il posto.


Secondo il rapporto della Carovana Solidale, tra i danni di quel giorno e gli attacchi successi in altri occasioni, il totale dei danni contro le comunità BAEZLN ammontano a quasi un milione e mezzo di pesos messicani.

Il negozio era collettivo e ci affidiamo a quello per le commissioni e fino ad oggi non abbiamo più niente, non ci hanno lasciato niente. Hanno preso tutto, tutti i soldi e il compagno che era di turno nella vendita lo hanno attaccato, rinchiuso e trattenuto per una notte facendogli patire freddo e fame”

Mujeres Base de Apoyo de Moisés Ghandi


Continuare la lotta

“Non ci arrendiamo. Per andare avanti abbiamo iniziato a organizzare il nostro lavoro collettivo. I compagni giovani hanno iniziato con i mecapal, anche se non avevano esperienza, ma è così che stanno imparando. E con i compagni che fanno la falegnameria, anche se hanno solo un martello, una sega e una pialla stiamo andando avanti. Noi compagne abbiamo iniziato a ricamare in modo da avere un po’ di soldi perché non abbiamo niente. Abbiamo bambini, chiedono le loro cose e non abbiamo soldi, ecco perché iniziamo da quello”, hanno detto le donne delle BAEZLN nella comunità di Nuevo San Gregorio.

Inoltre, le Basi di Appoggio dell’EZLN dicono che mentre queste terre vengono sottratte, il gruppo paramilitare le mette immediatamente in vendita. “Loro (l’ORCAO) hanno già dato un prezzo al terreno, che è di 100.000 pesos per ettaro, ma non daremo loro il piacere di fare quello che vogliono. Lo difenderemo, a qualunque costo. Non siamo proprietari, siamo guardiani dell’organizzazione. Quello che possiede questa terra è l’organizzazione. Colui che possiede questa terra sono coloro che hanno dato il loro sangue. Non è solo nostra è di tutti”.

L’obiettivo della difesa di questo territorio liberato, sostengono i campesinos, “E’ vivere, non fare affari. La terra è per nutrirci, non per fare affari. Gli alberi servono per l’ossigeno, non per gli affari. Vogliamo che si fermino”, hanno chiesto i membri delle BAEZLN di Nuevo San Gregorio durante il giro con la Carovana Solidale che si è tenuto nel 2020.

Secondo le autorità della Junta de Buen Gobierno (JBG) Nuevo Amanecer en Resistencia y Rebeldia por la Vida y la Humanidad con sede a Patria Nueva, i membri di ORCAO “Non sono più fratelli. Fratelli è quando si capiscono, quando si ascoltano, quando sentono il dolore, la sofferenza dei bambini, delle donne incinte”, riferiscono nei video della Carovana Solidale, perché anche se le BAEZLN ha richiesto un dialogo, i membri dell’ORCAO continuano gli attacchi armati.

Le persone sono tristi ma anche arrabbiate e preoccupate. “Il coraggio e la rabbia che hanno i miei compagni ce l’ho anche io. Abbiamo detto: se toccano uno di noi, ci toccano tutti, perché loro (l’ORCAO) tengono (i terreni) solo per vendere, ma noi ce ne occupiamo, vogliamo proteggerlo. Perché non stiamo solo pensando a qualcosa per noi stessi come popoli zapatisti, stiamo guardando oltre. Stiamo difendendo la Madre Terra perché da lì mangiamo, lì viviamo e lì continueremo a resistere”, sottolinea una donna che è membro della JBG del Caracol numero 10 Floreciendo la Semilla Rebelde.

Per guardare la serie di video completi con le testimonianze delle famiglie zapatiste cliccare ⇒ qui.

Fonte: https://avispa.org/chiapas-continua-violencia-contra-comunidades-zapatistas/

Traduzione Cooperazione Rebelde Napolihttp://yabastanapoli.blogspot.com/2021/01/messico-chiapas-continue-violenze.html

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LAPAZ

 https://www.facebook.com/LiberaAssembleaPensandoPraticando

Assemblea nazionale italiana di coordinamento per il viaggio europeo Zapatisti e Zapatiste

Nell’ottobre 2020 l’EZLN ha annunciato che una delegazione zapatista viaggerà nei 5 continenti nel 2021, partendo dall’Europa.

Appena saputa la notizia è stata convocata il 14 ottobre 2020 una prima assemblea pubblica molto partecipata dal Nord al Sud per aprire la discussione ed avviare, in maniera plurale e condivisa, un percorso politico e di accoglienza degna per i compagni e le compagne zapatiste in Italia in collegamento con le altre realtà europee, a partire dalla rete di Europa Zapatista.
L’assemblea dopo il primo incontro si è ritrovata il 29 ottobre, il 25 novembre e il 22 dicembre per condividere le informazioni raccolte a livello europeo, avviare la costruzione di una proposta collettiva per la visita degli zapatisti in Italia e iniziare a pensare iniziative comuni per raccogliere fondi e far fronte alle varie necessità. Contemporaneamente si sono creati degli spazi comuni nelle diverse regioni/territori italiani, come nel Nord Ovest, a Roma ed altri.
E’ stata aperta una mail comune per ricevere/inviare le comunicazioni che è viaggio2021zap@gmail.com, si è creato un google drive condiviso per raccogliere informazioni e proposte, ad ora sono circa 240 le mail a cui vengono inviate informazioni è si è pensato di creare la pagina FB di LAPAZ.
Negli incontri si è sottolineato l’importanza di allargare la partecipazione per creare uno spazio comune sempre più ampio, in cui organizzarsi insieme.
L’assemblea è aperta alla partecipazione di singoli, collettivi, associazioni, reti e a quanti vogliono impegnarsi nella costruzione di un cammino condiviso, al di là delle proprie differenze ed esperienze .
QUI Il Percorso dell’Assemblea al 7 gennaio 2021: Percorso dell’Assemblea al 7 gennaio 2021

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Foto José Carlos González

L’EZLN e L’Altra Europa

Raúl Romero*

Nel 1994, quando la caduta del socialismo e la fine della storia si imponevano come narrazioni globali ufficiali e il capitalismo neoliberista era offerto come unica via, lo Ya Basta! lanciato dai popoli Maya organizzati nell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) risuonò forte in Messico, America Latina e in gran parte del mondo.

L’EZLN ha dotato un’intera generazione di motivazioni e speranze che presto hanno riarticolato la resistenza su scala globale. Militanti, artisti, intellettuali e persone provenienti da tutto il mondo si sono recati nella Selva Lacandon per contagiarsi della ribellione indigena. Lo slogan Un altro mondo è possibile è così diventato l’emblema di una nuova ondata di mobilitazioni mondiali. La lotta al neoliberismo e a difesa dell’umanità che si è diffusa in tutto il pianeta, ha trovato nello stato del Chiapas uno dei suoi principali bastioni.

A Seattle, a Genova, a Porto Alegre e in tanti altri luoghi dove era presente il movimento altromondista, l’emblema dello zapatismo si è palesato.

Da allora sono passati molti anni. Sono stati costruiti molti movimenti e processi di società alternative al capitalismo. Tra tutti continua a spiccare il progetto di emancipazione che gli zapatisti hanno costruito e che aggiornano costantemente.

Lo scorso ottobre, in mezzo alla pandemia, l’EZLN ha annunciato che “diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e altri del colore della nostra terra, usciranno per girare il mondo, camminare o navigare verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno perdono e pietà. Andremo a trovare ciò che ci rende uguali”.

Come prima destinazione, le delegazioni zapatiste si recheranno nell’Altra Europa, dove il popolo originario Sami, che storicamente alleva e pascola le renne, e il cui territorio è compreso tra Norvegia, Svezia, Finlandia e Russia, oggi resiste all’espropriazione e all’inquinamento generato da parchi eolici, miniere, estrazione di gas e petrolio, nonché la costruzione del Treno Artico, un treno ad alta velocità che rafforzerà il corridoio artico e gli scambi commerciali tra Europa e Asia.

In quell’Altra Europa, dove alcuni popoli e organizzazioni in Italia si sono articolati nel No-Tap per fronteggiare il Gasdotto Trans-Adriatico, un progetto studiato per portare il gas dall’Azerbaijan in Europa. Il No-Tap sottolinea che è nato per la tutela e la salvaguardia dei territori, nonché per l’autodeterminazione delle popolazioni che credono in un modello di sviluppo sostenibile, diverso da quello imposto, contro la speculazione finanziaria a danno delle comunità.

Anche in quell’Altra Europa, e più precisamente a Notre-Dame-des-Landes, in Francia, dove la popolazione ha difeso il proprio territorio contro il tentativo, da parte del governo, di costruire un aeroporto. Agricoltori, coltivatori e attivisti hanno combattuto una delle lotte più emblematiche dell’attuale storia della Francia, generando una delle più grandi occupazioni di terra nell’Europa di oggi e dichiarando il territorio Zona da Difendere (ZAD). Con approcci anticapitalisti e ambientalisti, la ZAD è diventata un punto di riferimento per altre lotte.

La lista è lunga: nel Regno Unito la resistenza contro la linea ferroviaria ad Alta Velocità HS2, in Grecia il movimento per l’occupare delle case, nello Stato spagnolo le lotte storiche del popolo basco, la Confederazione Generale del Lavoro e le organizzazioni anticapitaliste a Madrid.

In tutto il mondo osserviamo ciò che Adolfo Gilly e Rhina Roux hanno analizzato nel loro libro El tiempo del despojo: ciò che stiamo vivendo può quindi essere visto come una nuova fase storica dell’espropriazione universale dei beni comuni, la privatizzazione di ciò che apparteneva a tutti , la ridistribuzione mondiale della rendita della terra e del plusvalore generato dal lavoro vivo.

Il tempo della spoliazione sta avanzando e tutto indica che si intensificherà in Messico e nel mondo in risposta alla pandemia. È urgente articolare le lotte su scala globale, non solo per la sopravvivenza dell’umanità, ma per finire di costruire quel nuovo mondo di cui già si intravedono i segnali.

A 27 anni dalla sua apparizione pubblica, 27 anni di scommesse sulla vita, la scienza e le arti, l’EZLN oggi propone una nuova sfida: andare incontro agli altri e alle altre che, nel mondo, con resistenza e ribellione , costruiscono il nuovo mondo. Lo ha detto bene la bambina Esperanza Zapatista: questa è la nostra missione: essere seme che cerca altri semi.

* Sociólogo

Twitter: @RaúlRomero_mx

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2021/01/02/opinion/018a2pol  Foto: José Carlos González

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Prima Parte: UNA DICHIARAZIONE…

PER LA VITA.

1 gennaio dell’anno 2021

AI POPOLI DEL MONDO:

ALLE PERSONE CHE LOTTANO IN EUROPA:

SORELL@ E COMPAGN@:

Durante questi mesi, ci siamo mess@ in contatto con vari mezzi. Siamo donne, lesbiche, gay, bisessuali, transessuali, transgender, travestiti, transessuali, intersessuali, queer e altro ancora, uomini, gruppi, collettivi, associazioni, organizzazioni, movimenti sociali, popoli originali, associazioni di quartiere, comunità e un lungo eccetera che ci da identità.

Ci differenziano e ci allontanano terre, cieli, montagne, valli, steppe, giungle, deserti, oceani, laghi, fiumi, torrenti, lagune, razze, culture, lingue, storie, età, geografie, identità sessuali e non, radici, confini, forme di organizzazione, classi sociali, potere d’acquisto, prestigio sociale, fama, popolarità,followers,likes, valute, grado di scolarizzazione, modi di essere, mestieri, virtù, difetti, pro, contro, ma, eppure, rivalità, inimicizie, concezioni, argomentazioni, contro argomentazioni, dibattiti, controversie, denunce, accuse, disprezzo, fobìe, filiazioni, elogi, ripudi, fischi, applausi, divinità, demoni, dogmi, eresie, simpatie, antipatie, modi, e un lungo eccetera che ci rende diversi e, non di rado, contrari.

Solo poche cose ci uniscono:

Che facciamo nostri i dolori della terra: la violenza contro le donne; la persecuzione e il disprezzo delle diversità nelle loro identità affettive, emotive e sessuali; l’annientamento dell’infanzia; il genocidio contro i popoli originari; il razzismo; il militarismo; lo sfruttamento; il saccheggio; la distruzione della natura.

La consapevolezza che è un sistema il responsabile di questi dolori. Il carnefice è un sistema sfruttatore, patriarcale, piramidale, razzista, ladrone e criminale: il capitalismo.

La consapevolezza che non è possibile riformare questo sistema, educarlo, attenuarlo, limarlo, addomesticarlo, umanizzarlo.

L’impegno a lottare, ovunque e in ogni momento – ognuno nel proprio campo – contro questo sistema fino alla sua completa distruzione. La sopravvivenza dell’umanità dipende dalla distruzione del capitalismo. Non ci arrendiamo, non siamo in vendita e non claudichiamo.

La certezza che la lotta per l’umanità è mondiale. Così come la distruzione in corso non riconosce confini, nazionalità, bandiere, lingue, culture, razze; così la lotta per l’umanità è ovunque, sempre.

La convinzione che sono molti i mondi che vivono e lottano nel mondo. E che ogni pretesa di omogeneità ed egemonia attenta l’essenza dell’essere umano: la libertà. L’uguaglianza dell’umanità sta nel rispetto della differenza. Nella sua diversità sta la sua somiglianza.

La consapevolezza che non è la pretesa di imporre il nostro sguardo, i nostri passi, le nostre compagnie, i nostri percorsi e i nostri destini, che ci permetterà di avanzare, ma l’ascolto e lo sguardo dell’altro che, diverso e differente, ha la stessa vocazione di libertà e di giustizia.

Per queste coincidenze, e senza abbandonare le nostre convinzioni o cessare di essere ciò che siamo, abbiamo accordato:

Primo.- Realizzare incontri, dialoghi, scambi di idee, esperienze, analisi e valutazioni tra coloro che ci siamo impegnati, da concezioni diverse e in campi differenti, nella lotta per la vita. Poi, ognuno seguirà o meno la propria strada. Guardare e ascoltare l’altro può aiutarci o meno nel nostro viaggio. Ma conoscere il diverso fa parte anche della nostra lotta e del nostro impegno, della nostra umanità.

Secondo.- Che questi incontri e queste attività si realizzino nei cinque continenti. Che, per quanto riguarda il continente europeo, si concretizzeranno nei mesi di luglio, agosto, settembre e ottobre del 2021, con la partecipazione diretta di una delegazione messicana composta dal CNI-CIG, dal Fronte del Popolo in Difesa dell’Acqua e della Terra di Morelos, Puebla e Tlaxcala, e dall’EZLN. E, in date successive da specificare, sostenere secondo le nostre possibilità, affinché si svolgano in Asia, Africa, Oceania e America.

Terzo.- Invitare coloro che condividono le stesse preoccupazioni e lotte simili, tutte le persone oneste e tuttilos abajosche si ribellano e resistono nei molti angoli del mondo, a unirsi, a contribuire, a sostenere e a partecipare a questi incontri e attività; e a firmare e a fare propria questa dichiarazione PER LA VITA.

Da uno dei ponti di dignità che unisce i cinque continenti.

Noi.

Pianeta Terra.

1 gennaio 2021

Da differenti, disomogenei, diversi, dissimili, ineguali, lontani e diversi angoli del mondo (nell’arte, nella scienza e nella lotta di resistenza e di ribellione):

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per le donne, uomini, otroas, bambin@ e anzian@ dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale:

Comandante Don Pablo Contreras y Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico.

Se volete firmare questa Dichiarazione, inviate la vostra firma firmasporlavida@ezln.org.mx. Per favore nome completo del vostro gruppo, collettivo, organizzazione o quel che è, nella vostra lingua, e la vostra geografia. Le firme verranno aggiunte non appena arriveranno.

Testo originale con le oltre 1400 firme/adesioni dal mondo: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2021/01/02/prima-parte-una-dichiarazione-per-la-vita/

Italia
A.N.P.I. Associazione Nazionale Partigiani Italiani
ADL COBAS
All Reds Rugby Roma
Altro Modo Flegreo
Ambasciata dei Diritti delle Marche
Ambiente&Salute
Annestus – Agoa
ARCI Noerus
Ardita Due Mari
Assalti Frontali
Assemblea Antirazzista Antifascista Di Vicofaro
Associazione «Cultura È Libertà
Associazione ATTAC Italia
Associazione Casa dei Popoli
Associazione centro socio culturale ARARAT a Roma
Associazione Città Migrante
Associazione Culturale GIShub
Associazione di Promozione Sociale
Associazione Giuseppe moscati Parrocchia San Sabino
Associazione Jambo- commercio equo Fidenza Italia
Associazione Nova Koiné
Associazione politico-culturale Tempi Post Moderni
Associazione Senza Barriere Due
Associazione senza paura Genova
Associazione Taiapaia
Associazione Verso il Kurdistan e Rete Jin
Associazione Ya Basta Caminantes Padova
Associazione Ya Basta Moltitudia Roma
Associazione YA BASTA! ÊDÎ BESE Y Centri Sociali del Nordest
Associazione Ya Basta! Milano
Associazione YaBasta! – Casa Della Solidarietà Sabino Romano
Ateneo Libertario
Azione Antifascista Roma Est
Brigata Sanitaria Soccorso Rosso
Brustolin, Maryline
Buscemi, Marquito
C.S.A NEXT EMERSON
Cadtm (Comitato per annullamento debiti illegittimi)
Camera del Non Lavoro
Cantiere
Carovane Migranti
Casa Bettola
Casa dei Circoli, Culture e Popoli
Casa Dei Diritti Dei Popoli
Casa del Popolo Campobasso
Casa della Cooperazione
Casa delle Donne di Milano
Casa delle Donne Lucha y Siesta
Casa delle Donne-Nudm
Casa Madiba Network
Cattive Ragazze
Centro giovanile Batti il tuo tempo
Centro Sociale Anomalia
Centro sociale Anomalia Palermo
Centro sociale autogestito «INTIFADA» Empoli (FI)
Centro Sociale Autogestito Magazzino47
Centro Sociale CasaLoca
Centro Sociale Occupato Autogestito «Angelina Cartella»
Centro Sociale Tpo
Chichimeca
CIAC ( centro immigrazione, asilo, cooperazione internazionale)
Circolo «D. Lazzari» di Legnano
Circolo ANPI Renato Biagetti
Circolo ARCI Barbun KM0
Circolo Arci Nausicaa
Circolo Fratellanza Casnigo
Ciss-ong Palermo
Clown Army Roma
COBAS Confederazione dei Comitati di Base
COBAS Napoli
Collettiva Una volta per tutte
Collettivo 20ZLN
Collettivo Caffè Malatesta
Collettivo Femminista Lotto
Collettivo Lsoa Buridda
Collettivo Nodo Solidale
Collettivo Popolare «Ramona»
Collettivo redazionale della rivista LEF Libertè Egalitè Fraternit
Comitato Abitanti San Siro
COMITATO AMIG@S MST
Comitato antirazzista cobas Palermo
Comitato Chiapas «Maribel»
Comitato Città Vecchia Taranto
Comitato Jineoloji
Comitato Madri per Roma Città Aperta
Comitato No Muos – No sigonella
Comitato per non dimenticare Abba
Comitato Piazza Carlo Giuliani
Comitato Roma Xii Per La Costituzione
Comité por la Anulación de la Deuda del Tercer Mundo
Comune del Crocicchio
Comunità curda in Italia
Comunità di Resistenza Contadina Jerome Laronze
Comunita’ RNCD
Contadinazioni-fuori mercato
Cooperativa Sociale Le Rose Blu
Coordinamento Calabrese Acqua Pubblica «Bruno Arcuri»
Coordinamento dei Collettivi Studenteschi di Milano e Provincia
Coordinamento Nazionale No Triv
CORTOCIRCUITO Flegreo
Csa Astra/Lab Puzzle/cs Brancaleone
Csoa Ex Snia
Csoa Forte Prenestino
Csoa Gabrio
Csoa La Strada
Csoa la torre
Dinamopress
Dipende da Noi
Enoize
ESC Atelier Roma
Ex Caserma Liberata
Ex caserma occupata
Federazione Anarchica Siciliana
Foro Italiano de los Movimientos per el Agua
Forum Antirazzista Palermo
Fridays For Future
Fuorimercato, autogestione in movimento
GAS Caracol Franciacorta
Genuino Clandestino Firenze
Giovani Comunisti
«GIShub – Associazione Culturale GIScience for Humanity, Urban space and Biosphere
Gruppe B.A.S.T.A.
Gruppo Anarchico «Bakunin» – FAI Roma e Lazio
Gruppo Autonomo LiberidiAmare Autonomia Contropotere
Gruppo Consiliare Sinistra Progetto Comune – Comune di Firenze
Gruppo di Acquisto Solidale – Cosenza
Gruppo lampi
Il Cantiere delle Idee
IFE (Iniziativa Femminista Europea)
L’associazione G.L.R.
L’associazione politico culturale Resistenza Gallura
L38squat
La Milpa Orto Collettivo
La Panchovilla in Sabina
Laboratorio Andrea Ballarò
Laboratorio Aq16
Laboratorio Crash!
Laboratorio Decoloniale Femminista e Queer
Laboratorio di economia solidale ambientale e sociale
Laboratorio di Mutuo Soccorso ZERO81
Laboratorio Occupato Autogestito Acrobax – LOA Acrobax
Laboratorio Occupato Insurgencia
Laboratorio Sociale Alessandria
Le Mafalde
Liberation queer+ Messina
Lisangà, culture in movimento
Malanova
Manituana – Laboratorio Culturale Autogestito
Mediterranea Saving Humans
Mondeggi Bene Comune, Fattoria Senza Padroni
Movimento NO MUOS
No Border APS
Non Una Di Meno – Milano
Non Una Di Meno – Modena
Non Una di Meno Alessandria – Casa delle Donne Alessandria
Non Una Di Meno Lucca
Non Una di Meno Palermo
Non Una Di Meno Piacenza
Non Una di Meno Ravenna
Non Una Di Meno Reggio Emilia
Non Una di Meno Roma
Non Una di Meno Torino
Non Una di Meno Venezia
Nudm Palermo
Officina Rebelde Catania
Operai /e dello Spettacolo Associati/e
Osservatorio Repressione – Italia
Palermo Pride
Palermo ribelle
Partito della Rifondazione Comunista
Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea
Potere al Popolo!
Presidio salute solidale – Napoli
Progetto 20k
Quarticciolo Ribelle
R.A.S.P.A. Rete Autonoma Sibaritide e Pollino per l’Autotutela
Radio Sherwood
Re:common
Resistenza Casa Sportello Solidale
Rete Antifascista Roma Sud
Rete antirazzista catanese
Rete Antirazzista Catanese e Comitato NoMuos/NoSigonella
Rete Jin
Rete Kurdistan Italia
Rete Kurdistan Roma
ReteJin
Reti di Pace
Ri-Make Bene Comune
RiMaflow, fabbrica recuperata in autogestione
Scomodo
Scuola Popolare Piero Bruno
Signoretti, Claudia
Siracusa Ribelle
Spazio di Mutuo Soccorso
Spazio Libertario Pietro Gori
Spazio sociale 100celle aperte
TATAWELO
TeatrOfficina Refugio
Termoli Bene Comune- Rete della Sinistra
terraTERRA
Ufficio Informazione del Kurdistan in Italia
Unione Sindacale di Base
Verità e Giustizia per i Nuovi Desaparecidos
Vivèro- luogo di quartiere
Ya Basta Bologna
Ya Basta! Marcas Italia
Alberi, Urbani
Amicucci, Caterina
Berti, Stefano
Boffa, Daniela
Botti, Andrea
Bresciani, Marco
Capezza, Iolanda
Caudo, Melina
Celestini, Ascanio
Cesi, Alessandro
Clerici, Naila
Crabuzza, Claudia
De Luca, Mariano
Della Corte, Raffaele
Devastato, Giovanni
Fabiano, Pino
Garelli, Annamaria
Garibaldi, Casale
Indiano, Carlotta
Kaveh, Afshin
Luca Pandolfi
Medici, Sandro
Nicotra, Alfio
Piccinini, Massimiliano
Proia, Veronica
Rossa, Casetta
Sandroni, Doriana
Santoro, Alessandro
Saverio Calabresi, Francesco
Traverso, Enzo
Valcamonica, Adarosa
Vigo, Adele
Vitalesta, Enzo
Zanchetta, Aldo
Zanchetta, Brunella

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Seconda Parte: IL BAR

Calendario? L’attuale. Geografia? Ogni angolo del mondo.

Non sai davvero perché, ma stai camminando mano nella mano con una bambina. Sta per chiederle dove state andando, quando passate davanti a un grande bar. Una grande insegna luminosa, come il cartellone di un cinema, recita: “LA STORIA CON LE MAIUSCULE. Snack bar”, e più sotto “Non sono ammesse donne, bambini, indigeni, disoccupati, otroas, anzian@, anziani, migranti e altri rifiuti”. Una mano bianca ha aggiuntoIn this place, Black Lives does not matter”. E un’altra mano virile ha aggiunto: “Le donne possono entrare se si comportano da uomini”. Ai lati dell’edificio sono ammucchiati cadaveri di donne di tutte le età e, a giudicare dagli abiti laceri, di tutte le classi sociali. Ti fermi e, rassegnata, anche la bambina. Sbirciate attraverso la porta e vedete un casino di uomini e donne dai modi mascolini. Al bancone un maschio brandisce una mazza da baseball e minaccia a destra e a manca. La folla è chiaramente divisa: da una parte applaude mentre fischia dall’altra. Sono tutti ubriachi: lo sguardo torvo, la bava che scorre lungo il mento, il viso arrossato.

Ti si avvicina quello che dovrebbe essere il portiere o qualcosa del genere, e chiede:

Vuoi entrare? Puoi scegliere di stare dalla parte che vuoi. Vuoi applaudire o contestare? Indipendentemente da quale scegli, ti garantiamo che avrai molti follower, Like, pollici alzati e applausi. Diventerai famoso se ti verrà in mente qualcosa di ingegnoso, a favore o contro. E anche se non è molto intelligente, è sufficiente che faccia rumore. Inoltre, non importa se quello che urli è vero o falso, purché urli forte”.

Tu valuti l’offerta. Ti sembra attraente, soprattutto ora che non hai nemmeno un cane che ti segua.

È pericoloso?”, azzardi timidamente.

L’uomo alla catena ti tranquillizza: “Per niente, qui regna l’impunità. Guarda chi c’è ora. Dice qualche sciocchezza e alcuni lo applaudono e altri lo criticano con altre sciocchezze. Quando quella persona finisce il suo turno, ne verrà fuori un’altra. Te l’ho detto prima che non devi essere per forza intelligente. Inoltre, l’intelligenza qui è un ostacolo. Coraggio. Così ci si dimentica delle malattie, delle catastrofi, delle miserie, delle bugie del governo, del domani. Qui la realtà non ha molta importanza. Ciò che conta è la moda del momento”.

Tu: “E di cosa stanno discutendo?”.

Ah, di qualunque cosa. Entrambe le parti si impegnano in frivolezze e stupidità. Poiché la creatività non è roba loro. Tutto qui.”, risponde la guardia mentre sbircia, timoroso, in cima all’edificio.

La bambina segue la direzione del suo sguardo e, indicando la sommità dell’edificio, dove si può vedere un intero piano – tutto di vetro a specchio -, chiede:

E quelli lassù sono pro o contro?”.

Ah, no”, risponde l’uomo ed aggiunge sottovoce: “Quelli sono i padroni del bar. Non hanno bisogno di esprimersi per nulla, semplicemente si fa ciò che loro ordinano”.

Fuori, più in là per strada, si vede un gruppo di persone che, supponi, non avesse interesse ad entrare nel bar ed ha proseguito la sua strada. Un altro gruppo esce dal locale infastidito, mormorando: “è impossibile ragionare lì dentro” e “invece di ‘La Storia’, dovrebbe chiamarsi “’a Isteria’”. E si allontanano ridendo.

La bambina ti fissa. Tu sei indeciso…

E lei ti dice: “Puoi fermarti o proseguire. Solo sii responsabile della tua decisione. La libertà non è solo potere decidere che cosa fare e farlo. È anche essere responsabile di quello che si fa e della decisione presa”.

Ancora senza prendere una decisione, chiedi alla bambina: “E tu dove vai?”.

Nel mio villaggio”, dice la bambina, e allunga le manine all’orizzonte come per dire “nel mondo”.

Dalle montagne del sud-est messicano.

El SupGaleano.
È il Messico, è 2020, è dicembre, è mattina presto, fa freddo e la luna piena guarda, stupita, come le montagne si sollevano, si rimboccano un po’ le falde e lentamente, molto lentamente, cominciano a camminare.

-*-

Dal quaderno del Gatto-Cane: Esperanza racconta a Defensa un sogno che aveva fatto.

Quindi sto dormendo e sto sognando. Naturalmente so che sto sognando perché sto dormendo. Quindi è per questo che vedo che mi trovo molto lontano. Che ci sono uomini e donne e otroas molto altri. Cioè, non li conosco. Parlano una lingua che non capisco. E hanno molti colori e modi molto diversi. Fanno molto rumore. Cantano e ballano, parlano, discutono, piangono, ridono. E non so niente di quello che vedo. Ci sono edifici grandi e piccoli. Ci sono alberi e piante come quelli di qui, ma diversi. Cibo molto diverso. Quindi è tutto molto strano. Ma la cosa più strana è che, non so né perché né come, ma so che sono a casa”.

Esperanza tace. Defensa Zapatista finisce di prendere appunti nel suo quaderno, la fissa e, dopo pochi secondi, le chiede:

Sai nuotare?”.

In fede.

Guau-Miau

Traduzione “Maribel” – Bergamo Testo originale:http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/29/segunda-parte-la-cantina/

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TERZA PARTE: LA MISSIONE

Di come Difesa Zapatista cerca di spiegare a Speranza quale sia la missione dello zapatismo e altri felici ragionamenti

«Bene, ti spiegherò qualcosa di molto importante. Ma non puoi prendere appunti, lo devi tenere a mente. Perché il quaderno lo lasci buttato da qualsiasi parte, mentre la testa te la devi tenere addosso tutto il tempo».

Difesa Zapatista cammina da una parte all’altra, come dice facesse la buonanima quando spiegava qualcosa di molto importante. Speranza è seduta su un tronco e, previdente, ha collocato un nylon sul legno umido fiorito di muschio, funghi e rametti secchi.

«Per caso stiamo per vedere dove arriveremo con la lotta?’», dà il via Difesa Zapatista indicando con le sue manine un punto vago.

Speranza sta pensando una risposta, ma è evidente che Difesa ha fatto una domanda retorica, cioè di cui non le interessa la risposta, bensì le domande che conseguono alla prima questione. A proprio parere, Difesa Zapatista sta seguendo il metodo scientifico..

«La problema non è quindi arrivare, bensì crearsi un cammino. Vale a dire che se non c’è un cammino, allora bisogna farlo, perché altrimenti come si fa», la bambina brandisce un machete che chissà da dove è uscito, ma di sicuro in qualche capanna lo stanno cercando.

«Quindi, la problema è come cambiato, e la primissima cosa è il cammino. Perché se non c’è il cammino dove vuoi andare, perciò diventa una preoccupazione inutile. Quindi che faremo se non c’è cammino per dove andiamo?»

Speranza risponde con soddisfazione: «Aspettiamo che smetta di piovere per non bagnarci quando faremo il cammino».

Difesa si passa una mano tra i capelli -e rovina la pettinatura che alla sua mammina è costato mezz’ora sistemare- e grida:«No!»

Speranza dubita e azzarda: «Lo so: diciamo una bugia a Pedrito che ci sono caramelle lì dove andiamo, ma non c’è il cammino e che veda chi fa per primo un suo cammino, e si riempie le tasche di caramelle».

Difesa reagisce: «Chiederemo forse aiuto ai fottuti uomini? Maimente. Noi lo faremo da donne che siamo.»

«Certo», dice Speranza, «e magari c’è il cioccolato.»

Difesa prosegue: «Ma che si fa se ci perdiamo nell’aprirci il cammino?»

Speranza risponde: «Gridiamo chiedendo aiuto? Spariamo dei razzetti o suoniamo la conchiglia perché ci sentano dal villaggio e vengano a liberarci?»

Difesa capisce che Speranza sta prendendo la faccenda alla lettera e, inoltre, sta ottenendo il consenso del resto del pubblico. Per esempio, il gatto-cane ora si lecca i baffi immaginando la pentola piena di cioccolato alla fine dell’arcobaleno, e il cavallo monco sospetta che forse ci sia anche del mais col sale e la pentola traboccante di bottiglie di plastica. La Calamità fa le prove della coreografia che le ha disegnato il SupGaleano, chiamata «pas de chocolat«, che consiste nel bilanciarsi a mo’ di rinoceronte sulla pentola.

Elías Contreras, dal canto suo, fi dalla prima domanda ha tirato fuori la sua lima e affila il suo machete a doppio taglio.

Più in là, un essere indefinito, straordinariamente simile a uno scarafaggio, porta uno striscione dove si legge «Chiamatemi Ismaele«, discute con il Vecchio Antonio i vantaggi dell’immobilità sulla terraferma, e argomenta così: «Eh sì, caro il mio Queequeg, non c’è balena bianca che si avvicini a porto«. L’anziano indigeno e zapatista, maestro involontario della generazione che si sollevò in armi nel 1994, si fa una sigaretta con la macchinetta e ascolta attento le argomentazioni della bestiola.

La bambina Difesa Zapatista si rende conto che, come le scienze e le arti, si trova nella difficile condizione di essere incompresa: come un pas de deux che attende l’abbraccio per le piroette e il sostegno per un porté; come un film rinchiuso in una pizza in attesa di uno sguardo che lo liberi; come un porto senza imbarcazione; come una cumbia che attende le anche che le diano senso e scopo; come un Cigala concavo senza convesso; come Luz Casal andando all’incontro del fiore promesso, come Louis Lingg senza le bombe del punk; come Panchito Varona cercando, dietro un accordo, un aprile rubato* (*riferimenti al flamenco di Diego El Cigala «Cóncavo y convexo», all’album di Luz Casal «Como la flor prometida», alla band Louis Lling and the Bombs, alla canzone «¿Quién me ha robado el mes de abril?» di Joaquín Sabina, di cui Pancho Varona era il chitarrista, N.d.T); come uno ska senza pogo; come un gelato alla nocciola senza un Sup che gli faccia onore.

Ma Difesa è difesa, ma è anche zapatista, così che non ce n’è per nessuno: resistenza e ribellione, e con lo sguardo cerca il soccorso del Vecchio Antonio.

«Ma le tormente non rispettano nessuno: è sempre lo stesso per mare e per terra, nel cielo e al suolo. Fino alle viscere della terra si contorcono e soffrono umani, piante e animali. Non hanno importanza il colore, la dimensione, il modo», dice con voce spenta il Vecchio Antonio.

Tutti mantengono un silenzio a metà tra rispetto e terrore.

Continua il vecchio Antonio: «Le donne e gli uomini fanno in modo di salvaguardarsi da venti, piogge e suoli rotti dalla siccità, e aspettano che passi per vedere cosa resta loro e cosa no. Ma la terra fa di più, perché si prepara al dopo, per quel che segue. E nel suo tutelarsi comincia già a cambiare. La madre terra non aspetta che finisca la tormenta per vedere il da farsi, ma inizia fin da prima a costruire. Perciò i più saggi dicono che il domani non arriva così di punto in bianco e compare all’improvviso, bensì sta già appostato tra le ombre, e chi sa guardare lo trova tra le crepe della notte. Per questo gli uomini e donne di mais, quando seminano, sognano la tortilla, l’atole, il pozol, il tamal e il marquesote. Non ce ne sono ancora, ma sanno che ci saranno e ciò guida il loro lavoro. Guardano al loro campo di lavoro e guardano il frutto lì contenuto ancor prima che il seme tocchi il suolo.

Gli uomini e donne di mais, quando guardano questo mondo e i suoi dolori, guardano anche il mondo che bisognerà edificare, e si creano un cammino. Hanno tre sguardi: uno per il prima, uno per l’adesso, uno per quel che viene. Così sanno che seminano un tesoro: lo sguardo.»

Difesa assente entusiasta. Capisce che il Vecchio Antonio comprende l’argomento che non riesce a spiegare. Due generazioni distanti nel calendario e nella geografia tendono un ponte che va e viene… come i cammini.

«Corretto!», quasi grida la bambina e guarda con affetto l’anziano.

E lei prosegue: «Se già sappiamo dove andiamo, vuol dire che già sappiamo dove non vogliamo andare. Perciò a ogni passo ci allontaniamo da un lato e ci avviciniamo a un altro. Non siamo ancora arrivati, ma il cammino che facciamo ci traccia già quella destinazione. Se vogliamo mangiare tamales, non ci metteremo a seminare zucche».

L’auditorio intero fa un comprensibile gesto di schifo, immaginando un’orribile zuppa di zucca.

«Sopportiamo la tormenta con ciò che sappiamo, ma stiamo già preparando quel che segue. E lo prepariamo una volta per tutte. Per questo bisogna portare la parola lontano. Non importa se chi l’ha detta non ci sarà, quel che importa è che il seme giunga in terra fertile e che, dove già c’è, che si sviluppi. Cioè dare sostegno. Questa è la nostra missione: essere seme che cerca altri semi», sentenzia Difesa Zapatista, e dirigendosi a Speranza, chiede: «Hai capito?»

Speranza si alza in piedi e, con tutta la solennità dei suoi nove anni, risponde seria:

«Sì, certo che ho capito che alla fine moriremo miserabilmente.»

E quasi immediatamente aggiunge: «Ma faremo in modo che ne valga la pena.»

Tutti applaudono.

Per rafforzare il «che valga la pena» di Speranza, il Vecchio Antonio tira fuori dalla sua borsetta una scatola dei cioccolatini che chiamano «baci».

Il gatto-cane se ne fa una bella quantità con una zampata e il cavallo monco preferisce continuare con la sua bottiglia di plastica.

Elías Contreras, comissione di indagine dell’ezln, ripete a bassa voce: «Faremo in modo che ne valga la pena«, e va con il cuore e il pensiero al fratello Samir Flores e a chi affronta, solo con la propria dignità, il fragoroso ladrone dell’acqua e della vita che si nasconde dietro le armi del capoccia, colui che nasconde dietro al suo sproloquio la cieca obbedienza che deve al Capo: primo il denaro, poi il denaro, infine il denaro. Mai giustizia, libertà nemmeno, vita giammai.

L’insettino comincia a discutere su come una tavoletta di cioccolato lo abbia salvato dalla morte nella steppa siberiana mentre andava, venendo dalle terre del Sami –dove intonò lo Yoik-, al territorio dei Selkup a rendere gli onori al Cedro, l’albero della vita. «Andai ad apprendere, ché a questo servono i viaggi. Perché ci sono resistenze e ribellioni che non sono meno importanti ed eroiche per il fatto di essere appartate nel calendario e nella geografia», dice, mentre, con le sue molteplici zampette, libera il cioccolato dalla sua prigione di carta d’alluminio brillante, applaude e se ne fa fuori una porzione, tutto allo stesso tempo.

Da parte sua, Calamità ha capito bene il fatto che si debba pensare a quel che segue, e con il cioccolato impiastricciato nelle manine dichiara entusiasmata: «Giocheremo ai pop-corn!»

-*-

Dal Centro di Addestramento Marittimo-Terrestre Zapatista

Il SupGaleano impartendo la lezione «Lo Sbocco Internazionalista»

Messico, Dicembre 2020

Dal quaderno di appunti del gatto-cane: il tesoro è l’altro

«Al terminare, mi guardò lentamente con il suo unico occhio e mi disse: «La aspettavo Don Durito. Sappia che sono l’ultimo dei veri pirati che viva nel mondo. E dico dei ‘veri’ perché adesso c’è un’infinità di ‘pirati’ che rubano, uccidono, distruggono e saccheggiano dai centri finanziari e dai grandi palazzi governativi, senza toccare altra acqua che quella della vasca. Ecco qui la sua missione (mi consegna un vecchio incartamento). Trovi lei il tesoro e lo metta al sicuro. Ora mi scusi, ma dovrei morire». E al dire ciò, lasciò cadere la testa sul tavolo. Sì, era morto. Il pappagallo si alzò in volo e uscì da una finestra dicendo: ‘Largo all’esiliato di Mitilene, largo al figlio bastardo di Lesbo, largo all’orgoglio del mar Egeo! Aprite le vostre nove porte, temuto inferno, perché è lì che riposerà il grande Barbarossa. Ha trovato chi ne prosegua i passi e ora dorme chi ha fatto dell’oceano una lacrima soltanto. Con Scudo Nero navigherà ora l’orgoglio dei Pirati veri’. Sotto la finestra si stagliava il porto svedese di Göteborg e in lontananza una nyckelharpa gemeva…»

Don Durito de La Lacandona. Ottobre 1999

Sezione: Tre deliri, due gruppi e un ammutinato

Se seguiamo la rotta dell’Ammiraglio Maxo, credo che arriveremo più in fretta se cammineremo per lo stretto di Bering

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/22/tercera-parte-la-mision/

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

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CONVOCAZIONE DELLA

QUINTA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO

I popoli, le nazioni, le tribù e i quartieri originari che siamo il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, stanno facendo fronte alla malattia della nostra madre terra, espressa in una grave pandemia che ha colpito la vita e l’economia delle nostre comunità e del mondo intero; ci sentiamo nella voce dei popoli originari che gridano dalle geografie dove lottano e resistono contro la guerra capitalista che contende i territori indigeni e rurali con politiche estrattive aggressive in tutta la geografia nazionale; megaprogetti di morte che chiamano Corridoio Interoceanico negli stati di Oaxaca e Veracruz, Progetto Integrale Morelos negli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala, Tren Maya negli stati del sudest messicano, o Aeroporto Internazionale di Città del Messico nel centro del paese; l’attuazione di una serie di politiche e meccanismi per la continuazione del “libero scambio” subordinato a Stati Uniti e Canada e per contenere la migrazione; prevenire o indebolire l’organizzazione e la resistenza dei nostri popoli, soppiantando le autorità tradizionali e realizzando finte consultazioni indigene.

Si tratta di politiche e megaprogetti promossi dal governo neoliberista della Quarta Trasformazione al servizio dei grandi capitali mondiali e contro l’organizzazione autonoma dei nostri popoli;

tutto quanto sopra con il sostegno alla militarizzazione, l’implementazione della Guardia Nazionale e la militarizzazione dell’intero territorio nazionale, la complicità dei cartelli criminali di Stato, la creazione di programmi che cercano di rompere l’organizzazione delle comunità come Sembrando Vida e l’approvazione di leggi favorevoli a grandi consorzi transnazionali come la legge federale per la Promozione e la Protezione del Mais Autoctono.

El CNI e il CIG – con le comunità zapatiste – essendo un congresso quando siamo insieme e una rete quando siamo separati, siamo questa parola collettiva che non solo facciamo nostra, ma che tessiamo in essa e con essa, nella determinazione che la nostra resistenza crescerà tanto grande quanto la minaccia capitalista contro la vita.

Perché per i nostri popoli non c’è spazio per arrendersi, vendersi o cedere, quando è la madre terra e la vita di cui governi, aziende, militari e cartelli della droga vogliono fare bottino, e

CONSIDERANDO CHE:

1.- Si intensificano la repressione, le minacce, la formazione di gruppi di scontro e la criminalizzazione contro le comunità che resistono al Progetto Integrale Morelos, che il malgoverno federale ha deciso di imporre illegalmente e con l’uso del suo gruppo di scontro armato, che chiama Guardia Nazionale; e che, tuttavia, l’eroica eredità di Samir Flores Soberanes è mantenuta viva dalle sorelle e fratelli del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua di Morelos, Puebla e Tlaxcala che non si arrendono, non si vendono e non cedono;

2.- Si intensifica la guerra contro le comunità autonome e indigene del CNI nello stato del Chiapas, mentre i governi garantiscono l’impunità ai gruppi paramilitari che, da loro finanziati, attaccano giorno e notte villaggi e comunità sorelle;

3.- Il malgoverno federale insieme alle sue forze armate, nella sua palese alleanza con gli oscuri interessi economici che scommettono di appropriarsi del territorio dei popoli indigeni e contadini, sta seminando paura e terrore, violando cinicamente leggi, sentenze e sospensioni giudiziarie per imporre i propri megaprogetti, che cedono il territorio del Paese a interessi economici transnazionali;

4.- Crescono resistenza e ribellione nella geografia dei popoli indigeni, perché crescono anche l’espropriazione e la repressione violenta da parte del malgoverno a tutti i livelli, in complicità con gruppi paramilitari e narco-paramilitari, che rendono possibili i loro progetti estrattivi e inquinanti, e anche nelle grandi città, la nostra gente resiste, come dimostra la comunità Otomi residente a Città del Messico;

5.- Dalle lotte che siamo, noi popoli originari vediamo che nel mondo si accendono speranze in questa guerra che è la stessa, e da lontane geografie vediamo lo stesso, cioè la lotta per la vita che si trasforma in una lingua nella quale ci rispecchiamo gli uni con agli altri;

6.- C’è l’annuncio zapatista di iniziare un viaggio planetario nel mese di aprile 2021, iniziando dal continente europeo, al quale è invitato il CNI con la partecipazione di una delegazione per accompagnare quel cammino e portare la nostra parola collettiva;

CONVOCHIAMO

Le/I delegat@ e consiglier@ del CNI- CIG alla

QUINTA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE

INDIGENO E IL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

Che si terrà a:

LA QUINTA PIEDRA, TERRITORIO RECUPERATO DAL POPOLO

NAHUA DELL’EJIDO TEPOZTLÁN, MORELOS,

I GIORNI 23-24 GENNAIO 2021

Con il seguente programma:

23 gennaio:

Inaugurazione

Tavolo di lavoro:

  • Bilancio espropriazione e guerra capitalista contro i nostri popoli.
  • Proposta per la partecipazione di una delegazione CNI-CIG al viaggio planetario zapatista.

24 gennaio:

Plenaria aperta:

  • Conclusioni del tavolo di lavoro
  • Accordi e risoluzioni
  • Comunicato pubblico
  • Chiusura

NOTA 1: Considerando le attuali condizioni sanitarie si invita a nominare un@ o due delegat@ per villaggio, comunità od organizzazione indigena, allo scopo di realizzare un’assemblea ampiamente rappresentativa ma meno numerosa. Le/I partecipanti dovranno indossare le mascherine e mantenere la distanza di sicurezza, lavarsi di frequente mani e viso, e così pure coloro che raggiungeranno il luogo della riunione.

NOTA 2: Coloro che non sono delegat@ o consiglier@ del CNI/CIG possono entrare in assemblea solo su espresso invito della Commissione di Coordinamento e Controllo.

Distintamente.

Dicembre 2020

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/12/09/convocatoria-a-la-quinta-asamblea-nacional-del-congreso-nacional-indigena/

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PER LA VITA E CONTRO IL DENARO.

IL CNI-CIG E L’EZLN INVITA ALLA SOLIDARIETÀ CON IL FRENTE DE PUEBLOS EN DEFENSA DE LA TIERRA Y EL AGUA DI MORELOS, PUEBLA E TLAXCALA.

Novembre 2020

Al popolo del Messico
Ai popoli del mondo
Alla Sexta Nazionale e Internazionale
Ai media

Il Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e l’EZLN denunciano il vile sgombero dei compagni dal campo di resistenza di San Pedro Apatlaco, Morelos, perpetrato dalla Guardia Nazionale la mattina del 23 novembre, per riprendere illegalmente la costruzione della condotta che trasporta l’acqua dal fiume Cuautla alla centrale termoelettrica di Huexca.

Con quale cinismo il governo neoliberista che pretende di comandare in questo paese obbedisce ai suoi padroni, che sono il grande capitale, con quale cinismo le forze armate, agli ordini del caposquadra, violano le città, per consegnare l’acqua del fiume Cuautla, rubata alle cittadine contadine di Ayala, alle aziende che beneficiano del Proyecto Integral Morelos, come Elecnor e Enagasa, concessionarie del gasdotto; Bonatti e Abengoa costruttrici del gasdotto e della centrale termoelettrica di Huexca; e quelle che trarranno vantaggio dal consumo di gas, come Saint Gobain, Nissan, Burlington, Continental e Gas Natural del Noreste.

Con il PIM, le forze armate e il governo neoliberista, con sorvoli militari, avanzano nella repressione e nell’imposizione delle infrastrutture energetiche, sostenute dalla distruzione ed espropriazione del territorio dei popoli originari, per rendere possibile, sul sangue della nostra gente, come il compagno Samir Flores Soberanes, lo sfruttamento della natura, in modo che loro, i boss del capitale transnazionale, distruggano le colline con le loro concessioni minerarie e si approprino dell’acqua con i corridoi industriali di Cuautla, Yecapixtla, Cuernavaca e l’intera regione, negli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala. Con quale cinismo e impunità il caposquadra, che dice di comandare dal governo federale, ordina di calpestare il presunto stato di diritto, violando 8 sospensioni giudiziarie sui lavori dell’acquedotto, che intende rubare l’acqua affinché venga contaminata nella centrale termoelettrica di Huexca. E altre due sospensioni contro il gasdotto alle pendici del sacro vulcano Popocatepetl, e la contaminazione del fiume Cuautla, nell’ambito del Proyecto Integral Morelos.

Per tutto quanto sopra e di fronte alla crescente tensione e violazione dello stato di diritto, riteniamo il malgoverno federale e il malgoverno dello stato di Morelos responsabili di qualsiasi repressione o attacco contro i compagni che combattono e resistono a questo megaprogetto di morte. Chiediamo in particolare solidarietà con il Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua di Morelos, Puebla e Tlaxcala.

Distintamente.
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più un Messico Senza di Noi
Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale
Messico, Novembre 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/11/25/por-la-vida-y-contra-el-dinero-el-cni-cig-y-el-ezln-llaman-a-la-solidaridad-con-el-frente-de-pueblos-en-defensa-de-la-tierra-y-el-agua-de-morelos-puebla-y-tlaxcala/

 

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Foto: Daliri Oropeza

12 novembre 2020. Dopo le mobilitazioni di ieri, il compagno Felix Lopez Hernandez è stato liberato.

GLI ZAPATISTI DENUNCIANO IL SEQUESTRO DI UNA BASE DI APPOGGIO PER MANO DEI PARAMILITARI DELLA ORCAO

DENUNCIA DELLA GIUNTA DI BUON GOVERNO ZAPATISTA “NUEVO AMANECER EN RESISTENCIA Y REBELDÍA POR LA VIDA Y LA HUMANIDAD

Caracol Patria Nueva, Chiapas Zapatista.

10 NOVEMBRE 2020

ALLE ORGANIZZAZIONI A DIFESA DEI DIRITTI UMANI:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

ALLE RETI IN RESISTENZA E RIBELLIONE:

OGGI DENUNCIAMO IL SEQUESTRO E LA TORTURA DI UN COMPAGNO BASE DI APPOGGIO ZAPATISTA DELLA COMUNITA’ DI SAN ISIDRO, ANNESSA A MOISES GANDHI, DA PARTE DELL’ORGANIZZAZIONE PARAMILITARE CHIAMATA ORCAO, AVVENUTI IL GIORNO 8 NOVEMBRE 2020.

DA PIÙ DI UN ANNO GLI ORCAISTI ATTACCANO E DANNEGGIANO LE NOSTRE CASE. DI QUESTE AZIONI VIOLENTE DI QUESTI PARAMILITARI SONO TESTIMONI DIVERSE ORGANIZZAZIONI CHE DIFENDONO I DIRITTI UMANI, COME IL FRAYBA, CORECO, SERAPAZ ED ALTRE.

GIORNO E NOTTE QUESTI ORCAISTI ATTACCANO CON SPARI D’ARMA DA FUOCO LA COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI E IL MALGOVERNO LO SA E NIENTE FA PER CONTROLLARE I SUOI SGHERRI. AL CONTRARIO, LI PROTEGGE E LI SOSTIENE.

TUTTE QUESTE AGGRESSIONI SONO A CONOSCENZA DEI TRE LIVELLI DI MALGOVERNO. LO SANNO I LORO DIPENDENTI COME JOSEFINA BRAVO E RAMÓN MARTÍNEZ, E QUESTI SERVI DEI MALGOVERNI RIBALTANO I FATTI DICENDO CHE I PROVOCATORI SONO GLI ZAPATISTI E LE VITTIME SONO I POVERI PARAMILITARI DELLA ORCAO.

SI È DETTO CHE INDAGHINO, MA SONO COMPLICI PERCHÉ QUESTO GOVERNO È COME I PRECEDENTI. NEI FATTI NON CAMBIA NIENTE E SONO GLI STESSI ATTACCHI. E SONO LE STESSE MENZOGNE DI PRIMA DI QUESTI FUNZIONARI BUGIARDI CHE SE NE STANNO SEDUTI NEI LORO UFFICI E INCASSANO I LORO RICCHI COMPENSI PROPRIO PER FARE NULLA.

L’ULTIMA DI QUESTA ALLEANZA CRIMINALE TRA I PARAMILITARI DELLA ORCAO E I GOCERNI FEDERALE DI LOPEZ OBRADOR, STATALE DI RUTILIO ESCANDON E MUNICIPALI DI OCOSINGO E ALTAMIRANO, E’ QUELLO CHE HANNO FATTO QUESTO 8 NOVEMBRE 2020. 

A POCHI METRI DA QUI, A CUXULJÁ, DOVE TEMPO FA HANNO BRUCIATO E SACCHEGGIATO LA NOSTRA COOPERATIVA, MA FINO AD OGGI IL MALGOVERNO NON HA FATTO NIENTE.

L’8 NOVEMBRE 2020 INTORNO ALLE 15:30, 20 PARAMILITARI DELLA ORCAO HANNO SEQUESTRATO E PICCHIATO IL NOSTRO COMPAGNO BASE DI APPOGGIO FELIX LOPEZ HERNANDEZ. GLI ORCAISTI L’HANNO PORTATO IN UN LUOGO SCONOSCIUTO E TENUTO LEGATO, RINCHIUSO, SENZA ACQUA E CIBO.

QUESTO È STATO DENUNCIATO IL GIORNO STESSO E IL MALGOVERNO INVECE DI RISOLVERE QUESTO CASO DI SEQUESTRO, GIUSTIFICA I PARAMILITARI DELLA ORCAO MENTENDO E DICENDO CHE SIAMO STATI NOI ZAPATISTI A PROVOCARE QUELLI DELLA ORCAO.

QUESTO È ASSOLUTAMENTE FALSO. IL COMPAGNO ERA DI RITORNO DA OCOSINGO E SI DIRIGEVA A CASA SUA CON LA SUA FAMIGLIA.

TRA I SEQUESTRATORI DELLA ORCAO SONO STATI IDENTIFICATI I SEGUENTI: Andrés Santis López, Nicolás Santis López, Santiago Sánchez López e Oscar Santis López della comunità di San Antonio.

INVECE DI PAGARE PER IL SUO SEQUESTRO, GLI ORCAISTI CHIEDONO, ORA CHE NON CI SONO INONDAZIONI, DI UTILIZZARE LE TUBATURE, E CHE SI RIPRISTINI L’ENERGIA ELETTRICA CHE GLI ORCAISTI STESSI HANNO TAGLIATO PER COLPIRE LA COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI DANNEGGIANDO COSÌ ALTRE COMUNITÀ.

IL NOSTRO COMPAGNO FÉLIX NON HA FATTO DEL MALE A NESSUNO, NON DEVE NIENTE A NESSUNO, NÉ RUBA O SPARA CONTRO PERSONE E VILLAGGI. IL NOSTRO COMPAGNO NON È NEPPURE DIO PER ORDINARE CHE SMETTA DI PIOVERE O PER DARE UN PO’ DI INTELLIGENZA A QUESTI VISCIDI ORCAISTI CHE HANNO TAGLIATO LA LUCE DANNEGIANDO ALTRE COMUNITÀ CHE NON SONO ZAPATISTE NÉ ORCAISTE, E ORA QUESTI ORCAISTI FANNO LE VITTIME PER COPRIRE IL LORO CRIMINE.

ABBIAMO INFORMAZIONI SECONDO LE QUALI GLI ORCAISTI DELLA COMUNITA DI SAN ANTONIO HANNO RICEVUTO SOLDI DAL MALGOVERNO CHE SI SUPPONE FOSSERO PER LA COSTRUZIONE DI UNA SCUOLA PRIMARIA, MA I 300MILA PESOS SONO STATI USATI PER COMPRARE ARMI DI GROSSO CALIBRO. QUESTO FA IL MALGOVERNO DELLA 4T, DICE DI COSTRUIRE SCUOLE MA IN REALTA FINANZIA L’ARMAMENTO DEI PARAMILITARI? È QUESTO IL SUO PIANO CONTRAINSURGENTE?

INFINE DICIAMO A DON LÓPEZ, A DON ESCANDÓN E AI LORO FUNZIONARI, CHE LI RITENIAMO RESPONSABILI DI QUELLO CHE POTREBBE SUCCEDERE AGLI UOMINI, DONNE, BAMBINI E ANZIANI ZAPATISTI DELLE COMUNITÀ DI MOISÉS GANDHI.

IL LORO DOLORE, IL LORO SANGUE, LE LORO SOFFERENZE SONO COLPA VOSTRA, E COSÌ QUELLO CHE POTREBBE SUCCEDERE.

IL COMPAGNO FÉLIX DEVE ESSERE LIBERATO IMMEDIATAMENTE, E DEVONO ESSERE ARRESTATI E PROCESSATI I SEQUESTRATORI DELLA ORCAO CHE DEVE RESTITUIRE E RISARCIRE QUELLO CHE HA RUBATO E DISTRUTTO NEL NOSTRO NEGOZIO COOPERATIVO. LA ORCAO DEVE CAPIRE CHE CHI GIOCA COL FUOCO PRIMA O POI SI SCOTTA. E I MALGOVERNI DEVONO SMETTERLA DI GIOCARE ALLA CONTRAINSURGENCIA E RICORDARE CHE TUTTO FINISCE, ANCHE PER GLI SPACCONI E PREPOTENTI. CHIEDETE A TRUMP.

PER LA GIUNTA DI BUON GOVERNO “NUEVO AMANECER EN RESISTENCIA Y REBELDÍA POR LA VIDA Y LA HUMANIDAD

Caracol Floreciendo la semilla rebelde, Patria Nueva. Chiapas.

Messico, 10 Novembre 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/11/10/los-zapatistas-denuncian-el-secuestro-de-un-base-de-apoyo-por-paramilitares-de-la-orcao/

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Report Secondo Incontro Nazionale di Coordinamento e Supporto al “Viaggio Zapatista in Europa 2021”.

L’assemblea si è svolta giovedì 29 ottobre 2020 in forma telematica. 86 sono stati i punti di collegamento, alcuni collettivi altri individuali, per una copertura del paese da nord a sud.

Dei partecipanti alla prima assemblea non tutti erano presenti, mentre si sono aggiunte altre persone e realtà. Complessivamente i contatti registrati tra la prima e la seconda assemblea sono 160, ai quali viene spedito il presente report.

L’incontro si è aperto con un breve ma articolato resoconto della riunione di EuropaZapatista, fatto a più voci dai collettivi italiani che storicamente vi partecipano. In particolare, è stato riportato quanto riferito dal Messico, e cioè lo stimolo a costruire la venuta degli zapatisti come un’occasione importante che sia utile alla costruzione di percorsi di lotta a livello europeo per costruire un profondo cambiamento radicale della realtà. 

Un calendario della visita che sia capace di coadiuvare interesse europeo/nazionale/locale con una serie di appuntamenti, incontri, chiamate di mobilitazione che qualifichino la presenza della delegazione zapatista. Una delegazione che per dimensioni verrà definita dalla proposta che riusciremo a mettere in campo.

Si è anche condiviso come tutte e tutti stiamo vivendo in un tempo di grande crisi non solo sanitaria ma economica e sociale, con scenari in divenire complessi e contraddittori, in cui quel che avverrà in futuro non è certo definito.

Dopo gli interventi introduttivi si è sviluppata un’interessante e stimolante discussione. Chi è intervenuto non solo ha nuovamente salutato con gioia la possibilità di accogliere la delegazione, ma ha iniziato a ragionare in termini collettivi sulla necessità di costruire un viaggio utile al consolidamento, alla ripresa e allo sviluppo dei movimenti in Italia, e utile alla delegazione per capire, conoscere,
vedere le lotte e le forme di lotta dell’Italia dal basso.

Considerando che l’arrivo potrebbe essere in tarda primavera/estate, la percezione condivisa è che il lavoro di definizione del calendario
non può che essere in movimento e mutevole in base anche a ciò che sarà/accadrà e che dovrà necessariamente essere costruito, focalizzando alcune delle tematiche di lotta che ci accomunano quali l’anticolonialismo, le lotte di genere, la difesa dell’ambiente e del territorio, la resistenza alle grandi opere, l’estrattivismo, le lotte dei e delle migranti e molti altri temi. Al tempo stesso si tratta di elaborare un insieme di iniziative capaci di mantenere collegato il piano europeo con quello nazionale e locale e con le tematiche condivise.

Nell’assemblea si è iniziato ad ipotizzare la possibilità di avere due momenti comuni, con la presenza di tutta la delegazione, quello dell’arrivo e della ripartenza. Nel mezzo l’ipotesi di una delegazione divisa in vari gruppi che si muovano per il paese per conoscere ed incontrare differenti geografie dal Nord al Sud, incluse isole Sicilia e Sardegna, allo scopo di conoscere come si declinano le diverse tematiche della lotta contro il capitalismo nei diversi territori.

Molti interventi hanno sottolineato come si tratti di una discussione aperta, che necessita di tempi e spazi, e che abbisogna del contributo di tutte e tutti per costruire un cammino comune realmente condiviso.

Dopo la prossima riunione di EuropaZapatista che è prevista per il 10 novembre prossimo, e prima di Natale, se non ci sono nuove notizie dal Messico, si convocherà la prima riunione del Gruppo di Supporto.

P.S. Resta inteso che gli incontri di costruzione sono aperti e alla prossima assemblea generale ogni realtà è libera di segnalare/invitare chi ritiene opportuno.

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Quarta Parte: MEMORIA DI CIÒ CHE VERRÀ

Ottobre 2020

È 35 ottobri fa.

Il vecchio Antonio guarda il fuoco che resiste alla pioggia. Sotto il cappello di paglia gocciolante, con un tizzone, accende la sua sigaretta arrotolata con una foglia. Il fuoco si mantiene, a volte nascondendosi sotto i tronchi; il vento lo aiuta e con il suo alito ravviva le braci che arrossano di furia.

L’accampamento è quello chiamato “Watapil”, nella “Sierra Cruz de Plata” che si trova tra le braccia umide dei fiumi Jataté e Perlas. Corre l’anno 1985 e ottobre accoglie il gruppo con una tempesta, preannunciando così le loro giornate. L’alto mandorlo (che ribattezzerà questa montagna nella lingua insurgente) guarda compassionevolmente ai suoi piedi quel piccolo, minuscolo, insignificante pugno di donne e uomini. Volti smunti, pelle tirata, brillante lo sguardo (forse febbre, testardaggine, paura, delirio, fame, mancanza di sonno), vestiti marroni e neri strappati, stivali deformati dalle liane che cercano di mantenere le suole al loro posto.

Con parola lenta, dolce, appena percettibile nel rumore della tormenta, il Vecchio Antonio parla loro come rivolgendosi a sé stesso:

Per quelli del colore della terra verrà di nuovo il Despota ad imporre la sua parola dura, il suo IO assassino della ragione, la sua corruzione mascherata da elemosina.

Verrà il giorno in cui la morte indosserà i suoi abiti più crudeli. I suoi passi adornati di ingranaggi e cigolii, la macchina che fa ammalare le strade mentirà dicendo di portare prosperità mentre semina distruzione. Chi si opporrà a questo rumore che terrorizza piante e animali sarà ucciso nella sua vita e nella sua memoria. L’una con piombo, l’altra con la menzogna. La notte così sarà più lunga. Più prolungato il dolore. La morte più mortale.

Gli Aluxo´ob(*) allerteranno allora la madre e così diranno: “Viene la morte, madre, viene ammazzando”.

La terra madre, la prima, allora si sveglierà – scuotendosi di dosso il sonno di pappagalli, are e tucani -, reclamerà il sangue dei suoi guardiani e guardiane e, rivolgendosi alla sua prole, così dirà:

Vadano gli uni a deridere l’invasore. Vadano le altre a reclamare il sangue fratello. Che non vi spaventino le acque, che non vi scoraggino freddo né caldo. Aprite strade dove non ci sono. Risalite fiumi e mari. Navigate le montagne. Volate su piogge e nuvole. Siate notte, siate giorno, andate di buon mattino ed allertate il tutto. Molti sono i miei nomi e colori, ma uno è il mio cuore, e la mia morte sarà anche quella del tutto. Non vergognatevi dunque del colore della pelle che vi ho dato, né della parola che ho piantato nelle vostre bocche, né della vostra dimensione che a me vi tiene vicini. Vi darò luce nello sguardo, riparo alle vostre orecchie e forza nei vostri piedi e braccia. Non temiate i colori e i modi diversi, né le strade differenti. Perché uno è il cuore che vi ho ereditato, uno l’intendimento ed uno lo sguardo.

Quindi, sotto l’assedio degli Aluxo´ob(*), le macchine dell’inganno mortale crolleranno, spezzata la loro superbia, la loro avarizia. Ed i potenti porteranno da altre nazioni i lacchè che compongono la morte decomposta. Controlleranno le viscere delle macchine di morte e troveranno la ragione del loro affanno e così si diranno: “sono piene di sangue”. Tentando di spiegare la ragione di quella terribile meraviglia, così annunceranno ai loro padroni: “non sappiamo perché, sappiamo solo che è sangue dell’erede del sangue originario”.

Poi, il male pioverà su se stesso nelle grandi case dove il Potente si ubriaca e abusa. L’ingiustizia entrerà nei suoi domini e invece dell’acqua, il sangue scorrerà dalle sorgenti. I suoi giardini appassiranno e così il cuore di coloro che li lavorano e servono. Il potente quindi porterà altri vassalli per usarli. Verranno da altre terre. E nascerà l’odio tra uguali incoraggiato dal denaro. Ci saranno lotte tra loro e la morte e la distruzione arriveranno tra coloro che condividono storia e dolore.

Coloro che prima lavoravano la terra e ci abitavano, ora convertiti in servi e schiavi del Potente sui suoli e nei cieli dei loro antenati, vedranno arrivare la disgrazia nelle loro case. Perderanno le loro figlie e i loro figli, annegati nel marciume della corruzione e del crimine. Tornerà lo “ius primae noctis” con cui il denaro uccide l’innocenza e l’amore. E le ragazze saranno strappate dalle braccia delle madri e la loro giovane carne sarà presa dai Signori per soddisfare la loro viltà e bassezza. A motivo dei soldi il figlio alzerà la mano contro i suoi genitori e il lutto vestirà la loro casa. La figlia si perderà nell’oscurità o la morte, la sua vita e il suo essere uccisi dai Signori e dal loro denaro. Malattie sconosciute attaccheranno chi ha venduto la propria dignità e quella dei suoi per pochi denari, chi ha tradito la propria razza, il proprio sangue e la propria storia e chi ha sollevato e diffuso la menzogna.

La madre Ceiba, la sostenitrice dei mondi, griderà così forte che anche la più lontana sordità sentirà il suo pianto ferito. E 7 voci lontane le si avvicineranno. E 7 braccia distanti la abbracceranno. E 7 pugni diversi le si uniranno. La Ceiba Madre solleverà quindi le sue chiome e i suoi mille piedi scalceranno e butteranno all’aria le strade di ferro. Le macchine su ruote usciranno dai loro tracciati metallici. Le acque traboccheranno da fiumi e laghi e il mare stesso ruggirà di furia. Allora le viscere della terra e del cielo si apriranno in tutti i mondi.

Allora la prima, la madre terra, sorgerà e rivendicherà con il fuoco la sua casa e il suo posto. E sui superbi edifici del Potere avanzeranno alberi, piante e animali, e con il loro cuore vivrà di nuovo Votán Zapata, guardiano e cuore del popolo. E il giaguaro ripercorrerà le sue rotte ancestrali, regnando di nuovo dove volevano regnare il denaro e i suoi lacchè.

E il potente non morirà senza prima vedere la sua ignorante arroganza crollare senza quasi far rumore. E nel suo ultimo respiro conoscerà il Despota che non sarà altro forse che un brutto ricordo nel mondo che si è ribellato e si è opposto alla morte che il suo comandare mandava.

E questo dicono che dicono i morti di sempre, quelli che moriranno di nuovo ma allora per vivere.

E dicono che dicono che si conosca questa parola nelle valli e montagne; che si sappia nelle gole e pianure; che la ripeta il cucù e così avverta i passi del cuore che cammina fraterno; che la pioggia e il sole la seminino nello sguardo di chi abita queste terre; e che il vento la porti lontano ed annidi nel pensiero compagno.

Perché cose terribili e meravigliose arriveranno, questi cieli e suoli vedranno.

E il giaguaro ripercorrerà le sue rotte ancestrali, regnando di nuovo dove il denaro e i suoi lacchè volevano regnare.”

Il vecchio Antonio tace e, con lui, la pioggia. Niente dorme. Tutto sogna.

-*-

Dalle montagne del Sudest Messicano.

SupGaleano

Messico, Ottobre 2020

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane: Parte II.- I cayucos.

Vi ricordo che le divisioni tra i paesi servono solo a definire il crimine di “contrabbando” e a dare un senso alle guerre. È chiaro che ci sono almeno due cose che vanno oltre i confini: una è il crimine che, mascherato da modernità, distribuisce la miseria su scala mondiale; l’altra è la speranza che la vergogna esista solo quando si sbaglia un passo di danza, e non ogni volta che ci guardiamo allo specchio. Per abbattere il primo e fare fiorire la seconda, è necessario solo lottare ed essere migliori. Il resto va da sé ed è quello che di solito riempie biblioteche e musei. Non è necessario conquistare il mondo, basta rifarlo. Salute, e sappiate che per l’amore il letto è solo un pretesto; per il ballo una canzonetta è solo un ornamento; e per lottare la nazionalità è solo un incidente puramente circostanziale.

Don Durito de La Lacandona, 1995

Il SubMoy stava dicendo a Maxo che forse sarebbe stato meglio provare con il legno di balsa (“sughero” dicono qui), ma l’ingegnere navale sostiene che, poiché è più leggero, la corrente lo trascinerebbe più facilmente. “Ma avevi detto che nel mare non c’è corrente”. “Ma magari c’è”, si è difeso Maxo. Il SubMoy ha detto ai vari comitati di procedere con la prova dei: cayucos.

Si mettono a intagliare diversi cayucos. Con asce e machete hanno dato forma e vocazione marinara ai tronchi la cui destinazione originaria era legna da ardere nel focolare. Poiché il SubMoy si è assentato per alcuni istanti, sono andati a chiedere al SupGaleano se dovevano dare dei nomi alle barche. Il Sup che stava osservando il Monarca mentre sistemava un vecchio motore diesel, ha risposto distrattamente: “Sì, certo”.

Sono tornati quindi al lavoro iniziando a incidere e dipingere nomi razionali e misurati sui fianchi delle barche. Su una si leggeva: “El Chompiras Nuotatore e Salta Pozzanghere”. Un’altra: “L’internazionalista. Una cosa è una cosa e un’altra è dont fuck me, amico”. Un’altra ancora: “Arrivo subito, amore mio”. Su quella più in là: “Vai, perché mi invitano”. Quelli del puy Jacinto Canek hanno battezzato la loro “Jean Robert”, che è il loro modo di accompagnarlo nel suo viaggio.

Su un’altra si legge: “Se c’è da piangere, non manca certo l’acqua salata”, e a continuazione: “Questa barca è stata realizzata dalla Commissione Marittima del municipio autonomo ribelle zapatistaCi criticano per aver dato nomi molto lunghi ai MAREZ e Caracoles, ma non ci importa – della Giunta di Buon Governo “E anche”. Prodotto deperibile. Data di scadenza: dipende. Le nostre barche non affondano, ma scadono, non è la stessa cosa. Assumiamo produttori di cayucos e musicisti nel CRAREZ (escluso marimba o impianti audio – perché se si bagnano poi non si possono sostituire -, ma vogliamo davvero cantare … beh, più o meno. Dipende). Questo cayuco è quotato solo nelle borse di resistenza. Continua nel prossimo cayuco…”, (ovviamente devi fare il giro del cayuco e delle pareti interne per leggere per intero il “nome”; sì, hai ragione, ci vorrà così tanto tempo prima che il sottomarino nemico trasmetta il nome completo della barca da affondare che, quando avrà terminato la barca sarà già attraccata sulle coste europee).

Il punto è che, mentre scavano i tronchi, la voce si è sparsa. L’amato Amado ha detto al Pablito che ha raccontato al Pedrito che ha informato Defensa Zapatista che lo ha riferito a la Esperanza che ha detto a Calamidad “non dirlo a nessuno” che lo ha detto alle sue “mammine” che lo hanno detto nel gruppo “noi come donne”.

Quando il SupGaleano è stato informato che le donne stavano arrivando, il Sup ha alzato le spalle e ha consegnato al Monarca la chiave che chiamano spagnola, da mezzo pollice, sputando pezzi di bocchino della sua pipa.

Subito è arrivato Jacobo: “Hei Sup, il SubMoy tarda ancora?

Non ne ho idea”, ha risposto il SupGaleano guardando sconsolato la sua pipa rotta.

Jacobo: “Sai in quanti viaggeranno?

Il Sup: “L’Europa del basso ancora non ha fatto sapere quanti ne possono accogliere. Perché?

Jacobo: “Perché… è meglio che vieni a vedere”.

Il SupGaleano rompe un’altra pipa vedendo la “flotta” zapatista. Sulla riva del fiume i 6 cayucos con nomi strambi, allineati, sono colmi di vasi e fiori.

E questo cos’è?”, chiede il Sup solo così per sapere.

È il carico delle compagne”, risponde rassegnato Rubén.

Il Sup: “Il loro carico?”.

Rubén: “Sì, sono arrivate ed hanno solo detto “questo servirà” e se ne sono andate lasciando queste piantine. E poi è arrivata una bambina che non so come si chiama ma che ha chiesto quanto durerà il viaggio, cioè quanto ci vorrà per arrivare dove stiamo andando. Le ho chiesto perché lo voleva sapere, se è perché vanno le sue mammine o che. Mi ha detto no, era perché voleva mandare un albero, piccolino, che se il viaggio si dilungasse, l’alberello crescerebbe e potremmo bere pozol all’ombra se il sole picchia forte.”

Ma se sono tutte uguali”, aggiunge il Sup (riferendosi alle piante, ovviamente).

No”, dice la componente del comitato Alejandra. Questa è artemisia, per il mal di pancia; questo è timo; questa è menta; là la camomilla, origano, prezzemolo, coriandolo, alloro, tè, aloe; questa è per la diarrea, questa per le scottature, questa per l’insonnia, quella per il mal di denti, qua per le coliche, questa si chiama “guarisci tutto”, l’altra là per il vomito, anche momo, erba mora, cipolla, ruta, gerani, garofani, tulipani, rose, mañanitas; e cose così.”

Jacobo si sente in obbligo di spiegare: “Appena terminavamo un cayuco, ci voltavamo e già era strapieno. E poi ancora così. Ne abbiamo fatti già 6, per questo chiedo se ne dobbiamo fare altri, perché di sicuro continueranno a riempirli.

Ma se portano tutto questa roba, dove si mettono i compagni?” riflette il Sup con una compagna, coordinatrice delle donne, che tra le braccia porta due vasi di fiori ed un bimbetto nello scialle a tracolla sulle spalle.

Ah, perché, vengono anche gli uomini?”, dice.

Comunque, non ci stanno dentro nemmeno le donne”, aggiunge il Sup “sull’orlo di una crisi di nervi”.

Lei: “Ah, è che noi non andremo in barca. Noi andremo in aereo, per evitare di vomitare. Beh, magari un poco, ma sempre meno.”

Sup: “E chi vi ha detto che voi in aereo?

Lei: “Noi”.

Sup: “Ma da dove ti viene quello che mi stai dicendo?”

Lei: “Esperanza è venuta alla riunione di ‘noi come donne’ e ci ha detto che moriremo miseramente se andremo con quei dannati uomini. Quindi ci abbiamo pensato in assemblea e abbiamo concordato che non abbiamo paura e siamo molto decise e determinate a che gli uomini muoiano miseramente e non noi.

Abbiamo già fatto i conti e noleggeremo l’aereo che il Calderón ha comprato per il Peña Nieto e che i malgoverni di adesso non sanno che farsene. Dicono che il costo del biglietto è di 500 pesos a persona. In questo momento sono 111 le compagne iscritte, ma mancano le squadre di calcio delle miliziane. Quindi, se andassimo solo in 111 sarebbero 55.500,00 pesos, ma le donne e i bimbi piccoli pagano solo la metà, quindi 27.750. Resta da detrarre l’IVA e il bonifico per le spese di rappresentanza, quindi diciamo circa 10mila pesos per tutte. Questo se il dollaro non scende, altrimenti di meno. Ma, perché non ci siano reclami per i soldi, vi diamo il bue del mio compadre, che è uguale a non dico chi, e cosa gli facciamo, i maschi sono tutti così.”

Il SupGaleano tace, cercando di ricordare dove diavolo ha lasciato la pipa di emergenza. Ma quando vede le donne che iniziano a caricare polli, galli, pulcini, porcellini d’India, anatre e tacchini, dice al Monarca: “Presto, chiama il SubMoy e digli che è estremamente urgente, che venga subito”.

La processione di donne, piante e animali si allunga oltre il pascolo. Segue la banda di Defensa Zapatista: la colonna dell’orda è aperta dal Pablito già in modalità “se non li batti, unisciti a loro”, con il suo cavallo, seguito dall’amato Amado con la sua bicicletta – con la gomma a terra -. Quindi il gatto-cane che incita una mandria di bovini. Defensa ed Esperanza misurano i cayucos calcolando se ci stanno le porte di calcio. Il cavallo orbo porta sul muso una rete con bottiglie di plastica. Calamidad passa con un cucciolo che urla terrorizzato temendo di essere gettato nel fiume e poi tirato su in seguito… o no?

Chiude la colonna qualcuno che somiglia straordinariamente ad uno scarabeo, con un toppa da pirata sull’occhio destro, un filo di ferro attorcigliato ad una zampa – a mo’ di uncino -, e su un’altra una specie di zampa di legno, che altro non è che un pezzo di liana. Lo strano essere, che brandisce una mascherina di metallo, declama con notevole intonazione: “Con dieci cannoni per lato, / vento in poppa, a vele spiegate, / non taglia il mare bensì vola / un brigantino veliero. / Vascello pirata che chiamano / per il suo coraggioEl Temido”, / In tutto il mare conosciuto / dall’uno all’altro confine”.

Quando il Subcomandante Insurgente Moisés, capo della spedizione in erba, torna, trova il SupGaleano inspiegabilmente sorridente. Il Sup ha trovato un’altra pipa, questa intatta, nella tasca dei suoi pantaloni.

In Fede.
Guau-Miau.

*)Piccoli spiriti magici Maya protettori delle montagne.
**)Piccola canoa con fondo piatto e senza chiglia governata con una pagaia molto ampia chiamata “canalete” utilizzata nelle Antille e in altre parti dell’America.

Traduzione “Maribel” – Bergamo
Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/19/cuarta-parte-memoria-de-lo-que-vendra/

https://vimeo.com/469379048

https://youtu.be/80EIfHMndnQ

https://youtu.be/MsDF2H5DDV4

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REPORT ASSEMBLEA ONLINE 14 OTTOBRE 2020 – ITALIA

Mercoledì 14 ottobre 2020, 96 punti di connessione, per un totale di oltre 130 tra compagne e compagni di molte città di diverse regioni d’Italia, hanno partecipato all’incontro nazionale online proposto e coordinato da 20zln, Comitato Chiapas “Maribel” Bergamo, Ya Basta Padova e Cooperazione Rebelde di Napoli. Al centro dell’incontro la discussione attorno ai primi comunicati dell’EZLN* in cui viene annunciato che una delegazione zapatista viaggerà nei 5 continenti nel 2021.

L’assemblea è stata convocata per aprire la discussione ed avviare, in maniera plurale e condivisa, un percorso politico e di accoglienza degna per i compagni e le compagne zapatiste in Europa. Un cammino comune, tra tante e tanti diversi, per contribuire a creare una ricca e variegata mobilitazione italiana ed europea che costruisca le condizioni per forzare le frontiere della “Fortezza Europa”.

Molti sono stati gli interventi di singoli e realtà collettive che animano le lotte e le mobilitazioni femministe, sulle questioni di genere, la difesa del territorio e delle risorse naturali, dei centri sociali, delle case occupate, di chi è al fianco dei migranti, per una cambiamento del sistema e non del clima, per affermare nuovi diritti per i lavoratori e le lavoratrici precari e non, per opporsi alle nuove forme di razzismo, nazionalismo, sovranismo e identitarismo.

Nella discussione si sono condivisi pensieri, suggestioni, sogni e dubbi attorno alla proposta arrivata dalla Selva Lacandona. Tutte, tutti e tuttu hanno espresso la loro disponibilità ad impegnarsi per costruire dal basso le condizioni necessarie allo sbarco in Europa e al conseguente viaggio della delegazione tra i diversi paesi del continente.

Si è sottolineato come la proposta zapatista rappresenta un’opportunità per chi vuole, anche in Italia, costruire un cambiamento radicale.

Tante delle riflessioni che attraversano i comunicati zapatisti si rispecchiano anche nei percorsi di chi, qui da noi, contrasta la violenza delle frontiere, anima le lotte femministe dell’oggi, vuole costruire pratiche de-colonizzate.

La sfida sarà quella di riuscire a costruire uno spazio politico ampio e plurale in Italia ed anche a livello europeo, a partire anche dalla rete di EuropaZapatista, che sia in grado di essere e rappresentare, oggi, quell’anomalia politica che può aprire le porte dell’impossibile.

Si è pensato di creare un “Gruppo di Supporto”, dinamico, che si può allargare in base alle necessità e alle esigenze. Un gruppo di supporto non per dirigere ma per condividere le comunicazioni, che agisca con funzioni operative e per facilitare, passo a passo, la strada comune nelle assemblee collettive.

Chi conferma la volontà già espressa in assemblea, e chi si vuole aggiungere al “Gruppo di Supporto”, mandi una mail a proyecto20zln@gmail.com

Nella settimana successiva all’assemblea di EuropaZapatista del 20 ottobre 2020, si convocherà il primo incontro del Gruppo di supporto sui punti specifici e le novità che usciranno dai prossimi comunicati e dal coordinamento europeo.

Come hanno detto in molte e molti l’assemblea del 14 ottobre è stata un primo passo… ora il cammino è nelle mani di ognuno di noi, ma partire insieme è già un inizio.

 

*Sesta parte: UNA MONTAGNA IN ALTO MARE Comunicato del COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/06/sesta-parte-una-montagna-in-alto-mare/

* Quinta parte: LO SGUARDO E LA DISTANZA DALLA PORTA  http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/quinta-parte-lo-sguardo-e-la-distanza-dalla-porta/

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La nave va

di Juan Villoro* – 9 ottobre 2020

Nella necessaria rivendicazione dei diritti dei popoli nativi, talvolta si pone l’enfasi sulle loro radici vernacolari e il movimento è limitato agli interessi locali. Questo non è il caso dei nuovi zapatisti. Fin dall’inizio, la loro sorprendente ideologia è stata un’avventura di diversità e inclusione (“Un mondo in cui ci stanno molti mondi”), e hanno convocato incontri di ogni tipo, come l’incontro che non hanno esitato a definire “intergalattico”.

Nel 1996 l’EZLN firmò gli Accordi di San Andrés con i rappresentanti del Presidente Zedillo. La fine del conflitto sembrava in vista; l’autonomia dei popoli nativi era garantita senza violare la sovranità. Si arrivò a questo punto dopo intense discussioni. Chi di noi ha partecipato come consigliere degli zapatisti alle sessioni precedenti la firma, non può dimenticare il rifiuto della delegazione governativa di fare proposte e anche di commentare quanto si diceva: “Siamo qui per ascoltare con rispetto”, ripetevano come un mantra. Tuttavia, si raggiunse un’apparente soluzione. Il paradosso è che, mentre i ribelli si fidavano della loro parola, il governo si preparava a tradirla.

Quattro anni dopo, quando Vicente Fox vinse le elezioni, gli Accordi divennero lettera morta. Nella sua campagna elettorale, il “candidato del cambiamento” prometteva di risolvere il problema del Chiapas in 15 minuti e così insisteva durante il suo insediamento.

Gli zapatisti lo presero sul serio e iniziarono la Marcia del Colore della Terra che si concluse nello Zócalo e permise alla Comandante Esther di parlare nel Parlamento (nonostante l’ardente arringa di Felipe Calderón, allora deputato, per impedire a una donna indigena di rivolgersi alla nazione). Il messaggio zapatista era chiaro: rispetto della legalità e diritto di partecipare nella Casa della Parola, il Congresso dell’Unione, cioè, appartenere al paese. Poco dopo, il PRI, il PAN ed il PRD votarono contro la trasformazione in legge degli Accordi di San Andrés. Così sfumò una possibilità storica. Come nel racconto di Kafka “Davanti alla legge”, si chiudeva una porta che non custodiva altro che un’illusione.

Gli zapatisti si rifugiarono nei loro territori e si dedicarono al compito, meno spettacolare ma senza dubbio epico, di trasformare la vita quotidiana. In “Giustizia Autonoma Zapatista”, Paulina Fernández Christlieb offre un dettagliato racconto dei lavori delle Giunte di Buon Governo e della democrazia diretta che si esercita nei cinque “caracoles” zapatisti.

In questa lotta per l’equità è stata decisiva la prospettiva di genere che nel 2018 ha portato all’Incontro Internazionale delle Donne che Lottano (ripreso nel 2019 con la partecipazione di delegate di 49 Paesi).

Coloro che hanno meno, hanno fornito una continua lezione sul rispetto dell’altro in tempi di polarizzazione, dove il disaccordo è sinonimo di inimicizia.

Un paio di giorni fa hanno annunciato che salperanno per l’Europa per commemorare i 500 anni dalla caduta di Tenochtitlan. Non sono animati da un desiderio vendicativo, ma dal desiderio di dialogare nella differenza.

Riferendosi alla Spagna, partono dal riconoscimento elementare dell’esistenza del meticciato, così come dal multiculturalismo. È assurdo chiedere agli spagnoli di oggi di rispondere della politica imperiale di Carlo I e Filippo II. D’altra parte, i messicani non sono estranei al contesto spagnolo. Nel loro ampio comunicato, gli zapatisti ricordano che l’intera specie proviene dall’Africa e che i crimini che condannano sono recenti quanto l’omicidio dell’ambientalista Samir Flores Soberanes, che si opponeva alla centrale termoelettrica di La Huexca, Morelos.

La traversata zapatista mostrerà che il realismo magico può essere pratica e che ciò che è alieno migliora ciò che è proprio: “Parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non pretendere che ci chieda perdono … Per cosa ci dovrebbe chiedere perdono la Spagna? Di aver partorito Cervantes?”.

Gli scettici parleranno di romanticismo delirante e paranoico della manipolazione internazionale. Non sarà la prima volta che un viaggio senza rotte definite sembri assurdo a chi ignora che il nuovo è caratterizzato dal non essere accaduto prima.

“Aprile è il mese più crudele”, ha scritto T. S. Eliot ne “La Terra Desolata”, una poesia concepita tra due guerre mondiali.

Nell’aprile 2021 gli zapatisti proporranno un altro modo di risiedere sulla Terra.

*Juan Villoro. Scrittore, Premio Herralde de Novela 2004 e del Premio Rey de España per il suo testo “La Alfombra Roja, el imperio del narcotráfico”.

Fonte: https://www.etcetera.com.mx/opinion/la-nave-va/

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Quinta Parte: LO SGUARDO E LA DISTANZA DALLA PORTA.

Ottobre 2020

Supponiamo che sia possibile scegliere, ad esempio, il modo di guardare. Supponiamo di potervi liberare, anche per un attimo, dalla tirannia dei social network che impongono non solo cosa guardare e di cosa parlare, ma anche come guardare e come parlare. Quindi, supponi di guardare in alto. Molto in alto: dal più vicino al locale al regionale al nazionale al globale. Lo vedi? È vero, un caos, un pasticcio, un disordine. Quindi supponiamo che tu sia un essere umano; ebbene, non è un’applicazione digitale che, rapidamente, guarda, classifica, gerarchizza, giudica e sanziona. Quindi scegli cosa guardare… e come guardare. Potrebbe essere, è un’ipotesi, che guardare e giudicare non siano la stessa cosa. Quindi tu non solo scegli, ma decidi. Cambiare la domanda da “questo è male o bene?”, a “cos’è questo?”. Certo, la prima domanda porta a un invitante dibattito (ci sono ancora dibattiti?). E da lì al “Questo è male – o bene – perché lo dico io”. O, forse, c’è una discussione su ciò che è bene e male, e da lì agli argomenti e alle note a piè di pagina. È vero, hai ragione, è meglio che ricorrere ai “like” e “manina in alto“, ma ti ho proposto di cambiare il punto di partenza: scegliere la meta del tuo guardare.

Ad esempio: decidi di guardare i musulmani. Puoi scegliere, ad esempio, tra chi ha perpetrato l’attacco contro Charlie Hebdo o tra chi ora sta marciando per le strade della Francia per rivendicare, reclamare, imporre i propri diritti. Dato che sei arrivato a leggere queste righe, è molto probabile che preferisci i “sans papiers“. Ovviamente ti senti anche obbligato a dichiarare che Macron è un idiota. Ma, distogliendo questa rapida occhiata verso l’alto, guardi di nuovo i sit-in, gli accampamenti e le marce dei migranti. Ti chiedi quanti sono. Ti sembrano troppi, o pochi, o tantissimi, o abbastanza. Sei passato dall’identità religiosa alla quantità. E poi ti chiedi cosa vogliono, per cosa lottano. E qui decidi se andare sui media e sulle reti per scoprirlo … o ascoltarli. Supponi di poter fare loro delle domande. Chiedi quale è il loro credo religioso, e quanti sono? Oppure chiedi loro perché hanno lasciato la loro terra e hanno deciso di raggiungere suoli e cieli che hanno un’altra lingua, un’altra cultura, altre leggi, un altro modo di vivere? Forse ti risponderanno con una sola parola: guerra. O forse ti spiegheranno in dettaglio cosa significa questa parola nella loro realtà. Guerra. Decidi di indagare: guerra dove? O meglio ancora. Perché questa guerra? Poi ti sommergono di spiegazioni: credenze religiose, controversie territoriali, saccheggio di risorse o, chiaro e semplice, stupidità. Ma non ti accontenti e chiedi chi trae vantaggio da distruzione, spopolamento, ricostruzione, ripopolamento. Trovi i dati di diversi enti. Indaghi sugli enti e scopri che si trovano in diversi paesi e che producono non solo armi, ma anche automobili, missili interstellari, forni a microonde, servizi di consegna pacchi, banche, social network, “contenuti multimediali”, abbigliamento, telefoni cellulari e computer, calzature , alimenti biologici e non biologici, compagnie di navigazione, vendite online, treni, capi di governo e gabinetti, centri di ricerca scientifica e non scientifica, catene di hotel e ristoranti, “fast food“, compagnie aeree, impianti termoelettrici e, naturalmente, fondazioni di aiuti “Umanitari”. Si potrebbe dire, quindi, che la responsabilità è dell’umanità o del mondo intero.

Ma ti chiedi se anche il mondo o l’umanità non siano responsabili di quella marcia, sit-in, accampamento di migranti, di quella resistenza. E poi concludi che, può essere, è probabile, forse, è un intero sistema che è responsabile. Un sistema che produce e riproduce il dolore, chi lo infligge e chi lo subisce.

Ora volgi lo sguardo alla marcia che percorre le strade della Francia. Supponiamo che siano pochi, pochissimi, che sia solo una donna che porta il suo piccolo. Ti interessa ora il suo credo religioso, la sua lingua, i suoi vestiti, la sua cultura, il suo modo di fare? Ti importa che sia solo una donna che porta il suo bambino tra le braccia? Ora dimentica per un momento la donna e concentra lo sguardo solo sul bambino. Ha importanza se è maschio o femmina o altroa? Il suo colore della pelle? Forse scoprirai, ora, che ciò che conta è la sua vita.

Ora vai oltre, dopotutto hai già raggiunto queste righe, quindi qualcuna in più non ti farà male. Ok, non troppo danno.

Supponi che questa donna ti parli e che tu abbia il privilegio di capire cosa sta dicendo. Pensi che ti chiederà scusa per il colore della sua pelle, il suo credo religioso o no, la sua nazionalità, i suoi antenati, la sua lingua, il suo genere, il suo modo di fare? Tu, ti premuri di chiedere scusa per quello che sei? Ti aspetti che ti perdoni e che lei torni alla sua vita con questo conto saldato? O che lei non ti perdonerà e ti dici “beh, almeno ci ho provato e mi dispiace sinceramente per quello che sono?”.

O hai paura che non ti parli, che ti guardi soltanto in silenzio, e senti che quello sguardo ti chiede “E tu, che fai?”.

Se arrivi a questo ragionamento-sentimento-angoscia-disperazione, allora, mi dispiace, non c’è rimedio: sei un essere umano.

-*-

Chiarito così non sei un bot, ripeti l’esercizio sull’Isola di Lesbo; sulla Rocca di Gibilterra; nel Canale della Manica; a Napoli; sul fiume Suchiate; sul Río Bravo.

Ora sposta lo sguardo e cerca Palestina, Kurdistan, Euskadi e Wallmapu. Sì, lo so, confonde un po’… e non è tutto. Ma anche in quei luoghi ci sono quelli (tanti o pochi o troppi o abbastanza) che lottano per la vita. Ma si scopre che concepiscono la vita inseparabilmente legata alla loro terra, alla loro lingua, alla loro cultura, al loro modo. Quello che il Congresso Nazionale Indigeno ci ha insegnato a chiamare “territorio”, e che non è solo un pezzo di terra. Non ti tenta che queste persone ti raccontino la loro storia, la loro lotta, i loro sogni? Sì, lo so, per te potrebbe essere meglio rivolgerti a Wikipedia, ma non è allettante ascoltarlo direttamente e cercare di capirlo?

Torna ora tra il Río Grande e il fiume Suchiate. Vieni in un posto chiamato “Morelos”. Avvicina il tuo sguardo al villaggio di Temoac. Concentrati ora sulla comunità di Amilcingo. Vedi quella casa? È la casa di un uomo che in vita portava il nome di Samir Flores Soberanes. Davanti a quella porta è stato assassinato. Il suo crimine? Opporsi a un megaprogetto che rappresenta la morte per la vita delle comunità a cui appartiene. No, non ho sbagliato nella formulazione: Samir è assassinato non per aver difeso la sua vita individuale, ma quella delle sue comunità.

Inoltre: Samir è stato assassinato per aver difeso la vita di generazioni a cui non si è ancora pensato. Perché per Samir, per i suoi compagni, per i popoli indigeni raggruppati nel CNI e per noi, noi zapatisti, la vita di comunità non è qualcosa che accade solo nel presente. È soprattutto ciò che verrà. La vita della comunità è qualcosa che si costruisce oggi, ma per domani. La vita nella comunità è qualcosa che si eredita. Pensi che il conto sia saldato se gli assassini – intellettuali e materiali – si scusino? Pensi che la sua famiglia, la sua organizzazione, il CNI, noi, saremmo soddisfatti che dei criminali chiedano perdono? “Perdonami, l’ho denunciato in modo che i sicari potessero giustiziarlo, sono sempre stato una boccaccia. Mi correggerò, oppure no. Ho già chiesto scusa, ora rimuovi il tuo presidio e andiamo a completare la centrale termoelettrica, perché altrimenti andranno persi molti soldi”. Credi che è questo che si aspettano, ci aspettiamo, che è per questo che lottano, che noi lottiamo? Che dichiarino “scusate, sì, abbiamo ucciso Samir e, per inciso, con questo progetto, abbiamo ucciso le sue comunità. Allora perdonateci. E se non ci perdonate, non ci interessa, il progetto va portato a termine”?

E si scopre che le stesse persone che chiederebbero scusa per la centrale termoelettrica, sono le stesse del Treno a torto chiamato “Maya”, le stesse del “corridoio transistmico”, le stesse delle dighe, delle miniere a cielo aperto e delle centrali elettriche, le stesse che chiudono le frontiere per fermare la migrazione causata dalle guerre che loro stessi alimentano, le stesse che perseguitano i mapuche, le stesse che massacrano i curdi, le stesse che distruggono la Palestina, le stesse che sparano agli afroamericani, le stesse che sfruttano (direttamente o indirettamente) i lavoratori in ogni angolo del pianeta,le stesse che coltivano ed esaltano la violenza di genere, le stesse che prostituiscono bambini, le stesse che ti spiano per scoprire cosa ti piace e te lo vendono – e se non ti piace, fanno in modo che ti piaccia – le stesse che distruggono la natura. Gli stessi che vogliono farti credere, a te, agli altri, a noi, che la responsabilità di questo crimine globale e in atto è responsabilità delle nazioni, dei credo religiosi, della resistenza al progresso, dei conservatori, delle lingue, delle storie, dei modi. Che tutto sia sintetizzato in un individuo … o individua (non dimenticare la parità di genere).

Se tu potessi andare in tutti quegli angoli di questo pianeta morente, cosa faresti? Beh, non lo sappiamo. Ma noi, zapatiste e zapatisti, andremmo ad imparare. Certo, anche per ballare, ma una cosa non esclude l’altra, credo. Se ci fosse questa opportunità, saremmo disposti a rischiare tutto, tutto. Non solo la nostra vita individuale, ma anche la nostra vita collettiva. E se questa possibilità non esistesse, lotteremmo per crearla. Per costruirla, come se fosse una nave. Sì, lo so, è pazzesco. Qualcosa di impensabile. Chi penserebbe che chi resiste alla centrale termoelettrica in un minuscolo angolo del Messico, possa interessarsi alla Palestina, ai mapuche, ai baschi, al migrante, all’afroamericano, alla giovane ambientalista svedese, alla guerriera Curda, alla donna che combatte in un’altra parte del pianeta, in Giappone, in Cina, nelle Coree, in Oceania, in madre Africa?

Non dovremmo, invece, andare, per esempio, a Chablekal, nello Yucatán, nella sede di Equipo Indignación e chiedere: “Ehi! Siete di pelle bianca e siete credenti, chiedete scusa!”? Sono quasi sicuro che risponderebbero: “nessun problema, ma aspetta il tuo turno, perché ora siamo impegnat@ ad accompagnare coloro che si oppongono al Tren Maya, coloro che subiscono espropriazioni, persecuzioni, carcere, morte”. E aggiungerebbero:

“Inoltre dobbiamo rispondere all’accusa che il supremo ci fa di essere finanziati dai progressisti come parte di un complotto interplanetario per fermare la 4T”. Di quello che sono sicuro è che userebbero il verbo “accompagnare”, e non “dirigere”, “comandare”, “condurre”.

O meglio dovremmo invadere l’Europa al grido di “Arrenditi viso pallido!”, e distruggere il Partenone, il Louvre e il Prado e, invece di sculture e dipinti, riempire tutto con ricami zapatisti, specialmente di mascherine zapatiste – che, per inciso, sono efficaci e carine; e invece di pasta, crostacei e paella, imporre il consumo di mais, cacaté e yerba mora; al posto di bibite, vini e birre, pozol obbligatorio; e chi esce senza passamontagna, multa o carcere (sì, facoltativo, perché non bisogna neanche esagerare); e dichiarare “E a quei rockers, marimba obbligatoria! E d’ora in poi solo cumbias, basta con il reggaeton (ti tenta, vero?)! Su, tu, Panchito Varona e Sabina, e gli altri del coro, cominciate con “Cartas Marcadas”, e in loop, anche se sono le dieci, le undici, le dodici, l’una, le due e le tre … e poi basta, perché domani dobbiamo alzarci presto! Ehi tu, ex re dei fuggiaschi, lascia in pace quegli elefanti e comincia a cucinare! Minestra di zucca per tutta la corte! (lo so, la mia crudeltà è squisita)?

Ora dimmi: pensi che l’incubo di quelli in alto sia di essere costretti a chiedere perdono? Non sarà che ciò che popola i loro sogni di cose orrende è che scompaiano, che non siano importanti, che non vengano presi in considerazione, che siano niente, che il loro mondo cada a pezzi senza far rumore, senza nessuno che li ricordi, che eriga per loro statue, musei, canti, giorni da commemorare? Non sarà che a gettarli nel panico sia la possibile realtà?

-*-

Fu una delle poche volte in cui il defunto SupMarcos non fece ricorso a una similitudine cinefila per spiegare qualcosa. Perché, non sta a voi saperlo, né io a raccontarvelo, il trapassato riusciva a collegare le tappe della sua breve vita, ciascuna, a un film. Oppure accompagnare una spiegazione sulla situazione nazionale o internazionale con un “come nel film tale”. Naturalmente, più di una volta ha dovuto ricomporre la sceneggiatura per adattarla alla narrazione. Poiché la maggior parte di noi non aveva visto il film in questione, e non avevamo segnale per consultare Wikipedia nei cellulari, ci credevamo. Ma non allontaniamoci dall’argomento. Aspetta, credo che l’abbia lasciato scritto su uno di quei fogli che riempiono il suo baule dei ricordi… Eccolo! Dunque:

Per capire il nostro impegno e la dimensione della nostra audacia, immagina che la morte sia una porta che viene varcata. Ci saranno molte e varie speculazioni su cosa c’è dietro quella porta: paradiso, inferno, limbo, nulla. E riguardo a queste opzioni, dozzine di descrizioni. La vita, quindi, potrebbe essere concepita come la via per quella porta. La porta, quindi la morte, sarebbe dunque un punto di arrivo … o un’interruzione, lo squarcio impertinente dell’assenza che ferisce l’aria della vita.

A quella porta si arriverebbe, allora, con la violenza della tortura e l’assassinio, l’infortunio di un incidente, il penoso socchiudere la porta in una malattia, la stanchezza, il desiderio. Cioè, benché la maggioranza delle volte si arrivi a quella porta senza desiderarlo né pretenderlo, sarebbe anche possibile che fosse una scelta.

Tra i popoli originari, oggi zapatisti, la morte era una porta piantata quasi all’inizio della vita. L’infanzia la incontrava prima dei 5 anni e l’attraversava tra febbri e diarree. Quello che facemmo il primo gennaio 1994 fu tentare di allontanare quella porta. Certo, bisognò essere disposti ad attraversarla per riuscirci, benché non lo desiderassimo. Da allora tutti i nostri sforzi sono stati e sono tuttora per spostare quella porta il più lontano possibile. “Allungare l’aspettativa di vita”, direbbero gli specialisti. Ma vita degna, aggiungeremmo noi. Spostarla fino a metterla da parte, ma ben prima del cammino. Ecco perché abbiamo detto all’inizio della sollevazione che “per vivere, moriamo”. Perché se non ereditiamo la vita, cioè il sentiero, allora per cosa viviamo?”

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Ereditare vita.

Questo è precisamente quello che preoccupava Samir Flores Soberanes. E questo è quello che può sintetizzare la lotta del Frente de Pueblos en Defensa del Agua y de la Tierra de Morelos, Puebla y Tlaxcala, nella loro resistenza e ribellione contro la Centrale Termoelettrica e il cosiddetto “Proyecto Integral Morelos”. Alle loro richieste di fermare e cancellare un progetto di morte, il malgoverno risponde sostenendo che andrebbero persi molti soldi.

Là, in Morelos, si sintetizza l’attuale scontro in tutto il mondo: denaro contro vita. E in questo scontro, in questa guerra, nessuna persona onesta dovrebbe essere neutrale: o con i soldi, o con la vita.

Quindi, potremmo concludere, la lotta per la vita non è un’ossessione tra i popoli indigeni. È piuttosto … una vocazione … collettiva.

Bene. Salute, e non dimentichiamo che perdono e giustizia non sono la stessa cosa.

Dalle montagne delle Alpi, pensando a cosa invadere per primo: Germania, Austria, Svizzera, Francia, Italia, Slovenia, Monaco, Liechtenstein? No, sto scherzando… o no?

El SupGaleano che si produce elegantemente nel saluto col gomito.

Messico, Ottobre 2020

Dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane: Una montagna in alto mare. Parte I: La zattera.

E nei mari di tutti i mondi che sono nel mondo,
si vedevano montagne muoversi sull'acqua e, con il
volto negato, donne, uomini e otroas su di esse”.
Crónicas del mañana”. Don Durito de La Lacandona. 1990

Al terzo tentativo fallito, Maxo si è fermato a pensare e dopo pochi secondi ha esclamato: “Ci vuole una corda”. “Te l’avevo detto”, ha detto Gabino. I resti della zattera galleggiavano sparsi sbattendo tra di loro nel flusso della corrente del fiume che, facendo onore al suo nome di “Colorado”, si tingeva del fango rossiccio delle sue rive.

Hanno quindi chiamato uno squadrone di cavalleria che è arrivato al ritmo della “Cumbia Sobre el Río Suena”, del maestro Celso Piña. Hanno legato le corde in due lunghi tratti. Hanno mandato una squadra dall’altra parte del fiume. Con le corde legate alla zattera, entrambi i gruppi potevano così controllare la rotta dell’imbarcazione senza che il fascio di tronchi si sciogliesse trascinato da un fiume che nemmeno si accorgeva del tentativo di navigazione.

Lo sproposito in corso è nato dopo che si era decisa l’invasione … scusate, la visita ai cinque continenti. E poi niente da fare. Perché quando si è votato, e alla fine il SupGaleano ha detto “siete matti, non abbiamo una barca”, Maxo ha risposto: “ne faremo una”. E subito hanno iniziato a fare proposte.

Come ogni cosa assurda nelle terre zapatiste, la costruzione della “barca” ha attirato la banda di Defensa Zapatista.

“Le compagne moriranno miseramente”, ha dichiarato Esperanza, con il suo già leggendario ottimismo (in qualche libro la bimba ha trovato questa parola e ha capito che si riferiva a qualcosa di orribile e irrimediabile e la usa allegramente: “Le mie mamme mi hanno pettinato miseramente”, “La maestra mi ha dato un voto miseramente”, e così via), quando al quarto tentativo la zattera si è sfasciata quasi immediatamente.

E i compagni”, si è sentito in dovere di aggiungere Pedrito, pensando che la solidarietà di genere fosse appropriata in questa circostanza… miserabile.

Nah”, ha replicato Defensa. “Compagni li puoi sostituire, ma compagne… e dove le trovi? Compagne davvero, vere compagne, non chiunque”.

La banda di Defensa era posizionata strategicamente. Non per contemplare le vicissitudini dei comitati per costruire la nave. Defensa e Esperanza si tenevano per mano con Calamida, che aveva già tentato due volte di tuffarsi nel fiume per soccorrere la zattera e, entrambe le volte, era stata acchiappata da Pedrito, Pablito e l’amato Amado. Il cavallo orbo e il gatto-cane erano stati subito scartati. Si preoccupavano inutilmente. Quando il SupGaleano ha visto arrivare l’orda, ha assegnato 3 plotoni di miliziane sulla riva del fiume. Con la sua abituale diplomazia e senza smettere di sorridere, il Sup ha detto loro: “Se quella bambina arriva all’acqua, siete morte”.

Dopo il successo nel sesto tentativo, i comitati hanno provato a caricare la zattera con quelle che hanno definito “cose essenziali” per il viaggio (una specie di kit di sopravvivenza zapatista): un sacco di tostadas, panela, un sacco di caffè, qualche pallina di pozol, una fascina di legna da ardere, un telo di nylon in caso di pioggia. Controllando si sono accorti che mancava qualcosa. Certo, non ci è voluto molto per portare una marimba.

Maxo era dove Monarca e il SupGaleano stavano riguardando alcuni disegni di cui vi racconterò un’altra volta e ha detto: “Ehi, Sup, vuoi che mandi una lettera a quelli dall’altra parte: che cerchino una corda e la leghino in modo che sia ben lunga, e la lancino fino a qui e poi dalle due sponde potremo muovere la “barca”. Ma bisogna che si organizzino, perché se tutti lanciano una corda dalla loro parte, semplicemente non ci arrivano. Bisogna che le leghino bene insieme, e siano organizzati”.

Maxo non ha atteso che il SupGaleano uscisse dal suo smarrimento e ha cercato di spiegargli che c’era una grande differenza tra una zattera di tronchi legati con le liane e una nave per attraversare l’Atlantico.

Maxo è andato a supervisionare la prova della zattera con tutta l’attrezzatura. Hanno discusso su chi sarebbe salito per provarla con le persone, ma il fiume scorreva con un tetro rumore, cosicché hanno deciso di fare un fantoccio e fissarlo in mezzo all’imbarcazione. Maxo era come un ingegnere navale perché anni fa, quando una delegazione zapatista era andata a sostenere l’accampamento di Cucapá, è entrato nel Mare di Cortez. Maxo però non ha detto che è quasi annegato perché il passamontagna gli si era appiccicato al naso e alla bocca impedendogli di respirare. Come un vecchio lupo di mare ha detto: “è come un fiume, ma senza corrente, e più grande, molto di più, come la laguna di Miramar”.

Il SupGaleano cercava di tradurre come si dice laccio in tedesco, italiano, francese, inglese, greco, basco, turco, svedese, catalano, finlandese, ecc., quando la maggiore Irma si è avvicinata e gli ha detto “digli che non sono sole”. “Né soli”, ha aggiunto il tenente colonnello Rolando. “Né soloas”, ha azzardato la Marijose che era venuta per chiedere ai musicanti di fare una versione del Lago dei Cigni ma in cumbia. “Così, allegra, ballabile, affinché i cuori non siano tristi”. I musicanti hanno chiesto cosa sono i “cigni”. “Sono come le anatre ma più belli, come se avessero il collo allungato. Cioè sono come le giraffe ma camminano come le anatre”. “Si mangiano?”, hanno chiesto i musicanti che sapevano che era ormai l’ora del pozol ed erano venuti solo per lasciare la marimba. “Ci credi! i cigni si ballano”. I musicanti si sono detti che poteva andare bene una versione del “polletto con patate”. “Ci penseremo”, hanno detto, e se ne sono andati a bere pozol.

Nel frattempo Defensa Zapatista e Esperanza cercavano di convincere Calamidad che, dato che il SupGaleano era occupato, la sua capanna era vuota ed era molto probabile che avesse nascosto un pacchetto di merendine nella scatola del tabacco. Calamidad era dubbiosa, cosicché hanno dovuto dirle che là avrebbe potuto fare i popcorn. E sono andate. Il Sup le ha viste allontanarsi ma non si è preoccupato perché era impossibile per loro trovare il nascondiglio delle merendine nascoste sotto sacchi di tabacco umido e, rivolgendosi al Monarca e indicando alcuni schemi, gli ha chiesto “Sei sicuro che non affondi? Perché vedi bene che sarà pesante”. Il Monarca ci pensa e dice: “Certo”. E poi, seriamente: “Beh, che portino i palloncini, così galleggeranno”.

Il Sup ha sospirato e ha detto: “più che una barca, quello di cui abbiamo bisogno è un po’ di buon senso”. “E più corda”, ha aggiunto il SubMoy, arrivato giusto nel momento in cui la zattera affondava fino alla cima di carico.

Mentre a riva il gruppo dei Comitati contemplava il relitto e la marimba galleggiare a testa in giù, qualcuno ha detto: “Per fortuna che non abbiamo caricato l’apparecchiatura sonora, che è più costosa”.

Tutti hanno applaudito quando il fantoccio di pezza è venuto a galla. Qualcuno, lungimirante, gli aveva messo due palloncini gonfi sotto le braccia

In fede.
Miau-Guau.

Video:

https://youtu.be/4ba1Yc6lkQc

https://youtu.be/5k-QLyo9Hoc

https://youtu.be/KTmatjyd4KM

Traduzione “Maribel” - Bergamo
Testo originale http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/09/quinta-parte-la-mirada-y-la-distancia-a-la-puerta/

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Sesta parte: UNA MONTAGNA IN ALTO MARE.

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE.

MESSICO.

5 OTTOBRE 2020

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Alle Reti di Resistenza e Disubbidienza:

Alle persone oneste che resistono in tutti gli angoli del pianeta:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

Compagne, compagni y compañeroas:

  I popoli originari di radice maya e zapatisti vi salutiamo e vi diciamo quello che è arrivato nel nostro pensiero comune, secondo quanto vediamo, ascoltiamo e sentiamo.

Primo.- Osserviamo e ascoltiamo un mondo malato nella sua vita sociale, frammentato in milioni di persone estranee tra loro, impegnate nella propria sopravvivenza individuale, ma unite sotto l’oppressione di un sistema pronto a tutto pur di placare la sua sete di profitto, anche quando è chiaro che il suo percorso va contro l’esistenza del pianeta Terra.

  L’aberrazione del sistema e la sua stolta difesa del “progresso” e della “modernità” si scontra con una realtà criminale: i femminicidi. L’omicidio delle donne non ha colore né nazionalità, è mondiale. Se è assurdo e irragionevole che qualcuno venga perseguitato, fatto sparire, ucciso a causa del colore della sua pelle, della sua razza, della sua cultura, delle sue convinzioni, non si può credere che essere donna equivalga a una condanna all’emarginazione e alla morte.

  In una prevedibile escalation (molestie, violenza fisica, mutilazioni e omicidi), con l’avallo dell’impunità strutturale (“se lo meritava”, “aveva dei tatuaggi”, “cosa ci faceva in quel posto a quell’ora?”, ” con quei vestiti, c’era da aspettarselo”), gli omicidi delle donne non hanno logica criminale se non quella del sistema. Di diversi strati sociali, razze diverse, età che vanno dalla prima infanzia alla vecchiaia e in aree geografiche distanti tra loro, il genere è l’unica costante. E il sistema non è in grado di spiegare perché questo vada di pari passo con il suo “sviluppo” e “progresso”. Nella indignante statistica delle morti, più una società è “sviluppata”, maggiore è il numero di vittime in questa autentica guerra di genere.

  E la “civiltà” sembra dire ai popoli indigeni: “la prova del tuo sottosviluppo è nel tuo basso tasso di femminicidi. Prendete i vostri megaprogetti, i vostri treni, le vostre centrali termoelettriche, le vostre miniere, le vostre dighe, i vostri centri commerciali, i vostri negozi di elettrodomestici – con un canale televisivo compreso -, e imparate a consumare. Siate come noi. Per saldare il debito di questo aiuto progressista, non bastano le vostre terre terre, le vostre acque, le vostre culture, le vostre dignità. Dovete completare con la vita delle donne”.

Secondo.- Guardiamo ed ascoltiamo la natura ferita di morte, e che, nella sua agonia, avverte l’umanità che il peggio deve ancora venire. Ogni catastrofe “naturale” annuncia la seguente e dimentica, convenientemente, che è l’azione di un sistema umano a provocarla.

  La morte e la distruzione non sono più una cosa lontana, che si limita ai confini, rispetta i costumi e le convenzioni internazionali. La distruzione in ogni angolo del mondo si ripercuote sull’intero pianeta.

Terzo.- Osserviamo e ascoltiamo i potenti che si ritirano e si nascondono nei cosiddetti Stati nazionali e nelle loro mura. E, in quell’impossibile balzo indietro, rinascono nazionalismi fascisti, ridicoli sciovinismi e assordanti chiacchiericci. In questo avvertiamo le guerre a venire, quelle che si nutrono di storie false, vuote, menzognere e che traducono nazionalità e razze in supremazia che si imporranno attraverso la morte e la distruzione. In diversi paesi c’è una disputa tra i capoccia e coloro che aspirano a succederli, nascondendo che il capo, il padrone, è lo stesso e non ha altra nazionalità se non quella del denaro. Nel frattempo, le organizzazioni internazionali languono e diventano solo nomi, come pezzi da museo … o nemmeno questo.

  Nell’oscurità e nella confusione che precedono queste guerre, ascoltiamo e vediamo l’attacco, l’assedio e la persecuzione di ogni accenno di creatività, intelligenza e razionalità. Di fronte al pensiero critico i potenti chiedono, esigono e impongono il proprio fanatismo. La morte che progettano, coltivano e raccolgono non è solo fisica; include anche l’estinzione dell’universalità propria dell’umanità – l’intelligenza -, i suoi progressi e le sue conquiste. Nuove correnti esoteriche rinascono o vengono create, laiche e no, mascherate da mode intellettuali o pseudo scienze, e le arti e le scienze cercano di essere sottomesse alla militanza politica.

Quarto.- La pandemia di COVID 19 non solo ha mostrato le vulnerabilità dell’essere umano, ma anche l’avidità e la stupidità dei diversi governi nazionali e le loro presunte opposizioni. Le misure di più elementare buon senso venivano disprezzate, scommettendo sempre che la Pandemia sarebbe stata di breve durata. Quando il passaggio della malattia si è sempre più prolungato, i numeri hanno cominciato a sostituire le tragedie. La morte è diventata così un numero che si perde quotidianamente tra scandali e dichiarazioni. Un cupo confronto tra ridicoli nazionalismi. La percentuale di battute e punti guadagnati che determina quale squadra, o nazione, è migliore o peggiore.

  Come dettagliato in uno dei testi precedenti, nei territori zapatisti abbiamo optato per la prevenzione e l’applicazione di misure sanitarie che, all’epoca, sono state confrontate con scienziat@ che ci hanno guidato e offerto, senza esitazione, il loro aiuto. I popoli zapatisti sono loro grati ed è così che abbiamo voluto dimostrarlo. Dopo 6 mesi dall’attuazione di queste misure (mascherine o equivalenti, distanza tra le persone, chiusura dei contatti personali diretti con aree urbane, quarantena di 15 giorni per chi fosse entrato in contatto con persone infette, lavaggio frequente con acqua e sapone), lamentiamo la morte di 3 compagni che hanno presentato due o più sintomi associati al Covid 19 e che hanno avuto contatti diretti con contagiati.

  Altri 8 compagni e una compagna, morti in quel periodo, presentavano uno dei sintomi. Poiché non abbiamo la possibilità di test, presumiamo che tutti i 12 compagn@ siano morti a causa del cosiddetto Coronavirus (gli scienziati ci hanno consigliato di presumere che qualsiasi difficoltà respiratoria potrebbe essere Covid 19). Queste 12 assenze sono nostra responsabilità. Non sono colpa della 4T o dell’opposizione, dei neoliberisti o dei neo-conservatori, degli attivisti da tastiera o snob, delle cospirazioni o complotti. Pensiamo che avremmo dovuto prendere ancora più precauzioni.

  Attualmente, a costo della mancanza di questi 12 compagn@, abbiamo migliorato le misure di prevenzione in tutte le comunità, ora con il supporto di Organizzazioni Non Governative e scienziati che, individualmente o collettivamente, ci guidano nella maniera di affrontare con più forza una possibile recrudescenza. Decine di migliaia di mascherine (progettate appositamente per impedire ad un possibile portatore di infettare altre persone, economiche, riutilizzabili e adattate alle circostanze) sono state distribuite in tutte le comunità. Altre decine di migliaia vengono prodotte nei laboratori di ricamo degli insurgent@s e nei villaggi. L’uso massiccio di mascherine, le due settimane di quarantena per chi potrebbe essere contagiato, la distanza e il lavaggio continuo di mani e viso con acqua e sapone, ed evitando il più possibile di andare in città, sono le misure consigliate anche per i fratelli dei partiti politici per contenere la diffusione dei contagi e consentire il mantenimento della vita comunitaria.

  I dettagli di quella che è stata ed è la nostra strategia potranno essere consultati a tempo debito. Per ora diciamo, con la vita che batte nei nostri corpi, che, secondo la nostra valutazione (che potrebbe essere sbagliata), affrontando la minaccia come comunità, non come una questione individuale, e indirizzando il nostro sforzo principale alla prevenzione, ci permettiamo di dire, come popoli zapatisti: noi siamo qui, resistiamo, viviamo, combattiamo.

  E ora, in tutto il mondo, il grande capitale vuole che si torni nelle strade in modo che le persone possano riprendere il loro status di consumatori. Perché a preoccuparlo sono i problemi del Mercato: il letargo nel consumo delle merci.

  Bisogna riprendere le strade, sì, ma per lottare. Perché, come abbiamo detto prima, la vita, la lotta per la vita, non è una questione individuale, ma collettiva. Ora si vede che non è neppure una questione di nazionalità, è mondiale.

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  Osserviamo ed ascoltiamo molte di queste cose. E ci pensiamo molto.  Ma non solo…

Quinto.- Ascoltiamo e vediamo anche le resistenze e le ribellioni che, non perché tenute sotto silenzio o dimenticate, cessano di essere chiave, indizi di un’umanità che rifiuta di seguire il sistema nella sua veloce corsa al collasso: il treno mortale del progresso che avanza, superbo e impeccabile , verso il precipizio. Mentre il macchinista dimentica di essere solo un altro impiegato e crede, ingenuamente, di decidere il percorso, quando non fa altro che seguire la prigione dei binari verso l’abisso.

  Resistenze e ribellioni che, senza dimenticare il pianto per le assenze, insistono a lottare – chi lo direbbe – per la cosa più sovversiva che c’è in questi mondi divisi tra neoliberisti e neo-conservatori: la vita.

  Ribellioni e resistenze che capiscono, ognuna a suo modo, il proprio tempo e la propria geografia, che le soluzioni non si basano sulla fede nei governi nazionali, che non si sviluppano protette da confini né vestono bandiere e lingue diverse.

  Resistenze e ribellioni che insegnano a noi zapatist@, che le soluzioni potrebbero essere sotto, negli scantinati e negli angoli del mondo. Non nei palazzi governativi. Non negli uffici delle grandi aziende.

  Ribellioni e resistenze che ci dimostrano che, se quelli in alto rompono i ponti e chiudono i confini, non resta che navigare fiumi e mari per ritrovarsi. Che la cura, se c’è, è mondiale, e ha il colore della terra, del lavoro che vive e muore nelle strade e nei quartieri, nei mari e nei cieli, nelle montagne e nelle sue viscere. Che, come il mais originario, molti sono i suoi colori, le sue sfumature e suoni.

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  Tutto questo e altro ancora, guardiamo e ascoltiamo. E ci guardiamo e ci ascoltiamo per quello che siamo: un numero che non conta. Perché la vita non importa, non vende, non fa notizia, non entra nelle statistiche, non compete nei sondaggi, non ha rating sui social, non provoca, non rappresenta capitale politico, bandiera di partito, scandalo alla moda. A chi importa che un piccolo, minuscolo gruppo di nativi, di indigeni, viva, cioè combattano?

  Perché risulta che viviamo. Che nonostante paramilitari, pandemie, megaprogetti, bugie, calunnie e oblii, viviamo. Cioè, lottiamo.

  Questo è ciò a cui pensiamo: che continuiamo a lottare. Cioè, continuiamo a vivere. E pensiamo che durante tutti questi anni abbiamo ricevuto l’abbraccio fraterno di persone del nostro paese e del mondo. E pensiamo che se la vita qui resiste e, non senza difficoltà, fiorisce, è grazie a queste persone che hanno sfidato distanze, procedure, frontiere e differenze culturali e linguistiche. Grazie a tutti e tutte loro – ma soprattutto a tutte loro – che hanno sfidato e sconfitto calendari e geografie.

  Nelle montagne del sud-est messicano, tutti i mondi del mondo hanno trovato, e trovano, ascolto nei nostri cuori. La loro parola e azione sono state cibo per la resistenza e la ribellione, che non sono altro che la continuazione di quelle dei nostri predecessori.

  Persone con le scienze e le arti come loro strada, hanno trovato il modo di abbracciarci e incoraggiarci, anche a distanza. Giornalisti, snob e non, che hanno raccontato la miseria e la morte prima, la dignità e la vita sempre. Persone di tutte le professioni e mestieri che, molto per noi, forse un po’ per loro, sono state qua, e ci sono.

  E abbiamo pensato a tutto questo nel nostro cuore collettivo, e abbiamo pensato che ora è tempo per noi, le/gli zapatisti, di corrispondere all’ascolto, alla parola e alla presenza di quei mondi. Vicini e lontani nella geografia.

Sesto.- E così abbiamo deciso:

  Che è di nuovo tempo che i cuori danzino e che la loro musica e i loro passi non siano quelli del rimpianto e della rassegnazione.

  Che diverse delegazioni zapatiste, uomini, donne e otroas del colore della nostra terra, viaggeremo nel mondo, cammineremo o navigheremo verso suoli, mari e cieli remoti, cercando non la differenza, non la superiorità, non lo scontro, tanto meno il perdono e la pietà.

  Andremo a incontrare ciò che ci rende uguali.

  Non solo l’umanità che anima le nostre diverse pelli, i nostri diversi modi, i nostri diversi linguaggi e colori. Anche e soprattutto, il sogno comune che, come specie, condividiamo da quando, in un’Africa che sembra lontana, abbiamo iniziato a camminare dal grembo della prima donna: la ricerca della libertà che ha animato quel primo passo … e che continua a camminare.

  Che la prima destinazione di questo viaggio planetario sarà il continente europeo.

  Che navigheremo verso le terre europee. Che partiremo e che salperemo dalle terre messicane, nel mese di aprile dell’anno 2021.

  Che, dopo aver attraversato vari angoli d’Europa in basso e a sinistra, arriveremo a Madrid, la capitale spagnola, il 13 agosto 2021 – 500 anni dopo la presunta conquista di quello che oggi è il Messico. E che, subito dopo, proseguiremo il percorso.

  Che parleremo al popolo spagnolo. Non per minacciare, rimproverare, insultare o chiedere. Non per domandare di chiederci perdono. Non per servirlo o per servirci .

  Diremo al popolo spagnolo due semplici cose:

  Uno: Che non ci hanno conquistato. Che continuiamo nella resistenza e nella ribellione.

  Due: Che non devono chiederci di perdonarli di nulla. Basta giocare con il lontano passato per giustificare, con demagogia e ipocrisia, i crimini attuali e in corso: l’omicidio di attivisti sociali, come il fratello Samir Flores Soberanes, i genocidi nascosti dietro megaprogetti, concepiti e realizzati per la felicità dei potenti – cosa che flagella ogni angolo del pianeta -, il supporto economico e l’impunità per i paramilitari, il mercanteggiamento di coscienze e dignità con 30 denari.

  Noi zapatiste e zapatisti NON vogliamo tornare a quel passato, non da soli, tanto meno per mano di chi vuole seminare risentimento razziale e intende alimentare il proprio antiquato nazionalismo con il presunto splendore di un impero, quello azteco, che crebbe a costo del sangue dei loro simili, e che vuole convincerci che, con la caduta di quell’impero i popoli originari di quelle terre furono sconfitti.

  Né lo Stato Spagnolo né la Chiesa Cattolica devono chiederci perdono di nulla. Non ci faremo eco dei commedianti che cavalcano sul nostro sangue e così nascondono le mani che ne sono macchiate.

  Di cosa si scuserà la Spagna? Di aver partorito Cervantes? José Espronceda? León Felipe? Federico García Lorca? Manuel Vázquez Montalbán? Miguel Hernández? Pedro Salinas? Antonio Machado? Lope de Vega? Bécquer? Almudena Grandes? Panchito Varona, Ana Belén, Sabina, Serrat, Ibáñez, Llach, Amparanoia, Miguel Ríos, Paco de Lucía, Víctor Manuel, Aute siempre? Buñuel, Almodóvar e Agrado, Saura, Fernán Gómez, Fernando León, Bardem? Dalí, Miró, Goya, Picasso, el Greco e Velázquez? Alcuni dei migliori pensieri critici mondiali contrassegnati dalla “A” libertaria? La repubblica? L’esilio? Il fratello maya Gonzalo Guerrero?

  Di cosa si scuserà la Chiesa cattolica? Del passo di Bartolomé de las Casas? Di Don Samuel Ruiz García? Di Arturo Lona? Di Sergio Méndez Arceo? Dalla sorella Chapis? Dei passi dei sacerdoti, delle religiose e delle suore laiche che hanno camminato al fianco dei popoli originari senza dirigerli o soppiantarli? Di chi rischia la libertà e la vita per difendere i diritti umani?

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  Il 2021 segnerà il 20° anniversario della Marcia del Colore della Terra, che portiamo avanti, insieme ai popoli fratelli del Congresso Nazionale Indigeno, per rivendicare un posto in questa Nazione che si sta sgretolando.

  20 anni dopo navigheremo e cammineremo per dire al pianeta che, nel mondo che sentiamo nel nostro cuore collettivo, c’è spazio per tutti, tutte, todoas. Molto semplicemente perché quel mondo è possibile solo se tutti, tutte, todoas, lottiamo per risollevarlo.

  Le delegazioni zapatiste saranno composte principalmente da donne. Non solo perché intendono ricambiare l’abbraccio ricevuto nei precedenti incontri internazionali. Anche e soprattutto perché noi uomini zapatisti sappiamo bene che siamo quello che siamo, e non siamo, grazie a loro, per loro e con loro.

  Invitiamo il CNI-CIG a formare una delegazione che ci accompagni e che così sia più ricca la nostra parola per l’altro che combatte lontano. Invitiamo in particolare una delegazione dei popoli che innalzano il nome, l’immagine e il sangue del fratello Samir Flores Soberanes, affinché il suo dolore, la sua rabbia, la sua lotta e resistenza arrivino più lontano.

  Invitiamo coloro che hanno come vocazione, impegno e orizzonte, le arti e le scienze, ad accompagnare, a distanza, le nostre navigazioni e passi. E così ci aiutano a diffondere che nelle scienze e nelle arti c’è la possibilità non solo della sopravvivenza dell’umanità, ma anche di un nuovo mondo.

Insomma: partiremo per l’Europa nell’aprile del 2021. La data e l’ora? Non lo sappiamo … ancora.

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Compagne, compagni, compañeroas:

Sorelle, fratelli e hermanoas:

  Questo è il nostro impegno:

  Di fronte ai potenti treni, le nostre canoe.

  Di fronte alle centrali termoelettriche, le lucine che gli zapatisti hanno affidato in custodia alle donne che combattono nel mondo.

  Di fronte a muri e frontiere, la nostra navigazione collettiva.

  Di fronte al grande capitale, una milpa comune.

  Di fronte alla distruzione del pianeta, una montagna che naviga nell’alba.

  Siamo zapatisti, portator@ del virus della resistenza e della ribellione. In quanto tali, andremo nei 5 continenti.

È tutto… per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

A nome delle donne, uomini e otroas zapatisti.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, ottobre 2020

 P.S. Sì, è la sesta parte e, come il viaggio, proseguirà nella direzione opposta. Cioè, seguirà la quinta parte, poi la quarta, poi la terza, continuerà nella seconda e finirà con la prima.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/10/05/sexta-parte-una-montana-en-alta-mar/

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Sempre al fianco dell’EZLN. Oggi più che mai!

Siempre a lado del EZLN.  ¡Hoy más que nunca!

Come collettivi solidali con la rivoluzione Zapatista iniziata il 1 gennaio del 1994 esprimiamo forte preoccupazione per il clima sempre più violento che sta segnando il presente del Chiapas. Lo scontro per il controllo del territorio sta cambiando le relazioni sociali e politiche anche in questa parte del Messico.

La violenza neoliberista e la politica armano, oggi come ieri, gruppi paramilitari e/o narcotrafficanti per fare il lavoro sporco e perseguire comunità e realtà resistenti. L’esperienza Zapatista subisce oggi una nuova stagione di attacco proprio nel nome delle politiche di sfruttamento del territorio.

Siamo da sempre al fianco dell’esperienza di autonomia delle basi d’appoggio e delle comunità in ribellione vicine all’EZLN. Oggi più che mai!

Como colectivos solidarios con la revolución Zapatista iniciada el 1 de enero de 1994, expresamos fuerte preocupación por el clima cada vez más violento que está marcando el presente en Chiapas.

El combate por el control del territorio está cambiando las relaciones sociales y políticas también en esta parte de México.

La violencia y la política neoliberista arman, hoy como ayer, grupos paramilitares e/o narcotraficantes para hacer el trabajo sucio y perseguir comunidades y realidades en rebeldía y que resisten.

La experiencia Zapatista sufre hoy una nueva etapa de acosos y violencias justo en el nombre de las políticas de explotación del territorio.

Siempre somos al lado de la experiencia de autonomía de las bases de apoyo del EZLN y de las comunidades rebeldes cercanas al EZLN. ¡Hoy más que nunca!

 

Firman:

20zln

Ya Basta – Padova

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo

Cooperazione Rebelde Napoli

Ya Basta Edibese

Ya Basta Bologna

Nodo Solidale

Ya Basta Moltitudia Roma

Progetto Libertario Flores Magon-Milano

Centro Sociale Intifada Empoli

Aldo Zanchetta

Andrea Vento

Italia, 18 settembre 2020

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Chiapas, il ritorno di Paz y Justicia

Luis Hernández Navarro

15 settembre 2020

Il terrore è tornato a Tila, Chiapas, dalla rinascita del gruppo paramilitare Desarrollo, Paz y Justicia. Uno dopo l’altro si succedono attacchi armati, omicidi, assedi ed ogni tipo di aggressione contro gli 836 ejidatarios che hanno recuperato i loro diritti territoriali.

Tra il 1995 e il 2000, Paz y Justicia nella zona nord del Chiapas ha assassinato oltre 100 indigeni chol, cacciato dalle proprie comunità almeno duemila contadini e le loro famiglie, chiuso 45 chiese cattoliche, attentato alla vita dei vescovi Samuel Ruiz e Raúl Vera, rubato più di 3 mia capi di bestiame e violentato 30 donne. Equipaggiati con armi di grosso calibro, i paramilitari controllavano strade, amministravano risorse pubbliche.

Il gruppo civile armato contava sull’appoggio del generale Mario Renán Castillo, capo della settima Regione Militare. Il portavoce castrense confessava – come scrisse Jesús Ramírez Cuevas – che quell’organizzazione era un orgoglio del generale (https://bit.ly/3mik0gy). Giorni prima che il militare lasciasse l’incarico, fu salutato dai leader di Paz y Justicia con parole di complice gratitudine. Non la dimenticheremo mai, signore. Tutto quello che lei ha fatto per noi, obbliga alla gratitudine, gli dissero.

Paz y Justicia è stato l’attore centrale nella guerra di bassa intensità che il governo di Ernesto Zedillo orchestrò contro l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). Cercò di controllare territorialmente il corridoio strategico che mette in collegamento le valli del Chiapas con lo stato di Tabasco e distruggere cn la violenza il processo autonomistico del popolo chol.

Il 2 luglio 1997 il governo chiapaneco decise di consegnare a Desarrollo, Paz y Justicia 4 milioni 600 mila pesos per progetti agroecologici e produttivi. Il documento fu firmato dai capi paramilitari, dall’allora governatore Julio César Ruiz Ferro e da Uriel Jarquín, sottosegretario di Governo dello stato. Il generale Mario Renán Castillo lo firò come testimone d’onore ( Masiosare, 21/12/1997).

Oltre i suoi legami militari, l’iniziativa per formare Paz y Justicia provenne dalle associazioni degli allevatori di Salto de Agua. Nacque al marzo del 1995. I suoi operatori politici furono dirigente priisti di Tila. Secondo una relazione del CDHFBC (https://bit.ly/3mhvTn9), Salto de Agua, Palenque e Playas de Catazajá sono, nella Zona Nord del Chiapas, i municipi nei quali è presente il maggior numero di proprietà private e in cui gli ejidos e le comunità agrarie rappresentano la minore percentuale di proprietà della terra.

Il suo principale capo, oggi in prigione ma prima deputato del PRI, Samuel Sánchez Sánchez, spiegò che la creazione di Paz y Justicia ubbidì alla radicalizzazione dei simpatizzanti zapatisti e perredisti negli ejidos e nelle comunità (di Tila, Sabanilla, Salto de Agua e Tumbalá).

I suoi membri erano parte di Solidaridad Campesino-Magisterial (Socama), organizzazione originariamente formata da parte della dirigenza della sezione 7 della SNTE proveniente dal gruppo Pueblo, guidato da Manuel Hernández, Jacobo Nasar e Pedro Fuentes, ed un gruppo dissidente della CNC, diretto da Germán Jiménez. Il gruppo, che prendeva il nome dal sindacato polacco Solidarnosc, si legolò strettamente con le lotte contadine nello stato. Tuttavia, cominciò la sua deriva filogovernativa a seguito della detenzione dei suoi principali leader nel 1986. Con l’arrivo di Carlos Salinas alla Presidenza divennne rappresentante delle organizzazioni contadine filogovernative e, a partire dall’insurrezione zapatista del 1994, incubatrice di gruppi paramilitari (https://bit.ly/3hvViWq).

La ricostituzione delle comunità chol come popolo e la costruzione della loro autonomia ha una lunga storia. Una storia che, nella sua fase moderna, abbraccia la lotta per la fine del mosojüntel (il tempo in cui eravamo servi), contro l’oppressione kaxlana e delle grandi compagnie produttrici di caffè, la riforma agraria cardenista che permise il recupero della terra, il ritorno alla produzione contadina dei generi di base, la formazione di una chiesa autoctona, l’organizzazione di cooperative di caffè per appropriarsi del processo produttivo, la sollevazione zapatista, la lotta elettorale (1994 e 1995), la riconquista degli ejidos e la formazione di governi autonomi.

All’inizio del nuovo secolo, Paz y Justicia cadde temporaneamente in disgrazia. Prima litigarono tra loro per le risorse economiche. Poi, alcuni dei suoi dirigenti furono arrestati. Tuttavia, riuscirono a ricomporrsi nella regione con la copertura del Partito Verde Ecologista del Messico (PVEM).

Nei fatti, chi ha attaccato l’ejido Tila sono l’ex presidente municipale Arturo Sánchez Sánchez e suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, rispettivamente fratello e nipote di Samuel Sánchez Sánchez che si trova ancora in prigione; l’attuale sindaco Limbert Gutiérrez Gómez, del PVEM, così come il delegato regionale di Paz y Justicia e il segretario tecnico dell’Istituto Chiapaneco di Educazione per Giovani e Adulti, Óscar Sánchez Alpuche, socio di Ismael Brito Mazariegos, segretario di Governo dello stato (https://bit.ly/3mjT93S).

La riattivazione di Paz y Justicia nel nord del Chiapas e la sua politica di terrore non sono un fatto isolato. Altri gruppi paramilitari sono risorti a Chenalhó, Chilón, Oxchuc e Ocosingo immediatamente dopo l’annuncio zapatista dell’espansione dei suoi governi autonomi e la sua opposizione alla costruzione del Treno Maya. La guerra di contrainsurgencia continua.

Fonte: https://www.jornada.com.mx/2020/09/15/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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Comunicato del CNI-CIG sui fatti avvenuti a Tila, Chiapas.

13 settembre 2020

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Con dolore e rabbia denunciamo il vile attacco nel quale è stato assassinato il compagno Pedro Alejandro Jiménez Pérez, dell’ejido Tila, Chiapas, lo scorso 11 settembre, quando il gruppo paramilitare Paz y Justicia insieme a persone vicine alla Giunta municipale, hanno attaccato con armi di grosso calibro gli abitanti di Tila che, su accordo dell’assemblea generale, si dirigeva a liberare i blocchi che questi gruppi avevano installato sulle strade di accesso all’abitato per accerchiare la nostra città dove i paramilitari già lo scorso 25 agosto avevano distrutto un portone di sicurezza.

Oltre all’uccisione del compagno Pedro Alejandro, nell’attacco sono rimasti feriti Medardo Pérez Jiménez, Ángel Vázquez Ramírez e Jaime Lugo Pérez.

Denunciamo che il capo paramilitare Arturo Sánchez Sánchez, suo figlio Francisco Arturo Sánchez Martínez, insieme al presidente municipale Limber Gregorio Gutiérrez Gómez, hanno operato per rafforzare e promuovere l’azione di gruppi armati per distruggere l’autonomia dell’ejido Tila e spogliarlo di un presunto fondo legale per stabilire il loro centro di corruzione e marciume ed aprire la porta al controllo narco-paramilitare.

Attraverso il saccheggio del territorio e con l’appoggio dei tre livelli del malgoverno, hanno cercato di distruggere l’autonomia che tanto è costata al popolo chol di Tila, il quale è e sarà riconosciuto pienamente dal Congresso Nazionale Indigeno e dal Consiglio Indigeno di Governo.

Questi attacchi si inseriscono nell’incremento dell’attività di gruppi armati e la proliferazione di paramilitari intorno alle comunità che formano il Congresso Nazionale Indigeno in Chiapas e le basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, per accerchiare, terrorizzare, sfollare e smantellare le comunità organizzate.

Il partito Morena-Verde-PRI, che è uno solo, appoggia la violenza seminando divisioni, armando i nemici del popolo e con i suoi vili attacchi, acutizzando la guerra che ha il fine di distruggere la vita collettiva delle comunità indigene, con la loro degna resistenza che protegge la nostra madre terra e, come CNI-CIG, agiremo di conseguenza e in solidarietà con l’ejido Tila.

Denunciamo la cinica complicità del governo dello stato e il governo federale che sono responsabili della violenza che cresce, e invitiamo il popolo del Messico e i popoli del mondo ad alzare la voce per fermare la tragedia che si avvicina.

Distintamente.

Settembre 2020

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno- Consiglio Indigeno di Governo

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/comunicado-del-cni-cig-ante-los-hechos-ocurridos-en-tila-chiapas/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/13/ejido-tila-chiapas-desmentimos-falsas-versiones-y-exigimos-justicia-por-la-agresion-armada/

http://www.congresonacionalindigena.org/2020/09/12/ejido-tila-chiapas-denuncia-publica-ataque-armado-a-ejidatarios-que-iban-a-desbloquear-al-grupo-del-ayuntamiento-paramilitar/

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Imparare (a vivere con) la guerra

Gustavo Esteva 8 Settembre 2020

Quegli strani indigeni delle montagne del sud-est messicano, quasi alla fine del secolo scorso, avevano deciso di coprirsi il volto. Indossavano un passamontagna perché il mondo intero, che non aveva voluto vederli per secoli, potesse finalmente vederli. Non brandivano la loro identità, affermavano il diritto alla dignità della vita. Per loro e per tutti. Chiunque, con il volto coperto, può essere Marcos, diceva il loro subcomandante. Nel 2011, poco prima di decidere di scomparire, Marcos mostrava al mondo come su quegli indigeni si impone la paura e la vulnerabilità. Un’imposizione – scrive oggi Gustavo Esteva, che degli zapatisti fu consigliere nelle trattative col governo messicano, al tempo della guerra sucia (sporca) del presidente Calderon – che oggi ha preso la forma-pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana. Serve a imporre condotte che dissolvono l’umano e il confinamento esaspera tutti gli individualismi. Il dispositivo di sicurezza, la mascherina, poi, impedisce di vedere le persone sorridere. Strano il destino delle maschere, no? Oltre vent’anni fa, Marcos ci aveva avvertito che stava cominciando la Quarta guerra mondiale, la guerra di tutti gli Stati contro tutti i popoli. Pensavamo fosse una metafora utile per capire meglio e invece era un avvertimento. Oggi, nel caos che domina il nostro tempo, è quasi impossibile trarre conclusioni analitiche, ma è più che probabile che la tormenta segnalata dal subcomandante Galeano e dalle sentinelle zapatiste sia diventata una vera guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse. Non si distrugge fisicamente il genere umano, in questa guerra. Si distrugge la sua umanità, aveva detto il subcomandante. La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita e, tra le altre cose, fin dal secolo scorso ha creato una nuova classe sociale: le persone di cui si può fare a meno, quelle che la classe dominante decide che non serviranno. Mai, nemmeno per essere sfruttate. Eppure, l’impero delle borse finanziarie affronta e affronterà la ribellione (non simmetrica) delle borse della resistenza. Sono ancora parole di Marcos, che aggiungeva: se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivere, esse sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili

Non abbiamo voluto crederci. Ci aveva avvertito, oltre vent’anni fa, il defunto subcomandante Marcos, ma non abbiamo voluto dargli ascolto. Ci sembrò una metafora utile per l’analisi, non quel che era, un avvertimento. Siamo di fronte a una guerra. Non possiamo continuare a comportarci come se non lo fosse o non ci toccasse direttamente.

La guerra ha aspetti apertamente criminali. Il Messico è già il paese più violento del mondo, in particolare per certe categorie di persone, come i giornalisti, i dirigenti sociali e i difensori dei diritti umani. Con l’attuale amministrazione (quella progressista guidata da Andrés Manuel López Obrador, AMLO, ndt), si verificano già quattro assassinii ogni ora. Zone sempre più ampie del paese vengono controllate con la forza. In alcune di esse a farlo sono i cosiddetti “cartelli”, che distribuiscono risorse o impongono il coprifuoco. In altre c’è la Guardia Nazionale, che ha un numero di effettivi tre volte superiore a quello della guerra di Calderón, oltre alle forze paramilitari e alle squadre d’assalto. Alcune di queste sono una metamorfosi grottesca di organizzazioni sociali, come quelle che hanno appena attaccato le basi di appoggio zapatiste; altre sono frammenti agguerriti usciti dai sindacati confederali, che controllano lo stesso opere pubbliche e sistemi di trasporto. Nulla di tutto questo, naturalmente, si considera corruzione. Viene consentito e promosso dal governo.

La guerra modifica le relazioni sociali e i modelli di vita. Riduce le modalità classiche della condizione operaia ed emargina il sindacalismo, che negli Stati Uniti è già tornato ai livelli degli inizi del XX secolo. In Messico la guerra ha smantellato le nostre capacità produttive mediante il “libero commercio”, che fu siglato da Salinas (il presidente che allora AMLO indicava come “il capo di tutte le mafie”, ndt) e si è approfondito lo scorso anno (con AMLO presidente, ndt) con grande entusiasmo di Trump. I lavoratori del settore manifatturiero si trovano soprattutto nelle maquiladoras, nelle quali prevalgono le donne, molte di loro indigene.

Dagli anni Novanta la guerra ha creato una nuova classe sociale: gli scartabili, coloro che mai vorrà impiegare o usare il capitale. La Banca Mondiale ha progettato, per loro, quelli che saranno di troppo, programmi che li manterranno sotto stretti livelli di sussistenza e permetteranno loro di compiere qualche funzione di consumo. Nell’amministrazione del governo di AMLO chiamano questo programmi sociali.

Già nel 2003, il defunto Marcos sembrava anticipare la forma-pandemia di praticare la guerra, quando descriveva la nuova forma del complesso industriale: “Alcune pecore si tosano e altre vengono sacrificate per ottenere alimenti, le “inferme” vengono isolate, eliminate e ‘bruciate’ perché non contaminino il resto“. In questa guerra, “la dignità, la resistenza, la solidarietà, disturbano”. Non si distrugge fisicamente il genere umano, però lo si distrugge “in quanto essere umano”. Non sono solo i funzionari etnocidi e i sicari a perdere la condizione umana. La perdono anche coloro che si attaccano a dispositivi elettronici che li formattano e li controllano. Nel 2011, poco prima di morire, in una lettera a Luis Villoro, il defunto Marcos mostrava come si impone la paura, l’incertezza e la vulnerabilità, una imposizione che da gennaio ha preso la forma pandemia e ha provocato l’esercizio dell’obbedienza passiva più grande della storia umana, per imporre condotte che dissolvono l’umano. Il confinamento esaspera tutti gli individualismi. La mascherina impedisce di vedere le persone sorridere.

La guerra ha trasformato in nemici le persone di uno stesso settore sociale, nel quale si potevano condividere interessi, essere amici, compagni. Sono, in primo luogo, i desaparecidos che si vedono obbligati ad agire come sicari, oppure coloro che nella vita non trovano altra opzione che una forma di delinquenza, ma sono anche quelli che affidano le proprie illusioni all’apparizione di un qualche messia e poi trasformano in nemici quelli che non ne condividono la fede. Altri ancora formano le onde contrapposte di quello che oggi si chiama “polarizzazione” e che in paesi come gli Stati Uniti prende già forme di guerra civile.

Fin dal 1997, però, lo scomparso Marcos aveva aperto la porta alla speranza. “L’impero delle borse finanziarie affronta la ribellione delle borse della resistenza”, diceva. E aggiungeva: “Se l’umanità ha ancora speranze di sopravvivenza, di essere migliore, quelle speranze sono riposte nelle borse che formano gli esclusi, gli avanzi, gli scartabili”. (Per questa e tutte le citazioni precedenti: Le 7 tessere ribelli del rompicapo globale – La IV guerra mondiale è cominciata a cura di Camminar Domandando).

Nel 2019 quelle borse si stavano moltiplicavano già da ogni parte. Estese mobilitazioni hanno scosso molti paesi. Si sono formati collettivi sempre più autonomi, che presto si consolideranno come nuclei molto solidi di resistenza. L’8 di marzo di quest’anno la speranza ha acquisito un significato nuovo, di peculiare radicalitàLe donne hanno fatto il passo avanti. Hanno rotto coraggiosamente la presunta “normalità” patriarcale, quella che per migliaia di anni ha “naturalizzato” la gerarchia maschile e il suo esercizio violento e distruttivo. Con loro, dal basso e a sinistra, si tesse ogni giorno il limite della guerra e si creano piccole isole di vita nelle quali entrano ancora il piacere e la speranza, sebbene intorno continuino a perseguitare la pandemia e la violenza, in questa guerra opprimente che sembra senza fine.

Fonte: La Jornada. Titolo originale: Aprender guerrahttps://www.jornada.com.mx/2020/09/07/opinion/026a2pol

Traduzione per Comune-info: Marco Calabria – https://comune-info.net/imparare-a-vivere-con-la-guerra/

 

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La Jornada – Venerdì 4 settembre 2020

Stop alla guerra contro l’EZLN

di Gilberto López y Rivas

Una delle caratteristiche dell’attuale governo della 4T è non ascoltare né tanto meno rispondere alle gravi denunce riguardo la riattivazione dei gruppi paramilitari in Chiapas, come quelli cheformano l’Organizzazione Regionale di Coltivatori di Caffè di Ocosingo ( Orcao) che il 22 agosto hanno saccheggiato e incendiato gli edifici del del Centro di Commercio Nuevo Amanecer del Arcoíris, nel municipio autonome Lucio Cabañas (Ocosingo). A questa provocazione si sommano quelle di altri gruppi identficati come paramilitari fin dagli anni ’90 come Paz y Justicia e Chinchulines che, di nuovo, hanno perpetrato diverse aggressioni in varie regioni chiapaneche, in particolare nei municipi di Tila e Aldama. Nelle scrose settimane hanno circolato in rete e su vari mezzi di diffusione locali e nazionali comunicati di appoggio all’EZLN uno dei quali, Alto a la guerra contra los zapatistas, è stato sottoscritto da centinaia di organizzazioni, accademici, artisti e reti solidali di 22 paesi (https://alto-a-la-guerra-contra -lxs-zapatistas.webnode.mx/)

L’aggressione del 22 agosto contro le basi di appoggio zapatiste è la continuità della strategia di contrainsurgencia che i governi precedenti hanno perseguito contro i maya zapatisti, che il Grupo de Acción Comunitaria ed il Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, vent’anni fa ha definito guerra di logoramento integrale che si ritrova nei manuali di contrainsurgencia statunitensi come la successione di piccole operazioni che soffocano a poco a poco il nemico sul terreno politico, economico e militare, evitando, per quanto possibile, azioni spettacolari che suscitino l’attenzione della stampa e dell’opinione pubblica internazionali. (Ora si scommette sulla stanchezza. Chiapas: fondamenti psicologici di una guerra contemporanea, 2002). In questo tipo di guerra è fondamentale il ruolo dei gruppi paramilitari. Secondo uno dei manuali di guerra irregolare della Sedena, non si tratta solo di togliere l’acqua al pesce (le basi di appoggio dell’insurgencia), ma di mettere nell’acqua pesci più aggressivi, cioè, i gruppi paramilitari che contano su organizzazione, attrezzature e addestramento militare, ai quali lo Stato delega il compimento di missioni che le forze armate regolari non possono portare a termine apertamente, senza che questo implichi che si riconosca la loro esistenza come parte del monopolio della violenza statale. I gruppi paramilitari sono illegali ed impuni perché così conviene agli interessi dello Stato. L’ambito paramilitare consiste, dunque, nell’esercizio illegale ed impune della violenza dello Stato e nell’occultamento dell’origine di questa violenza. Come nei governi precedenti apertamente neoliberali e contrainsurgentes, il governo della 4T continua a riprodurre il cosiddetto teatro di guerra. Zósimo Camacho sostiene che oggi il maggiore numero di militari si trova in Chiapas essendo, utilizzando una metafora, l’incudine che mantiene un cerchio di penetrazione sulla regione di conflitt, con i suoi quartieri, guarnigioni, convogli, agenti di intelligence, vigilanza aerea e terrestre, ecc. ecc., mentre i gruppi paramilitari, proseguendo la metafora, sono il martello che batte sulle comunità indigene con azioni come quelle del 22 agosto per cercare di introdurre il terrore, creare le condizioni di espulsione e sfollamento di comunità indigene, coalizzandosi con autorità civili, militari e di polizia, identificando il nemico interno che si rifiuta di seguire la logica del capitale con le sue illusioni di progresso, sviluppo e lavoro precario.

Congiuntamente alle azioni dei gruppi paramilitari, in rete e sui mezzi di comunicazione si è intensificata una campagna mediatica contro i maya zapatisti, con grottesche falsità, come quella che il territorio dell’EZLN sia controllato da un cartello del narcotraffico che fornisce armi agli insorti, che sono analizzate con rigore e confutate in profondità da Luis Hernández Navarro nella sua intervista con Ernesto Ledezma Arronte nel suo programma Rompe Viento TV (https://wwwyoutube.com/ watch?v=gdDNI9m_8).

Purtroppo, e all’unisono con questa campagna, c’è stata una sfortunata e molto preoccupante dichiarazione del Presidente della Repubblica durante la sua conferenza mattutina del 28 agosto, in cui ha stigmatizzato e criminalizzato il lavoro delle persone che operano e difendono i diritti umani, giornalisti, accademici e rappresentanti dei popoli indigeni che si oppongono al progetto del Tren Maya, una dei megaprogetti simbolo del riordinamento territoriale di sviluppo al quale si oppongono anche i maya zapatisti. Con questa dichiarazione il governo della Quarta Trasformazione è salito sul vetusto treno della contrainsurgencia dei suoi predecessori.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2020/09/04/opinion/017a2pol

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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#YoConElEZLN

La Otra Europa exigen que se ponga fin a las actuaciones de paramilitares en contra de las comunidades indígenas zapatistas de Chiapas

 Alto a la guerra contra los pueblos zapatistas!

Al Ejército Zapatista de Liberación Nacional

A los compañeros y compañeras del CNI-CIG

A los Adherentes a la Sexta

A las redes de resistencia y rebeldía

A los medios de comunicación

A las organizaciones en defensa del territorio y de la madre tierra

A los medios de comunicación libres

 

El pasado sábado 22 de agosto, un grupo de paramilitares de la Organización Regional de Cafeticultores de Ocosingo, (ORCAO), asaltó e incendió dos bodegas de las y los zapatistas en el Crucero Cuxuljá, Ocosingo, sobre la carretera federal que va de esta ciudad a San Cristóbal de las Casas y junto a la comunidad zapatista de Moisés Gandhi.

Sobre las 11 de la mañana, un grupo de la ORCAO, encabezado por Tomás Sántiz Gómez, llegaron al lugar y rociaron con gasolina dos casas que incendiaron a continuación, después de saquearlas, pues eran bodegas en donde los habitantes de la comunidad guardaban su grano de café. Afortunadamente, solo hubo daños materiales.

Desde la otra Europa, exigimos que pare la guerra contra los pueblos zapatistas y que se ponga fin a las actuaciones de los grupos paramilitares que como la ORCAO, en Ocosingo, o los grupos armados de corte paramilitar que, procedentes del municipio de Chenalhó, continúan actuando impunemente y atacando a las del Pueblo Tsotsil de Aldama, en los Altos de Chiapas.

Desde la Europa Zapatista, 26 de agosto de 2020.

#YoConElEZLN
#OtroMundoEsPosible
#ORCAOParamilitares

L’Adhesiva, Barcelona
Asamblea de Solidaridad con Mexico – País Valencia, Estado Español, Valencia
Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate Zapatista, Grecia
Ass. Solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai, Catalunya
ASSI – Accion Social Sindical Internacionalista. Estado Español
Associazione Ya Basta! Milano
Associazione Ya Basta Caminantes – Padova
Centro de Documentacion sobre Zapatismo (Cedoz), Estado Español, Madrid
CGT, Estado español
Chispa de Solidaridad con l@s Zapatistas y los Pueblos Indigenas, Atenas Grecia.
Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, Italia
Comité de solidarité avec les Indiens des Amériques – CSIA-Nitassinan (Paris, Francia)
Confédération Nationale du Travail (CNT-f)
Cooperazione Rebelde Napoli – Italia
Corsica Internaziunalista (Bastia, Còrsega)
CSPCL (Comité de Solidaridad con los Pueblos de Chiapas en Lucha) Paris, Francia
Espiral de solidaridad semilla de resistencia, Grecia
Espoir Chiapas – Esperanza Chiapas, Francia
Groupe de soutien à Leonard Peltier – LPSG-France (Paris, Francia)
Grupo de Chiapas- LAG Noruega
Gruppe B.A.S.T.A. , Münster, Alemania
Humanrights – Chiapas, Suiza, Zurich
LaPirata:
– Colectivo Nodo Solidale Mexico
– Colectivo Nodo Solidale Roma, Italia
– Colectivo Zapatista Lugano, Suiza
– Adherentes Individuales Italia, Alemania, Francia
Mut Vitz 13
Red Ya-Basta-Netz Alemania
txiapasEKIN, País Vasco
Union syndicale Solidaires, Francia
Y Retiemble, Estado Español, Madrid
Ya Basta Moltitudia Roma

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Se s’incendia il Chiapas

Luis Hernández Navarro

26 Agosto 2020

Già all’inizio dello scorso anno il sottosegretario con la delega per i diritti umani del governo progressista messicano di López Obrador aveva riconosciuto la presenza dei gruppi paramilitari, a differenza delle autorità politiche dello Stato del Chiapas che si ostinano spudoratamente a negarla. Quel che il governo centrale federale non ha alcuna intenzione di discutere apertamente sono le ragioni e gli obiettivi di quella presenza e la loro funzione politica. Se lo facesse, dovrebbe ammettere che non solo non si è affatto impegnato a contrastarne la violenza armata ma che l’attività paramilitare contrainsurgente è parte integrante e sostanziale, né più né meno che nel passato, della militarizzazione del territorio e di una strategia che ha la sua origine nello Stato stesso. L’asse portante di quella strategia è infatti la rimozione e la repressione degli ostacoli più tenaci ai progetti di sviluppo fondati sull’estrattivismo, cioè sull’espropriazione delle risorse della terra e dei popoli e l’accumulazione di capitali. Si prepara un grande salto di qualità di quella guerra a bassa intensità che fin dall’avvio dall’insurrezione zapatista, 26 anni fa, non è mai cessata? Probabilmente sì, le molte e complesse conseguenze della pandemia che ha devastato il Messico come pochi altri paesi latinoamericani aprono scenari inediti e il governo di López Obrador ha certo bisogno di grandi accelerazioni per i mega-progetti che intende portare avanti a qualsiasi costo. Il tentativo di indebolire (o almeno impegnare) gli zapatisti aprendo strumentali conflitti incendiari locali nella speranza di contrastarne il consolidamento territoriale seguito alla creazione dei nuovi caracoles è un passaggio di essenziale rilevanza. Per tutto il Messico e per tutto il mondo indigeno. Se poi Luis Hernández, uno dei quattro o cinque giornalisti che meglio conoscono le vicende zapatiste, titola questo suo articolo Chiapas arde è assai probabile che l’incendio sia già divampato.

Il Chiapas arde. I padroni hanno sciolto le redini e loro, i paramilitari incoraggiati, fanno il proprio lavoroAttaccano con armi da fuoco le comunità ribelli e si concedono il lusso, come a Santa Martha, di esibirsi in pubblico con le armi e le uniformi e perfino di disarmare agenti della polizia preventiva dello Stato.

Il 22 agosto un gruppo di trasportatori appartenenti all’Organizzazione Regionale dei Coltivatori di caffè di Ocosingo (Orcao), che vivono nel municipio di Oxchuc, con alla testa Tomás Santiz Gómez, ha sparato, saccheggiato e incendiato due magazzini di caffé delle basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), nella comunità di Cuxuljá, nel municipio ribelle di Moisés Gandhi (Ocosingo, per la nomenclatura ufficiale).

Nel mese di agosto, ben 13 comunità del Pueblo Maya Tsotsil di Aldama, assediate dai paramilitari provenienti da Santa Martha, Chenalhó, sono state costrette ad abbandonare le proprie case o a barricarsi. Foto Desinformémonos

Cuxuljá è un piccolo villaggio ai piedi della strada che unisce San Cristóbal a Ocosingo. È circondato da otto municipi autonomi zapatisti ed è un punto di incontro per diverse comunità. È stato occupato dall’Esercito fino al 2001. I soldati si sono ritirati da quella postazione per rispettare le tre condizioni che l’EZLN aveva preteso dal governo di Vicente Fox per ristabilire il dialogo.

Il ritiro delle truppe, però, non ha “pacificato” la zona. Non appena il dialogo è fallito, per l’approvazione di una riforma costituzionale sui diritti e le culture indigene che tradiva gli accordi presi dal governo a San Andrés, sono cominciate le aggressioni dei gruppi paramilitari di Orcao contro le basi ribelli di quella comunità. Il loro obiettivo era occupare il territorio lasciato dalle truppe regolari.

L’Orcao non è sempre stata così. Per alcuni anni ha avuto una relazione stretta con lo zapatismo. Tuttavia, tra il 1997 e il 1999, la sua direzione ha aperto il conflitto con le basi sociali ribelli, grazie agli appoggi economici e ai posti di governo offerti ai suoi dirigenti. Con l’arrivo al governo del Chiapas di Pablo Salazar (2000-06), il conflitto ha avuto una escalation. Nel 2002 le aggressioni dell’organizzazione dei coltivatori di caffè contro le basi zapatiste si sono drammaticamente intensificate, fino al punto di distruggere un mural zapatista. L’Orcao era diventata una forza paramilitare.

L’Organizzazione si era formata nel 1988, con 12 comunità di Sibacjá, nel municipio di Ocosingo. In poco tempo si erano aggiunti altri centri abitati, fino a diventare quasi 90. Le sue rivendicazioni originarie chiedevano migliori prezzi per il caffè (nel 1989 il prezzo crollò drasticamente) e una soluzione per le dispute legali agrarie. Sotto l’influenza del lavoro pastorale progressista, nel 1992, nel quadro delle celebrazioni dei 500 anni della resistenza indigena, nera e popolare, la Orcao rivendicava ancora l’auto-determinazione indigena e si opponeva alla riforma costituzionale dell’articolo 27 chiedendo libertà, giustizia e democrazia.

Poi, però, è cominciata una decomposizione irrefrenabile. Nel 2005 l’Orcao fu praticamente espulsa dalla Unione Nazionale delle Organizzazioni Regionali Contadine Autonome (Unorca). Si divise al proprio interno, due gruppi si contendevano la direzione. Quello di José Pérez, legato ai Verdi e al controllo dei trasporti dei passeggeri, e quello di Jian Vazquez, orientato alla produzione e favorevole alla riconciliazione con il governo di Juan Sabines. Sempre alleati ai governi di turno, i leader dell’Orcao erano interessati solo al tornaconto personale e ai posti nell’amministrazione pubblica. Molti di loro entrarono nel PRD e nel PVEM e adesso in Morena (il partito di López Obrador, ndt).

C’è una lunga storia di aggressioni della Orcao contro Cuxuljá. Con l’insurrezione del 1994, le basi di appoggio dell’EZLN (un collettivo di 539 campesinos) hanno ottenuto 1.433 ettari di terra espropriati ai proprieteri terrieri. Posseggono un Atto di consegna e ricevimento delle terre da parte della Segreteria della Riforma Agraria.

Gli zapatisti lavorano la terra in forma collettiva e rifiutano di dividerla individualmente. Assicurano che farlo significherebbe tornare a prima del 1994. Tuttavia, un piccolo gruppo della Orcao, che abbandonò la comunità e vendette le proprie case, appoggiato all’inizio dall’Esercito federale e dalla polizia, insiste da 19 anni nel voler frazionare l’appezzamento, stilare certificati di proprietà e vendere individualmente ciò che è il prodotto di una lotta comune.

Gli attacchi della Orcao contro le basi di appoggio dell’EZLN in questi anni sono stati una costante. Non si limitano a Cuxuljá, ma comprendono diversi municipi. L’ultimo è stato quello del 23 febbraio a Chilón, quando la Orcao, i Chinchulines (altro noto gruppo di paramiliari attivo in Chiapas, ndt) e alcuni membri di Morena sequestrarono e violentarono alcuni rappresentanti della comunità, una rappresaglia contro la partecipazione alle Giornate in Difesa del Territorio e della Madre Terra. Samir Siamo Tutte e Tutti.

Queste aggressioni sono state effettuate regolarmente nel quadro di un’offensiva governativa per cercare di debilitare gli zapatisti e contenere la loro avanzata. Non sono il prodotto di una lotta tra le comunità ma il risultato di una strategia dello Stato per creare conflitti interni. I governi di turno (perfino quello attuale) appoggiano la Orcao con risorse economiche, progetti produttivi (molti dei quali di allevamento), copertura politica e impunità da parte della polizia, al fine di erodere e logorare il consenso dell’EZLN.

Solo un anno fa, i ribelli hanno annunciato la creazione di sette nuovi Caracoles, che andavano ad aggiungersi ai cinque esistenti. Così facendo dispongono di 43 sedi di auto-governo, senza alcuna relazione con gli organi di governo ufficiali. L’EZLN ha annunciato inoltre la sua opposizione al Tren Maya e al Corridoio Interoceanico. La nuova battaglia di Cuxuljá e la guerra senza soluzione di continuità dei paramilitari di Chenalhó sono parte di una strategia di contenimento contro quello sviluppo dello zapatismo. Una strategia che non sembra affatto preoccupata dell’incendio dello Stato.

fonte: La Jornada. Titolo della versione in lingua originaleChiapas arde

Traduzione per Comune-info: marco calabria

 

 

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Incendiate due botteghe di caffè di simpatizzanti dell’EZLN.

Due botteghe di caffè di simpatizzanti dell’EZLN situate nella comunità di Cuculiá, vicino ad Ocosingo, sono state saccheggiate ed incendiate da un gruppo di trasportatori della ORCAO, residenti nel municipio di Oxchuc.

Intorno alle 11 del mattino un gruppo di persone è entrato nella comunità ribelle dell’EZLN Moisés Ghandi, e lì hanno sparso benzina e dato fuoco a due case, dove fortunatamente non si sono avute perdite di vite umane ma solo danni materiali.

Il gruppo della Orcao, capeggiato da Tomás Sántiz Gómez, prima di dare fuoco all’immobile, ha saccheggiato la bottega dove viene conservavano il caffè in chicchi, prodotto dei raccolti degli indigeni di questa comunità.

Il conflitto sembra dovuto ad una disputa sulla terra, in quanto quelli della ORCAO sostengono che il raccolto è loro perchè si trova sul loro territorio.

In questo senso, i membri del Congresso Nazionale Indigeno (CNI) della comunità autonoma di Buena Vista, San Manuel, Chiapas, in un comunicato firmato da Jimmy de Jesús Encinos Santiz, dicono di essere in massima allerta e in attesa delle indicazioni dei comandanti dell’EZ e del comitato rivoluzionario clandestino, “per contrattaccare e uccidere coloro che hanno danneggiato i nostri compagni”.

Fonte: https://www.elheraldodechiapas.com.mx/local/municipios/queman-bodegas-de-cafe-de-simpatizantes-del-ezln-puesblos-indigenas-agresiones-bodegas-quemadas-5659475.html

 

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Ayotzinapa, identificati i frammenti ossei di uno dei 43 studenti desaparecidos

di Christian Peverieri8 luglio 2020

Christian Alfonso Rodriguez Telumbre, uno dei 43 normalistas vittima di sparizione forzata la notte tra il 26 e il 27 settembre 2014, è stato identificato: appartengono a lui i frammenti ossei ritrovati nella Barranca de la Carnicería nel novembre scorso dall’equipe della Fiscalía General de la República (FGR), coadiuvata dall’Equipo Argentino de Antropología Forense (EAAF) e dai rappresentanti dei genitori del Centro Prodh e di Tlachinollan.

L’annuncio è stato dato martedì sera da Omar Gómez Trejo, giudice speciale del caso Ayotzinapa, che ha spiegato come è avvenuto il ritrovamento dei frammenti ossei e il percorso effettuato per arrivare a questa conclusione. Tra il 20 e il 28 novembre scorso, l’equipe speciale della FGR che indaga sul caso, accompagnata dalla EAAF e dai rappresentanti dei genitori, grazie a nuove informazioni ricevute, ha effettuato un nuovo sopralluogo nella Barranca de la Carnicería, un luogo isolato a soli 800 metri dalla tristemente famosa discarica di Cocula.

La Barranca de la Carnicería era già stata setacciata nel 2014 senza che fosse rinvenuto niente. A distanza di cinque anni invece sono numerosi i frammenti ossei ritrovati, addirittura un centinaio. Di questi ritrovamenti non tutti hanno potuto essere sottoposti ad analisi per il deterioramento subito. I pochi frammenti utilizzabili per le analisi, quindici, sono stati inviati poi all’Università di Innsbruck che ha provveduto a una approfondita indagine scientifica. Il risultato su uno di questi campioni (corrispondente a un osso della gamba) è risultato positivo e ha confermato che appartengono al giovane ragazzo nativo di Tixtla. Tutto il percorso, dal ritrovamento, al viaggio in Europa, alle analisi, sono state condotte con il supporto e l’accompagnamento della EAAF e dei rappresentanti dei genitori del Centro Prodh e di Tlachinollan. 

La EAAF dopo aver confermato i risultati del laboratorio austriaco, successivamente «ha formulato un’opinione genetica supplementare, con ulteriori calcoli statistici sulla probabilità di parentela e genetica della popolazione che produce un tasso di parentela superiore al 99,99%, tenendo conto delle variabili statistiche applicabili a questo caso» che di fatto danno la certezza dell’appartenenza dei frammenti ossei al normalista Christian. 

In conferenza stampa, Omar Gómez Trejo ha annunciato che nelle prossime settimane e mesi sono attesi ulteriori risultati dagli altri frammenti ossei sottoposti ad analisi e ha sottolineato, come fatto la settimana scorsa dal presidente della FGR Alejandro Gertz Moreno, che questa amministrazione ha rotto il patto di impunità che vigeva mettendo in risalto la responsabilità della precedente amministrazione di Enrique Peña Nieto. Per la FGR con questi nuovi avanzamenti nelle indagini viene ristabilito il diritto alla verità e alla giustizia. Video conferenza stampa https://youtu.be/6QtZKM6NVFU

Per i genitori di Christian e degli altri 42 ragazzi scomparsi hanno parlato, come succede abitualmente, gli avvocati del Centro Prodh: «data l’identificazione genetica di Christian Alfonso Rodriguez Telumbre, effettuata dall’Università di Innsbruck e verificata dalla EAAF, ribadiamo la nostra solidarietà e affetto per la sua famiglia e chiamiamo a rispettarla in questo momento difficile. L’identificazione conferma che la verdad histórica era una fabbricazione che violava il diritto alla verità. Di fronte a questo, riconosciamo il lavoro etico e professionale svolto da EAAF, GIEI, CIDH, ONUDH Mexico, IMU e COVAJ. Le famiglie hanno detto che accetteranno la verità tanto dolorosa fintanto che sarà stata sostenuta da prove scientifiche; questa identificazione conferma che ci sono ancora innumerevoli aspetti da chiarire. Le indagini devono continuare fino a quando non chiariamo pienamente ciò che è accaduto, punire sia i responsabili della scomparsa sia i responsabili della manipolazione. Le famiglie dei 43 ragazzi e delle migliaia di famiglie con persone scomparse hanno diritto alla verità. L’identificazione di Christian mostra l’importanza di promuovere straordinari meccanismi di identificazione forense, con accompagnamento internazionale».

L’identificazione dei frammenti ossei del giovane “ayotzinapo” lascia aperti però ancora molti interrogativi. Primo tra tutti come sia stato possibile il ritrovamento a cinque anni dai fatti in un luogo che comunque era già stato perlustrato nel 2014 senza che fosse stato trovato nulla di pertinente al caso. Sebbene sia lodevole l’impegno profuso dalle autorità per la ricerca dei ragazzi e per arrivare alla verità tuttavia le recenti novità non hanno risposto a tali dubbi lasciando aperto il campo a numerose ipotesi sul perché quei frammenti siano stati ritrovati dopo così tanto tempo.

È innegabile tuttavia che l’identificazione di Christian sia uno spartiacque fondamentale nel cammino verso la verità e la giustizia, l’ennesima prova che rompe definitivamente con la cosiddetta “verdad histórica” con la quale per anni le autorità messicane hanno cercato di occultare le proprie responsabilità nell’agguato ai normalistas e nella successiva sparizione forzata dei 43 studenti.

A tutti noi che da anni accompagniamo i genitori in questa battaglia per la dignità contro uno dei più spregevoli crimini di cui istituzioni ignobili possano rendersi complici e responsabili, non resta che stringerci silenziosamente attorno alla famiglia di Christian in questo difficile momento, con la consapevolezza che qualsiasi altra notizia d’ora in avanti sarà senza più confortante dell’oblio a cui sono stati costretti a convivere da anni i genitori e i familiari dei ragazzi scomparsi.

Chi era Christian Alfonso Rodriguez Telumbre

Il Superman ballerino (Tratto da Centro Prodh)

Di Patricia Sotelo

Christian è l’unico figlio maschio di Clemente Rodriíguez e Luz María Telumbre e ha tre sorelle che anelano il suo ritorno. È cresciuto nel quartiere di Santiago, a Tixtla, Guerrero e aveva 16 anni quando è sparito.

Alto, moro e con occhi scuri, Christian sogna di studiare per costruirsi un futuro e aiutare la sua famiglia. Ma ciò che più di tutto lo entusiasma è la danza folclorica che pratica fin da quando era bambino. Nella sala della Casa de Cultura de Tixtla dove provava, mancano i colpi di tacco degli stivali bianchi di Christian sul pavimento di legno.

Ballava nel gruppo di danza folclorica Xochiquetzal e i suoi compagni di ballo lo ricordano quando arrivava alle prove mangiando un elote e con il suo zainetto beige con gli spallacci lunghi che gli attraversavano il petto. Lì metteva i suoi stivali da ballo. Lo chiamavano Clark, soprannome guadagnato per i suoi occhiali neri con montatura grossa simili a quelli del giornalista che si trasformava in Superman, Clark Kent. 

I suoi amici della preparatoria 29 lo chiamano “Soncho” o “Sonchito” e nella scuola normal rural di Ayotzinapa lo conoscono come “Hugo” dal momento che gli piace usare la tshirt della marca Hugo Boss. Si è diplomato con una media di 8,74 e i suoi maestri lo ricordano come un alunno serio e rispettoso. 

È entrato ad Ayotzinapa perché non aveva altra scelta, visto che in realtà desiderava diventare veterinario o insegnante di sostegno ma la sua famiglia non aveva i mezzi per sostenere queste carriere. Nella sala dove Christian praticava la danza regionale ci sono ancora i suoi stivali bianchi, con i quali era solito provare. Il suo maestro li tiene per quando ritornerà a calpestare il pavimento con l’entusiasmo di un gran ballo.

** Pic Credit: Octavio Gómez

https://www.globalproject.info/it/mondi/ayotzinapa-identificati-i-frammenti-ossei-di-uno-dei-43-studenti-desaparecidos/22898

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#20ZLN

3182. Un viaggio nel Messico delle migrazioni e del primo anno di governo AMLO

3182 sono i chilometri che separano il sud dal nord del Messico. Tapachula e Tijuana sono l’inizio e la fine del sogno americano per i migranti. 3182 è un diario di viaggio del collettivo #20ZLN fatto di voci e volti che cercano di raccontare le complessità e gli squilibri tra stato, politica, economia legale e illegale. Sono chilometri di contraddizioni, oppressioni, resistenze, speranze e costruzione di qualcosa di diverso.

Grazie a Desinformémonos il 21 giugno è stata diffusa la “prima” del documentario “3182. Un viaggio nel Messico delle migrazioni e del primo anno di governo AMLO”.

Qui il link per riguardarlo

https://www.youtube.com/watch?v=bNUV-DwkEVI&t=17s&fbclid=IwAR3-QgH91q_LsiDt0FQifoL_Gzq0oYauQVHbxQ8ifsm2OvO7u9O-G0gEr-0

https://www.youtube.com/user/desinformemonos

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Frayba: Monitoraggio tra le comunità indigene dell’emergenza sanitaria da SARS-COV-2

Nelle ultime settimane diverse organizzazioni della società civile hanno unito gli sforzi realizzare un monitoraggio nelle comunità indigene ed equiparabili con le quali lavorano su diverse tematiche. Questo monitoraggio ha lo scopo di identificare le condizioni di vita durante la pandemia e le ripercussioni da fattori interni ed esterni, per coordinare azioni di appoggio e solidarietà.

Questo lavoro non ha la pretesa di essere una prova statistica della situazione nelle comunità indigene, tuttavia riteniamo che per l’importanza analitica delle informazioni raccolte, questo rapporto fornisce alcune chiavi per comprendere il contesto in cui si sta vivendo la pandemia nelle comunità indigene ed equiparabili. 

QUI la versione scaricabile in PDF Primer-informe-del-monitoreo-a-comunidades-indigenas-y-equiparables-ante-la-emergencia-sanitaria-por-el-virus-SARS-COV-21

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Le Forze Armate messicane in funzione di ordine pubblico, gestione e controllo del paese.

COOPERAZIONE REBELDE NAPOLI·- 14 maggio 2020·

Felipe Calderón, una volta usurpata la presidenza della Repubblica Messicana mediante la frode elettorale del 2006, rafforzò il suo potere utilizzando le forze armate con funzioni di polizia e di pubblica sicurezza e nella famosa “guerra al narcotraffico” diede la possibilità alle forze armate di effettuare decine di assassini indiscriminati ad uso dei cartelli di cui erano riferimento in ognuno degli stati della Federazione. Con la scusa della guerra al narcotraffico si diede la possibilità di fare decine di assassini e sparizione di attivisti sociali e oppositori delle politiche governative. Calderón contravvenne a quanto stabilito dalla Costituzione degli Stati Uniti Messicani che stabilisce che in tempi di pace i militari devono rimanere nelle loro caserme.

Peña Nieto ha continuato con questa flagrante violazione costituzionale con il suo tentativo di utilizzare le forze armate ed ha cercato di consentirne promulgando la Legge sulla Sicurezza Interna, ma la Corte Suprema di Giustizia (SCJN) la definì incostituzionale e quindi anche questo tentativo fallì.

Nei fatti, la militarizzazione è continuata ed ha provocato, in entrambi i sessenni (ogni mandato presidenziale dura sei anni), gravi e ripetute violazioni dei diritti umani da parte delle forze armate che più che risolvere ha aggravato il tema della sicurezza pubblica.

Durante questi due sessenni Andrés Manuel López Obrador, stando all’opposizione, ha ripetutamente dichiarato che le forze armate non erano predisposte per le funzioni di pubblica sicurezza ed ha sempre dichiarato che il contrasto alla criminalità doveva concentrarsi più che sull’uso della forza sul contrasto alle ragioni che la causavano: povertà, mancanza di opportunità di sviluppo, istruzione ecc.

Ancora di più durante la sua campagna elettorare del 2018 ha promesso al popolo che se fosse approdato alla presidenza, i militari sarebbero tornati nelle caserme, perché con le misure che avrebbe preso non sarebbe stato più necessaria la loro presenza nelle strade.

Uno degli slogan della campagna elettorale, in linea con la sua linea di critica alla militarizzazione degli anni passati all’opposizione fu “abrazos y no balazos” (abbracci e non pallottole). Il nuovo mantra ora è “El Ejército es bueno, porque el Ejército es pueblo” (L’Esercito è buono perchè l’Esercito è popolo).

Tutte le promesse della campagna elettorale sono state presto tradite e anzi velocemente ha provveduto alla creazione della Guardia Nazionale, una forza militare incaricata delle attività di pubblica sicurezza sostituendo in questo la Polizia Federale, più volte segnata dalla corruzione e dal malaffare ma da cui sono stati reclutati molti membri della nuova forza militare che nelle sue file conta anche moltissimi ex militari.

Come per i sessenni precedenti questa strategia di contrasto non ha funzionato e la violenza criminale continua a crescere senza controllo. Ora ancora una volta, proprio come Calderon e Peña Nieto, AMLO scommette sull’intervento dell’esercito per riempire i vuoti di potere che stanno segnando la sua incapacità come Presidente della Repubblica.

Approfittando della situazione di emergenza sanitaria che attraversa il paese e sapendo che non ci sarà una efficacia resistenza, ha emesso un decreto per utilizzare l’Esercito e la Guardia Nazionale in maniera congiunta per svolgere funzioni di polizia durante tutto il tempo del suo sessennio.

L’aumento del peso dei militari in questo periodo di presidenza di AMLO non si è limitato solo alla sicurezza. Negli ultimi due anni i militari hanno assunto incarichi che vanno dalla distribuzione di medicinali alla vigilanza di oleodotti della Pemex (la compagnia petrolifera messicana), alla lotta contro l’invasione delle alghe sulle coste o alla gestione dei soldi di alcuni “programmi sociali”. Nella stessa data di emanazione del decreto la Secretaria de Defensa (Sedena) ha iniziato la costruzione di 26 succursali del banco sociale del Governo che gestisce gli aiuti. In totale si costruiranno 1350 sedi bancarie per un investimento di circa 3000 milioni di pesos (all’incirca 60 miliardi di euro).

Ma la ciliegina sulla torta si è avuta nello scorso marzo con la conferma che la costruzione e la gestione del nuovo aeroporto di Città del Messico ricadrà in mani militari. L’Esercito non solo costruirà il terminal ma si occuperà delle operazioni civili e commerciali mediante una società la cui direzione sarà tenuta da militari. Per completare il processo di militarizzazione in atto nella società messicana l’Esercito aiuterà nella costruzione di due rami del Tren Maya, l’opera pubblica bandiera di questa presidenza insieme al nuovo aeroporto.

Ora appare più chiaro cosa intendeva quando ha detto che la pandemia del Covid-19 fasciava come un anello al dito per consolidare il suo processo della 4° Trasformazione.

Con questo continua il processo di imposizione dei progetti di spoliazione e devastazione dei territorio, anche il progressista AMLO, con le buone o con le cattive si mette al servizio del neoliberismo.

Di seguito un estratto del testo pubblicato sul Diario Ufficiale della Repubblica, la nostra Gazzetta Ufficiale, in cui Andrés Manuel López Obrador ad un anno dalla costituzione della Guardia Nazionale fa un ulteriore passo verso una completa militarizzazione per poter rispondere alla resistenza contro i mega progetti come il Tren Maya, il Corridoio Transistimico, le Miniere a cielo aperto e le coltivazioni intensive che distruggono molti territori da nord a sud del Messico.

ACCORDO

PRIMO. Si ordina alle Forze Armate di partecipare in maniera straordinaria, regolata, controllata, subordinata e complementare con la Guardia Nazionale alle funzioni di pubblica sicurezza che sono in carico di quest’ultima, durante il tempo in cui questa istituzione di polizia sviluppa la sua struttura, capacità e strutturazione territoriale, senza che tale partecipazione superi cinque anni a decorrere dall’entrata in vigore del decreto con il quale si riformano, aggiungono e abrogano diverse disposizioni della Costituzione politica degli Stati Uniti messicani, in relazione alla Guardia Nazionale, pubblicato il 26 marzo 2019 nella Gazzetta ufficiale della Federazione.

SECONDO. Le Forze Armate, nel sostegno allo svolgimento dei compiti di pubblica sicurezza di cui al presente accordo, svolgono i compiti assegnati conformemente alle attribuzioni previste dai comma I, II, IX, X, XIII, XIII, XIV, XV, XVI, XXV, XXVII, XXVIII e XXXIV dell’articolo 9 della Legge sulla Guardia Nazionale.

TERZO. Nel sostegno all’espletamento dei compiti di pubblica sicurezza, le Forze Armate sono regolate in ogni momento dalla rigorosa osservanza e rispetto dei diritti dell’uomo, nei termini dell’articolo 1 della Costituzione politica degli Stati Uniti Messicani e osserverà la Legge Nazionale sull’Uso della Forza e delle altre norme in materia.

QUARTO. Si dà incarico al Segretario della Sicurezza e della Protezione Cittadina di coordinarsi con i segretari della Difesa Nazionale e della Marina per definire il modo in cui le attività delle Forze Armate completeranno la funzione della Guardia Nazionale.

QUINTO. I compiti svolti dalle Forze Armate nell’adempimento del presente strumento sono sotto la supervisione e il controllo dell’organo interno di controllo da cui dipendono.”

foto: – Militari messicani ad una parata

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ALTRECONOMIA N. 226 – Maggio 2020
Tra le famiglie zapatiste che producono caffè in Chiapas
Dal 2016 al 2019 il conflitto tra Aldama e Santa Martha ha causato 25 morti e 14 feriti
Reportage dal municipio di Aldama, in Messico, dove i soci della cooperativa Yach’il Xojolabal ottengono i chicchi resistendo alle aggressioni dei gruppi armati. Tra chi li supporta ci sono diverse realtà del commercio equo italiano.
Testo e foto di Orsetta Bellani

Araceli ha tre anni e sa che quando sparano si deve buttare a terra. Gliel’hanno insegnato dopo che, il 22 gennaio 2019, una pioggia di pallottole ha colpito la cucina di casa sua. Quel giorno sua madre, sua zia e sua nonna stavano preparando le tortillas quando dal vicino villaggio di Santa Martha, che si trova nel Municipio di Chenalhó, nel meridionale Stato messicano del Chiapas, giunse una raffica che bucò le pareti di legno della cucina e fece a pezzi il tetto in lamiera. “Vogliamo costruire un muretto di cemento fuori dalla cucina, in modo che se sparano di nuovo le pallottole non possano penetrare”, dice suo padre Abraham.


Araceli vive nel villaggio indigeno maya tsotsil di San Pedro Cotzilnam, che si trova nel Municipio di Aldama in Chiapas. Circa la metà dei suoi abitanti sono basi d’appoggio, cioè civili, dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN). La famiglia di Araceli e Abraham è una delle circa 700 famiglie zapatiste che fanno parte della cooperativa di caffè Yach’il Xojolabal, che in lingua maya tsotsil significa “nuova luce del cielo”.
La cooperativa è stata fondata nel 2001 e produce circa 62 tonnellate di caffè all’anno. Vende una quota della sua produzione a Tatawelo, Malatesta e Ya Basta – che lo distribuisce in Italia come Caffè Rebelde Zapatista-, associazioni italiane che garantiscono un prezzo equo ai produttori chiapanechi. Una parte del caffè che beviamo ogni giorno viene quindi da queste montagne che superano i duemila metri sul livello del mare, coperte di boschi, campi di mais e caffè, e in cui le sparatorie sono all’ordine del giorno.
I gruppi armati di tipo paramilitare non attaccano gli abitanti di Aldama perché sono zapatisti. Si appostano nel villaggio di Santa Martha, sulla montagna antistante San Pedro Cotzilnam, e da lassù sparano contro zapatisti e non zapatisti, contro automobili e case, di giorno e di notte.
Il conflitto è iniziato nel 2016, dopo che gli abitanti di Aldama hanno negato a quelli di Santa Martha l’utilizzo di una fonte di acqua potabile. Fu allora che iniziarono a sparare ma le tensioni esistono dagli anni 70, quando in un ufficio pubblico della capitale decisero di spostare la frontiera che divide i due municipi, causando una disputa per il possesso di 60 ettari di terra.
In un comunicato la “Giunta di Buon Governo” di Oventic, autorità autonoma zapatista che governa su questa regione chiamata Altos de Chiapas, ha denunciato che dal 2016 al 2019 il conflitto ha causato 25 morti e 14 feriti tra Aldama e Santa Martha.
Le autorità zapatiste accusano il governo municipale, quello statale e quello federale di non essere stati capaci né di risolvere i problemi di fondo né di gestire la crisi.
Nel giugno 2019, il governo del presidente Andrés Manuel López Obrador ha promosso la firma di un patto di non aggressione tra Aldama e Santa Martha. Venne definito “storico” e si disse che avrebbe segnato “l’inizio di una nuova fase di pace”, ma le sparatorie ricominciarono presto. Un mese dopo la firma, un giovane di Aldama venne ucciso durante il funerale di sua nonna con una pallottola alla testa sparata da un cecchino di Santa Martha.
Dal 2016 più di duemila abitanti di Aldama sono costantemente costretti ad abbandonare le loro case quando iniziano le sparatorie: si rifugiano nei boschi e vi tornano quando la situazione si calma. Negli ultimi due anni e mezzo nell’Altos de Chiapas più di settemila indigeni maya tzotziles sono stati sfollati a causa della violenza dei gruppi armati di tipo paramilitare, in buona parte del Municipio di Chenalhó. La Ong chiapaneca Centro di Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) non vede una connessione diretta tra i gruppi armati irregolari attuali e quelli che si sono formati negli anni 90 per reprimere l’insurrezione dell’EZLN, ma denuncia che i paramilitari detenuti per il massacro di 45 persone avvenuto nel 1997 ad Acteal, nel Municipio di Chenalhó, sono stati scarcerati. Le loro armi non sono mai state confiscate, la loro struttura non è stata disarticolata e i politici che li addestravano e finanziavano continuano ad operare nella regione. Nel gennaio 2019, Alejandro Encinas, sottosegretario ai Diritti umani del governo federale messicano, ha affermato che questi gruppi armati potrebbero avere legami con la criminalità organizzata.
“Le persone che ne fanno parte sono contadini come noi, è gente povera, ma sono addestrati militarmente e dotati di armi e pallottole. Dove trovano i soldi per comprarle?”, afferma Abraham, padre di Araceli. Il membro di Yach’il Xojolabal pensa che la violenza ad Aldama sia motivata da interessi che vanno oltre il possesso dei 60 ettari di terra e che politici e industriali interessati allo sfruttamento delle risorse naturali locali stiano finanziando il conflitto. Secondo Abraham, l’azione dei gruppi di tipo paramilitare è finalizzata a terrorizzare la popolazione per imporre la militarizzazione del territorio – già avvenuta ad Aldama con il pretesto di combattere i gruppi armati irregolari – e preparare il terreno all’ingresso di aziende interessate all’estrazione delle risorse naturali.
“È una delle teorie che si utilizzano per motivare tanta violenza”, afferma Jorge Luis Lopez, parte del Frayba. “Si parla dell’interesse a costruire una centrale idroelettrica nel fiume che divide Aldama da Chenalhó e della presenza di minerali preziosi nel sottosuolo, ma finora non abbiamo trovato nessun documento che avvalli queste tesi”. La prima cosa che fa Araceli, quando Abraham torna dal lavoro, è prendere il suo cellulare per guardare dei video. Con gli occhi incollati al telefono mangia uova, fagioli e tortillas fino a quando sua madre le toglie il cellulare perché vada a giocare con i vicini. Abraham è responsabile dell’ufficio commerciale e ha il compito di mantenere le relazioni con gli acquirenti solidali di vari Paesi del mondo. Come gli altri 283 membri della cooperativa Yach’il Xojolabal di Aldama, l’anno scorso la famiglia di Abraham ha perso circa il 50% del raccolto di caffè: le sparatorie erano troppo intense per andare a lavorare nei campi.
“I cecchini di Santa Martha ci cacciavano come fossimo animali mentre andavamo a raccogliere il caffè”, dice Juan di Yach’il Xojolabal. “Lo vedi? Era da lì che sparavano, qui non ci si poteva stare”, dice indicando un punto nella montagna, a poche centinaia di metri davanti a noi. La vegetazione, in parte mangiata dalla nebbia, ricopre completamente il pendio e il rumore della pioggia battente si perde in quello del fiume che attraversa la valle. Quando le sparatorie iniziarono, gli zapatisti s’incamminavano di notte verso i loro campi e tornavano dopo il tramonto per non essere visti. Raccoglievano e trasportavano il caffè sulle spalle in sacchi neri invece che bianchi, che si mimetizzavano nel buio. Ma dall’agosto 2018, quando un’intera famiglia (non zapatista) venne uccisa in un’imboscata mentre viaggiava in auto, molti contadini decisero di abbandonare il loro raccolto nei campi. Non si andava a lavorare e non si circolava in macchina, se non di notte e con i fari spenti; neanche i mezzi che trasportavano i feriti erano risparmiati. I bambini non andavano a scuola, la vita quotidiana venne totalmente congelata. Quest’anno le perdite nella produzione di caffè sono state minori, visto che proprio durante la raccolta – tra novembre 2019 e l’inizio di marzo 2020 – ad Aldama non ci sono state sparatorie. Ma le piante di caffè arabica hanno risentito del fatto che l’anno precedente, nel periodo delle sparatorie più intense, non hanno ricevuto le attenzioni adeguate e la produzione di Yach’il Xojolabal ad Aldama ha raggiunto solo il 60-70% del volume che ci si aspettava. “In ogni caso, la situazione di Aldama incide parzialmente sulla produzione totale della cooperativa per il 2020”, assicura Yach’il Xojolabal che è presente in altri sette Municipi del Chiapas. “Abbiamo raccolto circa l’87% della produzione stimata e non avremo problemi a rispettare i contratti firmati”. https://altreconomia.it/tra-le-famiglie-zapatiste-che-producono-caffe-in-chiapas/

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Pronunciamento congiunto per la vita

Al popolo del Chiapas

Alle Giunte del Buon Governo dell’EZLN

Alle organizzazioni indigene e contadine

Al governo federale, statale e municipale.

Alle autorità sanitarie federali, statali e distrettuali

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, il 20 aprile 2020

Dal sud del Messico, varie organizzazioni sociali, civili e collettivi si sono riuniti per condividere informazioni, analizzare e generare strategie per affrontare congiuntamente questa pandemia COVID 19. In questo sforzo collettivo ritroviamo quelli che hanno lavorato per anni per la difesa e la promozione dei diritti umani: civile, politico, economico, sociale, culturale e ambientale nello stato del Chiapas. Abbiamo sviluppato per decenni molteplici iniziative per la giustizia e la dignità in questi territori, in particolare nell’area dei diritti delle donne, dell’infanzia e della gioventù, delle popolazioni indigene e dei migranti; difendendo, tra gli altri, il diritto alla salute, all’acqua, al territorio, all’informazione e alla libera mobilità umana. A partire da queste diverse capacità, conoscenze ed esperienze, uniamo le forze per accompagnare i popoli nella richiesta dei diritti, per informare in maniera accessibile e attendibile sulla pandemia, per creare nuovi spazi per l’aiuto reciproco e per documentare e segnalare possibili violazioni ai diritti umani che si presentano durante l’emergenza.

Partiamo dal ricordare che ci troviamo in uno stato che ha vissuto storicamente e in maniera particolare l’esclusione e l’emarginazione, e di contro una enorme capacità organizzativa frutto della sua lunga storia di lotta e resistenza. La pandemia che stiamo vivendo oggi conferma che le forme capitalistiche di produzione, in cui predominano la violenza, la disuguaglianza e l’espropriazione, rendono precari i mezzi per la riproduzione della vita e diminuiscono la possibilità di vivere una vita dignitosa.

Esiste una forte relazione tra la salute della natura e la salute umana, i virus proliferano in situazioni di devastazione ecologica legate all’espansione agroindustriale e ai suoi impianti produttivi ed i  sistemi di stoccaggio, un processo che viola i diritti umani e i diritti della terra. 

Se le condizioni rimangono le stesse, i virus continueranno ad comparire, cambiare il modello di produzione alimentare, scommettere sulla sovranità alimentare e sull’agroecologia è un mezzo per prevenire future pandemie. Per evitare che ciò accada, è necessario un cambiamento sistemico, per il quale riteniamo essenziale ascoltare le voci e le lotte delle popolazioni indigene e dei contadini che si prendono cura e difendono la Madre Terra e il suo territorio.

Questa emergenza sanitaria evidenzia lo smantellamento dei sistemi di sanità pubblica derivante dal modello capitalista e la subordinazione della salute delle persone ad un modello che serve il mercato e la scelta sviluppista come unico principio applicabile. Quindi, un cambio di paradigma dovrebbe essere quello di mettere al di sopra di tutto il diritto alla vita e ai diritti umani per tutte le persone.

Sappiamo che è una grande sfida per il governo messicano e per la società nel suo complesso affrontare questa situazione davanti ad un sistema sanitario saturo e in alcuni zone collassato, ecco perché esortiamo i livelli federale, statale e municipale ad ascoltare e tenere in conto le richieste e le considerazioni basate su una chiara analisi delle esigenze dei diversi territori in Messico. Siamo per la garanzia effettiva e completa del diritto alla salute di cui agli articoli 1, 2, 3, 7, 13, 17, 25, 26, 27, 28 Bis, 29 e 77 Bis della Costituzione degli Stati Uniti Messicani. Chiediamo:

1. di affrontare i determinanti sociali della pandemia che pone le popolazioni migranti, i bambini che lavorano e i bambini di strada, gli abitanti delle periferie urbane, i detenuti, i lavoratori precari come settori con maggiore vulnerabilità al contagio, con diagnosi tempestive ed accesso al trattamento.

2. Nel caso delle popolazioni indigene riconoscimento degli storici sistemi della salute comunitaria, rispettare pienamente l’esercizio del loro diritto all’autonomia ed i loro modelli di assistenza sanitaria nei propri territori. Nell’ambito degli Accordi di San Andrés, per il secondo articolo della Costituzione e per gli strumenti internazionali come la Convenzione 169 dell’ILO (ndt. Organizzazione Internazionale del Lavoro) e la Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene.

3. Diffondere ampiamente le misure statali di assistenza e accompagnamento per ragazze, ragazzi e donne che subiscono violenza all’interno della famiglia. Che l’assistenza sia facilmente accessibile e focalizzata sui diritti umani.

4. Riconoscere la complessità della mobilità umana in Chiapas in quanto è uno Stato di origine, transito, destinazione e ritorno. Pertanto, attuare efficaci misure di sorveglianza epidemiologica per le persone in fuga forzata, i migranti che sono in detenzione e coloro che ritornano obbligatoriamente nelle comunità.

a) Piano di assistenza specifico che include informazioni accessibili nelle lingue originarie della famiglia e della comunità di rientro, tempestiva diagnosi e trattamento e follow-up.

b) Affermiamo che la migrazione non è un crimine, pertanto esortiamo a sospendere la detenzione per immigrazione, evitare il sovraffollamento nei centri di detenzione, il rilascio immediato di tutte le persone e che vengano garantiti i loro diritti umani.

c) Per quanto riguarda le 9.950 vittime di sgomberi forzati, chiediamo le stesse misure di sorveglianza epidemiologica e una risposta efficace alla violenza diffusa causata dai gruppi paramilitari.

5. Garantire condizioni adeguate per gli operatori sanitari a tutti i livelli. Distribuzione di forniture, attrezzature e formazione sufficienti per rafforzare i servizi sanitari di primo livello per le cure non COVID e COVID 19, compreso il rafforzamento degli spazi di cura e la collaborazione orizzontale con gli agenti sanitari della comunità: ostetriche, promotori, dottori e stagisti.

6. Nel caso delle ostetriche lo Stato faciliti ed acceleri il riconoscimento dell’ostetrica nel registro civile ed accresca i certificati di nascita senza alcuna condizione. Che siano rispettati per poter continuare a svolgere cura e attenzioni, che sia sufficiente il riconoscimento della comunità. Nel caso in cui ne facciamo richiesta gli vengano forniti adeguati materiali e forniture necessarie per il parto.

7. Chiediamo al governo federale di prestare particolare attenzione al modo in cui la strategia sanitaria viene attuata dal governo locale in Chiapas. Riconosciamo l’impegno del lavoro e ribadiamo le esigenze espresse dalla Sezione 50 della Sindacato Nazionale dei Lavoratori della Segreteria di Salute dello Stato del Chiapas, che dicono letteralmente:

“In questo momento manca una leadership efficace nello Stato per far fronte a questa circostanza, la nostra istituzione è attualmente gestita con scopi politici e non scientifici, quindi non rappresenta gli interessi della salute pubblica del nostro Stato, per questo motivo disconosciamo questa rappresentanza ufficiale e come lavoratori ci organizzeremo, come sappiamo farlo, per affrontare la pandemia.

Chiediamo al governatore dello Stato, dott. Rutilio Escandón Cadenas, di licenziare immediatamente il politico segretario della salute, con l’immediata sostituzione di esperti in epidemiologia che ci sono in Chiapas “.

8. Informazioni rapide e trasparenti sui protocolli sanitari in Chiapas. Per offrire un’assistenza dignitosa è necessario che il personale sia adeguatamente protetto secondo i protocolli stabiliti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.

9. Garantire servizi di base per le reti di approvvigionamento di acqua potabile, fognature, elettricità, strutture igieniche-sanitarie per la popolazione in generale e con particolare attenzione a ospedali, case di cura, case per anziani, centri di detenzione per migranti, carceri e asili dei bambini.

10. Garantire e regolare la fornitura di alimenti per evitare speculazioni sui prezzi degli articoli di prima necessità. Ai piccoli produttori con prodotti in eccesso fissare prezzi di garanzia e facilitare la distribuzione dei loro prodotti. Promuovere i mercati degli agricoltori per prodotti agro-ecologici o di trasformazione per la distribuzione locale. Garantire che sul totale degli acquisti dei prodotti alimentari dello Stato messicano si destini una percentuale ai piccoli produttori di eccedenze.

11. Concepire tempestivi piani economici, senza alcuna condizione, per accompagnare degnamente le famiglie che non hanno salari e posti di lavoro garantiti. Monitorare e garantire che questi sussidi non diventino oggetto di clientela e corruzione.

12. Che il processo di riconversione ospedaliera sia trasparente a livello statale e distrettuale con una chiara e precisa promozione e diffusione del percorso di assistenza urbana e di copertura rurale, senza trascurare l’assistenza ospedaliera e la consulenza ambulatoriale ai pazienti NO COVID19 .

13. Informazioni sulle strategie a sostegno di altri problemi derivati ​​dalle fasi 2 e 3 come la violenza all’interno della famiglia, la violenza femminicida, psicologica, economica, fisica e sessuale contro i bambini e le donne, la stigmatizzazione dei pazienti COVID, l’attacco agli operatori sanitari.

14. Chiediamo che in nessun caso vengano applicate misure di forza da parte della polizia e degli organi militari allo scopo di contenere la popolazione, che potrebbero generare azioni illegali e violazioni dei diritti umani delle persone.

15. Fermare la narrazione della guerra, la promozione della paura, la repressione fisica 

dello Stato e la dimostrazione di forza, che esercita simbolicamente violenza fisica, provoca paura e solitudine che impediscono la costruzione di solidarietà e legami collettivi. 

La promozione deliberata di rumors, la disinformazione e il panico rendono le persone malate, smobilita e, all’estremo, si converte in una stigmatizzazione e persecuzione dell’altro.

Riconosciamo gli sforzi che la società chiapaneca sta compiendo rimanendo a casa, così come le proposte sanitarie autonome delle comunità e dei villaggi; apprezziamo le iniziative delle piccole imprese che stanno facendo la loro parte, ricordiamo le grandi manifestazioni di solidarietà che si stanno svolgendo pertanto invitiamo le autorità ad agire in modo responsabile ed adempiere pienamente al loro mandato pubblico.

Apprezziamo e riconosciamo il lavoro, l’impegno e la dedizione dei lavoratori e lavoratrici della salute.

Continueremo a lavorare in modo coordinato ed in maniera condivisa con la società e con le persone con le quali camminiamo, continueremo con la diffusione di informazioni nelle lingue locali, promuovendo reti di solidarietà e sostegno reciproco e manteniamo anche la nostra azione di osservazione, documentazione e denuncia di azioni che violano i diritti umani delle persone in questi territori.

Firmano:

Organizaciones:

At`el Antsetik Centro Comunitario; Centro de Capacitación en Ecología y Salud para Campesinos/Defensoría del Derecho a la Salud (CCESC-DDS); Enlace, Comunicación y Capacitación, A.C.; ProMedios; Melel Xojobal, A.C.; Alianza Pediátrica Global; Comisión Para la Defensa de los Derechos Humanos, A.C.; Salud y Desarrollo Comunitario (Sadec); Casa de la Mujer Ixim Antsetic; Agua y Vida: Mujeres, Derechos y ambiente, A.C; Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, AC; Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas, A.C. (DESMI); Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C. (Frayba); Centro de Estudios para el Cambio en el Campo Mexicano, A.C. ( CECCAM); Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario (IMDEC); Una mano amiga en la lucha contra el sida AC; Formacion y Capacitación A.C.; Centro de Derechos Humanos Fray Matias de Córdoba A.C.; Apostólicas del Corazón  de Jesús (ACJ) Tapachula; Kaltsilaltik, A.C., Comitán.; Iniciativas para el Desarrollo Humano A.C.; SJM Frontera Comalapa; Centro de derechos de las víctimas de violencia Minerva Bello, Fideicomiso para la salud de los niños indígenas A.C.

Red de Resistencia y Rebeldía Ajmaq

Red por los Derechos de la Infancia y la Adolescencia en Chiapas (REDIAS)

Red Por la Paz

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, (San Cristóbal de Las Casas); Centro de Derechos Humanos Fray Pedro Lorenzo de la Nada, (Ocosingo); Centro de Derechos Indígenas A.C. CEDIAC; Centro de derechos de la Mujer (San Cristóbal de Las Casas);  Comisión de Apoyo para la Unidad y Reconciliación Comunitaria (CORECO ) (San Cristóbal de Las Casas); Desarrollo Económico y Social de los Mexicanos Indígenas (DESMI ) (San Cristóbal de Las Casas);  Educación para la paz (EDUPAZ) (Comitán); Enlace, Capacitación y Comunicación (Ocosingo y Comitán); Servicios y Asesoría para la Paz (SERAPAZ ) (Ocosingo).

Red Nacional de Organismos Civiles de Derechos Humanos  “Todos los Derechos para Todas y Todos”

(formata da 86 organizzazioni presenti in 23 Stati della Repubblica messicana):

Academia Hidalguense de Educación y Derechos Humanos A.C. (ACADERH) (Hidalgo); Agenda LGBT (Estado de México); Alianza Sierra Madre, A.C. (Chihuahua); Aluna Acompañamiento Psicosocial, A.C.(Ciudad de México); Asistencia Legal por los Derechos Humanos, A.C. (AsiLegal) (Ciudad de México); Asociación Jalisciense de Apoyo a los Grupos Indígenas, A.C. (AJAGI) (Guadalajara, Jal.); Asociación para la Defensa de los Derechos Ciudadanos “Miguel Hidalgo” (Jacala Hgo.); Bowerasa, A.C. “Haciendo Camino” (Chihuahua, Chih.); Casa del Migrante Saltillo (Saltillo, Coah.); Católicas por el Derecho a Decidir, A.C. (Ciudad de México); Centro de Capacitación y Defensa de los Derechos Humanos e Indígenas, Asociación Civil (CECADDHI) (Chihuahua); Centro “Fray Julián Garcés” Derechos Humanos y Desarrollo Local, A. C. (Tlaxcala, Tlax.); Centro de Apoyo al Trabajador, A.C. (CAT) (Ciudad de México); Centro de Derechos de la Mujeres de Chiapas (San Cristóbal de Las Casas, Chis.); Centro de Derechos Humanos “Don Sergio” (Jiutepec, Mor.); Centro de Derechos Humanos “Fray Bartolomé de Las Casas”, A. C. (San Cristóbal de Las Casas, Chis); Centro de Derechos Humanos “Fray Francisco de Vitoria O.P.”, A. C. (Ciudad de México); Centro de Derechos Humanos “Fray Matías de Córdova”, A.C. (Tapachula, Chis.); Centro de Derechos Humanos “Juan Gerardi”, A. C. (Torreón, Coah.); Centro de Derechos Humanos “Miguel Agustín Pro Juárez”, A. C. (Ciudad de México); Centro de Derechos Humanos de la Montaña, Tlachinollan, A. C. (Tlapa, Gro.); Centro de Derechos Humanos de las Mujeres (Chihuahua); Centro de Derechos Humanos de los Pueblos del Sur de Veracruz “Bety Cariño”, A.C. (Tatahuicapan de Juárez, Ver.); Centro de Derechos Humanos Digna Ochoa, A.C (Tonalá, Chis.); Centro de Derechos Humanos Paso del Norte (Cd. Juárez, Chih.); Centro de Derechos Humanos Toaltepeyolo (Orizaba, Veracruz); Centro de Derechos Humanos Victoria Diez, A.C. (León, Gto.); Centro de Derechos Humanos Zeferino Ladrillero (CDHZL) (Estado de México); Centro de Derechos Indígenas “Flor y Canto”, A. C. (Oaxaca, Oax.); Centro de Derechos Indígenas A. C. (Bachajón, Chis.); “Centro de Estudios Sociales y Culturales Antonio de Montesinos, A.C.” (CAM) (Ciudad de México); Centro de Investigación y Capacitación Propuesta Cívica A. C. (Propuesta Cívica) (Ciudad de México); Centro de Justicia para la Paz y el Desarrollo, A. C. (CEPAD) (Guadalajara, Jal.); Centro de los Derechos del Migrante (Ciudad de México); Centro de Reflexión y Acción Laboral (CEREAL-Guadalajara) (Guadalajara, Jal.); Centro Diocesano para los Derechos Humanos “Fray Juan de Larios”, A.C. (Saltillo, Coah.); Centro Juvenil Generando Dignidad (Comalcalco, Tabasco); Centro Kalli Luz Marina (Orizaba, Ver.); Centro Mexicano de Derecho Ambiental (CEMDA) (Ciudad de México); Centro Mujeres (La Paz, BCS.); Centro Regional de Defensa de DDHH José María Morelos y Pavón, A.C. (Chilapa, Gro.); Centro Regional de Derechos Humanos “Bartolomé Carrasco”, A.C. (BARCA) (Oaxaca, Oax.); Centro Universitario por la Dignidad y la Justicia Francisco Suárez, S.J. (CUDJ)(Guadalajara, Jal.); Ciencia Social Alternativa, A.C. KOOKAY (Mérida, Yuc.); Ciudadanía Lagunera por los Derechos Humanos, A.C. (CILADHAC) (Torreón, Coah.); Colectivo contra la Tortura y la Impunidad (CCTI) (Ciudad de México); Colectivo Educación para la Paz y los Derechos Humanos, A.C. (CEPAZDH) (San Cristóbal de Las Casas, Chis.); Comisión Ciudadana de Derechos Humanos del Noroeste (Mexicali, Baja California); Comisión de Derechos Humanos y Laborales del Valle de Tehuacán, A.C. (Tehuacán, Pue.); Comisión de Solidaridad y Defensa de los Derechos Humanos, A.C. (COSYDDHAC) (Chihuahua, Chih.);  Comisión Regional de Derechos Humanos “Mahatma Gandhi”, A. C. (Tuxtepec, Oax.); Comité Cerezo (Ciudad de México); Comité Cristiano de Solidaridad Monseñor Romero (Ciudad de México); Comité de Defensa de las Libertades Indígenas (Palenque, Chis.); Comité de Defensa Integral de Derechos Humanos Gobixha A.C. (CODIGODH) (Oaxaca, Oax.); Comité de Derechos Humanos “Fr. Pedro Lorenzo de la Nada”, A. C. (Ocosingo, Chis.); Comité de Derechos Humanos “Sierra Norte de Veracruz”, A. C. (Huayacocotla, Ver.); Comité de Derechos Humanos Ajusco (Ciudad de México); Comité de Derechos Humanos de Colima No Gubernamental A. C. (Colima, Col.); Comité de Derechos Humanos de Comalcalco, A. C. (CODEHUCO) (Comalcalco, Tab); Comité de Derechos Humanos de Tabasco, A. C. (CODEHUTAB) (Villahermosa, Tab); Comité de Derechos Humanos y Orientación Miguel Hidalgo, A. C. (Dolores Hidalgo, Gto.); Comité de Familiares de Detenidos Desaparecidos “Hasta Encontrarlos”(Ciudad de México); Comité Sergio Méndez Arceo Pro Derechos Humanos de Tulancingo, Hgo A.C. (Tulancingo, Hgo.); Consultoría Técnica Comunitaria AC (CONTEC) (Chihuahua); El Caracol, A.C (Ciudad de México); Estancia del Migrante González y Martínez, A.C. (Querétaro, Qro.); Frente Cívico Sinaloense. Secretaría de Derechos Humanos (Culiacán, Sin.); Fundación para la Justicia y el Estado Democrático de Derecho (Ciudad de México); Indignación, A. C. Promoción y Defensa de los Derechos Humanos (Mérida, Yuc.); Instituto de Derechos Humanos Ignacio Ellacuria, S.J. Universidad Iberoamericana- Puebla (Puebla, Pue.); Instituto Mexicano de Derechos Humanos y Democracia (Ciudad de México); Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario, A. C. (IMDEC) (Guadalajara, Jal.); Justicia, Derechos Humanos y Género, A.C. (Ciudad de México); La 72, Hogar-Refugio para Personas Migrantes (La 72) (Tenosique, Tabasco); Mujeres Indígenas por la Conservación, Investigación y Aprovechamiento de los Recursos Naturales, A. C. (CIARENA) (Oaxaca); Promoción de los Derechos Económicos, Sociales y Culturales (PRODESCAC) (Estado de México); Proyecto de Derechos Económicos, Sociales y Culturales (ProDESC) (Ciudad de México); Proyecto sobre Organización, Desarrollo, Educación e Investigación (PODER) (Ciudad de México); Red Solidaria de Derechos Humanos, A.C. (Morelia, Michoacán); Respuesta Alternativa, A. C. Servicio de Derechos Humanos y Desarrollo Comunitario (San Luis Potosí); Servicios de Inclusión Integral, A.C. (SEIINAC) (Pachuca, Hgo.); Tequio Jurídico A.C. (Oaxaca, Oax.); Uno de Siete Migrando A. C.(Chihuahua, Chih.); VIHas de Vida (Guadalajara, Jal.); Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes AC (San Cristóbal de Las Casas, Chiapas).

Mesa de Coordinación Transfronteriza Migraciones y Género Capítulo Guatemala:

American Friends Service Committee, Oficina Regional de América Latina y El Caribe  (AFSC); Asociación Comunitaria Multisectorial de Monitoreo Comunitario en Salud y Apoyo a Migrantes (ACOMUMSAM); Asociación Consejería Oxlajuj Ix para Centroamérica y México (CAMEX); Asociación Coordinadora Comunitaria de Servicios para la Salud-Guatemala ACCSS; Asociación de Desarrollo Social de Ixcán (ADESI); Asociación de Familiares de Migrantes Desaparecidos de Guatemala (AFAMIDEG); Asociación Lambda, Consejo de Juventud para el Desarrollo Ixcoyense  (COJDI); Comisión de Asuntos Migratorios de Ixcán -CAMI; Comité Municipal de Migración; Equipo de Estudios Comunitarios y Acción Psicosocial (ECAP); Federación Guatemalteca de Escuelas Radiofónicas (FGER); Gobierno Ancestral Plurinacional Q’anjoba’l; Jóvenes por el Cambio; Mamá Maquin; Médicos del Mundo Francia – España; Mesa Nacional para las Migraciones en Guatemala (MENAMIG);  Molanil K´inal B´e; Pastoral Social La Libertad Cristo de Esquipulas; Pop Noj’; Red  Juvenil Ak´Molam; Sociedad Civil. Capítulo México: American Friends Service Committee, Oficina Regional para América Latina y El Caribe  (AFSC); Centro de Derechos Humanos Oralia Morales; Centro de Derechos Humanos Fray Matías de Córdova;  Coalición Indígena de Migrantes de Chiapas (CIMICH); Comité de Derechos Humano Fray Pedro Lorenzo de la Nada A.C.; Formación y Capacitación A.C. (FOCA); Iniciativas para el Desarrollo Humano A.C.; Instituto Mexicano para el Desarrollo Comunitario (IMDEC); Instituto para las Mujeres en la Migración AC (IMUMI); La 72, Hogar – Refugio para Personas Migrantes; Médicos del Mundo Francia – España, Pastoral de Migrantes; Parroquia de Frontera Comalapa; Servicio Jesuita a Migrantes  (SJM); Servicio Jesuita a Refugiados  (SJR), Servicio Pastoral a Migrantes San Martin de Porres (SEPAMI – SMP ); Una Ayuda para ti Mujer Migrante A.C.; Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, A.C.

Colectivo de Monitoreo y Observación de Derechos Humanos del Sureste Mexicano:

American Friends Service Committee  – Oficina Regional de América Latina y El Caribe (AFSC), Apostólicas del Corazón de Jesús (ACJ),  Centro de Derechos Humanos Digna Ochoa, Centro de Derechos Humanos Fray Matías de Córdova, Centro de Derechos Humanos Tepeyac, Centro de Derechos de las Víctimas de la Violencia Minerva Bello, Formación y Capacitación (FOCA), Iniciativas para el Desarrollo Humano, Kaltsilaltik, Red Jesuita con Migrantes – Centroamérica y Norteamérica, Servicio Jesuita a Migrantes – Frontera Comalapa, Servicio Jesuita a Refugiados México (JRS México), Tzome Ixuk-Mujeres Organizadas A.C., Una Mano Amiga en la Lucha contra el SIDA, Voces Mesoamericanas, Acción con Pueblos Migrantes, AC.

traduzione di Cooperazione Rebelde Napoli

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Determinazioni sociali della pandemia: uno sguardo dal Chiapas
Il 20 aprile 2020, diverse organizzazioni sociali, associazioni civili e collettivi hanno pubblicato un Pronunciamiento por la vida (al link trovate la traduzione del documento) in cui analizzano le dimensioni sociali della pandemia di COVID-19 e offrono input per generare strategie per affrontare in maniera solidale la situazione, sia a livello nazionale sia nel contesto specifico del Chiapas. Si tratta di organizzazioni e gruppi che da anni lavorano per la difesa e la promozione dei diritti umani, civili, politici, economici, sociali, culturali e ambientali in Chiapas.
In una conferenza stampa trasmessa quel giorno da Rompeviento TV, i membri di alcune organizzazioni firmatarie hanno descritto analiticamente le dimensioni sociali della pandemia nel contesto del Chiapas: Ana Valadez Ortega (ricercatrice presso la CECCAM e membro del DESMI), Deyanira Clériga Morales (collaboratrice di Voces Mesoamericanas y Acción con Pueblos Migrantes), Marcos Arana Cedeño (direttore del Centro de Capacitación Ecológica y Salud para Campesinos) e Pedro Faro Navarro (direttore del Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas).
Come ha spiegato Ana Valadez, il processo di discussione collettiva è nato da un’iniziativa di operatori sanitari che lavorano nel campo della salute collettiva da 30, 40 anni in Chiapas; molti di loro, per diversi decenni, hanno formato un gran numero di contadini ad essere promotori e promotrici di salute, a partire dalla diaspora guatemalteca e fino al processo di formazione della salute autonoma delle comunità zapatiste. È stata la consapevolezza acquisita in quegli anni di lavoro che li ha portati a esaminare i determinanti sociali della pandemia, una discussione “che è nata in seno ad un’agenda di discussione critica dei grandi pensatori della salute a livello latinoamericano”.
Marcos Arana ha analizzato le origini e le conseguenze della pandemia. Il virus SARS-CoV-2, la variante del coronavirus che causa la malattia COVID-19, sostiene Arana, non è di origine “naturale”; la sua mutazione è un prodotto del sistema di produzione alimentare agro-industriale, che ha dato origine ad altre malattie come il virus H1N1, che è emerso in Messico in una fattoria di suini nel 2009, e che molto probabilmente continuerà a dare origine a nuove malattie.
D’altra parte, Arana ha sottolineato le disparità nelle conseguenze della pandemia. Differenze nelle informazioni, sovraffollamento, cattiva alimentazione, scarso accesso al sistema sanitario, malnutrizione, prevalenza di malattie di maggiore incidenza nella povertà (come l’obesità e il diabete) … tutto ciò rende chi è in basso, i meno privilegiati, quelli che soffrono molto di più le conseguenze della pandemia.
Pedro Faro ha posto l’attenzione su due categorie di popolazione particolarmente vulnerabili, in particolare nello stato del Chiapas: le vittime di allontanamenti forzati e i prigionieri. In Chiapas vi sono quasi 10.000 sfollati, vittime di sgomberi strettamente collegati agli alti livelli di violenza da parte di gruppi paramilitari. Tra questi il caso di Aldama, dove, malgrado la presenza della Guardia Nazionale, le sparatorie e gli attacchi continuano. D’altro canto, le prigioni del Chiapas sono in condizioni di sovraffollamento senza alcun tipo di azione sanitaria, rendendo la popolazione carceraria altamente vulnerabile al contagio.
Deyanira Clériga Morales si è concentrata sulla situazione dei migranti, sia interni che esterni. Le raccomandazioni per “restare a casa” rappresentano un’ossimoro nel caso di migranti internazionali, migranti rimpatriati (espulsi dagli Stati Uniti o coloro che rientrano da altri stati del Messico dopo aver perso il lavoro), nonché per coloro che si trovano a vivere in strada. Il ritorno dei migranti interni o esterni alle loro comunità avviene senza le necessarie condizioni: misure di accoglienza e quarantena che garantiscono il benessere dei migranti stessi e la sicurezza delle comunità.
Ana Valadez ha sottolineato la divergenza tra le misure del governo (così come le istituzioni sanitarie private), le politiche incentrate sui singoli soggetti e l’organizzazione comunitaria, che si basa su una visione collettiva. Stare a casa, ad esempio, secondo quella visione collettiva, significa stare in comunità. Il problema di questa differenza, sostiene Valadez, è che rafforza un discorso nel quale apparentemente “tutto è sotto controllo” e sostiene un paradigma che non è sufficiente per risolvere la situazione, semplicemente perché non contempla la dimensione collettiva.
In questo senso, è essenziale il ruolo dei sindacati (come la Sezione 50 in Chiapas), dei tecnici e delle organizzazioni della società civile che da anni collaborano con la salute collettiva e in particolare le ostetriche. Le ostetriche e i promotori della salute sono particolarmente importanti, poiché sono loro che possono contenere il problema all’inizio e promuovere misure a livello comunitario, cioè collettivamente. La risposta delle comunità zapatiste, che hanno dichiarato un allarme rosso e hanno adottato misure molto efficaci, ne sono un esempio. Ma ci sono molte altre comunità che, a causa degli anni di guerre e politiche “a bassa intensità” volte a dividere e confrontarsi con i popoli, hanno visto la loro organizzazione comunitaria compromessa. In sintesi, è essenziale sostenere e promuovere la partecipazione degli agenti della comunità (*), con una visione della salute collettiva e non semplicemente individuale.
(*) Con il termine agenti di comunità si fa riferimento all’esperienza, risalente al 1930, quando in Perù, nella città di Puno, sul lato occidentale del lago Titicaca, il medico Manuel Núñez Butrón, mise insieme un gruppo di contadini con cui iniziò a sviluppare un lavoro sul concetto di salute quale risultato di igiene, buona alimentazione, vita all’aria aperta realizzando la missione di promuovere azioni e cambiamenti culturali, per migliorare le condizioni sanitarie ed eliminare l’analfabetismo.

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L’EZLN CHIUDE I CARACOLES A CAUSA DEL CORONAVIRUS ED INVITA A NON ABBANDONARE LE LOTTE IN ATTO

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDANCIA GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

16 MARZO 2020

AL POPOLO DEL MESSICO:
AI POPOLI DEL MONDO:
AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO – CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:
ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:
ALLE RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE:

SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS:
COMPAGNI, COMPAGNE, COMPAÑEROAS:

VI COMUNICHIAMO CHE:

CONSIDERANDO LA MINACCIA REALE, SCIENTIFICAMENTE COMPROVATA, PER LA VITA UMANA CHE RAPPRESENTA IL CONTAGIO DEL COVID-19, ANCHE NOTO COME “CORONAVIRUS”.

CONSIDERANDO LA FRIVOLA IRRESPONSABILITÀ E LA MANCANZA DI SERIETÀ DEI MALGOVERNI E DELLA CLASSE POLITICA NELLA SUA TOTALITÀ, CHE FANNO USO DI UN PROBLEMA UMANITARIO PER ATTACCARSI RECIPROCAMENTE INVECE DI ADOTTARE LE MISURE NECESSARIE PER AFFRONTARE QUESTO PERICOLO CHE MINACCIA LA VITA SENZA DISTINZIONE DI NAZIONALITÀ, SESSO, RAZZA, LINGUA, CREDO RELIGIOSO, MILITANZA POLITICA, CONDIZIONE SOCIALE E STORIA.

CONSIDERANDO LA MANCANZA DI INFORMAZIONE VERITIERA ED OPPORTUNA SULLA PORTATA E GRAVITÀ DEL CONTAGIO, COSÌ COME L’ASSENZA DI UN PIANO REALE PER AFFRONTARE LA MINACCIA.

CONSIDERATO IL COMPROMESSO ZAPATISTA NELLA NOSTRA LOTTA PER LA VITA.

ABBIAMO DECISO DI:

PRIMO.- DECRETARE L’ALLERTA ROSSA NEI NOSTRI VILLAGGI, COMUNITÀ E QUARTIERI ED IN TUTTE LE ISTANZE ORGANIZZATIVE ZAPATISTE.

SECONDO.- RACCOMANDARE ALLE GIUNTE DI BUON GOVERNO E MUNICIPI AUTONOMI RIBELLI ZAPATISTI, LA CHIUSURA TOTALE E IMMEDIATA DEI CARACOLES E DEI CENTRI DI RESISTENZA E DISOBBEDIENZA.

TERZO.- RACCOMANDARE ALLE BASI DI APPOGGIO E A TUTTA LA STRUTTURA ORGANIZZATIVA DI SEGUIRE UNA SERIE DI RACCOMANDAZIONI E MISURE DI IGIENE STRAORDINARIE CHE SARANNO TRASMESSE NELLE COMUNITÀ, VILLAGGI E QUARTIERI ZAPATISTI.

QUARTO.- DI FRONTE ALL’ASSENZA DEI MALGOVERNI, ESORTARE TUTTE, TUTTI E TODOAS, IN MESSICO E NEL MONDO, AD ADOTTARE TUTTE LE MISURE SANITARIE NECESSARIE CHE, SU BASI SCIENTIFICHE, PERMETTANO DI USCIRE, E IN VITA, DA QUESTA PANDEMIA.

QUINTO.- INVITIAMO A NON ABBANDONARE LA LOTTA CONTRO LA VIOLENZA FEMMINICIDA, A CONTINUARE LA LOTTA IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA, A MANTENERE LA LOTTA PER LE/I DESAPARECID@S, ASSASSINAT@ E CARCERAT@, E AD INNALZARE BEN ALTA LA BANDIERA DELLA LOTTA PER L’UMANITÀ.

SESTO.- INVITIAMO A NON PERDERE IL CONTATTO UMANO, BENSÌ A CAMBIARE TEMPORANEAMENTE I MODI DI SAPERCI COMPAGNE, COMPAGNI, COMPAÑEROAS, SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS.

LA PAROLA E L’ASCOLTO, CON IL CUORE, HANNO MOLTE STRADE, MOLTI MODI, MOLTI CALENDARI E MOLTE GEOGRAFIE PER INCONTRARSI. E QUESTA LOTTA PER LA VITA PUÒ ESSERE UNA DI QUESTE.

È TUTTO.

DALLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO.
Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, marzo 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/03/16/por-coronavirus-el-ezln-cierra-caracoles-y-llama-a-no-abandonar-las-luchas-actuales/

 

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NON ABBIAMO BISOGNO DI ALCUN PERMESSO PER LOTTARE PER LA VITA. LE DONNE ZAPATISTE SI UNISCONO ALLO SCIOPERO NAZIONALE DEL 9 MARZO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

1 marzo 2020

Alle Donne che lottano in Messico e nel Mondo.

Da: Le Donne indigene zapatiste dell’EZLN.

Compagna e sorella:

Ti salutiamo a nome delle donne indigene zapatiste di tutte le età, dalle più piccine a quelle più mature d’età. Speriamo che u stia bene e in lotta in compagnia delle tue famiglie, sorelle e compagne.

Qua abbiamo molti problemi a causa dei paramilitari che ora sono del partito Morena, e prima erano del PRI, del PAN e del Verde Ecologista.

Ma non è di questo che ti vogliamo parlare, bensì di qualcosa di più urgente e più importante. Della enorme violenza contro le donne che non cessa ma aumenta in quantità e crudeltà. Degli omicidi e sparizioni di donne; una follia che sembrava inimmaginabile. Nessuna donna, di qualunque età, classe sociale, militanza politica, colore, razza o credo religioso è in salvo. Si potrebbe pensare che le donne ricche, quelle che stanno al governo e quelle che hanno a loro protezione guardie e poliziotti siano al sicuro, ma nemmeno loro, perché molto spesso la violenza che ci fa sparire, ci sequestra e i uccide arriva da parenti, amicizie e conoscenti.

Bisogna farla finita con queste violenze, da dovunque vengano. Per questo avevamo invitato a manifestare, in quanto donne, il giorno 8 marzo 2020. Ognuno a modo suo, nel suo luogo e tempo. E invitiamo a far sì che la parola d’ordine di queste manifestazioni sia fermare la violenza contro le donne. E dire chiaro che non dimentichiamo le desaparecidas e assassinate in tutti i governi, che siano tricolori, azzurri, verdi, gialli, rossi, arancio, caffè o di qualsiasi colore, perché sono uguali. E per ricordare ai malgoverni le donne che ci mancano, proponiamo di indossare un segno di colore nero sui nostri abiti. Perché siamo in lutto per tante uccisioni di donne in tutto il mondo. E peggio ancora nemmeno le più piccine sono al sicuro.

Sorella e compagna:

Alcuni giorni fa abbiamo saputo che un gruppo di sorelle femministe di Veracruz, del collettivo “Brujas del Mar”, ha avuto una buona idea invitando ad una mobilitazione di protesta contro la violenza. La sua idea è di proclamare un giorno di assenza il 9 marzo, cioè che si veda e si senta che cosa succede senza le donne, che sia uno Sciopero delle Donne.

Che sia non andare a lavorare, non fare acquisti, non muoverci, che non ci vedano. Perché, dicono chiaro, sembra che le donne siano il nemico principale ed il sistema ci vuole liquidare, cioè annichilire.

Poi vediamo cosa succede con i maschietti e le maschiette patriarcali che ci sono nel malgoverno, nei partiti politici e nelle grandi imprese. A loro non importa la disgrazia maledetta che vivono e che muoiono le donne in Messico. Quello che interessa loro è cavalcare questo dolore e, cancellandolo, litigare su chi è più fico.

I potenti ed i loro capoccia politici da una parte fanno i sensibili ma non riescono a scrollarsi di dosso il loro modo patriarcale perché dicono che danno “permesso” alle donne di protestare perché le ammazzano. Adesso ci danno il permesso di lottare per vivere. Sono senza vergogna loro e le donne che hanno lo stesso pensiero dei maschi, anche se sono donne.

D’altro canto, c’è il governo supremo che si arrabbia perché ormai la gente non ascolta più quello che dice o vomita dalla bocca. Perché alcune donne, ancor peggio jóvenas, gli hanno tolto il microfono e gridano ciò che il malgoverno tace. È ridicolo che i cosiddetti oppositori ed oppositrici politici si comportino da persone perbene che danno il “permesso” di vivere, è più ridicolo ancora che il malgoverno ed i suoi fanatici e fanatiche accusino di essere “golpista” la lotta per la vita delle donne. Ora sì che è anche peggio, perché così comandano che nessuno può vivere o sopravvivere senza il loro permesso, e nessuno può lottare se non lo dice il malgoverno con qualche sua trovata. I maschilisti patriarcali sono così, credono che tutto il mondo giri attorno a loro. Se qualcuno lotta senza permesso, allora è contro il malgoverno. Se assassinano le donne, se le fanno sparire, se le sequestrano, se le torturano, se le sfigurano, è perché quelle donne vittime sono parte di un piano che vuole far cadere un governo. Non hanno vergogna.

E ancora gli svergognati patriarcali di governi e padroni danno i loro consigli maschilisti alle donne: di non lasciarsi manipolare, di comportarsi bene, non scagliare pietre e non rompere vetrine, vestirsi bene, non sollevare lo sguardo, non dare occasione di pettegolezzo, stare attente a ciò che dicono, scrivono e pensano. Cioè, che non facciano niente senza il loro permesso. Siamo abbastanza mature affinché ci ammazzino, ci facciano sparire ci violentino, ma non per pensare, analizzare e decidere. Sono veramente degli schifosi… e schifose, perché ci sono anche delle donne che li applaudono.

Dicono che per tutto bisogna chiedere permesso al malgoverno o al padrone, perfino per sopravvivere. Le cose stanno così, compagna e sorella, per le donne in Messico e nel mondo che stanno sopravvivendo. Cioè vivendo nella paura. E questo non è vivere, ma è solo non morire… fino a che ci ammazzano o ci fanno sparire, e tutto con violenza terroristica.

E c’è anche chi, presuntamente di sinistra, guarda divertendo come il malgoverno mostra di essere schifoso o ignorante. Come se fosse necessario guardare le stronzate dei malgoverni per sapere che sono entrambe le cose.

Queste persone inoltre calcolano se avvantaggia oppure no i malgoverni, o se avvantaggia gli oppositori. Ma non gli importa se l’iniziativa è buona o cattiva per la lotta per la vita che fanno le donne. Guardano gli omicidi, le sparizioni, le violenze e si rallegrano perché questo dimostra che il malgoverno è, oltre che cattivo, un incapace. Queste persone dovrebbero invece domandarsi se i loro valori di sinistra, come dicono di essere, fanno loro guardare le lotte come se fossero al mercato della frutta a scegliere che cosa comprare oppure solo a guardare.

Ed in tutto questo blaterare dei malgoverni, i grandi mezzi di comunicazione, i partiti politici e le grandi menti dimenticano la cosa più importante che segna i giorni 8 e 9 marzo, che non è che ci stanno ammazzando in quanto donne, ma è che lottiamo per la nostra vita con tutti i mezzi e ognuna a nostro modo, tempo e luogo.

E se a loro non importa la vita, allora non sono né di destra, né di sinistra, né di centro. Non sono umani.

La lotta per la vita è essenziale per tutta l’umanità e non ha bisogno del permesso di nessuno perché l’abbiamo nel sangue. E se qualcuno pensa che la lotta per la vita delle donne è golpista o di destra o di governo o di sinistra o antigovernativa o è di un colore, pensiero o religione, allora difende la morte. Se vengono a sapere di un’altra assassinata, prima domandano di che colore è la sua pelle, il suo partito, la sua religione: e poi sparlano di lei, non degli assassini, ma della donna vittima.

Noi non capiamo come è che il mondo è arrivato a questo punto, e poi ancora dicono che noi indigene zapatiste siamo arretrate e non conosciamo lo sviluppo e il progresso che portano i megaprogetti e il denaro e il consumo. Questo è il loro progresso: svendere la vita delle donne perché sembra che sia molto economico far sparire, sequestrare o assassinare una donna, perché non c’è punizione. Non mancherà neppure chi applaude e dica “una nemica in meno”, “un disturbo in meno”, “una peccatrice in meno”, “una radicale in meno”, “una conservatrice in meno”, “una donna in meno”.

Non capiamo perché ci sono persone così, ma capiamo che non possiamo non fare niente pensando che queste sofferenze e rabbie sono di altre e che non ci tocchino… fino a che ci toccano.

-*-

Come donne zapatiste questo è quello che pensiamo e sentiamo quando analizziamo le parole e le azioni delle sorelle streghe:

Primo.- Noi salutiamo la loro iniziativa. La consideriamo qualcosa di prezioso, buono, nobile, onesto e legittimo. E l’appoggeremo secondo i nostri modi. Perché qualunque donna, che sia una, o poche, o molte che lottano per la vita, devono sapere che non sono sole. Perché pensiamo che se le assenti, le assassinate, le desaparecidas e le imprigionate devono sapere che non sono sole, a maggior ragione lo devono sapere le vive che lottano.

Pensiamo che sia una buona idea, perché l’8 marzo vedranno e sentiranno le nostre sofferenze e le nostre rabbie. Ed il giorno 9 i maschilisti patriarcali saranno preoccupati di che cosa stiamo pensando o pianificando, non lo sapranno perché non ci guardano. E se ci organizziamo di più e meglio? Perché a volte, dal dolore e la rabbia non segue la disperazione o la rassegnazione. Può essere che segua l’organizzazione.

Secondo.- Per questo, secondo il nostro modo di indigene zapatiste, abbiamo parlato con le altre compagne zapatiste delle comunità. Abbiamo chiesto loro se fosse una buona idea lo sciopero nazionale del 9 marzo. E sì, è una buona idea, ma bisogna fare qualcosa per appoggiarci in quanto donne che lottano.

Abbiamo quindi proposto che il 9 marzo le compagne incaricate di qualche compito, che sia come autorità autonoma, di comando organizzativo o comando militare o di commissioni di educazione, salute, comunicazione e di tutti i lavori che facciamo come donne zapatiste, non si presentino sui luoghi di lavoro.

Questo sarà il nostro modo di dirvi che appoggiamo l’idea del 9 marzo senza donne, come un’iniziativa in più delle donne che lottano per la vita. E siccome le donne indigene siamo maggioranza nell’autonomia zapatista, quel giorno l’autonomia zapatista si fermerà.

Ci abbiamo pensato e ne abbiamo parlato ed è venuto fuori che le compagne delle differenti zone zapatiste siamo d’accordo di unirci allo sciopero del giorno 9 marzo 2020, convocato dalle sorelle Brujas del Mar.

Terzo.- L’8 marzo migliaia di donne zapatiste si riuniranno nei nostri caracoles e parleremo delle sofferenze e delle rabbie che abbiamo ascoltato nei due incontri che abbiamo avuto, ma parleremo anche di lotte, delle nostre e delle vostre, compagne e sorelle che ci leggete. E porteremo un segno di colore nero sui nostri abiti.

Il 9 marzo molte non torneranno nei loro villaggi, ma resteranno e all’alba di quel 9 marzo accenderemo migliaia di luci. Nei caracoles e nei villaggi zapatisti brillerà la luce delle donne.

Non solo affinché le donne che facciano di quel giorno un giorno di lotta sappiano che le guardiamo, che le ammiriamo, che le rispettiamo e che le salutiamo. Ma che non sono sole.

Anche affinché con quelle luci le sorelle assenti, quelle assassinate, le desaparecidas, quelle imprigionate, le migranti, le violentate, sappiano che qua, in queste montagne in resistenza e disobbedienza c’è chi si preoccupa per loro e per le loro famiglie, per il loro dolore e la loro rabbia. E non importa se quella sorella che lotta è bianca o nera o gialla o del colore della terra. Non importa se crede o non crede in qualche religione. Non importa se si veste bene o male. Non importa se ha o no un salario. Non importa se è di qualche partito o no. Non importa se è amica o nemica.

Ciò che importa è che sia viva e libera. Perché così, vive e libere possiamo criticare, sparlare, litigare, o dibattere, discutere, analizzare e forse stringere un accordo: lottare contro la violenza sulle donne.

Con così tante uccisioni passiamo da un lutto all’altro, da un dolore all’altro, da un’indignazione ad un’altra. Forse è questo il piano del sistema maledetto. Che ci ammazzino e facciano sparire affinché non abbiamo tempo né modo di organizzarci e lottare contro il sistema patriarcale e capitalista.

Ma, come accade nella storia del mondo, succederà che ci organizzeremo proprio per fermare questa mattanza. E già dopo ci sarà chi dirà che è finita. Ma ci saranno altre che andranno oltre, fino a distruggere la radice del nostro dolore: il sistema capitalista patriarcale, razzista, sfruttatore, repressivo, ladro e disumano.

Perché, quando finalmente conquisteremo il diritto a vivere, ci sarà chi dirà che la schiavitú è bene e la difenda come destino, mandato divino, sfortuna o perfino buona fortuna.

Ci sarà chi dirà che quello che segue è avere un buon salario. Cioè che il salario da sfruttamento sia uguale per uomini e donne.

Ci sarà chi avrà bisogno della libertà come si ha bisogno dell’aria e lotti per conquistarla.

Ci sarà chi sarà libera e lotti per difendere la propria libertà.

Ci sarà chi dirà che si può da sole, in quanto donne.

E ci sarà chi dirà che bisogna distruggere la bestia del sistema, e che per farlo si deve lottare con tutte, con tutti … e con todoas.

Ed invece di tante assassinate, tante desaparecidas, tante rapite, tante violentate, ci saranno forse tante idee, tanti pensieri, tante forme di lotta in quanto donne.

Allora si capirà forse che la differenza è buona, ma affinché esista questa differenza si deve vivere.

Quarto.- Pertanto, rivolgiamo un rispettoso appello alle sorelle e compagne del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo, della Sexta Nazionale ed Internazionale, e delle Reti in Resistenza e Disobbedienza a che analizzino e discutano la proposta delle sorelle streghe o se ce ne sono altre. E se pensano che stia bene, che si uniscano senza chiedere permesso. Ma se pensano che non stia bene e che sia meglio un’altra cosa o un’altra iniziativa, che sia e senza chiedere permesso.

Così come noi non chiediamo il permesso ai comandanti e alle autorità, né a genitori, figli, fidanzati, mariti o amanti, ma lo facciamo perché non ci siamo sollevati in armi il gennaio 1994 per niente.

Non importa se ci dicono che siamo conservatrici o golpiste o di destra o di sinistra.

E quei malgoverni che dicono che la società si divide in liberale e conservatrice, e dicono di essere contro il neoliberismo, si chiamano “neoconservatori”.

Così la pensiamo e così faremo come donne indigene zapatiste.

E lo faremo SENZA CHIEDERE IL PERMESSO A NESSUN UOMO, che sia cattivo o buono, a nessuno.

È tutto.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Per le donne indigene zapatiste dell’EZLN.

Marisol, Yeny, Rosa Nery, Yojari, Lucia, Sol, Elizabet, otra Elizabet, Yolanda, Natalia, Susana, Adela, Gabriela, Anayeli, Zenaida, Cecilia, Diana, Alejandra, Carolina, Dalia, Cristina, Gabriela, Maydeli, Jimena, Diana, Kelsy, Marisol, Luvia, Laura.

Comandantas e Coordinatrici delle Donne Zapatiste dell’EZLN.

Messico, 1° marzo 2020

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/03/01/no-necesitamos-permiso-para-luchar-por-la-vida-las-mujeres-zapatistas-se-unen-al-paro-nacional-del-9-de-marzo/

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Immagini della mobilitazione zapatista del 20 febbraio in Difesa del Territorio e della Madre Terra, per la giustizia per le/i nostr@ mort@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e contro i megaprogetti di morte.

“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

Caracol Jacinto Canek. JBG Flor de nuestra palabra y luz de nuestros pueblos que refleja para todos. Comunidad del CIDECI-Unitierra. Municipio oficial de San Cristóbal de las Casas.

Caracol Resistencia y Rebeldía un Nuevo Horizonte. JBG La luz que resplandece al mundo. Dolores Hidalgo. Tierra recuperada.

Caracol Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de l@s caídos. JBG Semilla que florece con la conciencia de l@s que luchan por siempre. Tulan Ka’u, tierra recuperada.

Caracol Raíz de las Resistencias y Rebeldías por la humanidad. JBG Corazón de nuestras vidas para el nuevo futuro. Ejido Jolj’a.

Caracol Floreciendo la semilla rebelde. JBG Nuevo amanecer en resistencia y rebeldía por la vida y la humanidad. Poblado Patria Nueva, tierra recuperada.

Caracol Madre de los Caracoles de nuestros sueños. JBG Hacia la Esperanza. La Realidad.

Caracol Torbellino de Nuestras Palabras. JBG Corazón del Arcoiris de la esperanza. Morelia.

Caracol Que habla para todos. JBG Nueva Semilla que va a producir. Roberto Barrios.

Caracol Resistencia Hacia un nuevo amanecer. JBG El camino del Futuro. La Garrucha.

Caracol Resistencia y Rebeldía por la Humanidad. JBG Corazón céntrico de los zapatistas delante del mundo. Oventik.

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#SamirSomosTodasyTodos #CNI #CIG #DefensaDelTerritorio #Puebla

“A TODOS LOS COMPAÑEROS LES INFORMAMOS QUE EL COMPAÑERO MIGUEL LÓPEZ VEGA, SE ENCUENTRA LIBRE!”

*************

Comunicato di denuncia dell’arresto illegale del compagno del CNI, Miguel López Vega

Al popolo de Messico

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, denunciamo il vile arresto del nostro compagno Miguel López Vega, delegato del Congresso Nazionale Indigeno, membro della radio comunitaria di Zacatepec e del Fronte dei Popoli in Difesa di Terra e Acqua di Puebla, Morelos e Tlaxcala, per mano di persone armate del malgoverno che senza identificarsi hanno privato della libertà Miguel sulla base di un presunto mandato di cattura.

Il sequestro del nostro compagno all’esterno della Segreteria Generale di Governo alle ore 14:30 del 24 gennaio, è la risposta di chi sostiene di governare questo paese alla determinazione dei popoli originari di impedire la distruzione e l’inquinamento industriale del fiume Metlapanapa, è la repressione nel vedere la vita dove loro vedono denaro intriso del dolore della nostra gente.

Come popoli del CNI-CIG, manifestiamo la nostra opposizione alla distruzione e privatizzazione del fiume Metlapanapa che, insieme agli altri megaprogetti di morte, vogliono gettare il nostro paese nel lutto e nella guerra.

Esigiamo l’immediata liberazione del compagno Miguel López Vega.

Distintamente.
gennaio 2020
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/01/25/comunicado-denunciando-la-detencion-ilegal-del-companero-del-cni-miguel-lopez-vega/

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Il progetto delle Brigate Civili di Osservazione è nato 25 anni fa di fronte alle aggressioni dello Stato messicano contro le comunità indigene in resistenza. Arrivarono persone da diverse parti del mondo per frenare la violenza usando come unici strumenti la documentazione e la denuncia. Tutte queste persone, con la loro presenza e con la denuncia pubblica riuscirono a mitigare gli attacchi militari e paramilitari in diverse zone del Chiapas.

Uno degli obbiettivi dell’accompagnamento delle comunità indigene era aprire uno spazio civile per aiutare a mantenere la speranza, conservare la pace e le dinamiche comunitarie nel contesto di guerra oltre che ad essere testimoni della strategia di guerra dello Stato e denunciarne le azioni.

Conosci e condividi l’esperienza nelle Brico: https://frayba.org.mx/solidaridad/
📻 https://frayba.org.mx/notifrayba-cuando-la-solidaridad-se-hace-presente/

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L’estrattivismo che uccide in Messico

In Messico il governo aggredisce il territorio con le grandi opere mentre gli indigeni lottano e sono uccisi.

Andrea Cegna – Il Manifesto, 9 gennaio 2020

Josué Bernardo Marcial Campo era un giovane di 24 anni di Veracruz, Messico. Musicista e attivista conosciuto con il nome di TioBad. Mescolava il suono jarocho con il rap.

Il 16 dicembre del 2019 l’hanno trovato in una busta di plastica, fatto a pezzi. Negli ultimi 10 anni TíoBad ha lottato per difendere l’uso della tradizionale lingua mixe-popoluca, tipica della sua città, Sayula de Alemán, e con la sua musica ha denunciato lo sfruttamento massivo del suo territorio attraverso il fracking, le promuscuità tra economie legali, illegali e la politica, gli omicidi di giornalisti e i tentativi di cancellare le tradizioni indigene.

TIOBAD SI AGGIUNGE, solo in questo 2019, a Samir Flores Soberanes (Stato di Morelos), Julián Cortés Flores (del Guerrero), Ignacio Pérez Girón (dal Chiapas), José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales e Isaías Xanteco Ahujote (tutti dal Guerrero), Juan Monroy y José Luis Rosales (dello stato di Jalisco), Feliciano Corona Cirino (da Michoacán) tutti uccisi, denunciano le comunità di appartenenza, perché indigeni e attivisti in difesa del territorio.

CON L’ARRIVO AL GOVERNO DI ANDRES Manuel Lopez Obrador le politiche di stampo estrattivista del governo non si sono fermate. Il «credo» di Amlo è lo stesso degli altri governi «progressisti» del continente ovvero garantire la ridistribuzione di ricchezza sfruttando le risorse naturali del territorio. Vero però che quel tipo di scelta economica ha mostrato la sua fragilità rompendo i legami sociali tra governo e comunità indigene, e spesso – si veda il caso venezuelano – legato le sorti dell’economia statale al ricatto delle multinazionali.
Non più tardi dell’agosto 2019, il centro di analisi e investigazioni Fundar, nel suo studio annuale, chiedeva con urgenza al governo di vietare il fracking, prendere in considerazione alternative sistemiche per superare il modello estrattivista e sostenere forme alternative di sviluppo capaci di proteggere l’ambiente, e così rispettare e garantire i diritti umani di chi vive alcuni territori e lotta per difenderli.

PER ISAIN MANDUJANO, giornalista della rivista Proceso, «il governo di Lopez Obrador non ha una politica ambientalista definita e di alto impatto. Non abbiamo visto, in questi primi mesi, una politica di grande apertura sul tema come peraltro necessario a causa della crisi climatica, per non parlare della situazione economica». Per il giornalista parlare di politiche ambientali significa affrontare le problematiche «delle acque reflue, delle discariche, della contaminazione dei fiumi, dell’assenza di politiche urbane sul riciclo, del disboscamento e della deforestazione».

NEGLI STESSI GIORNI DELL’OMICIDIO di TioBad il governo Lopez Obrador, invece, promuoveva la consultazione delle popolazioni di Chiapas, Tabasco, Yucatan, Camapche e Quintana Roo per dare il via libera al «Tren Maya», infrastruttura ferroviaria irreversibile pensata per collegare Palenque a Cancun e favorire il trasporto e l’accoglienza dei turisti lungo tutti i 1500 chilometri di tragitto. Secondo l’opinionista de La Jornada, Carlos Fazio, «il Tren Maya non è nuovo, non è solo un treno, e non è Maya. Questo progetto non farebbe fare al Messico alcun esodo dal neoliberismo né restituirebbe allo Stato il suo ruolo guida come motore dello sviluppo economico nazionale, poiché la maggior parte degli investimenti sono di privati». Mentre Ana Esther Cecena nel suo Grandi Opere per il mercato mondiale sostiene che tale progetto va nella direzione di «dominare la natura, disciplinarla e trasformarla in una risorsa (capitale naturale), nonché convertire la popolazione in capitale umano», poiché «sono elementi chiave nella determinazione del dominio capitalista sulle forme di vita».

OLTRE IL 90% DI CHI SI E’ PRESENTATO in uno dei 268 seggi ha dato il via libera al progetto, e Lopez Obrador ha cantato vittoria. Alcuni giorni dopo la consultazione però sono stati pubblicati i dati di partecipazione al voto e si è scoperto che solo il 2,68% degli aventi diritto si era espresso. Non solo. Secondo l’Alto Commissariato delle Nazioni Uniti per i Diritti Umani la consultazione «non ha seguito gli standard internazionali» e non può quindi essere considerata valida. Il Tren Maya non è altro che una delle grandi opere o dei progetti di estrazioni dal sottosuolo a rappresentare gli interessi del capitalismo a discapito dell’ambiente.

IL PROGETTO INTEGRALE MORELOS e «lo sviluppo» integrale dell’Istmo de Tehuantepec sono gli altri due enormi progetti di scontro tra il governo e le comunità rurali unite agli ambientalisti. Ma negli ultimi 12 anni sono stati almeno 134 progetti minerari, 70 petroliferi, 50 idroelettrici, 35 eolici e 15 gasdotti a generare 879 conflitti di natura ambientale, territoriale e lavorativa. Progetti d’estrazione e grandi opere sono così un nodo centrale nel paese. Non solo perché rappresentano il programma di sviluppo economico del governo di Lopez Obrador, non solo perché sono elemento di scontro con le popolazioni indigene e con i campesinos, soggetti ai quali Amlo aveva promesso attenzione, ma soprattutto perché attorno a tali interessi economici si muovono anche gruppi del crimine organizzato.
Spesso le aree di azione del crimine organizzato coincidono con i territori dove sono in corso conflitti per la difesa dell’ambiente e del territorio. Con la violenza, l’impunità e la convivenza di Polizia Federal ed esercito, i gruppi criminali prendono possesso delle aree interessate per poi trattare con aziende e politica il loro sfruttamento.

LE PAROLE DELL’ONU ARRIVAVANO in concomitanza con l’inzio, in Chiapas, del «Foro in difesa del territorio e della Madre Terra» organizzato dall’EZLN e dal Congresso Nazionale Indigeno. All’incontro, che si è svolto nel nuovo Caracol Jacinto Canek, a San Cristobal de Las Casas, hanno partecipato realtà indigene e campesine di 24 stati della repubblica messicana, oltre che comunità solidali di Guatemala, Ecuador, El Salvador, e Stati Uniti d’America.

Al termine della due giorni è stato scritto un lungo e duro comunicato contro il governo di Andres Manuel Lopez Obrador, diviso in quattro punti, e che come terzo sostiene: «Per avanzare nella sua guerra, il malgoverno scommette sullo smantellamento del tessuto comunitario, fomentando i conflitti interni che tingono di violenza le comunità, tra chi difende la vita e chi vuole mettergli un prezzo, anche a costo di vendere le future generazioni a beneficio milionario di pochi corrotti che si servono dei gruppi armati della criminalità organizzata».

Secondo il Centro Messicano di Diritto Ambientale, infatti, «in Messico molte delle violazioni dei diritti umani nei confronti di popolazioni e comunità indigene e rurali sono state perpetrate nell’ambito dello sviluppo delle grandi opere. Ciò è dovuto, in gran parte, all’esistenza di una politica economica e sociale che manca di qualsiasi prospettiva di sostenibilità e rilevanza bio-culturale, che causa un consumo eccessivo di risorse naturali, distruzione ecologica, deforestazione, erosione del suolo, desertificazione, sfruttamento eccessivo delle risorse naturali e inquinamento dell’acqua e dell’aria». https://ilmanifesto.it/lestrattivismo-che-uccide-in-messico/?fbclid=IwAR0R4PbkF3xZVp3CdBfte0mNYanaJc30bN02rKeyKYbBVLPCbqFfiuc19tc

 

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PAROLE DELLE DONNE ZAPATISTE A CHIUSURA DEL SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

29 dicembre 2019.

Compagne e Sorelle,
desideriamo dire e porgere qualche parola in questa chiusura del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Abbiamo ascoltato la parola dei tavoli di lavoro e le vostre proposte. E altre proposte che si sono fatte.
Queste e altre proposte che sono uscite, quando sarete nelle vostre geografie e ci penserete e rifletterete nel vostro cuore ciò che qui abbiamo visto e ascoltato in questi giorni, vediamo di trovare un luogo perché tutte quelle che hanno assistito, e soprattutto quelle che non sono potute venire, conoscano quelle proposte e quelle idee e opinioni ed esprimano la loro parola.
Pensiamo che questo sia importante perché, se non ci ascoltiamo tra noi stesse come le donne che siamo, allora non serve che lo facciamo, perché vorrebbe dire che non siamo donne che lottano per tutte le donne, ma solo per la nostra idea o il nostro gruppo o la nostra organizzazione.
Sembra facile dire che pensiamo e riflettiamo sulle proposte, invece costa, perché per questo ci si deve organizzare.

Perciò, vi proponiamo questo primo accordo:

  1. Che tutte conveniamo e conosciamo le proposte per procedere nel nostro pensiero sul tema della violenza contro le donne. Ovvero proposte su come fare per fermare questo grave problema che abbiamo come le donne che siamo.

Siete d’accordo?

Bene, quando abbiamo preparato questo messaggio non sapevamo se avreste detto che eravate d’accordo o non eravate d’accordo.
Però se siamo d’accordo, allora abbiamo un anno, Compagna e Sorella, per procedere in questo lavoro.
Non sia che il prossimo anno ci riuniamo e continuiamo con la violenza contro le donne senza idee né proposte su come fermarla.

-*-

Un’altra cosa che desideriamo dirvi e che ascoltiamo attentamente come donne zapatiste riguarda le denunce che in questi giorni sono state fatte.

Non si riesce a credere, Compagna e Sorella, il tanto parlare di progresso, di modernità e grande sviluppo che c’è in questi mondi e nemmeno c’è qualcuno che abbia un po’ di umanità per commuoversi a quelle disgrazie, dolori e disperazioni che si sono raccontate, oltre a quelle che non sono state raccontate.
Com’è possibile che una donna con tali dolori, tali pene, tali coraggi, tali rabbie, debba venire fino a queste montagne del sudest messicano per ricevere il minimo che dobbiamo loro come donne, che è un abbraccio di sostegno e consolazione.
A volte la donna che non ha sofferto violenza pensa che questo non sia importante, però chiunque abbia un poco di cuore sa che quel abbraccio, quel consiglio, è un modo per dire, per comunicare, per gridare che non siamo sole.

E non sei sola, Compagna e Sorella.
Però non basta.
Non è solo un consiglio che necessitiamo e meritiamo.
Necessitiamo e meritiamo verità e giustizia.
Necessitiamo e meritiamo vivere.
Necessitiamo e meritiamo libertà.

E questo grande bisogno potremo conquistarlo se c’è chi ci appoggia, ci protegge e ci difende.
Questo è il messaggio le insurgentas e miliziane diedero a noi: rispondere alla chiamata della donna che chiede aiuto. Sostenerla. Proteggerla. E difenderla con ciò che abbiamo.

Perciò, chiediamo che le insurgentas e miliziane ci ripetano il loro messaggio.

————————————————————————

(si svolge l’esercizio delle miliziane e insurgentas)

————————————————————————

Grazie alle nostre Compagne insurgentas e miliziane che si sono prese cura di noi, proteggendoci e difendendoci in questi giorni dell’Incontro.

Allora, qui vi facciamo la nostra seconda proposta di accordo:

  1. se qualsiasi donna in qualunque parte del mondo, di qualsiasi età, di qualsiasi colore chiede aiuto perché attaccata con violenza, rispondiamo alla sua chiamata e cerchiamo il modo di sostenerla, di proteggerla e di difenderla.

Siete d’accordo?

Quando abbiamo scritto questo messaggio non sapevamo la vostra risposta, però si va.

Bene, Sorella e Compagna, per difenderci, proteggerci e sostenerci dobbiamo essere organizzate, questo lo sappiamo.
E sappiamo anche che ciascuna ha il suo modo di organizzarsi.
Però se ogni organizzazione o gruppo o collettivo di Donne che Lottano si muove a modo suo, non è lo stesso che muoversi in accordo e coordinamento con gli altri gruppi, collettivi e organizzazioni.
E per esserci accordi e coordinamenti bisogna rimanere in comunicazione, avvisarci tra di noi, spiegarci tra di noi, trovare accordo tra di noi.

Allora vi facciamo la nostra terza proposta di accordo:

  1. Che con tutti i gruppi, collettivi e organizzazioni di Donne che Lottano che desiderano coordinarsi per azioni congiunte ci scambiamo i modi per comunicare tra noi, sia per telefono o via internet o come volete.

Siete d’accordo?

Bene, abbiamo già sentito la vostra risposta.

Un’ultima cosa prima di terminare e chiudere questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Riguarda il calendario.
Sappiamo che non importa il giorno, la settimana, il mese o l’anno, in qualunque posto del mondo ci sarà una donna spaventata, aggredita, desaparecida o assassinata.
Lo abbiamo già detto che non ci sarà riposo per le donne che lottano.
Quindi, vogliamo proporti qui, attraverso chi ci ascolta o ci legge o ci guarda, una proposta d’azione congiunta.
Può essere qualsiasi giorno dell’anno, perché già lo sappiamo com’è il sistema patriarcale, che non riposa per violentarci.

Ma noi proponiamo che questa azione congiunta delle Donne che Lottano sia in tutto il mondo il prossimo 8 marzo 2020.

Proponiamo che quel giorno, ogni organizzazione, gruppo o collettivo faccia ciò che crede sia la cosa migliore.
E che ciascuna porti il colore o simbolo che ci identifica, secondo il pensiero e la modalità di ciascuna.
Però che tutte portiamo un chignon nero in segno di dolore e pena per tutte le donne desaparecidas e uccise in tutto il mondo.
Per dire in questo modo, in tutti gli idiomi, in tutte le geografie e con tutti i calendari:

Che non sono sole.

Che ci mancano.

Che non le dimentichiamo.

Che le necessitiamo.

Perché siamo Donne che Lottano.
E noi non ci vendiamo, non ci arrendiamo e non tentenniamo.

-*-

Ecco la nostra parola, Sorella e Compagna.
Ti chiediamo di prenderti molta cura di te nel tuo viaggio di ritorno alla tua geografia.
Vogliamo che tu stia bene.
Ti ricordiamo di ricordare cosa fu questo Incontro.
E che ricordi sempre che qui, nelle montagne del sudest messicano, hai noi, Donne che siamo Zapatiste, e che, come te, siamo donne che lottano.

Quindi, a nome delle Donne Zapatiste di tutte le età, essendo le —-, ora zapatista, del giorno 29 dicembre 2019, dichiaro formalmente chiuso questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, qui nelle montagne del sudest messicano.

 

Dal semenzaio “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, caracol “Torbellino de Nuestra Palabra”, Montagne Zapatiste in Resistenza e Ribellione.

Comandanta Yesica
Messico, 29 dicembre 2019

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/31/palabras-de-las-mujeres-zapatistas-en-la-clausura-del-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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Parole delle donne zapatiste all’inaugurazione del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano

27 dicembre 2019.

Compagne e Sorelle:

Benvenute tutte in queste terre zapatiste.
Benvenute Sorelle e Compagne delle diverse geografie dei cinque continenti.
Benvenute Compagne e Sorelle del Messico e del Mondo.
Benvenute Sorelle e Compagne delle Reti di Resistenza e Ribellione.
Benvenute Compagne del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo.
Benvenute Compagne della Sexta nazionale e internazionale.
Benvenute Compagne base di appoggio zapatiste.
Benvenute Compagne miliziane e insurgentas dell’EZLN.

Sorella e Compagna:

Ti informiamo che, fino ad oggi, 26 dicembre 2019, sono stati registrati per questo secondo incontro:

3, 259 DONNE
95 BAMBIN@.
26 UOMINI

Dei seguenti 49 paesi:

1. Germania
2. Algeria
3. Argentina
4. Australia
5. Austria
6. Bangladesh
7. Belgio
8. Bolivia
9. Brasile
10. Canada
11. Catalogna
12. Cile
13. Colombia
14. Costa Rica
15. Danimarca
16. Ecuador
17. El Salvador
18. Spagna
19. Stati Uniti
20. Finlandia
21. Francia
22. Grecia
23. Guatemala
24. Honduras
25. India
26. Inghilterra
27. Irlanda
28. Italia
29. Giappone
30. Kurdistan
31. Macedonia
32. Norvegia
33. Nuova Zelanda
34. Paesi Baschi
35. Paraguay
36. Perù
37. Polonia
38. Puerto Rico
39. Regno Unito
40. Repubblica Dominicana
41. Russia
42. Siberia
43. Sri Lanka
44. Svezia
45. Svizzera
46. Turchia
47. Uruguay
48. Venezuela
49. Messico

Compagna e Sorella:

Siamo molto felici che sei potuta arrivare fino alle nostre montagne.

E anche se non sei stata in grado di venire, ti salutiamo comunque perché sei in attesa di quello che succede qui, in questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Lo sappiamo bene che hai penato per arrivare fino a qui.

Sappiamo bene che devi lasciare le tue famiglie e amicizie.

Sappiamo bene che è costato il tuo impegno e il tuo lavoro ottenere il denaro per poter fare il viaggio dalla tua geografia alla nostra.

Ma sappiamo anche bene che il tuo cuore è un po’ contento del fatto che qui incontrerai altre Donne in Lotta.

Inaspettatamente, a volte, ti aiuta nella tua lotta ascoltare e conoscere altre lotte come donne che siamo.

Sia che siamo d’accordo o non siamo d’accordo con altre lotte e i loro modi e geografie, può servire a tutte ascoltare e imparare.

Per questo non si tratta di competere per vedere qual è la lotta migliore, quanto condividere e condividerci.

Ecco perché ti chiediamo di rispettare sempre i diversi pensieri e modi.

Tutte coloro che sono qui, e molte di più quelle che non sono presenti, siamo donne in lotta.

Abbiamo diverse modalità, è vero.

Ma hai visto che il nostro pensiero, come le zapatiste che siamo, è che non serve che tutte siano uguali nel pensiero e nel modo.

Pensiamo che la differenza non sia debolezza.

Pensiamo che la differenza sia forza potente se c’è rispetto e se c’è accordo di lottare unite senza agitarci.

Quindi ti chiediamo di condividere il tuo dolore, la tua rabbia e la tua lotta con intelligenza.

E che rispetti gli altri dolori, le altre rabbie e le altre degne lotte.

Compagna e Sorella:

abbiamo fatto tutto il possibile perché tu sia contenta e sicura.

Sembra semplice da dire, ma sappiamo bene che ora ci sono molti pochi i posti del mondo dove possiamo essere felici e sicure.

Ed è per questo che siamo qui, perché ci porta il nostro dolore e la nostra rabbia per la violenza che abbiamo sofferto come donne per il crimine di essere donne.

Come potrai vedere in questi giorni, la presenza di uomini non è consentita in questo luogo.

Non importa se sono uomini buoni, o se sono uomini normali, o se sono uomini a modo, non possono stare qui in questi giorni.

Questo luogo e questi giorni sono solo per le Donne che Lottano.

Ovvero che non sia una donna.

Le Compagne Insurgentas e Miliziane sono incaricate di prendersi cura di noi e proteggerci in questi giorni e in questo posto.

Ci siamo anche sforzate affinché tu abbia dove riposarti, dove mangiare e dove lavarti.

Sia per il riposo, il cibo e l’igiene, ti chiediamo di essere sorella e compagna soprattutto delle donne che sono ‘di giudizio’, cioè anziane.

Dobbiamo rispettarle perché non sono nuove alla lotta delle donne che siamo.

La loro canutezza, i loro acciacchi, le loro rughe non le hanno ottenute vendendosi al sistema patriarcale.

Nemmeno perché si sono arrese al machismo.

Né perché hanno tentennato o cambiato il loro pensiero di lotta per i diritti come le donne che siamo.

Esse sono ciò che sono perché non si sono vendute, né arrese, né hanno esitato.

E alle donne in età, di giudizio, chiediamo altrettanto di rispettare e salutare le più giovani, che siano adulte o bambine.

Perché anche a loro toccherà questa lotta. E non manca loro né decisione né impegno.

Se non permettiamo che ci divida la geografia, nemmeno permettiamo che ci dividano i calendari.

Tutte, non importa il calendario di cui siamo cariche o dalla geografia in cui viviamo, siamo nella stessa situazione: la lotta per i nostri diritti come le donne che siamo.

Ad esempio, il nostro diritto alla vita.

E qui è dove ci sentiamo tristi e affrante perché, a oltre un anno dal Primo Incontro, non possiamo darti buone notizie.

In tutto il mondo continuano a uccidere donne, continuano a sparire, continuano a violentarle, continuano a disprezzarle.

In questo anno non si è contenuto il numero delle violentate, desaparecidas e assassinate.

Ciò che sappiamo è che è aumentato.

E noi, come zapatiste, vediamo che è molto grave.

Per questo abbiamo convocato questo Secondo Incontro con un solo tema: la violenza contro le donne.

 

Sorella e Compagna, tu che sei potuta venire e tu che non sei potuta venire:

vogliamo ascoltarti e guardarti, perché abbiamo delle domande.

Come ti sei organizzata?

Che cosa hai fatto?

Che cosa è successo?

Perché ricorda che al nostro Primo Incontro, ci siamo impegnate per organizzarci nei nostri luoghi per dire basta con le assassinate, le desaparecidas, le umiliate, le disprezzate.

Ma vediamo che sta andando molto peggio.

Dicono che c’è equità di genere perché nei malgoverni c’è lo stesso numero di uomini e di donne al comando.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono più diritti salariali per le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che c’è un gran avanzamento delle lotte femministe.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ora le donno hanno più voce.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che adesso si prendono in considerazione le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ora ci sono più leggi che proteggono le donne.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che adesso è molto ben visto il parlare bene delle donne e delle loro lotte.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono uomini che comprendono la lotta delle donne che siamo al punto di dirsi femministi.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che la donna occupa ora più spazi.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che ci sono già SuperEroine nei film.

Però continuano ad ammazzarci.

Dicono che c’è più consapevolezza del rispetto per la donna.

Però continuano ad ammazzarci.

Ogni volta più assassinate.

Ogni volta con più brutalità.

Ogni volta con più violenza, coraggio, invidia e odio.

Ogni volta con più impunità.

Cioè, ogni volta con più machi che non vengono puniti, che continuano senza condanna, come se nulla fosse, come se uccidere una donna, farla sparire, sfruttarla, usarla, aggredirla, sloggiarla, fosse una cosa qualsiasi.

Continuano ad ammazzarci e ancora ci chiedono, esigono, ci ordinano di comportarci bene.

E non ci si crede, ma se un gruppo di lavoratrici o lavoratori bloccano una strada, o fanno uno sciopero, o protestano, è un grande scandalo.

Dicono che si violano i diritti delle merci, dei mezzi, delle cose.

E sui mezzi di comunicazione ci sono foto, video, reportage, analisi e commenti contro quelle proteste.

Però se violano una donna, si appone un numero in più o un numero in meno sulle statistiche.

E se le donne protestano e lanciano in alto le loro pietre, rompono i vetri in alto, gridano le loro verità a quelli di sopra, allora sì c’è grande agitazione.

Però se ci fanno sparire, se ci ammazzano, poi semplicemente mettono un altro numero: una vittima in più, una donna in meno.

Come se il potere volesse mantenere ben chiaro che ciò che gli importa è il suo guadagno, non la vita.

Contano le auto, le pietre, le vetrine, le merci.

La vita non conta.

E se è la vita di una donna, allora conta anche meno.

È per questo che noi, come le zapatiste che siamo, cioè anticapitaliste e antipatriarcali, lo pensiamo come il modo di agire del sistema.

E quindi sembra che le nostre morti violente, le nostre sparizioni, i nostri dolori, sono un guadagno per il sistema capitalista.

Perché il sistema permette soltanto ciò che gli procura proventi, ciò che gli dà guadagno.

Per questo diciamo che il sistema capitalista è patriarcale.

Ha valore e comanda il patriarcato, anche se è il ‘capoccia’ è una donna.

Quindi, è nostra convinzione che, per lottare per i nostri diritti, come il diritto alla vita, non basta che lottiamo contro il machismo, il patriarcato o come si voglia chiamare.

Dobbiamo lottare anche contro il sistema capitalista.

Sono appiccicati insieme, così diciamo noi zapatiste.

Però sappiamo che ci sono altre convinzioni e altri modi di lottare come le donne che siamo.

D’un colpo qualcosa comprendiamo.

D’un colpo qualcosa impariamo.

Perciò abbiamo invitato tutte le Donne che Lottano.

Non importa qual è il tuo pensiero o modalità.

Ciò che importa è che lottiamo per la nostra vita, che oggi più che mai è quella in pericolo in tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Benché dicano e predichino che ci sono molti progressi per le donne, la verità è che mai prima nella storia dell’umanità è stato così mortale essere donna.

Vedi, Compagna e Sorella, dicono che questa o quella professione è la più pericolosa.

Ci si chiede se è più pericoloso essere giornalista, o essere delle forze dell’ordine, o essere giudice, o essere malgoverni.

Però tu e noi sappiamo che in questo momento la cosa più pericolosa al mondo è essere donna.

Non importa se è bambina, o giovane, o adulta, o di giudizio.

Non importa se è bianca, gialla, rossa, o del colore della terra.

Non importa se è grassa, magra, alta, bassa, carina o bruttina.

Non importa se è di classe bassa, o media o alta.

Non importano la sua lingua, la sua cultura, le sue credenze, la sua militanza.

Nell’ora della violenza, la sola cosa che importa è essere donna.

 

Sorella e Compagna:

come zapatiste sappiamo che ci daranno molti esempi di donne che sono progredite, che hanno trionfato, che hanno ottenuto premi e buoni stipendi, che ce l’hanno fatta, dicono.

Noi rispondiamo parlando delle violentate, delle desaparecidas, delle assassinate.

Poi, rispondiamo che là sopra parlano dei diritti conquistati là sopra per poche.

Quindi diciamo, spieghiamo, gridiamo che manca il più elementare dei diritti per tutte le donne, il più importante: il diritto alla vita.

E lo abbiamo già detto molte volte, Compagna e Sorella, ma oggi lo ripetiamo.

Il diritto alla vita e tutti i diritti che meritiamo e necessitiamo non ce li regalerà nessuno.

Non ce li darà l’uomo cattivo, buono, normale o a modo.

Non ce li darà il sistema capitalista, per quante leggi o promesse faccia.

Il diritto alla vita, e tutti i diritti, ce li dobbiamo conquistare.

In tutti i tempi e in tutti i luoghi.

Ossia, che per le Donne che Lottano non ci sarà riposo.

Sorella e Compagna:

ci dobbiamo difendere.

Autodifenderci come individue e come donne.

E soprattutto dobbiamo difenderci organizzate.

Appoggiarci tutte.

Proteggerci tutte.

Difenderci tutte.

E dobbiamo cominciare ora.

Le mie compagne coordinatrici dell’Incontro mi hanno incaricata di dirti queste parole perché sono mamma di una bambina che sta qui con me.

Perché il nostro dovere come donne in lotta è proteggerci e difenderci.

E ancor più se la donna è appena una bimba.

La dobbiamo proteggere e difendere con tutto quel che abbiamo.

E se non abbiamo nulla, allora con bastoni e pietre.

E se non c’è bastone né pietra, allora con il nostro corpo.

Con unghie e denti dobbiamo proteggere e difendere.

E insegnare alle bambine a proteggersi e difendersi quando sono cresciute e posseggono le proprie forze.

Così stanno le cose, Sorella e Compagna, dobbiamo vivere in difesa.

E dobbiamo insegnare alle nostre creature a crescere in difesa.

Affinché possano nascere, alimentarsi e crescere senza paura.

Come zapatiste noi pensiamo che ottenere questo è meglio essere organizzate.

Sappiamo che c’è chi pensa che sia possibile anche individualmente.

Però noi lo facciamo organizzate come le zapatiste che siamo.

Perché, sì, siamo donne in lotta però siamo donne zapatiste.

Per questo, Compagna e Sorella, ti informiamo che, in questo anno, tra le nostre compagne non c’è stata nessuna assassinata né desaparecida.

Certo, abbiamo alcuni casi, secondo l’ultima riunione che abbiamo tenuto, di violenza contro donne.

E stiamo vedendo di punire i responsabili, tutti uomini.

E non solo lo stanno trattando le autorità autonome, lo stiamo trattando anche come donne zapatiste.

E ti diciamo anche la mera verità, che a volte litighiamo tra di noi, Compagna e Sorella, litighiamo per sciocchezze su come siamo le donne che siamo.

A volte perdiamo tempo in questi sciocchi litigi perché ora siamo vive e al sicuro.

Perché c’è stato un tempo in cui vivevamo solo la morte.

E la pura verità, osservando come stanno le cose nei tuoi mondi, non ti offendere Sorella e Compagna, è che desideriamo che finalmente venga il giorno in cui discuterete e litigherete su chi è la più bella, la più giovane, la più intelligente, quella vestita meglio, la più fidanzat@ o sposat@, o perché avete gli stessi vestiti, o perché i vostri figl@ sono migliori o peggiori, o per queste cose che succedono nella vita.

Perché quel giorno, Compagna e Sorella, ci dirà che la vita non è un problema.

Allora potremo essere sfacciate uguali agli uomini e perderci in ciance e sciocchezze.

Oppure no, potremmo capire invece che, seppur vive e libere, i problemi saranno altri, altre le discussioni e altri i litigi.

Ma, finché arriva quel giorno, Sorella e Compagna, dobbiamo prenderci cura tra di noi.

Proteggerci tra noi.

E difenderci tra noi.

Perché tu lo sai bene, Compagna e Sorella, siamo in guerra.

Loro per ucciderci.

Noi per vivere, ma vivere senza paura, vivere libere.

E per questo dolore, questa rabbia che abbiamo per non poter vivere libere, desideriamo mandare un grido di rabbia a tutto il mondo.

E anche un respiro di lotta a tutte e a ciascuna delle donne che sono violentate fisicamente e in tutte le altre forme.

E, come donne zapatiste, vogliamo mandare un abbraccio speciale alle famiglie e amicizie delle donne scomparse e uccise.

Un abbraccio che vi faccia sapere che non siete sole, che a nostro modo e nel nostro luogo, accompagniamo la vostra richiesta di verità e giustizia.

Perché per questo ci riuniamo, Sorella e Compagna.

Per gridare il nostro dolore e la nostra rabbia.

Per accompagnarci e farci coraggio.

Per cercare cammini di appoggio e aiuto.

Ecco, questa è la nostra piccola parola, Sorella e Compagna.

Le insurgentas e miliziane hanno preparato una conferenza alla loro maniera che comincerà subito, e ti ricordiamo qui la piccola luce che ti abbiamo dato al Primo Incontro.

Più in là inizieremo i lavori di questa riunione, dedicando tutta la giornata di oggi alle rivendicazioni.

Abbiamo questo posto e questa giornata dedicati alla denuncia della violenza che soffriamo.

Oggi ci sarà un singolo tavolo di denuncia e qui ci sarà il microfono aperto.

Qui saremo in grado di passare e prendere la parola e lanciare la nostra rabbia, il nostro coraggio in tutto ciò che facciamo.

E tutte ascolteremo con attenzione e rispetto.

Nessun altro ascolterà ciò che diciamo.

Solo noi che siamo Donne che Lottano e che siamo qui presenti.

Affinché senza timore, Sorella e Compagna, tu lo possa dire chiaro il tuo dolore, piangere il tuo coraggio, gridare la tua rabbia.

E che sia chiaro che almeno noi, le zapatiste, ti creeremo un posto nel nostro cuore collettivo e, attraverso di noi che siamo qui, decine di migliaia di donne indigene zapatiste ti accompagneranno.

Bene, domani, andremo a condividere le idee, i lavori e le esperienze che ci portate per cercare cammini perché finisca questa notte di dolore e morte.

E l’ultimo giorno di questo Incontro lo dedicheremo alla cultura, all’arte e alla festa.

Così un giorno gridiamo il nostro dolore e coraggio.

Un altro giorno condividiamo idee ed esperienze.

E il terzo giorno gridiamo di allegria e di forza.

Perché siamo donne che soffrono.

Ma siamo anche donne che si pensano e si organizzano.

E, soprattutto, siamo Donne che Lottano.

Così sarà.

Così già lo sai, sei la benvenuta Compagna e Sorella.

Tu che arrivasti e tu che non ci sei però sei qui col cuore.

———–

Allora, a nome delle donne zapatiste di tutte le età, alle 13:57, ora zapatista, del giorno 27 dicembre 2019, dichiaro formalmente inaugurato questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, qui nelle montagne del sudest messicano.

Dal semenzaio “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”. Caracol “Torbellino de Nuestra Palabra”, Montagne Zapatiste in Resistenza e Ribellione.

Comandanta Amada

Messico, dicembre 2019.

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/27/palabras-de-las-mujeres-zapatistas-en-la-inauguracion-del-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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PAROLE DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’EZLN, PER VOCE DEL SUBCOMANDANTE INSURGENTE MOISÉS, AL 26° ANNIVERSARIO DALL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO

31 DICEMBRE 2019 – PRIMO GENNAIO 2020.

BUON POMERIGGIO, GIORNO, SERA E MATTINA A TUTTE, TUTTI E *TUTTEI*:

COMPAGNE E COMPAGNI BASI DI APPOGGIO ZAPATISTE:

COMPAGNI E COMPAGNE COMANDANTE E COMANDANTI ZAPATISTI:

AUTORITÀ AUTONOME ZAPATISTE:

COMPAGNE E COMPAGNI MILIZIANI, MILIZIANE, INSURGENTE E INSURGENTI:

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:

SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE:

SORELLE E FRATELLI DEL MESSICO E DEL MONDO:

TRAMITE LA MIA VOCE PARLA LA VOCE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE
NAZIONALE.

“CANEK HA DETTO:

IN UN LIBRO HO LETTO CHE AI VECCHI TEMPI I SIGNORI VOLLERO METTERE INSIEME
GLI ESERCITI PER DIFENDERE LE TERRE CHE GOVERNAVANO.

PRIMA DI TUTTO CONVOCARONO GLI UOMINI PIÙ CRUDELI PERCHÉ SUPPONEVANO CHE
AVESSERO UNA CERTA FAMILIARITÀ CON IL SANGUE; E COSÌ FORMARONO I LORO
ESERCITI CON PERSONE PRESE DALLE PRIGIONI E DAI MERCATI.

DOPO POCO SUCCESSE CHE QUANDO QUESTE PERSONE SI RITROVARONO DI FRONTE AL
NEMICO, IMPALLIDIRONO E GETTARONO LE ARMI.

PENSARONO DUNQUE AI PIÙ FORTI: AI MURATORI E AI MINATORI.

A LORO DIEDERO ARMATURE E ARMI PESANTI.

IN QUESTO MODO FURONO SPEDITI A LOTTARE.

MA SUCCESSE CHE LA PRESENZA STESSA DELL’AVVERSARIO CONGELÒ LE LORO BRACCIA
E ADDORMENTÒ I LORO CUORI.

RICORSERO QUINDI SAGGIAMENTE A QUELLI CHE, SENZA ESSERE PARTICOLARMENTE
SANGUINARI NÉ FORTI, AVESSERO CORAGGIO E QUALCOSA DA DIFENDERE
LEGITTIMAMENTE: COME AD ESEMPIO LA TERRA CHE LAVORAVANO, LA DONNA CON CUI
DORMIVANO E I FIGLI CON CUI AVREBBERO PORTATO AVANTI LA PROPRIA DISCENDENZA.

E FU COSÌ CHE, GIUNTA L’OCCASIONE, QUESTI UOMINI LOTTARONO CON COSÌ TANTA
FURIA CHE CACCIARONO I LORO AVVERSARI E FURONO PER SEMPRE LIBERI DA MINACCE
E DISCORDIE.»

SORELLE, FRATELLI, HERMANOAS:

26 ANNI FA, UN POMERIGGIO COME QUESTO, SIAMO SCESI DALLE NOSTRE MONTAGNE
FINO ALLE GRANDI CITTÀ PER SFIDARE IL POTENTE.

NON AVEVAMO NIENT’ALTRO DA PERDERE CHE LA NOSTRA MORTE.

UNA MORTE NOBILE, PERCHÉ MORIVAMO DI MORTE E DI OBLIO.

E DOVEMMO SCEGLIERE.

SCEGLIERE TRA MORIRE COME ANIMALE O MORIRE COME ESSERE UMANI LOTTANDO PER
LA VITA.

QUANDO SORSE IL SOLE, QUEL PRIMO GENNAIO AVEVAMO IL FUOCO NELLE MANI.

IL PREPOTENTE CHE AFFRONTAMMO ALLORA È LO STESSO CHE OGGI CI DISPREZZA.

AVEVA UN ALTRO NOME E UN’ALTRA FACCIA, MA ERA ED È LO STESSO DI ADESSO.

SUCCESSE QUEL CHE SUCCESSE E SI APRÌ UNO SPAZIO PER LA PAROLA.

APRIMMO QUINDI IL NOSTRO CUORE A OGNI CUORE FRATELLO E COMPAGNO.

E LA NOSTRA VOCE TROVÒ SOSTEGNO E CONSOLAZIONE IN TUTTI I COLORI DEL MONDO
DAL BASSO.

IL PREPOTENTE MISE TRAPPOLE, USÒ ASTUZIE, MENZOGNE E SEGUÌ IL PROPRIO PIANO
PER DISTRUGGERCI.

COSÌ COME FA IL PREPOTENTE DI ADESSO.

*-*-*

MA NOI RESISTEMMO E MANTENEMMO IN ALTO LA BANDIERA DELLA NOSTRA RIBELLIONE.

CON L’AIUTO DI TUTTI I COLORI DEL MONDO INIZIAMMO A METTERE IN PIEDO UN
PROGETTO DI VITA SU QUESTE MONTAGNE, PERSEGUITATI DALLA FORZA E DALLA
FALSITÀ DEL PREPOTENTE, COME ADESSO, CI MANTENEMMO FERMI NELLA COSTRUZIONE
DI QUALCOSA DI NUOVO.

ABBIAMO COMMESSO DEGLI ERRORI, NON C’È DUBBIO.

E SICURAMENTE NE COMMETTEREMO ALTRI LUNGO IL CAMMINO.

MA NON CI SIAMO MAI ARRESI.

NON CI SIAMO MAI VENDUTI.

NON ABBIAMO MAI RINUNCIATO.

ABBIAMO CERCATO TUTTE LE VIE POSSIBILI AFFINCHÉ CI FOSSERO PAROLE, DIALOGO
E L’ACCORDO, LA STRADA PER COSTRUIRE LA PACE CON GIUSTIZIA E DIGNITÀ.

MA PRIMA COME ADESSO IL PREPOTENTE SI È TAPPATO LE ORECCHIE E SI È NASCOSTO
DIETRO ALLE MENZOGNE.

COME IL PREPOTENTE DI ADESSO, È STATO ED È IL DISPREZZO L’ARMA CHE
ACCOMPAGNA I SUOI MILITARI, LA SUA POLIZIA, LE SUE GUARDIE NAZIONALI, I
PARAMILITARI E I PROGRAMMI CONTRO GLI INSORGENTI.

TUTTI I PREPOTENTI CHE CI SONO STATI E QUELLI CHE CI SONO ORA HANNO FATTO
LE STESSE COSE.

VALE A DIRE CHE HANNO PROVATO E PROVANO A DISTRUGGERCI.

E OGNI ANNO TUTTI I PREPOTENTI SI CONFORTANO E ILLUDONO DI AVERCI ANNIENTATI

SI CONVINCONO CHE GLI ZAPATISTI NON ESISTANO PIÙ.

CHE RIMANIAMO POCHI IN RESISTENZA E RIBELLIONE.

CHE FORSE NE RIMANE UNO SOLO.

E OGNI ANNO CELEBRANO IL PROPRIO TRIONFO.

E OGNI ANNO I PREPOTENTI SI COMPLIMENTANO PER AVER MESSO FINE ALLE
RIBELLIONI INDIGENE.

CHE SIAMO STATI SCONFITTI, DICONO.

MA OGNI ANNO NOI ZAPATISTE/I CI FACCIAMO VEDERE E GRIDIAMO:

SIAMO QUI!

*-*-*

E SIAMO SEMPRE DI PIÙ.

COME POTRÀ VEDERE QUALUNQUE PERSONA CHE ABBIA UN CUORE ONESTO, ABBIAMO UN
PROGETTO DI VITA.

NELLE NOSTRE COMUNITÀ FIORISCONO LE SCUOLE E LE CLINICHE DELLA SALUTE.

E SI LAVORA LA TERRA COLLETTIVAMENTE.

E COLLETTIVAMENTE CI SOSTENIAMO.

SIAMO COMUNITÀ.

COMUNITÀ DI COMUNITÀ.

LE DONNE ZAPATISTE HANNO LA PROPRIA VOCE, IL PROPRIO CAMMINO.

E IL LORO DESTINO NON È QUELLO DELLA MORTE VIOLENTA, DELLA SPARIZIONE,
DELL’UMILIAZIONE.

I BAMBINI E I GIOVANI ZAPATISTI HANNO ACCESSO ALLA SALUTE, ALL’EDUCAZIONE E
A VARIE OPZIONI DI APPRENDIMENTO E DIVERTIMENTO.

MANTENIAMO E DIFENDIAMO LA NOSTRA LINGUA, LA NOSTRA CULTURA, I NOSTRI MODI.

E CONTINUIAMO CON FERMEZZA A COMPIERE IL NOSTRO DOVERE COME POPOLI
GUARDIANI DELLA MADRE TERRA.

TUTTO CIÒ È STATO POSSIBILE GRAZIE ALLO SFORZO, AL SACRIFICIO E ALLA
DEDIZIONE DEI POPOLI ORGANIZZATI.

E ANCHE GRAZIE AL SOSTEGNO DI INDIVIDUI, GRUPPI, COLLETTIVI E
ORGANIZZAZIONI DA TUTTO IL MONDO.

CON LORO CI SIAMO COMPROMESSI E COMPROMESSE A COSTRUIRE VITA, CON IL LORO
APPOGGIO.

POSSIAMO QUINDI DIRE SENZA DUBBIO CHE I NOSTRI PROGRESSI, I NOSTRI
SUCCESSI, I NOSTRI TRIONFI SONO DOVUTI AL LORO SOSTEGNO E AL LORO AIUTO.

GLI ERRORI, LE SBAVATURE E I FALLIMENTI SONO RESPONSABILITÀ NOSTRA.

*-*-*

MA COSÌ COME è AVANZATA ED È CRESCIUTA LA NOSTRA VITA, È CRESCIUTA ANCHE LA
FORZA DELLA BESTIA CHE VUOLE FAGOCITARE E DISTRUGGERE TUTTO.

È CRESCIUTO ANCHE QUEL MACCHINARIO DI MORTE E DISTRUZIONE CHIAMATO SISTEMA
CAPITALISTA.

E LA FAME DELLA BESTIA È SENZA FONDO.

È DISPOSTA A TUTTO PER IL PROPRIO PROFITTO.

NON LE IMPORTA DISTRUGGERE LA NATURA, POPOLI INTERI, CULTURE MILLENARIE,
INTERE CIVILIZZAZIONI.

IL PIANETA INTERO VIENE DISTRUTTO DAGLI ATTACCHI DELLA BESTIA.

MA L’IDRA CAPITALISTA, LA BESTIA DISTRUTTRICE, CERCA ALTRI NOMI PER
CELARSI, ATTACCARE E SCONFIGGERE L’ESSERE UMANO.

E UNO DEI NOMI DIETRO AI QUALI SI NASCONDE LA MORTE È «GRANDE OPERA».

«GRENDE OPERA» VUOL DIRE DISTRUGGERE UN’INTERO TERRITORIO.

TUTTO.

L’ARIA, L’ACQUA, LA TERRA, LE PERSONE.

CON LA GRANDE OPERA LA BESTIA DIVORA CON UN SOLO BOCCONE POPOLAZIONI
INTERE, MONTAGNE E VALLI, FIUMI E LAGUNE, UOMINI, DONNE, *ALTREI*, BAMBINI
E BAMBINE.

NON APPENA FINISCE DI DISTRUGGERE, LA BESTIA VA ALTROVE E RICOMINCIA DA
CAPO.

E LA BESTIA CHE SI CELA DIETRO AI MEGAPROGETTI HA LE PROPRIE ASTUZIE,
MENZOGNE E TRAPPOLE PER CONVINCERE.

È PER IL PROGRESSO DICE LA BESTIA.

DICE CHE, GRAZIE A QUESTE GRANDI OPERE, LA GENTE AVRÀ UNO STIPENDIO E I
VARI VANTAGGI DELLA MODERNITÀ.

E CON IL PROGRESSO E LA MODERNITÀ VOGLIAMO RICORDARE UN COMPAGNO DEL
CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO CHE È STATO AMMAZZATO QUEST’ANNO: IL COMPAGNO
SAMIR FLORES SOBERANES.

E LO RICORDIAMO PERCHÉ LUI SI CHIEDEVA RIPETUTAMENTE PER CHI FOSSE QUESTO
PROGRESSO DI CUI PARLANO TANTO.

IL COMPAGNO SAMIR CHIEDEVA IN CHE DIREZIONE ANDASSE LA STRADA CHE CHIAMANO
«PROGRESSO», CHE LA BESTIA DEI MEGAPROGETTI PORTA COME CARTELLO.

E LA RISPOSTA È STATA CHE QUELLA STRADA PORTA ALLA DISTRUZIONE DELLA NATURA
E ALLA MORTE DELLE COMUNITÀ ORIGINARIE.

DUNQUE DISSE CHIARAMENTE DI NON ESSERE D’ACCORDO, E SI ORGANIZZÒ CON I
PROPRI COMPAGNI E LE PROPRIE COMPAGNE E RESISTETTE, E NON EBBE PAURA. E PER
QUESTO MOTIVO IL PREPOTENTE DI ADESSO L’HA FATTO AMMAZZARE.

AD ASSASSINARLO È STATO IL CATTIVO GOVERNO PERCHÉ IL LAVORO DA CAPORALE DEL
CATTIVO GOVERNO È ASSICURARSI CHE LA BESTIA E IL PREPOTENTE ABBIANO IL LORO
PROFITTO. OSSERVATE E ASCOLTATE, IL PRIMO AD ACCOGLIERE I MEGAPROGETTI E A
DIRE CHE SONO POSITIVI È IL GRAN CAPITALE, IL GRAN PADRONE.

E IL CUORE DEL GRAN CAPITALISTA È CONTENTO PERCHÉ LE GRANDI OPERE
PORTERANNO GRANDI PROFITTI.

MA NÉ IL GRANDE CAPO NÉ IL PREPOTENTE DICONO CHIARAMENTE CHE QUESTE GRANDI
OPERE SEMINERANNO MORTE AL PROPRIO PASSAGGIO.

*-*-*

QUALCHE GIORNO FA LE NOSTRE COMPAGNE ZAPATISTE HANNO ORGANIZZATO UN
INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

CI RACCONTANO, CI PARLANO, CI INSEGNANO, CI EDUCANO GRAZIE A QUELLO CHE
HANNO POTUTO OSSERVARE E SENTIRE IN QUESTO INCONTRO. QUEL CHE CI INSEGNANO
È UN INFERNO PER LE DONNE E L’INFANZIA.

CI RACCONTANO DI MORTE, SPARIZIONI, STUPRI, DISPREZZO E VIOLENZA DIABOLICA.

E TUTTO QUESTO ORRORE ACCADE ALL’EPOCA DEL PROGRESSO E DI QUELLA CHE VIENE
CHIAMATA CIVILIZZAZIONE MODERNA.

E QUALCHE GIORNO FA ERAVAMO ANCHE INSIEME AI COMPAGNI DEL CONGRESSO
NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO.

E SIAMO ANCHE STATI AL FORUM PER LA DIFESA DEL TERRITORIO E DELL MADRE
TERRA.

IN QUESTI INCONTRI ABBIAMO ASCOLTATO CON PREOCCUPAZIONE QUEL CHE È STATO
RIPORTATO.

CI RACCONTANO DI PAESI DESERTI CON LA GENTE CACCIATA.

DI MASSACRI DEI DELINQUENTI, A VOLTE LEGALI A VOLTE ILLEGALI, CIOÈ CHE
SPESSO SONO I GOVERNI STESSI A PERPETRARE QUESTE BARBARIE.

DI BAMBINE E BAMBINI ABUSATI E VENDUTI COME ANIMALI.

DI GIOVANI E GIOVANE CON LA VITA DISTRUTTA DALLE DROGHE, LA DELINQUENZA E
LA PROSTITUZIONE.

DI ATTIVITÀ ESTORTE, A VOLTE DA LADRI E A VOLTE DA FUNZIONARI.

DI SORGENTI CONTAMINATE.

DI LAGHI E LAGUNE ARIDI.

DI FIUMI CHE TRASPORTANO SPAZZATURA.

DI MONTAGNE DISTRUTTE DALLE MINIERE.

DI BOSCHI ABBATTUTI.

DI SPECIE ANIMALI ESTINTE.

DI LINGUE E CULTURE ASSASSINATE.

DI CONTADINE E CONTADINI CHE PRIMA LAVORAVANO LE PROPRIE TERRE E ORA SONO
PEDINE CHE LAVORANO PER UN PADRONE.

E DELLA MADRE TERRA CHE STA MORENDO.

*-*-*

QUINDI COME ZAPATISTI AFFERMIAMO CON FERMEZZA CHE SOLO UN IMBECILLE PUÒ
CONSIDERARE POSITIVE LE GRANDI OPERE.

UN IMBECILLE O UNO MALVAGIO E SCALTRO CHE SA DI MENTIRE E NON GLI IMPORTA
CHE LA PROPRIA PAROLA NASCONDA MORTE E DISTRUZIONE. QUINDI IL GOVERNO E
TUTTI I SUOI DIFENSORI DOVREBBERO DIRE CHIARAMENTE COSA SONO: SE SONO
IMBECILLI O BUGIARDI.

*-*-*

UN ANNO FA, A DICEMBRE 2018, IL CAPORALE CHE ORA COMANDA IN QUESTA FATTORIA
CHIAMATA «MESSICO» HA SIMULATO DI CHIEDERE IL PERMESSO ALLA MADRE TERRA PER
DISTRUGGERLA.

SI È PROCURATO UN PO’ DI PERSONE TRAVESTITE DA INDIGENI E HANNO MESSO PER
TERRA UN POLLO, DA BERE E QUALCHE TORTILLA.

COSÌ SI È CONVINTO CHE LA MADRE TERRA GLI DIA IL PERMESSO DI UCCIDERLA E
COSTRUIRE UN TRENO CHE DOVREBBE CHIAMARSI COME LA FAMIGLIA DEL CAPO.

FA COSÌ PERCHÉ DISPREZZA I POPOLI ORIGINARI E PERCHÉ DISPREZZA LA MADRE
TERRA.

MA IL CAPORALE NON SI È LIMITATO A QUELLO, HA PURE SFIDATO TUTTI I POPOLI
ORIGINARI DICENDO CHE NON GLI IMPORTA COSA PENSIAMO E SENTIAMO, CHE «CI
PIACCIA O NO» A NOI INDIGENI, LUI FARÀ QUEL CHE GLI ORDINERÀ IL SUO
PADRONE, IL PREPOTENTE, VALE A DIRE IL GRAN CAPITALE.

UGUALE AI CAPI CHE C’ERANO CON PORFIRIO DÍAZ.

COSÌ HA DETTO, COSÌ DICE, PERCHÉ POCHE SETTIMANE FA HA FATTO UN’ALTRA
SIMULAZIONE DI UNA PRESUNTA CONSULTAZIONE PER LA QUALE L’UNICA INFORMAZIONE
CHE HA FORNITO È CHE I MEGAPROGETTI PORTERANNO MOLTE COSE POSITIVE, SENZA
PERÒ MENZIONARE TUTTE LE DISGRAZIE QUE NE CONSEGUONO PER LE PERSONE E PER
LA NATURA.

E COME PREVISTO SOLO POCHE PERSONE HANNO PARTECIPATO A QUESTA CONSULTAZIONE
DICENDO CHE VOGLIONO LE GRANDI OPERE.

E SE COSÌ DISPREZZA IL PENSIERO E I SENTIMENTI DELLA GENTE, DISPREZZERÀ
ALLO STESSO MODO LA NATURA E I PAESI.

E FA CPSÌ PERCHÉ AL SUO PADRONE NON IMPORTANO NÉ LE PERSONE NÉ LA NATURA,
SOLO GLI IMPORTANO I PROPRI PROFITTI.

*-*-*

“CHE GLI PIACCIA A NO”, COSÌ DICE IL GOVERNO.

QUESTO VUOL DIRE “COSÌ SIA CON VOI, VIVI O MORTI, MA LO FAREMO”.

E NOI POPOLI ZAPATISTI LA PRENDIAMO COME UNA SFIDA, COME SE STESSE DICENDO
CHE LUI HA LA FORZA E I SOLDI E VEDIAMO CHI OSA OPPORSI AI SUOI ORDINI.

STA DICENDO CHE FARÀ QUEL CHE DECIDERÀ, NON QUEL CHE DIRANNO I POPOLI E CHE
NON GLI IMPORTANO NEMMENO LE LORO RAGIONI.

QUINDI NOI POPOLI ZAPATISTI CI PRENDIAMO LA PARTE CHE CI SPETTA DI QUESTA
SFIDA.

E SAPPIAMO CHE IL CAPO ATTUALE DI POTENTI CI STA FACENDO DELLE DOMANDE.

CI STA CHIEDENDO QUESTO:

«SIETE DISPOSTI POPOLI ZAPATISTI A PERDERE TUTTO QUELLO CHE AVETE OTTENUTO
CON LA VOSTRA AUTONOMIA?»

«SIETE DISPOSTI POPOLI ZAPATISTI A SUBIRE SPARIZIONI, ARRESTI, UCCISIONI,
CALUNNIE E MENZOGNE PER DIFENDERE LA TERRA CHE CURATE E PROTEGGETE, LA
TERRA IN CUI NASCETE, CRESCETE, VIVETE E MORITE?»

E CON QUESTE DOMANDE, IL CAPORALE E LE SUE GUARDIE CI METTONO DI FRONTE
ALL’OPZIONE «VIVI O MORTI, MA BISOGNA OBBEDIRE».

VALE A DIRE CHE CI CHIEDE SE SIAMO DISPOSTI A MORIRE COME SOCIETÀ
ALTERNATIVA, COME ORGANIZZAZIONE, COME POPOLI ORIGINARI DI ORIGINE MAYA,
COME GUARDIANI DELLA MADRE TERRA, COME INDIVIDUI E INDIVIDUE ZAPATISTI.

QUINDI NOI POPOLI ZAPATISTI SEGUIAMO LE NOSTRE MODALITÀ E IL NOSTRO
CALENDARIO.

SULLE NOSTRE MONTAGNE ABBIAMO FATTO UN’OFFERTA ALLA MADRE TERRA.

INVECE DELL’ALCOL LE ABBIAMO DATO DA BERE IL SANGUE DEI NOSTRI CADUTI IN
COMBATTIMENTO.

AL POSTO DEL POLLO LE ABBIAMO OFFERTO LA NOSTRA CARNE.

INVECE DELLE TORTILLAS LE ABBIAMO OFFERTO LE NOSTRE OSSA, PERCHÉ SIAMO
FATTI DI MAIS.

LE ABBIAMO FATTO QUESTA OFFERTA NON PER CHIEDERE IL PERMESSO ALLA TERRA PER
DISTRUGGERLA, O VENDERLA, O TRADIRLA.

LE ABBIAMO FATTO QUESTA OFFERTA SOLO PER AVVISARLA CHE NOI LA DIFENDEREMO.

LA DIFENDEREMO FINO ALLA MORTE SE NECESSARIO.

-*-

E QUINDI ABBIAMO FATTO IL CONTO DI QUANTE PERSONE CI VOGLIONO PER DIFENDERE
LA TERRA.

ED È SALTATO FUORI CHE BASTA UNA PERSONA ZAPATISTA.

BASTA UNA DONNA ZAPATISTA, O UN UOMO ZAPATISTA, ANCHE ANZIANO, O GIOVANE, O
BAMBINO.

BASTA CHE UNA PERSONA ZAPATISTA SI PRENDA L’INCARICO DI DIFENDERE LA TERRA
AFFINCHÉ QUEST’ULTIMA, NOSTRA MADRE, SAPPIA DI NON ESSERE SOLA E
ABBANDONATA.

BASTA UNA PERSONA COLMA DI RESISTENZA E RIBELLIONE.

SIAMO QUINDI ANDATI A CERCARE NEL CUORE DEL NOSTRO COLLETTIVO.

ABBIAMO CERCATO UNA PERSONA CHE FOSSE ZAPATISTA E DISPOSTA A TUTTO.

A TUTTO.

E NON NE ABBIAMO TROVATA UNA SOLA, NÉ DUE, NÉ CENTO, NÉ MILLE, NÉ
DIECIMILA, NÉ CENTOMILA.

ABBIAMO TROVATO TUTTO L’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE,
DISPOSTO A TUTTO PER DIFENDERE LA TERRA.

QUINDI ABBIAMO GIÀ LA RISPOSTA ALLA DOMANDA DEL CAPO.

E LA RISPOSTA È:

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A SPARIRE COME PROPOSTA PER UN MONDO NUOVO.»

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE DISTRUTTI IN QUANTO ORGANIZZAZIONE».

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE ANNICHILITI COME POPOLI ORIGINARI DI ORIGINE
MAYA».

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A MORIRE COME GUARDIANI E GUARDIANE DELLA TERRA.»

«SÌ, SIAMO DISPOSTI A ESSERE COLPITI, ARRESTATI, RAPITI, AMMAZZATI COME
INDIVIDUI E INDIVIDUE ZAPATISTE».

*-*-*

ECCO, COSÌ IL CAPORALE HA LA SUA LA RISPOSTA.

MA DATE LE NOSTRE MODALITÀ IN QUANTO ZAPATISTI, LA NOSTRA RISPOSTA CONTIENE
ANCHE UNA DOMANDA CHE FACCIAMO AI CAPI:

«SIETE DISPOSTI, VOI CATTIVI GOVERNI, A PROVARE A DISTRUGGERCI *A QUALUNQUE
COSTO,* A COLPIRCI, ARRESTARCI, RAPIRCI E AMMAZZARCI?»

*-*-*

SORELLE, FRATELLI,

COMPAGNI, COMPAGNE, *COMPAGNEI*:

VI INVITIAMO A QUESTO:

CHE COME CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO…

CHE COME INDIVIDUI, GRUPPI, COLLETTIVI E ORGANIZZAZIONE DELLA SEXTA
NAZIONALE E INTERNAZIONALE…

CHE COME RETI DI RESISTENZA E RIBELLIONE…

CHE COME ESSERI UMANI…

SI CHIEDANO A COSA SIETE DISPOSTIDISPOSTE, E *DISPOSTEI* PER FERMARE LA
GUERRA IN CORSO CONTRO L’UMANITÀ, OGNUNO NELLE PROPRIE GEOGRAFIE, SECONDO
IL PROPRIO CALENDARIO E LE PROPRIE MODALITÀ.

E CHE, QUANDO AVRANNO LA RISPOSTA SECONDO IL PROPRIO PENSIERO, LA
COMUNICHINO AI PADRONI E AI CAPI.

OGNI GIORNO, OVUNQUE, LA BESTIA CHIEDE ALL’UMANITÀ LA STESSA COSA.

MANCA SOLO LA RISPOSTA.

È TUTTO.

Dalle montagne del Sudest Messicano.
A nome delle donne, degli uomini e altrei *zapatistei*.

Subcomandante Insurgente Moisés.
Messico, 31 dicembre 2019 – 1° gennaio 2020.

Traduzione 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/31/palabras-del-ccri-cg-del-ezln-en-el-26-aniversario/

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CONVOCAZIONE

ALLE GIORNATE IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA
“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

SORELLE E FRATELLI DEI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO:

PRIMO – Oggi più che mai il capitalismo cresce sulla guerra e la depredazione di tutte le forme di vita. I malgoverni e le grandi imprese capitaliste, ognuna di queste con nome e cognome, vogliono rendere invisibili le nostre lotte in difesa del territorio e della madre terra, normalizzando perfino l’assassinio dei nostri fratelli che li difendono. Oggi, spezzano il nostro cuore collettivo gli omicidi di:

  • Samir Flores Soberanes del popolo nahua di Amilcingo, Morelos
  • Julián Cortés Flores, del popolo mephaa della Casa de Justicia di San Luis Acatlán, Guerrero.
  • Ignacio Pérez Girón, del popolo tzotzil del municipio di Aldama, Chiapas.
  • José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales, e Isaías Xanteco Ahuejote del popolo nahua organizzato nel Concejo Indígena y Popular de Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG – EZ).
  • Juan Monroy e José Luis Rosales, del popolo nahua d Ayotitlán, Jalisco.
  • Feliciano Corona Cirino, del popolo nahua di Santa María Ostula, Michoacán.
  • Josué Bernardo Marcial Campo, noto anche come TíoBad, del popolo popoluca di Veracruz.

I nostri compagni sono stati assassinati per essersi opposti alla guerra con la quale il malgoverno vuole appropriarsi delle nostre terre, monti ed acque, per consolidare la depredazione che minaccia l’esistenza dell’umanità.

Ugualmente ci addolora la sparizione forzata di nostro fratello Sergio Rivera Hernández, nahua della Sierra Negra, Puebla, difensore del territorio e della madre terra.

SECONDO – Il capitalismo, nella sua attuale tappa neoliberale, assume forme sempre più mostruose, dichiarando la guerra contro l’umanità e contro la terra, nostra madre. L’attuale sviluppo economico basato su scala planetaria nella predominanza del capitale finanziario che domina popoli, nazioni e continenti interi, poggiato sull’industria militare ed estrattivista, che cresce mediante guerre reali o fittizie, la profusione del crimine organizzato, invasioni e colpi di Stato, nella sua insaziabile logica dell’accumulazione e consumo capitalisti, sta portando ad un cambiamento climatico irreversibile ed un limite che mette in pericolo le condizioni della vita umana sul pianeta.

TERZO – Inoltre, l’attuale sistema, con la sua organizzazione patriarcale ereditata da sistemi e civiltà precedenti ma, approfondita negli ultimi secoli, si esibisce come un violento nemico non solo dell’umanità, ma in particolare delle donne e della nostra madre terra. Cioè, lo sfruttamento e la profonda violenza strutturale verso le donne è propria del capitalismo anche se nata molto prima; la proprietà privata capitalista, base di questo sistema, non si può spiegare né comprendere se non come parte di un sistema patriarcale di dominazione sulle donne e sulla terra.

QUARTO – In Messico, l’accelerazione dell’attività mineraria e dell’estrazione e conduzione di idrocarburi, la creazione della Guardia Nazionale nella logica della Iniciativa Mérida e l’impulso, ad ogni costo, dei grandi megaprogetti (Corridoio Trans-istmico Salina Cruz-Coatzacoalcos, Treno Maya e Progetto Integrale Morelos, Nuovo aeroporto internazionale di Città del Messico) che vogliono riordinare i territori, le popolazioni e le frontiere di nord e Centroamerica in una logica di predazione e sfruttamento capitalista, rendono urgente la difesa della vita umana, la difesa dei territori dei nostri popoli e la difesa della terra in una prospettiva chiaramente anticapitalista ed antipatriarcale. È per tutto questo che:

CONVOCHIAMO I POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO, LE ORGANIZZAZIONI E COLLETTIVI DI LAVORATRICI E LAVORATORI DI CAMPAGNA, MARE E CITTÀ, LE DONNE, STUDENTI, BAMBINI E BAMBINE, ANZIANI ED ANZIANE, RAPPRESENTANTI DELLA DIVERSITÀ SESSUALE

ALLE GIORNATE IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA
“SAMIR SOMOS TODAS Y TODOS”

Secondo il seguente calendario:

20 febbraio 2020: Azioni diffuse in Messico e nel Mondo in Difesa del Territorio e della Madre Terra, per la giustizia per le/i nostr@ moert@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e contro i megaprogetti di morte.

21 febbraio 2020: Marcia per la Giustizia Per Nostro Fratello Samir Flores Soberanes, per le/i nostr@ mort@, nostr@ desaparecid@s, nostr@ prigionier@ e in Difesa del Territorio e della Madre Terra. Città del Messico. Punto di partenza: Uffici della Commissione Federale per l’Energia in Avenida Reforma, ore 16:00.

22 febbraio 2020: Assemblea in Difesa del Territorio e della Madre Terra, nel centro della Comunità di Amilcingo, Municipio di Temoac, Stato di Morelos, a partire dalle ore 10:00.

DISTINTAMENTE

7 gennaio 2020
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

ASSEMBLEA DELLA RESISTENZA DI AMILCINGO
CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

GENTI, Comunità Organizzazioni, Collettivi Ed INDIVIDUI PartecipantI AL FORUM In Difesa Del Territorio E DELLa Madre Terra REALIZZATO NEI Giorni 21 E 22 Dicembre 2019 NEL CARACOL Jacinto CANEK/CIDECI-UNITIERRA, SAN CRISTÓBAL DE LAS CASAS, CHIAPAS.

Redes, Organizaciones y Colectivos de Resistencia y Rebeldía adheridos a la Sexta Nacional e Internacional
Tribu Yaqui del Pueblo de Bácum, Sonora
Asamblea de los Pueblos Indígenas del Istmo de Tehuantepec
Proceso de Articulación de la Sierra de Santa Martha, Veracruz
Pueblo Náyeri, Nayarit
Junta de Vecinos en Resistencia Tanque y Américas, Monterrey, Nuevo León
Comunidad de San Lorenzo Azqueltán, Jalisco
Comuneros de Cherán, Michoacán
PROFECTAR, Pueblo Rarámuri de Chihuahua
Un Salto de Vida, Jalisco
Organización de los Doce Pueblos de Tecámac, Estado de México
Coordinadora de Pueblos y Organizaciones del Oriente del Estado de México
Asamblea General de los Pueblos, Barrios, Colonias y Pedregales de Coyoacán, Ciudad de México
Comunidad Coca de Mezcala, Jalisco
Comunidad Indígena Nahua de Zacualpan, Colima
Consejo de Ejidos y Comunidades Opositoras a la Presa La Parota, Gro
Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y el Agua de Morelos, Puebla y Tlaxcala
Ka Kuxtal Muh Meyaj A.C., Pueblo Maya Peninsular, Campeche
Otomies Residentes en la Ciudad de México
Frente Nacional por la Liberación de los Pueblos, Guerrero
Defensores del Rio Metlapanapa, Puebla
Concejo Indígena y Popular de Guerrero-Emiliano Zapata
Consejo Regional Indígena del Cauca (CRIC) Colombia
Asamblea de Defensores del Territorio Maya Muuch Ximbal, Yucatan
Comunidad Indígena de Santa María Ostula
Ejido Tila, Chiapas
Consejo Regional Indígena y Popular de Xpujil, Campeche
Comité de Defensa de los Pueblos Indígenas (CODEDI), Oaxaca
Centro comunitario Raxajal Mayab y Colectivo Autónomo de José María Morelos, Quintana Roo
Comuneros de Cuatro Venados, Oaxaca
ZODEVITE, Chiapas
Consejo Tiyat Tlali de la Sierra Norte de Puebla
Movimiento Agrario Indígena Zapatista (MAIZ), Puebla y Oaxaca
Unión de Organizaciones de la Sierra Juárez (UNOSJO) Oaxaca
Asamblea del Pueblo Chontal, Oaxaca
Comunidad Binnizá de Unión Hidalgo, Oaxaca
Comunidad de Historia Mapuche
Mujeres Mapuche
Mujeres del Pueblo Kurdo
Geocomunes
Mexicali Resiste
UCIZONI, Oaxaca
Tribu Mayo
Consejo Autónomo de la Costa de Chiapas
LA VIDA, Veracruz

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2020/01/07/convocatoria-a-las-jornadas-en-defensa-del-territorio-y-la-madre-tierra-samir-somos-todas-y-todos/

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Dichiarazione della 4a Assemblea Nazionale del CNI-CIG

Al popolo del Messico

Ai popoli del Mondo

Alla Sexta Nazionale ed Internazionale

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Ai mezzi di comunicazione

Fratelli, sorelle.

Nel Caracol Zapatista Jacinto Canek, nel CIDECI- UNITIERRA, a San Cristóbal de las Casas, Chiapas, i giorni 18 e 19 dicembre 2019, per celebrare la 4ª Assemblea Nazionale del Congresso Nazionale Indigeno e del Consiglio Indigeno di Governo, i popoli Afromessicani, Binizaa, Chinanteco, Chol, Chontal, Comca’ac, Hñahñu, Kumiai, Mam, Maya, Mayo, Mazahua, Me´phaa, Mixe, Mixteco, Nahua, Náyeri, Purépecha, Quiché, Rarámuri, Téenek, Tepehuano, Tohono Oódam, Tojolabal, Totonaca, Tzeltal, Tzotzil, Wixárika, Yaqui, Zoque, Chixil, Cañari e Castellano, provenienti da 24 stati della repubblica, insieme agli invitati di Guatemala, Ecuador, El Salvador e Stati Uniti, ci siamo incontrati per ascoltarci, per vedere nel compagno e nella compagna che insieme, collettivamente, siamo popoli, nazioni, tribù.

Ci troviamo per vedere e capire la guerra neoliberale che da sopra ci arriva intrisa di bugie per fingere di governare, mentre consegnano il paese nelle mani del capitale, che non gradisce la coscienza collettiva dei popoli e mette in marcia i suoi strumenti di spoliazione:

  1. Attraverso la violenza sanguinaria e terrorista contro i popoli che difendono la terra.

Il lutto e la rabbia che vivono dentro coloro che oggi incontriamo, sono per il danno alla madre terra, la spoliazione di tutte le forme di vita. E quelli che hanno deciso di distruggerla per trasformarla in denaro hanno nome e cognome, così come gli assassini dei nostri compagni. Spezza il nostro cuore collettivo l’assassinio del compagno delegato popoluca del CNI, Josué Bernardo Marcial Campo, anche noto come TíoBad, che per la sua arte, la sua musica e la sua protesta contro i megaprogetti che il malgoverno proclama di aver chiuso, come il fracking, è stato fatto sparire e poi fatto ritrovare brutalmente assassinato lo scorso lunedì 16 dicembre.

Il compagno Samir Flores Soberanes del popolo nahua di Amilcingo, Morelos.

Il compagno Julián Cortés Flores, del popolo mephaa de la Casa de Justicia di San Luis Acatlán, Guerrero.

Il compagno Ignacio Pérez Girón, del popolo tzotzil del municipio di Aldama, Chiapas.

I compagni José Lucio Bartolo Faustino, Modesto Verales Sebastián, Bartolo Hilario Morales, e Isaías Xanteco Ahuejote del popolo nahua organizzato nel Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG – EZ).

I compagni Juan Monroy e José Luis Rosales, del popolo nahua di Ayotitlán, Jalisco.

Il compagno Feliciano Corona Cirino, del popolo nahua di Santa María Ostula, Michoacán.

I nostri compagni sono stati assassinati per essersi opposti alla guerra con cui il malgoverno vuole appropriarsi delle nostre terre, monti e acque, per consolidare la spoliazione che minaccia la nostra esistenza come popoli originari.

  1. False consultazioni.

Il malgoverno federale finge di consultare la gente, soppianta la nostra volontà collettiva ignorando ed offendendo le nostre forme di organizzazione e di presa delle decisioni, come il volgare inganno della “Consulta” il cui obiettivo non è altro che imporre con la forza il cosiddetto Treno Maya, che consegna i territori indigeni al capitale industriale e turistico, o le bugie definite anche consultazioni per imporre con la violenza il Progetto Integrale Morelos, o i megaprogetti di morte che riconfigurano il nostro paese per metterlo a disposizione del capitale multinazionale, principalmente per imporre il potere terroristico degli Stati Uniti.

  1. Polarizzazione e scontro tra comunità indigene.

Per avanzare nella sua guerra, il malgoverno scommette sullo smantellamento del tessuto comunitario, fomentando i conflitti interni che tingono di violenza le comunità, tra chi difende la vita e chi vuole mettergli un prezzo, anche a costo di vendere le future generazioni a beneficio milionario di pochi corrotti che si servono dei gruppi armati della criminalità organizzata.

Per quanto sopra, dichiariamo che resistiamo e lottiamo perché siamo vivi, perché, benché temiamo di smettere di esistere per ciò che siamo, non è questa la strada che scegliamo per noi e per coloro ai quali dobbiamo rispondere.

  1. Espansione della guerra.

Mentre noi, popoli originari, subiamo con più violenza che mai la guerra del capitale, il malgoverno insieme ai suoi gruppi armati militari, polizieschi, paramilitari, guardie bianche e gruppi di scontro, in nome del denaro estende la distruzione su tutto il territorio nazionale.

In Veracruz:

Nella regione di Totonacapan e fino alla Huasteca, ci sono i gasdotti Texas-Tuxpan, Tuxpan-Atotonilco e Tuxpan-Tula. Al pari delle bugie del governo Neoliberale di AMLO, si scava e si opera la frattura idraulica per estrarre idrocarburi, si fanno travasi per prendere l’acqua dei fiumi e consegnarla in mani di privati minacciando la vita dei popoli tének, nahua, totonaco, otomí e tepehua, oltre all’aumento dei gruppi della criminalità organizzata.

In Michoacán:

Nel territorio della meseta purépecha si estende la coltivazione intensiva di avocado che spoglia il territorio delle comunità indigene, si abbattono i boschi e si stanno uccidendo i laghi di Cuitzeo, Zirahuen e Pátzcuaro.

Sulla catena montuosa costiera del popolo nahua, il saccheggio delle bande della criminalità organizzata, con lo sfacciato appoggio di tutti i livelli del malgoverno, minaccia la vita e l’integrità dei popoli originari, in particolare dei nostri fratelli della comunità indigena nahua di Santa María Ostula che si oppongono alla devastazione dei territori comunali, attraverso lo sfruttamento di minerali, legnami pregiati e lo sfruttamento turistico delle spiagge nei municipi di Aquila, Coahuayana, Chinicuila e Coalcomán, cercando di far sembrare che la guerra sia tra comunità o tra comuneros, mentre da sopra i potenti aspettano il momento di appropriarsi della vita che Ostula difende.

Nella comunità purépecha di Zirahuén che ha una lunga lotta in difesa del lago dello stesso nome, oggi con l’aiuto di gruppi armati della criminalità organizzata, gli impresari aguacateros distruggono il bosco ed inquinano l’acqua con l’uso di pesticidi tossici.

In Jalisco:

Persiste l’invasione del territorio wixárika di San Sebastián Teponahuaxtlán da parte di presunti piccoli proprietari di Huajimic, Nayarit. Egualmente, il governo consegna nelle mani di imprese minerarie straniere migliaia di ettari del territorio sacro Wirikuta, nello stato di San Luis Potosí, minacciando l’esistenza culturale e del territorio cerimoniale.

Nella comunità indigena chichimeca di San Juan Bautista de La Laguna, nel municipio di Lagos de Moreno, il malgoverno consegna in mani private il territorio ancestrale riconosciuto nei suoi titoli primordiali, imponendo inoltre un gasdotto per fornire grandi industrie, alle quali, in forma organizzata, la comunità si è opposta nonostante la repressione e criminalizzazione che i malgoverni statali e municipali esercitano contro essa.

La comunità tepehuana e wixárika di San Lorenzo de Azqueltán subisce, al pari dell’esproprio della sua terra, le minacce di morte ed i tentativi di omicidio come quello accaduto lo scorso 3 novembre, quando il cacicco Fabio Flores alias “La Polla“, insieme a persone armate ha aggredito le autorità comunali provocando gravi ferite che sono quasi costate la vita ai comuneros Ricardo de la Cruz González, Rafael Reyes Márquez e Noé Aguilar Rojas. Tutto questo con la complicità del governo municipale di Villa Guerrero, Jalisco, con l’impunità in questo vile crimine.

In Puebla:

Il malgoverno insieme al suo gruppo armato della Guardia Nazionale e gruppi polizieschi, vuole imporre un megaprogetto che sverserebbe rifiuti tossici nel fiume Metlapanapa, questo come parte del Progetto Integrale per la Costruzione del Sistema di Fognatura Sanitaria della Zona Industriale di Huejotzingo, nota come “Città Tessile”. Per difendere la vita del fiume e delle comunità che ci vivono, i nostri compagni e compagne del popolo nahua, delle comunità di San Mateo Cuanalá, San Lucas Nextetelco, San Gabriel Ometoxtla, Santa María Zacatepec e la colonia José Ángeles hanno subito aggressioni da parte di questi corpi repressivi.

Sulla Sierra Negra di Puebla, dal 23 agosto 2018 è desaparecido il nostro compagno Sergio Rivera Hernández come rappresaglia per la sua lotta contro la distruzione provocata dall’impresa mineraria Autlán, e per cui continuiamo ad esigere la sua presentazione in vita.

In Campeche:

Col pretesto dell’impropriamente chiamato “Treno Maya” si sta progettando la costruzione di 15 nuovi centri urbani che non solo implicano la distruzione dell’ambiente, ma pure l’esproprio di territori dei popoli originari.

In Morelos, Puebla e Tlaxcala:

Con la forza si impone il Progetto Integrale Morelos reprimendo chi non è d’accordo, come con l’assassinio del nostro fratello Samir Flores. Questo crimine è tuttora impunito e mentre Samir è un esempio di dignità dal basso, quelli che stanno sopra meritano solo disprezzo, perché per loro la cosa importante è costruire la centrale termoelettrica di Huexca, Morelos, il gasdotto alle falde del vulcano sacro Popocatepetl, e l’infrastruttura industriale e di comunicazioni che tutto ciò implica. Scenario nel quale si acutizza la presenza di violenti gruppi criminali.

In Chiapas:

Persiste l’intenzione di esproprio e privatizzazione del territorio Tzeltal a beneficio di imprese private attraverso la cosiddetta “Strada Culturale” che precedentemente si chiamava “Super Strada” e che attraverserebbe il territorio dell’ejido di San Sebastián Bachajón, Palenque e di altre comunità.

Egualmente nel territorio Zoque, il capitale ha identificato un corridoio petrolifero che abbraccia 9 municipi su una superficie di 84.500 ettari e che attraversa il territorio della comunità di Chapultenango.

I malgoverni di tutti i livelli, con campagne di confronto, paramilitarizzazione e sostituzione, vogliono distruggere l’organizzazione delle comunità che si organizzano in forma autonoma, come il caso dei nostri fratelli dell’ejido Tila.

Sulla costa del Chiapas abbiamo ricevuto minacce ed espropri delle nostre terre per il tentativo di costruzione della strada Pijijiapan – San Cristóbal de las Casas – Palenque. Oltre alla costruzione di un gasdotto che attraverserebbe la zona costiera di Chiapas e Guatemala.

Persiste la vessazione militare e paramilitare contro i territori zapatisti per cercare di indebolire e distruggere non solo gli spazi autonomi che si sono costruiti, ma l’eco che si espande nel paese e nel mondo.

A Città del Messico:

Mentre si negano gli spazi pubblici ai popoli originari residenti in città per svolgere il loro lavoro, questi vengono consegnati ai capitali privati per il loro arricchimento. È il caso del popolo Otomí residente a Città del Messico, attualmente sotto in minaccia di sgombero in Calle Roma numero 18 nella colonia Juárez.

Mentre si acutizza l’espropriazione degli spazi rurali e indigeni a Città del Messico, anche i compagni Gerardo Camacho e Jaime Gómez hanno ricevuto minacce di morte dal commissario ejidale della comunità di San Nicolás Totolapan.

In Guerrero:

Persiste l’oppressione contro i nostri fratelli del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata, che costruiscono le proprie forme di sicurezza e giustizia per preservare il territorio dall’ingordigia capitalista.

Estado de México:

Nel bacino della Valle del Messico il megaprogetto neoliberale di Santa Lucía e l’imposizione della strada Tuxpan-México è stata resa possibile grazie ai paramilitari nel tratto Ecatepec-Peñón. Così come l’intubazione e privatizzazione di fiumi e sorgenti.

In Oaxaca:

Il territorio chinanteco di San Antonio de Las Palmas è minacciato dalle concessioni minerarie che abbracciano più di 15 mila ettari, e da progetti di dighe di sbarramento sul fiume Cajonos, nel bacino del Papaloapan.

In Oaxaca e Veracruz:

Nel sud di Veracruz, parte nord dell’Itsmo di Tehuantepec, vogliono imporre un corridoio interoceanico che trasformerebbe la regione in un immenso parco industriale lasciandoci senza acqua, distruggendo la natura ed il tessuto sociale delle comunità con violenza ed insicurezza, sfruttando i fiumi dei territori indigeni per l’ampliamento dei porti che collegherebbero il corridoio interoceanico accompagnato da megaprogetti minerari, di fracking, di parchi eolici industriali e della depredazione dell’acqua che nasce in territori indigeni.

Sonora:

Il Río Mayo è inquinato dalla miniera a cielo aperto Cobre del Mayo che sversa i suoi rifiuti tossici nella diga Abelardo L. Rodríguez, nota come diga del Mocuzarit, minacciando la vita collettiva del popolo Mayo.

Nayarit:

Il fiume San Pedro nel territorio Nayeri, è minacciato dal progetto idroelettrico “Las Cruces”, così come dalla mega-miniera d’oro e argento nella comunità di Jazmín del Coquito, nella fattoria Los Arroyos.

Yucatán:

Nel contesto dell’imposizione in corso del impropriamente chiamato Treno Maya, è stato minacciato di morte il nostro compagno Pedro Uc Be, dell’Assemblea in Difesa del Territorio Maya Muuch Xiinbal.

Per tutto quanto sopra dichiariamo che i nostri popoli, nazioni e tribù continueranno a preservare e difendere i semi di resistenza e disobbedienza in mezzo alla morte, costruendo una strada che perduri nel mezzo dell’oscurità; e noi, saremo lì per curare la nostra madre terra, insieme ai popoli del mondo.

Dicembre 2019

Per la Ricostituzione dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/20/pronunciamiento-de-la-4-asamblea-nacional-del-cni-cig/

 

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BALLA UNA BALENA

COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

MESSICO

Dicembre 2019

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:
Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni della Sexta nazionale e internazionale:
Alle Reti di Resistenza e Ribellione:
A coloro che amano la Danza:

CONSIDERATO CHE:

Primo e unico:

BALLA UNA BALENA.

La montagna illuminata. L’eco del cinema – non di un film, ma del cinema come comunità – ancora risuona tra razzi accesi, l’azzurro nostalgico del cavallo, Tulan Kaw, l’insegna lampeggiante di “bienvenid@s” e la luce provocatoria di “ZAPATISTAS”.

Hai tentato di andartene ma, per qualche ragione che non riesci a spiegare, non puoi… o non vuoi. Nella ormai notte, sempre fredda, percorri la spianata dove, ore prima, il serpente delle stazioni ti ha risvegliato ricordi di fiere paesane, lontane in calendario e geografia.

Il tuo sguardo si sofferma sui cartelli del puzzle: “II Incontro Internazionale delle Donne che Lottano”, “Forum in Difesa della Madre Terra”, “26° Anniversario”. “II Festival del Cinema Puy Ta Cuxlejaltic”, “Primo Festival di Danza Balla un Altro Mondo”.

Un colpo di vento fa tremare il grande cartellone.

Può ballare l’aria?

La danza, apparentemente tanto lontana da tutto, può tracciare un sogno solo con i movimenti?

Sì, forse stai delirando. Può essere per il freddo o per quell’irriverente stella rossa che scintilla in cima alla montagna.

In quel mentre, arrivano la bambina e la sua combriccola che ti circondano col loro chiassoso entusiasmo. “C’è il ballo!”, ti gridano saltellando. Beh, la bambina che chiamano Calamidad solleva solo un poco i talloni, ma la sua allegria è simile a quella delle altre. Il ballo non entusiasma Pedrito, lo scettico della banda, che sentenzia: “Ok, ogni tanto c’è un ballo, non vedo la ragione di tutto questo trambusto”. Defensa Zapatista introduce il suo metodo pedagogico con uno scappellotto e prosegue: “Ci sarà un ballo ma appeso ad una nuvola. Cioè, non un ballo qualsiasi”, e si produce in un impeccabile passo di ron de jambe par terre in dehors. Il gatto-cane, per non restare indietro, si unisce ovviamente con un pas de chat.

 “C’è il ballo!” ripetono le bambine, non in coro perché sono abbastanza scoordinate.

Una insurgenta (la riconosci dall’uniforme) arriva di corsa e dice: “Calamidad, vieni, che ballano la balena!”. Calamidad risale a tutta velocità – non troppa diciamo – il lieve pendio che porta nelle viscere della balena di legno che ancora riposa… o si sta riprendendo dalle ferite di arpioni, bugie e oblii. Defensa Zapatista afferra il gatto-cane e le segue.

Esperanza Zapatista resta a discutere col Pedrito che sostiene che non solo è impossibile ballare una balena, ma è pure impossibile che un cetaceo (così dice) si trovi nel bel mezzo delle montagne del sudest messicano. Non aspetti la fine della discussione, anche se forse ne conosci la conclusione – Esperanza, benché arrivi solo alla cintola di Pedrito, normalmente finisce ogni discussione con “gli uomini, non vedono oltre il loro naso… che è piatto” -.

Decidi di seguire Defensa Zapatista, il gatto-cane e Calamidad. Ti seguono Esperanza Zapatista e Pedrito che protesta perché ha fame.

Vi addentrate nelle viscere, ora quasi vuote, del gigantesco animale. Un gruppo di danzatrici provano i loro passi. Queste, questi, elloas, percorrono il palco che, contraddicendo la sua vocazione, non è più elevato della platea, ma più basso.

Ti siedi e più che guardare gli esercizi ed i passi, osservi la reazione della combriccola. Calamidad, ispirata, è salita su una delle panche ed improvvisa un echappe simple e cade sulla tavola, che si arrende (la tavola, si capisce). “Calamidad!”, le grida Defensa Zapatista. Ma Calamidad è già salita su un’altra panca e ripete il passo… e anche qui la tavola si rompe. Alla quinta panca rotta, un plotone di miliziane tenta inutilmente di bloccare Calamidad che si ostina nel suo tentativo di sfidare la legge di gravità… e della logica.

Il trambusto che segue – Calamidad che salta da una panca all’altra con un’agilità fuori dai limiti del suo corpo, le miliziane che cercano di circondarla e bloccarla, il gatto-cane che morde le miliziane, Defensa Zapatista che tenta di prendere il gatto-cane, Esperanza che tira fuori il cellulare per filmare il tumulto, Pedrito che ricorda a tutti che forse è meglio mangiare qualcosa -, non sembra affatto disturbare chi fluttua in un vento che, vista l’assenza di musica, soffia solo nel suo cuore.

Si può ballare una balena ferita?

“Ah, gli zapatisti, sempre come se stessero guardando un altro film”, pensi. Come se quando parlassero del mondo, non si riferissero a questo che si subisce. Come se su un’astronave, scegliessero di guardare non il mondo che sta dietro, ma quello che si nasconde in qualche posto dell’universo… o della loro immaginazione.

Riesci ad immaginare la colonna sonora di un mondo nuovo che, indomito, sorge dalle macerie di un altro che scricchiola impercettibilmente?

Allora capisci… o credi di capire. Con “Balla un altro mondo” lo zapatismo non sta lanciando una sfida, bensì un invito.

Nel frattempo, asserragliata nell’ultimo angolo dell’auditorium, Calamidad ha fermato l’attacco delle miliziane che attente ascoltano la bambina che spiega loro il “gioco dei popcorn” e racconta “la storia del mais palomero versione Calamidad”.

Allora, avverti un lieve tremore sotto i piedi. Sì, sembra che finalmente la balena si stia sgranchendo e si prepari a riprendere la strada sulla collina.

Come se la danza, l’arte di ballare un altro mondo, avesse alleviato le ferite e il cuore, e la incoraggiasse a seguire la sua assurda impresa.

Ma questo è impossibile. O no?

-*-

Sulla base di quanto sopra, la Commissione Sexta dell’EZLN, invita gli uomini, donne, otroas, bambini ed anziani della Sexta, del CNI e delle Reti di Resistenza e Ribellione in tutto il mondo, ed anche chi possa e voglia, al PRIMO FESTIVAL DI DANZA…

“BALLA UN ALTRO MONDO”

La cui PRIMA edizione si svolgerà nei Caracoles zapatisti di Tulan Kaw e Jacinto Canek, nelle montagne del Sudest Messicano, dal 16 al 20 dicembre 2019.

Ci saranno esibizioni di danza contemporanea, classica, neoclassica, araba, butoh, acrobazia, ballabile, circo, performance, di gruppo, aerea, africana, dark belly dance hip hop fusion, moderna, hula hula e abilità col fuoco.

Ci saranno inoltre laboratori (aperti al pubblico) di: danza contemporanea, espressione del corpo, giochi di prestigio, africana, danza araba. Oltre a incontri e mostra fotografica.

Le attività si svolgeranno nel:

.- Caracol di Tulan Kaw i giorni 16, 17 e 18 dicembre 2019, a partire dalle ore 10:00.

.- Caracol Jacinto Canek (presso il CIDECI a San Cristóbal de las Casas, Chiapas), i giorni 19 e 20 dicembre 2019.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano.
Col suo corpo splendido e in buona forma (sì) dolorante per aver tentato un Temps Levé Coupe. Non scherzate, mi è venuto bene… più o meno… ok, ok, ok, non mi è riuscito.
Messico, dicembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/15/baila-una-ballena/

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Messico – Secondo Festival del Cinema “Caracol de nuestra vida” organizzato dall’#EZLN

Amatenango del Valle, Chiapas. 7 dicembre 2019.

Basi di appoggio dell’EZLN, in particolare giovani ragazzi e ragazze, insieme ad partecipanti nazionali e internazionali, si sono dati appuntamento sabato all’inaugurazione della Seconda edizione del Festival del film: “Puy Ta Cuxlejaltic“, nel nuovo Caracol Zapatista Tulan Kaw, negli altopiani del Chiapas.
Dopo un duro lavoro per completare le strutture del nuovo Caracol ““Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de los caídos “, annunciato lo scorso agosto, oggi accoglie i partecipanti del festival.
All’ingresso del Caracol tra la trafficata strada tra San Cristóbal e Comitán, si possono vedere diversi cartelloni che ricordano le varie attività che i ribelli del Chiapas hanno programmato come “dicembre combattivo”.
Nella parte davanti al Caracol c’è anche un percorso che conduce il visitatore attraverso diverse mostre artistiche, nonché proiezioni su mega schermi e piccoli proiettori oltre a palchi per le diverse presentazioni all’aperto.
MARICHEWEU! Dieci, cento, mille volte vinceremo”, si può leggere in una delle sale di proiezione del festival in omaggio alla lotta del popolo mapuche in Cile.
In questo primo giorno sono stati proiettati le pellicole: Gran Jornada de Mujeres que Luchan del collettivo Luces Rebeldes; Escuela por la Defensa del Territorio della Sandía Digital e Witness; Corrientes del sur di Geovanni Ocampo Villanueva; Noosfera di Amelia Hernández; Santo Rimedio di Andrea Ayala Luna, Ingrid Denisse Alarcón Díaz; Sobre la hierba di José Alfredo Jiménez Milano; 3 x 10 pesos di Uzziel Ortega Sánchez e David Donner Castro; El caminar de las Pastoras di Gabriela Ruvalcaba; Videoclip & Discurso di El Gran Om; e Soles Negros di Julien Elie.
Secondo i partecipanti, le proiezioni mostrano le difficili condizioni sociali, economiche e politiche a cui sono sottoposte le comunità a livello nazionale e internazionale.
Per domenica, i film da proiettare sono: Huir da Daniel Hernández Delgadillo; Restos de viento di Jimena Montemayor; Birders di Otilia Portillo; Vaquero del mediodía di Diego Osorno; ¿Qué les pasó a las abejas? di Adriana Otero; e Poetas del Cielo di Emilio Maillé.

http://yabastanapoli.blogspot.com/2019/12/messico-secondo-festival-del-cinema.html

Tulan Ka’u, Cavallo Forte [Fotoreportage]

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COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN
MESSICO

Dicembre 2019

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni della Sexta nazionale e internazionale:

Alle Reti di Resistenza e Ribellione:

Ai cinefili:

CONSIDERANDO CHE:

Primo e unico:

UNA BALENA NELLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO
(Creatori, Creatrici e Creature).

Non sai come sei arrivato in questo luogo. Sì, sembra sia ormai un’abitudine … “Usi e costumi cittadini”, ricordi che così diceva il defunto SupMarcos, e ricordi anche l’irritazione che ti suscitavano quei commenti sarcastici… bene, non solo quelli. Il pomeriggio lascia ora posto alla notte. Ti sei fermato perché in lontananza hai visto una stella rossa a cinque punte sulla cima di un colle, dopo una specie di avviso monumentale con così tante scritte da non riuscire a leggere di cosa si trattava. Più in là, la sagoma azzurra di un cavallo che nitrisce ed alcune lettere grandi e luminose che laconiche sentenziano: “TULAN KAW ZAPATISTA”. All’entrata, la bambina che ti ha guidato a quel primo cinema impossibile e la sua banda di bambine e bambini, ti si avvicinano. Non sai se scappare, fingere di non conoscerli o restare in attesa. Qualunque strategia crolla perché la bambina ti prende per mano e ti rimprovera: “sempre in ritardo, eh!”.

Attraversate una spianata, in una specie di fiera di paese. In un tratto serpeggiante ci sono alcune “stazioni” con diversi meccanismi di luci e suoni travesti da… mostri, circensi, trapezisti, alcuni che insegnano arti, da lì si sente della musica, si balla e si canta. La gente si affolla nella sua “stazione” preferita e ci sono risate, grida di ammirazione e sorpresa. Inoltre, certo, molti “selfie”. Ai margini del percorso c’è un grande schermo. Stai per dire “Sembra un drive-in”, ma un cartello dice: “Ingresso libero. Stasera: Cantinflas e Manuel Medel in Águila o Sol. Domani: Piporro e Pedro Infante in Ahí viene Martín Corona”.

La bambina ti guida in questo percorso azig-zag: davanti c’è uno strano essere, somiglia ad un gatto o un cane; ai lati ci sono altre bambine e bambini che parlano tutti contemporaneamente.

Cerchi di capire quello che dicono, ma vedi un grande striscione con l’immagine di Boris Karloff(?) nei panni di Frankestein, con una tazza in una mano ed un pezzo di pane sbocconcellato nell’altra. La scritta recita una verità ancestrale: “Niente come un buon caffè ed un panino ti riportano in vita“. Più in fondo, sull’altro lato, si legge “Chirurgia Maxillofacciale. Mostra il tuo volto migliore ed un sorriso irresistibile” e l’immagine delle diverse trasformazioni della creatura delle serie di “Alien, l’ottavo passeggero“. Istintivamente ti tocchi le guance e ti scorre un brivido.

Ci sono molte luci dai colori scintillanti, un’ampia sala da pranzo (riesci a leggere “ZAPATISTAS” e “BIENVENID@S”) e stai per dire che fa freddo e che non ci starebbe male un caffè caldo e magari qualcosa  da mangiare quando, su una delle pareti della sala da pranzo, vedi un altro telone con l’immagine di Edward James Olmos che annuncia “Sushi precotto. Corsi di Origami. Eliminazione Parassiti. Cravatte. Gaff & Company”. In alto, come sospesa in cielo, l’immagine animata della geisha di Blade Runner. Ti fermi un momento per capire come quella trovata sia possibile, ma le persone dietro di te spingono.

Quasi alla fine del “viale delle stazioni” c’è un tavolo con sopra il modellino di quella che potrebbe essere una costruzione, con un cartello con scritto “Progetto di Teatro“, ed una scatola per inserire “Donazioni Anonime“. Dietro un negozio di artigianato l’immagine di un “Facehugger” [una delle creature del film Alien – N.d.T.] pubblicizza sciarpe e mascherine per dormire.

Quindi una strada lastricata di luce e la sagoma di una grande stella rossa e, tra rottami apparentemente sistemati a proposito, immagini cangianti di uno scenario distopico. Le luci tremolanti illuminano a malapena la foresta intorno a te e la montagna in alto. Sì, come se invece di un albero, gli zapatisti avessero addobbato di luci l’intera montagna e gli alberi del bosco non fossero altro che i rami di quel grande pino obeso.

Pensi che sia meglio tornare, non succede nulla di tranquillo nelle terre dello zapatismo… almeno non per te. Ogni volta che vieni resti con una sensazione di dissenso e scetticismo rispetto a te stesso. E ti servono un bel numero di bagni di quotidianità cittadina per tornare alla normalità. Quindi fai qualche passo indietro, cercando l’occasione di voltarti senza che i bambini ti vedano……

Ma ti vedono e ti blocchi.

Ti dici che hai visto già tutto, per queste cose c’è internet e la banda larga, ma quello che ora vedi è così illogico che… Bene, tiri fuori il tuo cellulare e tenia una foto panoramica, ma capisci subito che non è possibile. Ci vorrebbe un satellite per riprendere l’insieme, perché si vede che tutto è parte di un puzzle e per comporlo bisogna camminare… e chiudere gli occhi.

Ma, riaprendoli, tutto è ancora lì. Una grande costruzione. Una specie di galeone che, sfidando le leggi fisiche, si allunga fino a perdersi tra gli alberi e nella pelle umida della montagna. Una galera il cui sperone di prua è una stella rossa a cinque punte. Non ti sorprenderebbe se, sulla fiancata, si aprissero sportelli e sputassero decine, centinaia, migliaia di remi… e dentro si trovasse, “scrivendo in mare“, il monco di Lepanto [Miguel de Cervantes Saavedra, autore del Don Chiosciotte, che perse la mobilità del braccio nella battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571 – N.d.T.]. Somiglia ad un galeone. O una baleniera… No, piuttosto una balena sperduta che nuotando ostinata controcorrente contro la corrente lungo la montagna, ora riposa tra gli alberi e la gente. Sì, gente, tanta. Di tutti i tipi. E di tutti i colori, perché anche se pare che la maggioranza abbia il volto nascosto, i loro abiti sono come se un caleidoscopio si muovesse attorno al grande cetaceo, assurdo nel suo riposare a mezza montagna, come assurdo è tutto quello che lì succede.

No, non ti è venuto in mente che questo potrebbe essere il “Pequod“, ma piuttosto la leggendaria Moby Dick, la balena ossessione di Ahab, di Gregory Peck e di Herman Melville.

“Festival del Cinema”, ricordi di aver letto su diversi cartelli. Ma non c’è nessun riferimento al film di John Houston né al romanzo di Melville. Allora ti ricordi di quello che una volta hanno detto le/gli zapatisti: “noi, parliamo per un altro tempo. La nostra parola si capirà in altri calendari e geografie”. Anche cosí sei pronto a rispondere “Chiamatemi Ismaele” se qualcuno ti chiede il nome ma, allora, guardi attentamente i 3 grandi teloni che coprono i lati e, su quello in mezzo, quello ricamato con lance e funi, si legge:

Trempülkalwe

“È lingua mapuche, o mapudungun”, senti dire da qualcuno. Un po’ più su, altre scritte segnalano: “MARICHEWEU! Dieci, cento, mille volte vinceremo”. E, come a ratificarlo, intorno pullulano dieci, cento, mille persone incappucciate, rematori di questa paradossale galera di buontemponi. Giovani, uomini, donne ed otroas zapatisti. Come a dire che ognuna delle loro esistenze, delle loro vite, fosse un trionfo di fronte ad un passato che prometteva loro morte ed oblio.

Qui, nelle montagne del Sudest Messicano, ti trovi con questo grido di resistenza e disobbedienza Mapuche. Perché lo zapatismo saluta così e qui questo popolo originario? Perché l’impegno in portare una storia ancestrale di resistenza e ribellione dal più profondo sud del continente e seminarla in questa montagna che, per giunta, si chiama “Tulan Kaw” (“cavallo forte” in tojolabal e tzeltal) e gemellare così, irrazionalmente, anacronisticamente, due resistenze e ribellioni con lo stesso obiettivo: la difesa della madre terra?

Stai cercando di decifrare questo puzzle quando la banda infantile ti spinge dentro la pancia della balena… ok, dell’auditorium. Panche di legno, molte, sistemate seguendo il profilo della montagna, un palco con tavoli e 3 schermi (la versione zapatista del 3D), altoparlanti e un mucchio di cavi come budella attorcigliate.

La bambina ti dice: “Aspettaci qui. Andiamo a prendere i popcorn”. Tu cerchi di dirle che non ha visto nessun chiosco di popcorn, ma la banda di infanti sparisce uscendo dall’interiora del cetaceo… ok, dell’auditorium. Mentre aspetti, percorri con lo sguardo l’interno della costruzione. Sulle panche, esseri di ogni tipo. Sul palco, persone che, si suppone, creano cinema. Parlano di cinema ma come rispondendo a domande che, apparentemente, nessuno ha fatto loro… almeno nessuno di visibile. O parlano per sé stessi.

Ritornano di corsa la bambina e la sua banda, tutti con sacchetti di popcorn. La bambina ti dà un sacchetto mentre chiarisce: “Non c’ho messo molta salsa perché poi magari ti viene mal di pancia”.   L’ingresso della banda di bambini funge da segnale e il resto della folla parte in massa. Le persone sul palco emettono un sospiro di sollievo. Uno confessa “Uff! Ora ricordo perché mi sono dedicato al cinema!”. Un altro: “È come un film horror mischiato con uno thriller e fantascienza, e temo che il copione non mi procurerà niente di buono”. Uno più in là: “Perché in verità non sapevo cosa risponderle, lei aveva troppe domande”. “Certo”, dice un altro, “è come essere in un tribunale ma senza avvocato difensore… e sapendo di essere colpevole”.

La bambina ti dice in un orecchio: “Se viene a cercarci il SupGaleano, tu gli dici che siamo stati qui tutto il tempo, che tu hai portato i popcorn dalla città e li hai condivisi con noi. Anche se vedi che si altera, tu niente, fermo, fai finta di niente, resistenza e disobbedienza”. Da un altoparlante si sente: “Si ringrazia per qualunque informazione su dove si trovi un gatto-cane, è ricercato per furto di materiale strategico della comandancia general. Si pensa sia accompagnato da una banda di bambine e bambini che… ok, dimenticate il dettaglio bambine e bambini, ma il gatto-cane è inconfondibile”. Il suddetto si nasconde nel grembo dalla bambina e sì, giureresti che ha un sorriso birichino.

Stai valutando la convenienza di mentire o meno ad un Subcomandante, quando le persone rientrano, tutte con profumati sacchetti di popcorn, prendono posto e sul palco qualcuno dice: “Nessuno fa una domanda frivola? Così, per tornare alla normalità e tutti credano che questo è un festival del cinema come gli altri”.

“Dai”, ti dici, “un festival del cinema dove ci si aspettano spiegazioni, ragioni, riflessioni. Come se sullo schermo apparisse un grande punto di domanda e tutte, tutti, todoas, si aspettassero che… che cosa si aspettano?”. La bambina gli confessa: “Vedi, siamo tutti contenti che queste persone che fanno il cinema siano venute qui, perché se fossero tristi o i loro cuori fossero in ansia perché non sapevano dove fossero finite queste cose? Giusto? Quindi li abbiamo invitati a venire a dirci se stanno bene o no, o dipende. Magari si metteranno anche a ballare e a mangiare popcorn e i loro cuori saranno contenti”, dice la bambina con la bocca piena e le guance macchiate di salsa.

Sembra ci sia un intervallo e tutti, te compreso, escono. Con tua sorpresa, c’è ora un chiosco di popcorn su ruote che, come una cometa luminosa, trascina una lunga fila di bambine e bambini che aspettano il loro turno. Ce n’è un altro più sotto. E se ne intravede un più lontano. Ti metti in fila e poi, con il tuo sacchetto di popcorn, ti soffermi a guardare quell’assurda sala cinematografica e la sua inclinazione ribelle che sfida la logica e la legge di gravità…

La mitica balena mapuche, Mocha Dick, che nuota su per la montagna con tutta quella gente in spalla… “e, in mezzo a tutto, un grande fantasma incappucciato, come un monte innevato nell’aria” (Moby Dick. Herman Melville, 1851).

Un cetaceo irriverente come un pezzo del puzzle.

Il cinema come qualcosa di più, molto più di un film.

Come se qui fosse parte di un puzzle più ampio: vedi un cartellone che annuncia un festival di Danza, un altro un forum in Difesa del territorio e della madre terra, un altro ancora un incontro internazionale di donne che lottano, un altro di un compleanno; e indicazioni, tante: che indicano bagni, lavandini, internet, negozi di alimentari. “Un mondo dove stiano molti mondi”, oltre a quelli di Giunta di Buon Governo, Municipio Autonomo Ribelle Zapatista, Commissione di Informazione e Vigilanza… e non ti sorprenderebbe incrociare Elías Contreras che fuma seduto fuori una capanna sopra la cui porta starebbe scritto “Commissione di Investigazione”.

Scopri che ci sono molti pezzi sparsi. Perché vedi altre persone che si differenziano dai locali solo per un distintivo che segnala “Congresso Nazionale Indigeno” e, certo, per non avere il volto coperto, oltre a “cittadini, cittadine e ciudadanoas“, che è come lo zapatismo chiama chi vive o sopravvive nelle città.

E ti sconvolge sapere che ci sono e ci saranno molti altri pezzi.

Come se lo zapatismo volesse sfidare l’umanità con enigmi… o con la sagoma di un mondo, di un altro mondo.

Come se la tua vita importasse a qualcuno che non conosci. Qualcuno per il quale forse tu hai fatto molto, poco o niente, ma che ti considera.

Come se finalmente capissi che questo “Caracol de Nuestra Vida” include te ed i tuoi… dieci, cento, mille volte.

E questo pezzo del puzzle, il cinema, come la vita, dentro una balena che, ferita ai fianchi, risale le montagne del sudest messicano…

Ma questo è impossibile… o no?

-*-

Sulla base di quanto sopra esposto, la Commissione Sexta dell’EZLN invita gli uomini, donne, otroas, bambini ed anziani della Sexta, del CNI e delle Reti di Resistenza e Ribellione in tutto il mondo e, ovviamente, le ed  i cinefili che possano e vogliano, al FESTIVAL DEL CINEMA…

“PUY TA CUXLEJALTIC”

(“Caracol de nuestra Vida”),

La cui seconda edizione si terrà nel Caracol zapatista di Tulan Kaw,
nelle montagne del Sudest Messicano dal 7 al 15 dicembre 2019.

I film che si proietteranno e le attività del festival saranno rese note a breve nella sede del Festival.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano.
Che persegue la mutazione più temibile dello Xenoformo: il Gatto-Cane.
Ma come? Si è rubato i miei popcorn. Ed il cinema senza popcorn è… come dirti?… come i tacos senza salsa, come Messi senza pallone, come un asino senza corda, come un pinguino senza il frac, come Sherlock senza Watson, come Donald Trump senza twitter (o viceversa)…
eh?… ok, questo è un altro cattivo esempio.
Messico, dicembre 2019

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/12/05/una-ballena-en-las-montanas-del-sureste-mexicano-creadors-y-creaturas/

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CONVOCAZIONE ALL’INCONTRO PER LA DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

AI POPOLI DEL MESSICO E DEL MONDO,

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE,

ALLE RETI DI APPOGGIO AL CIG,

AI MEZZI DI COMUNICAZIONE.

Il capitalismo, fin dalla sua nascita, è un sistema economico mondiale contrario alla vita umana e contrario alla nostra madre terra, dunque, nella sua logica di accumulazione e di profitto, può riprodursi unicamente attraverso lo sfruttamento sempre più massiccio del lavoro umano e la depredazione permanente delle terre e dei territori dei popoli del mondo intero, principalmente dei popoli originari.

Il capitalismo, nella sua attuale tappa neoliberista, assume forme sempre più mostruose, che dichiarano una guerra aperta contro l’umanità e contro la terra, nostra madre. L’attuale sviluppo economico basato su scala planetaria nella predominanza del capitale finanziario che domina popoli, nazioni e continenti interi, poggiato sull’industria militare ed estrattivista, accrescendosi attraverso guerre reali o fittizie, la profusione del crimine organizzato e invasioni e colpi di stato, nella sua insaziabile logica di accumulazione e consumo capitalisti, sta portando verso un limite che mette in pericolo le condizioni della vita umana sul pianeta.

Inoltre, l’attuale sistema, con la sua organizzazione patriarcale ereditata da sistemi e civiltà precedenti ma approfondita negli ultimi secoli, si esibisce come un nemico violento non solo dell’umanità, ma in particolare delle donne e della nostra madre terra. Ovvero, lo sfruttamento e la profonda violenza strutturale verso le donne, è propria del capitalismo anche se è nata molto prima, la proprietà privato capitalista, base di questo sistema, non si può spiegare né comprendere se non come parte di un sistema patriarcale di dominazione sulle donne e sulla terra.

Il Messico e gli altri paesi del mondo sono dominati da questo che chiamiamo capitalismo e né i paesi che si definiscono con governi di sinistra o progressisti esulano da ciò, dunque, con questo sistema distruttivo, l’umanità avanza verso l’abisso. Per questo è urgente la difesa della vita umana, la difesa dei territori dei nostri popoli e la difesa della terra in una prospettiva chiaramente anticapitalista ed antipatriarcale.

E, come parte di questo immane compito:

CONVOCHIAMO

IL FORUM IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

Che si svolgerà nei giorni 21 e 22 dicembre 2019 nel Carácol JACINTO CANEK (CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico)

Con i seguenti argomenti di discussione:

ARGOMENTI DI DISCUSSIONE

  1. Devastazione ambientale e distruzione della madre terra nel capitalismo attuale: Diagnosi.
  2. Depredazione del territorio indigeno, contadino e urbano, spoliazione dei beni comuni, guerre di occupazione, estrattivismo e crimine organizzato: le crescenti aggressioni.
  3. Capitalismo e patriarcato: Violenza strutturale contro le donne e la madre terra.
  4. Costruzione di alternative anticapitaliste e antipatriarcali: la nostra lotta è per la vita.

DISTINTAMENTE

Novembre 2019
Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO
ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/11/21/convocatoria-al-encuentro-en-defensa-del-territorio-y-la-madre-tierra/

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Dichiarazione congiunta del CNI-CIG ed EZLN sulle recenti aggressioni dei capitalisti, dei loro governi e cartelli, contro i popoli originari del Messico

 

Ai popoli del mondo

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

 

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, condanniamo i seguenti fatti che illustriamo di seguito.

 

Repressione da parte della Guardia Nazionale delle comunità originarie del popolo nahua di Juan C. Bonilla

 

Denunciamo l’attacco alle comunità originarie del popolo nahua di San Mateo Cuanalá, San Lucas Nextetelco, San Gabriel Ometoxtla, Santa María Zacatepec e della colonia José Ángeles, del municipio di Juan C. Bonilla, del 30 ottobre scorso quando sono state represse a botte e pallottole di gomma, perfino contro bambini, donne e persone anziane dalla polizia federale, la polizia statale di Puebla e la Guardia Nazionale.

Lo spiegamento delle forze repressive contro i compagni è per consentire l’avvelenamento del fiume Metlapanapa come parte del Progetto Integrale per la Costruzione del Sistema di Fognatura Sanitario della Zona Industriale di Huejotzingo, Puebla, conosciuto come “Ciudad Textil”, che fa parte del megaprogetto di infrastruttura urbano-industriale conosciuto come Progetto Integrale Morelos, che è già costato la vita del compagno Samir Flores.

 

Ataque de la Guardia Nacional a las comunidades originarias del pueblo nahua del municipio de Juan C. Bonilla

 

Condanniamo il codardo attacco contro la comunità wixárika e tepehuana di San Lorenzo de Azqueltán, nel municipio di Villa Guerrero, Jalisco, lo scorso 3 novembre per mano dei cacicchi Fabio Ernesto Flores Sánchez (alias La Polla), Javier Guadalupe Flores Sánchez e Mario Flores, che a bordo di tre furgoncini ed accompagnati da gente armata hanno teso un’imboscata ai comuneros ed alle autorità; agendo in totale impunità hanno picchiato fino a lasciare gravemente feriti i compagni Ricardo de la Cruz González, Noé Aguilar Rojas e Rafael Reyes Márquez, che sono attualmente sotto cure mediche.

 

Questi tentativi di omicidio che rimangono sfacciatamente impuniti, sono orchestrati per fermare la degna e storica lotta per la terra a cui ambiscono coloro che, per possedere il denaro, si considerano i padroni della regione e che hanno sempre contato sulla piena complicità di istanze di governo che vogliono fare affari milionari con la terra comunale, pretendendo di cancellare dalla storia il paese tepecano.

 

Esigiamo la presentazione in vita dei compagni Carmelo Marcelino Chino e Jaime Raquel Cecilio del Frente Nacional por la Liberación de los Pueblos nello stato di Guerrero, che sono desaparecidos dallo scorso 22 ottobre, mentre erano diretti nella località di Huamuchapa, provenienti da Acapulco. Questo atto criminale si somma alla criminalizzazione, persecuzione, assassinio e sparizione di chi nello stato di Guerrero e in tutto il Messico lotta per il rispetto dei territori indigeni contro la devastazione capitalista.

 

Inoltre, denunciamo la detenzione e sparizione per varie ore del compagno Fredy García del Comitato di Difesa dei Diritti Indigeni (CODEDI) per mano di agenti della polizia di Oaxaca, dopo la partecipazione ad una presunta riunione di lavoro con funzionari di governo, accusato di reati assurdi per criminalizzare la degna lotta del CODEDI e del compagno Fredy García contro la depredazione e la repressione capitaliste. Esigiamo la libertà immediata e incondizionata del nostro compagno Fredy García!!

 

I capitalisti, i loro cartelli ed i loro governi impongono la morte con gruppi armati per spogliare i popoli indigeni, che siano del malgoverno, gruppi di scontro o criminali. Per noi popoli c’è la violenza, il terrore e l’indignazione; per loro l’impunità e la garanzia che i loro crimini si tradurranno in profitto a costo di popoli interi.

 

Distintamente

Novembre 2019

 

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli 

Mai più Un Messico Senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno
Consiglio Indigeno di Governo
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/11/08/pronunciamiento-conjunto-del-cni-cig-y-ezln-sobre-las-recientes-agresiones-de-los-capitalistas-sus-gobiernos-y-sus-carteles-en-contra-de-los-pueblos-originarios-de-mexico/

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COMMISSIONE SEXTA DELL’EZLN

Messico

Novembre 2019

 

Alle donne che lottano in tutto il mondo:

Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale.

Alle Reti in Resistenza e Ribellione o come si chiamino:

A chiunque si senta convocat@ alle attività:

 

Compagne, compagni, compagnei:

Sorelle, fratelli, hermanoas:

 

La Commissione Sexta dell’EZLN vi invita al:

COMBO PER LA VITA:
DICEMBRE DI RESISTENZA E RIBELLIONE.

 Con le seguenti attività:

SECONDA EDIZIONE DEL FESTIVAL DEL CINEMA

PUY TA CUXLEJALTIC.

Si terrà dal 7 al 14 dicembre 2019

Sedi:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico)

Caracol Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de l@s caídos. (Spirale degno tessendo i colori dell’umanità in memoria delle cadute e dei caduti, a Tulan Ka´u, sulla strada San Cristóbal de las Casas – Comitán de Domínguez, a metà strada tra queste due città – a circa 40 minuti da entrambi i lati, guidando con prudenza-).

 

La programmazione e i partecipanti saranno resi noti alla prossima occasione.

Indirizzo per iscriversi come assistenti:

segundofestivalcine@ezln.org.mx

 

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PRIMO COMPARTE DI DANZA
BALLATI UN ALTRO MONDO.

Si terrà dal 15 al 20 dicembre 2019

Sede:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico).

Indirizzo per iscriversi come partecipanti o assistenti:

participanteprimercompartedanza@ezln.org.mx

asistenteprimercompartedanza@ezln.org.mx

 

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FORUM IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA

Si svolgerà dal 21 al 22 dicembre 2019

I dettagli saranno resi noti dal Congresso Nazionale Indigeno, entità organizzatrice, con il sostegno della Commissione Sexta dell’EZLN.

Sede:

Caracol Jacinto Canek (al CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas, Messico).

 

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ATTENZIONE: Solo per donne che lottano:

SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO.

Si terrà dal 26 al 29 dicembre 2019

Sede:

Semillero “Impronte del Cammino della Comandanta Ramona”, al Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 Novembre), lo stesso posto in cui si è tenuto il Primo Incontro, nel municipio filogovernativo di Altamirano.

Indirizzo per iscriversi:

estamosaprendiendo@ezln.org.mx

Nota: al luogo dell’incontro del semillero, potranno accedere SOLO le donne che lottano (con i loro piccoli se minori di 12 anni). In questo luogo NON È CONSENTITO L’ACCESSO AGLI UOMINI, neanche per sogno. I dettagli sul programma, la strada, ecc., saranno forniti alla prima occasione dalle Coordinatrici delle Donne Zapatiste.

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CELEBRAZIONE DEL 26° ANNIVERSARIO DALL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO

Si svolgerà dal 31 dicembre 2019 al 1° gennaio 2020

Sede:

Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 Novembre).

 

Indirizzo per iscriversi:

visitante26aniversario@ezln.org.mx

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È tutto.

Dalle montagne del Sudest messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés

Commissione Sexta dell’EZLN.

 

Traduzione a cura di 20ZLN

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Il diluvio è così forte che offusca la vista. Intervista a Raúl Zibechi sulle attuali rivolte latinoamericane

30/10/2019

Delle attuali rivolte latinoamericane, del ruolo dei popoli indigeni, dei giovani e delle donne, del ruolo degli Stati Uniti, delle elezioni in Bolivia e in Argentina, della congiuntura in Messico, dell’ultra-destra e di ciò che segue per chi cerca un mondo più degno, parla in questa intervista Raúl Zibechi, giornalista e scrittore uruguayano, conoscitore e accompagnatore di diverse lotte dell’America Latina. Un’intervista di Gloria Muñoz Ramírez.

Cosa sta succedendo in America Latina? Perché adesso le rivolte in Ecuador, Haiti e Cile?

Siamo di fronte alla fine di un periodo segnato dall’estrattivismo, fase attuale del neoliberismo o Quarta Guerra Mondiale. In questo senso credo che siamo di fronte all’autunno dell’estrattivismo perché il suo periodo d’oro è stato prima della crisi del 2008, quando i prezzi alti delle materie prime hanno permesso la crescita dei redditi dei più poveri senza toccare quelli dei più ricchi, senza riforme strutturali come l riforma agraria, urbana, fiscale e così via.

Le rivolte sono ben diverse da paese a paese. In Ecuador c’è una sollevazione – ce ne sono state una decina dal 1990 – ben organizzata e diretta dalla CONAIE (Confederación de Nacionalidades Indígenas de Ecuador), che per la prima volta ha coinvolti i poveri delle città. In Cile, in cambio, è un’esplosione, senza convocanti né direzioni ma con una crescente organizzazione territoriale attraverso le assemblee popolari. I settori più organizzati sono i Mapuche, gli studenti e le donne che stanno giocando un ruolo fondamentale.

Credo che la gente sia stanca, arrabbiata da tanta disuguaglianza e di impieghi, salute ed educazione spazzatura. Ci sono servizi pessimi per persone usa e getta. E questo è percepito soprattutto dai più colpiti, le e i giovani, che vedono di non avere futuro in questo sistema. Le persone approfittano delle crepe del sistema, come lo sciopero degli autotrasportatori in Ecuador per farsi ascoltare.

Qual è la tua lettura di ciò che sta succedendo in Bolivia, rispetto alle elezioni presidenziali nelle quali è stato rieletto Evo Morales e le successive mobilitazioni?

Un’altra frode. Evo Morales e la cricca che lo circonda, come il vicepresidente Álvaro García Linera, si aggrappano al potere che è l’unica cosa che gli interessa. Questa è una lezione importante: privi di ogni etica ai dirigenti di sinistra gli rimane solo la loro ossessione per il potere. Questa cosa merita un’analisi profonda. Come siamo arrivati a questo punto? Che cosa è successo perché l’unico interesse sia il potere e tutto ciò che lo riguarda, come il lusso e il controllo della vita degli altri? Morales non doveva presentarsi a queste elezioni perché ha convocato un referendum e ha vinto il No alla sua candidatura. Ha violentato la volontà popolare e adesso sta facendo lo stesso. È chiaro che la destra pretenda di approfittare di questa situazione ma non dimentichiamoci che la OEA, attraverso Luis Almagro, difende il regime di Morales e questo mi sembra molto sintomatico. Chi parla di colpo di stato omette che c’è un patto con la destra, i militari e la OEA, ossia gli Stati Uniti, per sostenere il governo di Morales.

Dobbiamo riflettere perché la sinistra non immagina di potersi slegare dal potere, perché non concepiscono la politica senza slegarsi dallo Stato. Tra le altre cose, perché ha abbandonato la costruzione di poteri popolari, perché non gli interessa che le persone si organizzino e fanno tutto il possibile per evitarlo, anche attraverso l’uso della repressione e del terrorismo di stato come in Nicaragua.

Che ruolo hanno i popoli indigeni nelle rivolte?

Sono il nucleo principale insieme alle donne e ai giovani. Quello che sta succedendo in Cile ha tre precedenti: la lotta del popolo Mapuche, quella degli studenti degli ultimi dieci anni e quella delle donne che l’anno scorso hanno occupato università e si sono alzate in piedi contro il patriarcato accademico. Mi fa sorridere quando dicono che il Cile si è svegliato. Quelli che si sono svegliati sono i giornalisti e accademici che stavano nel limbo. I “Los de Abano” non hanno mai dormito. L’anno scorso la risposta di tutto il Cile all’assassinio di Camilo Catrillanca è stata impressionante, con blocchi stradali durati un mese a Santiago e in altre trenta città.

I popoli originari hanno due grandi qualità. La prima è l’organizzazione territorio comunitaria che si sta approfondendo con la crescita dell’attivismo giovanile e delle donne, che hanno democratizzato le comunità. La seconda è che incarnano forme di vita potenzialmente non capitaliste, una cosa che nessun altro settore della società può offrire alla lotta. Educazione, salute e alimentazione in chiave non mercantile, al quale bisogna aggiungere la costruzione di poteri di altro tipo, non statali.

Per questo i popoli originari sono referenti per tutti coloro che lottano. Per questo i “bianchi delle città” agitano le bandiere Mapuche e le donne, studentesse e contadine ecuadoriane accettano l’orientamento degli indigeni. Mi piacerebbe dire che i popoli originari son oggi il principale referente delle rivolte, anche per i settori delle classi medie urbane. A Quito, le donne professioniste lavavano i bagni della Casa della Cultura, mentre donne e uomini originari discutevano in assemblee improvvisate. Lo hanno fatto come gesto di rispetto e di accettazione attiva della loro leadership, con un atteggiamento che dovrebbe farci riflettere dal cuore perché emoziona profondamente.

L’Uruguay ha rifiutato la Guardia nazionale, che invece, è stata approvata in Messico. Qual è l’equilibrio delle forze armate nelle strade?

Nei prossimi anni vedremo sempre più i militari nelle strade. Lula e Dilma, in Brasile, le hanno portate nelle favelas e nessuno ha alzato la voce, perché sono neri e “delinquenti”. Il tema del crimine organizzato è un pretesto perfetto, perché serve per lavare le coscienze della classe media della sinistra, che sono quelli che soffrono meno la violenza. Il futuro ministro dell’interno del Fronte Amplio in Uruguay, Guastavo Leal, sta perseguendo la vendita al dettaglio di “pasta base” (droga a basso costo simile al crack) con un accanimento speciale tanto da demolire le case degli spacciatori quando vengono arrestati. Non sono narcos, in senso stretto, sono poveri che sopravvivono nella delinquenza, ai quali applica metodi repressivi identici a quelli che Israele utilizza con i palestinesi. Tuttavia, sono stati scoperti in Europa carichi di cocaina di cinque tonnellate imbarcati nel porto di Montevideo.

L’uscita nelle strade dei militari nelle strade è inevitabile perché “los de arriba” hanno dichiarato guerra alla popolazione. E questo non ha nessuna relazione con destra o sinistra, è una questione di classe e di colore della pelle, è la politica dell’1% per rimanere in alto.

Che lettura dai al Messico in questo contesto latinoamericano?

Da molto tempo in Messico si sta incubando qualcosa di molto simile a quello che succede in Cile, una fenomenale esplosione che è stata posticipata innanzitutto dalla guerra e adesso dal governo di Andrés Manuel López Obrador. Ma la pentola sta accumulando pressione ed è inevitabile che in qualche momento succeda un’enorme insurrezione, quando la rabbia supera la paura. Non sappiamo quando ma il processo è in cammino perché la politica di implementare l’estrattivismo dell’attuale governo è una macchina di accumulazione di rabbia.

Dall’altro lato vedo in Messico un potere debole, un governo che si fa da parte di fronte ai narcos come è successo in Culiacán, ma mette pressione alle popolazioni come è successo in Morelos, quando hanno assassinato il difensore comunitario Samir Flores Soberanes. AMLO sta negoziando coi narcos passa sopra ai popoli originari, rivelando la miseria etica del suo governo. Ha detto che si è trattato di salvare vite e lo posso capire. Ma chi ha difeso la vita di Samir e di tutti gli altri assassinati in questo suo primo anno di governo?

Argentina e le elezioni. Il ritorno al progressismo è la soluzione?

Il problema è che ritorna una cosa che non è il progressismo. In Argentina non ritorna il kirchnerismo del 2003, ma un regime peronista molto repressivo, che sarà più simile al Perón del 1974 o al Menem del 1990. Il ciclo progressista è finito, anche se ci sono ancora governi che reclamano questa corrente. Il progressismo è stato un ciclo di prezzi elevati delle materie prime, che ha permesso di tramandare i ricavi delle eccedenze commerciali ai settori popolari. Ma, al di là di questo fattore economico, il ciclo è terminato per un altro fattore decisivo: è terminata la passività, il consenso tra le classi, e si sono attivati i movimenti e questo ha segnato un limite chiaro al ciclo, che è stato possibile solo per l’accettazione dal basso delle politiche dall’alto. Credo che il nuovo governo dovrà affrontare enormi difficoltà per il peso dei debiti che ha lasciato Macri, che porterà necessariamente a una politica di austerità. Il problema è l’aspettativa popolare che le cose cambino rapidamente e che porterà a un notevole miglioramento nelle attività economiche e nei salari.

Sappiamo che questo non è possibile, quindi si apre un periodo di imprevedibilità nella quale le persone non aspetteranno passivamente che gli vengano regalati dei benefici. In Argentina vedremo una potente sviluppo dell’estrattivismo, in particolare del petrolio e del gas di Vaca Muerta.

Costa Rica e Panama con rivolte studentesche. Che ruolo hanno i giovani?

I giovani sono uno dei settori più attivi. Se gli indigeni stanno per essere saccheggiati e le donne violentate e assassinate, i giovani sanno che non hanno futuro, perché una vita degna non può consistere in un lavoro di otto o dieci ore in un Oxxo, che col viaggio di andata e ritorno a casa diventa di quattordici ore sottomesso al lavoro, senza tempo né forze per fare altro che consumare con il poco che resta del salario. Quando ne hanno uno di salario. Solo una minoranza ha accesso a studi superiori, con fondi che gli garantiscono fino a oltre 40 anni una vita comoda ma che suppone un contrasto netto con i giovani dei settori popolari, con indigeni e neri. Lasciano i loro quartieri e subiscono la violenza della polizia o della droga, il che ci fa dire che vivono in una situazione di grave fragilità. Questo li porta in certi momenti ad integrarsi nella criminalità organizzata, che garantisce loro una vita più confortevole. Ma soprattutto accumulano rabbia, molta rabbia.

In Ecuador, dirigenti comunitari veterani erano sorpresi del fatto che i giovani si scontravano a mani nude con le forze armate, senza temere le conseguenze. Sono riusciti a far prigionieri centinaia di poliziotti che poi sono stati consegnati all’ONU o ad altre autorità, perché i dirigenti sono intervenuti prima che succedessero cose ben più gravi, dato che se fosse stato per loro li avrebbero liquidati all’istante, ai piedi delle barricate. Perché questa gioventù povera non ha esperienze di lotta organizzata e tende a togliersi la rabbia attaccando i suoi nemici, cosa che può provocare autentici massacri. Però sono lì, trasbordando da tutti i limiti immaginabili: dalle famiglie al quartiere, fino agli apparati repressivi e, naturalmente, dalle organizzazioni di sinistra. Qui dobbiamo lavorare duro per organizzarli.

Il ruolo dell’ultra-destra e il caso Bolsonaro in Brasile.

Dal momento in cui Bolsonaro è andato al governo, ha avuto una serie di insuccessi che ci hanno dimostrato la sua enorme incapacità di governare. Sono scoppiate crisi nel suo stesso partito, tra il presidente e i suoi alleati, con gli imprenditori e con i grandi agricoltori. La vera ultra-destra sono le forze armate, in particolare l’esercito, che ha il ruolo di stabilizzatore del governo. Credo che il grande problema del Brasile sia la tremenda insicurezza nella vita quotidiana che colpisce le classi popolari, in generale poveri e neri, che li porta a cercare rifugio nelle chiese evangeliche e pentecostali, come in figure che danno un’immagine di sicurezza, come Bolsonaro. Quello che dobbiamo chiederci è perché i settori popolari hanno abbandonato il Partito dei Lavoratori (PT) e si sono rivolti all’ultra-destra. La risposta semplice è che sono influenzati dai media. Una posizione che difendono accademici che si credono immuni ai media e che sottostimano le capacità popolari. La realtà è che la vita di chi vive nelle favelas è tremenda: precarietà lavorativa, pesante presenza della polizia militare, crimini e assassini da parte dello Stato, salute ed educazione di pessima qualità, timore per i figli, che cadono vittime dei proiettili in percentuali allucinanti. Le madri temono per i propri figli e per il loro futuro. Un clima ideale per la cattura dell’ultra-destra, in particolare nei giovani che si sentono rimpiazzati dalla forza dei loro coetanei.

In questo contesto, qual è il ruolo degli Stati Uniti?

La regione è lo scenario di una disputa per l’egemonia globale tra Stati Uniti e Cina. La penetrazione cinese si sta dimostrando addirittura peggiore di quella yankee. In Ecuador si costruiscono opere di infrastrutture, come dighe idroelettriche, con schiavi cinesi che commutano le proprie condanne lavorando in condizioni forzate, con punizioni corporali incluse. Nessuno deve credere che il capitalismo e l’imperialismo cinese siano meno aggressivi di quelli yankee. Il problema è che gli Stati Uniti hanno bisogno di riposizionarsi in America Latina per compensare la loro crescente debolezza in Africa, Asia e Medio Oriente. Una delle tendenze che vedremo nel futuro immediato è la distruzione degli Stati-Nazione, processo che è già cominciato in Messico e nei paesi del Centro America. Da questo punto di vista dobbiamo aspettarci il peggio.

Fino a dove?

La principale caratteristica di questo periodo post ciclo progressista è l’instabilità. Le destre non possono governare come dimostrano Cile e Ecuador. Ma i progressismi nemmeno, come dimostrano Bolivia e Nicaragua. Ma attenti, il problema non è questo o quel governo (il governo è sempre un problema), ma il sistema. Queste rivolte non sono contro un presidente ma contro un modello di distruzione della natura e di controllo sociale massivo, attraverso politiche sociali e militarizzazione che si complimentano per mantenere la popolazione soggiogata.

La risposta a “fino a dove”, non può essere altra che l’organizzazione popolare in ogni territorio, per resistere e costruire i mondi nuovi. Mi piace parlare di arche, perché è necessario sopravvivere collettivamente al diluvio che sta arrivando. Desinformémonos può essere considerata come un’arca dell’inter-informazione dei los de Abano, come il meccanismo per collegare le nostre condotte, come direbbe Alberto Maturana. Vale a dire, un’informazione da dentro il campo popolare o arca collettiva, che è imprescindibile per orientarci in senso emancipatori, ma soprattutto per muoverci nel mezzo di una tormenta che non fa vedere nulla, perché il diluvio è così forte che offusca la vista.

*** Tratto da Desinformemonos e tradotto da Christian Peverieri. https://www.globalproject.info/it/mondi/il-diluvio-e-cosi-forte-che-offusca-la-vista-intervista-a-raul-zibechi-sulle-attuali-rivolte-latinoamericane/22338

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Rompendo l’accerchiamento, autonomia in cammino

di Lorenzo Faccini, Andrea Mazzocco

29/10/ 2019

Come sostenitori del processo dell’autonomia zapatista, come aderenti alla Sexta o come semplici estimatori delle lotte anticapitaliste nel mondo, l’appoggio alle realtà che percorrono il cammino della rebeldía deve essere incondizionato, in tempi di calma apparente così come nei tempi dei grandi proclami. Abbiamo avuto la fortuna di vivere entrambe queste situazioni in prima persona, abbiamo potuto vedere gli zapatisti rompere l’accerchiamento dopo mesi di silenzi carichi di significati, mesi di azioni e non di parole. Muovendo dal presupposto che sia possibile ed assolutamente prioritario avviare un processo di decolonizzazione del sapere all’interno delle nostre istituzioni accademiche, crediamo che il primo importante passo sia scardinare i paradigmi culturali eurocentrici che veicolano l’interiorizzazione del modello economico neoliberista e colonialista. Questo intento ci ha condotto a San Cristóbal de Las Casas e, nel pieno del lavoro di ricerca per scrivere le nostre tesi sull’autonomia, gli zapatisti sono riusciti a sorprenderci ancora una volta.

Siamo arrivati in Chiapas il 28 luglio 2019 consci delle difficoltà intrinseche al nostro proposito accademico, nonostante le credenziali e le attestazioni di fiducia preparateci dai compagni e dalle compagne dell’associazione Ya Basta! Êdî Bese! In primo luogo, ci siamo scontrati con la legittima reticenza degli zapatisti dovuta alla lunga trafila di studiosi, intellettuali o presunti tali, che bussando alle porte dei Caracoles hanno riprodotto le note logiche estrattiviste anche in ambito culturale. Nel peggiore dei casi, nella totale disonestà intellettuale, hanno abusato della fiducia concessa per ottenere informazioni con l’unico scopo di strumentalizzare i contenuti osservati; ne è un esempio tutto nostrano Alessandro Di Battista con i suoi reportage.

Oltre a ciò, è apparsa lampante la recrudescenza della strategia della guerra di bassa intensità, o per meglio dire secondo la definizione zapatista, la guerra de desgaste. Concretamente si tratta di un’azione congiunta di pressione militare costante, come da noi osservato a più riprese, ed un’azione politica espressa attraverso progetti di sviluppo economici ed educativi atti a logorare la resistenza, con l’obiettivo di indurre le basi d’appoggio ad abbandonare l’organizzazione zapatista. I primi otto mesi di presidenza AMLO, da dicembre 2018 a luglio 2019, hanno visto esacerbarsi la tensione in Chiapas anche attraverso la creazione del nuovo corpo militare della Guardia Nazionale. In questo stesso periodo sono dieci i leader sociali indigeni assassinati in Messico, neanche sotto la presidenza di Peña Nieto si erano raggiunti questi numeri.

Nei primi giorni di permanenza abbiamo quindi ristabilito i contatti con tutte le formazioni di società civile che appoggiano la realtà zapatista, potendo renderci conto meglio della situazione: nessuno aveva più rapporti ufficiali con le Giunte di Buon Governo da diversi mesi. Le celebrazioni per l’anniversario della fondazione dei Caracoles (8-9-10 agosto), che solitamente venivano annunciate con largo anticipo e aperte alla società civile, si stavano avvicinando senza che vi fosse alcuna comunicazione. Abbiamo respirato questo clima di incertezza mista ad attesa anche nei vari incontri a cui abbiamo partecipato al CIDECI-UNITIERRA, baluardo di sapere autonomo, anticapitalista e indigeno a San Cristóbal.

Su consiglio di diversi compagni, decidiamo quindi di partire per le comunità dopo le celebrazioni. Il silenzio denso di aspettative che le aveva precedute viene finalmente sciolto proprio il 10 agosto, quando gli zapatisti, come di consueto, sorprendono il mondo con un criptico comunicato recante il video di Smells like teen spirits dei Nirvana. La degna risposta, con la tipica ironia zapatista, a chi da tempo speculava sul silenzio. Nella settimana successiva visitiamo prima di tutto La Realidad. Col senno di poi appare molto più comprensibile l’impossibilità della Giunta a riceverci immediatamente. L’ospitalità è comunque tanta, e ci permettono di accamparci al Campamiento permanente de paz per la notte. Abbiamo modo di confrontarci con alcuni compas sul periodo di tensione e sul primo comunicato che ha rotto il silenzio. Ci rechiamo poi a Morelia, dove veniamo ricevuti dalla Junta de buen gobierno. Attorno a noi fervono i lavori, ed anche se non potevamo ancora comprenderne la ragione, si percepiva un’aria densa di aspettative. Successivamente visitiamo Oventik e nuovamente Morelia. I comunicati nel frattempo proseguivano e non sembrava si dovessero fermare.

L’11 agosto un nuovo comunicato a confermare che no, gli zapatisti non sono stati inghiottiti dalla storia, e per dirla con le parole del gato-perro «l’intelligenza non muore, non si arrende. Casomai si nasconde e aspetta il momento di convertirsi in scudo e arma. Nei villaggi zapatisti, nelle montagne del sudest messicano, l’intelligenza trasformata in conoscenza la chiamano anche «dignità». Il 13 agosto altro comunicato, sembra che i lunghi mesi di silenzio, così eclatanti in un mondo che ha una necessità quotidiana di “novità”, non siano stati in fondo così improduttivi.

«I popoli zapatisti scesero dalle montagne. Nessuno capì come sopravvissero in quelle condizioni, benché si mormori che ricevettero cibo e indumenti dalle comunità del CNI. E, certo, strumenti musicali. All’arrivo nelle loro terre, gli zapatisti fecero quello che si fa sempre in questi casi: organizzarono un ballo e, con le note di marimba, tastiere, batterie, guitarrones e violini […] E così fu che i morti di sempre tornarono a morire, ma ora per vivere.Tutto questo è un mero esercizio di finzione. Non può accadere… oppure sì?» Nella mente di tutti noi che con apprensione seguivamo questa escalation di comunicati impenetrabili, si affollavano molte congetture. Era chiaro però che qualcosa di “grande” stava per avvenire. Il 15 agosto viene pubblicato un nuovo testo. Dopo la prima parte allegorica, un’analisi impietosa dell’azione socioeconomica del governo federale e un importante monito finale, «La natura è una parete elastica che moltiplica la velocità delle pietre che gli tiriamo. La morte non torna nelle stesse proporzioni, ma potenziata. C’è una guerra fra il sistema e la natura. Questo confronto non ammette sfumature né vigliaccherie. O si sta con il sistema o con la natura. O con la morte, o con la vita».

Il 17 agosto finalmente è tutto chiaro, non c’è più spazio per congetture ed interpretazioni. «Dopo anni di lavoro silenzioso, nonostante l’accerchiamento, nonostante le campagne di menzogne, nonostante le diffamazioni, nonostante i pattugliamenti militari, nonostante la Guardia Nazionale, nonostante le campagne contro insurrezionali travestite da programmi sociali, nonostante l’oblio e il disprezzo, siamo cresciuti e ci siamo fatti più forti. E abbiamo rotto l’accerchiamento». Eccole quindi le parole che si fanno azione, parole meditate, discusse, mediate democraticamente dal basso, perché la coerenza, valore ormai desueto nel linguaggio politico, richiede un’attenta riflessione prima di intraprendere un cammino, prima di muovere il primo passo. Gli zapatisti hanno la consapevolezza che il decisionismo compulsivo del nostro mondo sia un palliativo per lasciare tutto invariato. Lentamente, come loro natura, i Caracoles crescono e diventano 12, svegliando dall’assopimento chi immaginava la fine degli zapatisti.

Su questo comunicato, ci piacerebbe condividere alcune riflessioni. Prima di tutto, sentendoci coinvolti in prima persona, poniamo l’attenzione alla seconda parte del comunicato, quella in cui si esplicitano i prossimi passi del movimento. L’EZLN non ha mai nascosto l’importanza dell’appoggio internazionale alla sua causa, e in questa fase delicata chiama a raccolta la rete di appoggio invitando in primis a riallacciare i contatti diretti, per pianificare collaborazioni specifiche tramite incontri bilaterali con tutti i collettivi. Questo ha duplice valenza: l’aiuto effettivo e pratico che le associazioni possono portare in Chiapas, e la protezione implicita derivante dalla presenza di attivisti internazionali nei territori autonomi. La rete internazionale è infatti chiamata non solo a riprendere i progetti attivi in loco, ma anche a ripartire con una campagna di informazione globale, stimolando incontri e discussioni sulla lotta zapatista, in modo da far tornare il mondo a parlarne, come risposta all’oblio veicolato dallo stato federale messicano. Dal canto loro, gli zapatisti si impegnano a ripartire con gli incontri culturali organizzati nei Caracoles, programmando nuovi Ecuentros internacionales de mujeres que luchan, il festival CompArte (proponendo edizioni specifiche per le varie arti), gli incontri del ConCiencias (seminari di riflessione anticapitalista), il festival del cinema di Oventik e altri ancora.

La strategia di consolidamento appare abbastanza chiara: gli zapatisti, come portato avanti dal 2001 in poi, attuano gli accordi di San Andrés prendendosi ciò che gli spetta senza aspettarsi più niente dallo Stato, accompagnando le conquiste a una difesa attiva, riaccendendo l’attenzione mondiale sul Chiapas; monitorando la situazione prevengono possibili incursioni paramilitari e ripercussioni nei nuovi territori autonomi. L’obiettivo è chiaramente quello di evitare azioni esplicite contro di loro, anche se, intendiamoci, gli zapatisti non sono sprovveduti ed è lecito pensare che questa espansione abbia anche un risvolto di ampliamento e riorganizzazione della componente militare.

Ciò può far meglio comprendere l’importanza della prima parte del comunicato: gli zapatisti aumentano le loro aree di influenza. L’organizzazione cresce sulle adesioni autonome delle nuove famiglie che scelgono la strada della alegre rebeldía, non aumenta i territori grazie a conquiste militari. Per dirla con le parole del comunicato: «le comunità tradizionalmente affiliate ai partiti sono state colpite dal disprezzo, dal razzismo e dalla voracità dell’attuale governo, e sono passate alla ribellione aperta o nascosta. Chi pensava, con la sua politica contro insurrezionale di elemosine, di dividere lo zapatismo e di comprare la lealtà dei non-zapatisti, alimentando il confronto e lo scoramento, ha dato gli argomenti che mancavano a convincere tali fratelli e sorelle sulla necessità di difendere la terra e la natura».

Gli zapatisti ci forniscono gli strumenti per comprendere la natura di questa crescita esponenziale. In primo luogo essa è da attribuire al lavoro politico organizzativo interno, i cui principali interpreti sono le donne ed i giovani. Queste due categorie, probabilmente le più osteggiate e temute dal mondo occidentale, sono divenute nelle comunità zapatiste il principale motore per la crescita dell’autonomia. Assumendo ruoli e responsabilità civili si sono fatti interpreti delle nuove sfide imposte dal modello neoliberale garantendo la coerenza del cammino zapatista a fronte dell’importante avvicendamento generazionale che le comunità stanno vivendo. Le nuove generazioni di zapatisti sono cresciute nel contesto di autonomia, lavorando le terre recuperate, partecipando alla vita civile zapatista, usufruendo del sistema sanitario ed educativo autonomo, e proprio grazie a questo, sono consci del percorso storico de los pueblos indigena e delle ragioni che hanno portato al levantamiento e non sono disposti a fare un passo indietro.

Altro punto importante della prima parte del comunicato sta nella posizione dei nuovi Caracoles, e soprattutto di due di loro. Il CaracolColectivo el corazon de semillas rebeldes, memoria del companero Galeano” ha sede a La Union, su un lato del ejido di San Quintin, nella Selva Lacondona, posizionato vicino a una caserma dell’esercito federale, a sottolineare concretamente la volontà di rompere l’accerchiamento. Il CaracolJacinto Canèk”, invece, ha sede a San Cristóbal, proprio dove sorge il CIDECI-UNITIERRA (Centro Indigena de Capacitacion Integral). Porre un Caracol in città ha una valenza enorme, poiché presuppone la presenza di bases de apoyo zapatiste nel tessuto cittadino e il loro inquadramento nelle strutture organizzative civili zapatiste. Siamo tornati al CIDECi due giorni dopo l’uscita del comunicato, e abbiamo potuto toccare con mano le trasformazioni che stavano avvenendo in quel luogo. Compaiono i cartelli con il nome del Caracol e della Giunta di Buon Governo oltre alla palizzata di legno costruita adiacente alla recinzione per impedire la visione dell’interno; all’ingresso veniamo ricevuti dai compas con il passamontagna che verificano la nostra identità. Il CIDECI da sempre aveva ospitato gli eventi pubblici internazionali che l’EZLN organizzava in città, nella quale trovavano spazio gli interventi della Comandancia e di relatori locali ed internazionali. Non è dunque mai stato un luogo estraneo al percorso di autonomia zapatista, ma ufficialmente non sono mai stati delineati i rapporti che intercorrevano tra le due realtà. Costituiva però un polo di attrazione, un punto di riferimento e di confronto per studiosi, intellettuali, attivisti, vicini alla causa zapatista.

Fino al 17 agosto lo abbiamo dunque conosciuto come luogo nel quale venivano ospitati gratuitamente circa 200 tra ragazze e ragazzi indigeni dai 12 anni in su, la maggior parte provenienti principalmente dalle comunità della zona de Los Altos de Chiapas. Essi vi giungono per formarsi in base alle esigenze espresse dalle comunità di appartenenza o su propria iniziativa. Al CIDECI vi sono più di una quindicina di talleres (che potremmo tradurre come “corsi” o workshop) che formano i ragazzi rispetto a specifiche competenze che vanno dalla falegnameria, alla meccanica, al disegno professionale, alla tessitura, il calzaturificio, etc. I ragazzi stabiliscono autonomamente quali e quanti corsi seguire, nonché la durata della loro permanenza, che può protrarsi per molti anni, sino a quando non stabiliranno di aver conseguito le competenze necessarie per tornare ed avviare il progetto richiesto dalla comunità. Non vi sono vere e proprie modalità di valutazione o voto e molto spesso i ragazzi concludono il percorso circolare divenendo maestri o coadiuvando i talleres. Contestualmente vi è uno spazio dedicato all’alfabetizzazione in castigliano ed all’apprendimento delle lingue indigene.

Ovviamente tutto ciò avviene nel segno dell’autonomia totale, non vi sono finanziamenti statali ed anzi in più occasioni questa realtà è stata osteggiata e perseguita dalle forze di polizia.

L’autonomia e l’autosostentamento sono le prerogative principali, così, oltre agli stessi edifici, tutto il materiale presente nel CIDECI viene prodotto all’interno (ad esempio scarpe, sedie, tavoli, materiali didattici, strumenti musicali, attrezzi, vestiti…), persino i libri, intellettualmente prodotti all’interno sono anche materialmente impaginati, stampati e rilegati nel centro. Si persegue quasi completamente l’autonomia alimentare grazie ad una piccola zona adibita a coltivo ed allevamento.

Oltre alla portata rivoluzionaria di questa struttura, il valore aggiunto è rappresentato dal ruolo dell’Universidad de la Tierra, che offre spazi di riflessione condivisa tramite seminari e incontri settimanali aperti a tutti. Questi incontri problematizzano le tematiche sociali, culturali ed economiche declinate su scala locale, nazionale ed internazionale, creando occasioni di confronto aperte ai ragazzi ospitati nel centro ma anche a studiosi e attivisti internazionali.

Questi seminari mirano ad aumentare la consapevolezza della realtà quotidiana, delle dinamiche sottese ai provvedimenti politici ed economici presi in Chiapas e nel mondo, comprendendo i modelli che stanno alla base di essi.

Risultava piuttosto chiaro, già da prima del comunicato che annunciava la trasformazione del CIDECI nel Caracol 7, che vi fosse un’unità di visione ed intenti con il cammino delle comunità zapatiste. Sia il CIDECI che il sistema educativo autonomo zapatista infatti, muovono dal presupposto che l’aggressione socioeconomica venga veicolata in primo luogo attraverso il modello culturale e che l’autonomia educativa sia l’unico mezzo per consolidare una cultura in grado di declinare coerentemente la componente indigenista e la lotta contro il neoliberismo.

In questo senso gli zapatisti sono consapevoli che il percorso di autonomia dipenda necessariamente dall’opposizione al modello neoliberista. Questo, infatti, mira ad erodere le basi sociali ed economiche delle comunità attraverso un’azione culturale volta a diffondere i semi dell’individualismo, aprendo crepe nell’ancestrale base sociale e culturale comunitaria, che per secoli ha costituito la miglior arma difensiva per queste popolazioni. Gli zapatisti sono consci che l’individualismo sia la testa d’ariete per veicolare le logiche capitalistiche ed egoistiche necessarie ad imporre un modello sociale ed economico a loro alieno. Per questo è di fondamentale importanza, dopo secoli di educazione eurocentrica che spinge ad interiorizzare un sistema valoriale e culturale estraneo ed omologante, decolonizzare il pensiero. L’obiettivo è piuttosto arduo perché significa affrontare secoli di stigmatizzazione del retaggio indigeno che hanno indotto una parte de los pueblos indigenas a rinnegare le proprie origini a causa del diffuso razzismo presente in Messico.

Gli zapatisti da tempo hanno affrontato questo nodo come una priorità del percorso di autonomia, sviluppando un sistema educativo che mira a recuperare il patrimonio orale e scritto delle numerose lingue presenti in Chiapas, ad affrontare lo studio della storia al di fuori dei paradigmi eurocentrici recuperando così consapevolezza del proprio ruolo e le ragioni del levantamiento. I contenuti infatti non vengono solo appresi ma si stimolano gli studenti ad analizzare i processi e le cause dei fenomeni. Sin dalla giovane età si giunge dunque alla consapevolezza che la strenua difesa del proprio patrimonio culturale e sociale, nonché del modello produttivo collettivo tradizionale, siano l’unica arma per resistere alla pressione del modello imperante che prevedrebbe il loro asservimento al sistema, presentandolo come integrazione.

In questa logica, l’annessione del CIdeCI ai territori autonomi zapatisti pone nuove sfide, e fa sorgere diversi interrogativi sul ruolo che questa struttura assumerà all’interno del sistema educativo autonomo.

Ciò di cui possiamo essere certi è che il processo di resistenza culturale necessario per proseguire la battaglia al modello economico continuerà a crescere, la consapevolezza delle nuove generazioni non si può arrestare, è un fiume in piena che necessariamente scorre verso il mare. Per dirla con le parole del Sup Moises «voi non siete che uno sputo nel mare della storia. Noi siamo il mare dei nostri sogni. Voi siete solo polvere nel vento. Ik O’ tik (noi siamo vento)». https://www.globalproject.info/it/mondi/rompendo-laccerchiamento-autonomia-in-cammino/22334?fbclid=IwAR2mFYGUes5gd6Ky8pDBb_jZP23LvWWuC2vSnH7JZveZlkium8B2fLjIG4w

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ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

CONVOCAZIONE DEL
SECONDO INCONTRO INTERNAZIONALE DELLE DONNE CHE LOTTANO

Settembre 2019

Alle donne che lottano in tutto il mondo:

Sorella, compagna, donna che lotta:

Ti salutiamo da donne, indigene e zapatiste, quali siamo.

Forse ricordi che nel Primo Incontro ci eravamo dette che dovevamo restare vive. Ma vediamo che la mattanza e la sparizione di donne continuano. Di tutte le età e di tutte le condizioni sociali. Ci uccidono e ci fanno sparire perché siamo donne. Inoltre, ancora ci dicono che è colpa nostra per come ci vestiamo, perché andiamo dove andiamo, perché a quell’ora e in quel posto. E poi, tra i malgoverni non manca chi, uomo o donna, se ne esce con la stupidaggine di dire che allora non dobbiamo uscire di casa. Secondo questo pensiero, le donne devono restare rinchiuse nelle proprie case, non devono uscire, non devono studiare, non devono lavorare, non devono divertirsi, non devono essere libere.

È evidente che il sistema capitalista e patriarcale è come un giudice che ha detto che siamo colpevoli di essere nate donne e pertanto la nostra punizione per questo crimine è la violenza, la morte o la sparizione.

Costa molto, sorella e compagna, metterlo in parole, perché è una malvagità enorme a cui non può essere dato un nome. E se ora si dice “femminicidio” o come la chiamino, non cambia nulla. Le morti e le sparizioni continuano.

E poi le nostre famiglie, le nostre amicizie, i nostri conoscenti devono lottare perché non ci ammazzino o ci facciano sparire un’altra volta, quando lasciano impuniti i colpevoli o dicono che siamo state sfortunate o, peggio ancora, dicono che ce la siamo cercata.

Scusa, sorella e compagna, ma questa è una grande stupidaggine. Dobbiamo ancora lottare contro la discriminazione in casa, per strada, a scuola, sui luoghi di lavoro, sui mezzi pubblici, con conoscenti e con sconosciuti, e poi dicono che cerchiamo la morte. No, ma ci violentano, ci uccidono, ci squartano, ci fanno sparire.

Quelli che parlano così sono maschilisti o donne con la mentalità maschilista.

-*-

Dunque, compagna, sorella, siccome l’accordo che abbiamo fatto nel Primo Incontro era restare vive, ora dobbiamo rendere conto di che cosa abbiamo fatto o non abbiamo fatto per rispettare questo accordo.

Per questo convochiamo questo Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano con un solo tema: la violenza contro le donne.

E questo tema diviso in due parti: Una di denuncia ed un’altra su che cosa facciamo per fermare questo massacro contro di noi.

Quindi, ti invitiamo, sorella e compagna, a riunirci e tirare fuori tutta la nostra rabbia e dire chiaramente tutto quello che stanno facendo ovunque.

Quello che vediamo è come spezzettano il nostro dolore: una violentata in un posto, una percossa in un altro, una desaparecida lì, una assassinata più là.

Fanno così perché noi pensiamo che sia un problema che riguarda un’altra donna in un’altra parte del mondo, che non ci riguarda, che non è così grave, che i malgoverni lo risolveranno.

Ma non è così, invece ci tocca da vicino, è grave, molto grave, e i malgoverni non fanno niente, fanno solo vuote dichiarazioni che perseguiranno non gli assassini, i violentatori, i sequestratori, ma le donne che con rabbia hanno rotto le vetrine o imbrattato una pietra.

Questo è il sistema capitalista patriarcale, sorella e compagna. Le cose stanno così, vale più un vetro o una parete imbrattata che la vita di una donna.

Questo non può continuare, davvero.

Senti, anni fa, prima della nostra sollevazione e l’inizio della guerra contro l’oblio, qua nelle proprietà valeva più un pollo che la vita di un indigeno. Non si può credere? Sì, così dicevano i padroni. Ora a noi donne dicono di peggio, perché piagnucolano e si scandalizzano per un vetro rotto ed una scritta sul muro che dice la verità.

La verità è che non solo ci violentano, assassinano e ci fanno sparire. Sì, anche questo, ma non dobbiamo comportarci come se non succedesse niente, ben educate e obbedienti.

Ci attaccano talmente tanto che sembra che sia un affare del sistema. Se ci sono più donne assassinate o scomparse o violentate, ci sono più profitti. Forse è per questo che la guerra contro le donne non si arresta. Perché, è incredibile che ogni giorno ci siano donne sparite o assassinate ovunque, mentre il sistema va avanti tranquillamente, felice, preoccupato solo dei soldi.

Può essere che se continuiamo a restare vive, a non essere violentate, gli affari crollino. Bisognerebbe analizzare se mentre sale il numero di donne violentate nel mondo, salgono anche i profitti dei capitalisti. Tante picchiate, tante scomparse, tante assassinate, uguale a tanti milioni di dollari o di euro o della moneta che sia.

Perché sappiamo bene che il sistema risponde solo a ciò che colpisce il suo profitto. E sappiamo bene anche che il sistema fa profitti dalle distruzioni e dalle guerre. Pensiamo che le violenze che subiamo, le nostre morti, siano un guadagno per il capitalista. E le nostre vite, le nostre libertà, la nostra tranquillità, siano una perdita di denaro per il sistema.

Allora vogliamo che tu venga e che faccia la tua denuncia. Non perché l’ascolti un giudice o un poliziotto o un giornalista, ma perché ti ascolti un’altra donna, altre donne, molte donne che lottano. E così, compagna e sorella, il tuo dolore non sia solo, ma si unisca con altri dolori. E da tanti dolori che si uniscono non esce solo un dolore molto grande, ma esce anche una rabbia che è come un seme. E se questo seme cresce in organizzazione, allora il dolore e la rabbia si fanno resistenza e ribellione, come diciamo qua, e la smettiamo di sperare che a noi non tocchi la disgrazia, ma ci mettiamo a fare qualcosa, primo per fermare questa violenza contro di noi, poi per conquistare la nostra libertà in quanto donne.

Questa è la nostra esperienza nella nostra storia come donne, come contadine, come indigene e come zapatiste.

Nessuno ci darà la pace, la libertà, la giustizia. Dobbiamo lottare, sorella e compagna, lottare e fregare il Prepotente.

L’invito a discutere della Violenza contro le Donne non è solo per denunciare, ma anche per dire che cosa si fa o che cosa si è fatto o che cosa si può fare per fermare questi crimini.

Sappiamo, perché l’abbiamo sentito e visto negli interventi del Primo Incontro, che ci sono molte forme o modi di lottare delle donne. Sappiamo che alcune dicono che è meglio il loro modo piuttosto che la maniera di altre. Sta bene che si discuta anche senza essere pienamente d’accordo.

Ma il problema che vediamo noi zapatiste, è che per poter discutere e litigare tra noi su chi è più femminista, per prima cosa dobbiamo essere vive. E ci stanno ammazzando e facendo sparire.

Quindi l’invito a questo incontro è su un solo tema: Violenza contro le donne, diviso in due parti: denuncia e proposte su come fare per fermare questa guerra.

Non è che dobbiamo concordare di lottare tutte nello stesso modo, perché ognuno ha i suoi modi, le sue geografie ed i suoi tempi. Ma dobbiamo ascoltare i diversi modi, perché ci daranno idee su come fare, su cosa è utile o no.

Il sistema vuole che gridiamo solo di dolore, di disperazione, di angoscia, di impotenza.

Ora si tratta di gridare insieme ma di rabbia, di coraggio, di indignazione. Ma non ognuna per conto suo, spezzettate come quando ci violentano, ammazzano e fanno sparire, ma unite, benché ognuna nel suo tempo, il suo luogo ed il suo modo.

E chissà, compagna e sorella, che impariamo non solo a gridare di rabbia, ma trovare anche il modo, il luogo ed il tempo per gridare un mondo nuovo.

Sorella e compagna, per come stanno le cose, per poter essere vive, dobbiamo costruire un altro mondo. Il sistema è arrivato fino a questo: possiamo vivere solo se lo ammazziamo. Non sistemarlo un poco, o fare buon viso, chiedergli di comportarsi bene, che non sia così cattivo. No. Distruggerlo, ammazzarlo, farlo sparire, che non rimanga niente, nemmeno la cenere. Così la vediamo noi, compagna e sorella, o il sistema o noi. Così lo vuole il sistema, non noi in quanto donne.

Ti invitiamo dunque il 26 dicembre 2019 come giorno di arrivo. I giorni 27, 28 e 29 dicembre 2019, sono i giorni degli incontri, per parlarci ed ascoltarci. Il 29 dicembre 2019 sarà il giorno di chiusura.

Il luogo è il Semillero che ora si chiama “Huellas del Caminar de la Comandanta Ramona”, del Caracol Torbellino de Nuestras Palabras, della zona Tzots Choj (nella comunità di Morelia, MAREZ 17 de Noviembre), lo stesso luogo del Primo Incontro.

L’arrivo è nel caracol dove saranno consegnati i cartellini di riconoscimento ed il programma e da dove le compagne choferas ti porteranno al Semillero dove non sarà permesso l’ingresso agli uomini, che siano buoni o regolari, nessuno. Cioè, gli uomini non potranno neppure sbirciare da lontano la nostra riunione perché il Semillero è protetto dalle montagne.

Gli uomini possono restare nel caracol ad aspettare mentre ci riuniamo noi donne, ma solo se sono accompagnati da una donna che si renda responsabile che non facciano stronzate. Questo posto lo chiameremo “misto”, cioè potranno restarci uomini e donne che lo vorranno.

In questo luogo, dove possono stare gli uomini, forse potrebbe presentarsi una commissione di donne zapatiste proveniente dal luogo dell’incontro per raccontare loro quello che si sta denunciando nel Semillero, perché si sappia ovunque. E che provino un po’ di vergogna perché lo raccontino ad altri uomini, e dicano loro la cosa principale, cioè che non ci aspettiamo che capiscano, o che si comportino bene, e la smettano con le stronzate, ma che in primo luogo ci organizziamo per difenderci, e poi per cambiare tutto, Tutto, TUTTO.

Vi diciamo un’altra cosa, compagne sorelle, stiamo rivedendo quello che non abbiamo fatto bene nel Primo Incontro. Per questo vogliamo farlo nello stesso luogo, per vedere se possiamo correggere i nostri errori.

Un’altra cosa di cui ci siamo rese conto del Primo Incontro è che nel processo di registrazione e programmazione c’è stato un certo favoritismo nei confronti delle osservazioni che erano più in linea con il pensiero di coloro che hanno collaborato con la registrazione e la programmazione, e che alcune donne e attività erano state escluse. Ciò è accaduto perché chi collaborava alla registrazione e alla programmazione ha dato priorità alle attività di quelle che la pensavano allo stesso modo e quindi non c’era tempo o spazio per le altre.

Quindi, perché non accada che alcune donne valgano più di altre, faremo tutto noi donne indigene zapatiste, dall’inizio alla fine, cioè dalla registrazione alla programmazione.

Non l’abbiamo mai fatto, ma non siamo mai state nemmeno choferas e lo abbiamo imparato. Forse verrà male ed il programma non sarà perfetto, ma è perché stiamo imparando e non perché alcune donne ci stanno simpatiche perché la pensano come noi, mentre altre ci piacciono meno.

Quindi, ci stiamo organizzando e suddividendo i compiti affinché tutto sia completamente organizzato da noi. Così, quando tu manderai la tua mail (ti diremo poi l’indirizzo di posta elettronica e quando cominceranno le iscrizioni), saprai che sarà una di noi, donne indigene zapatiste, che aprirà la tua mail e riporterà il tuo nome e la tua organizzazione, gruppo o collettivo se ne hai, o solo individuale; e ti risponderemo affinché tu sappia che il tuo nome sarà nella lista. E se nella tua mail dirai che farai qualcosa, lo metteremo nel programma. Per questo ti chiediamo che quando ti registrerai, lo farai in lingua spagnola, perché la nostra lingua è di radice maya e sappiamo un po’ di spagnolo, ma di altre lingue del mondo non ne sappiamo niente. E se ci sbagliassimo e non registrassimo il tuo nome, non c’è problema, perché ti potrai registrare al tuo arrivo e ti daremo il tuo cartellino del Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Dunque, ora conosci luogo e data. Così ti puoi già organizzare per venire o mandare qualcuno o incaricare qualcuno che ti racconti quello di cui abbiamo parlato. Così, benché sei lontano, saprai che il nostro dovere di donne che lottano è che non si spenga la luce che ti abbiamo dato. Perché non è solo per illuminare, ma può servire anche per bruciare il maledetto sistema capitalista patriarcale.

Per ora è tutto, sorella e compagna. Presto ti daremo l’indirizzo di posta elettronica e ti diremo quando comincerà la registrazione. Ma sai già la cosa più importante: i giorni 26, 27, 28 e 29 dicembre 2019, nello stesso luogo del Primo Incontro, che è da dove ti scriviamo queste parole e da dove ti mandiamo un abbraccio, cioè…

Dalle montagne del sudest messicano.

Coordinamento delle Donne Zapatiste per il
Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano:

Zona Selva-Fronteriza:

Marisol
Yeni
Mirella
Neri
Yojari
Arlen
Erica
Mariana
Mayder
Cleyde
Evelin
Alejandra
Nayeli

Zona Altos de Chiapas:

Yessica
Zenaida
Lucía
Teresa
Fabiola
Flor
Gabriela
Lidia
Fernanda
Carla
Ofelia

Zona Selva Tzeltal:

Dalia
Rosalinda
Marina
Carolina
Alejandra
Laura
Ana
Cecilia
Julia
Estefanía
Olga
Eloisa

Zona Tsots Choj:

Gabriela
Elizabeth I

Maydelí I

Elizabeth II

Guadalupe
Leydi
Lauriana
Aliz
Ángeles
Maydelí II

Karina
Jhanilet
Fabiola
Mariela
Daniela
Yadira
Yolanda
Marbella
Elena
Elissa

Zona Norte de Chiapas:

Diana
Ximena
Kelsy
Jessica
Ana María

Marina
Valentina
Yadira
Elizabeth

Messico, Settembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/19/convocatoria-al-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

Verso il Puy Ta Cuxlejaltic, il CompArte di Danza ed il Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano.

Nel 1993, 26 anni fa, le donne zapatiste elaborarono la “Legge Rivoluzionaria delle Donne”. In uno dei suoi comma, segnalavano il loro diritto a studiare… “e perfino essere choferas” [autiste – N.d.T.], come narrò il defunto SupMarcos in una lettera pubblica ricordando, 25 anni fa, la nascita di quella legge ed il ruolo che ebbero nella sua creazione la scomparsa Comandanta Ramona e la Comandanta Susana. Forse in un’altra occasione si racconterà il perché di questa aspirazione delle donne indigene zapatiste. Adesso, in esclusiva, la Commissione Sexta dell’EZLN vi presenta alcuni spezzoni o cortometraggi o trailer di uno dei documentari che L@s Terci@s Compas mostreranno, in Prima assoluta, in data indefinita. Procediamo, dunque.

“…E PERFINO ESSERE CHOFERAS

Documentario girato, in tutti i sensi, completamente nelle montagne del Sudest Messicano nell’anno 2019. Realizzato, diretto e prodotto dalle donne zapatiste, questo documentario raccoglie alcune scene della preparazione delle compagne choferas zapatiste. Durata indefinita. Formato non so. Classificazione Z (come deve essere). Non si vedrà su Netflix, né su Amazon Prime, né Tv Apple, né su HBO, né su Fox, né … su quali altre?… Beh, quelle. Nemmeno nei cinema. Solo nei Caracol Zapatisti… Anche nel Secondo Incontro Internazionale delle Donne che Lottano? Metto così?… ok, ma non metto la data né il posto?… Oh, dunque… È che protesteranno perché lasciamo la suspense… Almeno diamo una pista… no, non nel senso di guida, ma di un’idea. Dicembre?… di questo anno?… Pronto?… Pronto?… Pronto?… Tristi@?… Se ne sono andate, ma vi dirò che non sembravano tristi… avevano qualcosa nello sguardo, una specie di sfida, di scommessa, di ribellione, di zapatismo. Nota: Nessun maschio è stato maltrattato nella realizzazione di questo documentario…, beh, sì, ma è stato colpito solo il suo ego… Ah, ed alcuni sono caduti mentre fuggivano da una compagna che si era arrabbiata per qualcosa che le stavano dicendo… No, io no, io guardavo da lontano, non mi ha raggiunto nessuna randellata… ahia...

Sinopsi versione Apocalittica: Un virus creato nei laboratori degli Iluminatti si è diffuso nelle montagne del Sudest Messicano. Per qualche strana ragione, colpisce solo le trasgreditrici della legge degli autoproclamati zapatisti. Il virus le induce a fare cose fuori da ogni ragione e logica, si ribellano, si oppongono e vogliono ricoprire incarichi e lavori che dovrebbero essere esclusivi degli uomini. In questo documentario si raccolgono le prove di questa indisciplina e si vede fino a che punto le zapatiste vogliono essere libere e, da non credere, perfino essere choferas, ma vi pare? Non ci si capisce più.

Sinopsi versione “Nessun lieto fine”: Un gruppo di donne indigene zapatiste si dicono e proclamano “basta!” e si ribellano e vogliono essere libere e perfino essere choferas. Un gruppo di intrepidi e valorosi uomini dei partiti politici decidono di sfidarle burlandosene e minacciandole di ricacciarle in cucina e a fare bambini. Le trasgreditrici delle leggi patriarcali (e stradali) li affrontano. I maschi perdono, le donne vincono. Sì, è così, per questo dico che non c’è nessun lieto fine.

Sinopsi versione “Hanno continuato” (da un’intervista inedita con un chofer maestro di choferología): Bene, i maestri hanno detto che avrebbero insegnato a guidare solo i veicoli che chiamano “estaquitas” [pick-up – N.d.T.] perché sono quelli più usati nei villaggi, ma le compagne hanno detto no, che volevano conoscere anche la meccanica. Non c’è stato modo, quindi anche la meccanica. E fin qui tutto ok. Ma lo scandalo è stato quando hanno voluto anche il Guardián e la Guardiana, che sono due camion di 6 tonnellate. “Camionzote”, li chiamano le compagne. E con questo, Roma brucia! come diceva il defunto, perché 6 tonnellate non sono per tutti. Perfino i choferes uomini evitano di guidare veicoli di più di 3 tonnellate, perché non sono mica giocattoli. Bene, abbiamo pensato, sarà sufficiente se imparano ad avviarlo. Ma niente da fare, hanno proseguito fino alla manutenzione dei camion. No, non si sono accontentate. Ora vogliono imparare a guidare camion a rimorchio, di quelli che portano i tronchi di alberi. Ma dove lo andiamo a prendere un camion a rimorchio? Nemmeno per sogno. E se poi vogliono imparare a guidare furgoni o TIR? (…) Ah, sì servirebbero perché dobbiamo trasportare materiali per i caracoles. Dicono che faranno il festival del cinema e le compagne faranno il loro incontro con le altre donne. E dicono un CompArte speciale di danza e quelle cose lì. No, io so solo ballare quella del moño colorado, ma non è cosa mia saltare come un cervo o indossare tutù di tulle. E poi ti raccontano una storia ma solo attraverso la danza. Non so neppure zompettare, o sì, ma solo nel fango quando il cerchione si impantana e non puoi fare altro che saltare e prenderlo a calci. Sì, ecco Las Tercias che girano un film sulle choferas e dicono che vogliono che sia allegro, con battute spiritose, perché altrimenti il film viene molto triste mentre la ribellione è allegria, dicono. Allora bisogna fare qualcosa come degli scontri. Ehi? No, quello della compagna che viene addosso a noi uomini con l’auto non era previsto, credo che la compagna pensasse ad uno scherzo e si è lanciata contro di noi. Siamo scappati ma non per l’auto, ma perché abbiamo visto lo sguardo della compagna chofera e si vedeva che era arrabbiata, ma la cosa strana è che sorrideva. Le compagne sono molto “altre”.

Sinopsi versione “fottuti uomini”: Bene, risulta che in questo secondo corso, le compagne ci hanno detto che nei loro villaggi, quando fanno pratica con l’auto della comunità, a volte quelli dei partiti gridano loro parolacce. Allora ci hanno detto a noi e ai maestri di choferólogias di fare come quelli dei partiti, di gridargli contro parolacce. Sì, per allenarsi anche a questo. Cioè, dovevamo recitare, così ci hanno spiegato la Teresa ed il Cochiloco.

(Nota: lo speaker si riferisce all’attrice Dolores Heredia e all’attore Joaquín Cosío, nei loro ruoli in Capadocia y El Infierno, rispettivamente. Le/gli zapatisti si riferiscono a chi interpreta dei personaggi al cinema non con i propri nomi veri. Nel primo festival del cinema, a novembre del 2018, la Teresa e il Cochiloco hanno avuto tempo e modo di parlare in privato con le insurgentas e gli insurgentes mentre si ingozzavano di tamales de tuluc. Hanno risposto a tutte le domande. Quello di cui hanno parlato con la Teresa sulle donne, solo loro lo sanno. La cosa certa è che si sono finiti tutti i tamales, non me ne hanno lasciato nemmeno uno. Fine della nota.)

Allora ci hanno parlato di come si recita, cioè che non è reale quello che si fa, ma è come se lo fosse. E così abbiamo fatto. Alcuni compas hanno fatto perfino gli ubriachi, ma era una recita. Già, ma quando la compagna scende col bastone, che sia recita o no, via e scappare, perché metti che la compagna si dimentica che non è reale e che siamo compagni. Io ho detto di usare un cartone o una rivista piegata, ma hanno preso un tubo di ferro. E questo fa male Eh? Io ho visto che erano contente di poterlo fare. Non più in teoria, ma lo hanno dimostrato nella pratica. Ora il problema è nei loro villaggi. Immaginate che la merce arriva su un camion guidato da una donna. Quelli dei partiti restano zitti e le compagne gli gridano “fottuti uomini!”. Eh? No, noi siamo compagni, gli altri sono i fottuti uomini. Non è lo stesso.

Sinopsi versione “Filtrazione”: Senti, non scriverlo, ma noi compagni maestri eravamo nei guai perché si è presentato il caso di dover cambiare il filtro. Ed una compagna, tutta bella nel suo nagua [costume tradizionale – N.d.T.] l’ha fatto in un minuto. Allora siamo andati a cambiare il filtro ad un camion della Giunta. Porca miseria, eravamo in 6 e dopo mezz’ora non ci siamo riusciti. Siamo andati a chiedere aiuto alle compagne. Per fortuna che ce l’abbiamo fatta, ma che pena. E peggio sarebbe se questo uscisse nel film che stanno facendo Las Tercias.

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https://youtu.be/ZtYorn_F7mA

https://youtu.be/QavRzZun_Vw

https://youtu.be/_grEQZKLTZI

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Qualche recensione sulla stampa specializzata:

“Niente da fare, noi maschietti abbiamo perso, again. Ma torneremo, anche se ogni volta saremo di meno. Se ieri eravamo migliaia, oggi siamo un piccolo contingente che cerca di impedire l’inevitabile”. Il SupMarcos (da 3 metri sotto terra), nella sezione cultura della rivista inedita “El Pozol Agrio”.

Non tutto è perduto. Nutriamo ancora la speranza che le compagne Tercias non finiscano di montare il documentario in tempo per il secondo festival Puy Ta Cuxlejaltic. Cosa direbbero Pedro Infante e José Alfredo Jiménez?! Per non parlare del defunto SupMarcos. Che peccato”. Il SupGaleano nella sezione “Palomeros del Mundo, Uníos!” dell’esclusiva rivista specializzata in cinema, “Questo film l’ho già visto”.

In fede.

Il Gatto-Cane al volante… qual’è il freno e l’aceleratore?… Ops!… Via!

Tempo dopo…

La insurgenta Erika: “Compagno Subcomandante Insurgente Moisés, dalla Giunta avvertono che si sono scontrati il Guardián e la Guardiana, e che non si sa chi li ha fatti sbattere uno con l’altro, la Guardiana ha sbattuto contro il Guardián e l’ha ammaccato”.

Il SupMoy: “Dov’è il SupGaleano?”

La Erika: “È corso via col Gatto-Cane. Io credo che sono stati loro perché li ho visti, avevano lo sguardo colpevole”.

Nel frattempo, in cima alla Ceiba…

Il SupGaleano al Gatto-Cane: “Te l’avevo detto prima di mettere in folle. Adesso ci manca solo che si metta a piovere”.

Il Gatto-Cane al SupGaleano: “Guau, miau, grrrr”.

E cominciò a piovere, forte, come se le nubi gridassero alla terra:

Sveglia!

Sono le montagne del Sudest Messicano, è Chiapas, è Messico, è Latinoamerica, è il mondo, è settembre 2019 e, sì, piove.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/11/del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro-rumbo-al-puy-ta-cuxlejaltic-el-comparte-de-danza-y-el-segundo-encuentro-internacional-de-mujeres-que-luchan/

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IMMAGINI DELLA ROTTURA DELL’ACCERCHIAMENTO II (e ultimo)

DEL 17 AGOSTO 2019

Settembre 2019

 https://youtu.be/ZaAGt2XSoKw

 https://youtu.be/wE5RHfl8zOc

 https://youtu.be/Jc2jHoy-RrM

Nota del SupGaleano: Qui devono esserci una serie di foto dei diversi CRAREZ creati con la rottura dell’accerchiamento del 17 agosto di 2019. È probabile che questo video venga eliminato dal sig. YouTube che esige che si inseriscano annunci per la pubblicazione perché è musicalizzato con una canzone di Ana Tijoux (cilena-francese) e Shadia Mansour (palestinese), dal titolo “Somos Sur”, e dice che bisogna pagare “diritti d’autore” o accettare annunci commerciali. Ovviamente non inseriamo annunci commerciali e, se non abbiamo i soldi per i serbatoi d’acqua nel nuovo caracol Tulan Kaw, tanto meno ne abbiamo per pagare diritti d’autore. La Commissione Sexta non “monetizza” i suoi video (inoltre, certo, il “traffico” sul nostro canale è come quello della Settimana Santa nel DF), quindi non credo che il sig. YouTube diventi meno ricco, né che Ana Tijoux e Shadia Mansour perdano qualità artistiche e “followers” se accompagniamo la loro disubbidienza con la nostra.

Forse sarebbe meglio che il sig. YouTube invece di “abbattere” i video di che la banda musicalizza e carica con qualsiasi tema perché, come non disse Zapata; “la musica è di chi la canta-balla-canticchia-fischietta-grida-protesta” (a suo modo, lo dice Shadia Mansour nel rap che, in arabo, intona in questa strofa: “la musica è la lingua materna del mondo”), dovrebbe lavorare meglio al suo maledetto algoritmo (ah!, “le regole tortuose di YouTube”) perché, per esempio, uno comincia a cercare i video dei botellos de jerez per salutare la memoria di Armando Vega Gil, o ska dei Los de Abajo, o di Salón Victoria, o brani di Jijos del Mais, o Van T, o Mexican Sound, o LenguaAlerta, o Lirica, o Ely Guerra, o Keny Arkana, o le Batallones Femeninos, o i maestri Óscar Chávez e Guillermo Velázquez e Los Leones de la Sierra de Xichú, e, all’improvviso, si ritrova video di jaripeos, o di combattimenti di galli, o di Maluma che dà lezione di rispetto per la donna, o di trucco (“ora mostriamo come si esegue un trucco per farsi un selfie ´senza trucco´”).

E non è che uno sia schizzinoso, dopo tutto, come disse Inodoro Pereyra [popolare fumetto argentino – N.d.T.] (o era Mendieta?): “il mondo è grande e alieno” [titolo di un romanzo indigenista di Ciro Alegría – N.d.T.]; è perché qua, la grandezza della banda è come il QI di Trump, cioè, una miseria.

Detto questo, dichiariamo: se YouTube “butta via” il video (come già ci buttò via quello della Principessa Mononoke perché, dice, gli studi Ghibli preferiscono mettersi dalla parte del sistema nella loro lotta contro la natura) per la musica inserita, allora qui mettiamo le stesse immagini, ma senza musica, e lì voi mettete l’audio che vi va. In ogni caso, qui allego la traduzione dall’arabo allo spagnolo della parte che Shadia Mansour rappa (basata sul contributo dell’utente qmqz nel video ufficiale di questa canzone):

“(Dammi il microfono) La musica è la lingua madre del mondo. Sostiene la nostra esistenza. Protegge le nostre radici. Ci unisce dalla grande Siria, Africa fino all’America Latina. Sono qui con Anita Tijoux. Io sto con coloro che soffrono, e non con coloro che ti hanno venduto. Io sto con la resistenza culturale. Dal principio, e fino alla vittoria sempre. Sto con quelli che sono contro, con coloro che non sono qui con noi. Tempo fa, ho calcolato, cosicché decisi di investire in Banksy dopo che Ban-Ki cadde (nota del Supgaleano: forse si riferisce a Ban-Ki Moon che, come segretario generale dell’ONU all’uscita di questa canzone, “cadde” e non condannò le azioni terroristiche del governo israeliano contro il popolo palestinese). Come dice il detto “la situazione deve essere bilanciata ma in realtà la situazione si deve fermare”. Per ogni prigioniero politico libero, una colonia israeliana si ingrandisce. Per ogni saluto, demoliscono mille case. Loro usano la stampa per avvantaggiarsene. Ma nonostante la mia pena, la realtà si impone”.

Sapete una cosa? Con o senza YouTube, con o senza annunci, il popolo Palestinese ed il paese Mapuche saranno liberi. Vinceranno dieci, cento, mille volte.

E se il sig. YouTube come parte della campagna “fuck the zapatistas now” ci rimuove completamente l’account, torneremo ai vecchi tempi del Sistema Zapatista di Televisione Intergalattica, “l’unica televisione che si legge” (Autorizzazione numero 69 in corso nelle Giunte di Buon Governo – è stata richiesta nel 1996 ma il caracol procede leeentooo -).

 https://youtu.be/Rb_UvZsD9xg

 

Dalle montagne del Sudest Messicano

Los Tercios Compas
Commissione Sexta dell’EZLN
Settembre 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/09/01/imagenes-de-la-ruptura-del-cerco-ii-y-ultimo-del-17-de-agosto-del-2019/

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IMMAGINI DELLA ROTTURA DELL’ACCERCHIAMENTO I

AGOSTO 2019

https://youtu.be/vUDCojwX6u0

https://youtu.be/6BNPXbfup_E

 https://youtu.be/cVCZJka9sXM

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Los Tercios Compas

Commissione Sexta dell’EZLN

Agosto 2019

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/31/imagenes-de-la-ruptura-del-cerco-i/

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La sconfitta della contrainsurgencia sociale

Raúl Zibechi

Nella misura in cui le politiche o i programmi sociali suonano come il volto buono degli stati della nostra regione, indipendentemente da chi li amministrino, è necessario ricordare le loro origini ed obiettivi dichiarati. Non basta dire che si propongono di ridurre la povertà o che vogliono indebolire i movimenti antisistemici. La storia risale alla guerra del Vietnam e ad un personaggio chiamato Robert McNamara, uno dei quadri più astuti che abbia mai avuto il capitalismo.

Nel 1960 McNamara fu il primo presidente della Ford a non appartenere alla famiglia, carica che abbandonò quando fu nominato segretario alla Difesa tra il 1961 e 1968, durante la guerra del Vietnam. Passò quindi alla presidenza della Banca Mondiale fino al 1981. Durante la Seconda Guerra Mondiale era entrato nell’Aeronautica Militare dove applicò l’arte della gestione aziendale appresa ad Harvard all’efficienza dei bombardieri statunitensi, cosa che gli valse la Legione al Merito come tenente colonello.

Durante il conflitto in Vietnam comprese che le armi, per quanto siano sofisticate, non vincono le guerre. Diresse la Banca Mondiale con l’obiettivo di ribaltare la sconfitta militare e preparare il terreno affinché questa situazione non si ripresentasse. Comprese che l’ingiustizia sociale e la povertà potevano mettere in pericolo la stabilità del sistema capitalista e, per rimediare, concepì la politica della lotta alla povertà.

Si capisce che per McNamara la povertà è un problema del momento, e solo momentaneamente può destabilizzare il dominio. È una questione strumentale, non etica. Sotto la sua gestione la Banca Mondiale si è trasformata nel centro di pensiero (think tank) più citato dalle accademie andando a definire le politiche dei paesi in via di sviluppo. Come ha sottolineato uno dei suoi collaboratori, Hollis Chenery, si tratta di distribuire un pezzo della crescita della ricchezza e non la ricchezza(*).

La lotta alla povertà ebbe altri due effetti. Riuscì a rimuovere la ricchezza dalla centralità dello scenario politico, come era stato fino al decennio degli anni ’70. Benché oggi sembri incredibile per chi non ha vissuto la rivoluzione mondiale del 1968, la sinistra credeva che il vero problema sociale fosse la ricchezza, per questo tutti i programmi di governo andavano rivolti alla riappropriazione dei mezzi di produzione e di cambiamento, come la riforma agraria, tra molti altri.

La seconda è che si propose, riuscendovi, di influenzare i movimenti antisistemici in una forma molto sottile; attraverso una politica che definirono rafforzamento organizzativo (si ricordi il Pronasol), si scelsero movimenti di lotta per trasformarli – con l’appoggio della Banca Mondiale – in organizzazioni burocratizzate che, d’ora in poi, si specializzeranno nel fare da tramite con le agenzie di sviluppo. La banca smise di gestire i prestiti e si limitò ad accompagnare, formare, fornire consulenza e controllo finanziario.

Per tutto quanto sopra, è importante che le basi di appoggio dell’EZLN siano riuscite a sconfiggere questa contrainsurgencia sociale. Non è usuale. Nel mio paese, l’Uruguay, il progressismo è riuscito ad ammortizzare il conflitto sociale con una serie di politiche sociali che vanno dalla promozione di cooperative dirette dall’alto, fino alla creazione di organizzazioni sociali che hanno l’apparenza di movimenti legittimi. Altri progressismi sono stati più sottili, clonando interi movimenti.

Il comunicato dal titolo Ed abbiamo rotto l’accerchiamento, firmato dal subcomandante Moisés, ci mostra tre aspetti della sconfitta dei programmi sociali.

Il primo è che le basi di appoggio sono uscite dalle proprie comunità per incontrarsi con altri abajos, con chi ci si intende come solo ci si capisce tra chi condivide non solo il dolore, ma anche la storia, l’indignazione, la rabbia.

La seconda è il ruolo importante giocato dai giovani e dalle donne nel compito di rompere l’accerchiamento. La terza è che le donne zapatiste non solo hanno marcato la guida, ma sono state anche ai bordi affinché non deviassimo, e dietro affinché non ritardassimo.

È stato un incontro tra abajos, tra uguali, ben oltre le opzioni politiche congiunturali di ognuno. È stato un incontro di dignità: quella zapatista e quella delle comunità filo-partitiche che si sono ribellate contro il disprezzo, il razzismo e la voracità dell’attuale governo che dà loro elemosine per dividerle.

Mi interessa sottolineare non solo il fatto che hanno rotto l’accerchiamento, ma soprattutto come l’hanno fatto. È una lezione politica ed etica di cui abbiamo bisogno in questa parte del mondo, dove i programmi sociali ispirati dalla Banca Mondiale e realizzati dai progressismi, hanno distrutto l’indipendenza del settore popolare ed incuneato la dominazione, con il beneplacito delle grandi multinazionali.

Potere popolare e programmi sociali sono due forze che si respingono. Quando una vince, l’altra perde.

(*)Citato da Eric Toussaint, Banco Mundial. El golpe de Estado permanente, Abya Yala, Quito, 2007, p. 155.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/08/30/opinion/019a2pol

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Sonata per violino in sol minore: DENARO.

“… l’astuzia più perfetta del diavolo è persuaderci che egli non esiste!”

Charles Baudelaire in «Le joueur généreux».

 

I.- L’OTTAVO PASSEGGERO.

Da nessuna parte, e dappertutto. Un treno assonnato è cullato dalle sue stesse fusa. Non viene né va da nessuna parte. O non importa. A bordo, una popolazione di grigi individui, vivi di tante morti, dorme. Nell’ultimo vagone, 7 passeggeri solitari, dalle vite e dai miserabili abiti, si annoiano e si disperano seduti ai loro posti.

Uno dice: “Darei qualsiasi cosa per cambiare la mia sorte”. La frase è una specie di linguaggio universale e gli altri 6 annuiscono in silenzio. Il lungo treno malandato entra quindi in un tunnel, che uccide i grigi ed espande le ombre. La porta si apre ed entra un ottavo passeggero, con gli abiti che gridano “non sono di qui”, e si siede senza dire una parola. Il tunnel estende l’oscurità.

Qualcosa di simile a un tuono, un ramo secco che si spezza senza che la tempesta lo abbatta. Occhi fiammeggianti appaiono nel buio. Lo sguardo di fuoco parla: “Non penso di aver bisogno di presentarmi. Ognuno di voi mi ha invocato con o senza parole e rispondo alla vostra chiamata. La vostra anima in cambio di un desiderio. Fate voi il prezzo.

Uno sceglie la salute, sceglie di non ammalarsi mai. Satana risponde: “concesso“, raccoglie l’anima del sano e la mette in tasca.

Un altro opta per la saggezza, per sapere tutto. Il diavolo sussurra: “concesso“, prende l’anima del saggio e la mette in tasca.

Il terzo sceglie la bellezza, sceglie di essere ammirato. Il re dell’inferno dice: “garantito“. E l’anima del bello è ospitata nella bisaccia.

Il quarto preferisce il potere, sceglie di comandare e di essere obbedito. Lucifero sospira: “concesso“. E l’anima del capo si unisce alle altre nella sua giacca.

Il quinto dice: “i piaceri”, suscitare passione con la sola volontà. Il demonio sorride compiaciuto: “concesso“. E l’anima dell’edonista si unisce alle altre nel cappotto scuro.

Il sesto sceglie la fama, essere riconosciuto e acclamato da tutti. Satana non fa alcun gesto quando dichiara: “concesso“. E l’anima del famoso è un’altra tra le altre prigioniere.

Il settimo quasi canta quando dice “l’amore”. Il Malevolo fa una risata mentre scrive “c-o-n-c-e-s-s-o“. e l’anima dell’amante finisce in fondo al sacco.

L’angelo caduto guarda impazientemente l’ottavo passeggero che non dice nulla e scarabocchia su un quaderno.

Lucifero addolcisce la voce e chiede: “E qual è il tuo desiderio? Qualunque esso sia ti sarà concesso solo in cambio della tua anima passeggera.”

L’ottavo passeggero si alza e sussurra: “Io sono il Denaro, compro le 7 anime degli infelici che ti hanno creduto e compro anche te per servirmi ed obbedirmi“.

E “il grande drago, l’antico serpente chiamato diavolo e Satana, che inganna il mondo intero” (Ap 12, 9), sorride furtivo e sancisce, prima di mettersi lui stesso nella borsa delle anime vendute:

Così sia, signor Denaro. Ma la tua rovina è nella tua stessa essenza e la tua fortuna oggi, sarà la tua disgrazia domani”.

Il Denaro prese la borsa, uscì dall’ultimo vagone e il treno dal tunnel.

Dietro di loro l’oscurità si espandeva per conquistare il giorno…

-*-

II.- LA CRISI E LE RESPONSABILITÀ.

Quando c’è una crisi, compra a buon mercato e aspetta che passi per rivendere a caro prezzo. Se non c’è crisi, provocala con una guerra. Per uscire dalla crisi, fai un’altra guerra. La guerra, come non ha detto Clausewitz, è l’autostrada per entrare e uscire dalle crisi con altri mezzi, compresi quelli nucleari.

Don Durito de La Lacandona. Scarabeo e Dottore in Economia Selvaggia.

Se la più grande astuzia del diavolo è persuadere che non esiste, una delle basi del sistema capitalista è convincere che il denaro può fare tutto. E il denaro è il padrone e il signore dei governi. Sul denaro basano il loro progetto di passare alla storia come grandi trasformatori. Ma…

Beh, volevo cercare di spiegarvi che sta arrivando una crisi economica mondiale, ma, oltre a non sapere molto di economia politica, sembra che la realtà lo stia facendo e lo farà con argomenti migliori e in modo più pedagogico. Tuttavia, dobbiamo tenere conto del fatto che manca ciò che manca.

Inoltre, va notato che ciò che sta arrivando non è colpa di questo governo, né di quelli passati. Quello che è noto come governo messicano ha come unica responsabilità quella di credere e far credere alle persone di avere un modo, non dico di fermarla, né di alleviarla.

Le “cattive decisioni” che un settore della destra dis-illuminata attribuisce al governo della 4T (la cantilena della cancellazione dell’aeroporto di Texcoco è la costante), non hanno nulla a che fare con ciò che sta arrivando. Lo slogan di fondo di quel frammento della destra realmente esistente, che si sente ignorato e ingannato, sarebbe: “staremmo meglio senza López Obrador”, e suona, oltre che poco originale, falso.

Chiunque ci fosse stato (Meade, Anaya, el Bronco o Miss Xerox) avrebbe dovuto affrontare questo clima mondiale sfavorevole (così dicono i Think Tank del grande capitale) ed essere sconfitto cercando i colpevoli. E tutti avrebbero fatto e starebbero facendo quello che fa il governo attuale: mentire e occultare.

Certo, parlo da e dei popoli originari. Anche se sono sicuro che altri settori saranno in grado di dire se hanno beneficiato o meno della politica economica del supremo. Per non parlare della sua politica sociale e del fallimento negato della lotta contro il crimine.

È necessario capire che il dispiacere manifestato da quella parte della destra è ampiamente compensato dal settore restante (che è la maggioranza). Per non parlare del grande capitale, che è più che felice e soddisfatto delle misure che alimenteranno l’esplosione e la crescita della prossima crisi.

Immagino che questo li infastidirà ancor di più se facciamo notare che sono la stessa cosa, ma il bilancio finora è che sarebbe stato uguale che ci fosse stato l’uno o l’altro:

Avrebbero iniziato a congratulare se stessi; avrebbero dichiarato solennemente che era iniziato un nuovo ciclo di speranza, lavoro e benessere per il territorio a sud del Rio Grande e ad ovest del Guatemala e del Belize, avrebbero distribuito le stesse elemosine anche se con un altro nome; si sarebbero disfati di non poche cose che avevano promesso in campagna elettorale; avrebbero attribuito al risentimento e all’invidia le critiche a loro rivolte; avrebbero fatto appello all’unità e allo sciovinismo, si sarebbero prostrati allo stesso modo di fronte ai progetti, alla spavalderia e agli insulti del capoccia che sbava dal nord travagliato e brutale; e avrebbero attribuito i propri errori “al clima internazionale avverso”.

Tutti, come l’attuale supremo, avrebbero basato il proprio piano di governo sul denaro. Le loro discrepanze sono che il supremo pensa che la finta “lotta alla corruzione” basti ed avanzi persino per attribuirsi le medaglie di altri, altre, otroas. “Ma la 4T non ruba”, affermano. Ma anche lì, per tutti gli amanti delle sfumature, ci sono diversi livelli, come leggerete più avanti, in un altro testo… se verrà pubblicato.

Indicherò alcuni fatti sui quali queste “sfumature” non sono possibili. Fatti che richiedono una posizione chiara. Non faccio ricorso alle reti e alle loro “fake news“, né alle colonne pro e contro (sempre sgradevoli) sulla stampa; né alla stampa etichettata “fifí” (ho dovuto eliminare come fonte il settimanale Processo in cui, da un rutto del supremo, è stata cancellata una storia di lavoro e giornalismo d’indagine difficili da uguagliare da parte di un altro media). Quindi mi sono limitato alle dichiarazioni e ai fatti riportati nelle pagine elettroniche del governo (incluse quelle mattutine) e a quanto riportato dalla stampa “che supporta”.

Inoltre, ovviamente, l’indagine “in situ”, nella terra in cui ci muoviamo: il Chiapas rurale. Potete diffidare, giustamente, di quello a cui si fa riferimento. Può darsi che tutto non sia altro che un’invenzione per sabotare il supremo. Dubitate, sì. E se volete dissipare i dubbi potete ricorrere a due cose: indagare se ciò che diciamo è vero o aspettare e vedere cosa accadrà. Lo svantaggio della prima opzione è che il giornalismo che indaga sulla veridicità o sulla falsità di ciò che leggerete poi, entrerà tra le fila dei conservatori (anche se fornisce “sfumature” e non riflette la brutale realtà di ciò che sta accadendo qui). La seconda opzione è aspettare che sia il tempo a darci ragione o a smentirci; beh, guardate, detto tra noi, la verità è che il “tempo” è una delle cose che non hanno lassù. Ma alla fine, sentitevi liberi di diffidare della realtà di qui, ma diffidare della realtà che vivete e subite, non trovate che sia suicida?

I fatti:

– Il tono festoso del supremo durante le sue riunioni con i rappresentanti del potere economico del Messico e del mondo. E il tono irritato e intollerante quando riceve lamentele o richieste da parte della gente comune, specialmente quando è gente di campagna. Ok, una sfumatura… ma la realtà lo contraddice ogni giorno. Nel caso dei signori del denaro, è un corteggiamento che rasenta l’osceno e che non si traduce nel reale sostegno cercato. Nel caso dei beni comuni, resta inteso che il supremo “non paga per essere colpito”.

– L’imposizione delle filie e delle fobie proprie di un tiranno. Sentite, capisco, ognuno ha i propri desideri e le proprie avversioni, ma nulla dà diritto a nessuno di imporli agli altri. E quando il supremo dice che tizio e caio sono tali e quali, beh la cosa è irritante, come suole dire, e, come ha dimostrato il legislativo e l’omicidio di Samir Flores, il desiderio di compiacere il supremo, porta a crimini e sfregi. Solo i tiranni cercano repliche nei loro governati, funziona così da queste parti.

– Il trattamento dei migranti. Guardate, potete vederlo come volete: “Che orrore! In che razza di paese accadono queste cose?” E qui succede, in questo paese chiamato “Repubblica Messicana”. E ciò che emerge dai media “che sostengono”, non è nemmeno una frazione dell’incubo che è stato imposto ai centroamericani al confine meridionale. Sì, anche ad africani, caraibici, asiatici… e messicani. Ditemi, come si fa a distinguere una persona chiapaneca da una guatemalteca, una honduregna o salvadoregna? Dal fatto che non hanno documenti? Dai, chiedete all’INEGI o all’INE quanti messicani non hanno documenti nel sud-est del Messico. Il fatto che cantino l’inno nazionale? Gli agenti della migrazione non lo conoscono e, sembra, neppure il supremo, per questo fa lo zerbino di Trump. L’altro che vuole intrufolarsi alla grande nel 2024, Marcelo Ebrard, afferma che viene applicata la legge, ma nessuna legge afferma che “tutte le persone che sono basse, di carnagione scura, non parlino spagnolo o lo parlino con un accento, saranno arrestate o che gli sarà richiesto di presentare documenti comprovanti la loro cittadinanza messicana; Le detenzioni possono essere eseguite da militari, polizia (compresa la polizia stradale) o agenti della polizia migratoria e non sono necessari traduzioni, difesa dei diritti umani o altro ostacolo che impedisca al supremo di rispettare la quota di detenzioni concordate con l’amico Donald Trump“. Ok, non credete alla cattiva televisione, controllate la stampa “impegnata nella causa della 4T”. Ok? Ora provate a “sfumare” l’incubo.

– I modi e i toni servili e striscianti di fronte al governo degli Stati Uniti. Questo sarà discusso più avanti, ma, scusate, non ricordo un governo federale che si sia comportato pubblicamente in modo così indegno con un governo straniero. Il supremo ha l’approvazione di una consultazione per alzata di mano in un luogo in cui ha distribuito aiuti? Beh, se questo è il suo argomento per “spiegare”, buona fortuna.

– La sconfitta del secolarismo. Dal momento in cui il Salinas cattivo, Carlos Salinas de Gortari, d’accordo con l’alto clero cattolico, aprì le porte alla religione per muovere i suoi primi passi negli affari dello Stato, diventando lo zerbino di Zedillo, le genuflessioni di Vicente Fox, il servo di Felipe Calderón e l’uso mediatico di Peña Nieto, la militanza religiosa dell’attuale supremo è indifendibile. Ed è qualcosa che quel che resta della Nazione dovrà pagare caro… e non in comode rate come nei magazzini Elektra.

– L’impulso e l’accelerazione dei megaprogetti e la distruzione dei territori dei popoli originari. L’argomento secondo cui sono opere già iniziate non ha retto per Texcoco. La denuncia e il discredito da parte del supremo dell’opposizione alla centrale termoelettrica di Morelos, è costata la vita al nostro compagno Samir Flores Soberanes. In termini di cronaca nera o “poliziesca” sulla stampa, questo si chiama “indicare la vittima”. Non importa cosa dicono e come vogliono giustificarsi, la sua morte ricade su di loro. Beh, sfumatura: il supremo non ha premuto il grilletto. Sì, neanche Trump.

– L’incoraggiamento dell’individualismo e il confronto con la comunità. Con l’argomento della “lotta alla corruzione” si intende che il sostegno (denaro, insomma) agli individui è più efficace. In primo luogo, se vi è corruzione nelle organizzazioni contadine, non governative, ecc., come minimo dovrebbero segnalare quale, quanta e dove. L’omissione è complicità (altrimenti chiedete alla Robles). Se non provano imbarazzo nell’accusa dal loro palco i media e i giornalisti “di non saper tenere un segreto”, allora devono dire chiaramente, per esempio, “la CIOAC all’indirizzo… – devono chiarire quale di tutte le CIOAC, quella degli assassini o le altre-, si sta intascando questi soldi. Basta, finita, che si tengano quel che si sono intascati, cancelliamo tutto e rifacciamo i conti”; o “nella scuola materna tal dei tali che si trova nel tal posto, mangiano i cornflakes e bevono i Lalas che erano per i marmocchi“; o “in quell’altra scuola materna ammettono bambini che sono il risultato del peccato carnale e della lussuria, e il Signore ha detto che non giacerai senza firmare un patto di non aggressione e di sensata freddezza (“matrimonio”, penso lo chiamino)”.

Nel caso del campo il problema non è solo che l’auto venga individualizzato. Ok, se i membri del gabinetto di campagna e gli assessori che li accompagnano non hanno immaginazione e possono solo scegliere tra la consegna a organizzazioni di gestione o all’individuo, è comprensibile, stanno al governo per qualcosa. Ma scegliere una banca come veicolo delle benedizioni della 4T! Il problema è che la forma scelta ha come beneficiario diretto il “coyote“, l’intermediario: Banco Azteca, del Gruppo Elektra, nel caso del programma “Sembrando Vida”.

Il supremo dichiara che 5.000,00 (cinquemila pesos messicani) saranno dati ai contadini che entreranno nel programma. Falso. All’agricoltore viene concesso un massimo di 4.500,00 (e in alcuni casi solo 4.000,00).

Il motivo, si dice, per cui vengono dati solo 4.500,00 pesos è che gli altri 500 vanno a un fondo di risparmio. Il destino di questo fondo di risparmio è incerto. Ai beneficiari viene detto che sono “per i vecchi”; o che sono per commercializzare legname e frutta. Vediamo: per il cedro e il mogano ci vogliono 30 anni perché diventino “commerciabili”, quindi vale la pena tagliarli e venderli, ma il sessennio termina entro 5 anni. Se l’aritmetica non mi tradisce, sono necessari altri 4 sessenni in modo che ciò che sarà seminato il prossimo anno (ora sono nella fase dei vivai), possa essere commerciabile. Si presume che nei prossimi 29 anni i beneficiari riceveranno quattromilacinquecento pesos al mese. Così, o viene data la garanzia che la tripliceo Bolsonaro-Macri-Moreno già in agguato per rilevare l’amministrazione della tempesta, si impegnerà a mantenere il programma; oppure è un programma transexenal che lega il sostegno ai contadini a un partito politico.

Il problema è che con questo movimento di denaro, la banca si tiene 500 pesos (e in alcuni casi anche mille pesos, con la scusa che l’agricoltore deve risparmiare) per ogni “seminatore di vita“. L’incaricata dal supremo di questo programma, parla di ben 230 mila “beneficiari”. Sarebbero 115 milioni di pesos al mese a disposizione della banca. Potete andare dal vostro commercialista a chiedergli cosa fanno le banche con i risparmi dei titolari del conto.

Ora, in alcuni settori di quest’istituzione “disinteressata” e “filantropica” che è il Banco Azteca, agli agricoltori viene detto che gli daranno solo 4.000,00 pesos, “così imparano a risparmiare”. Ammesso che tutti i beneficiari abbiano l’istinto al risparmio (così apprezzato nella cultura del denaro), sarebbero quindi 230 milioni di pesos al mese, per 12 mesi per 5 anni a partire da ottobre. Ma diciamo di no e che siano solo 115 milioni al mese (1.380 milioni di pesos all’anno, 6.900 milioni di pesos nel resto del sessennio che non sono sei anni). Se alla fine del sessennio e nelle elezioni presidenziali e legislative del 2024, dio non voglia, non dovesse esserci lo stesso supremo o un equivalente del partito ufficiale, il “beneficiario” diventerà un “danneggiato”: avrà 2 ettari e mezzo di terra inutili perché non avrà più i soldi per rimediare al fatto di aver perso i suoi animali (si deve usare pascolo), o la sua milpa (se in cambio di questa si seminano alberi di acahuales).

Inoltre, il supremo (con la benedizione dei suoi consiglieri “sfumati”) sta portando avanti una nuova “riforma agraria”, basata su quella avviata da Salinas el malo (CSG). La condizione, in una comunità di ejidos, affinché sia introdotto il progetto “Sembrando Lata” [storpiatura del progetto “Sembrando Vida” Seminando Vita, in Seminando Soldi – N.d.T.], è che gli “aventi diritto” (gli ejidatari con diritti agrari) cedano ai “richiedenti” due ettari ai quali hanno diritto. Ciò significa che la “nuova” riforma agraria 4T consiste nel togliere la terra a coloro che ne hanno meno e nel “distribuirla”. Naturalmente, oltre ad aver permesso una nuova forma di corruzione, ha diviso le comunità filo-partitiche fino ad arrivare alle famiglie, mettendo in conflitto i figli (“richiedenti”) con i propri genitori (“aventi diritto”), litigi che si intensificano raggiungendo persino minacce di morte.

Ne Los Altos del Chiapas, dove ci sono diversi siti e non si misurano gli ettari ma le “tareas”, la situazione sarebbe comica se non fosse tragica. Il contadino in quelle terre usa lo stesso appezzamento (“tarea”) per seminare mais, poi fagioli e anche le verdure. Inoltre, quasi nessuno utilizza tutti i 2 ettari, se seminassero quello che l’ideota del supremo vorrebbe, il loro piccolo pezzo di terra non sarebbe in grado di sopravvivere per 20 o 30 anni. Naturalmente, ciò che conta sono i soldi che l’agricoltore riceve mensilmente.

Ci sono altre storie a cui sicuramente non crederete perché avrete informazioni migliori. Per ora vi dirò solo: l’equazione che afferma “tanti soldi = tanti ettari seminati” è una bugia. I filo-partitici simulano la preparazione della terra, o “prestano” ettari quando arriva il delegato del supremo, o “pagano” il responsabile: “tu scrivi che sto facendo il vivaio e che ho i 2 ettari, io ti darò una parte dei 4.500 pesos”.

Eppure, centinaia di comunità rifiutano il programma perché, dicono testualmente, “non lavoreremo come pedine del governo. La terra è nostra e non del governo che si autoprocla proprietario terriero”. Beh, è certo che il supremo ha altri dati e noi stiamo solo in una piccola parte di un piccolo stato della repubblica, quindi seguiamo i soldi:

Secondo il sito web del Gruppo Elektra, in ogni magazzino c’è una filiale del Banco Azteca. In poche parole, il contadino va in banca a ritirare le sue elemosine, che non sono elemosine. Proprio lì una persona con una maglietta con il logo della banca e il governo della 4T, gli raccomanda forme di risparmio e assicurazioni: “Non si sa mai cosa può succedere. Ad esempio, potrebbero rubarle la moto… Come?! Non ha una moto? Non si preoccupi, è fortunato, ho sempre detto che le persone fortunate a volte non si rendono conto di ciò che hanno. Guardi, qui ne abbiamo una potente da 125 centimetri cubi, marca Italika (filiale del Gruppo Elektra), che può portarsi a casa anche subito. Sì, proprio adesso. E solo perché è lei, le regalo il casco. È single? Sì? Che strano, uno di bella presenza come lei… Beh, guardi, su questa moto un’altra persona ci sta molto comodamente. Vedrà che tutte le ragazze vorranno che le porti a fare una passeggiata. Guardi, è meglio comprare tutto il pacchetto, capisce? Evita gli imprevisti. Quindi, le consiglio di aprire il suo conto qui in banca, prendere l’assicurazione che le offrono (è obbligatoria per aprire il conto), acquistare la motocicletta a rate e assicurarla, nel caso venga rubata o si rovini. Così tornerà al villaggio in moto e con tutto e pure il casco“.

Tutto questo è reale. Un compagno zapatista ha accompagnato il cognato filo partitico ed ha verificato tutta la storia. Naturalmente, i nomi sono stati omessi per proteggere l’impunità… scusate, la presunzione di innocenza del governo supremo. E la moto? Bene, questo non lo sappiamo, perché il compa èa dovuto tornare con i mezzi pubblici, suo cognato ha speso ciò che gli restava della moto e dell’assicurazione in lattine di birra. Non ci stavano entrambi. O le lattine di birra o il compa. Hanno vinto le lattine. Il compagno zapatista è ritornato arrabbiato: “Altro che single, è sposato con mia sorella e stanno per avere il quarto figlio, ah, ma lascia che mia sorella lo scopra, allora sì che mio cognato avrà bisogno di un’assicurazione.”

I principali azionisti del gruppo Elektra sono: Hugo Salinas Price, Esther Pliego de Salinas e Ricardo B. Salinas Pliego (i primi due sono i genitori del terzo).

Il signor Hugo Salinas Pliego era un evasore fiscale confesso, anti-sciopero confesso e sponsor dichiarato di iniziative di estrema destra (come il MURO, braccio paramilitare di El Yunque), secondo il libro che ha scritto “I miei anni in Elektra” (editoriale Diana, 2000).

Nel libro si legge: “Drammaticamente, quando sussistono le migliori condizioni di vita, le persone hanno tempo e risorse per pensare di partecipare a rivolte e tumulti. Quando le cose si fanno difficili, alla gente importa di più mantenere ciò che hanno che fare casino.

Questo gruppo Elektra è stato scelto dal supremo per gestire le tessere della “politica sociale” del governo della 4T. Per di più, potete consultare l’articolo al riguardo di Álvaro Delgado apparso sulla rivista Proceso, edizione 2208, del 24 febbraio 2019. Ops! Avevo detto che non avrei fatto riferimento a quel settimanale eretico e demoniaco. Ok, ma potete fare come me, prendere il libro, credetemi, leggerlo fa venire i brividi. O parlare con Álvaro Delgado… ma fate attenzione che il supremo non lo scopra.

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Una crisi complessa è in fase di gestazione. Quella che nei bunker del grande capitale si chiama “la tempesta perfetta”. La nave che chiamiamo “pianeta terra” viene praticamente smantellata e rimane a galla grazie alla stessa cosa che la devasta. Questo stupido circolo mortale di distruzione per ricostruire quanto distrutto, si nasconde dietro la falsa evidenza che si è insinuata nel senso comune. La credenza fondamentale nel potere individuale, nata da quando la storia ha riscritto il cammino dell’essere umano e ha costruito il mito dell’individuo capace di tutto.

Il “ma” che si nasconde dietro al mito dell’individualità esonera il sistema dalla sua responsabilità mortale. Gli umani, le civiltà, le lingue, le culture, le arti e le scienze muoiono digerite nello stomaco della macchina. Ma la responsabilità sistemica viene trasferita all’individuo. È l’individuo o l’individua ad essere vittima e contemporaneamente carnefice. La donna assassinata è responsabile dei colpi subiti, delle violazioni subite, della propria scomparsa e persino della propria morte. È una criminale per essere stata vittima di un crimine ed è criminale per aver protestato contro quel crimine. Lo stesso vale per i bambini, gli anziani, la differenza di genere, la cultura, la lingua, il colore, la razza.

Ma non fateci caso, meglio che chiediate consiglio al vostro economista preferito (se lavora per il governo, assicurategli che tutto sarà “off the record“): forse vi dirà che l’economia politica è una scienza, che risponde alle leggi, a cause ed effetti, che non dipende da volontarismi, dalle sclerate o dagli strilli dal pulpito. L’economia politica non partecipa ai sondaggi, non guarda le conferenze stampa mattutine. L’economia politica indica: se ci sono determinate condizioni (cause), si verificheranno determinati fenomeni (effetti). Dopo esservi annoiati con numeri e formule, chiedetevi: sta arrivando una crisi? Se l’economista tira fuori un ombrello – anche se siete in casa – e si scusa – l’economista, ovviamente – con un “non c’erano blindati”, allora avete diverse opzioni: o dichiarate solennemente che è una fake news, che è la mafia del potere, che sono gli Illuminati, che l’economista è conservatore, ecc.; o chiedete dove ha comprato l’ombrello e se c’è di colore lilla (ognuno ha i propri gusti); o abbracciate la religione più a portata di mano:

Oppure gli chiedete se ci sono soluzioni, vie d’uscita, rimedi.

L’economista vi risponderà con un sacco di formule e di cifre. Aspettate pazientemente che finisca e, invece di dirgli che non ha capito nulla, chiedetegli di riassumere la risposta, probabilmente vi risponderà “è molto difficile, si dovrebbe… (nuova valanga di formule e cifre)”.

O forse vi dirà semplicemente: “no, non in questo sistema”.

(continua… eh? o no? …ma se mi sono appena scaldato… davvero niente? vabbè… allora solo qualche appunto del gatto-cane e basta)

 

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano che infila qualche frase del gatto-cane.

Messico, agosto 2019

 

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

– Il problema dei soldi è che… finiscono.

– Quando il diverso si incontra con l’ugualmente diverso ma in modo distinto, il diverso lo abbraccia e festeggia. Il diverso non vuole uno specchio, ma qualcosa di più complesso e umano: il rispetto.

– La natura è una parete elastica che moltiplica la velocità delle pietre che gli tiriamo. La morte non torna nelle stesse proporzioni, ma potenziata. C’è una guerra tra il sistema e la natura. Questo confronto non ammette sfumature né vigliaccherie. O si sta con il sistema o con la natura. O con la morte, o con la vita.

Miau-Guau.

Il Gatto-Cane, cambiando tattica, fa gli occhi languidi a una luna che non gli dà retta, la maledetta.

 

Traduzione a cura di 20ZLN

Testo originale: https://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/15/sonata-para-violin-en-sol-menor-dinero/

 

Video:

 

https://youtu.be/2g2U9noUk_w

https://youtu.be/OU0LWxTs-0k

 

https://youtu.be/HMxJtMoTnx8

 

https://youtu.be/5d7_mBvCxJo

 

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Zapatismo, un sogno che abbracci il mondo

Luis Hernández Navarro

Uno dopo l’altro, sia negli Altos che nella Zona Nord del Chiapas, si susseguono numerosi cartelloni con scritte colorate a mano fissati su assi di legno o sui tetti di lamiera corrosa dalla patina, alcuni di questi che raffigurano donne indigene con il paliacate sul volto, avvertono: Siete in territorio zapatista in ribellione. Qui comanda il Popolo ed il Governo obbedisce. Sono firmati dalle giunte di buon governo.

I cartelloni, in molti sensi simili a quelli impiegati sulle strade per dare il benvenuto ai viaggiatori in un’entità federativa, segnano i confini del territorio autogovernato dalle comunità zapatiste e la loro giurisdizione di fatto.

Come ha ricordato Raúl Romero nelle pagine di questo giornale (https://bit.ly/2NcJqgy), la loro origine risale a due momenti diversi. La formazione dei municipi autonomi ribelli zapatisti (Marez), nell’ambito dell’offensiva ribelle del dicembre 1994 contro la frode elettorale di Eduardo Robledo. E la fondazione nel 2003 delle prime cinque giunte di buon governo (caracoles) per esercitare nei fatti l’autonomia senza chiederne il permesso.

La novità in questo processo, come ha reso noto il subcomandante Moisés (https://chiapasbg.com/2019/08/19/ezln-16-caracoles/), è che in Chiapas si sono stabilite nuove linee di confine e nomenclature. I ribelli hanno appena annunciato di aver creato, a margine delle autorità governative, 11 nuovi centri di resistenza autonoma e ribellione zapatista (Crarez): sette di questi caracoles e quattro municipi autonomi. Dunque, in totale oggi esistono 43 centri zapatisti.

Parte di queste istanze di autogoverno in un primo tempo si sono insediate sulle migliaia di ettari occupati a partire dal 1994 e redistribuiti per la coltivazione a beneficio collettivo. Le loro competenze si differenziano per la complessità delle problematiche che ognuna di esse deve risolvere. Due libri decrivono questo processo. Quello di Paulina Fernández Christlieb, Justicia autónoma zapatista: zona selva tzeltal, (https://bit.ly/2Z9n8mp). E Luchas muy otras, de Bruno Baronnet, Mariana Mora e Richard Stahler-Sholk (https://bit.ly/2vGmGdu).

L’espansione dell’autonomia zapatista su nuovi territori smentisce le voci della presunta diserzione delle sue basi sociali come risultato dei programmi assistenziali quali Sembrando Vida o Jóvenes Construyendo el Futuro. Ovviamente, in un processo così controcorrente come questo, che loro portano avanti da 25 anni, ci sono simpatizzanti che si fanno da parte. Ma, il punto centrale per stimarlo è l’impulso e la tendenza generale che prosegue. La recente fondazione di altri 11 Crarez evidenzia che il magma insurrezionale non solo sopravvive, ma cresce in maniera esponenziale, mentre costruisce strade inedite di autonomia.

L’EZLN ha chiamato la sua nuova campagna Samir Flores Vive. Samir era il fabbro nahua, conduttore di Radio Amiltzinko e dirigente dell’Assemblea Permanente dei Popoli di Morelos, che si opponeva alla costruzione della centrale termoelettrica di Huexca. È stato assassinato il 20 febbraio scorso. Questo crimine non è ancora stato risolto.

La nuova campagna zapatista presenta grandi similitudini con le offensive precedenti. È stata processata e concordata (come fatto con la sollevazione armata) in molteplici assemblee comunitarie. Ha rotto l’accerchiamento del governo dispiegandosi come forza politico-sociale attraverso mobilitazioni pacifiche sui generis che hanno cambiato il terreno di confronto con lo Stato, portandolo sul terreno in cui le comunità sono più forti: quello della produzione e riproduzione della loro esistenza.

Invece di chiedere la solidarietà di alleati, amici e collettivi di lotta, invita a costruire con loro una nuova iniziativa politica. Al Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo propone di intraprendere un foro in Difesa del Territorio e della Madre Terra, capace di articolare una risposta ai megaprogetti e alla spoliazione, aperto a tutti coloro che lottano per la vita.

Esorta l’arcipelago filozapatista urbano a formare una Rete Internazionale di Resistenza e Ribellione non centralizzata, che lavori alla diffusione delle storie del basso e a sinistra. Annuncia riunioni bilaterali con gruppi, collettivi ed organizzazioni che operano nei loro luoghi. Propone ad intellettuali ed artisti di partecipare a festival, incontri, semenzai e feste.

Limitandosi ad essere anfitrioni, suggerisce ai genitori dei desaparecidos e dei carcerati, ed alle organizzazioni che lavorano con loro, a chi lotta per la diversità sessuale ed ai difensori dei diritti umani, di riunirsi nelle terre zapatiste per condividere incubi, dolori ed orizzonti. E, già in marcia, annuncia che le donne zapatiste convocheranno un nuovo incontro di donne che lottano, solo per le donne.

Come spiega il subcomandante Moisés, la creazione di spazi di autogoverno dei popoli zapatisti è il risultata del lavoro politico, principalmente di donne e giovani. Ma, anche, da quanto appreso da incontri e semenzai che, organizzati con la loro immaginazione, creatività e conoscenza, sono stati più universali, cioè, più umani. Hanno appreso, secondo le sue parole, che un sogno che non abbracci il mondo è un piccolo sogno.

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/08/20/opinion/017a1pol

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COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE MESSICO. E abbiamo rotto l’accerchiamento.

COMUNICATO DEL COMITATO CLANDESTINO RIVOLUZIONARIO INDIGENO-COMANDO GENERALE DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

17 AGOSTO 2019

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI DEL MONDO:

AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:

ALLE RETI D’APPOGGIO E RESISTENZA E RIBELLIONE:

FRATELLI, SORELLE E FRATELLEI:

COMPAGNE, COMPAGNI E COMPAGNEI:

 

Siamo a portarvi la nostra parola che è la stessa di prima, di oggi e di domani, perché è di resistenza e ribellione.

Nell’ottobre 2016, quasi tre anni fa, nel loro ventesimo anniversario i popoli fratelli organizzati nel Congresso Nazionale Indigeno, insieme all’EZLN, si sono impegnati a passare all’offensiva in difesa del territorio e della madre terra. Perseguiti dalle forze del malgoverno, da cacicchi, imprese straniere, criminali e leggi; contando morti, offese e prese in giro, noi popoli originari, noi guardiani della terra ci siamo accordati per passare all’offensiva ed estendere la parola e l’azione di resistenza e ribellione.

Con la formazione del Consiglio Indigeno di Governo e la designazione della sua portavoce, Marichuy, il Congresso Nazionale Indigeno si è dato il compito di portare a fratelli e sorelle della campagna e della città la parola di allerta e di organizzazione. Anche l’EZLN è passato all’offensiva nella sua lotta di parola, idea e organizzazione.

Ora è arrivato il momento di rendere conto al CNI-CIG e alla sua portavoce. I suoi popoli diranno se abbiamo mantenuto la parola. Ma non solo con loro, dobbiamo rendere conto alle organizzazioni, gruppi, collettivi e persone a livello individuale (specialmente della Sexta e delle Reti, ma non solo), che, in Messico e nel mondo, si preoccupano dei popoli zapatisti e, a loro tempo, geografia e modo, senza che conti la loro distanza in chilometri, senza che importino muri e frontiere, né i recinti che ci pongono, continuano con il cuore che palpita insieme al nostro. L’arrivo di un nuovo governo non ci ha ingannato. Sappiamo che il Potere non ha altra patria che il denaro, e comanda nel mondo e nella maggior parte delle tenute che chiamano «paesi».

Sappiamo anche che la ribellione è proibita, come sono proibite la dignità e la rabbia. Ma in tutto il mondo, nei suoi angoli più dimenticati e disprezzati, ci sono esseri umani che oppongono resistenza all’essere divorati dal sistema e non si arrendono, non si vendono e non zoppicano. Hanno molti colori, molte sono le loro bandiere, molte le lingue che li vestono, e gigantesche sono la sua resistenza e la sua ribellione.

Il Potere e i suoi capoccia hanno costruito muri, frontiere e recinti per cercare di contenere ciò che chiamano il cattivo esempio. Ma non ci riescono, perché la dignità, il coraggio, la rabbia, la ribellione non si possono fermare né rinchiudere. Sebbene si nascondano dietro ai loro muri, alle loro frontiere, ai loro recinti, ai loro eserciti e polizie, alle loro leggi e decreti, questa ribellione prima o poi chiederà loro il conto. E non ci sarà né perdono né oblio.

Sapevamo e sappiamo che la nostra libertà sarà soltanto opera di noi stessi, popoli originari. Col nuovo capoccia in Messico sono continuate anche la persecuzione e la morte: in appena pochi mesi, una decina di compagni militanti del Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo sono stati assassinati. Tra essi, un fratello molto rispettato dai popoli zapatisti: Samir Flores Soberanes, freddato dopo essere stato segnalato dal capoccia che, peraltro, procede con i megaprogetti neoliberali che fanno scomparire popoli interi, distruggono la natura, e convertono il sangue dei popoli originari in guadagno per i grandi capitali.

Perciò, in onore delle sorelle e fratelli che sono morti, sono perseguitati, e sono scomparsi o in carcere, abbiamo deciso di nominare «SAMIR FLORES VIVE» la campagna zapatista che oggi culmina e rendiamo pubblica.

Dopo anni di lavoro silenzioso, nonostante l’accerchiamento, nonostante le campagne di menzogne, nonostante le diffamazioni, nonostante i pattugliamenti militari, nonostante la Guardia Nazionale, nonostante le campagne controinsurrezionali travestite da programmi sociali, nonostante l’oblio e il disprezzo, siamo cresciuti e ci siamo fatti più forti.

E abbiamo rotto l’accerchiamento.

Siamo usciti senza chiedere permesso e ora siamo di nuovo con voi, sorelle e fratelli e sorellei, compagni, compagne e compagnei. L’accerchiamento governativo è rimasto indietro, non è servito e non servirà mai. Seguiamo cammini e rotte che non esistono nelle mappe né nei satelliti, e che si trovano solo nel pensiero dei nostri avi.

Con noi zapatiste e zapatisti, nei nostri cuori ha camminato anche la parola, la storia e l’esempio dei nostri popoli, dei nostri bambini, anziani, uomini e donne. Fuori abbiamo trovato casa, alimento, udito e parola. Ci intendiamo come solo si intendono tra sé coloro che condividono non solo il dolore, ma anche la storia, l’indignazione, la rabbia.

Comprendiamo, così, non soltanto che i recinti e i muri servono soltanto a dare morte, ma anche che la compravendita di coscienze dei governi è sempre più inutile. Non ingannano più, non convincono più: ormai si ossidano, si rompono, falliscono.

E così siamo usciti. Il Potere è rimasto indietro, pensando che il suo accerchiamento ci mantenesse accerchiati. Da lontano abbiamo visto le sue spalle: Guardie Nazionali, soldati, poliziotti, progetti, aiuti e menzogne. Siamo andati e tornati, siamo entrati e usciti, 10, 100, 1000 volte lo abbiamo fatto e il Potere vigilava senza vederci, confidando nella paura che infondeva la sua stessa paura.

Gli assedianti sono rimasti come una macchia di sporco, accerchiati essi stessi in un territorio ora più esteso, un territorio che contagia nella ribellione.

Fratelli e sorelle, compagne e compagni:

Ci presentiamo a voi con nuovi Caracoles e ulteriori municipi autonomi ribelli zapatisti in nuove zone del sudest messicano.

Ora avremo anche dei Centri di Resistenza Autonoma e Ribellione Zapatista. Nella maggior parte dei casi, questi centri saranno anche sede di caracoles, Giunte di Buon Governo e Municipi Autonomi Ribelli Zapatisti (Marez).

Sebbene lentamente, com’è giusto che sia in base al loro nome, i 5 caracoles originali si sono riprodotti dopo 15 anni di lavoro politico e organizzativo, e i MAREZ e le loro Giunte di Buon Governo hanno dovuto anch’essi figliare e far crescere i figli. Ora saranno 12 caracoles con le loro Giunte di Buon Governo.

Questa crescita esponenziale, che oggi ci permette di uscire nuovamente dall’accerchiamento, si deve fondamentalmente a due cose:

Una, e la più importante, è il lavoro politico organizzativo e l’esempio di donne, uomini, bambini e anziani basi d’appoggio zapatiste. In maniera eminente, le donne e i giovani zapatisti. Compagne di tutte le età si sono mobilitate per parlare con altre sorelle con o senza organizzazione. I giovani zapatisti, senza abbandonare i propri gusti e i propri aneliti, hanno appreso dalle scienze e dalle arti, e così hanno contagiato sempre più giovani. La maggior parte di questa gioventù, principalmente donne, assumono incarichi e li impregnano della loro creatività, del loro ingegno e della loro intelligenza. Cosicché, possiamo dire senza pena e con orgoglio che le donne zapatiste non vanno soltanto avanti per segnalarci il cammino e non farci perdere come l’uccello Pujuy* (*Il succiacapre, insettivoro notturno che compare in una leggenda maya come antagonista del pavone, e che ha l’abitudine di posarsi sulla strada, N.d.T.): ma anche ai lati perché non deragliamo, e dietro affinché non retrocediamo.

L’altra è la politica governativa che distrugge la comunità e la natura, in particolare quella dell’attuale governo autodenominato «Quarta Trasformazione». Le comunità tradizionalmente affiliate ai partiti sono state colpite dal disprezzo, dal razzismo e dalla voracità dell’attuale governo, e sono passate alla ribellione aperta o nascosta. Chi pensava, con la sua politica controinsurrezionale di elemosine, di dividere lo zapatismo e di comprare la lealtà dei non-zapatisti, alimentando il confronto e lo scoramento, ha dato gli argomenti che mancavano a convincere tali fratelli e sorelle sulla necessità di difendere la terra e la natura.

Il malgoverno pensava e pensa che ciò che la gente attende e di cui necessita sono elemosine monetarie.

Ora, i popoli zapatisti e molti popoli non zapatisti, così come i popoli fratelli del CNI nel sudest messicano e in tutto il paese, gli rispondono e dimostrano che è in errore.

Comprendiamo che l’attuale capoccia si è formato nel PRI e nella concezione «indigenista» secondo cui gli originari aspirano a vendere la propria dignità e smettere d’essere ciò che sono, e che l’indigeno è un articolo da museo, artigianato multicolore affinché il potente occulti il grigio del proprio cuore. Da cui la sua preoccupazione che i suoi muri-treni (quello dell’Istmo e l’erroneamente chiamato «Maya») incorporino al paesaggio le rovine di una civiltà, per il diletto del turista.

Ma noi originari siamo vivi e ribelli e stiamo resistendo; e il capoccia ora pretende di riproporre uno dei suoi caporali, un avvocato che in qualche tempo fu indigeno, e che ora, come per tutta la storia mondiale, si dedica a dividere, perseguitare e manipolare chi in qualche tempo è stato un suo simile. Il titolare dell’INPI si ripulisce la coscienza tutte le mattine con la pietra pomice, per eliminare ogni traccia di dignità. Egli pensa che così gli si sbianchi la pelle, e il suo ragionare è quello di chi lo comanda. Il capoccia si congratula con lui e con se stesso: non c’è niente di meglio, per cercare di controllare i ribelli, di un pentito convertito, per soldi, in burattino dell’oppressore.

-*-

Durante questi 25 e più anni abbiamo imparato.

Al posto di fare la scalata degli incarichi di malgoverno o di convertirci in una brutta copia di chi ci umilia e opprime, la nostra intelligenza e il nostro sapere si sono dedicati alla nostra stessa crescita e forza.

Grazie alle sorelle, fratelli e fratellei del Messico e del mondo che hanno partecipato agli incontri e semenzai che abbiamo convocato nel tempo, la nostra immaginazione e creatività, così come la nostra conoscenza, si sono aperte e si sono fatte più universali, cioè più umane. Abbiamo appreso a guardare, ascoltare e parlare con l’altro senza prenderci gioco, senza condannare, senza etichette. Abbiamo appreso che un sogno che non abbracci il mondo intero è un sogno piccolo.

Ciò che si rende noto ora ed è pubblico, è stato un lungo processo di riflessione e ricerca. Migliaia di assemblee comunitarie zapatiste, nelle montagne del sudest messicano, hanno pensato e ricercato strade, modi, tempi. Sfidando il disprezzo del potente, che ci taccia d’ignoranti e tonti, abbiamo usato l’intelligenza, la conoscenza e l’immaginazione.

Nominiamo qui i nuovi Centri di Resistenza Autonoma e Ribellione Zapatista (CRAREZ). Sono 11 Centri nuovi, più i cinque caracoles originari: 16. Oltre ai municipi autonomi originari, che sono 27, in totale i centri zapatisti sono 43.

Nome e ubicazione dei nuovi Caracoles e Marez:

 

1.-Nuovo Caracol, il suo nome: Colectivo el corazón de semillas rebeldes, memoria del Compañero Galeano. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: Pasos de la historia, por la vida de la humanidad. La sua sede è La Unión. Terra recuperata. A fianco dell’ejido San Quintín, dove c’è la guarnigione dell’esercito del malgoverno. Municipio ufficiale Ocosingo.

2.-Nuovo Municipio Autonomo, si chiama: Esperanza de la Humanidad; la sua sede è nell’ejido Santa María. Municipio ufficiale di Chicomuselo.

3.-Altro Nuovo Municipio Autonomo, si chiama: Ernesto Che Guevara. La sua sede è a El Belén. Municipio ufficiale di Motozintla.

4.-Nuovo Caracol, il suo nome: Espiral digno tejiendo los colores de la humanidad en memoria de l@s caídos. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: Semilla que florece con la conciencia de l@s que luchan por siempre.  La sua sede è a Tulan Ka’u, terra recuperata. Municipio ufficiale di Amatenango del Valle.

5.-Altro Caracol Nuovo. Il suo nome è: Floreciendo la semilla rebelde. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: Nuevo amanecer en resistencia y rebeldía por la vida y la humanidad. La sua sede è nel Poblado Patria Nueva, terra recuperata. Municipio ufficiale di Ocosingo.

6.-Nuovo Municipio Autonomo, si chiama: Sembrando conciencia para cosechar revoluciones por la vida. La sua sede è a Tulan Ka’u. Terra recuperata. Municipio ufficiale di Amatenango del Valle.

7.-Nuovo Caracol. Il suo nome è: En Honor a la memoria del Compañero Manuel. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: El pensamiento rebelde de los pueblos originarios. La sua sede è a Dolores Hidalgo. Terra recuperata. Municipio ufficiale di Ocosingo.

8.-Altro Nuovo Caracol. Il suo nome è: Resistencia y Rebeldía un Nuevo Horizonte. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: La luz que resplandece al mundo. La sua sede è nel Poblado Nuevo Jerusalén. Terra recuperata. Municipio ufficiale di Ocosingo.

9.-Nuovo Caracol, si chiama: Raíz de las Resistencias y Rebeldías por la humanidad. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: Corazón de nuestras vidas para el nuevo futuro. La sua sede è nell’ejido Jolj’a. Municipio ufficiale di Tila.

10.-Nuovo Municipio Autónomo, si chiama: 21 de Diciembre. La sua sede è alla Ranchería K’anal Hulub. Municipio ufficiale di Chilón.

11.-Nuovo Caracol, si chiama: Jacinto Canek. La sua Giunta di Buon Governo si chiama: Flor de nuestra palabra y luz de nuestros pueblos que refleja para todos. La sua sede è nella Comunidad del CIDECI-Unitierra. Municipio ufficiale di San Cristóbal de las Casas.

 

Approfittiamo per invitare la Sexta, le Reti, il CNI e le persone oneste affinché vengano e, insieme ai popoli zapatisti, partecipino alla costruzione dei CRAREZ, sia ottenendo materiali e sostegno economico, sia martellando, tagliando, caricando, orientando e convivendo con noi. O nella forma e nel modo che parrà loro conveniente. Nei prossimi giorni renderemo pubblico uno scritto in cui spieghiamo come, quando e dove si possono registrare per partecipare.

-*-

Fratelli e sorelle, compagne e compagni:

Convochiamo il CNI-CIG per incontrarci e conoscere il lavoro su cui ci siamo impegnati, condividere i problemi, le difficoltà, gli affanni, gli scoramenti, ma anche i semi che servano a raccogliere il meglio della lotta, e i semi che invece non danno buoni frutti, e che ci portano da tutt’altra parte, affinché lo evitiamo. Incontrarci con coloro che realmente ci stanno dando dentro nell’organizzare la lotta: incontriamoci per discutere dei buoni frutti e anche dei cattivi. In concreto vi proponiamo la realizzazione congiunta, in uno dei Caracoles, di ciò che potrebbe chiamarsi FORO IN DIFESA DEL TERRITORIO E DELLA MADRE TERRA, o come vi potrà sembrare meglio, aperto a tutte le persone, i gruppi, i collettivi e le organizzazioni che si impegnano in questa lotta per la vita. La data che vi proponiamo è nel mese di ottobre 2019, nei giorni che ritenete più convenienti. Allo stesso tempo, vi offriamo uno dei Caracoles per fare la riunione o assemblea del CNI-CIG, nella data che vi risulti più idonea.

Convochiamo LA SEXTA E LE RETI a iniziare già l’analisi e la discussione per la formazione di una Rete Internazionale di Resistenza e Ribellione, Polo, Nucleo, Federazione, Confederazione o quel che è, basata sull’indipendenza e autonomia di chi ne faccia parte, rinunciando esplicitamente a egemonizzare e omogeneizzare, nella quale la solidarietà e il mutuo sostegno siano incondizionati, si condividano le esperienze positive e negative della lotta di ciascuno, e si lavori alla diffusione delle storie in basso e a sinistra.

A tal fine, come zapatisti che siamo, convocheremo riunioni bilaterali con i gruppi, collettivi e organizzazioni che stanno lavorando nelle proprie geografie. Non faremo grandi riunioni. Nei prossimi giorni renderemo noto come, quando e dove si terranno queste riunioni bilaterali che vi proponiamo. Chiaro, a chi accetterà di farle, e tenendo in considerazione i vostri calendari e geografie.

Inviteremo CHI FA DELL’ARTE, LA SCIENZA E IL PENSIERO CRITICO LA PROPRIA VOCAZIONE E VITA a festival, incontri, semenzai, feste, scambi, o quel che saranno queste condivisioni. Faremo sapere come, quando e dove si potrebbero fare. Ciò include il CompArte e il Festival di Cinema “Puy ta Cuxlejaltic”, ma non solo. Pensiamo di fare CompArtes speciali per ciascuna Arte. Per esempio: Teatro, Danza, Arti Plastiche, Letteratura, Musica, eccetera. Si farà un’altra edizione del ConCiencias, magari iniziando dalle Scienze Sociali. Si realizzeranno semenzai di Pensiero Critico, magari cominciando col tema della Tormenta.

E, SPECIALMENTE, CHI CAMMINA CON DOLORE E RABBIA, CON RESISTENZA E RIBELLIONE, ED È PERSEGUITATOA:

Convocheremo incontri di familiari di assassinatei, scomparsei e incarceratei, così come organizzazioni, gruppi e collettivi che accompagnano il loro dolore, la loro rabbia e la loro ricerca di verità e giustizia. Avrà come unico obiettivo la conoscenza reciproca e lo scambio non solo dei dolori, ma anche e soprattutto delle loro esperienze in questa ricerca. Come popoli zapatisti ci limiteremo a essere anfitrioni.

Le compagne zapatiste convocheranno un nuovo Incontro di Donne che lottano, nei tempi, luoghi e modalità che decideranno, e vi faranno sapere quando e attraverso il mezzo di loro scelta. Vi avvisiamo fin da subito che sarà solo per donne, perciò non si possono rendere noti altri dati finché esse non lo diranno.

Vedremo se c’è il modo di realizzare una riunione di altrei, con l’obiettivo di condividere, oltre ai loro dolori, le ingiustizie, persecuzioni e altre fregature che subiscono, le loro forme di lotta e la loro forza. Come popoli zapatisti ci limiteremo a essere anfitrioni.

Vedremo se è possibile un incontro di gruppi, collettivi e organizzazioni in difesa dei Diritti Umani, nella forma e modalità che decideranno. Come popoli zapatisti ci limiteremo a essere anfitrioni.

-*-

Compagni e compagne, sorelle e fratelli

Qui stiamo, siamo zapatisti. Affinché ci vedessero, ci siamo coperti il volto; affinché ci nominassero, abbiamo negato il nostro nome; scommettiamo il presente per avere futuro, e per vivere, moriamo. Siamo zapatisti, in maggioranza indigeni di stirpe maya, e non ci vendiamo, non ci arrendiamo e non zoppichiamo.

Siamo ribellione e resistenza. Siamo una delle tante mazze che romperanno i muri, uno dei tanti venti che spazzeranno la terra, e uno dei tanti semi dai quali nasceranno altri mondi.

Siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Dalle montagne del Sudest Messicano
A nome degli uomini, delle donne, dei bambini e degli anziani basi d’appoggio zapatiste e del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Subcomandante Insurgente Moisés
Messico, Agosto 2019

 

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/17/comunicado-del-ccri-cg-del-ezln-y-rompimos-el-cerco-subcomandante-insurgente-moises/

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Ouverture:
La realtà come nemica

“Se la nostra epoca pensa così’», sembra dirsi a volte il mondo, «chi mai può spingerci in direzione contraria? Chi sono i politici, che ci devono obbedire? Chi i giudici, i cui errori sono obbligati a corrisponderci e compiacerci? Chi i giornalisti ed articolisti, le cui opinioni devono modellarsi sulle nostre? Chi i pensatori (…) che non ci servono? Chi i legislatori, che devono stabilire le leggi secondo i nostri dettami?»

Javier Marías. “Quando la società è il tiranno”. In “El País Semanal”, 13 maggio 2018 (*)

(*)(*) Non so se citare Javier Marías (i cui romanzi «Cuore così bianco» e «Domani nella battaglia pensa a me» diedero sollievo, a loro modo, all’insonnia della buonanima del SupMarcos nelle notti posteriori al tradimento del febbraio 1995), mi ponga dalla parte della «mafia del potere», dei conservatori e neoliberali. Dico questo, perché Javier Marías ha collaborato col giornale spagnolo “El País” e con la rivista messicana “Letras Libres”, perché è solito porre questioni con acutezza sulle evidenze che altri digeriscono senza neppure un gesto, e perché è intelligente e non può (né credo voglia) nasconderlo. Inoltre, ovvio, è monarchico perché è re, Xavier I, del Regno di Redonda, e membro della Reale Accademia Spagnola. Tutte queste sono ragioni sufficienti per etichettarlo come conservatore-neoliberale-nemico-del-popolo-e-della-sua-avanguardia-che-marcia-imperturbabile-alla-consumazione-della-storia, da parte dei nuovi commissari del pensiero di cui si soffre da queste parti.

(*)(*) Voi già sapete che a me frega tanto del «cosa diranno» e ho una reputazione da mantenere, così che l’ho pensato, profondamente e intensamente, durante una frazione di secondo. Con velocità vertiginosa, di fronte ai miei begli occhi sono passati hashtag, trending topic, like e dislike, dita medie, whatsappate, instagrammi, feisbuccacce, conferenze della mattina, colonne di giornale, articoli d’opinione, fritti e rifritti di etichette e condanne.

(*)(*) Ho pensato di aggiungere, a mia difesa, che ai libri di Javier Marías che la buonanima del SupMarcos portava in quei giorni fatidici facevano compagnia quelli di Manuel Vázquez Montalbán, e il “Perito en Lunas” di Miguel Hernández. Che Javier Marías tiene per (o teneva – il tifo per una squadra di calcio è come l’amore: è eterno… finché dura-) per il Real Madrid, Manuel Vázquez Montalbán al Barcellona, Benedetti al Nacional di Montevideo, Almudena Grandes al Atletico Madrid, Juan Villoro al Necaxa e io, con quello sciovinismo provinciale tanto di moda, tengo per Los Jaguares de Chiapas.
Già vedete: al posto di usare come riferimento il beisbol, ora sport ufficiale e ufficialista, opto per il calcio. Quindi aggiungete peccati alla mia condanna.

(*)Immagino che, al caricarsi nello zaino tali «armi» – si rumoreggia che includeva un’edizione bilingue dei Sonetti di Shakespeare, i due volumi de L’ingegnoso Idalgo Don Chisciotte della Mancia» e un assurdo dizionario francese-spagnolo-francese-, il defunto deve aver invidiato Guy Montag per aver trovato una libreria con testi foderati coi cervelli dei proscritti di Fahrenheit 451(Ray Bradbury, 1953). Dev’essere stato un sogno umido: al posto della truppa, comandare una biblioteca umana («Attenzione! Questo è l’ordine di battaglia: Eraclito, Joyce e Beckett seminano lo sconcerto nelle file nemiche; Saramago, Neruda e Gelman fiancheggiano dal lato sinistro, Vargas Llosa, Paz e Solženicyn dal destro, García Lorca, Wilde, Suor Juana e Woolf cambiano di posizione. Gli altri, a fare numero. Già sapete: se sono tanti, corriamo; se sono pochi, ci nascondiamo; e se non c’è davanti nessuno, avanti, che siamo nati per morire! Dubbi, domande, angustie, disaccordi, insulti o altro? No, Dylan, tu al tamburino.»)

(*)Qualche volta chiesi alla buonanima se realmente leggeva tutto ciò che si caricava. Mi rispose di no, che era perché, se lo avessero ammazzato, i suoi carnefici avrebbero avuto qualcosa con cui intrattenersi mentre agonizzava. Sì, lo so, quello humor nero del defunto non era ben visto… be’, non solo quello humor.

(*)Alla fine, vi dicevo che ero in dubbio se citare o no Javier Marías, al posto di Lenin, i Marx (Karl e Groucho), Malatesta, Trotsky, Mao, o, perso per perso, il Manuale di Materialismo Storico (il Poliestere*) (*Cfr.: comunicato del 24 maggio 1995, in cui si dice che Don Durito ha studiato materialismo dialettico sul manuale di poliestere, N.d.T.). E soppesavo i pro e i contro del farlo. Siccome non ho incontrato alcun pro, ma molti contro, mi sono deciso per citarlo, per ripagare così la mia popolarità tra gli intellettuali della IV T* (*Quarta trasformazione, N.d.T.). Devo chiarire che Javier Marías è innocente per questo attentato al politicamente corretto, perché non l’ho consultato. Spero che lui, se lo viene a sapere, saprà trovare la bontà per, come dicono da quelle parti, «non curarsi di me» con lo stesso gesto col quale si allontana un insetto inopportuno -che avrebbe ben potuto essere uno scarafaggio-.

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Se la modernità consiste nel fatto che, invece di prendere a pietrate quel che non si capisce (e, pertanto, è «differente»), ora si usano i tweet e i dislike: il mondo avanza. Dalla lapidazione al rogo, dal rogo alla forca, poi al muro, seguito dall’esilio e dai pogrom, poi i campi di concentramento, i villaggi strategici*(*Es.: i villaggi fortificati antiguerriglia in Vietnam, N.d.T.). Più recentemente i muri, la polizia migratoria, votre papiers, s´il vous plait.

Le reti sociali non bastano a «depurare» la nuova razza ariana assisa sul trono: l’ignoranza. Il sistema continua ad aver bisogno della violenza delle istituzioni statali per «completare» le razzie. Non so se l’avversione per il diverso fosse già nel DNA del Big Bang fondativo dell’universo, ma l’ignoranza ha sempre perseguitato e attaccato la conoscenza e la sua possibilità: l’intelligenza.

Se prima l’oscurantismo si trascinava alla velocità di carretti e galeoni, oggi naviga a yottabytes (un yottabyte = un 1 seguito da 24 zeri di bytes), e alla velocità della luce.

Si potrebbe dire che le reti hanno i governi che si meritano. Però perfino lì c’è resistenza e ribellione. Non manca chi non segue il pifferaio del trending topic e sceglie la riflessione, l’analisi, il dubbio, la messa in questione. Una minoranza messa all’angolo e oscurata da influencers e altrei cretinei che scoprono che anche la stupidità fa guadagnare fama e riconoscimento sociale. Ma il potenziale delle reti sociali è anche il loro limite: la fugacità toglie dalla visuale i punti focali d’attenzione e non è possibile fermarsi, se si vuole restare al passo. Il peggior nemico dello scandalo è lo scandalo che lo segue quasi immediatamente.

I mezzi di comunicazione tradizionale sono trascinati dall’ubriacatura virtuale. Quasi la totalità della stampa scritta non fa che riciclare ciò che è moda nelle reti, ma per quanto si sforzi continua a starle in scia. Continua a mancare una stampa che indaghi, provochi la riflessione, alimenti l’intelligenza e dia animo alla conoscenza.

A modo suo, e con potente tecnologia, il sistema combatte la realtà nel miglior modo: creandone una alternativa e attraendo verso di lei l’attenzione e l’energia della ggente. Si guardano e giudicano positivamente o negativamente i governi per la loro popolarità virtuale, non per le loro decisioni, né per le loro azioni, né per il modo col quale affrontano gli imprevisti. Così, i malgoverni trionfano nelle «benedette reti», sebbene la realtà vera si ostini a marciare verso l’abisso. La realtà virtuale copre con pudore il re nudo, e il tiranno si presenta come democratico, il reazionario come trasformatore, l’imbecille come intelligente e l’ignorante come saggio.

Ma non solo. Il sistema ha riscoperto che la persecuzione dei diversi ha seguaci. E motti e sentenze di personaggi come Trump, Bolsonaro, Macri, Moreno, López Obrador, Ortega, Piñera, Putin, Macron, Merkel, Tsipras, Johnson y ____ (mettere il nome di sua scelta) provocano ululati d’approvazione nelle reti sociali. Così si dettano sentenze e condanne che scandalizzerebbero chiunque con un minimo di decenza, e che non rimangono allo stadio di dichiarazioni. La polizia migratoria, i minutemen* nordamericani (*miliziani delle prime Colonie, N.d.T.) e la guardia nazionale messicana compiono la condanna dettata contro i migranti, e «i radicali di sinistra che, per me, non sono altro che conservatori» (amlo dixit), sono avvertiti dai sicari che spararono a Samir Flores Soberanes. E poi verrà la lavata di mani: Trump condannerà il massacro di El Paso, Texas, e López Obrador dirà, mentre discorre con gli imprenditori, che si indagherà sull’assassinio di Samir.

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No, non vi offenderemo dicendovi che ve l’avevamo detto (ma… ve l’avevamo detto).
Il serpente, libero dalla sua vecchia pelle, si stiracchia e si rallegra, si celebra e applaude sé stesso. E, poco a tanto, inizia l’abbraccio costrittore del pensiero unico. Che nessuno si opponga al potente. Che nessuno sfidi la sua onnipotenza sui media, le reti, l’accademia, il suo disprezzo per le arti e le scienze, il suo abile maneggio dei soldi, le sue benedizioni e maledizioni dal pulpito innalzato con la malta della menzogna, la simulazione, le minacce mantenute, gli attacchi virtuali e reali delle camicie-marroni-che-sparano-a-ossido. Che nessuno osi riconoscere la realtà come referente, – e non i seccati e seccanti sermoni e diatribe di chi si trova solo e soltanto sul palco-.

Oh, lo sappiamo. Confusione. Là sopra dichiarano che tutto va bene, e qua sotto che tutto va male, e che andrà anche peggio. Anche se ora qualsiasi pensiero critico, qualsiasi analisi scientifica, qualsiasi arte che rivela e ribella, ha dinanzi non la realtà, bensì l’etichetta di «destra», «conservatore», «reazionario», «fifì», o la possibilità che arrivi alle labbra dell’inquisitore o capoccia che, nella tenuta in cui soffriamo, distribuisce colpe e condanne.

E avete ragione: le comiche scenate di un Calderón, un Fox, di un PAN rancido, di un PRI che corrompe il medico forense perché posticipi l’atto di morte, un PRD che in qualche modo deve dimostrare d’esistere, e i pensatori che li accompagnano, sembrano ordite più che altro dal partito ufficiale, perché ottengono due cose.

Una è che danno materiale di facile confutazione a qualcuno che nemmeno sa dove stia al mondo. L’altra è che questo annulla qualsiasi critica, rilievo, osservazione che abbia a sostegno un’analisi rigorosa o documentata. Oltre al fatto, chiaramente, che ogni critica che venga non diciamo da sinistra, ma da settori progressisti e democratico-liberali, suoni come una nota in più nella falsa sinfonia del complotto e del «golpe blando» (il racconto di moda per fregare i fessi) dietro il quale si rifugia il supremo.

E voi vi aspettereste un po’ di serenità, più analisi e meno slogan da una parte e dall’altra. Ma non c’è e non ci sarà. Le destre che sono in lizza oggi, e che hanno lasciato spettatori la sinistra e il progressismo, sono in guerra. Gli uni per mantenersi al potere, gli altri per tornare al luogo privilegiato, al pulpito da cui si regna.

A chi credere?
Avete ragione: a nessuno.
Nemmeno alla realtà?
Guardate, ascoltate sentite, odorate, doletevi della vostra realtà.

Perché sì, lo sappiamo, piove dappertutto e sopra tutti. Almeno qua sotto. Forse qualcuno, qualcuna, qualcunoa, appena inizia a sentire le gocce fredde che gli pungono il corpo; ma per altrei, e non solo per i popoli originari, piove sul bagnato: saccheggi, ruberie, minacce, persecuzioni, carcere, sparizioni, stupri, colpi, morte… e, sì, a volte elemosine.

Una lista? E’ difficile, ma così su due piedi potrebbe essere:

.- Familiari di prigionierei, assassinatei, desaparecid@s, in cerca di verità e giustizia. E la domanda che sempre resterà senza risposta è perché? La grande assurdità del caos che distribuisce assenze, perché sì, per statistica, per tombola. Se la morte può essere terribile, il non sapere che è successo e perché, è fuori da ogni logica umana. E’ di una crudeltà che potrebbe essere macchinata solo da una mente umana.

.- Otroas, alla fine in stato di uguaglianza con donne di tutte le età, bambini, anziani, uomini, assassinatei e desaparecid@s – la morte e il limbo crudele della sparizione, uguagliando alla fine generi, razze, colori-.

.- Donne, sempre donne, colpite, violentate, scomparse, assassinate.

.- Popoli invasi con megaprogetti uno più stupido dell’altro, umiliati dalle elemosine che sono le stesse di prima, anche se sotto altro nome, e con identiche richieste: abbassa la testa, obbedisci, inginocchiati, umiliati, arrenditi, scompari. E l’arma del sicario «progressista» che uccide Samir Flores, pensando che così avrebbe ammazzato lui e la sua causa.

.- Giornalisti censurati con la minaccia, la corruzione, la gogna viruale e reale, la scomparsa, il carcere, l’omicidio.

.- Lavoratori e lavoratrici della campagna e della città, impiegatei che fino a ieri avevano un lavoro e oggi, o un altro giorno, sono senza impiego e coi debiti.

.- Medici e infermieri che chiedono al malatoa di portarsi da casa il gas, la siringa, la benda, la medicina, «perché non c’è e io posso solo dirle che morirà, cosa che in questi tempi è un vantaggio, vedrà. Ma guardi, le do una copia delle promesse governative. Sì, io le raccomanderei di ammalarsi l’anno che viene, magari».

.- Organizzazioni, gruppi, collettivi politici e sociali di sinistra dinanzi all’opzione: resa o persecuzione.

.- Gente qualsiasi, assaltata, vittima di estorsioni e sequestri, scomparsa, assassinata, spoliata di quel che ha guadagnato col suo lavoro, della sua libertà, della sua vita.

.- Scienziati senza fondi; Artisti e creativei senza luogo; Intellettuali che commettono il peccato di pensare -non esagerare caro, non è peccato pensare, bensì esprimerlo-. Tutto è neoliberista e fifì fino a che la loro affiliazione al Potere non venga accreditata nel modo dovuto. Il matinée* (*AMLO ha convocato decine di conferenze stampa alla mattina, N.d.T.) ammazza colonne, analisi, reportage, inchieste, conoscenze, intelligenza.

.- Migranti che cercano sogni americani e trovano incubi messicani che, con il sigillo della «Guardia Nazionale» cerca la turpe legittimazione del fatto che anche la crudeltà contro il diverso ha cittadinanza, col marchio dell’aquila che divora un serpente.

Se non appartenete a nessuna categoria di questa lista, né avete parenti, amicizie, conoscenze che rientrassero nelle suddette, allora non capisco che ci stia a fare a leggere questo… Ah! Ci è arrivato attraverso Google? Oh, Google e Youtube! «quanto insondabili sono i suoi giudizi e imperscrutabili le sue vie!» (Romani, capitolo 11, versetto 33, – sì, l’ho cercato su google… scusate, non ho potuto evitare la tentazione e, inoltre, oggi è di moda citare la Bibbia a piacere-).
(…)

Ancora qui? Va bene, affari suoi. Ma l’avverto che dovrà leggere.

E leggere, caroa mioa, è come fare l’amore: ci sono molte posizioni e molti modi, calendari e geografie, tecniche e tecnologie. Ma anche così, mancherà sempre un kamasutra della lettura.
Prontoa? Un caffè? Una soda? Acqua? Tabacco? Qualche sostanza lecita o no?
Via.

Ma prima, un po’ di immaginazione: un abbozzo di una realtà possibile. Dopo tutto, per le scienze (oggi sostituite dalla frivolezza delle pseudoscienze e dall’esoterismo «colto», il new age e il suo codazzo olistico come memorandum – il mio laboratorio per sala da yoga! -, il «like» come criterio di verità), sappiamo che la finzione non è che una realtà possibile.

Ora ditemi: E’ dura la pioggia che cadrà? Avete visto cadere la pioggia in un giorno di sole?

(Continua…)

Dalle montagne del Sudest Messicano

Il Sup Galeano

Che fa pratica col suo Ohmmmm per richiedere una borsa di studio al Conacyt* (*Consiglio Nazionale di Scienze e Tecnologie, N.d.T.).

Messico, agosto del 2019

Dal quaderno di appunti del Gatto-Cane:

.-Il tiranno aborre l’intelligenza. Non solo perché lo questiona e lo sfida, ma anche e soprattutto perché ne è privo e, essendogli inarrivabile, la proscrive e perseguita. Temete il Capo abile e scaltro, ma temete due volte l’ignorante, perché l’ignoranza rende disumani per consenso e schiavizza. E non sono poche le volte in cui la speranza ingenua non è che il camuffamento dell’ignoranza.

.- L’ignoranza avrà sempre più seguaci dell’intelligenza e della conoscenza. Non solo perché è più facile, ma anche perché l’ignoranza non passerà mai di moda e sarà sempre popolare e attraente.

.- L’ignoranza è più reperibile dell’intelligenza e della conoscenza, e più a buon mercato.

.- Il tiranno semina e coltiva l’ignoranza. L’ignorante avrà sempre bisogno di un pastore che lo guidi. Il tiranno, di un gregge che lo segua.

.- L’intelligenza è frutto quando ingrandisce con la conoscenza. E mai si sazia, nemmeno quando si abbevera nelle altre.

.- Con la conoscenza, l’intelligenza scopre che il tiranno non solo non è necessario, ma anche che è perituro. La sua data di scadenza è la stessa di quella della pazienza dello schiavo.

.- L’intelligenza non muore, non si arrende. Casomai si nasconde e aspetta il momento di convertirsi in scudo e arma. Nei villaggi zapatisti, nelle montagne del sudest messicano, l’intelligenza trasformata in conoscenza la chiamano anche «dignità».

In fede

Il Gatto-Cane senza documenti

Bau-Miao (o era al contrario?)

Messico, agosto 2019, comincia a piovere.

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

https://youtu.be/oGuHw931JpA

https://youtu.be/d6DmPQJRpns

https://youtu.be/ow2DKVYEP3s

https://youtu.be/LgRqr2XMEZs

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Adagio-Molto Allegro in mi minore: Una possibile realtà.
(dal Quaderno di Appunti del Gatto-Cane)

La pazzia è come la gravità, sai? basta una piccola spinta

El Guasón nel ruolo di Heath Ledger (o era il contrario?).

 

Nessuno sa scientificamente come tutto è iniziato. Compresi i Tercios Compas che si erano assunti il compito di ricostruire i fatti non sono stati in grado di determinare il momento e l’evento esatti in cui è cominciato ciò che ora vi racconterò.

 

Secondo una versione, fu il SupGaleano ha provocare tutto. Secondo altre, il SupGaleano lo ha solo iniziato ed è stato il Subcomandante Insurgente Moisés a proseguire e poi completare il tutto.

 

Il fatto è che il SupGaleano, in uno dei suoi testi, aveva fatto riferimento al fatto che nel febbraio del 2011 la giornalista Carmen Aristegui, in una puntata del suo programma, aveva chiesto se l’allora capo dell’esecutivo, Felipe Calderón Hinojosa, soffrisse di alcolismo, aggiungendo che la Nazione avrebbe dovuto essere informata sullo stato di salute del presidente. Per rappresaglia, la giornalista fu licenziata. Fino a qui, nessun problema. Così è stato e questo fatto è verificabile sulla stampa.

 

La disapprovazione è sorta dal fatto che il SupGaleano aggiunse qualcosa come: “La pazzia, come disse un incompreso conoscitore dell’animo umano, è come la gravità: hai bisogno solo di una spinta. Esercitare il Potere è quell’irresistibile spinta a cui là sopra tutti anelano e comincia con 3 semplici parole “qui comando io”. Se ti aspetti che qualcuno dei mezzi di comunicazione metta in discussione se l’attuale capo del governo federale sia in possesso delle sue facoltà mentali (come può accadere a chiunque, non ha detto “è pazzo”), siediti comod; perché nessuno oserà farlo”.

 

Il giorno dopo, in quel fascio di luce quasi divina che sono le conferenze mattutine del probabile demente, una persona della stampa osò domandargli che cosa pensasse di questo. L’interpellato rimase in silenzio, l’espressione facciale mostrava la sua collera e interruppe la conferenza stampa senza aver finito di spiegare perché obbedire ai mandati di Donald Trump avesse portato grandi benefici al paese. Non chiarì mai a quale paese si riferisse.

 

Secondo l’addetto alla Comunicazione Sociale della Presidenza, il capo (così disse) era indisposto a causa di una probabile congestione addominale dovuta a del cibo in cattivo stato.

 

Il mattino seguente, già rimessosi, il capo supremo (così lo annunciò l’addetto alla Comunicazione Sociale), disse che, per lui, coloro che si presentavano come di sinistra radicale non erano altro che radicali di destra che si nascondevano dietro un passamontagna e che mantenevano il loro movimento solo in 4 municipi dello stato messicano sudorientale del Chiapas, e questo grazie al sostegno economico che ricevevano dagli Illuminati; e che “il Marcos” (così disse) in realtà se ne stava in Francia. A Parigi, per l’esattezza, secondo le informazioni in suo possesso.

 

Il SupGaleano rispose con uno scritto dove descriveva Place Pigalle con una minuziosità che nemmeno la guida Michelin, segnalando il paradosso che il peccato originale stesse così vicino al Sacré-Coeur che incorona Montmartre, e si scusava di non fornire più dettagli poiché si stava dedicando al “mestiere più antico del mondo” (così disse) e doveva soddisfare la clientela. Alcuni dicono che il Sup allegava una foto in cui risaltavano le sue belle e ben tornite gambe. Nelle reti sociali della 4T si diceva che fossero fotoshoppate e che non fosse nemmeno coì bello “il faccia di calzino” (così dissero) – benché più di una, unoa, scaricò l’immagine nella cartella “non aprire in caso di mia morte” -.

 

Il mattino seguente, il leader massimo fece una leggera autocritica. Chiarì che non si trovava a Parigi (il Sup si capisce), bensì in Grecia, secondo i suoi dati. Sull’Isola di Lesbo per essere più precisi. Il SupGaleano rispose con un altro testo che descriveva le condizioni in cui i migranti illegali cercavano di entrare in Europa… fuggendo dalle guerre scatenate dai governi europei.

 

Un giorno ed una correzione in più nella conferenza stampa mattutina: “il subcommediante” (così disse il leader) in realtà stava, secondo i suoi dati, in Australia. A Sidney, sulla spiaggia Lady Bay Beach, per essere precisi.

 

Il Sup rispose con un poema ridicolo, presumibilmente di sua paternità, che in una parte recitava: l’ombra che si scioglie in mare / come se nella luce morisse / lontani e umidi i risvegli / presente la speranza asciutta… e con una foto che la decenza e le buone maniere mi impediscono di descrivere. Posso solo dire che il Sup indossava il passamontagna, il suo berretto e la pipa (non so se mi capite).

 

Il supremo, quella stessa sera, esplose e tuittò che la pazienza era colma (del Supremo, si capisce) e che aveva tutto il necessario per mettere ordine in “Chapas” (così scrisse) e farla finita con “le fandonie della faccia di gomitolo” (così disse). Su NOTIMEX corressero “in Chiapas”, e nelle reti sociali qualcuno tuittò timidamente: “Ma, non stava in Francia-Grecia-Australia?”.

 

In mattinata, l’illuminato se ne andò via: disse che lui, l’autentico, aveva la sacra missione di preservare il passo incontenibile della 4T e che “nel mio necessaire ho tutte le opzioni per riuscirci”. Su NOTIMEX corressero e nella trascrizione misero “sulla mia scrivania”.

 

Qui è dove dicono che intervenne il Subcomandante Insurgente Moisés che scrisse un breve comunicato che diceva solo: “Voi siete solo un mattone in più nel muro. Noi uno di moltissimi”.

 

Il capo supremo, leader massimo, che noi altri attendavamo (così disse il presentatore della conferenza stampa, anche se su NOTIMEX aggiunsero “e noi altre”), dichiarò che a lui non tremava il polso per mettere ordine nella sua repubblica (NOTIMEX corresse “nella nostra repubblica”).

 

Il Subcomandante Insurgente Moisés rispose con “Voi non siete che uno sputo nel mare della storia. Noi siamo il mare dei nostri sogni. Voi siete solo polvere nel vento. Ik O´tik (noi siamo vento)”.

 

Tutti concordano che questo fece esplodere tutto. Il supremo poteva essere più o meno tollerante, ma che si mettesse in discussione il suo ruolo nella Storia (maiuscolo) del mondo mondiale, era andare troppo oltre…

 

La Legge LEI.

 

Il Congresso, a stragrande maggioranza della 4T – alla quale si erano uniti con fervore patriottico il PVEM, il PAN, il PRI ed altri mini-partiti – approvò allora, in via urgente, la Legge di Esistenza Indesiderata (“LEI” la sigla). Benché l’esecutivo federale avesse inviato il progetto solo qualche minuto prima, i legislatori avevano subito capito che la legge LEI era un portento giuridico, una luce nell’oscurità, una guida che avrebbe portato il paese (non chiarirono mai a quale paese si riferissero) verso un futuro luminoso. Ergo, l’approvarono per acclamazione.

 

In uno dei suoi commi, e come conseguenza logica della legge che proibiva che qualcuno guadagnasse più del capo dello stato, si proibiva espressamente di essere più intelligente del supremo. Tutto quello che avesse un coefficiente intellettuale superiore a quello dell’amato leader, sarebbe stato confinato in una prigione o esiliato dal paese (non si è mai chiarito a quale paese si riferisse la legge LEI). Si dichiarò allora l’obbligo per tutta la popolazione di presentare un test di intelligenza per scoprire così i trasgressori. Il “coefficiente intellettuale” non doveva superare quello dell’amato, ammirato e mai ben considerato leader, per cui il 99,999 percento della popolazione sarebbe rimasto a livello di “esistenza indesiderata” a meno che…

 

La banda è banda e il quartiere è quartiere. Cosicché, su internet e tra le bancarelle degli ambulanti si poteva comprare una pillola che inibiva i processi cognitivi. “Non rischiare, vai sul sicuro. Bara, bara, tutto legale mio caro”, si leggeva o si sentiva nelle pubblicità. Non mancava chi rivendeva le copie del test, magari con un sovraprezzo per aggiungere le risposte sbagliate che assicurassero il proprio patrimonio. Si offrivano anche corsi propedeutici per presentare l’esame, dove si imparava come ottenere un giudizio basso.

 

Salvo una bambina di 6 anni che vomitò la pastiglia, tutti dimostrarono di non essere più intelligenti del supremo. La bambina fu confinata con la sua famiglia perché non si dicesse che il supremo separava i genitori dai figli. NOTIMEX aggiunse “e dalle figlie”.

 

In un altro comma, si proibiva l’ateismo, e l’agnosticismo si tollerava solo se non si manifestava “in pensieri, parole ed opere”. La popolazione atea dovette passare alla clandestinità, ma non per molto: qualcuno disse che l’ateismo può essere fanatico come qualunque religione. Cosicché l’Istituto delle Religioni Permesse (PRI la sigla in inglese) incorporò l’ateismo come un’altra religione. Benché molto sotto altre religioni (come la Luce del Mondo, etc.) ed ovviamente lontana dall’Amloísmo, questo fortunato sincretismo tra varie religioni ed Alfonso Reyes, che non era stato dichiarato “religione ufficiale” solo per sacro pudore e verginale cautela.

 

Quello che ha scatenato tutto, secondo alcuni, è stato il comma della legge LEI che si riferiva specificamente alla popolazione che apparteneva agli autodefiniti popoli originari, ma che erano conosciuti comunemente come “indigeni”, “indios”, “la indiada“, etc.

 

La legge obbligava i parlanti lingue strane (così diceva) a registrarsi e recarsi in un campo di concentramento in modo che non offendessero con la loro vista il resto della società, e facilitare così la consegna delle elemosine governative. Nel campo di concentramento, con previsione lodevole, erano state collocate succursali dei magazzini Elektra con incluse casse della Banca Azteca, in modo che il “cliente” riceveva “l’aiuto” e lì poteva spenderlo. Il supremo avrebbe così compiuto una delle sue promesse fondative: produrre consumatori degli articoli che, generosamente, Salinas Pliego offriva ai poveri. Le male lingue dicevano che queste attività non erano altro che la versione 4T delle tiendas de raya [negozi a credito di generi di base ubicati vicino alle fabbriche o ai campi dove operai o contadini erano obbligati a fare i loro acquisti – N.d.T.]

 

Com’era prevedibile, i popoli zapatisti si rifiutarono e si ostinarono ad offendere il rispettabile. Secondo alcune versioni, è qui dove il Subcomandante Insurgente Moisés rispose con una citazione del Jacinto Canek, di Ermilo Abreu Gómez:

 

“Ora si compiono le profezie di Nahua Pech, uno dei cinque profeti del tempo antico. I bianchi non si accontenteranno di quello che hanno, né di quanto vinto in guerra.

Vorranno anche la miseria del nostro cibo e la miseria della nostra casa.

Scateneranno il loro odio contro di noi

e ci obbligheranno a rifugiarci sui monti e nei luoghi nascosti.

Allora, come le formiche, strisceremo dietro i vermi e mangeremo cose cattive: radici, carogne, corvi, topi e cavallette.

Ed il marciume di questo cibo riempirà di rancore i nostri cuori

e verrà la guerra.”

 

Un intellettuale organico alla 4T ha scritto un lungo saggio nel supplemento che dirige per denunciare che l’opposizione zapatista ai disegni divini altro non era che calcoli strategici del “SupMarcos” (ha messo così), che pensava che il suo timing avrebbe colpito la marcia inesorabile, trionfante e dominatrice della 4T; e che l’ezetaellenne perdeva una grande opportunità perché, per la prima volta, si sarebbero riunite in un solo luogo tutte “le etnie ed i loro dialetti” (così scrisse). Laura Bozzo nella sua colonna scrisse che la risposta del Subcomandante Insurgente Moisés era l’ulteriore dimostrazione del settarismo dell’EZLN, che lo zapatismo faceva male ad isolarsi dai “poveri della terra” (così disse) e che il CNI ed il CIG dovevano, come mossa tattica, accettare la generosa offerta del governo ed approfittarne per studiare lì i suoi articoli… ed obbedire a quello che in essi si ordinava.

 

Nelle reti sociali pro 4T crearono l’hashtag #pinchesindioshijosdesalinas, anche se non è mai stato chiaro se si riferivano al Salinas cattivo (Salinas de Gortari, che non si nascondeva più dietro le gonne Chanel di Rosario Robles ed era in fuga sicura) o al Salinas buono (Salinas Pliego, che si arricchiva di banconote con le tessere di “Sembrando Vida”).

 

Il caso, o cosa, secondo, è che è arrivata la Guardia Nazionale “ad installare l’ordine ed il progresso che erano stati sfidati dai trasgressori della legge”. NOTIMEX aggiunse “e dalle trasgreditrici della legge”.

 

Nelle reti sociali, gli utenti seguaci della 4T si convocarono tra loro per unirsi alla campagna patriottica. Con l’ingegnoso hashtag #fuerazapatistademivista (si presume ideato da un influencer che produce telenovelas) invitavano a salire su ogni tipo di veicolo per dirigersi in Chiapas ed arruolarsi temporaneamente nella sempre gloriosa, eroica e potente Guardia Nazionale. Non è arrivato nessuno perché, come si lesse in un altro influencer: “una cosa è dover uscire in strada per caricare il cellulare, ed un’altra molto diversa è andare così lontano. ALV”. Il messaggio ha avuto 3 milioni di likes.

 

Brandendo le rilucenti armi donate dall’esercito nordamericano (il comandante del Comando Centrale dell’Operativo si era lamentato presso l’ambasciata perché erano obsolete. L’ambasciatore gli ha risposto: “Ma, se andate a combattere contro quattro fottuti indios”), la fiammante Guardia Nazionale – che fino ad allora si era dedicata solo ad estorcere migranti e scortare i camion di Sabritas, Bimbo e latte LALA – ha fatto la sua entrata trionfale nei “bastioni zapatisti”. NOTIMEX ha corretto: “nei covi dei peccatori”; e poi ha di nuovo corretto: “e delle peccatrici”.

 

Nel suo avanzare, la Guardia Nazionale trovava solo fumo. I popoli zapatisti erano ripiegati nelle montagne dopo aver dato fuoco alle loro capanne ed ai raccolti.

 

Il anche noto come “il Bambino Canún degli ecologisti”, famoso per il suo articolo “Il Tramonto della decenza accademica e lo splendore della ruffianeria” – che gli valse la sua entrata al gabinetto -, scrisse un articolo denunciando l’attentato contro l’ambiente provocato dalla stupidità zapatista. “È intollerabile”, ha scritto, “che le nostre gagliarde guardie debbano respirare quel fumo che, inoltre, macchia di fuliggine le loro fiammanti armi ed uniformi”.

 

Il Supremo fece congelare tutti i conti bancari delle ONG´s patrocinatrici dei diritti umani e promotrici di progetti perché, disse, “in realtà sono teste di ponte degli Illuminati“.

 

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas non chiuse le sue porte. Dalle comunità lontante giunsero uomini, donne e bambini, perfino di organizzazioni e villaggi rivali tra loro, portando galline, tortillas, mais, fagioli, verdure, frutta e perfino del posh nascosto tra il pellame di un agnello, oltre a coperte, bluse, naguas e pantaloni con così tanti colori da ubriacare la vista. “Los fraybas“, come li chiamano nelle comunità del Chiapas, non soffrirono né fame né freddo e perfino condivisero con altre ONG´s. Questo sì, tutt@ sono ingrassati.

 

La Sexta e le Reti non sono stati senza far niente. Si sono formate brigate, comandi e battaglioni per andare a combattere insieme agli zapatisti. Ma, siccome continuavano a fermarsi con i loro scalcinati veicoli, venivano continuamente fermati e portati in un campo di concentramento approntato in fretta e furia nello stadio di calcio “Víctor Manuel Reyna”, nella capitale chiapaneca.

 

Come ai vecchi tempi, si ritrovarono lì, insieme, comunisti ed anarchici e chi non era né l’uno né l’altro. Ci sono state frizioni e scambio di insulti e la cosa sarebbe passata al peggio se non fosse stato per loas otroas che calmarono gli animi. Come atto di disobbedienza, si organizzò un campionato di calcio (malgrado questo gioco del demonio fosse stato proscritto e solo il baseball era permesso). La coppa (che in realtà era un bicchiere di polistirolo con residui di caffè e decorato con i colori in tutte le lingue) fu vinta dalla squadra de loas otroas (cosa che avrebbe fatto molto piacere al defunto ed il defunto in procinto di esserlo). Le Guardie Nazionali che vigilavano ai margini li schernivano: “Uh, hanno vinto i femminucci e le maschiacce”. Le/i suddette/i sfidarono allora le Guardie ad una partita. Le Guardie accettarono subito. Nessuno sa come, ma, all’inizio dell’incontro, non c’erano le porte, erano state smantellate (supponiamo dagli altri prigionieri) e “i femminucci e le maschiacce” si allinearono ognunoa con in mano un pezzo di tubo. L’arbitro fuggì seguito dalle guardie che dimenticarono di chiudere il portone. Tutti, tutte e todoas uscirono. Ancora li stanno cercando.

 

A causa della globalizzazione, il fatto i propagò ad altre parti del pianeta. Cominciarono ad apparire zapatisti di tutti i colori, di tutti i generi e di tutte le lingue. Le onorevoli ambasciate della 4T in varie parti del mondo furono assediate e dovettero intervenire le forze di polizia dei diversi paesi nell’operazione internazionale chiamata “Fuck the zapatistas now”…

 

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69 volte 3 e 69 volte 6.

 

Il giorno dopo l’epica avanzata della Guardia Nazionale, apparve la notizia: “Il Subcomandante Moisés ed il SupGaleano sono stati abbattuti” (NOTIMEX corresse “ed il SupMarcos-Galeano”) e si mostrava la foto del cappello del Moisés ed il berretto e la pipa del suddetto Marcos-Galeano in una pozzanghera di quello che si supponeva fosse sangue.

 

Il sistema è il sistema, cosicché subito apparvero offerte per accaparrarsi il cappello, il berretto e la pipa e farsi un selfie con questi nel proprio giardino o nel parco più vicino, anche se qualche vaso di fiori poteva soddisfare l’obiettivo. Il kit Premium includeva una bottiglia di un liquido spesso di colore rosso. “Sembra sangue vero!” si pubblicizzava.

 

Il fatto è che tutti reclamavano di aver “comprato quei pezzi” (così dicevano) e nei luoghi più disparati. Lo stesso si diceva alla Realidad zapatista, alla Garrucha, ad Oventik, a Roberto Barrios, a Morelia. Ma questo solo all’inizio. Presto apparve chi rivendicava di aver abbattuto i due zapatisti in altre città. Alcune ore dopo, in altre parti del mondo. Perfino Donald Trump tuittò di averli eliminati personalmente mentre tentavano di attraversare la frontiera a El Paso, Texas. Putin non rimase indietro e rivendicava la stessa cosa ma in Chechenia. Daniel Ortega dichiarò che era stato nel quartiere di Monimbó e che “Chayito” (così disse) gli aveva dato il colpo di grazia.

 

Un giornalista della stampa fufa (un termine ideato dall’ingegnosità del supremo che si riferiva così alla stampa che non gli era del tutto favorevole, cioè né pro né contro, – i giornalisti della stampa fifí o erano in esilio, o in prigione al cimitero -), disse ad un altro: “Ho contato le morti “provate” di Marcos e Moisés e, oltre ai luoghi distanti chilometri uno dall’altro e che sono avvenute simultaneamente, c’è qualcosa di strano”. “Cosa c’è di strano?”, chiese l’altro. “Perché sono 69”, rispose il primo. “E?”, insistette l’altro. E il primo: “Perché questo numero lo usava il marchino come gioco di parole nei suoi comunicati. Mi sa che quei due devono essere morti, sì, ma dalle risate”. “Taci”, gli disse l’altro, “non dire niente perché potresti perdere qualcosa di più che il posto di lavoro”.

 

A Città del Messico, capitale della 4T, uno storico concludeva il suo ultimo libro con queste parole: “La prova che la Quarta Trasformazione avanza è che, come le sue 3 precedenti si costruisce sulla sconfitta degli indigeni”. Ed in un lampo di spontaneo genio aggiunse: “me canso ganso” [frase coniata dal comico messicano Germán Valdés, noto come Tin Tan, ed utilizzata dai messicani per dire di essere sicuri di qualcosa e sicuri di ottenere qualcosa. Espressione usata da Andrés Manuel López Obrador nel suo discorso di insediamento riferendosi alla questione energetica – N.d.T.]. Pazzo di gioia, corse dal suo amico, un burocrate progressista che lavorava nella casa editrice ufficiale e filogovernativa, per vedere se avrebbe pubblicato il suo libro. Il funzionario gli disse che non avrebbe dovuto nemmeno passare dalla revisione ma sarebbe andato direttamente in stampa, altrimenti a che servono gli amici? Ed aggiunse: “Senti, tu che te ne intendi, potresti raccomandarmi uno psichiatra? È che ricevo chiamate da un certo Elías Contreras, parla in un linguaggio strano e capisco solo una parola che ripete continuamente: culero“. L’insigne storico ufficiale della 4T gli disse di non preoccuparsi, che sicuramente si trattava di un bot, che al Governo avevano scoperto che i conservatori avevano “call centers” clandestini che operavano da satelliti degli Illuminati, e che così tentavano di mettere in difficoltà il funzionamento impeccabile dell’impeccabile macchina dell’impeccabile 4T.

 

Nel frattempo, in una zona residenziale della città di Palenque, Chiapas, il Gran Leader e Massimo Dirigente della Nazione, Visionario Condottiero del Veicolo della Storia, Amato Camerata, Illustre Guida, Paladino Conquistatore dei Cavalieri dello Zodiaco, Padre di Rhaegal, Protagonista delle Sette Storie, Spezza Catene, Re dei Primi Uomini, Signore dei 7 Regni e Protettore della Nazione (nessuno osava più chiamarlo col suo nome), mentre si ricaricava di energia cosmica, ricevette la notizia dalla bocca dell’addetto alla comunicazione sociale della presidenza: “hanno ammazzarono i due, il territorio che era nelle mani dei trasgressori della legge LEI, è stato conquistato”. Il leader supremo e gigante storico afferrò subito il suo cellulare modello dullphone (un dispositivo tecnologico costruito in particolare per non offendere il livello intellettuale del possessore) e, dopo un sguardo ispirato al cielo, tuittò: “le armi gloriose si sono coperte di Nazione“.

 

Nelle reti sociali ci fu un momento di sconcerto. All’agenzia di notizie governativa, NOTIMEX, il tuit originale fu “migliorato” e si rituittava “le armi nazionali si sono coperte di gloria” [frase scritta dal Generale Ignacio Zaragoza nel telegramma inviato al Presidente Benito Juárez il 5 maggio 1862 quando i soldati messicani, vestiti di stracci e male armati, sconfissero il potente esercito invasore francese N.d.T.]; ma le schermate sono una creazione dei nemici del vero cambiamento, cosicché qualcuna delle menti privilegiate e fortunate che si abbeverano delle virtù del supremo, elaborò questa logica: il meraviglioso ed insuperabile genio del portentoso dirigente era riuscito a trasformare anche la storia ed il linguaggio. Il tuit originale del gran pastore non era un errore, bensì un’illuminazione che dava alla semantica tradizionale qualcosa di fuori dal comune e la rivoluzionava. Le reti sociali esplosero all’unisono in canti e salmi.

 

Anche se non durò molto: l’hashtag #másvalepájaroenmanoquesientobonito rimpiazzò il patriottico #selasmetimosdobladapincheszapatistas come trending topic nazionale, e la vita proseguì, benché non così rapidamente quanto la distruzione e la morte.

 

Il Supremo usava trascorrere le vacanze nella sua proprietà a Palenque. Lì, lui e la sua famiglia usavano il treno che fece costruire e gli permetteva di andare nella sua terra nativa o in spiaggia, mentre dai finestrini distribuiva benedizioni e carte della Banca Azteca. Nelle reti, gli influencers della 4T chiarirono a suo tempo che questo non era male, che, per esempio, anche a Homero Adams e Sheldon Cooper piaceva giocare con i treni.

 

Nessuno più usava quel treno. I vicini al circolo vicino (astenersi dall’eco) dicevano che era per la sicurezza del grande dirigente. Le male lingue dicevano, invece, che quel treno era stato un fallimento dalla sua sola enunciazione.

 

Ancora fresca la notizia della sconfitta zapatista che si diffuse a catena nazionale, Alfonso Romo chiese parlare col Supremo. Gli espose un grave problema: IL PARTITO (tutto maiuscolo) correva il rischio di fratturarsi in vista delle prossime elezioni presidenziali. Era diviso perché Claudia e Ricardo volevano essere gli eletti, oltre ad altri che minacciavano di accodarsi. La situazione era così grave che richiedeva una mossa audace. Il supremo aspettò impazientemente il seguito. Alfonso Romo, accecato dalla luce che sprigionava dal Supremo, socchiuse gli occhi ed osò: “la rielezione”. “Nemmeno per sogno”, rispose il supremo, “questo sarebbe violare la costituzione”. Romo si prostrò e si scusò: “era solo un’idea”. Il supremo rimase in meditazione e disse: “anche se si riformasse la costituzione, il mio obbligo è rispettare la legge”. Un sorriso illuminò il viso di Romo che disse: “Certo, capo, lo faccio io”. “Ma con attenzione”, lo interruppe il supremo, “prima prova con un interinato o un periodo intermedio. Qualcosa come ‘suffragio effettivo, non rielezione immediata’. Se vedi che questo passa senza problemi, allora prova con qualcosa come “suffragio effettivo, non rielezione per più di 7 mandati consecutivi”.

 

La realtà, che non aveva studiato il Manuale Morale di Alfonso Reyes né assisteva alle conferenze stampa mattutine, continuò a presentare il conto. La tormenta crebbe.

 

Nel molto altro “territorio zapatista”, le cose non andarono bene per le forze di occupazione. In pochi giorni cominciarono le voci, le leggende macabre. Si diceva che nelle notti apparisse Xpakinté, una donna con un lungo e trasparente abito bianco, di pelle ed occhi chiari, che incantava le guardie e faceva che si uccidessero a vicenda (l’ultimo si era sparato al petto). Esseri indefiniti, vestiti solo di un grande cappello, facevano esplodere le macchine rendendole inservibili. Nelle albe una voce lontana ma intelligibile ripeteva “arriva, arriva, chi arriva?, arriva” con un ritmo che somigliava troppo alla canzone “La Carencia” dei musicisti pantheon, cosa che faceva impazzire nelle postazioni della Guardia Nazionale e tra gli ingegneri incaricati di progettare la ricostruzione di quello che avevano distrutto.

 

I quartieri e gli accampamenti della Guardia Nazionale, come gli uffici dei grandi consorzi edilizi, si svuotavano senza che nessuno tenesse il conto. Non si seppe mai quanti furono le diserzioni, un nuovo scandalo scosse la realtà di reti sociali e conferenze stampa mattutine e tutti, nel mondo di fuori, si dimenticarono delle mitiche montagne del sudest messicano.

 

Quello che seguì è stato documentato dai media liberi, alternativi, autonomi o come si chiamino: Prima isolati, poi riempendo i muri e le facciate dei quartieri marginali nelle città, e sugli edifici di legno delle comunità rurali, apparvero a lettere multicolori graffiti anonimi che recitavano: “Perché così seri?”.

 

Così fu la terza morte del Subcomandante Insurgente Moisés, e la sesta di chi fu il SupMarcos o SupGaleano o come si chiami. Quella volta morirono 69 volte.

 

I popoli zapatisti scesero dalle montagne. Nessuno capì come sopravvissero in quelle condizioni, benché si mormori che ricevettero cibo e indumenti dalle comunità del CNI. E, certo, strumenti musicali. All’arrivo nelle loro terre, gli zapatisti fecero quello che si fa sempre in questi casi: organizzarono un ballo e, con le note di marimba, tastiere, batterie, guitarrones e violini, le Xpakinté ed i Sombrerones ballarono “la del moño colorado”, ma con un nuovo ritornello, come un messaggio da un nuovo mondo all’altro che, lentamente e quasi senza far rumore, là sopra moriva.

 

E fu così che i morti di sempre tornarono a morire, ma ora per vivere.

-*-

Tutto questo è un mero esercizio di fantasia. Non può accadere… oppure sì?

 

(Continua…)

 

Da un angolo delle montagne del Sudest Messicano.

 

Guau-miau

Il Gatto-Cane che tira unghiate alla luna (qualcuno dovrebbe dirgli che così non la convincerà… oppure sì?).

Messico, Agosto 2019.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/13/adagio-allegro-molto-en-mi-menor-una-realidad-posible-tomado-del-cuaderno-de-apuntes-del-gato-perro/

Video:

https://youtu.be/fJ6svVjBaho

https://youtu.be/pc95OmIEhfM

https://youtu.be/y4CxfgMdGNE

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Entra in scena la spalla

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE
MESSICO

Agosto 2019

Buono, buono…

Sì… sì… prova…

Prova, uno, due, sì… prova…

“¿Hola, hola, hola, molto depresso?”

 

  Dalle… Un momento! il Sup sta citando i Nirvana in “smells like teen spirit”? Con questo, interpella una generazione? O si rivolge a chi lamenta di aver sostenuto quello che ora subisce? O vuole segnalare che è la versione di Kurt Cobain del “perché così seri?” di El Guasón? È una autocritica per quella cosa di “sono il peggiore in ciò che faccio meglio”? Un messaggio subliminale per il CompArte?

  Mmm… Forse da lì viene lo SKA. Eh? Non ancora ska? Rock and Roll ruspante?!! El Piporro con il classico della filmografia interstellare: “La nave dei mostri”! … Mmm… Adesso un riferimento incosciente al Puy Ta Cuxlejaltic? O si tratta di un saluto che sfidi il muro che, nell’Istmo messicano, il governo supremo vuole innalzare per separarci dalle genti del nord?

Naah, sicuramente è un’altra cosa. Sì, certo, il mago Alakazam:

Guardate, signore e signori e otroas.
Niente qui, niente là
… e, improvvisamente… zac:

(ri) appaiono i popoli zapatisti…

(Continua…)

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Il SupGaleano,
che fa da spalla al Subcomandante Insurgente Moisés mentre guida (il SupGaleano, s’intende), fast and furious, sull’autostrada per l’inferno, e “per questo dono mi sento benedetto”
Messico, Agosto 2019

Video:

https://youtu.be/hTWKbfoikeg

https://youtu.be/PTrdjzFpJRM

https://youtu.be/Dd68Iyq0UIU

Traduzione “Maribel” -Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/08/10/enter-el-telonero/

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AZIONE URGENTE – CENTRO DEI DIRITTI UMANI FRAY BARTOLOME DE LAS CASAS

Privazione Arbitraria della Vita di Filiberto Pérez Pérez durante un attacco armato.

Persiste il rischio di vita nelle comunità tsotsil degli Altos del Chiapas

28 luglio 2019. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba) esprime la sua preoccupazione per il rischio di vita in cui si trova la popolazione del popolo tsotsil delle comunità della zona di confine di Aldama-Chenalhó, Chiapas, Messico.

Il 27 luglio 2019 alle ore 13:00 circa, sono iniziati gli spari verso le comunità di Tabak, Coco’, San Pedro Cotzilnam, Baletik e Xuxchen del municipio di Aldama. Secondo le testimonianze l’aggressione proveniva dalla comunità da Santa Martha, Chenalhó.

Nell’attacco armato, Filiberto Pérez Pérez originario di Tabak, di 23 anni, ferito mentre svolgeva le onoranze funebri di un defunto, è poi deceduto alle ore 16:00.

Il 19 luglio, questo Centro dei Diritti Umani aveva informato il presidente della Repubblica messicano Andrés Manuel López Obrador del persistere della situazione di violenza nella regione, con l’obiettivo di prevenire atti irreparabili: “Il 17 luglio del presente anno si sono uditi colpi di arma da fuoco nella località nota come Aktik Il (due) ad Aldama nelle terre relative ai 60 ettari in disputa, questi spari provenivano da persone armate del municipio di Chenalhó”.

Di fronte ai molteplici fatti di violenza il Frayba ribadisce allo Stato messicano l’urgenza di far cessare la violenza nella regione degli Altos del Chiapas, per cui sollecitiamo:

Implementare misure necessarie, urgenti ed efficaci per proteggere la vita, la sicurezza e l’integrità personale dalla popolazione nelle comunità tsotsil che si trovano sul confine dei municipi di Aldama e Chenalhó, Chiapas.

Indagare, sanzionare, disarmare e disarticolare i gruppi armati di taglio paramilitare di Santa Martha, Manuel Utrilla, Chenalhó, responsabili diretti degli attacchi armati che dal 2016 provocano sfollamenti forzati di massa.

Indagare sulle azioni ed omissioni dei funzionari che sono stati complici ed hanno favorito la violenza generalizzata nella regione degli Altos del Chiapas.

Non lasciare nell’impunità la Privazione Arbitraria della Vita di Filiberto Pérez Pérez e le altre violazioni dei diritti umani provocate dall’inettitudine del governo del Chiapas.

Chiediamo alla solidarietà nazionale ed internazionale di firmare l’appello urgente alla pagina web del Frayba: https://bit.ly/2K0qYWG

https://frayba.org.mx/persiste-riesgo-a-la-vida-en-comunidades-tsotsiles-de-los-altos-de-chiapas/

 

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AMLO a Guadalupe Tepeyac

Luis Hernández Navarro

La comunità tojolabal di Guadalupe Tepeyac in Chiapas è emblematica. Non è casuale che sabato scorso il presidente Andrés Manuel López Obrador abbia inviato da lì un messaggio agli zapatisti. Davanti a circa 300 contadini, il mandatario ha espresso il suo rispetto ai ribelli e richiamato all’unità.

L’appello del Presidente avviene nel contesto di un incremento della militarizzazione nei territori zapatisti. Inoltre, l’arrivo del Presidente a Guadalupe Tepeyac era stato preceduto dall’arrivo di militari nella comunità. Già tre giorni prima erano aumentati i pattugliamenti per quantità e frequenza. I soldati erano entrati nell’ospedale a parlare con i lavoratori della struttura.

Secondo il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de las Casas, dalla fine del 2018 è raddoppiato il numero delle incursioni dell’Esercito nella sede del Caracol della Realidad, inclusi i sorvoli sulla comunità (https://chiapasbg.com/2019/05/03/aumenta-militarizzazione/https://bit.ly/2GTfvp3). Sono anche aumentate le azioni di gruppi paramilitari che uccidono e cacciano dai loro villaggi la popolazione (https://chiapasbg.com/2019/06/05/navarro-demoni-chiapanechi/https://bit.ly/2xz1Oas). Il Presidente nega che la denuncia del Bartolomé de las Casas sia certa.

Per comprendere il simbolismo di Guadalupe Tepeyac è necessario fare un po’ di storia. L’ejido rappresentava la speranza nella trasformazione pacifica e profonda del paese. Ma, in seguito, è diventato l’emblema del tradimento e della repressione del governo.

Dopo l’insurrezione dell’EZLN la comunità fu la capitale informale dei ribelli, simbolo della rivolta globale contro il neoliberismo. Era una specie di Mecca libertaria in cui arrivavano figure politiche per incontrare il comando ribelle. Come ha ricordato il Presidente, egli stesso andò lì anni fa per parlare col defunto subcomandante Marcos, oggi Galeano.

Situato nel municipio di Las Margaritas, l’ejido Guadalupe Tepeyac è stato fondato nel 1957. Quattro mesi prima dell’insurrezione del 1994, l’allora presidente Carlos Salinas, circondato senza saperlo da centinaia di zapatisti senza uniforme, inaugurò lì un ospedale per tentare di frenare, inutilmente, la sollevazione armata.

I suoi abitanti, emigrati che colonizzarono la selva, si presentarono al mondo durante la consegna del generale Absalón Castellanos Domínguez, il 16 febbraio 1994. A dicembre di quell’anno, l’EZLN lo ribattezzò San Pedro Michoacán.

A luglio del 1994 su quelle terre fu costruita una nave dipinta coi colori della speranza: il primo Aguascalientes. Circa 6 mila delegati di quasi tutto il paese nell’agosto di quell’anno tennero lì la Convenzione Nazionale Democratica (CND) convocata dagli zapatisti, una scommessa per transitare alla democrazia ed aprire sentieri alla pace.

La nave della CND tentò di navigare nelle acque della transizione pacifica. Tuttavia, naufragò il 9 febbraio 1995. Quel giorno, l’EZLN aspettava l’arrivo dell’allora segretario di Governo (oggi Ministro dell’Istruzione della 4T), Esteban Moctezuma, per proseguire con il processo di pace. A tradimento, invece del funzionario arrivarono migliaia di soldati per arrestare il subcomandante Marcos. Una delle richieste dei ribelli era di rifare le elezioni in Tabasco per riparare alla frode elettorale perpetrata contro Andrés Manuel López Obrador.

Il giorno dopo, l’Esercito entrò nell’ejido. Quindici minuti prima delle 10 del mattino i primi elicotteri militari sorvolavano Guadalupe Tepeyac. Prima quattro, poi venti. Molti degli uomini del villaggio erano fuggiti nella selva la notte precedente. L’ordine era di ripiegare.

Poco dopo arrivarono 2.500 soldati su circa 100 veicoli blindati e d’artiglieria appoggiati da elicotteri ed aerei. Due ore più tardi giunse il generale Ramón Arrieta Hurtado, capo della Sezione Paracadutisti e responsabile dell’operazione. Trovò un villaggio deserto con parte dei suoi abitanti rifugiati nell’ospedale.

Il 23 e 24 febbraio 1995 decine di militari sotto il comando del generale Guillermo Martínez Nolasco distrussero l’Aguascalientes. Nello stesso luogo fu eretto un quartiere militare rimasto in funzione fino al 20 aprile 2001. Guadalupe Tepeyac divenne allora l’incarnazione dell’ignominia. In risposta, gli zapatisti edificarono cinque Aguascalientes in altre regioni dello stato.

Da quale delle due Guadalupe Tepeyac il Presidente López Obrador ha inviato il suo messaggio all’EZLN? Dal simbolo della lotta emancipatrice o dall’emblema del tradimento governativo? Immaginiamo come sarebbe interpretato se Donald Trump lanciasse un messaggio di amicizia al Messico da Fort Alamo.

Nel suo discorso, il Presidente ha parlato delle due strade per trasformare il paese: quella pacifica-elettorale e quella armata, ed ha indicato l’EZLN come esempio della seconda. Certo, gli zapatisti si sono sollevati in armi e grazie a questo il paese ha rivolto la sua attenzione ai popoli indigeni. Tuttavia, da quando è stata dichiarata la tregua, benché i ribelli conservino le armi, non le hanno usate. Invece, si sono dedicati a costruire un’esperienza esemplare ed inedita di autogestione ed autonomia indigena. La determinazione non è artificio.

È importante che il Presidente parli direttamente all’EZLN. Ma non sembra sufficiente. Per distendere la relazione, si devono fare altri passi sostanziali nella corretta direzione.

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/07/09/opinion/017a1pol#

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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OBRADOR, UN ANNO DOPO

di Andrea Cegna

8 luglio 2019

Messico: un bilancio del governo che ha vinto con l’idea di cambiare tutto

Cosa sarà del governo di Andrés Manuel López Obrador in Messico sarà il tempo a dirlo. Ad un anno dal suo trionfo elettorale, il 1° luglio 2018, quando 30 milioni di persone l’hanno scelto come presidente, un pezzo del suo lavoro è realtà, non speculazione.

Non è una rivoluzione come in tanti speravano. La quarta trasformazione arranca tra promesse di uscita dal neoliberismo, la violenza che non si placa, e le pressioni di Trump da nord. Ma López Obrador resta uno dei presidenti più popolari della storia del paese, i suoi metodi di comunicazione e di “vicinanza” alla popolazione per ora pagano.

Il 1° luglio scorso, López Obrador è tornato alla Zócalo di Città del Messico. La piazza era gremita come il giorno del suo arrivo al potere, ma la composizione della piazza è cambiata. Non c’erano folte delegazioni indigene, ma c’era Carlos Slim. Un passaggio non da poco, e non solo a livello simbolico. I più poveri si allontanano e si avvicina uno degli uomini più ricchi del mondo. Una traiettoria netta che marca i primi mesi di AMLO (acronimo popolare di Andrés Manuel López Obrador) molto più delle parole, delle promesse e dei risultati.

Nel suo discorso dal palco il presidente ha ammesso senza mezzi termini che la violenza non è stata sconfitta, ma subito dopo ha promesso che entro dicembre (ovvero la conclusione del primo anno di governo) sarà la corruzione ad essere battuta.

Il passaggio mostra l’abilità comunicativa di AMLO e allo stesso tempo come alcuni dei punti cardine del suo mandato siano in grossa difficoltà.

Dal 1° dicembre 2018 sono già otto i giornalisti uccisi e il presidente non è stato in grado di dire nulla. Oltre a loro sono tanti e tante le attiviste sociali, soprattutto indigeni e contadini, a morire per mani misteriose o essere arrestati per le loro lotte, esattamente come succedeva prima di AMLO.

L’unico passaggio fatto per affrontare la violenza è stato stressare la costituzione e formare un nuovo gruppo armato, la Guardia Nazionale: corpo governato dall’esercito e sotto il diretto controllo dello stesso presidente.

Questo corpo armato dovrebbe sostituire la Polizia Federale per azioni contro i gruppi criminali, considerata troppo corrotta dallo stesso AMLO. Ma a chiedere di entrare in questo nuovo corpo sono stati per lo più ex membri della stessa federale. Se non bastasse, i primi compiti attributi alla Guardia Nazionale sono stati di controllo delle frontiere a sud. Ovvero al confine con il Guatemala.

Di fatto López Obrador davanti alle pressioni di Trump e alla minaccia di vedere il ritorno di dazi del 5% sull’esportazione dei prodotti Made in Mexico verso gli USA, ha deciso di reprimere fortemente i flussi migratori provenienti dal Centro America, e di accettare di trasformare il Messico in un grosso imbuto che permetta agli USA di controllare i flussi d’ingresso, di persone e beni.

In tutto questo il Messico prosegue nei suoi progetti di estrazione di materie prime e di grandi opere invasive. L’unica grande opera ad essere stoppata è stata la costruzione dell’aeroporto internazionale di Città del Messico. Sembra sempre più sicuro che non si farà nei territori resistenti di San Salvador Atenco, ma su un possedimento militare. Mentre la commissione governativa per la scomparsa dei 43 studenti di Ayotzinapa si è fermata subito dopo la sua istituzione ad inizio del mandato di López Obrador.

Per ora il Messico prosegue seguendo la linea degli ultimi anni. Se al governo, ora, c’è una persona che gode dei favori dei sondaggi e di una storia che lo rende lontano da una storia di governi corrotti e collusi con le ambiguità delle compromissioni tra stato ed economie legali e illegali, però non si vedono ancora scarti significativi nella linea del potere, come avevano predetto le donne e gli uomini dell’EZLN, e delle comunità autonome zapatiste. https://www.qcodemag.it/indice/interventi/obrador-un-anno-dopo/

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Messico un anno dopo: dov’è il “cambiamento”?

Bilancio di un anno di presidenza di Andrés Manuel López Obrador

di Christian Peverieri, Camilla Camilli

2 luglio 2019

Un anno fa il trionfo della speranza: al terzo tentativo Andres Manuel Lopez Obrador diventava presidente del Messico. Un’elezione storica per il paese, infatti, per la prima volta un candidato di sinistra metteva alla porta i due partiti tradizionali che finora si erano spartiti il potere, il vecchio partito-stato PRI e il suo braccio destro – in tutti i sensi – PAN. Oltre che storica, una vittoria schiacciante, con 30 milioni di messicani che, scegliendo AMLO, come è comunemente chiamato, sceglievano di porre fine al regime di terrore instaurato dai due predecessori, Felipe Calderón Hinojosa (PAN) ed Enrique Peña Nieto (PRI). Con lui, il paese sceglieva la speranza di un cambiamento: troppi 12 anni di guerra civile mascherata da guerra al narco, troppi 250 mila morti, troppi 40 mila desaparecidos, troppi 300 mila sfollati interni, troppa corruzione, troppa la violenza. Ma un anno dopo questa importante svolta, il Messico di AMLO rappresenta ancora la speranza di cambiamento?

Forse è troppo presto per dirlo (è passato solo un anno dalla vittoria elettorale e solo sette mesi dall’entrata ufficiale in carica), ma alcuni segnali di questi ultimi mesi sono allarmanti. Di seguito proveremo ad affrontare alcuni di questi segnali che negli ultimi mesi hanno fatto parlare del Messico anche oltre oceano.

La nuova militarizzazione dei territori per combattere la violenza

Come detto, i dodici anni di guerra civile hanno portato il paese al collasso e sono stati, molto probabilmente, uno dei motivi fondamentali per i quali i cittadini messicani hanno scelto Andres Manuel Lopez Obrador come presidente. Purtroppo, le notizie di questi mesi non hanno mostrato un paese che ha cambiato marcia, tutt’altro. E sono i dati a parlare: nel primo quadrimestre del 2019 sono avvenuti 11221 omicidi, il quadrimestre più violento degli ultimi 20 anni [1]. Non solo, nei primi sei mesi sono già 8 i giornalisti assassinati, uno in meno rispetto all’intero anno precedente. Sono 13 invece i leader comunitari o sociali caduti con violenza per la loro lotta a difesa dei territori [2]. La risposta del nuovo governo è stata quella di investire su una nuova militarizzazione dei territori con la creazione della Guardia Nacional, un corpo ibrido metà polizia e metà militare che secondo molti ha cambiato solo forma ma non la sostanza. L’obiettivo della riforma era costituire questo nuovo corpo di polizia che avesse delle basi più civili che militari dato che lo stesso AMLO in una dichiarazione di qualche mese fa considerava la Policia Federal come il peggior corpo di polizia del paese in quanto a violenza procurata e corruzione. La realtà tuttavia è ben altra cosa rispetto alle intenzioni (dichiarate) del presidente: i membri del nuovo corpo di polizia saranno gli stessi uomini della polizia federale, obbligati a cambiare uniforme pena il licenziamento [3]. Anche gli zapatisti, naturalmente, si sono opposti alla nuova Guardia Nacional, intravvedendo subito i potenziali problemi per le loro comunità: e infatti almeno tre caserme saranno posizionate proprio nei pressi dei territori ribelli e liberati dagli indigeni zapatisti (territori che hanno tra gli indici di violenza più bassi dell’intero paese ma che sono in prossimità dei confini e interessati da alcuni mega progetti), come hanno denunciato in recenti comunicati e come ribadito durante la “giornata per la vita e contro nuova militarizzazione dei territori autonomi” [4]. Resta quindi il paradosso per l’amministrazione López Obrador, di voler combattere la violenza facendo rimanere inalterate le possibili cause di questa violenza, una scommessa che difficilmente avrà un esito positivo.

Mega progetti e resistenza indigena

In campagna elettorale AMLO si è speso molto a fianco delle organizzazioni ambientaliste e indigene di difesa dei territori, tanto da assicurare che, una volta presidente, avrebbe fatto in modo di far terminare le politiche estrattiviste. E i presupposti erano anche buoni: già ad ottobre scorso AMLO ha assicurato che avrebbe proibito il fracking, ma proprio negli ultimi giorni si è diffusa la notizia di una nuova concessione data alla PEMEX per utilizzare la fratturazione idraulica per estrarre il petrolio [5]. AMLO ha ribadito che il Messico non utilizzerà più il fracking e ha anche “sospeso” tale concessione, ma al momento, a parte le parole del presidente, non esiste una legislazione che ne vieti l’utilizzo.

Il problema tuttavia non è solo il fracking. Sono infatti numerosi i mega progetti fatti approvare attraverso il ricorso alle consulte popolari (strumenti che favoriscono l’avvallo delle popolazioni ai mega progetti e allo stesso tempo a disinnescare la protesta e a criminalizzare chi contesta) tra i quali dobbiamo citare il Tren Maya, il Proyecto Integral Morelos e il corridoio nell’Istmo di Tehuantepec. Molti di questi progetti erano stati bloccati dalle precedenti amministrazioni per la forte opposizione locale incontrata ma ora, proprio grazie all’utilizzo delle consulte, hanno ricevuto l’approvazione popolare. Ciò che tiene uniti tutti questi progetti è una parola che forse dovremmo imparare a leggerla in termini negativi: sviluppo. Sviluppo del turismo per Yucatan e Chiapas con il Tren Maya, sviluppo dei commerci per il corridoio nell’Istmo di Tehuantepec (pensato per velocizzare la circolazione di materie prime tra gli oceani Atlantico e Pacifico e competere con il canale di Panama), sviluppo del Paese con la costruzione di due centrali termiche in Morelos nell’ambito del PIM (Proyecto Integral Morelos). Uno sviluppo che però porta con sé controindicazioni nefaste per l’ambiente e le popolazioni, quasi sempre indigene, che abitano i territori sede di questi mega progetti. In questi mesi AMLO ha usato spesso la retorica del trionfo, di un paese intero che lo segue e che appoggia le sue decisioni: in questa ottica dobbiamo vedere quindi la consegna del “bastón de mando” donatogli da alcune etnie indigene durante la cerimonia di inaugurazione del suo “sessennio”, come simbolo dell’appoggio del mondo indigeno al suo operato. In realtà non tutto il mondo indigeno appoggia il presidente e a trainare l’opposizione è il Congreso Nacional Indigena, di cui fa parte anche l’EZLN, che fin dal primo momento hanno dichiarato ferma opposizione ai mega progetti del presidente, in particolare del Tren Maya che attraversa alcuni territori autonomi zapatisti. Per gli indigeni quelli portati avanti dal presidente sono progetti di morte che andranno a incidere negativamente sulla vita delle popolazioni che abitano i territori, avvelenando le acque e distruggendo terreni agricoli fondamentali alla sussistenza di molte popolazioni indigene, sfruttando la popolazione con l’impiego di lavoratori a basso costo e in molti casi, costringendo le popolazioni a spostarsi per i danni provocati da progetti ed estrazioni. In Morelos, l’opposizione al PIM è costata la vita all’attivista Samir Flores alcuni mesi fa, ucciso a colpi di arma da fuoco davanti alla porta di casa. AMLO in campagna elettorale aveva promesso la ferma opposizione al progetto per poi ritrattare una volta salito in carica. Analizzando tutti questi progetti [6] pare evidente che con questo nuovo governo non ci sarà la fine del neoliberismo come annunciato pomposamente qualche mese fa. Tutto fa credere che la logica predatoria del sistema estrattivista continuerà anche con AMLO e che le opposizioni saranno duramente represse.

La crisi migratoria e l’ingerenza statunitense

21.500. È il numero delle forze federali distribuite lungo la frontiera meridionale e settentrionale del Messico: un primo gruppo di 6.000 agenti della Guardia Nazionale sono stati inviati al confine con il Guatemala; altri 2 mila nelle zone di Chetumal, Quintana Roo, Tapachula e Chiapas oltre a 4.500 nell’Istmo di Tehuantepec. Mentre al confine nord sono stati inviati altri 15 mila agenti [7].

Numeri che rappresentano il compromesso che il “nuovo” Messico di AMLO ha preso con gli Stati Uniti. Un accordo arrivato dopo un periodo di tensione in cui Trump ha più volte minacciato di imporre dazi sui prodotti esportati dallo stato messicano verso i vicini del nord – mossa che avrebbe indebolito la già fragile economia messicana – se non fosse riuscito ad arginare l’avanzata delle migliaia di centroamericani che in questi ultimi mesi si sono messi in cammino. Di fronte ad una crisi migratoria senza precedenti, con un sistema di accoglienza ormai al collasso, la soluzione adottata dal governo di AMLO è stata la militarizzazione del territorio, la caccia al migrante e la criminalizzazione degli attivisti, come successo a Cristóbal Sánchez e Irineo Mujica (attivista per i diritti dei migranti il primo e direttore della ONG Pueblo Sin Fronteras il secondo), arrestati con l’accusa di traffico di persona e successivamente rilasciati. Tale soluzione prevede di accogliere i migranti centroamericani mentre questi aspettano la risposta alla loro richiesta di asilo rivolta però agli Stati Uniti. Un piano per l’immigrazione che al suo interno prevede la garanzia all’accesso ai servizi educativi, sanitari e legali, oltre al rispetto e alla tutela dei diritti dei migranti. Ma la realtà sfortunatamente è un’altra: il clima di odio e discriminazione, già ben presente tra i cittadini messicani, è ulteriormente alimentato dalla diffusione di notizie false, mentre numerosi sono stati i casi di aggressioni da parte delle autorità messicane. Purtroppo si sono registrate anche alcune morti. Ultime, in ordine di tempo, quella del giovane padre morto insieme alla figlia di due anni nel tentativo di guadare il Rio Bravo e quella di una donna e dei suoi tre figli nello stato di Veracruz.

Una situazione, quindi, che rischia solo di portare ad un aumento degli abusi da parte delle autorità e da parte di coloro che vorrebbero trarre profitto da una situazione simile, mantenendo i migranti in una condizione di vulnerabilità e precarietà per il loro futuro. Dall’altra parte, fortunatamente, è costantemente attivo il sistema di accoglienza portato avanti dal basso dalle centinaia di attivisti e volontari che si sono mobilitati affinché queste carovane si potessero muovere in sicurezza e raggiungere il loro obiettivo. Un sistema che viene continuamente attaccato e criminalizzato, ma che il governo messicano dovrebbe imparare a coinvolgere nella stesura dei piani riguardanti l’immigrazione essendo l’unica pratica in campo che funziona.

Rivoluzione, quarta trasformazione o continuità?

Come si evince dai temi trattati l’amministrazione López Obrador presenta molteplici aspetti di continuità con le precedenti amministrazioni. I pur lodevoli richiami del presidente a tutte le istituzioni (in particolare a Guardia Nacional, polizia ed esercito) di rispettare i diritti umani, di favorire una crescita quanto più eguale, di rispettare e di valorizzare l’indigenismo e la salvaguardia dei territori, il continuo utilizzo della retorica della “quarta trasformazione”, la vendita dell’aereo presidenziale e l’apertura al pubblico del palazzo di Los Pinos (ex residenza presidenziale), come simbolo della fine dell’era della corruzione e della depravazione, come si è visto stonano con una realtà dei fatti che sembra andare controcorrente e promuovere invece violazioni dei diritti umani, sfruttamento dell’ambiente e degli indigeni (spesso i più poveri), continuando a favorire, in due parole, estrattivismo e violenza. Quello che spaventa è anche il dopo: abbiamo visto in Italia ma anche in molte esperienze progressiste in tutto il continente latinoamericano quanto i governi cosiddetti progressisti che hanno optato per politiche moderate, non solo abbiano pagato in termini di consenso ma hanno pure favorito la crescita di una “ultradestra” fascista e molto pericolosa che, una volta preso il sopravvento, non ha nessuna remora a schiacciare con ogni mezzo, legale o illegale (vedi il caso Lula in Brasile) ogni oppositore politico. Come dice lo scrittore Pino Cacucci [8] quella di Lopez Obrador non è una rivoluzione ma il tentativo di trasformare culturalmente il paese: «AMLO è stato eletto con un processo elettorale e sappiamo benissimo che non potrà mai fare una rivoluzione, ovviamente si procederà a piccoli passi senza sfidare troppo i poteri forti». Ma qual è il senso di questa strategia? Nel mentre AMLO si adopera per trasformare culturalmente il paese, alle frontiere i migranti vengono uccisi, torturati, fatti sparire e cacciati come animali; allo stesso tempo si permette che la logica estrattivista continui a produrre macerie. Il Messico è un paese dai mille volti e dalle mille possibilità che ci ha abituato nel corso della sua storia a sorprendenti novità, dire a cosa lascerà spazio la speranza che un anno fa ha trionfato è ancora presto e sebbene con molte nubi all’orizzonte è bene concedere ancora una possibilità, con molti dubbi e una certezza: per la rivoluzione guardiamo altrove. https://www.globalproject.info/it/mondi/messico-un-anno-dopo-dove-il-cambiamento/22097

 

[1] https://www.jornada.com.mx/2019/05/21/politica/007n3pol

[2] https://www.grieta.org.mx/index.php/2019/05/16/al-menos-20-asesinatos-de-lideres-comunitarios-desde-mayo-del-ano-pasado-a-este-11-de-estos-ocurrieron-en-el-2019/

[3] https://www.proceso.com.mx/589437/entre-condiciones-precarias-policias-federales-son-forzados-a-conformar-la-guardia-nacional

[4] https://www.globalproject.info/it/mondi/ezln-una-giornata-per-la-vita-contro-la-nuova-militarizzazione-dei-territori-autonomi/22049

[5] https://piedepagina.mx/otra-asignacion-con-fracking-para-pemex/

[6] https://roarmag.org/essays/amlo-in-office-from-megaprojects-to-militarization/

[7] http://www.laizquierdadiario.mx/Lopez-Obrador-despliega-21500-militares-contra-los-migrantes-en-las-fronteras

[8] https://www.linkiesta.it/it/article/2019/06/26/messico-amlo-obrador-libro-pino-cacucci/42659/

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Convocazione del CNI-CIG ed EZLN alla CAMPAGNA PER LA VITA, LA PACE E LA GIUSTIZIA NELLE MONTAGNE DI GUERRERO

Noi popoli, comunità, nazioni, collettivi, quartieri e tribù originarie che siamo il Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo, e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, invitiamo ad intraprendere le azioni necessarie per smantellare la guerra dei potenti contro la vita dell’umanità e dell’intero pianeta, in particolare l’accerchiamento paramilitare e la struttura che sostiene la violenza contro le nostre genti che, con dignità, siamo decisi a frenare e smantellare.

Per cui:

Considerando

  1. Che la guerra narco-paramilitare capitalista contro popoli e comunità membri del Congresso Nazionale Indigeno, con la complicità dei malgoverni e delle bande criminali, si espande su molte geografie di questo paese, pretendendo di imporre con il terrore lo sterminio della vita e la pace che noi difendiamo, per concretizzare i loro violenti progetti neoliberali.
  2. Che continua l’impunità del vile assassinio del nostro fratello Samir Flores Soberanes della comunità indigena nahua di Amilcingo, Morelos, così come le intenzioni dei ricchi padroni di realizzare la centrale termoelettrica criminale a Huexca, Morelos.
  3. Che il Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero – Emiliano Zapata, membri del CNI-CIG, invitano a rompere l’accerchiamento narco-paramilitare che organizzazioni criminali impongono nella regione della bassa montagna.
  4. Che questa aggressione permanente contro i nostri compagni sta generando una crisi umanitaria per le difficoltà di far entrare cibo e medicinali nella regione, la paura di coltivare la terra per il rischio di essere assassinati nei campi, e il non poter tenere aperte le scuole per timore di un possibile attacco contro le nostre figlie e figli.

INVITIAMO

Le reti di appoggio del Consiglio Indigeno di Governo, le reti di resistenza e disubbidienza, la Sexta Nazionale e Internazionale, le organizzazioni e reti dei diritti umani, la società civile cosciente e solidale, a partecipare alla

CAMPAGNA PER LA VITA, LA PACE E LA GIUSTIZIA NELLE MONTAGNE DI GUERRERO

che partirà dalla comunità indigena nahua di Amilcingo, Morelos, il 12 luglio 2019 per essere i giorni 13 e 14 luglio nella comunità di Acahuehuetlan, municipio di Chilapa, Guerrero.

Con questa iniziativa invitiamo a realizzare azioni parallele e simultanee negli spazi organizzati di tutte e tutti secondo le nostre capacità collettive per fermare la guerra capitalista contro i popoli di Guerrero, con i quali insieme romperemo l’accerchiamento imposto da gruppi criminali che, alleati coi malgoverni, vogliono distruggere il potere dal basso col terrore e la violenza, perché sanno che è lì dove saranno sconfitti.

Invitiamo a contribuire alla RACCOLTA DI GENERI ALIMENTARI, MEDICINALI E RISORSE ECONOMICHE CHE SI TIENE IN CALLE DR. CARMONA Y VALLE NO. 32, COLONIA DOCTORES, CITTÀ DEL MESSICO, DALLE ORE 10:00 ALLE ORE 17:00.

Nello stesso tempo invitiamo a fare donazioni sul conto corrente del Congresso Nazionale Indigeno INTESTATO A ALICIA CASTELLANOS GUERRERO, BBVA BANCOMER, NO. DI CONTO: 0471079107, CLAVE BANCARIA: 012540004710791072, SWIFT BCMRMXMM, ABA: 021000128, INVIANDO COPIA DEL VERSAMENTO CON NOME,TELEFONO O INDIRIZZO AL SEGUENTE INDIRIZZO DI POSTA ELETTRONICA: aliciac.2145@gmail.com indicando chiaramente che la donazione va indirizzata alle comunità del Concejo Indígena y Popular de Guerrero–Emiliano Zapata (CIPOG- EZ).

L’intero ricavato delle donazioni sarà gestito direttamente dal Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata (CIPOG – EZ) e distribuito secondo i suoi accordi collettivi.

Perciò, l’appello è per difendere la nostra vita ed esistenza collettiva, perché non solo resisteremo fino alla morte, ma ricostruiremo il mondo antico, quello presente e quello futuro che sconfiggerà questa offensiva contro la nostra esistenza, perché la vita del mondo, della nostra madre terra, di noi popoli indigeni non è negoziabile.

Distintamente

Per la ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai più un Messico senza di noi

 

Giugno 2019

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/06/12/convocatoria-del-cni-cig-y-el-ezln-a-la-campana-por-la-vida-la-paz-y-la-justicia-en-la-montana-de-guerrero/

 

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Intellettuali, organizzazioni e gruppi solidali nel mondo preoccupati per la crescente attività militare nelle comunità zapatiste.

18 giugno 2019. Intellettuali ed accademici del Messico e di altri paesi del mondo, insieme ad organizzazioni e gruppi solidali, firmano una lettera per chiedere al Governo del presidente Andrés Manuel López Obrador la sospensione della militarizzazione nei territori dove stanziano le comunità dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Nella missiva firmata, tra gli altri, da Noam Chomsky, dal sociologo Boaventura de Sousa Santos, da Juan Villoro, Eduardo Matos Moctezuma, Javier Sicilia, esprimono la loro preoccupazione per lo spiegamento militare nelle zone di influenza zapatista.

 

Lettera contro la militarizzazione delle zone indigene dell’EZLN

A coloro che ancora vogliono ascoltare.

Questo è un messaggio di preoccupazione per la vita, per la dignità. Noi, firmatari di questa lettera siamo preoccupati per quello che sta accadendo, di nuovo, in quell’angolo dimenticato del sudest messicano che è diventato il cuore della speranza e della ribellione, il Chiapas.

Questo non è un manifesto ideologico né una presa di posizione di fronte ai cambiamenti politici in atto in Messico, è un messaggio di genuina preoccupazione per quello che si avverte che si sta avvicinando in quel ‘sotto’ che dopo 25 anni, di 500 anni, continua a resistere allo sterminio e all’oblio. Ci preoccupiamo per quelli che per un quarto di secolo hanno lottato per la loro autonomia, che hanno posto la dignità al di sopra del pragmatismo politico, che sono stati un esempio di libertà in un mondo incatenato dalla paura, ci preoccupiamo per gli Zapatisti.

Ci preoccupa sapere della crescente attività militare nei territori delle comunità Zapatiste. Vediamo che in mezzo alla complessa situazione di sicurezza che si vive in Messico, la strada verso la militarizzazione del paese sta prendendo sempre più forza. È un segnale di allarme che, anche attraverso la strategia della molto discussa Guardia Nazionale, questa sia come è successo tante volte una forza di “sicurezza” che non distingue tra crimine e resistenza, tra crudeltà e degna disobbedienza. È contraddittorio che proprio quando i dati dello stesso Governo del Messico indicano che la zona Zapatista è di quelle con il più basso indice di criminalità, la strategia di sicurezza sia rivolta in maniera minacciosa a quelle zone che sono uno dei pochi santuari di libertà e sicurezza per il Messico del basso. Questa più che una strategia di sicurezza sembra una strategia di guerra.

Benché noi firmatari siamo un insieme di persone diverse che guardiamo l’amministrazione di Andrés Manuel López Obrador con speranza o scetticismo, tutti siamo persone che sogniamo un Mondo diverso, migliore. Noi che ci uniamo in queste parole, crediamo che un cambiamento in Messico non può avvenire sotto l’ombra del pragmatismo politico, cedendo alle pressioni che portano all’autoritarismo, all’abuso ed alla violenza a beneficio dell’1%, né con la denigrazione delle voci critiche che con la loro autenticità e concretezza si sono guadagnate il rispetto del mondo.

Vediamo un processo crescente di ostilità verso resistenze autentiche, storiche e legittime che si oppongono a progetti come il Treno Maya, il Corridoio Trans-Istmico ed il Plan Integral Morelos, tra gli altri. Ci preoccupano i recenti omicidi di componenti del Congresso Nazionale Indigeno e del Consiglio Indigeno di Governo. Ci preoccupa la possibilità che questa nuova amministrazione, come i suoi predecessori, liberali o conservatori, di nuovo porti i popoli indigeni sull’orlo dello sterminio.

Il mondo sta guardando con gli occhi e con il cuore quello che sta accadendo in Messico e in Chiapas.

Stop alla guerra contro gli Zapatisti ed i Popoli Indigeni del Messico!

FIRMATARI INTERNAZIONALI

Noam Chomsky, Arundhati Roy, Boaventura De Souza Santos, Raúl Zibechi, Yvon Le Bot, Michael Hardt, Oscar Olivera, Hugo Blanco Galdós, Jasmin Hristov, Joe Foweraker, Eric Toussaint, Michael Löwy, Carlos Taibo, Pedro Brieger, Manuel Rozental, Mauricio Acosta, Vilma Almendra, Nicolás Falcoff, Guillermina Acosta, Iosu Perales, Philippe Corcuff (profesor de ciencia politica, Lyon, Francia), Enzo Traverso (Susan and Barton Winokur Professor in the Humanities, Cornell University), Mikel Noval (Eusko Langileen Alkartasuna-Solidaridad de los Trabajadores Vascos – ELA), Manuel Gari Ramos (miembro de la Coordinadora Confederal de Anticapitalistas), Francisco Louçã (Economista, miembro del Consejo de Estado, Portugal), Leo Gabriel (Miembro del Consejo Internacional del Foro Social Mundial), Pierre Galand (Senador honorario, ex-secrétario general de Oxfam Belgica), Alberto Acosta (Ex-presidente de la Asamblea Constituyente, Ecuador), Miguel Urbán (eurodiputado), Raúl Camargo (ex diputado de la Asamblea de la Comunidad de Madrid), José María González “Kichi” (Alcalde de la ciudad de Cádiz), José Luis Cano (diputado del Parlamento de Andalucía), Marco Bersani (porta voz de ATTAC ITALIA), Tomas Astelarra (periodista, Argentina), Derly Constanza Cuetia Dagua (Indígena Nasa, Pueblos en Camino), Antonio Moscato (Universidad del Salento Lecce -Italia), Jaime Pastor (editor de Viento Sur), Aldo Zanchetta (periodista free lance Lucca -Italia), Miren Odriozola Uzcudun (País Vasco), Kepa Bilbao Ariztimuño (profesor), Rogério Haesbaert (geógrafo y profesor universidades Federal Fluminense y de Buenos Aires), Gilbert Achcar (Profesor en la SOAS, Universidad de Londres), Antonio Moscato (Italia), Virginia Vargas Valente (Perú), Rommy Arce (ex concejala del Ayuntamiento de Madrid), Josu Egireun (Redacción Viento Sur), Mariana Sanchez (sindicalista, Francia), Jorge Costa (diputado del Bloco de Esquerda en el parlamento de Portugal), Franck Gaudichaud (Catedrático, Universidad Toulouse Jean Jaurés, Francia / Miembro del colectivo editorial de Rebelion.org), Arturo Escobar (Prof de antropologia emerito, U de Carolina del Norte, Chapel Hill), Olga Luisa Salanueva (Directora Maestría en Sociología Jurídica UNLP, Argentina), José Murillo Mateos, Hilda Imas, Jorge Ignacio Smokvina, Hernan Parra Castro Presidente Comité Ejecutivo Nacional FENASIBANCOL, William Gaviria Ocampo Fiscal Comité Ejecutivo NACIONAL FENASIBANCOL, César Augusto Cárdenas Ávila Secretario General C.E.N. FENASIBANCOL, Detlef R. Kehrmann, Camille Chalmers (PAPDA – Haïti), José Angel Quintero Weir (Organización Wainjirawa para la Educación Propia-Venezuela), Vanda Ianowski (Docente Universidad Nacional del Comahue, Río Negro Argentina), Maria Adele Cozzi – camminardomandando (Italia), Luis Martínez Andrade (chercheur post-doctoral Collège d’études mondiales/Fondation Maison des Sciences de l’homme), Roberto Bugliani (Italia), Juanca Giles Macedo (Perú),

 

FIRMATARI MESSICO

Juan Villoro, Ely Guerra, Oscar Chávez, Francisco Barrios “El Mastuerzo”, Márgara Millán, Juan Carlos Rulfo, Jean Robert, Javier Sicilia, Luis de Tavira, Gilberto López y Rivas, Jorge Alonso, Paulina Fernández Christlieb, Eduardo Matos Moctezuma, Isolda Osorio, Raúl Delgado Wise, Alicia Castellanos Guerrero, Sylvia Marcos, Carolina Coppel, Mercedes Olivera (CESMECA-UNICACH), Carlos López Beltrán, Magdalena Gómez, Rosalva Aída Hernández, Bárbara Zamora, Beatriz Aurora, Néstor Quiñones, Fernanda Navarro, Alejando Varas, Raúl Romero (Sociólogo, UNAM), Marta De Cea, Servando Gajá, Rosa Albina Garavito Elías, Eduardo Almeida Acosta, Ma. Eugenia Sánchez Díaz de Rivera, Ana Lidya Flores Marín, John Holloway, Sergio Tischler, Fernando Matamoros, Gustavo Esteva, José Luis San Miguel, Lucía Linsalatta, Paulino Alvarado, Peter Joseph Winkel Ninteman, Isis Samaniego, Mayra I Terrones Medina (Posgrado en Desarrollo Rural, Profesora investigadora, UAM Xochimilco), Carolina Concepción González González (profesora-investigadora de la Universidad Autónoma de Baja California Sur), José Javier Contreras Vizcaino (Estudiante Doctorado en Sociología ICSyH-BUAP), Mayleth Alejandra Zamora Echegollen (Estudiante Doctorado en Sociología ICSyH-BUAP), Mayleth Echegollen Guzmán.- PROFRA-INVEST.- BUAP., Rene Olvera Salinas (profesor de la UPN y UAQ ,Querétaro, México)., Rogelio Regalado Mújica (Instituto de Ciencias Jurídicas de Puebla), Edgard Sánchez (miembro de la dirección del Partido Revolucionario de los Trabajadores), Karla Sánchez Félix (filósofa), Estefania Avalos Palacios (antropóloga), Francisco Javier Gómez Carpinteiro, Ana María Verá Smith, Rodolfo Suáres Molnar (UAM- Cuajimalpa), Álvaro J. Peláez Cedrés (UAM-Cuajimalpa), Mara Muñoz Galván (Observatorio de Justicia y Derechos Humanos de Mujeres y Niñas), Aline Zárate Santiago (Colectivo Liberación Ixtepecana), Alejandra Ramìrez Gaytán (Desempleada y en ocupación alternativa), Ita del Cielo (socióloga), Gabriela Di Lauro, David Rodríguez Altamirano, Byron Eduardo Lechuga Arriaga, Carolina Martínez de la Peña, María del Pilar Muñoz Lozano, Juan Jerónimo Lemus, Cecilia Zeledón, Ana Laura Suárez Lima, Lilia García Torres, Iliana Vázquez López, Silvia Coca, Katia Rodríguez, Pilar Salazar, Miguel López Girón, Rogelio Mascorro, Alexia Dosal, Edith González, Priscila Tercero, David Hernández, Roberto Giordano Longoni Martínez, Renata Carvajal Bretón, Beleguí Rasgado Malo, Mario Hernández Pedroza, Monserrat Rueda Becerril, Erika Sánchez Cruz, Jannú Ricardo Casanova Moreno, Marisol Delgado, Alejandro Gracida Rodríguez, Ariadna Flores Hernández, Tamara San Miguel y Eduardo Almeida Sánchez.

 

ORGANIZZAZIONI

Red Europa Zapatista, Confederación General del Trabajo (Estado Español), Unión syndicale Solidaires, Francia, TxiapasEKIN (Euskal Herria – País Vasco), Centro de Documentación sobre Zapatismo (CEDOZ) (Estado Español), Asamblea de Solidaridad con México (País Valencia, Estado Español), Humanrights – Chiapas (Zurich, Suiza), Comitato Chiapas “Maribel” (Bergamo, Italia), Y Retiemble! Espacio de apoyo al Congreso Nacional Indígena desde Madrid (Estado Español), Mutz vitz 13 (Marsella, Francia), Associació solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai (Barcelona-Catalunya), Adherentes a la sexta (Barcelona, Catalunya), Ya Basta! Moltitudia Roma” (Italia), Cooperazione Rebelde (Napoli, Italia), Espoir Chiapas – Esperanza Chiapas (Francia), Manchester Zapatista Collective (Reino Unido), ASSI (Acción Social Sindical Internacionalista), Pueblos en Camino (Colombia), La Insurgencia del Caracol (Argentina), FM La Tribu (Buenos Aires, Argentina), Radio El grito (Córdoba, Argentina), Red de Solidaridad con Chiapas de Buenos Aires (Argentina), Federación Nacional de Sindicatos Bancarios Colombianos “FENASIBANCOL” (Colombia), Red Contra la Represión y por la Solidaridad (México), Unidad Obrera y Socialista – ¡UNÍOS! (México), Unión de Vecinos y Damnificados “19 de septiembre” (México), Editorial Redez (México), Desarrollo y Aprendizaje Solidario (México), Colectivo Detonacción Puebla (México), Editorial En cortito que´s pa´largo (Querétaro, México), Unitierra Puebla (México), Universidad de la Tierra en Oaxaca (México), Centro de Encuentros y Diálogos Interculturales (México), Tianguis Alternativo de Puebla (México), Comisión Takachiualis de Derechos Humanos (México), y Nodo de Derechos Humanos (México)

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Luis Hernández Navarro: I demoni chiapanechi

Il corpo senza vita di Ignacio Pérez Girón è comparso a lato della strada Tuxtla Gutiérrez-San Cristóbal. Presentava segni di tortura. Due giorni prima, il 4 maggio scorso, la sua famiglia ne aveva denunciato la scomparsa.

Pérez Girón era sindaco del municipio indigeno di Aldama, negli Altos del Chiapas. Aveva 45 anni. Mesi prima, a gennaio 2019, aveva denunciato l’attacco armato alla comunità da parte di paramilitari.

Da febbraio 2018, i coloni di Aldama vivono un’autentica crisi umanitaria. Diverse comunità del municipio sono vittime costanti di attacchi armati da parte di gruppi paramilitari. Sono state assassinate 25 persone e ferite varie decine. Inoltre, più di 2 mila sono stati sfollate violentemente dalle proprie case e villaggi. Chi esce dalla sua proprietà per andare a lavorare, corre il pericolo di essere assassinato. Gli aggressori provengono dai villaggi di Santa Martha e Saklum, nel vicino municipio di Chenalhó.

In cinque diverse occasioni, Pérez Girón aveva chiesto al governo statale di installare tavoli di dialogo per disattivare il conflitto. Prima dell’assassinio, il giornalista di Rompeviento Tv, Ernesto Ledesma, in tre occasioni aveva interpellato il presidente Andrés Manuel López Obrador circa le aggressioni in questa regione. Dopo il crimine di Pérez Girón, è tornato a farlo. Dal luogo dei fatti ha realizzato di prima mano quattro reportage con molte testimonianze (https://bit.ly/2wesaOn). Né la presenza della polizia né militare hanno fermato gli attacchi. Chi è in possesso di armi ad uso esclusivo dell’Esercito si muove liberamente.

Il conflitto risale al 1977, quando il governo consegnò a Santa Martha 60 ettari di terra di proprietà di Aldama. Secondo la giunta di buon governo del caracol di Oventik, i tre livelli di governo passati e presenti sono responsabili della divisione, scontro, paura e rottura della vita comunitaria. Perché imbastirono accordi mai realizzati mettendolo ancora più legna sul fuoco per dividere le comunità.

La violenza in Aldama e Chalchihuitán è conseguenza della liberazione degli assassini materiali di Acteal. Il 22 dicembre 1997, ad Acteal, Chenalhó, furono giustiziati selvaggiamente dai paramilitari 45 tra uomini, donne e bambini mentre pregavano per la pace in una cappella (https://bit.ly/2ELb9A8). Malgrado fossero stati pienamente identificati dai parenti delle vittime, la Suprema Corte di Giustizia della Nazione liberò gli omicidi a partire dal 2009, adducendo che non c’era stato un giusto processo. I criminali non hanno mai consegnato le armi con le quali perpetrarono il massacro.

Il principale promotore della campagna per liberare gli assassini di Acteal è stato Hugo Eric Flores, legato alla teologia della prosperità neo-pentecostale, molto vicino agli inizi della sua corsa politica ad Ernesto Zedillo, presidente del Messico quando fu compiuto il massacro. Dirigente del partito Encuentro Social, attualmente è il superdelegato della Quarta Trasformazione nello stato di Morelos.

I paramilitari di Chenalhó che nell’ultimo anno hanno attaccato i coloni di Aldama sono gli stessi che hanno ucciso i membri di Las Abejas ad Acteal quasi 22 anni fa, o sono parenti dagli assassini. Rosa Pérez, l’ex presidentessa municipale di Chenalhó, figura chiave nella ripresa dei gruppi di civili armati, è parente di chi ha perpetrato il massacro. Abraham Cruz, fino a poco tempo fa tesoriere municipale, è figlio del pastore che benedisse le armi degli assassini.

Come hanno dichiarato gli sfollati di Aldama, Rosa Pérez ed Abraham Cruz, attuale sindaco di Chenalhó, hanno riorganizzato il gruppo paramilitare presente da anni in quel municipio, creato dall’Esercito (https://bit.ly/2Xle8q7).

Quanto successo a Chenalhó, Chalchiuitán ed Aldama non è un fatto isolato. Praticamente in tutti gli angoli della geografia chiapaneca vecchi e nuovi cacicchi (indigeni e meticci), si disputano il controllo del territorio per mezzo della violenza. Membri della comunità chol di San José El Bascán, nel municipio di Salto de Agua, sono a rischio di attacco armato e sgombero forzato.

Invece di servire a mettere in ordine ne demoni del paramilitarismo, la presenza dell’Esercito nello stato sembra essere concentrata nell’accerchiare e vessare i territori zapatisti. Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas ha rilevato che dalla fine del 2018 è raddoppiato il numero di incursioni dell’Esercito Messicano nella sede della giunta di buon governo, nel caracol della Realidad.

Lungi dall’affrontare i gruppi di potere locali, il governo statale guidato dal morenista Rutilio Escandón, li protegge. I figli e i nipoti della vecchia oligarchia finquera occupano ora posizioni chiave nell’amministrazione della Quarta Trasformazione chiapaneca. Il mandatario statale ed i suoi funzionari sono parte del problema, non della soluzione.

Il fantasma di Acteal si aggira nel territorio chiapaneco. I demoni sono liberi. Da sopra gli hanno aperto la porta.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/06/04/opinion/016a2pol#

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COMUNICATO DEL CNI-CIG E DELL’EZLN SULLA VIOLENZA SCATENATA CONTRO I POPOLI ORIGINARI

Ai popoli del mondo

Alle reti di appoggio al CIG

Alla Sexta nazionale ed internazionale

Ai mezzi di Comunicazione

 

Il passaggio del capitalismo neoliberale sta segnando i suoi passi col sangue dei nostri popoli, dove la guerra cresce perché non cediamo la nostra terra, la nostra cultura, la nostra pace ed organizzazione collettiva; perché non cediamo nella nostra resistenza né ci rassegniamo a morire.

Denunciamo il vile attacco perpetrato lo scorso 31 maggio contro la comunità indigena nahua di Zacualpan, a membri del Congresso Nazionale Indigeno nel municipio di Comala, Colima, nella quale un narco-paramilitare ha sparato con armi di grosso calibro contro un gruppo di giovani uccidendone uno e ferendone gravemente altri tre.

Di questi gravi fatti riteniamo responsabili i tre livelli del malgoverno che permettono a questi gruppi narco-paramilitari di agire nella regione, in particolare il direttore di pubblica sicurezza Javier Montes García. Esigiamo il pieno rispetto degli usi e costumi della comunità indigena nahua di Zacualpan.

Condanniamo l’aggressione e la distruzione avvenute all’alba del 31 maggio nelle località di Rebollero e Río Minas, appartenenti alla comunità binizza di San Pablo Cuatro Venados, nel municipio di Zachila, Oaxaca, per mano di un gruppo armato che con uso di violenza ha distrutto le case di decine di famiglie.

Un numeroso gruppo di persone è entrato nelle località sparando con armi di grosso calibro e, dopo aver sparato a lungo, con macchinario pesante ha abbattuto le case, costringendo le compagne ed i compagni, tra i quali molti minorenni, a fuggire e rifugiarsi in montagna.

Hanno abbattuto 24 abitazioni, bruciato mais ed altri cereali immagazzinati come sementi per la semina, hanno bruciato i beni personali della comunità come abiti e scarpe. Inoltre, hanno rubato bestiame, impianti di generazione di energia e serbatoi d’acqua.

Condanniamo la repressione ed i soprusi commessi contro i nostri compagni e compagne della comunità indigena otomí residente a Città del Messico che in maniera violenta sono stati sgomberati da gruppi di scontro al servizio del malgoverno e delle imprese immobiliari, insieme a centinaia di granaderos al servizio di Néstor Núñez, sindaco del Comune di Cuauhtémoc, lo scorso 30 maggio alle ore 11:00 dall’accampamento di via Londres No. 7, Col. Juárez, dove la comunità otomí vive in strutture provvisorie dal terremoto del 19 settembre 2017.

Condanniamo l’assedio narco-paramilitare che gruppi criminali, finanziati ed appoggiati dai tre livelli del malgoverno e da tutti i partiti politici, stringono intorno alle comunità del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG-EZ) nel municipio di Chilapa e José Joaquín de Herrera, che in autonomia e con la loro lotta costruiscono la pace.

Rivolgiamo un appello ai popoli del Messico e del mondo a vigilare ed essere solidali con la lotta delle genti di Guerrero, a rompere il cerchio che impone la violenza per l’appropriazione capitalista dei territori indigeni che limita l’ingresso di generi alimentari e medicine. Esortiamo a sostenere la raccolta di viveri da destinare alle comunità colpite, come mais, riso, fagioli, peperoncini in scatola, zucchero, sardine, tonno, carta da bagno, pannolini e medicine, nella sede di UNIOS, in via Dr. Carmona y Valle No. 32, colonia Doctores, a Città del Messico.

Ribadiamo che la nostra madre terra non è in vendita né al capitale né a nessuno, la nostra esistenza non si negozia e pertanto neppure la resistenza dei nostri popoli.

Distintamente
Giugno 2019
Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/06/04/comunicado-del-cni-cig-y-el-ezln-ante-la-violencia-desatada-contra-los-pueblos-originarios/

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Per la vita e contro la guerra nelle comunità zapatiste

Gilberto López y Rivas – La Jornada 31 maggio 2019

Oggi sul territorio nazionale, ed in altri paesi del mondo solidale (tra cui Francia, Spagna, Grecia e Stati Uniti), si svolge una giornata contro la militarizzazione dei territori e delle comunità zapatiste che è stata denunciata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e metodicamente analizzata dal Centro de Derechos humanos Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba).

Il Frayba, attraverso la documentazione fornita dalle Brigate Civili di Osservazione (BriCO), registra un aumento del 100% del numero di incursioni dell’Esercito Messicano, dei pattugliamenti terrestri e sorvoli di elicotteri a partire dal dicembre 2018 e conclude, con fondate ragioni, che questi atti di intimidazione e vessazione sono un’aggressione al loro diritto all’autonomia e rappresentano un rischio per la vita, l’integrità e la sicurezza di tutta la popolazione. Si è rilevato che i veicoli militari molte volte attraversano ad alta velocità le comunità senza preoccuparsi di persone, bambine e bambini, animali durante il passaggio. Inoltre, il Frayba ha registrato atti di spionaggio nell’accampamento di osservazione internazionale della Realidad che, ugualmente, minano l’integrità e la sicurezza di chi svolge il monitoraggio.

Questo processo di militarizzazione sta avvenendo anche attraverso l’aumento dell’attività dei gruppi paramilitari, come la Sedena, in una reinterpretazione della vecchia metafora di togliere l’acqua ai pesci rivoluzionari (isolarli dal popolo), contempla nei suoi manuali di contro-insurrezione, poiché nell’azione controrivoluzionaria dà migliori risultati introdurre pesci più arditi sul teatro di guerra. Ricordiamo il crimine di Stato di Acteal, o il lavoro che svolgono i sicari nei territori in resistenza per comprendere questo contributo metaforico dell’esercito messicano alla controinsurrezione mondiale.

L’EZLN nel comunicato [https://chiapasbg.com/2019/04/11/ezln-100-anni-emiliano-zapata/] che denuncia l’offensiva militare, segnala: “Pattugliamenti e sorvoli non seguono le rotte del narcotraffico, né quelle delle lente carovane delle sorelle e fratelli migranti che fuggono da una guerra che ci si rifiuta di chiamare col suo nome… per raggiungerne un’altra che si nasconde dietro un governo federale tutto chiacchiere e cialtroneria. No, questa minaccia di morte percorre per aria e terra le comunità indigene che vogliono mantenersi in resistenza e ribellione per difendere la terra, perché in lei sta la vita. Ora, inoltre, membri dell’Esercito Federale e dell’Aeronautica si addentrano nelle montagne e compaiono nelle comunità dicendo che sta arrivando la guerra e che stanno solo aspettando ordini ‘dall’alto’”. A questo punto la domanda d’obbligo è: “Chi sta dando gli ordini?”.

Nel resto del paese, la militarizzazione (e paramilitarizzazione) si concretizza da una parte, nell’avvio della Guardia Nazionale che costituisce la consegna, così legalizzata, della pubblica sicurezza ai soldati e, dall’altra, nel ruolo assegnato alla criminalità negli omicidi di dirigenti indigeni difensori del territorio e della Madre Terra e consiglieri del CNI-CIG, molti di loro comunicatori di radio comunitarie, come Samir Flores Soberanes, giustiziato 10 giorni dopo l’annuncio del proseguimento del Progetto Integrale Morelos.

Questo processo di militarizzazione e paramilitarizzazione dei territori zapatisti, o in resistenza anticapitalista, avviene senza che gli intellettuali organici alla Quarta Trasformazione si agitino, occupati come sono a scrivere epistole di sostegno incondizionato all’Esecutivo federale, o accettare portafogli chiave del gabinetto per l’eventuale conferimento dei permessi necessari per continuare con i megaprogetti di morte.

L’attuale crisi di civiltà globale scatena la radicale distruzione delle basi della vita. Tra le sue principali forme ci sono l’etnocidio, l’ecocidio o il capitalismo necropolitico. (Si veda l’eccezionale libro di Luis Arizmendi/Jorge Beinstein, Tiempos de Peligro: Estado de excepción y guerra mundial. UAZ-Plaza y Valdés Editori, Messico, 2018). Il pensiero critico contemporaneo si sta approfondendo nella denuncia delle nuove forme di distruzione che implica, necessariamente, riferire l’accumulazione per appropriazione di beni pubblici, di beni comuni e di beni generici (come i codici genetici o l’acqua) (Arizmendi, ibidem p. 20), fino ad arrivare alla politica di morte come fondamento di un’accelerata accumulazione basata sull’economia criminale.

Il processo di militarizzazione in Chiapas apre il pericolo di un nuovo Acteal. La smilitarizzazione, lo smantellamento dei gruppi paramilitari ed il rispetto delle comunità zapatiste, dei loro territori e dei loro processi di autonomia devono essere messi in pratica immediatamente. L’EZLN non è solo!

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/05/31/opinion/021a2pol

Foto: Daliri Oropeza

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Contralínea

La Guardia Nazionale e i territori zapatisti

di Zósimo Camacho

26 maggio 2019

Il dispiegamento militare in corso è il più grande nella storia del paese. Per il nuovo governo è assolutamente necessario. E non solo per il nuovo governo: per tutta l’oligarchia e la cosiddetta “classe politica” di tutti i colori dello spettro elettorale. La nuova Forza Armata è stata instaurata con la “storica” approvazione unanime di tutte le parti politiche rappresentate nel Parlamento federale. Anche le Camere dei 32 stati della Repubblica hanno dato il loro immediato avallo e così il presidente della Repubblica, Andrés Manuel López Obrador, lo scorso 26 marzo ha decretato la creazione della Guardia Nazionale.

Giovedì scorso, di nuovo e in maniera unanime, i legislatori federali (senatori e deputati) hanno concluso l’approvazione delle leggi che regolano la stessa Guardia Nazionale. Cioè, “c’è consenso” tra chi governa e chi contende il potere di dispiegare in tutto il territorio nazionale gli effettivi militari. E c’è consenso tra i poteri di fatto: le camere imprenditoriali, i consorzi mediatici, i gruppi finanziari e, tra gli altri, la gerarchia ecclesiastica hanno celebrato l’instaurazione della nuova Forza auspicando che, per il bene della nazione, abbia successo nella lotta al crimine e nell’instaurazione della pace.

Come abbiamo già detto in questo spazio, il confronto reale del governo di López Obrador non è con i suoi avversari panisti, priisti, perredisti, industriali, finanziari o ministri, magistrati e giudici del Potere Giudiziario. Esiste, ma sui fondamenti sapranno giungere ad accordi, come con il dispiegamento militare in tutta la Repubblica.

Bisogna riconoscere che la lotta alla corruzione non è da meno: genererà importanti frizioni tra alcuni gruppi che avevano abusato oscenamente delle risorse pubbliche. Solo un esempio: come ha rivelato Contralínea nella colonna Oficio de Papel, Televisa nella precedente legislatura ha ricevuto ufficialmente più di 9mila milioni di pesos per pubblicità governativa. A ciò bisogna sommare quanto incassato per altri “servizi” offerti al governo di Enrique Peña Nieto e, il colmo, la devoluzione milionaria – documentata da Reforma – di imposte all’impresa stessa ed altre del suo stesso gruppo, come la tv satelitare Sky ed il club di calcio professionista Águilas del América.

Certo è importante la lotta alla corruzione ma da sola non cambierà il rapporto tra sfruttatori e sfruttati. La Struttura che genera le disuguaglianze economiche sociali rimarrà intatta.

Per la creazione della Guardia Nazionale si è dovuto intervenire su 12 articoli della Costituzione Politica degli Stati Uniti Messicani. In sintesi, questa legge prevede che le persone si armino con il pretesto di preservare la propria sicurezza. L’Articolo 10 della Magna Carta messicana ora dice: “Gli abitanti degli Stati Uniti Messicani hanno diritto a possedere armi nel proprio domicilio, per la loro sicurezza e legittima difesa […].

Nella Costituzione e nei decreti attuativi si insiste che il nuovo corpo è di carattere poliziesco e civile. Ma negli articoli si stabilisce che queste truppe svolgeranno principalmente compliti di Polizia Militare e Polizia Navale. In misura minore, di quello che resta di Polizia Federale. Cioè, ieri erano militari ed oggi, ascritti alla Guardia Nazionale, sono civili. Come se un cambio di uniforme bastasse a trasformare un militare in un poliziotto. Inoltre, la norma autorizza il presidente della Repubblica a disporre dell’Esercito Messicano, dell’Armata del Messico e della Forza Aerea Messicana per svolgere compiti di pubblica sicurezza.

Stiamo parlando di un dispiegamento che è iniziato con 50mila effettivi e che arriverà a 110mila. E, come ha rimarcato Alfonso Durazo Montaño, segretario della Sicurezza e Protezione Civile, in questo compito, gli elementi non torneranno nei loro battaglioni dopo aver compiuto operativi. Rimarranno lì, nelle piazze, “a recuperare” il territorio nazionale.

Il comandante della Guardia è il generale di brigata Luis Rodríguez Bucio, esperto in intelligence e lotta al narcotraffico. Lo stato maggiore della nuova Forza si completa con un rappresentante dell’Esercito (il generale di brigata Xicoténcatl de Azolohua Núñez Márquez), una dell’Armata (il contrammiraglio di fanteria di marina, Gabriel García Chávez) ed uno della Polizia Federale (la commissaria generale Patricia Rosalinda Trujillo Mariel).

Il reporter José Réyez ha rivelato su Contralínea lo spiegamento che la Guardia Nazionale raggiungerà in 3 anni attraverso 266 distaccamenti in cui la nuova Forza ha suddiviso il paese. Di questi, 216 saranno a carico di militari della Segreteria della Difesa Nazionale (Sedena) e 34 della Segreteria della Marina (Semar). E solo 16 della Polizia Federale.

Tra i 266 distaccamenti dove si stanzierà la Guardia Nazionale si contemplano le comunità dei municipi autonomi zapatisti. Questa nuova Forza, per lo meno sulla carta, prevede di instaurarsi nel cuore del movimento zapatista e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Inoltre, dall’informazione si possono distinguere quali saranno i distaccamenti della Guardia Nazionale. Si tratta della “entità Chiapas 1” con quattro distaccamenti regionali. I quartieri saranno a San Cristóbal de Las Casas, dove il “coordinatore militare” è il colonello di fanteria Vicente Dimayuga Canales; Comitán de Domínguez, col colonello di cavalleria Carlos Alberto Rojas Martínez; Huehuetán, col generale di brigata Jaime Contreras Chávez, e Las Margaritas, a carico del colonello di fanteria Arturo Carrizales Huerta.

Anche la “entità Chiapas 2” conterà su quattro distaccamenti i cui “coordinatori militari” sono il colonello di fanteria Avigail Vargas Tirado, il tenente colonnello di fanteria Edilberto Jasso Godoy, il colonnello di fanteria Rodolfo Díaz Navarro ed il colonnello di Artiglieria Isaac Guzmán Rojas. I quartieri saranno ad Ocosingo, Palenque, Pichucalco e Bochil, rispettivamente.

L’accerchiamento militare intorno agli zapatisti si stringerà.

È stata creata anche la “entità Chiapas 3” nel Sud dello stato dove non ci sono comunità autonome zapatiste.

Nella regione ad influenza zapatista ci saranno più quartieri che in altre regioni con alti indici di violenza, malgrado nel documento stesso si dica che gli indici criminali nei territori autonomi sono tra i più bassi del paese.

López Obrador ha insistito che, come governante, non è né di sinistra né di destra, bensì “liberale”. La sua lotta è contro i “conservatori”, come nel XIX° secolo, quando le due grandi fazioni si disputavano il territorio. Al trionfo dei liberali si instaurò un governo forte che “recuperò” allo Stato liberale tutte le regioni.

Probabilmente, nella visione di López Obrador si devono “recuperare” tutti i territori. E non solo quelli che sono nelle mani della criminalità, ma quelli con le comunità antistemiche, lontane da quello che ritengono essere uno Stato borghese. Sembra proprio che la guerra in Chiapas non è finita.

Testo originale:https://www.contralinea.com.mx/archivo-revista/2019/05/26/la-guardia-nacional-y-los-territorios-zapatistas/

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STOP ALLA GUERRA NARCOPARAMILITARE CONTRO IL CIPOG-EZ

Comunicato urgente del CNI-CIG ed EZLN

Oggi, con indignazione e dolore denunciamo un nuovo e vile crimine contro i nostri compagni del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero – Emiliano Zapata (CIPOG-EZ).

Intorno alle 13:30 del 23 maggio, nelle vicinanze di Chilapa, Guerrero, i nostri compagni Bartolo Hilario Morales ed Isaías Xanteco Ahuejote, entrambi della Polizia Comunitaria nelle comunità nahua di Tula e Xicotlán, sono stati privati della libertà, il primo di loro era comandante, promotore del CIPOG-EZ ed entrambi membri del Congresso Nazionale Indigeno, e ieri 24 maggio sono stati ritrovati senza vita e squartati.

Questo crimine si somma al recente assassinio dei compagni Lucio Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, consigliere e delegato del CNI-CIG, per cui denunciamo la politica di terrore che i gruppi narco-paramilitari, con l’appoggio sfacciato dei tre livelli del malgoverno, stanno implementando contro i fratelli del CIPOG-EZ e in tutti i territori indigeni del Messico. Nel presente caso il colpevole di questo terribile crimine è il Gruppo Paz y Justicia, legato agli Ardillos, che gode della complicità dell’Esercito Federale.

I popoli, nazioni, tribù e comunità indigeni si oppongono non solo ai megaprogetti con i quali i padroni si appropriano della natura e della terra, ma anche contro la morte, la paura e la desolazione che i loro gruppi armati impongono in tutto il paese. Sia che vestano la camicia dei Rojos, degli Ardillos o delle forze repressive del malgoverno, il potere del denaro e la sete di profitto basati sulla sofferenza della gente li rende un tutt’uno. Costruire la pace e l’autonomia per le comunità di Chilapa e la regione è l’orizzonte per il quale lottavano i nostri fratelli assassinati dal capitalismo neoliberale.

Per questo i nostri compagni continuano a lottare, perché il loro seme germini nella determinazione dei popoli che, insieme alla nostra madre terra, non si arrendono, non si vendono né cedono nella battaglia per non sparire dalla storia tra la distruzione totale. La loro lotta, la loro parola e determinazione le faremo crescere nella coscienza collettiva di coloro che sognano e lottano per un mondo nuovo.

Esigiamo che cessi la repressione contro il CIPOG-EZ, giustizia per i nostri fratelli Bartolo Hilario Moraes, Isaías Xanteco Ahuejote, Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, giustizia per i popoli degni di Guerrero.

Distintamente

Maggio 2019

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai Più Un Messico senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/05/25/alto-a-la-guerra-narcoparamilitar-contra-el-cipog-ez-comunicado-urgente-del-cni-cig-y-el-ezln/

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 1994, la serie

@lhan55 Luis Hernández Navarro

I loro sogni divennero un incubo. Si addormentarono anelando di appartenere al primo mondo e si svegliarono come parte del terzo. Il 31 dicembre 1993 stapparono bottiglie di champagne per celebrare l’entrata del Messico, per mano del libero commercio, in una nuova era. Tuttavia, il 1º gennaio 1994 si svegliarono con i terribili postumi della sbornia: una ribellione indigena nel sudest messicano gli ricordò che il loro paese immaginario esisteva solo nelle loro fantasie.

La sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) bucò il palloncino dell’euforia in cui svolazzavano le élite economiche e politiche per l’avvio del trattato di libero commercio tra Messico, Stati Uniti e Canada. Il coraggio degli indigeni ribelli del sudest fece deragliare il treno del progetto di modernizzazione del presidente Carlos Salinas de Gortari che, fino a quel momento, sembrava imbattibile.

Inaspettatamente, centinaia di migliaia di cittadini uscirono per le strade ad esprimere la loro solidarietà con gli insorti e chiedere un’uscita pacifica dal conflitto. Le molte ingiurie provocate dall’esclusione e dall’autoritarismo trovarono il modo di rendersi visibili e tentare di articolarsi avvicinandosi ai ribelli chiapanechi.

A partire da quel momento, per il salinismo tutto si complicò. Luis Donaldo Colosio, il suo candidato alla Presidenza della Repubblica, fu assassinato. Mesi dopo, José Francisco Ruiz Massieu, segretario generale del PRI, fu giustiziato. Gli spilli dai quali pendeva il falso miracolo economico messicano, crollarono. Il pesos si svalutò e nella sua caduta trascinò alla bancarotta centinaia di migliaia di famiglie. Ernesto Zedillo, il candidato emergente che raccolse il testimone di Colosio, ucciso a Lomas Taurinas, tradì il processo di pace in Chiapas e lanciò un’offensiva poliziesco-militare contro gli zapatisti che sfociò in un fallimento. E, con l’aiuto del PAN, ruppe con Salinas e fece arrestare suo fratello.

Nonostante il tempo trascorso, continuiamo a subire gli effetti di quanto accadde allora. Con una precisa spiegazione della trascendenza della data, lo storico Francisco Pérez Arce battezzò il 1994 come l’anno che ci perseguita.

Oggi, a cinque lustri dalla effemeride, il giornalista Diego Osorno torna al 1994 per comporre un puzzle storico incompiuto. Lo fa con un documentario di cinque puntate di circa 50 minuti ognuna, distribuito da Netflix.

Scalzando la televisione ed il cinema, in Messico (ed in molte parti del mondo) Netflix si è trasformata in un architetto dell’immaginario delle classi medie, in formidabile dispositivo di elaborazione e diffusione di massa di racconti politici, storici e culturali. La piattaforma ha confezionato la narrazione dominante di temi molto diversi, come la biografia di Luis Miguel o la genealogia del narcotraffico in Colombia, Spagna e Messico. 1994 è la constatazione di questa tendenza.

Ma questo non significa che il documentario si adatti all’algoritmo di Netflix. In buona parte dei video che trasmette, la piattaforma segue un insieme prestabilito di istruzioni o regole ben definite e ordinate che permettono di portare a termine un’attività mediante passi successivi che non generino dubbi in chi debba fare detta attività. Nella stragrande maggioranza delle sue serie combina, praticamente come una formula, elementi di dramma, intrattenimento e suspense. Non è il caso di 1994. Il lavoro rompe con queste regole e vola sulle sue corde e con i suoi ritmi.

Osorno fissa l’assassinio di Luis Donaldo Colosio come l’asse centrale del suo racconto. Prescinde da una voce esterna. Elabora la sua narrazione come se fosse una tragedia greca, dove ci sono tre o quattro personaggi centrali che parlano tra sé, ed un grande coro che li accompagna. Benché queste figure non dialoghino faccia a faccia, dibattono a partire da ognuna delle caratteristiche specifiche di ciascuno.

Questi personaggi centrali sono, da campi contrapposti, l’ex presidente Salinas de Gortari ed il subcomandante Galeano (già Marcos). La voce di Colosio è ricostruita dalle testimonianze di tre suoi stretti collaboratori: Federico Arreola, Alfonso Durazo ed Agustín Basave. Siccome l’ex presidente Zedillo elude le telecamere, la sua versione dei fatti si sente a partire dalle interviste con José Luis Barros, Mario Luis Fuentes e Luis Téllez.

Questa sinfonia corale è accompagnata da un’enorme varietà di materiali video inediti o molto poco noti. La diversità e la ricchezza delle immagini sono una delizia cinematografica.

Lungi dal fare l’agiografia di Colosio, ora di moda a 25 anni dal suo assassinio, il documentario vuole presentare una visione ponderata dei suoi meriti come dirigente politico. “Colosio era un boy scout. E la classe politica non avrebbe permesso ad un boy scout di governare”, dice il subcomandante Galeano nell’intervista, dopo essersi scagliato contro Salinas.

L’uso del passato è un elemento chiave nella disputa per il presente. 1994, di Diego Osorno, apre una breccia nel discorso storico dominante che una parte del potere vuole costruire. Ci mostra che il passato non è più quello che era, e neppure ciò che qualcuno vuole che sia.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/05/21/opinion/014a2pol#

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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#EZLN   #JornadasPorLaVidaEZLNyCNI     #NosotrxsConElEZLN     #NosotrxsConElCNI 

1994: Carlos Salinas de Gortari invia tre quarti dell’esercito federale in Chiapas, bombarda indiscriminatamente le comunità indigene ed uccide civili ed insorti con il colpo di grazia.
1995: Ernesto Zedillo Ponce de León finge il dialogo mentre tenta di assassinare la Comandancia Generale dell’EZLN e crea gruppi paramilitari responsabili di massacri e sfollamenti.
2001: Vicente Fox Quesada, simula il ritiro di postazioni militari mentre ne rinforza altre.
2008: Felipe Calderón Hinojosa tenta di montare una provocazione con l’incursione dell’esercito federale nel Caracol della Garrucha.
2012: Durante il mandato de Enrique Peña Nieto le Giunte di Buon Governo diffondono centinaia di denunce di vessazioni, espropri e repressioni. In questo contesto, il 2 maggio 2014 il Maestro Galeano viene assassinato dai paramilitari.
2019: Con l’arrivo di Andrés Manuel López Obrador al governo federale, si incrementano pattugliamenti, sorvoli e la presenza militare.

Ogni sei anni la guerra contro le comunità indigene zapatiste ha avuto diversi nomi e volti, la classe politica ed i gruppi di potere passano, la resistenza e la ribellione perdura e fiorisce. Il lopezobradorismo sbaglia se pensa che le compagne ed i compagni zapatisti siano soli. I progetti capitalisti e neoliberali, come il Treno Maya, non passeranno.

#JornadasPorLaVidaEZLNyCNI #NosotrxsConElEZLN #NosotrxsConElCNI

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@lhan55 La morte interminabile

Luis Hernández Navarro

Tra il 2 e il 4 maggio sono stati assassinati tre attivisti indigeni. Il primo era Telésforo Santiago Enríquez, zapoteco di San Agustín Loxicha. Gli altri due, José Lucio Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, erano nahua di Guerrero. Sono gli ultimi di un macabro corollario di corpi senza vita di decine di attivisti sociali poveri, ambientalisti, educatori popolari e comunicatori legati a radio comunitarie.

Telésforo Santiago era maestro in pensione. Faceva parte della Coalizione dei Maestri e Promotori Indigeni di Oaxaca (Cmpio), un’associazione esemplare di insegnanti indigeni, in maggioranza di livello prescolare e primaria, che lavora nell’applicazione di progetti di formazione docente e programmi bilingue. Apparteneva alla delegazione sindacale D-I-211, della sezione 22 del Coordinamento Nazionale dei Lavoratori dell’Educazione (CNTE). Era Supervisore del Piano Pilota Miahuatlán. Dal 1987 sono stati assassinati otto professori della Cmpio.

Telésforo è stato un perseguitato politico del governatore Diódoro Carrasco. La regione dei Loxicha ha subito pesanti repressioni tra il 1996 e 1997. Più di 150 abitanti erano stati arrestati (molti torturati) accusati di appartenere all’EPR.

Il maestro Santiago Enríquez ha vissuto per qualche mese negli Stati Uniti. Probabilmente è lì che ha familiarizzato con le radio comunitarie. Nel suo paese natale San Agustín Loxicha ne aveva fondato una, Estéreo Cafetal La Voz Zapoteca, da cui si trasmettevano musiche della regione, canzoni di protesta, il ¡Venceremos! della Unidad Popular, o Celso Piña che interpretava Macondo, mentre parlava della devastazione ambientale, della politica energetica, della gastronomia locale, della difesa della terra e della lingua e del movimento magistrale. Competeva con un’altra stazione radio, La Tejonera, che trasmetteva musica arrecha della Costa e narcocorridos.

Nel 2008 gli abitanti di Loxicha sono riusciti a nominare le proprie autorità secondo i propri usi e costumi. Il 5 aprile 2016 a San Pedro Pochutla è stato ucciso il professor Baldomero Enríquez Santiago, ex prigioniero politico, attivista e candidato comunale. E, a novembre del 2017, la squadra alla quale apparteneva Telésforo ha vinto le elezioni comunali contro il cacicazgo di Óscar Valencia Ramírez, signore di forca e coltello.

Il maestro Telésforo avrebbe fatto parte del consiglio comunale che si eleggerà a San Agustín tra settembre e novembre prossimi. Lo scorso 2 maggio è stato ucciso con colpi d’arma da fuoco in faccia e nel collo. È uno dei tre professori assassinati in meno di 60 giorni nel distretto di Miahutlán.

Due giorni dopo, a Chilapa, Guerrero, a 775 chilometri da dove hanno ucciso Telésforo, hanno tolto la vita a José Lucio Bartolo Faustino e Modesto Verales Sebastián, promotori del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero Emiliano Zapata (Cipog-EZ). I due erano difensori dei loro territori e cultura, e costruttori dell’autonomia nelle proprie comunità. Nel Congresso Nazionale Indigeno (CNI) avevano partecipato alla formazione del Consiglio Indigeno di Governo (CIG) ed avevano coordinato la raccolta firme per Marichuy nella loro regione.

Il giorno del loro omicidio avevano partecipato ad una riunione a Chilpancingo, allo scopo di coordinare le mobilitazioni per chiedere ai diversi enti statali e federali la soluzione alle loro istanze sociali e politiche. Sulla strada di ritorno alla loro comunità sono stati intercettati da gruppi armati che li hanno inseguiti ed assassinati a Chilapa.

La Cipog-EZ si oppone ai gruppi narco-paramilitari Los Ardillos e Los Rojos che, con l’appoggio di autorità governative, poliziotti ed Esercito, fanno pressioni sulle comunità perché seminino mais rosso, come nella regione si chiama il papavero. Benché da anni denuncino queste vessazioni, le autorità fanno orecchie da mercante.

La Cipog-EZ è stata fondato nel 2008, molto vicina al Coordinamento Regionale delle Autorità Comunitarie dei Popoli Fondatori del Sistema Comunitario di Sicurezza e Giustizia. Le sue origini risalgono alla lotta dei popoli na savi, me’pháá, nahua e ñamnkué, che dal 1992 lottano per il diritto all’autonomia ed alla libera determinazione ed hanno creato il Consiglio Guerrerense 500 anni di Resistenza.

La Cipog-EZ promuove Radio Zapata 94.1 FM, spazio di riflessione in lingue indigene che trasmette musica della regione. Promuove inoltre la creazione di centri di conoscenza per la formazione politica, tecnica e culturale di promotori che fomentino il pensiero comunitario. Vuole essere un facilitatore dell’organizzazione e l’esercizio del diritto collettivo.

I centri di conoscenza sono una proposta educativa per risolvere collettivamente e in forma autogestita le loro istanze e necessità: sicurezza e giustizia, difesa del territorio, alimentazione, produzione e mercato interno, informazione, educazione e salute comunitaria. Per riscattare la loro cultura, la loro memoria e l’esperienza delle proprie comunità.

Purtroppo, questi crimini contro attivisti indigeni non sono gli unici commessi negli ultimi mesi nel paese. A Morelos è ancora oscuro l’omicidio dell’ambientalista e radiofonico Samir Flores. E, a Oaxaca, non ci sono progressi nei casi dei cinque omicidi contro integranti della Codedi e nelle tre esecuzioni di membri della Oidho, Ucio-EZ e Apiidtt.

Twitter: @lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/05/07/opinion/014a2pol#

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COMUNICATO DEL CNI-CIG E DELL’EZLN SUL VILE SEQUESTRO E SULL’UCCISIONE DEI COMPAGNI DEL CONSIGLIO INDIGENO E POPOLARE DI GUERRERO – EMILIANO ZAPATA.

Il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, con dolore e indignazione condannano il sequestro e l’uccisione del compagno consigliere nahua del Consiglio Indigeno di Governo José Lucio Bartolo Faustino e del delegato del Congresso Nazionale Indigeno Modesto Verales Sebastián, rispettivamente delle comunità indigene nahua di Xicotlán e Buenavista, entrambi promotori del Consiglio Indigeno e Popolare di Guerrero-Emiliano Zapata, organizzazione del CNI-CIG. Si tratta di un crimine commesso per mano di gruppi narco-paramilitari che operano nel municipio di Chilapa de Álvarez e che dispongono della protezione sfacciata dell’Esercito Federale Messicano, delle polizie statali e municipali.

Ieri, 4 maggio, verso le 15.00, i nostri compagni hanno partecipato a una riunione con altri membri del CIPOG-EZ nella città di Chilpancingo, Guerrero. Sulla strada di ritorno alle loro comunità sono stati sequestrati e assassinati da gruppi narco-paramilitari che operano nella regione con la complicità e la protezione dei tre livelli di mal governo che, con disprezzo e menzogne fingono di rispondere alle richieste di sicurezza e di giustizia delle comunità indigene che resistono e che hanno denunciato ripetutamente al governo federale l’impunità con cui il criminale Celso Ortega alimenta la violenza nelle comunità. È importante segnalare che i nostri compagni uccisi e le loro comunità organizzano da anni la propria Polizia Comunitaria per resistere alla violenza, all’estorsione e all’imposizione della semina di papavero da parte dei gruppi criminali, Los Ardillos e Los Rojos, che controllano le presidenze municipali della regione, con la complicità dell’Esercito Messicano e delle Polizie statali e municipali riuscendo persino ad imporre uno dei loro leader come presidente del Congresso dello stato di Guerrero.

Per questo vile crimine responsabilizziamo i tre livelli del mal governo, per essere complici della repressione nei confronti dell’organizzazione dei popoli in difesa dei propri territori; li responsabilizziamo anche per la sicurezza e la salvaguardia dei nostri fratelli del CIPOG-EZ.

Ai familiari e ai compagni di José Lucio Bartolo Faustino e di Modesto Verales Sebastián mandiamo l’abbraccio solidale del Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo e dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, come pure la nostra convinzione nel perseguire la via dell’autonomia e della dignità che loro, i nostri compagni che oggi vengono a mancare, ci indicano con la loro luce e il loro esempio.

Denunciamo l’incremento della repressione neoliberista contro i popoli, le nazioni e le tribù originarie che si oppongono ai progetti di morte nello stato di Guerrero e in tutto il Messico, denunciamo la violenza di cui si servono per imporli, per reprimere, sequestrare, far sparire e ammazzare chi di noi decide di seminare un mondo nuovo a partire dalle nostre geografie indigene.

Chiediamo verità e giustizia per i nostri compagni.

In fede

Maggio 2019

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai più un Messico senza di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione a cura di 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/05/05/comunicado-del-cni-cig-y-el-ezln-ante-el-cobarde-secuestro-y-asesinato-de-los-companeros-del-concejo-indigena-y-popular-de-guerrero-emiliano-zapata/

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Declaración final del encuentro de la Red Europazapatista.

Madrid, 30 de marzo del 2019

Después de volver de la celebración del 25 aniversario del inicio de la guerra contra el olvido y el Encuentro Internacional de Redes de Resistencia y Rebeldías y de apoyo al CIG celebrado en Chiapas, volvimos a ver la urgente necesidad de organizarnos y actuar aquí, en la Europa de abajo y a la izquierda. Es por ello que la Red Europa Zapatista nos convocamos los 30 y 31 de marzo para seguir tejiendo las redes de rebeldía y resistencia.

Como ya definieron las compas en La Sexta “el capitalismo de la globalización neoliberal se basa en la explotación, el despojo, el desprecio y la represión a los que no se dejan. O sea, igual que antes, pero ahora globalizado, mundial”.

Luchamos por un mundo sin fronteras, contra el capitalismo y el patriarcado.

Nos hemos organizado para trabajar en los siguientes frentes: BriCos, Acciones, Salud, Comunicación, Megaproyectos y Presas.

Desde aquí, podemos ver y decir que aún necesitamos organizarnos, compartir nuestras experiencias y actuar mejor. Y para comenzar, nos CONCENTRAMOS el sábado 30 de marzo de 2019, Madrid, Estado Español frente a la Embajada de México.

¡¡Ante el llamado de solidaridad de las y los zapatistas les decimos hoy que NO ESTÁN SOLAS!!

Hemos venido desde nuestros territorios, trayendo la voz de nuestras luchas y nuestras organizaciones, a acompañar la lucha por la vida y contra el despojo de nuestras compañeras y compañeros zapatistas.

Desde aquí, denunciamos que la autodenominada “Cuarta Transformación” del nuevo gobierno inició en 1982 con la llegada de Miguel de la Madrid y su proyecto de privatizaciones, se profundizó con Carlos Salinas de Gortari y la firma del Tratado Libre Comercio de América del Norte. Siguió su guerra de conquista con Ernesto Zedillo, Vicente Fox, Felipe Calderón y Enrique Peña Nieto; y ahora continúa con el proyecto transexenal.

El gobierno neoliberal que encabeza Andrés Manuel López Obrador tiene la vista puesta en los territorios de los pueblos originarios, donde con el Instituto Nacional de Pueblos Indígenas se tiende una red de cooptación y desorganización que abre el camino a una guerra que tiene nombre industrial, echa de proyectos y violencias que, con el crimen organizado, expanden una oscura telaraña en los pueblos originarios del país.

Reiteramos nuestra firme oposición a las políticas neoliberales de los viejos y los nuevos gobiernos, nuestra oposición a las consultas amañadas que no tienen otro fin más que el despojo de los territorios. Nuestra oposición a la minería, al represamiento de los ríos, a la construcción de autopistas, a la acelerada especulación inmobiliaria de las tierras, es decir, al modelo desarrollista centrado en los megaproyectos neoliberales de muerte como el Corredor Transísmico o el Tren Maya. También, el Proyecto Integral Morelos que consta de 2 termoeléctricas, gasoductos y acueductos que buscan despojar a los pueblos indígenas nahuas de los estados de Morelos, Puebla y Tlaxcala, de la tierra, el agua, la salud, la identidad y la vida campesina.

La fuerza del Estado mexicano y de las empresas Elecnor, Enagas, Abengoa, Bonatti, CFE, Nissan, Burlington, Saint Gobain, Continental, Bridgestone y muchas más, han impuesto este proyecto por medio de la violencia pública estatal, federal y el ejército. Infundiendo terror en los pueblos a través de la tortura, la amenaza, el encarcelamiento, la persecución judicial, el cierre de radios comunitarias, y ahora el asesinato de nuestro hermano Samir Flores en Amalcingo, Morelos.

Denunciamos la creación de la Guardia Nacional, organismo que profundiza la militarización del país.

Denunciamos también la guerra abierta en contra de la digna lucha de la comunidad indígena nahua de Santa María Ostula, Michoacán.

Exigimos:

– El respeto pleno a la autonomía del ejido Tila, en el estado de Chiapas.

– La cancelación del proyecto hidroeléctrico Coyolapa-Atzala y de la explotación minera en la Sierra Negra.

– La cancelación de las concesiones mineras que implican la destrucción de la Sierra Sur, en el Estado de Oaxaca.  En el territorio chontal por parte de la empresa Salamera, en la región de los Chimalapas, en el desierto de Wirikuta, San Luis Potosí y en todo el país.

– La cancelación del proyecto parque eólico conocido como Gunaa Sicarú, de la empresa francesa EDF, en más de 4 mil hectáreas pertenecientes a los terrenos comunales de la comunidad binnizá de Unión Hidalgo y rechazamos la consulta que el gobierno pretende realizar para obtener el “consentimiento” a la misma.

-La cancelación inmediata de los estudios de prospección que realizan los espeleólogos pertenecientes al PESH (Espeleológico Sistema Huautla) en cuevas y cavernas del pueblo mazateco de Huautla sin autorización del mismo.

– La presentación con vida de los 43 estudiantes de Ayotzinapa y justicia para los compañeros asesinados.

– La presentación con vida del compañero Sergio Rivera Hernández quien fue desaparecido desde el pasado 23 de agosto de 2018 por su lucha en contra de la minera Autlán en la Sierra Negra de Puebla.

Recordamos que el año 2018 fue el más sangriento para las mujeres mexicanas, 3,568 asesinadas en un año por el solo hecho de ser mujeres, por lo que exigimos un compromiso político del Estado con el combate a los feminicidios, así como la aplicación de la alerta de género en los 32 estados del país.

Compañeras zapatistas, nosotras, mujeres de la Red Europa Zapatista, desde nuestros colectivos y espacios en toda la otra Europa, estamos luchando en contra del sistema capitalista patriarcal y sus malos gobiernos.

Seguiremos luchando para que como bien lo escribieron “ni una sola mujer en cualquier rincón del mundo tenga miedo de ser mujer”.

Seguimos llevamos la pequeña luz que nos regalaron el 8 de marzo del 2018 y la convertimos en rabia, en coraje, en decisión. Esta luz, la seguimos llevando a las desaparecidas, a las asesinadas, a las presas, a las violadas, a las golpeadas, a las acosadas, a las violentadas de todas la formas, a la migrantes, a las explotadas, a las muertas, y les diremos a todas y cada una de ellas que no están solas, y que vamos a luchar por ellas, que vamos a luchar por la verdad y la justicia que merece su dolor y que nunca se vuelva a repetir. Estamos pendientes de lo que pueda ocurrir en sus tierras zapatistas. Y no dejaremos que se apague su luz tampoco.

Juntas acabaremos con el sistema capitalista patriarcal. Esto es un compromiso compañeras, lo vamos a lograr juntas y vamos a empezar a construir el mundo que merecemos y necesitamos.

Finalmente, queremos hacer una especial mención de solidaridad y apoyo a los Presos en lucha y en huelga de hambre en el Estado de Chiapas. Ayer, Miguel Peralta, otro compañero preso en Cuicatlán, Oaxaca, hizo una jornada de ayuno y solidaridad con los compañeros en lucha y huelga de hambre. Igualmente, los compañeros presos de Comitán han decidido coserse la boca como forma de denuncia a quienes les quieren robar la voz y la decisión.

Por la inmediata libertad de los presos en lucha, hasta que caigan los muros de las prisiones.

¡SAMIR VIVE, VIVE, LA LUCHA SIGUE, SIGUE!

Al Ejercito Zapatista de Liberación Nacional

Al Congreso Nacional Indígena

Al Concejo Indígena de Gobierno,

¡No están sol@s!

La Europa Zapatista, abajo y a la izquierda.

20ZLN, Italia

Adherentes a la Sexta Barcelona, Barcelona, Catalunya,Estado Español

Adhesiva, Barcelona, Catalunya

Asamblea de Solidaridad con México, País Valencià

Asamblea Libertaria Autoorganizada Paliacate Zapatista, Grecia

ASSI, Zaragoza

Centro de Documentación Zapatista (CEDOZ), Madrid, Estado Español.

Chiapasgruppa, Noruega

Colectivo Espiral de solidaridad Semilla de resistencia

Cooperazione Rebelde Napoli, Italia

Colectivo Espiral de Solidaridad – Semilla de Resistencia, Grecia

Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo, Italia

London Mexico Solidarity, Reino Unido

Gruppe B.A.S.T.A. Münster, Alemania

Red Ya-Basta-Netz, Alemania

Mut Vitz13, Marseille, Francia

Mut Vitz34, Montpellier, Francia

Solidarity group, Escocia,

TxiapasEkin, Euskal Herria

Union syndicale Solidaires / Fédération SUD éducation, Francia

¡Ya basta! Milano, Padova, Italia

Y Retiemble, Madrid, Estado Español

Confederación General del Trabajo, Estado Español

La Pirata

– Nodo Solidale Mexico

– Nodo Solidale Roma, Italia

– Collettivo Zapatista Lugano, Suiza

– Adherentxs Individuales

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Frayba

Chiapas: lo Stato Messicano incrementa la militarizzazione nei territori zapatisti

A 5 mesi del governo di Andrés Manuel López Obrador si intensifica la strategia contrainsurgente contro le Basi di Appoggio dell’EZLN.

A 5 anni dall’esecuzione extragiudiziale tuttora impunita di José Luis Solís López(1), maestro Galeano, durante un’aggressione al progetto autonomo zapatista nella comunità di La Realidad, lo Stato messicano riafferma la sua opzione per la guerra in una regione dove i Popoli Originari costruiscono la Vita Degna.

Da dicembre del 2018 lo Stato messicano ha incrementato la militarizzazione nei territori dei Popoli Originari Basi di Appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (BAEZLN) in particolare nella regione della Selva Lacandona(2) a continuazione della strategia contrainsurgente per erodere i progetti di autonomia in Chiapas, Messico.

Il Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas (Frayba), attraverso la documentazione fornita dalle Brigate Civili di Osservazione (BriCO) ha registrato che dalla fine del 2018 è raddoppiato il numero delle incursioni dell’Esercito messicano nella sede della Giunta di Buon Governo (JBG) Hacia la Esperanza, nel Caracol di La Realidad (Municipio ufficiale di Las Margaritas). Le BriCo hanno riferito di 19 pattugliamenti terrestri, (con soldati armati di mitra) e 5 sorvoli di elicotteri da gennaio ad aprile 2019. È preoccupante la regolarità dei sorvoli sulle comunità e l’aumento dei movimenti militari nell’ultimo mese(3).

Le incursioni militari costituiscono atti intimidatori e di minaccia contro i Popoli Originari zapatisti in resistenza, sono un’aggressione al loro diritto all’autonomia e rappresentano un rischio per la vita, l’integrità e la sicurezza di tutta la popolazione: “I veicoli militari molte volte passano ad alta velocità per le comunità, senza preoccuparsi delle persone, bambine e bambini o animali durante il loro passaggio”.

Inoltre, dall’inizio dell’anno ad oggi, il Frayba ha registrato due fatti di spionaggio contro le BriCo nell’accampamento di osservazione internazionale della Realidad. Questa azione colpisce l’integrità e la sicurezza personale di chi monitora le violazioni dei diritti umani nella regione ed il cui lavoro si basa sulla Dichiarazione Sul Diritto ed il Dovere degli Individui, i Gruppi e le Istituzioni di Promuovere e Proteggere Universalmente i Diritti Umani e le Libertà Fondamentali Universalmente Riconosciute, dell’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Il Frayba, con i dati raccolti dalle BriCo, conferma la denuncia pubblicata dall’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) nel comunicato del 10 aprile scorso: “Nelle nostre montagne e valli è aumentata la presenza militare, poliziesca, paramilitare e di spie, orecchie ed informatori. Sono riapparsi i sorvoli di aeroplani ed elicotteri militari ed il passaggio di veicoli blindati(4)“.

La militarizzazione che persiste con i nuovi governi federale di Andrés Manuel López Obrador e statale di Rutilio Escandón Cadenas, attenta contro la vita delle comunità dei Popoli Originari che in Chiapas difendono il loro diritto all’autonomia, all’autodeterminazione ed al territorio.

Bisogna ricordare che il 2 maggio 2014, durante la stessa azione in cui fu assassinato José Luis Solís López(5), membri della Central Independiente de Obreros Agrícolas y Campesinos-Histórica distrussero la scuola e la clinica autonoma e minacciarono di smantellare il Caracol Madre de los Caracoles del Mar de Nuestros Sueños. Il fatto fu un pretesto affinché la Segreteria della Difesa Nazionale intensificasse la militarizzazione, cosa che il Frayba segnalò come un atto di intimidazione(6), invece di perseguire la giustizia e trovare le misure per risolvere il conflitto in maniera civile e pacifica.

Per quanto sopra, rivolgiamo un appello alla solidarietà nazionale ed internazionale per rafforzare il cammino verso la pace ed il rispetto dei diritti umani di fronte al rischio di una nuova offensiva militare nei territori zapatisti.

 

San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico.

2 maggio 2019

Bollettino No. 7 https://frayba.org.mx/estado-mexicano-incrementa-militarizacion-a-territorios-zapatistas/

  1. Gli autori materiali del crimine sono stati liberati dopo un anno di carcere e quindi l’assassinio continua a restare impunito cinque anni dopo. Relazione: La Realidad, contexto e guerra, mayo 2015.
  2. Allegato 1: Presenza militare a La Realidad. Aprile 2018-aprile 2019. Documentación y archivo Frayba.
  3. Allegato 1: Incursioni militari a La Realidad. Aprile 2018-aprile 2019. Documentación y archivo Frayba.
  4. Messaggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale a 100 anni dall’assassinio del generale Emiliano Zapata. 10 aprile 2019.
  5. Gli autori materiali del crimine sono stati liberati dopo un anno di carcere e quindi l’assassinio continua a restare impunito cinque anni dopo. Relazione: La Realidad, contexto e guerra, mayo 2015.
  6. L’Esercito messicano minaccia la Giunta di Buon Governo Zapatista de La Realidad, 10 marzo 2015.

 

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La (impossibile) geometria del potere in Messico – 18 giugno 2005

Se Carlos Salinas de Gortari fu il governante esemplare esecutore della distruzione neoliberista in Messico, López Obrador vuole essere il paradigma dell’esecutore del riordinamento neoliberista. (…) Questo è il suo progetto. (…) La sua proposta è riempire DALL’ALTO E PER QUELLI IN ALTO il vuoto provocato dall’ecatombe neoliberista.

 

La (impossibile) Geometria? del Potere in Messico.

O geografia? No, la geografia è quella cosa del nord, sud, oriente e ponente. O sarà la geologia? No, questa si occupa delle pietre (tipo “che bel sassolino per inciamparci”). La geometria è quella cosa che ha a che vedere con area, volume, lunghezza e non-siate-malizios@. Mmh… sto già facendo lo spiritoso. Forse perché a molt@ non piacerà quello che diremo. Perché faremo riferimento alla presunta differenza tra la destra, il centro e la sinistra nella politica in alto. E poi ci sono le complicazioni: estrema destra, destra moderata, destra confessionale” sinistra “leale alle istituzioni”, estrema sinistra o radicale, sinistra moderata, centro, centro-sinistra, centro-destra, centro-centro, difesa centrale e centro attaccante. Ma in alto tutti dicono di essere una o l’altra cosa, secondo quanto dice il nuovo indice, cioè, il “rating”. Cosicché, quelli che vediamo un giorno in un posto, l’altro giorno sono all’opposto. Viene perfino mal di testa a guardare come saltano da una parte all’altra. Una baruffa. O una geometria impossibile.

Per cercare di capire questa geometria, secondo la nostra opinione, bisogna considerare che il capitalismo nella globalizzazione neoliberista sta realizzando una vera guerra mondiale, in ogni luogo e in tutti i modi. Questa guerra non solo distrugge, tra altre cose, le relazioni sociali. Cerca anche di riordinarle secondo la logica del vincitore. Tra le macerie prodotte da questa guerra di riconquista, giacciono le basi materiali, economiche, dello Stato-Nazione tradizionale. Ma non solo, sono distrutti, o hanno subito gravi danni, anche gli apparati e le forme di dominazione tradizionali (le relazioni dominante/dominato, dominante-dominante, e dominato-dominato). Pertanto, la distruzione riguarda anche la classe politica tradizionale, la sua costituzione, le sue relazioni interne, le sue relazioni col resto della società (non solo con i dominati) e le sue relazioni con le classi politiche di altre nazioni (le cosiddette relazioni internazionali). Così facendo, la guerra neoliberista ha sfigurato la politica tradizionale e la fa marciare al ritmo di uno spot pubblicitario, e la distruzione provocata dalla bomba neoliberista nella politica messicana, è stata così efficace che, anche secondo il nostro modesto punto di vista, là in alto non c’è niente da fare. Caso mai, programmi comici. Si suppone che là in alto, per esempio, ci siano centro, sinistra e destra. Ma in periodi elettorali tutti si ammucchiano al centro. Cioè, come se la geometria si contraesse e tutti si ammucchiassero al centro gridando: “SONO IO” …

“Sono io”, dice il Partito di Azione Nazionale.

Il PAN, il partito della nostalgia per la lotta democratica, Gómez Morín e “l’umanesimo politico”. La nostalgia per l’OPUS DEI, il MURO, la ACJM e Canoa. La nostalgia per la guerra dei cristeros, la sacra sindone ed il Cerro del Cubilete. La nostalgia per le buone coscienze, le buone abitudini, la gente perbene. La nostalgia per il trionfo culturale e la sezione degli affari sociali sui giornali (quando era diversa dalla sezione di cronaca poliziesca). La nostalgia per Massimiliano, Carlotta, Elton John e i tempi quando eravamo un Impero. La nostalgia per l’aspirina domenicale somministrata dal pulpito del pederasta, il “ring side” nella visita dell’o al Papa ed i ritiri spirituali di “salviamo il mondo dal diavolo comunista, siamo soldati di dio”. La nostalgia per i pomeriggi del bridge, il tè-canasta, i Cavalieri di Colombo. La nostalgia per l’incendio delle schede elettorali del 1988 e del co-governo con il PRI. La nostalgia per un calendario in cui non ci furono. La nostalgia per “la Patria, mio bene, è la storia reclusa in un convento”.

Così come l’attuale governo federale, il PAN oggi è guidato dall’organizzazione di estrema destra “El Yunque”. Sotto il suo peso giace il PAN storico e la sua nostalgia per le famiglie avvolte nei mantelli azzurri. Ed è “El Yunque” quello che (chi l’avrebbe detto) cerca di convincerci che il PAN adesso è un’organizzazione politica di centro. E ci presenta come possibili candidati presidenziali, una costellazione di mediocri, dove, rendiamo merito, primeggia il grigio “coupier” Santiago Creel Mirando (mi sembra, non sono sicuro, che fu segretario di governo nell’intinerato di Fox-Sahagún – oggi lo si può incontrare mentre piange sulla spalla della Coyote Fernández de Cevallos -). Una lista di precandidati nella quale non compare l’unica con reali possibilità di competere …. non ancora. Ma lei già sta muovendo i pezzi che El Yunque le fornisce per accodarsi.

Primo, per ottenere un posto che le assicuri l’impunità (quella già promessa da AMLO senza che nessuno glielo chiedesse – beh, almeno non pubblicamente -), poi, quando si sarà sgonfiato il fugace pallone Creel, accedere al clamore che nelle catacombe della destra le chiede, la implora, la supplica, le impone di essere candidata alla presidenza del Messico. Candidata di centro, ovviamente.

“Sono io”, dice il PRI, il Partito Rivoluzionario Istituzionale.

Il PRI, il partito dello “sviluppo stabilizzatore”. Il creatore del Sistema del Partito di Stato, messo a nudo a suo tempo dalle analisi di José Revueltas, Adolfo Gilly, Daniel Cosío Villegas, Pablo González Casanova. Quello di “Mister Amigou”. Quello della repressione dei medici, dei ferrovieri, degli elettricisti. Quello dei massacri del 2 ottobre del ’68 e del 10 giugno del 1971. Quello della guerra sporca negli anni ’70 e ’80. Quello delle svalutazioni. Quello delle frodi elettorali. Quello dei “ratones locos”, le “casillas zapato”, la “operación tamal”, la democrazia elettorale sintetizzata nello slogan “fischietti e berretti, bibite e panini”. Quello del furto, il saccheggio, la frode, l’assassinio di operai, contadini, studenti, insegnanti, impiegati. Quello di Fidel Velásquez, Rodríguez Alcaine, Jonguitud, Elba Esther Gordillo. Quello della Colina del Perro. Quello di Absalón Castellanos. Quello della frode elettorale dell’88. Quello del Clan Salinas de Gortari. Quello della controriforma all’articolo 27 della Costituzione. Quello della mancata entrata nel Primo Mondo. Quello del massacro nel mercato di Ocosingo. Quello del solitario Aburto e dell’ancor più solitario Colosio. Quello del tradimento del febbraio del ’95. Quello dell’IVA. Quello di Acteal, El Charco e Aguas Blancas. Quello dell’inizio dell’incubo a Ciudad Juárez. Quello del “firmo un accordo e non lo rispetto”. Quello di “non ho contanti”. Quello dell’interruzione violenta dello sciopero studentesco della UNAM, nel 1999. Quello della storia come propaganda elettorale. Quello dell’imposizione delle politiche neoliberiste che hanno distrutto le fondamenta del Messico. Quello della privatizzazione delle imprese statali e parastatali. Quello del voto per l’esautoramento. Quello del crimine organizzato in partito politico. Quello di “la-patria-mio-bene-è-una-prostituta-che-governa-il-più-abominevole-ovvero-proprio-io”.

Sul PRI non c’è molto da aggiungere a quanto detto e subito da lui. Il PRI, sorto dalla rivoluzione messicana del 1910 è, attualmente, il partito con le più altre probabilità di provocare una nuova rivoluzione in tutto il paese. Il PRI non ha legami con il crimine organizzato, esso è nella direzione dei cartelli del narcotraffico, dei sequestri, della prostituzione, del traffico di persone. Il cinismo col quale i suoi dirigenti scacciano la memoria, li porta a parlare ed agire come se non fossero 70 anni che stanno abusando del potere e lucrando nel suo esercizio. Le precampagne e campagne del PRI sono il miglior veicolo per provocare l’indignazione della gente… e la sua ribellione.

Qualche esempio? Enrique Jackson finanzia la sua campagna elettorale con denaro del crimine organizzato, cioè, il narcotraffico, la prostituzione ed i sequestri. Quello usato per pubblicità televisiva, l’ottiene dai riscatti del sequestro di membri delle famiglie benestanti alle quali ora promette “ordine” in prima serata. Da parte sua, Roberto Madrazo, un gangster senza scrupoli, trama l’eliminazione dei suoi avversari e provvede alla sua sicurezza per non essere assassinato (benché il portare come cagnolino da compagnia il “Croquetas” Albores non lo protegge affatto). Da parte loro, Montiel, Yarrington e Martínez, nel frattempo, passano la lista ai loro pistoleri, e la Paredes sospira, cioè, spia. Nella migliore tradizione priista, la candidatura si risolverà nelle cloache del potere politico (cioè che Elba Esther deciderà). La violenza criminale che affligge il paese non è altro che la lotta tra i cartelli per la candidatura presidenziale del PRI. Quelli che perderanno se ne andranno, insieme ai loro capi priisti, non in prigione,… ma nel PRD. Chi rimarrà ci dirà che è di centro.

“Sono io”, dice il PRD, il Partito della Rivoluzione Democratica.

Il PRD, il partito degli “errori tattici”. L’errore tattico, con i suoi patti elettorali, di fomentare gli affari di famiglie mascherate da partiti. L’errore tattico di allearsi con il PAN in alcuni stati e con il PRI in altri. L’errore tattico della controriforma indigena e dei paramilitari di Zinacantán. L’errore tattico di Rosario Robles ed i video scandalo. L’errore tattico di perseguire e reprimere il movimento studentesco della UNAM nel 1999. L’errore tattico della “legge Ebrard” e la “legge Monsanto”. L’errore tattico di cedere lo Zocalo di Città del Messico ai monopoli dello spettacolo. L’errore tattico di fare squadra con i salmisti. L’errore tattico della importata “tolleranza zero” e di perseguire giovani, omosessuali e lesbiche per il “crimine” di essere diversi. L’errore tattico di tradire la memoria dei suoi morti, candidare i loro assassini e riciclare gli espulsi dalle candidature priiste. L’errore tattico di trasformare movimenti popolari in burocrazie di partito e di governo. L’errore tattico di strumentalizzare le morti di Digna Ochoa e Pável González per lusingare la destra. L’errore tattico di non dichiararsi rispetto ai movimenti di resistenza e liberazione di altri paesi, di abbassare la testa davanti al potere nordamericano e di cercare di ingraziarsi i potenti. L’errore tattico delle sue lotte intestine e delle frodi nelle elezioni interne. L’errore tattico dell’alleanza con il narcotraffico nel DF. L’errore tattico di chiedere denaro alla gente mentendo e dicendole che è per aiutare, “sotto sotto”, gli zapatisti. L’errore tattico del vergognoso corteggiamento dei settori più reazionari del clero. L’errore tattico di usare i morti nella lotta come certificato di impunità per rubare, saccheggiare, corrompere, reprimere. L’errore tattico di correre al centro, pazzo di gioia, col suo carico di errori tattici. L’errore tattico di “la Patria, mio ben, non è altro che un bilancio in discussione”.

E nel centro del PRD… -“Sono io, dice AMLO, Andrés Manuel López Obrador.

Contro AMLO si era lanciata la (a volte felice) coppia presidenziale, sfoderando la PGR in una mano, la Suprema Corte di Giustizia nell’altra, il Congresso dell’Unione in gabbia, ed i mezzi di comunicazione per compensare la perdita di “rating” del suo “reality show” e della sua striscia comica. Il processo di esautoramento è stato, oltre ad una commedia dai risvolti tragici, un indicatore dello scontento popolare (no mio caro, non ci si può più prendere gioco della gente come prima) e, soprattutto, un’insuperabile spinta elettorale… per l’esautorato.

Contro AMLO si lancia Cárdenas Solórzano accusandolo di dichiararsi da subito di centro e di non seguire la sua tradizione di cominciare dichiarandosi di sinistra… e correre poi al centro man mano che procede la campagna elettorale. Criticandolo di mantenere il controllo del PRD e farne un uso discrezionale… dopo che Cárdenas ha fatto la stessa cosa per tanti anni. Gli rinfaccia le alleanze strette, dimenticando che a quelle fatte da Cárdenas si deve l’arricchimento di famiglie (come il Partito della Società Nazionalista, dei Riojas) e la lega del PRD con il sinarquismo [setta francomassonica -n.d.t.] – la stessa che incappucciò la statua di Juárez (il Partito di Azione Sociale), quando accettò la candidatura da quei due partiti nel 2000. López Obrador. AMLO proiettato ai vertici della democrazia “moderna” (cioè, le inchieste) dall’assurda e ridicola campagna della coppia presidenziale. Colui che ha trasformato la mobilitazione cittadina contro l’autoritarismo dell’esautoramento in un atto di promozione personale e di lancio elettorale. Colui che, nella mobilitazione contro l’esautoramento, non ha pronunciato la frase che avrebbe forse dovuto dire, “nessun dirigente ha il diritto di guidare un movimento intorno ad una causa giusta, per poi, alle spalle della maggioranza, sottometterlo al suo progetto personale di ricerca del Potere e negoziarlo per questo”. Colui che convoca una marcia del silenzio e, invece di rispettarlo, la usa per parlare al Potere, imponendo a tutti la parola di uno solo. Quello dell’alchimia che trasforma unmilione seicento mila silenzi nella voce di Don Porfirio che, nonostante i fischi (quelli sì “storici”), è stata ascoltata dall’interlocutore di quella marcia: il Potere. Colui che ha mutato (e svalutato) il trionfo popolare della marcia del 24 aprile e lo ha trasformato in un successo personale nella sua corsa presidenziale. L’ex esautorato. Colui che ha accusato il Potere di arbitrio e poi ha scambiato con esso mutue scuse. Colui che denunciava “complotti” che poi elogia come “statisti” coloro accusati di ordirli. Colui che vanta, come suoi primi “comitati di appoggio” indigeni in Chiapas, i caciques e paramilitari di Zinacantán, gli stessi che aggredirono la marcia zapatista il 10 aprile del 2004. Colui che si vede già avvolto nella fascia presidenziale. Colui che, tra le sue prime promesse di governo, garantiva l’impunità a chi ha assassinato e fatto sparire gli attivisti sociali, chi ha gettato il Messico nella miseria e si è arricchito sul dolore di tutti. Colui che, con le sue azioni, dice alla gente “vi disprezzo smisuratamente”. [“desaforadamente” – in spagnolo, gioco di parole con il termine “desafuero” – n.d.t.].

López Obrador. Colui che ha paragonato se stesso a Francisco I. Madero… dimenticando che la similitudine con Madero non finisce con il democratico imprigionato da Porfirio Díaz, ma continua con il Madero che formò la sua squadra di governo con gli stessi porfiristi (e che fu tradito da uno di loro). Con il Madero che, voltando le spalle alle richieste dei diseredati, si dedicò a mantenere la stessa struttura economica di sfruttamento, saccheggio e razzismo costruita dal regime porfirista. AMLO e gli uccelletti che gli volteggiano intorno “hanno dimenticato” questi dettagli.

E, soprattutto, “hanno dimenticato” che, di fronte a Madero, gli zapatisti impugnarono il Piano di Ayala. Quel piano a proposito del quale Madero disse, parola più, parola meno, “pubblicatelo, che tutti sappiano che quel Zapata è pazzo”. Ma, basta storia passata e confronti. Siamo agli inizi del XXI° secolo non del XX° secolo, in una successione anticipata dalla sfacciata ambizione di una donna.

Per sapere qual è il progetto di chi aspira al Potere, non bisogna ascoltare quello che dice rivolgendosi in basso, ma quello che dice rivolgendosi in alto (per esempio, nelle interviste ai quotidiani nordamericani New York Times e Financial Times). Bisogna ascoltare quello che promette a chi in realtà comanda.

La promessa centrale del programma presidenziale di AMLO non è vivere nel Palazzo Nazionale e trasformare Los Pinos nella nuova sezione del Bosco di Chapultepec. È “stabilità macroeconomica”, cioè, “guadagni crescenti per i ricchi, miseria e privazioni crescenti per i diseredati, ed un ordine che controlli lo scontento di questi ultimi.”

Quando si critica il progetto di AMLO non si tratta di criticare un progetto di sinistra, perché non lo è, così ha dichiarato e promesso López Obrador al Potere là in alto. Egli è stato chiaro e non lo vede solo chi non vuole vedere (o non gli conviene vedere) e continua a sforzarsi di vederlo e presentarlo come un uomo di sinistra. Quello di AMLO è un progetto, come lui stesso lo ha definito, di centro.

Ed il centro non è altro che una destra moderata, la porta della clinica di chirurgia plastica che trasforma gli attivisti sociali in despoti e cinici, una macroeconomia stabilizzata dei secondi piani e conferenze stampa mattutine.

Noi abbiamo visto ed analizzato da vicino il governo di AMLO nel DF. Non sulla stampa, nei circoli esclusivi o ai secondi piani, ma dal basso, per strada. Crediamo che lì si annidi il germe di un autoritarismo ed un progetto personale ultrasessennale. L’immagine di Carlos Salinas de Gortari costruita da AMLO è, in realtà, un specchio. Per questo la formazione della sua squadra. Per questo il suo programma è così vicino a quello del “liberalismo sociale” del salinismo. Ho detto “vicino”? Piuttosto, la continuazione di quel programma. Questo è ancora nascosto dalla servile stupidità dell’ultradestra (che sembra un caprone in una cristalleria) e dallo stesso caos ideologico che regna nella classe politica messicana, ma non tarderà a rendersi evidente. Forse a causa di questo occultamento, alcun@ intellettuali, oltre a distint@ attivist@ sociali, forniranno il loro caldo alito all’uovo del serpente che oggi si annida nel governo di Città del Messico.

Davanti a López Obrador non ci troviamo di fronte ad un leader nostalgico del passato nazionalista rivoluzionario, ma a qualcuno con un progetto molto chiaro di presente… e di futuro. AMLO non sta pensando di realizzare il suo progetto in un solo sessennio (per questo la sua squadra è la stessa di quel celebre che disse “governeremo per molti anni”). E, contrariamente a quanto pensa qualcuno, López Obrador non promette di ritornare al passato populista che tanto atterrisce il potere economico. No, AMLO promuove una mediazione ed un’amministrazione “moderne” (cioè, finire quanto lasciato in sospeso da Salinas de Gortari). Ed ancora: offre di creare le basi di un Stato “moderno”, per questo si sforza di differenziarsi da Lula, Chávez, Castro e Tabaré. E l’offerta non la fa a quelli che stanno in basso o a quello che rimane della Nazione messicana, ma a chi comanda in realtà: il potere finanziario internazionale. La sua non sarà un’amministrazione neoliberista con la mano sinistra (Lula in Brasile, Tabaré in Uruguay, Kirchner in Argentina), né un governo socialista (Castro a Cuba), né un nazionalismo popolare (Chávez in Venezuela), ma IL NUOVO MODELLO DI STATO NON-NAZIONALE (l’embrione della guerra neoliberista) in America Latina.

Se Carlos Salinas de Gortari fu il governante esemplare esecutore della distruzione neoliberista in Messico, López Obrador vuole essere il paradigma dell’esecutore del riordinamento neoliberista. Questo è il suo progetto. Sempre che gli sarà permesso farlo.

Non ci dedicheremo a criticare AMLO (di questo si occuperà, con insuperabile efficienza, il PRD – soprattutto nella lotta per la candidatura al governo del DF -), ma riteniamo nostro dovere avvertire, definire e definirci. È necessario perché, nel gattopardismo dell’alto, una definizione non chiara diventa un appoggio esplicito: “se non sei contro di noi, allora sei con noi”. La definizione davanti (e non di fianco) a quello che rappresenta AMLO è imprescindibile. La sua proposta (ed in questo non c’è nessuna differenza con quella di Cárdenas nel PRD, né con quella di qualunque precandidato di qualsiasi partito nel sovrappopolato “centro” politico del Messico di metà 2005) è riempire DALL’ALTO E PER QUELLI IN ALTO il vuoto provocato dall’ecatombe neoliberista.

In sintesi, in alto regnano l’indecenza, la sfacciataggine, il cinismo, la sfrontatezza.

Questo è quello che pensiamo della geometria politica del Messico di sopra. Dire un’altra cosa sarebbe mentire e cercare di ingannare chi non abbiamo mai ingannato: in primo luogo noi stessi, ma anche la gente in generale. Ci fa rabbia e indignazione vedere quello che vediamo e lotteremo per impedire che questi svergognati l’abbiano vinta.

Perché è l’ora di incominciare a lottare affinché tutti quelli che dall’alto disprezzano la storia e ci disprezzano, rendano conto, e paghino.

Bene. Salute e attenzione, che in basso l’orologio segna l’ora sesta.

Dalle montagne del Sudest Messicano
Subcomandante Insurgente Marcos
Messico, nel Sesto mese dell’anno 2005

P.S. SUL CHIAPAS – Se in precedenza le Giunte di Buon Governo hanno comunicato di avere qualche rapporto con il governo statale, adesso informano che, da dicembre dell’anno scorso, queste si sono interrotte per l’inadempimento del governo nei pochi impegni presi. Non ha risarcito, né regolarizzato, né fatto giustizia nei pochi casi per cui era stato interpellato. Non ha adempiuto perché in fondo è razzista come chiunque. E’ assorbito dall’autoritarismo e dalla superbia, la giustizia locale è dedita all’affare del traffico di persone, i bilanci spesi in signorine che si offrono dagli annunci sui giornali locali o che lavorano nella zona Galáctica, il denaro dissipato in campagne mediatiche, ridicole e svergognate, di discredito degli avversari (come quella intrapresa contro il movimento degli insegnanti di alcune settimane fa) e di promozione del culto della personalità. Ni modos.

(traduzione del Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo) 18 giugno 2005 http://chiapas.meravigliao.it/2005/200605co.htm

 

 

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Il secolo di Zapata

di Gustavo Esteva – 28 Aprile 2019

Quando entra trionfante a Città del Messico, insieme a Pancho Villa, ad Emiliano Zapata viene offerta la poltrona presidenziale. Emiliano Zapata rifiuta: “Non combatto per questo, combatto per le terre, perché le restituiscano”, spiega. Poi torna nello Stato di Morelos, dove insieme ai contadini, dà vita alla Comuna, una straordinaria esperienza di auto-governo fondata su un potere municipale e su una sperimentazione di democrazia diretta che attua la riforma agraria attraverso l’esproprio dei latifondi e apre scuole popolari. Zapata fa ancora paura e per questo viene ucciso su mandato dell’élite nazionale e di Venustiano Carranza, il primo presidente del Messico post-rivoluzionario. Cento anni dopo, soprattutto grazie agli indigeni col passamontagna del Chiapas, la sua lotta per la terra e la libertà, è più viva che mai, in Messico e altrove. Il mondo nuovo che sognava Zapata vive nell’affermazione della dignità di chi si batte per un’esistenza non asservita al potere del denaro e dei suoi strumenti più fedeli: i mercati internazionali e gli Stati.

 

La storia inizia con un regolamento di conti. Gli storici registrano il tradimento di Madero e addebitano il crimine a Carranza. Però il tradimento, il crimine e il compito ancor più grave di assassinare la memoria di Zapata devono essere attribuiti ai rivoluzionari del 1910, ai governi della Rivoluzione fino a quello di José López Portillo e a tutti i suoi successori, fino ad oggi, come pure alle élite di cui sono stati a servizio.

Una maniera semplice di cominciare il regolamento dei conti è farlo con l’ejido [N.d.t. – Proprietà rurale di uso collettivo, diffusa soprattutto nelle comunità indigene]. Lo zapatismo cercava di recuperare gli spazi in cui le comunità esercitavano i loro modi di vivere e di governarsi. Nella ‘comuna’ di Morelos (così si chiamò quella notevole esperienza), le varie comunità ricevettero pieno riconoscimento, e per l’eternità, delle loro terre e acque, dei loro ejidos. Le leggi che Zapata fece valere nel 1916 e 1917 garantivano loro autonomia e forme di governo proprie. Lo Stato si formava passo dopo passo come comunità di comunità locali, di natura anticapitalista.

A partire da quello di Carranza (che governò il Messico attorno al 1915, ndt), i governi invece hanno solo cercato di realizzare e amministrare secondo le forme politiche della civiltà capitalista, per la sua espansione, adattandosi alle mode e alle esigenze degli ultimi 100 anni. A questo scopo dovevano assassinare Zapata e liquidare o corrompere lo zapatismo. Scesero a compromessi  con molte e svariate fazioni. Nessun  compromesso fu possibile con lo zapatismo. Era una cosa che non rientrava in quel progetto.

Per quanto la Costituzione del 1917 rappresentasse una formula di compromesso, in essa restò una ingannevole formula  antizapatista. Oltre a rivendicare che la terra è della nazione, si afferma che essa può divenire proprietà privata con il trasferimento del suo possesso a privati. Si afferma inoltre che coloro che non hanno terra a sufficienza hanno il diritto di esserne dotati, e che quanti ancora vivessero secondo il sistema dell’uso comunale della terra hanno il diritto di sfruttare in comune le loro terre, però il tutto è assoggettato alla legge del 6 gennaio 1915, di Carranza. In quella legge si affermò espressamente che non si trattava di rivitalizzare le antiche comunità, né di crearne altre simili, ma unicamente di concedere terre alla popolazione più misera che ne era priva. In questo modo lo spirito antizapatista restò impresso nella Costituzione e passò in tutte le leggi agrarie formulate da allora in poi.

Poiché la nazione acquista esistenza reale solo nel governo, tutto ciò che riguarda le terre e le acque in questi 100 anni è rimasto nelle mani di un gruppo sempre più incompetente e corrotto, costantemente al servizio del capitale. Per un secolo le popolazioni hanno dovuto subire ogni sorta di soprusi e affrontare ogni sorta di ostacoli per difendere i loro diritti originari, quelli che possedevano molto prima che la nazione acquistasse una forma di esistenza legale, diritti che lo zapatismo aveva pienamente riconosciuto.

La rivendicazione attuale non significa ritornare al 1992, allorché venne liquidato il regime agrario della Rivoluzione e si pose fine all’anomalia, in una società capitalista, di una parte della terra che restava al di fuori del mercato e della proprietà privata. La riforma liberò l’ejido carranzista dal ferreo controllo statale, però solo per sottometterlo a quello del mercato. Ciò di cui oggi c’è necessità è smontare il delirio antizapatista che dura da 100 anni e che, subordinando i popoli allo Stato o al mercato, subordina tutto al capitale. Il punto di riferimento non è il 1917 o il 1992, né gli anni precedenti alla riforma salinista (quella del 1992, ndt). È lo zapatismo di Zapata, la Comuna del Morelos.

Questo è ciò che lo zapatismo di oggi reclama e che sarebbe stato concordato a San Andrés (nelle trattative fra gli insorti neozapatisti e il Governo, ndt). Nell’identico modo in cui consultazioni manipolate (il riferimento è all’ampio uso che ne sta facendo il governo di AMLO, ndt) pretendono di essere compatibili con norme nazionali e internazionali, oggi si prepara l’attuazione di quegli accordi. È un infame inganno. Invece di rispettare la piena autonomia delle popolazioni e la loro decisione di seguire il proprio cammino, l’amministrazione attuale si è proposta di sottometterli. I suoi progetti stellari, il treno Maya [ndt: il progetto di linea ferroviaria di interesse turistico e commerciale, da Cancun a Palenque] e il Corredor Transistmico [ndt: un corridoio multimodale fra il Pacifico e l’Atlantico, nella regione dell’Istmo di Tehuantepec], hanno una caratteristica precisa:  intendono subordinare la vita della gente del sudest a una logica che le è completamente estranea … Per il suo bene!

Si parla di ecoturismo o di imprese turistiche comunitarie come pretesto. Ormai le grandi imprese turistiche non investono più in hotel, treni o linee aeree: sono le padrone dei turisti e li muovono da un territorio all’altro in funzione degli accordi che impongono alle agenzie locali. Il Corredor vuole sottoporre una delle più ricche zone del paese a una logica del commercio internazionale sulla quale le popolazioni e il governo messicano non avranno più alcun potere di dire o di fare qualcosa.

La tradizione di Emiliano Zapata, che l’EZLN ha attualizzato e rinnovato, guarda oggi a forme di esistenza sociale che rappresentano una innovazione radicale. Circolano per il mondo come baluardi di fronte all’orrore e come possibilità reali di un mondo nuovo. Questo deve essere il secolo di Zapata, quello in cui la gente costruirà la propria vita senza subordinarsi allo Stato o al mercato, cioè al capitale. https://comune-info.net/2019/04/il-secolo-di-zapata/

Fonte: La Jornada – https://www.jornada.com.mx/2019/04/22/opinion/014a1pol

traduzione a cura di Camminar domandando https://camminardomandando.wordpress.com/

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De Zapata a Zapata

@lhan55 Luis Hernández Navarro

L’indigena Teresa Castellanos ha dedicato gli ultimi sei anni della sua vita a difendere la terra della sua gente. È portavoce dell’Assemblea Permanente dei Popoli di Morelos (APPM). Coordina il comitato Huexca in resistenza che difende le vittime del Progetto Integrale Morelos (PIM) e della centrale termoelettrica.

In riconoscimento al suo lavoro le è stato conferito questo anno il premio di diritti umani Sergio Méndez Arceo. Nel 2018, insieme ad Aurora Valdepeña, ha ottenuto il premio alla Creatività 2018 della Donna della Fondazione dal Forum Mondiale delle Donne. Nel 2015 è stata finalista per il Premio Internazionale dei Diritti Umani Front Line Defenders. A causa delle minacce subite, lei e le sue due figlie sono state incluse nel Meccanismo di Protezione per Giornalisti e Difensori de Diritti Umani.

La sua lotta poggia sulla tradizione zapatista ed il movimento jaramillista, profondamente radicati nell’immaginario popolare di questa regione. Da un Emiliano Zapata che poco ha a che vedere con le cerimonie ufficiali in suo onore o con la narrazione di storiografi accademici. Si tratta di uon zapatismo che ha resistito sia alla strumentalizzazione dell’agrarismo delle centrali sindacali campesine, sia ai tentativi dei diversi governi di presentarsi come la sua incarnazione.

Teresa è l’espressione dello zapatismo in carne ed ossa, lontano da quello di carta dei biglietti della Lotteria Nazionale. Intervistata dalla giornalista Daliri Oropeza, ha spiegato le radici e le ragioni della sua lotta. È l’ideale che ci si porta dentro. L’essere nata in terra zapatista è un orgoglio. Ma non solo per avere sangue zapatista, ma per portarne gli ideali. Sapere che ci sono state tante persone che hanno lottato per il bene delle comunità, come il generale Zapata, per terra, acqua, monti, per la libertà. A 100 anni dal suo assassinio, il suo ideale quanè ancora vivo. Continuiamo a resistere. Si è resistito per tutti questi 100 anni, ha detto. Ed ha aggiunto: Ho ammirato moltissimo il generale Emiliano Zapata. Per tutta la mia vita, da quando andavo alle medie, ho ricordato e letto del generale Emiliano Zapata (https://bit.ly/2IfIRAU).

È questo lascito quello che ha fatto dire a Teresa nell’evento di Chinameca, il 10 aprile scorso, dove centinaia di contadini e indigeni hanno commemorato, al margine del governo federale, il 100° anniversario luttuoso dell’assassinio di Emiliano Zapata: Siamo contro AMLO perché lui è contro di noi. Volevamo parlare con lui. Lui si è rifiutato.

La durezza delle sue parole (condivise dai partecipanti all’evento) ha una storia dietro. A maggio del 2014, a Yecapixtla, Morelos, López Obrador durante un incontro disse: Non vogliamo la costruzione del gasdotto o della centrale termoelettrica o le miniere, perché distruggono il territorio ed inquinano le acque. Ed aggiunse: Il Messico non è territorio di conquista, né perché vengono gli stranieri ad appropriarsi di tutto. Pensate che vogliono costruire una centrale termoelettrica ad Anenecuilco, la terra dove è nato il migliore dirigente sociale che ci sia mai stato nella storia del Messico, Emiliano Zapata. È come se andassero a Gerusalemme e costruissero una discarica di rifiuti tossici o una centrale nucleare.

Tuttavia, le parole di López Obrador sono svanite quando è entrato nel Palazzo Nazionale. Il 10 febbraio a Cuautla, il Presidente ha ritrattato la sua parola. Gli oppositori al PIM gli hanno risposto gridando: “Agua sì, termos no!”. López Obrador si è rivolto a loro dicendo: Sentite, radicali di sinistra, per me non sono altro che conservatori, ed ha annunciato la realizzazione di una consultazione, impugnata dalle comunità indigene.

Dieci giorni dopo, l’attivista Samir Flores, figura chiave nella lotta contro la termoelettrica e nell’organizzazione delle comunità di Morelos, viene assassinato a colpi d’arma da fuoco sulla porta di casa. Il mandatario, invece di sospendere la consultazione, è andato avanti.

“L’assassinio del generale fu molto doloroso per tutti, come lo è ora l’omicidio del compagno Samir Flores – ha detto Teresa a Daliri Oropeza -; non so se sia un caso, ma a 100 anni dall’assassinio del generale Emiliano Zapata uccidono un compagno che aveva lo stesso ideale. Anche se non aveva il sangue del generale, né fosse suo parente, egli portava avanti lo stesso ideale e pensava e parlava come lui, e lottava per la libertà dei popoli, e perché questo cambiasse”.

L’11 febbraio, un giorno dopo averli accusati di essere conservatori, la APPM ha inviato una lettera al Presidente in cui gli ha detto: Lei ci ha offeso, ha dedicato gran parte del suo discorso democratico a lanciarci epiteti senza conoscerci o conoscendoci, non sappiamo. Ed ha dichiarato: se non si cancella la centrale termoelettrica a Morelos, non ci saranno omaggi ufficiali a Zapata da parte del governo.

Da Zapata a Zapata. Quasi due mesi dopo la missiva, le cronache giornalistiche riferivano che, a Chinameca, mentre centinaia di contadini ricordavano il generalessimo protestando contro il PIM, il palco ufficiale dell’evento per i 100 anni dal suo crimine era vuoto. Andrés Manuel López Obrador ha dovuto realizzare l’evento a Cuernavaca, a 86 chilometri di distanza da dove fu assassinato il Caudillo del Sud.

Twitter:@lhan55

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/04/16/opinion/018a2pol

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I malgoverni verranno e se ne andranno, ma il colore della terra persisterà e con esso tutti i colori di quanti nel mondo si negano alla rassegnazione ed al cinismo, che non dimenticano e non perdonano, che presentano il conto di offese, reclusioni, sparizioni, morti, oblio.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

Aprile 2019

Ai famigliari ed amici di Samir Flores Soberanes:

All’Assemblea della Resistenza di Amilcingo:

Al Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e dell’Acqua Morelos-Puebla-Tlaxcala:

Al Congresso Nazionale Indigeno:

Al Consiglio Indigeno di Governo:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

Alle Reti di Appoggio al CIG e Reti in Resistenza e Disobbedienza:

A chi lotta contro il sistema capitalista:

Sorelle e fratelli:

Compagni e compagne:

Vi scrive il Subcomandante Insurgente Moisés a nome delle donne, degli uomini, dei bambini e degli anziani zapatisti. La parola che vi mandiamo è collettiva e spetta a me scriverla come portavoce dell’EZLN.

Dalle montagne del sudest messicano arriva oggi alle degne terre di Emiliano Zapata e dei suoi successori – come lo era ed è Samir Flores Soberanes, nostro fratello e compagno di lotta in difesa della vita – l’abbraccio che non è solo mio ma di tutti i popoli zapatisti tzotzil, chol, tojolab, zoque, mam, meticci e tzeltal.

Sorelle e fratelli, noi zapatiste e zapatisti dell’EZLN vi mandiamo questo abbraccio perché vi rispettiamo ed ammiriamo.

Non abbiamo potuto essere presenti lì con voi come avremmo voluto. La ragione è molto semplice ed ha la bandiera del malgoverno. Perché nelle nostre montagne e valli è aumentata la presenza militare, poliziesca, paramilitare, di spie ed informatori. Sono riapparsi i sorvoli di aeroplani ed elicotteri militari ed il passaggio di veicoli blindati, come ai tempi di Carlos Salinas de Gortari, di Ernesto Zedillo Ponce de León, tutore politico dell’attuale titolare dell’Esecutivo, di Vicente Fox Quesada dopo il tradimento degli Accordi di San Andrés, dello psicopatico Felipe Calderón Hinojosa e del ladro in doppio petto Enrique Peña Nieto. La stessa cosa, ma ora con più frequenza e maggiore aggressività.

Pattugliamenti e sorvoli non seguono le rotte del narcotraffico, né quelle delle lente carovane delle sorelle e fratelli migranti che fuggono da una guerra che ci si rifiuta di chiamare col suo nome… per raggiungerne un’altra che si nasconde dietro un governo federale tutto chiacchiere e cialtroneria. No, questa minaccia di morte percorre per aria e terra le comunità indigene che vogliono mantenersi in resistenza e ribellione per difendere la terra, perché in lei sta la vita.

Ora, inoltre, membri dell’Esercito Federale e dell’Aeronautica si addentrano nelle montagne e compaiono nelle comunità dicendo che sta arrivando la guerra e che stanno solo aspettando ordini “dall’alto”. E qualcuno si fa passare per quello che non è e né sarà mai, perché dice di conoscere i presunti “piani militari” dell’EZLN. Forse ignorando che l’EZLN dice quello che fa e fa quello che dice… o forse perché il piano è montare una provocazione e poi incolpare l’EZLN. Lo stesso metodo di Ernesto Zedillo Ponce de León e del suo lacchè Esteban Moctezuma Barragán, oggi incaricato di aggredire il magistero democratico.

Nei fatti, in tutto questo, il malgoverno attuale è come i suoi predecessori. Ma adesso cambia la giustificazione: oggi la persecuzione, le minacce e l’attacco alle nostre comunità è “per il bene di tutti” e si fa sotto la bandiera della cosiddetta “IV Trasformazione”.

Ma non è di questo che vogliamo parlarvi. Dopo tutto, qualunque denuncia viene screditata perché, secondo il Potere Esecutivo Federale, la realtà rientra nella categoria “radicale di sinistra conservatrice” che vuol dire che chiunque non sia prezzolato ed osi criticare il governo supremo (…), sarà impallinato dalle sue milizie sui social network che sono “moderni” solo perché il loro fanatismo è digitale, ma utilizzano gli stessi argomenti di chi applaudiva ed applaude gli eccessi delle varie tirannie nel mondo, ed ai quali si potrebbero ripetere le parole di Emiliano Zapata Salazar: “L’ignoranza e l’oscurantismo in tutti i tempi non hanno prodotto altro che greggi di schiavi per la tirannia”.

Quello che sta succedendo in queste terre chiapaneche, è quello che stiamo subendo da  oltre 25 anni. E ripetiamo quello che abbiamo già detto: là in alto sono la stessa cosa… e sono gli stessi. E la realtà toglie loro il trucco con cui vogliono simulare il cambiamento.

Sorelle e fratelli:

Compagni e compagne:

Quello che vogliamo dirvi, rimarcare, è quanto sia grande la vostra resistenza.

Non solo per innalzarla a simbolo quando quelli di sopra celebrano un tradimento: l’assassinio di una persona di nome Emiliano Zapata Salazar, e che fallì nel tentativo di fermare una causa, quella che oggi vive in molte sigle in tutto il territorio di questo che ancora chiamiamo Messico: lo zapatismo.

Questa causa è di ispirazione per ogni persona onesta nel mondo, perché la lotta è per la vita. Non è una scommessa per denaro, poltrone, regali. È per le generazioni che non verranno se trionferà la superbia del Prepotente e le comunità saranno distrutte.

Per questo la vostra lotta non solo merita di essere salutata ed appoggiata, dovrebbe anche essere replicata in tutti gli angoli del pianeta dove, sotto la bandiera del cosiddetto “ordine e progresso”, si distrugge la natura ed i suoi abitanti.

Ci sono volte in cui le cause si concretizzano in una persona, uomo, donna o otroa. Ed allora questa causa prende nome, cognome, luogo di nascita, famiglia, comunità, storia. Come per Emiliano Zapata Salazar, è il caso anche del fratello e compagno Samir Flores Soberanes che hanno cercato di comprare, farlo arrendere, convincerlo ad abbandonare i suoi ideali. Lui non ha ceduto, per questo l’hanno assassinato. Perché non si è venduto, perché non si è arreso e perché non ha ceduto.

Chi si è sentito sollevato dal suo assassinio e poi ha realizzato una “consultazione” per burlarsi così della tragedia, pensava che tutto sarebbe finito lì; che la resistenza contro il megaprogetto, criminale come tutti i megaprogetti, si sarebbe spenta insieme alle lacrime che l’assenza dal fratello e compagno ha strappato.

Si sono sbagliati, come si sbagliarono Carranza e Guajardo quando credettero che Zapata finiva a Chinameca.

L’attuale governo federale si sbaglia di grosso quando, ostentando la sua ignoranza della storia e della cultura del paese che dice di “comandare” (il suo libro di testo non è “Chi governa” ma “Chi comanda”), pretende di accostare Francisco I. Madero ad Emiliano Zapata Salazar. Perché, così come Madero volle comprare Zapata, il malgoverno voleva comprare Samir e le comunità che resistono, con aiuti, progetti ed altre menzogne.

Le comunità e Samir hanno risposto con il loro lavoro di resistenza, cosa di cui Emiliano Zapata sarebbe orgoglioso, il quale diceva che non lo si comprava con l’oro e che qui (nelle terre di Morelos) c’erano ancora e ci sono uomini – noi aggiungiamo “e donne ed otroas” – con dignità.

Non sono nuove nemmeno l’ignoranza e la superbia che caratterizzano l’attuale capo del malgoverno. Come non è nuovo che abbia una corte di adulatori. Un gruppo di svergognati che adattano la storia al piacere del tiranno e lo presentano come il meglio di tutti tempi. Lo applaudono e, con ossequio senza riserve, ripetono tutte le sciocchezze che gli escono di bocca. Lui ha decretato la fine del neoliberismo e la sua corte sistema numeri, fatti, progetti per nasconderli dietro lo scenario della cosiddetta “Quarta Trasformazione” che altro non è che la continuazione e acutizzazione della tappa più brutale e sanguinaria del sistema capitalista.

In aggiunta, il gruppo di adulatori che il tiranno attira a sé, si completa con lacchè di ogni tipo e condizione che si prodigano, ed ammazzano, per soddisfare i desideri manifesti o presunti del boss di turno.

Per questo il titolare dell’esecutivo non deve ordinare di uccidere, far sparire, denigrare, calunniare, imprigionare, licenziare, confinare chi non gli mostra adorazione.

Basta che sul palcoscenico o sui mezzi di comunicazione o sui social network eserciti quello che egli chiama “diritto di replica”, perché i lacchè trovino il modo di soddisfare i desideri del loro padrone e signore.

Ma tutti i tiranni tremano quando si innalza una causa che, come la vostra – che è la nostra – è giusta e umana.

Pensano che assassinando leader e volti noti, le cause muoiano con loro.

Non sappiamo chi ha ucciso il compagno Samir. Sappiamo chi lo ha segnalato. Chi, con voce stridula e isterica lo ha indicato affinché poi sicari, ansiosi di piacere al capo delle forze armate federali, compissero la sentenza data dal palcoscenico trasformato in tribunale.

Non c’è stato “diritto di replica” per Samir Flores Soberanes, né c’è per i popoli che si oppongono al progetto di morte chiamato “Proyecto Integral Morelos”, megaprogetto che significherà solo profitti per i grandi capitalisti le cui sedi stanno in Italia e in Spagna a cui si domanda di chiedere perdono per la conquista iniziata 500 anni fa e che ora il malgoverno continua a portare avanti.

Ma questo già lo sapete, sorelle, fratelli, compagni, compagne. Ma lo ripetiamo per la rabbia che ci fa l’assassinio di Samir e la superbia di chi là in alto crede di comandare quando neppure governa.

Ci fa arrabbiare che per quelli di sotto ci sia solo il disprezzo delle elemosine mascherate da programmi assistenziali o le minacce per non piegarsi, e che per quelli di sopra, che sono quelli che poi tradiranno chi oggi accarezzano, ci siano sorrisi, brindisi e dichiarazioni rassicuranti.

Compagni e compagne:

Sorelle e fratelli:

Sappiamo anche che questo, come i precedenti malgoverni, vuole sequestrare l’immagine di Emiliano Zapata Salazar affinché, con la sua morte, muoia anche la difesa della terra che come noi, i popoli originari, invita alla vita.

E sappiamo la cosa più importante, ciò che in realtà conta: noi popoli originari andremo avanti con la ribellione e la resistenza.

Non importa che ci chiamino “conservatori” o, come 100 anni fa gli zapatisti dell’Esercito Liberatore del Sud, “banditi”.

Come i precedenti, il malgoverno attuale ed i suoi “moderni” lacchè possono dirci tutto quello che vogliono.

La nostra parola e silenzio sono più grandi delle sue grida isteriche.

La lotta zapatista continuerà a vivere, i popoli originari continueranno a vivere.

Nelle città e nelle campagne di tutto il pianeta si solleva la lotta anche di gruppi, collettivi ed organizzazioni di donne, coloni, artisti, giovani, scienziati, lavoratori, impiegati, insegnanti, studenti, otroas.

Non importa la sua dimensione, ma la sua fermezza. Con tutti loro, elloas, con rispetto e solidarietà, si solleverà una rete mondiale di disobbedienza e resistenza contro la guerra che, se il capitalismo vincerà, significherà la distruzione del pianeta.

I malgoverni verranno e se ne andranno, ma il colore della terra persisterà e con esso tutti i colori di quanti nel mondo si negano alla rassegnazione ed al cinismo, che non dimenticano e non perdonano, che presentano il conto di offese, reclusioni, sparizioni, morti, oblio.

In questo pensiero e cuore collettivi, rinascerà il mondo oggi agonizzante.

I tiranni di tutti i colori crolleranno insieme al sistema a cui sono asserviti.

E per il mondo ci sarà finalmente vita, come deve essere la vita, cioè, libera.

In attesa di quel momento, non smetteremo di portare in ognuno dei nostri giorni, la vita di lotta di Emiliano Zapata Salazar e di Samir Flores Soberanes.

E nella nostra lotta quotidiana, si farà verità il grido che oggi è la nostra bandiera: Zapata e Samir vivono, e la lotta continua per…

TERRA E LIBERTÀ!

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.

Messico, aprile 2019

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/04/10/comunicado-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-2/

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100 anni di Viva Zapata!

Andrea Cegna – Il Manifesto 10 aprile 2019

 Il 10 aprile 1919 veniva ucciso in Messico il generale rivoluzionario che molto tempo dopo ispirerà l’insurrezione dell’Ezln e le lotte dei movimenti sociali contro lo sfruttamento.

Cent’anni fa, il 10 aprile 1919, a Chinameca, nello stato del Morelos, Jesús Guajardo su mandato del primo presidente del Messico post rivoluzionario, Venustiano Carranza, uccide Emiliano Zapata. Contadino, di umile estrazione, leader dell’Esercito di liberazione del Sud e volto noto, oltre che nobile, della Rivoluzione messicana del 1910. Assieme a Pancho Villa, fu espressione dell’ala più radicale del movimento che ha cacciato Porfirio Díaz e portato alla “democrazia” odierna.

MOLTE SONO LE STORIE legate alla figura di Zapata. Penultimo di dieci figli di una famiglia resa povera dalle politiche del dittatore Díaz, parlava spagnolo e nahuatl. Nel 1909 era sindaco di Anenecuilco e appoggiò Patricio Leyva come governatore dello stato. Leyva perse a discapito di Pablo Escandón. Scoppiarono rivolte contro la continua espropriazione di terre da parte dei latifondisti. E fu così che nel 1910 Zapata cominciò a occupare terre, a combattere i latifondisti e a praticare l’autoridistribuzione.
Dopo aver disconosciuto Díaz con il Plan di Ayala (1911) la Rivoluzione messicana, dove a combattere sono diversi eserciti, sconfigge velocemente il dittatore. Da lì in poi è un susseguirsi di avvicendamenti al governo. Fino al 1914, quando i diversi eserciti rivoluzionari, non trovando una sintesi, si uniscono ad Aguascalientes nel centro del Messico e scrivono una convenzione. Ma la fazione costituzionalista rappresentata da Venustiano Carranza e dal generale Álvaro Obregón ruppe gli accordi.

DOPO LA ROTTURA con Carranza, vicino alla borghesia agraria del nord, in dicembre gli eserciti di Villa e Zapata entrano trionfanti a Città del Messico. Emiliano Zapata si rifiuta di sedere sulla poltrona presidenziale e dichiara «non combatto per questo. Combatto per le terre, perché le restituiscano».

Zapata tornò nello stato di Morelos, dove assieme a contadini, intellettuali e studenti sperimentò una forma di democrazia diretta, la comune di Morelos, basata sulla ridistribuzione di terre e sulla diffusione di diritti sociali. La comune di Morelos è una delle esperienze più interessanti del processo rivoluzionario. La figura di Zapata faceva paura. Proprio per la sua pulsione rivoluzionaria e non riducibile al dialogo Emiliano Zapata venne ucciso. Il suo omicidio viene ben raccontato nel film del 1952 Viva Zapata! del regista statunitense Elia Kazan. E come nelle ultime immagini del film muore a testa alta.

IL VOLTO DI ZAPATA ha illuminato le lotte, le notti, gli striscioni e le iconografie dei movimenti sociali, indigeni e campesinos. Zapata è tornato a battere il tempo delle rivoluzioni il 1° gennaio del 1994 con l’inizio dell’insurrezione dell’Esercito zapatista di liberazione nazionale. L’Ezln che qualche anno fa, nel 1997, dedicò un lungo testo proprio a Zapata, di fatto spiegando il perché a lui si ispirassero. Quello che si faceva chiamare subcomandante Marcos scriveva: «Come ai suoi tempi, Don Emiliano, i governi hanno tentato d’ingannarci. Parlano e parlano e non mantengono nulla, a parte i massacri di contadini. Firmano e firmano carte e niente diviene realtà, a parte gli sgomberi e la persecuzione di indigeni. Ci hanno anche tradito, mio Generale, i Guajardo e le Chinameche non sono mancati, ma risulta che noi non ci siamo fatti ammazzare molto. Come abbiamo appreso, Don Emiliano, stiamo ancora apprendendo. Ma non voglio annoiarla, mio Generale, perché stanno così le cose come già lei sa, perché di per sé noi siamo lei. E vede, i contadini continuano senza terra, i ricchi continuano a ingrassare, e questo sì, continuano le ribellioni contadine. E continueranno, mio Generale, perché senza terra e libertà non c’è pace».

100 ANNI DOPO LA SUA MORTE l’Ezln e i movimenti indigeni hanno convocato due giorni di mobilitazione «ricordando che la lotta guidata dal Generale Emiliano Zapata Salazar e dall’Esercito Libertador del Sur y Centro hanno rappresentato e continuano a rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei nostri popoli e di milioni di sfruttati e sfruttate in Messico e nel mondo» e per ricordare Samir Flores Soberanes, indigeno in lotta contro un gasdotto ammazzato per la sua attività politica un mese fa.

E COSÌ, IERI 9 APRILE, si è svolta un’affollata assemblea generale ad Amilcingo, municipio di Temoac, stato del Morelos. Oggi, proprio dove fu ucciso 100 anni fa Zapata è convocata una mobilitazione nazionale ed internazionale. E come riecheggia nelle manifestazioni da cent’anni, e come riecheggerà tra qualche ora nel Moreles, «la lotta continua e Zapata Vive». Andrea Cegna – Il Manifesto 10 aprile 2019

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COMUNICATO DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E DELL’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE SULLA NUOVA SIMULAZIONE DI CONSULTAZIONE PER IMPORRE MEGA PROGETTI NELL’ISTMO DI TEHUANTEPEC

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Alle Reti di Appoggio al CIG

Alle Reti di Resistenza e Disobbedienza

Alla Sexta Nazionale edInternazionale

Ai mezzi di comunicazione

 

Di fronte all’agenda di spoliazione e distruzione dei malgoverni per imporre quello che in alto chiamano “Programma di Sviluppo dell’Istmo di Tehuantepec”, e che per noi popoli originari è l’annuncio della tragedia che vogliono diffondere nei territori dei popoli in tutta la regione dell’Istmo

Noi del CNI-CIG respingiamo e non riconosciamo qualunque simulazione che si proponga l’imposizione dei megaprogetti di morte, come la presunta consultazione che i malgoverni vogliono tenere in diverse comunità dell’Istmo di Tehuantepec nei giorni 30 e 31 marzo.

Denunciamo le pratiche corrotte che i malgoverni realizzano attraverso l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni per cercare dividere, ingannare ed intimidire le nostre comunità, dove offrono programmi e progetti in cambio del sì alle loro presunte consultazioni, come se quello che è in gioco non fossero il territorio e le risorse naturali. 

Noi popoli originari Binizzá, Ikoot, Chontal, Zoque, Nahua e Popoluca che viviamo nell’Istmo di Tehuantepec, negli stati di Oaxaca e Veracruz abbiamo già detto NO ai megaprogetti di morte, respingiamo la distruzione che vogliono portare nei nostri territori e che sta uccidendo la nostra madre terra.

Respingiamo l’invasione delle imprese minerarie che vogliono distruggere i monti, le sorgenti dei fiumi e l’aria, delle imprese eoliche che sottraggono le nostre terre e negoziano col vento. Non vogliamo i loro treni che trasporteranno la morte, né la violenza repressiva militare o paramilitare che aleggia sui nostri territori.

Ribadiamo che la nostra lotta per proteggere la madre terra, le comunità e i territori indigeni non si fermerà per quante simulazioni che il malgoverno capitalista neoliberale voglia fare per imporre, con la guerra, i progetti che puntano sul denaro a costo della morte della natura e dei popoli originari. Al contrario, continueremo ad organizzarci in resistenza e disobbedienza con quelle e quelli in basso.

Di conseguenza, invitiamo i collettivi e le organizzazioni oneste, le reti di appoggio al Consiglio Indigeno di Governo e la Sexta Nazionale e Internazionale a restare vigili e solidali di fronte a questo nuovo tentativo di imposizione e spoliazione.

Distintamente

Marzo 2019

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli 

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/03/29/comunicado-del-cni-cig-y-el-ezln-ante-nueva-situacion-de-consulta-para-imponer-mega-proyectos-en-el-istmo-de-tehuantepec/

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Centro di Volontari Junax

 video: https://bit.ly/2HrL3F4 

Il Centro di Volontari Junax (in tseltal, Insieme Lavoriamo per la Verità) è un gruppo messicano non governativo con l’obiettivo di appoggiare le comunità indigene del Chiapas attraverso i progetti stabiliti con le organizzazioni gemellate. Lavoriamo su un progetto permanente di vincolare, organizzare ed appoggiare persone messicane ed internazionali che vogliono mettersi al servizio come volontari in detti progetti nelle comunità indigene, in zone rurali e/o urbane emarginate del Chiapas, Messico.

Stimando il nostro contesto e la situazione negli anni, vediamo i nostri progressi nella ripresa dei progetti produttivi nelle comunità in resistenza, nel tessere una rete di solidarietà internazionale affinché Junax possa avere un spazio propio ed appoggiare volontari con borse di studio perché possano venire a fare servizio volontario senza che il fattore economico sia un impedimento.

Alleghiamo un dossier esplicativo di come Junax ha mantenuto il suo impegno con tutte le organizzazioni e comunità con i quali lavora.Support Networks JUNAX

Abbiamo cominciato una campagna di raccolta fondi per dare continuità alla solidarietà con le comunità nella loro lotta contro l’oblio.

Grazie per condividere questa causa che è anche vostra anche attraverso questo link: https://goto.gg/38730

Un abrazo solidario desde Chiapas:

Por Junax, Patricia Borrego Iván Ramírez

Coordinación Junax

Para estar al tanto de todas las actividades de Junax acompáñanos en nuestras redes.

Facebook: https://bit.ly/2CeetT5

Instagram: https://bit.ly/2F4NFGy

Twitter: https://bit.ly/2HdVwUw

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CONVOCAZIONE

ALLE GIORNATE DI LOTTA

“ZAPATA VIVE, SAMIR VIVE, LA LOTTA CONTINUA”

A 100 ANNI DALL’ASSASSINIO DEL GENERALE EMILIANO ZAPATA SALAZAR

Considerato che nostro fratello Samir Flores Soberanes è stato ucciso dal regime neoliberale; non sappiamo se il governo, gli imprenditori, i loro cartelli criminali o se i tre insieme;

Visto che la cosiddetta “Quarta Trasformazione” iniziata con Miguel de la Madrid Hurtado, approfonditasi con Carlos Salinas de Gortari, proseguita nella sua guerra di conquista con Ernesto Zedillo Ponce de León, Vicente Fox Quezada, Felipe Calderón Hinojosa ed Enrique Peña Nieto, ed ora continua con il progetto trans-sessennale di Andrés Manuel López Obrador e il Partido Movimiento de Regeneración Nacional, e che per i popoli originari l’unico “vero cambiamento” è l’aumento delle menzogne, degli inganni, delle persecuzioni, delle minacce, degli arresti, della sopraffazione, degli omicidi, delle umiliazioni e del disprezzo, dello sfruttamento umano e della distruzione della natura; insomma: l’annichilimento della nostra vita collettiva;

Accertato che il governo neoliberale guidato da Andrés Manuel López Obrador ha gli occhi puntati sui nostri villaggi e territori dove, con l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni, si estende una rete di cooptazione e disgregazione che apre la strada alla guerra industriale, fatta di progetti e violenze che, poggiata sulle corporazioni militari e sulla prossima Guardia Nazionale tesse un’oscura ragnatela di morte e distruzione tra i popoli originari del paese;

Ribadendo la nostra decisa opposizione alle politiche neoliberali di vecchi e nuovi governi, la nostra opposizione alle consultazioni, o come si vogliano chiamare, che non hanno altro fine che la sottrazione dei nostri territori; la nostra opposizione al settore minerario, al contenimento dei nostri fiumi, alla costruzione di autostrade, all’accelerata speculazione immobiliare sulle nostre terre, ai megaprogetti neoliberali di morte come il Proyecto Integral Morelos, il Corridoio Transistmico o il Treno Maya;

Ricordando che la lotta guidata dal Generale EMILIANO ZAPATA SALAZAR e dall’Esercito Libertador del Sur y Centro hanno rappresentato e continuano a rappresentare gli interessi e le aspirazioni dei nostri popoli e di milioni di sfruttati e sfruttate in Messico e nel mondo; e che il prossimo 10 aprile saranno 100 ANNI DAL VILE ASSASSINIO DEL GENERALE EMILIANO ZAPATA SALAZAR per mano del regime politico che, nonostante le sue “trasformazioni”, ci governa tuttora:

CONVOCHIAMO

L’ASSEMBLEA NAZIONALE DEI POPOLI INDIGENI DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E ADERENTI ALLA SEXTA, RETI DI APPOGGIO AL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO E COLLETTIVI ED ORGANIZZAZIONI CHE LOTTANO E SI ORGANIZZANO CONTRO IL CAPITALISMO

Da tenersi il 9 aprile del corrente anno nella comunità indigena di Amilcingo, municipio di Temoac, Morelos, dalle 10:00 del mattino alle 18:00.

Così come alla:

Mobilitazione Nazionale Ed Internazionale A 100 Anni Dall’Assassinio Del Generale EMILIANO Zapata SALAZAR, Il cui Epicentro Sarà In CHINAMECA, MORELOS, Il 10 Aprile 2019, A partire daLLE ORE 09:00 DEL MATTINO.

Il programma sarà reso noto prossimamente.

 

DISTINTAMENTE

marzo 2019

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

ASAMBLEA DE LA RESISTENCIA DE AMILCINGO

FRENTE DE PUEBLOS EN DEFENSA DE LA TIERRA Y EL AGUA MORELOS-PUEBLA-TLAXCALA

CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO/CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

 

Per accordo dell’Assemblea Emergente Nazionale di fronte alla Violenza dello Stato e l’Autodeterminazione dei Popoli, realizzata nella comunità di Amilcingo, Morelos in data 9 marzo del corrente anno, si lancia la presente convocazione insieme alle seguenti organizzazioni:

Huexca en Resistencia, Asamblea Permanente de los Pueblos de Morelos, Red de apoyo al CIG-Morelos, Organización Popular Francisco Villa de Izquierda Independiente, Trabajadores de Morelos, UPCI, Cholultecas Unidos en Resistencia-CHUR, Nodorolidente, MOPIM-CNPA-MN, Instituto Cultural Autónomo Rubén Jaramillo, UPVA 28 de octubre, Red contra la Represión, Red Coyoacan, Praxis en América Latina, CNI Tepoztlan, CNI Puebla, Colectivo Resistrenzas, Red de Resistencia y Rebeldía Cineteca, Red de Rebeldías y Resistencias, UPCD, EPM, Colectivo Obrero, JEN, Comunidad de Huazulco, Zapatistas del sur de Morelos, UCIZONI, MAIZ, Integrantes UAM-Azcapozalco, Solidaka, Unión por la Soberanía Popular, Escuela Normal Rural Popular Mactumactzá, Ejido Tenextepango, Ruacig, Rebelión, Hecho en Tlalpan, Colectivo El Zurdo, Mov. por la libertad de los defensores del agua Tlanixco Edo. Mex., San Miguel Cajono Oaxaca, Universidad de Chapingo, Libertad bajo Palabra, Flor de la Palabra, Organización Nacional del Poder Popular.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/03/16/convocatoria-a-las-jornadas-de-lucha-zapata-vive-samir-vive-la-lucha-sigue-a-100-anos-del-asesinato-del-general-emiliano-zapata-salazar/

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SAMIR VIVE, LA LOTTA CONTINUA!

PRONUNCIAMENTO DELLA TERZA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO, CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO ED EZLN.

 

Ai popoli del mondo

Alle organizzazioni e collettivi in resistenza e ribelli

Alle reti di resistenza e ribellione

Alla sexta nazionale e internazionale

Ai mezzi di comunicazione

 

A quasi 100 anni dall’assassinio del generale Emiliano Zapata, i popoli ayuuk, binizza, chinanteco, chol, chontal, guarijío, maya, mayo, mazahua, mazateco, mixteco, nahua, nayeri, otomí, popoluca, purépecha, raramuri, tepehuano, tlapaneco, tojolabal, totonaco, tzeltal, tsotsil, wixárika, yaqui, zoque e quichua (Ecuador) siamo qui riuniti per celebrare la Terza Assemblea Nazionale del Congresso Nazionale Indigeno e Consiglio Indigeno di Governo, nel dolore e nella rabbia per la guerra contro i nostri popoli e per l’assassinio del compagno Samir morto per difendere la terra ed il suo popolo. Dalla nostra assemblea nazionale mandiamo un abbraccio solidale e di lotta alla sua famiglia ed alla comunità di Amilcingo, Morelos. Il CNI-CIG e l’EZLN mandano un abbraccio solidale, e per noi il compagno sarà sempre una candela accesa.

Samir è stato ucciso dal regime neoliberale; non sappiamo se è stato il governo, gli impresari, se i loro cartelli criminali o se i tre insieme. Le offerte fatte da AMLO non a chi sta sotto, ma ai padroni del denaro e del potere e le velate minacce contro chi difende la vita, hanno gettato le basi per il vile omicidio. Questo, nel caso del nuovo titolare dell’Esecutivo federale, è la promessa di consegnare alle grandi imprese ed alle cupole militari quello che non sono riusciti a sottrarci il capitalismo neoliberale ed i suoi malgoverni che vanno e vengono. Agli impresari offre di mettere a loro disposizione la terra con la presunta nuova Legge di Sviluppo Agrario, per smantellare definitivamente la proprietà e l’organizzazione collettiva, chiamando “sviluppo” il furto sfacciato e la distruzione, minacciando militarmente le nostre comunità con la sua Guardia Nazionale e riconfigurando il nostro paese.

Quello che sopra chiamano “trasformazione” per la nostra gente ha sempre significato che noi ci mettiamo i morti in funzione degli interessi delle oligarchie e di chi detiene il potere, che sono sempre più pochi ma grandi, e che non smettono di vivere dell’oppressione, dello sfruttamento e della distruzione degli stessi di sempre.

La cosiddetta “Quarta Trasformazione” segue lo stesso percorso delle 3 precedenti, e se possibile anche con più brutalità e cinismo.

Nella guerra di Indipendenza furono gli sfruttatori locali, figli degli invasori europei coloro i quali presero il potere e si spartirono le nostre terre, cercando di rendere invisibile l’esistenza dei nostri popoli sulla base del discorso liberale che è il discorso del Potere proseguito fino ad oggi.

Con la Riforma le nostre terre comunali, per noi sacre, furono proscritte per consegnarle agli stessi saccheggiatori, le leggi di Riforma e le successive leggi sui terreni incolti e di colonizzazione favorirono la crescita delle grandi tenute sotto il regime di Porfirio Díaz.

Durante la Rivoluzione Messicana, mentre sopra si spartivano il potere politico, sotto, col nostro sangue, difendevamo ed irrigavamo la terra. Mentre Madero e Carranza tradivano ed assassinavano Zapata, i nostri popoli chiedevano un radicale e profonda trasformazione sociale ed agraria che non è mai arrivata.

Così, in ogni “trasformazione” sono cresciuti ed acuiti lo sfruttamento, la sottrazione, la discriminazione ed il disprezzo contro i nostri popoli.

Non abbiamo dubbi che questa nuova tappa di governo approfondisca il neoliberismo e l’integrazione forzata del nostro paese nell’orbita imperiale degli Stati Uniti, perché si è impegnato fedelmente a dare continuità alle politiche macroeconomiche dei governi precedenti, stabilendo un’austerità e restrizioni fiscali che non si vedevano dal governo di Miguel de la Madrid; garantendo l’autonomia della Banca del Messico, il rispetto degli investimenti stranieri e l’impulso del libero commercio. Va contro noi ed i nostri territori, è per lo sterminio dai nostri popoli ovunque ed a questo scopo lancia una guerra che oggi subiamo con lutto e rabbia. Da questa assemblea generale e nell’insieme dalle nostre sofferenze vediamo che è una guerra fatta di molte guerre che operano in maniera integrale, come se fosse una sola.

Francisco I. Madero, colui che tradì Zapata, oggi è il principale ispiratore del discorso del nuovo Esecutivo federale, ammiratore delle politiche di sviluppo liberiste che stanno sterminando i nostri popoli.

In realtà, la cosiddetta “Quarta Trasformazione” è iniziata con Miguel de la Madrid Hurtado, si è approfondita con Carlos Salinas de Gortari, ha proseguito la sua guerra di conquista con Ernesto Zedillo Ponce de León, Vicente Fox Quezada, Felipe Calderón Hinojosa ed Enrique Peña Nieto; ed ora continua col progetto ultra-sessennale di Andrés Manuel López Obrador e del Partido Movimiento de Regeneración Nacional. Per i popoli originari l’unico “vero cambiamento” è l’aumento delle menzogne, degli inganni, delle persecuzioni, delle minacce, degli arresti, dei soprusi, degli omicidi, del disprezzo, dello sfruttamento umano e della distruzione dell’ambiente; insomma: l’annichilimento della vita collettiva quale siamo.

Quello di cui hanno bisogno quelli che orchestrano la distruzione del mondo ce l’abbiamo noi, e lo difenderemo dalla sua trasformazione capitalista con la nostra resistenza e disobbedienza, benché, come vediamo, dobbiamo affrontare la trama militare di dominazione e repressione che sono lo stendardo del capitale che ricorre a corpi di polizia, militari, gruppi di scontro, cartelli della droga e paramilitari.

Il malgoverno federale poggia sulle stragi provocate da decenni di neoliberismo, approfondendo il disprezzo ed il razzismo per poter spogliare i popoli originari. Cerca l’indifferenza e ad essa si rivolge per domandargli se è d’accordo o no sulla distruzione che riveste di “progresso”. Ovvero, le sue presunte consultazioni non sono altro che il raccolto dell’odio e della paura lasciati dal capitalismo neoliberale. Questo raccolto viene chiamato “democracia”.

Di fronte a tutti i progetti preposti alla sottrazione ed alla distruzione dei nostri territori e culture, dichiariamo che le consultazioni popolari, e quelle organizzate anche in base al Trattato 169 dell’OIL, hanno lo scopo di convalidare i megaprogetti e rivestirli di una falsa legittimità. Denunciamo che le consultazioni che l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni organizza attualmente intorno al Plan Nacional de Desarrollo 2018-2024, al Treno Maya o all Corridoio Transismico sono una simulazione per la loro convalida. I nostri popoli, nell’esercizio dei loro diritti fondamentali all’autonomia e territoriali dicono NO alle politiche ed ai megaprogetti di sottrazione, morte e distruzione, così come alle consultazioni organizzate dai malgoverni per ottenere il consenso dei nostri popoli a queste politiche e megaprogetti.

Il governo neoliberale guidato da Andrés Manuel López Obrador ha gli occhi puntati sulle nostre comunità e territori, dove, con l’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni, si tende una rete di cooptazione e disgregazione che apre la strada ad una guerra industriale, fatta di progetti e violenze che, insieme alle altre guerre e reti di guerra, stende un’oscura ragnatela di morte sui popoli originari del paese.

Il Proyecto Integral Morelos, per esempio, consta di 2 centrali termoelettriche, gasdotti ed acquedotti che vogliono spogliare della terra, acqua, sicurezza, salute, identità e vita rurale i popoli indigeni nahua del vulcano Popocatépetl degli stati di Morelos, Puebla e Tlaxcala. La forza dello Stato e delle imprese Elecnor, Enagas, Abengoa, Bonatti, CFE, Nissan, Burlington, Saint Gobain, Continental, Bridgestone e molte altre, ha imposto questo progetto attraverso la violenza pubblica statale, federale e l’esercito, seminando terrore tra le comunità con la tortura, le minacce, l’arresto, la persecuzione giudiziaria, la chiusura di radio comunitarie ed ora con l’assassinio del nostro fratello Samir Flores Soberanes.

I neoliberisti, prima con i criminali Felipe Calderón ed Enrique Peña Nieto ed ora con Andrés Manuel López Obrador, vogliono distruggere la resistenza dei popoli che dicono NO al Proyecto Integral Morelos. Tuttavia, il razzismo seminato dal disprezzo capitalista, dalla disinformazione e dalla smemoratezza, tornano a criminalizzarci. Nel 2014 e nel 2018 AMLO disse che sarebbe stato dalla parte dei popoli indigeni contro la centrale termoelettrica a Huexca. Oggi ci chiama radicali di sinistra e conservatori, dicendo che è il denaro investito nel progetto la ragione principale per non fermare la morte che esso annuncia, senza che importino le sofferenze e la rabbia dei nostri popoli.

Oggi, ingannevolmente è definita “democrazia” la menzogna che chiamano “consultazione”, realizzata nel clima di violenza, disinformazione e diffamazione, senza nemmeno considerare i rischi che il Gasdotto Morelos comporta in una zona pericolosa come quella del vulcano sacro Popocatépetl, senza che si curino che si esaurisca l’acqua per l’irrigazione degli ejidos di Ayala e si inquini il Fiume Cuautla. Cioè, la vita non vale quando si parla del grande capitale.

Nei villaggi maya degli stati di Chiapas, Tabasco, Campeche, Yucatan e Quintana Roo, i luoghi sacri vengono strappati violentemente alle comunità per accrescere i guadagni di imprese turistiche transnazionali; si scatena una guerra in cui lo stesso treno che trasporterà i frutti dell’industria alimentare transgenica, trasporterà la carne dei mega allevamenti suini che distruggono le acque sacre dei cenote; lo stesso che servirà per collegare le zone economiche speciali di Puerto Progreso e Campeche nella penisola, dove inoltre impongono parchi eolici. Ugualmente, nei territori indigeni di Tabasco e Chiapas, dove, inoltre, questa guerra si mette in rete con i gruppi repressivi militari e paramilitari. Poi, diventa una sola guerra dei megaprogetti dispiegati sul territorio dei popoli originari dell’Istmo di Tehuantepec.

Mentre orchestrano la trasformazione capitalista contro i popoli maya, la terra viene rubata alle comunità, comprata per pochi pesos e distrutta dallo sfruttamento e dalla contaminazione transgenica in tutta la regione, fortemente colpita dalle sostanze chimiche usate in agricoltura.

Nei villaggi dei popoli originari che vivono nell’Istmo di Tehuantepec, il malgoverno capitalista annuncia l’imposizione del progetto voluto dai grandi capitali internazionali per il transito delle loro merci ed il saccheggio dei beni naturali e culturali del sud-sudest dove vivono un gran numero di popoli originari e dove si trovano le principali selve, boschi, fiumi e la zona a maggiore biodiversità del paese.

Il malgoverno capitalista usa le forme di imposizione dei governi precedenti per imporre questo megaprogetto di morte con cui si vogliono riattivare i porti di Salina Cruz e Coatzacoalcos collegandoli tra loro con un treno ad alta velocità per il trasporto di merci dei grandi capitali che controllano il mondo. È il neo porfirismo “trasformato” nei panni di “progressista”.

Vuole trasformare l’Istmo in un muro di contenimento della migrazione centroamericana e nazionale verso gli Stati Uniti, utilizzando i migranti in lavori precari e mal pagati nelle industrie maquiladoras, nelle fabbriche di automazione, nello sfruttamento forestale, i megaprogetti energetici, come i corridoi eolici, idroelettrici, così come nello sfruttamento di idrocarburi con metodi convenzionali e fracking, lo sfruttamento minerario e il trasporto di merci in tutta la frangia transistmica.

Questo progetto non è a beneficio delle comunità, né del paese, né trasporterà i nostri prodotti locali, ma è la consegna dei nostri territori e della nostra vita al capitalismo internazionale guidato dagli Stati Uniti, da dove partono reti di guerre per le quali non ci sono muri né contenimenti.

La versione “Quarta Trasformazione” del muro di Trump, non è altro che la moltiplicazione di muri costruiti dalla frontiera con Guatemala e Belize fino all’Istmo messicano. Queste muraglie si costruiscono con i materiali prodotto della distruzione della natura e dei popoli originari, ed il loro “collante” è il saccheggio, lo sfruttamento, il disprezzo e la repressione.

Nel centro del paese, l’espansione selvaggia di Città del Messico è accompagnata da sviluppo industriale e speculazione agraria ed immobiliare che sta portando alla distruzione di un’ampia zona. Con i lavori a Texcoco per il NAICM sono stati distrutti più di 100 colline per estrarre materiali con cui uccidere il lago, provocando la contaminazione delle fonti di acqua di tutta la regione. L’alternativa del nuovo governo, l’aeroporto nella base militare di Santa Lucía, è accompagnata dallo stesso saccheggio dei villaggi della zona che si vogliono gettare nella disgrazia che il capitale getta su tutti noi.

Con preoccupazione osserviamo, da una parte, che l’impresa PINFRA continua le opere dell’autostrada México Tuxpan-Peñón Texcoco, sui terreni dell’ejido di Nexquipayac, mentre diverse imprese vogliono continuare diverse opere del NAICM a Texcoco ed attualmente realizzano lavori che non sono debitamente giustificati; d’altra parte, il governo federale promette ai militari la gestione ed i profitti del nuovo aeroporto a Santa Lucía. È la tariffa in cambio della protezione del potere contro noi popoli che ci organizziamo per fermare la guerra in ogni angolo del paese, mettendoci sempre la vita. È per questo che il CNI-CIG continuerà a lottare per la cancellazione del progetto del NAICM sia che vogliano continuarlo a Texcoco o a Santa Lucía, come è la decisione dell’Esecutivo federale.

In questo senso e nell’esercizio dei nostri diritti territoriali ed all’autonomia, diciamo che questi megaprogetti cozzeranno contro la volontà dei nostri popoli.

Il malgoverno capitalista di López Obrador acuisce la guerra contro le donne del nostro paese, dunque, con il suo doppio appoggio ai potenti, porta all’aumento di femminicidi, tratta delle donne, tortura e sfruttamento. Per questo noi del Congresso Nazionale Indigeno e Consiglio Indigeno di Governo ed EZLN, pensiamo che se noi donne che lottiamo nei nostri villaggi in campagna ed in città ci organizziamo, riusciremo a minare, fino a farla cadere, questa guerra del capitale.

In basso, in tutte le geografie dei popoli originari, continuiamo a seminare l’autonomia, costruiamo ed esercitiamo il potere del basso in quello che sono anche reti di reti, ma di resistenza e disobbedienza, che sono anche lo specchio non solo di noi popoli del CNI – CIG ed EZLN, ma di molti altri ed altre che seminano la speranza e delle quali è specchio questa nostra terza assemblea nazionale.

Di conseguenza, da qui, denunciamo la guerra aperta contro la degna lotta della comunità indigeno nahua di Santa María Ostula, Michoacán, che utilizza la forza repressiva del malgoverno ai suoi tre livelli, così come i gruppi della criminalità organizzata, la stessa che viene dispiegata anche in tutto il territorio del paese come strumento di morte contro i nostri popoli e come giustificazione per la militarizzazione e la creazione della Guardia Nazionale.

Ci dichiariamo per il rispetto pieno all’autonomia dell’ejido Tila, nello stato del Chiapas e condanniamo le minacce di esproprio e repressione fatte dall’illegittimo commissario ejidale con l’appoggio dei malgoverni per la formazione di gruppi di scontro contro i nostri compagni che hanno dato esempio di dignità ed organizzazione.

Ugualmente, su accordo della nostra assemblea nazionale, continuiamo ad esigere la presentazione in vita del nostro compagno Sergio Rivera Hernández che è stato desaparecido dal 23 agosto 2018 per la sua lotta contro la miniera Autlán nella Sierra Negra di Puebla. Esigiamo la cancellazione del progetto idroelettrico Coyolapa-Atzala e dello sfruttamento minerario nella Sierra Negra.

Esigiamo la presentazione in vita dei 43 studenti di Ayotzinapa e giustizia per i compagni assassinati.

Esigiamo la cancellazione delle concessioni minerarie su tutto il territorio nazionale, che implicano la distruzione nello stato di Oaxaca, Sierra Sur, nel territorio chontal da parte dell’impresa Salamera, nella regione dei Chimalapas, dove la stessa impresa canadese attualmente vuole ampliare le sue concessioni, nel deserto di Wirikuta, San Luis Potosí ed in tutto il paese.

Rivolgiamo un appello per raddoppiare gli sforzi per la libertà del nostro compagno Fidencio Aldama Pérez, del popolo yaqui di Loma de Bácum, Sonora; e dei nostri compagni Pedro Sánchez Berriozábal, Rómulo Arias Mireles e Teófilo Pérez González della comunità nahua di San Pedro Tlanixco, nello Stato del Messico, e di tutti i prigionieri politici del Messico.

Vogliamo che cessino la persecuzione e le minacce contro i nostri fratelli e sorelle della comunità di Amilcingo, Morelos, da dove brilla la luce del nostro fratello Samir, da parte dei tre livelli del malgoverno che vogliono imporre ad ogni costo il Proyecto Integral Morelos.

Vogliamo la cancellazione del parco eolico conosciuto come Gunaa Sicarú, dell’impresa francese EDF, progettato su più di 4mila ettari appartenenti ai terreni comunali della comunità binnizá di Unión Hidalgo e respingiamo la consultazione che il governo vuole realizzare per ottenere il “consenso” allo stesso. Ugualmente vogliamo la cancellazione immediata degli studi di prospezione che stanno svolgendo gli speleologi appartenenti al PESH (Espeleológico Sistema Huautla) nelle grotte e nelle caverne della comunità mazateca di Huautla senza l’autorizzazione della stessa.

Invitiamo i popoli originari, le reti e le organizzazioni che hanno appoggiato il CIG-CNI, così come i collettivi e le organizzazioni di lavoratori, di studenti, di donne, di contadini e di giovani che lottano contro il capitalismo neoliberale, a far crescere le nostre resistenze e ribellioni e a partecipare all’Assemblea Nazionale dei popoli del Congresso Nazionale Indigeno e le organizzazioni, reti e collettivi che in Messico e nel mondo lottano e si organizzano, all’evento a motivo del centenario dell’assassinio del Generale Emiliano Zapata Salazar, i giorni 9 e 10 aprile del presente anno nello stato di Morelos, dove ancora una volta diremo con chiarezza:

SAMIR VIVE, VIVE, LA LOTTA CONTINUA, CONTINUA!

 

Distintamente

Dalla Terza Assemblea Nazionale del Congresso Nazionale Indigeno e Consiglio Indigeno di Governo.

Marzo 2019

Per la Ricostituzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/03/06/samir-vive-la-lucha-sigue-pronunciamiento-de-la-tercera-asamblea-nacional-del-congreso-nacional-indigena-el-concejo-indigena-de-gobierno-y-el-ezln/

 

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La vita non si negozia, la morte non si consulta

Gilberto López y Rivas

La Jornada, 21 febbraio 2019. Un fantasma percorre lo stato di Morelos ad un secolo dell’assassinio del generale Emiliano Zapata a Chinameca. Le comunità indigene-campesine morelensi che continuano a resistere per terra, acqua e vita, si sentono tradite da Andrés Manuel López Obrador (AMLO) che con il governo della Quarta Trasformazione, come i governi neoliberali precedenti, vuole imporre il Proyecto Integral Morelos (PIM), e mettere in funzione la centrale termoelettrica di Huexca.

A viva voce e attraverso La Voz de Huexca en Resistencia, un modesto giornale di coloro che in questo villaggio lottano contro la centrale termoelettrica costruita sul loro territorio senza consultazione né autorizzazione dei suoi abitanti, esprimono con tristezza e rabbia le contraddizioni programmatiche tra l’allora candidato e ora Presidente, mostrando un video del 2014 in cui AMLO enunciava: Qui vi voglio dire che noi difenderemo con tutto quanto  in nostro potere le comunità che non vogliamo questa centrale, e non vogliamo neanche le miniere che inquinano le acque. Immaginate cosa significa questo, in questa terra dove, ad Anenecuilco, è nato Emiliano Zapata, il miglior dirigente nella storia del Messico, proprio qui vogliono realizzare una centrale termoelettrica.

Da quando è stato presentato il PIM e l’avvio dei lavori, il movimento di opposizione nei tre stati non si è mai fermato, e così la repressione. La lotta è organizzata fondamentalmente nel Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra y Agua, Morelos, Puebla e Tlaxcala e nella Asamblea Permanente de los Pueblos de Morelos, attivi contro i progetti di sviluppo che per le comunità significano morte, sottrazione di terre e devastazione dell’ambiente. In Morelos la lotta contro il PIM è iniziata nel 2013. Huexca, Amilcingo, Jantetelco ed Ayala sono centri distaccati di opposizione al progetto.

Queste organizzazioni dimostrano che gli abitanti dei tre stati, 24 città e centinaia di comunità si vedranno colpiti in diverse maniere. Il gasdotto di 76 centimetri di diametro percorrerà 170 chilometri trasportando ogni giorno 9mila metri cubi di gas naturale, con tutti i pericoli che questo implica, e considerando che il percorso è zona sismica di rischio mezzo alto per la vicinanza del vulcano Popocatépetl. Ugualmente per la condotta d’acqua, lunga 12 chilometri e quasi un metro di diametro con cui si saccheggerà l’acqua che alimenta la vita agricola della regione indigena-campesina di Morelos.

Il 9 febbraio di questo anno, i membri dell’Accampamento Zapatista in Difesa dell’Acqua del Fiume Cuautla, a San Pedro Apatlaco, municipio di Ayala, Morelos, hanno diffuso una lettera aperta al Presidente Andrés Manuel López Obrador, nella quale si oppongono alla controversa consultazione di questo fine settimana, informano sui loro due anni e mezzo di presidio per impedire il saccheggio dell’acqua del fiume Cuautla per la centrale termoelettrica di Huexca da parte della Commissione Federale di Elettricità, e sottolineano i ricorsi vinti per la sospensione definitiva del progetto.

Il 19 febbraio è stata ratificata una denuncia davanti alla Commissione Nazionale dei Diritti Umani in cui si chiede allo Stato messicano l’annullamento della consultazione che viola i diritti umani e i diritti dei popoli originari, secondo il Trattato 169 dell’OIL. Nello stesso tempo, si sollecitano misure cautelative, federali e statali, che proteggano il diritto di manifestare delle e dei cittadini contro il PIM e, in particolare, dei membri dei popoli originari organizzati che si oppongono a questo progetto.

All’alba di ieri, un gruppo armato ha assassinato Samir Flores Soberanes, un noto membro del FPDTA-MPT, nella sua casa di Amilcingo. L’organizzazione ha dichiarato che: “Già lo scorso 11 febbraio il FPDTA, con una lettera pubblica indirizzata a López Obrador, aveva avvertito che le sue dichiarazioni a sostegno della centrale e le diffamazioni e parole di odio pronunciate a Cuautla contro i difensori della terra e dell’acqua, annunciando la consultazione pubblica sul PIM, avrebbero potuto generare violenza… Oggi si vedono i risultati delle orecchie sorde di Obrador… Questo è un crimine politico a causa della difesa dei diritti umani che Samir ed il FPDTA portano avanti contro il Proyecto Integral Morelos e per l’autonomia ed autodeterminazione dei popoli”.

Così, con consultazioni fasulle di un presidenzialismo che vanta 30 milioni di voti, si cercherà di imporre il PIM, mentre AMLO accusa di conservatorismo l’estrema sinistra per le proteste a Cuautla, dove su alcuni striscioni si legge: Sig. presidente, lei avrà la sua centrale termoelettrica, e noi in cambio la morte, La vita non si negozia, la morte non si consulta.

A Samir Flores Soberanes, luchador por la vida.

 

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/02/21/opinion/016a1pol#

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Comunicato del #CNI #CIG #EZLN sull’omicidio del compagno Samir Flores Soberanes

20 febbraio 2019

Al popolo del Messico ed ai popoli del mondo

Alle reti di appoggio al CIG

Alle reti di resistenza e ribellione

Alla Sexta Nazionale ed Internazionale

Ai mezzi di comunicazione

Denunciamo con dolore e rabbia il vile assassinio del nostro compagno Samir Flores Soberanes, dirigente nella comunità di Amilcingo, Morelos; uno dei principali oppositori al Proyecto Integral Morelos e da molti anni delegato del Congresso Nazionale Indigeno.

Alle 5:40 circa del mattino di oggi 20 febbraio, delle persone armate arrivate a bordo di due veicoli hanno bussato alla sua porta e quando Samir è uscito gli hanno sparato quattro colpi, due dei quali in testa che dopo pochi minuti gli hanno tolto la vita.

Ieri, Samir aveva esposto i motivi dei popoli di Morelos per opporsi al Plan Integral Morelos, in un evento organizzato dal delegato del malgoverno federale Hugo Erick Flores, che si era presentato nel municipio di Jonacatepec per organizzare il forum relativo alla presunta “consultazione” con la quale vogliono imporre la centrale termoelettrica di Huexca, Morelos, e le opere complementari che distruggono il territorio e minacciano la vita di tutta la regione.

Di questo crimine riteniamo responsabile il malgoverno ed i suoi padroni che sono le imprese ed i loro gruppi armati legali ed illegali, che vogliono così derubarci, portarci alla morte e spegnere le luci di speranza, come quella del compagno Samir.

Distintamente
Febbraio 2019

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli
Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno
Consiglio Indigeno di Governo
Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/02/20/pronunciamiento-del-cni-cig-ezln-ante-el-asesinato-del-companero-samir-flores-soberanes/

 

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A: le donne che lottano in tutto il mondo. Da: le donne zapatiste.

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE. MESSICO.

Febbraio 2019

Sorella, compagna:

Ti mandiamo un saluto come le donne in lotta che siamo, a nome delle donne zapatiste.

Quello che vogliamo dire o informare è un po’ triste perché ti diciamo che non saremo in grado di fare il II° Incontro Internazionale delle Donne che Lottano, qui nelle nostre terre zapatiste, questo marzo 2019.

Le ragioni per cui non possiamo, può essere che forse le conosci già, e se no allora ti raccontiamo un po’.

Bene, si scopre che i nuovi cattivi governi hanno già detto chiaramente che stanno per fare i megaprogetti dei grandi capitalisti. Dal loro Treno Maya, al loro piano per l’Istmo di Tehuantepec, al loro piantare alberi per i mercati di legname e frutta. Hanno anche detto che entreranno le compagnie minerarie e le grandi aziende alimentari. E hanno anche un piano agrario che porta a compimento l’idea di distruggerci come popoli originari, in modo da convertire le nostre terre in merci, che quindi vogliono completare ciò che Carlos Salinas de Gortari ha lasciato in sospeso perché non poteva, perché lo fermammo con la nostra rivolta.

Questi progetti sono di distruzione. Non importa quanto vogliono coprirli con le loro bugie. Non importa quante volte moltiplichi i tuoi 30 milioni di appoggi. La verità è che vanno del tutto contro i popoli originari, le loro comunità, le loro terre, le loro montagne, i loro fiumi, i loro animali, le loro piante e persino le loro pietre.

Quindi non vanno solo contro di noi, le zapatiste, ma contro tutte le donne che dicono di essere indigene. E poi anche contro gli uomini, ma in questo momento stiamo parlando come le donne siamo.

Vogliono che le nostre terre non siano più per noi, ma affinché i turisti vengano a fare una passeggiata e abbiano i loro grandi hotel e i loro ottimi ristoranti, e le attività che sono necessarie ai turisti per avere quei lussi.

Vogliono che le nostre terre diventino fattorie che producono legni pregiati, frutta e acqua; diventino miniere per estrarre l’oro, l’argento, l’uranio e tutti i minerali che ci sono e che i capitalisti vogliono.

Vogliono che diventiamo le loro operaie, le loro serve, che vendiamo la nostra dignità per poche monete al mese.

Perché quei capitalisti, e coloro che li obbediscono nei nuovi cattivi governi, pensano che ciò che vogliamo sia il salario.

Non possono capire che vogliamo la libertà, non capiscono che il poco che abbiamo raggiunto è stato combattendo senza che nessuno ci chieda il conto, senza foto, senza interviste, senza libri, senza consultazioni, senza sondaggi, senza votazioni, senza musei e senza bugie.

Non capiscono che ciò che chiamano “progresso” è una menzogna, che non possono nemmeno prendersi cura della sicurezza delle donne che continuano a essere picchiate, violentate e assassinate nel loro mondo progressista o reazionario.

Quante donne sono state uccise in questi mondi progressisti o reazionari mentre leggi queste parole, compagna, sorella?

Forse lo sai, ma naturalmente ti diciamo che qui, nel territorio zapatista, non una sola donna è stata uccisa in molti anni. Ma sì, dicono che siamo quelle arretrate, quelle ignoranti, la pochezza.

Forse non sappiamo qual è il miglior femminismo, forse non sappiamo dire “corpa” oppure, a seconda, come cambiare le parole, o ciò che è l’equità di genere o di quelle cose che hanno così tante lettere che non si riescono a pronunciare. E non è neppure giusto quella che chiamano “parità di genere”, perché parla solo di parità tra donne e uomini, e invece noi, che ci dicono ignoranti e arretrate, sappiamo bene che ci sono coloro che non sono né uomini né le donne e che noi chiamiamo “otroas“, ma queste persone si chiamano a loro piacimento, e non è stato loro facile conquistare il diritto di essere ciò che sono senza nascondersi, perché le deridono, le perseguitano, le violano, le uccidono. E le stiamo ancora costringendo a essere o uomini o donne e che devono stare da una parte o dall’altra? Se quelle persone non vogliono farlo, allora è male che non vengano rispettate. Perché allora, come possiamo lamentarci che non ci rispettano come le donne che siamo, se non rispettiamo queste persone? Ma vabbè, forse è perché parliamo di ciò che abbiamo guardato da altri mondi e non abbiamo molta conoscenza di queste cose.

Quello che invece sappiamo è che lottiamo per la nostra libertà e che ora dobbiamo lottare per difenderla, in modo che la storia di dolore delle nostre nonne non sia sopportata dalle nostre figlie e dalle nostre nipoti.

Dobbiamo lottare perché la storia non si ripeta tornando al mondo in cui preparavamo solo da mangiare e davamo alla luce bambini, per vederli in seguito crescere nell’umiliazione, nel disprezzo e nella morte.

No, non ci sollevammo in armi per tornare allo stesso punto.

Non resistiamo da 25 anni per passare ora al servizio dei turisti, dei capi, dei capisquadra.

Non smetteremo di essere promotori di educazione, salute, cultura, mediatori, autorità, controllori, per diventare impiegati in alberghi e ristoranti, servendo estranei per pochi pesos. Non importa se ci sono molti o pochi pesos, ciò che conta è che la nostra dignità non ha prezzo.

Perché è quello che vogliono, compagna, sorella, che nella nostra terra diventiamo schiavi che ricevono elemosine per aver lasciato che distruggano la comunità.

Compagna, sorella:

Quando sei arrivata in queste montagne per l’incontro del 2018 vedemmo che ci guardavi con rispetto, e talvolta con ammirazione. Anche se non tutte quelle che sono venute lo hanno fatto in questo modo, perché sappiamo che ci sono persone che vengono a criticarci e ci guardano male. Ma questo non importa, perché sappiamo che il mondo è grande e ci sono molti pensieri e alcune persone capiscono che non tutte possono fare le stesse cose, mentre altre non lo capiscono. Questo perché ti rispettiamo, compagna e sorella, perché quello non era il fine dell’incontro. Cioè, non era per vedere chi ci dà buoni voti o brutti voti, ma per trovarci e sapere che lottiamo come le donne che siamo.

E poi non vogliamo che tu ora ci guardi con dispiacere o pietà, come serve a cui vengono dati ordini in modo buono o cattivo; o come quelle con cui contrattare per il prezzo del loro prodotto, che sia artigianato, che sia frutta o verdura, che sia qualunque cosa, come fanno le donne capitaliste. Che però, quando fanno shopping nei loro centri commerciali lì non contrattano, ma pagano quello che dicono i capitalisti e addirittura sono contente.

No compagna, sorella. Combatteremo con tutto e con tutte le nostre forze contro questi megaprogetti. Se conquistano queste terre, sarà sul nostro sangue, quello delle zapatiste.

Questo è quello che abbiamo pensato e che faremo.

Improvvisamente questi nuovi cattivi governi pensano o credono che, poiché siamo donne, abbasseremo rapidamente la testa, obbedienti al capo e ai suoi nuovi capisquadra, perché quello che stiamo cercando è un buon datore di lavoro e una buona paga.

Invece no, quello che vogliamo è la libertà che nessuno ci ha regalato, che abbiamo conquistato combattendo anche con il nostro sangue.

Pensate che quando arriveranno le forze dei nuovi cattivi governi, i loro paramilitari, le loro guardie nazionali, li riceveremo con onore, con gratitudine, con gioia?

No, succederà che li riceveremo combattendo e vedremo se imparano cosa sono le donne zapatiste che non si vendono, non si arrendono e non zoppicano.

Noi, quando c’è stato l’Incontro delle Donne che Lottano l’anno scorso, ci siamo sforzate perché fossi felice e contenta e al sicuro, compagna e sorella. E lì abbiamo raccolto il buono come la critica che ci hai lasciato: che era molto duro il tavolato, che il cibo non ti piaceva, che era molto costoso, del perché di questo e del perché di quello. Ti informiamo di come abbiamo già lavorato e delle critiche che abbiamo ricevuto.

E anche se con lamentele e critiche, forse qui eri al sicuro, senza che uomini buoni o cattivi ti guardassero e giudicassero. Eravamo donne pure, lo sai.

E ora non è più sicuro, perché sappiamo che il capitalismo arriva dappertutto e dove vuole, non importa a quale costo. E lo faranno perché sentono che molte persone li sostengono e che possono fare atrocità e spettacoli e li stanno ancora applaudendo. E ci attaccheranno e controlleranno i loro sondaggi per vedere se hanno buoni risultati e così via fino a quando non ci finiranno.

E mentre scriviamo questa lettera, gli attacchi dei loro paramilitari sono già iniziati. Sono gli stessi di prima del PRI, poi il PAN, poi il PRD, poi il PVEM e ora sono di MORENA.

Quindi, ti diciamo, compagna e sorella, che non faremo qui l’Incontro, ma lo facciamo nelle tue terre, secondo i tuoi modi e i tuoi tempi.

Anche se non parteciperemo, volgiamo pensarvi.

Compagna, sorella:

Non smettere di combattere. Anche se quei maledetti capitalisti e i loro nuovi cattivi governi se la cavano e ci annientano, allora devi continuare a combattere nel tuo mondo.

Perché abbiamo concordato nell’Incontro che stiamo andando a combattere in modo che nessuna donna in nessun angolo del mondo abbia paura di essere una donna.

E poi il tuo angolo è il tuo angolo, compagna e sorella, e lì ti tocca, come a noi tocca qui nelle terre zapatiste.

Questi nuovi cattivi governi pensano che ci sconfiggeranno facilmente, che siamo poche e che nessuno ci sostiene in altri mondi.

Ma sia quel che sia, compagna e sorella, anche se rimarrà solo una di noi, forse quella sola combatterà per difendere la nostra libertà.

E non abbiamo paura, compagna e sorella.

Se non abbiamo avuto paura più di 25 anni fa, quando nessuno ci guardava, beh ancor meno ora che ci hai guardate tu, bene o male, ma ci hai guardate.

Compagna, sorella:

Bene, prenditi cura della piccola luce che ti abbiamo regalato.

Non lasciare che si spenga.

Anche se la nostra si estingue qui col nostro sangue, e anche se si spegne in altri posti, tu prenditi cura della tua perché, anche se i tempi sono ormai difficili, dobbiamo rimanere ciò che siamo, e che siamo donne che lottano.

E’ tutto compagna e sorella. La sintesi è che non faremo l’Incontro o, meglio, che noi non parteciperemo.

E se fanno l’Incontro nel tuo mondo e ti chiedono dove sono le zapatiste, perché non vengono, bene tu dì la verità, dì loro che le zapatiste stanno combattendo nel loro angolo per la loro libertà in quanto donne siamo.

È tutto, prenditi cura di te compagna e sorella.

Improvvisamente non ci guardiamo più.

Forse ti dicono di non pensare alle zapatiste perché sono già finite, che ormai non ci sono più zapatiste, ti diranno.

Ma quando pensi che non ancora, che ancora non ci hanno sconfitto, proprio lì senza preavviso, vedi che ti guardiamo e una di noi si avvicina e ti chiede all’orecchio in modo che solo tu possa sentire: “Dov’è la piccola luce che ti abbiamo dato? ”

Dalle montagne del sudest messicano.

Le donne zapatiste

Febbraio 2019.

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/02/11/carta-de-las-zapatistas-a-las-mujeres-que-luchan-en-el-mundo/?fbclid=IwAR1QZ34AQ4-CjUVqv-wNAhspJghXf4WxMOa-Gwvnx0U1xXD9zSpRco1aLHo

 Traduzione Rebecca Rovoletto https://www.facebook.com/notes/rebecca-rovoletto/a-las-mujeres-que-luchan-en-todo-el-mundo-de-las-mujeres-zapatistas/10212952193511038/

 

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La Giunta di Buon Governo Corazón Centrico de los Zapatistas delante del Mundo, con sede in Oventik, Chiapas, ha diffuso un rapporto con le prove di gravi violazioni dei diritti umani nei confronti della popolazione appartenente ai popoli originari delle città di Aldama e Chenalhó. Nella relazione si riportano 25 persone assassinate e più di 14 feriti. La Giunta di Buon Governo Zapatista ritiene il governo responsabile del conflicto tra Aldama e Chenalhó.

31 Gennaio 2019

JUNTA DI BUON GOVERNO, CORAZON CENTRICO DE LOS ZAPATISTAS DELANTE DEL MUNDO, OVENTIK, CARACOL II, RESISTENCIA Y REBELDIA POR LA HUMANIDAD – ZONA ALTOS DEL CHIAPAS, MESSICO

RELAZIONE DEI FATTI ACCADUTI NEL MUNICIPIO AUTONOMO MAGDALENA DE LA PAZ (ALDAMA) E NELLA COMUNITÀ SANTA MARTHA, MUNICIPIO DI CHENALHO, CHIAPAS, MESSICO.

Al fine di conoscere quello che stanno vivendo e subendo le popolazioni delle comunità di Santa Martha e di Magdalena (Aldama), entrambe appartenenti al MAREZ Magdalena de la Paz, di seguito presentiamo la relazione e valutazione di quanto realmente accade:

Il problema non è nuovo; negli anni ’70 alla comunità di Santa Martha (Manuel Utrilla), con un decreto presidenziale di José Portillo, furono consegnati 60 ettari di terra che appartenevano al municipio di Santa María Magdalena (Aldama). In seguito, si riconobbe che i proprietari erano gli abitanti di Aldama e con l’accordo del 1977 si concordò di rispettare il diritto di possesso di Aldama e che i contributi fossero versati ad Aldama. Ma gli accordi non furono rispettati e nel 1997 Santa Martha chiese la restituzione di 30 ettari.

Prima Aldama era una comunità appartenente al municipio di Chenalhó. Con la rimunicipalizzazione del 1998 diventa Municipio ufficiale. Questo nel quadro del piano di controinsurrezione del malgoverno di Zedillo e del croketa Albores, come risposta alla creazione dei Municipi Autonomi dei popoli zapatisti nel dicembre deò 1994. Santa Martha rimase appartenente al municipio di Chenalhó.

Durante il malgoverno di Fox e Pablo Salazar nel 2000, Santa Martha ottiene il suo obiettivo attraverso il progetto PROCEDE tenendosi i terreni in disputa dentro il suo territorio. Nel 2008 Santa Martha chiede legalmente la restituzione di 30 ettari in possesso di Aldama (causa Juan 54/2008 davanti al T.U.A) e nel 2009 nel sessennio di Juan Sabines e Felipe Calderón e dei presidenti municipali Enrique Ruíz Ruíz di Chenalhó e Lorenzo Gómez Gómez di Aldama, il tribunale unitario agrario decreta il possesso a beneficio di 115 comuneros di Aldama, provenienti dalle località vicine di San Pedro Cotzilnam, Xuxchen, Tselej potobtik, Yeton e Capoluogo Municipale. Per tentare di placare il conflitto, il governo offre denaro con l’assegno numero 2649 di 1 milione 300 mila pesos della banca Scotianbank a nome di Antonio López Álvarez presidente del comissariato per i beni comunali di Santa Martha, e l’assegno numero 2650 di 80 mila pesos della Scotianbank a nome di Mariano della Cruz Gómez Presidente del Comissariato dei Beni Comunali di Aldama e 1000 piantine di caffè. Secondo il governo il problema è risolto. Ma non è vero. Il conflitto è cresciuto perché il malgoverno non ha eseguito correttamente i lavori di delimitazione dei terreni, né ha spostato i cippi, e così ha causato altre provocazioni.

Come si può vedere, la risoluzione presidenziale degli anni settanta e la risoluzione del Tribunale Unitario Agrario del 2009 sono contrarie. Poi Santa Martha comincia a realizzare opere idriche, elettriche e strade e malgrado ci fosse un accordo secondo cui i coloni di Aldama non avrebbero dovuto fornire servizi, cooperazioni, né soldi a Santa Martha, le autorità dei partiti politici pretendevano il loro contributo per i lavori nella comunità. Con queste azioni il conflitto per la terra peggiora.

La riforma dell’articolo 3° della Costituzione ha parto le porte al PROCEDE ed ha accresciuto i conflitti per le terre. Santa Martha e Aldama sono la dimostrazione di quello che questo programma ha provocato. Il malgoverno sapeva bene come stavano le cose e le sue intenzioni erano di creare divisioni e permettere che i contadini fossero liberi, ma liberi di vendere le proprie terre. Si sa anche che in queste terre ci sono bellezze naturali e centri cerimoniali dove vogliono creare riserve o centri turistici privati. Per questo con la sua politica ne approfitta per dividere e creare scontri tra le comunità per vedere se cadiamo nelle sue trappole, e quando ci caschiamo e ci scontriamo ci accusa di ammazzarci tra noi fratelli e dicono che c’è un conflitto intercomunitario, ma non dice chi lo ha creato. Così si giustifica la militarizzazione dopo che loro stessi hanno creato i problemi in territorio zapatista e noi vi diciamo che ci stanno provocando e obbligando a difenderci.

A febbraio del 2014, quando Aldama non autorizzò Santa Martha Chenalhó ad usare la sorgente d’acqua ubicata dentro i 60 ettari, i comuneros di Santa Martha cacciarono con la forza le famiglie che vivevano sulle terre contese. Questo precedente ha aggravato il conflitto ed ora non è più solo un problema di terra e acqua, ma è ormai un problema sociale. Di seguito, informiamo dei risultati delle strategie dei malgoverni.

Durante i malgoverni di Enrique Peña Nieto e Manuel Velasco Coello e dei presidenti municipale Rosa Pérez Pérez di Chenalhó e Marcelino Patishtan de La Cruz di Aldama, il conflitto è cresciuto.

Le aggressioni sopra riportate sono state contro tutte le persone senza distinzione di sesso ed età. Hanno lasciato vedove, vedovi, orfani ed orfane, case e scuole autonome distrutte, animali domestici morti e sfollati; perdita di mais, caffè, banane, campi di canna da zucchero incendiati e danni all’apicoltura. È chiaro che le vittime del conflitto sono di entrambe le parti. Non si può più spostarsi in auto durante il giorno, ma solo di notte e con le luci spente. E se si devono trasportare malati, sparano all’auto. Sono compromesse l’unità, l’armonia, le buone abitudini, gli incontri culturali e religiosi. Sono molte le comunità colpite direttamente e indirettamente perché non possono più spostarsi, lavorare, né vivere liberamente.

Di seguito riportiamo i dati rilevati nel periodo di López Obrador, Rutilio Escandón e dei presidenti municipali ufficiali Abraham Cruz Gómez di Chenalhó ed Ignacio Girón di Aldama.

Gli scontri più gravi nell’era di López Obrador sono quelli del 21 e 22 gennaio 2019. Le raffiche di mitra si sentivano su tutta la riva del fiume che divide i due paesi.

Come soluzione, il governo di Obrador ed Escandón ed i presidenti municipali di Chenalhó Abraham Cruz Gómez e di Aldama Ignacio Pérez Girón, il 23 gennaio hanno inviato camion di soldati e poliziotti per installare una base di operazioni miste nella comunità di Cocó, Municipio di Aldama. Il malgoverno ha detto agli affiliati ai partiti che se non accettavano la sua guardia nazionale gli avrebbe tolto i sussidi economici.

È abitudine dei malgoverni preparare il terreno affinché si ripetano le stesse stronzate e porcherie. In Aldama e Santa Martha i tre livelli di governo passati e presenti sono responsabili della divisione, scontri, paura e rottura della vita comunitaria. Non si sono mai preoccupati di risolvere i problemi, hanno solo favorito accordi che non sono mai stati rispettati mettendo benzina sul fuoco, perché il vero obiettivo è dividere le comunità per favorire l’ingresso delle grandi imprese nei territori originari e saccheggiare le nostre ricchezze.

Una volta creata la tensione, fa sì che le autorità delle comunità manipolate affiliate ai partiti e pressate, sollecitino la presenza militare, affinché la popolazione si abitui alla militarizzazione. Noi abbiamo sempre detto che la soluzione non è la militarizzazione dei villaggi.

Questi conflitti per ambigui problemi: agrari, di acqua, di luce, di strade, di scuole ed altri, stanno accadendo in molte parti e sono sempre più in aumento.

Le parole di López Obrador sembrano convincere molti quando parla di quarta trasformazione. Sarebbe la quarta trasformazione quando molte famiglie basi di appoggio colpite a fuoco e gente dei villaggi muoiono per gli scontri? Come abbiamo detto il 5 luglio del 2018: è fuori dalla realtà. Noi viviamo nella realtà e così continuerà.

È questo il governo della speranza e della quarta trasformazione che per noi zapatisti è la quarta conquista, perché ancora un’altra volta ripete le sue intenzioni di sterminio e distruzione di noi popoli originari, come facevano i vecchi conquistadores, ma ora si mascherano diversamente e lo dimostrano con la loro pioggia di pallottole di calibro diversi. Un povero contadino da dove tira fuori tanto denaro per comprare tutte queste pallottole?

E chi è o chi sono i veri responsabili? Chi si avvantaggia dello scontro tra fratelli? Come Giunta di Buon Governo riteniamo responsabili i tre livelli del malgoverno: federale, statale e municipale, perché allora ed ora non hanno risolto a fondo le necessità e i problemi. La sua politica è distribuire denaro e briciole, creare conflitti e militarizzare le comunità indigene. Educano molto male dando denaro per calmare la gente. E questo, non è corruzione?

Noi sappiamo che non è più un problema agrario. Ora è un conflitto sociale dove si affrontano fratelli indigeni e le principali vittime sono le bambine, i bambini, donne, anziane e anziani. Gli abitanti affiliati ai partiti e le nostre basi di appoggio zapatiste vivono terrorizzate senza poter andare a lavorare per provvedere alla loro sopravvivenza. Se la situazione continua così, la salute e la vita saranno sempre di più in pericolo.

Quasta è la relazione e valutazione che presentiamo come Giunta di Buon Governo Corazón Céntrico de los Zapatistas Delante del Mundo, con sede in Oventik, Caracol II, Resistencia y Rebeldía por la Humanidad – Zona Altos del Chiapas, Messico.

 

Fonti consultate:

  1. Informes y escritos de las autoridades autónomas y oficiales.
  2. Información recopilada por el CDH Fray Bartolomé de las Casas A,C.
  3. Testimonios orales de testigos presenciales
  4. Fotografías
  5. Archivo documental de la Junta de Buen Gobierno
  6. Documentos de instancia del mal gobiernos

 

DISTINTAMENTE

LA GIUNTA DI BUON GOVERNO – ZONA ALTOS

Traduzione “Maribel” – Bergamo

 

VIDEO DELLA DENUNCIA:

https://youtu.be/aV6uiE8sLOQ

https://youtu.be/aQA_3-a_EKQ

https://youtu.be/pnHd32EVNKQ

https://youtu.be/JTTJm6ecsPw

http://chiapasdenuncia.blogspot.com/2019/02/junta-de-buen-gobierno-zapatista.html

https://frayba.org.mx/informe-de-violaciones-a-derechos-humanos-a-pueblos-originarios-en-aldama-chenalho-junta-de-buen-gobierno-zapatista-de-oventik/

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Venticinque anni fa, la ribellione indigena del Messico – Grandezza e limiti dell’esperienza zapatista

di Claudio Albertani

La coscienza umana non muore mai.
Si addormenta, vegeta, cade a volte
in uno stato letargico, però arriva il
momento in cui si sveglia e, in qualche
modo, recupera il tempo perduto
Raoul Vaneigem

Un quarto di secolo, una vita. Da dove cominciare? Dai ricordi. Il 31 dicembre del 1993, il Messico si disponeva a inaugurare il Trattato di Libero Commercio con l’America del Nord, firmato pochi mesi prima con gli Stati Uniti ed il Canada (Tlcan, o Nafta in inglese). Io vivevo qui dal 1979 e avevo
percorso il paese in lungo e in largo, un po’ come hippie ed un po’ come giornalista. Ero un fervente lettore di Malcolm Lowry, D. H. Lawrence e Jack Kerouac e, come loro, ero rimasto ipnotizzato dalla bellezza di queste terre, ma anche dalle sofferenze che trasudano.

Del Messico mi affascinavano le culture indigene ed il passato: la rivoluzione, Ricardo Flores Magón e Emiliano Zapata, di cui ancora discorrevano i vecchi nei villaggi. Amavo i cieli tersi della Sierra Madre, i paesaggi sontuosi del tropico ed ancor più il clima mite dell’altopiano; mi attraeva perfino Città del Messico che conservava una dimensione umana e non era la metropoli mostruosa di oggi. Per molti di noi, reduci dei ruggenti anni settanta, il Messico era una specie di oasi di libertà, un rifugio che ci aveva permesso di conoscere nuovi orizzonti e, soprattutto, stare alla larga da un Italia, in preda alla depressione e al pentitismo.

Sapevo bene, al tempo stesso, che il paese corrispondeva ancora alla lapidaria descrizione che ne aveva dato Victor Serge, il rivoluzionario russo-belga che qui era morto nel 1947: “un paese a due colori, senza classi medie o con una classe media insignificante: in alto, la società del dollaro; in basso, la primitività, e spesso la miseria, dell’indio”.[1] Lo stesso paese profondamente razzista che descrive il regista Alfonso Cuarón, in Roma, film di successo, recentemente presentato al festival di Venezia.

Contro la corrente

Quel 31 dicembre, i principali quotidiani e telegiornali festeggiavano l’imminente entrata del paese nello sfavillante regno della merce e la gente affollava i supermercati per il cenone della notte di San Silvestro che qui chiamano Noche buena. Mentre il presidente Carlos Salinas de Gortari, dell’inossidabile Partido Revolucionario Institucional (Pri), celebrava il vertice della sua carriera, molto lontano dai bagliori della città, migliaia di miliziani dell’allora sconosciuto Ejército Zapatista de Liberación Nacional (Ezln) avanzavano silenziosi nella notte. Poche ore dopo, all’alba, facevano irruzione nella storia occupando militarmente sette città del Chiapas: San Cristóbal de Las Casas, Las Margaritas, Altamirano, Oxchuc, Huixtán, Chanal e Ocosingo.

Risiedevo a Tepoztlán, un villaggio del Morelos, però conoscevo bene il sud-est, giacché lavoravo presso Noticias de Guatemala, un’agenzia di stampa, oggi estinta, che seguiva le lotte sociali del martoriato paese centroamericano. Andavo e venivo con frequenza, quasi sempre in macchina o in autobus e, quando potevo, mi fermavo a dormire a San Cristóbal, punto di sosta e bella cittadina coloniale. Sapevo che il Chiapas rassomigliava molto al Centroamerica ed ero stato più volte nella Selva Lacandona dove, accanto alle disastrate popolazioni maya locali, sopravvivevano a stento migliaia di rifugiati guatemaltechi, anch’essi in gran parte maya, che fuggivano da una terribile guerra di sterminio.

Il primo gennaio, un sabato, festeggiavano l’anno nuovo a casa mia due amici guatemaltechi, entrambi militanti de la Unidad Revolucionaria Nacional Guatemalteca (Urng), il pool di organizzazioni guerrigliere che lottava da decenni per cambiare le condizioni di vita nel vicino paese. Ricordo ancora il loro piglio, tra il perplesso e l’eccitato, quando, verso mezzogiorno, una collega giornalista mi telefonò da San Cristóbal per avvisarmi che era scoppiata la rivoluzione… Era l’epoca in cui le guerriglie centroamericane battevano in ritirata e la stessa Urng, militarmente ancora solida, ma certo non vincitrice, stava cercando di concludere in maniera dignitosa estenuanti trattative di pace che si protraevano da anni.

Il momento non era favorevole. Dopo la fine vergognosa del mal chiamato “socialismo reale”, i movimenti sociali sembravano assopiti ed i partiti che ancora si proclamavano di sinistra vivevano una crisi terminale. Il pensiero unico imperava nel mondo intero, mentre il capitalismo di stampo neoliberista era spacciato come il solo orizzonte possibile, il punto di approdo necessario di ogni civiltà. Negli Stati Uniti, Francis Fukuyama proclamava trionfalmente la fine della storia e, dall’altra parte dell’Atlantico, Margaret Thachter rincarava la dose: There Is No Alternative, TINA, “non vi è alternativa”.

In Messico, le cose non andavano meglio: il movimento 500 Años de Resistencia Indígena, Negra y Popular perdeva colpi, dopo l’importante ciclo di manifestazioni continentali, contestazioni e contro-celebrazioni del quinto centenario (1992). Come è normale, non mancavano le proteste e le manifestazioni di scontento, soprattutto per via delle continue frodi elettorali, però l’opposizione era demoralizzata e disorganizzata. Sebbene non vi fosse traccia di un movimento operaio indipendente, sparuti gruppi di contadini ed indigeni continuavano a resistere nelle zone rurali.  Negli ambienti di sinistra, si tentava di rompere il cordone ombelicale con il modello sovietico ed alcuni ex comunisti cercavano di costruirsi una fiammante rispettabilità “neoliberista”. Uno di questi, il noto politologo Jorge Castañeda, aveva appena pubblicato un libro che decretava la scomparsa della guerriglia… [2]

“La festa, per quanto riguarda il governo messicano, è bella che rovinata”

Seguirono momenti di scetticismo, perché le reti sociali non esistevano ancora ed il primo gennaio in Messico, non solo non escono i giornali, ma neppure si trasmettono notizie per radio e televisione. Nondimeno, presto si seppe che era tutto vero e che non si trattava di una rivolta spontanea, ma di una vera e propria insurrezione armata, preparata e pianificata scrupolosamente durante anni.

Un’organizzazione militare, appunto l’Ezln, dichiarava guerra allo stato messicano e pubblicava un manifesto, la Dichiarazione della Selva Lacandona, che, basandosi sulla costituzione messicana, rivendicava il diritto del popolo a rovesciare il governo inalberando la lotta degli indigeni contro la povertà e la disuguaglianza. Invece del marxismo-leninismo, il documento invocava principi elementari della giustizia sociale come pane, salute, educazione, casa, pace, democrazia, libertà… “Siamo il prodotto di 500 anni di lotte”, vi leggiamo tra l’altro. “Stiamo morendo di fame e di malattie curabili. (…) La nostra è una misura disperata, però giusta”.[3]

Erano parole semplici, ma incisive che fecero presa su milioni di persone in Messico e nel mondo intero.  “Non credo ai miei occhi”. scrisse Gianni Proiettis da San Cristóbal. “Sono due ragazzine con lunghe trecce nere, il profilo maya, le carabine a tracolla. Si aggiustano i fazzoletti rossi intorno al collo e mi sorridono. (…) La festa, per quanto riguarda il governo messicano, è bella che rovinata”.[4] Nel frattempo, i miliziani dell’Ezln avevano assalito la caserma Rancho Nuevo, nei pressi di San Cristóbal, e liberato i detenuti (salvo i narcotrafficanti) del carcere. A Las Margaritas, fecero prigioniero il generale Absalón Castellanos, ex governatore del Chiapas, accusato aver organizzato torture, sequestri e morti di attivisti indigeni. Lo liberarono il 16 febbraio, condannandolo a vivere il resto dei suoi giorni con la vergogna di essere stato perdonato dalle persone alle quali aveva arrecato tanto male.

Dopo la sorpresa iniziale, l’esercito scatenò una dura controffensiva con un massiccio spiegamento di forze e intensi bombardamenti aerei. In pochi giorni vi furono più di 400 morti (le cifre reali non le sapremo mai), in parte tra i civili ed in parte a Ocosingo, dove era rimasto intrappolato un contingente dell’Ezln tra il due e il quattro di gennaio. Una delle perdite più sentite fu il sub comandante Pedro, capo di stato maggiore dell’Ezln, provato militante di origine urbano. Morì a Las Margaritas, vittima di una pallottola perduta.

Presto, si venne a sapere che tra i ribelli spiccava un tale Marcos, un giovane non indigeno, la cui immagine con pipa, passamontagna e cartucciera fece rapidamente il giro del mondo. Di statura media, sui 35-40 anni, bianco, occhi chiari, Marcos era dotato di un lungo naso, notevoli capacità comunicative ed una buona dose di auto-ironia, virtù poco frequente nelle guerriglie latinoamericane. Divenne rapidamente l’idolo dei giornalisti che si disputavano l’onore di intervistarlo. Ricordo che un giorno alla domanda: “-Voi appartenete alla teologia della liberazione?”, lui rispose più o meno così: “-No. Noi ci liberiamo senza teologia.”

Alt al massacro

La stampa reagì in maniera disordinata. Alcuni intellettuali (fra i quali spiccano Antonio García de León, Carlos Montemayor, Pablo González Casanova, Rodolfo Stavenhagen ed alcuni altri) si pronunciarono rapidamente a favore di aprire trattative di pace. Però vi furono anche opinioni niente affatto indulgenti. Il 2 gennaio, La Jornada -che poi sarebbe diventato uno dei principali canali di comunicazione dell’Ezln- pubblicò un articolo di fondo molto duro, intitolato “No ai violenti”.

Sullo stesso quotidiano, il poeta Octavio Paz scrisse: “è una ribellione irreale, condannata al fallimento. Non corrisponde alla situazione del nostro paese, né alle sue necessità ed aspirazioni attuali”.[5] Molti si rifiutavano di credere che una guerriglia di quelle dimensioni potesse insediarsi in Messico. “Sembrava – scrisse in seguito lo storico Enrique Krauze- che fosse caduta su di noi una meteorite, non dallo spazio siderale bensì dal passato”.[6] Gli insorti non erano reliquie della storia, bensì uomini e donne in carne ed ossa, il prodotto assolutamente “contemporaneo” dei disastri causati dal capitalismo.

Al tempo stesso, la gente comune, quella che alcuni chiamavano “società civile”, cominciò ad organizzarsi per frenare la guerra. A partire dal 10 gennaio, centinaia di migliaia di persone si manifestarono a Città del Messico ed altrove. Fu una reazione spontanea, di massa, ed è uno dei ricordi più belli che conservo di quei giorni agitati. In tali circostanze, il 12 gennaio il governo Salinas dovette cedere alla pressione popolare decretando il cessate il fuoco unilaterale. Il 15, le parti accettarono la mediazione di Samuel Ruiz, il vescovo di San Cristóbal, che gli indigeni chiamavano Tatic (padre in tzotzil), e che godeva della loro fiducia, ma non di quella del governo che, a torto, lo considerava il vero istigatore della ribellione.

Visitai le zone del conflitto tra il 20 ed il 27 di gennaio come traduttore (inglese-spagnolo) al seguito di una delegazione indigena internazionale, promossa da Rigoberta Menchú, premio Nobel della pace, 1992.[7] In un piccolo autobus, affittato per l’occasione ed equipaggiato con grandi cartelli di pace, la nostra carovana percorse centinaia di chilometri nelle regioni del conflitto conoscendo villaggi e campi di rifugiati. Entrammo anche in un carcere dove erano detenuti dei presunti prigionieri zapatisti, la gran maggioranza dei quali si proclamava innocente. In molti luoghi, ricevemmo la denuncia di casi di tortura, sequestro, assassinio e minacce ad organizzazioni di difesa dei diritti umani.

Sebbene fosse già in vigore la tregua, i segni della guerra erano un po’ ovunque. Il palazzo del comune di San Cristóbal era ancora occupato dall’esercito che, con mezzi blindati, impediva l’accesso alla piazza principale. Non c’erano turisti e, ovunque, si notava la presenza di una gran quantità di militari. Per le strade, i posti di blocco facevano pensare alla Bosnia, più che al Messico che conoscevo ed amavo. I pochi veicoli non governativi che circolavano erano di giornalisti che portavano bandiere bianche e scritte “prensa”. Moltissimi i blocchi stradali con soldati in assetto di guerra, carri armati e mitragliatrici puntate contro i passanti. Noi ci chiedevamo: se in Messico succedono queste cose, come andrà a finire nel resto del mondo?

Bilancio provvisorio

Sono passati venticinque anni. Non direi che il Messico sia cambiato in meglio: in America Latina, continua ad essere il paese con la maggiore concentrazione della ricchezza ed il saccheggio dei popoli indigeni non si è arrestato. Sono sicuro, tuttavia che, se non ci fossero stati gli zapatisti il Messico sarebbe un paese molto peggiore. Essi -e prima di loro i movimenti guatemaltechi e sudamericani- hanno il merito non solo di aver denunciato le inaccettabili condizioni di povertà in cui versano i popoli originari, ma anche la ricchezza delle loro culture, cosmovisioni e concezioni del rapporto tra l’essere umano e la terra. Benché il razzismo non sia stato debellato, essere indigeni oggi è meglio di essere indigeni allora. Come ha scritto Hermann Bellinghausen, non c’è un solo popolo indigeno del Messico che non sia in debito con gli zapatisti.[8]

Grazie al ciclo storico che comincia il primo gennaio del 94, oggi non è possibile pensare esclusivamente ai diritti dell’individuo: bisogna ammettere che gli esseri umani vivono in collettività e che queste posseggono specifiche caratteristiche culturali, etniche, linguistiche e religiose. Nel febbraio del 1996, l’Ezln ed il governo messicano firmarono gli Accordi di San Andrés, una serie di impegni volti a garantire un nuovo rapporto tra lo stato, la società ed i popoli indigeni. È vero che tali accordi non sono mai stati rispettati, però continuano ad essere un’importante piattaforma di lotta che da coesione al movimento. Nello stesso anno, in ottobre, gli zapatisti contribuirono a fondare il Congreso Nacional Indígena (Cni), la prima organizzazione di portata nazionale, indipendente dallo stato.

A partire dagli anni duemila, nel contesto della violenza paramilitare scatenata dallo stato messicano contro i movimenti indigeni (si ricordino i massacri di Acteal e El Bosque e, fuori dal Chiapas, quelli di Aguas Blancas e El Charco, tra molti altri), l’Ezln si è ripiegato nei territori che controlla: una parte de Los Altos, regione montagnosa del Chiapas centrale, ed alcune fasce della Selva Lacandona. Lontano dai riflettori della politica, ha messo in pratica un progetto di autonomia regionale, le giunte di buon governo o “caracoles” (chiocciole in spagnolo), collettività basate sul principio della rotazione delle cariche, il mutuo appoggio e la proprietà comune della terra. Ha creato scuole alternative, istituzioni culturali ed un sistema sanitario efficace che abbina la medicina tradizionale con quella occidentale.[9]

Ma vi è molto di più. Gli zapatisti hanno forgiato un discorso politico che ha rinnovato le lotte sociali a livello planetario e ha contribuito a creare il primo grande movimento sociale contro la globalizzazione neoliberista. In un’epoca caratterizzata dalla dittatura del denaro, essi hanno difeso “uno stile di vita fondato sulla solidarietà, la gratuità e la creatività che sostituisce il lavoro”.[10] Hanno dato vita a incontri “intergalattici” dove, a differenza, per esempio, dei vecchi partiti comunisti, non hanno mai preteso di offrire soluzioni valide ovunque e per tutti, ma hanno sollevato le questioni centrali del nostro tempo: la fine della civiltà del denaro, la  riscoperta della comunità, la democrazia diretta, l’identità e la differenza, il potere.[11]

“Siamo soli”

Gli zapatisti hanno fatto questo ed altro. Meritano dunque il rispetto e la solidarietà di tutti coloro che lottano per un mondo migliore. Oggi, tuttavia, essi si ritrovano soli. “Ve lo dico chiaro e tondo. Siamo soli esattamente come venticinque anni fa. (…) Ci ignorano”, afferma amaramente il sub-comandante Moisés, attuale portavoce dell’Ezln.[12] Come spiegarlo? Non si tratta unicamente del logoramento naturale di un movimento che resiste da un quarto di secolo senza arrendersi.

Nel corso di questi anni, sono sfilate per le montagne del sud-est messicano migliaia di persone provenienti da decine di paesi che hanno interagito con l’Ezln e le comunità in resistenza. Non sempre, tuttavia, i rapporti umani nati nei territori liberati sono cresciuti all’insegna della cooperazione e della fraternità. Vale la pena leggere in proposito il citato libro di Giuseppe Martinelli che mette in giusta luce la grandezza, ma anche i limiti dell’esperienza zapatista.

Dice Moisés: “Se abbiamo ottenuto qualcosa, è solo grazie al nostro lavoro e se abbiamo sbagliato, è solo colpa nostra. (…) Alcuni avrebbero voluto dirci cosa fare e cosa non fare, quando parlare e quando non parlare. Li abbiamo ignorati”. Non sono soltanto parole. È molto tempo che l’attitudine degli zapatisti si è indurita e questo spiega, almeno in parte, perché un buon numero di persone ed organizzazioni hanno optato per prendere distanza. Varrebbe la pena di chiedersi, ad esempio, che fine hanno fatto le reti di solidarietà europee.[13] A principio del 98, poco dopo il massacro di Acteal, fummo in grado di organizzare a Roma una manifestazione di protesta alla quale parteciparono circa 40 mila persone. Quante ne parteciperebbero adesso, se dovesse succedere nuovamente qualcosa di simile?

È vero che l’Ezln, come tutti gli eserciti, ha una struttura militare gerarchica ed autoritaria. È forse per questo che i suoi dirigenti preferiscono circondarsi di fedelissimi, piuttosto che accettare la critica fraterna di persone solidali ma anche pensanti. Una cosa è certa: nel corso di questi anni, coloro che si sono azzardati a esprimere dubbi sulle numerose svolte politiche, spesso discutibili, del comando zapatista, sono stati cacciati, quasi sempre accusati di colpe stravaganti.

Chiarisco che non alludo affatto ai partiti di sinistra o di destra con i quali l’Ezln è stato fin troppo indulgente, visto che nel 1994, favorì il voto per Cuauhtémoc Cárdenas del Partido de la Revolución Democrática (Prd) e nel 2000, concesse il beneficio del dubbio a Vicente Fox del Partido Acción Nacional (Pan). Mi riferisco invece ai collettivi autonomi e ai molti compagni che sono stati esclusi senza ragioni chiare. Si è perso in tal modo l’entusiasmo iniziale e sono rimasti principalmente “compagni di strada”, certamente generosi, ma non sempre efficaci e frequentemente settari. Il risultato è che a poco a poco gli zapatisti hanno perso la capacità di comunicazione che aveva fatto la loro fortuna al principio.

Il governo di Amlo

A partire dal primo dicembre dell’anno scorso, il Messico ha un governo di sinistra che si proclama erede dei grandi movimenti sociali del passato. Il presidente Andrés Manuel López Obrador (Amlo) del Movimiento de Regeneración Nacional (Morena) afferma di voler avviare la quarta trasformazione del paese dopo la guerra d’indipendenza (1810-1821), la guerra di riforma (1858-1861) e la rivoluzione (1910-1917). Promette di cambiare le cose agendo alla radice. Giura di farla finita con la corruzione e con trent’anni di liberalizzazione selvaggia che ha reso i poveri più poveri e i ricchi più ricchi. Assicura di rappresentare gli interessi degli uni e degli altri e pretende di essere amico di tutte le persone di buona volontà.

Sarà vero? Bisogna dire che i circa 30 milioni di messicani che hanno votato per Amlo non sono tutti di Morena e non credono necessariamente alle sue promesse. Sono semplicemente dei cittadini che hanno manifestato por la via elettorale il loro ripudio per i governi anteriori. È utile esaminare rapidamente quello che ha fatto il nuovo governo in questi primi mesi. Ha cancellato la costruzione di un contestato aeroporto nei pressi di Atenco, il villaggio alla periferia di Città del Messico che da anni è simbolo della resistenza per la difesa del territorio. Ha aumentato il salario minimo e i prezzi di garanzia dei prodotti contadini e, soprattutto, non ha represso lo storico sciopero degli operai dell’industria manifatturiera (le cosiddette “maquiladoras”) a Matamoros che hanno così potuto strappare un’importante vittoria al capitale transnazionale, la prima in decenni.[14]

Ha inoltre vietato il fracking -una tecnica particolarmente tossica per l’estrazione di gas dal sottosuolo- ed avviato una (difficile) campagna contro la corruzione, specialmente in Pemex, l’industria parastatale del petrolio che da anni era sistematicamente saccheggiata dai suoi stessi dirigenti e dal sindacato. Ha recuperato la tradizionale indipendenza della politica estera messicana e non si è prestato alla manovra di Trump contro il governo del Venezuela. Sul fronte dei diritti umani, ha liberato una ventina di prigionieri politici (dei circa 500 che ci sono, in gran parte insegnanti), ha nominato giornalisti di riconosciuta probità a dirigere le agenzie statali di informazione e la radio pubblica. Ha creato, infine, una commissione speciale per ritrovare gli studenti scomparsi di Ayotzinapa (2014).

Ma non è tutto oro quello che luccica. Tra le tante iniziative controverse -spesso giustificate con un discorso “indigenista”[15]- c’è in primo luogo, il (mal) chiamato “treno maya”, una linea ferroviaria che attraverserà cinque stati del sud-est: Tabasco, Quintana Roo, Yucatán, Campeche e Chiapas. È lodevole ridare vita alle devastate ferrovie messicane; il problema è che Amlo non ha consultato le popolazioni locali, come invece avrebbe dovuto farlo secondo la Convenzione 169 della Organizzazione Internazionale del Lavoro. In opinione di Carlos Navarrete, prestigioso antropologo specializzato in cultura maya, il progetto causerà gravi danni ecologici, sociali ed archeologici alla regione, mentre i benefici saranno solo per gli imprenditori del turismo.[16]

Gli ambientalisti contestano anche il progetto di corridoio interoceanico dell’istmo di Tehuantepec che avrebbe effetti disastrosi sull’ecologia locale e il progetto di piantare un milione alberi con fini commerciali di Alfonso Romo, capogabinetto di Amlo, nonché controverso imprenditore del settore agroindustriale. Preoccupano anche progetti di privatizzazione dell’acqua, del vento, dell’educazione e della biodiversità. Il presidente ha inoltre offerto alla Nestlé, una delle multinazionali più odiate del mondo, di costruire una fabbrica di caffè solubile a Veracruz, il che ha provocato la giusta indignazione degli agricoltori locali.[17] Su altre questioni, ad esempio le miniere a cielo aperto che arrecano danni gravissimi e sono fonte di sanguinosi conflitti, il silenzio de Amlo è sospetto.[18]

L’iniziativa di gran lunga più perniciosa è la creazione di un corpo militare, la Guardia Nacional, che legalizza l’intromissione dell’esercito nelle questioni di ordine pubblico, il che significa accrescere il processo di militarizzazione iniziato dai governi anteriori. L’esercito non è meno corrotto della polizia e non bisogna dimenticare che alcuni tra i più sanguinari cartelli della droga (gli Zeta, ad esempio) sono stati creati proprio da ex militari. Le organizzazioni di difesa dei diritti umani fanno notare che l’esercito messicano, oltre ad essere implicato in vari casi di complicità con il narcotraffico, è responsabile dei peggiori crimini di lesa umanità della storia del Messico: dal massacro di Tlatelolco (1968), a quello di Iguala (2014) passando per le politiche di terra bruciata in Guerrero, Chiapas, Oaxaca ed altre zone rurali.

E gli zapatisti?

In tale situazione, l’Ezln che ha sempre mostrato una speciale antipatia nei confronti di Amlo, ha irrigidito le sue posizioni. Cito di nuovo Moisés: “colui che sta al potere distrugge il popolo del Messico, ma soprattutto i popoli originari; è contro di noi, e specialmente noi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Perché? Perché gli diciamo chiaro che non abbiamo paura”. Più avanti rincara la dose: “noi non gli crediamo. Solo perché la madre terra non parla, altrimenti gli direbbe -fottiti! Perché la terra non parla, ma se parlasse, -no, vai al diavolo! (…) Non temiamo la sua Guardia Nacional”. Infine, se la prende con quelli che hanno votato per Amlo: “ben trenta milioni di persone che non capiscono lo spagnolo, credono a colui che dice tutte queste menzogne”.[19]

Sono parole estremamente dure e non ricordo che l’Ezln le abbia usate contro governi anteriori. Sono giustificate? Direi di no e non perché io creda alle promesse di Amlo. Non mi sembra sensato offendere 30 milioni persone che simpatizzano con il nuovo governo, anche perché, in buona parte, sono le stesse che da 25 anni sostengono gli zapatisti e non li lasciano “soli”. Per quanto criticabile sia Amlo -e lo è, senza dubbio-, bisogna prendere atto che se avesse vinto chiunque dei suoi avversari sarebbe stato molto peggio. Faccio notare che María de Jesús Patricio, Marichuy, la candidata dell’Ezln e del Cni, non riuscì a raccogliere neppure il numero di firme necessario per essere inclusa nelle schede elettorali.

Insultare non è una politica intelligente e non porta lontano. Mi sembra molto più sensata, ad esempio l’attitudine degli studenti superstiti del massacro di Ayotzinapa, avvenuto nel 2014 a Iguala, e dei loro familiari, i quali non sono certamente sprovveduti né moderati.[20] Essi, che hanno dato vita ad uno de movimenti sociali più importanti degli ultimi anni, preferiscono offrire al governo di Amlo l’opportunità di fare chiarezza sulla sorte dei loro cari. E questo non significa, evidentemente dargli un assegno in bianco.

Non mi trovo d’accordo con la “Lettera di solidarietà e appoggio alla resistenza e autonomia zapatista” che circola nelle reti sociali da metà gennaio e che hanno firmato centinaia di persone, tra le quali si trovano vari amici miei. “Denunciamo in anticipo qualsiasi aggressione contro le comunità zapatiste, direttamente da parte dello stato o attraverso gruppi e organizzazioni civili, armate o meno”.[21] Como ha osservato Armando Bartra, si denuncia “in anticipo” qualcosa che sta per succedere ed in questo momento nulla di tutto ciò è in vista.[22] È chiaro che il governo de López Obrador, come qualsiasi altro, non risponde agli interessi delle comunità ribelli, tuttavia è altrettanto evidente che non ha nessun interesse di riprendere la guerra, almeno adesso. Quando il pericolo non è reale, questo tipo di denunce possono risultare controproducenti.

È lecito chiedersi, in tale situazione, cosa faranno gli zapatisti. Nonostante gli errori, il loro legato continua ad essere positivo. La lotta per la difesa della cultura e dei diritti degli indigeni è più valida che mai. L’Ezln può esigere il compimento degli accordi di San Andrés, riprendere le trattative con il governo, strappare nuove concessioni e convertirsi, per questa via, in una cassa di risonanza dei movimenti indigeni che si oppongono ai mega progetti. Infine, non possiamo dimenticare che gli zapatisti sono, insieme agli insegnanti della Coordinadora Nacional de Trabajadores de la Educación, il principale bastione dell’opposizione organizzata in Messico ed uno dei riferimenti mondiali dei movimenti anticapitalisti. Il loro futuro importa a tutti coloro che hanno a cuore la causa umana.

Città del Messico, 2 febbraio 2019
https://selvasorg.blogspot.com/2019/02/venticinque-anni-fa-la-ribellione.html?fbclid=IwAR2ds6qbYijitDeW8dHCcmV8DGwS3DPBvWBfwKzWGni1qevsyTNOxj-WX5Q

[1] Victor Serge, “Lettres à Antoine Borie (1946-47)”, Témoins. Cahiers indépendants, 21, febbraio 1959, lettera del 21 agosto 1946, http://www.la-presse-anarchiste.net/spip.php?rubrique114

[2] Jorge Castañeda, La utopía desarmada. Intrigas, dilemas y promesas de la izquierda en América Latina, 1993, Messico, Joaquín Mortiz/Planeta.

[3] “Dichiarazione della Selva Lacandona” in Piero Coppo/Lelia Pisani (a cura di), Armi Indiane. Rivoluzione e profezie maya nel Chiapas messicano, Edizioni Colibrì, Milano, 1994, pp. 125-132. Pubblicato in febbraio del ‘94, però circolato poco, questo è il primo libro sulla ribellione zapatista uscito in Italia.

[4] Gianni Proiettis, “I miserabili maya non pazientano più. Battaglia con l’esercito lungo la rotta del turismo d’oro”, L’Unità, 3 gennaio 1994. Il governo messicano non hai mai perdonato a Proiettis il peccato di essere stato il principale cronista italiano della ribellione zapatista durante diciassette anni e lo ha espulso dal Messico il 15 aprile 2011.

[5] La Jornada, 7 gennaio 1994.

[6] Enrique Krauze, Redentores. Ideas y poder en América Latina, Editorial Debate, Messico, 2011, p. 461.

[7] Claudio Albertani, “La guerra delle formiche”, in Coppo/Pisani, op. cit., pp. 99-110.

[8] Hermann Belinghausen, “Las victorias del Ezln”, La Jornada, 31 diciembre 2018

[9] Giuseppe Martinelli, Eternamente straniero. Un medico napoletano nella Selva Lacandona, BFS, Pisa 2018.

[10] Raoul Vaneigem, “Zapatistas por la vida”, La Jornada, 20 gennaio 2019.

[11] Alessandro Simoncini (a cura di), Percorsi di liberazione. Dalla Selva Lacandona all’Europa. Itinerari, documenti, testimonianze del Secondo Incontro Intercontinentale per l’umanità e contro il neoliberismo di Madrid, Edizioni della battaglia, Palermo, 1997,

[12] Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, 31 dicembre 2018, http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/01/04/parole-del-ccri-cg-dellezln-ai-popoli-zapatisti-nel-25-anniversario-dellinizio-della-guerra-contro-loblio/

[13] Guiomar Rovira, Zapatistas sin fronteras. Las redes de solidaridad con Chiapas y el altermundismo, México, 2009, ERA e Claudio Albertani, « Pain it black, Blocchi Neri, Tute Bianche e Zapatisti nel movimento antiglobalizazione », varie edizioni, disponibile nel sito: http://www.ecn.org/contropotere/download.htm

[14] La “histórica” huelga de 45.000 obreros en la frontera norte de México que sacude a la industria automotriz de Norteamérica.

https://actualidad.rt.com/actualidad/304323-historica-huelga-45000-obreros-frontera

[15] Giovanna Gasparello, “los megaproyectos y el inalterable discurso indigenista”, http://ojarasca.jornada.com.mx/2019/01/11/los-megaproyectos-y-el-inalterable-discurso-indigenista-7560.html

[16] Judith Amador Tello, “El Tren Maya y su impacto en las comunidades”, Proceso no. 2203, 27 novembre 2018.

[17] “Cafetaleros rechazan instalación de planta procesadora de Nestlé en Veracruz”

Cafetaleros rechazan instalación de planta procesadora de Nestlé en Veracruz

[18] Francisco López Bárcenas, “El extractivismo y las luchas socioambientales”, La Jornada, 28 dicembre 2018.

[19] Parole del Subcomandante Insurgente Moisés, 31 dicembre 2018, cit.

[20] Claudio Albertani/Manuel Aguilar Mora (coordinadores), La noche de Iguala y el despertar de México, Juan Pablos Editor, México, 2015.

[21] http://unitierraoax.org/carta-internacional-de-solidaridad-y-apoyo-a-la-resistencia-y-autonomia-zapatista/

[22] Armando Bartra, “No afilemos cuchillos”, Correo ilustrado, La Jornada, 18 gennaio 2019

 

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Partecipa alle Brigate Civili di Osservazione del Centro dei Diritti Umani Fray Bartolomé de Las Casas, Chiapas, Messicohttps://chiapasbg.com

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@lhan55 Luis Hernández Navarro

Radiografia chiapaneca  nella 4T

Il corpo di Noé Jiménez Pablo, cosparso con acido, è stato ritrovato in una discarica a tre chilometri dalla città di Amatán, Chiapas. Aveva pallottole nell’addome e nel petto. La testa ed il volto erano completamente sfigurati.

Un giorno prima, il 17 gennaio, un gruppo di pistoleri al servizio dei fratelli Carpio Mayorga, cacicchi di Amatán, sono partiti dalla casa dell’ex presidente municipale, Wilber, fratello di Manuel, l’attuale sindaco, con passamontagna ed armi di grosso calibro. Hanno sparato e pestato selvaggiamente i membri del Movimento per la Pace, la Giustizia ed il Bene Comune, che, da cinque mesi, mantenevano un presidio pacifico di fronte al palazzo municipale per chiedere le dimissioni del consigliere municipale. Noé è stato colpito ed è rimasto al suolo fino a che i paramilitari l’hanno portato via.

Jiménez Pablo era dirigente del Movimiento Campesino Regional Independiente (Mocri), del Coordinamento Nazionale Plan de Ayala-Movimiento Nacional e del Movimento per la Pace. Era un partecipante attivo nella lotta contro il cacicazgo dei fratelli Carpio Mayorga. Amatán è una città sul confine con Tabasco, parte del corridoio attraverso cui il crimine organizzato trasporta droga, armi e migranti sprovvisti di documenti.

Il clan Carpio Mayorga ha il controllo del municipio da anni. È protetto dall’attuale senatore di Morena, Eduardo Ramírez Aguilar, e dall’ex governatore Manuel Velasco. Manuel de Jesús è stato sindaco tra il 2001 e 2004 col PAN e poi tra il 2012 e 2015 col PVEM. Suo fratello Wilbert lo ha succeduto nell’incarico con lo stesso partito politico tra il 2015 e 2018. E nel 2018 Manuel de Jesús ha vinto nuovamente la presidenza municipale con Morena. Questo partito lo ha sostenuto nonostante il suo nefasto curriculum e le denunce presentate contro di lui dai membri del Mocri.

L’omicidio di Noé in Chiapas non è assolutamente un fatto eccezionale. Nei primi giorni di gennaio è stato assassinato l’attivista per i diritti umani del municipio di Arriaga, Sinar Corzo. Ore dopo essere uscito da una riunione con le autorità municipali per chiedere la costruzione di strade ed il miglioramento delle comunità di pescatori, due persone a bordo di una motocicletta gli hanno sparato dopo averlo chiamato per nome. Era già stato minacciato di morte. Difendeva le vittime del sisma del 7 settembre 2017 ed il diritto all’acqua, alla salute ed ai servizi basilari degli abitanti del municipio.

Gruppi armati legati ai cacicchi locali hanno sfollato migliaia di indigeni in municipi e comunità come Chenalhó, Chalchihuitán, Aldama e Chavajeval ed hanno generato violenza in località come Yajalón. Lì regna il terrore. Sono protetti da funzionari pubblici a diversi livelli. Le loro origini sono diverse e rispondono a molti interessi. In alcuni casi, questi gruppi sono i successori del paramilitarismo nato dal conflitto armato interno. In altri, sono creazione dei cacicchi locali. Militano in diversi partiti politici. Sia l’amministrazione di Manuel Velasco come l’attuale del morenista Rutilio Escandón, sono stati indifferenti alla crisi umanitaria degli sfollati. Hanno cercato di amministrare e minimizzare i conflitti, senza risolverli.

Questa violenza non è un fatto fortuito. Proviene dalla natura della struttura del potere politico in Chiapas. Sono parte intrinseca del suo funzionamento. Due esempi, tra molti altri. Il nuovo procuratore di questo stato, Jorge Luis Llaven Abarca, è responsabile di vari casi di violazione dei diritti umani, come detenzioni arbitrarie e tortura, commessi quando era delegato della Procura Generale della Repubblica e come titolare della Procura Specializzata Contro il Crimine Organizzato, dell’allora Procura Generale di Giustizia dello stato. Raccomandazioni della CNDH, come la numero 26/2002, lo documentano. Il nuovo uditore superiore, José Uriel Estrada Martínez, era finito in prigione nel 2006 con l’accusa di partecipazione alla tortura ed esecuzione del leader contadino Reyes Penagos Martínez.

Molti dei nomi che dominano oggi la politica chiapaneca sono gli stessi che decenni fa hanno fondato il loro dominio in questo stato. Sono eredi dei vecchi proprietari terrieri oggi riconvertiti in impresari inseriti nell’amministrazione pubblica. Sono risorti dal colpo che la sollevazione armata gli aveva inferto nel 1994, prima per mano del PRD e poi del Partito Verde ed oggi, nella sua trasmutazione locale in Morena. Altri, sono il prodotto della nuova generazione di politici. Questo è il caso dei senatori di Morena, provenienti dalle fila del PVEM. Sasil de León è la figlia di Oscar de León González che arrivò in Chiapas nel 1994 e fondò Unidad Nacional Lombardista (Unal), gruppo di controllo e scontro, strettamente vincolato all’ex governatore Julio César Ruiz Ferro, dedito a combattere lo zapatismo. Ed Eduardo Ramírez de Aguilar, operatore politico dell’ex governatore Manuel Velasco, è una figura chiave nel reclutamento dei peggiori cacicchi indigeni legati al PRI e tra le file del partito Verde.

Questi sono solo alcuni dei pezzi del nuovo puzzle chiapaneco nella 4T. Come si dice, ce ne sono ancora di più.…

Testo originale https://www.jornada.com.mx/2019/01/22/opinion/014a1pol#

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Per comprendere la violenza antizapatista

19 gennaio 2019

Para entender la violencia antizapatista
di Peter Rosset*

Gli indigeni sono violenti? Gli zapatisti sono violenti? C’è molta confusione riguardo alla violenza in Chiapas.
Qui provo a offrire una breve guida per la sua interpretazione.

La controinsurrezione in Chiapas si basa, in parte, sull’attuazione di politiche volte a frammentare le organizzazioni contadine, indigene e comunitarie, creando fazioni sempre più piccole, settarie, opportunistiche e manipolabili. Ciò si ottiene offrendo risorse ai leader locali e regionali per progetti produttivi e di assistenza, candidature, posti nella pubblica amministrazione, ecc., facendo perno su bisogni oggettivi delle loro basi e sul loro opportunismo, sulla gelosia e sul risentimento.

Queste offerte sono condizionate esplicitamente o implicitamente al loro allontanamento dallo zapatismo. Il suo obiettivo è isolare politicamente i ribelli. Queste risorse e posizioni sono anche usate per provocare un conflitto aperto, sia con la violenza che senza di essa, contro le basi e le comunità zapatiste.
Per stimolare la violenza, vengono usati problemi e dispute locali, spesso preesistenti, che spesso non sono neppure legati allo Zapatismo in quanto tale. Questi sono conflitti che sono comuni, e anche normali, nella società rurale, all’interno e all’esterno del Chiapas.

Tra questi tipi di problemi ci sono le dispute sui confini terrieri, specialmente in contesti in cui alcuni vogliono regolarizzare il possesso della terra e altri no; accesso o controllo sulle risorse locali, come acqua, alberi da legname, terreni adatti allo sviluppo urbano e cave di sabbia e ghiaia; differenze familiari e religiose; rappresentanze di partiti politici; la disputa per accaparrarsi i progetti produttivi o di assistenza; dispute sul protagonismo e l’interlocuzione con lo stato, così come l’avidità, i rancori, i risentimenti e le gelosie storiche, ecc.
L’azione dello stato manipolatore può trasformare qualsiasi problema latente preesistente in una frattura aperta.

Tuttavia, sarebbe un errore vedere lo stato come una entità monolitica. Al suo interno ci sono entrambe le fazioni che cercano di incoraggiare la violenza al massimo e le forze che cercano di moderarla, in modo da non spaventare gli investitori e i turisti. Ciò fa sì che, da un lato, la violenza antizapatista venga promossa attraverso premi (progetti, post, candidature) e, dall’altro, si provi a risolvere il conflitto. Questo provoca che gruppi contadini prima ricevano aiuti e poi per un certo tempo smettano di averli fino a quando non vengono attaccati.
Questi gruppi che aggrediscono le comunità in resistenza si alternano nel loro lavoro di attacco.
Le ostilità contro gli zapatisti sono spesso riportate nei mezzi di comunicazione tradizionali con un pregiudizio razzista e classista.

Sono presentati come meri conflitti locali o scontri e/o litigi tra contadini, derivanti dal fatto che gli indigeni sono violenti di loro e che i poveri passano il loro tempo uccidendosi a vicenda. Questa violenza serve come giustificazione per le forze dell’ordine per agire contro le basi di appoggio zapatiste.

Spesso le organizzazioni contadine nazionali si dissociano dai loro affiliati locali quando commettono atti violenti.

I gruppi locali appartenenti alle organizzazioni nazionali si formano, si dividono, si ricompongono e si uniscono molto rapidamente.

Molte volte i leader nazionali non sono nemmeno aggiornati su ciò che accade tra le loro basi. Ma la loro decisione di tracciare un confine tra loro e i loro ex membri non significa che non siano appartenuti in passato a quell’organizzazione nazionale e che, in futuro, non potrebbero ancora esserlo.

A volte le spiegazioni dei leader nazionali sono un pretesto; tuttavia, accade anche che semplicemente ignorano ciò che sta succedendo con le loro basi.

La controinsurrezione in Chiapas utilizza i conflitti locali come parte centrale della sua strategia.

I problemi locali preesistenti sono gli alberi, la politica controinsurrezionale è il bosco.

Bisogna vedere entrambi gli aspetti contemporaneamente. L’importante è capire e non dimenticare che il bosco è formato dall’insieme degli alberi.

Infine, c’è un ulteriore elemento da non perdere di vista.

Nei territori contesi in Chiapas predominano due visioni.

Una, quella zapatista, è la costruzione graduale dell’autonomia territoriale, indigena e contadina, l’educazione autonoma, la salute e la giustizia, l’agroecologia e l’autogoverno.

È una visione che sta diventando realtà, a poco a poco.

L’altra è più meschina, a breve termine, vicino al potere, alla ricerca di benefici individuali e immediati.

Coloro che si identificano in basso e a sinistra preferiscono la visione zapatista e vogliono che sia in grado di consolidarsi sempre di più come alternativa ed esempio.

Per questo, è necessario il totale ripudio di tutte le aggressioni contro lo zapatismo.

 

(*) Esperto in questioni rurali, professore dell’Università del Michigan. Tra i suoi libri c’è Promised Land: Visions Competing of Agrarian Reform.

 

Testo originale https://www.jornada.com.mx/2014/05/10/opinion/020a1pol

L’articolo è del 2014 ma le attuali condizioni sono le medesime.

 

Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli https://yabastanapoli.blogspot.com/2019/01/messico-per-comprendere-la-violenza.html?m=1

 

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Gli intellettuali sostengono l’EZLN e respingono le “calunnie”

di Rosa Elvira Vargas

La Jornada, 16 gennaio 2019 – La lotta zapatista rappresenta “un grande esempio di resistenza, dignità, coerenza e creatività politica” sostengono intellettuali, accademici e attivisti provenienti da vari paesi del mondo in una lettera pubblica dove esprimono la loro solidarietà con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) e respingono anche “’attuale campagna di disinformazione, menzogne e calunnie dirette contro lo zapatismo”

Nella lettera denunciano qualsiasi aggressione che potrebbe essere intrapresa contro le comunità zapatiste “sia direttamente da parte dello Stato messicano” o attraverso organizzazioni o gruppi “civili” armati o disarmati, e ritengono colpevole il governo messicano “di qualsiasi aggressione che potrebbe sorgere nel quadro” della realizzazione dei mega-progetti che la nuova amministrazione federale promuoverà.

“Noi condividiamo il rifiuto totale espresso dall’EZLN di questi e altri grandi progetti che ledono gravemente i territori autonomi e modi di vita dei popoli”.

Esprimono altresì preoccupazione per lo stato attuale delle comunità zapatiste e delle popolazioni indigene del Messico, “quando sono attaccati i loro territori e le comunità da progetti minerari, di turismo agro-industriale, da infrastrutture, ecc., come ha denunciato il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e il Consiglio Indigeno di Governo (CIG)”, e in particolare si dicono allarmati per i mega progetti promossi dal nuovo governo messicano come il Corridoio Transistmico, un milione di ettari di piantumazione commerciale, e il cosiddetto Treno Maya, quest’ultimo recentemente denunciato come “’un’umiliazione e una provocazione”’ dal comandante Moisés, portavoce dell’EZLN, perché colpisce gravemente i territori dei popoli maya che vivono nel sud-est del Messico.

Il testo chiede alle persone “di buon cuore” di superare lo stato attuale di disinformazione sull’esperienza zapatista e sui grandi progetti annunciati dal nuovo governo, e di “essere vigili sul rischio di aggressione contro le comunità zapatiste e le popolazioni originarie del Messico”.

Tra i firmatari della lettera sono inclusi artisti del calibro dello scrittore e accademico Pablo Gonzalez Casanova, il sociologo Immanuel Wallerstein, lo scrittore uruguaiano Raúl Zibechi, il giornalista francese Ignacion Ramonet, l’accademico Marcos Roitman, il leader sindacale dei lavoratori frontalieri Carlos Marentes, la regista Bertha Naravo, le attrici Julieta Egurrola e Ofelia Medina, gli scrittori Juan Villoro ed Elmer Mendoza, l’antropologo Claudio Lomnitz, e altre decine.

Segue il testo completo della lettera.

Lettera di solidarietà e sostegno alla resistenza e all’autonomia zapatista

Noi, intellettuali, accademici, artisti, attivisti e persone di buona volontà, così come organizzazioni, associazioni e gruppi in diversi paesi esprimiamo la nostra solidarietà con l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN) in questo momento cruciale della sua storia e rifiutiamo fermamente l’attuale campagna di disinformazione, menzogne e calunnie dirette contro lo zapatismo.

Per noi, come per molte persone nel mondo, la lotta zapatista rappresenta un grande esempio di resistenza, dignità, congruenza e creatività politica. 25 anni fa, il suo ¡Ya Basta! è stato un evento di grande trascendenza e una delle prime reazioni travolgenti a livello planetario di fronte alla globalizzazione neoliberista, che ha contribuito a incoraggiare il rifiuto e la critica di un modello che, a quel tempo, sembrava indiscutibile. Era anche, e continua ad essere, un’espressione della legittima lotta dei popoli nativi contro il dominio e il disprezzo subiti da secoli e fino ad oggi, nonché a favore dei loro diritti all’autonomia. L’autogoverno popolare che gli zapatisti hanno messo in pratica con le Giunte di Buon Governo nei loro cinque caracoles è un esempio di democrazia vera e radicale, degna di ispirare i popoli del mondo e di essere studiato in tutte le facoltà di scienze sociali del pianeta. La costruzione dell’autonomia zapatista rappresenta per noi la ricerca costante, onesta e critica di un progetto alternativo ed emancipatorio di grande importanza nell’affrontare le sfide di un mondo che sembra sprofondare sempre più in una profonda crisi, al tempo stesso economica, sociale, politica, ecologica e umana.

Pertanto, esprimiamo la nostra preoccupazione per la situazione che si trovano di fronte le comunità zapatiste e le popolazioni indigene del Messico, nel vedere attaccati i loro territori e le comunità da miniere, progetti di turismo, infrastrutture agro-industriali, ecc., come ha denunciato il Congresso Nazionale Indigeno (CNI) e Consiglio Indigeno di Governo (CIG). In questo momento, ci sono in particolar i grandi progetti promossi dal nuovo governo messicano, come il Corridoio Transistmico, un milione di ettari di piantumazione commerciale, e il cosiddetto “Treno Maya” recentemente denunciato come un’umiliazione e una provocazione dal Subcomandante Moisés, portavoce dell’EZLN, poiché colpisce gravemente i territori delle popolazioni maya che abitano il sudest messicano.

Oltre agli effetti ambientali devastanti di questo progetto e allo sviluppo del turismo di massa che mira a far esplodere, siamo preoccupati per la fretta di iniziare a lavorare sul “Treno Maya”, camuffandolo con uno pseudo rituale per la Madre Terra, denunciato dal portavoce zapatista come una presa in giro inaccettabile. Siamo indignati dal fatto che in questo modo si prepara un altro attacco contro i territori zapatisti e che si disprezzano i diritti dei popoli indigeni, eludendo l’obbligatorietà di una consultazione reale, libera, preventiva e informata, come stabilito dalla Convenzione OIL 169 [La Convenzione ILO 169 sui diritti dei popoli indigeni e tribali è stata adottata nel 1989 dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) – N.d.T.] e la dichiarazione delle Nazioni Unite sui popoli indigeni. Ci sembra molto grave che siano violati in questo modo gli impegni internazionali assunti dal Messico.

Condividiamo il rifiuto totale espresso dall’EZLN in relazione a questi e ad altri importanti progetti che minacciano seriamente i territori autonomi e i modi di vita dei popoli.

Denunciamo in anticipo qualsiasi aggressione contro le comunità zapatiste, direttamente dallo Stato messicano o attraverso gruppi e organizzazioni di “civili” armati o disarmati.

Noi riteniamo responsabile il governo messicano di ogni scontro che potrebbero sorgere nel contesto dell’attuazione di questi megaprogetti che corrispondono ad un modello già superato di “sviluppo” insostenibile e devastante deciso dalle cupole di potere e palesemente violando i diritti dei popoli originari.

Ci appelliamo alle persone di buon cuore per superare la disinformazione corrente sia sull’esperienza zapatista che sui grandi progetti menzionati e di essere vigili sul rischio di attacchi contro le comunità zapatiste e le popolazioni indigene del Messico.

Nell’articolo originale è riportato l’intero elenco degli attuali 779 firmatari. https://www.jornada.com.mx/ultimas/2019/01/16/intelectuales-apoyan-al-ezln-y-rechazan-calumnias-6598.html?fbclid=IwAR1eBUmLf4KtPLngG6g1y54nL6mMkGs5_Edr_qPB_fj5zpSWVoasGImvRdE

Traduzione a cura di Rebecca Rovoletto

Firmano:

Arundhati Roy (escritora, India)

Raoul Vaneigem (escritor, Bélgica)

Pablo Gonzalez Casanova (sociólogo, UNAM, México)

Juan Villoro (escritor, México)

Winona Laduke (dirigente indígena, EEUU)

Immanuel Wallerstein (sociólogo, Yale University, New Haven, EEUU)

Gustavo Esteva (Unitierra-Oaxaca, México)

Silvia Federici (profesora, Hofstra University, Hempstead, EEUU)

Raúl Zibechi (escritor y periodista, Uruguay)

Havin Güneser (International Initiative Freedom for Abdullah Öcalan-Peace in
Kurdistan)

Ignacio Ramonet (periodista y escritor, Francia)

Marcos Roitman (catedratico, Universidad Complutense, Madrid, España)

Isabelle Stengers (filósofa, Université Libre de Bruxelles, Bélgica)

Gilberto López y Rivas (antrópologo, UNAM, México)

Michael Löwy (filósofo y sociólogo, Centre National de la Recherche Scientifique, París, Francia)

Carlos Fazio (periodista y docente, UNAM, México)

Raj Patel (escritor y profesor, University of Texas, EEUU)

Toni Negri (filósofo, París, Francia)

Carlos Marentes (dirigente sindical, Sindicato de Trabajadores Fronterizos, EEUU)

Bertha Navarro (productora de cine, México)

Hugo Blanco Galdos (director Lucha Indígena, Perú)

Barbara Zamora (abogada, México)

Martin Almada (premio Nobel alternativo de la Paz 2002, Paraguay)

David Graeber (antropólogo, London School of Economics, Reino Unido)

Arturo Escobar (profesor, Universidad del Valle, Cali, Colombia; University of North Carolina, EEUU)

Carolina Coppel (productora de cine, Mexico)

Eduardo Viveiros de Castro (antropólogo, Universidade Federal, Rio de Janeiro, Brasil)

Paulina Fernandez (profesor de ciencias políticas, UNAM, México)

Compañía de teatro Tamèrantong! (París, Francia)

Paul Theroux (escritor, EEUU)

Fernanda Navarro (filósofa, UNAM, México)

Raúl Fornet-Betancourt (autor y profesor, Aachen, Alemania)

Claudia von Werlhof (profesora, Universidad de Innsbruck, Austria)

George Caffentzis (filósofo, University of Southern Maine, Portland, EEUU)

Miguel Altieri (profesor, University of California, Berkeley, EEUU)

Beatriz Aurora (pintora, México)

Carlos W. Porto Gonçalves (geógrafo, Universidades Federal Fluminense, Río de Janeiro, Brasil)

Chukki Nanjundaswamy (dirigenta campesina, KRRS, La Vía Campesina, India)

Baramee Chaiyarat (dirigente campesino, Assembly of the Poor, La Vía Campesina, Tailandia)

Jan Douwe van der Ploeg (profesor, Wageningen University, Holanda)

Mercedes Olivera (antropóloga, CESMECA, México)

Saturnino “Jun” Borras Jr. (profesor, Institute of Social Sciences, Holanda)

Marthin Hadiwinata (dirigente de pescadores, Traditional Fisherfolk Union, Indonesia)

Daniel Giménez Cacho (actor, México)

Sylvia Marcos (profesora, UNAM, México)

William I. Robinson (sociólogo, profesor, University of California, Santa Barbara, EEUU)

Colectivo de artistas Chto Delat (Rusia)

Teresa Niuvo (activista, Cataluña)

Ofelia Medina (actriz, México)

Begonia Lecumberri (activista, México)

Eduardo Matos Moctezuma (arqueólogo, México)

Roberto Marquez (director del grupo musical Illapu, Chile)

Cristina Rivera-Garza (escritora, México)

Tomas Ibañez (profesor, Universidad Autónoma de Barcelona, Cataluña)

Julieta Egurrola (actriz, México)

Jean Robert (escritor y arquitecto, Cuernavaca, México)

Emmánuel Lizcano (Universidad Nacional de Educación a Distancia, Madrid, España)

Elmer Mendoza (escritor, México)

Alicia Castellanos (antropóloga, UAM, México)

Carlos Taibo (profesor de ciencias políticas, Universidad autónoma de Madrid, España)

Antonio Ortuño (escritor, México)

Grimaldo Rengifo Vázquez (Programa Andino de Tecnologías Campesinas, Lima, Perú)

Gladys Faiffer Ramírez (Programa Andino de Tecnologías Campesinas, Lima, Perú)

Jorge Alonso (profesor-investigador, CIESA-Occidente, Guadalaraja, México)

Catherine Walsh (profesora, Universidad Andina Simón Bolívar, Ecuador)

Claudio Lomnitz (antrópologo, Columbia University, New York, EEUU)

Marina de Tavira (actriz, México)

Mireille Fanon-Mendès France (presidente de la Fondation Frantz Fanon International)

Sergio Tischler (BUAP, Puebla, México)

Fernando Matamoros (BUAP, Puebla, México)

Patricia Botero (profesora, Universidad de Antioquia, Medellín y Universidad de la
Tierra Manizales, Manizales, Colombia)

Eric Alliez (filósofo, Kingston University, Londres, Reino Unido y Université París 8, Francia)

Deborah Barndt (profesora, York University, Toronto, Canada)

Boaventura de Sousa Santos (profesor, Universidad de Coimbra, Portugal)

Santiago López Petit (filósofo, Universidad de Barcelona, Cataluña)

Richard Pithouse (profesor, Academic University of the Witwatersrand, Sudafrica)

Deborah Danowsky (filósofa, Pontifica Universidade Catolica, Rio de Janeiro, Brasil)

Fatma Alloo (escritora y comunicadora, Zanzíbar, Tanzania)

Anselm Jappe (filósofo, Accademia de Belle Arti, Sassari, Italia)

Ashish Kothari (activista, KALPAVRIKSH Environmental Action Group, India)

Samantha Hargreaves (directora, WoMin African Alliance, Sudafrica)

Enzo Traverso (profesor, Cornell University, EEUU)

Laksmi A. Savitri (profesora, University of Gadjah Mada, Indonesia)

Ovidiu Tichindeleanu (escritor, IDEA, Rumania)

Surnatural Orchestra (grupo musical, Francia)

Carmen Castillo (cineasta, Chile-Francia)

Malú Huacuja del Toro (escritora, New York, EEUU)

Kirk Helliker, (profesor, Rhodes University, Sudáfrica)

Lia Pinheiro Barbosa (profesora, Universidade Estadual do Ceará, Brasil)

Miguel Amorós (historiador, Barcelona, Cataluña)

Sang-Gyoon Kim (documentalista, Corea del Sur)

Corazon Valdez Fabros (abogada, International Peace Bureau, Filipinas)

Pravin Mote (dirigente, All India Forum of Forest Movements, India)

Devjit Nandi (dirigente, All India Forum of Forest Movements, India)

Walter Mignolo (profesor, Duke University, EEUU)

Peter Rosset (profesor, ECOSUR, México)

Ashlesha Khadse (coordinación, Amrita Bhoomi Center, La Vía Campesina, India)

Rodrigo Rey Rosa (escritor, Guatemala)

Alberto Barrera Tyszca (escritor, Venezuela)

Eric Nepomuceno (escritor, Brasil)

Francisco Goldman (escritor, EEUU/Guatemala)

Marina Garcés (filósofa, España)

Juan Cruz (escritor, España)

David Homel (escritor, Canadá)

Bruno Montané (poeta, Chile/España)

Paula Canal (agente literaria, España)

Adrian Arancibia (poeta, Chile)

Milton Fornaro (escritor, Uruguay)

Jorge Fondebrider (escritor, Argentina)

Vivian Scheinsohn (arqueóloga, Argentina)

Bárbara Belloc (escritora y editora, Argentina)

Teresa Arijón (poeta, Argentina)

Alcira Cuccia (escritora, Argentina)

Héctor Abad Faciolince, escritor. Colombia

Alonso Cueto (escritor, Perú)

Martín Caparrós (escritor, Argentina)

Frederic Amat (pintor, España)

Edgardo Cozarinsky (escritor, Argentina)

Daniel Vidal (pintor, Argentina)

Luis Altieri (pintor, Argentina)

Miguel Vitagliano (escritor, Argentina)

Sergio Chéjfec (escritor, Argentina)

Rubén Martínez (escritor, EEUU)

Jorge Aulicino (poeta, Argentina)

Edgardo Cozarinsky (escritor, Argentina)

John Gibler (poeta y periodista, EEUU)

Joani Hocquenghem (escritor, Oaxaca, México)

Elaine Hsiao (International Union for the Conservation of Nature, Ruanda)

Henry Veltmeyer (profesor, Universidad Autónoma de Zacatecas, México)

John Oakes (editor, OR Books, EEUU)

Britt Baatjes (profesora-investigador, Port Elizabeth, Sudáfrica)

Anne Harley (investigadora, Paulo Freire Project, University of KwaZulu-Natal, Sudáfrica)

Shalmali Guttal (directora, Focus on the Global South, Tailandia e India)

Philip McMichael (profesor, Cornell University, EEUU)

Darcy Tetreault (profesor, Universidad Autónoma de Zacatecas, México)

Richard Stahler-Sholk (profesor, Eastern Michigan University, EEUU)

Avijit Chatterjee (activista derechos indígenas, India)

Haroon Akram-Lodhi (profesor, Trent University, Canadá)

Tony Weis (profesor, University of Western Ontario, Canadá)

Kathleen McAfee (profesora, San Francisco State University, EEUU)

John Vandermeer (profesor, University of Michigan, EEUU)

Tomás Alberto Madrigal (adherente de la Sexta, trabajador de salud, EEUU)

Katharine Crocker Blake (empresaria, Chiapas, México)

Matt Meyer (secretario general, International Peace Research Association, EEUU)

Raúl Delgado Wise (profesor, Universidad Autónoma de Zacatecas, México)

Ronald Nigh (profesor, CIESAS, México)

Omar Felipe Giraldo (profesor, ECOSUR, México)

Olivier de Marcellus (activista, Suisa)

Lapapan Supamanta (activista, Rural Initiatives for Community and Ecology Association, Tailandia)

Natrin Chaonsri (activista, Thai Poor Act, Tailandia)

Sadaharu Oya (profesor, Hokkai-Gakuen University, Japón)

Daniela Del Bene (investigadora, Universidad Autónoma de Barcelona, España)

Jennifer C. Franco (investigadora, TransNational Institute, Holanda)

Jack Kloppenburg (profesor, University of Wisconsin, EEUU)

Elizabeth Fitting (profesora, Dalhousie University, Canadá)

Peter Newell (profesor, University of Sussex, Reino Unido)

Susanna Hecht (profesora, University of California UCLA, EEUU)

Jai Sen (director, India Institute for Critical Action, India)

Mary Ann Manahan (investigadora activista, Marcha Mundial de Mujeres, Filipinas)

Claudio Cattaneo (profesor, Universidad Autónoma de Barcelona, España)

MaryAnne Tenuto (coordinación, Chiapas Support Committee, EEUU)

Gerardo Alatorre Frenk (investigador, Universidad Veracruzana, México)

Ulli Röding (Red YA-BASTA-NETZ, Alemania)

Arnoldo García (poeta, Chiapas Support Committee, EEUU)

Malely Linares Sánchez (docente, UNAM, ciudad de México, México)

Pierre Rousset (activista, Europe Solidaire Sans Frontières, Francia)

Anne Petermann (directora, Global Justice Ecology Project, EEUU)

Susannah R. McCandless (directora, Global Diversity Foundation North America, EEUU)

Melanie Bush (profesora, Adelphi University, EEUU)

Sarah Sexton (analista activista, The Corner House, Inglaterra)

Nicholas Hildyard (analista activista, The Corner House, Inglaterra)

Larry Lohmann (analista activista, The Corner House, Inglaterra)

Kamal Mitra Chenoy (profesor, Jawaharlal Nehru University, India)

Boris Kagarlitsky (director, Institute for Globalisation Studies and Social Movements, Rusia)

Anna Harris (sicóloga, Inglaterra)

Gustave Massiah (economista, Initiatives Pour un Autre Monde, Francia)

Marjorie Jobson (activista, Khulumani Support Group, Sudafrica)

Patrick Bond (profesor, University of the Witwatersrand, Sudafrica)

Arnim Scheidel (profesor, Universidad Autónoma de Barcelona, España)

Peter Swift (estudiante doctoral, University of Wisconsin, EEUU)

Emma McDonell (estudiante doctoral, Indiana University, EEUU)

Jorge Pinto (profesor, Universidade de Lisboa, Portugal)

Patrick Bresnihan (profesor, Trinity College, Irlanda)

Adam Jadhav (estudiante doctoral, University of California at Berkeley, EEUU)

J.P. Sapinski (profesor, Université de Moncton, Canadá)

Piran Azad (médico, Alemania)

Vasna Ramasar (profesora, Lund University, Suecia)

Regina Hansda (investigadora, Newcastle University, Inglaterra)

Leah Temper (investigadora, McGill University, Canadá)

Bob Thomson (activista, Peoples’ Social Forum, Canadá)

Dianne Rocheleau (profesora, Clark University, EEUU)

Luis Malaret (profesor, Community College of Rhode Island, EEUU)

Johanna Jacobi (profesora, University of Bern, Suiza)

Keith Hyams (profesor, Univeristy of Warwick, Inglaterra)

Raymond Bryant (profesor, King’s College of London, Inglaterra)

Anthony Ince (profesor, Cardiff University, Reino Unido)

Samir Delgado (poeta, Tren de los Poetas, México)

Michel Pimbert (profesor, University of Coventry, Inglaterra)

Stefano Portelli (investigador, University of Leicester, Inglaterra)

Patrick Chan (cooperativista, Sudafrica)

Natalia Paszkiewicz (profesora, University of Bath, Inglaterra)

Ivette Perfecto (profesora, University of Michigan, EEUU)

Carlotta Molfese (investigadora, Plymouth University, Inglaterra)

Miriam Boyer (activista, México via Berlin, Alemania)

Bengi Akbulut (profesor, Concordia University, Canadá)

Isabel Castillo (co-directora, River Road Unitarian Universalist Congregation, EEUU)

Freya Higgins-Desbiolles (profesora, University of South Australia, Australia)

Peter Clausing (coordinador, Companer@s de México del Sur A.C., Alemania)

Emily Caruso (directora, Global Diversity Foundation, Inglaterra)

Ben Cousins (profesor, University of the Western Cape, Sudafrica)

Alice Taherzadeh (investigadora, Cardiff University, Reino Unido)

Hung-Ying Chen (investigador, Durham University, Inglaterra)

Ruth Hall (profesora, University of the Western Cape, Sudafrica)

Nina I. Moeller (investigadora, University of Manchester, Inglaterra)

Leslie Gross-Wyrtzen (estudiante doctoral, Clark University, EEUU)

Laurence Cox (profesor, National University of Ireland Maynooth, Irlanda)

Abha Bhaiya (activista feminista, Jagori Rural Charitable Trust, India)

Ashwani Vasishth (profesor, Ramapo College, EEUU)

Miriam Lang (profesora, Universidad Andina Simón Bolivar, Ecuador)

Harris Charalambides (abogado, Chipre)

Yoann Moreau (antropólogo, Escuela de Mineria, Yagisawa, Japón)

Benjamín Cann (director y dramaturgo, México)

Brian Nissen (pintor, México)

Nadia Baram (fotógrafa, México)

Francisco Hinojosa (escritor, México)

Jordi Soler (escritor, México)

María René Prudencio (dramaturga, México)

Daniela Rea (periodista, México)

Álvaro Enrigue (escritor, México)

Javier Ledesma (editor, México)

Oscar Benassini (editor, México)

Nayeli García (investigadora, COLMEX, México)

Luis de Tavira (director de teatro, México)

Alberto Villarreal (director de teatro, México)

Raquel Araujo Madrea (directora de teatro, México)

Marcela Turati (periodista, México)

Raúl Silva (periodista, México)

Amelia Hinojosa (galerista, México)

Liliana García (historiadora, México)

Lorena Mata (maestra, México)

Natalia Beristáin (cineasta, México)

Pedro de Tavira (actor, México)

Stefanie Weiss (actriz, México)

Carlos Mendoza (filósofo y teólogo, México)

Yael Weiss (editora y traductora, México)

Pablo Reyna (investigador, México)

Ana Lydia Flores Marín (Universidad Iberoamericana, México)

Alejandra Rangel (promotora cultural, México)

Antonio Gritón (artista visual, México)

Diego Enrique Osorno (periodista, México)

Alma Karla Sandoval (escritora, México)

Naief Yehya (escritor, México)

Rubén Marín (periodista, México)

Paloma Robles (periodista, México)

Luciana Kaplan (cineasta, México)

Carlos Chimal (escritor, México)

Luz Emilia Aguilar Zínser (crítica e investigadora teatral, México)

Carlos Amorales (artista visual, México)

Daniel Aguilar Ruvalcaba (artista visual, México)

Carmen Boullosa (escritora, México)

Maya Goded (fotógrafa, México)

Guillermo Quijas (editor, México)

Gerardo Herrera Corral (físico, México)

Emiliano Ruiz Parra (periodista, México)

Verónica Gerber Bicecci (escritora, México)

Mónica del Villar (investigadora y editora, México)

Guillermo Espinosa Estrada (escritor, México)

Jorge Comensal (escritor, México)

Perla Yadira Coronado (académica, México)

Rubén Luna Castillo (académico, México)

Ma. Eugenia Sánchez Díaz de Rivera (académica, México)

Eduardo Almeida Acosta (académico, México)

Raúl Delgado Wise (sociólogo, México)

Inés Durán Matute (académica, México)

Rodrigo Camarena González (académico, México)

Carlos López Beltrán (escritor y filósofo, México)

Carmen Díaz Alba (profesora, México)

Raúl Romero (sociólogo, México)

Francisco Morfín (filósofo de la educación, México)

Raúl Arvizu (Director General para América Latina de Ocean Future Societies, México)

Rodrigo Navarro (Ocean Future Societies, México)

Oralba Castillo Nájera (profesora, UAEM, Cuernavaca, Morelos)

Norma Domínguez Quezada (profesora, Cuernavaca, Morelos)

Margarita Armella Delachica (profesora, Cuernavaca, Morelos)

Luz María Goribar del Río (terapeuta, Cuernavaca, Morelos)

Laura Bustos Hernández (Cuernavaca, Morelos)

María de Lourdes Lara (Cuernavaca, Morelos)

Tania Violeta Dávila Ramírez (psicóloga, Cuernavaca, Morelos)

Aurora Suárez (Cuernavaca, Morelos)

Servando Gaja (profesora, Cuernavaca, Morelos)

Martha Mata (antropóloga, Cuernavaca, Morelos)

Carolina Domínguez Quezada (socióloga, Cuernavaca, Morelos)

Coline Pla (estudios latinoamericanos, Cuernavaca, Morelos)

Ignacio López Guerrero (director escénico, Cuernavaca, Morelos)

Cristina del Carmen Vargas Bustos (terapeuta, Cuernavaca, Morelos)

Javier Ávila Aguirre, S.J. (Chihuahua, México)

Francisco Stockton Leal (Chihuahua, México)

Luis Aragón (Chihuahua, México)

Ricardo Ruiz Suárez Estrada (Chihuahua, México)

Roberto Carlos Robles Campos (Chihuahua, México)

Gloria Ilsel Loera Romero (Chihuahua, México)

Horacio Lagunas Cerda (antrópologo, Chihuahua, México)

Juan Jaime Loera González (Chihuahua, México)

Irma Henze (psicoanalista, Chihuahua, México)

Itzel Cervantes (Chihuahua, México)

Isabel Saldivar Ayala (Chihuahua, México)

Citlali Quintana Sapien (Chihuahua, México)

Patricia Martínez Escarza (Chihuahua, México)

Alma Rosa Dozal Estrada (Chihuahua, México)

Horacio Almanza Alcalde (Chihuahua, México)

Brenda Govea Medina (Chihuahua, México)

Georgina Gaona Pando (Chihuahua, México)

Tatiana Amor Aderman (Chihuahua, México)

Aline González Espinosa (Cuernevaca, México)

Óscar Ocampo Ayala (Cuernevaca, México)

Alma Sánchez Sanjz (Cuernevaca, México)

Carmen Jurado (Cuernevaca, México)

Diana Villalobos Díaz (Chihuahua, México)

María Elena Orozco (antropóloga, UPN, Chihuahua, México)

Susana Navarrete López (antropóloga, Chihuahua, México)

Pablo Ortiz Gurrola (Chihuahua, México)

Adriana Alcaraz (Chihuahua, México)

Julika Bond (maestra jubilada, México)

Vilma Almendra (Pueblos en camino, Colombia)

Emmanuel Rozental (Pueblos en camino, Colombia)

Claudia Isabel Serrano Otero (Universidad del Cauca, Popayán, Colombia)

Claudia Liliana Meza Romero (Bogotá, Colombia)

Pavel López Flores (CIDES-UMSA, La Paz, Bolivia)

Ana Vera (Surkuna, Ecuador)

Natalia Sierra (profesora-investigadora, Ecuador)

Salvador Schavelzon (profesor, Universidad de São Paulo, Brasil)

Oscar Olivera (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Marcela Olivera (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Natali Olivera (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Camila Olivera (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Marcelo Rojas (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Freddy Beltrán (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Roberto Escóbar (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Max Fuentes (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Aleida Liendo (Guerrerxs del agua, Cochabamba, Bolivia)

Eduardo Nash (HIJOS, Argentina)

Nicolás David Falcoff (músico, Argentina)

Guillerima Acosta (música, Argentina)

Néstor Augusto López (Revista Herramienta y Comunizar, Buenos Aires, Argentina)

Luis Menéndez Bardamu (sociólogo, Universidad de Buenos Aires, Argentina)

Irene del Sol (odontopediatra, Universidad de Buenos Aires, Argentina)

Peter Pál Pelbart (filósofo, Pontificale Universidad Catolica, São Paulo, Brasil)

Amarildo Ferreira Júnior (profesor, IFRR, Boa Vista, Brasil)

Sara Santacruz Vinueza (socióloga, Quito, Ecuador)

Nitram (hip hop autónomo rebelde, Quito, Ecuador)

Fredi Casco (artista, Asunción, Paraguay)

Ticio Escobar (crítico cultural, Asunción, Paraguay)

Bruno Delbecchi (periodista, Salvador de Bahia, Brasil)

Inácio Neutzling (Instituto Humanitas Unisinos, Sao Leopoldo, Brasil)

Pedro de Assis Ribeiro de Oliveira (sociólogo, profesor, Juiz de Fora, Brasil)

André Langer (sociólogo, Faculdade Vicentina, Curitiba, Brasil)

Elba Mercedes Palacios (colectivo Sentipensar Afrodiaspórico, Colombia)

Edith Lopez Ovalle (artista visual, Guatemala/México)

Diógenes Díaz (antropólogo, Colombia)

Valentina Díaz (colectivo Hierba, Colombia)

Vanda Ianowski (docente, Universidad Nacional del Comahue, Argentina)

Andrés Figueroa Cornejo (periodista, Resumen Latinoamericano y Kaos en la red, Chile)

René Vasco Irurzun (Argentina)

Carlos Arango Calad (psicólogo, Universidad del Valle, Cali, Colombia)

Maria Clara Lanari Bo (educadora, Rio de Janeiro, Brasil)

Derly Constanza Cuetia Dagua (Pueblo Nasa y Pueblos en Camino, Cauca, Colombia)

Francis Pacheco da Silva (Profesor del Estado do Rio Grande do Sul, Viamão, Brasil)

Malena Martinez Cabrera (cineasta, Perú – Austria)

Dora María Yagarí González (Medellín, Colombia)

Patricia Rios Brandi (Porto Alegre, Brasil)

Alexander Panez Pinto (colectivo LEMTO/UFF, Brasil)

Juan Wahren (Universidad de Buenos Aires, Argentina)

Miguel Teubal (escritor, Buenos Aires, Argentina)

Emiliano Teran Mantovani (Observatorio de Ecología Política, Caracas, Venezuela)

Francisco Javier Velasco (antropólogo, OEP, Caracas, Venezuela)

Liliana Buitrago Arévalo (investigadora, OEP, Caracas, Venezuela)

Juan M. Planas (sociólogo, OEP, Caracas, Venezuela)

Marcela Claudia Lafon (Neuquén, Argentina)

Luis Daniel Hocsman (investigador, CONICET, Argentina)

Valentin Val (independiente, Argentina, México)

Hilda Imas (empleada, GCBA, Buenos Aires, Argentina)

Lucia Scrimini (Buenos Aires, Argentina)

Miriam Lang (Universidad Andina Simón Bolívar, Quito, Ecuador)

Neka Jara (Argentina)

Maba Jara (Argentina)

Juan Sotelo (Buenos Aires, Argentina)

Pablo René Pons (Argentina)

Somayeh Khajvandi (socióloga, kurda de Iran instalada en Francia)

ehrouz Safdari (traductor, kurdo de Iran instalado en Francia)

Farzan Nasr (traductor y artista, Ispahan, Iran)

Amin Bozorgian (sociólogo, iraní instalado en Francia)

Sylvie Glissant (directora del “Institut du Tout-monde”, Francia)

Fabien Cohen (secretario general de FAL, France-Amérique-Latine, Francia)

Ana Cecilia Dinerstein (profesora, Bath University, Reino Unido)

Bernard Duterme (sociólogo, director del CETRI – Centre tricontinental, Bélgica)

Eleni Varika (profesora, Université París 8, Francia)

Christian Laval (sociólogo, profesor, Université Paris Nanterre, Francia)

Pierre Dardot (filósofo, investigador, Université Paris Nanterre, Francia)

Pierre Sauvêtre (profesor-investigador, Université Paris Nanterre, Francia)

Judith Revel (filósofa, profesora, Université París Nanterre, Francia)

François Gèze (éditor, París, Francia)

Rémy Toulouse (editor, La Découverte, París, Francia)

Loïc Blondiaux (profesor de ciencias políticas, Université Paris 1, Francia)

Yvon Le Bot (sociólogo, París, Francia)

Michel Wieviorka (sociólogo, París, Francia)

Geneviève Azam (economista, Toulouse, Francia)

Barbara Glowczewski (antrópologa, Centre National de la Recherche Scientifique, París, Francia)

François Cusset (profesor de estudios americanos, Université Paris-Nanterre, Francia)

Christophe Bonneuil (historiador, Centre National de la Recherche Scientifique, París, Francia)

Josep Rafanell y Orra (psicólogo y escritor, París, Francia)

Ludivine Bantigny (historiadora, Universidad de Rouen-Normandie, Francia)

Gilles Rivière (antropólogo, EHE/SS, París, France)

Irène Bellier (antropóloga, Centre National de la Recherche Scientifique, Francia)

Thomas Coutrot (economista, ex-vocero de Attac-France, Francia)

Alain Musset (geografo, director de estudios, EHESS, París, Francia)

Jean-Claude Bonne (historiador de arte, director de estudios, EHESS, París, Francia)

Jérôme Baschet (historiador, EHESS, París, Francia)

Eric Michaud (historiador de arte, director de estudios, EHESS, París, Francia)

Houari Touati (director de estudios, EHESS, París, Francia)

Jacques Revel (historiador, EHESS, París, Francia)

Philippe Minard (historiador, profesor, Université Paris 8 y EHESS, Francia)

María Stavrinaki (profesora-investigadora, Université de Paris 1-Sorbonne, Francia)

Jean-Louis Tornatore (professor, Université de Bourgogne, Francia)

Alessandro Stella (historiador, Centre National de la Recherche Scientifique, París, Francia)

François Jarrige (historiador, Université de Bourgogne, Francia)

Carlo Vercellone (economista, profesor Université Paris 8, Francia)

Philippe Corcuff (profesor de ciencias políticas, Institut d’Etudes Politiques, Lyon, Francia)

Alexis Chaussalet (Attac-France, París, Francia)

Franck Gaudichaud (profesor, Université de Grenoble, copresidente de France-Amérique-Latine)

Marc Hatzfeld (antropólogo, Durban-Corbières, Francia)

Christian Arnsperger (profesor, Université de LaEEUUnne, Suisse)

Guillaume Faburel (profesor-investigador, Université de Lyon 2, Francia)

Régine Plas (profesora, Université París Descartes, Francia)

Géronimo Diese (científico-activista, Francia)

Marc Tomsin (editor, Rue des Cascades, París, Francia)

Johan Badour (editor, Divergences, París, Francia)

Aline Pailler (periodista, ex-diputada del Parlemento Europeo, Ariège, Francia)

Alexandre Escudier (investigador, Fondation Nationale des Sciences Politiques, París, Francia)

Gil Bartholeyns (profesor-investigador, Université de Lille, Francia)

Thomas Golsenne (profesor-investigador, Université de Lille, Francia)

Elise Lowy (socióloga, Revue EcoRev’, París, Francia)

Anna Fontes (profesora, Université Sorbonne Nouvelle- París 3, Francia)

Vanessa Manceron (antropóloga, Centre National de la Recherche Scientifique, París, Francia)

Karine Parrot (jurista, profesora, Université de Cergy-Pontoise, Francia)

Patricia Pol (profesora-investigadora, Université Paris-Est Créteil, Francia)

Françoise Escarpit (periodista, Bordeaux, Francia)

Sylvia Pérez-Vitoria (socio-economista, París, Francia)

Paul Ariès (director de la revista “Les Zindigné(e)s, Francia)

Beatrice Bonne (traductora, París, Francia)

Annick Stevens (filósofa, Université populaire de Marseille, Francia)

Jean-Michel Guillon (investigador, Université Paris Sud, Orsay, Francia)

Alain Damasio (escritor, Marseille, Francia)

Serge Quadruppani (escritor y traductor, Francia)

Maguy Marin (coreógrafa, Lyon, Francia)

Bonga (compositor-intérprete, Francia)

Serge Pey (poeta, Toulouse, Francia)

Brice Bonfanti (poeta-obrero, Grenoble, Francia)

Bertrand Meunier (fotógrafo, Tendance Floue, París, Francia)

Jacques Kebadian (cineasta, París, Francia)

Nicolas Défossé (cineasta, París, Francia)

Jean-François Galotte (cineasta, Colombes, Francia)

Claudine Baschet (actriz, París, Francia)

François-Xavier Drouet (cineasta, Faux-la-Montagne, Francia)

Christine Pellicane (director de teatro, París, Francia)

Philippe Maymat (actor, París, Francia)

Aida Kebadian (pintora, París, Francia)

Yannick Reix (director del “Café des images”, Caen, Francia)

Christian Valdelièvre (productor, Francia-México)

Marco Candore (artista, París, Francia)

Franssou Prenant (cineasta, París, Francia)

Dominique Dou (escritora, París, Francia)

Christian Carez (fotógrafo, Beersel, Bélgica)

Claire Doyon (cineasta, París, Francia)

Eric Premel (cineasta, ex-director del Festival de cine de Douarnenez, Francia)

Valentin Schaepelynck (profesor investigador, Université Paris 8, Francia)

Chloe Maillet (profesora de historia del arte, ESBA, Angers, Francia)

Christine Lapostolle (profesora, Ecole Européenne Supérieure d’Arts de Bretagne, Francia)

Kristina Solomoukha (artista y profesora, EESAB, Rennes y EnsAD, París, Francia)

Francesca Cozzolino (profesora-investigadora, EnsAD, París, Francia)

Francesca Martinez Tagliavia (profesora, Scuola de Belle Arti, Palermo, Italia)

Gaelle Hauptmann (artista, Quimper, Francia)

Jean Rochard (productor de música, París, Francia)

Jean-Baptiste Vidalou (escritor, Francia)

Régis Hébette (director del teatro L’Echangeur, Bagnolet, Francia)

Claire Moyrand (escritora, París, Francia)

Guillaume Lasserre (crítico de arte, París, Francia)

Émile Ouroumov (director del centro de arte BBB, Toulouse, Francia)

Benjamin Landsberger (productor ejecutivo, Maisons-Laffitte, Francia)

Kayler Stéphane (medios audiovisuales, París, Francia)

Antoine Boute (escritor, Bruxelles, Bélgica)

Paolo Codeluppi (artista y fotógrafo, Bagnolet, Francia)

Maryline Brustolin (galerista de arte, París, Francia)

Dominique Mathieu (artista, París, Francia)

David Benassayag (editor y director de centro de arte, Cherbourg, Francia)

Yves Raynaud (grafista, Villiers-sur-Morin, Francia)

Hélène Roux (socióloga, Université París 1, Francia)

Willy Gianinazzi (historien, París, Francia)

Maud Pérez-Simon (profesor, Université Sorbonne Nouvelle – Paris 3, Francia)

Violaine Delteil (socio-economista, Université Sorbonne Nouvelle Paris 3, Francia)

Patrick Dieuaide (Université Sorbonne Nouvelle París 3, Francia)

Odile Henry (socióloga, Université Paris 8 Vincennes, Francia)

Guillaume Goutte (corector de prensa, CGT, París, Francia)

Angeles Alonso Espinosa (antropóloga, París, Francia)

David Scemla (abogado, París, Francia)

Marie-Christine Callet (París, Francia)

Nadine Verdier (Attac-France, Cahors, Francia)

Michèle Plantain (Attac-France, Noyelles sur Selle, Francia)

Marc Saracino (fundador del Festival de cinema “Résistances”, Foix, Francia)

Marie-Luce Rauzy (editora, EHESS, Marseille, Francia)

Davide Gallo Lassere (investigador, Université París Nanterre, Francia)

Fabrice Flipo (filósofo, París, Francia)

Pierre Bance (editor, París, Francia)

Christian Mahieux (Réseau Syndical International de Solidarité et de Lutte, Francia)

Stéphane Enjalran (Union syndicale Solidaires, Francia)

Verveine Angeli (Union syndicale Solidaires, Francia)

Cybèle David (fédération SUD éducation, Francia)

Nara Cladera, (fédération SUD éducation, Francia)

Eric Decamps, (fédération SUD Rail, Francia)

Raphaël Millon (Solidaires Jeunesse et Sports, Francia)

Marc Tzwangue (Union syndicale Sud Industrie, Francia)

Yann Renoult (Sud éducation 93, Francia)

Elodie Douvry (Sud éducation 93, Francia)

Hortensia Ines (Sud éducation 66, Francia)

Valérie Duguet (Sud éducation 87, Francia)

Laura Voilqué (asociación La Ligne d’horizon, París, Francia)

Claude Micmacher (arquitecto, Réseau français des Ecocentres, Périgueux, Francia)

Jocelyne Cambuzat (Limoges, Francia)

Omar Kezouit (Attac-Paris, Francia)

Pascal Girard (profesor, Vanves, Francia)

Marcel Caucheteux (Attac-France, Lille, Francia)

Dolores Vázquez-Salvadores (profesora de español, París, Francia)

Arnaud Tomès (profesor de filosofía, Strasbourg, Francia)

Néstor Vega Salazar (París, Francia)

Lise Bouzidi Vega (París, Francia)

Violeta Salvatierra (estudios coreográficos, Université Paris 8, Francia)

Jacqueline Balvet (retraitée, Attac-France, Gard, France)

Christian Godeux (Cévennes, Francia)

Pierre Mallet (marinero, Marseille, Francia)

Matías Possner (Grupo Chiapas, Austria)

Pablo Campoy (politólogo, Holanda)

Didier Harpagès (profesor, Hondschoote, Francia)

Guy Michel (profesor, Sauvian, Francia)

Christian Ferrié (profesor de filosofía, Strasbourg, Francia)

Suzanne Hildebrandt (politóloga, Strasbourg, Francia)

Stéphane Douailler (filósofo, profesor Université Paris 8, Francia)

Anouk Anglade (estudiante, Université París 8, Francia)

Blandine Gravelin (Université París 1, Francia)

Rozenn Milin (periodista, Landunvez, Francia)

Yolaine Puche (empleada, Tours, Francia)

Raphaël Guesuraga (profesor, Saint-Leu-la-Forêt, Francia)

Vasiliki Zachari (investigadora, EHESS, París, Francia)

Alizé Lacoste Jeanson (antrópologa, Bordeaux, Francia)

Nicolas Flesch (escritor, París, Francia)

Garance Tefnin (Saint-Alban des Hurtières, Francia)

Gécile Menard (director de escuela secundaria, Paris, Francia)

Catherine Gégout (ex-regidora de la ciudad de París, Francia)

Gabriel Gau (regidor de la ciudad de París, Francia)

Fany Gaillanne (regidora de la ciudad de París, Francia)

Marie-Christine Haensler Dussel (Attac-Valenciennes, Marly, Francia)

Jean-Michel Armagnac (Agen, Francia)

Ani Kebadian (París, Francia)

Jacques Voilqué (París, Francia)

Sylvie Poignant (París, Francia)

Jeanne Dacenko (París, Francia)

Joseph Dekkers (París, Francia)

Moira Gey Smith (architecte, París, Francia)

Julien Grimaud (profesor de preparatoria, Dunkerque, Francia)

Amélie Benassayag (Argenton s/Creuse, Francia)

Ladislas de Monge (Villon, Francia)

Eleni Konstantinidou (Sálonica, Grecia)

Geert Carpels (Wodeck, Bélgica)

Mieke Krul (Virginal-Samme, Bélgica)

Ariane Vaneigem (Braine, Bélgica)

Fanchon Daemers (artista-música, Spa, Bélgica)

Anne Hustache (Bruxelles, Bélgica)

Philippe Delsupehe (Bruxelles, Bélgica)

Jean Delsupehe (Bruxelles, Bélgica)

Caroline Delsupehe (Bruxelles, Bélgica)

Renaud Tefnin (Yvignac La Tour, Francia)

Stephan Peleman (Rumst, Bélgica)

Isabelle Privé (Lessines, Bélgica)

Jean-Marie Hoppe (Lessines, Bélgica)

Thérèse Dubrule (Lessines, Bélgica)

Michel y Michèle Meli (Olignies, Bélgica)

Daniel Betche (Lessines, Bélgica)

Brigitte Tack (Linkebeek, Bélgica)

Chiara Vaneigem (Mons, Bélgica)

María Grazia Macchia (librera, Madrid, España)

Giuseppe Maio (editor, Madrid, España)

Hector Zamora (artista visual, Lisboa, Portugal)

Cecilia Brunson (galerista de arte, Londres, Reino Unido)

Adnan Celik (investigador, University of Sussex, Reino Unido)

Peggy Rivage-Seul (profesora, Berea College, Berea, EEUU)

Anu Sharma (profesora, Wesleyan University, Middletown, EEUU)

Frédéric Neyrat (filósofo, University of Wisconsin-Madison, EEUU)

Laura Weigert (profesor, Rutgers University, New Brunswick, EEUU)

Nelson Maldonado-Torres (profesor, Rutgers University, New Brunswick, EEUU)

Rudolph Bell (historiador, Rutgers University, New Brunswick, EEUU)

Ángel Luis Lara (profesor, State University of New York, EEUU)

Margaret Cerullo (sociologist, Hampshire College, EEUU)

Elisa Brilli (profesor, University of Toronto, Canada)

Didier Méhu (historiador, Université Laval, Québec, Canada)

Sylvie Poirier (antrópologo, Université Laval, Québec, Canada)

Marcel Sévigny (Fabrique d’autonomie collective, Pointe-Saint-Charles, Montreal, Canada)

Joe Parker (professor, Pitzer College, EEUU)

Stefan Ali (abogado, Columbus, Ohio, EEUU)

Jared Sacks (Columbia University, New York, EEUU)

Isaac Butler-Brown (profesor de música, Wesleyan University, Middletown, EEUU)

Kate Gilbert (estudiante, Wesleyan University, Middletown, EEUU)

Alice Markham-Cantor (escritora, EEUU)

Angela Miles (Toronto Women for a Just and Healthy Planet, Toronto, Canada)

Stephan Dobson (York University, Toronto, Canada)

Carla Bergman (escritora, Vancouver, Canada)

Francis Dupuis-Déri (profesor de ciencias políticas, Université du Québec à Montréal, Canada)

Joanne Robertson (escritor y protector del agua, Sault Ste. Marie, Canada)

Dave Bleakney (Canadian Union of Postal Workers, Ottawa, Canada)

Claude Rioux (editor, Editions de la rue Dorion, Montreal, Canada)

Arthur Clark (físico, Calgary Centre for Global Community, Calgary, Canada)

Justin Podur (York University, Toronto, Canada)

Mike Antoniades (Toronto, Canada)

Solomon Thompson (psicólogo, York University, Canada)

Leonidas Oikonomakis (antrópologo, Durham University, Reino Unido)

Eurig Scandrett (Queen Margaret University, Edinburgh, Scotland)

Erik Swyngedouw (profesor, University of Manchester, Inglaterra)

Richard White (profesor, Bath Spa University, Inglaterra)

Siobhan McGrath (profesora, Durham University, Inglaterra)

Ingrid Marek (trabajadora social, Alemania)

Vyacheslav Azarov (Unión de Anarquistas de Ucrania, Ucrania)

Andrii Ishchenko (historiador, coordinador del sindicato Zahist Pratzi, Ucrania)

Oleg Yasinsky (periodista, Ucrania-Chile)

Andriy Manchuk (periodista, Ucrania)

Vladimir Mironenko (pintor y periodista, Belarus)

Olzhas Kozhakmet (periodista, Kazakhstan)

Andrey Konstantinov (científico, Rusia)

Marina Stepanova (científico, Rusia)

Vladimir Khazanov (jubilado, Rusia)

Mikhail Smirnov (docente Rusia)

Svyatoslav Konstantinov (estudiante, Rusia)

Artem Kirpichenok (historiador y periodista, Rusia)

Rustem Safronov (periodista agencia Sputnik, Rusia)

Nikita Sutyrin (documentalista, Rusia)

Nika Dubrovsky (pintora y activista, Rusia)

Rosalba Icaza (profesora e investigadora, Holanda)

Rolando Vazquez (profesor e investigador, Holanda)

Jaime Pastor (politólogo y editor de Viento Sur, España)

Pepe Mejía (periodista y activista social, Madrid, España)

Joaquin Valdivielso (filósofo, profesor, Universitat de les Illes Balears, España)

Federico Demaria (investigador, Universidad Autónoma de Barcelona, España)

Ines Morales Bernardos (estudiante, Universidad de Cordoba, España)

Olga Clavería Iranzo (profesional de artes gráficas, Segovia, España)

Teresa González de Chávez Fdez (Islas Canarias, España)

Ana Miranda (eurodiputada, Bloque Nacionalista Galego, España)

Rocío Paula Martínez Oliart (librera, Madrid, España)

Aldo Zanchetta (animador social, Lucca, Italia)

Brunella Zanchetta (animadora, Lucca, Italia)

William Otchere-Darko (estdiante doctoral, University of Milan-Bicocca, Italia)

Federico Venturini (activista, Italia)

Alessio Ciacci (promotor social, Italia)

Salvatore Palidda (profesor, Universitá degli Studi, Genova, Italia)

Angelo Baracca (físico, profesor, Universitá di Firenze, Italia)

Vittorio Sergi (profesor, Universitá degli Studi di Urbino, Italia)

Gianfranco Crua (Carovane Migranti, Italia)

Patrizia Peinetti (Carovane Migranti, Italia)

Silvana Botassis (doctora, Milan, Italia)

Roberto Bugliani (escritor, La Spezia, Italia)

Andrea Vento (docente, Pisa, Italia)

Serena Campani (docente, Pisa, Italia)
Adele Cozzi (Bologna, Italia)

Mauro Rubichi (animador social, Livorno, Italia)

Ugo Zamburru (psiquiatra, Centro Cultural Caffè Basaglia, Torino, Italia)

Ornella Granito (presidente de Caffè Basaglia, Torino, Italia)

Marco Bassani (Italia)

Gianni Monti (Potere al Popolo, Assemblea Beni Comuni/Diritti, Firenze, Italia)

Elisa Patrizia Frediani (Lucca, Italia)

Simone Ferrari (Italia)

Gaia Capogna (Roma, Italia)

Alessio Ciacci (espero de ecología, Lucca, Italia)

Suna Di Gino (Italia)

 

Organizaciones y colectivos:

Movimiento Liberación de Kurdistán (representación en América Latina)

Colectivo Paso Doble de Apoyo al CIG (Morelos, México)

Red Morelense de Resistencia y Rebeldía en apoyo al CIG (México)

Comisión de Solidaridad y Defensa de los Derechos Humanos, A.C. (Chihuahua, México)

CECADDHI A.C. (Chihuahua, México)

Colectivo Pirata Tlahuicas, Cuernavaca, México)

Colectivo la Flor de la Palabra (Cuernavaca, México)

Colectivo #artecorreomigrante (Chihuahua, México)

Red de apoyo al CIG de Chihuahua (México)

Consejo Civico de Organizaciones Populares e Indígenas de Honduras (COPINH, Honduras)

H.I.J.O.S. (Guatemala)

Movimiento Campesino de Nicaragua

Coordinadora Andina de Organizaciones Indígenas (Ecuador)

Ecuarunari (Ecuador)

Guerrerxs del agua (Fundación Abril, Escuela Andina del Agua, Cochabamba, Bolivia)

Alianza Territorial Mapuche (país Mapuche en Chile)

Observatorio de Ecología Política de Venezuela (Caracas, Venezuela)

CRY-GEAM (Defensa de la naturaleza, Barrancabermeja, Colombia)

Red Latina sin fronteras

Minga del pensamiento (Colombia)

Creapaz (Colombia)

La Matria (Colombia)

Mala Hierba (Colombia)

Comunativa (suroccidente de Colombia)

H.I.J.OS. (Mar de Plata, Argentina)

Asamblea Comarcal Contra el Saqueo (Lago Puelo, Provincia de Chubut, Argentina)

Frente Popular Dario, Santillan, Corriente Nacional de Argentina

Asamblea Vecinal de Puerto Pirámides (Chubut, Patagonia, Argentina)

Asamblea en Defensa del Territorio de Puerto Madryn (Puerto Madryn, Argentina)

Fundaciòn Uñopatun (Provincia Rio Negro, Argentina)

Página Web Comunizar (Argentina)

Radio comunitaria El Grito (Traslasierra, Córdova, Argentina)

Después de la deriva (programa de radio, Buenos Aires, Argentina)

Semillero de experiencias autónomas anticapitalistas (Argentina)

Colectivo La Fogata (Buenos Aires, Argentina)

Arte x Libertad (Rosario, Argentina)

Mestizas (Rosario, Argentina)

Unión Solidaria de Comunidades (Pueblo Diaguita Cacano, Santiago del Estero, Argentina)

Sociedad Civil Coheju (Gran Buenos Aires, Argentina)

Grupo de apoyo a la Sexta Declaración del EZLN (Rosario, Argentina)

Casa de la Memoria (Rosario, Argentina)

Radio La Colectiva (Buenos Aires, Argentina)

Colectivo Familiares y Amigxs de Luciano Arruga (Argentina)

Radio Zona Libre (Argentina)

Organización de Mujeres Campesinas e Indígenas (CONAMURI, La Vía Campesina, Paraguay)

Universidad de la Tierra (Puebla, México)

Centro Social Ruptura de Guadalajara (México)

Movement for National Land Reform (La Vía Campesina, Sri Lanka)

Focus on the Global South (Tailandia)

Woman Health (Filipinas)

Sindicato de Trabajadores Fronterizos (La Vía Campesina, EEUU)

Food First/Institute for Food and Development Policy (EEUU)

Chiapas Support Committee (EEUU)

Sindicato Labrego Galego (España)

Solidaridad Directa con Chiapas (Zurich, Suiza)

Moins!, journal romand d’écologie politique (Vevey, Suiza)

Εκδόσεις των ξένων (Editorial de los extranjeros, Grecia)

Kaffeekollektiv Aroma Zapatista eG (Alemania)

Projekt Knotenpunkt Schwalbach am Taunus, Red Ya Basta Netz Deutschland y Ya Basta Rhein-Main (Alemania)

Global Diversity Foundation (Inglaterra)

Gruppe B.A.S.T.A. (coletivo, Alemania)

Friends of the Landless Association (Finlandia)

NGO Action from Ireland (Irlanda)

Afrika Kontakt (Dinamarca)

Internationalt Forum (Dinamarca)

BIZILUR, Asociación para la Cooperación y el Desarrollo de los Pueblos (País Vasco)

Colectivo CafeZ (Liège, Bélgica)

Red Sindical Internacional de Solidaridad y de Lucha

Union syndicale Solidaires (Francia)

Fédération SUD Education (Francia)

Union syndicale Solidaires 66 (Francia)

Comités syndicalistes révolutionnaires (Francia)

Attac-France, Francia

Comité de redacción de la revista EcoRev’ (Francia)

Club Communal de Tarnac (Francia)

Asociación “Terre et Liberté pour Arauco, Wallmapu” (Francia)

Collectif Guatemala (París, Francia)

Radio Zinzine (Aix-en-Provence, Francia)

Asociación “La Ligne d’Horizon – Les amis de François Partant” (Francia)

Colectivo “Questions de classe(s)”- Revista N’Autre école (Francia)

Jeunes Ecologistes (Francia)

Compañía de teatro Jolie Môme (Saint-Denis, Francia)

Compañía de teatro del Timon (París, Francia)

Compañía de teatro Izidoria (Lyon, Francia)

Compañía de teatro La Bad’j (Saint-Denis, Francia)

Compañía de danza Djab (Marseille, Francia)

Compañía Tatcha (Nantes, Francia)

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Come trasformare senza violenza

Gustavo Esteva

La Quarta Trasformazione (dopo l’indipendenza, la riforma di Benito Juarez e la rivoluzione di Zapata e Villa) annunciata dal nuovo presidente del Messico, come tutto lasciava prevedere, sta diventando una minaccia, soprattutto per i popoli indigeni. Come disse il generale Cárdenas, che AMLO tanto ammira, non si tratta di indigenizzare il Messico, ma di messicanizzare gli indigeni. Lo sviluppo del Sud-Est, comincerà col cementificare i villaggi. Poi avanzeranno le Grandi Opere: il cosiddetto Treno Maya, da Cancun a Palenque, che dovrebbe consegnare i territori al business del turismo, e il mega-progetto infrastrutturale di un corridoio stradale e ferroviario fra il Pacifico e l’Atlantico. Tutto all’insegna di quel discorso sviluppista che tanto ha segnato le recenti disastrose esperienze dei governi progressisti del Sud America nel loro connubio con gli interessi del capitale. La resistenza de los de abajo, quella fondata sulla dignità, non si adatta ai facili entusiasmi dei venti che soffiano in alto, però ai governi non chiede nulla. Sa bene che non c’è compromesso possibile con un regime la cui febbre auto-distruttiva devasta tutto al suo passaggio. Nel suo piccolo, e senza rispondere alla violenza con la violenza, costruisce ogni giorno la speranza, la stessa che si alimenta in Chiapas dal primo gennaio di 25 anni fa, e che oggi è più viva che mai.

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di Gustavo Esteva – 12 gennaio 2019

Per il governatore Murat, di indubbia estrazione Priista, il presidente López Obrador farà per Oaxaca più di quello che è stato fatto negli ultimi cent’anni (Noticias, 20/12/18). Murat annuncia che finalmente la Rivoluzione renderà giustizia alla povera Oaxaca, che riceverà quello che le manca della Terza Trasformazione e si vedrà arrivare addosso la Quarta, quando si realizzerà nell’Istmo di Tehuantepec il vecchio sogno di Porfirio Díaz (ndt – il mega-progetto infrastrutturale di un corridoio stradale e ferroviario fra il Pacifico e l’Atlantico].

López Obrador (AMLO) ha criticato i fischi a Murat. “Esigo rispetto per le autorità – ha dichiarato. Ora basta con le dispute! La campagna elettorale è finita; è tempo di riconciliazione” (Noticias, 24/12/18). Il Corridoio Multimodale Inter-oceanico va fatto perché va fatto, ha sottolineato il mandatario, anche se non si farà nulla senza consultare le comunità (La Jornada, 24/12/18). Come si risolverà la questione? Molti hanno già detto che non va fatto…

Gli annunci del Presidente sono stati molto festeggiati. Per quanto riguarda i popoli indigeni, tutte le persone con più di 65 anni avranno un raddoppiamento della pensione, e tutti i giovani riceveranno sussidi come apprendisti o come studenti. Si raggiungeranno così gli obiettivi del disegno della Banca Mondiale: disgregare la comunitarietà promuovendo l’individualismo, educare al consumo ampliando il mercato interno.

Anche i produttori e gli imprenditori sono contenti: ci sarà un buon prezzo garantito per il mais e per i fagioli. Si intensificherà in tal modo il turismo degli alimenti, con l’esportazione di quello che si produce ad Oaxaca e l’importazione da Sinaloa e Sonora di quello che mangiano gli abitanti di Oaxaca. La duplice operazione è nell’elenco dei progetti per il porto rinnovato di Salina Cruz: esportare zucchero, polietilene e marmo e importare sale, grano e minerali per i cementifici locali (La Jornada, 24/12/18).

Come disse a suo tempo il generale Cárdenas, che AMLO tanto ammira, non si tratta di indigenizzare il Messico, ma di messicanizzare gli indigeni. Lo sviluppo del Sud-Est, che potrà finalmente “disindigenizzare” gli indigeni, comincerà col cementificare i villaggi: sono stati erogati finanziamenti per 50 dei 188 capoluoghi dello Stato di Oaxaca che costruiranno le loro strade con cemento idraulico. E ancora più cemento verrà utilizzato per la tangenziale di Matías Romero e per strade e autostrade.

Gli intellettuali organici del nuovo regime celebrano continuamente il trionfo della lotta che hanno iniziato da adolescenti. Nel 2018 si sarebbe compiuto il primo passo di una trasformazione attesa da molto tempo. Dicono di aver sempre lottato per la scomparsa del sistema dominante, che sarà realizzata dalla Quarta Trasformazione, ma non vogliono che quest’ultima venga definita o qualificata dogmaticamente, con ideologie obsolete. Secondo loro, il profondo Sud non rifiuta il capitalismo; quello che vuole è aprirsi al capitalismo del Nord, dove gli inferni sociali sono compensati dal fatto che c’è lavoro e dall’illusione di un futuro migliore. Sono consapevoli dei rischi del Treno Maya [ndt – linea ferroviaria di interesse turistico e commerciale, da Cancun a Palenque], ma ritengono che saranno sufficienti alcuni controlli perché ne usufruiscano piccole imprese di turismo alternativo e l’ambiente venga rispettato.

Nella loro canzone, i gilet gialli dicono che c’è stato un tempo in cui hanno creduto come idioti nella promessa che nel regime dominante ci potessero essere giustizia, uguaglianza e fraternità. Ma si sono risvegliati; non accettano più il capitalismo, il patriarcato o il sistema rappresentativo.

Quella promessa non aveva la stessa risonanza fra noi. Abbiamo sempre diffidato di ciò che chiamavano democrazia, delle sue procedure e dei suoi risultati. Le disastrose esperienze dei governi progressisti del Sud America, che hanno utilizzato il medesimo discorso sviluppista della Quarta Trasformazione per giustificare il loro connubio con il capitale, hanno rafforzato il nostro antico rifiuto di tutte le forme di patriarcato capitalista.

La lotta dei popoli, quella che si combatte dal basso, che è fondata sulla dignità, sa bene che non c’è compromesso possibile con un regime la cui febbre auto-distruttiva distrugge tutto al suo passaggio. Lo sottolineano tanti giovani che difendono vita e territorio a partire dalla comunità, come quelli di Ixhuatán, nell’Istmo, che hanno seminato pace affidando alla terra come semi i corpi dei loro compagni assassinati il 16 dicembre [ndt – Luis Donaldo Fuentes Martínez y Jesús Cruz Ruiz; si veda il Comunicato del Consiglio Nazionale Indigeno a 9 giorni dalla sepoltura]. Non chiedono nulla ai governi. Sanno di essere in mezzo all’immensa violenza che anticipa grandi sviluppi. Sono decisi a proseguire il loro cammino, nonostante il dolore e le lacrime.

Nel loro piccolo, senza pretese, facendo quello di cui c’è bisogno, resistendo sempre, senza adattarsi ai venti che soffiano in alto (anche se arrivano vestiti di seta), senza trasformare in nemici quelli che a volte sono stati compagni di lotta, quelli che stanno in basso rimangono in piedi. Hanno saputo dell’Incontro delle Reti di Resistenza e Ribellione, che si è tenuto nei giorni scorsi. Dovunque fossero, hanno celebrato il 25° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio, la cui commemorazione è iniziata nei territori zapatisti. Insieme ai popoli [indigeni] e alle comunità, continueranno ad alimentare la speranza che è nata il primo gennaio 1994 e che oggi è più viva che mai. https://comune-info.net/2019/01/come-trasformare-senza-violenza/

Fonte: “Cómo transformar sin violencia”, La Jornada, 31/12/2018.

Traduzione a cura di Camminar domandando

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Non siete soli!

¡NO ESTÁN SOLOS!

Comunicado a los 25 años del levantamiento zapatista

12 de enero de 2019

Hace 25 años, en la fría madrugada del primero de enero de 1994, una voz resonó en las montañas del sureste de México; al grito de ¡Ya Basta!, hombres, mujeres, niños y niñas declararon ser producto de 500 años de lucha y estar dispuestos a enfrentarse a una guerra genocida no declarada en contra de sus pueblos desde hacía muchos años; reclamaban trabajo, tierra, techo, alimentación, salud, educación, independencia, libertad, democracia, justicia y paz y poco después añadieron información y cultura.

La voz de los que hasta entonces no tenían rostro, no tenían voz, de los que convivían con la muerte, “tan cotidiana, tan nuestra que acabamos por dejar de tenerle miedo”, la de los muertos, “tan mortalmente muertos de muerte “natural”, es decir, de sarampión, tosferina, dengue, cólera, tifoidea, mononucleosis, tétanos, pulmonía, paludismo y otras lindezas gastrointestinales y pulmonares”, saltó fronteras y geografías y se oyó en pueblos y ciudades de todo el Planeta Tierra.

Fuimos muchas, muchos los que miramos con asombro a aquellos que, para que los viéramos, tuvieron que taparse la cara y nos descubrían que la palabra dignidad era mucho más que una definición en el diccionario. Durante estos 25 años, hemos intentado acompañarles y darles nuestro apoyo; hemos visto como han crecido, como los que eran niños y niñas en los días del 94, se fueron convirtiendo en adultos y como quienes entonces aún no habían nacido, son ya jóvenes y jóvenas con cargos en sus comunidades, responsables de salud, de educación, de agroecología… Hemos visto como han trabajado luchado para sacar adelante su autonomía, sus Municipios Autónomos, sus Juntas de Buen Gobierno; cómo han trabajado sus tierras recuperadas, cómo han construido clínicas y escuelas; cómo se han capacitado para mejorar la producción, para construir cooperativas  y cómo han emprendido un camino en el que gobernar es un servicio que todas y todos pueden y deben ejercer en un territorio donde el pueblo manda y el gobierno obedece.

Pero también hemos visto como de difícil ha sido ese camino; cómo han sido permanentemente atacados por paramilitares, por el ejército y por los diferentes gobiernos que, en estos años, han intentado desprestigiarlos, acallarlos e ignorarlos, al ver que no podían acabar con ellos. No podemos olvidar todo el dolor, el sufrimiento y los muertos que los malos gobiernos han provocado. Desde los asesinatos de Severiano y Hermelindo Santiz López y Sebastián Santiz Gómez, a manos del ejército mexicano el  7 de enero de 1994 en el Ejido Morelia, Altamirano, Chiapas, a la muerte del Maestro Galeano, el 2 de mayo de 2014, a manos de integrantes de la CIOAC-Histórica en La Realidad, Chiapas, pasando por Gilberto Jiménez Hernández, ejecutado a sangre fría por un soldado del ejército, perteneciente a la Fuerza de Tarea “ARCOIRIS”, en 1995 cerca de la comunidad de La Grandeza, en la Cañada de Patihuitz o José Tila, asesinado en 1998 por paramilitares de Paz y Justicia cuando regresaba a de  prestar testimonio ante la CIODH, en la zona chol del estado. Son solo seis nombres de una larga lista; y no, nosotros, nosotras, no olvidamos, no perdonamos.

Por todo eso, en estos días de enero de 2019, queremos afirmar que seguimos escuchando en nuestros corazones la palabra de los hombres, mujeres, niños y niñas bases de apoyo, de las autoridades autónomas zapatistas, de los milicianos, milicianas, insurgentes, insurgentas, mandos y Comité Clandestino Revolucionario Indígena del Ejército Zapatista de Liberación Nacional, y les decimos, desde nuestros tiempos y nuestras geografías

¡NO ESTÁN SOLOS!

Por un mundo dónde quepan muchos mundos.
Planeta Tierra a 12 de enero de 2019

Adherentes a la Sexta Barcelona, Barcelona, Estado Español
Asamblea de Solidaridad con México, Valencia, Estado Español
Asociación Espoir Chiapas, Francia
Asociación Interpueblos, Cantabria, Estado Español
ASSI (Acción Social Sindical Internacionalista), Zaragoza, Estado Español
Associació Solidaria Cafè Rebeldía-Infoespai, Barcelona, Catalunya, Estado Español
Associazione Ya Basta! Milano, Milán, Italia
Caracol Zaragoza – Red de personas por la Autonomía Zapatista, Zaragoza, Aragón, Estado Español
Centro de Documentación sobre el Zapatismo – CEDOZ-, Madrid, Estado Español
Colectivo de Solidaridad con Chiapas “Tierra y Territorio Madrid”, Madrid, Estado Español
Colectivo Mutvitz, Gard Vaucluse, Francia
Collectif Chiapas Ariège, Ariège, Francia
Comitato Chiapas “Maribel”, Bergamo, Italia
Comite de Solidaridad con los Pueblos, Cantabria, Estado Español
Comité de solidarité avec les Peuples du Chiapas en Lutte (CSPCL), París, Francia
Confederación General del Trabajo (CGT), Estado Español
Espiral de Solidaridad-Semilla de Resistencia, Grecia
Grupo Cafez, Lieja, Bélgica
Gruppe B.A.S.T.A., Münster, Alemania
London Mexico Solidarity, Londres, Inglaterra
Lumaltik Herriak, País Vasco, Estado Español
Mut Vitz 13, Marseille, Francia
Red YA-BASTA-Netz, Alemania
Red de Solidaridad con Chiapas, Buenos Aires, Argentina
TxiapasEKIN!, País Vasco, Estado Español
Y Retiemble, Col. de apoyo al EZLN y al CNI, Madrid, Estado Español
20zln, Italia
Amparo Sánchez (Amparanoia), música, Barcelona, Estado Español
Carlos Taibo, profesor, Madrid, Estado Español
Jaime Pastor. Editor de la revista Viento Sur, Madrid, Estado Español
Marcos Roitman Rosenmann, profesor de Sociología de la Universidad Complutense, Madrid, Estado Español
Raúl Zibechi, escritor y periodista, Uruguay
Americasol, Francia
Anticapitalistas, Estado Español
Asamblea de Mujeres de Cantabria, Cantabria, Estado Español
Asociación Cultural Brasileña Maloka, Madrid, Estado Español
Associazione Jambo, Commercio Equo, Fidenza, Italia
BIZILUR, Asociación para la Cooperación y el Desarrollo de los Pueblos, Bilbao, País Vasco
Casa Nicaragua, Lieja, Bélgica
Casapueblos – Asociación Civil, Madrid, Estado Español
Centro Social Seco, Madrid, Estado Español
CNT Santander, Cantabria, Estado Español
Colectiva Pensaré Cartoneras, Valencia, Estado Español
Colectivo Me Planto (agroecología autogestionada), Perales de Tajuña, Madrid, Estado Español
Colectivo Agroecologica MePlanto, Madrid, Estado Español
Colectivo Afinidades Anticapitalistas, Estado Español
Colectivo de Contrainformación Briega, Cantabria, Estado Español
Colectivo Granos de arena (Grains de sable), Francia-México
Colectivo Turas (autodefensa feminista), Madrid, Estado Español
Colectivo Anticapitalista de Burgos, Burgos, Estado Español
Colectivo Puente a la esperanza, Ciudad de México, México
Collectivo El Cambuche, Toulouse, Francia
Comando Cucaracha Colectividad Sonora, Zaragoza, Aragón, Estado Español
Comité de solidarité avec les Indiens des Amériques (CSIA-Nitassinan), Francia
Comité de l’Ariège du NPA (Nouveau Parti Anticapitaliste), Francia
Confédération Nationale du Travail (CNT-f), Francia
Corsica Internaziunalista, Corcega
Ecologistas en acción, Estado Español
Fraguas Revive, pueblo okupado en la Alcarria de Guadalajara, Guadalajara, Estado Español
Groupe de soutien à Leonard Peltier – France (LPSG – France), Francia
Lxs verdes de Perales, Perales de Tajuña, Madrid, Estado Español
Plaza de los Pueblos 15M, Madrid, Estado Español
Red Cántabra contra la Trata de Personas y la Explotación Sexual, Cantabria, Estado Español
Rojos y anarquistas skinheads sección Guadalajara, México
SODePAZ Balamil, Valladolid, Estado Español
Union syndicale Solidaires, Francia
Adrián Esteban Merino, Aranda de Duero, Estado Español
Alba María Ajo Asensio, Madrid, Estado Español
Alberto Colin Huizar, Xalapa, Veracruz, México
Aline Pailler, Ariège, Francia
Ana Fernández Cubero, Perales de Tajuña, Madrid, Estado Español
Andrea Benites-Dumont, Madrid, Estado Español
Andrés Pérez Castilla, Estado Español
Andrés Serrano Velasco, Murcia, Estado Español
Andrés López Menéndez, Majadahonda, Madrid, Estado Español
Ángel Poyato Bodega, Amayuelas de Abajo, Palencia, Estado Español
Ángel Martínez, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
Ángel del Río Sánchez, Profesor de Antropología Social de la Universidad Pablo de Olavide, Sevilla, Andalucía, Estado Español
Ángeles de Paz, Valladolid, Estado Español
Anne-Marie Lamiable, Ariège, Francia
Anne Fernández, Francia
Annette Fontana
Antea Izquierdo, concejala del ayuntamiento de Burgos y militante feminista, Burgos, Estado Español
Antonino Puente Ranz, Santander, Cantabria, Estado Español
Antonio Flores González, Querétaro, México
Beatriz López Roldán, Chinchón, Madrid, Estado Español
Beatriz De Coro Sousa, Madrid, Estado Español
Belén Pérez Castilla, Estado Español
Bernard Riguet, Francia
Bernard Potet, Marsella, Francia
Berta Iglesias Varela, Madrid, Estado Español
Betty Oskanian, Francia
Bruno Baronnet, Xalapa, Veracruz, México
Bruno Le Dantec, periodista y escritor, Marsella, Francia
Carina García Sanagustin, Barcelona, Catalunya, Estado Español
Carlos Soledad, Valencia, Estado Español
Carlos Samuel Camacho Ortiz, Cuautitlán, Estado de México
Carmen Alejandre Las Heras, Madrid, Estado Español
Carmen Palomar, Madrid, Estado Español
Catherine Delobel Pascal, Montpellier, Francia
Celia Alcubilla Hernando, Madrid, Estado Español
Cesar Gómez Bezanilla, Estado Español
Clara Redal Montané, Madrid, Estado Español
Cristèle Gomez, Cuges Les Pins, Francia
Cristina Grau Sanz, Barcelona, Estado Español
Cristina de Castro López, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
Cristina de Lera López, Madrid, Estado Español
Daniel Gómez Martínez, Cantabria, Estado Español
Daniel Vidal, Nimes, Francia
Danielle Rocca, Marsella, Francia
David Hernando, Madrid, Estado Español
David García González, Leioa, Bizkaia, Euskal Herria
Didier Bourrut, Ariège, Francia
Diego Enrique Osorno, Sonora, México
Domnine Vonau, Marsella, Francia
Eladio Pérez Álvarez, Estado Español
Emma Diez de la Fuente, Cantabria, Estado Español
Enrique García González, Cantabria, Estado Español
Enrique Maraver, Puebla, México
Eric Alliez, profesor de filosofía, Kingston University, Londres, Gran Bretaña
Etienne Savoye, Maseille, Francia
Eugenia Méndez Condado, Madrid, Estado Español
Felipe Ortega, Ciudad de México, México
Fernando García Hernando, La Aguilera, Burgos, Estado Español
Franco Iacomella, Argentina
Gorka Ramos Hervella, Barcelona, Estado Español
Guillermo Villaseñor García, Chiapas, México
Héctor Zetina, Cuernavaca, Morelos, México
Isabel Rónai Medina, Perales de Tajuña, Estado Español
Javier Pérez, Granada, Estado Español
Jean François Pelcot, Marsella, Francia
Jean-François Sibue, Marsella, Francia
Jesús León Pérez, Madrid, Estado Español
Jordi Carmona Hurtado, profesor de filosofía, Universidade Federal de Campina Grande, Campina Grande, Brasil
Jorge Alfonso Espinosa García, Jiquilpan, Michoacán, México
Jose María Rojas Ruiz, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
José V. Idoiaga Arrospide (“Petxo”), Catedrático de Comunicación Audiovisual y Publicidad,  Universidad del País Vasco, Gernika, Bizkaia, Estado Español
José-Miguel Lorenzo Arribas, Madrid, Estado Español
Josu Egireun, Redacción Revista Viento Sur, Euskal Herria, Estado Español
JPaul Villion, Hyeres, Francia
Juan Carlos Vázquez Gómez, Robledillo de la Vera, Extremadura, Estado Español
Juan Wahren, investigador y docente, Universidad de Buenos Aires, Argentina, Buenos Aires, Argentina
Juan Felipe Ortega Canal
Juan Herrera, Cantabria, Estado Español
Julia Yagüe Manzano, Madrid, Estado Español
Julia Blanco Ramo, Madrid, Estado Español
Julia Cristina Mena Violante, Salamanca, Gto, México
Lars Lichtermann, Berlín, Alemania
Laura Núñez Díaz, Madrid, Estado Español
Laura Uriarte Sánchez, La Palma, Canarias, Estado Español
Lola Sepúlveda Irala, Madrid, Estado Español
Luis Rica Saiz, Burgos, Estado Español
Luis González Reyes, miembro de Ecologistas en Acción, Madrid, Estado Español
M. Luisa Haro Álvarez, Aranda de Duero, Estado Español
Magdalena Gallego Fabregat, Ariège, Francia
Maider Agirre Alberdi, Donostia,, Euskal Herria
Malena Becerra Solá, Argentina
Manuel Nicola Fuertig, Luckau, Alemania
Manuela Santos
Marc Bosson, Ariège, Francia
Marc Thouvenot, Sainte Anastasie, Fancia
Marcos López Vargas, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
María Luisa R.H., Madrid, Estado Español
María Amalia Gracia, profesora de El Colegio de la Frontera Sur, Unidad Chetumal, Chetumal, Quintana Roo, México
María Teresa Arroyo Araúzo, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
María Lourdes Fuente Torre, Madrid, Estado Español
María Asunción Ayuso González, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
Marisol Payá Cerdá, Santander, Estado Español
Marta Plaza, Madrid, Estado Español
Mélanie Ibrahim, Maseille, Francia
Mikel de la Fuente, del comité de redacción de la revista Viento Sur y profesor jubilado de Derecho del Trabajo de la Universidad del País Vasco/Euskal Herriko Unibertsiatea., País Vasco
Monique Amade, Ariège, Francia
Nelly Barea Fernández, Cantabria, Estado Español
Nicolàs Falcoff, grupo musical “La insurgencia del caracol”, Argentina
Nicole Streff, Aubagne, Francia
Nieves Botella Cañamares, Madrid, Estado Español
Nuria Escribà González, Madrid, Estado Español
Olga Clavería Iranzo, Segovia, Estado Español
Olga Parrondo Ruiz, Madrid, Estado Español
Pablo Absalón García Pérez, Madrid, Estado Español
Patricia Blasco Martín-Borregón, Madrid, Estado Español
Patricia Manrique, Cantabria, Estado Español
Pedro José Moral Moral, Madrid, Estado Español
Pierre Delobel, Montpellier, Francia
Pilar Gonzalo Arranz, Madrid, Estado Español
Pilar Redal Montané, Madrid, Estado Español
Rafael Montes Barrio, Estado Español
Raquel Andrés Sebastián, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
Roland Mélo, Lambesc, Marsella, Francia
Roland Mirouze, Ariège, Francia
Rosa Alcubilla, Aranda de Duero, Burgos, Estado Español
Rosa Lehmann, Freiburg, Alemania
Rosalía Castilla del Cura, Estado Español
Rosario Tomé
Rubén Carretero Antón, Estado Español
Rut Moyano Lon, Valencia, Estado Español
Samuel Sánchez de Movellán Ruiz, Cantabria, Estado Español
Sara Bergasa
Sergio Pawlowsky, Adahuesca, Estado Español
Stéphane Douailler, Professeur émérite de Philosophie Université Paris 8, Paris, Francia
Tanja, activista feminista, participante en el Primer Encuentro de Mujeres que luchan, Berlín, Alemania
Teresa González de Chávez Fdez., Tenerife, Canarias, Estado Español
Violette Doré, Nîmes, Francia
Virginia Pérez Castilla, Estado Español
Walter Cusin, Marsella, Francia

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EZLN: 25 anni di lotta anticapitalista

Gilberto López Y Rivas

Il 25° anniversario della ribellione zapatista del primo gennaio 1994 è stato contraddistinto da una singolare dimostrazione della volontà di lotta anticapitalista che ha caratterizzato l’EZLN in questi anni. Cinquemila miliziani e miliziane in disciplinata formazione hanno ascoltato con entusiasmo il discorso del portavoce dell’organizzazione politico militare, il subcomandante insurgente Moisés, in cui ha ribadito con acredine la sua opposizione al governo attuale che ha scatenato una virulenta campagna di calunnie, diffamazioni e perfino minacce di usare la forza paramilitare contro i maya zapatisti.

Bisogna dire che le campagne antizapatiste risalgono ai primi giorni della sollevazione e si riaccendono periodicamente in determinati contesti politici e secondo la necessità dei gruppi di potere. Ricordiamo le diatribe di Octavio Paz che criticava l’inopportunità della ribellione e i danni che questa avrebbe causato al paese; o gli scritti di Héctor Aguilar Camín e del suo gruppo, rappresentanti della destra illuminata nella loro reazione conservatrice verso l’opzione armata neozapatista. Arturo Warman, da parte sua, come ideologo salinista, negava il carattere nazionale degli indigeni ribelli e, di conseguenza, la paternità del movimento, ricorrendo alla tesi di individui strumentalizzati da altri attori: “Non mi sembra un movimento dei poveri bensì la manipolazione della povertà, dell’isolamento (…) non è un movimento indigeno, è un progetto politico-militare inerito tra gli indios ma senza rappresentarli (…) Non dobbiamo confonderci: non è la voce degli indios, semplicemente alcuni di loro sono presenti come in tutte le espressioni della vita nazionale.” (Chiapas hoy. La Jornada, 16/01/94.)

Allo stesso modo, Mario Vargas Llosa, con l’aiuto di amanuensi con informazioni dei servizi di polizia messicani, contribuiscono alla creazione del mito dei popoli indigeni come dozzinali cavie che seguono le messe in scena del meticcio del gruppo ribelle. La congettura sull’esteriorità dell’insurrezione e del carattere sempiterno dell’indigeno come soggetto manipolato, è stata utilizzata dall’Esercito e dai servizi di intelligenza messicani e dagli analisti dei mezzi di comunicazione di massa per negare il protagonismo indigeno all’origine e sviluppo di movimento zapatista.

Così si stabilisce l’interpretazione razzista di personificare nell’allora subcomandante insurgente Marcos, ora Galeano, quello che in realtà è stato ed è il risultato organizzativo e politico di un complesso ed inedito movimento indigeno sorto dalle viscere della Selva Lacandona. Il pensiero ripetuto fino allo sfinimento da tutto l’arco dell’antizapatismo non ammette che l’EZLN sia formato nella sua quasi totalità da indigeni delle diverse etnie di origine maya, e ritiene che ogni iniziativa, dichiarazione o programma provenga da Marcos-Galeano, contro il quale si scagliano aggressioni e improperi che coprono tutto lo spettro politico e la psicopatologia sociale.

Sebbene esista una storia di diffamazioni e di ogni tipo di eccessi verbali contro lo zapatismo in questi 25 anni, ora ampliati massicciamente dalle reti sociali e lo spazio cibernetico, non sarebbe azzardato pensare alla partecipazione attiva di attori statali in questa insolita escalation antizapatista che il presidente Andrés Manuel López Obrador sembra non controllare, ma tollerare. In queste due settimane non si sono sentite dichiarazioni circa la guerra mediatica che ha incluso l’intrusione opportunista ed irresponsabile di un medico che ha minacciato di utilizzare forze paramilitari in 28 stati che, secondo lui, starebbero sotto il suo comando, in difesa di AMLO e contro l’EZLN.

Così, l’inusuale parata miliziana e l’arringa per il 25° anniversario costituiscono un energico appello dell’EZLN a vigilare sul rischio per la vita, i territori e gli autogoverni che i progetti di sviluppo e le politiche di militarizzazione del governo attuale concretate nella Guardia Nazionale rappresentano; esprimono l’indeclinabile impegno a resistere, come in questi 25 anni, al malgoverno. Il Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo ha dichiarato: “Avvertiamo i malgoverni che qualunque aggressione contro l’EZLN è anche contro il CNI-CIG, per questo rivolgiamo un appello alle reti di appoggio in tutto il paese ed alle reti di resistenza e ribellione in Messico e nel mondo a vigilare ed organizzarsi per agire in maniera congiunta e costruire un mondo nel quale possiamo vivere tutte e tutti.”

Molte sono le interpretazioni circa la solitudine dei ribelli zapatisti a cui allude il sub Moisés dopo anni di lotte controcorrente. Tuttavia, la solidarietà e l’appoggio a questi infaticabili ribelli tessitori di sogni è un fatto accertato perfino in ambito planetario. La consegna del gennaio 1994 “Non siete soli!” è più che mai attuale. https://www.jornada.com.mx/2019/01/11/opinion/020a1pol#

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@lhan55 Bertolucci nella Lacandona

Luis Hernández Navarro

Sono le 5:30 circa del pomeriggio del 31 dicembre scorso. Il pomeriggio è luminoso. Come se fosse la scena di un film epico di Bernardo Bertolucci, le truppe della 21^ divisione di fanteria zapatista si dispiegano come un enorme serpente che si attorciglia con marzialità nel caracol Madre de los caracoles, mar de nuestros sueños della Realtà, Chiapas.

All’avamposto del dispiegamento militare c’è un distaccamento motorizzato di donne zapatiste che, arrivando nella piazza centrale, si schiera ai quattro lati per delimitare il perimetro delle operazioni. Segue un gruppo di miliziane che circondano il quadrato, come fossero le sue guardiane. La testa del gigantesco ofide selvaggio è formata da comandanti a cavallo, tra loro il comandante Tacho ed il subcomandante Moisés. Li segue una colonna di oltre 4 mila combattenti in fila per due, in uniforme con pantaloni e berretto verde, camicia color caffè, passamontagna neri e paliacate rossi, ognuno di loro ha due bastoni di legno lunghi circa 75 centimetri che, battendo uno contro l’altro, segnano il passo della truppa in formazione. Non riescono ad entrare tutti quanti.

Questa stessa divisione – si spiega in un video di Enlace Zapatista (https://bit.ly/2LR6A9y ) – è quella che 25 anni fa prese le città di Altamirano, Oxchuc, Huixtán, Chanal, Ocosingo, Las Margaritas e San Cristóbal. È rafforzata con combattenti della seconda e terza generazione, zapatisti che erano neonati nel 1994 o non erano nati, e che sono cresciuti nella resistenza e ribellione.

La celebrazione del 25° anniversario dell’insurrezione armata dell’EZLN non è la messa in scena di un movimento sociale. È la dimostrazione di potenza di una forza politico-militare dotata di ordine, disciplina, coesione, destrezza, capacità logistica, base sociale, comando e controllo del territorio.

Se nelle loro apparizioni pubbliche degli ultimi anni gli zapatisti hanno privilegiato di mostrare la loro faccia civile e popolare, attraverso seminari e incontri, festival di arte, escuelitas e mostre cinematografiche, questo 31 dicembre hanno messo sul tavolo la loro faccia militare. Che non implica prendere un arma, ma resistere. Il messaggio simbolico del loro dispiegamento non poteva essere più esplicito.

La celebrazione si conclude con un’energica arringa del subcomandante Moisés rivolta alle strutture militari zapatiste, alle sue autorità civili e le sue basi di appoggio. Dice loro: siamo soli, come se non ci avessero visto, non ci avessero sentito. Ci vogliono mentire, ci vogliono ingannare. È uno scherzo, un’umiliazione. Sono contro di noi, l’EZLN. Non abbiamo paura del governo. Qui il malgoverno non comanda, comandano le donne e gli uomini.

Come si sa (anche se spesso si vuole dimenticare e si preferisce parlare del subcomandante Galeano), Moisés è il portavoce dell’EZLN. Indigeno tzeltal, bracciante agricolo nelle infernali fincas del Chiapas, compagno del subcomandante Pedro col grado di maggiore nella presa di Las Margaritas e del subcomandante Marcos, oggi è lui a parlare a nome dello zapatismo e dei suoi popoli. Non è una figura decorativa. È il portavoce dell’insurgencia. Le sue parole sono la sintesi di una vita di sofferenza e lotta, e degli aneliti emancipatori dei popoli originari.

Spiegamento militare e parole si devono valutare insieme. Benché ci sia un’intricata storia di scontri tra l’obradorismo e lo zapatismo, la durezza delle denunce dei ribelli e la loro mobilitazione di fine di anno sembra rispondere a due fatti principali. La minaccia di un’offensiva contro di loro da parte del nuovo governo e differenze programmatiche di fondo.

Non è paranoia. Alcuni portavoce della Quarta Trasformazione (4T) hanno proclamato informalmente ai quattro venti che l’EZLN è stato sconfitto, mentre promotori della nuova Guardia Nazionale minacciano di intraprendere azioni di contenimento contro i ribelli.

Lo zapatismo (e una moltitudine di comunità indigene e gruppi per i diritti umani) presenta differenze sostanziali dall’obradorismo. Oppresso dalla militarizzazione del Chiapas per più di un quarto di secolo, l’EZLN rifiuta la Guardia Nazionale e la considera un passo avanti nella militarizzazione del paese. Con una lunga lista di militanti assassinati, si oppone al punto finale che lascia impuniti i crimini del passato. Minacciato da chi vuole spogliarlo dei suoi territori, vede nel Tren Maya e nei progetti di rimboschimento l’avanguardia per distruggerli. Impegnato nella ricostituzione dei popoli originari, trova che le cerimonie new age del nuovo governo siano un inganno. Deciso a rendere reale un altro mondo, nella pretesa della 4T di governare contemporaneamente per sfruttati e sfruttatori, vede non solo l’eco delle parole del repressore Absalón Castellanos Domínguez, ma una pazzia. Ostinato a lottare contro il capitalismo, crede che il governo di Andrés Manuel López Obrador sia la sua continuità.

Non bisogna farsi confondere. L’apparizione di Bertolucci nella Lacandona anticipa che, contrariamente a quanto creda qualcuno, niente di definitivo è scritto nel sudest.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2019/01/08/opinion/017a1pol

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Comunicato del Congresso Nazionale Indigeno e del Consiglio Indigeno di Governo per il 25° Anniversario dell’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

All’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Alle Reti di Appoggio al CIG

Alle Reti di Resistenza e Ribellione

Al popolo del Messico

Ai popoli del mondo

Ai mezzi di comunicazione

Noi, popoli, nazioni e tribù che formiamo il Congresso Nazionale Indigeno ed il Consiglio Indigeno di Governo, salutiamo con orgoglio il 25° anniversario dell’insurrezione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, quando il 1° gennaio 1994 la nostra parola smise di elemosinare giustizia per il riconoscimento dei diritti che da quel giorno abbiamo cominciato ad esercitare, non solo in Chiapas, ma in tutti i territori indigeni del nostro paese.

Quel giorno si è cominciato a scrivere un nuovo capitolo della nostra vita. A testa alta abbiamo ripercorso i passi dei nostri antenati e seminato quelli delle generazioni future, con la convinzione di continuare ad essere popoli, nazioni e tribù.

Con la guerra scatenata contro di noi, ci siamo rispecchiati nel percorso delle comunità indigene zapatiste, consci che da fuori arrivano solo minacce contro di noi e che tutto è in nome della ricchezza per pochi. A noi offrono di emigrare e lasciare i nostri territori, ci riservano il lutto per i nostri morti a causa della violenza, dell’inquinamento, della persecuzione e prigione, ci offrono la paura e la rassegnazione.

I popoli che siamo il CNI sappiamo come agiscono i malgoverni in nome di chi ha di più e vuole tutto. Abbiamo affrontato la formazione di gruppi di scontro, i paramilitari ed ora i narcos paramilitari che il malgoverno maschera da divisioni interne, per mostrare che alcuni vogliono ed altri invece non vogliono consegnare la terra e le risorse naturali ai padroni del denaro. Conosciamo i modi in cui le istituzioni indigeniste del malgoverno ingannano la nostra gente per generare la divisione che costa le vite dei nostri compagni e compagne che optano per la dignità, la resistenza e la ribellione.

L’INPI e la sua cosiddetta nuova politica indigenista non è altro che l’intensificazione di questa offensiva contro la vita, con la quale vogliono indebolire la lotta per l’autonomia dei popoli originari che, con la loro lotta, frenano la devastazione imposta dall’alto. Noi, CNI ed i nostri compagni del Consiglio Indigeno di Governo non crediamo al galoppino del capitalismo che dice di governare il Messico, e non accetteremo nessuna falsa consultazione come quella con cui tentano di legittimare il furto dei territori indigeni e rurali, il nostro sterminio e l’acuirsi della guerra contro di noi. Non accetteremo la nostra morte anche se ci saranno migliaia o milioni di voti a favore.

Con noi camminano i passi profondi, reali ed irrinunciabili che i popoli originari hanno fatto seguendo il cammino dell’EZLN e delle comunità indigene zapatiste. Siamo mezzi di comunicazione, cooperative, guardie comunitarie; siamo scuole primarie, secondarie e licei; siamo lingue ed antiche cosmovisioni; siamo la scommessa su un futuro che chi è al potere non può nemmeno immaginare; siamo quelli che combatteremo in ogni luogo la distruzione che viene presentata come un beneficio “democratico”.

Con l’intensificazione della guerra capitalista intensificheremo anche la nostra resistenza e ribellione. Le miniere in concessione, i megaprogetti nell’istmo di Tehuantepec, l’immorale progetto del treno maya, la devastazione e privatizzazione per seminare piantagioni forestali industriali nella selva lacandona e l’alienazione territoriale al grande capitale che sono le Zone Economiche Speciali, cozzeranno contro il vero potere, quello di sotto. Quello che non si arrende, che non si vende e non cede, perché farlo vuol dire morire come popoli.

Salutiamo rispettosamente e mandiamo un abbraccio collettivo e fraterno al Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno – Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, alle migliaia di miliziani e miliziane ed alle comunità basi di appoggio. Avvertiamo i malgoverni che ogni aggressione contro di loro è anche contro il CNI-CIG, per cui rivolgiamo un appello alle reti di appoggio in tutto il paese ed alle reti di resistenza e ribellione in Messico e nel mondo a vigilare ed organizzarsi per agire in maniera congiunta e costruire un mondo nel quale possiamo vivere tutte e tutti.

Distintamente

Gennaio 2019

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più un Messico Senza di Noi

Commissione di Coordinamento e Seguimento del Congresso Nazionale Indigeno/Consiglio Indigeno di Governo

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/01/04/comunicado-del-congreso-nacional-indigena-y-el-concejo-indigena-de-gobierno-por-el-25-aniversario-del-levantamiento-armado-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional/

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PAROLE DEL CCRI-CG DELL’EZLN AI POPOLI ZAPATISTI NEL 25° ANNIVERSARIO DELL’INIZIO DELLA GUERRA CONTRO L’OBLIO.

Parole del Subcomandante Insurgente Moisés:

31 dicembre 2018

Compagni, compagne Basi di Appoggio Zapatiste:

Compagne e compagni Autorità Autonome Zapatiste:

Compagne e compagni Comitati e Responsabili regionali e locali:

Compagne e compagni miliziane e miliziani:

Compagne e compagni insurgentas e insurgentes:

Per mia bocca parla la voce dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Vi parlo come vostro portavoce, perché è mio compito essere la vostra voce ed i vostri occhi.

È arrivata la nostra ora, popoli zapatisti, e siamo soli.

Ve lo dico chiaro, compagne e compagni basi di appoggio, compagni e compagne miliziani e miliziane, ci siamo accorti che è così, siamo soli come venticinque anni fa.

Soli, siamo usciti a svegliare il popolo del Messico e del mondo ed oggi, venticinque anni dopo vediamo che siamo soli, ma tanto avevamo parlato, abbiamo fatto molti incontri, lo sapete bene compagne e compagni, voi ne siete testimoni, abbiamo dato la sveglia ed abbiamo parlato ai poveri del Messico, delle campagne e delle città.

Molti ci hanno ignorato, alcuni si stanno organizzando e speriamo che continuino ad organizzarsi, la maggioranza ci ha ignorato.

Ma il nostro lavoro l’abbiamo fatto e per questo vi stiamo parlando chiaro, compagni e compagne.

E non solo in questi venticinque anni, ma da oltre cinquecento anni, per questo siamo qui a parlarvi, a raccontarvi quello che abbiamo visto in venticinque anni, come se non ci avessero visto o sentito quello che stiamo dicendo ai poveri del Messico.

A venticinque anni dalla nostra sollevazione vediamo questo.

Ve lo ripetiamo, compagni e compagne, vediamo che siamo soli.

Quello che abbiamo ottenuto, è stato conquistato con il nostro lavoro e con le nostre forze.

Se abbiamo ottenuto qualcosa, è solo grazie al nostro lavoro e se abbiamo sbagliato, è solo colpa nostra. Ma è solo opera nostra, nessuno ce l’ha detto, nessuno ce l’ha insegnato, è opera nostra. Qualcuno avrebbe voluto insegnarcelo, dirci che cosa fare e cosa non fare, quando parlare e quando non parlare. Li abbiamo ignorati. Solo chi si organizza lo sa, lo vede, lo capisce. I discorsi sono solo chiacchiere; si deve fare ciò che si dice, si deve fare ciò che si pensa, non abbiamo manuali, non abbiamo libri. Quello che noi vogliamo costruire non ce lo insegna nessuno, deve essere fatto col nostro sacrificio, deve essere fatto con le nostre forze, compagni e compagne.

E stiamo dimostrando ancora una volta, e lo dobbiamo fare, che sì è possibile fare ciò che si crede impossibile. A parole è molto facile rendere possibile ciò che è impossibile, così si dice. Bisogna farlo nella pratica e noi lo stiamo dimostrando. Ciò che stiamo dimostrando è qui da vedere, davanti a noi; qui il popolo comanda, ha la propria politica, la propria ideologia, la propria cultura, crea, si migliora, si corregge, immagina e continua a fare pratica.

Questo è come siamo. Qui il malgoverno non comanda, comandano le donne e gli uomini che si sono organizzate e organizzati. Quelli che non si sono organizzati, continuano in quella disperazione che non è speranza.

Ci vogliono mentire, ci vogliono ingannare perché c’è qualcuno che crede a quella che chiamano la vergine scura. È un pazzo quello che dice questo, non sa pensare, non pensa al popolo. Noi, compagni, lavoriamo sulla nostra esperienza, col nostro lavoro e con le nostre forze e continuiamo a farlo. E continueremo a costruirlo e lo otterremo. Tutto quello che abbiamo costruito l’abbiamo fatto noi, alcuni fratelli e sorelle solidali ci hanno aiutati, ma tutto il peso è sulle nostre spalle, perché non è facile affrontare i partiti politici, i malgoverni ed oggi l’attuale furbastro imbroglione.

Qui non è facile affrontare da venticinque anni migliaia di soldati che proteggono il capitalismo, e sono qui, qui dove siamo ora, gli passiamo sotto il naso in questi giorni. Non è facile affrontare i paramilitari, non è facile affrontare i piccoli leader al soldo di tutti i partiti politici, in particolare quello che oggi è al potere ed il partito che è al potere. Ma non abbiamo paura di loro. Oppure sì, abbiamo paura di loro, compagne e compagni?

[risuona all’unisono un “No”] Non vi ho sentiti [si sente più forte “No”]

La gente di fuori va e viene, noi siamo qui e qui stiamo. Ogni volta che vengono, vengono a turisteggiare, ma non si può fare turismo nella miseria, la disuguaglianza, l’ingiustizia; il popolo povero del Messico sta morendo e continua a morire. Peccato che ascoltano quello che sta lì ad ingannare il popolo del Messico.

E non vi abbiamo mentito compagne e compagni, cinque anni fa avevamo detto al popolo del Messico e del mondo che sarebbe arrivato qualcosa di peggio. Nelle lingue che parlano quelli di fuori si chiama collasso, idra, mostro, muro, glielo abbiamo detto cercando di usare le parole delle loro lingue, ma anche così non ci hanno ascoltato. Credono quindi che stiamo mentendo loro, perché ascoltano quello di cui non voglio dire nemmeno il nome, meglio chiamarlo furbastro, imbroglione quello che sta nel potere.

Compagni, compagne, colui che sta al potere lo distrugge il popolo del Messico, ma soprattutto i popoli originari, è contro di noi, e specialmente noi dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. Perché? Perché gli diciamo chiaro che non abbiamo paura, oppure sì, compagni e compagne?

[risuona forte “No”]

Lo affronteremo, non permetteremo che passi da qui il suo progetto di distruzione, non abbiamo paura della sua guardia nazionale alla quale ha cambiato nome per non chiamarlo esercito, perché sono gli stessi, lo sappiamo.

Difenderemo quello che abbiamo costruito e che abbiamo dimostrato al popolo del Messico e del mondo che siamo noi a costruirlo, donne e uomini, non permetteremo che vengono a distruggerci. Oppure sì?

[risuona forte “No”]

Colui che è al potere è un imbroglione, e quale è il suo imbroglio? Che si comporta come se stesse col popolo del Messico e inganna i popoli originari mostrando che si può sventrare la terra chiedendole il permesso come se tutti i popoli originari ci credessero, ma noi gli diciamo il contrario, non gli crediamo.

Finge di adottare i nostri modi, i nostri costumi, chiede permesso alla nostra madre terra; dice: dammi il permesso madre terra di distruggere i popoli originari, è questo che dice, non capisce gli altri fratelli popoli originari. È questo che sta facendo questo signore, noi non gli crediamo. Solo perché la madre terra non parla, altrimenti gli direbbe ‘fottiti!’. Perché la terra non parla, ma se parlasse, ‘No, vai al diavolo!’

Noi conosciamo la madre terra, conviviamo con lei da più di cinquecentoventi anni, noi la conosciamo, non quelli che non conoscono né hanno mai sentito come è il sudore, credono di saperlo, come quei bavosi, bavose deputati e senatori, non sanno niente di cosa è la povertà, non sanno niente del sudore, noi sì. Dunque, non sanno fare leggi per la gente dei popoli originari, noi sì, perché conosciamo la sofferenza e sappiamo come vogliamo le leggi, loro no.

Guardate bene, compagni e compagne, quegli imbroglioni che stanno lì, nei tre poteri in Messico, il potere giudiziale, il potere esecutivo, il potere legislativo. Guardate cosa ci fanno, specialmente quelle, quelli del partito di maggioranza nel congresso dell’unione che ci porta lì ad essere deputati, deputate indigeni e poi ci troviamo seduti accanto a Ricardo Monreal, per esempio, come quando in passato un tojolabalero era seduto lì, accanto a Diego Fernández de Ceballos, che è proprietario di molte fattorie, e stava lì seduto accanto a lui un indigeno tojolabalero e questo indigeno tojolabalero è lì nel congresso dell’unione e dice che vogliamo che la terra occupata dai proprietari terrieri sia distribuita e lo dice mentre è seduto vicino a Diego Fernández de Ceballos; questo è quello che vogliono insegnarci, come guadagnare quella paga per andare in un ristorante, in un motel e lasciare il tuo villaggio, e così sono tutti i deputati, i senatori, i ministri, gli assessori e gli altri. È questo che vogliono, affinché noi stessi, tzeltal, tzotzil, chol, tojolabal e tutte le lingue che si parlano in Messico, noi stessi mentiamo ed inganniamo la nostra gente, è questo quello che ci insegnano, questo è il loro lavoro, perché così gli ha detto il loro padrone, perché loro non sono chi governa davvero, sono dei capoccia.

Ora vediamo che sono contro di noi, i popoli originari. Con la loro consultazione, dobbiamo dirlo chiaro, manipolano il popolo; con questa consultazione gli chiedono il permesso, attraverso il voto, di attaccare noi popoli originari. Questa è la consultazione, ma il popolo è necessario che si svegli ed oggi noi non possiamo più aspettare venticinque anni, siamo ormai stanchi. Come diciamo qui, gli entra nell’orecchio destro e gli esce dal sinistro, cioè, non gli resta in testa.

È questo che fa il nuovo governo, si sta consultando perché ci vengano ad aggredire, noi popoli originari e specialmente noi, l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, con quella sua porcheria del Treno Maya abusando ancora una volta del nome dei nostri antenati. Non lo accettiamo. Che gli mettano il loro nome, non ha niente a che vedere con noi, e visto che non ce l’ha chiesto, se vuole può mettergli il nome di sua madre.

Durante questi venticinque anni, compagni, compagne, basi di appoggio, donne e uomini, miliziane e miliziani, abbiamo visto anche nel mondo quelli che dicono di lottare, alcuni che dicono di essere progressisti, altri che si dicono di sinistra, altri che dicono di essere rivoluzionari ma che non hanno la minima idea della parola rivoluzionario, perché significa rivoluzione, trasformazione. Come diciamo qua, dobbiamo preparare i nostri ragazzi, le nostre ragazze, perché ci stiamo trasformando, un giorno ritorneremo e per questo dobbiamo far sì che i ragazzi e le ragazze siano preparati. Non hanno idea di quello che dicono, non lo sanno, e per fortuna dicono che hanno studiato, hanno diplomi e lauree ma non sanno cosa significa la parola rivoluzione. Ah ma, intelligentoni, alcuni ed alcune, dicono che noi siamo elettoralisti.

Non hanno la minima idea di come fare la rivoluzione. Pensano che stiamo mentendo, come loro mentono. Come abbiamo detto al popolo del Messico che avremmo dialogato, e poi così abbiamo fatto, se un giorno diremo che ci difenderemo, per quanto minimamente ci possano provocare, ci difenderemo. Non permetteremo a nessuno di venire qui a rifugiarsi in questo territorio ribelle e in resistenza e che voglia approfittarne per venire a nascondersi qui a fare le sue cazzate. Non lo permetteremo.

Noi, compagni, compagne, non abbiamo ingannato il popolo del Messico, ma dobbiamo anche dirvi che il popolo ancora si arrende, non sappiamo perché, questo ci causa tristezza e rabbia. A che serve dunque studiare, conoscere la storia se non riusciamo a vedere la nostra realtà di come viviamo, a che serve lo studio.

Noi abbiamo costruito tutto senza studio, ma l’abbiamo fatto coi fatti, lo stiamo dimostrando, l’abbiamo dimostrato e continuiamo a dimostrarlo, non sappiamo voi.

Guardate come è pazzo quello che sta al potere, dice: io governerò per i poveri e per i ricchi; solamente un matto che non ci sta con la testa può dirlo, perché la sua mente non funziona, è decerebrato, lo dice solamente perché noi semplicemente ci convinciamo che smettono di sfruttarci, magari un proprietario terriero come lo schifoso Absalón Castellanos Domínguez che ora finalmente è all’inferno; quel matto dice che governa per i ricchi e per i poveri, non sa quello che dice, né capisce quello che dice. E siamo sicuri che non lo capisce perché è dettato dal suo padrone, lo deve solo ripetere così, obbediente, lo ripete affinché cittadini e cittadini possano continuare a credergli.

È davvero molto semplice, non si può appoggiare chi è sfruttato e chi è sfruttatore, si deve scegliere uno dei due, o stai con lo sfruttatore o stai con lo sfruttato, ma con entrambi non si può. Noi la vediamo così e così lo intendiamo e così facciamo.

Che pena, dice che quello che sta facendo è la quarta [“quarta trasformazione“: il termine si riferisce alla visione di López Obrador del suo futuro governo – N.d.T.], non c’è niente di quarta, perché quelli di questa quarta che viene dalla terza l’hanno fatta coi fatti, l’hanno affrontata, non come lui che dice, per esempio, che perdona tutti i criminali, perdono, dice. Come capiscono anche i più piccoli, questo vuol dire che il malgoverno attuale non farà niente agli assassini del compagno Galeano. È questo che ci sta dicendo. Vuol dire che così sarà pure per gli altri assassinati, quindi chi sta al potere è inutile.

Molte altre cose che dice non sono verità. Quindi, abbiamo paura di questo malgoverno, compagni, compagne?

[risuona un forte “No”]

Indubbiamente no, perché ci fanno arrabbiare tutte queste bugie al popolo del Messico e peccato per quelli che non conoscono bene il castigliano perché non capiscono quello dice. Per noi è difficile ma non è per il castigliano, si vede come sono la miseria, la disuguaglianza, la giustizia e tutto questo, non hai bisogno di imparare il castigliano per questo, si vede e si sente.

È tutto uno scherzo quello che ci sta facendo, in particolare ai popoli originari, è un’umiliazione, ma anche per quegli e quelle che parlano bene lo spagnolo e che non apprezzano quel pestilenziale politico di questo malgoverno.

Compagni e compagne, ci arrenderemo, sì?

[Si sente un forte “No”]

Parlerò ad alta voce perché si senta là in fondo. Compagni, compagne non ci arrenderemo, oppure sì?

[All’unisono si sente un “NO”]

Non c’è nessuno che lotterà per noi popoli sfruttati della campagna e della città, nessuno. Nessuno verrà, né uomo, né donna; né gruppo, ma c’è bisogno che ci siano donne e uomini che si organizzino e continuino ad organizzarsi, è il popolo che si deve organizzare per liberarsi, o credete che arriverà il Papa?

[All’unisono si sente un “NO”]

O che arriverà Trump?

[All’unisono si sente un “NO”]

Tanto meno crediamo a quello che dice che è la quarta, o ci crediamo?

[All’unisono si sente un “NO”]

E ancora, compagni, compagne, e non vi sto mentendo, quando ancora stava facendo la sua campagna elettorale disse: nel partito dove sono – quello che ora è al potere – non permetterò che entrino degli infiltrati e infiltrate. Così disse; cioè, che non avrebbe messo tutti quelli che ha messo adesso, sono gli stessi. Sono panisti, sono priisti, sono verdi, sono del PT. Lì è la grande bugia e molti, ben trenta milioni di persone che non capiscono il castigliano, credono a quello che dice tutte queste bugie. E poi dice che combatterà la corruzione. Così dice! E la sua segretaria di governo è al primo posto. Perché lavorava… sapete da dove veniva e non è necessario che ve lo racconti. Sappiamo da dove veniva la sua segretaria di governo e lei stessa dice: “non ne voglio discutere” e quello che dice di combattere la corruzione non dice niente.

Sono solo menzogne, non fa niente per il popolo. Pensano di fregarci con il loro progetto PROÁRBOL, è il nuovo nome che gli hanno dato ma è lo stesso copiato dagli altri progetti fatti dai suoi predecessori e che noi abbiamo sconfitto con la nostra resistenza e ribellione.

Per primo, venticinque anni fa, abbiamo sconfitto quello che si diceva l’uomo potente che si chiama Carlos Salinas de Gortari, che si credeva l’uomo più potente e non abbiamo avuto paura. Il popolo del Messico non ci conosceva, ma ci ha conosciuto lungo questi venticinque anni. Parlandogli e parlandogli e parlandogli. Oggi siamo stanchi, ci siamo spesi molto per farlo capire. Solo pochi, poche l’hanno capito, la maggioranza no.

Ma è quello che abbiamo fatto compagni e compagne, non chiediamo ai fratelli e sorelle là fuori di prendere un’arma. In venticinque anni non abbiamo conquistato quello che abbiamo con gli spari, con le esplosioni, ma con la resistenza e la ribellione. Con queste l’abbiamo ottenuto, per questo avete potuto venire a vedere, ma solo venire a vedere; non portare altri fratelli e sorelle che non sono potuti venire perché non hanno le stesse possibilità.

Non abbiamo paura del capitalismo, del finquero, del nuovo finquero. Oppure sì, abbiamo paura?

[Si sente gridare all’unisono “NO”].

Dunque, qualunque cosa dicano, o pensino quel che pensino, noi ci difenderemo. Qualunque cosa accada, costi quel che costi e succeda quel che succeda. Ci difenderemo, e combatteremo se necessario. Oppure no, compagni e compagne?

[Si sente gridare all’unisono “SÌ”].

Tenetelo bene a mente compagni e compagne; qui non c’è un salvatore, né salvatrice. Gli unici salvatori e salvatrici sono gli uomini e le donne che lottano e si organizzano, ma davanti al loro popolo.

Il cambiamento che vogliamo è che un giorno, il popolo, il mondo, donne e uomini possano decidere come vogliono vivere la propria vita, non che ci sia un gruppo che decide la vita di milioni di esseri umani, NO.

Detto semplicemente in due parole: il popolo comanda, il governo obbedisce. È questo quello per cui dobbiamo lottare.

Credono che siamo ignoranti, compagni e compagne. Siamo qui pronti a difenderci.

Per tutto questo che vi ho detto, siamo pronti a quello che sia, siamo pronti a quello che accada.

Per questo diciamo:

Siamo qui!

Siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale e continueremo ad esserlo!

VIVA L’AUTONOMIA ZAPATISTA!
VIVA I POPOLI ORIGINARI
A MORTE IL MALGOVERNO!
A MORTE I CAPITALISMI
VIVA L’ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE!

 

 

Parole del Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno.

1° gennaio 2019

Compagni e compagne basi di appoggio, compagni miliziani e miliziane, compagni insurgentes e compagne insurgentas, compagni comandi ufficiali dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Fratelli e sorelle, compagni e compagne.

Oggi 1° gennaio 2019 vogliamo parlare del 25° anniversario della nostra sollevazione armata del 1° gennaio 1994.

Nonostante tutti gli attacchi ideologici, politici, economici e le minacce militari e paramilitari, vogliamo dirvi di nuovo che qui stiamo sviluppando l’autonomia per la vita dei nostri popoli.

Qui nei villaggi zapatisti, governati dalle giunte di buon governo ed i municipi autonomi ribelli zapatisti, non ci sono umiliazioni, manipolazioni, inganni, né bugie, né false consultazioni.

Per questo non permetteremo nessun progetto che distrugga la vita dell’umanità e provochi la morte della nostra madre terra, perché dietro tutto questo ci sono gli interessi dei grandi capitalisti nazionali e transnazionali.

Per quanto cerchino di umiliarci con tutte le forze repressive, come la guardia nazionale, non ci stancheremo di difendere la nostra madre terra, perché in lei siamo nati, perché in lei viviamo ed in lei moriremo.

In queste terre di uomini e donne ribelli, devono sapere che non ci arrendiamo, non ci vendiamo e non cediamo, tanto meno tradiremo il sangue, la vita e la morte dei nostri compagni caduti nella lotta.

Che consultino un miliardo di persone, noi non ci arrenderemo. O che chiedano il permesso alla loro fottuta madre, non ci piegheranno.

Dal 1492 fino a questo 2018 sono trascorsi 525 anni di resistenza e ribellione contro le enormi umiliazioni straniere e messicane; ma non sono mai riusciti a sterminarci. Noi, quelli dal sangue bruno, colore della madre terra, ribadiamo che qui siamo e qui saremo.

Potrà passare un miliardo di anni, le zapatiste e gli zapatisti saranno qui.

Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno, Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, EZLN.

Dal Caracol de La Realidad, Madre de los Caracoles Mar de Nuestros Sueños.

Messico, gennaio 2019

 

 

Parole della Giunta di Buon Governo Hacia La Esperanza.

1º gennaio 2019

Buongiorno compagne e compagni, buongiorno a tutte e tutti.

A nome delle mie compagne e compagni della Giunta di Buon Governo di questa zona selva di confine, centro del nostro caracol Madre de los caracoles mar de nuestros sueños, sede della Giunta di Buon Governo.

A tutte le compagne e tutti i compagni.

Basi di appoggio dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, ai responsabili locali, ai consigli municipali.

Siate tutti i benvenuti a celebrare con noi il 25° anniversario della nostra sollevazione armata del 1º gennaio 1994 come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Oggi sono ormai 25 anni che siamo in lotta, siamo i più dimenticati, emarginati, sfruttati dal sistema capitalista neoliberale.

In quegli anni addietro, nemmeno sapevano se esistevamo noi popoli indigeni, ma nel 1994 abbiamo detto Basta! e dichiarato guerra al malgoverno. Prendemmo cinque città: Las Margaritas, San Cristóbal de Las Casas, Ocosingo, Altamirano ed Oxchuc.

Perché per più di 500 anni i nostri anni nonni e nonne non erano tenuti in considerazione dal sistema capitalista, perché per il sistema non contavano niente. Erano solo schiavi dei padroni, lavoravano tanto e non venivano pagati ed erano maltrattati come bestie, senza considerazione per la vita e l’umanità, ed i nostri nonni hanno subito tutti questi maltrattamenti.

Ma ormai erano stanchi di tanti maltrattamenti e ingiustizie e per questo decisero di organizzarsi, per lottare contro lo sfruttamento.

Per questo le nostre compagne e compagni 25 anni fa si sono scontrati con l’esercito messicano, sono stati compagne e compagni coraggiosi che hanno offerto le loro vite senza aspettarsi niente in cambio.

Tutti e tutte loro hanno offerto la loro vita affinché in futuro le nuove generazioni possano vivere meglio. Sono stati uomini e donne coraggiosi, li ricorderemo sempre perché loro sono stati i nostri maestri.

Oggi come Giunta di Buon Governo diciamo che abbiamo conquistato la nostra libertà, la libertà di governare con le nostre comunità e senza chiedere permesso a nessuno abbiamo deciso di formare i nostri governi ed i nostri propri regolamenti come popoli indigeni.

Abbiamo formato i promotori di salute, promotori di educazione, i progetti collettivi, i municipi autonomi e la Giunta di Buon Governo. Anche se non è stato facile per noi perché non abbiamo libri né manuali a guidarci, ma ci stiamo governando da noi stessi.

Abbiamo affrontato i molti attacchi del malgoverno, perché ci vuole distruggere e per far questo ha creato diversi progetti e programmi affinché ci confondano e così distruggere la nostra organizzazione, ma noi siamo organizzati, non ci potranno sconfiggere.

Perché stiamo lavorando sempre di più con la nostra autonomia per affrontare il sistema capitalista neoliberale.

Come popoli in resistenza e ribellione abbiamo capito che non c’è altra strada: organizzarci, in qualunque angolo del mondo, ogni organizzazione con i propri differenti modi e abitudini di organizzarsi, ma tutte e tutti contro lo stesso nemico che è il sistema capitalista neoliberale.

In questo sistema la crisi mondiale è sempre più dura, loro l’hanno creato per distruggere l’umanità e non gli importa di distruggere l’universo, perché per loro tutto è merce, a loro interessa solo il profitto. Per diventare sempre più ricchi.

Questo sistema vuole trasformare i paesi in fincas ed i governi saranno i capoccia, e per noi i malgoverni non sono più governi del popolo, perché sono al servizio del loro padrone.

Per questo noi come EZLN non gli crediamo più perché sono ladri e traditori assassini, diciamo loro che qui saremo con la nostra autonomia, resistenza e ribellione nel nostro territorio zapatista.

Dalla Realidad, Chiapas.

Giunta di Buon Governo Hacia la Esperanza.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2019/01/01/palabras-de-la-comandancia-general-del-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-dirigidas-a-los-pueblos-zapatistas/

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LE VITTORIE DELL’EZLN #EZLN #EzLn25años
di Hermann Bellinghausen / La Jornada

I tre moschettieri, come dice la battuta, non sono gli stessi 25 anni dopo. Naturalmente no. Se lo fossero, che senso avrebbe commemorare un quarto di secolo della sollevazione armata dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale. La sua pura azione l’Anno Nuovo del 1994, che sembrava suicida, di un solo sparo (la formidabile Dichiarazione della Selva Lacandona) fece centro, più delle attese. In poche ore mise in marcia un nuovo ciclo storico su scala regionale e nazionale con ripercussioni mondiali. Arrivata dall’angolo più dimenticato della patria, poche volte una fucilata solitaria ha dato vita a tante cose importanti.

Ha messo il Chiapas sulla mappa, si diceva. Piuttosto, ha messo il mondo sulla mappa del Chiapas. Inoltre, mise in dubbio un mucchio di cose, dalla pertinenza dell’orologio unico occidentale fino all’insensatezza economica che incoronava il Trattato di Libero Commercio con l’America del Nord inaugurato quella stessa mattina. Il siluro zapatista attaccò sulla linea di galleggiamento del governo messicano, che in pochi minuti perse l’aura di invincibilità e dovette confrontarsi con la rivolta.

Per le comunità delle montagne del Chiapas significò avanti un passo avanti nella propria storia, la conquista dell’autonomia (allora non si chiamava così), la dignità della loro democrazia interna e del diritto di parola. Invece di morire, ballarono. Recuperarono le terre della selva e fondarono un futuro solido che 25 anni dopo sono un fatto compiuto. Nonostante i riflettori la tengono fuori dal radar, l’esperienza zapatista, quella quotidiana e reale, accade fuori dello spettacolo e dell’attualità delle notizie. Il movimento ribelle, clandestino di origine ed interiorizzato dalla pazienza e l’esperienza delle comunità, materializza la rinascita intuita da Guillermo Bonfil in México profundo. Si è rivelato la sveglia messicana.

Se per il Messico significò il contundente rifiuto dei contadini del tradimento agrario del governo salinista formalizzato nel 1992, per il mondo incarnò la prima mobilitazione contro la dittatura dei mercati, creò un discorso fresco per la sinistra senza bussola e fecondò le imminenti resistenze globali contro il monopolio del potere economico mondializzato. Fu il primo movimento sociale ad avere a sua disposizione le armi della rete e le sue reti, e ad approfittarne ampiamente.

Impose la questione indigena sul tavolo politico e il dibattito prosegue vivo oltre questo 2018, come constatiamo quotidianamente. Il tempo ha rivelato che per i propri popoli originari la sveglia aveva suonato giusto in tempo, le generazioni in corso e le future si sarebbero concepite in un’altra forma, particolarmente le donne, scoprirono che con organizzazione e coscienza pulita tutto è possibile per ottenere le istanze più profonde. Chi non sottoscriverebbe le 13 domande zapatiste? Un quarto di secolo dopo, nonostante le differenze ideologiche e pratiche, non c’è un solo popolo indigeno del Messico che non sia in debito con i ribelli.

Per i popoli originari è la cosa più vicina ad un loro rivoluzione su scala politica, mentale ed umana. Ai popoli zapatisti la ribellione, lungi dall’ucciderli, ha garantito una vita migliore ed il prezioso diritto di governarsi. Passano gli anni e non smettiamo di vedere la sua generazione giovane fluire, incessante e rinnovata, il flusso di un fiume autentico che unisce le acque scendendo dalla montagna. Eraclito direbbe che il fiume non è mai lo stesso. Ma è sempre il fiume.

Lo zapatismo ha insegnato ai messicani che presidente si iscrive con la p minuscola e può essere disconosciuto giustamente, dichiarargli guerra con legittimità, denunciare i suoi crimini con tutte le ragioni. Lo Stato ha messo a nudo la sua pochezza morale disconoscendo la sua firma sugli Accordi di San Andrés, e gli zapatisti li hanno fatti legge nei loro territori. La creazione delle giunte di buon governo ha consolidato l’unica fattibile alternativa di governo nel paese fino ad ora.

Ci sono altre vittorie, ma lo spazio è finito. Le sfide del risveglio indigeno seguiranno vigenti benché lo Stato dica di trasformarsi. Il debito storico della Nazione verso i popoli originari non si pagherà negando che l’indigenismo è morto, che l’elemosina è un insulto, che la megalomania di sviluppo dello Stato passa inesorabilmente per la spoliazione e che i popoli indigeni dovranno essere soggetti di diritto.
https://www.jornada.com.mx/2018/12/31/opinion/a08a1cul

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25 anni dell’EZLN: Lo zapatismo è vivo e può reagire ai megaprogetti di AMLO

A dispetto delle sue trasformazioni, l’EZLN che irruppe in Chiapas il 1° gennaio 1994, è un riferimento obbligato nelle analisi sociali, dice a Proceso lo storiografo Antonio García de León, facendo un bilancio degli ultimi 25 anni dello zapatismo. Lui che fu anche consulente degli zapatisti, ritiene che rispetto ai silenzi del governo di Andrés Manuel López Obrador sugli accordi di San Andrés e le sue iniziative come i megaprogetti del Treno Maya e dell’Istmo di Tehuantepec, l’EZLN può guadagnare più rilevanza di fronte all’eventuale crescita della resistenza indigena in questo contesto.

 , CIUDAD DE MÉXICO (Proceso).- El Ejército Zapatista de Liberación Nacional (EZLN) podría convertirse en una “caja de resonancia” de los movimientos indígenas contestatarios a los proyectos del gobierno federal, sostiene el historiador Antonio García de León Griego, antiguo asesor del grupo armado que hace 25 años irrumpió en Chiapas para reivindicar a las comunidades indígenas marginadas.

García de León, quien en 1996 participó en los diálogos de paz con el gobierno de Ernesto Zedillo en el pueblo de San Andrés Larráinzar, puntualiza que, a fin de cuentas, la herencia de los zapatistas es positiva, pues dieron preponderancia a las comunidades indígenas marginadas y pusieron a Chiapas en el horizonte del apoyo federal.

Frente a los proyectos ferroviarios y de infraestructura carretera del gobierno de Andrés Manuel López Obrador, es factible que la influencia del zapatismo en las comunidades indígenas se revitalice por los movimientos que actualmente hay en Chiapas, Yucatán, Quintana Roo y Oaxaca, dice el doctor en historia económica y social por la Universidad de la Sorbona al hacer un repaso de los 25 años del EZLN.

García de León, quien cursó su maestría en lingüística en la Escuela Nacional de Antropología e Historia, es uno de los principales conocedores de la vida indígena chiapaneca, de lo cual ha dejado constancia en sus libros Resistencia y utopía. Memorial de agravios y crónica de revueltas y profecías acaecidas en la provincia de Chiapas durante los últimos 500 años de historia, así como Fronteras interiores. Chiapas, una modernidad particular, en el que aborda la historia de esa entidad entre 1940 y el año 2000.

El EZLN, dice, tiene presencia nacional e internacional, y si bien ésta ha menguado y sufrido cambios en su dirigencia –el 14 de febrero de 2013 el subcomandante Marcos fue relevado por el comandante Moisés–, su lucha por los derechos y la cultura de los pueblos indígenas sigue vigente, comenta el historiador.

“En un sentido general, veo que el EZLN posicionó a las comunidades indígenas en el debate nacional; eso es evidente. Pero hay otros aspectos que también son importantes: las autonomías y la participación desde la base van a ser necesarias si el gobierno (de López Obrador) centraliza demasiado la construcción de megaproyectos como el Tren Maya y el proyecto del Istmo de Tehuantepec, que puedan ser ofensivos para el medio ambiente o para las comunidades indígenas.

“Todo eso va a reactivar una resistencia de las comunidades y la única resistencia posible es una participación más activa (de los indígenas) en sus propios destinos.”

–Parafraseando un poco uno de sus libros, ¿cuáles serían las utopías y las resistencias del EZLN a 25 años del alzamiento? ¿Qué significado ha tenido?

–Por un lado, ha propiciado movimientos muy diversos que poco tienen que ver con el EZLN, pero que han representado el empoderamiento de ciertas élites que se autodenominan indígenas y tratan de sustituir la representación indígena. Esto es muy importante porque el nuevo régimen está utilizando de manera patética la cultura indígena, reinterpretada de una manera muy parecida a como lo hacía el viejo PRI.

(Adelanto del reportaje especial publicado en Proceso 2200, ya en circulación)

https://www.proceso.com.mx/565730/25-anos-del-ezln-el-zapatismo-esta-vigente-y-puede-reaccionar-ante-los-megaproyectos-de-amlo?fbclid=IwAR3YyEXY481w8RpNm2hmz1Ek3JBI6PeuRG4Xir12EjUc_0g81Epc8iD_URU

 

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#EZLN La storia delle domande

A chi di dovere,

Sono io un evaso,

Non appena nato

In me m’hanno chiuso

Ma sono scappato.

Mi cerca la mia anima

Per monti e per mari,

Che mai la mia anima mi possa trovare.

Fernando Pessoa

Scrivo questa mia mentre da una parte mi giungono i comunicati dei nostri compagni sui preparativi dell’avanzata delle nostre unità e dall’altra viene bruciato l’ultimo mucchio di lettere a cui non ho risposto. Vi scrivo a questo proposito. Mi sono sempre riproposto di rispondere a ognuna delle lettere che ci arrivano. Mi pareva, e mi pare ancora, che fosse il minimo che potessi fare per contraccambiare tutta quella gente che si è presa il disturbo di scriverci e che ha corso il rischio di metterci nome e indirizzo in attesa di una risposta. La ripresa della guerra è imminente. Non potrò più conservare queste lettere, devo distruggerle perché, se cadessero in mano al governo, potrebbero causare problemi a tanta brava gente ed a pochissima cattiva. Ecco che le fiamme crescono e i colori cambiano, a volte in un azzurro cangiante che illumina questa notte di grilli e lampi lontani che si avvicinano a un freddo dicembre di profezie e conti in sospeso. Si, erano molte. Sono riuscito a rispondere a tante, ma non appena riuscivo a scemarne una pila, ne arrivava subito un’altra cesta. “Sisifo”, mi chiamavo. “O l’aquila che divora il fegato di Prometeo”, aggiunge il mio alter ego, sempre così puntuale nel suo velenoso scetticismo. A dire il vero, devo confessare che ultimamente, il sacco che arrivava si faceva sempre più piccolo. All’inizio incolpavo quei ficcanaso del governo, ma a poco a poco mi sono reso conto che la gente, per quanto buona possa essere, si stanca … e smette di scrivere … e, a volte, smette di lottare …

Sì, lo so che scrivere una lettera non è come dare l’assalto al Palazzo d’Inverno, ma a noi faceva viaggiare lontano … Un giorno eravamo a Tijuana, un altro a Mérida, a volte in Michoacán, o in Guerrero, o in Veracruz, o in Guanajuato, o in Chihuahua, o in Nayarit, o in Queretaro, o a Città del Messico. Altre volte andavamo più lontano: in Cile, in Paraguay, in Spagna, in Italia, in Giappone. Bene, basta con questi viaggi che ci strappavano più di un sorriso e che scaldavano notti di fredde veglie e rinfrescavano giorni di caldo afoso.

Vi dicevo che mi ero ripromesso di rispondere a tutte le lettere e noi, cavalieri erranti, sappiamo mantenere fede alle promesse (a meno che non siano d’amore), e così ho pensato alla bontà che renderebbe più lieve la mia pesante colpa se tutti voi accettaste che vi rispondessi con un’unica e significativa missiva, nella quale voi sareste i particolari destinatari di una così irregolare corrispondenza.

Quindi, poiché gioca a mio favore il fatto che non potete protestare o manifestare il vostro disaccordo (potete farlo ma io non lo saprei e visto che la corrispondenza ecc. …. quindi sarebbe inutile), allora procedo lasciando sfogo alla folle dettatura che s’impadronisce della mia mano destra quando c’è da scrivere una lettera. E quale miglior modo di iniziare con i versi di Pessoa, che sono maledizione e profezia, e che dicono così …

Il guardare, che sta guardando

Dove non vede, si volta:

Noi due stiamo parlando

di quanto non si è conservato.

Ciò sta finendo o inizia?

 

Un giorno del mese dell’ineffabile anno 1994.

 

A chi di dovere.

Vorrei dirvi alcune cose riguardo a quanto è successo da gennaio ad oggi. La maggioranza di voi ci ha scritto per ringraziarci. Immaginate la sorpresa quando leggiamo le vostre missive in cui ci ringraziate di esistere. Io, per esempio, che la massima effusione che ricevo dalle mie truppe è un gesto di rassegnazione quando arrivo a una delle nostre postazioni, mi sorprendo sorprendendomi, e quando mi sorprendo nella sorpresa mi possono accadere cose imprevedibili. Mi succede, per esempio, che mordo troppo la pipa e rompo il bocchino. Succede, per esempio, che non trovo niente poi per aggiustarla. Succede, per esempio, che cercando un’altra pipa trovo qualche dolcetto e commetto il grave errore di provocare quel rumore tipico dei dolci avvolti nel cellofan e che quelle piaghe che chiamano “bambini” riescono a sentire a decine di metri di distanza, a chilometri se hanno il vento a favore. E succede, per esempio, che mentre alzo il volume del registratore per cercare di soffocare il rumore del cellofan con una canzone che fa …

 

Chi ha una canzone

avrà una tempesta,

chi ha compagnia,

la solitudine. Chi che segue la buona strada

avrà sedie pericolose

che lo invitano a fermarsi.

Ma la canzone vale la pena

di buona tempesta,

e la compagnia vale la solitudine,

vale sempre la pena

l’agonia della fretta

anche se è piena di sedie

la verità

 

appare nella stanzetta (perché tutto ciò solitamente succede in una stanzetta col tetto di cartone, di paglia o di nylon) Heriberto, con la faccia di “ti ho beccato!”, ed io faccio finta di niente e fischietto il motivo di un film di cui non ricordo il titolo, ma che era  buono per il protagonista perché una ragazza (….) gli si avvicinava sorridendo, e io mi accorgo che non è una ragazza ad avvicinarsi, ma è Heriberto. Insieme a lui c’è Toñita col suo bambolotto. Toñita, quella del bacio negato perché “punge”, quella dei denti cariati che compie cinque anni ed entra nei sei, la beniamina del Sup. Heriberto, lo strillo più rapido della Selva Lacandona, il disegnatore di anatroccoli anti-Sup-marini, il terrore delle formiche mulattiere e del cioccolato natalizio, il beniamino di Ana María, la punizione che qualche dio rancoroso ha inferto al Sup per essere un trasgressore della violenza e un professionista della legge. Cosa? Non era proprio così? Vabbè, non preoccupatevi…

Attenti! Ascoltate ciò che vi dico! Allora, arriva Heriberto e mi dice che Eva sta strillando perché vuole vedere il cavallo cantastorie e il maggiore non glielo fa vedere perché sta guardando il Decamerone di Pasolini. Naturalmente Heriberto non dice che è il Decamerone, ma io lo intuisco perché Heriberto dice, testualmente: “Il maggiore sta guardando le donne nude”. Per Heriberto ogni donna che porta la gonna all’altezza del ginocchio o poco più in alto è “nuda”, e ogni persona di sesso femminile che abbia più di quattro anni appena compiuti da Eva è una “donna”. Lo so che si tratta solo di uno sporco trucco di Heriberto per impadronirsi del dolce il cui cellofan ha risuonato come la sirena del Titanic in mezzo alla nebbia, ed Heriberto coi suoi anatroccoli è partito per salvarlo, perché non c’è niente di più triste al mondo di un dolcetto senza un bambino che lo salvi dalla sua prigione di cellofan.

Toñita scopre, invece, un coniglietto “a-prova-di-fango”, ossia nero, e decide di immergerlo in una pozzanghera che, secondo lei, ha tutte le caratteristiche necessarie per una prova di qualità.

Di fronte all’invasione “del quartier generale dell’ezetaelenne” io faccio l’indiano e mi fingo mooolto concentrato su quello che sto scrivendo. Heriberto se ne accorge e disegna un’anatra che intitola, in modo irriverente “Il Sup”. Io mi offendo perché Heriberto aggiunge che il mio naso è come il becco dell’anatra. Toñita posa su una pietra il coniglietto infangato accanto al pupazzo e li guarda con occhio critico. Penso che non sia molto soddisfatta del risultato perché muove la testa negativa con la stessa ostinazione come quando mi nega un bacio. Heriberto, di fronte alla mia indifferenza, pare darsi per vinto e si ritira ed io sono soddisfatto del mio trionfo, quando mi accorgo che il dolce non c’è più e allora ricordo che, mentre guardavo il disegno, Heriberto ha fatto uno strano movimento. Me lo ha portato via da sotto il naso! E guardate che con questo naso, non è cosa da poco. Sono depresso, e ancora di più quando mi accorgo che Salinas sta impacchettando le sue cose per andare alla presidenza dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e mi viene in mente quanto è stato ingiusto quando ci ha affibbiato l’epiteto di “trasgressori”. Se conoscesse Heriberto si accorgerebbe che, in confronto, noi siamo più legali del gruppo dirigente del PRI. Bene, eravamo rimasti al punto in cui io mi sorprendevo sorprendendomi nel leggere nelle vostre lettere quei “grazie” che a volte erano rivolti a Ana María, a Ramona, a Tacho, a Mario, a Laura, o a qualsiasi tra gli uomini e le donne che si coprono il volto per mostrarsi o se lo scoprono per nascondersi da tutti.

Io mi produco nel il mio migliore inchino per ringraziare quando Ana María appare sulla porta con Heriberto singhiozzante e mi chiede perché non voglio dare il dolcetto a Heriberto. “Non gli voglio dare il dolcetto?”, dico e guardo stupito Heriberto che ha mascherato le tracce del dolce con quelle lacrime e quel moccio che hanno portato Ana María dalla sua parte. “Sì – afferma implacabile Ana María -, Heriberto dice che ti ha dato un disegno in cambio di un dolce, ma tu non hai tenuto fede al patto”. Io, che mi sento vittima di un’ingiusta accusa, faccio la faccia da ex presidente del PRI che si prepara a prendere possesso di un importante ministero statale e a salire in tribuna per pronunciare il suo miglior discorso quando, improvvisamente, Ana María prende da chissà dove un sacchetto di dolcetti e lo dà tutto! a Heriberto. “Tieni” dice, “gli zapatisti rispettano sempre la parola data”. Poi i due se ne vanno. Io sono mooolto triste perché quei dolci erano per il compleanno di Eva, che non so più quanti anni compie, perché quando ho chiesto a sua madre quanti anni aveva mi ha risposto “sei”. “Ma se l’altro giorno mi ha detto che era entrata nei quattro”, ho ribattuto. “Sì, ne compie quattro ed entra nei cinque, cioè va per i sei”, mi risponde tranquilla la signora e mi lascia lì a far di conto con le dita, dubbioso su tutto il sistema educativo di una volta che insegnava chiaramente che 1+1 fa 2, 6×8, 48 e altre cose altrettanto importanti ma che, evidentemente, nelle montagne del Sudest non lo sono e che qui funziona un’altra logica matematica. “Noi zapatisti siamo tutta un’altra cosa”, mi ha detto il Monarca una volta, raccontandomi che quando finiva il liquido dei freni lo sostituiva con l’urina. L’altro giorno, per esempio, c’è stata una festa di compleanno. Si è riunito il “gruppo giovanile” ed ha organizzato un ‘olimpiade zapatista; la “maestra di cerimonie” ha annunciato che sarebbero seguite le gare di salto in lungo – che significa “chi salta più in alto” – e di salto in alto – ossia “chi arriva più lontano” -. Stavo contando nuovamente con le dita quando arriva il tenente Ricardo che mi dice che al mattino erano stati a cantare le canzoncine al festeggiato. “E dove è stata la serenata?”, ho chiesto felice che tutto fosse tornato alla normalità (…). “Al cimitero”, mi risponde Ricardo. “Al cimitero?”, ripeto tornando ai miei conti sulle dita. “Sì, era il compleanno di un compagno morto nei combattimenti di gennaio”, dice Ricardo mentre se ne va perché hanno annunciato la “corsa ad ostacoli”

“Bene”, mi dico, “una festa di compleanno per un morto. Perfettamente logico … nelle montagne del Sudest messicano”. E sospiro.

Sospiro di nostalgia ricordando i vecchi tempi quando i cattivi erano cattivi e i buoni erano buoni, quando la mela di Newton seguiva la sua irresistibile caduta verso una qualche mano infantile, quando il mondo odorava di aula scolastica il primo giorno di scuola: paura, mistero, novità. Sono lì, sospirando con sincera enfasi, quando entra El Beto, di corsa, e mi chiede se ci sono dei palloncini e, senza aspettare una risposta, inizia a rovistare tra mappe, ordini operativi, rapporti di battaglia, cenere di tabacco da pipa, lacrime asciugate, fiorellini rossi disegnati col pennarello, cartucciere e un passamontagna puzzolente. Da qualche parte El Beto trova un sacchetto di palloncini e la foto di una playmate abbastanza vecchia (la foto, non la playmate). El Beto è incerto tra il sacchetto e la foto; poi decide, come decidono generalmente i bambini in questi casi, per entrambi. Io l’ho sempre detto che questo non è un comando ma un asilo infantile. Ieri ho detto al Moy di mettere qui attorno qualche mina antiuomo. “Credi che i soldati arrivino fin qui?” mi ha chiesto preoccupato. Io rispondo con un brivido che mi percorre da cima a fondo. “I soldati non lo so, ma i bambini …”. Il Moy fa sì con la testa, comprensivo, e inizia a spiegarmi un progetto abbastanza complicato di una trappola acchiappa-bobos [bobo= uccello tipico delle regioni calde americane; anche sinonimo di stupido – N.d.T.], che consiste in buco nel terreno camuffato e con dei pali appuntiti e avvelenati sul fondo. L’idea mi piace, ma se questi bambini hanno un pregio, è quello di non essere stupidi, quindi è forse meglio mettere l’alta tensione e varie mitragliatrici “a tre canne” all’ entrata. Il Moy non è convinto; dice che ha un’idea migliore e se ne va lasciandomi nel dubbio …

Dov’ero rimasto? Ah, sì! Ai dolcetti che erano per Eva e invece se li è presi Heriberto. Sto parlando via radio a tutti gli accampamenti per cercare un sacchetto di dolci e farmelo mandare per sostituire il regalo per Eva, quando appare la suddetta con dei tamales che “li manda la mia mamma perché oggi è il mio compleanno”, dice Eva guardandomi con degli occhi che tra dieci anni scateneranno più di una guerra.

Io ringrazio con grandi inchini e le dico – cos’altro avrei potuto fare? – che ho un regalo per lei. “Dov’è?”, dice-chiede-esige Eva e io inizio a sudare perché non c’è niente di peggio di due occhi scuri arrabbiati, e lo sguardo di Eva si sta trasformando, di fronte alla mia incertezza, come in quel film Il Santo contro l’Uomo Lupo e, come se non bastasse, in quel momento arriva Heriberto a vedere se “il Sup non e più arrabbiato” con lui. Io sorrido per prendere tempo e calcolare se riesco a dare un calcio a Heriberto, quando Eva si accorge che Heriberto ha un sacchetto di dolcetti mezzo vuoto e gli chiede chi glieli ha dati de Heriberto, con la bocca impastata le dice “il Ciup”, io non capisco che Heriberto voleva dire “il Sup” finché Eva non si volta e mi ricorda “E il mio rega­o?”. Heriberto, alla parola “regalo”, spalanca gli occhi e getta il sacchetto di dolci, che ovviamente è ormai vuoto, si mette accanto a Eva e le dice con nauseante cinismo: “Sì, e il nostro regalo?”. “Nostro?”, dico mentre torno a calcolare la portata del calcio, ma in quel mentre vedo che Ana María è nei dintorni e ci rinuncio. Allora dico: “L’ho nascosto”. “Dove?”, chiede Eva che vuole risparmiarsi ogni mistero. Heriberto, invece, accetta la sfida e sta già aprendo il mio zaino e sollevando la coperta, la bussola, l’altimetro, il tabacco, una scatola di proiettili, un calzino, e in quel momento lo fermo con un convincente grido: “Lì non c’è!”; Heriberto allora si getta sullo zaino del Moy e lo sta aprendo quando aggiungo: “Dovete indovinare un racconto per sapere dove sta il regalo”. Heriberto, che si era già scoraggiato da solo perché le cinghie dello zaino del maggiore sono ben strette, viene a sedersi accanto a me, lo stesso fa Eva. Beto e Toñita si avvicinano, io accendo la pipa per cercare di capire in che diavolo di guaio mi sono cacciato con questa storia dell’indovinello, quando si avvicina il vecchio Antonio che, indicando un piccolo Zapata in argento inviatoci, ripete ora, per bocca mia,

 

La storia delle domande

Il freddo di queste montagne è opprimente. Ana María e Mario mi accompagnano in questa esplorazione, dieci anni prima di quell’alba di gennaio. I due si sono appena arruolati nella guerriglia e io, allora tenente di fanteria, devo insegnare loro ciò che altri mi hanno insegnato, cioè vivere sulle montagne. Ieri mi sono imbattuto per la prima volta nel vecchio Antonio. Entrambi abbiamo mentito. Lui dicendo che andava a vedere il suo campo di granturco, io dicendo che andavo a caccia. Entrambi sapevamo che l’altro mentiva e sapevamo di saperlo. Lascio che Ana María prosegua nell’esplorazione e torno indietro verso il fiume per vedere se posso ubicare col clisimetro sulla cartina un monte molto alto davanti a me, e se mi imbatto di nuovo nel vecchio Antonio. Lui deve avere pensato la stessa cosa perché ricompare nello stesso punto dell’incontro precedente.

Come ieri, il vecchio Antonio si siede in terra, si appoggia da un huapac di muschio verde e inizia a rollare una sigaretta. Io mi siedo di fronte e accendo la pipa. Il vecchio Antonio inizia:

“Non sei a caccia”.

Io rispondo: “E voi non siete al vostro mais”. Qualcosa mi spinge a dare del voi, per rispetto, a quell’uomo di età incerta e dal volto simile alla corteccia del cedro, che vedo per la seconda volta in vita mia.

Il vecchio Antonio sorride e aggiunge: “Ho sentito delle voci su di voi. Nelle valli dicono che siete dei banditi, nel mio villaggio non sono tranquilli perché hanno paura che vi aggiriate da queste parti”.

“E voi credete che siamo dei banditi?”, chiedo. Il vecchio Antonio butta fuori una grande boccata di fumo, tossisce e fa cenno di no con la testa. Io prendo coraggio e faccio un’altra domanda: “E voi, chi credete che siamo?”.

“Perché non me lo dici tu?”, risponde fissandomi negli occhi.

“È una lunga storia” dico e inizio a raccontare dal tempo di Villa e Zapata e la rivoluzione e la terra e l’ingiustizia e la fame e l’ignoranza e la malattia e la repressione e tutto il resto. E termino con un “e così noi siamo l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale”. Cerco un segnale sul volto del vecchio Antonio che non ha smesso un attimo di guardarmi.

“Raccontami qualcosa d’altro di questo Zapata”, dice dopo un po’ di fumo e tosse.

Io inizio con Anenecuilco, proseguo col il Plan de Ayala, la campagna militare, l’organizzazione dei villaggi, il tradimento in Chinameca. Il vecchio Antonio continua a guardarmi mentre finisco di raccontare.

“Non andò così”, mi dice. Sorpreso, riesco solo a balbettare un “No?”. “No”, insiste il vecchio Antonio. “Ti racconto io la storia di questo Zapata”.

Il vecchio Antonio tira fuori il tabacco e la macchinetta per rollare ed inizia la sua storia che unisce e confonde tempi vecchi e nuovi, così come il fumo della mia pipa a quello della sua sigaretta si confondono.

“Tante storie fa, quando i primi dei, ma proprio i primi, quelli che crearono il mondo, stavano ancora aggirandosi nella notte, parlano due dei che erano Ik’al e il Votٕán. Erano due ma uno solo. Se uno si voltava, mostrava l’altro, e viceversa. Erano contrari. L’uno era luce, come un mattino di maggio al fiume. L’altro era buio, come una notte fredda nella tana. Erano la stessa cosa. I due erano uno, perché l’uno faceva l’altro. Ma non camminavano, stavano sempre fermi questi due dei, che erano uno immobile. “Allora, che facciamo?”, chiesero entrambi. “È così triste la vita così come stiamo”, ‘tristeggiavano’ i due che erano uno, nella loro immobilità. “La notte non passa mai”, disse Ik’al. “Non passa il giorno”, disse il Votán. “Camminiamo”, disse l’uno che era due. “Come?”, chiese l’altro. “Verso dove?” chiese l’uno. E videro che così si erano mossi un poco, prima per chiedere come, e poi per chiedere dove. Felice fu uno che erano due quando vide che si muovevano un poco. I due vollero muoversi contemporaneamente ma non ci riuscirono. “Ma come facciamo?”. E prima l’uno e poi l’altro si sporsero e si mossero un altro poco e si accorsero che prima l’uno e poi l’altro potevano farlo e si misero d’accordo per muoversi prima l’uno e poi l’altro, e iniziarono a muoversi e nessuno ricorda chi si mosse per primo per iniziare a muoversi perché erano così contenti di muoversi che “Cosa importa chi è stato il primo, se ora ci muoviamo”, dicevano i due dei che erano uno, e ridevano, e la prima cosa su cui si misero d’accordo fu di ballare e ballarono, un passetto l’uno e un passetto l’altro, e fu un ballo lungo perché erano contenti di essersi accordati. Stanchi quindi di tutto quel ballare, capirono che cosa avrebbero potuto fare e che la prima domanda “come muoversi?” aveva portato con se la risposta “insieme ma separati di comune accordo”, e quella domanda non li interessò molto perché quando se ne accorsero si stavano già muovendo e allora giunse l’altra domanda quando videro che c’erano due sentieri: uno breve che portava poco lontano, e si vedeva chiaramente che quel sentiero finiva lì vicino; e tanto era il piacere di camminare che avevano ai piedi, che dissero subito che quel sentiero era troppo corto e non lo volevano fare, e si misero d’accordo di prendere quello lungo e si stavano incamminando quando la questione della scelta del cammino fece loro chiedere “dove porta questo sentiero?”; ci pensarono un po’ i due che erano uno e d’improvviso venne loro in mente che solo percorrendo il sentiero lungo avrebbero saputo dove portava, perché così dove stavano non avrebbero mai saputo dove portava il cammino lungo. E allora si dissero l’uno che due erano: “Forza, mettiamoci in marcia, muoviamoci” e iniziarono a camminare, prima l’uno e poi l’altro. E così si accorsero che a percorrere il sentiero lungo ci voleva tanto tempo e allora arrivò l’altra domanda “Come facciamo a camminare per tanto tempo?”, ci pensaronoun bel po’ e poi Ik’al disse chiaramente che lui non sapeva camminare di giorno e Votán disse che la notte aveva paura di camminare e si misero a piangere, poi una volta finita la frignata si misero d’accordo che Ik’al avrebbe potuto camminare di notte e Votán di giorno e Ik’al avrebbe portato Votán di notte e così giunsero alla conclusione che avrebbero potuto camminare tutto il tempo. Da allora i due dei marciano con le domande e non si fermano mai, mai arrivano e mai vanno. E così gli uomini e le donne veritieri impararono che le domande servono per camminare, non per restarsene fermi. E da allora uomini e donne veritieri per camminare domandano, per arrivare si congedano e per andarsene si salutano. Non stanno mai fermi”.

Io continuo a mordicchiare l’ormai striminzito bocchino della pipa in attesa che il Vecchio Antonio continui, ma pare che lui non abbia intenzione di farlo. Col timore di rompere qualcosa di importante chiedo: “E Zapata?”.

Il vecchio Antonio sorride: “Intanto hai imparato che per sapere e avanzare bisogna domandare”. Tossisce e accende un’altra sigaretta che non ho capito quando ha preparato e, tra il fumo che esce dalle sue labbra cadono parole come semi nel terreno.

“Questo Zapata apparve qua sui monti. Non nacque, dicono. Semplicemente apparve. Dicono che sia Ik’al e Votán, arrivati qui nel loro lungo cammino e che, per non spaventare la brava gente, divennero uno solo. Perché dopo tanto andare assieme, Ik’al e Votán avevano imparato che era lo stesso e che potevano diventare uno solo di giorno e di notte e quando sono arrivati qui sono diventati uno solo e si sono messi il nome di Zapata e Zapata disse che era arrivato fino a qui e qui avrebbe trovato la risposta di dove porta il lungo cammino e disse che a volte sarebbe·stato luce e a volte buio, ma che era la stessa persona: il Votán Zapata e Ik’al Zapata, lo Zapata bianco e quello nero, e che i due rappresentavano lo stesso sentiero per gli uomini e le donne veritieri.

Il vecchio Antonio tira fuori dalla suo piccola sacca una bustina di nylon. Dentro c’è una vecchia foto del 1910 di Emiliano Zapata. Zapata impugna con la sinistra la sciabola all’altezza delle vita. Nella destra tiene una carabina, al petto: due cartucciere incrociate e una fascia a due colori bianca e nera da sinistra a destra. Ha i piedi come chi sta fermo o sta camminando e lo sguardo come dicesse “sono qui”, oppure “arrivo”. Ci sono due scale. In una, quella che esce dall’oscurità, si vedono altri zapatisti dai volti bruni; l’altra, illuminata, è vuota e non si vede da dove viene ne dove va. Direi una bugia se affermassi di essermi accorto di tutti quei dettagli. Fu il vecchio Antonio a farmeli notari. Dietro alla foto si legge:

Gral. Emiliano Zapata, Jefe del Ejercito Suriano.

Gen. Emiliano Zapata, Commander in Chief of the Southern Army.

Le General Emiliano Zapata. Chef de l’ Armee du Sud.

C.1910. Photo by: Agustin V. Casasola.

 

Il vecchio Antonio mi dice: “Io ho fatto tante domande a questa foto. È così che sono arrivato fino a qui”. Tossisce e getta il mozzicone di sigaretta. Mi dà la foto. “Prendi”, mi dice. “Perché tu impari a chiederle … e a cammmare”.

“È meglio congedarsi quando si arriva. Così non dispiace tanto quando uno se ne va”, dice il vecchio Antonio tendendomi la mano per dirmi che se ne va, cioè che sta arrivando. Da allora, il vecchio Antonio saluta con un “addio” quando arriva e si congeda alzando la mano e allontanandosi con un “sto arrivando”. Il vecchio Antonio si alza. Lo stesso fanno Beto, Toñita, Eva ed Heriberto. Io tiro fuori la foto di Zapata dal mio zaino e gliela mostro.

“Sta per salire o per scendere?”, chiede Beto.

“Sta per mettersi in cammino o restare lì in piedi?”, chiede Eva.

“Sta tirando fuori la spada o rimettendola a posto?”, chiede Toñita.

“Ha appena sparato o sta per farlo?”, chiede Heriberto.

Io non smetto di meravigliarmi per tutte queste domande che suscita questa foto di 84 anni fa e che nel 1984 mi aveva regalato il vecchio Antonio. La guardo un’ultima volta prima di decidermi a regalarla ad Ana María e la foto mi strappa un’ulteriore domanda. E il nostro ieri o il nostro domani?

E visto che si parlava di domande, e con una coerenza sorprendente per i suoi quattro-anni-compiuti-entrata-nei-cinque-cioè-sei, Eva rilancia: “E il mio regalo ?” La parola “regalo” provoca identiche reazioni in Beto, Toñita ed Heriberto, cioè si mettono tutti a gridare: “E il mio regalo?”. Sono assediato e sul punto di sacrificarmi quando compare Ana María che, come quasi un anno fa a San Cristóbal ma in altre circostanze, mi salva la vita. Ha con se un sacchetto di dolci grande grande, ma grande davvero. “Eccovi il regalo che vi aveva preparato il Sup”, dice Ana María mentre mi guarda con una faccia da “che-fareste-voi-uomini-senza-noi-donne”.

Mentre i bambini si mettono d’accordo, cioè litigano, per dividersi i dolci, Ana María saluta militarmente e mi dice:

“A rapporto: la truppa è pronta a uscire”.

“Bene”, dico mettendomi la pistola alla cintura. “Partiremo all’alba, come stabilito”, Ana María esce.

“Aspetta”, le dico. E le do la foto di Zapata.

“E questa?”, chiede guardandola.

“Ci servirà”, rispondo.

“A cosa?”, insiste.

“Per sapere dove andiamo”, rispondo ispezionando la mia carabina. In cielo un aereo da guerra compie evoluzioni …

Bene, non disperate, ho quasi terminato questa “lettera delle lettere”.

Prima devo cacciare fuori i bambini …

Per ultimo, risponderò ad alcune domande che, certamente, vi starete ponendo. Sappiamo dove andiamo? Sì.

Sappiamo ciò che ci aspetta? Sì.

Vale la pena? Sì.

Chi può rispondere “sì” alle tre domande precedenti, può restare senza fare niente e non sentire che qualcosa dentro si sta rompendo?

È tutto. Saluti e un fiore per questa tenera furia, credo che se lo meriti.

Dalle montagne del Sudest messicano

Subcomandante Insurgente Marcos

 

P.S. per scrittori, commentatori e popolo in generale. Brillanti penne hanno trovato aspetti interessanti nel movimento zapatista, ma invece ci hanno negato la nostra fondamentale essenza: la lotta nazionale. Per loro continuiamo ad essere gente di borgata, coscienti dei nostri bisogni istintivi ma incapaci, almeno senza un aiuto “esterno”, di intendere e di fare nostri concetti come quelli di “nazione”, “patria”, “messico”. Sì, tutti con la minuscola, si intonano in questi tempi grigi. Per loro va bene che abbiamo lottato per le necessita materiali, ma lottare per quelle spirituali è eccessivo. È comprensibile che ora queste penne si volgano contro la nostra ostinazione. Ci dispiace, qualcuno deve essere coerente, qualcuno deve dire “No”, qualcuno deve ripetere “Basta!”, qualcuno deve mettere da parte la prudenza, qualcuno deve dare più importanza alla dignità che alla vita, qualcuno deve … Bene, volevo solo dire a queste brillanti penne che capiremo la condanna che ora sortirà dalle loro mani. A nostra difesa posso solo dire che quanto abbiamo fatto non lo abbiamo fatto per fare piacere a loro, che quanto abbiamo detto e fatto è stato solo per noi stessi, per il gusto di lottare, vivere, parlare, camminare … Brava gente di ogni classe sociale, di ogni razza, di ogni genere ci ha aiutato. Qualcuno per alleviare il rimorso di coscienza, altri perché di moda, la maggioranza per convinzione, per la certezza di trovarsi davanti a qualcosa di nuovo e di buono. Perché noi siamo i buoni, per questo avvisiamo prima di quello che faremo, affinché possiate mettervi al sicuro, affinché siate preparati, che non siate colti di sorpresa. So che questo ci svantaggia, ma a parte lo svantaggio tecnologico, possiamo trascurare lo svantaggio di perdere la sorpresa.

 

A tutta questa brava gente io vorrei dire di continuare a fare i bravi, di continuare a credere, di non lasciare che lo scetticismo li rinchiuda nella dolce prigionia del conformismo, di continuare a cercare, di continuare a trovare qualcosa in cui credere, qualcosa per cui lottare.

Abbiamo avuto anche brillanti nemici. Penne che non si sono accontentate dell’aggettivo dispregiativo o di facili parole, penne che hanno cercato argomenti forti, saldi, coerenti, per attaccarci, denigrarci, isolarci. Ho letto brillanti testi che denigravano gli zapatisti e difendevano un regime che deve pagare, e molto, per fingere che qualcuno lo ami. Peccato che, alla fine, hanno finito per difendere una causa puerile e vana, peccato che finiranno per affondare insieme a questo edificio che si sta sgretolando…

P.S. che, a cavallo e con un mariachi, canta sotto la finestra di una nonnina la canzone di Pedro Infante intitolata “Dicono che sono un donnaiolo e che finisce così. ..

Tra i miei dolci amori

uno vale molto di più

che mi ama senza rancori

taratutun.

Una nonnina graziosa

che non credo di meritare

col suo cuore mi offre

il più divino amore.

Davanti ad una nonna uno è sempre un bambino che soffre ad andare via … Addio nonna, sto arrivando. Ho finito, sto iniziando …

Pubblicato su La Jornada il 13 dicembre 1994

 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/1994/12/13/la-historia-de-las-preguntas/?platform=hootsuite

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Messico – “Il desiderio di cambiare di milioni di messicani dovrà confrontarsi con la rete di interessi concordata da López Obrador”

Per comprendere cosa significhi l’arrivo di Andrés Manuel López Obrador alla presidenza del Messico e le sfide del governo e del paese in questi nuovi prossimi sei anni, Horizontal ha diffuso questo questionario tra intellettuali e analisti. Riportiamo le risposte di Luis Hernández Navarro, coordinatore della sezione “Opinión” de La Jornada ed uno dei più attenti osservatori della politica messicana. Crediamo che sia una delle analisi più lucide lette negli ultimi tempi dove, spesso a sproposito, si è voluto leggere nella elezione di AMLO una ripresa del cammino di quella “sinistra” latino americana che invece ha mostrato tutti i suoi limiti negli ultimi anni.

  1. Cosa dobbiamo intendere come quarta trasformazione?

Ripetutamente AMLO ha dichiarato che intende essere alla testa della quarta trasformazione nella storia del Messico. Non è solo un’altra proposta, ma uno degli assi centrali del suo progetto. Si tratta, né più né meno, di rifondare lo Stato messicano.

López Obrador sa di cosa sta parlando. Ha studiato, ricercato e scritto sulla storia del Messico. La sua visione della politica è basata ad una riflessione vera e originale su quello che è successo nel Paese.

Tuttavia, nonostante ciò, il candidato non ha specificato o dettagliato la sua iniziativa di “Quarta Trasformazione”.  La ha illustrata man mano durante tutta la campagna elettorale, negli incontri e dibattiti, o nelle dichiarazioni come presidente eletto, enunciando in generale le sue caratteristiche. Si tratta – ha detto – di un cambiamento profondo, pacifico e radicale che sradicherà il regime corrotto, l’ingiustizia e i privilegi; di una metamorfosi del corpo politico in cui la sovranità tornerà al popolo.

Come ha spiegato Enrique Semo, le rivoluzioni di Indipendenza, Riforma e Rivoluzione avevano obiettivi precisi associati alla struttura del capitalismo e della nazione. Ma ora, a differenza di quelle, non è stato spiegato quale sia il punto di arrivo di questa quarta trasformazione, né le sue forze trainanti ed i suoi dirigenti, né il suo programma.

Le rivoluzioni di Indipendenza, Riforma e Rivoluzione diedero vita a nuove costituzioni. López Obrador ha rifiutato l’ipotesi di convocare una nuova costituente. Inoltre, ha annunciato che non promuoverà cambiamenti della Magna Carta durante i primi tre anni del suo governo.

Come si può rifondare una nazione e stabilire legalmente un nuovo patto sociale senza una nuova Costituzione? Lottando contro la corruzione? Ovviamente è molto importante moralizzare la vita pubblica del paese. Ma, sebbene la lotta alla corruzione sia una condizione necessaria per inaugurare una nuova fase nella vita pubblica del paese, non è sufficiente.

Per il presidente eletto, la corruzione è il problema principale del paese. Secondo lui, la disuguaglianza è legata alla corruzione della “mafia” che governa e non allo sfruttamento del padrone sul lavoratore. Dal suo punto di vista, quelli che parlano di sfruttamento sono in errore perché “in Messico queste leggi non si applicano”.

Nel nostro paese, dice Enrique Semo, l’era delle rivoluzioni borghesi si è chiusa nel 1940. Nessun grande movimento sociale di trasformazione può avere come segno lo sviluppo del capitalismo o la costituzione della nazione. Ciò significa che una quarta trasformazione come quella annunciata da López Obrador richiederebbe una rottura con il modello di sviluppo attuale. Ma non ci sono segnali che qualcosa di simile succederà.

In diversi momenti, López Obrador ha dichiarato che intende smantellare il potere dell’oligarchia per stabilire il potere della Repubblica; separare il potere pubblico dal potere privato, il potere economico del potere politico.

Una concezione di questa natura presuppone una visione bonapartista della politica: ergersi al di sopra delle classi sociali per governare al di fuori di esse. La Repubblica non esiste a margine delle classi sociali.

  1. Quale Messico trova il nuovo governo? In quale tappa storica viviamo?

Come succede nei primi momenti che seguono dopo un improvviso incidente stradale su una superstrada in cui sono coinvolte molte macchine, è difficile sapere con precisione dove si sta dirigendo il Messico in questo momento. Molti eventi di segno opposto stanno accadendo contemporaneamente. Situazioni di segno opposto si scontrano tra loro. Nello stesso tempo, López Obrador sta definendo un suo margine di autonomia con il potere economico egemone, favorendo nuovi gruppi di imprese attraverso le grandi opere, lottando contro la corruzione e promuovendo megaprogetti e riforme simili a quelle che i governi del PRI e il PAN hanno cercato di fare ma senza successo.

AMLO riceve un paese devastato dal punto di vista economico, ambientale e sociale, con una grave crisi dei diritti umani e un’ondata di violenza inarrestabile. Un paese con istituzioni sequestrate dal narcotraffico.Viviamo in un momento di scontro, all’interno del nuovo governo, nel quale si contrapporranno i desideri e la volontà di cambio di milioni di cittadini che hanno votato per Lopez Obrador con la rete di interessi che il candidato ha accettato prima e durante la campagna per vincere.

Uno scontro tra la pretesa del capitale transnazionale di arrivare, attraverso una amministrazione progressista, a progetti e politiche che non è stato possibile fare con i governi del PAN e del PRI, e la resistenza di settori subalterni che saranno colpiti da questi progetti.

  1. Che tipo di sinistra rappresenta il governo di Andrés Manuel López Obrador? 

Alfonso Romo, futuro capo dell’Ufficio di presidenza di AMLO e coordinatore del suo piano di governo, ha dichiarato alla giornalista Martha Anaya: “Il paese ci sta dando un mandato di centro. È un piano di governo di centro che tiene conto di chi è stato dimenticato. L’importante è far uscire il Messico dalla povertà “.

Questo piano di governo di centro di cui parla l’uomo d’affari può modificare alcuni pezzi dell’attuale modello economico, ma non cammina nella direzione della rifondazione della Repubblica da sinistra. Secondo lo stesso Romo, si tratta di trasformare il Messico in un paradiso per gli investimenti privati, e il sud-est del paese in una grande Zona Economica E-speciale (ZEE).

Con il nuovo governo non è in gioco il cambiamento del modello economico; non è all’ordine del giorno la fine del modello neoliberale in Messico. L’opzione di spostarsi verso una strada diversa dal Consenso di Washington non è alle porte.

Non lo è, per due diversi motivi. Primo, perché, nonostante la retorica, López Obrador non tiene in conto la necessità di percorrere una via post-neoliberista. Il suo programma governativo non propone questa alternativa. Secondo, perché dal 1994-1996 è stata approvata una serie di paletti legali che proteggono giuridicamente il percorso tecnocratico.

Il Progetto alternativo di paese, coordinato da Alfonso Romo, sostiene che lo Stato deve essere recuperato democraticamente e trasformato nel promotore dello sviluppo politico, economico e sociale del paese. Afferma che le persone saranno consultate sul mantenere o cancellare le riforme strutturali. Annuncia che il bilancio sarà veramente pubblico e verrà data la preferenza ai poveri.

Insiste sulla centralità della lotta alla corruzione Ma non parla esplicitamente – come ha fatto in passato – di limare le spine più aguzze del riccio neoliberista.

Tuttavia, sebbene non vi sia una rottura fondamentale con il modello di sviluppo seguito finora, ciò non significa che il suo progetto sia semplicemente in continuità con quello attuale. Certamente ci sono dei cambiamenti. Dove sono? Nella revisione dei contratti per le opere pubbliche e le concessioni governative, che sono, secondo Lorenzo Meyer, il cuore della politica. Soprattutto quelli della costruzione del Nuovo Aeroporto Internazionale di Città del Messico (NAICM) e quelli delle concessioni per lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi.

La proposta di AMLO si è concentrata sulla lotta alla corruzione. Per lui è sempre stata fondamentale. Nella sua concezione, le grandi fortune e le disuguaglianze in Messico non derivano dallo sfruttamento, ma dalla corruzione sotto la protezione del potere pubblico. E, secondo lui, nella lotta contro questo male (e nell’abolizione dei privilegi dei dipendenti pubblici), c’è la chiave per promuovere lo sviluppo. Per fare ciò, non ci sarà bisogno di aumenti delle tasse, dell’indebitamento del paese o dell’aumento dei prezzi degli idrocarburi. Un governo che non riconosce la realtà dello sfruttamento difficilmente può essere classificato come di sinistra.

Di volta in volta, Alfonso Romo ha dato garanzie agli investitori che i loro interessi non saranno danneggiati. Tuttavia, una parte di questi si scontrano frontalmente con quelli delle comunità rurali e delle popolazioni indigene. Questo è il caso, ad esempio, delle concessioni minerarie o dei progetti energetici. Anche con l’annunciato di costruire una ferrovia nell’Istmo di Tehuantepec, con il Treno Maya o con l’intenzione di promuovere le piantagioni forestali. Lo scontro tra queste due logiche è incombente e le previsioni sono sconosciute.

  1. Cosa o chi è la nuova opposizione?

Il vento che ha portato López Obrador alla presidenza ha smantellato il sistema partitico come era esistito fino ad ora. Non è finita la partitocrazia (i partiti continuano ad avere il monopolio della rappresentanza politica), ma ha colpito con forza il PRI e il PAN, il PRD e il PVEM sono quasi spariti e ha cancellato dalla mappa Nuova Alleanza.

L’opposizione politica al nuovo governo non verrà, essenzialmente, dai partiti politici. Non hanno né il Senato né la Camera dei Deputati, né la forza né la consistenza per farlo. PRI e PAN sono spaccati. Lo erano già prima delle ultime elezioni, ma ora la loro spaccatura è maggiore. La lotta per vedere chi resta con loro è alla morte.

Al momento, chi controlla il tricolore è Osorio Chong, ma se lo contendono due gruppi: Luis Videgaray e Aurelio Nuño (responsabile diretto della sconfitta) ed Emilio Gamboa e Manlio Fabio Beltrones. In effetti, la rimozione di Zamora dalla CNOP (Confederación Nacional de Organizaciones Populares) fu perché il sonorense arrivavasse lì. Tuttavia, questo non è successo. D’altra parte, il governatore di Campeche, Alejandro Moreno, gioca la carta di essere lui a raggiungere la leadership del partito, scommettendo sul diventare un attore chiave nella costruzione lopezobradorista di un blocco di potere nel sud-est.

La rottura del PAN è già un dato di fatto. Felipe Calderón è fuori e scommette sulla costruzione di un nuovo partito, replicando l’esperienza di Morena. Un settore di imprenditori sembra aver già scommesso chiaramente per rafforzare la leadership di Marko Cortés.

Di fronte al crollo del PAN e la balcanizzazione e distruzione del PRI, la società civile sponsorizzata e auspicata da Claudio X. Gonzalez e soci, che è stata rinforzata per le elezioni di luglio (la rete dei Messicani contro la corruzione), insieme ad alcuni mezzi di comunicazione (con Reforma come punta avanzata) aspira a diventare la nuova opposizione di destra al nuovo governo.

L’altra opposizione è a sinistra di AMLO. E si colloca nel mondo indigeno e nello zapatismo.

Solo pochi giorni dopo aver annunciato la cancellazione di NAIM, Lopez Obrador ha annunciato la realizzazione di una nuova consultazione sul Treno Maya, la costruzione di un canale secco nell’istmo di Tehuantepec, una nuova raffineria nello stato di Tabasco e l’applicazione di 10 programmi sociali.

Il Treno Maya è un servizio di trasporto ferroviario che attraverserà la penisola dello Yucatan. Le sue stazioni saranno distribuite su 1.500 chilometri, assomigliando alla forma di un aquilone. Sarà accompagnato dal trasferimento della popolazione e dalla creazione di nuovi centri urbani. Il suo obiettivo è quello di rendere la regione Maya un corridoio di sviluppo che, sebbene non sia riconosciuto come tale, in realtà funzionerà come una Zona Economica Speciale (ZEE). Una ZEE è un’enclave in cui il quadro normativo in cui le società devono operare (ad esempio, il pagamento delle imposte o il rispetto degli obblighi amministrativi) è ridotto al minimo in relazione a quello esistente nel resto del paese.

Il canale Transístmico mira a promuovere lo sviluppo regionale attraverso la costruzione di un canale secco che colleghi il Golfo del Messico con l’Oceano Pacifico, collegando i porti di Coatzacoalcos, nello Stato di Veracruz e Salina Cruz, nello Stato di Oaxaca. Prevede anche una zona franca e di essere parte delle ZEE. La sua realizzazione è stata un sogno fallito negli ultimi 51 anni.

Sia il Treno maya che il Transístmico saranno costruiti nei territori indigeni. Quello della penisola dello Yucatan in una regione maya. Il progetto di Tehuantepec in un territorio abitato di 12 popoli indigeni, che vivono in 539 comunità: chinantecos, chochocos, chontales, huaves, mazatecos, mixtecos, mixes, zapotecos, nahuatlacos, popolucas e zoques.

La Convenzione 169 dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro, firmata dal Messico, richiede che per lavori di questo tipo venga organizzata una Consultazione libera, preventiva e informata con le comunità indigene, affinché possano decidere la loro posizione. Questa consultazione, diversa da quella che AMLO ha convocato per i cittadini, non è stata effettuata. Nonostante questo, il presidente eletto ha già annunciato che i lavori del Tren Maya inizieranno il 16 settembre.

Questi popoli hanno resistito ancestralmente ai progetti di modernizzazione che cercano di privarli delle loro terre, territori e risorse naturali attraverso le mani del progresso. Al di là della volontà di trasformazione e lotta alla corruzione, il corridoio transísmico, l’estensione delle ZEE annunciano l’imminente scontro di questi progetti con le popolazioni indigene.

Questo conflitto è stato annunciato nella Seconda Assemblea Nazionale del Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo – Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale -, tenuta dall’11 al 14 ottobre a San Cristóbal de las Casas. In questa occasione è stato sottolineato dai partecipanti che il prossimo governo AMLO, “con le sue pratiche corrotte, ha i suoi occhi puntati sui nostri territori”.

I partecipanti hanno denunciato che con la ratifica dell’Accordo di Libero Scambio con gli Stati Uniti il prossimo governo continuerà la politica neoliberista che danneggia i popoli indigeni del paese e che anche i 50 mila giovani reclutati nei ranghi delle forze armate, come proposto da AMLO, serviranno alla repressione e all’espropriazione. Hanno affermato: “Non abbiamo che da difendere la vita, con o senza le bugie del governo che va via o del governo che arriva, perché le parole sono inutili quando si minacciano i popoli”.

I conflitti aumenteranno ancora di più perché lo scorso 23 ottobre, il senatore Ricardo Monreal ha presentato un’iniziativa di riforma che propone l’abrogazione dell’attuale Legge Agraria e l’emissione di una Legge per lo Sviluppo Agricolo. Il suo obiettivo principale è quello di rafforzare i meccanismi per la privatizzazione delle terre ejidal e comunali (contadine e indigene) e la distruzione della proprietà sociale. Si tratta di un’altra riforma strutturale neoliberale che mette la produzione di idrocarburi, di energia elettrica e l’estrazione mineraria al primo posto di ogni cosa rafforzando il ruolo della terra come merce.

Sembra che quello che l’amministrazione di López Obrador vuole fare sia portare a compimento una serie di riforme neoliberiste che i governi PRI e PAN non sono riusciti a portare a buon fine.

  1. In America Latina il nuovo governo è visto come una speranza per la sinistra. Cosa attende il Messico come leader regionale?

Iniziamo dall’inizio. Davvero in America Latina il nuovo governo è visto come una speranza per la sinistra? Sembra davvero così o alcune forze hanno bisogno di vederlo in questo modo? In effetti, non sono pochi gli analisti regionali di sinistra che salutano pubblicamente il trionfo di AMLO come un segnale positivo per l’America Latina, ma in privato sono molto più scettici sulla sua vocazione trasformatrice.

Perché questo atteggiamento? Il ciclo progressista in America Latina è in riflusso. I processi di integrazione regionale sono in declino. L’offensiva americana nel continente contro i governi di centro-sinistra, che è iniziata dopo il colpo di stato in Honduras nel 2009 (nel mezzo dell’amministrazione Obama), sta andando avanti in modo schiacciante. Presentare il trionfo di Lopez Obrador come una grande vittoria della sinistra continentale è in parte una trovata pubblicitaria per creare l’illusione che il declino delle forze progressive nella regione non sia così pronunciato come realmente è.

E ora passiamo alla domanda. No, il Messico non è un leader regionale in America Latina. Ha smesso di esserlo molto tempo fa. La sua diplomazia nella regione va di pari passo con gli interessi di Washington. Basta vedere la sua partecipazione al Gruppo di Lima e il modo in cui ha gestito la questione venezuelana.

Anche se la diplomazia di AMLO sarà diversa da quella fatta dopo la presidenza di Ernesto Zedillo, non c’è nulla che suggerisca che il futuro governo riconquisterà quella leadership nella regione. Marcelo Ebrard ha già detto che il Messico continuerà nel Gruppo di Lima e che il libero commercio sarà l’asse delle relazioni tra il paese e l’America Latina. Anche se si è sostenuto che la politica estera del governo coprirà più territori e non solo un rapporto bilaterale con gli Stati Uniti, nei fatti la prima priorità della diplomazia messicana continua a essere il rapporto di questo paese con gli Stati Uniti.

È stato annunciato che la politica estera del Messico sarà guidata dai principi stabiliti nell’articolo 89 della Costituzione. Una politica basata sul rispetto, l’amicizia, la pace e la cooperazione tra i popoli e i governi del mondo. Probabilmente ci sarà un atteggiamento di distensione nei confronti del Venezuela e un approccio con Cuba, ma non si vede una politica più attiva nella regione.

  1. Come sarà la relazione con il governo di Donald Trump?

Durante tutta la campagna presidenziale, diversi nemici di AMLO lo hanno accusato di essere il Donald Trump messicano. Non era un complimento, ma un modo di colpirlo politicamente. Inaspettatamente, settimane dopo, attraverso una lettera, il futuro presidente messicano ha ammesso che ci sono importanti somiglianze tra i due.

Nell’ultimo paragrafo della lettera inviata al Presidente degli Stati Uniti, AMLO individua dei parallelismi con lui e dice: “Sono incoraggiato dal fatto che entrambi sabbiamo compiere ciò che diciamo ed abbiamo affrontato le avversità con successo. Siamo riusciti a mettere al centro i nostri elettori e cittadini per togliere di mezzo l’establishment o il regime predominante “.

La dichiarazione sorprende. Trump ha offeso il Messico e i messicani. Ha attaccato e perseguitato i connazionali che vivono negli Stati Uniti. Ha imposto, nel mezzo di una rinegoziazione dell’Accordo di Libero Scambio Nordamericano (NAFTA), dazi doganali sulle esportazioni messicane. Invece di un cambio di paradigma nelle relazioni estere, il fatto che il prossimo presidente messicano si omologa con il presidente degli Stati Uniti è un errore.

Qual è la necessità di trovare somiglianze con lui? Su quale principio di politica estera si basa una mossa come questa? Cosa guadagna la diplomazia messicana accomunando il suo presidente eletto a uno dei politici più detestati del mondo? Non si tratta di attaccare il newyorkese da parte del tabasqueño o di dirgli cose che mettono in pericolo il futuro della relazione tra i due paesi. Niente di tutto ciò. Ma di mantenere una sana distanza. Se invece della sua firma quelle parole portassero quella di qualsiasi altro politico messicano, ci sarebbe stato un vero scandalo.

La lettera di AMLO a Donald Trump è molto più di un semplice saluto al vicino del nord, la manifestazione della volontà di mantenere cordiali relazioni bilaterali o di un’agenda di questioni da affrontare insieme. È anche un insolito rapporto unilaterale delle misure che il governo prenderà per fermare la migrazione negli Stati Uniti. Ci saranno molti cambiamenti, signor Presidente Trump, scrive il tabasqueño.

L’obiettivo esplicito delle misure comunicate a Trump è che i messicani non debbano migrare a causa della povertà o della violenza, cercando invece di raggiungere il benessere e il lavoro nei loro luoghi di origine. Si cerca di promuovere una serie politiche per l’occupazione che rallentino lo spostamento della forza lavoro negli Stati Uniti.

Tra le azioni che si propone di intraprendere è la piantumazione di un milione di ettari di alberi da frutto e da legname nel sud-est del paese, per creare 400 mila posti di lavoro. Inoltre, si prevede l’avviamento del corridoio economico nell’Istmo di Tehuantepec.

Inoltre, si sposteranno le dogane messicane più a sud, di 20 o 30 chilometri, e le tasse raccolte nell’area di confine saranno ridotte della metà. Allo stesso modo, verrà stabilita una fascia di zona libera lungo i 3 mila 185 chilometri di confine. “Questa sarà – dice la lettera – l’ultima barriera per mantenere i lavoratori all’interno del nostro territorio”.

L’atteggiamento sorprendente nei confronti Donald Trump ha la sua controparte nell’annuncio che, a partire da oggi, la diplomazia messicana si inspirerà al principio del rispetto per l’autodeterminazione dei popoli e dalla non ingerenza negli affari interni. Al suo insediamento ha invitato tutti i presidenti con i quali il Messico ha relazioni diplomatiche, incluso il presidente della Repubblica Bolivariana del Venezuela, Nicolás Madura. Queste misure contrastano con la subordinazione quasi assoluta che la diplomazia messicana ha avuto negli ultimi anni ai dettami di Washington.

  1. Cosa succederà al sistema dei partiti in Messico? Morena diventerà il nuovo PRI?

Apertamente o di nascosto, molti importanti settori del PRI hanno sostenuto López Obrador in tutto il paese durante la sua campagna elettorale. Costretti ad unirsi a candidati e dirigenti che non erano del loro partito, esclusi dalla candidatura, privi dei mezzi per fare proselitismo e maltrattati dalla squadra che conduceva la campagna elettorale di Jose Antonio Meade, molti “tricolores” hanno votato per Morena.

La tecnoburocrazia dell’ITAM (Instituto Tecnológico Autónomo de México) li ha privati ​​del governo, del partito e delle cariche elettive. Non hanno ricevuto mai gli aiuti per far vincere le loro compagini. Si sono vendicati unendosi alle file dell’amloismo.

L’appoggio non è stato gratis. Gli accordi presi si possono vedere nella composizione del potere legislativo e nel futuro gabinetto. La loro cultura politica permea le loro manovre politiche. È particolarmente notevole l’enorme quantità di figure di rilievo provenienti dallo zedillismo, una corrente politica che ha come principio, come diceva Baudalaire del diavolo, il farci credere che non esiste. L’ex presidente, si ricorderà, ha avuto con López Obrador una intensa sintonia politica quando era un leader nazionale del PRD e responsabile dell’avvento degli Accordi di Barcellona.

López Obrador è impegnato a costruire un nuovo rapporto con i settori popolari sulla base dei programmi di studio e dei suoi programmi di aiuti finanziari. Ha deciso di mettere da parte i tradizionali gestori di queste richieste (che giudica essere dei corrotti) e stabilire un rapporto diretto con la popolazione, a partire dalla revoca di un elenco di precedenti beneficiari. Questo è il vecchio piano Pronasol di Carlos Salinas reso realtà, solo che ora è fatto senza promuovere il tessuto associativo che invece aveva preso forma nei comitati di solidarietà.

Se questa iniziativa avrà successo, le organizzazioni contadine tradizionali, le associazioni popolari urbane e il Partido del Trabajo, che costruiscono le loro basi sociali dalla gestione della domanda popolare, si troveranno in una brutta situazione.

È interessante notare che il principale responsabile di questi programmi e il coordinamento con i funzionari statali è in capo a Gabriel Hernández, Segretario di Organizzazione di Morena.

Curiosa ironia, ogni volta che un’élite ha cercato di riformare radicalmente il paese dall’alto contro quelli del basso, il paese reale ha finito con il far pagare il prezzo ai modernizzatori e fatto deragliare le loro riforme.

Ciò accadde quando il Messico era ancora la Nuova Spagna, con le riforme borboniche che portarono alla Rivoluzione dell’Indipendenza; questo è accaduto con la modernizzazione e la pace sociale porfirista, sbaragliata dalla Rivoluzione Messicana, e così è accaduto con la riforma dell’articolo 27 della Costituzione (che ha messo sul mercato le terre indigene e contadine) e la firma del North American Free Trade Agreement (NAFTA) durante l’amministrazione di Carlos Salinas de Gortari, duramente contestate dalla rivolta zapatista del gennaio 1994. Niente assicura che questa volta con la “Quarta Trasformazione” e la sua pretesa di rifondare la nazione dall’alto questo non possa accadere di nuovo.

6 dicembre 2018

Testo originale: https://horizontal.mx/el-deseo-de-cambio-de-millones-se-confrontara-con-la-red-de-intereses-acordados-por-lopez-obrador/

Traduzione Cooperazione Rebelde Napoli https://yabastanapoli.blogspot.com/2018/12/messico-il-desiderio-di-cambiare.html?fbclid=IwAR1kbBuene50pGs2qEYdyayDhsiT8d9Tafk2QjIsA48CMDYAqz2qUPK3bPI

 

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@lhan55 Il dolore di Acteal

Luis Hernández Navarro

Una giovane donna tiene in mano la fotografia di una bambina di sei anni in una cornice di legno. È il ritratto di Silvia Pérez Luna. In basso si possono vedere le sue date di nascita e di morte: 1991-1997.

Silvia è stata una delle 45 persone assassinate selvaggiamente dai paramilitari ad Acteal, Chiapas, il 22 dicembre 1997. Le vittime, 7 uomini, 21 donne e 15 bambini, uno di questi ancora non aveva un anno, stavano pregando per la pace in una piccola cappella. Gli omicidi finirono i feriti ed aprirono il ventre alle donne incinta.

L’immagine del ritratto di Silvia portato da un suo familiare è parte della protesta dei familiari dei martiri di Acteal (vittime loro stessi), appartenenti all’organizzazione della società civile Las Abejas, lo scorso 8 dicembre. Quel giorno, a Tuxtla Gutiérrez, si insediava il nuovo governatore del Chiapas, Rutilio Escandón.

Quel giorno, come fanno da quasi 21 anni, hanno denunciato che Acteal è un crimine di lesa umanità perpetrato dallo Stato messicano, per cui non c’è stata giustizia, i responsabili dei fatti non sono stati puniti e non si è fatta luce sulla verità. Hanno ricordato, inoltre, come, una vergogna del paese, il 12 agosto 2009 la Corte Suprema di Giustizia della Nazione avesse ritenuto più importante impugnare una sentenza accademica che difendere la giustizia ordinando la liberazione di 29 paramilitari detenuti e condannati.

In coincidenza col 21° anniversario del massacro, è stato pubblicato un opportuno e commovente libro: El dolor de Acteal. Una revisione storica, 1997-2014, scritto dall’esperta in questioni religiose Mónica Uribe M.

Nonostante sia un’opera che utilizza con rigore gli strumenti della sociologia della religione, la storia, l’antropologia e la scienza politica, la sua lettura suscita un forte impatto emotivo. Il dolore, l’indignazione, la rabbia, l’angoscia, l’orrore che genera si riassumono nella sua copertina: una riproduzione del Grido, del pittore Edvard Munch.

Per analizzare quanto successo ad Acteal, Mónica Uribe ricorre a fonti documentali quasi sconosciute o solo parzialmente utilizzate.Tra altre, si trovano la denuncia civile che un gruppo di 11 vittime presentò (contro l’opinione di Las Abejas) ad una corte degli Stati Uniti contro l’ex presidente Ernesto Zedillo. Lo si accusava di responsabilità di comando, per aver ordinato, partecipato e cospirato in associazione delittuosa per eseguire il massacro di Acteal e per il suo successivo insabbiamento.

Il libro approfondisce le pagine del Rapporto della procura specializzata in reati commessi nell’applicazione ed amministrazione della giustizia nello stato e nel villaggio di Acteal. Lì è inclusa la dichiarazione rilasciata da uno dei principali attori della tragedia, l’allora segretario di Governo, Emilio Chuayffet. Nelle sue risposte, il funzionario conferma chiaramente che Ernesto Zedillo sapeva, da un anno prima, dell’imminente violenza, tanto per vie istituzionali del governo che dalla stampa nazionale, oltre al fatto che gli attori del conflitto chiapaneco lo avevano avvicinato per informarlo ed avvertirlo sulle possibili conseguenze della situazione.

Nel rapporto c’è una conversazione telefonica di Chuayffet in cui, secondo il documento, risulta evidente la corresponsabilità e trattative segrete sui fatti di Liébano Sáenz, segretario personale del presidente Zedillo.

El dolor de Acteal include un’intervista realizzata poco più di un anno fa con Alejandro Vázquez che, nei giorni del massacro, era sergente in secondo archivista, appartenente allo Stato Maggiore della Difesa Nazionale, e lavorava direttamente per il capo degli assistenti del segretario della Difesa, Enrique Cervantes Aguirre. Secondo la sua testimonianza, il generale segretario inusitatamente lavorò la domenica del 21 dicembre 1997. Quel giorno era occupato con le comunicazioni del Chiapas e le istruzioni della Presidenza, attraverso il telefono rosso. Egli era il responsabile di alzare la cornetta e rispondere alla chiamata.

Secondo il tenente Vázquez, gli fu detto di stare in silenzio e lavorare anche il giorno dopo. Ad Acteal – assicura – partecipò personale della Brigata di Polizia Militare e personale dei servizi logistici provenienti da diverse zone militari, non del Chiapas, in abiti borghesi ed i cui precedenti nell’Esercito erano negativi.

A partire da una copiosa documentazione, El dolor de Acteal mette allo scoperto le manovre informative di vari intellettuali e di Hugo Eric Flores (il dirigente di Encuentro Social) per elaborare una narrazione dei fatti conveniente al potere, esclude che il massacro abbia avuto una matrice religiosa e conclude che Ernesto Zedillo è il responsabile ultimo dei fatti di Acteal.

I sopravvissuti del massacro di Chenalhó chiedono al nuovo presidente che li ascolti, come fece con i familiari dei 43 desaparecidos di Ayotzinapa. A 21 anni, Acteal aspetta giustizia.

Twitter: @lhan55

Testo originale: https://www.jornada.com.mx/2018/12/11/opinion/016a2pol#

 

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@lhan55 Bastone di comando e neoindigenismo

Luis Hernández Navarro 

L’insediamento di Andrés Manuel López Obrador come Presidente è stato, nello stesso tempo, rituale repubblicano e spettacolo. Le messe in scena sono state molte e prolungate. Ne cito alcune: giuramento in San Lázaro; conferimento del bastone di comando indigeno; occupazione cittadina de Los Pinos; pranzo con mandatari; trasferimenti con una modesta auto Jetta bianca; intrattenimento con un ciclista e spettacolo musicale.

Migliaia di persone hanno partecipato alle diverse cerimonie e feste. Con animo gioioso sono diventate attori di una data storica: l’avvio di quello che è stato battezzato come la Quarta Trasformazione. Hanno occupato strade e piazze pubbliche di Città del Messico non per protestare, ma per festeggiare.

Tra le tante cerimonie, una risalta: la consegna al nuovo Presidente da parte di dirigenti indigeni di un bastone di comando, in una cerimonia sui generis (inventata per l’occasione), con invocazioni ai quattro punti cardinali, amuleti, preghiere e copal.

Andrés Manuel López Obrador non è il primo presidente a ricevere il bastone di comando. Come ha ricordato Harim B. Gutiérrez, l’uso politico di questo atto è un’abitudine delle campagne elettorali della seconda metà del XX° secolo. Il candidato del PRI alla presidenza Adolfo López Mateos lo ricevette nel 1957 a Guelatao, Oaxaca. Anche alcuni presidenti in carica. A José López Portillo fu concesso a Temoaya, nel 1978. Si tratta di uno scambio di favori politici: i candidati e mandatari ottengono legittimità e le comunità la possibilità di ottenere opere e risorse. Da allora, il patto si è ripetuto con i candidati e capi dell’Esecutivo di turno.

Tuttavia, in questa occasione, la consegna del bastone ha avuto un altro scenario ed un’altra trama: lo Zócalo della capitale, a nome di una rappresentanza dei 68 popoli indigeni del Messico, coordinata dall’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni (INPI).

Il virus è nell’aria de è contagioso. Così come Claudio X. González e la sua rete di ONG pretendono di parlare a nome della società civile, alcuni leader indigeni legati al nuovo governo si presentano come i rappresentanti di tutti i popoli originari.

Ovviamente chi ha dato al nuovo Presidente il bastone di comando non rappresenta l’insieme degli indigeni del Messico. Rappresentano se stessi e, in alcuni casi, le loro comunità ed organizzazioni. Non parlano per l’insieme del movimento, ma per una corrente di questo che cerca uno spazio in seno all’INPI. Senza andare troppo lontano, il Congresso Nazionale Indigeno, l’articolazione più importante del mondo indio, non ha partecipato a questa cerimonia.

L’idea stessa di un solo bastone di comando che rappresenti l’insieme dei popoli indigeni del paese è stata criticata da molti intellettuali indio ed autorità comunitarie. È un’invenzione. I bastoni sono simboli di autorità di ogni comunità, tribù o nazione.

Jaime Martínez Luna, uno dei più brillanti intellettuali zapotechi, insieme ad altri creatore del concetto di comunalidad, ha scritto sulla cerimonia (che ha definito una performance) di investitura dello Zócalo: Chi lo ha consegnato al nuovo Presidente della nazione in questa occasione non rappresenta nessuno. Lui lo sa, e lo sa il Presidente. Lo sappiamo noi che guardiamo un rituale inesistente in termini reali, per una nazione inesistente.

Tra coloro che hanno partecipato al rito per l’occasione ci sono distinti attivisti sociali. Il lavoro di Carmen Santiago e della sua organizzazione Flor y Canto a Oaxaca sono esemplari. Ma molti altri dei partecipanti sono parte di un settore di professionisti della rappresentanza indigena nelle istituzioni governative che, dal 2000, sono alla caccia di poltrone e risorse. Ed insieme a lotte emergenti, come quella di Oxchuc, in Chiapas, o Ayutla, in Guerrero, puntano a diventare gli interlocutori dei popoli originari nella Quarta Trasformazione.

La cerimonia di investitura nello Zócalo ha posto il mondo indio al centro dell’attenzione pubblica. Questo, che doveva essere un grande avvenimento, ha finito per perdere la sua essenza perché si è svolto in maniera folcloristica. Si è trivializzata la cultura e la spiritualità dei popoli originari, aggiogandola al potere. Non ne aveva bisogno il nuovo presidente che, fin dai suoi primi passi nella politica indigenista nella Chontalpa, ha una profonda conoscenza della dinamica statale della situazione in cui vivono le comunità. Perché allora metterla in scena?

La cerimonia si può comprendere solo nella logica del neoindigenismo che accompagna e giustifica l’avvio di grandi megaprogetti nei territori dei popoli originari. Benché non lo si ammetta, per la nuova amministrazione gli indigeni sono oggetto di politiche di lotta alla povertà, non soggetti di diritto, in particolare quello della libera determinazione. Per averne conferma basta vedere il modo in cui si è costituito e conservato e istituito l’INPI, l‘iniziativa di legge Monreal per lo sviluppo agrario o il silenzio sul compimento degli accordi di San Andrés. https://www.jornada.com.mx/2018/12/04/opinion/019a1pol#

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El saldo negativo de los gobiernos “progresistas” en América Latina y la llegada de AMLO a la presidencia de México, una revisión de Raúl Zibechi

Gloria Muñoz Ramírez

29 noviembre 2018

Ciudad de México | Desinformémonos. Los gobiernos progresistas en América Latina “han resultado en una regresión y para los pueblos indígenas han significado una doble o triple regresión, porque se les ha folklorizado. Hoy hay hombres de sombrero y mujeres de pollera en el parlamento, pero folklorizados, no representando políticamente a sus pueblos. Es una política de despojo que los fuerza a desplazarse. Y en esto no hay ninguna diferencia entre los gobiernos progresistas y los gobiernos de derecha y conservadores, como el de Perú o el de Colombia. La actitud anti-indígena es una constante en ambos casos”, advierte Raúl Zibechi, periodista uruguayo, escritor y acompañante desde hace más de 30 años de diversos movimientos sociales del continente.

“El saldo de los gobiernos progresistas en América Latina es negativo”, sentencia Zibechi en entrevista con Desinformémonos, luego de participar en una serie de encuentros con movimientos sociales e indígenas de Chiapas y Oaxaca, durante una breve gira por México en la que presentó su más reciente libro: Los desbordes desde abajo (Ediciones Bajo Tierra, 2018).

De la llegada de Andrés Manuel López Obrador a la presidencia de México, Zibechi señala que no representa ningún cambio para la región. Y sus consultas, opina, “son mecanismos de desarticulación de la protesta”. Habrá resistencia, dice, “pues las luchas no van a desaparecer porque haya un gobierno que sonría”.

La desarticulación de los movimientos sociales, la inclusión de cuadros de abajo en el nuevo gobierno, la imposición de proyectos extractivistas, el aislamiento de los críticos, la polarización de la prensa, el rol de Estados Unidos, entre otros, son los temas de esta entrevista.

– ¿Cuál es el saldo de los gobiernos progresistas en América Latina?

– El saldo de los gobiernos progresistas en América Latina es negativo. El saldo es Bolsonaro, el saldo es Macri, es una Venezuela destruida. El saldo es Daniel Ortega, genocida, violador. Como dijo Chico de Oliveira en Brasil, fundador del Partido del Trabajo de los Trabajadores, “el lulismo fue una regresión política”.

Y cuando decimos esto no hablamos de esos millones que salieron de la pobreza pero que ahora volvieron, no hablamos de algunas cuestiones interesantes que se hicieron interesantes, como las cuotas para las personas negras en las universidades brasileñas. Hablamos de que destruyeron la potencia emancipatoria de los pueblos porque dispersaron a los movimientos sociales, se llevaron a los dirigentes a los ministerios, se corrompieron.

No hay país con gobierno progresista en el que no haya habido casos de corrupción. El que fue vicepresidente de mi país, Uruguay, que tiene un apellido noble, Raúl Sendic, debió renunciar a la vicepresidencia por un caso de corrupción. En Argentina tiraban bolsos llenos de dinero adentro de un convento para eludir el tema de la apropiación indebida que hubo.

El saldo es negativo, pero eso no quiere decir que no comprenda a la gente que los votó, que los apoyó y que los sigue apoyando, porque frente a eso está una derecha espantosa. Pero en resumidas cuentas el saldo es negativo.

– En concreto, ¿cuál es el saldo en el ámbito económico?

– En lo económico no hubo reforma agraria, pero no hubo una reforma del sistema impositivo. No hubo reformas estructurales. Hubo una mayor renta a los sectores populares, pero esa renta fue bancarizada, financierizada, y entonces consiguieron, a través de las políticas sociales, que la gente tuviera un poco más de dinero, pero tiene además un cartoncito como el de las tarjeta de crédito o débito, que necesitan para poder sacar el dinero de las políticas sociales del banco y con eso van a los las malls o de shopping a comprar televisiones de plasma, motos, coches. Es una integración a través del consumo.

Durante el periodo de Lula en Brasil, el sector que más lucró y que tuvo las mayores ganancias de su historia fue la banca. Entonces fue una integración de los sectores populares, pero a través del consumo, y eso despolitiza, y además enriquece a la intermediación bancaria.

– ¿Y los megaproyectos en territorios indígenas?

– El extractivismo, la soja, la expansión del agronegocio, la minería, generaron un desplazamiento o acorralamiento de los pueblos indígenas. Hay un caso en Brasil que es demencial y se llama Belo Monte, que es la represa, la tercera más grande del mundo, que desvía 100 kilómetros del río Xingú, y en esa cuenca que se vacía se van a morir de hambre o van a tener que emigrar los pescadores, los habitantes de las riberas, todas las personas que vivían del río y que son pueblos originarios. Pero además, la demarcación de las tierras indígenas no se respetó.

Por otro lado tenemos el ejemplo paradigmático que es Bolivia. En Bolivia el movimiento popular tenía cinco organizaciones que hicieron el pacto de unidad, y después de la marcha en defensa del Territorio Indígena y Parque Nacional Isiboro-Sécure (TIPNIS) en 2011, el gobierno empezó a dividir a las organizaciones.

Hay dos organizaciones, y esto fuera de Bolivia se sabe poco: el Consejo Nacional de Ayllus y Markas del Qullasuyu (Conamaq) y la Confederación de Pueblos Indígenas de Bolivia (CIDOB), dos organizaciones históricas de los pueblos indígenas, a las que Evo Morales y Álvaro García dieron sendos golpes de Estado. Mandaron a la policía, echaron a los dirigentes legítimos y atrás llegaron, protegidos por la policía, los dirigentes afines al gobierno, al Estado. Esto es un auténtico golpe de Estado y sucedió en Bolivia.

Cuando decimos que el progresismo ha resultado en una regresión, para los pueblos indígenas ha significado una doble o triple regresión, porque se les ha folklorizado. Hoy hay hombres de sombrero y mujeres de pollera en el parlamento, pero folklorizados, no representando políticamente a sus pueblos. Es una política de despojo que los fuerza a desplazarse. Y en esto no hay ninguna diferencia entre los gobiernos progresistas y los gobiernos de derecha conservadores, como el de Perú o el de Colombia. La actitud anti-indígena es una constante en ambos casos.

– Vamos al terreno de las libertades. ¿Qué pasó en estos gobiernos con la libertad de expresión y con la libertad de manifestación? ¿Se llevaron a cabo “linchamientos” a quienes, desde la izquierda, se opusieron o cuestionaron lo que estaban haciendo?

– Durante los primeros años hubo una ampliación de libertades, de manifestación, de crítica, pero a partir de la crisis de 2008 hubo un repliegue de estos gobiernos. Una vez más Brasil es un caso paradigmático porque en junio de 2013, 20 millones de jóvenes salieron a las calles en 353 ciudades durante un mes, inicialmente contra el aumento del transporte, que es muy caro en Brasil (cada desplazamiento de autobús o metro vale entre 20 y 25 pesos mexicanos), pero terminó siendo una revuelta contra la desigualdad. São Paulo es la ciudad que tiene más helipuertos y helicópteros del mundo porque la burguesía no se digna a ir en coche por la superficie.

Esa revuelta contra la desigualdad tocó los límites del progresismo, que se limitó a repartir un poquito mejor la renta salarial, pero no la renta total y no tocó las desigualdades. Cuando surgió ese movimiento hubo un repliegue del gobierno de Dilma Rousseff, del PT y de la izquierda en su conjunto, y mandaron a la policía. Por supuesto que lo que habría tenido que haber hecho un gobierno de izquierda era ponerse del lado de la gente, pero al mandar a la policía generaron un vacío político y una desmoralización tan fuerte que de eso se vino aprovechando la derecha hasta el día de hoy. El 2013 fue un parteaguas en Brasil y en toda la región. Son los movimientos, la irrupción de la gente cansada de que le tomen el pelo, de que se burlen de ella, una de las dos o tres causas principales de la crisis de los progresismos en América Latina.

– ¿Y los medios de comunicación? ¿Qué papel jugaron y juegan?

– Sobre los medios de comunicación hay varias dinámicas. Hay países donde los Estados han ido avanzando sobre los medios de comunicación, como Venezuela, clausurándolos, domesticándolos o comprándolos. El grueso de los medios de comunicación de Venezuela son estatales o pro-estatales. El otro extremo podría ser Argentina, donde hay alrededor de 200 medios de comunicación culturales, autogestionados, digitales y en papel, como Desinformémonos en México. Esos 200 medios tienen entre cinco y siete millones de lectores mensuales, en un país de 40 millones de habitantes. Se trata de medios minoritarios, pero ya no son marginales. Más aún, cuando hay un conflicto, como cuando una fábrica de Monsanto se iba a instalar en las Malvinas Argentinas, y desde Uruguay, si se quería saber lo que pasaba, entrabas a la prensa de la derecha, La Nación, Clarín, y no aparecía nada. Entrabas a la prensa de la izquierda, como Página 12, y tampoco aparecía nada. Tenías que informarte en estos medios comunitarios o alternativos.

Estos medios ya no son una minoría marginada, sino que tienen una masa crítica, y cumplen el rol de que informan a los nuestros de lo que otros no informan.

– Hemos visto que se ha dado una polarización de los medios durante estos medios. Los que están con el gobierno, en este caso progresista, y los que tiene la ultraderecha…

Sí, claro. En Brasil está pasando algo increíble, Bolsonaro hace campaña contra la Red Globo, que es la hegemónica, y contra Folha de São Paulo, que es el periódico de las élites, y se apoya en las redes sociales y en los medios de comunicación evangélicos, que son de ultraderecha. Hay una reconfiguración de los medios muy interesante, que hay que seguirla, porque incluso Bolsonaro amenazó con clausura Folha de São Paulo, que es un escándalo, es como clausurar un diario de derecha de México. Es la misma actitud que tiene Donald Trump con los medios. Pero están emergiendo otros medios, como es el caso de los evangélicos, son una fuerza política y social que merece ser estudiada a fondo, y están compitiendo ya con la Red Globo en Brasil. Por otro lado, en la mayoría de los países existen medios como los nuestros, alternativos, pero no en todos tienen fuerza.

– Hay otros medios, que no son alternativos ni marginales, sino grandes medios de izquierda, o críticos al poder, bien colocados en sus países, como Brecha en Uruguay, o Página 12 en Argentina. ¿Qué papel juegan con los gobiernos progresistas?

– Debo decir que Brecha fue crítico antes de la llegada de los gobiernos y durante los gobiernos progresistas. Siempre hemos sido un periódico crítico. Página 12, en cambio, se hizo kirchnerista y dependió hasta hoy de recursos bajados por el Estado. Todo lo malo tiene una parte buena, y acá en México lo van a vivir. La parte mala es que los progresistas nos destruyen o nos crean muchos problemas. La parte buena es que el escenario se clarifica, ya no quedan lugares para las medias tintas, estás o no con el Estado. Cuando estás con el Estado la excusa es q ue ahora lo gobierna la izquierda, pero estás con el Estado, eso es lo principal. Y los que se mantienen en su trabajo de autonomía, de trabajo por fuera de las instituciones.

Página 12 claudicó, en los 90 fue un diario bien importante no sólo en Argentina, tenía una estética particular y un impacto con tapas de página muy potentes. Por otro lado, hay otros medios que se han mantenido fieles a su trayectoria. Yo no quiero exagerar, pero diría que Brecha, en Suadamérica, es de los pocos que ha atravesado el progresismo con muchas dificultades económicas. No vivimos de Brecha, estamos mal económicamente, pero mantuvimos la dignidad y una posición independiente, aunque hay matices. Hay algunos periodistas dentro más afines al gobierno, pero siempre críticos.

– ¿Y cuáles son los costos de mantenerse críticos, desde la izquierda, a los gobiernos progresistas?

– Los costos de mantener la postura crítica son el aislamiento, no te llaman para hacerte entrevistas, te ignoran. Hay deterioro económico personal, tenemos que buscarnos trabajitos para sobrevivir, y eso es un costo importante, pero hay que fijarnos muy bien, hay una trampa del progresismo que hemos logramos sortear, pues así cómo como la profesión periodística, en el caso de Brecha, hoy tiene un salario muy bajo, pero ha habido una renovación generacional y de género. Y hoy la mayoría de la planta son personas jóvenes y mujeres. Los que quieren ganar más se han ido con el gobierno o a crear periódicos afines al progresismo, y los que nos quedamos, bueno, pues ganamos poco, pero ahí estamos.

– ¿Lo que nos estás diciendo es que nos va a ir muy mal a los que mantengamos una postura crítica, en el caso de México, a Andrés Manuel López Obrador?

– Yo no diría “irnos muy mal”. El aislamiento es duro, pero te hace más fuerte. Y además no aspiramos a hacernos ricos. Por ejemplo en Brecha, de 35 trabajadores, habrá cinco o seis con carro, los demás vamos en transporte público, y eso me parece que es muy importante porque marca algo que en este momento es una siembra, no se ve, pero están ahí las semillas y en algún momento van a florecer.

Pero lo que está sucediendo en México hay que leerlo de otro modo por dos razones. El ciclo progresista en América Latina inició por el 2000 y terminó por el 2014, y es un ciclo que fue posible gracias a los altos precios de las commodities, del petróleo, de la soja, del mineral de hierro, porque a las burguesías en esa época de bonanza económica no les importó mucho que les subieran un poco los impuestos, y porque los sectores populares estuvieron tranquilos. Pero hoy en día vivimos la post crisis del 2018. Las clases dominantes del mundo se han hecho más bestiales, más brutales. El uno por ciento tiene una riqueza como nunca soñó tener en la historia y se han hecho mucho más intransigentes, más ultras, y están en contra de los pueblos.

El gobierno de López Obrador llega en el momento en el cual las clases dominantes no están dispuestas a ceder en nada. Hay una situación que llevará muy rápidamente al gobierno a alinearse con los intereses empresariales. Estos pocos días que llevo en México he visto algo sorprendente. Prendo la televisión y en el parlamento unos diputados del PAN ponen una manta que dice “#NoALaDictaduraObradorista”. Son terribles, pero desde el primer día ya están oponiéndose, no le dan ninguna chance. Parece que eso va a marcar: Te doblegas completamente o vas a tener una oposición implacable como tuvo Dilma en sus últimos años en Brasil.

– ¿Qué representa la llegada de López Obrador para el Continente Americano?

Me gustaría decir que representa algo par ala región, pero yo creo que no representa nada, porque desde el punto de vista de la integración regional latinoamericana, no aporta nada, y desde el punto de vista de un giro a la izquierda en la región, ya no es posible, y tampoco aporta nada y porque la política exterior, por lo que yo entiendo, va a ser de alineamiento total con el nuevo NAFTA y con las políticas de Donald Trump. Entonces yo no espero nada.

Si hubiera sido diez o quince años atrás, capaz que se podría esperar algo en un clima distinto, pero hoy en día, cuando hay una guerra comercial con China y con Estados Unidos, cuando hay un encrespamiento de las relaciones internacionales y una intransigencia muy fuerte, como hace una semana que se pelearon Trump y Macron y hubo un destrato mutuo muy fuerte… pues no hay margen para ninguna otra política.

– Háblanos de los movimientos sociales dentro de los gobiernos progresistas, a los cuáles

– Los gobiernos progresistas han sido maestros en el arte de desactivar a los movimientos sociales y a la protesta social. Han cegado las bases sociales de sus movimientos con políticas sociales, pequeñas cosméticas que entusiasmaron a mucha gente que nunca había recibido nada. También cooptaron a los dirigentes de los movimientos.

El personal político de los gobiernos progresistas viene de abajo, los cuadros tecnocráticos que están al frente nacieron y conocen la cultura organizativa de los movimientos sociales, entonces, cuando están arriba saben muy bien qué teclas tocar para debilitar, y eso es muy peligroso.

Hay dos cosas que ponen en peligro a los movimientos sociales. Primero, el Estado se reviste de legitimidad con el progresismo, y un Estado con legitimidad, un Estado fuerte, es peligroso. Después, los saberes de abajo que han llegado allá arriba están destinados a debilitarnos. Y estas dos cuestiones juntas pueden ser enormemente depredadores para los movimientos populares. Un ejemplo es Bolivia con Evo Morales y Álvaro García, que se disfrazaron diciendo que era el gobierno de los movimientos sociales e hicieron los golpes de Estado a los mismos.

En Argentina está el caso piquetero. El movimiento piquetero fue completamente neutralizado, dispersado, destruido, por las políticas sociales. Hay un manual en un libro del Ministerio de Desarrollo Social, donde estaba la hermana de Néstor Kirchner, que dice que el funcionario ideal del Ministerio es “aquel militante social que en los 90 se opuso y organizó a la gente en la base social en los territorios contra el modelo neoliberal”. Succionan cuadros políticos y militantes y saberes a los Estados y eso es un elemento muy definitorio y fundamental.

El tercer ejemplo pueden ser los compañeros de Brasil del Movimiento de los Sin Tierra y de los Sin Techo, movimientos muy importantes, muy luchadores, con una trayectoria impecable, que reconocen que Lula y Dilma entregaron menos tierras con la reforma agraria que el gobierno neoliberal de Fernando Henrique Cardoso, pero aun así, los apoyaron porque hay un chorro de dinero que fue destinado a la educación, la vivienda, etcétera. Son movimientos potencialmente revolucionarios que quedaron neutralizados completamente.

– Y el caso de México, país al que también conoces muy bien desde hace un cuarto de siglo

– En México hay muchos movimientos potentes. Los movimientos urbanos tienen una larga trayectoria de haber sido dispersados, sobre todo por gobiernos del PRD, pero me preocupan mucho los movimientos indígenas, que son una parte minoritaria de la población, pero importantísima, y me preocupa el aislamiento y la posibilidad de golpes o represiones quirúrgicas. Me preocupa mucho que en los próximos seis años haya un proceso de debilitamiento del zapatismo y del CNI, y de otros movimientos indígenas y populares, que son los que se han opuesto a los grandes proyectos.

Hay una operación muy fina. Las consultas que se ha hecho y las que se van a hacer son mecanismos de desarticulación de la protesta. Mañana tú puedes decir que estás en contra del Tren Maya por tal o cual razón, y te van a decir que vayas y votes. En esta consulta, la del aeropuerto, hubo 1 millón y cacho de votos, pero yo creo que en las próximas consultas pueden votar más personas, y si votan más personas mayor será la legitimidad de la consulta, aunque sea ilegal, sin sustento jurídico y sin sustento de ningún tipo.

Supongamos que respeten la consulta. El mensaje que están enviando los progresistas y López Obrador es que el conflicto no vale la pena porque es riesgoso, que votando o apoyando al gobierno se van a solucionar los problemas. El mecanismo de la consulta busca encasillar y conducir la protesta al terreno de las urnas. ¿Para qué me voy a oponer a la carretera si estoy en contra y puedo votar. Y si pierdo, por lo menos pude opinar en un ejercicio democrático en el que no tuve que poner el cuerpo y la policía no me dio un golpe? Lo que se hace es deslegitimar el conflicto y deslegitimar la protesta, y eso va de la mano de aislar a los que protesten. Los que protestan aislados son rápidamente víctimas de la represión estatal. Ése es el riesgo que yo veo ahí.

Espero que la consulta no tenga la última palabra. Con la consulta los pueblos tienen dos opciones: o jugarse por la consulta, que no creo que sean tan poco hábiles, o que digan que hagan todas las consultas que quieran pero que ellos no quieren que el tren pase por ahí, que es lo que han hecho otros pueblos en América Latina.

Por suerte, en algunos casos como el de las comunidades zapatistas o Cherán, hay una fortaleza. Igual la van a pasar muy mal, creo yo y ojalá me equivoque, pero no es lo mismo pasarlo mal cuando están temblequeando a cuando estás bien y firme en tus bases, como los zapatistas.

Po otra parte, estoy seguro de que López Obrador se jubilará, no creo que se pueda reelegir, aunque me imagino que ya está pensando en reelegirse. Pasarán seis años, se irá Morena o no, pero el zapatismo va a seguir en pie, y eso es importante porque son luchas de cinco siglos que no van a desaparecer porque haya un gobierno que sonría o tenga buenos modales.

– ¿Y la resistencia?

– Habrá resistencia. Lo que han hecho los gobiernos progresistas es profundizar el capitalismo, han traído más capitalismo, más transnacionales y más monopolios. Esto de hacer mega obras en el sur es para cooptar al resto de México, porque ha sido la zona más rebelde y eso todos lo sabemos. Los pueblos van a resistir. Hay muchas personas que, como decimos en Uruguay, “no se comen la pastilla”, no se dejan engañar. La gente está alerta, además ya tienen 15 años de nuestra experiencia y saben lo que pasó en el sur. Habría que ser un poco más optimista.

– ¿Qué papel juega Donald Trump y Estados Unidos?

– Trump es más que Trump. Es la mayor intransigencia de las clases dominantes, de los ricos, y la mayor intransigencia del Pentágono, que tiene tanto peso como las clases dominantes. Esta gente se está inclinando por la guerra, por militarizar el escenario global. La guerra comercial contra China es una guerra y, comercial por ahora. La guerra va a escalar y es probable que lleguemos a guerras entre naciones con armas nucleares, eso que los zapatistas llaman el colapso.

El régimen Trump tiene aspectos del colapso, es una manifestación de la crisis del sistema, del imperialismo yanqui, pero también es una manifestación de que ellos pueden apostar al colapso antes de soltar la sartén que creen o temen que se les está escapando. Un escenario horrible. El que venga después de Trump, aunque sea demócrata, va a seguir muchos de los pasos de Trump. El gobierno de Trump no es un paréntesis, sino un viraje en las estrategias de las clases dominantes.

Estados Unidos apuesta cada vez más a la subordinación absoluta de México. Es un patio trasero del cual no van a soltar las garras y por lo tanto, en ese proyecto de tener a México subordinado, el gobierno de López Obrador les pueda venir incluso muy bien, pues esto de llevar las mega obras al sur, de facilitar el flujo de mercancías, commodities, minerales, maderas, todo lo que haya para sacar, los monopolios lo ven muy bien, y más si además consigue aplacar a una parte de la ciudadanía.

Lo que no va a conseguir este gobierno ni ninguno, por ahora, es bajar los niveles de violencia, los feminicidios, la actividad del narcotráfico, de la ilegalidad. Eso para Estados Unidos es algo importante, porque desde la guerra contra el narco apuesta a la violencia, al Plan Mérida, a la descomposición del tejido social. Todos son planes del imperio que ahora los va a ejecutar López Obrador. Con este señor además se van a cumplir los planes que profundizan el capitalismo, el monopolio, y lo que los compas zapatistas han llamado la cuarta guerra mundial, el despojo de los pueblos. Eso es lo que está a la orden del día.

– Para finalizar, ¿qué lectura le das al fenómeno migratorio que estamos viviendo estos días de Centroamérica hacia el norte?

– Quiero creer que con esta marcha masiva de migrantes está naciendo un movimiento, porque antes la migración era individual, de familias, gota a gota, pero ahora es masiva y organizada. Para movilizarse 7 mil personas todas juntas hay que estar organizado. Capaz que es la primera de muchas marchas y si es así es bueno, porque la migración solitaria es fácilmente reprimible, vulnerable, pero con esta probablemente la gente haya llegado a la conclusión de que es mejor migrar en masa para estar más protegidos. No tengo claro que Trump vaya a poder impedir el paso de los migrantes por la frontera, a pesar de todas las gárgaras que hace. Es un costo político muy alto. Lo bueno es que está naciendo algo nuevo, desde abajo.

https://desinformemonos.org/saldo-negativo-los-gobiernos-progresistas-america-latina-la-llegada-amlo-la-presidencia-mexico-una-revision-raul-zibechi/

 

 

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I 43 studenti di Ayotzinapa spariti per il legame tra Stato e gruppi criminali.

Messico 30 novembre 2018 Associazione Ya Basta! Êdî bese!

http://www.yabastaedibese.it/2018/11/i-43-studenti-di-ayotzinapa-spariti-per-il-legame-tra-stato-e-gruppi-criminali/

di Christian Peverieri

Per la Comisión Nacional de Derechos Humanos messicana non ci sono dubbi: la sparizione forzata di 43 studenti, l’omicidio di altre 6 persone e il ferimento di altre 42 persone nella notte tra il 26 e 27 settembre 2014 sono avvenuti per il legame della polizia municipale di Iguala, della polizia statale, della polizia federale e dell’esercito con i gruppi criminali organizzati.

La conferma di quanto è sempre stato sostenuto dai familiari degli studenti desaparecidos e dagli attivisti che accompagnano la loro lotta per la verità e la giustizia ora è scritta nero su bianco in un report di oltre 2000 pagine e 16 “raccomandazioni”: a essere tirati in ballo nelle responsabilità sono il sindaco di Iguala, il Congresso Statale, la Difesa, la Marina Militare e anche il Presidente Enrique Peña Nieto. Per il presidente della CNDH, Luis Raúl González Pérez varie «autorità hanno violentato il diritto alla verità delle vittime e della società in diverse occasioni».

La complicità è evidente dal momento che le autorità non hanno indagato in profondità, per omissione o tolleranza dei funzionari pubblici di diversi ordini di governo: «un crimine di tali dimensioni è potuto succedere solo per la penetrazione del crimine organizzato nelle strutture di governo», ha detto il rappresentante della CNDH.

Il report evidenzia anche le responsabilità della PGR (Procura Generale della Repubblica), con azioni di depistaggi e la volontà di insabbiare il caso, ma d’altra parte riabilita parzialmente la “verdad historica” prodotta dalla stessa PGR e smentita varie volte dalle indagini indipendenti.

Secondo la CNDH, nella discarica di Cocula, almeno 19 persone sono state bruciate in tempi compatibili con la scomparsa dei 43 studenti. Le analisi sui resti ritrovati tuttavia non danno la possibilità di risalire a chi appartengano tali ossa. Questa rivelazione ha suscitato grande attenzione nei media, tanto che si può leggere nei giornali messicani della “riabilitazione” della verità storica e dei funzionari che l’hanno prodotta. Quest’ultimo annuncio è stato criticato dall’EAAF, l’Equipo Argentino de Antropologia Forense: «l’EAAF non è d’accordo con una parte importante delle conclusioni raggiunte dalla raccomandazione della CNDH nell’interpretazione e nelle conclusioni per quanto riguarda la discarica di Cocula ed i risultati presumibilmente recuperati da un sacchetto del Río San Juan, Cocula, secondo la PGR».

(QUI il comunicato completo).

La battaglia per la verità continua. Il Segretario di governo uscente Navarrete Prida ha accettato il report e le raccomandazioni e ha commentato con un lapidario «è compito del nuovo governo risolvere il caso Ayotzinapa». E in effetti, il nuovo presidente Andrés Manuel Lopez Obrador, che entrerà in carica il 1° dicembre, come primo atto del suo governo, ha convocato al Palacio Nacional i genitori dei 43 studenti dei desaparecidos e gli avvocati che li seguono per lunedì 3 dicembre. Già da lunedì infatti è prevista l’emanazione del decreto presidenziale con cui verrà creata una Commissione di indagine, strumento «importante perché non è una Commissione per la Verità in termini classici, ma un meccanismo straordinario di giustizia, con facoltà penali» ha segnalato Mario Patrón del Centro de Derechos Humanos Miguel Agustín Pro Juárez, organizzazione che segue i familiari fin dall’inizio.

Dopo oltre 50 mesi dalla sparizione forzata, si apre uno spiraglio per i familiari: la speranza è che il nuovo governo progressista possa dar seguito alle volontà dei familiari e alle indicazioni delle varie indagini indipendenti e ritrovare la strada che conduce alla verità, alla giustizia e al castigo dei colpevoli.

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Comunicato al Popolo Mapuche

Al popolo mapuche

Al popolo cileno

Ai popoli originari d’America

Alla Sexta Internazionale

 

Fratelli e sorelle del degno popolo mapuche,

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri che componiamo il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo e l’EZLN abbracciamo solidalmente la famiglia del compagno mapuche Camilo Catrillanca, che è stato assassinato durante un’operazione di un gruppo tattico di Carabineros del Cile, avvenuta il 14 novembre 2018 nella comunità di Temucuicui nella regione dell’Araucania. Conosciamo la lotta centenaria che il degno popolo mapuche ha condotto per difendere i suoi boschi e fiumi, così come la repressione e le montature che i corpi di polizia del malgoverno cileno effettuano sui territori mapuche per spegnere la difesa della vita.

Noi popoli, nazioni, tribù e quartieri del CNI, del CIG e dell’EZLN condanniamo il vile attacco del malgoverno cileno e delle sue forze poliziesche. Esigiamo che cessi la repressione e criminalizzazione contro i villaggi mapuche che difendono i loro territori. Esigiamo anche che la morte del comunero mapuche Camilo Catrillanca non resti impunita. Al popolo mapuche reiteriamo il nostro rispetto e solidarietà. Salutiamo la sua degna lotta per la difesa della vita e del territorio.

 

CORDIALMENTE

Novembre 2018

Per la ricostituzione integrale dei nostri popoli

Mai più un Messico senza di noi

Congresso Nazionale Indigeno – Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

 

Traduzione a cura Associazione Yabasta Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/11/24/comunicado-al-pueblo-mapuche/

https://mapucheit.wordpress.com/2018/11/22/cile-onu-chiede-inchiesta-per-uccisione-giovane-mapuche/#more-2110

 

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Invito alle celebrazioni del 25° Anniversario dell’Insurrezione Zapatista e ad un Incontro di Reti

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

MESSICO

17 novembre 2018

 

Alle/agli individui, gruppi, collettivi, e organizzazioni delle Reti di Appoggio al CIG:

Alle reti di Resistenza e Ribellione o come si chiamano:

Alla Sexta nazionale e internazionale:

 

Considerando che:

È l’alba.

Considerando che:

Fa Freddo.

Considerando che:

In quello spazio di tempo, dove non è né giorno né notte, né dentro né fuori, né ombra né luce, ti scopri senza sogno, in quella spiacevole veglia che ti rende vulnerabile ai ricordi, alla memoria pungente di ciò che è stato fatto e ciò che non è stato fatto, al lungo resoconto delle mancanze, e a quello breve di quanto realizzato.

Considerando che:

Vi chiederete, certo non senza ragione, perché tutto questo…

Perché state ancora cercando di assimilare quel “Tutto è impossibile il giorno prima” che sentite e leggete in quello snervante nano-mini-micro cortometraggio autoproclamato “cinema da leggere”. Un film (?) rimasto per 30 anni in scatola (letteralmente: in una scatola di sardine) e presentato al cinema impossibile, firmato da uno scarabeo altrettanto sconcertante con arie da cavaliere errante, il cui titolo (del film) (?): “La 69a legge della dialettica” non è neanche molto razionale. Un film senza immagine o suono e composto da una singola frase. Scaricando tutto il peso all’immaginazione di chi assiste alla proiezione?

Insomma, qui tutto sembra assurdo… ma dove diavolo è “qui”? Ma non hai molto tempo per orientarti, perché ti mettono fretta:

“Andiamo, dai” dice la bambina.

Tu pensi che ormai ci si possa aspettare qualunque cosa… ma alla fine esci dall’assurda sala di questo cinema impossibile, sempre tenendo la mano della bambina. Anche se adesso ti circonda una banda di bambini in cui, ovviamente, la maggior parte sono femmine, con le loro gonne e camicie colorate ed i loro inutili ferma capelli, in quella capigliatura così ribelle.

Vi avviate risalendo il pendio naturale della montagna.

Sassi, un po’ di fango, nebbia, la strada, sempre la strada.

Ora intuisci che, dai piedi del muro macchiato da manifesti e graffiti logori, hai percorso una sorta di spirale. Come se il percorso tracciato ti portasse dentro una chiocciola… o fuori. Ogni passo una stazione. La stessa falsa felicità della felice famiglia felice, quella della simulazione del Gran Finale, della provocazione dello schermo come ponte impossibile.

E il muro onnipresente, indistruttibile, indiscutibile, che insiste che è vietato pensare. Che tutto è già fatto. Che non ti resta altro che sistemarti come puoi in qualche modo. Che l’eternità è questo, eterna. Il presente cambia, ma la sua logica frivola e superficiale resta. Altro è impossibile. Ma non solo, è impossibile per te pensare, immaginare, sognare che non sia impossibile altrimenti.

Camminate. E tu ricordi:

La ragazza ha chiesto se i film che nessuno guarda piangono, che non è altro che un modo di interrogarsi sui dolori e le rabbie ignorate – visto che il muro impone cecità e sordità nei confronti dell’altro. A chi verrebbe in mente di chiederlo? Sì, chiedere questo ed altre cose. Ad esempio, mettere in discussione l’esistenza del muro. Il muro. Lo guardi attentamente. Fino a dove arriva la tua vista, o la tua lunga vista. Così grande che non vale neanche la pena misurarlo – per cosa? -. La sua solida costruzione. Il suo aspetto impeccabile… beh, non poi così tanto…

Prendendo un po’ di distanza, il muro si riempie di graffiti e di crepe. Il più delle volte senza che si possano distinguere gli uni dalle altre. Come se la solidità del muro dipendesse dalla vista corta. Perché per essere in grado di leggere quella magnifica scritta che ferisce la ruvida facciata, bisogna allontanarsi un poco.

“Anche se la strada sarà lunga… noi andremo avanti”, dice la bambina che legge la scritta sul muro che non dice nulla, muto, rassegnato al fatto che i prossimi amministratori manderanno squadre di lavoratori contro quel graffito per cancellarlo, coprirlo, silenziarlo, sterminarlo.

“Non l’avevo visto”, ti scusi.

“Ovviamente”, risponde la bambina, ed aggiunge: “ma andremo avanti“.

“Quanta distanza ci vuole per vedere?” Credi di averlo solo pensato, ma la bambina risponde: “Lontano”.

“Ma quanto?” Insisti.

“Più di 500 anni”, risponde ammiccando la bambina.

E come per caso, un rap ritma i passi di quella banda di bambini che ti accompagna: 

Siamo venuti da così lontano

In tutti i sensi, così lontano

In silenzio portiamo una forza

Così lontano, ognuno porta il peso del proprio cammino.

Cantando la luce tra le rovine di un mondo bruciato. (*)

Questo suono viene da dentro o da fuori? È questa la colonna sonora di questo tuo viaggio anacronistico, assurdo, irrimediabile?

-*-

Ora tu, un po’ per vergogna e un bel po’ per curiosità, presti più attenzione a quei graffiti.

Uno recente, con lettere piccole e frettolose recita:

Lezioni elementari di Economia Politica:

Uno.- Il capitale non sa leggere, non frequenta i social network, la stampa, i sondaggi, i voti, le consultazioni, i video, i programmi governativi, le buone o cattive intenzioni, le lezioni di morale, le leggi, la ragione. Il capitale sa solo sommare, sottrarre, moltiplicare, dividere, calcolare percentuali, tassi di interesse, probabilità.

Due.- Il capitale si occupa solo del profitto, il più grande e il più veloce possibile. Come i predatori, il capitale ha un buon olfatto per il sangue e la distruzione, perché significano soldi, molti soldi. La guerra è un business, il migliore.

Tre.- Il capitale ha i suoi giudici, poliziotti ed esecutori. Nel mondo del muro questi inquisitori si chiamano “mercati”.

Quattro.- I mercati sono i segugi del grande cacciatore: il capitale. Nel mondo del muro, il capitale è dio e i mercati i suoi apostoli. I suoi fedeli seguaci sono la polizia, gli eserciti, le prigioni, le fosse comuni, il limbo delle sparizioni forzate.

Cinque.- Il capitale non è domabile o educabile, non si può riformare né sottomettere. Bisogna ubbidirgli… o distruggerlo.

Sei.- Ergo, ciò di cui questo mondo ha bisogno sono eretici, streghe, maghi, stregoni. Con il pesante fardello del loro peccato originale, la ribellione, il muro sarà distrutto.

Sette.- Anche così, resterà in sospeso quanto segue: se, come successore, si innalzerà un altro muro; o se invece, al suo posto, si apriranno porte e finestre, che sono i ponti di cui il mondo ha bisogno e che merita”.

Continuano i graffiti, le crepe e questa continuità sale e scende dalle colline, dalle valli, dai ruscelli. La chiocciola si ritrae nel suo guscio. Villaggi, comunità sempre più piccole, poche case sparse si affacciano sulla strada.

Un segnale avverte: “Sei in territorio zapatista. Qui il popolo governa e il governo obbedisce”.

E ti chiedi:

Cosa mantiene in vita queste persone se hanno avuto ed hanno tutto contro? Non sono forse gli eterni perdenti, quelli che giacciono mentre altri glorificano i propri governi, i musei, le statue, i “trionfi storici”? Non sono le vittime di tutte le catastrofi, la carne da macello di tutte le rivoluzioni fatte per “salvarli” da loro stessi? Gli stranieri nella terra che li ha visti nascere? Oggetto di scherno, disprezzo, elemosina, carità, programmi governativi, progetti “sostenibili”, linee guida, proclami e programmi rivoluzionari? Non sono gli incorreggibili analfabeti da educare, dirigere, ordinare, comandare, soggiogare, sottomettere, dominare, c-i-v-i-l-i-z-z-a-r-e?

Perché non obbediscono quando gli si dice cosa dire e come dirlo; cosa devono guardare e come; cosa dovrebbero pensare o non pensare; cosa dovrebbero essere e smettere di essere?

E perché non abbassano lo sguardo di fronte a tutte queste minacce – quelle che gli promettono l’annientamento o la salvezza, che sono la stessa cosa?

E perché sorridono?

E perché a te danno, come guida, un gruppo di bambini indigeni?

E dove ti portano adesso, dopo questo tortuoso viaggio lungo il muro? Ti portano a quello che ha reso possibile queste risate infantili, e cioè queste vite? Qualche scritta risponde: “Guarda come stanno le cose, per essere visti, ci siamo coperti il volto; per essere nominati, ci siamo tolti il nome; abbiamo scommesso sul presente per avere un futuro; e per vivere… siamo morti”.

Cosa costruiscono qui?

Dov’è l’ansia, l’angoscia, la sconfitta, l’amarezza di sapersi inferiori?

Perché questa ossessione per la terra, per difenderla, curarla, preservarla?

E perché i balli, il trambusto, la musica, i colori, il via vai di sguardi, questo impegno nel campo della scienza e delle arti, questi modi o non modi?

Non vi rendete conto che avete perso?

Aspetta, perso? Chi? Non queste persone, chiaramente.

“Andiamo avanti” conferma il graffito che la realtà incide sulla parete.

– * –

Ed eccoti qui, con un piede in una realtà e l’altro in un’altra, – quella che si erge nelle montagne del sud-est messicano con l’inquietante bandiera della libertà -.

Quella che costruiscono queste persone così piccole, così normali, così gente, come ogni altro, altra, altroa.

Così senza prezzo e così inestimabili.

“Comunità zapatiste”, si chiamano, si autodefiniscono, si conoscono.

Poi, senza nemmeno rendertene conto, sei di fronte ad una insegna che sembra vecchia, o nuova, o senza tempo:

Benvenuti a La Realidad

-*-

Considerando quanto sopra esposto (cioè, negli ultimi 25 anni), si invitano la Sexta Nazionale e Internazionale, il Congresso Nazionale Indigeno, il Consiglio Indigeno di Governo, chi ha appoggiato, appoggia e appoggerà il CNI e il CIG a:

Primo.- Un incontro di Reti per la Resistenza e Ribellione, di appoggio al CIG, o come si chiamano. Da tenersi al Centro “Impronte della Memoria. Subcomandante Insurgente Pedro cumplió”, (in terra recuperata nelle vicinanza della comunità di Guadalupe Tepeyac, MAREZ San Pedro de Michoacán) dal 26 al 30 dicembre di questo 2018. Con il seguente programma

  • Risultato della consulta interna nata dall’incontro del mese di agosto 2018.
  • Analisi e valutazione della situazione attuale nel mondo.
  • Cosa seguirà?

 

Arrivo e registrazione: 26 dicembre 2018

Tavoli di analisi e discussione: 27, 28 e 29 dicembre 2018

Chiusura: 30 dicembre 2018

 

L’indirizzo mail per registrarsi e partecipare è:

redesdic18@enlacezapatista.org.mx

 

Secondo.- La celebrazione del 25° anniversario dell’inizio della guerra contro l’oblio: 31 dicembre 2018 e 1° gennaio 2019 a La Realidad zapatista, sede del caracol “Madre de los caracoles del mar de nuestro sueños”, zona Selva Fronteriza.

La mail per registrarsi come partecipante alla celebrazione del 25° anniversario dell’insurrezione zapatista è:

aniversario25@enlacezapatista.org.mx

 

Vi aspettiamo perché, anche se il cammino è ancora lungo, andremo avanti.

 

Dalle montagne del Sud-Est Messicano

Subcomandante Insurgente Moisés        Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, a 17 giorni dal mese di novembre dell’anno 2018

 

(*) Keny Arkana. “Lejos”, en L’esquisse 3.

 

 Traduzione a cura di #20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/11/17/invitacion-a-la-celebracion-del-25-aniversario-del-alzamiento-zapatista-y-a-un-encuentro-de-redes/

 

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Cinema in stile zapatista

Cooperazione Rebelde Napoli  14 novembre 2018

Una maratona con ottanta film tra cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari, cinema sperimentale ma anche tante chiacchierate e una grande festa finale: quattromila tra donne, uomini e bambini hanno partecipato a modo loro per una settimana al primo festival promosso dalle comunità indigene zapatiste in Messico. La loro straordinaria lotta senza prendere il potere e la loro ostinata voglia di costruire ogni giorno un mondo che contenga tanti mondi hanno messo sottosopra l’idea tradizionale di cinema e quella di festival: l’arte, come dimostrano gli zapatisti, può essere un’alternativa al tempo di morte che viviamo, occasione per ripensare il mondo con uno sguardo e un pensiero critico, spazio per immaginare e creare altri mondi possibili. Cronaca di un festival necessario e impossibile

Sono passati più di trentacinque anni da quando, come si racconta, un gruppetto di sei persone fece un viaggio verso il sud est del Messico ed arrivò in Chiapas. Erano partiti con una idea, comune a tanti in quegli anni, di fare una rivoluzione. Avevano vicino ma non solo geograficamente, la Cuba di Fidel e il Nicaragua Sandinista, il Fronte di Liberazione Nazionale Farabundo Marti di El Salvador e la storica guerriglia guatemalteca, avevano la prospettiva immaginata dai cento fuochi di guerriglia, sparsi per l’America Latina, di Ernesto Che Guevara. Nella Selva Lacandona entrarono in contatto con le comunità indigene, con le loro pratiche e la loro cultura: gli ci vollero dieci anni per cambiare la loro idea di rivoluzione ed arrivare a lottare per non prendere il potere, pensare di costruire un mondo che contenga altri mondi, e adesso dopo quasi venticinque anni dal levantamiento del primo gennaio del 1994 per la prima volta nei Caracol è stato organizzato un festival del cinema; la cosa non era per niente scontata né tanto meno usuale e rimanda alla modernità di un pensiero che ha le sue radici profonde nell’incontro con gli indigeni di tantissimi anni fa:

“Abbiamo realmente subito un processo di rieducazione, o di rinnovamento. Come se ci avessero disarmato. Come se avessero smantellato tutto ciò di cui noi eravamo fatti – marxismo, leninismo, socialismo, cultura urbana, poesia, letteratura – tutto ciò che era parte di noi e cose che non sapevamo neppure di avere. Ci hanno disarmato e riarmato, ma in modo diverso”.

La cronaca di questi otto giorni ci racconta di un festival del cinema senza red carpet, né party esclusivi e “paparazzi” a caccia di star e divi; più che glamour ci sono state emozioni che si sono concentrate davanti agli schermi all’interno del grande auditorio con il tetto di lamiera, dedicato alla Comandanta Ramona, e costruito apposta per questo festival chiamato Puy Ta Cuxlejaltic (Caracol della nostra vita, tradotto dallo tzotzil).

Fin dal giorno dell’inaugurazione più che un festival questo evento culturale nel Caracol di Oventic – Zona Altos de Chiapas – è parso una maratona con i film e i documentari proposti senza soluzione di continuità, alternati a presentazioni, chiacchierate o ringraziamenti ai registi.

Il noto, anche qui in Italia, regista Alfonso Cuarón, fresco vincitore del Leone di Venezia con il film Roma e sicuro aspirante agli Oscar, insieme alla sua equipe ha messo a disposizione, per una prima assoluta nazionale (il film non è ancora nelle sale messicane) del suo lavoro, parte delle attrezzature super professionali necessarie alle proiezioni, mentre le “poltrone”, dove si sono accomodati in questi giorni oltre quattromila zapatisti di tutte le età, erano di duro legno – anche abbastanza scomode – ma che non hanno impedito momenti di commozione, di sonore risate davanti a qualche scena divertente e lacrime senza finzione durante i passaggi più tristi delle proiezioni, come successo per due ragazze prese da un pianto ininterrotto durante una scena di “Roma”.

Ma gli uomini, donne e bambini con passamontagna e paliacates rossi riempiono anche la Multisala Emiliano Zapata – pavimento di terra battuta, capace di accogliere altre due mila persone – e chiamato anche, solennemente, Cine 3D per il fatto che dentro ci sono tre schermi.

Ma non solo sale al chiuso, nel Caracol di Oventic dove le giornate di sole cocente si alternano a giorni di fitta nebbia, non poteva mancare un cinema all’aperto, un drive-in senza auto, il Pie-Cinema Maya, accanto al campo di basket.

Gli ospiti, per la maggior parte persone del mondo del cinema, con alcune eccezioni come lo scrittore Juan Villoro, sono arrivati da soli e a loro spese e nonostante ognuno di loro venga accolto da una delegazioni di cinque bambine che li accompagna negli alloggi a loro riservati girano un po’ spaesati e alla cieca.

L’attenzione e la cura che gli/le zapatiste hanno nei confronti di coloro che fanno loro visita è proverbiale e ci viene confermata, ormai da anni, ogni volta che, con le nostre delegazioni, siamo loro ospiti per sostenere il Sistema di Salute Autonomo o per qualche incontro.

Ma questi sono ospiti “speciali”, per molti o forse tutti è la prima volta che entrano in un Caracol così come è la prima volta che ricevono premi così particolari.

Come in ogni festival che si rispetti ci sono anche ricchi e significativi premi.

Gli zapatisti offrono il loro omaggio agli ospiti consegnando lavagnette – i ciack del cinema dove vengono segnati i dati delle scene – e mele di plastica ma c’è anche un premio speciale, uno diverso, una scultura realizzata dagli zapatisti. Quello, è il più importante, viene assegnato a qualcuno che non è presente: Libo, la domestica che ha cresciuto Alfonso Cuarón e ha ispirato il suo nuovo film. Lo consegna Erika, ufficiale di fanteria dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale, una donna che prima di ribellarsi in armi è stata lavoratrice domestica.

Nel programma che andava inizialmente dal 1° al 7 novembre – anche se poi si è concluso il 9, sono stati proiettati ottanta film tra cortometraggi, lungometraggi, fiction, documentari e cinema sperimentale.

Ci sono state produzioni di cinema commerciale e militante, senza alcuna distinzione.

Proiezioni di nuove e vecchie pellicole da Roma fino a Reed, Mexico rebelde, una pellicola del 1970 di Paul Leduc restaurata per questa occasione dalla UNAM (Università Nazionale Autonoma del Messico) passando dai Diari della motocicletta fino al documentario Petits historias das crianças (Piccole storie di bambini), di Gabriele Salvadores, Guido Lazzarini e Fabio Scamoni, che racconta la storia dei bambini che partecipano ogni anno al progetto di Inter Campus, un progetto sociale fondato dall’Inter, che lavora con bambini provenienti dalle periferie di ventinove paesi in tutto il mondo.

In questo programma così fitto non sono mancate le prime autoproduzioni zapatiste. Quattro documentari prodotti dalle stesse comunità zapatiste, frutto del lavoro dei Los tercios compas, gruppi di ragazzi e ragazze che registrano con foto, video e audio ogni evento che si svolge nei territori autonomi.

Ma non di solo cinema si è trattato, al volgere della prima giornata, il Subcomandante Galeano ha invitato tutti i presenti a non spaventarsi per lo spegnimento delle luci che ci sarebbe stato da lì a qualche momento. Subito dopo il buio più completo ha avvolto l’auditorio, pieno come un uovo, e mentre gli ospiti avevano difficoltà a muoversi ed orientarsi, gli zapatisti sono usciti ordinatamente formando un lungo fiume di luce sulla ripida strada che attraversa il Caracol. Circa quattromila uomini e donne con il viso coperto e una candela tra le mani sono avanzati silenziosi e ordinati fino al campo di basket. Uno ad uno, con cura, illuminano un grande altare dedicato agli zapatisti “Caduti in combattimento all’alba del 1994”, perché l’inizio del festival coincide con il giorno dei morti.

Il Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” si è chiuso il 9 novembre con la cerimonia di chiusura e, come di solito avviene in territorio zapatista, con una festa popolare e la gioia di ballare, nonostante il freddo dell’autunno.

Si è concluso un evento senza precedenti nelle montagne del sud-est del Messico, il festival è stato un ulteriore passo nel percorso che lo zapatismo si è prefissato e che propone a tutti noi: le arti (e le scienze) come alternativa di fronte al tempo di morte che viviamo, l’occasione che ci offre l’arte di ripensare il nostro mondo con uno sguardo e un pensiero critico e di immaginare altri mondi possibili.

Come al solito, le migliaia di zapatisti presenti all’incontro avranno il compito di riportare alle comunità di appartenenza ciò che hanno imparato, pensato e immaginato in questi giorni.

A noi ancora una volta il compito di non lasciare soli gli zapatisti in questa loro “mission impossible” di costruzione dell’autonomia, di rafforzamento del sistema di autogoverno e indipendenza che da venticinque anni si sono dati e che ci continua a far gridare “Viva l’EZLN!!”

https://comune-info.net/2018/11/cinema-in-stile-zapatista/

[Per vedere le foto e leggere il racconto delle giornate del festival:  yabastanapoli.blogspot.com/]

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Comunicato Frayba @Cdhfrayba: Esodo forzato di 1764 persone dalla comunità tsotsil di Chavajebal

La comunità tsotsil di Chavajebal, nel municipio di El Bosque, regione Altos del Chiapas, Messico, ha iniziato l’esodo forzato il 7 novembre 2018 alle ore 19:00. Si tratta di circa 1764 persone in situazione di vulnerabilità e che richiedono assistenza umanitaria e la garanzia di integrità e di ritorno alle proprie case in condizioni di sicurezza.

Alleghiamo azione urgente con appello alla solidarietà nazionale e internazionale.

Grazie per la diffusione.

Centro de Derechos Humanos Fray Bartolomé de Las Casas, A.C.
Calle Brasil No. 14
Barrio de Mexicanos
CP 29240 San Cristóbal de Las Casas
Chiapas, México, 
tel: (+52)967 678 73-95/-96
mail: medios@frayba.org.mx
web: frayba.org.mx
chiapasdenuncia.blogspot.mx
Facebook: Frayba Derechos Humanos
Twitter: @Cdhfrayba

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L’esodo centroamericano e la teoria del complotto

@lhan55 Luis Hernández Navarro 

Invece di tentare di comprender in tutta la loro complessità i fattori che hanno scatenato la serie di carovane di migranti centroamericani iniziata lo scorso 12 ottobre a San Pedro Sula, Honduras, alcuni analisti e figure politiche li hanno spiegati come il prodotto di cospirazioni. Si tratta, assicurano, di un esodo provocato intenzionalmente per influire sulla congiuntura politica statunitense.

Secondo alcuni, siamo di fronte ad una manovra del governo di Donald Trump per favorire l’elezione dei candidati del Partito Repubblicano, riguardo alle elezioni negli Stati Uniti del 6 novembre scorso, alimentando l’isteria antimigrante. Secondo altri, è una manipolazione del miliardario speculatore finanziario ungherese George Soros per appoggiare i democratici statunitensi. E, a dire del vicepresidente degli Stati Uniti, Mike Pence, è stato promosso da gruppi di sinistra in Honduras finanziati dal Venezuela e mandati al nord per sfidare la nostra sovranità e la nostra frontiera.

Sebbene le tre denunce siano diametralmente opposte, coincidono in un fatto: nessuna riconosce ai migranti la capacità di decidere da se stessi l’esercizio del diritto di fuga, di organizzarsi e fissare i propri obiettivi. Tutti condividono come elemento centrale della sua spiegazione che si tratta non di un atto sovrano di cittadini centroamericani di fronte ad una situazione estrema, ma di una cospirazione politica.

Curiosamente, nessuna di esse fornisce una sola evidenza di peso che dimostri le sue affermazioni. Le tre teorie sono il risultato di speculazioni, deduzioni senza supporto o vere e proprie bugie. Al contrario, le documentate cronache e reportage di giornalisti seri di diversi mezzi di comunicazione e nazionalità come Blanche Petrich, Alberto Pradilla, Maya Averbuch, Mónica Campos, Nina Lakhani, Jeff Ernst, Sarah Kinosian e Javier García dimostrano che le carovane sono opera genuina di uomini, donne e bambini che fuggono dal terrore, dalla miseria e dalla mancanza di prospettive, alla ricerca del sogno americano.

Tra chi formula interpretazioni cospirazioniste dell’esodo, ci sono sia giornalisti che difensori dei diritti umani. Alcuni fanno queste dichiarazioni per ottenere un riscontro politico dalla tragedia. Altri le lanciano nel clima di pregiudizio, disinformazione e pigrizia intellettuale. Altri ancora sembrano sconcertati davanti ad un atto politico innovativo e di enormi dimensioni o alla perdita di protagonismo.

Diverse opinioni risultano sorprendenti. Per esempio, quelle del sacerdote Alejandro Solalinde, che ha dedicato buona parte della sua vita alla difesa dei migranti centroamericani. Lo scorso 23 ottobre, nel momento più algido della prima carovana, il religioso ha diffuso due twit che sembrano opera dei suoi nemici. Nel primo afferma: “Tutto sembra indicare che l’esodo migratorio onduregno, sia stato provocato dai servizi statunitensi, attraverso tecniche di rumor, con obiettivi elettorali, e così incolpare i democratici, il Messico, e mostrare Trump come il salvatore da questa ‘invasione’. Che genio!”

Fortemente criticato in rete, è sprofondato ancor di più nel fango dicendo: Una prova della mia denuncia degli Stati Uniti come responsabili dell’esodo migratorio onduregno, è che la tecnica del rumor in Honduras funziona. Nel 2014 ha provocato la crisi umanitaria dei minorenni non accompagnati. Le via crucis sono in Settimana Santa, non in periodo elettorale degli Stati Uniti.

Ovviamente, Solalinde non ha presentato una sola prova delle sue accuse. Sono pura speculazione senza fondamento. Non sta scritto da nessuna parte, come egli assicura, che le via crucis debbano essere in Settimana Santa, per non aver paura e tirare fuori il meglio dal suo cuore. Siamo un paese generoso e solidale. I nostri fratelli del sud hanno bisogno di noi. Non abbiate paura! Se sapeste in che condizioni è l’Honduras! ha scritto.

La denuncia contro il magnate Soros è stata formulata, tra gli altri, dal congressista repubblicano Matt Gaetz, che ha diffuso un video in cui si vede un gruppo di persone che dà denaro ad alcuni migranti della carovana. L’informazione è stata smentita da Scopes e The New York Times. Il denaro che ricevono i migranti nel video era stata la donazione solidale degli abitanti di Chiquimula, in Guatemala.

Ovviamente, gli Stati Uniti hanno responsabilità nell’irruzione delle carovane migranti. Ma per cause diverse da quelle che brandiscono i cospirazionisti. Da più di un secolo Washington ha trasformato la regione nel suo cortile di casa. Ha frenato a ferro e fuoco la vocazione emancipatrice dei suoi popoli. Ha favorito colpi di Stato ed imposto autocrati. Ha saccheggiato le sue ricchezze naturali e sfruttato la sua manodopera. Chi oggi fugge dai propri paesi alla ricerca del sogno americano lo fa lasciandosi dietro le rovine fabbricate dall’impero. https://www.jornada.com.mx/2018/11/13/opinion/019a1pol#

Twitter: @lhan55

 

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Festival Cinema “Caracol de nuestra vida” organizzato dall’#EZLN

https://www.facebook.com/media/set/?set=a.2202187526737583&type=1&l=6e75fbabdc

Migliaia di Basi di Apoggio Zapatiste (BAEZLN), cineasti e partecipanti nazionali e internazionali, assistono alla prima edizione del festival del cinema “Caracol de nuestra vida”, convocato dall’ EZLN, nel Caracol zapatista di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas. Vengono omaggiati i morti caduti in questi 35 anni di ribellione e resistenza e viene dato un riconoscimento all’attore Gaél García Bernal. Migliaia di zapatisti hanno assistito alle proiezioni ascoltando, divertendosi, sorprendendosi e con empatia con le sofferenze e le lotte dei popoli e delle persone nelle quali si rispecchiano.

  Secondo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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E’ possibile avere un pubblico di cinofili è più numeroso, più attento, più entusiasta? Non sappiamo esattamente quanti Zapatisti sono presenti al festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, organizzato dall’EZLN, che si svolge dal 1 ° al 9 novembre presso il Caracol di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas. Il Sup Galeano ha dichiarato circa 4mila presenze, e poiché tra i due auditorium ci sono posti per 3mila 800 persone, ed entrambi sono pieni, bisogna credere al Sup (di per sé, non ha l’abitudine di mentire, a meno che non si tratti di mantecadas – il suo tallone d’Achille – con i bambini zapatisti … ma questa è un’altra storia). Quello che sappiamo è che le donne e gli uomini zapatisti, le ragazze e i ragazzi di tutte le età, assistono con un interesse esemplare ai molti film presentati, che in qualche modo si intrecciano con la loro stessa esperienza e la loro stessa lotta. Questa seconda giornata del festival è iniziata con una serie di documentari prodotti dai “Tercios compas”. I Tercios compas sono nati nel 2014 a fronte della necessità di avere informazioni e analisi reali nelle comunità zapatiste. È un grande gruppo di comunicatori e comunicatrici zapatisti che stanno rompendo il muro dell’informazioni e producendo materiali audiovideo per le comunità stesse. Durante la giornata, al “Pie cinema maya” installato sulla spianata del Caracol, la bambina Difesa Zapatista ed il bambino Pedrito, accompagnati anche dai bambini Esperanza Zapatista, Amado Zapatista, Pablito Zapatista con i suoi rinforzi, Yanileth Zapatista, Adelaida Zapatista, Elaide Zapatista e con il Subcomandante Insurgente Moisés hanno fatto omaggio e consegnato targhe commemorative e il “caracol de nuestra vida” ai gruppi che fanno fiction e documentari. “Per come è la situazione ora nel nostro paese e nel mondo, la vita è una delle cose più fragili che ci siano … come anche il caracol che vi stiamo per consegnare”, ha detto il Subcomandante Insurgente Galeano. I gruppi premiati sono stati: Oaxaca Cine, Muestra Ocote, Ojo de Agua Comunicación, Koman Ilel, La Marabunta Filmadora, Espora Kolectivo, El Paliacate, Faro Aragón, Faro Oriente, Proyecto Videoastas Indígenas de la Frontera Sur, Colectivo Solidaridad, SubVersiones, La Sandía Digital, Campamento Audiovisual Itinerante. Sono stati fatti omaggi anche a Pamela Yates, Ilsa Salas, Marta Ferrer, Rocío Martínez Ts’ujul, Concepción Suárez, Inti Cordera e Gael García Bernal.

 

 

Terzo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic” (“Caracol de nuestra vida”) è proseguito per il 3° giorno, alla presenza del pubblico zapatista, oltre a ospiti e partecipanti speciali. La sessione mattutina è iniziata con la proiezione di “Tierra de Impunidad”, del messicano Diego Osorno e del peruviano Luciano Gorriti. Il documentario esplora l’intima relazione tra lo Stato e il crimine organizzato in Messico. La sessione è proseguita con il film “A Desalambrar con Daniel Viglietti”, diretto da Jorge Denti, che narra la vita di Daniel Viglietti, uno dei più importanti cantanti in Uruguay, che con la sua musica ha protestato contro le repressioni dei movimenti sociali che si opponevano alle dittature in America Latina. Successivamente è stato presentato il documentario “Koltavanej”, diretto da Concepción Suárez Aguilar. Rosa López Díaz, una donna Tsotsil viene torturata durante la gravidanza per auto-accusarsi di un crimine che non aveva commesso, Rosa conosce i diversi volti della violenza contro le donne molto prima di andare in prigione. Dal Centro di Riabilitazione Sociale numero 5 (N.d.T. è il carcere della zona di San Cristóbal de Las Casas), la sua voce rompe i muri e ci mostra la sua dignità. Il documentario “El hilo de la memoria”, di Mariana Rivera Garza, è il risultato di un tour attraverso il Messico della mostra “Tessendo con il filo della memoria: punti di dignità in mezzo alla guerra”, dove il lavoro di un collettivo di tessitrici colombiani, formato da donne sopravvissute al conflitto armato. Attraverso i tessuti hanno raccontato le loro storie, denunciando le ingiustizie e la violenza che hanno subito. La mostra è stata condivisa con gruppi di tessitori provenienti da Città del Messico, Guerrero e Chiapas, sono stati tenuti workshop sulla tessitura e sulla memoria ed è stato prodotto un audiovisivo. “Il filo della memoria” racconta il giro della mostra attraverso il Messico, riflette sui ponti che si intrecciano tra creazione collettiva, la creatività ed il potenziale trasformante della realtà che gli spazi condivisi hanno Le canzoni di León Chávez Teixeiro hanno accompagnato e interpretato le lotte popolari a Città del Messico negli ultimi cinquant’anni. In “Donne”, “La vita è finita” e “Compagna”, il documentario più recente di Mariana Rivera (2018), León Chávez Teixeiro e la sua musica rivelano la storia di tre donne che partecipano a diversi movimenti sociali e che ci invitano a riflettere sui valori della lotta organizzata e chiederci quale futuro ci sarà per la nostra società. La sessione pomeridiana ha presentato un anteprima del film “Bayoneta” che verrà proiettato nell’ultimo giorno del festival poi è stata la volta di “Rudo y cursi”, di Carlos Cuarón, con Gael García e Diego Luna. Il film ruota attorno ai fratelli Verdusco: Beto, che sogna di essere un giocatore professionista di calcio, e Tato, che vuole essere un cantante del Norteño. Ma, soprattutto, entrambi vogliono costruire una casa per la loro madre. Con molto umorismo, il film è sia una critica sociale che un commento sulle vicissitudini dell’amicizia. Alla fine ancora riconoscimenti ai cineasti presenti.

 

Quarto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra

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La quarta giornata del Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, è iniziata con la proiezione del film “Niños Héroes”, di Itzel Martínez.

A seguire un video messaggio inviato dai bambini della comunità triqui di Chicahuaxtla, prodotta dal Colectivo Ojo de Agua.
I bambini ci mostrano la loro comunità, fanno tortillas, ballano, cantano, dimostrano la loro conoscenza della flora della foresta e costruiscono un temazcal. E ci invitano tutti a rimandare loro un video clip.

Poi, è stato presentato “Ololetic Ya Vits Tan”, di María Sojob.

Campamento Audiovisual Itinerante presentò il cortometraggio “Inocencia” con musiche dell’Orchestra Filarmonica di San Juan Evangelista Analco: una storia sulla musica, l’identità, la vita e la morte.

Dopo si è proiettato “Duu Latzi” sempre di Campamento Audiovisual Itinerante sul gruppo di danza sempre di San Juan Evangelista Analco nella Sierra Juárez di Oaxaca.
In seguito è stato proiettato “Del Oriente / Laboratorio Experimental de Cine”, di Faro del Oriente e Faro Aragón.

Il documentario “Artemio”, progetto di tesi della direttrice Sandra Luz Lopez Barroso del Centro di Formazione Cinematografica, racconta la storia di Artemio, un bambino di dieci anni, nato e cresciuto negli Stati Uniti ed del suo ritorno in Messico per incontrare sua madre, una donna della Costa Chica di Oaxaca. Questo documentario è stato tratto da un progetto fotografico che la regista ha fatto su Catalina Noyola Bruno, la bisnonna centenaria di Artemio.

Il documentario “Juba Wajiín” racconta la storia di Juba Wajiín, una comunità indigena di Me Phaa sulle montagne del Guerrero, in Messico. Hanno sempre dovuto lottare per mantenere il loro territorio e la loro identità. Qualche anno fa, la storia ha preso piega diversa perché hanno scoperto che l’80% del loro territorio è stato concesso a due compagnie minerarie transnazionali, senza averli informati o consultati. Queste società cercano di operare con l’attuale modello estrattivo minerario: a cielo aperto. Ciò distrugerebbe le montagne sacre e l’acqua e lascerebbe dietro di sé innumerevoli violazioni dei diritti umani e effetti sulla salute. Ma Juba Wajiin combatterà.
Il film è una produzione collaborativa tra la comunità, il Centro per i diritti umani della Montagna Tlachinollan, Audiovisual Tequio, Terracería Audiovisual e La Sandía Digital.

Dall’agenzia di comunicazione autonoma SubVersiones è stato presentato il film “Cherán, Tila e Ostula”.

La sessione mattutina si è conclusa con la proiezione di “Slikebal: El comienzo”, di Bernardino López (Ambulante Más Allá). Víctor, un ragazzo di dodici anni, lavora per sua scelta, pulendo scarpe nello zocalo (piazza principale) di San Cristóbal de Las Casa, per pagare i suoi studi e sostenere la sua famiglia, che aiuta anche lavorando il campo. Mentre il lavoro minorile nelle zone rurali è ben considerato e persino celebrato, non è così nella città. Victor è ad un bivio; sua madre, una giovane donna indigena, ha educato i suoi figli a diventare indipendenti e responsabili, ma lavorare per strada non è facile.

La sessione pomeridiana è iniziata con la proiezione di “Hasta los dientes”, di Alberto Arnaut. Il 19 marzo 2010, gli studenti Javier Francisco Arredondo e Jorge Antonio Mercado Alonso sono stati uccisi dall’esercito all’interno delle strutture del Tecnologico di Monterrey.
Il ministero della Difesa nazionale ha dichiarato che si trattava di criminali che avevano attaccato l’esercito. Poco dopo si è scoperto che erano studenti e la Commissione nazionale per i diritti umani ha concluso che non avevano armi e che i militari coinvolti avevano manipolato la scena del crimine. Più di otto anni dopo, i loro parenti non hanno ottenuto verità, giustizia o riparazione. Il documentario “Hasta los dientes” rivela ciò che è realmente accaduto e il processo di ricerca della verità che le famiglie hanno intrapreso.

Il cortometraggio di finzione “Carrizos”, di Dinazar Urbina, è ispirato alle tradizioni della cultura Ñuu Savi. Il film racconta la storia di una ragazza che vive con i suoi nonni nel comune di Tututepec, sulla costa di Oaxaca, dove c’è una forte siccità.
La ragazza ha quindi l’innocente idea che si possa far piovere.

“Érase una vez”, di Juan Carlos Rulfo, un viaggio attraverso il Messico per scoprire le tradizioni dei bambini in relazione al senso della vita e dei sogni, in un paese vario e complesso, attraverso l’immaginazione e lo sguardo di Luisa, una ragazza di 10 anni.

Infine, al El Cine para Desvelados (Cinema per insonni), è stato proiettato “El infierno”, una commedia nera di Luis Estrada che rivela la violenza e il traffico di droga in Messico ed il suo legame con la politica e la povertà, attraverso la storia di un braccciante ( Damián Alcázar) che torna nella sua città natale, San Miguel Narcángel, dove inizia un nuovo lavoro nel narco.

 

Quinto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il quinto giorno del Primo Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” (“Caracol della nostra vita”), organizzato dall’EZLN, che si celebra dal 1° novembre al 9 nel Caracol zapatista di Oventic, è iniziato con la proiezione di “Tobias”, di Francisca D’Acosta e Ramiro Pedraza. Il bellissimo documentario racconta la storia di un ragazzo triqui di 12 anni che lascia la sua comunità sulle montagne di Oaxaca e si reca a Barcellona per partecipare (a piedi nudi) a un torneo internazionale di basket. Il documentario “Rush Hour” di Luciana Kaplan racconta le vite di tre personaggi in tre città emblematiche del mondo (Città del Messico, Los Angeles e Istanbul), nel loro penoso tragitto da casa al lavoro sui trasporti pubblici, esplorando le implicazioni che ha questo andirivieni ha nella quotidianità delle vite. Nel bacino di La Antigua (Veracruz, Messico), un territorio con abbondanti risorse naturali, ci sono conflitti socio-ambientali. I residenti in resistenza, le aziende nazionali e internazionali con investimenti in progetti energetici e un governo statale che esegue il modello di riforme strutturali per il paese … un’altra battaglia nella “guerra per l’acqua”. Questo è il tema del documentario “La antigua: sangre que nutre”, di Espora Kolectivo. Elida è un’adolescente entusiasta che sta scoprendo la sua vera passione. Gli piace suonare il violino e vivere con i suoi amici sulle spiagge di Bonfil ad Acapulco, nello stato di Guerrero. Conosciuta come Candy Surfer, lei entra nelle onde e inizia a praticare il surf. “El sonar de las olas”, da Ambulante Más Allá, diretto da Vanessa Ishel Ortega Castillo. Il documentario “Batallas Intimates”, di Lucía Gajá, esplora il tema della violenza domestica basato sulle storie di diverse donne sopravvissute a questa violenza, originarie di cinque diversi paesi (Messico, Spagna, Stati Uniti, Finlandia e India). Nelle parole della stessa regista: ” La violenza domestica è una realtà generalizzata, quotidiana, che subiscono le donne in tutti i paesi del mondo. I suoi effetti sono devastanti per loro, le loro vite, la loro salute, il loro lavoro e il benessere delle loro famiglie. Questa violenza accade in tutte le classi sociali, razze, culture e livelli socio-economici. È una guerra dentro le case. La violenza contro le donne non si manifesta solo fisicamente; la violenza sessuale, economica e psicologica è devastante, dove il disprezzo, l’isolamento e l’umiliazione stanno diminuendo la sicurezza e l’autostima. “Batallas Intimas” esplora le conseguenze che la violenza ha lasciato sulla vita di cinque donne, che danno coraggiosamente la loro testimonianza e ci avvicinano a quella realtà complessa e dolorosa che ha trasformato le loro vite.” Con oltre 50 premi internazionali, il documentario “Los reyes del pueblo que no existe” di Betzabé García è una storia di resistenza, di ricostruzione di fronte alla distruzione, di perseveranza, di attaccamento alla terra e alle radici. Nel 2009, la costruzione della diga di Picachos ha invaso cinque villaggi nella catena montuosa di Sinaloa per fornire acqua a Mazatlan. Il villaggio di San Marcos era l’unico che non era completamente coperto dall’acqua. Lì, delle 300 famiglie che abitavano nella città, ne rimangono solo tre. “Di fronte alla condizione di distruggere ciò che conta, ricostruiscono ciò che la natura reclama, e questo mi fa pensare, in questo momento violento in cui viviamo, che la ricostruzione esiste, solo la memoria è necessaria”, ha detto il regista in un’intervista a Proceso. Il documentario è stato presentato nelle sale nel 2017. Come ci si prepara alla morte dei nostri genitori? Questa domanda ha origine dal ritratto amoroso che Carlos Hagerman fa di Oscar e Doris, che hanno lavorato a progetti educativi sul campo per molti anni. Ora è il momento di passare il testimone a Enedino e Isabel, due giovani indigeni che hanno seguito le loro orme. Questo è il tema di “El patio de mi casa” di Carlos Hagerman, una storia che ci fa riflettere sull’incredibile possibilità di trasformare la vita attraverso l’idea di apprendere e insegnare. Finalmente, alle 9 di sera, nel “Cine para desvelados”, (il cinema per gli insonni) si è presentato “Un mundo maravilloso”, di Luis Estrada. Juan Pérez, il più povero dei poveri, diventa famoso in un incidente che sembra essere un tentativo di suicidio per protestare contro la sua condizione davanti al governo. Il ministro dell’Economia, nel bel mezzo dello scandalo, causatogli dalle azioni di Perez, decide di ricompensarlo cambiando la sua vita e dandogli un lavoro, una casa e un’auto. Quando gli amici di Perez scoprono il fatto, decidono di imitarlo fingendo tentativi di suicidio. Preoccupato, il ministro dell’Economia, per porre fine a questa condizione nel paese, dichiara la povertà un crimine e Perez finisce dietro le sbarre. Tre anni dopo, dopo essere stato rilasciato, Pérez ritorna alla sua condizione originale, ma con l’idea che preferisce essere ricco un giorno che povero per sempre …

   Sesto Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Martedì 6 novembre, sesto giorno del Festival del film “Puy ta Cuxlejaltic”, il documentario “Tempestad” di Tatiana Huezo ci ha lasciato il suo segno indelebile. Ecco perché la nostra storia oggi inizia al contrario, con la sessione pomeridiana seguita dalla sessione del mattino.
“Tempestad” documenta con singolare sensibilità il tema della sparizione forzata, dell’ingiustizia e dell’impunità che si è vive in Messico da oltre un decennio, attraverso le storie di due donne.
Miriam Carvajal viene prelevata dal suo lavoro all’aeroporto di Cancun e trasferita a Città del Messico, dove è ingiustamente accusata di traffico di esseri umani;
Adela Alvarado, una donna che ha dedicato la sua vita a far ridere la gente con il suo lavoro di pagliaccio da circo, ha cercato sua figlia Monica per 10 anni.

La storia di Miriam racconta dalla sua uscita da un penitenziario di Matamoros, “autogovernato” dal crimine organizzato, e lungo la strada per Tulum, dove è nata, per incontrare il suo giovane figlio. Lungo la strada, apprendiamo come è stata arrestata e accusata ingiustamente di traffico di esseri umani. Nel loro viaggio da nord a sud del Messico (dove vediamo terminal di bus, persone in transito, paesaggi, persone che viaggiano in autobus), Miriam sta narrando la propria esperienza come “pagante” accusata dalle autorità di uno fatto non commesso. Nella sua testimonianza racconta il funzionamento della prigione dove è stata detenuta: il controllo esercitato dal cartello, il dover pagare per salvarsi la vita, così come la tortura e l’assassinio e la situazione di altre persone, molte delle quali migranti.

Adela, ambientato nel circo, dove lavora come pagliaccio ed è accompagnata da altre donne, narra la ricerca di sua figlia scomparsa da dieci anni e le minacce ricevute per questa ricerca, così come la complicità e la partecipazione delle autorità. La sua narrazione diventa così una testimonianza delle sparizioni forzate ai fini della tratta, dello sfruttamento sessuale e del dolore delle madri degli scomparsi.

Le testimonianze di queste donne ci riportano allo stato di terrore, paura, impunità, violenza e tristezza che si vive in Messico. Ma non è solo la testimonianza di queste donne che si distingue nel film. E’ anche il meticoloso lavoro estetico, la grande fotografia che non consente di staccare gli occhi dallo schermo per un secondo, e il modo brillante con cui viene raffigurato il viaggio da nord a sud. C’è qualcosa qui che raggiunge le viscere: il terrore (la consapevolezza che il terrore può superare ciò che è immaginabile). Le figure, i numeri, la violenza che, dal vederle così tanto, smettiamo di vederle, si trasforma qui in una realtà viscerale dalla quale non possiamo sfuggire e che ci condiziona tutti.

I film “La piedra absente”, di Sandra Rozental e Jesse Lerner e “Museo”, di Alonso Ruiz Palacios, hanno parlato tra loro.

Il primo, “La piedra absente”, è un documentario sul trasferimento, nel 1964, dell’enorme monolite di Tláloc (divinità dell’acqua e della pioggia, conosciuta dai contadini come Chalchiuhtlicue) da San Miguel de Coatlinchán, Texcoco, al Museo Nazionale di Antropologia e storia di Città del Messico. Basato su un’indagine durata 10 anni dell’antropologa Sandra Rozental, con il supporto del regista americano Jesse Lerner, il documentario è basato sulla copertura mediatica dell’evento in quel momento e sulle interviste agli ingegneri che vi hanno partecipato. Ma il film narra soprattutto come questo trasferimento, che è stato portato avanti con decreto presidenziale, ha colpito gli abitanti del villaggio, che sono stati derubati di parte del loro patrimonio culturale, così come la loro resistenza, prima che finisse a causa dell’intervento dell’esercito messicano.

Da parte sua, la fiction “Museo”, di Alonso Ruiz Palacios, è basata su eventi reali accaduti nel 1985, quando gli studenti universitari di Ciudad Satélite, nello Stato del Messico, hanno rubato 140 pezzi dal Museo Nazionale di Antropologia e Storia, tra cui la maschera di Pakal, ultimo re della città maya di Palenque. Due attori (il protagonista Gael García Bernal e Ilse Salas) sono presenti al festival Puy ta Cuxlejaltic, ed entrambi hanno ricevuto riconoscimenti e stima dagli zapatisti.
Il film ha provocato molte risate tra il folto pubblico zapatista, che non ha smesso di reagire alle critiche per il saccheggio culturale delle popolazioni indigene da parte di archeologi e istituzioni, nel contesto neoliberista degli anni ’80.

La sessione mattutina è iniziata con la proiezione della versione restaurata di “El grito”, di Leobardo López Aretche, un documentario sul movimento studentesco in Messico, prodotto lo stesso anno del 1968. Quell’anno, gli studenti del Centro universitario per studi cinematografici (CUEC) ) e l’Università Nazionale Autonoma del Messico (UNAM) hanno filmato gli eventi del movimento e raccolto circa otto ore di riprese, che sono state successivamente organizzate da López Aretche. Il documentario inizia nel luglio 1968 e termina con l’inaugurazione dei XIX Giochi Olimpici del 12 ottobre.

Successivamente è stato proiettato “La tercera raíz”, di Camilo Nu e Reed Rickert, un documentario che ci porta in un viaggio da Tlacotalpan, in Città del Messico, al sud della Spagna e in Africa alla ricerca delle radici del figlio jarocho (N.d.T. abitante della città di Veracruz).
La produzione del documentario è durata sette anni, dalla ricerca alle riprese delle immagini e fino alla produzione.

Con un lavoro poetico e riflessivo e con una particolare attenzione all’immagine, “Nuestra música” (Jvbotik), di Humberto Gómez Pérez, è un documentario su un musicista tradizionale, che mostra com’è la vita di una persona con quella posizione e come questo lavoro viene trasmesso di generazione in generazione.

“La comunidad del oído atento” di Gabriela Dominguez Ruvalcaba esplora il movimento delle resistenze dalla corporeità, inoltrandosi attraverso il territorio dell’immagine, attraverso la parola, scendendo e incontrandosi in un orizzonte comune, in una rete di piccole storie fatte di azioni minime, nel cammino della coscienza organizzata, nella volontà e nell’orecchio attento.

Settimo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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La sessione mattutina del settimo giorno del Puy ta Cuxlejaltic, nel Caracol di Oventic, è iniziata con la proiezione del documentario “Aquí sigo”, di Lorenzo Hagerman. Un bellissimo lavoro che segue da vicino uomini e le donne ultra ottantasettenni provenienti da sette paesi (Costa Rica, Nicaragua, Messico, Giappone, Canada, Italia e Spagna), che vivono pienamente ogni giorno per quello che è: un regalo dell’esistenza. Persone di quasi 100 anni che continuano a vivere con determinazione e gioia, raccontando al mondo ed a se stessi: Sono ancora qui. In seguito, è stato proiettato il documentario “El secreto de la belleza”, di Néstor Jiménez, che racconta la lotta dei popoli del Chiapas per difendere la terra e il territorio dai megaprogetti estrattivi. “No les pedimos un viaje a la luna”, di Maricarmen de Lara, è un documentario sulle sarte che morirono, durante il terremoto che colpì Città del Messico nel 1985; narra la loro storia e dei loro padroni che si rifiutarono di pagare un risarcimento. Poi, sono stati presentati quattro cortometraggi animati di Federico Cuatlacuatl, che in modi diversi si riferiscono all’esperienza dei migranti: “Future Past” – “Fin de” – “Coapan sin tiempo” – “Carnaval”. “Future Past” è un commento sul tempo, che cerca di rompere con la concezione lineare del passato-presente-futuro. Per i migranti, passato, presente e futuro diventano intercambiabili. In “Fin de” un uccello prematuro desidera volare; un mitico uccello azteco, che ha il potere di esaudire il suo desiderio, osserva i suoi sfortunati sforzi. Il cortometraggio è una metafora della capacità della popolazione migrante di adattarsi a una società che nega i loro diritti mentre cercano di affrontare lo sfollamento e la ricerca di identità. “Coapan Sin Tiempo” è stato prodotto nella comunità di San Francisco Coapan nel 2016, con interviste a persone della comunità che hanno parlato dei loro parenti negli Stati Uniti. Più della metà della popolazione della comunità è emigrata negli Stati Uniti e la maggior parte non sono tornati per più di 20 anni. “Carnaval” si occupa della capacità dei migranti di costruire multiple dimensioni di tempo e spazio. Il futuro diventa passato e il passato futuro. La possibilità di costruire diverse dimensioni dello spazio avviene attraverso la conservazione della cultura e delle tradizioni. “Los hijos del jaguar”, di Eriberto Gualinga, è un documentario sulla lotta per il territorio dei sarayakus – un villaggio di indigeni kicwha composto da circa 1200 persone – la cui terra è in una remota zona della regione amazzonica, nella parte orientale dell’Ecuador. “La vita a Sarayaku è una vita di libertà, armonia e pace. Siamo tutti uniti “, afferma Noemí Gualinga, rappresentante della comunità. Ma questa armonia si è infranta nel 2002, quando il governo dell’Ecuador, senza consultarsi con la comunità, ha dato il permesso ad una compagnia petrolifera straniera di iniziare la ricerca di combustibili fossili nella loro terra. “La nostra lotta e quella di tante altre popolazioni indigene in tutto il mondo continua. Vogliamo che ci rispettino e ci ascoltino.” Negli altopiani settentrionali di Oaxaca, dove nacque Benito Juárez, il prete Gerardo Silvestre abusò sessualmente di dozzine di bambini indigeni per diversi anni, senza che la gerarchia cattolica del Messico ed il Vaticano facessero nulla, nonostante avessero testimonianze e prove di quello che stava accadendo. “Silvestre. Pederastia Clerical en Oaxaca”, con la regia di Santiagog Mohar Volkow e le inchieste di Diego Enrique Osorno, esamina le atrocità commesse nei villaggi zapotecos, nonché l’occultamento delle autorità ecclesiastiche e le rappresaglie subite dal gruppo di sacerdoti che denunciavano i fatti. “No sucumbió la eternidad”, il primo documentario di Daniela Rea, racconta la storia di Alicia de los Ríos e Liliana Gutiérrez, due sopravvissute delle guerre del Messico recente: la madre di Alicia de los Ríos, combattente della Lega comunista 23 settembre, fu rapita e scomparve il 5 gennaio 1978, nella Guerra Sporca che il regime del PRI scatenò contro i militanti di sinistra. Arturo Román, il compagno di Liliana Gutiérrez, è scomparso il 25 agosto 2010 a San Fernando, Tamaulipas, dove era di passaggio verso il confine, in uno dei suoi soliti viaggi per comprare vestiti e mercanzie, che poi vendeva a Città del Messico. Forse è scomparso a causa degli Zetas che due giorni prima a San Fernando avevano ucciso 72 migranti. Infine, al “Cinema per insonni” si è conclusa la sessione della giornata con la proiezione de “La dictadura perfecta”, di Luis Estrada. Si tratta di una satira politica che rivela l’influenza e il potere di Televisa nella politica messicana, il cinismo sia del media televisivo che della classe politica, nonché i legami intimi della criminalità organizzata con tutte le strutture statali: Il Presidente della Repubblica commette un’altra delle sue frequenti sciocchezze. TV MX, la potente Corporación Mexicana de Televisión, deve aiutare il suo amico e alleato ad uscire dal problema prima che si trasformi in un’altra grave crisi di immagine e popolarità. Per distogliere l’attenzione, la stazione televisiva annuncia nel suo notiziario principale ed in maniera scandalosa un video che coinvolge il Governatore Carmelo Vargas in crimini efferati e gravi affari illeciti. Il “Gober Vargas”, preoccupato per il suo futuro politico, decide di negoziare un accordo milionario e segreto con i proprietari della stazione televisiva. Carlos Rojo, un giovane e ambizioso giornalista; Ricardo Diaz, giornalista di punta della televisione e Javier Pérez Harris, conduttore del telegiornale di prima serata, sono incaricati di cambiare l’immagine che il pubblico si è fatta del corrotto e folcloristico “Gober” e trasformarlo – ad ogni costo – in una brillante stella politica e un possibile candidato alla presidenza. La televisione ha già messo un presidente … Lo farà di nuovo?

Ottavo Giorno – Festival Cinema “Caracol de nuestra vida”

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Il penultimo giorno del Festival del Cinema Puy ta Cuxlejaltic (Caracol della nostra vita), è iniziato con la proiezione di “Les révoltés: Images et paroles de mai 1968 (I ribelli: Immagini e parole del maggio 1968), di Michel Andrieu e Jacques Kebadian. È un documentario che ci porta nel cuore della rivolta popolare del 1968 in Francia, alla rabbia di lavoratori, studenti e giovani che si oppongono al moralismo e al potere del tempo. Il tema delle sparizioni forzate era presente con il cortometraggio di 5 minuti “Ci mancano”, di Lucía Gajá e Emilio Ramos, una commovente immagine sui 43 normalisti scomparsi dalla Scuola Rurale Normale Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa. Ayotzinapa è anche il tema di “El paso de la tortuga”, un documentario di 80 minuti del regista Enrique García Meza, che ricostruisce i fatti del 26 e 27 settembre 2014. Nel film, padri e madri, compagni degli studenti normalisti scomparsi e sopravvissuti di quella notte denunciano l’ingiustizia, l’impunità e la complicità dello Stato. “El maíz en tiempos de guerra”, di Alberto Cortés, segue il corso annuale di quattro campi indigeni di mais in diverse regioni del Messico. Il film illustra l’eccezionale sviluppo del mais, la sensibilità per selezionare i semi e preparare la terra che li riceverà, la costanza nella cura, il raccolto finale e l’uso indispensabile dei suoi frutti. La storia del grano corre parallela alla storia delle popolazioni indigene, che si definiscono popoli di mais, uomini e donne di mais. La cura che le comunità mettono nel grano è affascinante in Messico, che è la culla del grano, il suo centro di origine e la sua diversificazione. Una famiglia wixárika (huichola – N.d.T. nativi della Sierra Madre Occidentale del Messico) nel nord del Jalisco; un’altra famiglia ayuuk (mixe – N.d.T. popolo nativo che abita le alture orientali dello stato di Oaxaca.) a Oaxaca, e due famiglie tzeltal nella selva del Chiapas ci parlano dai loro campi, dalle case e dai sentieri dell’importanza della semina, delle conoscenze e delle pratiche che permettono l’epopea del mais, i pericoli che si nascondono, l’attuale necessità di preservare i territori che danno continuità ai raccolti e la vita a milioni di messicani. Il film “Diarios de motocicleta” di Walter Salles è basato sui diari di viaggio di Che Guevara (quando era ancora studente di medicina) e Alberto Granado (interpretati rispettivamente da Gael García Bernal e Rodrigo de la Serna), nel suo viaggio attraverso il Sud America nel 1952. E’ su quelle strade che il Che si trasforma e comprende la violenza, lo sfruttamento e la miseria dei popoli dell’America Latina. Infine, la giornata si è conclusa con la proiezione di “El laberinto del fauno”, di Guillermo del Toro: un film fantastico che è un’allegoria della guerra civile spagnola. Il film si svolge nel 1944, cinque anni dopo la fine della guerra e racconta la storia di Ofelia, una ragazza di 13 anni che arriva con sua madre Carmen in un villaggio nei Pirenei, dove incontra il suo patrigno, un capitano della polizia franchista con la missione di eliminare gli ultimi ribelli repubblicani sulle montagne circostanti. Ofelia scopre le rovine di un labirinto, dove trova un fauno – una creatura con i piedi e le corna di capra – che le rivela essere in realtà la figlia di un re di un regno sotterraneo. Dopo essere salita in superficie per conoscere il mondo umano, la principessa perse la memoria e finì per morire. Ma suo padre era sicuro che la sua anima era ancora esistente anche se non ricordava il suo regno. Per tornare, Ofelia deve superare tre prove prima della luna piena.

Chiusura Festival del Cinema – Caracol de nuestra vida

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 Con una festa popolare e con tanta allegria, si è concluso il 9 novembre 2018, il Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic” (Caracol de nuestra vida) nel Caracol zapatista di Oventic. Sono stati nove giorni di cinema, con un pubblico che nei primi giorni ha visto la presenza di circa 4mila zapatisti, oltre a ospiti e assistenti. Un evento senza precedenti nelle montagne del sud-est del Messico, il festival è un ulteriore passo nel percorso che lo zapatismo si è prefissato e che propone a tutti noi: le arti (e le scienze) come alternativa di fronte al tempo di morte che viviamo. La possibilità che le arti ci permettono di ripensare il nostro mondo con una visione critica e immaginare altri mondi possibili. Come al solito, le migliaia di zapatisti presenti all’incontro avranno il compito di riportare alle comunità di appartenenza ciò che hanno imparato, pensato e immaginato in questi giorni. Quest’ultimo giorno del festival è iniziato con la proiezione di “Petits historias das crianças” (Piccole storie di bambini), di Guido Lazzarini, Gabriele Salvadores e Fabio Scamoni, che racconta la storia dei bambini che partecipano ogni anno al progetto di Inter Campus, un progetto sociale fondato dalla squadra di calcio italiana dell’Inter, che lavora con bambini provenienti dalle periferie di 29 paesi in tutto il mondo. I bambini erano ancora presenti con il cortometraggio di 28 minuti “Niñ@s del llano encantado”, di Ojo de Agua Comunicación. È una videomessaggio realizzato da bambini della comunità di Santa Catarina Lachatao, negli altopiani settentrionali di Oaxaca, dove ci fanno vedere aspetti della vita quotidiana della loro comunità, ci mostrano luoghi sacri e storici, ci mostrano le loro famiglie e parlano con i loro nonni, sempre divertendosi e facendoci pensare e ridere. Questo videomessaggio è il prodotto di un laboratorio per bambini, realizzato dal CAI (Campamento Audiovisual Itinerante). A seguire, si è proiettato il cortometraggio “Saludos desde San Juan Evangelista Analco”, di La Caléndula Audiovisual e Ojo de Agua Comunicación: un video messaggio di ringraziamento agli abitanti di San Juan Evangelista Analco di Calenda Audiovisual e Ojo de Agua Comunicación, nell’ambito del Campamento Audiovisual Itinerante La riserva della biosfera di Calakmul è una delle più importanti del Messico e la seconda più grande del continente dopo l’Amazzonia. Nonostante la loro importanza, le autorità e gli abitanti non hanno una corretta gestione dei rifiuti solidi. Il documentario “El futuro en nuestras manos”, di Sara Oliveros (Ambulante Más Allá), affronta questo problema a partire dalla storia di Miguel, Armando e Víctor, tre bambini che vivono nella discarica comunale e si dedicano a separare i rifiuti per sopravvivere. “Los débiles”, il primo lungometraggio di Raúl Rico e Eduardo Giralt, ci porta in un viaggio attraverso Sinaloa, rivelandoci la cultura ibrida del nord del paese. Il film ripercorre il viaggio di Victor, tormentato da un ragazzo di 13 anni soprannominato Selfie, e che dopo qualche ora trova uccisi i suoi amati cani. Victor inizia quindi un viaggio per trovare il ragazzo a Sinaloa … un tour nel Messico del Narcos, delle bande, tra i giovani immersi nella violenza, il tutto trattato con umorismo e sottile ironia. La marcia del colore della terra del 2001 era presente con il film “La fragile armada”, di Jacques Kebadian e Joani Hocquenghem. Il film di 56 minuti “Oscar Chávez, Chiapas”, di Modesto López, registra testimone della lotta zapatista e dei concerti di Óscar Chávez nel Parco del Messico, nell’auditorium nazionale e nel Caracol de Oventic, dove si trova la prima scuola secondaria zapatista “Primero de Enero”, a cui sono stati consegnati tutti i proventi della vendita di CD, cassette e del video (che non è in vendita al pubblico), delle circa 600 copie che sono state distribuite a comunità, scuole e organizzazioni popolari del Messico ed in altri paesi). Infine, si è svolta la cerimonia di chiusura e il festival si è concluso, come di solito avviene in territorio zapatista, con la gioia di ballare nel freddo dell’autunno tra le montagne del sudest messicano.

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CRONACHE DAL PRIMO FESTIVAL DEL CINEMA CONVOCATO DALL’#EZLN

Migliaia di Basi di Apoggio Zapatiste (BAEZLN), cineasti e partecipanti nazionali e internazionali, assistono alla prima edizione del Festival del Cinema “Caracol de nuestra vida”, convocato dall’ #EZLN, nel Caracol zapatista di Oventic, nella zona degli Altos del Chiapas.

Sono stati omaggiati i morti caduti in questi 35 anni di ribellione e resistenza, e consegnati riconoscimenti a diversi invitati, tra i quali all’attore Gaél García Bernal.

Primo film in rassegna è stato Roma di Alfonso Cuarón. Dopo la proiezione il Subcomandante Galeano ha ringraziato i presenti per aver accompagnato l’apertura del primo festival del cinema zapatista. Poi ha annunciato la consegna di vari riconoscimenti consegnati “da mani zapatiste” (da bambine e bambini) a: Berta Navarro, Paul Leduc, lavoratrici e lavoratori della filmoteca della UNAM, Hugo Villa. Ha rivolto un ringraziamento particolare a tutta la squadra del film Roma, che ha permesso che la pellicola arrivasse in territorio zapatista, al team tecnico per gli strumenti per la sua proiezione ed alla produzione per il permesso di trasmetterla, e ad Alfonso Cuarón. Ha ringraziato in particolare Libo, la collaboratrice domestica alla quale è dedicato il film. Il riconoscimento, un’opera d’arte zapatista dal titolo “El caracol de nuestra vida”, è stato consegnato dalla Capitana Insurgenta Érika, che prima della sollevazione era collaboratrice domestica.

Cronaca e immagini dal Festival del Cinema “Puy ta Cuxlejaltic”: https://radiozapatista.org/?p=28979&fbclid=IwAR3eopq3XpUF61q_gsEIMtYdZ6Hejjy82U1_l4oCSgVD5dGOT3jNuTjG9Eg

Foto dal Festival: https://www.facebook.com/pg/cooperazionerebelde.napoli/photos/?tab=album&album_id=2202187526737583&__xts__%5B0%5D=68.ARBovEYm2EMVtqeHDxlU3o6ekDN1uj-Kt0xGPepcfihx34ll3ppN5kOi63pxj6O-sgZPBOywxILkTNbY-puct4rvv6bQrwGzzYQA8wQwm1u2WzpjjIF9glGVI9Ci1tJaOZ8QRp14W2Eu3XRrwbLIkQ2t7L-0U4MbCB0LixOlnL5w4mF5CcbZPRaCCkQf1D5Z3NsPTuHcRYCMR55hw62Mh9UFW0ZrUw-Gytw_O95QddsnV5taebP4JCnK_52t&__tn__=-UCH-R

 

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Festival del cinema “Puy ta Cuxlejaltic”. Programma Generale.

Commissione Sexta dell’EZLN

Messico

Ottobre 2018

Programma delle proiezioni al festival del cinema “Puy ta Cuxlejaltic”

Attenzione: Per cause di forza minore, le date di questo primo festival si estendono fino al 9 novembre.

Saranno proiettati i seguenti film (nelle proprie categorie):

 

Categoria Ah, ti piace?

Sezione Speciale: “Una colonia cittadina nelle montagne del sudest messicano”.

Roma. Direzione: Alfonso Cuarón.

Categoria Cadere e rialzarsi

Baionetta. Direzione: Kyzza Terrazas.

Rudo y Cursi. Direzione: Carlos Cuarón.

Batallas Íntimas. Direzione: Lucía Gajá.

No les pedimos un viaje a la luna. Direzione: María del Carmen de Lara.

Categoria Sognare la Realtà

Érase una vez. Direzione: Juan Carlos Rulfo.

Ana y Bruno. Direzione: Carlos Carrera.

Tobías. Direzione: Francisca D´Acosta y Ramiro E. Pedraza.

Carrizos. Direzione: Dinazar Urbina.

Niños Héroes. Direzione: Itzel Martínez.

El Laberinto del Fauno. Direzione: Guillermo del Toro.

El Patio de mi casa. Direzione: Carlos Hagerman.

Future Past; Fin de, Coapan sin tiempo e Carnaval. Direzione: Federico Cuatlacuatl.

Aquí sigo. Direzione: Lorenzo Hagerman.

El sonar de las olas. Direzione: Vanessa Ortega C.

Amor, nuestra prisión. Direzione: Carolina Corral.

Sezione Speciale: Corrispondenza Infantile.

Niñ@s del llano encantado. Collettivo Ojo de Agua Comunicación.

Saludos desde San Juan Evangelista Analco. La Caléndula Audiovisual y Ojo de Agua Comunicación.

Ololetic Ya Vits Tan. Direzione: María Sojob.

Video carta desde Chicahuaxtla. Colectivo Ojo de Agua.

Categoria La Tormenta

No sucumbió la eternidad. Direzione: Daniela Rea.

Hasta los dientes. Direzione: Alberto Arnaut.

Artemio. Direzione: Sandra Luz.

Rush Hour. Direzione: Luciana Kaplan.

Tierra de Impunidad. Direzione: Diego Osorno y Luciano Gorriti.

La Tempestad. Direzione: Tatiana Huezo.

Silvestre. Direzione: Santiago Mohar Volkow.

Los reyes del pueblo que no existe. Betzabé García.

Los débiles. Direzione: Raúl Rico y Eduardo Giralt.

El futuro en nuestras manos. Direzione: Sara Oliveros.

Categoria Ieri, Oggi

Reed, México Insurgente (restaurato). Direzione: Paul Leduc.

El Grito (restaurato). Direzione: Leobardo López Aretche.

Diarios en Motocicleta. Direzione: Walter Salles.

Categoria Resistenza e Ribellione

Juban Wajin. Colectivo Tlachinollan y La Sandía Digital.

El secreto de la belleza. Direzione: Néstor Jiménez.

El Desafío Indígena. Direzione: Inti Cordera.

El Maíz en Tiempos de Guerra. Direzione: Alberto Cortés.

Del Oriente / Laboratorio Experimental de Cine. Faro Oriente y Faro Aragón.

Cherán. Tila y Ostula. SubVersiones.

Yoo´oram luturia y Comcaac quih yaza quih iicp cöismatoomlam quih.

La Marabunta Filmadora. Yoemem * Comcaac * Raramuri.

La Tercera Raíz. Direzione: Camilo Nu.

Los hijos del jaguar. Direzione: Eriberto Benedicto Gualinga Montalvo.

La Antigua: Sangre que nutre. Espora Kolectivo.

La Frágil Armada. Direzione: Jacques Kebadian y Joani Hocquenghem.

Los rebeldes. Direzione: Jacques Kebadian y Michel Andrieux.

Petites historias das criancas. Direzione: Gabriele Salvadores. Guido Lazzarini, Fabio Scamoni.

Slikebal: el comienzo. Direzione: Bernardino López.

Sezione Speciale: Ixmucané

500 años. Direzione: Pamela Yates.

Mujer. Se va la vida compañera. Direzione: Mariana Rivera.

Koltavanej. Direzione: Concepción Suárez.

Mujeres que Luchan. Koman Ilel.

La Candidata Imposible. Direzione: Rodrigo Hernández y Elpida Nikou.

Gira. Videoastas de la Frontera Sur.

Las mujeres que luchan. Direzione: Rocío Martínez Ts´ujul.

Hilo de la memoria. Direzione: Mariana Rivera.

Semillas de Guamuchil. Direzione: Carolina Corral.

Categoria Canta, Tessi, Balla, Gioca, Racconta questa memoria

A morir a los desiertos. Direzione: Marta Ferrer.

Nuestra música. Direzione: Humberto Gómez Pérez.

Inocencia y Latzi Duu. Campamento Audiovisual Itinerante.

La Comunidad del Oído Atento. Direzione: Gabriela Domínguez Ruvalcaba.

Oscar Chávez, Chiapas. Direzione: Modesto López.

Categoria Nel frattempo, là sopra…:

Sezione Speciale: La Quarta Trasformazione… di una pellicola.

Il segretario: Sorrida, dottore, le ho portato la sua nuova giacca ed è PERFETTA.

Il dottore: E adesso, di che colore è?

La Ley de Herodes. Direzione: Luis Estrada.

Un mundo maravilloso. Direzione: Luis Estrada.

El Infierno. Direzione: Luis Estrada.

La Dictadura Perfecta. Direzione: Luis Estrada.

Sezione Speciale: Anche le/i Ricch@ Ric@s devono.

Las Niñas Bien. Direzione: Alejandra Márquez.

Sezione Speciale: Il ladro che ruba al Ladro.

La piedra ausente. Direzione: Sandra Rozental y Jesse Lerner.

Museo. Direzione: Alonso Ruizpalacios.

Categoria: Né perdono, né oblio

Sezione Speciale: Una ferita che si chiama Ayotzinapa.

El paso de la Tortuga. Direzione: Enrique García Meza.

Nos faltan. Direzione: Lucía Gajá y Emilio Ramos.

Categoria: “Ti salutiamo, sempre

A Desalambrar con Daniel Viglietti. Direzione: Jorge Denti.

Categoria Guardarsi allo Specchio

Spajel Cuxlejalil (Paragonando Vite).

Documentario in lingua Tzeltal sottotitolato in spagnolo. Los Tercios Compas.

Lak Tatucho’b yi’k’oty lak chuchu´tyi finca (I nonni e le nonne nelle fincas).

Documentario in lingua Chol sottotitolato in spagnolo. Los Tercios Compas.

Muku Shämbal (Camminare in silenzio).

Documentario in lingua Chol sottotitolato in spagnolo. Los Tercios Compas.

Yoyal xkuxlej stuk jteklum xchi´uk xkuxlejik sviniktak chopol ajualil. (Il pilastro dell’autonomia e la vita degli affiliati ai partiti). Documentario in lingua Tzotzil e Spagnolo. Los Tercios Compas.

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NOTA IMPORTANTE: Questo Primo Festival del Cinema “Puy Ta Cuxlejaltic” (“Caracol di Nostra Vita”) è ideato FONDAMENTALMENTE per i popoli originari zapatisti, per il loro sguardo, e lo sguardo delle persone che lavorano dentro o intorno alla fiction e il documentario che sono state invitate. Per questo, i posti a sedere nelle sale cinematografiche: “Cinema Infantil Emiliano Zapata 3D” (cioè 3 direzioni; ovvero che ha 3 schermi, ma una visuale su un lato ed altre su un altro lato) con 1800 posti a sedere; e la “Sala de Cine Comandanta Ramona” – DCP Dolby -(no, neanche io so che cosa significa, ma ci hanno detto che la pellicola si vede e si sente bene; l’apparecchiatura l’ha prestata il team di produzione, il team tecnico e Alfonso Cuarón, tutt@ del film “Roma”, e solo per i giorni della durata del il festival) con 2000 posti a sedere, questi posti a sedere sono riservati alle donne, uomini, bambini ed anziani zapatisti ed alle persone invitate. Cioè, prima entrano i compas insieme con gli invitati, e se rimane posto, entrano anche gli altri (cosa che, sinceramente, sembra difficile perché, almeno nei primi giorni, si aspetta un pubblico zapatista di almeno 4 mila incappucciat@).

Ma non temere. Abbiamo anche il “Pie Cinema Maya” (non sono ammesse auto) che è all’aperto e può contenere più di 10 mila cinefili. Certo, le proiezioni dipendono dalla pioggia e devono avvenire quando si fa buio. Per questo questa mega sala si userà solo per alcune proiezioni delle 18:00 in poi.

Grazie al supporto di artisti delle città, ci saranno anche attività musicali, teatro, danza, esposizioni fotografiche e letture nei padiglioni installati intorno al “Pie Cinema Maya”.

Così ora, puoi decidere se farci un giro o se preferisci aspettare le proiezioni che si terranno al CIDECI-UniTierra di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, secondo il suo programma.

L’accesso al caracol di Oventik durante il festival sarà consentito solo alle/agli invitat@ ed agli spettatori registrati. L’ingresso al CIDECI sarà con registrazione.

Per registrarsi come spettatore, per favore inviare i propri dati all’indirizzo:

festivalcine@enlacezapatista.org.mx

 

Dal “Piecinema Maya (non sono ammesse auto)” (il campo di pallacanestro)

Per la Commissione Sexta dell’EZLN

Il Sup Galeano “bloccato nel fango” con un secchiello di popcorn.

Eh? Meglio premunirsi perché poi finiscono subito.

Inoltre, sono arrabbiato perché non hanno messo “La Nave dei Mostri”, che farci!

Messico, Ottobre 2018.

 

https://youtu.be/dTzyL80IfYQ

Snow-White. Biancaneve. Dave Fleischer. 1933. 7 min. Direzione Animazione di Roland C. Crandall. Tecnica Rotoscopio. Voci dei protagonisti di Mae Questel e Cab Calloway.

 

https://youtu.be/bUER0q9IDXw

“La finestra sul cortile”. Alfred Hitchcock. 1954. Primi 7 min. Con James Stewart, Grace Kelly, Wendell Corey e Thelma Ritter. Sceneggiatura: John Michael Hayes. Direttore della fotografia: Robert Burks. Edizione: George Tomassini. Costumi: Edith Head. Maquillaje: Wally Westmore. Suono: Harry Lindgren e John Cope. Direzione artistica: Hal Pereira e Joshep MacMillan Jhonson. Scenografia:
Sam Comer e Ray Moyer. Assistente di Direzione: Herbert Coleman. Musica: Franz Waxman.

 

https://youtu.be/_vXFJpXLk_c

Collage di cartelloni del film “La Nave dei Mostri”. Rogelio A. González. 1960. Un classico internazionale del cinema di fantascienza. Pellicola di culto. Con Eulalio González El Piporro, Ana Bertha Lepe e Lorena Velázquez.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo 

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/10/30/festival-de-cine-puy-ta-cuxlejaltic-programa-general/?utm_source=feedburner&utm_medium=email&utm_campaign=Feed%3A+EnlaceZapatista+%28Enlace+Zapatista%29

 

 

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COMUNICATO CONGIUNTO DEL CNI, CIG ED EZLN CONTRO IL MEGAPROGETTO DEL NUOVO AEROPORTO INTERNAZIONALE DEL MESSICO (NAIM) ED IN APPOGGIO E SOLIDARIETÀ CON LE POPOLAZIONI MIGRANTI.

26 ottobre 2018

 

Al Popolo del Messico

Ai popoli del Mondo

Alla Sexta Nazionale ed Internazionale

Alle reti di appoggio al CIG

Ai mezzi di comunicazione

Noi popoli, nazioni, tribù e barrios del Congresso Nazionale Indigeno ed EZLN, ci rivolgiamo con rispetto al popolo del Messico ed ai popoli originari e contadini che degnamente si oppongono al megaprogetto di morte che chiamano Nuovo Aeroporto Internazionale del Messico (NAIM), i quali senza arrendersi, senza vendersi, né cedere, non hanno lasciato cadere la speranza, che è la luce per la quale sogniamo e costruiamo la giustizia.

La nostra parola va rispettosamente anche a coloro che sono obbligati a cercare in altri suoli quello che gli hanno strappato nelle loro geografie; a coloro che migrano alla ricerca di vita, e a coloro che li appoggiano disinteressatamente con i propri mezzi, tempi e modi.

-*-

Abbiamo visto, seguito e vissuto da vicino la lotta delle comunità del lago di Texcoco e dintorni. Abbiamo visto la loro determinazione, la loro dignità ed il loro dolore che sono stati anche nostri. Non dimentichiamo la repressione di maggio del 2006, la tortura sessuale, l’ingiusto incarceramento dei compagni e delle compagne del Fronte dei Popoli in Difesa della Terra e della Sexta nazionale e internazionale; così come l’omicidio del nostro compagno Ollin Alexis Benhumea e del giovane Francisco Javier Cortés Santiago; repressione ordinata allora da Vicente Fox ed Enrique Peña Nieto, con l’avallo ed il plauso di tutto lo spettro politico di sopra, compreso chi oggi si presenta come “il cambiamento”.

Oggi, senza alcuna considerazione per i nostri diritti come popoli originari, i malgoverni dicono di consultare i messicani per sapere se preferiscono l’aeroporto nel Lago di Texcoco o a Santa Lucía, ma noi pensiamo che entrambe le soluzioni portano alla depredazione dei territori circostanti, alla devastazione ambientale, alla mercificazione della vita comunitaria dalla loro cosiddetta aerotropolis. Entrambe portano a fare del nostro paese il pezzo necessario che permetta il libero flusso al capitale transnazionale che faciliti l’entrata e l’uscita delle merci, lo sfruttamento di tutto quanto abbiamo a beneficio di pochi. Ognuna delle due opzioni sono dirette ad appoggiare la morte che minaccia l’umanità. Ossia, appoggiare il capitalismo neoliberale come boia dei nostri popoli.

I governanti non dovrebbero chiederci di decidere dove mettere il nuovo aeroporto, perché se avessero un po’ di vergogna di fronte ai milioni che subiscono la spoliazione, la povertà, la repressione, a causa delle quali devono migrare in migliaia di fronte alla distruzione perpetrata in tutto il mondo, davanti alla nostra madre terra che non sopporta più la grave malattia provocata dal capitalismo, la domanda dovrebbe essere se siamo d’accordo che continuino o no su questa strada che ci sta conducendo, tutte e tutti, alla morte, alla guerra, allo sterminio.

Sappiamo che non lo faranno perché la loro strada è il mercato per i potenti che comandano davvero e non per loro. Il NAICM non è l’unico pezzo che manca loro per finire di sfigurare questa nazione e dare forma alla tragedia che è appena cominciata, per cui la nostra parola ed il nostro appello continueranno ad essere di organizzarci nella resistenza e la ribellione, che sono la lotta per la vita.

Noi popoli originari non possiamo dire sì al nostro sterminio, anche se il malgoverno finga di fare una consultazione, falsifichi i voti, li compri o li ottenga con l’inganno dal popolo del Messico. L’attacco contro i territori che sostengono la vita e contro la libertà, non sarà in nostro nome.

CNI – CIG ed EZLN ribadiamo il nostro netto rifiuto alla costruzione del Nuovo Aeroporto del Città del Messico nel lago di Texcoco o in qualsiasi altro luogo, perché volto a rafforzare il grande capitale, beneficiare pochi magnati come Carlos Slim, Carlos Hank Rhon, Bernardo Quintana e Hipólito Gerard Rivero, cognato di Carlos Salinas de Gortari, e qualunque nome che prenda l’idra capitalista; tutti loro basano la loro ricchezza sullo sfruttamento e la sofferenza dei milioni che siamo in basso. Con questa grande opera, come con gli altri megaprogetti imposti nelle nostre geografie, vogliono strappare quello che è nostro, a costo della vita di chi si oppone.

Riconosciamo, rispettiamo e salutiamo la lotta di coloro che, seguendo la loro autonomia, decidano di partecipare o no alla presunta consultazione sul NAIM e invitiamo ad unificare gli sforzi, che crescano e si rafforzino, dalla diversità che siamo noi del basso, per fermare la distruzione dei territori originari, rurali ed urbani.

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  Queste opere chiamate “megaprogetti” non sono altro che parte della guerra del sistema contro tutto, seminano violenza, distruzione e morte in tutto il mondo e costringono le popolazioni coinvolte a migrare alla ricerca della vita che viene strappata loro nei luoghi di origine.

È il caso oggi di coloro che emigrano dai territori dell’America Centrale e che vengono attaccati, vessati e calunniati per ordine del Boss che così alimenta l’odio verso la differenza e trae ancora più profitto dalla tragedia che ha provocato.

Il sistema oggi perseguita ciò che ha provocato ieri.

Nel dolore di questi passi “migranti” cammina il nostro domani se non ci organizziamo in difesa della vita.

Da tempo va l’appoggio, rispetto e solidarietà per queste sorelle e fratelli e così seguirà, anche se con le nostre limitate possibilità.

Nei nostri villaggi, nelle nostre case, nelle nostre strade, nei nostri territori, condivideremo, come ieri, oggi e domani, il poco che abbiamo, e riceveranno la parola di incoraggiamento e degna rabbia che allevi i loro passi e li aiuti a proseguire.

Perché il mondo non è di proprietà di nessuna bandiera.

È di tutte, tutti, todoas, di tutti noi che lo facciamo andare avanti col nostro lavoro, di chi lo fa fiorire, di chi semina vita dove il sistema miete morte, di chi, come i famigliari degli assenti di Ayotzinapa, percorre il mondo alla ricerca della verità e della giustizia, ossia, la vita.

Distintamente.

Ottobre 2018

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/10/26/comunicado-conjunto-del-cni-el-cig-y-el-ezln-en-rechazo-al-megaproyecto-del-naim-y-en-apoyo-y-solidaridad-con-las-poblaciones-migrantes/

 

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Italia – “Hablar colores – Parlare a colori” del Subcomandante Galeano

In Defensa Zapatista c’è un mondo nuovo, certo, ma anche qualcosa di più terribile e meraviglioso: la sua possibilità.
E quando parla a colori, forse sta provando nuove forme di comunicazione per un mondo che neanche immaginiamo, però che lei considera che verrà, non senza la lotta necessaria e urgente per portarlo da qualsiasi luogo nel quale si trovi fino a questa realtà che soffriamo.
Non mi immagino niente di più zapatista che lo sforzo sintetizzato nell’azione di questa bambina.

Da Hablar colores – Parlare a colori, Subcomandante Galeano


Arriva dalle Montagne del Sud Est Messicano in Italia il nuovo libro di racconti del Subcomandante Galeano.
Come nel volume uscito nel 2017 “Ci sarà una volta – Habrà una vez“, i racconti gravitano attorno a Defensa Zapatista, bambina indigena zapatista.
Attorno a lei si muovono nuovi e vecchi personaggi: dal detective zapatista Elias Contreras al Gato-Perro, a Pedrito fino a Sherlock Holmes con il fidato Watson.

Sullo sfondo la complessa semplicità dell’autonomia zapatista, l’incessante cammino delle comunità indigene nel costruire il loro presente di cambiamento, senza smettere di analizzare in profondità i meccanismi del potere, di quello che sta “in alto” e vive sfruttando “il basso”, la natura, il pianeta.

Con l’ironia che sempre accompagna le storie che giungono dalla selva e le montagne del Chiapas, il Sup Galeano ci porta a riflettere su come per la costruzione di un altro mondo possibile, le scienze e le arti siano fondamentali per svelare il presente ed immaginare il futuro.

Accompagnato dalle illustrazioni di Andrea il libro va guardato, letto e soprattutto immaginato perché come dice il supGaleano “tutto quello che io racconto, è accaduto in ogni calendario, però in una geografia precisa: le montagne del Sud Est Messicano”.



                                 Subcomandante Galeano Hablar Colores – Parlare a Colori

L’edizione italiana di Hablar Colores è la fedele riproduzione, tradotta, di quella messicana editata e pubblicata dall’EZLN nel mese di agosto 2018.

La realizzazione del libro è stata possibile grazie alla decisione congiunta ed al contributo politico ed economico delle seguenti realtà:
* Ass. Ya Basta Caminantes – Padova
* Ass. Ya Basta! – Milano
* Ass. Ya Basta! Bologna * Ass. Ya Basta! Reggio Emilia * Ass. No Border Rimini
* Ass. Ya Basta! Moltitudia – Roma
* Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo
* Comunità in Resistenza / C.S.A. Intifada – Empoli
* Cooperazione Rebelde – Napoli
* P.I.R.A.T.A. Piattaforma Internazionalista per la Resistenza e l’Autogestione Tessendo Autonomia
* Progetto 20zln

L’intero raccolto delle vendite del libro sarà devoluto alle comunità zapatiste dell’EZLN

Costo 10,00 euro

Per informazioni e contatti e per ricevere il volume a casa tua, invia una mail con i recapiti per la spedizione a maribel_1994@yahoo.it Comitato Chiapas “Maribel” – Bergamo
Costo del volume 10,00 euro più 2,00 euro di spedizione, totale 12,00 euro
Pagabili:
– presso un conto corrente bancario che verrà comunicato, con la causale: Libro Hablar colores – Parlare a colori
– tramite il conto Paypal

Un particolare e sentito ringraziamento alla IEMME Edizioni che ha contribuito alla pubblicazione del libro.

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DICHIARAZIONE DELLA SECONDA ASSEMBLEA NAZIONALE DEL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO-CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO

Alle Reti di Appoggio al Consiglio Indigeno di Governo

Alla Sexta Nazionale e Internazionale

Ai popoli del Messico e del mondo

Sorelle, fratelli:

Dalla Seconda Assemblea Plenaria del Congresso Nazionale Indigeno e Consiglio Indigeno di Governo, svoltasi dall’11 al 14 ottobre presso il CIDECI-UNITIERRA, San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, ci rivolgiamo rispettosamente alle compagne e compagni che formano le Reti di Appoggio al CIG, alle comunità indigene di questo paese e del mondo per guardarci, consultarci ed intraprendere nuovi passi per la costruzione del nuovo mondo che necessitiamo.

 

Lo diciamo con urgenza, perché noi che siamo popoli originari, nella nostra lotta contro la profonda malattia causata dal capitalismo, tessiamo la vita, perché è la consegna che abbiamo ricevuto dai nostri antenati. Questo, per noi, significa costruire la vita e farla crescere in ogni angolo con la speranza che investa sulla memoria e sui tempi a venire. Ci intessiamo collettivamente come popolo ed in questa azione ci intessiamo anche come persone.

Siamo reti nei nostri luoghi in cui cerchiamo collettivamente di avere una sola parola che sia lo specchio della nostra madre terra, del suo battito e della sua vita. Siamo reti di reti nelle nostre comunità e regioni che sono collettivi di collettivi, dove troviamo un sola parola altra, che tra i nostri ascoltiamo con attenzione perché continua ad essere ciò che abbiamo deciso liberamente di essere, questa è la nostra lotta permanente e per questo la rispettiamo e onoriamo, rendendola il nostro governo, non solo adesso ma sempre, perché dalle nostre differenze sorge l’accordo collettivo. Ovvero, dal nostro essere differenti sorgiamo come uno solo, come i popoli che siamo ed è per questo che onoriamo anche le nostre differenze.

Così, quando per accordo del Quinto Congresso Nazionale Indigeno abbiamo deciso di formare il Consiglio Indigeno di Governo, non è stato vacillando, né pretendendo che tutti fossero come noi, né volendo dire agli altri che cosa fare, ma per dire al mondo che non è vero che il governo debba esistere per distruggere, ma per costruire. Non è vero che il governo debba servirsi, ma servire. Deve essere lo specchio di quello che siamo quando sogniamo per decidere il nostro destino, e non la menzogna che ci soppianta per dire, in nome nostro, che vuole vedere morto tutto ciò che gli sta intorno.

Ciò che tessiamo lo chiamiamo organizzazione ed è il territorio che difendiamo, è la lingua che parliamo e ci rifiutiamo di perdere, è l’identità che non dimentichiamo e che rendiamo grande con la lotta. Ma tutto questo è anche quello che i padroni del denaro vogliono distruggere e trasformare in altro denaro, trasformarlo in merci con lo sfruttamento, con la povertà, la malattia e con la morte di molti altri milioni di persone che non sono dei nostri popoli e che vivono nelle città e nelle campagne. Cioè, non è neppure vero che la morte, la repressione, la predazione e il disprezzo siano riservati solo a noi popoli originari.

Per questo, esercitare l’autonomia con le nostre forme ancestrali di camminare domandando è l’unica porta per continuare a fare della vita la nostra strada irrinunciabile, perché al di fuori tutto si è regolato per appoggiare il terrore e il profitto dei potenti. In questo contesto, benché la nostra libera determinazione sia riconosciuta nelle sue leggi viziate, non c’è modo che si fermi, o almeno che si freni l’accumulazione capitalista basata sul nostro sterminio. Questo sarà possibile solo quando si smantellerà la proprietà, la finca, il campo di concentramento o il cimitero, tutto quello in cui hanno trasformato il nostro paese e il nostro mondo.

Il Consiglio Indigeno di Governo è la forma di onorare le nostre differenze per trovare qui la parola nella quale ci rispecchiamo e che sia un governo vero. L’altro, quello che sopra chiamano Stato Messicano, è solo una menzogna per imporre, reprimere ed occultare la morte che oramai trabocca rendendo evidente l’inganno. Ovvero, non sono altro che una banda di ladri che finge di essere istituzione di destra o di sinistra. In ogni caso, portano con sé la guerra e per quanto la mascherino, ormai deborda anche per loro, perché il padrone è il padrone.

Ma in basso, non abbiamo che da difendere la vita con o senza le menzogne del governo uscente, del governo entrante, perché le parole sono superflue quando si minacciano i popoli Binniza, Chontal, Ikoots, Mixe, Zoque, Nahua e Popoluca dell’Istmo di Tehuantepec con i loro progetti trans-istmici e l’espansione delle Zone Economiche Speciali, i popoli Maya con il loro progetto del treno capitalista che al suo passaggio spoglia e distrugge la terra. Le parole sono superflue di fronte all’annunciata semina di un milione di ettari con alberi da frutto e legname nel sud del paese, davanti all’architettata e illegale consultazione per la costruzione del Nuovo Aeroporto di Città del Messico, o di fronte all’offerta di continuare ad investire alle imprese minerarie che hanno in concessione grandi estensioni di territori indigeni. Le parole sono superflue quando senza consultare i nostri popoli il futuro governo impone la creazione, in stile vecchio indigenismo, dell’Istituto Nazionale dei Popoli Indigeni, comandato dai disertori della nostra lunga lotta di resistenza.

Le parole sono superflue quando vediamo il cinismo con cui i popoli del Messico vengono consegnati agli interessi degli Stati Uniti attraverso il Trattato di Libero Commercio, lo stesso che promette di ratificare il futuro governo di López Obrador che in uno dei suoi primi discorsi non dubitò di ratificare la continuità con l’attuale politica monetaria e fiscale, cioè, la continuità con la politica neoliberale che sarà garantita con l’annuncio che i corpi militari continueranno ad essere nelle strade e con la pretesa di reclutare 50 mila giovani tra le fila armate che sono servite a reprimere, spogliare e seminare il terrore in tutta la nazione.

Quando le nostre domande furono di fermare questa guerra e che i diritti dei popoli indigeni fossero riconosciuti nella costituzione messicana, tradotti negli Accordi di San Andrés, fummo traditi perché il padrone che non vediamo e che è servito da quelli che dicono di governare, ordinò di estendere su di noi molte leggi che rendono legale derubarci con violenza la terra, introdurre programmi per dividerci e farci scontrare tra di noi, seminare il disprezzo e il razzismo in ogni direzione. Quindi, le parole sono superflue anche quando con cinismo parlano di riconoscere nelle loro leggi profondamente marce gli Accordi di San Andrés o la nostra libera determinazione, senza minimamente toccare l’assassina struttura capitalista che è lo Stato Messicano.

Approvando gli Accordi di San Andrés nell’attuale contesto, stante vigenti le successive riforme all’articolo 27 della Costituzione che hanno trasformato la terra in merce mettendo le ricchezze del sottosuolo nelle mani delle grandi imprese, senza abolire i regimi di concessione di acque, miniere, beni nazionali e idrocarburi, senza imporre limiti al potere imperiale derogando dall’attuale Trattato di Libero Commercio e ponendo severi limiti alle grandi corporazioni transnazionali, senza distruggere il controllo che i cartelli del crimine organizzato, appoggiati dai corpi militari, esercitano sui nostri territori, nel migliore dei casi vivremmo in una grossolana illusione che ci nasconde l’aggressione del denaro contro i nostri popoli.

Noi, nel Congresso Nazionale Indigeno-Consiglio Indigeno di Governo, non abbiamo dubbi e non saremo parte di nessuna trasformazione esponenziale capitalista che con le sue pratiche viziate mira ai nostri territori. Non saremo parte della sua menzogna assetata del nostro sangue e del nostro stermino.

È per questo che abbiamo deciso di continuare a costruire l’organizzazione che si trasformi in un governo proprio, autonomo e ribelle, con compagne e compagni di altre geografie, per rompere in maniera collettiva l’inerzia che ci impongono, per vedere insieme da dove viene la tormenta ed in mezzo ad essa non smettere di tessere fino a che il nostro tessuto si unisca agli altri che germogliano in tutti gli angoli del Messico e del mondo affinché si facciano Consigli che, insieme a noi, siano consiglio di governo con le reti di appoggio al CIG. Che si sviluppino con le proprie forme e la propria identità in campagna e città senza che importino le frontiere.

Abbiamo deciso di consultare le nostre comunità, popoli, nazioni, tribù e quartieri sulle forme e modi di costruire insieme alle reti di reti, piccole e grandi, un coordinamento che ci arricchisca nell’appoggio e nella solidarietà, che faccia delle nostre differenze la nostra forza, in reti di resistenza e ribellione con la parola che ci rende uno solo, in maniera rispettosa e orizzontale.

E come è nostra pratica, ogni passo dipende da ciò che concordiamo in basso, perciò porteremo nelle nostre regioni queste decisioni per essere approvate, e che la parola collettiva che ci rende ciò che siamo, ci imposti il ritmo, il modo e la meta.

I nostri passi dipenderanno anche da quello che in basso collettivamente decidano gli altri e le altre, i maestri, studenti, donne, lavoratori delle campagne e delle città, da tutti quelli che in mezzo alla guerra capitalista hanno deciso di tessere l’organizzazione che abbatta la morte e la distruzione in cui i capitalisti vedono solo profitti. Se è la vostra decisione, in basso e autonoma, vi invitiamo a consultarvi in maniera seria e impegnata all’interno delle vostre organizzazioni e collettivi se è o non è necessario per voi formare il vostro Consiglio di Governo.

Se così deciderete, a seguito del nostro appello a far tremare la terra con l’organizzazione del basso e a sinistra, potrete sempre contare sulla nostra parola compagna, disinteressata e solidale. Compagn@ non saranno passi facili, né rapidi, ma siamo convinti che nasceranno profonde crepe per smontare il potere di sopra.

 

Al momento opportuno e in accordo alla consultazione che realizzeremo nelle nostre comunità, il CNI-CIG discuterà l’incorporazione in qualcosa di più grande che sia capace di incorporare le nostre lotte, pensieri e identità. Qualcosa di più grande che si renda forte con le visioni, modi, forme e tempi di ognuno.

Sorelle, fratelli, questa è la nostra parola collettiva che invita all’organizzazione in basso per difendere la vita e guarirci insieme alla nostra madre terra.

Dal CIDECI-UNITIERRA, San Cristóbal de las Casas, Chiapas

14 ottobre 2018

Per la Ricostruzione Integrale dei Nostri Popoli

Mai Più Un Messico Senza Di Noi

Congresso Nazionale Indigeno

Consiglio Indigeno di Governo

Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/10/14/pronunciamiento-de-la-segunda-asamblea-nacional-del-congreso-nacional-indigena-concejo-indigena-de-gobierno/

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#YoPrefieroelLago – Texcoco (Messico) – Io Preferisco il Lago

In Messico una campagna per salvare il lago di Texcoco, chi ci vive attorno e l’acqua della capitale del paese minacciate dalla costruzione del nuovo aeroporto, sta inchiodando il governo alle proprie responsabilità (da RomaLevante.info).

Con l’intenzione di impedire la costruzione del Nuevo Aeropuerto Internacional de México (NAIM), nella zona lacustre di Texcoco, a 15km dal centro della capitale Città del Messico, organizzazioni sociali, comitati di cittadini, attivisti, personalità della musica e dello spettacolo, accademici e scienziati, hanno dato vita alla campagna #YoPrefieroElLago.

Il movimento cercherà innanzitutto di determinare la consulta pubblica sull’aeroporto, convocata dal nuovo presidente eletto Andres Manuel Lopez Obrador per il prossimo 28 ottobre. Dal risultato dipende il futuro del lago.

La storia del lago si intreccia in maniera indissolubile a quella della capitale del paese.

Costruita letteralmente sulle acque, Città del Messico, o Tenochtitlan, come la chiamavano gli Aztechi, è una delle città più grandi del mondo, con una popolazione che arriva quasi ai 25.000.000 di abitanti considerando la cintura metropolitana. Dopo l’invasione, gli spagnoli iniziano un processo di prosciugamento del sistema lacustre. Nel 1900 il presidente messicano Porfirio Diaz è obbligato ad avviare la costruzione di un grande e complesso sistema di drenaggio della valle per assicurare la convivenza forzata della città

con l’acqua nel sottosuolo. Nel 1986 più di metà del territorio della città viene dichiarato Area di Riserva Ecologica.

Presentato da governo, investitori e costruttori come un nuovo fiore all’occhiello per la capitale, le conseguenze immediate della costruzione del NAIM non ricadono solo sul lago. L’innalzamento della temperatura di una metropoli già molto inquinata e il rischio di un collasso del fragile sistema idrico cittadino e le inondazioni di diverse aree urbane sono fra le prime inquietanti sorprese che potrebbero attendere gli abitanti.

Sul fronte delle ripercussioni ambientali le oltre 250 specie di uccelli che vivono nell’area di Texcoco sparirebbero per l’incompatibilità fra la circolazione degli aerei e la riproduzione.

I 4600 ettari occupati dal lago sono necessari per garantire acqua non solo alle 264.000 piante e agli animali che vivono nel lago ma anche alle decine di milioni di persone che abitano intorno ad esso. A fronte di un’ erosione del terreno media calcolata tra i 21 e i 30 centimetri all’anno, la costruzione dell’opera produce un drastico aumento dello sprofondamento del terreno, generando ingenti costi di manutenzione oltre che una vera e propria devastazione ambientale.

La chiamata ad organizzarsi e ad opporsi a quello che definiscono come un «ecocidio» è partita dal FDPT (Frente de Pueblos en Defensa de la Tierra), organizzazione che dal 2001 si è opposta, con successo, al vecchio progetto per la costruzione del NAIM sulle proprie case e terreni. Adesso la piattaforma organizzativa contro il nuovo aeroporto e per la difesa del lago è uno spazio aperto e plurale che fa paura al governo e ai costruttori.

Ma chi è che ci guadagna dalla costruzione dell’aeroporto?

Carlos Slim Helu, l’imprenditore messicano proprietario della compagnia telefonica Telmex, dal 2010 al 2013 considerato dalla rivista Forbes l’uomo più ricco del mondo ed ora solo al quarto posto, (con un patrimonio calcolato in 64 miliardi di dollari), è la persona che ha vinto la gara d’appalto per costruire il terminal aeroportuale principale (84.000 milioni di pesos), oltre che la copertura di tutti i servizi di telecomunicazione.

Hipolito Gerard Rivero, costruttore e cognato dell’ex presidente della repubblica Carlos Salinas de Gortari ha ottenuto l’altra metà della costruzione dei terminal e quella delle piste.

Hank Rhon, imprenditore, costruttore, membro del gruppo «Atlacomulco» e padrone della compagnia «La Peninsular» ha un contratto per 900 milioni di pesos in costruzione e servizi del NAIM.

Mentre distruggono l’ambiente e il patrimonio socio culturale della città, le speculazioni e le grandi opere arricchiscono politici e costruttori: Non succede solo a Roma, succede anche a Città del Messico.

Andres Manuel Lopez Obrador, il candidato della sinistra che ha appena vinto le elezioni aveva promesso di sospendere i lavori e salvare il lago definendo l’opera «faraonica,costosissima, anti-ecologica, tecnicamente irrealizzabile e in odore di corruzione» mentre una volta eletto, dalle dichiarazioni pubbliche fatte, è parso almeno possibilista sul proseguimento del progetto.

La campagna #YoPrefieroelLago e la mobilitazione messa in campo dai cittadini di oltre 40 municipi, che si sta avvalendo di ogni spazio per denunciare e contrastare la devastazione prodotta dal progetto, rischia di mettere subito in difficoltà il nuovo governo.

Non c’è molto tempo per fermare il NAIM e salvare il lago ma nella dichiarazione di lancio della campagna si legge « abbiamo la certezza che la difesa della vita non ha data di scadenza e non possiamo fermarci di fronte ai tempi che si ostinano ad imporci i ricchi coi loro progetti» 12/10/2018 https://www.globalproject.info/it/mondi/texcoco-messico-io-preferisco-il-lago-yoprefieroellago/21666

 

 

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Invito a: “Il cinema impossibile”.

Commissione Sexta dell’EZLN, ottobre 2018.

 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE

Commissione Sexta dell’EZLN

Messico

Ottobre 2018

Alle persone, gruppi, collettivi ed organizzazioni della Sexta nazionale ed internazionale:

Alle reti di appoggio al Consiglio Indigeno di Governo:

A chi ha passione, vizio od ossessione per il cinema:

CONSIDERATO CHE:

Primo e unico:

IL CINEMA IMPOSSIBILE.

(Apertura: il serpente ti offre la mela)

 Stai camminando senza meta. Non sai esattamente dove stai andando e, chiaramente, verso che cosa. Dietro è rimasta la strada percorsa alla base del muro che si sgretola, burlandosi a suo modo, del cartellone deteriorato della felice Famiglia Felice. Ed è ormai lontano anche il monumentale stadio con il suo impertinente punto interrogativo: “chi comanda?”. Ma, adesso non sai dove diavolo ti trovi e pensi che forse sia meglio tornare indietro… ma non sai nemmeno dove e, chiaramente, verso che cosa; quindi ti fermi, ma solo per un momento perché una bambina ti prende per mano e ti sollecita: “muoviti o faremo tardi al cinema”. Non ti dà il tempo di accettare oppure no, perché ti trovi già di fronte ad un cartellone che, con molti colori, dichiara: “Adulti solo accompagnati da un bambino“. Ma qualcuno ha cancellato “un bambino” ed ha messo “una bambina“. Ed un’altra mano anonima ha cancellato “una bambina” ed ha scritto “unoa bambinoa“. Qualcun altro ha annullato “unoa bambinoa” ed ha aggiunto “qui, questo non ha importanza“.

Un essere col passamontagna ti ferma, ma la bambina chiarisce al volto nascosto: “è con me“. L’incappucciato ti fa passare. Una discesa parzialmente ricoperta di cemento. Pozzanghere. Pietre. Fango. Ai lati, diverse casette di legno con i tetti di lamiera. La nebbia è molto fitta cosicché i semplici edifici appaiono e scompaiono ad ogni passo in un viavai di “fade in” e “fade out“. Ma tu continui a non sapere dove stai andando. L’ambiente è come quello di un vecchio film di mistero… o dell’orrore.

Le insegne su diverse capanne sono… come dire?… sconcertanti. Su una, per esempio, tra la nebbia che si potrebbe ben confondere con quella londinese, si legge “The Lodger” e più sotto “room service, fornito personalmente da Norman Bates” e la foto di un giovanotto sgraziato che potrebbe essere Antonhy Perkins, se questo non fosse impossibile.

A questo punto non sai più se sei nelle montagne del sudest messicano o nel quartiere di Whitechapel ed allora ti chiedi se invece di portarti al cinema, la bambina non ti stia portando nella cucina del gastronomo e dottore Hannibal Lecter.

Devi stare calmo, dici a te stesso.

Benché non aiuti molto nemmeno che su un’altra capanna un cartello segnali: “Taquería Il Silenzio degli Innocenti. Tacos di nana, buche, nenepil* e CERVELLA“; così, l’ultimo ingrediente in maiuscolo. Hai paura ma non che ti aprano il cranio, ma che Sir Anthony Hopkins, con un grembiule con su scritto “Cerchiamo parti, feat Jack The Riper“, scarti il tuo cervello con un “manca di consistenza“. Ti tormenta anche l’immagine delle tue budella nel bidone della spazzatura. E se, insieme al cervello, ti tolgono anche le illusioni? Per le budella, passi, ogni film dell’orrore abbonda in budella (cinema Gore, così credi che oggi chiamino questo genere tanto in voga) ma, che cosa potrebbe toglierti le illusioni? “La Realtà“, leggi su un cartello di età indefinita su un’altra delle casette, seguito da “Elettroshock, schiaffi e ceffoni gratis. Si gonfiano illusioni, palloncini, promesse elettorali e programmi di governo“.

Su un’altra, pochi metri più sotto e sul lato opposto della discesa, un’altra insegna: “Los Tercios Compas. Non siamo media, né autonomi, né indipendenti, né alternativi, né liberi e neanche siamo come-si-dice, ma siamo compas” e più sotto, con un pennino qualcuno ha aggiunto: “non abbiamo finito il documentario, tornate per la prossima sollevazione e vi diremo per quando potrebbe essere pronto“.

Su quella di là: “Il Joker. Estetica orale. Perché così serio? Fai un sorriso per tutta la vita!“, e una fotografia di Heath Ledger nel ruolo di “The Joker”. Più sotto, un’altra col disegno di un samurai col suo katana e l’insegna “Heihachi – Minuro Chiaki. Corso lampo di Hara-Kiri. Propedeutico, corso comune, specializzazione, esame finale e diploma, tutto in meno di un minuto. 100% pratico!“.

 Stai tremando. La bambina si ferma, si volta a guardarti e, per tranquillizzarti, ti spiega:

 “Non fare caso a quei cartelli, è il Sup Galeano che mette sempre quelle cose nei suoi racconti, ma non lo fa per infastidire e perché è arrabbiato perché gli abbiamo vinto la mantecada** e perché non fanno vedere i film che gli piacciono, perché il Sup vuole solo cinema di quelli nudi che te li raccomando. E tu credi che passino quei film? Mai e poi mai. Magari vuole qualche ceffone e la sua bella predica politica di noi donne quali siamo. Gliene abbiamo già date tante, ma lui non capisce. Quegli stronzi di uomini sono fatti così. Inoltre, quei tacos sono di tuluc (tacchino), non di cuche (maiale), né di mucca (manzo), e non sono tacos, sono tamales”.

Proseguite, ma ancora non sai dove ti trovi, in che paese o in che mondo. E la data? Nessuna idea. Piove o è la nebbia che ti bagna la pelle?

Siamo arrivati“, dice la bambina mentre entrate in una sala che, si suppone, deve essere il salone del cinema. Ti trattieni all’ingresso e guardi il luogo.

Per essere un cinema, è molto altro. Lo schermo, per esempio, non sta in fondo, ma in mezzo; e chi assiste al film sta ai lati della proiezione… o di quello che si suppone sia la proiezione.

Da una parte ci sono quelli che fanno cinema, che dirigono, producono, scrivono, sonorizzano, insegnano, analizzano, criticano, proiettano, diffondono e tutti i lavori che si suppone necessari per fare un film.

Dall’altra parte: il pubblico, gli spettatori. Anche se questi hanno il volto coperto e si riesce a distinguere solo il loro sguardo. In molti casi, non si riescono a capire né l’età né il genere. Come se da questo lato dello schermo, la prima ed il secondo non importassero e fossero solo lo sguardo che guarda e ascolta. Non si sa se sorridono, soffrono, si arrabbiano, si rallegrano. Inoltre, scambiano commenti in lingue incomprensibili.

Oltre alla sua assurda posizione, sembra che lo schermo sia trasparente perché quelli che fanno cinema stanno con lo sguardo e l’udito attenti, in attesa delle reazioni dell’auditorium, come se sapessero che questa sala cinematografica permette loro di apprezzare l’impossibile: l’effetto che il film produce nel pubblico. E lo possono fare, forse, dalla prospettiva migliore per chi fa cinema; cioè, dallo schermo. Da lì possono vedere gli sguardi ed ascoltare le reazioni che normalmente dicono più delle parole e, certamente, delle vendite dei biglietti, dei ratings ai servizi di streaming, delle statuette e delle critiche della stampa specializzata.

A loro volta, quelli che assistono alla proiezione guardano e commentano, ma apparentemente non sono attenti allo schermo, bensì a chi li sta guardando. In qualche modo che non riesci a spiegare, al pubblico non interessa tanto quello che si proietta, ma gli sguardi di chi ha lavorato affinché quelle storie chiamate “cinema” si proiettassero, cioè, si raccontassero. Inoltre, ci sono alcune persone, anche loro con passamontagna, con le proprie videocamere rivolte verso chi definiscono “artisti dei film“. Come se nella sala, la scena del film “Les Carabiniers” (Jean Luc Godard, 1963) si invertisse, ed invece di vedere il carabiniere atterrito dal treno che sta arrivando, o che si affaccia per guardare la donna che si sveste e si lava nella tinozza (tutto su uno schermo che, stracciato, denuda un muro impudico e superbo), volessimo guardare non lo sguardo del macchinista, né della donna che è guardata, bensì lo sguardo dei fratelli Lumiére.

“Sembra che qua siano le papere a sparare ai fucili”, stai pensando, quando la bambina che, come chiarisce, si chiama “Difesa Zapatista”, ti dice di sederti perché il film è iniziato.

Un bambino che, come ti dice, si chiama “il Pedrito” – e che è apparso alle tue spalle – ti dice sottovoce: “Difesa è un’inguaribile romantica. Crede che i film, se non c’è chi li guardi, chi applauda, rida, pianga, si spaventi, fischi, si commuova, rifletta, li promuova o li bocci, si sentano molto soli. E che cosa fanno i film se nessuno li guarda? Piangono? Sono tristi? Stanno male? Non lo sappiamo, e Difesa non vuole accertarsene. Così, quando danno un film lei va sempre a vederlo, non importa quale sia. Io le ho già dimostrato che questo mistero è impossibile da risolvere perché, per sapere se un film piange perché nessuno lo guarda, dobbiamo guardarlo. Può essere che vediamo che piange, ma non sarà più perché non lo guardano, perché qualcuno l’ha guardato per vedere se piange perché non lo guardano. Quindi, se vediamo che piange, può essere perché l’argomento è molto brutto, o l’edizione, o le interpretazioni, o le musiche, o la produzione, o perché ne ha parlato male un critico malevolo, o tutto quanto. Capisci il paradosso? Il modo di dimostrare l’ipotesi che si deduce dall’ipotesi stessa, annulla la possibilità di dimostrare l’ipotesi. Io lo chiamo “Il paradosso del film triste”. L’ho spiegato al Sup Galeano, ma il Sup ha detto che non ne sa niente di film, ma che se non ci sono i popcorn allora non c’è cinema ed ogni speculazione è inutile”.

Stai tentando di seguire il ragionamento logico del bambino e pensi che chi chiamano “il Sup Galeano” potrebbe collocarsi in quello che il maestro Jorge Ayala Blanco definisce “mentalità mangiapopcorn” ma, mentre si siede, senti chiaramente che la bambina mormora, come se fosse una preghiera:

 “Non temere, sorellina [in spagnolo film è: película, sostantivo femminile – N.d.T.], sono venuta. Io ti guardo e ti applaudo anche se non mi piace quello che metti, anche se si vedono serpenti o ragni, che sono feroci e mi spaventano tanto, e poi ho i “quesadillas” [equivoco con il termine “pesadillas“=incubi – N.d.T.] quando mi addormento, ma poi chiudo gli occhi e basta. E se la tua storia è triste, piango ma non tanto… beh, sì un po’, dipende. E se racconti barzellette rido tanto perché è sicuro che sono migliori delle stupidate del Pedrito qui presente. E se spieghi le porcherie dei maledetti capitalismi, io prendo appunti. E se racconti una lotta, ti grido “si vede, si sente, siamo tornati”. E se balli, ballo. E se canti, canto. E se dici sognare, ti sogno. E se gridi svegliare, ti sveglio. Dunque, sono qui, guardami che ti guardo e che il tuo cuore sia lieto”.

Il Pedrito ti guarda con l’espressione di “te l’avevo detto” e sorride burlone. La bambina se ne accorge e gli molla un ceffone. Il bambino protesta: “Ma se non ho detto niente“. La bambina: “Già, ma l’hai pensato“. Il bambino: “Non sto pensando a niente” e, complice, ti strizza l’occhio.

Ora, accanto a te e sulla stessa panca c’è ormai una banda di bambini e bambine, ognuno con un paliacate rosso al collo o un passamontagna che copre il volto. Senza che nessuno l’abbia chiesto espressamente si presentano: “Io sono la Esperanza“, “Io sono il Pablito”, “Io sono l’Amado“. E, con una specie di miagolio-latrato, un animaletto un po’ gatto e un po’ cane salta in braccio alla bambina Difesa Zapatista.

Uno dei bambini, l’Amado, chiede “È già cominciato?” “Adesso“, risponde Esperanza. “E i popcorn?“, domanda il Pablito. Il Pedrito risponde: “Ce li ha il Sup Galeano, dice che gli dei hanno creato il mais popcorn solo per i subcomandanti e che a chi glieli vuole prendere avrà un colpo di machete sulla nuca, senza filo perché ci metta un po’, ed ossidato affinché si infetti e si debbano poi fare le iniezioni“. Tutta la banda trema alla parola “iniezioni“. “Tieni il posto alla Calamidad se arriva“, dice Difesa Zapatista. “E va bene, anche al Sup“, aggiunge.

L’ho visto dagli occhi che era arrabbiato“, senti dire al Pedrito che racconta di quello che è successo quando ha detto al Sup che doveva condividere i suoi popcorn.

“Dunque qui guardano il tuo sguardo”, dici a te stesso ed aggiungi: “e ti obbligano a guardare quello sguardo che ti guarda. Un bel problema”.

Qualcuno chiede silenzio e la banda si calma. Ora hai il tempo di guardare con attenzione questo cinema incomprensibile. Al di là dell’assurda ubicazione dello schermo e della disposizione dell’auditorium, tutto sembra normale, ma solo in apparenza. Adesso non ricordi che film si stava proiettando. Inoltre, non ricordi nemmeno se si stava proiettando qualcosa.

Ma ricordi che… all’improvviso, la bambina con un orsacchiotto di peluche mascherato (“io mi chiamo Esperanza e mi cognomo Zapatista”, ricordi che lei ha detto così) si alza e, dirigendosi verso lo schermo, lo attraversa e si siede dalla parte di chi fa il film. Da lì, fa segno al resto della banda di attraversarlo. Gli altri spettatori la seguono e siccome non ci sono sedili sufficienti, chi fa cinema deve alzarsi e cercare posto sul lato opposto.

Allora noti che lo schermo non solo è trasparente, non solo lascia passare gli sguardi da una parte all’altra. Lascia anche passare i corpi, come se fosse una finestra, o meglio ancora, una porta, ma è impossibile che esista uno scherno così.

Continui ad osservare e, supponi, i ruoli si invertono: gli spettatori guardano dal lato di chi fa cinema; e chi fa cinema guarda dal lato degli spettatori. Un momento stanno così e poi tornano ad incrociarsi. Il movimento si ripete più volte. Tu hai preso posizione su un lato, cosicché puoi vedere quello che sembra una danza anacronistica.

Chi non attraversa cambiando posto e prospettiva, si dedica all’antico sport di gettare popcorn nello schermo. Anche se, chiaramente, i proiettili non rimbalzano, ma lo attraversano. E così parte una battaglia campale di popcorn: pubblico contro cineasti. Vincono i cineasti, ma non perché abbiano una mira migliore o perché siano di più. In realtà sono di meno e non colpiscono neppure il monte da cui scende la nebbia come una lunga sottana; ma il pubblico, nonostante superi in quantità e mira la squadra avversaria, è rimasto a secco perché, come è giusto che sia, si è mangiato le munizioni, cioè, i popcorn.

È dura“, senti dire da uno che fa cinema ad un altro, “perché non guardi che guardino il tuo film, ma guardi come ti guardano il cuore, te lo strappano, lo disarmano, lo scombussolano e te lo restituiscono come niente fosse. Non ci torno più. O magari sì. O non lo so. E tutto senza una parola. Devo dirti che mi mancano le critiche con le quali la stampa specializzata ha demolito la mia opera prima“. L’uomo accanto a lui non risponde, è occupato a sistemarsi il giubbotto perché non si veda la ferita nel petto.

Passato l’alterco ai popcorn, il viavai non si ferma. Sì, il caos è evidente, ma ha una specie di coreografia involontaria, come nei primi cartoni animati.

Lì ci sono le due parti: chi si mostra dietro un passamontagna e chi si mostra dietro un film. Oltre a questo, non hanno niente in comune, ma lo schermo li convoca. È lui che definisce i luoghi, i movimenti, gli incessanti scambi.

Lo schermo è… come dire? sì, un ponte.

Ma questo non è possibile…

Oppure sì?

-*-

 Sulla base di quanto sopra esposto, la Commissione Sexta dell’EZLN, invita gli uomini, donne, otroas, bambini ed anziani della Sexta, del CNI e delle reti di appoggio al CIG in tutto il mondo e, bene, le/i cinefil@ che possano e vogliano, al

FESTIVAL DEL CINEMA

“PUY TA CUXLEJALTIC”

(“Caracol della nostra Vita”)

 La cui prima edizione (pensiamo che sarà annuale) si svolgerà nel Caracol zapatista di Oventik, nelle montagne del Sudest Messicano (con proiezioni alternate presso il CIDECI di San Cristóbal de las Casas, Chiapas) dal 1 al 5 novembre di questo anno 2018.

I film che saranno presentati e le attività del citato festival (che sembra includono, tra altre assurdità: una tavola non rotonda, forse rettangolare, sul… calcio?! Ma non è un festival del cinema? Un film che si legge e diretto da uno scarabeo schizofrenico?) saranno resi noti pubblicamente tra qualche giorno (speriamo).

-*-

(continua…)

Dal salone “Comandanta Ramona”
Per la Commissione Sexta dell’EZLN

Il Sup Galeano che fuma, irresponsabilmente, nella cabina di proiezione.

(non sono irresponsabile, va bene, sì, ma non è questo il punto; sto dando una mano agli effetti speciali, che dici se in quei giorni non c’è nebbia? Ah, vero? E non mi hanno vinto la mantecada, me l’hanno sottratta, non è la stessa cosa. E non guardo film di nudi, sono le mie lezioni di anatomia per corrispondenza; il fatto è che Difesa Zapatista mi sta autocriticando per essere maschio, ma, beh, dipende… cosa? E finito? Okela, non ve l’ho detto?)

Messico, Ottobre 2018

Traduzione “Maribel – Bergamo

*) nana=utero del maiale; buche=stomaco del maiale; nenepil= combinazione di lingua, stomaco e utero del maiale

**) mantecada=brioche

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/10/04/una-invitacion-a-el-cine-imposible-comision-sexta-del-ezln-octubre-del-2018/

 

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Se la coca cola nei caracol zapatisti fa più notizia dei morti in mare

di Christian Peverieri

3/10/2018

Si è ritornato a parlare di zapatisti e coca cola per un reportage pieno zeppo di luoghi comuni, inesattezze e falsità scritto dal numero due del movimento Cinque Stelle, Alessandro Di Battista, il quale lo ha intitolato proprio “I nuovi zapatisti con la coca cola”. Come ben sapete il reportage ha provocato la reazione degli attivisti italiani che da sempre accompagnano il cammino degli indigeni del Chiapas e ha provocato la polemica #dibattistafueraya che tanto ha fatto discutere i social nei giorni scorsi.

Proviamo a capirci.

Una decina di anni fa al Primo Incontro dei popoli zapatisti con i popoli del mondo tenutosi ad Oventik, un auditore appoggiò sul tavolo dietro al quale alcuni rappresentanti zapatisti stavano parlando, alcune lattine di coca cola. Seguì poi una critica spietata agli ideali rivoluzionari zapatisti, accusati da questo signore di non essere conseguenti con ciò che dicevano perché all’interno delle comunità si consumavano tali bevande. Gli zapatisti restarono in silenzio ad ascoltare gli applausi e il chiacchiericcio di approvazione che questa performance suscitò. Questo silenzio era solo di cortesia, non di approvazione. Alcuni giorni dopo il Subcomandante Marcos lesse la risposta nata da questo silenzio e frutto di una profonda discussione all’interno del movimento zapatista, che qui proverò a riassumere.

Per gli zapatisti ci sono vari modi per combattere il capitalismo: il primo è quello di aggredirlo attraverso il consumo anticapitalista, ovvero rinunciare a bere coca cola, a comprare Adidas o Nike e via dicendo. Apprezzabile e salutista. Il secondo modo è quello di attaccarlo attraverso la circolazione, ovvero comprare solo prodotti del piccolo commercio, quello che oggi chiamiamo km0. Anche questo modo è apprezzabile e soprattutto favorisce i commercianti più svantaggiati. Il terzo modo è quello zapatista e qui cercherò di spiegarlo nel modo più semplice, diretto e breve possibile, sperando sia di facile comprensione per chi in questi giorni ha pesantemente insultato gli attivisti che hanno attaccato Di Battista, senza nemmeno sapere di cosa stessimo parlando.

Cosa significa il titolo “i nuovi zapatisti con la coca cola”? Di Battista già dal titolo cerca di fare un’operazione di détournement, ovvero ci vuole far credere che lo zapatismo si è lasciato in qualche modo corrompere dal sistema. Che non c’è alternativa all’accettazione dello status quo. Questa immagine è propedeutica all’obiettivo che il reportage si propone: in primo luogo cerca di riportare verso sinistra il baricentro del suo partito, spostatosi pericolosamente a destra dopo l’alleanza con la Lega razzista e fascista di Salvini e con il recente “decreto sicurezza” e in secondo luogo lascia intendere che, se anche gli zapatisti hanno accettato il compromesso della coca cola, noi possiamo benissimo accettare il compromesso che migliaia di persone affoghino nel mar Mediterraneo e altrettante vengano deportate, schiavizzate, torturate e stuprate nei lager libici.

Mi si potrà dire quindi che anche gli zapatisti sono responsabili indirettamente dello sfruttamento e della morte dei lavoratori della coca cola ed è proprio questo il messaggio capitalista che Di Battista vuole che arrivi alla sua gente: per il nostro benessere dobbiamo sacrificare qualcuno. Gli zapatisti sacrificano i lavoratori della coca cola, noi sacrifichiamo i clandestini.

Solo che non è proprio così: gli zapatisti non abbandonano i lavoratori della coca cola al loro destino, non li lasciano morire. Gli zapatisti bevono un sorso di questa bevanda e invitano gli operai che la producono e la trasportano ad unirsi alla loro lotta per rovesciare questo sistema che li sfrutta. Perché il problema vero e che poche persone detengono la maggior parte della ricchezza. E la detengono perché sfruttano il lavoro di migliaia di esseri umani, li opprimono e li sacrificano per il proprio benessere. Un po’ come fanno i cinque stelle con i migranti.

Quindi, se il cambiamento che volete è questo, sappiate che non siete né antisistema né anticasta. Nella migliore delle ipotesi siete solo degli strumenti di questo sistema, che vi usa per far la guerra ai poveri, agli emarginati, agli sfruttati, che divide la società in pochi che hanno tutto e tanti che non hanno niente. Nella peggiore delle ipotesi, invece, state solo sperando di essere considerati ed accettati in quella parte di società che sfrutta, opprime, uccide le persone e distrugge e violenta i territori.

Potrei andare ancora avanti ma mi fermerò qui. Spero che almeno questo breve testo riusciate a leggerlo e a comprenderlo, anche se ho i miei dubbi perché questa esperienza, diventare il parafulmini di una polemica social, mi ha fatto capire che è una battaglia basata sullo schieramento e non sui contenuti: le centinaia di persone che in questi giorni mi hanno insultato non sapevano assolutamente niente del contendere, semplicemente si schieravano apertamente con il loro idolo senza porsi minimamente domande o dubbi, come fedeli soldatini ammaestrati.

So che questa campagna ha fatto male al signor Di Battista, immagino sia un dolore non paragonabile al dolore provato dai migranti morti in mare o torturati nei lager libici, mi dispiace aver turbato le sue vacanze, ma ho ritenuto doveroso per i miei compagni e le mie compagne zapatiste, che da vent’anni camminano domandando per combattere realmente questo sistema di morte, chiarire ancora una volta la questione. https://www.globalproject.info/it/mondi/se-la-coca-cola-nei-caracol-zapatisti-fa-piu-notizia-dei-morti-in-mare/21645

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Il Sup con la lattina di una nota bibita di cola di fronte a se, ricorda che nella prima riunione qualcuno aveva criticato gli zapatisti perché nei caracol si vendeva la Coca Cola. “Siamo stati zitti per cortesia e a chi ci aveva ripreso, non abbiamo chiesto che scarpe o che vestiti indossasse, perché esistono vari modi di affrontare il capitalismo. Noi diciamo solo che il nostro è un anticapitalismo modesto: è quello che punta al cuore stesso del sistema”. Video dell’intervento del SCI Marcos https://www.youtube.com/watch?v=eyr6geJBiTI

Preguntas y respuestas como caminos.
(Frente a una lata).

El Sup recibe del Teniente Coronel Insurgente Moisés una lata de conocido refresco de cola, con la marca borrada. El Sup coloca la lata frente suyo y explica:

“Ésta es una lata de conocido refresco de cola a la que se le ha borrado lo que la identifique publicitariamente. A principios de este año, en el Primer Encuentro de los Pueblos Zapatistas con los Pueblos del Mundo, en Oventik, Chiapas, uno de los asistentes intervino y puso sobre la mesa, con gesto teatral, una serie de envases de dicha marca e increpó a los zapatistas el que esos productos se vendieran en los caracoles, diciendo que eso era ser inconsecuentes. Los que venían de fuera lo aplaudieron a rabiar. Los compañeros guardaron silencio, después de todo, habían invitado a la gente a hablar, así fuera para decir tarugadas. Quienes aplaudieron, no le preguntaron al espontáneo juez, jurado y verdugo qué marca de calzado y ropa estaba usando, ni dónde o como había conseguido el moderno y caro vehículo de su propiedad en el que llegó para enjuiciar y condenar, envases mediante, el proceso de lucha zapatista. Le aplaudieron y él tuvo sus segundos de gloria, que alargó luego en las sobremesas coletas de sus cuates y clientes.
El silencio de nuestras jefas y jefes fue un gesto de cortesía, no significó ni significa estar de acuerdo con lo que dijo esa persona. Ahora yo voy a decir, en palabras, lo que dijo el silencio de mis compañeras y compañeros dirigentes, autoridades autónomas y coordinadores de los distintos esfuerzos que se levantan en territorio zapatista.
Frente a esta lata de refresco se pueden tomar varias posiciones. Una es la que sostiene el juez que nos visitó en aquella ocasión y que tanto entusiasmo y adhesiones despierta en una franja de la sociedad y de quienes se acercan a las comunidades. Es la posición del consumo anticapitalista. Consiste en atacar al capitalismo en el consumo, es decir, en no consumir determinados productos. Una posición valedera, respetable y, sobre todo, saludable.
Hay otra forma de anticapitalismo, que ataca en la esfera de la circulación. Es decir, no se adquieren los productos en los grandes consorcios comerciales, sino que se promueve y alienta el pequeño y mediano comercio, el comercio ambulante, las cooperativas y colectivos. Una posición también valedera, consecuente, respetable y que, además, no sólo ataca al gran capital, sino que beneficia a un sector de los desfavorecidos.
Por su parte, la zapatista o el zapatista toma esta lata de refresco y le empieza a hacer preguntas. Yo sé que de por sí los zapatistas tenemos fama de esquizofrénicos. Por ejemplo, aunque hablemos individualmente, no usamos el “yo, mi, me, conmigo”, sino que usamos la primera persona del plural: “nosotros”. Pero aquí no se trata de haber llegado al extremo de pretender sostener un diálogo con una lata de refresco, sino de algo más sencillo. Se trata de preguntarle a la lata quién la produjo y quién la transportó.
Puesto que la lata guarda un empecinado silencio, el zapatista se responde a sí mismo (otro signo de esquizofrenia, dirán algun@s).
La lata, se responde la zapatista, la produjo un obrero o una obrera, en una planta que es propiedad de un patrón, y la transportó un empleado, un “choferólogo” dirían los compas de la Realidad recordando la anécdota que contó el Teniente Coronel Insurgente Moisés en aquella ocasión, en un camión que es propiedad del mismo patrón. Y entonces esa obrera, ese obrero o empleado, recibe un salario pero no es todo lo que se gana con la lata de refresco. A la hora de producir esa lata, el obrero o la obrera son explotados por un patrón, que se roba su trabajo y sólo les da una pequeña parte para que traten de sobrevivir.
¿Qué pasaría, pregunta el zapatista, si no hubiera patrón, si la planta refresquera y el camión repartidor fueran propiedad de los trabajadores y trabajadoras, así como los zapatistas somos dueños de la tierra que trabajamos? La zapatista se responde: “los trabajadores no sólo tendrían más paga y vivirían mejor, también se harían dueños de su destino y empezarían a pasar muchas cosas en ellos, la problema sería muy grande pero sería otra problema, una más mejor, más democrática, más libre, más justa”.
El zapatista y la zapatista toman entonces una decisión, y ésta consiste en tratar de unirse con esa obrera, con ese empleado, para organizarse y, juntos, luchar por quitarles a los patrones la propiedad de los medios de producción, sea de producción de refrescos o de luz o de autos o de ropa o de zapatos o de todo.
Para hacer esto, los zapatistas sacan su pensamiento en la Sexta Declaración del Selva Lacandona y dicen claro: la problema del capitalismo es que unos pocos son dueños de todo y unos muchos son dueños de nada, y eso debe cambiar, ponerse de cabeza, subvertirse, “vueltearse”.
O sea que los zapatistas deciden ser anticapitalistas atacando la propiedad de los medios de producción. Esa persona que juzgó y condenó, quienes le aplaudieron y algunas y algunos de quienes nos miran, escuchan y leen, piensan que nuestro anticapitalismo no es consecuente, que el suyo es mejor y más visible, más inmediato y, sobre todo, más presumible a la hora de hablar de ser consecuentes.
Nosotros sólo decimos el nuestro es un anticapitalismo más modesto: es el que apunta al corazón mismo del sistema. Podrán cambiarse los hábitos de consumo de una sociedad, o las formas y medios para circular las mercancías, pero si no cambia la propiedad de los medios para producir, si no desaparece la explotación del trabajo, el capitalismo seguirá vivo y actuante.
Pero aún así no basta.
Hace algunos años, antes de las leyes revolucionarias y el inicio de nuestra guerra, en las comunidades más alejadas en la Selva Lacandona, era practicado un método para producir bebidas alcohólicas. Con caña o maíz o plátano fermentados se puede producir trago (o “posh”, como le llaman de broma los compañeros y compañeras). Así, sin explotar fuerza de trabajo (lo hacían de su milpa o de su platanal o de su sembradío de caña), sin consumir productos de trasnacionales ni engordar las cuentas bancarias de los propietarios de las grandes tiendas, los indígenas se emborrachaban, las mujeres eran golpeadas y violadas, los niños maltratados. Era un alcoholismo anticapitalista por donde se le viera, pero era y es un crimen.
Desde antes del alzamiento y sobre todo a partir de él, las compañeras zapatistas redujeron mucho el alcoholismo, fuera capitalista o anticapitalista, en las zonas rebeldes con su fuerza organizada, y con la concientización continua y permanente en nuestros pueblos.
Aunque la base material del capitalismo es la propiedad privada de los medios de producción, circulación y consumo, tiene ya una lógica que invade todos los rincones de la sociedad y debe ser combatido en todos los lugares.
Así como muchas cosas han cambiado o empezado a cambiar en tierras zapatistas, y otras tantas faltan de transformarse, así será la sociedad que construimos. Todos los esfuerzos actuales de anticapitalismo son respetables y tienen su importancia, así como lo son y tienen todas las luchas, grandes o pequeñas, que se hacen y harán para hacer del nuestro un país donde ya no sea un dolor o una vergüenza ser indígena, niño o niña, mujer o joven, anciano o anciana, diferente en la sexualidad, o ser cualquiera de todas las diferencias que hay y habrá en la humanidad.
Así que expliquen, eduquen, formen, aconsejen sobre lo que es bueno y malo para la salud en la alimentación. Pero no juzguen y condenen a quienes han decidido arriesgar la vida, y todo lo que han levantado sobre la sangre de nuestros muertos, para destruir un sistema que a ustedes y a nosotros, enlatados o sin lata, nos despoja, nos explota, nos reprime y nos desprecia.”

19 luglio 2007 II Incontro dei popoli zapatisti con i popoli del mondo http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2007/07/20/mesa-redonda-en-el-cideci-san-cristobal-de-las-casas/

 

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(Racconto letto al termine del CompARTE PER LA VITA E LA LIBERTÀ 2018 nel Caracol di Morelia, Torbellino de nuestras palabras, montagne del sudest messicano.) #EZLN #SubcomandanteGaleano

L’ULTIMA BRIOCHE NELLE MONTAGNE DEL SUDEST MESSICANO.

Forse è stato per una serie di eventi aleatori, senza legame apparente tra loro che la tragedia si è sviluppata.

O forse si è trattato di una semplice coincidenza, un caso sfortunato. Come se il destino avesse alimentato le voci sulla sua esistenza lanciando i pezzi di un puzzle sulle teste rotte di umani e macchine.

O per caso la Tormenta (che lo zapatismo insiste nel segnalare e che, come per tutto quello che dice, nessuno più nota) si era imbattuta in uno “spoiler“, un piccolo anticipo di quello che si avvicinava. Come se, nel software incoerente con cui sembra funzionare la realtà, fosse apparso un avviso urgente, un “warning” inavvertito, un segno che avrebbe potuto essere rilevato ed interpretato solo dalle più avvezze vedette che, negli angoli del mondo, sono impegnate a scrutare orizzonti che, tanto lontani, neanche appaiono come variabile nelle frenetiche statistiche del sistema mondiale. Dopo tutto, le statistiche servono per segnalare tendenze che cancellano drammi quotidiani. Che cosa è, dopo tutto, l’omicidio di una donna? Un numero. Una più è una meno. Le statistiche diranno che ci vogliono altri più numeri di questi omicidi “di genere” per incidere su una tendenza: quella della cavalcata fuori controllo del sistema verso l’abisso scivolando su sangue, fango, macerie, merda, distruzione. All’orizzonte? La guerra. Sul sentiero percorso? La guerra. Perché nel sistema capitalista la guerra è l’origine, la strada e il destino.

Infine, forse il delirio. Questo è solo un racconto e bisogna fare attenzione che in esso non si infilino riflessioni tendenziose, cattive idee, pensieri malsani, oziosi cavilli, provocazioni.

Chi qualche volta ha avuto la sfortuna di guardare un film col defunto SupMarcos, racconta che era insopportabile. Beh, non era solo insopportabile in quel frangente, ma ora sto parlando di guardare un film. Bastava che nel film saltasse fuori un’arma da fuoco perché il defunto mettesse in “pausa” e partisse in una lunga ed oziosa dissertazione su precisione, energia, portata, potere di fuoco e le brevi o lunghe parabole che un proiettile tracciava nella sua rotta verso “l’obiettivo”. Poco importava che in quel momento di pausa la trama si svolgesse, o che chi stava guardando il film si angustiasse senza sapere se l’eroe (o l’eroina, non dimenticare l’equità di genere) si salvava o no. No, lì si manifestava l’inutile spreco di erudizione: “quella è una carabina M-16, calibro 5,56 mm NATO, chiamato così per distinguere le munizioni fabbricate dai paesi dell’Alleanza Atlantica del Nord da quelle del Patto di Varsavia, ed eccetera, eccetera”. Certo, la compagnia cinefila non sapeva che cosa fare: se dimostrava interesse, il defunto poteva dilungarsi; se, invece, mostrava indifferenza, il defunto poteva interpretare la cosa come una sua non chiarezza di spiegazione e si sarebbe dilungato ancora di più, arrivando, chiaramente, alla guerra fredda. Ed allora il SupMarcos si sentiva obbligato a spiegare che il termine “guerra fredda” era un ossimoro, un’arguzia del sistema per ovviare alla morte e distruzione che avevano segnato quell’epoca. Proseguiva quindi con la “quarta guerra mondiale” e così via fino a che i popcorn si raffreddavano od erano diventati un impasto di mais in salsa “Valentina”.

Beh, sto già diventando uguale a lui. La questione era che se il SupMarcos assisteva alla proiezione, bisognava poi vedere il film o le serie due volte: una per subire le interruzioni, l’altra per capire la trama. Per questo dico che un racconto è un racconto e non una discussione politica. Anche se Difesa Zapatista usi la “discussione politica” per occultare le prove della “violenza di genere” che, sotto forma di ceffoni, applica allo stoico Pedrito, il bambino che, senza saperlo né volerlo, assume il ruolo di nemesi della bambina e del suo indefinibile gatto-cane.

Dove eravamo? Ah, sì, nel perché di quello che vi racconterò più avanti.

Il fatto è che, quell’alba, confermò ciò che temevo: erano finite le brioche. Tutte. Perfino la riserva strategica (destinata a far fronte alla prevedibile apocalisse zombi, ad un’invasione extraterrestre o alla caduta di un meteorite) era a zero.

Che cosa era successo? Perché, come nelle tragedie greche e nei corrido messicani, non succede niente fino a che succede.

Doña Juanita, trincerata nelle cucine del CIDECI, a San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, Messico, era in sciopero: niente tamales, niente cuche (maiale, in Chiapas), niente tacos e salse, niente intrugli ricchi di carboidrati, grassi e colesterolo. E, oh disgrazia, niente brioche. Adesso solo cibo sano, cioè verdure, verdure e ancora verdure. Niente di niente. Viva resistenza e ribellione. Abbasso il cibo spazzatura e fast food.

Quando me ne accorsi mandai un messaggero per convincere Doña Juanita a fare un’eccezione; che la capivo, ma che io aveva letto in un libro che le brioche erano molto nutritive; che se lei avesse fatto le brioche, sarebbe rimasto “entre nous“, non si sarebbe venuto a sapere. Il messaggero ritornò sconsolato: non era nemmeno riuscito a parlare con Doña Juanita che se ne stava trincerata insieme ai suoi compas di cucina cantando “no, no, nos moverán, y el que no crea que haga la prueba, no nos moverán“. Chiesi al messaggero che cosa aveva fatto. Disse che si era messo a cantare, che il coro era bello e così aveva afferrato una chitarra ed accompagnato l’inno.

Io non mi lasciai sconfiggere da questioni che relegai al rango “di genere”. Dopo tutto, Doña Juanita è una donna e ci sono cose che le donne non capiscono.

Ricorsi allora all’arma ultra segreta dell’ezetalene: il compa Jacinto Canek.

Molto lontano da queste montagne, ma piantato in altre, il compa Jacinto Canek ne sa di cucina. Fa meraviglie con solo qualche pentola e padella. Ma possiede un dono speciale per fare il pane e i dolci. Si mormora che c’è gente che arriva dai più diversi angoli del mondo per assaggiare il suo pane. Come dimostrazione della “altra globalizzazione”, la sua pasticceria ha deliziato il palato di 5 continenti.

Il segreto sta nel metterci tante uova”, mi confessò un giorno il compa Jacinto Canek mentre aspettavamo, io con impazienza, che le brioche uscissero dal forno. Anche se lui si riferiva ai dolci, io dissi quasi di riflesso: “come in tutto, Don Jacinto, come in tutto” [in spagnolo “huevos” è usato anche nel senso di “avere le palle” – N.d.T.].

Per una questione di solidarietà di genere, confidavo che il compa Jacinto Canek facesse onore al suo nome di lotta e contribuisse all’uscita dalla grave crisi che si intravedeva.

Una missione di tale trascendenza richiedeva una posizione drastica. Allo scopo di zittire le critiche che già prevedevo arrivare dalle femministe, incaricai l’insurgenta Erika di andare fino alle terre dove Jacinto Canek difendeva con cappa e spada i suoi segreti culinari.

Dissi ad Erika che aveva una missione molto importante da compiere. Che doveva andare da Jacinto Canek e raccontargli una leggenda: i primi dei, quelli che crearono il mondo, crearono le brioche affinché gli umani si facessero un’idea del paradiso. Ma poi arrivò lo stramaledetto sistema capitalista con i suoi Bimbo-Marinela, la Tía Rosa, Wonder [marchi di merendine in commercio in Messico – N.d.T.] eccetera, che corruppero il sacro manicaretto degli dei.

Che quelli che facevano dolci artigianali erano i custodi della memoria, quelli che preservavano il sacro graal che permetteva la comunicazione tra umani e dei.

Ovviamente la insurgenta Erika mi domandò che cosa fosse il “sacro graal”. Le dissi che era qualcosa di molto importante, di sacro, da cui dipendeva il destino dell’umanità.

Erika se la rise dicendo “Nah, te lo sei inventato, Sup, tu vuoi soltanto le brioche”.

Io feci la faccia da offeso e la congedai con i rimproveri di rigore.

Dopo giornate che immagino spossanti, la insurgenta Erika tornò con una grande borsa di pane e dolci. Non riuscii a trattenermi: applaudii. E devo confessare che i miei begli occhi si inumidirono di gratitudine.

Senza rispondere al saluto di Erika, le strappai di mano la borsa e vuotai il contenuto sul tavolo. Niente. C’erano conchas, trenzas, orejas, moños, polvorones, bolillos, teleras, chilindrinas, marquesotes, pan de elote, empanadas, hojaldras (senza offendere i lettori), cemitas, ciambelle e perfino il cosiddetto “pane dell’amore”. Ma nemmeno una brioche, neanche una sola.

Orrore.

Mi accasciai sulla sedia con un sapore amaro a riempirmi la vita.

Allora la insurgenta Erika tirò fuori dal suo zainetto un’altra borsa, più piccola. Avvolta in fogli di plastica e carta apparve una brioche!

È riuscito a fare solo questa”, mi disse Erika, “non ne ha più fatte perché sta ballando con sua moglie. E chissà fino a quando”.

La insurgenta Erika se ne andò.

Con estrema attenzione, come se si fosse trattato di un prezioso pezzo di fine cristallo, misi la brioche sul tavolo.

Con tutta la faccenda della Tormenta, l’Idra e l’apocalisse-tutto-compreso di mio fratello giurato, sentenziai:

Questa è l’ultima brioche sulle montagne del sudest messicano”.

Non sapevo se mangiarla o farle un altare, un omaggio premonitore a ciò che significava: la fine di un’epoca, l’inappellabile sentenza del destino, la collera degli dei ignoti, lo sdegno ravvisato in uno sguardo desiderato, il danno collaterale della guerra capitalista.

La guardai, sì. La guardai con mal dissimulata lussuria. Con delicatezza le mie dita sfiorarono appena i suoi contorni zuccherati, la fessura circolare che esaltava il seno univoco dell’essere unigenito, la voluttuosa figura che non solo diceva ma gridava: “sono una brioche, ma non una brioche qualsiasi, sono l’ultima brioche”.

Così mi trovavo, cioè pensando se nel negozio della cooperativa avevano la nota bibita di cola con cui onorare l’ultima brioche, quando, come a ratificare la disgrazia, apparvero sulla porta…

Difesa Zapatista e il gatto-cane.

Balzai in piedi il più rapidamente possibile e, cercando di coprire col corpo l’oscuro oggetto del mio desiderio, cominciai a balbettare incoerenze:

“Eh, no, non c’è una brioche sul tavolo. No, non la sto nascondendo. No, non c’è niente dietro di me. Ehi, che caldo fa oggi, e le zanzare sono tremende, credo che pioverà. Pensi che pioverà?”.

Credo che Difesa sospettò qualcosa, perché mi girò intorno e vide la brioche.

Mi guardò con riprovazione e disse:

Sup, devi condividere”.

Il gatto-cane abbaiò o miagolò, o vallo a sapere, ma suppongo in appoggio di Difesa Zapatista.

Immagino che sentendosi richiamata dalla parola “brioche” apparve, chissà da dove, una bambina che tentava di raggiungere la brioche con una manina mentre nell’altra aveva un orsacchiotto di peluche.

La allontanai dal tavolo e, seguendo i modi del defunto, le chiesi:

E tu chi sei? Non ti conosco”.

Io mi chiamo Speranza e di cognome “zapatista” e questo è il mio orsacchiotto ed abbiamo fame”.

Sentendo il nome della bambina non potei non apprezzare la reiterazione dei paradossi di queste terre.

La Speranza Zapatista si ritirò dopo diversi tentativi di quello che la nuova teoria sociale chiamerebbe “accumulazione per predazione di brioche”, una fase ancora in sviluppo del capitalismo.

Difesa e il gatto-cane mi guardavano con più di 500 anni di reclami sperando nell’impossibile: che io condividessi con loro l’ultima brioche delle montagne del sudest messicano.

Non è possibile”, mi difesi con durezza, “ce n’è una sola. Se ce ne fossero state due o di più, si potevano distribuire, ma siccome ce n’è solo una, non si può condividere, è solo per uno”.

Sottolineai “uno” per marcare la differenza di genere: “l’uno” escludeva Difesa Zapatista, Speranza ed il gatto-cane, il quale, non si sa se è cane o gatto, e tanto meno se è maschio o femmina.

Seguendo la quinta legge della dialettica (nota: la prima legge della dialettica è “tutto ha a che vedere con tutto”; la seconda è “una cosa è una cosa ed un’altra cosa è non rompetemi”; la terza è “al diavolo l’universo e la materia”; la sesta è “non c’è problema sufficientemente grande che non possa essere aggirato”)…

Vi dicevo che la quinta legge della dialettica dice che può sempre piovere sul bagnato e, per confermarla, riapparve Speranza Zapatista ora accompagnata da due bambini zapatisti: uno indossava un cappello vaquero più grande di lui e si presentò con “io sono il Pablito“; l’altro indossava un cappello modello “Don Ramón en el Chavo del 8”, anche se sembrava più un casco di paglia, e disse che lui era “Amado, Amado Zapatista” (volevo rifilargli un ceffone per volermi sostituire).

Essendo in svantaggio numerico, analizzai le mie possibilità:

Potevo, per esempio, mettermi nella classica “modalità matanga disse la changa“, afferrare la brioche e fuggire in quello che nella teoria militare si chiama “ripiegamento strategico”.

Opzione scartata: il commando infantile zapatista mi aveva circondato.

Potevo travolgerli, seguendo la modalità del Fondo Monetario Internazionale di fronte a governi progressisti e non progressisti, ma correvo il rischio di inciampare e di far cadere il sacro graal. Questo avrebbe avvantaggiato il gatto-cane la cui abilità nel prendere le cose che cadono era stata già dimostrata in un altro racconto che vi narrerò in un’altra occasione.

Optai quindi per la demagogia in voga e, rivolgendomi al commando infantile, dissi:

“Guardate, dovete comprendere la congiuntura, la correlazione delle forze non è favorevole. Non è tempo di radicalismi. È meglio una transizione tranquilla, aspettare, per esempio, che ci siano più brioche, e allora sì. Ma ora voi dovete aspettare pazientemente. Per esempio, se c’è una bambina che si chiama “Difesa Zapatista” ed un’altra che si chiama “Speranza Zapatista”, può essere che ce ne sia una che si chiami “Pazienza Zapatista”. Allora, andate a cercarla e quando la troviate, fatele un bel discorso politico e poi vedremo”.

“Non c’è”, rispose Difesa Zapatista, ed aggiunse maliziosamente: “ma c’è una compagna che si chiama “Calamità”, cioè, “La Calamità Zapatista”. Vedrai se la portiamo”.

Un brivido scosse il mio corpo sensuale.

Disperato, mi resi conto che i miei argomenti non erano convincenti.

Immaginai allora il cataclisma terminale: una moltitudine di bambine e bambini zapatisti che circondao la mia capanna, in altri tempi il comando generale dell’ezetaelene; insulti nelle diverse lingue di origine maya; Difesa Zapatista che ordina “portate la legna di ocote“; Speranza che tira fuori, chissà da dove, un accendino, mentre il suo orsacchiotto, ve lo giuro, si trasformava in “Chuky, la bambola assassina“; il gatto-cane che abbaia e miagola; il Pedrito che balla con la promotrice di educazione e il Pablito che canta quella del moño colorado e l’Amado che fa la seconda voce (sì, gli uomini sempre in un altro canale); l’ocote acceso che si democratizza; le prime fiamme che lambiscono le assi di legno e creano un cerchio di fuoco dentro il cerchio infantile; ed io, eroico, abbraccio la brioche pronto a morire prima di consegnare “my tresaure” a quella massa irriverente alta solo qualche spanna da terra.

Era inutile tentare di dividerli e portarli a scontrarsi tra loro: la brioche li univa ed io non potevo cederla.

È vero, avrei potuto lanciarla e, approfittando della confusione, cercare un nascondiglio. Ma dubito che litigherebbero per la brioche. Sicuramente seguirebbero la loro tradizione di condividere perfino il poco che hanno, proprio come faceva la banda del defunto SupMarcos dopo aver assaltato il negozio “La Nana Zapatista” alla Realidad.

Ma niente da fare, era la mia brioche. Lei ed io eravamo uniti dal destino. Nei miei pensieri si affollavano gli antichi scritti (scritti da me): “al principio dei tempi, gli dei crearono la brioche e videro che la brioche era buona ed allora crearono il Sup affinché di lei ne godesse e se la pappasse senza condividere”. Ergo, la brioche era di mia proprietà per mandato divino e quei nani e nane eretici volevano spogliarmi di lei, commettendo così il più grande dei peccati: sfidare la proprietà privata della brioche che, come tutti sanno perché è in tutti i libri di storia, è il fondamento della civiltà, dell’ordine e del progresso.

Era in gioco il futuro del mio mondo. Se condividevo la mia brioche, l’umanità sarebbe tornata all’età della pietra, ad un mondo senza internet, senza reti sociali, senza i film e le serie in streaming e, orrore degli orrori, senza gelato alla noce.

Compresi allora che nel mio bello e ben formato corpo risiedeva l’ultima opportunità dell’essere umano.

Se avessi condiviso la brioche, potevano succedere cose terribili. Per esempio, le donne avrebbero potuto ribellarsi. Non una, né due. Tutte. Milioni di Difese, Speranze e Calamità Zapatiste che saltano fuori da tutti gli angoli del pianeta.

L’apocalisse.

La distruzione totale del mondo per come lo conosciamo.

La fine dei tempi.

La catastrofe finale.

Mi spaventai.

Allora, feci un errore di cui non finirò mai di pentirmi: senza che ce ne fosse bisogno, dissi:

Inoltre, è l’ultima”.

L’ultima!”, ripetè la bimba con allarme e sorpresa.

Difesa Zapatista si fece pensierosa. Io sentii un brivido percorrere il mio voluttuoso corpo. Non c’è niente di più temibile di una bambina che pensa.

Difesa Zapatista ruppe il silenzio:

Va bene, allora giochiamo e chi vince si prende la brioche”.

Io volevo dire che non dovevo proprio giocare a niente scommettendo la mia brioche, perché era mia, mia-di-me-con-me, my tresaure, il prodotto del mio lavoro… beh, il lavoro era stato del compa Jacinto Canek, ma per solidarietà di genere e in sua rappresentanza, spettava a me).

Mentre costruivo la mia difesa, la idem zapatista, aggiunse:

“Ed in onore del gatto-cane qui presente, il gioco sarà il “tris”. Chi vince, vince la brioche”.

Sentendo questo, interruppi nella testa la mia brillante dissertazione giuridico-gastronomica e domandai:

“Tris? Quello che si gioca con cerchi e croci e vince chi li infila in una linea orizzontale, verticale o diagonale?”

“Quello”, disse la bambina e nel suo quaderno tracciò lo schema del “tris”, il gioco della mia infanzia che, avendolo giocato qualche volta, sapevo senza vincitore.

Se chi legge questo racconto è della cosiddetta “generazione digitale”, gli risparmio la consultazione di wikipedia:

“Il gioco del tris, noto anche come Ceros y Cruces, tres en raya (in Perù, Spagna, Ecuador e Bolivia), juego del gato, Triqui (in Colombia), Cuadritos, Gato (in Cile e Messico), Triqui traka, X Zero, Tic-Tac-Toc Triqui traka, Equis Cero, Tic-Tac-Toc (negli Stati Uniti), è un gioco di carta e penna tra due giocatori: O e X segnano alternatamente gli spazi in una tabella di 3×3.

Feci velocemente qualche calcolo e arrischiai:

E se c’è pareggio?

Difesa Zapatista guardò il gatto-cane. Il gatto-cane guardò Difesa Zapatista. Speranza guardò entrambi. Pablito ed Amado guardarono la brioche.

Dopo qualche secondo, il gatto-cane abbaiò-miagolò. La bambina Difesa, rivolgendosi all’animaletto domandò:

“Sei sicuro?”

Il gatto-cane sbuffò come per dire “non so come puoi dubitare di me”.

La bambina allora mi disse: “se c’è pareggio, la brioche resta a chi ce l’aveva dall’inizio”.

“Cioè io”, dissi assicurandomi che non ci fossero trappole legali nell’accordo.

“Sì”, disse senza preoccupazione Difesa Zapatista.

Bene”, dissi, assaporando in anticipo la doppia vittoria: il trionfo di genere e la brioche che non era una brioche qualsiasi, era l’ultima brioche nelle montagne del sudest messicano.

“Allora, cominci tu o io?”, domandai alla bambina mentre tiravo fuori un foglio bianco e la mia penna nera con inchiostro indelebile.

“Io non gioco. Mi appello al diritto di cavalleria. Scelgo il gatto-cane qui presente come mio campione. Combatterà lui al mio posto”, rispose Cersei, scusate, Difesa Zapatista.

“D’accordo”, dissi fiducioso. Dopo tutto, questo mi salvava dalle critiche di genere per aver vinto su una bambina, ed il gatto-cane, beh, era un gatto-cane, quindi non c’era nulla da temere.

L’animaletto saltò con un balzo sul tavolo di legno, scostò il foglio con un gesto disgustato e, con quello che mi sembrò un sorriso burlone, tirò fuori le unghie ed in un lampo, tracciò il campo di battaglia sulla superficie del tavolo.

Non che mi lamenti che abbia graffiato il tavolo, dopo tutto è pieno di bruciature e macchie di tabacco, ma mi sembrò, diciamo, poco professionale da parte del gatto-cane.

Stante così le cose, tirai fuori il mio coltello ed estrassi la sua lama affilata con sguardo malefico.

Nel lampo della lama metallica l’universo intero sembrò trattenersi, come se il suo movimento o immobilità futuri dipendessero da quello che si stava svolgendo su quel vecchio tavolo di legno: testa o croce, vita o morte, ombra o luce, brioche o caos.

Ok, esagero, ma il gatto-cane e chi ve lo sta raccontando, scambiammo gli stessi sguardi che, da secoli, scambiano i concorrenti che sanno che, in un confronto, non si giocano solo la vita, ma l’intero domani.

Il gatto-cane tese la mano, o meglio, la zampa, come per concedermi l’inizio, almeno così lo interpretai.

Con decisione, emulando Kasparov, tracciai il mio cerchio al centro. Benché sapessi che il centro non porta a niente, dentro di me pensavo che, in questo caso, un pareggio era una vittoria, perché la brioche sarebbe rimasta al suo legittimo padrone, cioè, la mia pancia.

Il gatto-cane, come se richiamasse la Sexta dalla sua parte, segnò in basse e a sinistra.

Io volli abbreviare la sua sofferenza e ripetei il centro, ma in basso, sull’onda progressista.

Il gatto-cane, come c’era d’aspettarsi, bloccò senza esitazione al centro, come a dire che il centro sotto neutralizza sempre il centro sopra.

Attaccai sul fianco sinistro, volendo sorprendere il gatto-cane, ma bloccò di nuovo.

Infine, prevedendo già il pareggio, tentai la diagonale dall’alto in basso, da sinistra a destra, come la socialdemocrazia in decadenza.

Nuovo blocco del gatto-cane.

Terminai sopra a destra, per puro gioco perché il pareggio era in vista ed il mio trionfo era ormai inopinabile.

Mi preparavo a riporre nel cassetto la brioche, quando Difesa Zapatista disse:

“Un momento! Al gatto-cane manca un tiro!”.

Ma è già pieno”, dissi protestando.

Il gatto-cane sorrise furbescamente e con le sue unghie più affilate tracciò il non previsto: come se disegnasse un mondo nuovo, aggiunse un’estensione al diagramma:

E lentamente, con insano piacere, tracciò la croce nella nuova casella e vi giuro che il legno stridette, lugubre quando tracciò la diagonale della vittoria.

“Abbiamo vinto!”, gridò Difesa Zapatista e prese la brioche mentre l’animaletto saltellava girando su sé stesso.

Uscirono correndo, con Difesa Zapatista che teneva in alto la brioche come se sventolasse una bandiera universale.

Prima di andarsene, Speranza Zapatista, facendo onore al suo paradosso, si avvicinò e dandomi una pacca sulla spalla mi disse:

“Non preoccuparti Sup. Poi ti racconto di cosa sapeva il dolcetto che ti ha vinto il gatto-cane”.

Anche la Speranza se ne andò e con lei idem la mia ultima.

Mentre li guardavo allontanarsi, pensai che è questo il problema con lo zapatismo, credetemi: se i suoi sogni ed aspirazioni non stanno in questo mondo, ne immaginano un altro nuovo… e sorprendono con il loro impegno per ottenerlo.

E non solo con lo zapatismo.

Nell’intero pianeta nascono e crescono ribellioni che si rifiutano di accettare i limiti di schemi, regole, leggi e precetti.

Perché non sono solo due i generi, né sette i colori, né quattro i punti cardinali, né uno il mondo.

Così come Difesa Zapatista, il gatto-cane e la banda formata dal Pedrito, il Pablito e l’Amado, noi, nosotroas abbiamo solo un obiettivo: accudire la Speranza Zapatista.

Se questo mondo non è fatto per questo, bisognerà farne un altro, uno dove ci stiano molti mondi.

Con questi pensieri, sospirai e mi dissi allo specchio: “avresti dovuto condividere”.

-*-

Tan-tan.

Dal caracol Torbellino de Nuestras Palabras, montagne del sudest messicano, pianeta terra.

Il SupGaleano.

Agosto 2018,

nel 15° anniversario dei caracol zapatisti

e delle Giunte di Buon Governo.

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/08/26/la-ultima-mantecada-en-las-montanas-del-sureste-mexicano/

 

 

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#EZLN 300. Terza ed ultima parte: UNA SFIDA, UNA AUTONOMIA REALE, UNA RISPOSTA, DIVERSE PROPOSTE, E QUALCHE ANEDDOTO SUL NUMERO “300”. #SubcomandanteInsurgenteMoisés, #SupGaleano

E poi cosa viene?

Remare controcorrente. Niente di nuovo per noi, nosotroas, zapatiste, zapatisti.

Noi lo vogliamo ribadire – ci siamo consultati con le nostre comunità -: qualu nque caposquadra deve essere contrastato, chiunque; e non solo chi propone una buona amministrazione ed una corretta repressione – cioè, questa lotta alla corruzione ed il piano di sicurezza basato sull’impunità -; anche chi dietro sogni avanguardisti vuole imporre la sua egemonia ed omogeneizzarci.

Non cambieremo la nostra storia, il nostro dolore, la nostra rabbia, la nostra lotta, per il conformismo progressista ed il suo correre dietro al leader.

Forse qualcuno lo dimentica, ma noi non dimentichiamo che siamo zapatisti.

E riguardo alla nostra autonomia – con la faccenda che sì la si riconosce, o no non la si riconosce -, noi abbiamo fatto questo ragionamento: l’autonomia ufficiale e l’autonomia reale. Quella ufficiale è quella riconosciuta dalle leggi. La logica sarebbe questa: hai un’autonomia, ora la riconosco in una legge e quindi la tua autonomia dipende da questa legge e comincia a non mantenere più le sue forme, poi, quando ci sarà un cambio di governo, allora devi appoggiare il governo “buono” e votare per lui, promuovere il voto per lui, perché se arriva un altro governo abolirà la legge che ti protegge. Quindi diventiamo i peones dei partiti politici, come è successo con i movimenti sociali in tutto il mondo. Non importa più quello che si sta facendo nella realtà, quello che si sta difendendo, ma quello che la legge riconosce. La lotta per la libertà si trasforma così nella lotta per il riconoscimento legale della lotta stessa.

-*-

Abbiamo parlato con i nostri capi e capi. O piuttosto con le comunità che ci danno il passo, la direzione e la destinazione. Con il loro sguardo guardiamo a ciò che sta arrivando.

Ci siamo consultati ed abbiamo detto: bene, se noi diciamo questo, che cosa succede?

Rimarremo da soli, ci diranno che siamo marginali, che stiamo rimanendo fuori dalla grande rivoluzione… dalla quarta trasformazione o dalla nuova religione (o come vogliano chiamarla) e dovremo remare un’altra volta controcorrente.

Ma non c’è niente nuovo, per noi, nel rimanere soli.

Allora ci siamo chiesti, bene, abbiamo paura di restare soli? Abbiamo paura di restare nelle nostre convinzioni, di continuare a lottare per esse? Abbiamo paura che chi era a favore, ci si metta contro? Abbiamo paura di non arrenderci, di non venderci, di non cedere? Ed alla fine abbiamo concluso: insomma, ci stiamo domandando se abbiamo paura di essere zapatisti.

Non abbiamo paura di essere zapatisti e continueremo ad esserlo.

È così che ci siamo fatti una domanda e ci siamo risposti.

Noi pensiamo che insieme a voi (le reti), con tutto contro, perché non avevate i media, né il consenso, né la moda, né i soldi – avete perfino dovuto metterci i soldi di tasca vostra – con tutto questo, attorno ad un collettivo di originari e di una donna piccoletta, di pelle scura, del colore della terra, abbiamo denunciato un sistema predatore ed abbiamo difeso la convinzione di una lotta.

Stiamo dunque cercando altre persone che non abbiano paura. Cosicché vi domandiamo (alle reti): avete paura?

Domandatevelo e se avete paura, cercheremo da un’altra parte.

-*-

Noi crediamo di dover proseguire al fianco dei popoli originari.

Ancora qualcuna delle reti pensa che stiamo appoggiando i popoli originari. Col passare del tempo vedrete che è il contrario: sono loro che ci appoggiano con la loro esperienza e le loro forme organizzative, cioè, noi impariamo. Perché se c’è qualcuno esperto in tormente, sono proprio i popoli originari, ai quali è capitato di tutto ma sono lì, o meglio, siamo qui.

Ma pensiamo anche – e ve lo diciamo chiaro, compagn@ – che non basta, che dobbiamo incorporare nel nostro orizzonte, nelle nostre realtà con i loro dolori e le loro rabbie, cioè, dobbiamo proseguire verso la seguente tappa: la costruzione di un Consiglio che incorpori le lotte di tutti gli oppressi, gli eliminabili, le desaparecidas ed assassinate, i prigionieri politici, le donne aggredite, l’infanzia prostituita, i calendari e le geografie che tracciano la mappa impossibile per le leggi delle probabilità, i sondaggi e le votazioni: la mappa contemporanea delle ribellioni e delle resistenze in tutto il pianeta.

Se voi, insieme a noi, sfideremo le leggi delle probabilità che dicono che non c’è nessuna possibilità, se non molto piccola, che ce la faremo, se sfideremo i sondaggi, i milioni alle urne e la numeralia che il Potere contrappone per farci arrendere o per indebolirci, dobbiamo ingrandire il Consiglio.

Fino ad ora è solo un pensiero che esprimiamo qui, ma vogliamo costruire un Consiglio che non assorba né annulli tutte le differenze, ma le potenzi camminando con otroas, altri ed altre che abbiano lo stesso impegno.

Con lo stesso ragionamento, questi parametri non dovrebbero avere come limite la geografia imposta da frontiere e bandiere: dovrebbe mirare a diventare internazionale.

Quello che proponiamo è non solo che il Consiglio Indigeno di Governo non sia più solo indigeno, ma che non sia più solo nazionale.

Pertanto, noi, nosotroas, zapatiste, zapatisti, proponiamo che si porti a consultazione, oltre a tutte le proposte presentate in questo incontro, quanto segue:

1º. – Ribadire il nostro appoggio al Congresso Nazionale Indigeno ed al Consiglio Indigeno di Governo.

2º.- Creare e mantenere canali di comunicazione aperti e trasparenti con chi abbiamo conosciuto nel percorso del Consiglio Indigeno di Governo e della sua portavoce.

3º.- Iniziare o continuare l’analisi-valutazione della realtà in cui ci muoviamo, facendo e condividendo dette analisi e valutazioni, così come le proposte di azione coordinate che ne derivino.

4º.- Proponiamo lo sdoppiamento delle Reti di Appoggio al CIG per aprire, senza abbandonare l’appoggio agli originari, il cuore alle ribellioni e resistenze che emergono e perseverano dove ognuno si muove, in campagna e in città, senza che importino le frontiere.

5º.- Iniziare o continuare la lotta che miri ad ingrandire le domande ed il carattere del Consiglio Indigeno di Governo, in modo che vada oltre i popoli originari ed incorpori i lavoratori delle campagne e delle città, e le/gli eliminabili che hanno storia e lotta proprie, cioè, identità.

6º.- Iniziare o continuare l’analisi e la discussione che miri alla nascita di un Coordinamento o Federazione di Reti che eviti il comando centralizzato e verticale, e che non lesini l’appoggio solidale e la fratellanza tra chi la compone.

7º e ultimo.- Convocare una riunione internazionale di reti, o come la si voglia chiamare – noi proponiamo di chiamarci Rete di Resistenza e Ribellione… ed ognuno sceglierà il suo nome – a dicembre di questo anno, dopo avere conosciuto ed analizzato e valutato quello che deciderà e proporrà il Congresso Nazionale Indigeno ed il suo Consiglio Indigeno di Governo (nella sua riunione di ottobre di questo anno) ed anche per conoscere i risultati della consultazione alla quale si invita in questa riunione – dove siamo adesso -. Per questa, se credete, mettiamo a disposizione lo spazio in uno dei Caracol Zapatisti.

Il nostro appello dunque, non è solo agli originari, è a todoas, a tutte e tutti coloro che si ribellano e resistono in tutti gli angoli del mondo. A chi sfida gli schemi, le regole, le leggi, i precetti, i numeri e le percentuali.

-*-

Aneddoto uno.- Nei primi giorni di gennaio del 1994, i servizi dell’Esercito Federale stimavano la forza dell’autodenominado ezetaelene in “solo” 300 trasgressori della legge.

Aneddoto due. – Nello stesso anno, e mentre Ernesto Zedillo Ponce de León ed Esteban Moctezuma Barragán preparavano il tradimento del febbraio 1995, il gruppo Nexos (prima dedito a cantare le lodi a Salinas de Gortari e poi a Zedillo) si disperava e, per voce di Héctor Aguilar Camín, esprimeva, parole più, parole meno: “Perché non li annientate?  Sono solo 300“.

Aneddoto tre. – Dalla relazione del tavolo di iscrizioni all’Incontro di Reti di Appoggio al CIG e la sua portavoce, realizzato nel caracol zapatista “Torbellino de Nuestras Palabras”, dal 3 al 5 agosto 2018: “presenti: 300“.

Aneddoto quattro: Entrate delle 300 imprese più potenti del pianeta: nessuna idea, ma può essere un 300, o qualsiasi numero seguito da un mucchio di zeri, e poi “milioni di dollari”.

Aneddoto cinque. – Quantità e percentuali “incoraggianti”:

.- la differenza quantitativa tra 300 e 30.113.483 (che sono i voti che, secondo l’INE, ha ottenuto il candidato AMLO) è: trenta milioni, centrotredicimila, cento ottantatre;

.- 300 è lo 0.00099623% di quegli oltre 30 milioni;

.- 300 è lo 0.00052993% dei voti rilasciati (56.611.027);

.- 300 è lo 0.00033583% del bacino elettorale (89.332.032);

.- 300 è lo 0.00022626% del totale della popolazione messicana (132.593.000, meno le 7 donne che, in media, vengono uccise quotidianamente – negli ultimi dieci anni in Messico, in media, una bambina, ragazza, adulta o donna di terza età assassinata ogni 4 ore -);

.- 300 è lo 0.00003012% della popolazione del Continente Americano (996.000.000 nel 2017);

.- la probabilità in percentuale di distruggere il sistema capitalista è dello 0.000003929141, che è il tot percento della popolazione mondiale (7.635.255.247 alle 19:54 ora nazionale del 20 agosto 2018) che rappresenta 300 (certo, se le presunte 300 persone non si vendono, non si arrendono e non cedono).

Oh, lo so, nemmeno la tartaruga che sconfigge Achille sarebbe di consolazione.

E un caracol?…

La Strega Scarlet?…

Il gatto-cane?…

Lasciate tutto questo a noi zapatiste e zapatisti, quello che ci svela non è la sfida che impone questa infima probabilità, ma come sarà il mondo che verrà; quello che sulle ceneri ancora fumanti del sistema, inizi ad emergere.

Quali saranno le sue forme?

Si parlerà a colori?

Quale sarà la sua colonna sonora? (Eh? Il “moño colorado”? Nemmeno per sogno).

Quale sarà la formazione della squadra, finalmente completata, di Difesa Zapatista? Potrà allineare l’orsacchiotto di peluche di Speranza Zapatista, che fa coppia col Pedrito? Permetteranno al Pablito di portare il suo cappello vaquero e ad Amado Zapatista il suo casco di stame? Perché quel maledetto arbitro non segna il fuori gioco del Gatto-cane?

Ma, soprattutto, e questo è fondamentale, come si ballerà in quel mondo?

Per questo, quando a noi, zapatiste, zapatisti, chiedono “e poi cosa viene?”… dunque, come dirvelo?… non rispondiamo subito, ma ci mettiamo un po’ a rispondere.

Perché, vedete, ballare un mondo dà meno problemi che immaginarselo.

Aneddoto sei.- Ah, pensavate che “300” fosse riferito al film dello stesso titolo ed alla battaglia delle Termopili e già vi preparavate vestiti come Leonida o come Gorgo (ognuno come gli pare) a gridare “Questa è Sparta!” mentre decima le truppe degli “Immortali” del re persiano Serse? Non ve l’ho detto? Siamo zapatist@, e come di consueto, vediamo un altro film. O peggio ancora, guardiamo ed analizziamo la realtà. È così.

-*-

È tutto…per ora.

Dalle montagne del Sudest Messicano.

Subcomandante Insurgente Moisés.                     Subcomandante Insurgente Galeano.

Messico, agosto 2018.

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/08/22/300-tercera-y-ultima-parte-un-desafio-una-autonomia-real-una-respuesta-varias-propuestas-y-algunas-anecdotas-sobre-el-numero-300-subcomandante-insurgente-moises-supgaleano/

 

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#EZLN: 300. Seconda parte:

UN CONTINENTE COME CORTILE, UN PAESE COMO CIMITERO, UN PENSIERO UNICO COME PROGRAMMA DI GOVERNO, ED UNA PICCOLA, MOLTO PICCOLA, PICCOLISSIMA RIBELLIONE. #SubcomandanteInsurgenteMoisés, #SupGaleano

Dal mondo scendiamo al continente.

Se guardiamo in alto…

Vediamo gli esempi di Ecuador, Brasile ed Argentina, dove non solo si spodestano i governi che si presumono progressisti, ma si perseguono anche giuridicamente ed al loro posto ascendono governi addestrati come buoni capisquadra, o capisquadra ubbidienti al capitale (benché, siamo giusti, sono abbastanza rozzi anche nel loro cinismo) per il nuovo riaccomodamento della finca mondiale, che sono come Temer in Brasile, Macri in Argentina, ed in Ecuador quello che era bravo perché ce l’aveva messo l’adesso perseguito Correa (quello della “rivoluzione civica” – “di sinistra”, così lo vendette l’intellighenzia progressista -) e che ora risulta essere di destra, Lenin Moreno – paradossalmente si chiama Lenin -.

Sotto la vigilanza dello Stato che si è trasformato nel poliziotto della regione – la Colombia – e da cui si minaccia, si destabilizza e si programmano provocazioni che giustifichino invasioni di “forze di pace”, in tutto il Sudamerica si torna ai tempi brutali della Colonia, ora col “nuovo” estrattivismo che non è altro che l’ancestrale saccheggio delle risorse naturali, tipificate come “materie prime”, e che nei governi progressisti della regione si avalla e si promuove come “estrattivismo di sinistra” – che è qualcosa come un capitalismo di sinistra o una sinistra capitalista o vai a sapere che cosa vuole dire -, ma ugualmente distruggono e spogliano, ma è per una “buona causa” (?). Qualunque critica o movimento di opposizione alla distruzione dei territori degli originari è catalogata come “promossa dall’Impero”, “di stampo conservatore”, ed altri equivalenti a “è un complotto della mafia del Potere”.

Insomma, nel continente il “cortile” del Capitale si estende fino a Capo Horn.

Ma se guardiamo in basso…

Vediamo ribellioni e resistenze, prima di tutto dei popoli originari. Sarebbe ingiusto nominarli tutti perché si correrebbe il rischio di ometterne alcuni. Ma la loro identità risalta nella loro lotta. Lì dove la macchina incontra resistenza al suo avanzare predatorio, la ribellione si veste di colori nuovi tanto antichi e parla lingue “strane”. La depredazione, anche mascherata di reddito della terra, vuole imporre la sua logica mercantile a chi si rapporta alla terra come la madre.

Queste resistenze sono accompagnate da gruppi, collettivi ed organizzazioni che, senza essere propriamente degli originari, condividono con loro impegno e destino, cioè, cuore. Per questo subiscono calunnie, persecuzioni, incarceramenti e, non poche volte, la morte.

Per la macchina, gli originari sono cose, incapaci di pensare, sentire e decidere; cosicché non è aliena alla sua logica automatizzata il pensare che questi gruppi in realtà “dirigono”, “usano” e “male orientano” quelle “cose” (gli originari) che si rifiutano di abbracciare l’idea che tutto è una merce. Tutto, incluso la loro storia, lingua, cultura.

Per il sistema, il destino degli originari è nei musei, nelle facoltà di antropologia, i mercati artigianali, e l’immagine della mano tesa che chiede l’elemosina. Deve essere esasperante per i teorici ed avvocati della macchina, quell’analfabetismo che non capisce le parole: “consumo”, “profitto”, “progresso”, “ordine”, “modernità”, “conformismo”, “compra-vendita”, “rendimento”, “resa”. Per alfabetizzare questi riluttanti alla civilizzazione, vanno bene i programmi assistenziali che dividono e creano scontri, le sbarre della prigione, il piombo e la sparizione. E sì, c’è chi si vende e consegna i suoi al boia, ma ci sono comunità ancora ribelli perché sanno di essere nate per la vita, e che le promesse di “progresso” nascondono la morte peggiore: l’oblio.

Proseguiamo in Centroamerica (dove in Nicaragua si riedita Shakespeare, e la coppia Macbeth, Daniel e Rosario, si chiede “Chi si immaginava che il vecchio (Sandino) avesse così tanto sangue in corpo?” mentre tenta, invano, di ripulirsi le mani nella bandiera rosso-nera) che si sta trasformando da un territorio dimenticato (dopo uno spietato saccheggio), in un problema per il grande capitale perché è un importante fornitore e trampolino di migranti, ma il ruolo di muro passerà al Messico, ed in concreto al sudest messicano.

E vogliamo includere il Messico nell’America Centrale perché la sua storia lo richiama all’America Latina, ed anche sui mappamondi l’America Centrale è il braccio che si tendono coloro che sono gemellati dal dolore e dalla rabbia.

Ma ai diversi governi che hanno subito e subirà questo paese, ed alla sua classe politica, la vocazione straniera li porta ad ammirare, imitare, servire e procacciare “l’annessione dei popoli della nostra America al Nord sregolato e brutale che li disprezza” (José Martí, “Lettera a Manuel Mercado”, 18 maggio 1895).

Quando Donald Trump dice di voler costruire il muro, tutti pensano al Río Bravo, ma il capitale pensa al Suchiate, all’Usumacinta e al fiume Hondo. In realtà il muro sarà in Messico per fermare quelli che provengono dall’America Centrale e forse questo può aiutare a capire perché Donald Trump, il 1° luglio, si è congratulato con il Juanito Trump per aver vinto le elezioni in Messico.

Il senso di un muro lo dà la sua contrapposizione a “qualcosa”. Tutti i muri si erigono contro “qualcosa”; si chiamino zombi, extraterrestri, criminali, clandestini, migranti, “sans papiers“, illegali, alieni. I muri non sono altro che la porta e le finestre chiuse di una casa che così si protegge dallo straniero, dall’estraneo, da quell’Alien che con la sua diversità porta con se la promessa dell’apocalisse finale. Una delle radici della parola “etnia” riporta a “la gente straniera”.

Nei piani del capitale, il muro contro l’America Latina avrà la forma dell’impossibile cornucopia dell’abbondanza e si chiamerà “Messico”.

Nella regione sudorientale, come abbiamo già detto, si costruisce la prima tappa del muro di Trump. L’ufficio “nazionale” di Migrazione continuerà a comportarsi come subordinato della Border Patrol, e Guatemala e Belize sono l’ultima stazione prima di entrare nella dogana del Nord-America. Questo trasforma il sudest messicano in una delle priorità di conquista e di gestione.

Per questo nei nuovi piani “geopolitici” si propone di creare un “cuscinetto”, un “ammortizzatore”, un filtro che riduca drasticamente la migrazione. Si offre così un placebo per alleviare l’incubo del capitale: un’orda di zombi (cioè, di immigranti) ai piedi dei suoi muri che minacciano il suo stile di vita e “tracciano” sull’indifferente superficie di ferro e cemento il graffito che dice:

“Il tuo benessere è costruito sulla mia disgrazia”.

-*-

In questo paese, chiamata anche “Repubblica Messicana”, le passate elezioni federali sono riuscite ad occultare la realtà… per un istante: la crisi economica, la decomposizione sociale (con la sua lunga scia di femminicidi) ed il consolidamento (nonostante i presunti “colpi mortali” al narco) degli Stati paralleli (o sovrapposti a quello Nazionale) del cosiddetto “crimine organizzato”. Anche se per poco tempo, gli omicidi, i sequestri e le sparizioni di donne di tutte le età sono passati in secondo piano. La stessa cosa per la carestia e la disoccupazione. Ma, spentosi ormai l’entusiasmo per il risultato elettorale, la realtà torna a dire “sono qui, manca il mio voto… e la mia scure”.

Sull’orrore che ha trasformato il Messico in un cimitero e nel limbo, il non-luogo, delle sparizioni, non diremo molto. Basta leggere i giornali per farsene una vaga idea. Ma una descrizione, analisi e valutazione più profonda la si può trovare negli interventi di Jacobo Dayán, Mónica Meltis, Irene Tello Arista, Daniela Rea, Marcela Turati, Ximena Antillón, Mariana Mora, Edith Escareño, Mauricio González González e John Gibler presentati al semenzaio dell’aprile scorso, “Sguardi, Ascolti, Parole; Proibito Pensare?” che si è tenuto al CIDECI di San Cristóbal de Las Casas, Chiapas, e nei loro scritti, cronache, reportage e colonne. Ed anche così, leggere o ascoltare dell’orrore quotidiano è molto lontano dal viverlo nella quotidianità.

Al grande capitale non importano le sparizioni, i sequestri ed i femminicidi. Quello che lo preoccupa è la SUA sicurezza e quella dei SUOI programmi. La corruzione che lo disturba è quella che taglia i suoi profitti. Per questo gli viene proposto “Faccio io il caposquadra, terrò la marmaglia al lavoro tranquilla e contenta, tornerai ad avere la sicurezza che i governi passati ti hanno lesinato, ci guadagnerai tutto quello che vuoi e non ti ruberò niente”.

Al sistema continua a disturbare lo Stato Nazionale e sempre di più gli assegna l’unica funzione per la quale nasce qualsiasi Stato, cioè, assicurare con la forza il rapporto tra dominatori e dominati.

I piani di sviluppo dei nuovi governi in qualsiasi parte del mondo non sono altro che dichiarazioni di guerra particolari nei territori dove questi piani di sviluppo opereranno.

Se si parlasse seriamente, si direbbe che si propone di costruire lande e deserti e, contemporaneamente, si costruisce l’alibi per eludere la responsabilità di questa distruzione: “ti abbiamo annichilito, ma è stato per il bene di tutti”.

-*-

Mi sono sbagliato. Noi avevamo previsto che ci sarebbe stata una frode elettorale (e c’è stata, ma in un altro senso). Avevamo previsto che López Obrador avrebbe vinto ma che il sistema gli avrebbe negato la vittoria con delle trappole. Ed abbiamo pensato a quali potevano essere le opzioni del sistema dopo questa frode. Secondo la nostra analisi, non preoccupava tanto lo scandalo perché il sistema aveva sopportato già quello della Casa Bianca, di Ayotzinapa, la Estafa Maestra [indagine giornalistica del portale Animal Politico che ha documentato un giro di corruzione nel governo dove sono stati deviati 400 milioni di dollari – N.d.T.], le corruzioni nei governi degli stati, quindi, nel caso di uno scandalo per una frode, a Peña Nieto non ne sarebbe venuto niente. Pensiamo che il dilemma del sistema fosse scegliere tra Meade ed Anaya, scegliere quale tra i due fosse più di destra, più efficiente per i suoi piani, chi di loro sarebbe stato il migliore caposquadra.

Le possibilità di una resistenza forte e radicale dell’allora candidato che sarebbe stato defraudato erano minime, niente di pericoloso per il sistema, ma ci sarebbero comunque state delle proteste. E per questo vi chiediamo scusa, perché considerando questo scenario abbiamo ritardato la convocazione alle reti, perché credevamo che ci sarebbero state proteste, blocchi e tutto il resto, e se vi invitavamo forse sareste rimasti bloccati da qualche parte; per questo la convocazione è arrivata tardi, scusate.

Noi, nosotroas, zapatiste, zapatisti, ci prepariamo sempre al peggio. Se succede, siamo preparati. Se non succede, fa lo stesso, siamo preparati comunque.

Ma adesso, per quello che stiamo vedendo pensiamo di non esserci sbagliati. In effetti il sistema ha scelto chi tra i quattro candidati si propone come il più efficiente, il signor López Obrador. E le prove d’amore che ha dato il signor López Obrador, o che sta dando questo signore al grande capitale, cioè al finquero, sono, tra le altre, la consegna dei territori dei popoli originari. I suoi progetti per il sudest, per citarne alcuni, per l’Istmo, per Chiapas, Tabasco, Yucatan e Campeche sono, in realtà, progetti di depredazione.

E la cosa principale che preoccupa un governo uscente è l’impunità, non i suoi indici di popolarità. Quindi il “voto” governativo doveva orientarsi verso chi gli garantiva di non essere perseguito. Che l’esilio o la prigione non fossero la necessaria risorsa della legittimità per il nuovo. Il nuovo caposquadra doveva promettere (e provare) che non avrebbe criminalizzato il caposquadra precedente.

Ma non crediate che il nuovo governo sia come qualunque altro caposquadra, con lui arriva il “nuovo” pensiero unico.

Si sta sviluppando una specie di nuova religione. Come se già non bastasse la religione del mercato presente in tutti i luoghi in cui i governi di destra si fanno strada al potere, ma è come una specie di nuova morale che si imporne con l’argomento quantitativo e che attacca l’ambito scientifico, l’arte e la lotta sociale.

Già le lotte non sono per una rivendicazione, ma ci sono lotte buone e lotte cattive. Per dirlo in maniera più comprensibile: ci sono le lotte buone e sono le lotte che servono alla mafia dal potere, l’arte “buona” che serva alla mafia del potere, la scienza “corretta” che serva alla mafia dal potere. Tutto ciò che non si orienti al nuovo pensiero unico che si sta delineando, è parte del nemico. E la fede, o la nuova fede che si sta sviluppando, necessita di un individuo eccezionale, da una parte, ed una massa che lo segua.

Questo è successo in altre parti della storia mondiale ed ora succede anche qua. Per questo, alle critiche e segnalazioni che facciate voi, o che facciamo noi, non si risponde con argomenti ma si dice, per esempio, che siamo volgari o che siamo invidiosi.

Non dubitiamo che ci sia gente che onestamente abbia pensato che il cambiamento promesso, oltre che a buon mercato (bisognava solo tracciare una croce su una scheda), puntasse ad un cambiamento reale o “vero”. Deve far arrabbiare, là in alto, che si ripresentino i nomi dei criminali di prima, anche se hanno cambiato colore.

Ma la vocazione di destra della nuova squadra di governo è innegabile. E la sua cerchia “intellettuale” e sociale rivendica senza imbarazzo la sua tendenza autoritaria. Si sta seguendo alla lettera il copione che abbiamo denunciato 13 anni fa, nel 2005. Chi è stato vile nella sconfitta, è vile nella vittoria. Dire che il prossimo governo è di sinistra o progressista, è una calunnia. Usiamo allora la similitudine dell’uovo del serpente. In un film che si intitola così, di Ingmar Bergman, c’è un dottore (interpretato dall’attore di Kung Fu, David Carradine) che spiega che quello che sta succedendo in Germania in quell’epoca – che poi diventerà fascista – è come l’uovo di un serpente che, se lo guardi in controluce si vede quello che c’è dentro, e allora si vedeva quello che sta succedendo adesso.

Voi sapete che dal 1° luglio tutto il lavoro del Partito Movimento di Rigenerazione Nazionale, di López Obrador e della sua squadra è per ingraziarsi la classe dominante ed il grande capitale. Non c’è nessun indizio (nessuno si può appellare ad un inganno), nessun indizio che dica che è un governo progressista, nessuno. I suoi principali progetti distruggono i territori dei popoli originari: il milione di ettari nella Lacandona, il Treno Maya, o il corridoio dell’Istmo che vogliono fare, tra gli altri. La sua franca empatia col governo di Donald Trump è già una confessione pubblica. La sua “luna di miele” con gli industriali ed i grandi capitali è rappresentata nei principali dicasteri del suo gabinetto e nei suoi piani per la “IV trasformazione”.

Crediamo che sia evidente che il beneplacito del Potere, del Denaro al “trionfo” di López Obrador, andasse oltre il riconoscimento. Tra il grande capitale c’è un vero entusiasmo per le opportunità di conquista che si presentano col programma di governo lopezobradorista.

Abbiamo alcuni dati concreti e molti pettegolezzi (che non si possono provare) su quanto è successo nel passato processo elettorale. Non li rendiamo noti perché da questi si potrebbe dedurre che ci sia stata una frode, e non è assolutamente nostra intenzione amareggiare l’euforia che invade i “30 milioni”.

Ma quello che nessuno vuole segnalare è che c’è stata una specie di “risveglio mediatico”, come è accaduto nelle precedenti elezioni: quelle di Calderón e di Peña Nieto. Cioè, non sono state “le istituzioni” a dire chi aveva vinto, ma i media. Mentre iniziava il Programma dei Risultati Preliminari Elettorali (PREP), Televisa e TvAzteca dicevano già il nome del vincitore; pochi minuti dopo, con meno dell’1% dei voti scrutinati, arrivava l’avallo di Meade, di Anaya e della Calderona. Passate alcune ore, il “camerata” Trump si congratulava ed all’alba del giorno 2, l’ormai nominabile Carlos Salinas de Gortari si univa alle congratulazioni. Senza conoscere i risultati ufficiali, inizia il baciamano che il PRI ha trasformato in patrimonio nazionale. E l’INE? Compie la funzione per la quale è stato creato: essere il Patiño della “democrazia elettorale”. Le “istituzioni” responsabili del processo si sono limitate a rincorrere la valanga mediatica.

L’intellighenzia progressista, che nel caso non fosse stato il suo leader avrebbe denunciato quanto accaduto come un “colpo di Stato mediatico”, ora sottoscrive senza imbarazzo alcuno il “sia come sia”: “abbiamo vinto, non importa come”. Il fatto è che tutto sembra indicare che il risultato è stato negoziato e concordato fuori dalle urne e dal calendario elettorale. Ma non importa, il grande elettore ha decretato: “Habemus Capataz, avanti con gli affari”.

Questo nuovo pensiero unico supplisce l’argomento della ragione con l’argomento quantitativo: “30 milioni non possono sbagliarsi”, come ha detto il padre non mi ricordo come si chiama, Solalinde? sì quello (scusate, è che non lo pronuncio mai bene ed il SubMoy mi corregge sempre) e che si sta dicendo in ogni momento: “perché vi opponete a 30 milioni? Voi siete solo 300 persone e per giunta sporche, brutte, cattive e volgari“. Bene, parlano di voi (le reti), io sono solo volgare.

Con questa nuova forma di fede (rispetto ad essa, noi insistiamo che manca il voto valido, che è il voto della realtà) si comincia ad imporre nell’immaginario collettivo la ragione della quantità sull’analisi e la ragione argomentata.

E si comincia a riscrivere la storia per trasformarla nella nuova Storia ufficiale, secondo la quale tutti i movimenti sociali e politici del passato in realtà miravano a portare alla presidenza López Obrador. Abbiamo letto che il movimento del ’68 non è stato altro che l’antecedente della “fine dei tempi”, 50 anni dopo. Abbiamo letto che si purificano Manuel Bartlett e criminali simili perché stanno dalla parte del vincitore. Abbiamo letto che Alfonso Romo è un industriale “onesto” il cui solo interesse è il bene del prossimo.

Abbiamo letto che chi ieri era del PRI, del PAN, del PRD, del Verde Ecologista, o bazzicava nel mondo dello spettacolo, ora è illustre leader della IV trasformazione. Ed abbiamo anche letto che la sollevazione zapatista del 1994 fu il preludio della sollevazione “civica” del 2018! Ed il leader ha già chiesto di svolgere elaborazioni teoriche sulla sua ascesa al Potere. Non manca molto perché gli storiografi allineati modifichino i libri di testo di storia.

Notiamo lo scatenarsi di una valanga, uno tsunami, di analisi frivole e volgari, di nuove religioni laiche, di profeti minori – molto minori – perché hanno la piattaforma per farlo. Ci saranno molti rospi per chi li vorrà inghiottire. E, dato che parliamo di neo religione, l’apparato burocratico si democratizzerà affinché tutti se la bevano.

Appariranno i nuovi “boy scout”, i piccoli esploratori pronti a fare il bene, anche se ben attenti a chi farlo.

I “rappresentanti dei cittadini” a promuovere la cittadinizzazione: quello che vogliono gli “autoctoni” (mi sembra ci chiamino così) è essere come chi li depreda. Essere “uguali”, sia pure nella fugace temporalità dell’urna, e “liberi” nel momento di firmare la concessione per la miniera-hotel-ferrovia, il contratto di “lavoro”, i pagamenti a rate, il “fermo sostegno al nostro presidente”, la richiesta di “aiuti governativi”.

Ci sarà un’auge prevedibile di agenzie governative ma, invece di risorse, forniranno interlocuzione. E questo vale più dei soldi. Perché il modello degli “sportelli” si decentralizzerà. Non si dovrà più andare in un edificio, informarsi e capire, dopo una lunga coda, che manca la copia rosa. Ora lo sportello verrà da te: “chieda, noi facciamo; come ricevuta riceverà una promessa”.

Se c’è chi non ha niente, è probabile che riceverà la speranza. I nuovi truffatori si incaricheranno di amministrare questa speranza, di dosare la sua portata e di trasformarla nella chimera che consola ma non risolve.

Si riciclerà l’argomento utilizzato in un certo settore della lotta sociale secondo cui non è possibile cambiare il sistema, ma quello che bisogna fare è amministrare o limare gli spigoli affinché non feriscano troppo, cioè, che possiamo trasformarli in buoni capisquadra, perfino arrivare a creare un capitalismo buono e che è possibile cambiare il sistema da dentro.

Si indovina ormai la figura attraverso il guscio: si chiede la resa della ragione e del pensiero critico; l’esaltazione del nazionalismo con base nell’autoritarismo “buono”; la persecuzione del diverso; la legittimità ottenuta con le grida; la neo religione laica; l’unanimità imposta; la resa della critica ed il nuovo lemma nazionale: “Proibito Pensare”. Insomma: l’egemonia e l’omogeneità che sostengono i fascismi che negano di riconoscersi come tali.

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Sono concetti che permettono di capire (ed agire), quelli che vengono presentati? Termini come “cittadinanza”, “gioventù”, “donne”, “progresso”, “sviluppo”, “modernità”, “democrazia elettorale” sono sinonimi di democrazia?

Il termine “cittadino” non vale come concetto per capire quello che succede: “Cittadino” è Carlos Slim come lo è il contadino depredato dal nuovo aeroporto di Città del Messico. Lo è Ricardo Salinas Pliego e chi vive per strada dopo il terremoto del settembre 2017. Lo è Alfonso Romo ed i membri della comunità tzeltal che saranno spogliati delle loro terre affinché passi un treno su cui i turisti si facciano i “selfie”.

Un altro: “gioventù”. “Giovani” sono le figlie di Peña Nieto e le lavoratrici e le studentesse assassinate.

Un altro: “donne”. “Donne” sono la Aramburuzavala, la Gonda, la Sánchez Cordero, la González Blanco Ortiz Mena, la Merkel e la May e lo sono le assassinate di Ciudad Juárez, le violentate in ogni angolo del mondo, le picchiate, sfruttate, perseguite, incarcerate, desaparecidas.

Tutti i concetti che eliminino la divisione o che non aiutino a capire la divisione di classe tra dominatori e dominati sono un inganno e permettono che convivano, in uno, gli uni e gli altri. Questa trasversalità – come la chiamano – tra il capitale ed il lavoro, non serve a niente, non spiega niente e porta alla convivenza perversa tra sfruttatore e sfruttato e, per un attimo, sembra che siano la stessa cosa benché non lo sia.

C’è inoltre questo tentativo da tornare al sistema di prima, il salto impossibile all’indietro allo “Stato Assistenziale”, allo “Stato Benefattore” di Keynes, al vecchio PRI (per questo qualcuno scherzava dicendo che la prima trasformazione è stata PNR; quindi la seconda in PRM; la terza in PRI, ed ora la quarta trasformazione è PRIMOR).

E si arriva alla vecchia discussione tra riforma e rivoluzione. I “dibattiti” tra i “radicali” che lottavano per la rivoluzione e gli “snob” che erano per un cambiamento graduale, per le riforme graduali fino ad arrivare al regno della felicità. Queste discussioni avvenivano nei caffè. Le agorà di adesso sono le reti sociali e si può seguire questo esercizio di autoerotismo tra gli “influencers” (o come si chiamino).

Noi pensiamo che non è neppure necessario discuterne, perché la riforma non è più possibile; quello che il capitalismo ha distrutto non è più recuperabile, non può esserci un capitalismo buono (pensiamo che non sia mai esistita questa possibilità), dobbiamo distruggerlo totalmente.

E parafrasando quanto detto dalle zapatiste nell’Incontro delle Donne che Lottano: non basta dare fuoco al sistema: bisogna accertarsi che si consumi totalmente e che ne rimangano solo le ceneri.

Di questo parleremo in un’altra occasione. Per adesso vogliamo solo segnalare che la controrivoluzione sociale è possibile. Non solo è possibile, ma è continuamente all’erta e vigile perché vogliono annichilire ogni lotta esterna a questo processo di addomesticamento in corso, che deve essere annientata, soprattutto con la violenza.

No solo con emarginazione, non solo con calunnie, ma anche con attacchi paramilitari, militari, di polizia.

Per tutto quello che sfidi queste nuove regole – che in realtà sono vecchie – non ci sarà amnistia, né perdono, né assoluzione, né abbracci, né foto; ci sarà la morte e la distruzione.

La lotta contro la corruzione (che non è altro che la lotta per una buona amministrazione del dominio) non solo non include la lotta per la libertà e la giustizia, ma le si contrappone, perché con l’alibi della lotta contro la corruzione si lotta per un apparato di Stato più efficiente nella quasi unica funzione che detiene lo Stato Nazionale: la repressione.

Il governo smetterà di essere il caposquadra ladro che si tiene qualche vitella e qualche torello che non consegna al finquero. Il nuovo caposquadra non ruberà, consegnerà al padrone l’intero profitto.

Si vogliono restituire allo Stato Nazionale, in questo caso il Messico, le sue funzioni reali. Cioè, quando si dice che c’è bisogno di sicurezza, è la sicurezza del capitale; è l’introduzione ed il perfezionamento di un nuovo stato di polizia: “farò bene le cose perché vigilerò su tutto“. La sicurezza reclamata per la “cittadinanza” è nei fatti il reimpianto di un sistema di polizia, un muro modernizzato e professionalizzato che sappia distinguere tra “i buoni” e “i cattivi”.

Si professionalizzerà la polizia della città del Capitale. Lì si diminuirà il tasso di criminalità e ci saranno poliziotti “bell@” che aiuteranno le/gli anzian@ ad attraversare la strada, cercheranno gli animali domestici smarriti e controlleranno che il traffico sia ordinato per chi importa: le automobili.

Fuori, in periferia, proseguirà il contubernio tra chi deve prevenire e perseguire il crimine e chi lo commette. Ma, in compenso, si fomenterà il turismo estremo: nella città del Capitale si organizzeranno “tour” e “safari” per conoscere quelle strane creature che vivono nell’ombra; i turisti potranno farsi un “selfie” col giovane fermato-picchiato-assassinato, col suo sangue che si confonde con i colori dei tatuaggi, che uccide il luccichio dei piercing e macchia il verde-viola-azzurro-rosso-arancio dei capelli. Chi era? A chi importa? In un “selfie” tutto quello che non sia “io” è pura scenografia, un aneddoto, un’emozione “forte” per brillare nel feis, su instagram, nelle chat, nelle autobiografie. E, dall’altoparlante del veicolo blindato, la gentile guida turistica avverte: “vi ricordiamo che il consumo di tacos, panini ed altri articoli sono a vostro rischio e pericolo; la società non è responsabile di indigestioni, gastriti ed infezioni intestinali. Per chi è sceso, qui abbiamo gel antibatterici”.

Il nuovo governo promette di recuperare il monopolio dell’uso della forza (che gli è stato sottratto dal “crimine organizzato”). Ma non più solo con poliziotti ed eserciti tradizionali. Anche con i “nuovi” vigilanti: le nuove “camicie brune” o ciliegia [il colore del movimento di Lopez Obrador – N.d.T.] nei quali si convertiranno gli affiliati alla nuova religione laica; la massa che sta attaccando i movimenti sociali che non si addomestichino. I riciclati “battaglioni rossi” (ora “ciliegia”, per l’IV trasformazione) che dovranno completare la “pulizia” degli sporch@, brutt@, cattivi@ e volgari, e tutto quello che resista all’ordine, al progresso e allo sviluppo.

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Dunque, continuiamo a scendere, a vedere come stanno resistendo (insieme ad altre organizzazioni, gruppi e collettivi) le nostre comunità – adesso qui con noi c’è parte della direzione collettiva dell’EZLN, 90 comandanti; sono di più ma sono quelli che ci hanno accompagnato questa volta per onorare la vostra visita (le reti) -.

Noi continuiamo a camminare su due piedi: la ribellione e la resistenza, il no ed il sì; il no al sistema ed il sì alla nostra autonomia, che vuol dire che dobbiamo costruire la nostra strada verso la vita. La nostra ha base in alcune delle radici delle comunità originarie (o indigene): il collettivo, l’appoggio mutuo e solidale, l’attaccamento alla terra, la preservazione e cura delle arti e delle scienze e la vigilanza costante contro l’accumulazione di ricchezza. Questo, e le scienze e le arti, sono la nostra guida. È il nostro “modo”, ma pensiamo che in altre storie ed identità sia differente. Per questo noi diciamo che lo zapatismo non si può esportare, neanche nel territorio del Chiapas, ma ogni calendario e geografia deve seguire la propria logica.

I risultati del nostro camminare sono sotto gli occhi di chi voglia guardare, analizzare e criticare. Anche se, certo, la nostra ribellione è tanto, ma tanto piccola che ci vorrebbe un microscopio o, meglio ancora, un periscopio invertito per scoprirla.

E non è neppure un esercizio molto incoraggiante: le nostre possibilità sono minime.

Non arriviamo nemmeno lontanamente a 30 milioni.

Forse siamo solo in 300.

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(Continua…)

Traduzione “Maribel” – Bergamo

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300. Prima parte: UNA FINCA, UN MONDO, UNA GUERRA, POCHE PROBABILITÀ.

Subcomandante Insurgente Moisés, SupGaleano #EZLN

 

Intervento della Commissione Sexta dell’EZLN all’Incontro delle Reti di Appoggio al CIG ed alla sua Portavoce.

(Versione ampliata)

Per ragioni di tempo l’intervento zapatista non era stato completo. Avevamo promesso che avremmo inviato le parti mancanti: qui di seguito la versione originale che include parti della trascrizione più quanto non detto. Di nulla. Prego.

300.

Prima parte:

UNA FINCA, UN MONDO, UNA GUERRA, POCHE PROBABILITÀ.

Agosto 2018.

Subcomandante Insurgente Galeano:

Buongiorno, grazie di essere venuti ed aver accettato il nostro invito e di condividere la vostra parola.

Iniziamo spiegando quale è il nostro modo di fare analisi e valutazioni.

Noi incominciamo con l’analizzare che cosa succede nel mondo, poi scendiamo a vedere che cosa succede nel continente, poi che cosa succede nel paese, poi nella regione e poi localmente. E da qui tiriamo fuori un’iniziativa e cominciamo a farla uscire dal contesto locale a quello regionale, poi nazionale, poi continentale e poi nel mondo intero.

Secondo il nostro pensiero, il sistema dominante a livello mondiale è il capitalismo. Per spiegarcelo e per spiegarlo agli altri, usiamo l’immagine di una finca, una tenuta.

Chiedo al Subcomandante Insurgente Moisés di parlarcene.

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Subcomandante Insurgente Moisés:

Dunque compagni, compagne, abbiamo intervistato compagni e compagne bisnonni e bisnonne che nella loro vita hanno vissuto nelle fincas – alcuni di loro sono ancora vivi e vive – Quello che ci hanno raccontato ci ha fatto pensare – diciamo ora – che i ricchi, i capitalisti, vogliono trasformare il mondo in una loro proprietà, una loro finca.

C’è il fattore, il proprietario terriero, il padrone di migliaia di ettari di terra che può anche non esserci perché il padrone ha il suo caposquadra che si prende cura della finca, ed il caposquadra cerca il suo maggiordomo che è quello che va a controllare che si lavori la sua terra; e questo caposquadra, su ordine del padrone, deve cercare un caporale che si occupa di controllare tutto intorno alla tenuta, alla sua casa. Ci hanno raccontato delle diverse cose che si fanno in una finca: c’è la finca dove si alleva il bestiame, c’è la finca dove si coltiva il caffè, c’è la finca della canna da zucchero, dove si fa il panetto di zucchero, e di milpa e di fagioli. Allora combinano il tutto; cioè in una proprietà di 10 mila ettari si fa tutto, c’è l’allevamento, la lavorazione della canna, la coltivazione di fagioli, la milpa. Allora per tutta la sua vita la gente circola lì, lavora lì – come servi, la gente che soffre lì -.

Il caposquadra arrotonda poi la sua paga rubando al padrone quello che produce la finca. Cioè, oltre a quello che gli dà il padrone, il finquero, il caposquadra ha il suo guadagno nel rubare. Per esempio, se nascono 10 vitelle e 4 torelli, il caposquadra non lo riferisce esattamente, ma dice al padrone che sono nate solo 5 vitelle e 2 torelli. Se il padrone poi si accorge dell’inganno caccia via il caposquadra e ne mette un altro. Ma il caposquadra ruba sempre qualcosa, e questa si chiama corruzione.

Ci raccontano che quando il padrone non c’è ed anche il caposquadra vuole uscire dalla finca, allora cerca qualcuno di lì, qualcuno stronzo come lui al quale lasciare l’incarico, andarsene e poi tornare a riprendere il suo ruolo di caposquadra.

Dunque, vediamo che il padrone non c’è, è da un’altra parte, ed il caposquadra è il Peña Nieto della situazione. Quindi noi diciamo che il maggiordomo sono i governatori, ed i caporali i presidenti municipali. Tutto è strutturato secondo una scala di potere.

Vediamo anche che caposquadra, maggiordomo e caporale sono quelli che pretendono dalla gente. E lì nella finca, ci raccontano i bisnonni, c’è un negozio che chiamano negozio a credito, vuol dire che nel negozio ci si indebita; quindi gli sfruttati e le sfruttate che vivono lì, servi o serve, comprano nel negozio il sale, il sapone, quello di cui necessitano, cioè, non hanno denaro; lì il padrone ha il suo negozio e lì si indebitano per comprare sale, sapone, machete, la zappa, e non pagano con denaro bensì con la loro forza lavoro.

I bisnonni ci raccontano, donne e uomini, che il padrone dava loro poco da mangiare, giusto il necessario per arrivare al giorno dopo e lavorare per lui, e così per tutta la loro vita.

E confermiamo quello che raccontano i nostri bisnonni perché quando siamo usciti nel ’94, quando abbiamo occupato le fincas per cacciare quegli sfruttatori, abbiamo incontrato capisquadra e acasillados che, abituati ai loro negozi a credito, ci dicevano che non sapevano cosa fare e dove andare a procurarsi il sale, il sapone, perché non c’era più il loro padrone. Ci domandavano chi sarebbe stato il nuovo padrone, perché non sapevano davvero cosa fare.

Allora noi dicemmo loro: adesso siete liberi, lavorate la terra, è vostra, come quando c’era il padrone a sfruttarvi ma ora lo fate per voi, per la vostra famiglia. Ma loro non capivano, dicevano no, che la terra era del padrone.

E lì abbiamo capito che c’è gente ormai assuefatta alla schiavitù. E se hanno la libertà, non sanno che farne perché sanno solo ubbidire.

E questo succedeva 100 anni fa, più di 100 anni, come ci hanno raccontato i nostri bisnonni – uno di loro ha più o meno 125, 126 anni adesso, e l’abbiamo intervistato più di un anno fa -.

E vediamo che ancora continua così. Oggi pensiamo che il capitalismo è così. Vuole trasformare il mondo in una finca. Cioè, gli impresari transnazionali: “Vado nella mia finca La Mexicana”, secondo come gli pare; “vado nella mia finca La Guatemalteca, L’Onduregna”, e così via.

Ed il capitalismo cominciava ad organizzarsi secondo i suoi interessi, come ci raccontano i nostri bisnonni in una finca ci può essere di tutto, caffè, bestiame, mais, fagioli, mentre in un’altra solo canna da zucchero o altro. Ogni finquero si organizzava.

Non ci sono padroni buoni, sono tutti cattivi.

Benché i nostri bisnonni ci raccontano che ce n’era qualcuno buono – dicono – ma analizzando bene, erano buoni perché semplicemente non c’era tanto maltrattamento fisico, per questo i nostri bisnonni dicono che ce n’era qualcuno buono, ma non si salvavano dallo sfruttamento. In altre fincas c’erano invece molti maltrattamenti.

Dunque pensiamo che tutto quello che hanno passato loro succederà a noi, ma ora non più solo nelle campagne, ma nelle città. Perché non è lo stesso capitalismo di 100, 200 anni fa, i suoi modi di sfruttamento sono diversi e non sfrutta più solo nelle campagne, ma anche nelle città. Il suo sfruttamento cambia modalità, ma è ugualmente sfruttamento. È la stessa gabbia di reclusione, ma ogni tanto la ridipingono, come nuova, ma è la stessa.

Ma c’è comunque gente che non vuole la libertà, ma si è già abituata ad ubbidire e vuole solo un cambio di padrone, di caposquadra, che non sia così stronzo, che la sfrutti ma che la tratti bene.

Ma noi non lo perdiamo di vista, è solo iniziato, già.

Quello che ci cattura l’attenzione è se ci sono altri, altre, che vedono, pensano: faranno così con noi?

E che cosa faranno queste sorelle e fratelli? Si accontenteranno di un cambio di caposquadra o di padrone, o vogliono la libertà?

Questo è quello che mi tocca spiegarvi ed è quello che pensiamo e vediamo con i compagni, e le compagne, come Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

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Subcomandante Insurgente Galeano:

Quella che noi vediamo a livello mondiale è un’economia predatrice. Il sistema capitalista sta avanzando in modo da conquistare territori distruggendo più che può. Contemporaneamente c’è un’esaltazione del consumo. Sembra che il capitalismo non sembri più preoccupato per chi produce le cose, per questo ci sono le macchine, ma non ci sono macchine che consumano merci.

In realtà, questa esaltazione del consumo nasconde uno sfruttamento brutale e la depredazione sanguinaria dell’umanità che non appaiono nell’immediatezza della produzione moderna di merci.

La macchina che, automatizzata all’estremo e senza la partecipazione umana, fabbrica computer o cellulari non si regge sull’avanzamento scientifico e tecnologico, ma sul saccheggio delle risorse naturali (la necessaria distruzione/spopolamento e ricostruzione/riordinamento di territori) e sulla disumana schiavitù di migliaia di infime, piccole e medie cellule di sfruttamento della forza lavoro umana.

Il mercato (questo gigantesco magazzino di merci) contribuisce al miraggio del consumo: le merci appaiono al consumatore come “aliene” al lavoro umano (cioè, al suo sfruttamento) ed una delle conseguenze “pratiche” è dare al consumatore (sempre individualizzato) l’opzione di “ribellarsi” scegliendo un mercato o un altro, un consumo o un altro, o rifiutando un consumo specifico. Non si vuole consumare cibo spazzatura? Non c’è problema, sono in vendita anche prodotti alimentari biologici ed ad un prezzo più elevato. Non consuma note bibite di cola perché sono dannose per la salute? Nessun problema, l’acqua imbottigliata è commercializzata dalla stessa azienda. Non vuole consumare nelle grandi catene di supermercati? Non c’è problema, la stessa azienda fornisce la boutique dietro l’angolo. E così via.

Dunque sta organizzando la società mondiale dando, apparentemente, priorità al consumo, tra altre cose. Il sistema funziona con questa contraddizione (tra le altre): vuole disfarsi della forza lavoro perché il suo “uso” presenta diversi problemi (per esempio: tende ad organizzarsi, protestare, fare presidi, scioperi, sabotaggi della produzione, allearsi con altr@); ma contemporaneamente ha bisogno del consumo di merci da parte di questa merce “speciale”.

Per quanto il sistema miri ad “automatizzarsi”, lo sfruttamento della forza lavoro gli è fondamentale. Non importa quanto consumo mandi alla periferia del processo produttivo, o quanto estenda la catena di produzione in modo che sembri (“simulare”) che il fattore umano sia assente: senza la merce essenziale (la forza lavoro) il capitalismo è impossibile. Un mondo capitalista senza lo sfruttamento, dove prevale solo il consumo, è buono per la fantascienza, le elucubrazioni sui social network ed i languidi sogni degli ammiratori dei suicidi della sinistra aristocratica.

Non è l’esistenza del lavoro che definisce il capitalismo, bensì la caratterizzazione della capacità di lavoro come una merce che si vende e si compra sul mercato del lavoro. Questo vuol dire che c’è chi vende e c’è chi compra; e, soprattutto, che c’è chi ha solo l’opzione di vendersi.

La possibilità di comprare la forza lavoro è data dalla proprietà privata dei mezzi di produzione, di circolazione e consumo. Nella proprietà privata di questi mezzi sta il nucleo vitale del sistema. Su questa divisione di classe (proprietaria e diseredata) e per occultarla, si costruiscono tutte le simulazioni giuridiche e mediatiche, così come le evidenze dominanti: la cittadinanza e l’uguaglianza giuridica; il sistema penale e di polizia, la democrazia elettorale e l’intrattenimento (sempre di più difficili da distinguere); le nuove religioni e le presunte neutralità delle tecnologie, le scienze sociali e le arti; il libero accesso al mercato e al consumo; e le sciocchezze (più o meno elaborate) del “cambiamento sta in se stessi”, “ognuno è artefice del proprio destino”, “far buon viso a cattivo gioco”, “non dare un pesce all’affamato, ma insegnagli a pescare” (“e vendigli la canna da pesca”) e, ora di moda, i tentativi di “umanizzare” il capitalismo, renderlo buono, razionale, disinteressato, light.

Ma la macchina esige profitti ed è insaziabile. Non c’è limite alla sua ingordigia. E la smania di profitto non ha etica né razionalità. Se deve uccidere, uccide. Se deve distruggere, distrugge. Anche se fosse il mondo intero.

Il sistema avanza nella sua riconquista del mondo. Non importa quello che si distrugga, rimanga o avanzi: è eliminabile finché si ottiene il massimo profitto ed il più rapidamente possibile. La macchina sta tornando ai metodi che gli diedero origine – per questo vi raccomandiamo di leggere l’Accumulazione Originaria del Capitale – che è mediante la violenza e attraverso la guerra che si conquistano nuovi territori.

Ma il capitalismo, con il neoliberismo, ha lasciato in sospeso una parte della conquista del mondo ed ora deve completarlo. Nel suo sviluppo, il sistema “scopre” che sono apparse nuove merci e queste nuove merci si trovano nel territorio dei popoli originari: l’acqua, la terra, l’aria, la biodiversità; tutto ciò che ancora non è addomesticato si trova nei territori dei popoli originari e ci si buttano sopra. Quando il sistema cerca (e conquista) nuovi mercati, non sono solo mercati di consumo, di compra-vendita di merci; anche, e soprattutto, cerca e tenta di conquistare territori e popolazioni per tirarne fuori tutto il possibile, non importa che, alla fine, lasci dietro di se una landa desolata come eredità e traccia del suo passaggio.

Quando una società mineraria invade un territorio degli originari con la scusa di offrire “posti di lavoro” alla “popolazione autoctona” (mi sembra che ci chiamino così), non solo sta offrendo a questa gente i soldi per comprare un nuovo cellulare di gamma più alta, ma sta anche scartando una parte di questa popolazione e sta annichilendo (nel vero senso della parola) il territorio sul quale opera. Lo “sviluppo” ed il “progresso” che offre il sistema, in realtà nasconde che si tratta del proprio sviluppo e progresso e, cosa più importante, nasconde che questo sviluppo e progresso si ottengono a costo della morte e la distruzione di popolazioni e territori.

Su questo si fonda la cosiddetta “civiltà”: quello di cui hanno bisogno i popoli originari è “uscire dalla povertà”, cioè hanno bisogno di soldi. Quindi si offre “lavoro”, ovvero, imprese che “contrattino” (sfruttino) gli “aborigeni” (così ci chiamano).

“Civilizzare” una comunità originaria è trasformare la sua popolazione in forza lavoro salariata, cioè, con capacità di consumo. Per questo tutti i programmi dello Stato prevedono “l’incorporazione della popolazione emarginata alla civiltà”. E, di conseguenza, i popoli originari non chiedono rispetto per i loro tempi e modi di vita, ma “aiuti” per “collocare i loro prodotti sul mercato” e “per avere un lavoro”. In sintesi: l’ottimizzazione della povertà.

E per “popoli originari” ci riferiamo non solo ai cosiddetti “indigeni”, ma a tutti i popoli che originalmente si prendevano cura dei territori che oggi sono sotto le guerre di conquista, come il popolo curdo, e che sono sottomessi con la forza nei cosiddetti Stati Nazionali.

La cosiddetta “forma Nazione” dello Stato nasce con l’ascesa del capitalismo come sistema dominante. Il capitale aveva bisogno di protezione e aiuti per la sua crescita. Lo Stato assume così la sua funzione essenziale (la repressione), quella di essere garante di questo sviluppo. Certo, allora si disse che era per normare la barbarie, “razionalizzare” le relazioni sociali e “governare” per tutti; “mediare” tra dominatori e dominati.

La “libertà” era la libertà di comprare e vendere (vendersi) sul mercato; la “uguaglianza” era per rendere coeso il dominio omogeneizzando; e la “fraternità”, bene, tutt@ siamo fratelli, il padrone e il lavoratore, il finquero e i peones, la vittima e il boia.

Poi si disse che lo Stato Nazionale doveva “regolamentare” il sistema, metterlo in salvo dai propri eccessi e renderlo “più equo”. Le crisi era il risultato di difetti della macchina e lo Stato (ed il governo in questione) era il meccanico efficiente sempre allerta per sistemare questi difetti. Chiaramente alla lunga è risultato che lo Stato (ed il governo in questione) era parte del problema, non la soluzione.

Ma gli elementi fondamentali di questo Stato Nazione (polizia, esercito, lingua, moneta, sistema giuridico, territorio, governo, popolazione, frontiera, mercato interno, identità culturale, ecc.) oggi sono in crisi: i poliziotti non prevengono i reati, li commettono; gli eserciti non difendono la popolazione, la reprimono; le “lingue nazionali” sono invase e modificate (cioè, conquistate) dalla lingua dominante nello scambio; le monete nazionali si valutano secondo le monete che egemonizzano il mercato mondiale; i sistemi giuridici nazionali si mettono in subordine alle leggi internazionali; i territori si espandono e contraggono (e frammentano) conformemente alla nuova guerra mondiale; i governi nazionali subordinano le decisioni fondamentali ai dettami del capitale finanziario; le frontiere variano di porosità (aperte per il traffico di capitali e merci, chiuse per le persone); le popolazioni nazionali si “mischiano” con quelle provenienti da altri Stati; e così via.

Mentre “scopre” nuovi “continenti” (cioè: nuovi mercati per estrarre merci e per il consumo), il capitalismo affronta una crisi complessa (per composizione, estensione e profondità) che esso stesso ha prodotto con la sua smania predatrice.

È una combinazione di crisi:

Una è la crisi ambientale che sta affliggendo tutte le parti del mondo e che è anche il prodotto dello sviluppo del capitalismo: l’industrializzazione, il consumo ed il saccheggio della natura hanno un impatto ambientale che altera quello che si conosce come “pianeta Terra”. Il meteorite “capitalismo” è già caduto ed ha modificato radicalmente la superficie e le viscere del terzo pianeta del sistema solare.

L’altra, è l’immigrazione. Si stanno pauperizzando e distruggendo interi territori ed obbligando la gente ad emigrare in cerca di una vita. La guerra di conquista che è l’essenza stessa del sistema non occupa più territori e la loro popolazione, ma relega quella popolazione al rango di “avanzi”, “rovine”, “macerie”, per cui quelle popolazioni o periscono o emigrano verso la “civiltà” che, non bisogna dimenticarlo, si regge sulla distruzione di “altre” civiltà. Se queste persone non producono né consumano, sono d’avanzo. Il cosiddetto “fenomeno migratorio” è prodotto e alimentato dal sistema.

Un’altra – su cui concordiamo con vari analisti in tutto il mondo – è l’esaurimento delle risorse che fanno funzionare “la macchina”: le risorse energetiche. I “picchi” finali di riserve di petrolio e carbone, per esempio, sono ormai molto vicini. Queste risorse energetiche si esauriscono e sono molto limitate, per la loro riproduzione ci vorrebbero milioni di anni. Il prevedibile ed imminente esaurimento fa sì che i territori con le riserve – benché limitate – di risorse energetiche siano strategici. Lo sviluppo di fonti di energia “alternative” procede troppo lentamente per la semplice ragione che non è redditizio, cioè, non ripaga subito l’investimento.

Questi tre elementi di questa complessa crisi mettono in dubbio l’esistenza stessa del pianeta.

La crisi terminale del capitalismo? Nemmeno per sogno. Il sistema si è dimostrato capace di superare le proprie contraddizioni e, perfino, di funzionare con queste ed in esse.

Dunque, di fronte a queste crisi che lo stesso capitalismo provoca, che provoca migrazione, provoca catastrofi naturali; che si avvicina al limite delle sue risorse energetiche fondamentali (in questo caso il petrolio e il carbone), pare che il sistema si stia ripiegando verso l’interno, come un’antiglobalizzazione, per poter difendersi da sé stesso e sta usando la destra politica come garante di questo ripiegamento.

Questa apparente contrazione del sistema è come una molla che si ritrae per poi espandersi. In realtà, il sistema si sta preparando alla guerra. Un’altra guerra. Una guerra totale: da tutte le parti, tutto il tempo e con tutti i mezzi.

Si stanno costruendo muri legali, muri culturali e muri materiali per tentare di difendersi dalla migrazione che loro stessi hanno provocato; e si sta tentando di tornare a mappare il mondo, le sue risorse e le sue catastrofi, per gestire le prime affinché il capitale mantenga il suo funzionamento, e le seconde per fare sì che non colpiscano troppo pesantemente i centri di Potere.

Secondo noi, questi muri continueranno a proliferare fino a che si costruirà una specie di arcipelago “di sopra” dove, dentro “isole” protette ci siano i padroni, diciamo, quelli che posseggono la ricchezza; e fuori da quegli arcipelaghi rimangano tutti gli altri. Un arcipelago con isole per i padroni e con isole differenziate – come le fincas – con lavori specifici. E, molto a parte, le isole perse, quelle delle/degli eliminabili. Ed in mare aperto, milioni di chiatte che deambulano da un’isola all’altra cercando un luogo per attraccare.

Fantascienza di manifattura zapatista? Googlate “Nave Aquarius” e guardate la distanza che corre tra quello che descriviamo e la realtà. Alla nave Aquarius diverse nazioni d’Europa hanno negato l’attracco in porto. La ragione? Il carico letale che trasporta: centinaia di migranti provenienti da paesi “liberati” dall’Occidente con guerre di occupazione e da paesi governati da tiranni col beneplacito dell’Occidente.

“Occidente”, il simbolo della civiltà per auto definizione, va, distrugge, spopola e si ripiega e chiude, mentre il grande capitale prosegue nei suoi affari: ha prodotto e venduto le armi di distruzione, produce anche e vende le macchine per la ricostruzione.

E chi appoggia questo ripiegamento è la destra politica in varie parti. Cioè, i capisquadra “efficienti”, quelli che controllano la marmaglia ed assicurano il profitto al finquero… anche se più di uno, una, unoa, ruba parte delle vitelle e torelli. Inoltre, “maltrattano” troppo la loro rispettiva popolazione acasillada.

Tutti quelli che avanzano, o consumano o bisogna annichilirli, bisogna farli da parti, sono – diciamo noi – le/gli eliminabili. In questa guerra non contano neanche come “vittime collaterali”.

Non è che qualcosa sta cambiando, è già cambiato.

Ed ora usiamo i simili ai popoli originari perché per molto tempo, nella tappa precedente lo sviluppo del capitalismo, i popoli originari erano rimasti dimenticati. Prima noi abbiamo usato l’esempio dei neonati indigeni che erano i non-nati perché nascevano e morivano senza che nessuno ne tenesse il conto, e quei non-nati vivevano in queste zone, per esempio, in queste montagne che prima non interessavano a loro. Le terre buone (le “planadas“, le chiamiamo noi) furono occupate dalle fincas, le grandi tenute dei grandi proprietari, e cacciarono gli indigeni sulle montagne, e adesso risulta che quelle montagne hanno delle ricchezze, merci che vuole anche il capitale e quindi non c’è più un posto dove andare per i popoli originari.

O lottano e difendono fino alla morte questi territori, o non c’è altra strada. Perché non ci sarà una nave che li raccolga quando navighino nelle intemperie tra le acque e le terre del mondo.

È in marcia una nuova guerra di conquista dei territori degli originari e la bandiera che sventola l’esercito invasore a volte ha anche i colori della sinistra istituzionale.

Questo cambiamento nella macchina per quanto riguarda le campagne o “zone rurali” che si può vedere perfino ad un’analisi superficiale, si presenta anche nelle città o “zone urbane”. Le grandi città si sono riordinate o si trovano in questo processo, dopo o durante una guerra spietata contro i suoi abitanti marginali. Ogni città ne contiene molte altre, ma una centrale: la città del capitale. I muri che circondano questa città sono formati da leggi, piani di urbanizzazione, poliziotti e gruppi di scontro.

Il mondo intero si frammenta; proliferano i muri; la macchina avanza nella sua nuova guerra di occupazione; centinaia di migliaia di persone scoprono che la nuova casa promessa loro dalla modernità è una chiatta in alto mare, il bordo di una strada, o l’affollamento di un centro di detenzione per “clandestini”; milioni di donne imparano che il mondo è un gigantesco club di caccia dove loro sono la preda da catturare; l’infanzia si alfabetizza come merce sessuale e lavorativa e la natura presenta il conto del lungo debito che, nel suo saldo in rosso, accumula il capitalismo nella sua breve storia come sistema dominante.

Certo, manca quello che dicono le donne che lottano, loas otroas del basso (per le quali ci sono solo disprezzo, persecuzione e morte), chi passa le notti nei quartieri popolari e trascorre il giorno a lavorare nella città del capitale, le/i migranti che ricordano che questo muro non è lì dalla notte dei tempi, i famigliari di desaparecid@s, assassinat@ ed incarcerat@ che non dimenticano né perdonano, le comunità rurali che scoprono di essere state ingannate, le identità che si scoprono differenti e suppliscono alla vergogna con l’orgoglio, e tutte, tutti, todoas le/gli eliminabili che comprendono che il destino non deve essere quello della schiavitù, dell’oblio o della morte mortale.

Perché un’altra crisi che passa inosservata è l’emergenza e la proliferazione di ribellioni, di nuclei umani organizzati che sfidano non solo il Potere ma anche la sua logica perversa e disumana. Diversa nella sua identità, cioè, nella sua storia, questa irruzione appare come un’anomalia del sistema. Questa crisi non conta per le leggi delle probabilità. Le sue possibilità di mantenersi ed approfondirsi sono minime, quasi impossibili. Per questo, dall’alto non la considerano.

Delle ribellioni, per la macchina, non c’è da preoccuparsi. Sono pochi, poche e pocoas, forse arrivano a 300.

-*-

È sicuro che questa visione del mondo, la nostra, sia incompleta e che, con un alto grado di probabilità, sia erronea. Ma così è come vediamo il sistema a livello mondiale. E da questa valutazione segue quello che guardiamo e valutiamo ai livelli continentale, nazionale, regionale e locale.

(Continua…)

 

Traduzione “Maribel” – Bergamo

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/08/20/300-primera-parte-una-finca-un-mundo-una-guerra-pocas-probabilidades-subcomandante-insurgente-moises-supgaleano/

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Qui l’intervento completo delle proposto dell’EZLN https://www.facebook.com/regeneracionradio/videos/224511961740144/

Galeano: I progetti di AMLO distruggeranno i territori indigeni
Il governo ha scelto tra i quattro candidati quello più a destra, ha dichiarato il  subcomandante Galeano dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale (EZLN), considerando che i programmi che il presidente eletto Andrés Manuel López Obrador intende attuare, come la piantumazione di migliaia di ettari di alberi, la costruzione del Treno Maya e il corridoio sull’istmo di Tehuantepec, non faranno altro che distruggere i territori delle popolazioni indigene.
Dopo l’incontro delle Reti di Appoggio del Consiglio Indigeno di Governo (CIG), in cui è stata  proposta la creazione di una Rete di Resistenza e Ribellione Internazionale, il subcomandante insurgente ha affermato, il 5 agosto nel caracol di Morelia, che la quarta trasformazione promessa da López Obrador è in realtà la quarta trasformazione del PRI. I governi possono cambiare, ma se il sistema di dominio viene mantenuto, succederanno le stesse cose, ha criticato.
A questo  proposito, Galeano ha fatto allusione alla società che fornirà gli esemplari per il progetto dei mille ettari di alberi da frutto e legname, il cui proprietario, ha detto, è Alfonso Romo, capo di gabinetto durante il prossimo governo.
Ha anche parlato del muro proposto da Donald Trump, che, dice, non è quello sul confine settentrionale, ma quello a sud, il fiume Suchiate, con la negazione dell’ingresso dei centroamericani in Messico. “Ecco perché Trump ha salutato Juanito Trump per aver vinto le elezioni”, ha detto.
Allo  stesso modo, ha condanato l’oblio subito dai popoli indigeni, sottolineando che erano già stati mandati sulle montagne in passato, quando furono privati delle loro terre; ora si scopre che queste montagne hanno una grande ricchezza e le vogliono per la nazione. Dobbiamo difenderle fino alla morte, perché temo che il governo si difenderà con violenza, sostiene.
Galeano ha esposto la proposta di consolidare una Rete di Resistenza e Ribellione Internazionale. Ritiene che il Consiglio Nazionale Indigeno cesserà di essere un movimento  esclusivo di gruppi nativi, poiché si cercherà di aggiungere qualsiasi gruppo o individuo esterno a questo processo governativo che ha qualificato “di addomesticamento”.
Inoltre, questa Rete si espanderà anche ad altre nazioni, cercando in qualsiasi angolo del mondo coloro che resistono al proprio sistema di governo.
Oltre a questa azione principale, il subcomandante insurgente ha riferito su altre sette, tra cui l’integrazione di uomini dalle campagne e gruppi di combattimento storici nella rete di supporto al CIG; la discussione di ciascuno dei comitati formati ha lo scopo di coordinare gli sforzi tra le reti, così come un incontro internazionale in uno dei cinque caracoles zapatisti a dicembre.
Articolo di Sandra Gayou / La Jornada Maya. Mercoledì 15 agosto 2018, p. 6
Traduzione Rebecca Rovoletto  Foto di Ojo de Alma su Semillitas Zapatista

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La strategia del caracol. 

Hermann Bellinghausen. 

Quindici anni fa l’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale annunciava la creazione dei caracoles e delle Giunte di Buon Governo (JBG).

Oggi, quando il governo entrante enuncia come sua meta il compimento di detti accordi, sarebbe bene che sapesse che si sono già realizzati. Ora serve molto altro, gli Accordi di San Andrés erano solo la prima di quattro tappe di un negoziato interrotto per negoziare la pace coi ribelli e risolvere le istanze storiche dei popoli originari della nazione. Di fronte alle politiche neoliberali che hanno imposto la depredazione e l’estrazione aggressiva nei loro territori, molte comunità indigene hanno smesso di aspettare. Il rischio della politica indigenista di AMLO è che parte già vecchia, sarà clientelare e rivolta alla povertà, prevede un’autonomia solo di un certo tipo e indirizzata verso la creazione di importanti divisioni. Come se non ce ne fossero già abbastanza.

Lento, silenzioso ed efficiente, il caracol ribelle funziona da 15 anni, si adatta e si muove, si attualizza, si contrae e allarga, e sembra si diverta. Le sue richieste non fanno la coda alla Sedesol. Inoltre, la sua strategia è arrivata più lontano e dentro, incarna una cultura che lo Stato è obbligato a rispettare.

Andrés Aubry, grande interprete del movimento ribelle del Chiapas, su Ojarasca scriveva che “la festa dei caracoles ha dimostrato che i ribelli hanno preso sul serio la rottura del silenzio proclamata da 30 mila zapatisti ed i loro comandanti il primo gennaio del 2003 a San Cristóbal.

“Ora sappiamo che ciò che ha riempito questo lungo silenzio in clandestinità non era altro che un disciplinato e progressivo compimento degli Accordi di San Andrés http://www.jornada.com.mx/2003/11/24/oja-caracoles.html. Di fronte alle pesanti omissioni della classe politica e dei poteri ufficiali, gli zapatisti hanno proclamato che da ora in poi questa aperta ribellione non si praticherà più in silenzio ma con i media di una resistenza trasparente.”

Nel pieno degli eventi, anche Pablo González Casanova scriveva: “Dei ricchi contributi che il movimento zapatista ha apportato alla costruzione di un’alternativa, il progetto dei caracoles sfata molte false discussioni di politici e intellettuali” [https://www.jornada.com.mx/2003/09/26/per-texto.html e in italiano http://chiapas.meravigliao.it/2003/260903jp.htm].

Nelle parole del comandante Javier (lo stesso che il primo gennaio 1994 lesse la Prima Dichiarazione della Selva Lacandona a San Cristóbal de Las Casas) citate da González Casanova nel suo splendido Saggio di interpretazione dei caracoles, questi aprono nuove possibilità di resistenza e autonomia dei popoli indigeni del Messico e del mondo che include tutti i settori sociali che lottano per la democrazia, la libertà e la giustizia per tutti.

Dietro la creazione dei caracoles e delle JBG formate dalla struttura civile dell’EZLN nei municipi autonomi ribelli zapatisti (che si erano evoluti dal 19 dicembre del 1994), González Casanova sottolinea che il progetto postula che le comunità ed i popoli devono esercitarsi nell’alternativa per acquisire esperienza. Non aspettare di acquisire più potere per ridefinire il nuovo modo di esercitarlo. Non si costruisce sotto la logica del potere dello Stato. Neanche per creare una società anarchica. È un progetto di popoli-governo che si articolano tra loro e cercano di imporre percorsi di pace… senza disarmare moralmente o materialmente i popoli-governo.

È corretto dire che le JBG e loro simili sono governo e scuola di governo. Si sono aperte alla partecipazione centrale di donne e giovani ed hanno orizzontalizzato il servizio pubblico comunitario che non ha niente a che vedere con i partiti né con il sistema dominante.

La conclusione di González Casanova era di lungo respiro: “Più che un’ideologia del potere dei popoli-governi, i caracoles costruiscono ed esprimono una cultura del potere che sorge da cinquecento anni di resistenza dei popoli indios d’America”.

Testo originale http://www.jornada.com.mx/2018/08/06/opinion/a08a1cul

 

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L’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale smentisce ogni contatto con AMLO. Comunicato del CCRI-CG dell’EZLN. 

SE SIAMO “SETTARI”, “MARGINALI” E “RADICALI”; SE SIAMO “ISOLATI” E “SOLI”; SE NON SIAMO “ALLA MODA”; SE NON RAPPRESENTIAMO NULLA E NESSUNO; ALLORA PERCHÉ NON CI LASCIATE IN PACE E ANDATE AVANTI A CELEBRARE IL VOSTRO “TRIONFO”? PERCHÉ INVECE NON VI PREPARATE PER BENE E SENZA MENZOGNE AI 5 ANNI E 10 MESI CHE STARETE AL GOVERNO FEDERALE? E ORGANIZZATEVI, PERCHÉ PERSINO PER LITIGARE PER L’OSSO È MEGLIO ESSERE ORGANIZZATI. 

ESERCITO ZAPATISTA DI LIBERAZIONE NAZIONALE. 

MESSICO. 

AL POPOLO DEL MESSICO:

AI POPOLI E AI GOVERNI DEL MONDO:

AI MEDIA LIBERI, ALTERNATIVI, AUTONOMI O COME SI CHIAMINO:

ALLA SEXTA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

AL CONGRESSO NAZIONALE INDIGENO E AL CONSIGLIO INDIGENO DI GOVERNO:

ALLA STAMPA NAZIONALE E INTERNAZIONALE:

 

17 LUGLIO 2018

 

DA IERI COME PURE OGGI, SUI MEDIA CIRCOLA LA NOTIZIA, SOSTENUTA DALLE DICHIARAZIONI DEL SIGNOR ALEJANDRO SOLALINDE (CHE SI PRESENTA COME PRESBITRO, SACERDOTE, PRETE O DICIAMO, CRISTIANO, CATTOLICO, APOSTOLICO E ROMANO), DI UN CERTO AVVICINAMENTO TRA L’EZLN E IL SIGNOR ANDRÉS MANUEL LÓPEZ OBRADOR E CHE “L’EZLN HA GIÀ ACCETTATO IL PRIMO DIALOGO” (parole testuali del Signor Solalinde).

 

A PROPOSITO DI QUESTA MENZOGNA, L’EZLN DICHIARA:

PRIMO: IL CCRI-CG DELL’EZLN, DIREZIONE POLITICA, ORGANIZZATIVA E MILITARE DELL’EZLN, NON HA ACCETTATO ALCUN PRIMO DIALOGO CON NESSUNO. COM’È RISAPUTO DA CHI HA UNA MINIMA CONOSCENZA DELL’EZLN E DEI SUOI METODI, UNA QUESTIONE DEL GENERE VERREBBE COMUNICATA PUBBLICAMENTE E IN ANTICIPO.

 

SECONDO: L’EZLN NON HA RICEVUTO DAL SIGNOR SOLALINDE NIENT’ALTRO CHE MENZOGNE, INSULTI, CALUNNIE E COMMENTI RAZZISTI E MISOGINI, SUPPONENDO EGLI CHE, COME VENIVA SOSTENUTO ALL’EPOCA DEL SALINISMO E DELLO ZEDILLISMO, SIAMO SOLO DEI POVERI INDIGENI IGNORANTI, PER USARE LE SUE STESSE PAROLE, MANIPOLATI DA “CAXLANI CHE AMMINISTRANO LO ZAPATISMO”, E QUESTO IMPEDISCE CHE ABBASSIAMO GLI OCCHI E CI PROSTRIAMO DAVANTI A COLUI CHE IL SIGNOR SOLALINDE RITIENE ESSERE IL NUOVO SALVATORE.

 

TERZO: COMPRENDIAMO L’AFFANNO DI PROTAGONISMO DEL SIGNOR SOLALINDE E LA SUA ATTITUDINE A PRETENDERE SOTTOMISSIONE, MA CON LO ZAPATISMO DELL’EZLN SI SBAGLIA. E NON SI SBAGLIA SOLO IN QUESTO. NON SAPPIAMO GRAN CHE DI QUESTE COSE, MA PARE CHE UNO DEI COMANDAMENTI DELLA CHIESA CHE IL SIGNOR SOLALINDE DICE DI SERVIRE, RECITI: “NON PRONUNCERAI FALSA TESTIMONIANZA CONTRO IL TUO PROSSIMO NÉ MENTIRAI”.

 

QUARTO: COME DOVREBBE SAPERE CHIUNQUE CONOSCA LE LEGGI MESSICANE, IL SIGNOR ANDRÉS MANUEL LÓPEZ OBRADOR NON È IL PRESIDENTE DEL MESSICO E NEPPURE IL PRESIDENTE ELETTO. PER ESSERE “PRESIDENTE ELETTO” È NECESSARIA LA DICHIARAZIONE CORRISPONDENTE DA PARTE DEL TRIBUNALE ELETTORALE DEL POTERE GIUDIZIARIO DELLA FEDERAZIONE; DA QUESTO NE CONSEGUE CHE LA CAMERA DEI DEPUTATI EMETTA UN BANDO SULLA GAZZETTA UFFICIALE IN CUI COMUNICA ALLA POPOLAZIONE CHE È STATO ELETTO UN NUOVO PRESIDENTE. E, SECONDO QUESTE STESSE LEGGI, IL PRESIDENTE NON ENTRA IN FUNZIONE FINCHÉ NON ASSUME L’INCARICO IL 1° DICEMBRE 2018. OVVIAMENTE, IN ACCORDO CON L’ULTIMA RIFORMA ELETTORALE, NON GOVERNERÀ PER 6 ANNI, MA DUE MESI IN MENO. OVVIAMENTE, A MENO CHE NON SI RIFORMI LA COSTITUZIONE E SIA PERMESSA LA RIELEZIONE.

 

QUINTO: QUELLI DELLA SQUADRA DEL SIGNOR ANDRÉS MANUEL LÓPEZ OBRADOR SI COMPORTANO COME SE FOSSERO GIÀ AL GOVERNO, PERCHÉ COSÌ HANNO FATTO CREDERE I GRANDI IMPRENDITORI (via Youtube, il che è garanzia di serietà), L’AMMINISTRAZIONE DEL SIGNOR TRUMP (con la sua visita faraonica), E I GRANDI MEDIA, SI CAPISCE; MA FORSE NON È OPPORTUNO ANTICIPARE LA PROPRIA PREDISPOSIZIONE A INFRANGERE LE LEGGI DIETRO LA COPERTURA DEL PRESUNTO “PIENO DI VOTI” (CHE È QUEL CHE HA FATTO IL PRI DURANTE TUTTO IL SUO LUNGO REGNO).

 

SESTO: L’EZLN HA GIÀ VISSUTO L’AMARA ESPERIENZA DI ACCETTARE IL CONTATTO CON UN SIGNORE CHE POI È STATO DICHIARATO PRESIDENTE ELETTO. SI TRATTA DEL SIGNOR ERNESTO ZEDILLO PONCE DE LEÓN CHE SI È APPROFITTATO DI QUESTI CONTATTI INIZIALI PER PIANIFICARE L’ANNICHILIMENTO DELLA DIRIGENZA ZAPATISTA DELL’EPOCA. COLUI CHE HA MESSO IN PRATICA QUESTO TRADIMENTO, IL SIGNOR ESTEBAN MOCTEZUMA BARRAGÁN, È UNO DEGLI ELETTI CHE FARÀ PARTE DEL GOVERNO CHE DOVREBBE ENTRARE IN CARICA IL 1° DICEMBRE 2018, NON PRIMA. NON SAPPIAMO SE ADESSO IL SIGNOR SOLALINDE VUOLE ASSUMERE LE FUNZIONI CHE IL SIGNOR MOCTEZUMA BARRAGÁN HA SVOLTO CON ZEDILLO.

 

SETTIMO: NON È DI NOSTRA COMPETNZA, MA COLORO CHE SI DEFINISCONO “IL VERO CAMBIAMENTO” FANNO MALE AD INIZIARE CON MENZOGNE, CALUNNIE E MINACCE. LO HANNO GIÀ FATTO CON LA STORIA DEL PAPA, E ADESSO CON L’EZLN. STANNO RIPETENDO GLI “USI E COSTUMI” DI QUELLI CHE DICONO DI AVER CACCIATO DAL GOVERNO.

 

OTTAVO: COME È NOTO PUBBLICAMENTE, DA ALMENO 16 ANNI, DOPO LA CONTRORIFORMA INDIGENA, L’EZLN NON DIALOGA CON I GOVERNI FEDERALI. NEMMENO CON FOX DOPO IL 2001, NÉ CON CALDERÓN, NÉ CON PEÑA NIETO. ALLA NOSTRA APERTURA AL DIALOGO HANNO SEMPRE RISPOSTO CON MENZOGNE, CALUNNIE E TRADIMENTI. PER FAVORE, DATE AL SIGNOR SOLALINDE QUALCHE RITAGLIO DI GIORNALE E QUALCHE LIBRO CHE RACCONTI TUTTO QUESTO NEI DETTAGLI, PERCHÉ STA FACENDO ESATTAMENTE LA STESSA COSA.

 

NONO E ULTIMO: SE SIAMO “SETTARI”, “MARGINALI” E “RADICALI”; SE SIAMO “ISOLATI” E “SOLI”; SE NON SIAMO “ALLA MODA”; SE NON RAPPRESENTIAMO NULLA E NESSUNO; ALLORA PERCHÉ NON CI LASCIATE IN PACE E ANDATE AVANTI A CELEBRARE IL VOSTRO “TRIONFO”? PERCHÉ INVECE NON VI PREPARATE PER BENE E SENZA MENZOGNE AI 5 ANNI E 10 MESI CHE STARETE AL GOVERNO FEDERALE? E ORGANIZZATEVI, PERCHÉ PERSINO PER LITIGARE PER L’OSSO E RICEVERE I COMPLIMENTI DAI SOLDI È MEGLIO ESSERE ORGANIZZATI.

 

¿NOI ZAPATISTE, ZAPATISTI, ZAPATIST@? ANDREMO AVANTI COME STIAMO FACENDO ORMAI DA QUASI 25 ANNI:

 

RESISTENZA E RIBELLIONE!

PERCHÉ LA LIBERTÀ NON È UN’ELEMOSINA, NÉ UN FAVORE UMANO O DIVINO; MA SI CONQUISTA LOTTANDO.

È TUTTO.

Dalle montagne del sud-est messicano.

Per il Comitato Clandestino Rivoluzionario Indigeno-Comando Generale dell’Esercito Zapatista di Liberazione Nazionale.

Subcomandante Insurgente Moisés.

(100% messicano, 100% originario di lingua tzeltal [o “indigeno tzeltal” secondo il signor Solalinde] e 100% zapatista).

Messico, luglio 2018

Traduzione a cura di 20ZLN

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/07/17/desmiente-el-ejercito-zapatista-de-liberacion-nacional-contacto-alguno-con-amlo-comunicado-del-ccri-cg-del-ezln/

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Convocazione Incontro Reti di Appoggio al CIG 2-5 agosto 2018.

La Commissione Sesta dell’EZLN invita le e gli individui, gruppi, collettivi e organizzazioni che hanno appoggiato il CIG e, chiaramente, che pensano ancora che i cambiamenti importanti non vengono mai dall’alto, ma dal basso (sempreché non abbiano mandato il loro bigliettino d’adesione o di richieste al capoccia futuro) all’Incontro delle reti d’appoggio al Consiglio Indigeno di Governo dal 2 al 5 agosto 2018 nel Caracol di Morelia. 

CONVOCAZIONE A UN INCONTRO DI RETI D’APPOGGIO AL CIG, AL COMPARTE 2018: “Per la vita e la libertà” E AL 15° ANNIVERSARIO DEI CARACOLES ZAPATISTI: “Dipingi chioccioline ai malgoverni passati, presenti e futuri” 

Luglio 2018

Agli individui, gruppi, collettivi e organizzazioni delle Reti d’Appoggio al CIG:

Alla Sexta Nazionale e Internazionale:

Considerando che:

Primo e unico:

Il gran finale

Vossia arriva al grande stadio. “Monumentale”, “colosso”, meraviglia architettonica”, “il gigante di cemento”, qualificativi consimili si ripetono nelle voci degli speaker che, nonostante le diverse realtà che esprimono, concordano nel mettere in risalto la superba costruzione.

Per arrivare al grandioso edificio, vossia ha dovuto farsi strada tra macerie, cadaveri, sporcizia. I più in là negli anni raccontano che non è stato sempre così: che prima, intorno alla gran sede sportiva si ergevano case, quartieri, negozi, edifici, fiumi e ruscelli di gente che uno schivava finché andava quasi a sbattere il naso contro al gigantesco portone, che si apriva solo ogni tanto, e nella cui insegna si leggeva: “Benvenuto al Gioco Supremo”. Sì, “benvenuto”, in maschile, come se ciò che avveniva dentro fosse cosa soltanto da uomini; come prima i sanitari, le cantine, la sezione di macchine e attrezzi dei negozi specializzati… e, ovvio, il calcio.

Tuttavia, a volo d’uccello l’immagine vista potrebbe benissimo essere un facsimile di un universo che si contrae, lasciando alla sua periferia morte e distruzione. Sì, come se il Grande Stadio fosse il buco nero che assorbe la vita attorno a sé e che, sempre insaziabile, erutta e defeca corpi senza vita, sangue, merda.

Da una certa distanza, si può apprezzare l’immobile nella sua totalità, sebbene ora le sue erronee disposizioni architettoniche, le sue falle strutturali nei calcestruzzi e nelle strutture, le sue decorazioni cangianti secondo il gusto della squadra vincitrice di turno, appaiano coperte da una tramoggia che abbonda di richiami all’unità, la fede, la speranza e, ovvio, la carità. Come se così si ratificasse la somiglianza tra culti religiosi, politici e sportivi.

Vossia non sa molto di architettura, ma sente fastidio per questa insistenza quasi oscena su una scenografia che non coincide con la realtà. Colori e suoni che proclamano la fine di un’era e il passaggio al domani anelato, la terra promessa, il riposo che non promette più nemmeno la morte (si dice vossia mentre ricapitola le proprie conoscenze, le persone scomparse, assassinate, “esportate” in altri inferni, e i cui nomi si diluiscono in statistice e promesse di giustizia e verità).

Come nella religione, la politica e gli sport, ci sono gli specialisti. Mentre vossia non sa molto di nulla. La infastidiscono gli incensi, i salmi e le lodi che popolano quei mondi. Vossia non si sente capace di descrivere l’edificio, perché vossia bazzica altri mondi, e i suoi lunghi e tediosi cammini percorrono quello che, dai superbi palchi dell’edificio, si potrebbe chiamare il “sottosuolo”. Sì, la strada, la metro, il bus collettivo, il veicolo in abbonamento o pagato a carico di altri abbonamenti (un debito sempre posposto e sempre crescente), le strade sterrate, i sentieri sperduti che portano alla milpa, alla scuola, al mercato, al tianguis, al lavoro, agli sbattimenti, al diavolo.

Vossia si inquieta, sì, ma l’ottimismo dentro al grande stadio è maggioritario, travolgente, s-o-p-r-a-f-f-a-t-t-o-r-e, e tracima fino a fuori.

Come in quella canzone che vossia ricorda vagamente, lo spettacolo che è già finito, ha unito “il nobile e il villano, il proboviro e il verme”. In quei momenti l’uguaglianza è stata regina e signora, non importa che al fischio finale ciascuno sia tornato al suo posto. Basta l’oblio che ciascuno è quel che è. Di nuovo, “e con la nausea / torna il povero alla sua povertà, /torna il ricco alla sua ricchezza /e il signor curato alle sue messe/ si son svegliati il bene e il male/ la volpe povera torna al portone, /la volpe ricca torna al roseto, /e l’avaro alle monete”* (*Citazione di “Fiesta” di J.M. Serrat, N.d.T.). E il fatto è che, come vossia sa dallo strepito e dalle immagini, la partita è finita. Il gran finale tanto atteso e temuto si è consumato, e la squadra vincitrice riceve, con falsa modestia, il clamore degli spettatori. “Il rispettabile pubblico”, dicono portavoce e cronisti. Sì, così si riferiscono a chi ha partecipato attivamente con grida, cori, urrà, insulti e diatribe, dai gradoni, come spettatori a cui soltanto nel gran finale è permesso simulare che sono di fronte al pallone e che il loro grido è il calcio che dirige la sfera “in fondo al sacco”.

Quante volte lo ha sentito vossia? Molte, val la pena contarle? Le sconfitte reiterate, la promessa che alla prossima sì, che l’arbitro, che il campo, che il clima, che la luce, che la linea, che la strategia e la tattica, che eccetera. Almeno l’illusione attuale allevia questa storia di sconfitte… a cui dopo si aggiungerà la prevista disillusione.

Nei dintorni del recinto, una mano maliziosa ha tracciato, sul superbo muro che circonda lo stadio, un motto: “MANCA LA REALTA’”. E non paga della sua eresia, la mano ha aggiunto tratti e colori alle lettere, tanto variegati e creativi che non sembrano nemmeno dipinti. Non è più un graffito, ma un’iscrizione fatta a scalpello, che macchia il cemento. Un’orma indelebile nell’apatica superficie del muro. E, per colmo, l’ultimo tratto della “A” finale ha aperto una crepa che si allarga fino al basamento. Un cartello, rotto e scolorito, con l’immagine di una felice coppia eterosessuale, con un paio di figli, bambino e bambina, e l’intestazione “La Famiglia Felice”, cerca invano di occultare la fenditura che, forse per un effetto ottico, sembra graffiare anche la felice immagine della famiglia felice.

Ma neppure il frastuono interno che fa vibrare le pareti dello stadio riesce a nascondere la crepa.

Dentro, sebbene la partita sia terminata, la moltitudine non abbandona lo stadio. Anche se ben presto sarà di nuovo espulsa verso la valle di rovine, la moltitudine imbellettata fa eco delle proprie grida e scambia aneddoti: chi ha gridato più forte, chi ha fatto lo scherzo migliore (si dice “meme”), chi ha divulgato la bugia di maggior successo (il numero di “like” determina il grado di verità), chi lo sapeva fin da subito, chi non ha mai dubitato. Nelle tribune, alcuni, alcune, alcunei, scambiano analisi: che “hai visto che gli avversari hanno cambiato casacca a fine primo tempo e ora festeggiano la vittoria coloro che hanno iniziato l’incontro con la casacca della squadra opposta?”; che “l’arbitro (il sempiterno “arbitro venduto”) ora sì che ha fatto il suo dovere perché la vittoria della squadra ripulisce ed eleva tutto”. Alcuni, alcune, alcunei, più scettici, vedono con sconcerto che, tra coloro i quali celebrano il trionfo, ci sono quelli che hanno giocato e giocano in squadre rivali. Cercano di capire, ma non riescono. O capiscono, ma non è ora di capire, ma di festeggiare. Perché sia chiaro, una lavagna gigante lampeggia con lo slogan visuale di moda: “Proibito Pensare”. La notte ha posposto il suo arrivo, pensa vossia. Ma si rende conto che sono i riflettori e i fuochi d’artificio che simulano chiarore. Chiaro, un chiarore selettivo. Perché là, in quell’angolo, alcuni gradoni sono crollati e le squadre di soccorso non accorrono, occupate come sono nel festeggiamento. La gente non si chiede quanti morti, ma di quale squadra erano tifosi. Più in là, in quell’altro angolo oscuro, una donna è stata aggredita, violentata, sequestrata, assassinata, fatta sparire. Ma, suvvia, è solo una donna, o un’anziana, o una giovane, o una bambina. I media, sempre in sintonia con quel che succede, non chiedono il nome della vittima, ma se aveva addosso la maglietta di una squadra o dell’altra. Ma non è tempo di amarezze, bensì di festa, di brindisi, di f-i-n-e-d-e-l-l-a-s-t-o-r-i-a caro mio, dell’inizio di un nuovo campionato. Fuori l’oscurità sembra il colophon pittorico per la zona devastata. Sì, pensa vossia, come uno scenario di guerra.

La confusione richiama la sua attenzione. Vossia cerca di prendere le distanze per comprendere l’impatto di questo gran trionfo della sua squadra preferita… mh… era la sua squadra preferita? Non ha più importanza, il trionfatore è sempre stato e sarà sempre la squadra favorita dalle maggioranze. E, chiaramente, tutti sapevano che il trionfo era inevitabile, e nelle tribune si susseguono le spiegazioni logiche: “sì, non era possibile alcun altro risultato, solo quello della coppa ubriacante che incorona i colori della squadra favorita”.

Vossia cerca, senza riuscirci, di far suo l’entusiasmo che inonda le tribune, i palchi, e sembra arrivare fino al punto più alto della costruzione, dove ciò che si intuisce è un lussuoso appartamento, che riflette nei suoi vetri polarizzati le luci, le grida e le immagini.

Vossia percorre le tribune con difficoltà, la gente gremisce i corridoi e le scale. Cerca qualcosa o qualcuno che non la faccia sentire straniero, cammina come un extraterrestre o un viaggiatore del tempo che sia atterrato in un calendario e una geografia sconosciuti.

Si ferma un po’ dove due persone di una certa età guardano con attenzione una specie di tavola. No, non si tratta di scacchi. Ora che vossia si è sufficientemente avvicinato, vede che si tratta di un rompicapo con soltanto alcuni pezzi inseriti e con la figura finale neanche abbozzata.

Una persona sta dicendo all’altra: “Be’, no, non mi sembra finzione. Dopo tutto, il pensiero critico deve partire da un’ipotesi, per quanto possa sembrare campata per aria. Ma non deve abbandonare il rigore per confrontarla e verificare se procede, o se bisogna cercare altri appigli”. E, prendendo uno dei pezzi del rompicapo, questa persona lo mostra e dice: “per esempio, può darsi, a volte, che il piccolo aiuti a comprendere il grande. Come se in questa piccola parte potessimo divinare o intuire la figura completata”. Vossia non ascolta ciò che segue, perché i gruppi vicini gridano contro questa strana coppia e zittiscono le loro parole. Qualcuno le ha passato un volantino. “Desaparecida”, si legge, e un’immagine di una donna la cui età vossia non può determinare. Un’anziana, una donna matura, una giovane, una bambina? Il vento le strappa di mano il volantino e il suo volo si confonde con le serpentine e i coriandoli che annebbiano la vista. E parlando di bambine…

Una bambina, piccola, di pelle oscura, dai vestiti stravaganti da quanto sono colorati e adornati, guarda lo stadio, le tribune, le luci multicolori, i sorrisi di vincitori e vinti, allegri i primi, maliziosi i secondi.

La bambina ha un dubbio. Si intuisce dall’espressione del suo viso, dal suo sguardo inquieto.

Vossia si sente generoso, alla fin fine vossia ha vinto… mh… ha vinto? Be’, non importa. Vossia si sente generoso e, sollecito, chiede alla bambina cosa cerca.

La bambina le risponde: “il pallone”. E, senza girarsi a guardarla, continua a setacciare con lo sguardo la gran costruzione.

“Il pallone?”, chiede vossia come se la domanda venisse da un altro tempo, da un altro mondo.

La bambina sospira e aggiunge: “be’, magari lo ha il padrone”.

“Il padrone?”

“Sì, il padrone del pallone, e dello stadio, e del trofeo, e delle squadre, e di tutto questo”, dice la bambina mentre con le sue manine cerca di abbracciare la realtà concentrata nel grande stadio.

Vossia cerca di trovare le parole per dire alla bambina che quelle domande non fanno al caso, o cosa, a seconda, ma allora vossia ricorda… o per meglio dire non ricorda di aver visto il pallone. Nella sua mente appare un’immagine sfocata, crede che a inizio partita, ci fosse la sfera con le sue toppe marchiate dai “nostri amabili patrocinatori”. Non sa collocarlo nemmeno nei gol segnati.

Ma lì c’è la lavagna del punteggio, e la lavagna segna la realtà che importa: il tale ha vinto, il tale ha perso. Nessun segnapunti indica chi è il padrone né del segnapunti stesso né tantomeno del pallone, delle squadre, delle tribune, delle “videocamere e microfoni”.

Inoltre, il segnapunti non è un segnapunti qualsiasi. E’ il più moderno che esiste ed è costato una fortuna. Include il VAR per aiutare i suoi impiegati a sommare o conteggiare punti alla lavagna, e per le ripetizioni istantanee o reiterate di quando “insieme abbiamo fatto la storia”. E il segnapunti non segna i gol, ma le grida. Vince chi grida di più, e allora chi ha bisogno del pallone?

Ma allora vossia passa in rassegna i suoi ricordi e nota qualcosa di strano: minuti prima della fine della partita, gli ultras, i fan, la masnada della squadra contraria sono rimasti in silenzio. E le grida dei seguaci della squadra ora trionfante non hanno avuto rivale. Sì, molto strana questa subitanea ritirata. Ma ancora più strano è che, quando sulla lavagna del segnapunti non si riflettevano ancora i risultati, nemmeno i parziali, la squadra contraria è tornata in campo solo per congratularsi col trionfatore… che ancora non era il trionfatore. Negli alti e lussuosi palchi dello stadio si è imposto il baccano e i colori dei festoni erano già quelli della squadra vincitrice. A che ora hanno cambiato la propria preferenza? Chi ha vinto davvero? E sì, chi è il padrone del pallone?

“E perché vuoi sapere chi è il padrone?”, chiede vossia alla bambina, perché le pare che, nonostante i suoi dubbi, è tempo di fischietti e raganelle, e non di domande stupide. “Ah, perché lui non perde. Non importa che squadra vinca o perda, il padrone vince sempre”. Vossia si incomoda al dubbio che ciò implica. E si incomoda ancor di più a vedere coloro che dichiaravano che la squadra ora vincitrice avrebbe portato disgrazie, ora celebrare un trionfo che, appena alcune ore prima, non era il loro. Perché non si vede che hanno perso, bensì festeggiano come se il trionfo fosse loro, come se dicessero “abbiamo vinto ancora”.

Vossia è sul punto di dire alla bambina che lasci da parte l’amarezza, che magari ha le sue cose, o la depressione, o non capisce niente, in fin dei conti è solo una bambina, ma in quel mentre il rispettabile prorompe in un urlo: la squadra vincitrice torna in campo per ringraziare il rispettabile per il suo sostegno. La gente-gente continua a stare sugli spalti e contempla, rapita, i moderni gladiatori che hanno sconfitto le bestie… un momento! Non sono le bestie quelle là che ora abbracciano e festeggiano e si mettono in spalla la squadra vincitrice?

Vossia è rimasto pensieroso su ciò che ha detto la bambina. E allora ricorda, inquieto, che la squadra contraria, conosciuta per il suo gioco rude, i suoi trucchi e i suoi inganni, ha abbandonato la partita giusto prima che risuonasse il fischio finale. Sì, come se temesse che la sua stessa inerzia potesse farla vincere (con l’inganno, ovvio) e, per evitarlo, si fosse ritirata completamente. E con essa, fossero scomparsi i suoi tifosi, i suoi fanatici, le sue, ora vossia lo ricorda, contate bandierine e bandiere.

Il baccano continua. Sembra che alle tribune non importi l’assurdità che sta avvenendo al centro del campo, dove il podio aspetta la premiazione finale.

Vossia si fa eco della domanda della bambina e, con timidezza, chiede a sua volta:

“Chi è il padrone del pallone?”, ma il grido di massa ingoia la sua domanda, e nessuno la ascolta.

La bambina la prende per mano e le dice: “Andiamo, dobbiamo uscire”.

“Perché?”, chiede vossia.

E la bambina, indicando la base del grande edificio, risponde:

“Sta per cadere”.

Ma nessuno sembra rendersene conto… Un momento, nessuno?

(continua?)

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In base a quanto sopra esposto, la Commissione Sesta dell’EZLN invita le e gli individui, gruppi, collettivi e organizzazioni che hanno appoggiato il CIG e, chiaramente, che pensano ancora che i cambiamenti importanti non vengono mai dall’alto, ma dal basso (sempreché non abbiano mandato il loro bigliettino d’adesione o di richieste al capoccia futuro) a un:

Incontro delle reti d’appoggio al Consiglio Indigeno di Governo

Con la seguente proposta di ordine del giorno:

.- valutazioni del processo di appoggio al CIG e alla sua portavoce Marichuy, e della situazione secondo la prospettiva di ogni gruppo, collettivo o organizzazione.

.- proposte per i passi successivi.

.- proposte per tornare a consultare i propri gruppi, collettivi, organizzazioni su quanto stabilito.

Arrivo e registrazione: giovedì 2 agosto 2018; registrazione e attività nei giorni venerdì 3, sabato 4 e domenica 5 agosto.

Per registrarsi come partecipante all’incontro delle reti, l’indirizzo è:

encuentroredes@enlacezapatista.org.mx

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Inoltre, le comunità indigene zapatiste invitano chi ha l’arte come vocazione e anelo al

CompARTE PER LA VITA E LA LIBERTA’

“Dipingi chioccioline ai malgoverni passati, presenti e futuri”

Dal 6 al 9 agosto 2018

Arrivo e registrazione: quando potete dal 6 al 9 agosto.

Chiusura il giorno 9, 15° anniversario della nascita dei caracoles zapatisti.

Il programma sarà in base a chi si iscriverà, ma è certo che ci saranno musiciste e musicisti, teatranti, ballerine e ballerini, pittrici e pittori, scultori, declamatori, eccetera, delle comunità zapatiste in resistenza e ribellione.

Per registrarsi come partecipante e/o assistente, l’indirizzo è

asistecomparte2018@enlacezapatista.org.mx

participacomparte2018@enlacezapatista.org.mx

Tutto nel caracol di Morelia (dove si è tenuto l’incontro delle donne che lottano), nella zona Tzotz Choj, terra zapatista in resistenza e ribellione.

Molta attenzione:

Portate il vostro bicchiere, piatto o cucchiaio, perché le donne che lottano hanno consigliato già di non usare usa e getta che contaminano, oltre a lasciare un mondezzaio. Non fa mai male portare una propria torcia (o lampada portatile), un proprio coso da mettere fra il degno suolo e il vostro degnissimo corpo, o una tenda. Un impermeabile o nylon o equivalente in caso di pioggia. Le vostre medicine o cibo speciale se vi servono. E qualsiasi altra cosa che poi vi dovesse mancare e, quando ci lascerete le vostre critiche, noi potremo rispondere: “vi avevamo avvisato”. Per le persone di una certa età, “di giudizio” come diciamo qua, vedremo, per quanto possibile, di fornire alloggi in qualche luogo speciale.

Nota: sarà consentito l’accesso a uomini e ad altre minoranze.

Per la Comissione Sesta dell’EZLN

Subcomandante Insurgente Moisés           Subcomandante Insurgente Galeano

Messico, luglio 2018

P.S.: No, noi zapatiste e zapatisti NON ci uniamo alla campagna “per il bene di tutti, prima le ossa”. Potranno cambiare il capoccia, i maggiordomi e i caporali, ma il proprietario continua a essere lo stesso. Ergo…

 

Traduzione a cura dell’Associazione Ya Basta! Milano

Testo originale: http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/07/05/convocatoria-a-un-encuentro-de-redes-de-apoyo-al-cig-al-comparte-2018-por-la-vida-y-la-libertad-y-al-15-aniversario-de-los-caracoles-zapatistas-pintale-caracolitos/

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Chi ha vinto le elezioni messicane? 

Daniele Di StefanoLunedì 9 luglio 2018 

Andrés Manuel López Obrador, detto AMLO, dopo vani tentativi inficiati da frodi elettorali a suo danno, stavolta ha vinto le elezioni in Messico. Il fatto ha causato un’ondata di interesse anche dalle nostre parti, con articoli più asciutti e osservatori e altri che vanno dall’esaltato al possibilista: la sinistra latinoamericana rialza la testa. Come già titolano i giornali di lingua spagnola, solo l’EZLN (http://enlacezapatista.ezln.org.mx/2018/07/09/convocazione-a-un-incontro-di-reti-dappoggio-al-cig-al-comparte-2018-per-la-vita-e-la-liberta-e-al-15-anniversario-dei-caracoles-zapatisti-dipingi-chioccio/) resiste e tiene le distanze dal partito-movimento Morena e dal suo fondatore neopresidente. E’ peraltro noto anche in Italia il tentativo, fallito, di conseguire le numerose firme necessarie alla candidatura di Marichuy a nome del Consiglio Indigeno di Governo, sorto a partire dal Congresso Nazionale Indigeno. L’EZLN starebbe quindi all’angolo, recalcitrante e isolato da una sinistra in trionfo.

Il fatto che le firme per Marichuy fossero le sole percentualmente veritiere e autentiche in un consueto panorama di brogli, non cancella l’amara constatazione che il suo risultato, al di sotto delle trecentomila firme e con la conseguente esclusione della candidatura, è stato modesto rispetto all’ambizione di mobilitare i popoli indigeni messicani, che contano milioni di individui. Il tentativo, del resto, si scontrava con difficoltà logistiche che sono costate anche un grave incidente alla carovana di Marichuy, e non aveva alcuna pretesa di competere effettivamente per la presa del potere: è stato utilizzato come strumento per fare uscire i popoli indigeni dall’isolamento e dalle aggressioni cui sono sottoposti, accendendo su di essi i riflettori. Non so dire, da questo tragicomico paesino mediterraneo che è l’Italia, quanto tale risultato sia stato ottenuto, ma ritengo che non si tratti di un obiettivo misurabile sul breve periodo. Deve comunque aver pesato il posizionamento verso i partiti di molte realtà di base, specialmente cittadine, orientate verso AMLO anche in base a una tendenza di allontanamento delle proprie simpatie dall’EZLN. Frattura che risale alle elezioni del 2006, con l’Altra Campagna lanciata dalle e dagli zapatisti, che per molti messicani di centrosinistra significava “remare contro” AMLO e il PRD e in favore del PRI, ragione per la quale l’intellighenzia simpatizzante con lo zapatismo gli voltò le spalle. La frattura continua, con ricorrenti attacchi via social network alla figura del Subcomandante Galeano, chiamato ancora Marcos, senza alcun rispetto per quel maestro zapatista che rivive nel suo nome: fantoccio, attore, servo del PRI, fratello di una deputata del PRI, burattinaio o burattino, eccetera. Curiosamente, il fatto si ripete ora che esce un comunicato a firma sia di Galeano che di Moisés, come se Moisés stesso, cui fa capo la responsabilità sull’EZLN, non facesse testo perché lo stile è chiaramente quello di Galeano, che dunque starebbe parlando per sé, strumentalizzando i poveri indigeni zapatisti. Un’ennesima prova del razzismo latente in questi attacchi e dell’incomprensione delle posizioni che le zapatiste e gli zapatisti hanno ripetuto fino alla nausea, e che nuovamente vengono attribuite al solo Marcos-Galeano.

Il Subcomandante Moisés

Cerchiamo di entrare nel merito del comunicato zapatista. Cosa dice? Sotto metafora, nota un fatto strano: la squadra avversaria di Morena, il PRI, si è ritirata prima del fischio finale, e ora esulta con i vincitori. Ma non dovevano essere le bestie sconfitte? Come è possibile che nel chiasso generale siano tutti vincitori? E perché si sono affrettati a riconoscere la vittoria dell’avversario ben prima che essa fosse certa? Perché a un certo punto sono sparite le bandierine degli avversari ed è stato lasciato campo libero ai vincitori designati? Perché, aggiungiamo, le felicitazioni di Trump, noto amante dei messicani, che ha così cortesemente permesso il libero procedere della democrazia nel cortile di casa?

Ricordo un intervento del Sup Galeano in aprile, che alcuni giorni fa mi fece pensare che stavolta gli zapatisti si fossero sbagliati. “El capital va por todo, no va a permitir Lulas, por reformista o lo que sea, no lo va a permitir, ni Dilmas, ni Kirchner, ni Correas, ni Evos, ni López Obrador, ni cualquier cosa que ofrezca un respiro”. E invece no: il capitale lo ha permesso, López Obrador ha vinto a furor di popolo. Ma il López Obrador immaginario, il difensore dei deboli che il capitalismo non avrebbe fatto vincere, non è il López Obrador reale che esce vincitore.

Ora, leggendo queste allusioni sotto metafora calcistica, intendo che gli zapatisti devono aver notato qualcosa che a noi, dall’Italia, sfugge. Devono aver notato, cioè, una strategia gattopardesca della cricca del PRI, che a un certo punto deve essersi detta: accontentiamo la gente che vuol cambiare, purché nulla cambi. E devono essere partiti gli abboccamenti e i giochetti che consentiranno alla vecchia guardia del PRI e del capitalismo nazionale di riciclarsi, con aggiunta quella ventata di novità e di speranza idonea a nascondere le loro complicità, connivenze, e soprattutto i loro crimini. AMLO, nel suo primo discorso rassicurante e conciliante verso il capitale che ha interesse nelle grandi opere, è sembrato affrettarsi a confermare questa lettura: in sostanza non cambierà nulla. O, come si dice nell’ultimo comunicato zapatista, chi comanda non è una squadra o l’altra, ma il padrone del pallone, dello stadio e di tutta l’impalcatura mediatica, che non perde mai. Naturalmente, il padrone non è una persona sola, ma è il grande capitalismo finanziario, speculatore e mafioso. Ecco perché, contrariamente alle previsioni di aprile, il capitalismo ha permesso la vittoria di AMLO: perché si è già cautelato affinché tutto resti al suo posto. Vittoria schiacciante, per giunta, che è molto più comoda delle vecchie frodi elettorali: perché così i nuovi governanti avranno piena legittimazione popolare in ciò che faranno. Su ciò che faranno, qualcuno si potrà anche illudere brevemente, potrà concedere il beneficio del dubbio, similmente a quanto è avvenuto in Italia prima per Renzi e poi per il governo grillino in cui comanda la Lega: non noi. Già si parla a vanvera di portare a compimento gli accordi di San Andrés per il riconoscimento di diritti e cultura indigena. La cosa appare lievemente comica: perché riesumare una trattativa di ventitré anni fa, il cui tradimento a opera del PRI di Salinas e di Zedillo segnò la fine di una fase in nome di un’altra, cioè di quella che ha portato all’autonomia zapatista? Perché riesumare vecchie foto di quando si tentò questo dialogo in un’epoca in cui il PRI era il dominatore assoluto e il PRD era pura opposizione, come ha appena fatto la morenista Rosario Piedra Ibarra pubblicando uno scatto che ritrae Marcos accanto ad AMLO (oltre che alla madre, Rosario Ibarra)?

Viene in mente José Carlos Mariátegui, il grande marxista peruviano che collegava la questione indigena alla questione centrale della ripartizione delle terre. Che ne è dei diritti astratti degli indigeni, del resto più riconosciuti dalla Corona spagnola del Seicento che dai nuovi stati latinoamericani, se non si intacca la proprietà latifondista e non si ridanno le terre alle popolazioni contadine indigene? Che parliamo a fare di diritti indigeni, se assicuriamo che le grandi opere continueranno a strappare terra coltivabile e sacra, fiumi, valli, montagne, suoli e sottosuoli agli abitanti del Messico più povero e a rischio di scomparsa?

Le zapatiste e gli zapatisti conoscono bene la concretezza di questi problemi storici e conoscono bene AMLO, questo è certo. La polemica è vecchia, e non è questo che deve interessarci, ma la lettura, che deve valere anche qui da noi: si è d’accordo o no che i cambiamenti veri possono venire solo dal basso? La metafora arriba/abajo è la più utilizzata dal movimento zapatista, che oggi non sta dicendo niente di nuovo. Si può essere d’accordo o no, si possono modificare i termini parlando di classi invece che di alto e basso, ma la sostanza resta quella. La differenza nella risposta divide i socialdemocratici dal pensiero rivoluzionario, c’è poco da fare. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei. Naturalmente, gli zapatisti sono dei rivoluzionari eretici: non cercano la presa del potere come è sacro dovere del rivoluzionario classico e dell’avanguardia del partito. In ciò, e nel loro modo di mantenere un’etica forte dinanzi alle scelte politiche, possono avere torto o ragione: la dimostrazione definitiva non c’è, dato che il famoso “mondo migliore” o “altro mondo possibile” su vasta scala sembra ancora soltanto una terra promessa, cui comunque non intendiamo rinunciare.

Di fronte a questa postura zapatista, a poter essere utilizzata in chiave filo-Morena resta la critica antimperialista del compianto Domenico Losurdo, che da una prospettiva per così dire chavista accusava tra gli altri il pensiero negriano di non saper stare con la sinistra quando questa va al potere, godendo nel restare opposizione. Non a caso, dalle nostre parti le uscite più entusiastiche sulla vittoria di AMLO si devono ai fautori del socialismo del XXIesimo secolo, di cui Losurdo era eminente esponente. Questa accusa, che tutto sommato è una ricorrente polemica contro il trotskismo, può benissimo essere rivolta contro lo zapatismo, che pure non può dirsi negriano, e contro di noi che cerchiamo di tenerci alla larga dalla sinistra partitica nostrana per costruire faticosamente le nostre esperienze dal basso. Accettiamo la critica: ma prima dimostrateci che il potere che andrete costituendo abbia qualcosa di rivoluzionario, o anche solo di veramente riformista.

Gli zapatisti non hanno cambiato alcuna idea, non c’è contraddizione in questa loro presa di posizione, che non ha niente di sorprendente: risponde picche a una mano maliziosa tesa da AMLO, come prima mostrava il dito medio al PRI di Peña Nieto, al governatore chiapaneco del PVEM e alle loro lusinghe. Eppure molti, e purtroppo anche qualche messicano che abbiamo conosciuto e ospitato in Italia, lamentano come gli zapatisti non abbiano rispetto delle masse popolari, ritenendo che sottraendosi alla morsa di AMLO le trattino da stupide. Perché tanta preoccupazione per chi non si è allineato con Morena? Ci sono decine di milioni di messicani che hanno dato il loro voto speranzoso: perché costoro non pensano a dialogare con essi, a costruire quel futuro migliore di cui si stanno riempiendo la bocca da mesi? Non conviene a tutti i sinceri democratici, per lungimiranza, che nel contesto attuale ci sia anche chi si mantiene all’opposizione in basso e a sinistra? O vogliono un Messico schierato come un sol uomo accanto al Leader (come se poi AMLO fosse Fidel, Sankara, Ho Chi Minh o chissà chi altro)? Questo eccesso di risentimento verso lo zapatismo (che continua in barba a tutti a essere quel che è), nasconde forse la sottile irritazione dell’entusiasta nel constatare che lo scettico potrebbe aver più ragione di lui: se è così, passi. Ma che si prenda per snob e nemico delle masse chi ha saputo sollevare in armi gli ultimi e ha poi costruito in pace la propria autonomia col popolo e sotto gli ordini del popolo, sembra più che ridicolo: sembra in malafede.

La risposta di Marcos alla Crociata Nazionale contro la Fame lanciata dal Chiapas

Naturalmente aver ragione non serve a nulla, se i rapporti di forza restano quelli: la polemica è sterile. Gli zapatisti, per quanto ne sappiamo, non si sono mai accontentati di aver ragione, ma costruiscono ogni giorno una sperimentazione di autogoverno e di economia alternativa. I limiti geografici di questa esperienza sono noti, ma la lezione resta intatta: il popolo comanda e il governo obbedisce. Milioni di votanti sono qualcosa di definibile come un popolo in grado di far obbedire un governo federale messicano, e di portarlo ad agire contro il malaffare, per la libertà, la democrazia e la giustizia? Abbiamo qualche esperienza nostrana in fatto di elezioni, in base alla quale concluderei che è lecito dubitarne.

Daniele Di Stefano, Associazione Ya Basta! Milano https://www.facebook.com/notes/daniele-di-stefano/chi-ha-vinto-le-elezioni-messicane/2031844816827901/

 

Rassegna stampa minima:

https://www.qcodemag.it/indice/interventi/amlo-ultima-speranza/

http://contropiano.org/news/internazionale-news/2018/07/02/il-messico-incorona-amlo-la-sfida-del-cambiamento-comincia-ora-0105491 http://contropiano.org/news/internazionale-news/2018/07/03/lunga-vita-al-messico-0105523

https://www.dinamopress.it/news/amlo-vince-messico-futuro-resta-incognita/

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-abbiamo_un_grande_leader_al_terzo_tentativo_amlo_vince_le_presidenziali_in_messico/5694_24587/

http://www.globalproject.info/it/mondi/messico-il-trionfo-della-speranza/21528

https://www.facebook.com/photo.php?fbid=2062804653961543&set=a.1564567163785297.1073741828.100006960848268&type=3&theater

http://www.eluniversal.com.mx/elecciones-2018/fotografia-de-amlo-con-subcomandante-marcos-es-autentica-verificado-2018

 

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@lhan55 Il bacio del diavolo

López Obrador si è opposto pubblicamente alla maggioranza delle riforme previste dal Pacto por Mexico denunciandole come parte degli affari della mafia al potere. Tuttavia non ha mai invitato a mobilitarsi contro di esse e benché parte dei suoi simpatizzanti si siano inseriti direttamente nella lotta contro quelle riforme, lui non l’ha fatto ed ha concentrato le sue forze ad organizzare il suo partito, Morena, e costruire la sua candidatura. È stato un leader politico di partito e non un dirigente sociale. Ha vinto la scommessa.

 La Jornada, Luis Hernández Navarro, 3 luglio 2018. Nel calendario del potere emerge una data: 20 dicembre 2012. Quel giorno, nel Castello di Chapultepec, raggiante, dopo aver firmato il Patto per il Messico, si fecero fotografare i firmatari: il presidente Enrique Peña Nieto; Gustavo Madero, leader del Partito Azione Nazionale; Cristina Díaz, dirigente ad interim del Partito Rivoluzionario Istituzionale, e Jesús Zambrano, alla guida del Partito della Rivoluzione Democratica.

Cinque anni e mezzo dopo, le cose sono cambiate. Quelle figure politiche ed i loro partiti che allora credevano di avere il futuro nelle proprie mani, sono ridotti quasi in macerie. L’uragano elettorale del primo luglio li ha travolti, in grande parte come risultato di quel patto.

Il patto, in essenza un accordo copulare ed autoritario per intraprendere un nuovo ciclo di riforme neoliberali, quel giorno fu annunciato con grande clamore come il potente strumento per smuovere il Messico e modernizzarlo. La realtà sarebbe stata un’altra. In quell’occasione, oltre alle intenzioni dei suoi promotori, come è successo in ogni occasione in cui una élite ha voluto riformare radicalmente dall’alto il paese contro quelli che stanno in basso, il paese reale ha presentato il conto ai modernizzatori sbaragliando le loro riforme.

Così accadde quando il Messico era ancora la Nuova Spagna, con le riforme borboniche che sfociarono nella Rivoluzione di Indipendenza; così è successo con la modernizzazione e la pax sociale porfirista, deragliata nella Rivoluzione Messicana, e così è avvenuto con la riforma dell’articolo 27 della Costituzione e la firma del Trattato di Libero Commercio dell’America del Nord durante l’amministrazione di Carlos Salinas de Gortari, severamente contestato dalla sollevazione zapatista del primo gennaio del 1994.

L’implementazione del Patto per il Messico ha lasciato sul suo passaggio una sequela di devastazione sociale e distruzione del tessuto comunitario. Lungi dal potenziare la crescita ed il benessere economico, le nuove norme hanno inaugurato un nuovo ciclo di depredazione ed acutizzazione delle disuguaglianze.

Invece di restare a braccia conserte, i disastrati dalle riforme hanno protestato. Tuttavia, invece di rispondere ai loro reclami, il governo federale e la classe politica li hanno insultati. Hanno seguito la massimo salinista del non li vedo né li sento. Fingendo di non sapere. Di fronte ad ogni nuova protesta, assicuravano che la situazione era sotto controllo. Invece di ascoltare la tempesta che si avvicinava i firmatari del patto ed i loro successori alla guida dei partiti si sono ostinati a continuare a sorridere per le foto.

Per cinque anni e mezzo le vittime delle controriforme del Patto per il Messico hanno resistito. In ondate successive di indignazione organizzata, centinaia di migliaia di insegnanti hanno contestato la riforma della scuola. All’inizio del 2017 moltitudini iraconde hanno saccheggiato i grandi magazzini e bloccato le strade per esprimere il loro scontento col gasolinazo, eredità diretta della riforma energetica. Industriali indignati dalla riforma fiscale hanno fatto tintinnare i gioielli e sventolato portafogli per fare sentire la loro disapprovazione verso le nuove norme. Lungi dall’interrompere il monopolio delle grandi società di telecomunicazione, la riforma del settore ha riunito nelle proteste grandi consorzi.

Nella fotografia del Patto per il Messico di quel 20 dicembre 2012 non c’è Andrés Manuel López Obrador. Non è un piccolo dettaglio. Solo qualche mese prima era arrivato secondo alle elezioni per la presidenza della Repubblica con quasi 16 milioni di voti. A loro non importava. Credevano che lasciandolo fuori dall’accordo e cancellandolo dall’immagine lo avrebbero escluso dalla scena politica nazionale. Se non appare nella foto del potere – si sono detti – non esiste. In realtà, gli hanno fatto un favore.

López Obrador criticò l’accordo. In realtà, il Patto per il Messico – dichiarò in molte occasioni – un Patto contro il Messico. Si tratta – spiegava – di una mera manovra per privatizzare l’industria petrolifera. Si è opposto pubblicamente alla maggioranza delle riforme che l’accompagnavano. Le ha denunciate come parte degli affari della mafia al potere. Tuttavia, salvo nel caso della riforma energetica (e molti anni dopo essere stata approvata, in un’occasione, quella della scuola) non ha mai invitato a mobilitarsi contro di esse. Benché parte dei suoi simpatizzanti si siano inseriti direttamente nella lotta contro quelle riforme, lui non l’ha fatto ed ha concentrato le sue forze ad organizzare il suo partito, Morena, a partecipare alle elezioni e costruire la sua candidatura. È stato un leader politico di partito e non un dirigente sociale.

Ha vinto la scommessa. Senza partecipare direttamente in Morena, e senza che i suoi dirigenti siano stati candidati nelle sue liste, una parte di chi ha organizzato la contestazione nell’ultima fase delle riforme neoliberali si è unita all’onda lopezobradorista. Hanno votato contro i partiti del Patto per il Messico e premiato elettoralmente chi ha preso le distanze criticamente da una modernizzazione verticale, autoritaria ed escludente. Per i suoi firmatari, il Patto per il Messico è risultato essere il bacio del diavolo. http://www.jornada.com.mx/2018/07/03/opinion/019a1pol

Twitter: @lhan55

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AMLO, ULTIMA SPERANZA 

Obrador potrebbe essere per movimenti sociali radicali, l’inaspettato volto del cambiamento oppure sarà l’altro volto dello stato al servizio della speculazione, degli equilibri secondo cui il capitale domina sull’umanità. Sarà la fine della speranza che qualcuno ancora coltiva, che attraverso l’alternanza elettorale ci possa essere un cambiamento. https://www.qcodemag.it/indice/interventi/amlo-ultima-speranza/ 

Q Code Magazine. Andrea Cegna, 3 luglio 2018. Il trionfo di Andrés Manuel López Obrador, nuovo presidente del Messico. La sua coalizione Juntos Haremos Historia è avanti alla camera e al senato. A Città del Messico ci sarà una donna, per la prima volta, come sindaca, Claudia Sheinbaum. Anche lei di MoReNa il partito fondato da AMLO nel 2012.

MoReNa vince anche diversi degli otto stati dove si votava per cambiare governatore. Il PRI, il partito stato che ha governato senza pause fino al 2000 e poi nuovamente dal 2012 è al minimo storico.

Il trionfo di AMLO è il fallimento dei partiti di potere, della politica messicana, della corruzione, della svendita della vita umana nel nome del profitto. Carlos Fazio, sulla Jornada, oggi riassumeva anni del paese in maniera magistrale e scrivendo “come ha ricordato Gilberto Lopez y Rivas, su queste pagine, questo conflitto armato, mai riconosciuto come tale, è la dimensione repressiva che William I Robinson definisce ‘accumulazione militarizzata’. La finalità è l’occupazione e ricolonizzazione integrale di vasti territori rurali e urbani volta al saccheggio e la spogliazione delle risorse geostrategiche, il tutto attraverso una violenza esponenziale che altro non è che lo spettro complessivo che caratterizza l’attuale paradigma del capitalismo; il conflitto e la repressione altro non sono che il mezzo di accumulazione della plutonomia”

Quindi più che il programma, AMLO, uomo nato dentro i partiti e già sindaco della capitale, ha vinto perché è riconosciuto come politico senza macchia. Un paese stanco di violenza, di privilegi e di falsità ha deciso di sfiduciare gli unici due partiti che hanno governato il Messico dalla fine della rivoluzione di Zapata e Villa.

No, non si tratta di una rivoluzione. AMLO e MoReNa per vincere hanno ceduto a molti compromessi. Il programma di AMLO è meno radicale di quello con cui perse nel 2006 subendo una frode elettorale pari a quella del 1988. Forse per la paura di essere nuovamente scippato della vittoria, o forse per volontà di potere, la coalizione Juntos Haremos Historia è stata formata aggiungendo al Movimento di Rigenerazione Nazionale, il Partito dei Lavoratori e gli antiabortisti ultra religiosi del PES, Partito di Encuentro Social. Non solo. Come ricordava Juan Villoro intervistato da Luca Martinelli per il Manifesto “Il suo grande problema è che per raggiungere il potere ha rinunciato a essere diverso, stringendo alleanza con politici che sono l’opposto delle idee che lui dovrebbe rappresentare. Stanno dalla sua parte ex membri reazionari del PAN (Espino, Germán Martínez, Gabriela Cuevas), leader sindacali corrotti (Napoleón Gómez Urrutia, Elba Esther Gordillo), evangelici e pentecostali del partito Pes, ex membri del Pri (Esteban Moctezuma e Manuel Bartlett, quest’ultimo responsabile della frode elettorale del 1988).”

No, non è una coalizione di sinistra, non è una coalizione che ha a cuore i diritti sociali e civili. Le porte girevoli del partito movimento hanno trasformato il volto di MoReNa.

Domenica durante il voto sono stati riscontrati comunque migliaia di irregolarità. Gruppi armati nei seggi, schede rubate, omicidi, arresti pretestuosi, compravendita di voti, seggi chiusi per ore e tante altre storie che ci dicono come la macchina della manipolazione del voto era attiva. Ma la grande sfiducia generalizzata sui governati non dava spazio ad una nuova frode. Così Obrador ha vinto.

Uno dei nodi del governo di AMLO sarà quindi quello di tenere assieme una coalizione ampia, e di salvaguardare la sua figura di uomo contro la corruzione. Nonostante pezzi della storia corruttiva del paese sono entrati dentro il suo partito. Ma anche come non tradire i sogni della speranza che ha spinto la cavalcata del nuovo presidente.

Sulle politiche economiche Obrador ha deciso di difendere il NAFTA. Non solo ha proposto di trasformarlo e allargarlo creando tra Messico, Usa e Canada non solo un’area di libero scambio, ma un’area senza confini, di fatto attaccando le politiche anti-migranti di Trump ma senza trasformare le condizioni materiali che generano la povertà nel paese. L’entrata in vigore del NAFTA fu il detonatore della rivoluzione Zapatista dell’EZLN. Le donne e gli uomini con il passamontagna scesero in armi e in azione proprio il 1° gennaio del 1994 per mostrare, anche fisicamente, l’altro Messico. Il Messico povero che sarebbe diventato più povero. Il Messico dimenticato che subiva il razzismo classista del modo di vita urbano e che poteva trovare un posto al sole solo smettendo di essere indigeni e facendosi assoggettare dal paradigma del capitalismo. AMLO difende il NAFTA e quindi esprime una lontananza sistemica con l’EZLN e con le tante forme di opposizione al capitalismo che vivono in rivolta nel paese.

Che la vittoria di AMLO non sia rivoluzione e non faccia paura agli equilibri continentali o globali è esplicitato dalle congratulazioni ricevute dal neo-presidente, con Trump tra i primi a complimentarsi.

Il Congresso Nationale Indigeno e l’EZLN, presentando la “folle” idea di partecipare come indipendenti alle elezioni e così provando a raccogliere le firme necessarie per candidare Marichuy, scrissero “non abbiate dubbi, andremo avanti su tutto, perché sappiamo che ci troviamo di fronte forse all’ultima occasione, come popoli originari e come società messicana, di cambiare pacificamente e radicalmente le nostre forme di governo, rendendo la dignità l’epicentro di un nuovo mondo.”. Se la proposta di EZLN e CNI aveva una portata rivoluzionaria quella di AMLO certamente no. Obrador è uno dei tanti volti del riformismo. Non è nemmeno assimilabile alle sperimentazioni dei governi “progressisti” che hanno governato in latino America senza successo.

Ma, certamente chi ha votato AMLO ha votato per la speranza di un cambiamento pacifico e democratico del paese. Quindi parafrasando il documento di EZLN e CNI, AMLO è l’ultima speranza per quei milioni di messicani che l’hanno votato, per vedere attraverso il voto un cambiamento, anche magari limitato, del paese. PAN e PRI sarebbero stati la continuità. La certezza che lo stato criminale avrebbe continuato a generare violenza raccontando di essere stato sconfitto dai narcos e di essere incapace di controllare lo scontro di potere per il controllo del territorio. E avendo dalla loro parte giornalisti di mezzo mondo pronti a mostrare il lato assassino del crimine organizzato, le poche parti della politica comprate dai narcos come mele marce, insomma tutto il coté comunicativo buono ad assolvere presidenti, governi, forze di polizia ed esercito.

Abbiamo visto e sentito entusiasmo nel paese per la vittoria di AMLO. Anche da parti che storicamente non si “scaldano” per i risultati elettorali. Forse nulla di più dell’entusiasmo sfrenato per il nuovo presidente rappresenta lo stato di guerra e di oppressione in cui il Messico ha vissuto negli ultimi 12 anni, con governi corrotti e pronti a tutto per tenere e conservare il potere.

Certo il voto del 1° luglio è un momento storico per il Messico. Non perché ha vinto la supposta sinistra. Non perché la rivoluzione bussa alle porte a sud degli USA. Perché da oggi in poi non ci sarà ritorno: se AMLO non opererà nessun cambiamento, se sarà coinvolto in giochi di potere e corruzione, se sarà attore di una nuova versione dello stato criminale, se asseconderà le perverse logiche del capitalismo estrattivo e dei mega progetti, e/o non garantirà indigeni, campesinos e poveri, allora la sua vittoria altro non sarà che la legittimazione della violenza dello stato, che si dà un volto di democrazia facendo vincere il “presunto uomo di sinistra”. In queste ore in Messico in moltissime e moltissimi festeggiano. Obrador potrebbe essere per movimenti sociali radicali, l’inaspettato volto del cambiamento oppure sarà l’altro volto dello stato al servizio della speculazione, degli equilibri secondo cui il capitale domina sull’umanità. Sarà la fine della speranza che qualcuno ancora coltiva, che attraverso l’alternanza elettorale ci possa essere un cambiamento. https://www.qcodemag.it/indice/interventi/amlo-ultima-speranza/

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MESSICO: ANDRES MANUEL LOPEZ OBRADOR E’ IL NUOVO PRESIDENTE.

Il successo di AMLO arriva dopo una giornata molto tesa, tra gruppi armati nei seggi, furto di schede elettorali, arresti pretestuosi di misteriose forze di polizia, compravendita di voti e altre centinaia di irregolarità. Una speranza per un pezzo di paese stanco di subire lo stato criminale e la violenza generata dallo stato come forma di governo del territorio. Obrador non è certo un rivoluzionario, per vincere (al terzo tentativo) la tornata elettorale non solo ha presentato un programma meno radicale che nel 2006 ma si è alleato con tutto e di più, dagli anti-abortisti del PES a politici ex PAN e PRI noti per la loro corruzione. Oltre che sostenere apertamente il NAFTA.

http://www.radiondadurto.org/2018/07/02/messico-andres-manuel-lopez-obrador-e-il-nuovo-presidente/?fdx_switcher=true 

Radio Onda D’Urto. 2 luglio 2018 L’aggiornamento pomeridiano con Andrea Cegna, della nostra redazione e di 20zln.org. Ascolta o scarica qui

L’Istituto nazionale elettorale (Ine) del Messico ha fornito i dati relativi a 88.978 seggi (il 56,7% del totale) del Programma di risultati elettorali preliminari confermando la decisa affermazione di Andrés Manuel López Obrador, neopresidente del Messico.

A lui quasi il 53,6% dei voti, con ampio vantaggio su Ricardo Anaya (Pan-Prd) che ha il 22,6%, e ancor più su José Antonio Meade (Pri, partito-Stato dell’uscente presidente Pena Nieto) che raccoglie solo il 15,6%.

L’affluenza alle urne, la più importante nella storia elettorale messicana, è al momento stimata nel 62,2% degli aventi diritto.

AGGIORNAMENTO MATTINA – Messico. La vittoria alle presidenziali di domenica 1 luglio 2018 di Andres Manuel Lopez Obrador, AMLO, è stata celebrata da decine di migliaia di persone nelle piazze del paese. Allo Zocalo di Città del Messico, per il primo discorso da presidente di Obrador, non c’era posto più neppure per uno spillo.

Il successo di AMLO arriva dopo una giornata molto tesa, tra gruppi armati nei seggi, furto di schede elettorali, arresti pretestuosi di misteriose forze di polizia, compravendita di voti e altre centinaia di irregolarità. Una speranza per un pezzo di paese stanco di subire lo stato criminale, e la violenza generata dallo stato come forma di governo del territorio. Obrador non è certo un rivoluzionario, per vincere (al terzo tentativo) la tornata elettorale non solo ha presentato un programma meno radicale che nel 2006 ma si è alleato con tutto e di più, dagli anti-abortisti del PES a politici ex PAN e PRI noti per la loro corruzione. Oltre che sostenere apertamente il NAFTA.

Eppure in un paese stremato da 12 anni di guerra, non alla droga come vorrebbe far credere al governo ma per lo sfruttamento del territorio e delle risorse naturale andando di fatto a fiaccare resistenze indigene e campesine, Obrador porta in se il volto della novità, della possibilità di un cambio di passo. Moderato, ma necessario. Probabilmente l’ultima possibilità per il Messico, come già scriveva 18 mesi EZLN e CNI. Certamente Obrador non è Marichuy e quindi non ci sarà una rottura di paradigma economico.

Ma se AMLO avrà il coraggio di fare esodo dalla violenza di stato, smilitarizzare il paese e togliere consenso alla cultura di morte e distruzione del capitale legale e illegale sarà un gesto di cambiamento importante.

Mentre i punti di domanda restano molti e l’entusiasmo di una parte di paese è visibile, le comunità in resistenza hanno a diverso titolo rifiutato il processo elettorale.

Cosa significa la vittoria di Obrador? Abbiamo approfondito il tema con Annamaria Pontoglio, comitato Chiapas Maribel di Bergamo, Luca Martinelli gionalista indipendente e Christian Peverieri, associazione Ya Basta-Edibese! Ascolta o scarica

http://www.radiondadurto.org/2018/07/02/messico-andres-manuel-lopez-obrador-e-il-nuovo-presidente/?fdx_switcher=true

Notizia scritta il 02/07/18 alle 11:34. Ultimo aggiornamento: 03/07/18 alle: 06:42

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Messico, il trionfo della speranza. 

Quello che si festeggia oggi nelle piazze e nelle strade messicane è comunque la voglia di rinnovamento, la risposta “democratica” all’inaccettabile violenza e impunità a cui è stato sottoposto indiscriminatamente il popolo messicano dai due governi precedenti. AMLO vince perché la famigerata “guerra al narcos” (che altro non è se non una guerra civile per il controllo dei cittadini, dei territori e delle risorse) promossa da Felipe Calderón e portata avanti da Enrique Peña Nieto ha superato ogni limite e non è più accettabile per i cittadini messicani e giustificabile dai regimi democratici.  

Di Christian Peverieri, Camilla Camilli2/7/2018. AMLO, come è comunemente chiamato, a spoglio ancora in corso, ha ottenuto oltre il 53% delle preferenze, staccando di quasi trenta punti il successivo candidato, Ricardo Anaya della coalizione PAN-PRD. Ancora più indietro José Antonio Meade, il candidato del PRI, il partito della rivoluzione istituzionale e dell’attuale presidente Enrique Peña Nieto.

Il vantaggio è talmente esagerato che nemmeno i temuti brogli elettorali potranno eventualmente ribaltare e ha costretto gli avversari a riconoscere la sconfitta e ad augurare al nuovo presidente un buon lavoro. A riprova del successo, anche il presidente degli Stati Uniti, Trump, ha riconosciuto la vittoria di AMLO e si è detto pronto a lavorare con lui in sintonia. A lui si sono aggiunte le congratulazioni del presidente canadese Justin Trudeau, soprattutto in riferimento alla volontà di lavorare insieme al mantenimento del NAFTA (North American Free Trade Agreement), punto chiave sostenuto anche da AMLO durante la sua campagna elettorale.

In uno Zocalo gremito come solo nelle grandi occasioni, il presidente eletto ha festeggiato assieme ai suoi tantissimi sostenitori tutta la notte questa che, comunque la si veda, è una giornata storica per il paese. È la prima volta infatti che il Messico avrà un presidente che non proviene dal PRI o dal PAN dopo oltre 70 anni. È una sconfitta storica per il sistema politico e criminale messicano, che negli ultimi dodici anni (dalla vittoria di Felipe Calderón nel 2006 grazie ai brogli elettorali proprio su AMLO), ha visto crescere una spirale di violenza inarrestabile che ha prodotto oltre 250 mila morti, 35 mila desaparecidos, 360 mila rifugiati interni. In quella che è stata definita da molti come la campagna elettorale più violenta della storia, con oltre un centinaio di candidati (o familiari dei candidati) morti ammazzati, anche la giornata di ieri si è caratterizzata per la violenza che solitamente avvolge la quotidianità messicana. Alcune tensioni si sono registrate già la mattina presto quando la gente in coda da alcune ore è stata informata della mancanza di schede elettorali per tutti, vedendosi così privati della possibilità di votare. In altri casi si sono registrati casi di compravendita di voti a favore soprattutto dei partiti del PRI e del PAN.

In Michoacán è stata uccisa a colpi di pistola fuori dalla porta di casa l’attivista del Partito del Lavoro (PT) Flora Resendiz, mentre un’altra donna, Jeny Torres, è stata uccisa nello stato di Tabasco mentre si trovava in coda al seggio in attesa di votare da due uomini a bordo di una moto. In totale sembrano essere nove le persone assassinate nella giornata di ieri, tra cui anche un militante del partito di Morena. In altri seggi gruppi di uomini dal volto coperto e armati di bastoni, pietre e, in alcuni casi, anche da armi da fuoco hanno aggredito le persone presenti. Alcuni giornalisti e osservatori denunciano di essere stati detenuti illegalmente da gruppi armati o da forze di polizia.

Le prime parole dal palco e su twitter del nuovo presidente sono state: «Non vi tradirò, sarà un governo del popolo, con il popolo, per il popolo».

Nel suo primo discorso di ringraziamento AMLO ha inoltre dichiarato che la missione principale del suo mandato sarà «sradicare la corruzione e l’impunità. La corruzione non è un fenomeno culturale ma il risultato di un regime politico decadente».

Nella giornata di lunedì si conosceranno i risultati definitivi non solo rispetto all’incarico di presidente ma anche rispetto agli altri 3400 incarichi pubblici, tra i quali Camera e Senato, per i quali domenica si è votato e che permetteranno di capire la forza che avrà Morena in Parlamento per mettere in pratica i numerosi cambiamenti promessi.

Cambiamenti che non sono per nulla scontati. La coalizione “Juntos haremos historia” della quale è capofila Morena, è composta anche dal PT (partito dei lavoratori) e dal PES (Partito Incontro Sociale) di destra, cattolico e tra le altre cose contro aborto e matrimoni omossessuali e che promette essere una spina nel fianco alle istanze sociali e democratiche promesse da Lopez Obrador. Quello che si festeggia oggi nelle piazze e nelle strade messicane è comunque la voglia di rinnovamento, la risposta “democratica” all’inaccettabile violenza e impunità a cui è stato sottoposto indiscriminatamente il popolo messicano dai due governi precedenti. AMLO vince perché la famigerata “guerra al narcos” (che altro non è se non una guerra civile per il controllo dei cittadini, dei territori e delle risorse) promossa da Felipe Calderón e portata avanti da Enrique Peña Nieto ha superato ogni limite e non è più accettabile per i cittadini messicani e giustificabile dai regimi democratici.

Ora, dopo le tante promesse elettorali, si passerà ai fatti concreti. Non c’è dubbio che per i movimenti messicani, zapatisti e indigeni del CNI in testa, si apre una nuova e importante stagione politica: le varie esperienze progressiste del continente latinoamericano hanno dimostrato, coi fatti, i limiti di questa linea politica: il tradimento di ideali e valori, la svendita dei territori e delle risorse alle multinazionali, sono solo alcuni dei cortocircuiti che hanno fatto deragliare “la conquista del potere” dei vari caudillos progressisti latinoamericani e che potrebbero ripresentarsi in Messico nei prossimi anni. Il rischio di veder svanire anni di battaglie per i diritti nella lotta fratricida tra favorevoli e contrari al governo “amico” sarà un pericolo serio in questa fase.

Oggi però è il tempo dei festeggiamenti. Il grande merito di AMLO è quello di aver spezzato l’egemonia di un sistema politico mafioso, corrotto, violento e impune. Diamogli il beneficio del dubbio che, anche solo dovesse riuscire a far diventare il Messico un paese meno violento, sarebbe un primo e importante successo. http://www.globalproject.info/it/mondi/messico-il-trionfo-della-speranza/21528

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“Una delle cose più gravi che può succedere a un paese è che non solo la realtà sia pessima, ma che lo siano anche le aspettative, cioè che le illusioni non rappresentino una visione del futuro. È quel che succede in Messico attualmente, non vediamo luce alla fine del tunnel. 

MESSICO: LA VOLTA BUONA PER AMLO? 

di Andrea Cegna 

È il favorito nella campagna elettorale più violenta della storia, con oltre 100 tra candidati e candidate ammazzati, gli ultimi sondaggi lo danno al 51%

 

Q CODE MAG, 29 giugno 2018. Il primo luglio potrebbe essere la volta di Andés Manuel López Obrador come presidente del Messico.

Potrebbe essere la volta che il partito stato, che ha governato ininterrottamente dalla fine della rivoluzione di Zapata e Villa fino al 2000, e che poi è tornato al potere nel 2012, sia sconfitto non dalla destra neoliberista.

Sicuramente non sarà la prima volta che una donna diventa presidente, né che la sinistra radicale diventi maggioranza.

Andrés Manuel López Obrador è alla guida di MoReNa, partito/movimento nato nel 2012 a seguito della seconda sconfitta consecutiva di AMLO alla corsa di presidente.

È il favorito nella campagna elettorale più violenta della storia, con oltre 100 tra candidati e candidate ammazzati, gli ultimi sondaggi lo danno al 51%. Il suo avversario più diretto Ricardo Anaya (di una strana coalizione che tiene assieme PRD e PAN), è dato di poco sotto al 30%. In Messico non c’è ballottaggio, il candidato che prende più voti diventa presidente.

 

Uno dei tanti detti del paese dice che la terza volta è quella buona. AMLO fu il candidato del PRD, partito anche da lui fondato nel 1989 come rottura a sinistra con il PRI, sconfitto nel 2012 ma soprattutto nel 2006 da un probabile broglio a favore di Calderón (PAN). Ora PAN e PRD sono in coalizione assieme, le strane storie della politica.

In un paese sempre più disilluso dalla politica AMLO pare godere più dei demeriti altrui che di una profondità di speranza nella sua figura. Tanto che per rafforzare la sua posizione lui e MoReNa si sono messi a capo di una coalizione “Juntos Haremos Historia” che tiene assieme oltre PT (Partito dei Lavoratori) il PES, Partito de Encuetro Social, ultra cattolici contro aborto e matrimonio gay.

Juan Villoro, editorialista del New York Times, recentemente incontrato di passaggio dall’Italia mi ha detto “Una delle cose più gravi che può succedere a un paese è che non solo la realtà sia pessima, ma che lo siano anche le aspettative, cioè che le illusioni non rappresentino una visione del futuro. É quel che succede in Messico attualmente, non vediamo luce alla fine del tunnel. Un po’ per scherzo, Manuel Vásquez Montalbán, il grande scrittore spagnolo disse, durante la grande transizione spagnola, “stavamo meglio contro Franco”. Faceva riferimento al fatto che durante la dittatura c’era un’illusione di cambiamento, una possibilità di trasformazione. A noi manca un orizzonte di cambiamento sicuro e possiamo dire, parafrasando Vásquez Montalbán, “stavamo meglio contro il vecchio PRI”. Credo ci siano aspettative di una piccola riforma, o miglioramento ma, a mio modo di vedere, viste le circostanze attuali, e i molti poteri che entrano in gioco, i cambiamenti potranno essere solo cosmetici, di apparenza o d’intenzione, ma non ci saranno cambiamenti realmente strutturali.”

 AMLO più volte in questa campagna elettorale, facendo il verso a Trump sulle politiche economiche e sociali, ha snocciolato alcune uscite che rompono con la tradizione di “sinistra” e tra un “prima i messicani” e una convinta adesione al NAFTA, il Trattato di Libero Commercio del Nord America fiore all’occhiello della politica aggressiva del “Thatcher messicano” Salinas de Gortari, e contro cui più volte l’EZLN e i movimento sociali radicali messicani si sono scagliati, ha battuto “on” sulla classica giocata di un colpo al cerchio e un colpo alla botte. Se in materia economica è difficile pensare ad un cambiamento radicale, è sullo sguardo d’insieme che AMLO può essere un soggetto di cambiamento: se saranno mantenute le promesse di equità sociale e di attenzione alle povertà e al mondo rurale e indigeno, allora qualcosa potrebbe cambiare. Così come sul piano della relazione con i poteri economici illegali. Il racconto dello stato fallito nelle mani dei narcos è stato alimentato con forza dall’asse PAN–PRI prima con il governo Calderón poi con quello di Peña Nieto, ma è lontano dall’essere vero.

 

Certamente la violenza è presente con forza nel paese, sono le origini della violenza a dover essere indagate: fino al 2006 lo scontro tra cartelli era praticamente inesistente, dal nulla è esploso (senza giustificazione apparente, anche perché le economie informali non amano le luci della ribalta) e la risposta dello stato è stata la militarizzazione e la polarizzazione di diversi stati. Stati a maggioranza indigeni e ricchi di risorse naturali. La convivenza di militari, poliziotti, interessi politici ed economici, sia legali che illegali, ha generato il caos, morti e violenza, con lo Stato a decretare lo stato d’emergenza. Lo stato d’eccezione diventa quindi forma di governo, giustificazione per l’estrazione di ricchezze territoriali, morti e desaparecidos come dato quotidiano, assieme al racconto del narco-stato. Sarebbe quindi più coraggioso, e corretto, parlare di stato-criminale, con il rapporto attivo tra stato, imprese, e gruppi criminali nella spartizione del paese. AMLO è la grande speranza per una parte del paese per rompere questa politica criminale, anche se le sue tiepide posizioni verso un progetto di smilitarizzazione hanno spento in molti l’entusiasmo. I sondaggi dicono con forza che oltre alla presidenza “Juntos Haremos Historia” dovrebbe prendere la maggioranza sia alla Camera che al Senato. Pieni poteri quindi in vista, e la possibilità di fare riforme senza ostacoli istituzionali.

Nonostante tutto questo Andrés Manuel Lóez Obrador, per strada, ha trovato attori sociali importanti a sostenerlo, dai maestri della SNTE e della CNTE a Omar García, sopravvissuto alla mattanza di Ayotzinapa, passando per Paco Ignacio Taibo II, ma senza assumere posizioni coraggiose sui diritti umani. E ugualmente sui diritti civili che non paiono una sua priorità, mantenendo fede alla sua figura di cristiano e senza creare tensioni nella sua coalizione. Dopo che la candidata indipendente in quota EZLN e CNI, Marichuy, non è riuscita a raccogliere le firme necessarie, ha ricevuto una chiamata indiretta da AMLO per entrare nella coalizione. Marichuy, il CNI e il Consiglio Indigeno di Governo hanno rifiutato la proposta non considerando la coalizione e Obrador come reale alternativa. AMLO è un caudillo populista in salsa messicana, un politico navigato, uno che ha certamente fatto della lotta politica la sua vita, che, pur senza essere un rivoluzionario e non una certezza d’alternativa sistemica, pare essere l’unico candidato che, se dimostrerà coraggio, può generare un cambiamento, forse piccolo al Messico della violenza, della paura e dei desaparecidos che abbiamo conosciuto negli ultimi 12 anni. https://www.qcodemag.it/indice/interventi/messico-la-volta-buona-per-amlo/

 

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Messico: giornalisti e difensori dei diritti temono la protezione di Stato 

Il Meccanismo per la protezione di giornalisti e persone che difendono i diritti umani in Messico è stato pensato per difendere queste persone quando sono in pericolo. Eppure le vittime di violenza e minacce escono in fretta da questi progetti per paura dello Stato messicano. La ong Fundar prova a capire cosa sta succedendo https://www.osservatoriodiritti.it/2018/06/25/messico-giornalisti-difensori-dei-diritti-stato-messicano/ di Emanuela Borzacchiello 25 giugno 2018 da Città del Messico 

Mentre il Paese si prepara alle imminenti elezioni del primo luglio, altri due giornalisti sono stati uccisi in Messico: Alicia Díaz González e Héctor González Antonio. E questa volta è arrivata anche la condanna ufficialedel relatore speciale per la Libertà di espressione della Commissione Interamericana dei Diritti Umani. Ma il risultato, ancora, non cambia: giornalisti uccisi dall’inizio dell’anno 6, reazione dello Stato messicano 0.

Il Meccanismo per proteggere giornalisti messicani

Eppure gli strumenti istituzionali per salvare delle vite ci sono già. Il Meccanismo per la protezione di giornalisti e persone che difendono i diritti umani, infatti, è stato creato proprio per fornire protezione attraverso scorte personali, “bottoni di panico”, vigilanza, fino ad arrivare al trasferimento in case rifugio segrete per i casi più a rischio.

https://youtu.be/Bg8J1tJ3gTQ

Qualcosa, però, non sta funzionando. La maggior parte delle persone che chiede aiuto allo Stato attraverso questo strumento, infatti, finisce per rinunciarci. E così un centro di analisi e ricerca indipendente del Paese, la ong Fundar, ha deciso di dedicare tempo e risorse per capire cosa sta accadendo.

La geografia del terrore resta dentro i confini di Stato

«Non avevo paura che mi uccidessero, avevo paura che mi facessero scomparire e che nessuno sapesse più nulla di me. Sapevano dove vivevo, sapevano dove e come mi muovevo».

Rossana Reguillo è un’accademica nota a livello internazionale per le sue ricerche su cultura urbana, mezzi di informazione e violenza. Il 26 settembre 2015, in occasione della 17esima Azione globale per i 43 studenti scomparsi ad Ayotzinapa, è stata fra le più attive sul web a diffondere notizie. E informare è un rischio in Messico, anche se sei un’accademica. E così sono arrivate le prime minacce:

«¡Aquí te vamos a matar! (ti uccidiamo); ¡Aquí tenemos fotos de tu hijo! (abbiamo foto di tuo figlio)».

Rossana, per la prima volta nella sua vita, si è sentita sotto assedio. E ha deciso di chiedere di entrare nel Meccanismo di protezione. Ma, una volta dentro, si è sentita più vulnerabile che protetta. E alla fine è uscita, una volta capito che tutte le informazioni relative alla sua vita privata e lavorativa stavano finendo nelle mani delle persone che gestivano il Meccanismo.

Criminalità organizzata e Stato messicano

La maggior parte dei testimoni intervistati da Fundar ha avuto a che fare con questo problema: chiedono protezione a quelle stesse istituzioni statali che spesso sono legate a doppio filo con la criminalità organizzatada cui stanno scappando. Come è successo ad Alma Barraza Gómez.

Alma è un’avvocata di Sinaloa, stato a nord del Messico, famoso per essere il territorio del narcotrafficante Chapo Guzmán. Da anni difende i contadini che si oppongono alla costruzione di una diga che, se fosse realizzata, distruggerebbe la loro terra e le loro vite. Sono in tanti a voler mettere le mani sulla costruzione: si intrecciano gli interessi miliardari del governatore dello stato di Sinaloa, politici locali ed economia criminale. Una miscela perfetta per aver paura. E a un certo punto è arrivato il terrore.

«Una pattuglia con cinque poliziotti, tutti con un passamontagna, mi hanno sequestrato dopo una marcia in difesa della diga e mi hanno portato fuori città. Mi hanno picchiato, privato illegalmente della mia libertà. In quel momento pensavo che non avrei più rivisto la mia famiglia».

Messico: cartina dello Stato di Sinaloa

Il Meccanismo (inceppato) che protegge dalla violenza

Alma non ha avuto altra scelta che chiedere al governo centrale di entrare nel Meccanismo di protezione. Le hanno danno una macchina blindata e una scorta, ma durante un viaggio in autostrada ha subìto un attacco, in cui uno dei due uomini della scorta è stato ucciso durante la sparatoria.

«Attraverso il bottone di panico avevo avvisato che ci stavano seguendo, ma nessuno ci ha aiutato, né prima né dopo la sparatoria».

Alma oggi ha dovuto abbandonare Sinaloa. È fuggita con sua madre, sua sorella e i suoi due nipotini. Non può più lavorare e non può che restare nel Meccanismo che gli fornisce una casa rifugio segreta.

«Il problema è che inviano solo cibo per una persona, per la beneficiaria del Meccanismo, mentre siamo otto in casa, incluse le mie guardie del corpo. Ogni 15 giorni ci danno un cartone di uova, una papaya, sei pompelmi, una mela, un chilo di cipolle, alcuni peperoni e quattro pezzi di pollo. Certo che non basta, ma così viviamo».

Ringraziamo la ONG indipendente Fundar per averci permesso di riprendere alcuni estratti delle interviste a Rossana Reguillo e Alma Barraza Gómez. Lo studio completo si trova a tequesto indirizzo: http://defensores.fundar.org.mx/

https://www.osservatoriodiritti.it/2018/06/25/messico-giornalisti-difensori-dei-diritti-stato-messicano/

 

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Dal 1988 in poi, il 1 luglio ogni sei anni è una data che non ha nulla di scontato. Per la prima volta 30 anni fa la vittoria del Partido Revolucionario Institucional (PRI) non è più elemento scontato, tanto che nel 2000 e nel 2006 il presidente è stato del Partido Acción Nacional (PAN). E la veridicità dei risultati è sempre elemento di discussione. Cosa accadrà? Sappiamo cos’è già accaduto. 

IL MESSICO AL VOTO. OBRADOR FAVORITO, MA L’OMBRA DEL 2006 È ANCORA PRESENTE. 

di Andrea Cegna 

8 giugno 2018. Il 1 luglio prossimo si vota in Messico per il presidente della Repubblica. Enrique Pena Nieto, uscirà di scena con il triste titolo di presidente meno gradito della storia del paese. Andrés Manuel Lopez Obrador, dopo i conclamati brogli del 2006, è dato come grande favorito.

Se dodici anni fa era il candidato del Partido de la Revolución Democrática (PRD), ora è leader di MoReNa, Movimento de Regenation National, che dalla sua nascita ad oggi ha coinvolto nelle sue fila parti della società civile messicana e soprattutto pezzi del mondo del partito tradizionale.

Dal 1988 in poi, il 1 luglio ogni sei anni è una data che non ha nulla di scontato. Per la prima volta 30 anni fa la vittoria del Partido Revolucionario Institucional (PRI) non è più elemento scontato, tanto che nel 2000 e nel 2006 il presidente è stato del Partido Acción Nacional (PAN). E la veridicità dei risultati è sempre elemento di discussione.

Cosa accadrà? Sappiamo cos’è già accaduto.

DICIASSETTE COMUNITÀ INDIGENE HANNO DECISO CHE IL 1 LUGLIO NEI LORO TERRITORI NON SI VOTERÀ, FARANNO TUTTO QUELLO CHE POSSONO PER NON FAR INSTALLARE I COLLEGI ELETTORALI.

Nella comunità ribelle di Cheran, in Michoacan, sarà la terza volta che l’autogoverno territoriale rifiuta elezioni e partiti e non permette che ci siano votazioni. A Cheran, dal 2011, si vota secondo gli usi e costumi originari, e i partiti sono scomparsi.

Il Congresso National Indigeno ha deciso che la proposta di AMLO di unirsi, con la portavoce Maria De Jesus Patricio (Marichuy), alla coalizione elettorale Juntos Haremos Historia fosse irricevibile, perché Obrador, Morena, e la coalizione sono parte del sistema capitalista che è messo a critica.

L’EZLN NON HA PRESO PAROLA, MA È CHIARO CHE LA POSIZIONE ZAPATISTA RESTA QUELLA DI NON VEDERE NEI CANDIDATI IN CAMPO UNO SPAZIO D’ALTERNATIVA.

D’altra parte il percorso iniziato con il CNI e con Marichuy è quello della costruzione dal basso di una rete nazionale capace di andare oltre alla politica tradizionale. In altri termini costruire contro-potere partendo dall’autonomia di governo dei territori indigeni.

MARGHERITA ZAVALA, SI È RITIRATA DALLA CORSA A PRESIDENTESSA DEL MESSICO.

E’ quindi già certo che non ci sarà la prima donna presidente nel 2018. A dire il vero le possibilità di Margherita erano pari allo zero, in un paese dove il sessismo l’ha definita solo ed esclusivamente come la moglie dell’ex Presidente Calderon, la Zavala aveva raccolto le firme necessarie a candidarsi come indipendente alla corsa alla presidenza del paese, ma i sondaggi molto negativi le han fatto cambiare idea. Tanto che nessuna donna era presente al secondo dibattito tra candidati.

Jaime Rodriguez, detto “El Bronco” è il quarto nelle preferenze, secondo i sondaggi. La sua candidatura indipendente è realtà solamente perchè il tribunale elettorale l’ha ammesso alla corsa, validando alcune firme che l’Istituto Nazionale Elettorale aveva invece ritenuto false. La riammissione del Bronco pare una delle mossa che il PRI sta mettendo in campo per togliere voti a Obrador.

CONTRO OBRADOR È SCESA IN CAMPO LA GRANDE INDUSTRIA DEL PAESE. L’ULTIMO IN ORDINE DI TEMPO È IL MAGNATE DELL’ARGENTO E TERZO UOMO PIÙ RICCO DEL MESSICO, ALBERTO BAILLERES.

Secondo quanto riportato da Bloomberg il capo del Grupo Bal ha riunito tutti i suoi dipendenti e detto loro di votare per chi può sconfiggere Obrador, perché ogni altro candidato conserverà l’attuale sistema economico che garantisce al Gruppo Bal successo commerciale.

Intanto sono saliti a sette le vittime tra gli operatori dell’informazione dall’inizio dell’anno. La violenza è costante in alcuni stati del paese dove la saldatura tra polizie, esercito, politica, trafficanti di vario tipo, e aziende colpisce attivisti e attiviste, cronisti e croniste, oppositori e oppositrici.

Lo scrittore e giornalista messicano Juan Villoro, ai microfoni di Radio Onda d’Urto ha dichiarato: “I giornalisti non sono, per la maggior parte, assassinati dai capi del crimine organizzato – le mafie sono troppo occupate con i propri delitti per preoccuparsi di come vengono presentati dalla stampa – chi sta più attento al lavoro dei giornalisti sono i cittadini, apparentemente onorevoli, che fungono da facciata al crimine organizzato.”

E ha aggiunto: “E questo significa che il Messico è diventato un narco-stato, vale a dire che le autorità sono colluse con i criminali e sono loro le supposte autorità che uccidono i giornalisti, per questo è così grave.
Finché il governo non indagherà su se stesso, finché non depurerà la sua forma organizzativa, i giornalisti continueranno a correre un terribile rischio.”

Tra tensioni, paure, omicidi, minacce, a meno di un mese dal voto l’ultimo sondaggio di Reforma dice che il 52% dei votanti esprimerebbe la preferenza per Obrador, Ricardo Anaya (coalizione Por Mexico Al Frente – PAN-PRD-MC) al 26%, Jose Antonio Meade (coalizione Todos por Mexico – PRI-Verde-Panal) al 19%, e per chiudere al 3% El Bronco. http://www.qcodemag.it/2018/06/08/messico-elezioni-2018/

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L’unica “verità storica”: Ayotzinapa crimine di stato 

A tre anni e mezzo dalla sparizione forzata dei 43 ragazzi non è facile dire se anche questa ennesima piccola sconfitta per la PGR porterà alla verità e alla giustizia. Il Messico non è una democrazia, è un paese in guerra, civile, un paese dove la violenza e l’impunità sono parte del sistema democratico e dove la criminalità non è una deviazione del sistema: è il sistema. 

di Christian Peverieri 

7 giugno 2018. I genitori e i difensori dei diritti umani lo hanno ripetuto fino allo sfinimento: i 43 ragazzi di Ayotzinapa non sono stati bruciati nella discarica di Cocula.

Ora, anche una corte di giustizia messicana riconosce quanto era già sotto gli occhi di tutti, quanto è stato provato scientificamente dalle contro inchieste del GIEI e dell’EAAF: la “verità storica” prodotta dalla Procura Generale della Repubblica (PGR), secondo la quale i 43 studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos di Ayotzinapa sarebbero stati bruciati nella discarica di Cocula, è viziata da gravi irregolarità. Talmente palesi da indurre i giudici di una corte federale del Tamaulipas a ordinare la Creazione di una Commissione per la Verità e la Giustizia in cui siano presenti i familiari dei desaparecidos, la Comisión Nacional de Derechos Humanos (CIDH) e funzionari del ministero. Soprattutto, dato che le indagini fino ad ora sono da ritenersi parziali e approssimative e che la linea investigativa è avanzata con informazioni ottenute sotto tortura, a decidere in che direzione dovranno orientarsi ora le indagini dovranno essere i familiari dei ragazzi e la Comisión Nacional de Derechos Humanos.

Sulle torture con cui sono state estorte confessioni agli arrestati del caso e che avevano permesso di pilotare le indagini, si era espresse recentemente anche l’ONU. In un lungo report dal significativo titolo Doble Injusticia, l’Alto Commissariato per i Diritti Uani (ACNUDH), ha denunciato e provato che almeno 34 arrestati del caso Iguala sono stati torturati per estorcergli confessioni forzate. A questo si aggiungono numerose altre violazioni dei diritti umani e arresti indiscriminati.

Dalla PGR fanno sapere che non accettano i criteri dei giudici di Tamaulipas e che proseguiranno le indagini su diverse piste tra cui quella suggerita dal Mecanismo Especial de Seguimiento, il gruppo di lavoro della Comisión Interamericana de Derechos Humanos (CIDH) che un anno fa si è insediato per proseguire il lavoro del GIEI.

E a proposito del Mecanismo Especial de Seguimiento, si è tenuta mercoledì a Washington la riunione della commissione a un anno dal suo insediamento. I commissari della CIDH hanno ripetuto ciò che ormai sono costretti a ripetere ad ogni riunione: le indagini proseguono troppo lentamente e non ci sono sviluppi dopo oltre tre anni; non solo, i 9 telefoni cellulari appartenenti agli studenti ancora attivi dopo la notte del 26 settembre 2014 non sono ancora stati esaminati e, ancora, non si è voluta approfondire la piste che porta alla Polizia Federale e al 27° battaglione dell’esercito, quando appare chiaro che le informazioni provenienti da queste piste potrebbero essere di fondamentale importanza per arrivare alla verità.

Questo report si somma dunque a quanto hanno detto e documentato il GIEI, la EAAF, la CIDH. L’Alto Commissariato per i Diritti Umani e ora anche la corte federale del Tamaulipas con la recente sentenza. La relatrice della commissione, Esmeralda Arosemena, ha infine esortato lo Stato a rispettare la decisione del tribunale, ad abbandonare definitivamente la pista della discarica di Cocula e a far ripartire le indagini seguendo le nuove indicazioni.

A tre anni e mezzo dalla sparizione forzata dei 43 ragazzi non è facile dire se anche questa ennesima piccola sconfitta per la PGR porterà alla verità e alla giustizia. Il Messico non è una democrazia, è un paese in guerra, civile, un paese dove la violenza e l’impunità sono parte del sistema democratico e dove la criminalità non è una deviazione del sistema: è il sistema. E sconfiggere questo sistema sarà dura ma, come recita un murales nella scuola di Ayotzinapa, la giustizia avanza, lenta ma implacabile. Si tratta di ottenere il riconoscimento dell’evidenza. L’unica verità storica: Ayotzinapa crimine di stato. http://www.yabastaedibese.it/2018/06/lunica-verita-storica-ayotzinapa-crimine-di-stato/

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